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Tuesday, June 24, 2025

GRICE ITALO A-Z R RO

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!, ossia, Grice e Roccoto: la ragione conversazionale e l’implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). To be identified.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rodano: la ragione conversazionale dell’immunità e della comunità, o l’implicatura dei comunisti – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano . Franco Rodano. Rodano. Keywords: immunità e comunità – filosofia italiana – i comunisti, il laico, democrazia, revoluzione, lotta di classe, societa opulenta, peculiarita dei comunisti italiani, anti-fascismo, arrestato dai fascisti. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rodano” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rodippo: la ragione conversazionale ante la diaspora – Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone, Calabria. A Pythagorean, cited by Giamblico.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rogatiano: la ragione conversazionale della filosofia della gotta – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A senator whose tutor is Plotino. He credits Plotino for helping him realise the importance of leading a frugal existence. He himself fasts every other day – to which he attributes his recovery from gout. Rogatiano.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rogo: la ragione conversazionale dell’allievo di Filone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A pupil of Filone at Rome. Tertilio Rogo. Fondatore del “catto-comunismo.” E tra i fondatori del movimento dei cattolici comunisti, poi sinistra cristiana. Studia a Roma. Frequenta la Scaletta. Milita nell'azione cattolica e nella FUCI presieduta da Moro. Entra in contatto e collabora con anti-fascisti d'ispirazione cattolica -- Ossicini, Pecoraro, Tatò e altri -- comunista -- Bufalini, Amendola, Ingrao, Radice e altri --, del partito d'azione e liberali -- Malfa, Solari, Fiorentino fra gl’altri. Partecipa al movimento dei cattolici anti-fascisti. Con Ossicini e Pecoraro tra i promotori e dirigenti del partito co-operativista sin-archico -- poi partito comunista cristiano -- e ne redige i principali documenti. Fa parte, con Alicata e Ingrao, del trium-virato dirigente le II distinte organizzazioni clandestine, comunista e comunista cristiana. Scrive saggi sull’Osservatore Romano. Arrestato dalla polizia fascista in una generale retata dei militanti del partito comunista cristiano, e deferito al tribunale speciale con altri suoi dirigenti. Il processo non ha luogo per la caduta del fascismo. Nel periodo badogliano ha intensi scambi d'idee con i compagni di partito e altre personalità anti-fasciste sulla linea da seguire. Stringe amicizia con Luca e Pintor. Collabora al “Lavoro”, diretto da Alicata, comunista, Vernocchi, socialista, e Gaudenti, cattolico. Sotto l'occupazione nazista di Roma fonda il movimento dei cattolici comunisti, e ne redige i documenti teorico-politici. Scrive saggi sui 14 numeri usciti alla macchia di “Voce operaia”, organo dello stesso movimento dei cattolici comunisti. Liberata Roma, il movimento di cattolici comunisti prende il nome di partito della sinistra cristiana. Vi confluiscono i cristiano-sociali di Bruni. Vi partecipano anche Balbo, Sacconi, Barca, Amico, Chiesa, Valente, Mira, Tatò, Tedesco, Parrelli, Tranquilli, e Rinaldini. Stringe un rapporto di amicizia e collaborazione -- che non sarà privo di momenti di dissenso critico --con Togliatti. Su Voce Operaia, pubblicata adesso legalmente, scrive numerosi saggi. In IV di essi sostiene la prosecuzione dell'IRI e ciò segna l'inizio della sua amicizia con Mattioli. S'incontrano, a casa di R. e con la sua mediazione, Togliatti e Luca, primo, cauto sondaggio reciproco tra mondo cattolico e movimento comunista italiano. A conclusione di un congresso straordinario, il partito della sinistra cristiana si scioglie. Sostiene, con argomentato vigore, che non è più utile una formazione cattolica di sinistra, poiché incombe alla classe operaia nel suo insieme e perciò al partito comunista il compito di affrontare la questione cattolica, superando le pre-giudiziali a-teistiche e del dogmatismo marxista. Si adopera perciò per ottenere modifiche nello statuto del partito comuista, che consentano l'iscrizione e la militanza in esso indipendentemente dalle convinzioni ideo-logiche e religiose, modifiche che saranno adottate dal partito comunista nel suo congresso. Entrato nel partito comunista, scrive su periodici ufficiali di tale partito o ad esso vicini. Particolarmente numerosi i suoi saggi su Rinascita. Vi ha largo spazio l'invito ai cattolici a lavorare in politica e nelle altre dimensione della storia comune degl’uomini in spirito di laicità, evitando quindi improprie commistioni con la fede religiosa. Questa posizione approfondita nel corso di tutta la sua opera ed essenziale per comprenderla contrasta con la linea della chiesa di Pio XII, che coglie l'occasione di due suoi saggi sulla condizione economica del clero (Rinascita) per comminargli l'interdetto dai sacramenti, accusandolo di fomentare la lotta di classe all'interno delle gerarchie (L'interdetto e tolto sotto Giovanni XXIII). Cura i saggi politici di “Lo Spettatore”. Scrive sul Dibattito Politico, diretto da Melloni e Bartesaghi, teso a una difficile mediazione tra le posizioni politiche del mondo cattolico e di quello comunista e socialista, nel distinto riconoscimento dei rispettivi valori e motivi ideali. Vi collaborano tra gli altri Chiarante, Magri, Baduel, Salzano. Durante il pontificato di Giovanni XXIII opera, tramite Togliatti, per la trasmissione ai dirigenti della proposta, primo, cauto sondaggio reciproco tra mondo cattolico e movimento comunista italiano. A conclusione di un congresso straordinario, il PSC si scioglie. R.sostiene, con argomentato vigore, che non è più utile una formazione cattolica di sinistra, poiché incombe alla classe operaia nel suo insieme e perciò al PCI il compito di affrontare accolta, di uno scambio di messaggi in occasione del compleanno di papa Roncalli. L'iniziativa sarà il primo segno di disgelo tra URSS e s. sede. Si svolge un serrato dialogo tra R. e NOCE (si veda), che mette in chiaro la diversità delle rispettive posizioni. Fonda con Napoleoni La Rivista trimestrale, affrontando nodi teorici e politici di fondo. Ancora con Napoleoni, e Ranchetti, dirige la scuola di scienze politiche ed economiche, rivolta a militanti del movimento. Collabora alla rivista “Settegiorni”, diretta d’Orfei e Pratesi, in cui fra l'altro scrive una serie di interventi d'intensa riflessione teologica, le Lettere dalla Valnerina. Chiusasi l'esperienza della Rivista Trimestrale, R. scrive sui Quaderni della Rivista Trimestrale, diretti da Reale, cui collaborano, insieme a Sacconi, Salzano, Tranquilli, Gasparotti, Rinaldini, Reale, Agata, Vincenti, Montebugnoli, Padoan, Sacconi, Zevi, R. e R., ed altri. Lo si considera l'esponente più autorevole del “catto-comunismo”: "i rapporti di R. con il mondo cattolico sono stati indagati a fondo. Quelli con Togliatti -- che furono rapporti personali assai intensi -- assai poco, come quelli con Berlinguer -- all'Istituto Gramsci si conservano tre vaste memorie che scrive per Berlinguer -- anche se il rapporto stretto di questi con Tatò è sufficiente a delinearne l'influenza". Nella stagione del compromesso storico proposto da Berlinguer e oggetto prima di attenzione, poi di cauta convergenza da parte di Moro, R. elabora i fondamenti teorici di una politica diretta a non ridurre l'incontro tra le grandi forze storiche del comunismo, del socialismo e del cattolicesimo democratico a una mera operazione di governo, ma a farne una strategia di lungo periodo di trasformazione della società. Quella stagione e quelle prospettive vengono improvvisamente troncate dall'ASSASSINIO DI MORO. S'intensificano, all'epoca, i suoi contatti personali con esponenti del PCI, del PSI, della DC e di altri partiti -- Malfa, Malagodi, Visentini -- su problemi politici a breve e lungo termine. Pubblica saggi su vari periodici e sul quotidiano Paese Sera, quasi settimanalmente. Altre saggi: “Sulla politica dei comunisti” (Boringhieri, Torino); “Questione demo-cristiana e compromesso storico” (Riuniti, Roma), “Lenin da ideologia a lezione” (Stampatori, Torino); “Lettere dalla Valnerina” (Pratesi, La Locusta, Vicenza); “Lezioni di storia possibile” -- Tranquilli e Tassani (Marietti, Genova); “Lezioni su servo e signore” – Tranquilli (Riuniti, Roma); “Cattolici e laicità della politica” Tranquilli (Riuniti, Roma); “Cristianesimo e società opulenta” – Mustè (Storia e letteratura, Roma). Saggi sono spubblicati in numerosi periodici e quotidiani, tra i quali l'Osservatore Romano, Primato, Voce Operaia Rinascita Il Politecnico, Unità, Vie nuove, Società, Cultura e realtà, Lo Spettatore Italiano, Il Contemporaneo, Il Dibattito Politico, Argomenti, La Rivista Trimestrale, Settegiorni, Quaderni della Rivista Trimestrale, Paese Sera, Città Futura, Nuova Società, e Il Regno. I saggi più importanti, pubblicati sulla Rivista Trimestrale e sui successivi Quaderni, sono “Risorgimento e democrazia, Il processo di formazione della società opulenta”; “Il pensiero cattolico di fronte alla società opulenta”; “Egemonia riformista ed egemonia rivoluzionaria”; “Nota sul concetto di rivoluzione”; “Significato e prospettive di una tregua salariale; “Il centro-sinistra e la situazione del paese”; “Marx, A proposito del convegno delle ACLI a Vallombrosa”; “Su alcune questioni sollevate dal movimento studentesco; “Con Dopo Praga: considerazioni politiche sulla storia del movimento operaio, A proposito dell'autunno caldo”; “Considerazioni sulla dialettica sociale dell'opulenza”; “La peculiarità del partito comunista”; “Dopo il congresso del partito comunista: il nodo al pettine”, “I germi di comunismo”; “La questione demo-cristiana”; “La proposta del compromesso storico”; “Dopo la morte di Mao Tse-tung: la lezione di una grande esperienza, con Tranquilli; “Considerazioni sulla strategia dei comunisti italiani”; “Egemonia e libertà delle opinioni”; “Considerazioni sui fenomeni di eversione”; “La politica come assoluto”; “Note sulla questione”; “La specificità umana e condizione storica: dopo la lettera di Berlinguer al vescovo di Ivrea: laicità e ideologie”; “Alla radice della crisi”; “L'incompatibilità tra capitalismo e democrazia”; “È possibile una soluzione reazionaria?” “Idee e strumenti della manovra reazionaria”; “Roluzione” “Rivoluzione”; “Filosofia della storia”; Rivoluzione in Occidente e rapporto con l'URSS, Il senso di una grande lezione: per una lettura critica di Lenin”; “Per un bilancio del compromesso storico”; “Innovazione e continuità”; “Contratti e costo del lavoro: imprese e sindacati, partiti e istituzioni”; “La chiesa di fronte al problema della pace”. Craveri, Una critica pregnante, in Mondoperaio, Teorico del compromesso storico Archivio la stampa. Noce: Lettera a R. -- Regno-attualità --; Cinciari: Cattolici comunisti, n Enciclopedia dell'anti-fascismo e della resistenza, Milano; Bedeschi: Cattolici e comunisti (Feltrinelli, Milano); Cocchi, Montesi: Per una storia della Sinistra cristiana (Coines, Roma), Casula: Cattolici-comunisti e Sinistra cristiana (Mulino, Bologna); Tassani: Alle origini del compromesso storico (EDB, Bologna); Ruggieri, Albani: Cattolici comunisti? (Queriniana, Brescia); Repetto: Il movimento dei cattolici comunisti: problemi storici e politici -- Quaderni della Rivista Trimestrale; Ricordo, Broglio, "Un cristiano nella sinistra", in "Nuova Antologia", Giannantoni, Alema, Ingrao: Dibattito in Rivista Trimestrale, Nuovo Spettatore Italiano, Bella: “Lo Spettatore Italiano” (Morcelliana, Brescia); Papini: Tra storia e profezia: la lezione dei cattolici comunisti (Univ., Roma); Landolfi, R.: la rivoluzione in Occidente, Palermo, Ila Palma, Raimondo: solitudine e realismo del comunista cattolico (Galzerano, Salerno); Tronti: Una riflessione -- in Rivista Trimestralen; Manacorda: lettore di Marx in Critica marxista; Napoleoni, Cercate ancora (Riuniti, Valle); Napoleoni, Teoria politica; Noce: Il comunista (Rusconi, Milano); Tranquilli: Fede cattolica e laicità della politica -- in Teoria Politica; Tranquilli: Realtà storica e problemi teorici della democrazia -- in Bailamme, Reale: Sulla laicità: considerazioni intorno alle relazioni fra atei e credenti -- in Novecento, Bellofiore: Pensare il proprio tempo. Il dilemma della laicità in Napoleoni, in Per un nuovo dizionario della politica (Riuniti, Roma); Capuccelli, Lucente: La riflessione teorica di R. dalla Sinistra Cristiana alla “Rivista Trimestrale” -- tesi di laurea in scienze politiche, Milano -- Istituto Gramsci: Convegno commemorativo di R., Roma --; Mustè, “Critica delle ideologie e ricerca della laicità” (Mulino); lbani: La storia comune degli uomini. Ri-leggendo R. -- in Testimonianze, Papini: La formazione di un cattolico -- Tra la Congregazione mariana La Scaletta e il liceo Visconti, in Cristianesimo e storia, Possenti: Cattolicesimo e modernità. Balbo, Noce, R. (Milano); Mustè: Fra NOCE e R.: il dibattito sulla società opulenta, La Cultura; Mustè: R.: laicità, democrazia, società del superfluo (Studium, Roma). "Cristianesimo e società opulenta", a cura e con introduzione di Mustè (Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, Parlato: L'utopia in Manifesto, Melchionda: R. (in Aprile, Rosa, "R.; il cristianesimo e la società opulenta", in "Ricerche di storia sociale e religiosa", Chiarante: Tra Gasperi e Togliatti. Memorie (Carocci, Roma; Pandolfelli: Marxismo, Scienze politiche, Roma; Tassani:"Il Belpaese dei Cattolici", Cantagalli, "La traccia e la prospettiva teorica di R." MORO, R. e la storia del 'partito cattolico' in Italia", in Botti, Storia ed esperienza religiosa. Urbino, Quattro Venti, Hanno detto di lui: la sua vita testimonia, in modo esemplare, quanto possa essere forte, nell’uomo, la dedizione all’impegno intellettuale e ai grandi ideali, tra i quali la politica intesa nel senso più nobile e più alto dell’accezione. Portatore d’una fede religiosa profondamente sentita e sofferta, ha avuto costantemente con sé il dantesco “angelo della solitudine”: durante l’intera sua vita, infatti, mai si è sottratto al rovello e al dubbio; mai ha preferito la comoda via dei pigri, degli opportunisti e dei neutrali. La sua prima scelta di campo nell’Italia divisa in due, fu doppiamente coraggiosa: la resistenza al nazi-fascismo ed il tentativo di conciliare nel Movimento dei cattolici comunisti i valori della tradizione cristiana e cattolica con quelli della rivoluzione d’ottobre. E così continuò senza paura e con sacrificio personale in tutti questi anni promuovendo con le sue tesi, tra consensi e dissensi, un continuo dibattito. La sua “inquietudine” è, dunque, sincera e feconda, sorretta da uno spirito virile, ma al fondo sensibile ed umanissimo. Certamente sarà ricordato dallo storico del futuro con queste sue peculiarità di intellettuale originale, pugnace e coraggioso. In questo modo l’ho visto e conosciuto, e così rimarrà per sempre nella mia memoria. Pertini, Quaderni della Rivista Trimestrale. Ritengo che la sua vita e la sua opera abbiano fornito una prova concreta e significativa della validità di due principi che egli ha serenamente professato e praticato e che, anche con il suo personale contributo, sono acquisiti al patrimonio teorico e ideale del partito comunista. Il primo è la distinzione e l’autonomia reciproca della politica e della fede religiosa -- o della convinzione filosofica o del “credo” ideologico. Il secondo è l’affermazionefatta da Togliatti, formulata in una tesi approvata dal X congresso del partito e sviluppata poi nelle tesi del XV congresso secondo la quale un cristianesimo genuinamente vissuto non soltanto non si oppone, ma è anche in grado di sollecitare un’azione che può contribuire alla battaglia per la costruzione di una società più umana, più libera e più giusta di quella capitalista. Berlinguer, Quaderni della Rivista Trimestrale. C’era nella sua avversione al misticismo, all’indistinto, all’anarchismo, una grande lezione di umanesimo storico e costruttivo. La drammaticità con cui sentiva i rischi di un capovolgimento della democraziavissuta nei suoi angusti limiti democraticisticiin corporativismo e in anarchia, e, quindi, la possibilità di una replica autoritaria, è tuttora inscritta nella nostra vita quotidiana, nella fase che stiamo attraversando. Bene: distinguere per collegare; stabilire i confini del campo di ciascuno, da cui discende l’autonomia della politica dalla religione e dalle ideologie. Per questo ritengo che occorra respingere le sollecitazioni di quanti pensano di poter rimuovere la questione di fondo posta da R.. Quella questione oggi riguarda, a mio avviso, il confine mobile tra progresso e conservazione” Occhetto, Quaderni della Rivista Trimestrale, Per chi ha seguito, anche talvolta dissentendo, la filosofia di R. e lo ha spesso messo a confronto con la visione di MORO, appare chiaro che gli insegnamento di R. come quelli di MORO non hanno solo valore per la ricostruzione storica di una fase politica conclusa, ma hanno invece valore e significato come guida per la costruzione di un processo di allargamento della democrazia, di sviluppo e di confronto e di un dialogo che sono ancora più che mai attuali, perché attuali e non risolti sono i grandi problemi nazionali che richiedono sì maggioranze e governi più efficaci e risoluti, ma anche un più largo consenso popolare da realizzarsi col confronto, col dialogo, con la partecipazione, sia pure a vario titolo, ad un unico disegno di tutte le forze politiche rappresentative dell’intera realtà popolare. Galloni, Quaderni della Rivista Trimestrale, “benché creda che la storia sia opera di molti, e non di singole personalità pur spiccatissime, ho sempre ritenuto che il ruolo esercitato da R. nella vicenda italiana di questi decenni sia stato assolutamente fuori del comune, e portatore di cambiamento come a pochissimi altri è stato dato. Ciò dico soprattutto in riferimento alla storia e alle trasformazioni del partito comunista italiano, nei cui confronti Rodano ha esercitato una funzione liberatrice e maieutica che, se non temessi di far torto alla complessità del processo di un grande movimento di massa e agli innumerevoli apporti di cui esso è sostanziato, non esiterei a definire demiurgica.» Valle, Quaderni della Rivista Trimestrale. Lasciamo ad altri le banalità sul consigliere del principe o sul consulente per i rapporti con il mondo cattolico o con il Vaticano. Togliatti ne fu attratto e interessato certo, anche perché l’esperienza di R., le sue riflessioni, le sue frequentazioni arricchivano il Partito di qualcosa che altrimenti non sarebbe venuto. Forse qualcosa di analogo era stato per Gramsci e per Togliatti l’incontro con Godetti. Che conoscesse e stimasse Ottavini, che fosse intimo di Luca, non era importante perché ciò rappresentava un “canale”. E iuttosto decisivo che un giovane così ascoltasse e parlasse, che si trovasse a casa sua tra i comunisti, che per farlo soffrisse fino alla persecuzione vaticana, riuscendo sempre ad essere fedele nel senso più pieno del termine. Paietta, Quaderni della Rivista Trimestrale. Rrimane uno dei pochi uomini la cuia filosofia rende possibile l’appellativo di femminista anche per un appartenente al sesso maschile. La sua continua attenzione dalla questione femminile derivava, certo, da una molteplicità di circostanze. Vi influiva la ricerca su quello che egli stesso define il processo di umanizzazione dell’uomo, nel cui quadro la liberazione della donna costitusce ben più di una semplice componente o misura, ma piuttosto una delle condizioni decisive per una reale, generale fuoruscita dall’alienazione e dallo sfruttamento umano. Oggi più d’uno ambirebbe, revanchisticamente, a considerare conclusa la stagione femminista. E invece il vero problema per le donne, per la democrazia, per il mutamento, è la perpetuazione e il saldo attestarsi a un livello superiore del femminismo. Per questo il messaggio che può ben a ragione essere definito femminista nell’accezione più onnicomprensiva ed elevata, risulta tuttora rivolto alla speranza e soprattutto all’impegno: quell’impegno per cui egli ha consumato generosamente, e certo positivamente anche per la causa femminile, tutta intiera la sua vita. Tedesco, Quaderni della Rivista Trimestrale. Il mio primo interrogativo riguarda le scelte politiche che egli ha fatto, ponendosi come cattolico in contrasto con alcune direttive ecclesiastiche. Dove ha trovato forza e serenità, pur con sofferenza, per queste opzioni non rinunciando alla sua fede e alla sua appartenenza ecclesiale, sempre professata? Non ho trovato altra risposta che la sua fede teologale. La fede di Franco non era credenza dottrinale, magari utilizzata ideologicamente, o sottomissione alla gerarchia che poi si muta in ribellione; era adesione cosciente e ferma a Dio che si è rivelato in Gesù Cristo, ancora vivente nella Chiesa. Questa fede comporta quel “sensus fidei” (ne ha parlato il Vaticano II nella Lumen Gentium) che diventa giudizio pratico nelle concrete situazioni per scelte che siano conformi alla volontà di Dio. È il discernimento di cui parla san Paolo nella Lettera ai Romani (12, 2) e che tanta parte ha nella dottrina spirituale cristiana. D. Torre, Quaderni della Rivista Trimestrale, Il rapporto con la chiesa, sia come comunità di fede che come istituzione, senza mediazioni di un partito cattolico rappresentava per R. un’occasione e una garanzia per depurare il movimento comunista non solo dall’ateismo scientista, ma anche di una visione totalizzante della rivoluzione politica e sociale. Il mito del regno dei cieli sulla terra e di una storia senza alienazioni. Corrispettivamente il movimento comunista e il portatore necessario di una trasformazione della società che non si presentasse come inveramento e compimento della razionalità illuministica, della rivoluzione borghese, ma anche e soprattutto come loro rovesciamento dialettico, e perciò offre un fondamento storico e materiale ad un mondo in cui le persone diventano centro e misura, liberate dalla rei-ficazione capitalistica, e perciò stesso base reale di un pieno sviluppo di un cristianesimo, non integralista, ma consapevole, diffuso, praticabile. Magri. Melchionda, in "Aprile", Dall'utopia alla secolarizzazione, Vassallo, Il consigliere di Berlinguer che ama la Contro-Riforma. Giornalista politico, Franchi, Corriere della Sera, Archivio storico. Treccani L'Enciclopedia italiana". Tertilio Rogo. Rogo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rogo.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Romagnosi: la ragione conversazionale della Roma antica, e l’implicatura dei IV periodi: o, dal segno alla logìa – filosofia emiliana -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Salsomaggiore). Abstract. Keywords: Conversational Self-Love, Conversational Benevolence. Filosofo italiano. Salsomaggiore, Parma, Emilia-Romagna. Important Italian philosopher. L'etica, la politica ed il diritto si possono bensì dis-tinguere, ma non dis-giungere. Non esiste un'etica pratica, se non mediante la buona legge e la buona amministrazione. Studia a Piacenza e Parma. Insegna a Parma e Pavia. Membro della società letteraria di Piacenza, dove legge i suoi saggi: “Discorso sull'amore considerato come motore precipuo della legislazione”; “Discorso sullo stato politico della nazione romana e italiana”; “L’opinione pubblica. Uno degl’Ortolani. Pubblica la “Genesi del diritto penale”; Cosa è eguaglianza e, Cosa è libertà; Primo avviso al popolo romano, che mostrano simpatie rivoluzionarie. Il suo incarico gli procura contrasti con il principe di Trento, Thun. Questi gli concede comunque il titolo di consigliere aulico d'onore. Schiere contro i principi della rivoluzione francese. Accusato di giacobinismo, è incarcerato a Innsbruck. Scrive “Delle leggi dell'umana perfettibilità per servire ai progressi delle scienze e delle arti”. Scopre gl’effetti magnetici dell'elettricità. R. anticipato la scoperta dell'elettro-magnetismo. Pubblica “Quale e il governo più adatto a perfezionare la legislazione civili”. Fonda il “Giornale di giurisprudenza universale”. Pubblica l’Istituzioni di Diritto amministrativo e Della costituzione di una monarchia costituzionale rappresentativa. Rerduna intorno a Milano una scuola o gruppo di giocco alla quale si formarono alcuni dei nomi più illustri del risorgimento: Ferrari (si veda), Cattaneo (si veda), Cantù (si veda), Defendente S. (si veda) e G. Sacchi (si veda). Collabora alla biblioteca italiana. Pubblica L’Assunto primo della scienza del diritto naturale. È arrestato e incarcerato a Venezia con l'accusa di partecipazione alla congiura ordita da Pellico, Maroncelli e Confalonieri. Pubblica “Dell'insegnamento primitivo delle matematiche” e “Della condotta delle acque”. Pubblica l’Istituzioni di civile filosofia ossia di giurisprudenza teorica. Dirige gl’Annali Universali di Statistica Tra i maggiori filosofi italiani, nel rinnovamento del pensiero giuridico italiano richiesto dalla necessità di codificare i nuovi interessi delle classi borghesi emersi con la rivoluzione francese e consolidati nel successivo codice napoleonico, è legata alla fondazione di una nuova scienza del diritto pubblico, penale e amministrativo, con uno spirito scientifico illuministicamente volto all'unificazione delle scienze giuridiche, naturali e morali. Studia pertanto la vita sociale nelle sue componenti storiche, giuridiche, politiche, economiche e morali. Considera l'uomo nelle forme della sua esistenza storica, nei modi in cui concretamente pensa e agisce in un contesto sociale determinato. In questo modo lo studio della storia rivela lo sviluppo dell'incivilimento umano. Nella “Genesi del diritto penale”, opera che gli dette notevole fama e non solo in Italia, riprendendo tesi di BECCARIA, pone i problemi dell'utilità della punizione, della natura della colpa e del diritto. Dà una GIUSTIFICAZIONE RAZIONALE della società che gl’appare un'unione necessaria tra gl’uomini, dialetticamente rapportati nel rispetto di una disciplina condivisa. L'uomo è lo stesso sia nello stato di natura che in quello di società, malgrado le diversità delle forme sociali. Pertanto gl’uomini hanno un diritto di socialità importante e sacro, quanto quello della conservazione di se stesso. La società è per R. l'unico stato naturale dell'uomo, respingendo così la dottrina di uno stato di natura *anteriore* allo stato sociale. Il cosiddetto stato di natura è solo un diverso stato sociale nella storia dell'umanità. Nell'introduzione allo studio del diritto pubblico universale, premesso che ogni complesso giuridico di basarsi sul bisogno della comunità, sostiene che lo scopo del diritto e il rafforzamento delle strutture civili e politiche della società. Nell'Assunto primo della scienza del diritto naturale, riprende temi sviluppati nella genesi del diritto. Sostiene che nella natura è tanto il principio di individualità quanto quello di socialità, e, pertanto, lo sviluppo umano avviene naturalmente verso uno stato di società, l'unico in cui si sviluppa l'incivilimento - termine ricorrente nei suoi scritti - un continuo processo verso stadi più avanzati di perfezionamento morale, civile, economico e politico. E ancora nel Dell'indole e dei fattori dell'incivilimento, con esempio del suo risorgimento in Italia si pone il problema di quale sia il motore del progresso umano nella storia. La tesi è che la società umana è l'organismo fattore di progresso, essendo in sé dotata di forze agenti in particolari condizioni storiche e ambientali. Lo sviluppo civile, suddiviso da R. in IV periodi -- I l'epoca del senso e dell'istinto, II l'epoca della fantasia e delle passioni, III l'epoca della ragione e dell'interesse personale e IV l'epoca della previdenza e della socialità -- vede un costante trasferimento, agl’organismi pubblici rappresentativi, delle funzioni sociali come se la natura si trasferisse progressivamente nella funzione rappresentativa. Il punto d'arrivo della civiltà è una forma sociale in cui prevalgono la proprietà e il sapere. Tale processo non è lineare. Il diritto ROMANO si afferma in condizioni civili arretrate. Ma, come una macchina i cui meccanismi migliorano nel tempo, la sua azione progressivamente perfezionata fa sorgere dal fondo delle potenze attive un sempre nuovo modo di ri-azioni e quindi d’effetti variati. L'incivilimento appare così una cosa complessa risultante di molti elementi e da molti rapporti formanti una vera finale unità simile a quella di una macchina, la quale scindere non si può senza annientarla. Il motore di siffatta macchina è il COMMERCIO, sviluppato a sua volta dal progresso dello stato sociale. Guardando allo sviluppo storico nazionale, vede nel medio-evo l'epoca in cui la città diviene luogo di aggregazione di possidenti, artisti, commercianti e dotti, favorendo le condizioni per la nascita dello stato italiano dallo stato romano anche se ai comuni medievali manca uno spirito politico nazionale perché presero la strada dal ramo industriale e commerciale per giungere al territoriale. Essi dunque ripigliarono l'incivilimento in ordine inverso. In quest'ordine trovarono i più gravi ostacoli avendo dovuto separare la professione dell’armi da quella del’arti e della mercatura. Per questo, bisogna sempre porsi il problema di un corretto modo di sviluppo e ora, nella società industriale, l'incivilimento è una continua disposizione delle cose e delle forze della natura pre-ordinata dalla mente ed eseguita dall'energia dell'uomo in quanto tale disposizione produce una colta e soddisfacente convivenza. Nella collezione degl’articoli di economia politica e statistica civile si trova espressa la fiducia nella sviluppo capitalistico e nella libera concorrenza economica, difesa contro le tesi di SISMONDI che vede nello sviluppo industriale una spaventosa sofferenza in parecchie classi della popolazione. I poteri pubblici fano rispettare le corrette regole della libertà di con-correnza, cosa che non avviene in Inghilterra dove ora si favorisce il popolo contro i mercanti, ora i possidenti e i mercanti contro il popolo e intanto si applica ancora il protezionismo. E inoltre un paese in cui non si applica IL DIRITTO ROMANO, fonte di equità civile. La mentalità empirica degl’inglesi non consente loro di pre-vedere ma solo di constatare i fatti. Polemizza col Saint-Simon, dottrinario che ostacola la libera con-correnza, assegna ogni ramo d'industria a guisa di privilegio personale, favorisce il popolo miserabile contro i produttori e abolire il diritto di eredità. I saintsimoniani vogliono far lavorare e poi lavorare senza dirmi il perché. Progresso non è che lavoro. Questo è l'ultimo termine, questo è il premio. L'uomo, secondo Saint–Simon, dovrebbe sempre progredire lavorando con una indefinita vista e senza stimolo. Ma voler far progredire l'industria e il commercio col togliere la possidenza è come voler far crescere i rami col distruggere il tronco. La proprietà ha un carattere naturale e, come la natura è la base di ogni società, negare la proprietà significa distruggere ogni possibilità di convivenza civile. Partendo dalla sua vasta esperienza giurisprudenziale e politica, auspica una nuova forma di filosofia civile, che studia le forme e condizioni dell'incivilimento storico della nazione romana e la nazione italiana, scoprendo la legge massima e unica delle vicende politiche, sociali e culturali dei popoli. Riguardo al problema gnoseologico, per R. la conoscenza proviene dai sensi ma la sensazione non è di per sé ancora conoscenza, la quale si ottiene solo quando l'intelletto ordina e interpreta le sensazioni secondo proprie categorie, definite logiche – logìe --, con cui diamo segnature razionali alle segnature positive. Chiama compotenza questa mutua concorrenza di sensazioni provenienti dall'esterno e di elaborazione della nostra mente. Una logìa non è una idee formata nel momento della nostra nascita, ma a sua volta è il risultato della riflessione operata sull'esperienza empirica. La logìa è dunque a posteriori rispetto alla sensazione passata e a priori rispetto alla sensazione attuale. Pertanto, la conoscenza è in definitiva un a posteriori con un contenuto base empirico. Ma cosa conosciamo in realtà? I sensi non danno conoscenza delle cose in sé, ma di ciò che percepiamo delle cose. Conosciamo la rappresentazione che ci formiamo della cosa. Se il fenomeno non e copie esatta del reale, tuttavia è UN SEGNO a cui corrisponde in natura un’essere reale. Pertanto, una cosa esiste fuori di noi, non è una creazione dell’io trascendentale. Non essendoci evidentemente posto per una meta-fisica nella sua costruzione filosofica, R. è attaccato dagl’spiritualisti e in particolare dal puritano SERBATI (si veda). Può a buon diritto essere considerato il precursore del positivismo italiano. Considera la contrapposizione di classico e romantico – nata nell'immediatezza della restaurazione e trascinatasi per oltre un ventennio con implicazioni letterarie, linguistiche e anche politiche - come impropria. Cerca di dare una soluzione alla controversia attraverso la sua concezione ilichiastica -- cioè relativa al tempo – cf. Grice, La costruzione ilichiastica dell’io -- della letteratura, secondo la quale la filosofia e consone all'età e al gusto del popolo romano e del popolo italiano, e suggere che le opere contemporanee dovessero corrispondere sempre al pensiero moderno di un popolo. L'ilichiastismo si rifà in sostanza alle sue concezioni sulla formazione della civiltà. Così espose la sua dottrina in Della Poesia, considerata rispetto alle diverse età della nazione romana e della nazione italiana. Sei tu romantico? Signor no. Sei tu classico? Signor no. Che cosa dunque sei? Sono “ilichiastico”, se vuoi che te lo dica in greco, cioè adattato alle età. Misericordia! che strana parola! Spiegatemela ancor meglio, e ditemi perché ne facciate uso, e quale sia la vostra pretensione. La parola “ilichiastico” che vi ferisce l'orecchio è tratta dal greco, e corrisponde al latino “aevum”, “aevitas” -- e per sincope, “aetas”, “età,” la quale indica un certo periodo di tempo – nell’unita longitudinale della filosofia --, e in un più largo senso, il corso del tempo. Col denominarmi pertanto “ilichiastico,” io intendo tanto di riconoscere in fatto una filosofia relativa all’età, nelle quali si sono ri-trovato e si trova il popolo romano e il popolo italiano, quanto di professare principj, i quali sieno indipendenti da fittizie istituzioni, per non rispettare altra legge che quelle del gusto, della ragione e della morale. Ma la divisione di romantico e classico, voi mi direte, non è dessa forse più speciale? Eccovi le mie risposte. O voi volete far uso di queste due parole, ‘classico’ e ‘romantico,’ per indicare nudamente il tempo, o volete usarne per contrassegnare il *carattere* della filosofia nelle diverse età. Se il primo, io vi dico essere strano il denominare ‘classica’ la filosofia romana antica, e filosofia romantica la media e moderna. L’eta antica (palio-evo), l’eta media (medio-evo), e l’eta moderna (neo-evo), sono fra loro distinti non da una divisione artificiale e di convenzione, ma da una effettiva rivoluzione. Se poi volete adoperare le parole di ‘classico’ e di ‘romantico’ per contrassegnare il carattere della filosofia romana e della filosofia italiana nelle diverse età, a me pare che usiate di una denominazione impropria. Quando piacesse di contrassegnare la filosofia coi caratteri delle tre diverse età – I: paleo-evo, II: medio-evo, III: neo-evo), parmi che dividere si potrebbe in I filosofia eroica (filosofia romana antica), II filosofia teocratica (filosofia del medio-evo), e III filosofia civile (neo-evo, moderna eta). Questi caratteri hanno successivamente dominato tanto nella prima coltura, che è sommersa dalle nordiche invasion dei barbari longobardi – dimenticami i goti – e d’arii --, quanto nella seconda coltura, che è ravvivata e proseguita fin qui. Questi caratteri non esistettero mai puri, ma sempre mescolati. Dall'essere l'uno o l'altro predominante si determina il genere, al quale appartiene l'una o l'altra produzione filosofica. Vengo ora alla domanda che mi faceste, se io classico o romantic. E ponendo mente soltanto allo spirito di essa, torno a rispondervi che io non sono (né voglio essere) né romantico, né classico, ma adattato alla mia eta, ed al bisogno della ragione, del gusto e della morale. Ditemi in primo luogo. Se io fossi nobile ricco, mi condannereste voi perché io non voglia professarmi o popolano grasso, o nobile pitocco? Alla peggio, potreste tacciarmi di orgoglio, ma non di stravaganza. Ecco il caso di un buon italiano in fatto di filosofia. Volere che un filosofo italiano sia tutto classico, egli è lo stesso che volere taluno occupato esclusivamente a copiare diplomi, a tessere alberi genealogici, a vestire all'antica, a descrivere o ad imitare gl’avanzi di medaglie, di vasi, d'intagli e di armature, e di altre anticaglie, trascurando la coltura attuale delle sue terre, l'abbellimento moderno della sua casa, l'educazione odierna della sua figliuolanza. Volere poi che il filosofo italiano sia affatto romantico, è volere ch'egli abiuri la propria origine, ripudj l'eredità de' suoi maggiori per attenersi soltanto a nuove rimembranze -- specialmente germaniche: i longobardi. Voi mi domanderete se possa esistere questo terzo genere, il quale non sia né classico né romantico? Domandarmi se possa esistere è domandarmi se possa esistere una maniera di vestire, di fabbricare, di “con-versare”, di scrivere, che non sia né antica, né media, né moderna. La risposta è fatta dalla semplice posizione della quistione. Ma questo III genere e desso preferibile ai conosciuti fra noi. Per soddisfarvi anche su tale domanda osservo primamente che qui non si tratta più di qualità, bensì di bellezza o di convenienza. In secondo luogo, che questa quistione non può essere decisa che coll'opera della filosofia del gusto, e soprattutto colla cognizione tanto dell'influenza dell'incivilimento sulla filosofia, quanto degl’uffizj della filosofia a pro dell'INCIVILIMENTO. Non è mia intenzione di tentare questo pelago. Osservo soltanto che questo III genere non può essere indefinito. E necessariamente il frutto naturale dell'età nella quale noi ci troviamo, e si troveranno pure i nostri posteri. Noi dunque non dobbiamo sull'ali della meta-fisica errare senza posa nel caos dell'idealismo, per cogliere qua e là l’ idea archetipo di questo genere. Dobbiamo invece seguire la catena degli avvenimenti, dai quali nella nostra età, essendo stata introdotta una data maniera di sentire, di produrre, e quindi di gustare e di propagare il bello, ne nacque un dato genere, il quale si poté dire perciò un frutto di stagione di nostra età. Per quanto vogliamo sottrarci dalla corrente, per quanto tentiamo di sollevarci al di sopra dell’ignoranza e del mal gusto comune, noi saremo eternamente figli del tempo e del luogo in cui viviamo. Il secolo posteriore riceve per una necessaria figliazione la sua impronta dal secolo anteriore. E tutto ciò derivando primariamente dall'impero della natura che opera nel tempo e nel luogo, ne verrà che il carattere filosofico, comunque indipendente dalle vecchie regole dell'arte, perché flessibile, progressivo, innovato dalla forza stessa della natura, e necessariamente determinato, come è determinato il carattere degl’animali e delle piante, che dallo stato selvaggio vengono trasportate allo stato domestico. Posto tutto ciò, l'arbitrario nel carattere della filosofia cessa di per sé. Si puo allora disputare bensì se il bello ideale coincide o no col bello volgare. Se il gusto corrente possa essere più elevato, più puro, più esteso; ma non si potrà più disputare se le sorgenti di questo bello debbano essere la mitologia pagana degl’antichi romani – o dei longobardi -- piuttosto che i fantasmi cristiani, i costumi cavallereschi piuttosto che gl’eroici, le querce, i monti o i castelli gotici, piuttosto che gl’archi trionfali, le are e i templi ROMANI. Il carattere attuale sarà determinato dall'età attuale e dalla località. Vale a dire dal genio nazionale romano e dal genio nazionale italiano eccitato e modificato dalle attuali circostanze, il complesso delle quali forma parte di quella suprema economia, colla quale la natura governa le nazioni della terra. Finisco questo discorso col pregare i miei concittadini a non voler imitare le femminette di provincia in fatto di mode, e ad informarsi ben bene degli usi della capitale. Leggano gli scritti teoretici, e soprattutto le produzioni di LA FILOSOFIA SETTENTRIONALE, e di leggieri si accorgeranno che se havvi in essa qualche pizzo di romantica poesia, niuno si è mai avvisato né per teoria né per pratica di essere né esclusivamente romantico né esclusivamente classico nel senso che si dà ora abusivamente a queste denominazioni. Troveranno anzi essersi trattati argomenti, e fatto uso di similitudini e di allusioni mitologiche anche in un modo, che niun LATINO O ROMANO antico MERIDIONALE si sarebbe permesso. Il solo libro dell'Alemagna della signora di Staël ne offre parecchi esempi. Il pretendere poi presso di noi il dominio esclusivo classico, egli è lo stesso che volere una poesia italiana morta, come una lingua italiana morta. Quando il tribunale del tempo decreta questa pretensione, io parlo con coloro che la promossero. Durante il periodo del regno italico, è iniziato massone nella loggia r. giuseppina di Milano, di cui è in seguito oratore e maestro venerabile. È grande esperto all'atto della fondazione del grande oriente esponente di primo piano della massoneria di palazzo Giustiniani, grande oratore aggiunto del grande oriente e in questa funzione autore di vari discorsi massonici. Altri saggi: “Genesi del diritto penale”; “Che cos'è uguaglianza”; “Che cos'è libertà”, “Introduzione allo studio del diritto pubblico universale”; “Principi fondamentali di diritto amministrativo”, “Della costituzione di una monarchia nazionale rappresentativa”; “Dell'insegnamento primitivo delle matematiche”; “Della condotta delle acque”; “Che cos'è la mente sana?”; “Della suprema economia dell'umano sapere in relazione alla mente sana”; “Suprema economia dell'umano sapere”; “Della ragion civile delle acque nella rurale economia”; “Vedute fondamentali sull'arte logica”; “Dell'indole e dei fattori dell'incivilimento con esempio del suo risorgimento”; in Collezione degli articoli di economia politica e statistica e civile, con annotazioni di Giorgi (Milano, Perelli e Mariani); Opere, Milano, Perelli e Mariani, La scienza delle costituzioni, I Discorsi Libero-Muratori, L'acacia Massonica, Scritti filosofici, Milano, Ceschina, Scritti filosofici (Firenze, Monnier); Stringari, R. fisico; Lanchester, R. costituzionalista, Giornale di storia costituzionale, Macerata: EUM-Edizioni Università di Macerata, Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori (Mimesis-Erasmo, Milano-Roma); Studi in onore, Milano, Giuffrè, Per conoscere R., Milano, Unicopli, Albertoni, “La vita degli stati e l'incivilimento dei popoli nella filosofia politica di R.” (Milano, Giuffrè); Mereu, “L'antropologia dell'incivilimento in R. e CATTANEO (si veda)” (Piacenza, La Banca); E. Palombi, “Introduzione alla Genesi del Diritto penale” (Milano, Ipsoa); Tarantino, Natura delle cose e società civile. SERBATI e R.” (Roma, Studium); Treccani Dizionario di storia, Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, L'Unificazione, Dizionario biografico degl’italiani, Il contributo italiano alla storia del Pensiero. 0 U»** in i~ fil 4 km»* C««Hr*'« a t a/rSÌ / # ‘/£f/£ j£ y* /A gsnjh >*t4 >^jt*^yt** ^4 ?ST ^ *?& ■~zs*U^ / Idtttsi* n~ . V;. jrfpép /±t ff >VJ@$%& ^ ^fHlU l^*C-|.^ >*£r /^W~ OPERE DI RIORDINATE ED ILLUSTRATE DA GIORGI dottore in leggi eoa ANNOTAZIONI, LA VITA DELL’AUTORE, L’INDICE DELLE DEFINIZIONI E DOTTRINE COMPRESE NELLE OPERE, ED UN SAGGIO CRITICO E ANALITICO SULLE LEGGI NAT DELL’ORDINE MORALE PER SERVIRE D’INTRODUZIONE ED ANALISI DELLE MEDESIME. P.E SCRITTI FILOSOFICI MILANO PRESSO PERELLI E MARIANI. RICERCHE SULLA VALIDITÀ DEI GIUDICII DEL PUBBLICO A DISCERiNERE IL VERO DAL FALSO. Optici poduuta E ij nauti1 anche accadesse che hi generazione attuale cangia d’avviso intorno ad imo stesso soggetto nemmeno allora dir si potrebbe che ciò avvenga per un appallo a qualche esterna autorità che ne patirò- ne&r1 1 gindicii. Ma b tinsi questa rivòlt&ioue di giudiaio molte tolte pn- regguir si dovrebbe ai cangiametili di tua despota die ni indora del giorno ri colma di beneficenza un suo suddito per un1 azione per la quale un ora prima Io sottopone a supplici®. 6, 1) altronde quanto rimo La ed aerea è dessa mai la soddisfazione die uu uomo può trarre da ir appello d’un secolo all'altro, mentre attua-!*- meule seutesi depresso dall’umiliazioni ricevute da1 suoi contemporanei! Ora se fatale cotanto è la sorte che talvolta tocca a quelle produzioni le quali iti nulla riguardano la persona medesima del pubblico, con quanto maggiore ragione detrassi temere che tale riesca a colui che attentasse di rivocare in dùbbio o di negare a lui la prerogativa di cui si mostra possessore imperturbato? E se non v'ha potestà a cui ricorrere per indurre una riforma, come potrà egli invocarla in suo favore? S. Quindi dovrò io riguardare come deciso il mio destino, avendo divisato di filosofare sull’esposto quesito anche avanti ch'io palesi Popi- mou mia Se più addentro io riguardo le cose, parrai di travedere che, malgrado tutte lo premesse osservazioni non Io sì possa per auco u h i a ra men te preveJere. Non io, mercè 1’aspetto imponi tore dcirautorilà, pretendo di riscuotere la pubblica approvazione; e nemmeno aspiro a conciliarmi una vaga persuasione; opera d’un gusto arbitrario, o d’un presentimento di congettura o d’nua inclinazione di probabilità: ma bensì io sento, che se ne ’T ardua alternativa o di ottenere 1’involontario assenso d’ima certezza irresistibile, o di subire invece gl’anatemi che pendono sul capo della rivoltosa temerità e della orgogliosa indipendenza, io giunga a dimostrare l’opinion mia: io sento, dissi, che quantunque la mia decisione vada a ferire il pubblico, ella sarebbe solennemente accettata e riconosciuta come irrefragabile. Allora non è più lo scrìMore privato che parìa, ma è bensì la suprema ragione che manifesta i suoi oracoli pella bocca del suo interprete. Allora, rivestito del carattere d’inviato di colei a cui’1 Pubblico stesso riverente piegar deve i suoi pensieri e la sua condotta, lo scrittore privato ne trattiene o ne modera i trascorsi, o ne corregge ì gìudicii: non altrimenti che talvolta il Ministro della religione in uu dispotico governo di molli barbari è l’unico ente capace a frenarne le stravaganze. Dalle condizioni adunque ch’io impongo a me stesso nel trattare questo argomento è ben agevole cosa arguire di quanta riverenza io mj professi compreso e di quanta sentita stima ripieno verso del pubblico, del quale io debbo ragionare, qualunque riesca la soluzione del proposto quesito. Quindi senza indugio rivolgo su di esso l’aUenzioii. Chiunque rifletta per un momento sull’esposizione del quesito. tosto s’avvede che tutte le risposte possibili che a lui dare si possono, riduconsi alle tre sole seguenti: mai; sempre; talvolta il giudicio del pubblico può essere e deve quindi tenersi quale criterio di verità. Quest’ultima risposta trae seco altre ricerche subalterne, e sono appunto: su quali oggetti ed in quali circostanze un tale giudicio possa essere e si debba tenere come criterio di verità. E ben chiaro che le sovraindicate risposte presuppongono l’esposizione d’una quistione più generale ancora; cioè se giammai il giudicio del pubblico possa essere veramente un criterio di verità: ed è chiaro altresì, eh’essa nell’ordine dell’idee precede il quesito proposto. Imperocché s’il risultato della discussione fosse che mai il giudicio del pubblico possa essere criterio di verità, ciò renderebbe assurdo l’indagare in quali materie, dentro a quali circostanze e fino a qual segno essere lo possa; conciossiachè un tale risultato, essendo una pura ed illimitata esclusione d’ogni caso possibile singolare affermativo 5 rende metafisicamente contradditorio il supporne qualcheduno esistente. Che se poi invece si ritrovasse che sempre il giudicio del pubblico riguardar si debba come regola di verità, ciò renderebbe totalmente superfluo 1’indagare quando essere Io possa; poiché la conclusione abbracciando ogni caso singolare, renderebbe assurdo lo escluderne qualcheduno. Laonde da siffatte premesse è forza dedurre che il mentovato quesito ravvolga dentro di sé come fermo supposto la tesi formale, che talvolta il giudicio del pubblico debba tenersi quale criterio di verità; a meno che non vogliamo avvolgerci in una formale ripugnanza, o supporre che 1’esposizione non corrisponda all’INTENZIONE del suo autore: delle quali cose non lice nemmeno di fare parola. Ma questo medesimo supposto è egli poi vero? Avanti di deciderlo esponiamo le nostre ricerche nell’ordine loro naturale. Il giu- Tom. T. T34 ricerchi-; si ua validitàdisi giuduiilkc. Jicio del pubblico pud egli essere per avventura cri lev io di verità? E se essere Io potesse, lo sarebbe egli sèmpre o solamente r/wa/c/ic coftrt? E se sol lauto per qualche volta su di quali materie, ed in quali tempi e circostanze essere lo potrebbe? Panni che, iti tal guisa ordinando le quisLouh riesca del tuLto lìbero il corso all’attìvità delle ricerche, ed affatto ì inprevenuta la manifesta /do uè della verità, qualunque sìa l’occulta opinione di dii l’espone. Ma per lo contrario (mi si perdoni s’ardisco di farlo osservare) panni che, lasciando tra lucere il supposto del programma, potrebbe avvenire che taluno avvedendosene s’induce a rispettarlo fors’anche per riverenza verso quel corpo illustre da cui egli aspira ili essere favorevolmente giudicato. E quindi non avendo coraggio di gettare su d’esso min sguardo di diffidenza, onde naturalmente apprezzarne la validità, lo riguarda come mi punto fisso, inalterabile e incontroverso, d'onde m- cominciare la sua trattazione: e quand’anche a lui sorge qualche dubbio, crede grave temerità il sottometterlo a discussione. Ma se d’altronde dalla sorte d’esso dipende, come sopra sic veduto, quella degl’ulteriori teoremi, perchè mai lo lascoremo inesanunato, ancorché tosse vero? Non si rende forse pello meno precaria la certezza dVigni nostro ulteriore pensamento! Quindi dal cauto mio, benché io mi rechi a gloria di non cedete ad alcuno in Estima verso di codesta Regìa Accademia, io credo necessario di dirigere le mie ricerche giusta bordine da me sopra divisato j siccome appunto io faro incontanente, trattovi da quell’obbligazione inviolabile clic lega ogni essere intelligente alla schietta verità, ma che ad un tempo stesso ama di rispettar ogni altro rapporto morale e d' istituzione, il quale non possa colliderla o snerva me ì vincoli venerandi. Di elio all'esame delle idee succede quello dei piaceri e dei dolori che vanno a loro annessi. Rammentiamoci, che siccome tulli gli oggetti possibili dei giudiciì umani, e quindi tutte le materie sulle quali il pubblico può recar giudicìo non possono essere che l’idee, e le loro particolarità, combinazioni e couuessioni; c siccome altresì nell’idee stesse non si può distinguerò d’una parte altro chi! il loro stato assoluto o relativa, e dall’altra fa loro attività piacevole o dolorosa, e niente più: cosi tutti; fi classi jèstìibiJi delle materie sulle quali il pubblico può giudicare, riducousi o alle qualità diverse degl’oggetti gli uui relativamente agli altri, o relativamente a non, o al piacere e al doloro ebe Intima ne può ritrarre. Da ciò nascono sol lanlo due specie di giudicii, e di generi universali di scienze e d’arti: la prima di giudici! o di scienze ed n l* Li di semplice convenienza o ripugnanza fra le cose: e gl’altri, ad altre, di gusto e d’utilità. Ciò ritenuto, è d’uopo osservare die il diletto o il disgusto si può riguardare SotLo duo punii dì relazione: vale a dire o isolato, mercé di uu astrazione; o in quanto va naturalmente connesso a determinate idee, le quali nei loro paragoni sono sempre feconde di rapporti di convenienza o di ripugnanza o interna o linaio. Ora contemplando il piacere o il dispiacere in se stessi, noti entrano nella serie dell’attuali ricerche; conciosaiachè non si chiede direttamente se il gusto del pubblico possa essere criterio di verità almeno per connessione, o so passa essere regala di gusto o per rapporto al privato, o per rapporto ad un altro pubblico; a bua I mente se la testimonianza del pubblico dì sentire intorno a certi oggetti un dato piacere o disgusto sia un giudichi o no, la qual cosa è superflua a proporsi a qualunque uomo dotato di senso comune ma beasi ss chiede dìrettameute, s’il giudìcio del pubblico possa essere criterio di verità. Sogliono, è vero, pello più gl’uomini denominare Odilo o brut - lo^ utile o nocivo quello che reca loro piacere o dolore nell atto che provano classi diverse d’idee o che oe preveggono per connessione lo sperimento. Questo denominazioni sono in sostanza altrettanti giudtóU* ^ vero altresì che questi sono giudici] dedotti, dirò còsi e di couseguenza del sentimento, e non mai sono espressioni dirette del piacevole o doloroso sentimento. Questo ini piace, o è capace di recarmi piacere; dunque è bello, o è buono – H. P. Grice, on ‘good’ PROLEGOMENA – “I approve of x”. Questo mi dispiace, o ò acconcio a recar mi disgusto: dunque è bruito, cattivo—NOT GOOD, H. P. GRICE --, pericoloso, cc. Ecco f inavvertito e tacito raziocinio – H. P. GRICE ENTYHMEMA -- che.! ih J pubblico quando da ciò che a Ini piace: o dispiace denomina un oggetto bello o buono 5 brutto o nocivo. A suo luogo esamineremo se questa maniera di ragionare sul sicura, e conforme alla verità o no. Pei ora bastami d’osservare che l’ESPRESSIONE – H. P. GRICE, CROCE -- del sentimento del piacere o del dolore, considerata in se stessa, non è direttarntmte contemplata dal programma. Dall’affinità delle precedenti idee siamo naturalmente condoni ad indagare se quella che dai moralisti e dai politici appellasi opinione pubblica assumere si debba come oggetto contemplato dalla presente questione. A parlare però con verità, si distinguono in essa due parti fra loro assai diverse; l’una delle quali è opera dell’intendimento, e l’altra del cuore. La prima, essendo un formale giudicio, può appartenere a questo argomento. Ma l’altra, non essendo che un mero affetto, ne resta esclusa. E per verità qui si chiede di ciò che può riuscire criterio di verità. non di quello che può ispirare stima o disprezzo, conciliare onore o infamia, riscuotere biasimo o lode. Ma siccome il dividere la parte del cuore dalla parte dello spirito egli è un distruggere formalmente la nozione dell’opinione pubblica, la quale essenzialmente risulta dall’unione solidale d’ambe queste parti. Così presa come tale, vale a dire presa l’opinione pubblica nel suo vero e complesso senso, non può entrare nella considerazione del quesito. A. line di sentire esattamente la verità di questo ragionamento non v’ha miglior partito di quello d’addurre la vera nozione dell’opinione pubblica, e precisamente di quella opinione, la quale essendo nei rapporti della verità, cioè a dire che ne’suoi giudicii coincide col vero merito delie cose, sembra eziandio avere la più intima connessione col presente argomento, in cui si ricerca del criterio di verità. Certamente esistono molte specie di opinione, alle quali abusivamente s’applica il nome d’opinione pubblica. Ma è ben chiaro che se ve n’ha taluna alla quale attribuir si debba il diritto a divenire criterio di verità, quella sarebbe certamente, la quale essendo conforme ai rapporti dell’ordine morale, ed a quell’unità sistematica che passa fra il vero [PROBABILITA, CREDIBILITA], il giusto e il solido utile [DESIRABILITA] del genere umano, comparte alle persone, alle azioni ed ai sentimenti onore od infamia, giusta il loro merito reale. Ora quest’opinione pubblica io la definisco =uua guisa di pensare uniforme e costante della massima parte della nazione d’ITALIA, mercè la quale ella giudica qual cosa buona o cattiva, e ad un tempo stesso stima o disprezza, loda o biasima, ascrive ad onore o ad infamia tutto quello che è giovevole o contrario, conforme o difforme alla verità ed alla costante di lei felicità o perfezione. Quest’opinione pubblica, le cui cagìoui, leggi, direzioni, forze. ajutì, aumento e decremento Sono oggetti i quali non sono stali pera neh e uè ben compresi, nè apprezzali nè sviluppati:, quest’opinione, che è la parte precipua della legislazione, dal successo della quale sembra dipendere quello delle altre tutte; questa, che sembra l’anima e lo scopo del quale il grande e filantropo legislatore si occupa iu segreto, mentre eli’ egli sembra limitarsi a particolari regolamenti' questa, benché tanto importante, tanto estesa, tanto possente, non può partecipare, pell’aspetto suo totale e complessivo, alle presenti nostre ricerche. Che se, come sì è osservato, la parte intellettuale, cioè il mero giudielo che ne forma parie, può venirvi compreso, egli cadrebbe propriamente sotto it problema generale, se i gittcìiciì del pubblico iu materia di morale, di politica, od anche di bello, e di qualunque altra cosa ch’interessa il di Lui cuore, possano pella parte del pero essere riguardati come criterio di verità. Ma ciò tramuta affatto l’oggetto della ricerca: non altrimenti che nell’ipotesi, che taluno propone ad un desolo d’addurgli le dottrine completo appartenenti alla musica, egli si limitasse invece a riguardare il propostogli argomento sotto l’aspetto solo delle fredde e generali teorie delle sensazioni: e si restringe a spiegare come ramina senta le noie, come le distìngua, corno lo giudichi ora simili ed ora diverse, ora lente, ora rapide, ora appartenenti ad un is t ro llio n to, ora ad un altro, e niente piu. In breve, l’opinione pubblica, considerata corno tale, non entra, almeno direttamente, nel piano delle attuali nostre ricerche, e non è uno dei termini della qui shunt' proposta. Ma che cosa ò fpiesto pubblico, e specialmente questo pubblico – H. P. Grice, the man in the street -- che reca ciudi ciò di qualunque cosa? Io credo, a parlare con esattezza, che questa quistione si possa più sciogliere mercè la considerazione d’un’ipotesi, che d’un fatto reale, segnatamente se venga ri vosi ita di tutte le circostanze richieste dal quesito. E per verità è incontrastabile che pochi privati non formano un pubblico, come è evidente. Non formano nemmeno il pubblico certe classi o società, benché numerose, dello stato dell’ITALIA. Dall’altra parte l’unione delle nazioni non è veramente il pubblico qui contemplato: sì per chè esse propriamente formano fiuterò genere umano; e sì perchè appena si potrebbe verificare la conformili del giitdiciu che si suppone o almeno ad ognuno che brama di fare dei di lui giudioii un criterio di verità sarebbe impossibile di rilevarne l’opinioue: e sì perchè finalmente nell’accettazione comune la denominazione di pubblico non imporla un’estensione cotanto immensa di concetto. Nemmanco sotto tal nome s’intendono molli uomini erranti in seno d’una selvaggia indipendenza, poiché non v’è fra loro colleganza e comunione di pensiero. D’altronde senza una estesa lingua non essendo intelligenti, non possono propriamente recare giudicio sui varii oggetti dello scibile umano, e mollo meno un giudicio che possa servire di criterio di verità. Per questa ragione una nazione ancor barbara – come la BRITANNIA avanti alla visita di CESARE, le cui nascenti idee sono peranco ravvolte ed aggravate nel pesante e grezzo infarcimento dei sensi, i quali non permettono altre combinazioni che quelle le quali vengouo tessute dai primitivi bisogni, nè suggeriscono altre dottrine che quelle d’un'accidentale ed organica contemplazione degl’oggetti mista all’illusioni d’una prepotente e sensuale fantasia; una tale nazione, dico, non può certamente costituire il pubblico contemplato dal quesito. Rimane adunque che una nazione, come L’ITALIA, per lo meno mediocremente incivilita e illuminata, d’una comune lingua – H. P. Grice, “I can invent a language, and call it Deutero-Esperanto, that nobody every speaks” -- , e vivente in colleganza, sia il soggetto del quale qui si chiede. Ma questa stessa estensione del numero degl’individui componenti la persona del pubblico – C. A. B. Peacocke, POPOLAZIONE --, presa almeno come carattere essenziale della nozione di lui, è forse soverchia, infatti, s’una cosa venga presentata ad una popolata città, come BOLOGNA od Oxford; come, per esempio, una tragedia su d’uu teatro, uno spettacolo su d’una piazza – dialettica bolognese – dialettica d’Atene, dialettica di Bologna, dialettica di Bovis Vadum; e di siffatte cose dagli spettatori venga recato qualche giudicio, si suol dire: la tale tragedia o il tale spettacolo sono applauditi o biasimati dal pubblico; e, individuando, si dice pur anche da quella città – SORBONA --, o dal pubblico di quella città. Ma così favellasi del pari se ciò avvenga in molte città successivamente; talché sotto la denominazione del pubblico molte città e molti pubblici, dirò così, s’abbracciano. Pella qual cosa a questo cute così indeterminato, creato dall’umano arbitrio, non altrimenti che ad una stessa figura fisica suscettibile di varia grandezza, in forza del comune modo di legare le idee alla denominazione, conviene assegnare limiti più o meno ampii, senza costringerlo rigorosamente ad alcuno. Avvi pelò di comune in tutte queste modificazioni della nozione del pubblico una specie d’unità ed una certa circonferenza, che nc racchiude 1’estensione e lo separa d’ogni altro, la quale necessariamente deve essere quella medesimà che d'altronde naturalmente a-politicamente distingue una società qualunque o piccola o grande da qualsiasi altra o vicina o lontana. La circostanza adunque, che la nozione del pubblico di sua natura esclude sì è la divisione delle parti d’una stessa società: cioè a dire, che non si può appellare pubblica mia cosa qualunque, quando dalia posizione attuale escluda iu fatto o iu potenza una qualche parte d’individui che la compongono lo mi spiegò; si affìgge a ragion d'esempio uno scritto in un luogo ove tutti lo possono leggere: s’espone una cosa m mi luogo e con condizione per cui LulLi vi possono intervenire. Benché forse i! minierò di coloro clic leggono l’affisso o concorrono a vedere In cosa, sia talmente piccolo che non ecceda il numero degl’individui componenti una famiglia: pure la sola possibilità, la facoltà ampia, e lo circostanze Lutto dal cauto degl’oggetti ad essere veduti da lutti fa si chidi consi esposti al pubblico. Laonde ogni cosa acquista la denominazione di pubblica pella sua relazione a tutti gl’individui d’una società. Onde è hiaro che nel concetto comune la nozione del pubblico avvolge la considerazione di tutti gl’individui d’un paese, come la EMILIA, d’una città come BOLOGNA, d’una nazione come L’ITALIA. Pello contrario benché un numero assai maggiore intervenisse In altro luogo a vedere altr’oggetti, ma che è destinalo o per alcuni. o per una certa classe soltanto di persone – H. P. Grice, The Lay and the Learned -- , quantunque effettivamente maggiore fosse il numero degli spettatori clic colà concorrono di quelli che si recano alle cose esposte al pubblico, pure un Lai luogo e gl’oggetti quivi presentati riterrebbero Sempre II nome di privati; cosi dicesi un teatro privato, una privata accademia. Quando si parla d’una universalità d’uomini componenti una o più società non si deve estendere la significazione così rigorosamente che debba abbracciare tutù affatto gl’individui, ninno escluso ma bensì basta legarvi l’idea dhma universalità morale – THE UNIVERSALITY OF CONVERSATIONAL POSTULATES – KEENAN OCHS – SCHELLING FICHTE, THE CUNNING OF CONVERSATIONAL REASON -- cioè a dire della mussami parte degl’individui, mcnLre aldi sottodi tale misura la collezione cessa dessero pubblica e rimane del tutto privata. E però conveniente che siccome si parla d’un pubblico che deve riuscire giudice di verità, cosi in forza di Lale veduta è d’uopo precipuamente ed a preferenza comprendervi la parte pia illuminata non tanto per un riguardo aireccellenza di lei quanto anche pella relazione al fine per cui si contempla. Ma y’è ancor di più. il programma parla del pubblico in generale né si limita a quello dei paesi, nè a quello delle città, uè a quello delle nazioni. Perdo nelle ricerche attuali no» lutti Ir compreu direni o in distili Lamenti OB Non è iuuLìle d’osservare, die Impropriamente nei ragionamenti comuni s’accenna resistenza anche d’urt' altra tal quale specie di pubblico, la quale viene composta dalle persone coke ed intendenti, sparse a rari intervalli nei paesi inciviliti. 31 a, a parlare esattamente essi piuttosto disegnar sì debbono col titolo speciale di dotti – GRICE THE LAY AND THE LEARNED -- anziché di publico; e conviene riguardarli come parti del pubblico 5 c come il flore più scelto di Ini, anziché costi in irne un pubblico intero. Infatti essi sono divisi in classi diverse, ed appellanti o metafìsici, o fìsici o politici . a moralisti o poeti, e non pubblico. Così i giudici! sulle diverse materie da loro r e e a ti «man a no da varii dij. m r ti menti s tn ceatieosi e sciti si vameule, che quelli d’uno non vengono mai riguardati come appartenenti ad un altro diverso. Ond’è, che per questo rapporto i dotti uno vengono giammai tutti avvolti entro d’una sola denominazione collettiva, che li faccia riguardare ripetuta men té nelle diverse materie come individui d’un tribunale unico e stabile che sempre giudichi di tutte le materie disparate, i' sia naturalmente lo stesso nel recare giudicii differenti. Ma, se ben si ritengono l’annotazioni precedenti, essi d’un’altra parte vengono di già compresi nella considerazione totale di quel pubblico 5 al quale o per dimora o PER LINGUA appartengono. 00. lì pubblico ha aneli5 egli una certa vita a lui propria, la quale non é ristretta al corto giro di quella degl’umani individui. Egli, al pari degl’altri corpi lutti morali, come si suol dire, non muore mai. Sotto di questo rapporto Lo tic lo vicende di □ pi mone si considerano avvenire in un solo soggetto, benché appartengano a parecchie generazioni diverse. Così, oltre all’evertalo uè naturale; del suo corpo, egli ira uu1 estensione successiva d’esistenza., la quale, ragionando della verità, che è per se stessa immutabile, assoggetta I di lui giudici! a condizioni le quali possono forse sembrare rigorose, ma che non dimeno sono necessarie e naturali ai rapporti reali delle cose. Raccogliamo l’idee. Il pubblico, del quale si ragiona in questo argomento, si deve riguardare come l’unione della massima parte deg’individui componènti le società Incivilite, compresevi speda Imeni e k persone colte che vi esistono. Del modo dei giudieii del pubblico, TU Qualunque giudicio, die recar si può tól'iiomo intorno ad tmn più cose deriva dalla cognizione perfetta o imperfetta dell’oggetto su del quale sì giudica, o deriva d’una ragionevole o non matura deferenza alPaUrui discer Dimenio. Qui non yT ha mezzo. La prima specie di giudicii può dirsi di scienza e la seconda di CREDEBZA (CREDIBILITY AND DESIRABILITY) $ la pretta originale e la seconda di tradizione; la prima propria, e la seconda di mi tori là altrui. Questa differenza però riguarda la situazione interna, dirò crisi, del giudicio e le fonti di lui. Ond'è dio portai motivo sposso élla rimane occulta al Po celi io di dii ascolta, è no raccoglie Pestcrna espressione. Bea è vero pero, che talvolta può avvenire che no riescano plesi le sorgenti. Jn tal caso convien pure usare di regole diverse per misurarne il valore. Questo triodo adunque, benché intorno, riesce allora una quantità filosofica, cui né'calcoli dell'estimazione morale non votivie no trasandate inapprezzata. DiffatLi s’il giudicio è origina Ir conviene valutarlo colle regole logiche dei raziocina umani, in qua alo si riferiscono allo stato delle cose e della natura del fu omo. Che se poi è ili pur.'1CREDULITÀ, conviene salire ai fondamenti dell’autorità da cui viene trasmesso, come più ampiamente si ragionerà qui sotto. Concìóssìachò non avendo allora che un valore puramente precario, e tutta la verità stia risolvendosi sulla prima fonte d’onde deriva, è sempre o mal sicuro, n precipitalo, o falso, s’è stato adottato o con dubbii fondaménti, o senza ragione, o contro ragione. D'all rond e questa in aniera di giudicii se sot1o di u il aspe Lto può dirsi pubblica, perchè dal pubblico viene professata panni ciò non ostanie che a rigore al pubblico non si possa imputare: poiché egli non c propriamente autore, ma solo crede con inventore, ma solo copista; non sciente, ma solo CREDENTE. Il filosofo adunque, assumendo in considerazione una siffatta classe di giudici! nei rapporti della ricerca attuale, è costretto ad indagaru se LA CREDENZA del pubblico non in materia solo di fatti, ma eziandio di riflessioni, di principila di scienze, puo èssere criterio di verità o, a dir meglio, se i fondamenti e la maniere colle quali il pubblico adotta un giudicio qualunque sull’asserzione altrui siano tali, onde L CREDENZA che n’emerge si puo accogliere quale criterio di verità, ficco quale differenza di considerazioni tragga secorj n està interna diffbronza de’modi dei giudicii umani lui altro modo i alerti o dei giudicii di piu uomini, cui meglio appellar si deve o difetto od ostacolo al pubblico giudicio, si è la frequente discrepanza d’opinioni degl’individui sociali. So però soventi volte i cervelli degl’uomini sono come i loro orinoliì quali mai non sono perfettamente d’accordo nello stesso punto, ed ognuno crede al suo, come dice Pope; pure ogni risultato derivante da questa circostanza rimane escluso dall’attuali ricerche; imperocché se la discordanza è tale (die impedisca un comune ed uniforme consenso – GRICE COMMON GROUND STATUS -- su di qualsiasi oggetto della massima parte di società, è ben chiaro che s’impedisce o si toglie l’esistenza di qualunque pubblico giudizio. Ora coi ragioniamo nel supposto ohe tale giudici o esista. Cosi dicasi dell’assoluta ignoranza o della noncuranza del pubblico a giudicare di qualsiasi oggetto intorno al quale per altro potrebbero cadere dei giudici. E tròppo chiaro che colla prima non si può giudicare rie bene nè male, e che colla seconda uou si giudica di niente e cosi tanto nell’uno quanto nell’altro caso non esiste giudìcip di sorte alcuna. Rapporto poi al modo esterno dei giudici! del Pubblico, il quale propriamente consiste nell’espressione o manifestazione di bri. io credo che non si possa a buon diritto e con sicurezza attenersi clic ad un solo, (I quale è appunto LA FAVELLA o vocale o scritta: mercè d’essa FAVELA gl’uomini ESPRIMONO le toro idee dirci .t amen le; ogni altro mezzo rimane equivoco, fallace, e talvolta perfetta mento con Ira rio Così, benché l’azioni, i costumi, gl’usi 5 le mode, e cento altre cose di fatto, possano per una e a Lumie connessione connotare in generale P esiste u za d’un giudicio ili approvazione n dì disapprovazione, di piacere o di dispiacere di lui Pubblica inlomo agli oggetti relativi; pure se da ciò si volesse dedurre il pensamento preciso di lui intorno ai principi! pratici di siffatte azioni ed usi, si tesserebbe, crcd’io, una fatica pello più frustranea, d’un esito equivoco, e del tutto vana pei progressi o pella scoperta della verità. Quante volle infatti molti uomini, ognuno dei quali meglio d’agni altro dev’essere Consapevole dei motivi precisi delle proprie azioni, prendono degl’abbagli, e fanno illusione a sè medesimi sulle ragioni di molte loro azioni, di molte loro pratiche e di molti ragionamenti! Quante volte lo stesso atto m tempi differenti parte da motivi non solo diversi, ma eziandio opposti! Ora se tanto avviene in ogni singolare individuo mentre che ognuno ha l’intimo scrutìnio del proprio pensiero, cosa dir si dovrà di rollìi olie si rivolge al Pubblico col fine di dedurre dalie azioni i qraUeri dei giudirii di quello? Non si trova egli forse ìu una tale posizìn nf‘F in cui non solo manca di siffatto soccorso ma viene collocato nella massima distanza possibile, ed avvolto nelle tenebro le più impenetrabili, onde scemerò le interne Speciali ragioni di l'alto delle prati dui ili cui egli è spettatore? Non deV egli conoscere mfimtamente meglio, pei rapporti concreti di fatto la sua famiglia, l suoi amici-, it suo celo? Ora riguardo a questi ardirebbe egli infallibilmente dì fissare i principi! specula Livi degli usi e della condotta? Pure per potersi giovare di loro a ma'di ente rio converrebbe accertarsene chiaramente come d’oguì altra cosa di fatto Ma. rapporto agli usi del Pubblico, noi soventi volte abbiamo esperienze che ci possono servire di caparra onde congetturare, che quando anche ci fosse permesso l’accesso nei cervelli umani, c’asterremmo forse dall’assumerci la fatica del loro esame. Quante volte infatti gl’uomini seguono in comune una pratica unicamente perché la veggono in a E trise n ?/ altra ragione o giudicio teoretico possibile intorno alla bontà o malvagità, opportunità o sconveuienza, decenza o indecenza altitudi ne ad abbellire o a deturpare! Pella qual cosa quello che appallasi la ‘lingua’ dell’azioni nel presente caso, non si deve assumere mai non solo come ledale interprete ma nemmeno come CONTRASSEGNO NATURALE d’una specie precisa di giudieii regolatori, o d’opinioni riguardatili la verità o la falsila, la convenienza o la disconvenienza d’alcuna nostra idea, Si. Attenendoci adunque al solo modo dell’ESPRESSIONE vocale o scritta., qui non possono cadere ìu considerazione che quei soli giudici! del Pubblico i quali in tal guisa vengono da lui manifestati. Dopo ciò si potrebbe far ricerca io qual mudo propriamente constare ci debba che un gìudicio qualunque sia veramente del Pubblico, ha risposta è semplice; ma Tallo è pressoché impraticabile, o almeno non mai praticalo, E in verità, se consta che non si può dire pubblico uu gra fi icio se non è veramente esteso alla maggior parte d’una società; se non si può essere veramente certi de IT esistenza di lui se non inarca LA FAVELA; è ben ebbro che nel ceso che taluno dove farne uso come eli regola di verità, dovrebbe raccogliere l’opinioni del maggior numero, ìncominciando sempre dalla parte più cotta non altrimenti che in lui congresso democratico si raccolgono I voli. B3 Questa fatica però rende! dei lutto superflua, se supposta audio per ipotesi resistenza di im siffatto giudicio vsl dimostra che non può servirò di veruna istruzione. Ora se ciò sia vero, o no Io veremo incontanente; e dedurremo quindi se dobbiamo sollevare il ligio amante del Pubblico da questa serie di visite e di richieste agl’individui che lo compongono. Quello che ora mi sembra non inutile d’osservare si è che non avendosi mai praticata una siffatta raccolta d’opinioni in verun genere, noi supponiamo una cosa possibile, cui per altro ignoriamo se esista, o no; coutenti piuttosto di un semplice saggio fatto sopra di alquante persone, che di un esteso sperimento ripetuto sopra il maggior numero: conchiudendo che debba bastare pell’altre tutte da noi non onsultate; quasiché ci consta d’una tanta uniformità di pensare fra gl’uomini, che dal modo d’opinare d’uno o di pochi ci è lecito dedurre quello di molti, o di assai più. Da ciò si scorge se con ragione all’incominciamento del saggio R. osserva che qui versavamo più su d’una considerazione ipotetica che reale. Tutte le materie possibili dei giudicii umani sono l’idee che 1’uomo può avere intorno a qualsiasi oggetto. Ora fra lo sperimentarne I impressione ed esserne privi non v’è mezzo; come non v’ha mezzo fra il loro concetto assoluto ed il loro concetto relativo. Inoltre non v’è distinzione nè divisione in ogni idea, che quella che passa fra la loro qualità e forma, e la loro attività aggradevole o disaggradevole. Ma considerate l’idee nei loro rapporti alla verità, l’affezioni loro piacevoli o dolorose, tutti gl’effetti che ne derivano restano esclusi dal quesito. Inoltre ritenendo che debbonsi contemplare i giudicii che riguardano le dette idee, e non la diretta loro impressione, restano perciò queste del pan escluse dall’attuali ricerche, e quindi anche ogni espressione ad esse relativa. Pella qual cosa scorgesi che tutte le possibili materie sulle quali può cadere la ricerca del programma sono state comprese dalle precedenti osservazioni almeno in una guisa generale, e separatene le stiauiere. Circoscritto così tutto l’orbe degli oggetti delle presenti ricerche, e presentato il tenore generale della quistione, giova ora passare alla soluzione di lei. Soluzione del (/itesi lo. Esposizione ‘lelfaspetio ilr£cis0 cui i,l‘lwl,,J di cliùunart' ad esame r g9_ Premesse le cose sopra discorse mi si chiede di nuovo sn i Ridiede del Pubbli™» possa essere giammai un criterio di verità. Put» marno che tjui si parla delle verità di riflessione. A ciò rispondo: o consta abbastanza su quali fondamenti il Pubblico appoggia i suoi giudieii: vale a dire, si conoscono i principi! le combinazioni delle prove da cui risultano, o no. Nel primo taso d giudichi del Pubblico non può essere mezzo a disceruere la venta, perni" diviene superfluo; nel secondo esserlo non può, perchè rimane iuccWo. Il primo è chiaro; perchè il criterio è propriamente tale solamente avanti di possedere la cognizione della verità, e non dopo che è scoperta e riconosciuta: couciossiachè il criterio di natura sua e dirette ed ordinato a scoprirla, e a distinguerla dall’errore; talché m questo stesso uso e direzione consiste precisamente la di lui essenza. Criterio di verità, a senso di tutti i logici, altro non è ch’una regola di cui su serve i’uomo per acquistare la cognizione della verità; un mezzo oli c distinguere il vero dal falso. Orai quando consta pienamente m Vigore della cognizione intrinseca dei rapporti degl’oggetti, e delle loro convenienze o ripugnanze, diviene superfluo il soccorso di qua siasi altra metodo, benché altronde esiste, per «coprirla e comprovarla: poiché abbiamo di già ottenuto il nostro intento. Tale infatti è oziami™ pratica delta ragione umana. Conoscendo, a cagion d'esempio, per dimostrazione intrinseca che tutti gl’angoli d’un triangolo, presi insieme, sono eguali a due retti, non sentiamo noi che sarebbe ridicolo d’implorare U riudi ciò del Pubblico, quand’anche pensasse così, onde affermare che questa è una verità? DI questo particolare adunque non facciamo p« p avola. Passiamo all’altro membro della distinzione. Immaginiamoci che talnno tessesse un corso ili geometria sui giudieii del Pubblico, e che soppresse le dimostrazioni, dice al suo allievo; il Pubblico circa le tali proposizioni giudica io tal guisa: quindi adol J. laLe le sue séti lenze pei vere, semlevone imi fiducia no’vostri ulteriori progressi nelle matematiche Se questi aderisse ai suggerimenti dei suo precetto ve, veramente dir non si potrebbe eh ei sappia la geometria ma bensì che la crede soltanto. Ma se però 5 volendo anche prescindere dalle dimostrazioni singolari do gru proposizione, egli amasse tuttavia rii assicurarsi, almeno iti generale, del fondamento dei propri! giudichi, egli chiederebbe pello meno per quale ragione rimettere si puo con sicurezza allWLorUà del Pubblico Ìli materie geometriche, e non anzi dubitare della di lei validità. Allora è ben chiaro che il suo precettore dovrebbe assicurarlo su di ciò o col dimostrargli ad una ad una ogni proposizione ili geometria, c quindi fargli sentire che il pubblico effettivamente non s’inganna; o almeno col tessere un discorso ben convincente, con cui dimostrasse teoreticamente e, come si suol dire, a priori che in materia di geometria d’EUCLIDE d Pubblico non si puo ingannare, \td prima caso egli esaminando i fondamenti de Ih autorità ilei Pubblico, la rende superflua ai suo allievo, emide evidente; ufd secondo poi converrebbe provare In generale, che tale sia bindolo delle verità matematiche, e tale la loro relazione colla mente umana e tale la forza della logge che la incorrere molti ingegni umani nello stesso sentimento, da rendere impossibile al Pubblica d’errare. Senza di questui Ili ma circostanza il Pubblico non godrebbe veramente ver un maggior privilegio sopra d’ogni singolare individuo'; ed anzi siccome è per questa sola ch’egli si distinguo dal privato, cosi da questa deve dipendere in ultima analisi la preferenza de'gìndicn suoi, se la merita, sopra (fucila dei privati. Se la ricercata prova poi veramente riuscisse, allora cóle sto allievo, benché non potesse nutrire una certezza, dirò così, diretta ed intrinseca delle verità, di geometria prodotta dall’intima cognizione dei loro rapporti, avrebbe però una certezza di connessione prodotta dalla cognizione intima di quelle leggi generali che le dettarono al Pubblico. Di là. come da fonte comune, la certezza si spande sopra tutti i loro prodotti, e rende indubitato ogni giudiciò pubblico di geometria per ciò solo che deriva da lui. L pero manifesto clic tanto nel-Puna quanto nelTalira maniera ogni privato diviene per diritto di ragione unico giudice ih-lla verità, e del Pubblico stesso, luiatti supponiamo che 3 a fronte d’un asserzione del P„bldico su qualche oggetto, io avessi tali argomenti uj mano, onde uè risulta la falsità: potrà’ io mai dissuadermi ch’egli non s’inganni ì 5 Ibi. p qui par l'appunto cade mb osservazione sul vero aspetto della qui si iena che esaminiamo. Abbiamo dello che quando si conoscono intrinsecarne tile c chiaramente i rapporti dimostrami ti uà verità il giudirio del Pubblico noti può servire di criterio, Quando si conosce fa falsità d’un sì Paltò gkdlcio non sì può ih: sì deve a Ini rimettere la nostra opinione benché egli sia dell’opposto partito; ma il privalo ò in diritto d’aderire ai proprio privato sentimento, o almeno, s’amasse dì apprezzare soverchiamente l’autorità pubblica, dovrebbe per necessità rimanere in dubbio fra entrambe: orni1 é, die nemmeno allora il giudìcìo del Pubblico potrebbe servire di criterio di verità, Dunque la quislione tende propriamente a scoprire se quella specie dei giudici! del Pubblico, de’quali soltanto signora la intrinseca ragiono, si possa assumere come mezza onde disceruere uni verità peranche incognita; talché ogni cosa che convenga con loro debba dirsi vera ed ogni cosa che con essi non convenga si debba riputar falsa. lo non ho detto di quei giudieh, de quali le ragioni determinanti il Pubblico ci sono occulte 5 ma bensì di quelli dei quali s'ignora la intri 11 s oca ragione. Imperocché i sostegni della verità possono nello stato reale dei rapporti essere ben diversi da quelli che esistono nello spirita del Pubblico: potendo benissimo accadere, come tutto dì reggiamo, die una verità venga adottata mercé argomenti del tutto privi di valore dimostrativo. Eh Nel caso adunque ohe tali motivi insussistenti mi fossero palesi ma che d’altronde avessi prove della verità del giudicio, io dir potrei non che il Pubblico s’inganni, ma bensì eh5 egli è persuaso della verità per ragioni frivole, ed anche assurde. Rei caso poi che non avessi i9 altronde prove delb intrinseca verità o falsità dell’asserzione e che ad mi tempo stesso mi lessero nate le ragioni determina alt in fatto il giudicio del Pubblico, ma che le sentissi ad un tempo stesso in con eluderli i, io non potrei dire perciò che il di Ini giudicio è falso, ma soltanto che non uè vengono addotte valide provo: e ciò por la ragione sovra indicala. In tal caso quest’ultimo modo di giudicio dove dal privato pareggiarsi a quei pensamenti de quali a lui vengono occultate le ragioni: colla sola differenza che udì’mi caso ci sa che la deduzione espressa è vana, e nell’altro ignora se è dimostrativa o no, g gp [g]fj è vero che il vedere la causa della verità soste mila d’un patrocinio palesemente invalido ingerisce comunemente una sinistra prevenzione contro di lei, essendo scarsissimo il numero di quelle menti che si sappiano contenere entro i limiti d’una filosofica moderazione nel limitare la sfera d’influenza anche dei difetti, e che sappiano bene dividere i vizii delle cose dai vizii dei loro trattatoti. Ma di ciò non e nostro Islluito di ragionare. Forse misi chiederà, come puo avvenire che al privato sono occulte le ragioni me yen li il Pubblico ad un dato giudieio, perciò stesso elisegli è pubblico. Ma io rispondo: die siccome questo Pubblico è un complesso d’uomini, e siccome non è d’essenza ad un uomo che mi palesi la ragione d’una sua opinione perchè solo me la propone; così può avvenire (ed è. ciò appunto die pello piò accade) che io, anche rapporto a molti, sappia beasi il contenuto d’essa, senza ch'io tic sappia le Interne e mentali cagioni. Ritorniamo all’assunto. Dal fin qui detto parrò I di potere a ragiono coochiudere che nel caso che il Pubblico o in tutti o In taluno degl’oggetti delle umane cognizioni si dove tenere per un criterio di verità, ciò avverar non si potrebbe se non In quei soggetti ne'quali nuu si veggono [e di mostra zi cui. tfO-2. Il caso si verifica nella seguente maniera. Esìste un dato soggetto sul quale io non so che cosa mi dovo pensare. Esiste però intorno ad esso un giudizio del Pubblico. Si chiede s'io debba, o almeno posso, sicuramente rimettermi a Ini per farne norma al mio giudìcio. Ma è chiaro che a produrre in me una tale sicurezza converrebbe prima che, almeno per una ragione generale, mi persuado che il Pubblico non si puo ingannare mai. o almeno non si puo ingannare su di quelle materie a cui appartiene il soggetto intorno a! quale lo bramo d’istruirmi. Ora. rapporto a questo, io ho detto clic il giudicìo del Pubblico devesi riguardar sempre come INCERTO – H. P. Grice UNCERTAINTY --, e quindi non mai come criterio di verità. Il dimostrare che un critevio il quale non è sicuro cioè a dire un mezzo della cui costanza nel farci discernere il vero dal falso o in tutti gl’oggetti, o anche in qualcheduno speciale, si dove diffidare, non è propriamente un criterio di venLà nè generale nò speciale, ma invece un mezzo fallace, e quindi non piò criterio, il dimostrala', dico, una tal cosa è 'fatica del tutto superflua, poiché ciò è posto in chiaro dal concetto stesso della cosa, (j nello piuttosto che giova al caso nostro d’osservare si è, che la nozione medesima del criterio c’iudica il carattere della prova clic dobbiamo usare, onde dimostrare la verità della risposta sopra allegata. Qual genere di prova richiegga dall’indole del c/uesito. Se il giudicio del Pubblico o in tutte le materie, o in taluna, o sempre, o in alcun tempo puo essere un criterio di verità, ciò avvenir dove in forza d’uu principio costante e generale di natura. Imperocché, se si risguardi il caso contemplato dalla quistioue, tosto si scopre eh’ei uon riguarda il Pubblico d’un dato paese o d’un dato secolo, nè certi individuali oggetti, nè certi anni, ma bensì abbraccia il Pubblico d’ogui secolo e d’ogni paese: eli’ è quanto dire una universalità – OCHS KEENAN GRICE UNIVERSABILITY -- d’uomini e di cose, fra le quali non vi può essere di comune che ciò che è proprio della natura. Del pari volendo elevare i di lui giudicii alla dignità di criterio di verità o generale o speciale, conviene dimostrare in essi un tal carattere costante di verità, che iu tutti i casi, in tutti i tempi, o almeno sempre che ritornano certe circostanze e certe materie, eglino non Smentiscano giammai la propria attività a farci discernere il vero dal falso. Infatti senza una tale immutabile rettitudine di giudicio o su tutti gli oggetti, o su certuni, quello del Pubblico è per ciò stesso mal sicuro, benché spesso è conforme alla verità. A che mi gioverebbe che sovente non erra, se pur talvolta egli lo fa? Non è egli chiaro clic nell’ipotesi che dove farne uso, e perciò nei casi singolari dovendo io appoggiarmi totalmente e alla cieca sulla di lui autorità, come sopì a si o dimostrato, io potrei a buon diritto dubitare se quello per avventura foss« Vèspài se r&tuiasnt a ] De !' esprit. Discours I. fJ uiaLéR Ics operano MS de I esprit se re- 'Liisént b. l'obsciTaLiot] des restiti bftmces ei dee dìtTépenecs, des convÉiiances 1 tre s i, cli o per fissa re u el1a memorla i 1 n a pereezione ricevuta e vvi pur d’uopo ili a tl&n s fon e, a confessio u e de1lo stesso E l v òzi o, e comeanc 1 1 e viene dimostrato dall’esperienza. Ora, benché quest'attenzióne, a riguardo dell’umana cognIzione, no u si possa de fiuì re che una persistenza p1ù o rae«° lunga do IL 'anima sulla stessa idea, perchè una definizione qualunque non potrà giammai esprimere altra cosa, che affezioni della facoltà di sentire, vale a dire dell’idee: pure, se scrutiniamo più a fondo la reali La delle cose, dobbiamo confessare che la permanenza dell"idea nclfauima altro non è che un puro effetto apparente d’un potere attivo di lei, il quale s’esercita meuLr essa attende; e clic lattenzìone c realmente una vera reazione del’anima stessa sulla sede fisica dell’idèa; quindi, eh 'essa e I’esercizio d’un potere attivo di lei, il quale si fa sentire alla sensibilità mercé I’effetto die in lei produce; il qual effetto è appunto quello deve corrispondere al di lei esercizio. Conciossiachè siccome un dato organo, mosso d’un oggetto, produce nell’anima un'idea, così se venga prolungato o rinnovato o aumentato il movimento stesso d’una forza qualunque, deve produrre pella stessa ragione l'effetto medesimo nella sensibilità, altro non essendo l'idea, nè potendo essere in ultima analisi. che il risultato dei rapporti che passano fra l’anima e gl’organi, e gl’orgaui e l’anima: rapporti fondati sulla natura degl’uni e dell’altra. Io credo poi che non fa mestieri dimostrare che l’attenzione è l’esercizi d’un potere attivo che reagisce nella guisa sovra spiegata; mentre dall’esperienza risulta che mercè d’essa s’aumenta la forza d’alcune impressioni esterne, e si rintuzza l’apparenza di alcune altre, col sottrarre l’anima fino ad un certo segno dal loro impero. Mercè di’essa si sperimenta eziandio che l’anima passa dalle più forti alle più deboli impressioni e pella noja d’una forte e lunga sensazione, e pell’amore dell’uomo alla varietà, e per cento altre morali relazioni. Ora se l’uomo può, mercè dell’attenzione, aumentare l’impressione d’uua cosa, segnatamente se venga prodotta dalla memoria – GRICE PERSONAL IDENTITY LOCKE --; e se, malgrado la sollecitazione d’altri sensi, non si presta alle loro forti richieste, ma passa a suo piacimento alle più deboli; non dovremo noi dire che dunque l’anima nell’esercitare l’attenzione non è puramente passiva? perchè in tal caso essa non puo avere che quelle idee e quel grado solo di sentimento, il quale deriva dal grado dell’impressione degl’oggetti esterni. Inoltre essa è tratta unicamente a beneplacito del concorso del’idee cui l’accidente solo esterno guida ad occupare la di lei sensibilità, e le quali cacciate poi d’altre attendeno d’esserne pure sbandite d’altre successive. Allora infatti 1’anima, simile al passivo ed inerte cratere d’un mare, altro far non piuo se non s’accogliere nel suo seno una folla d’idee, le quali al pan dell’onde lascia necessariamente scorrere e incalzarsi a piacimento dei venti, e dell’altre cagioni che le spingono nel vario loro corso ed agitazione. Conchiudiamo. Nell’attenzione s’esercita un potere attivo dell’anima che re-agisce; e l’esercizio d’un tal potere è necessario a fine di fissare le idee nella memoria. l’AJìTK li. Vili. Co n tiri un zione* iVSècr.fij'.Hte ife/r attenzione a formare, l’idee astratte a le generali Necéssità dei segni e dell' attenzione per conservarle. . ì\ cosa nota e fuori di controversia presso tutti i filosofi che a formare l’idee astratte richìedesi necessariamente il magistero dell’attenzione e che anzi a lei sola doveri la loro f$gtnaziou c. Imperocché è sentenza nota, che fasirazione non ò ali.ro ch’una fissazione dell’attenzione medesima su alcune particolarità d’un oggetto qualunque complesso, sia bricco sia morale, mercè la quale la vista o interiore o esteriore dellamcia viene su d’essa concentrata e finii lata; non badando allora, nè accorgendosi, uè apprezzando Io altre particolarità tutte circostanti. Quest' idea speciale, in lai guisa contraddistinta da tutte le altro appartenenti allo stesso soggetto, e la quale per un modo metaforico si separa appellasi perciò idea ASTRATTA – GRICE ABSTRACT ENTITY -- cioè staccata dalle rimanenti colle quali prima giace unita, le quali tutte per questa ragione hanno il nome d’idee CONCRETE. E noto in oltre, dalla facoltà di aste ' art 'e. c quindi da11 rise rema dell’attenzione derivare quella di GENERALIZZARE GRICE SPECIAL GENERAL IMPLICATURE -- fra loro l’idee, come dicono i filosofi, parlando degl’oggetti complessi parte simili e parte dissìmili; mentre il formare un’idea o una nozione generale altro non è clic separare da molti individui quelle qualità che a tutti convengono, om mettendo tutte quelle che soejo proprie e PARTICOLARI – non totale -- 5 e formare di tutte ua aggregato, o, a dir meglio, un’associazione tale d’idee accoppiate e di giudicii per cui sentiamo che quella tale idea, eh t noi ravvisiamo, Gabbiamo con Ir addì stinta in tanti differenti soggetti. Ciò avviene sì perche molto idee simili non sono poi elio la stessa idea ripetuta in più soggetti diversi: e sì perchè tale essendo l’indole dell’esser nostro che mercè la memoria siamo necessari amen le ri-collocati nella stessa situazione in cui fummo un tempo per rapporto alla sensibilità; è forza che molti dei soggetti, da cui abbiamo tratta l’idea generale, si riproducano: e sì riproducano sotto la posizione medesima in cui li contemplammo al momento dell’astrazione e dell’associazione loro cogl’altri tutti simili coi quali li paragonammo. Ecco perchè alcuni filosofi hanno appellato l’idee generali coi nome di forme vaghe ed incerte; efriè quanto dire non rigorosamente individuali, ma che però dentro certi confini hanno una rassomiglianza. Ld ecco ancora perche alenili altri filosofi più superficiali, confondendo l’associazioni sale accidentali dell’idee generali coll’esistenza del principale soggetto, fratino detto else ogni idea generale altro non è elio una immagine concreta d’una cosa materiale ed esterna, o di inolio cose sensibili dello stesso genere, non avvedendosi primieramente che ciò non hi può verificare in tutti, e clic inoltre quantunque sia vero die uua data PARTICOLARITÀ esista in un soggetto, millafimeno non si può dire d’essa a \o componga tutto intero, o venga contemplata confusa con lui, tanche a lui sia congiunta. Ora questo ò il caso dell’idee generali appartenenti a molti soggetti ili una PARZIALE – non totale -- rassomiglianza, le quali non Soup in sostanza die molte idee simili, cioè a dire molte PARTICOLARITÀ simili appartenenti a differenti soggetti insieme risvegliale nell1’anima. Appena è necessario di rammentare clic alla formazione dell’idee generali è necessario il magistero della memoria; mentre ninno ignora che senza la presenza di molti individui, dai quali si traggono io idee simili e comuni, ed ai quali poi eziandio s’applicano in progresso per applicarle pure a molti altri, fa impossibile di compiere quest’operazione; alle quali cose può soccorrere unicamente la memoria. Non è forse inutile di richiamare ancora che a fine di ritenere l’idee astratte, e d’impedire che cessata la forza dell’attenzione, hi quale, per dir cosi. La staccali i fogli dall’ammasso intero, essa non dove un’altra volta rifare l’opera sua, lasciandole ricadere di nuovo nel loro primitivo stato concreto, si richieggono I SEGNI dell’idee stesse mercè i quali l’astrazioni, quasi da vincoli legate e dipendenti sì scuotano, o renda usi presenti all'anima tali e quali iurooo astratte, Così quelle porzioni dell’idea concreta, cui l’attenzione di già stacca, vengono presentate all’intelletto: c senza siffatto magistero la ragione e le spettanza mostrano che tutta idea concreta è persamente riprodotta appuntino come nella prima volta: e l’uomo, dopo bavere per infinite maniere ripetute l’astrazioni, non sarebbe niente superiore al bruto. Tutto questo si vede dm con pari diritto applicar si deve anche alle nozioni generali le quali, al pari dell’idee astratte abbisognano dui SEGNI otid7 essere ritenute, conservate c riprodotte. Quindi giova osservare di passaggio quante LA PERFEZIONE DELLA LINGUA D’ITALIA è necessaria ai progressi dell’umana ragione: e che una nazione è sempre barbara o fanciulla riguardo allo cognizioni, lino a che non ha aumentato ed esteso fino ad un certo SEGNO. II suo dizionario. Questa è la vera e naturale norma indicante la misura dei progressi intellettuali Fogni popolo della Lena. idlò. Ma siccome per associare tutte le n canta Lo idee coi loro SEGNI è d’uopo dell’effetto dell’attenzione – GRICE THOSE SPOTS ARE A SIGN OF MEASLES --, com’è già noto, c per conservare l’associazione è necessaria la memorici; così anche per formare e per conservare l’idee astratte e le generali richiedesi il magistero dell’attenzione e della memoria. Altre riflessioni sulla necessità dell’attenzione analitica a formare l’idee generali. Una mente che astrae è una mente che si può fissare e si fissa sopra gl’elementi dell’idee complesse; ed una mente che eseguisce una siffatta operazione può ad una ad una tutte sentirle, discernerle l’une dall’altre, e così per una chimica sentimentale scomporre tutto intero il tessuto ideale; la quale operazione appellasi metaforicamente analisi. Ma dopo ciò può anche ricapitolare tutte le distinte ed enumerate idee, ed esprimerle; ciò che forma una descrizione o una definizione, giusta il soggetto o individuale o generale su del quale s’è occupata. Quindi ne viene che se il fondamento d’ogni scienza sono le buone definizioni, il fondamento, o, a dir meglio, il mezzo ad ottenere le buone definizioni è l’analisi accurata. L’analisi non è ch’una successiva astrazione sulle parti tutte dell’oggetto, accompagnata dal sentimento paragonalo delle loro scambievoli diversità: cioè un’attenzione forte, paziente e seguita, che fa apprendere alla sensibilità le forme e le diflerenze di tutte le parti d’un’idea qualunque complessa o fisica o morale – GRICE, ADULTO, COMPRENDERE – in difesa d’un domma. Parmi d’avere qui sopra fatto vedere quanto l’analisi sia necessaria all’evidenza nei soggetti già formati, di qualunque genere si sono; e quanto questa lo è alla cognizione della verità. Ora mi propongo dimostrare quanto è necessaria alla formazione stessa dei soggetti intellettuali, sia che parliamo dell’idee generali delle cose della natura – GRICE THOSE SPOTS MEAN MEASLES --, sia che contempliamo l’altre che si creano dalla forza dell’immaginazione, delle quali anche abbiamo di sopra ragionato. Da ciò si puo dedurre a quali condizioni la natura lega l’acquisto delle verità intellettuali, ed ardisco anche aggiungere del bello il più completo; e quindi se la capacità del Pubblico è a ciò proporzionata. Per verità, questo assunto puo sembrare strano a qualche filosofo; perchè a prima vista apparisce ripugnare all’indole dell’analisi, la quale non pare potersi conciliare col generalizzàmenlo, se m è permesso il dirlo, dell’idee e delle loro arbitrarie composizioni. Imperocché nell’analisi la mente si chiude entro i confini d’una sola idea complessa – GRICE ADULTO --, di cui va discerpeuda le parti tutte; e. ciò fatto, ha fluito f nifi ciò suo: all'incontro nel rendere generale un’idea molle ne percórre anzi tutte quelle ch’hanno fra di loro ima data rassomiglianza, Nell’analisi si tien conto esalto egualmente di tutti gl’elementi d’un soggetto, i? tutti si registrano nella storia dell’attenzione: ma uol rendere generale un'idea non si Lieo conto che delle solo particolari t;i ra$so migliatiti dei soggetti Ira sa mia Le le al ire turre; e le primo m lai gubn delibate noti si recano nel deposito comune della ragione. NoIlVirdiM Liuto ressi: do I bittenziòne s’estende ugualmente a tutte le parti del soggetto; ma ni contrario nel formare bilica generale si restringe ad mi aspetto solo .lì tutti gl' in diri dui contemplati. Malgrado questo io dico che l'analisi deve presiedere alla retta formazione dell’idee generali. E ni verità supponiamo qnnltrocouln olgetti, ognuno dei quali ha CINQUE primarie qualità semplici che ik eoa Etnisca no il carattere individuale. Supponiamo inolttr.die cento dì questi si rassomigli uo fra di loro per QUATTRO qualità, r ch’ognuno d’essi uc ha una differente: che gl’altri cento rassomiglino a questi pei Ire solo qualità; e gl’altri cento a tutti i precedenti pi r DUE sole: e gli altri cento per UNA. Ciò supposto, chieggo in: per clnssiEicure corno convieoe tutti questi oggetti, e per applicare a tutti l’idee dee hanno verarneuLe comuni, non conviene forse sapere die i primi cento Lamio QUATTRO qualità slmili i secondi TRE, I terzi DUE. c gl’ultimi UNA sola. Ora a scoprire questo con certezza come far sì potivi, se non coll5 e sa ni io a vi1 attentamente tutti gl’individui classificati in ogni loro parie. e, disineguendo e ravvisando le loro finirne forme, Leucr conto delle slmili s« ira san dare le differenh? E ciò non è forse usare del magistero deh l’analisi ÌJ)7 i ^ Ma tutte Irclassi possibili di specie o di generi. si primari! eh secondari] 3 che cosa altro sono mai che qualità simili esteso ad im minore o maggior numero di soggetti, cioè a dire la stessa idea cooiem putta dal’uomo qual elemento ch'entra nella composizioni: di un mimerò piti o meno esteso d’idee complesse? Queste poi formano i! maggior cori odo deh umana ragionevolezza. La cognizione estesa della prògremiva e non interrotta gradazione dall’individuo a tutti i più alti gèneri, e delle connessioni die indi ne nascono, caratterizza in gran parte L.j non dico perciò che l’analisi soia presieda alla icjrmaziqiìe dell’idee gctiordl-, v'entra dopo la lati olla di compórre, du\ rioì pi io! and li riti asdociando fi separate commii cj i j J J l ri . le congrega m mi solo corpo o tjhziomi, e flp; presenta i( quadra alPnmmo, lu imprime nella memoria, e lo riflette uni fo uvffa :e u;dfjjfl|;‘ij cerne jji uno qtècclùo lf ! !' il aenio scientifico. Da ciò uè Tiene, die l’aUeuzionG analìtica é la madre immediata della ragione voleva umana e del genio. A règè'$fiià tlelValit'ti-ionc atta litica ne Un 'deduzione dèi rapporti ipotetici e nella perfezione dell’opere del btdlù. Inoltre anche nella composizione arbitraria delle Ilice è necessaria l’analisi per ottenere il fine loro consueto. E infatti, o si uniscono idee astratte o concrete per coni coniarne fra di loro i caratteri, e dedurne i rapporti di semplice convenienza o disconvenieriza; ciò che tendi alla scoperta delle verità di supposto per altro sommamente ipotètico od allora è cosa evidenLe elio ricercasi Fa 1.1 tifisi al pari che nelle altre venta di supposto totalmente necessario, o slfTatU coni posiziono tende a produr diletto: di pur vero dio per oLLenere il maggior diletto possili ]r da quella unioni: d'idee, ciò die è In scopo delle belle arti e delle belle lettere, deve precedere l’analisi. Infatti0 II bello che si vuole esprimere è di p tira imitazione o è di pura invenzione. O è misto delFona o dell’altra. Se è di pura imitazione è evidente che l’espressione d’esso non è giammai perfetta 5 se non accoppia in se le rassomiglianze tutte visibili, ed anche inavvertite, le quali udì' originale fanno ciò non ostante un reale e sentito effetto sui sensi umani. Ora come puo così accoppiarle senza conoscerle perfettamente, e come puo tanto finamente conoscerle senza una squisita e profonda analisi degl’originali? Clic se poi il beilo che si cerca eli esprimere è di pura invenzione; allora siccome egli risultar deve d’un collegamento arbitrano d’idee, i rapporti delle quali producano il maggior numero possibile dr piaceri tanto assoluti quanLo relativi, accoppiando la varietà con Fucila in guisa che ne risulti nelle date circostanze d maggior possibile diletto: così è pur chiaro rendersi assolutamente necessario che preceda una cognizione analitica dello particolarità tutto delle idee, onde poter discendere quelle che sono valevoli a produrre meglio l'effetto inteso; e rosi presentarle piuttosto sotto di un aspetto die sotto di un altro, cioè a di-re fissando Fatteuzione dello spettatore più su di una parte ohe su di e tu’ altra delle idee fantastiche e delle intellettuali, Montaigne ha dotto ohe Orazio irrigava incessantemente nel magazzino dello idee, per rappreseci arse! e nel loro più vivo lume. A u c 0 ra una ri II essi 0 n 0 su quesla specie di bello, il quale non può qui riguardarsi che sotto un aspetto solo. Egli è certo ohe il bello tallo letterario di pura invenzione vieu tratto precipuamente dai tropi; mentre senza di essi lo stile è puramente storico, o rivolgasi alla nuda esposizione dello spettacolo della natura, o dei fatti degli uomini, o delle nude idee delle scienze (anche in tal caso però sarebbe foudato su di uu attento esame della cosa descritta). Ora tutti i tropi possibili in ultima analisi riduconsi a risvegliare, mercè dell’espressione di una idea, un’altra idea o per semplice associazione di circostanze, o per analogia. Maio quanto maggior numero veggonsi le particolarità nelle idee fisiche e morali che si accoppiano e si fanno contrastare piacevolmente nell’animo, non si hanno forse tanti punti di più di paragone, e tante più feconde sorgenti di bello letterario, e, quel eh è più, maggiori occasioni ad esporre più corretti e più squisiti modelli di bellezza ? Ma il ben vedere tulle le ricordate intime differenze degli oggetti letterarii non dipende forse dal Vallatisi? L’operazione adunque che costituisce il merito principale del filosofo, quella stessa eziandio prepara c feconda il gusto corretto del1 aitista e del letterato. Per tal motivo se la natura, come dicesi volgar mente, forma il grande artista per creare le aggradevoli produzioni, per animarle, e per superare 1 inerzia dominatrice della comune degli uomini: la filosofia ne depura il gusto, ne previene gli sviamenti, e ne agevola il libero corso fra i più occulti seni ed i più angusti recessi dell’universo ideale, onde possa conquistare spoglie recondite e peregrine, ar l icchirne le sue produzioni, e rapire i fremiti sublimi, i sospiri dilettevoli, e gli applausi entusiastici delle anime sensibili. Fingete un uomo d’una illimitata capacità di conoscere. Credete voi ch’egli, a fine di comprendere lo stalo assoluto e relativo delle cose, e cosi le verità tutte possibili, abbisognasse d’assoggettarsi a tutte le sovra-descritte operazioni, o che anche lo potesse? E ben chiaro che un tal uomo nè fare lo potrebbe, e neppure ne abbisognerebbe. Imperocché per ciò stesso, ch’egli fosse dotato di una illimitata comprensione, non potrebbe angustiare l’intendimento suo nè su di un’idea singolare, nè su di una parte sola di un’idea; ma per una necessaria e naturale forza, respingendo ogni costringimento, rimarrebbe nella sua ampiezza naturale. . \y altronde, in forza della illimitala sua iukdligeuza, Lulle vecìrobbe ad un solo trailo presemi 3 e idee degli oggeUÌ, e mite le raffigurerebbe nelle loro precise forme: tutte ue sentirebbe le differenze scambievoli; e quindi i rapporti lutti che fra le mie e le altre escono: talché ], l to"uiasione delle verità lauto assolute quanto relativo, tanto di sensa zione quanto di riflessione sarebbe l’opera d'ima semplice visione intuitiva Per lui tulle le verità nou sarebbero che per sì> evidenti, od egli uou avrebbe che giudici! Diretti. Quindi egli non abbi sognerebbe di astrazioni, le quali noti sono clic attenzioni parziali, come si è già detto:, e a lui sarebbero anche impossibili ad eseguirsi 180. Non abbisognerebbe d'idee generali, le quali in sostanza nou sono, come si è già veduto, se uou astrazioni rapidamente ripetute sopra molti soggetti, o ripetizioni della stessa idea intera su molte cose simili, G 1Q |. Non abbisognerebbe dì analisi, nò di raziocinio, nè dì altro qualsiasi metodo, com' è evidente; e tutte nuche siffatte funzioni gli riu seirebberó di ima insuperabile impossibilità. Se dunque elleno riescono indispensabili all1 uomo, come la esperienza lo dimostro, ciò deriva dalla limitata capacità della di lui facoltà di conoscere. Esse pertanto sono contrassegni indubitati dì un difetto, e non di una perfezione $ o se pure riguardar si volessero come doli significanti i'cccllenziu esse nou potrebbero riuscir Lali se uou relativamente ad alili esseri aventi una pari limitazione, ma die fossero sprovveduti di pari mezzi a scoprire t rapporti di db; cose. Laonde dir si potrebbe meno ìmperfetto di loro, ma però sempre assai inferiore in potenza ed in mezzi ad una intelligenza, la quale eou un’assai maggiore sicurezza, celerità, e con nessuna [iena giunge allo stesso scopo. Se viceversa esistesse un nomo di una lauto limitala e Indifferente capacità di sentire, che non avesse se non ad una ad una lo idee singolari e concreto, e non ne provasse uè piacere uè dolore disuguale, egli non avrebbe nò astrazioni nò idee generali, non eseguirebbe analisi alcuna, non tesserebbe raziocluil; ed altro non sentirebbe, che le immediate e momentanee differenze nel passare dallo irne allo alLre concrete sensazioni. Così un tal nomo della massima limitazione mentalo rassomiglierebbe in qualche parte all7 uomo dell5 illimitata intelligenza, c sarebbe di una condizioni.:: totalmente opposta. Così anche in questa ipotesi si ve rifi e ber ebbe che gli estremi si toccano senza con fonder si . Ha e l une c l 'altra sono puramente fittizie. Se poi si ciliegia quali sono i gradi della limitata capacità di conoscere dell’uomo, tosto l’esperienza ce li indica: poiché è chiaro che i limiti di essa si racchiudono entro quelli della vista intuitiva dei rapporti delle idee. La capacità naturale dell’ intendimento umano finisce ove incomincia il raziocinio : conciossiachè se il raziocinio, giusta il pensamento di tutti i filosofi, e queiratto per cui non polendo l’intelletto scoprire immediatamente le relazioni di due cose, ossia di due idee, le paiagona amendue ad una terza, colla quale entrambe abbiano una relazione già conosciuta, per dedur quindi la relazione che hanno fra di loro* e chiaro adunque, che dove incomincia a rendersi necessario il raziocinio, ivi finice la estensione naturale della forza intelligente dell’uomo. Ora il raziocinio incomincia precisamente, come la esperienza il dimostra, a rendersi necessario quando, oltre la comprensione dei rapporti di due idee semplici, 1 intelletto nostro tenta scoprire la relazione di una terza. Dunque risulta che la estensione naturale della capacità intellettuale umana a conoscere i rapporti delle idee, e quindi a scoprire la verità, non oltrepassa l’estensione di due idee semplici* e quindi tutto ciò che al di là di tal confine si eseguisce è opera di pura industria umana, che ripete le operazioni originali della facoltà di conoscere, e le ripete colle stesse leggi della vista intuitiva e ristretta naturale all’intendimento. Così l’uomo nel percorrere un lungo cammino ripete sempre un solo passo; e se egli naturalmente non può abbracciare che un breve spazio, pure ripetendo un tal atto abbraccia nel suo viaggio tutta la circonferenza del globo. 187. E quand’ anche la forza sua mentale si estendesse a qualche cosa di più, ciò sarebbe infinitamente poco in proporzione dell’aspetto sommamente complesso e del numero illimitato delle verità che rimangono a conoscersi. 188. Dalle premesse cose pertanto si deduce fino a quale prossimità ridur si debbano gli aspetti delle cose in iscambievole paragone, a fine di produrre la intera certezza; e se con ragione altrove io abbia asserito che un evidenza pari a quella che si ottiene dalle verità rigorosamente semplici rendesi assolutamente necessaria in tutti gli oggetti possibili delle umane cognizioni, onde rilevare la verità delle cose; e quindi che è pur necessaria l’analisi accurata, minuta e completa delle idée. J. OtóO XV. Attila necessità delle nozioni e dei p rindpii generali ad aetj nidore hi cognizione dei veri rapporti delle cose. c: ] $9 . Sop ra a I > b lama in tra veduto iti 1 1 n a m ri n i era stiperficiale co m e y USO delle nozioni e dei prinelpii generali sta utile, e iois^ anche necessarip. a co adegui re la cognizione dei rapporti die esistono tra le cose. \] i sono esse veramente necessarie .1 donde risalta una tale necessità? irl quale maniera risulta nelle circostanze attuali dtdr nomo? . Queste S0I10 ricerdiC del tutto importatili, mentre Geremia ino quali siano le condizioni clic la natura stessa delle cose esige dallo spirito umano, onde conseguire la cognizione delle verità i ed a li tic di scoprire da ciò se il Pubblico per legno generale possa costantemente prati cor le. onde riuscire giudice sicuro, almeno in qualche materia, et 190. inoltre più sopra abbiamo asserito che le nozioni ed i priju ipii generali e le diverse categorie formano il migliore, anzi V unico coiv redo del Tu ma u a ragione: ed è precisamente per questo solo che l'uomo si distingue dai bruti. Por la qual cosa gii uomini, in quanto che sono ragionevoli, sono esseri uaturalmenle metafisici . ossìa forniti di nozioni metafisiche : p cicli è la m c la ti sì eà e per sè stessa rivolta a do m inare colle viste generali gli aspetti delle cose, La religione e le leggi ce li suppongono tali, e le grammatiche e i dizionari! ce ne indicano i diversi gradi di dottrina nelle vane partì del globo. 1£M. Laonde, ciò supposto, si scorge che l'uomo, in forza del solo possesso delle nozioni e dei principi! generali, rendasi propriamente giudice competente di ogni verità: eoncìossiache nello stato di essere senziente, c ristretto a particolari giu di eli* non dissimile dai bruti e ridotto ad una perpetua infanzia, non potrebbe giammai riuscire giudice di verità in alcuna materia. Certamente non di un Pubblico dì bestie, ma di un Pubblico d’uomini, c d1 uomini ragionevoli^ parla il programma. Ora tale essendo egli non mercè della sola capacità comune anche all’ inibiizia,, ma dell'attuale possesso delle nozioni generali, perciò si scorge elio lo sforzo principale delle nostre ricerche debb’ essere precipua mente concentrato a scoprire Ì doveri dell’intelletto limano, a norma dell' indole e dell ampiezza e delle relazioni di sii latte nozioni c di siila Iti pri nei pii generali^ ed a fissare L’esistenza egli vero che collocala la mente a varie disianze, ho pure differenti punti di vista, d’onde riguardare gli stessi prospetti, e ritrarne concetti diversi ? Ma è pur vero altresì, clic tutte queste classi hanno un diritto di tendenza alla realità, né la classe più generale può escludere la meno generale, uà questa escludere la più vicina e la più speciale da si da ila tendenza. Quindi, a Ime rii togliere tutte le ingiuste pretensioni di ognuno che, avendo le sane idee di una categoria, s* avvisasse per avventura di escludere altri punti di vista, o di asserire che non siano egualmente veri della veduta ch’egli ha* perché é. cerio di contemplare le cose sotto di un dato aspetto: a ime, dico, di prevenire un siffatto errore é mestieri cogliere estesa me ut e, tulli i gradi della scala delle idee generali delle cose di cui si ragiona; é. mestieri ordinare successivamente tutte le categorie delle nozioni differenti, sì per fissare quanto manchi di valore reale alle idee che si maneggiano, e sì per iscorgere a quale grado preciso definitezza delle idee generali la mente sìa situata, onde non escludere né le più alte c rimole, nò le più basse c vicine nozioni appartenenti allo stesso soggetto. ^ 2G0, Nella elevazione delle considerazioni umane intorno allo stalo reale delle cose accade all1 intelletto precisamente lo s Lesso di quello che avviene all occhio fisico nelle elevazioni visuali. Se dal piano molli nonuni ascendano su ih una montagna, e che ognuno ad un'altezza differente guardi in giù gli stessi oggetti, tulli questi uomini potranno dire con venta di vedere le medesime cose .ma non però di vederle nella stessa maniera. meno propria ad eseguire come conviene le diverse operazioni mentali, onde apparecchiare, ridurre* ordinare e connettere le varie idee nel rapporti della verità, 302. fino a ohe non si era scorta chiaramente ed in una guisa speciale la connessione che passa fra una certa struttura ed irritabili là organica colla felicità delle operazioni intellettuali, si poteva pera nche dubitare di questa veri Li, Ma dopo che una parlicela reggia^ e rannodala dimostrazione ha posto in aluaro P influenza clic il fisico aver può sulla buona o cattiva costituzione e sulPuso dclT intonili menta; c dopo clic si si e scorto come aver la possa: dopo che non oscuramente si ó scoperto come dentro la latitudine dell’umana ragionevolezza si possa rendere ragione delle diverse disposizioni alla riuscita delio spirito, supponendo sempre ima pari enerva e direzione. de\V attenzione in lutti gli uomini; dopo clic si ò veduto ciac dentro di qualcheduna di siffatte gradazioni dev’essere racchiusa la tempra ihdP organizzazione umana relativa alle funzioni del! i n tendi rnc uto * panni elio sia vano il più dubitarne. Se Etvezio avesse comprese o calcolate tutte queste circostanze, noi! avrebbe certamente (usando buona fede) promosso il più strauo, il più temerario ed il più antipolitico paradosso cbe in buona filosofa applicar si potesse agl’ingegui umani, dicendo e ripetendo espressamente, che tutta la loro differenza dipende dalle sole cagioni morali . e nulla dall’organizzazione (De H espritI). Ma egli tutte queste cose La ignorate, o certamente ommesse. 304. Dopo ciò, si potrebbe forse chiedere di nuovo di quale condizione organica la natura abbia dotato la comune degli uomini. E certo che questa quislione non può essere sciolta mercè di una scienza intuitiva della struttura dei cervelli umani. Pure un profondo e freddo analitico dedurre lo potrebbe dagli effetti esterni, e discernere quello che è stato aggiunto dall’arte da quello eh’ è originalmente proprio della natura. 305. Ma questa discussione, la quale anche di troppo ci farebbe divergere dalle tracce dirette cui dobbiamo seguire in questo scritto, ad altro non servirebbe che a procacciarci una vaga ridondanza di prove, dopo quelle cui l’esame delle circostanze, e dell’uso generale che il Pubblico far può d e\V attenzione, ci deve somministrare. A questo solo punto debbono essere limitate le nostre ricerche, sebbene si ritenga quanto altrove abbiamo ragionato. Quindi, anche supposti gli uomini tutti egualmente dotati della più perfetta disposizione fisica alla perfezione intellettuale, ora passiamo a vedere che cosa generalmente e costantemente possano fare, onde conoscere la verità nelle diverse materie: e se il Pubblico possa inai esserne giudice competente ed infallibile. Di quello che possono fare gli uomini per conoscere la verità. Li attenzione, il cui potere ed esercizio abbiamo a parte a parte dimostrato indispensabile nelle operazioni della mente umana, incominciando dalle sensazioni, e giugnendo fino alle più vaste, variate e sublimi astrazioni, e teorie ed invenzioni del vero, del bello e dell’utile (ved. Capo VII. al XI II. della Sez. I.): l’attenzione, la quale, essendo ben diretta, è la madre di ogni verità, di ogni perfezione dello spirito umano, e che costituisce tutta la buoua educazione intellettuale : e che, mai direlta* diviene la sorgente di tnlLi gli errori e di tutti i traviamenti: l’ attenzione, la quale non è elio l’esercizio del potere attivo del resero pensa ilio * che nelle sue deterrei nazioni non è punto diverso o distinto dalla volontà umana: o nello spiegare la sua forza non è clic la stessa stessissima forza motrice ossia esecutiva di lei * in quanto reagisce sulla sede Gsica delle Idee, onde aumentarne o prolungarne i movimenti: Faite azione, dico, e un potere di sua natura Indeterminato^ e io di (Cereri tc a qualunque allo speciale, per ciò stesso che è capace di molti atti, anzi dì altrettanti alti,, quante sodo le idee diverse che si presenta no alla mente. 307. Questa indeterminazione ci offre tosLo in sé stessa una specie d’ inerzia essenziale alla natura del potere attendente. Tale infatti con buon diritto ris guardar si deve una forza, la quale non viene determinala che da qualche estrinseco impulso; e die per conseguenza non sì spiega, nè spiegare si può, die a proporzione della vivacità e della durata degl'impulsi. L uà piu evidente da m ostruzione di questo principio la ritroveremo piu sotto. 308. Qui giova soltanto dì osservare, che questa forza d’ inerzia . di' io appellar posso psicologica^ poiché in qualunque stato si Irosi l'anima, o separata o nulla ad una macchina, ella deve sempre risentirne r impero* poiché è unicamente fondato e derivante dalla natura del solo essere di lei: questa inerzia, dico, si deve giudicare come essenziale all’anima umana. mo. Quindi si può adottare come assioma primo di natura, che I esercizio del potere del la LLc azione si determina in forza dei soli motivi*. che ne sono gli unici stimoli; e quindi che l'energia. o a dir meglio i gradi di energia, coi quali spiegar si può questo potere, saranno necessariamente proporzionati ai gradi della forza stimolante degl' impulsi che lo determinano, dltì. Ma tutto eiù è ancor poco. Se la forza dei ruotivi esercitar si dovesse solamente nelFanima collocata nello stato dì nudo spirito; se Faiti vita loro non dovesse vincere, per dir così, che la indifferenza sola dell essere pensante; questa legge sarebbe semplicissima, nè dovremmo calcolare altre forze resistenti che le potessero servire di ostacolo. Ma il fatto sta, che contemplando l’uomo come è realmente costituito, e ritenendo quale sia lo scopo dell’attenzione,, ed il soggetto su cui ella esercita la sua attività, noi non troviamo più una semplice indifferenza; ma invece incontriamo una positiva resistenza li sica, e bene spesso una reazione penosa sull’anima, la quale per una specie di ripercussione la distoglie da! poterlo lungamente esercitare. Tulio questo è opera dei soli scusi, al H 1 0 Fazionedd quali sia raccomandala tutta la sene delle affezioni delio spirito umano. Dififa UÌ noi abbiamo vedo lo che il ministero del F attenzione è lutto impiegato sul sensorio comune dello idee; die [effetto spe~ dal e proprio di lei é di Reagire ulFoccasione dì un'idea sulForgano corrispondente ; d onde si produce una prolungazione ed un aumento nel molo di lui * e si conferma uro fe tracce ossia le disposizioni lasciate dalTazìone degli oggetti sui sensi* e vengono ricalcale, dirò così,, nella memoria, Da ciò 1 idea resa piu vìva e piò prolungata, richiamando a nè b vista limitatissima della monte umana, ne dirige i concetti, i puntoni od i giudicò in una maniera imperiosa ed assolata. Ma siccome questi sensi, al pari di tutti gli altri còrpi tendenti al riposo, e per necessaria legge inerti, contrappongono una vera resistenza a qualunque potere che voglia cangiare il loro sialo attuale, perciò oppongono la medesima resistenza anche alla forza attendente del1 anima Incontrando quindi ella dai canto suo una siffatta opposizione dei sensij deve subirla tanto maggiore, quanto minori sono le forze accidentali tendenti al movimento racchiuse ucIForgano stesso, mercé li' quali rattenzione possa essere coadiuvala ne* suoi effetti. L esistenza dì queste forze accidentali, o làìjnancauza accidentale di esse, può derivare lauto dalla natura, quanto da IFed acazi uno* Dalia natura, quando il tessuto fibrillare del cervello sia alquanto più grossolano* o meno imlabile5 o meno provvedalo dì del trias mo stimolante; dalFediicazione, quando manchi [abituale esercìzio del Fatte unione stessa sugli orgaui delle idee*, mercé il quale é noto quanto ad un tempo stesso si vini orzino gli organi o se ue agevolino le diverse funzioni fisiche. Allora la forza attiva mentale trova un ostacolo di più da superare: e maggiore è lo sforzo che le conyien fere per piegare il cervella alle operazioni della mente. Ma vfe di più. E cosa nota ai hslologisti essere proprietà naturale dfegni fibra organica irritabile o sensibile, allorquando venga irritata r scossa per un certo tratto di Leftipo, di richiamale a sé una maggiore qnauLita di fluido stimolante, e di cadere eziandìo in una specie di rilassamento e di atonia; talché spingendo più oltre la forza o prolungandone f esercizio, produco nella sensibilità dell'anima un sentimento penóso dui giunge lai volta fino al dolore* E ben cosa naturale che questo fenomeno dove assai più fàcilmente avvenire in una fibra ili un lessato più pigro o meno esercitato, che in fibre piò docili, non deboli, e piò avvezze ai movimenti . Imperocché io molecole delle prime non possono turbarsi da [Fardi ire naturale loro se non che con una specie di dissoluzione del j Bl I r a Lluale tessitura, Quindi avanti di produrre l'effe ilo snniimeuLalfì ri- ridesto dal pensiero si debbono dislocare assai piu elementi, lb r la qual cosa alla fine o non si pud olle aere per veruna maniera, o in piccolis¬ sima parte,, l’effe Lio sentimentale. Per una ragione opposta una libra assai tenera cade in rilassamento in un tempo assai breve, e quindi oppone una vera pena all’anima, onde esercii, are a luogo il potere del dalie ex. ione. Ecco perche da una parte i selvaggi, i popoli barbavi, è tutti quelli eziandio clic io seno delle collo società non si avvezzarono ad esercitare la loro forza mentalo, r dall'altra parte i fa nciulli, gl'infermi di corpo, e generalmculc i rilassali di temperarne u tu . durino Lauto di fatica e di pena ad applicare Fattelizinne e ad apprendere le varie cognizioni, e perché tulli riguardino un I ale esercizio cou una vera avversione. 5 diti. Ma non limitandoci a questi casi speciali, e invoco considerai!do la costituzione delF intero genere umano, r forza dedurre die la. notava formi l’uomo ignorante non solamente pendio lo fa nascere privo di qualunque cognizione, ma assai più perchè pose in lui una gt'avititrinne positiva verso di essa, od una vera resistenza fisica all' esercizio delle tue facoltà mentali, il teologo cristiano troverebbe forse qui il luogo ove allogavi' la spiegazione delle conseguenze do! peccato originale. Forse dir potrebbe clic Adamo nello stato d innocenza aveva una macchina di un tessuto docile e pronto a tutto le richieste delle cognizioni: ubbidiente alla forza dtd l 'attenzione, e robusto nel non. cadere troppo presto in aioma ; ma che, dopo la caduta di luì, alla generazione umana Iddio volle compartire un corpo più corruttibile e più difettoso: e per la via medesi1^! per la quale s5 introdussero le infinite infermila, per quella stessa 51 aggravò pure e si trasmise la cieca e negli] Uosa ignoranza. Non divergiamo dalle tracce del nostro cammino . L inerzia psicologica, cui è meglio appellare indifferenza delio spirilo e Fin orzi a fisica sono yen ostacoli allo sviluppo delle facoltà umano. Quindi se la natura destinò l’uomo ad una certa perfezione morale, e no predispose le facoltà, dobbiamo dedurre ad un tempo stesso che abbia volli lo guida rvclo vincendo degli ostacoli, e mercè risultati di forze opposte e contrastante dii). Con di auliamo. Ndl’atUtale costituzione delTuomo sono assoIn la niente ne cessarli i motivi all'esercizio dell' attenzione : essi soli sono le vere forze e tee del mondo inorale. Per tal modo Fa tic ozi otte, la quale, come abbinano vedalo, interviene come forza necessaria in tutta quanta economìa mtellettude, incominciando dalla sensazione e giungendo firm al voli dui genie: 1 attenzione, la quale non è die Ceseremo delta volontà e della libertà umana, ci offre ad un I vallo due grandi leggi fonda mentali ed universali del mondo morale. La prima si è,, che se si ricercano gli affetti per far agire gli uomini r sì ricercano pure per farli pensare; c che perciò lo spirilo ed il cuore sono mossi mercé di un solo e identico principio^ quindi tulio l'universo morale viene spinto, animalo e diretto mercè di una sola susta. L’economia della natura riesce ia tal modo armonica, siste malica e semplice : ed in tale ben collegato andamento, mercè dòma necessaria azione r reazione. luLLo cospira alla perfezione ed alla felicità ilelFoomo, ed al grande ordine maravigliasti di tutto l'universo, Questa grande verità si ravviserà rissai meglio nella sua vera estensione, se oltre di considerare clic i motori precipui thli1 amor proprio sono pur anco quelli della sana ragione 9 si giungerà a scoprire che per mi ammirando vincolo quei soli mezzi c quelle sole Circostanze le quali sono le più acconcio alla felicità personale e sociale dell' uomo, sono pur anche quelle le quali riescono le più proprie e le più efficaci a produrre generalmente So svolgimento ed i progressi dello spirito umano nelle parti lutto del globo intorno a qualsiasi genere di cognizione. ZS on si credesse per avventura die io abbia qui soltanto di mira la lunga pace ed i secoli rii lusso delle nazioni. Se la prima è un bene, non c perù la sola cagione che la natura abbia prescritto al progressi dell’ umana pem fetlibiliLà. Rapporto poi al lusso, lungi dal giudicare le circostanze die lo producono e lo sostengono (sopra tutto scegli è un lusso delle classi interne dello Stato, cioè se è un lusso parziale : come eccita meri ti proporzionali ai veri progressi della menLe umana nel grande piano dello scibile apparecchia Lo dalla legislatrice natura, io dico che per lo contrario riguardar si debbono come possenti ostacoli contrari! del pari al vero ed al grande di qualsiasi genere, che al giusto. Quando io parlo di circostanze uguali giovevoli ai progressi dèlie umane cognizioni ed al benessere umano, io parlo soltanto di quelle circostanze che sono le più proprie a produrre ed a far fiorire fra i popoli la sociale virtù. In questo scritto non in è permesso d’inoltrar mi ad esporre ed a svolgere questa vasta ed importante veduta, la quale forse lino a qui non bene avvertita, ad ingiuria della provvida sapienza sparsa per entro a tutto l'ordine mornle e Lordine fisico, ci ha occultato, non dico una semplice teorica e specula fica connessione fra II giusto ed II vero, ma una effettiva e pratica influenza fra le circostanze promovenii la virtù sociale, e le circostanze le più favo mo li alla pubblica ed alia privata istruzione. Senza calcolare questa influenza e éOunessiGue, è ben chiaro clic ogni sistemi die olir ir si volesse su di questo proposito rimaner dovrebbe del tulio chimerica* Da tei sola le scienze traggono la loro apologia 5 e la dimostraiiona più solida dulia loro utilità e noe essi Là al bene della società. L'altra legge fon da montale, la cui cognizione emerge dalle precedenti riflessioni, si èche le ine o Ita dell’anima umana tinte &i esercitano ad un tempo stesso tu ogni operazione della mente, ! filosofi Latino dislieto ndranima la sensibilità*, la volontà, e la forza csecutrìcùl ma tutte queste facoltà si esercitano sempre ad un tratto in ogni operazione tendente ai progressi dello spirito umano, c fin aoebe negli errori* Questa legge fondarne utale è stata dimostrata da tallo quello die abbiamo detto sali attenzione* Per la qual cosa riferire*, come lui fallo Bacon e ? alcune cognizioni o scienze alla me mona, altre all' Immaginazione, ed altre al Ilo tendi mentoe su questa divisione fondamentale piantare c diramare tutto r albero enciclopedico delle scienze, egli è Lessero uua divisione del unto fattìzia* che puulo non sì verifica rigorosamente in natura, o uhe senza di certe avvertenze guida a vedute false, o assai imperfette. La memorili, il potere ordinatore dell'immaginazione e ì! potere ragionatore sempre si esercitano ad un tratto; e tutt’al più dir si può che la facoltà attiva detrattori zlone u delFumana ragionevolezza per uu altro rapporto. I rifalli se F i $ l rii L Lare u TéducaLore, sia egli uu individuo o una società, non avesse dapprima per sè lo idee clTei vuole o deve ingerire nel suo allievo, non potrebbe certamente in lui insinuarle o radicarle giammai. Ora andando all' indietro, grada Lame lite sì deve giungere fino al momento in cui l’uomo in seno della sola natura e cinto dallo spettacolo delibi inverso materiale, abbandonato quasi a sé solo ed alla serie delle circostanze esterno, viene d’esse sole ammaestrato ed educato. Cosi sì giungo al momento ovtì ritrovar si deve il fisico bisogno, e gli -avvenimenti o le circostanze delbordine sensibile dell’univorso resi quasi soli maestri della specie umana, Leggete la storia di moki popoli delFÀmerica al tempodella saperla, iii moke isole dell’ Oceano meridionale, dei contorni del Capo di Buona Speranza e delle 1 erre Australi, e troverete uua prova storica di questa verità. 345, Ma o sìa la natura, o sia la società la fonte dei motivi dell umilia attenzione, o siano entrambe unite, egli sarà sempre vero clic, relativamente ad ogni uomo singolare, razione, l’ intensità e la direzione deb r attenzione deriveranno interamente dall’ ordine e dal concorso iLifiniLu e indeterminato delle esterne circostanze fisiche e morali nelle quali I nomo si troverà collocato. Du nque F impiegare la propria attenzione. l impiegarla con una certa forza, il dirigerla su di certe idee piuttosto die su di certe altre, F ottenerne F opportuno effetto, consistente nulla chiarezza dell5 aspetto, nella distinzione delle forme e del numero, nell impressione nella memoria, nel collegamento coi segni oc,, sono tutte casi? che rimarranno fuori del potere dell5 uomo. Sarà dunque fuori del potere dell1 uomo Inseguire le operazioni preliminari necessarie alla cognizione del vero, e alF esecuzione del bello e dell'utile. Per consegue^ anche il tessere un buon giudicm su di qualunque oggetto non dipendeva nella sua vera origine, a rigor di diritto, dall5 umana industria. Ove leggeremo dunque le leggi dei giudici] umani? ove trove¬ remo l’ordine e le forzo degl impulsi pr-o moventi F estensione ed i pregressi deiriugeguo? La risposta è fatta dalle riflessioni precedenti, Eccola: In quel Codice stesso, in cui sta scritto il destino generale d ogm uomo. Da uu solo filo, da una sola concole, da quella onnipossente forza. die ud suo ini me uso corso Lrasciua seco la partì tutte del creato, che la succedere i secoli 5 e pad remeggia il destino delle nazioni; in quella invisibile ed immensa catena, dm trae ora volonteroso ed ora costretto l’uomo su certe trac eie, noi dovremo attingere la specie, il numero e la direzione dui motivi regolatori delle opinioni e dei giudicii umani. Così mentre nell* ordine della natura ravvisiamo un sistema unico e vittorioso di economia, dalla forza del quale ugni atto ed ogni pensiero viene sottomesso ad un ordine infallibile, che non viene smentito uè frustralo nemmeno di un atomo, incontriamo una impenetrabile e deusa unite, elle ci asconde la guisa determinata delle leggi di re Linei degli umani pensieri* benché per sè. stessa sia fissa, inalterabile, precisa e necessaria u\ pari del moto degli astri, g Questa rispettiva incertezza, che avvolge all1 occhio nostro e presenta tu LI e le forme e le leggi di quella che appelliamo fortuna^ cinge tutta la serie e la direzione dei motivi dell/ umana attenzione. Quindi so si riguardano per ora sotto di questo generale aspetto, ne deriva clic la cognizione della y eri Là sarà un risultato di una combinazione all’ occhio umanu puramente fortuita. KidoLLe cose le cose a questo punto di vista, benché gli uomini in complesso non errassero giammai, pure siccome ciò non ci consterebbe per un principio certo, universale* costante e conosciuto di ragione nè teorico ne pratico: così per tale ignoranza o incertezza non potremmo avere norma alcuna, onde riguardare t loro giudicii come sicuri intorno a verno genere di cose; e quindi non potremmo giammai apprezzarli come criterio di verità. Questi sarebbero i risultati inevitabili della nuda precedente considerazione. Ma se passiamo a contemplare altri rapporti, allora ci troviamo costretti non solamente ad adottare un sistema di dubbio sulla fallibilità perpetua del giudicii umani, ina inoltre ad inclinare verso una precisa probabilità di fallacia^ e uua copiosa, frequente e costante probabilità di errore. Imperocché è cosa indubitata clic Io stalo delle verità, riguardando la cos LÌ t azione ed i rapporti degli esser], è necessariamente determinato ed unico tanto relativamente alle forme, quanto relativamente alle connessioni, alle successioni, ed àgli effetti loro. Dunque le combinazioni dei veri giudici] riditconsi in ogni caso ad una sola e necessaria. E eco p t ? veli è la vev ì La c, come di cesi, una sola. Ma i a u te sono le combinazioni possibili dei giudicii sulle stesse idee, quante sono le diverse e ombi nazioni possibili delle idee medesime, e quante sonale combinazióni delie combinazioni; le quali cose sono pressoché influite. Dunque havvi un numero pressoché infinito eli errori contro una sola verità, Dunque, ragionando in astrailo sopra un ordine di cose padani tuie j orinilo * e nel quale non si conosca una precisa e Jelarmjtfjgg direzione a condurre sull unica traccia del vero, si deve ammettere uribàjìniia probabilità deir esistenza dell1 errore contro resistenza del vero: cioo a dire, si potrà calcolare che i uomo debba andar soggetto ad un ini mero indefinito di errori in uu dato genere di cose, prima dì avere otte nulo una sola verità. Ma se la cosa è cosi., taluno mi dirupa die varrebbe quel tank' celebrato lume di ragione, raggio della Divinila acceso nellhi mano in Leudimenio-, e dato per guida all uomo no suoi giudicai c nello sue iuipcvso ? Non riuscirebbe egli del lotto vano, e riguardar non si dombb quale spenta face in mezzo al Laberinlo inestricabile degli errori ed alla tempesta delle passioni ? La natura, che non fa nulla diiuulilenò senza di un bue* la natura, che prepara sempre i mezzi proporzionali a coliseguirlo, avrebbe dunque in uu oggetto laolo importante smentite !u leggi di quella provvida economia che ris plaude sovranamente nella minima delle sue Iatture? 0 dunque conviene non lasciare ibi omo in balia d una serio torli l ila di combinazioni quando si accinga a scoprire e giudicare il veroo conviene negargli il dono sublime di cut Topluiono universale lo vuole tornito, e die 1 occhio hlosofico pure scopre convcnieiUe alla sua natura dopo che in lui suppose la perfetlibiliLà. A quest3 ubbie Ito, che una nebbia plausibile di apparenza mviluppa, uon è disagevole cosa il rispondere in una guisa soddisfacenti.;', c che combini e si concili i colle vedute e coi principi! sovra esposti. lì . l'jcr verità, dire die V uomo è dolalo di lume dì ragione non è certamente dire eh3 egli nasca scienziatola qual cosa sarebbe follia; ma beli ai asserire eh egli nasce collo spirito naturalmente gius L o ^ ossia retto. d o 3 Ora, bendi c lutto questo si conceda, si toglie forse che le sopra allegate osservazioni siano vere ? E., In veritàlo .spirito giusto o rotto non crea le idee, né le occasioni delle idee ; non crea Lordine delle cose, no i inolivi dell’ attenzione; ma soltanto discerne la verità quando gli viene presentata, e la di sceme per una legge necessaria della natura delI essere pensante. Ma questa non è una qualità aggiunta, o distinti* da quelle J elle quali in ogni età ed in ogni hìé^o è fornito il nostro spìrito ; uia bensì altro non h, che la capacità di dì scornare e di giudicare gli carrelli tali e quali vengougìi presentati. Così quando giudica erroneamente, egli opera collo stesse leggi, collo quali egli agisce quando giudica con verità.* L’effetto estrinseco soltanto è differente: ma dal canto dello spìrito il giudicio si fa sempre d’ima sola maniera. , Cosi giudicando egli d’uua sola maniera, conserva l7 essenziale sua rettitudine 5 ed errando quando è posto in certe circostanze, prova coll7 orrore stesso cb’ egli à naturalmente ed essenzialmente retto. Infatti quando coglie la verità, ciò avviene perchè a lui sono stali presentali tulli rapporti di un dato oggetto, e lutti gli ha sentiti, ed a norma di quello che ha sentito egli ha pure pronunciato giudicio. Quando poi cade in orrovo, egli ha del pari sentito tutti i rapporti che hanno occupata la sua sensibilità; ed a norma di questo sentimento egli ha deciso. La differenza c derivata dal non essergli stati resi presenti o tutti i fattio tutti i rapporti. o tutti i molivi clic dovevano provocare un retto giudicio. Lo spirito giusto o retto adunque, coni7 ò troppo noto, non predispone. uè può predisporre i dati relativi alla cognizione della verità, jlgli pròpriamente somiglia ad un giudice, d quale ammettendo avanti al suo tribunale chicchessia, senza scelta od eccezione, nonché le coso tutte che si espongono, si domandano e si allegano, pronuncia soltanto sullo cose a lui prodotto. Lev 3a qual cosa, affinché questo spirilo si avvenga nel vero é mestieri che le occasioni e le circostanze offra ng li tutte le condizioni che riescono necessarie al buon discernimento. Dunque le cagioni del pratico giudicio di veulà si risolvono necessariamente sulle cagioni che offrono alla mente umana gl] aspetti, lo connessioni e le derivazioni complete delie cose, eh 7 è quanto dire delle loro circostanze estèrne. Ora 1' ordine, con cui le esterne circostanze agiscono sullo spinto umano, apparisce alla nostra cognizione puramente fortuito, e perciò avvolge in li aiti casi di errore contro una sola verità. Dunque il lume della ragione, ossia lo spirito giusto, non si oppone in nulla alla fallibilità frequentò dei gin dici i umani, foss’ ella anche infinitamente maggiore. Sii questo particolare' adunque resi tranquilli, proseguiamo le ulteriori nostre osserva zio oh Se richiamiamo i doveri logici dell’umano intendimento intorno alla formazione ed all’ uso delle idee generali, veniamo tosto a com¬ prendere quanto numerose, gravi ed estese siano le occasioni dell’errore al di sopra di quelle che avvenir possono intorno a qualsiasi altro soggetto concreto o speciale. Quanti sono i doveri dell’intendimento sopra di mi dato soggetto, altrettanti sono i generi delle contrarie mancanze che vi si possono opporre. Queste mancanze possono derivare da infinite cagioni, e mille maniere diverse possono assumere. Perciò siccome la buona logica delle idee generali è assai più complessa e delicata di quella delle altre idee, ed esige mol tiplici e circospette avvertenze, come si è già veduto, cosl gli errori che vi si possono intrudere sono per infinite mauiere assai maggiori di quelli che accader possono intorno alle altre classi di cognizioni. 359. INon e necessario eh io entri in una lunga e specifica enumerazione di siffatti casi; poiché si scorge tosto che dalla loro prima formazione, la quale e opera dell umana industria, dalla loro apparenza languida e indeterminata assai più che quella delle sensazioni, perchè risulta dalla memoria e dalle astrazioni, passando alle classificazioni, alle moltiplici avvertenze su diversi loro punti di vista, alla dilicata loro economia, fino a che si giunga al loro uso, non solamente le cadute nell’errore si possono moltiplicare all’infinito, ma riescono assai più facili, e soventi volte pressoché inevitabili. Ciò si verifica anche prescindendo dal supposto, che la serie delle idee sia o no l’effetto di una fortuita combinazione di occasioni, perchè nasce dalla natura stessa di siffatte idee. Per la qual cosa siccome per esse sole noi ragioniamo, per esse sole noi godiamo dell intelligenza, per esse sole propriamente gli uomini ed il Pubblico giudicano dei fenomeni e dei rapporti sì fisici che morali.' così dove più importava allo spirito umano di andar sicuro dai falli e dai vizii, ivi appunto infinitamente più grave, più frequente, più nociva e più estesa incombe la probabilità d’incontrare la rea potenza dell’errore, purché si supponga che il retto giudicio della specie umana in qualunque tempo ed in qualunque luogo derivi propriamente da cagioni puramente accidentali. 361. Nella Sezione precedente ho offerto un breve saggio della scienza dei diritti e dei doveri dell’attenzione, fu questa ho incominciato a tessere la storia naturale di fatto dell’indole e della condotta generale di lei in tutti i tempi ed in tutti i luoghi, attese le cagioni universali che la dirigono. Per la qual cosa se paragoniamo quello che gli intendimenti fanno con quello che far dovrebbero, noi troviamo frapporsi assai più di distanza e di opposizione fra il diritto ed il fatto intellettuale, che fra il diritto ed il fatto morale. Gli uomini per legge universale hanno propensione a riescire infinitamente più ingiusti o colpevoli, per dir così, in linea di giudici i, che in linea di azioni morali. Il fin qui detto si verifica nella supposizione di un corso fortuito e vago di circostanze non soggetto a verun ordine fisso e determinato. Ma questa supposizione, applicata al fatto reale, non si verifica in alcuna maniera. L’incertezza versatile e casuale degli avvenimenti che influiscono sull’ economia dell’ attenzione da noi supposta, non risulta che dalla pura nostra maniera di contemplare l’ordine delle circostanze operanti sull’umano intendimento. Questa maniera o deriva dall’ignoranza nostra, prodotta dall’ impotenza di penetrare lo stato intimo delle cose, e di abbracciare la catena immensa delle cagioni tutte fisiche e morali che influiscono sul corso delle nostre idee e delle nostre azioni; e in tal caso ciò non cangia per niente lo stato delle circostanze, com’egli è in sè stesso. Ond’è, che potendo essere fisso, sicuro, e fors’ anche tendente a guidare P intendimento umano alla verità, sarebbe un cattivo raziocinio il fare illazione dal tenore delle nostre idee allo stato reale delle cose. 0 la maniera anzidelta di riguardare le cagioni influenti sul1 economia dell’attenzione risulta da una mera considerazione astratta e assai generale, in cui si prescinda da altre notizie di fatto più speciali, per altro cognite; ed allora volendo ragionare (senza assumerle in una precisa considerazione) del fatto reale delle leggi direttrici dell’attenzione umana, si cade nel grande e perniciosissimo vizio di cui abbiamo fatto parola là dove offrimmo un saggio della logica riguardante le idee generali. Ed anche in questo caso un tal modo di riguardare gli oggetti non solo non toglie niente alla situazione loro reale, ma invece reca in se stesso un formale difetto ed un erroneo modo di pensare. Ora per appressarci al fatto, egli è innegabile che se l’ordine della verità è fisso e determinato, è pur anche fisso e determinato lo gog slato e r ardine ili successione delle circostanze fra le quali gli nomini si ritrovano. Ciò non è Lutto, Dobbiamo ritenere: 1.°che noi parli amo del Pubblico, 0 perciò d’una moltitudine dWinioi viventi In society: cbe noi parliamo di un Pubblico die può esser giudice o buono o cattivo di verità e però dobbiamo supporre una società d* no ni ini in un’epoca dì ragionevolezza c d’ in civili mento, c di moderata celiava; 3,°che dobbiamo contemplare questo Pubblico iti quanto reca un giudi ciò comune al maggior numero degli individui clic Io compongono; che dobbiamo calcolare quelle circostanze operanti in Lutti i tempi. In tulli i luoghi di in tutte le materie, od almeno su certe materie Dunque dobbiamo indagare* prendere di mira e valutare quelle cagioni, le quali uni versai melile c costantemente sono valevoli a determinare c a dirigere le cognizioni e 1 attenzione di una società incivilita d’uomini* ondo rilevare se esse siano tali da guidare universalmente e costantemente le menti umane sulle v?già segnate del cero* e nella guisa che il vero di natura sua richiede dah F umano intendimento in ogni tempo,, in ogui luogo* e su qualunque materia. 360. Siccome però la natura dell’ uomo non cangia* nò per conseguenza cangiar possono le qualità naturali dell’ attenzione* così quella necessaria inerzia fisico-morale, preponderante su I fai ti vi là del potere alti vo* le altre leggi essenziali all’indole di lei, c la procedenza proporzionata dogli effetti dell1, umano ingegno, noti cangieranno giammai: tnlche sempre ed in ogui luogo e su qualunque oggetto affermare sì dovrà come assioma evidente, che poste le occasioni delle cognizioni, ogni eh ietto dell’attenzione umana, e perciò ogni operazione e giudicio che ne deriva, sia un risultalo derivante in ragion composta ch'ila forza resistente dell’ inerzia fisico-morale, c della forza comunicala ffalPattivila altee dente della mente umana. rùLenule così le condizioni del supposto* sul quale aggirarsi debbono le nostre considerazioni, veggi amo primieramente quali siano le generali circostanze sociali apportatrici dei lumi, c quali le contingenze somministranti i motivi dell’ alte azione, e quale forza e direzione da queste contingenze venga comunicata a siffatti motivi; e fiuabìieuie quali siano gli effetti i quali, combinando tutte queste forze coll indole e colle altre leggi dell’umana intelligenza, derivar ne possono iti tutti i tempi, iu tutti i luoghi, e su qualunque oggetto* In tal guisa emergerà U chiara soluzione pratica del gran problema propostoci ad esaminarli = che cosa gli nomini, o dirò meglio il Pubblico possa dal cauto suo eoa-Iribuire 5 onde conoscere la verità; e si dedurrà, mercè una evidente dimostrazione 5 se quei giudicii di lui, che si aggirano su oggetti complessi di riflessione 5 possano essere giammai criterio di verità. Quali possono essere in società le costanti e generali cagioni dell’ istruzione umana ? Aspetto della ricerca presente. Dobbiamo primieramente indagare se nello stato delle società incivilite esistano circostanze valevoli ad apportare retta istruzione alla massa intera degli individui che le compongono; e nel caso quali siano tali circostanze. Certamente esse risultar dovrebbero dalle parti tutte della società, e da quei rapporti che ingerir possono idee, giudicii e lumi agli uomini. Per la qual cosa, siccome nelle associazioni incivilite e colte, oltre alla natura fisica delle cose, si riscontra la famiglia, l’unione totale degli uomini coi quali si vive, le leggi, il corpo del governo, la religione e i ministri di lei, le relazioni colle altre società; le quali sono tutte cose, d’onde derivar possono materiali ed occasioni di lumi. Così esse riguardare si possono come altrettanti istruttori per ogni individuo che compone la colleganza. Il ricevere tali cognizioni io lo appello venire educato nello spirito. Quindi se da siffatte cose egli riceve cognizioni, riguardar si debbe come educazione intellettuale la trasmissione dei lumi che d’esse deriva. Perlochè è mestieri distinguere: 1. ° Un’educazione naturale, la quale comprende anche V accidentale concorso di quelle circostanze speciali, le quali talvolta eccitano uel1 uomo inaspettate connessioni, e le quali, ben ravvisate ed apprezzate, dimostrano che l’impero del V accidente sulle deduzioni e sulle scoperte umane anche intellettuali è forse più esteso di quello che comunemente si possa pensare. Si distingue inoltre l’educazione domestica, la quale abbraccia quella che ricevesi dalle nutrici, dai parenti, dai compagni e dagli amici, che formano la domestica società: dai maestri, che dirigono gli studii e la condotta della prima età} e iu parte anche dalle letture nostre^ vale a dire da quelle che dalla famiglia ci vengono prescritte. Dopo ciò viene l’educazione sociale, la quale risulta da quella indeterminata serie d’infiniti incidenti che ci si presentano nel vario commercio cogli individui componenti la città o la nazione nostra. Si passa quindi a ravvisare l’educazione politica, che in noi deriva non solo dai lumi emanati dalla legislazione e dagli stabilimenti fissali alP istruzione relativa, ma eziandio dalla direzione degli interessi comunicata dalla costituzione e dairammiuistrazione del governo, dal possente esempio, dalla distribuzione dei premii e delle pene, dalle decisioni civili, e da cento altre circostanze che agiscono e reagiscono sull’opinione degli uomini componenti uno Stato. Si scorge pure esistere uu’educazione religiosa, la quale abbraccia non solo tutti i dogmi sulla natura e sulla provvidenza della Divinità, ma eziandio tutte le dottrine appartenenti al culto, alla morale interna ed esterna, al riguardo dovuto a’ suoi miuistri, e ad infinite pratiche cui l’umana istituzione può aggiungere, onde conservarne, rinforzarne ed estenderne i sentimenti. Le quali cognizioni noi riceviamo indistintamente dalla famiglia, dalla società, dai ministri della religione, dalle letture, dalle leggi, ec. 6. ° Finalmente si aggiunge pur anche Peducazioue straniera, in noi effettuata dal commercio colle altre nazioni o mercè i viaggi latti dagli individui scambievolmente presso delle une e delle altre, dalla comunicazione delle produzioni delle opere d’ingegno e dell’arte, dalle relazioni delle loro gesta, degli usi, delle maniere, degli interessi, ec. Tutte queste forze, tutte queste guise d’istruzione in fatto pratico non agiscono separatamente o successivamente, ma bensì per lo più collettivamente, ed a vicenda ripetono e ripigliano la loro azione: talché in buona fdosofìa di fatto conviene necessariamente conchiudere, che in generale Peducazione umana nelle colte società sia inevitabilmente un risultato derivante in ragion composta dal concorso di tutte le ricordale circostanze accoppiate a quelle del temperamento individuale. Per la qual cosa si scorge quanto il più perfetto sistema di educazione domestica, eseguito colla più completa diligenza ed avveduta sagacità, debba riuscire frustraneo senza il concorso armonico e sistematico di tutto il complesso delle altre suddette circostanze, le quali, come l’esperienza il comprova, hanno sì alto predominio sullo spirito e sul cuore degli uomini. Quello però che più specialmente giova osservare nel proposito presente si è, che l’esistenza e l’influsso di certe speciali e private cagioni valevoli a guidare gli individui al retto pensare o a trarli in errore, e delle quali più accuratamente sembrano essersi occupati i precettori dell’arte di pensare, non vengono qui da noi assunte in considerazione; essendo noi guidali dall’indole delle attuali ricerche a contemplare quelle sole che agiscono sulla maniera comune delle nazioni, poiché ragioii in mo del Pubblico. Quindi noia arrestai! Jori ur .sulle diversità indlv ideali di temperarne alo s uà sullo accidentali in fermi tu fisiche o perni arifinfi o pa$S*ggicr abuso n e3 Yordin ? didb materie, e nel n ic i o do il bp pi ic are a. u che in ogni singolare oggetto; il," abuso uel conchittderQ e nel trarre ì risultati. E per verità, pressato dall" azione composta della curiosi Là e dell inerzia, egli si rivolgerà bensì alle scienze : ma fra molte offertegli si appiglierà a quelle dulie quali a preferenza potrà sperare maggior dih-Llo: oppure se successivamente ve n gang li prèse li Late, le rigetterà lino a die tuia ne ritrovi adatta al suo gusto. E non contento di una sola, die soverchiamente prolungata in lui produrrebbe noja o stanchezza, si apprgliera. ad altre senz altra ragione die di soddisfare sempre al suo dòsideno col minimo di fatica* la Ira queste avranno sempre la preferenza quelle che saranno animate dal prestigio della novità 5 o dall’ idoleggiamento vago della fantasia. 5 399. berciò Lene spesso accadrà cintigli mollassi a ricerche te quali saranno per avventura o del tutlo inutili per se e per li suoi simili, o talvolta eziandio del tutto nocive; o di un esito assolutamente impossibile allo spirito umano, perchè eccedono le forze e i limiti dell’intendere suo naturale; o di un esito impossibile relativamente, perchè io spirito nou apparecchiò preventivamente le condizioni e le notizie necessarie onde trarne solido profitto. E tutto questo non è egli abusare dell’attenzione nella scelta degli oggetti? Io credo d’essere in diritto di riguardare come un abuso nella scelta degli studii nostri l’applicarsi a cose inutili, di cognizione impossibile, ed assai più a cognizioni nocive a qualunque oggetto del benessere umano. Infatti se, come ho accennato, il principio animatore e fecondante del mondo scientifico è l’interesse ben inteso, cioè a dire l’amore della felicità; se questo motore è comune anche al mondo morale, talché l’uomo pensa per quegli stessi impulsi pei quali agisce: è pur certo altresì, che lo scopo dev’essere perfettamente lo stesso, vale a dire la maggiore nostra attuale e futura felicità. E perciò tutto quello che uelle arti, nei costumi, nelle fantasie può contribuire a procacciarci il bene e ad allontanare il male, si dovrà riguardare come vero oggetto dell’attenzione nostra, ed altresì come unico oggetto di lei. Imperocché in una vita così breve, qual’ è quella dell’uomo, e in quella iufinitamenle più breve la quale è propria della ragione, nou si La spazio a deviare dalle numerose cognizioni o necessarie o utili al benessere nostro, e dal lungo studio richiesto ad apprenderle a segno di esserne veramente conoscitori. Io non m’arresterò ulteriormente a dimostrare questa verità, dopo quello che ne ha detto Bacone nella sua Logica, da lui appellata Nuovo organo delle scienze . Ilo detto in secondo luogo, che un indeterminato amore delle scienze, per cui l’uomo prediliga fortemente, almeno per un tempo proporzionato, quella scienza a cui si applica; e tanto più la prediliga, quanto e più vasta e difficile; sovente non lo guarderà da una mala condotta nell ordine delie idee benché utili, e da un cattivo regime nel contegno dell attenzione. Infatti se noi pensiamo quanto quest’ ordine sia necessario, si per conoscere i rapporti delle idee, che per ritenerle ed usarne con profitto; noi sentiamo ch’egli è uno dei primarii doveri intellettuali. Ma se osserviamo in fatto pratico che quest’ ordine deve da una parte angustiare 1 intemperanza mentale, figlia dell’ingenito amor del piacere di aver molte e variate idee nello stesso tempo per gustarne altrettanti piaceri; c deve dall’altra assoggettare l’uomo ad uua forte, prolungata e coliegaia fatica-, a cui ripugna la naturale inerzia: noi troveremo, anzi dovremo aspettarci. Dell’ipotesi sopra immaginata, di vedere l’uomoo abbandonare dopo un certo tratto di tempo la fatica intrapresa, ed applicarsi ad un altro genere di scienza, e così dividere l’ attenzione, cui era necessario tenere senza interruzione occupata sullo stesso oggetto; o se pure proseguirà in essa per qualche estrinseco motivo, egli non vi presterà che una leggiera attenzione, ad intervalli soltanto, o in una guisa disordinata. Da tutto ciò emergerà l’abuso nel conchiudere lo studio delle scienze, e nel trarne i risultali. E per verità, che cosa si potrà mai prevedere ch’esca da siffatte disordinale o malamente scelte occupazioni, se non nozioui inutili, ed anco pericolose, da chi male trascelse gli oggetti delle sue riilessioni? se non idee confuse, dottrine imperfette, e spesso connessioni precipitate ed erronee in tutti coloro che non serbarono l’ordine, e non impiegarono il tempo necessario ad imbeversi perfettamente di una scienza ? Da tutto ciò si deduce che, in forza delle leggi naturali dello spirito umano, a fine di approfittare dell’ istruzione non basta che esista una disposizione favorevole delle facoltà dal canto dell’uomo: non basta che esista un vago interesse a prò delle scienze: ma inoltre è d’uopo ch’egli sia tale da eccitarci, e legarci fortemente e lungamente su di un oggetto, fino a che ne abbiamo ben percorse tutte le parti, e ritenutine i risultali per via di convincente dimostrazione. Io convengo che possono esistere, come esistono, eccezioni; ma per ciò stesso che sono eccezioni, non entrano nei nostri calcoli attuali, in cui dobbiamo soltanto valutare le cagioni comuni. D’altronde esse veramente formano un’altra ipotesi. Questa e le altre sopra ricordate tre condizioni sono quello che precipuamente rendonsi necessarie ad un Pubblico, ond’ essere soltanto istruito da altri, ed esserlo come richiede la verità e la natura umana. Ora veggiamo se il Pubblico possa essere in pratica a ciò incamminalo. Riscontro delle condizioni necessarie all' istruzione scientifica colla pratica possibile del Pubblico . II supporre un Pubblico, gl’individui del quale in ogni materia s’interessino talmente da reggere coH’atleuzioue al corso intero delle parti che sono necessarie ad esaminarsi oude saperle cose per dimostrazione: che vincano gli ostacoli interni cd esterni, i quali s’ attraversano ai progressi d’ogui ingegno onde interessarsi per le scienze: che siano dottili sii una tale perfezione di facoltà da sostenere un attenzione penosa e ]uùga^ quale richiedevi eli* apprendere le cognizioni, e segnatamente Jt; più utili, le quali sono per sè stesse assai vaste e complicate, che possano essere giudiziosi nella scélta, ordinali nella distribuzione dello materie. melodici nell1 esaminare le parla successive di ognuna, esalti md coglierne e ri Le nera e tutti L risultali: condizioni tutte, le quali, come abbiamo veduto, sono esclusivamentenecessarie all1 efficace e completa istruzione: ella è questa una combinazione talmente singolare, unica, e rara- che nel calcolo delle circostanze dì fattosi dove computare come una mera eccezione. Chiunque mediocremente avverta sul T esperienza Io vede colla maggiore chiarezza. Articolo I. Delle condizioni necessarie affinchè un Pubblico possa essere passivamele istm ito in pratica su di un genere ceciate di cauzioni. Prima condizione: riduzione detta idee del genio atta misura comune di concepire, Ripugnanza del genio a questa riduzione ; ostacolo alta pronta propagazione delle véri ho ^ 406. E per verità conviene supporre primieramente almeno resistenza di un genio che abbia recato al massimo segno di perfezione quella scienza, intorno alla quale gl7 individui della società si debbono istruire; altrimenti il Pubblico sarebbe tuttavia avvolto non solo nella scienza imperfetta, ma spesso eziandio negli errori, come si è veduto. Nè precisa menti:: fissar si potrebbe l'època in cui egli ne potrebbe uscire, essendo abbandonato lo spirito umano alle vicende dei pregiudizi! per un tempo indefinito 5 e che non si può misurare. Imperocché ò innegabile che Lulle le invenzioni ole scoperte delle verità dipendono in prima ed efficace origine dall' accidente ; ed avanti di esse non si può da vermi noni o con sicura fiducia giudicare ili nulla. Ora per ciò appunto che si deve far caso dell accidente^ dobbiamo supporre 1 avvenimento di nu numero non calcolabile di errore Ciò non è lutto. Alla praticabile istruzione non basta solamente che il u o o più uomini di genio abbiano uff étto lo stato intero di una scienza; non basta che abbiano esposti i risultati delle loro meditazioni; ma è mestieri inoltro clic Ir scoperte loro vengano corródale dalla più minuta ed analitica dima strazi cui e, senza la quale uno spirito comune, ancora straniero a quella scienza, non saprebbe salire all’ altezza dei risultali ai quali la forza dollà meditazióne elevò la mente scopri! vice. Di tutto ricerchi: su lla validità1 Dia giudichi, eg ciò abbiamo gta la Lio parola. Ora questo stesso qua alo dev'essere raro aJ in con trarsi ! Spiati la latti gli uomini dì geirio dalla vivace celerilà di pensare propria d’nu cervello ben temprato, c per lunga meditarono akh Dialo celle materie sulle quali occupassi' avvezzi a ve dii Le estese * disiiule dei rapporti delle cose ; e dall1 astratto passando eoo vasto e rapido volo al concreto^ e dui concreto all astratto, senza bisogno di fare lenta pausa sulle idee intermedie die coti giungo no gli estremi da essi veduti d una sola occhiala : mal saprebbero piegarsi, e quasi direi condannarsi ad inceppare ed a trascinare a ripetute pause l’aUca/.iouc su di ognuno dei piccoli gradi necessari] a produrre l 'evidenza nel limitatissimo ed ancora ignorante spirito altrui. Robusto ed alto giovane avvezzo al corso. ', che risento i moti di fervido elettricismo, non dura egli fatica a guidare per mauo il debile fanciullo, ed a rallentare e restringere i passi suoi? Questa pena riesce doppiamente insopportabile all'uomo di genio ; si perchè angustiando sommamente la espansiva sua forza, si oppone all'abito eh* egli contrasse di percorrere velocemente moki estremi; e si perché bramoso di passare a nuove vedute (per quel bisogno che risente og li i intendimento attivo e bramoso di pascolo, soddisfatto dalle precedenti ricerche), troverebbe nella minuta istruzione una fatica cernirò !' indole sua, senza una intrinseca ricompensa, ed anzi una fatica di effetto per lui totalmente molesto, lo prescindo da un altro sentimento spesso aggiunto dalla vanità, il quale è il desiderio di far sentire la propria superiorità. Ora che I uomo di gemo generai mente agisca contro tonti impulsi* contro ÌI suo stesso modo naturale, è ella cosa verosimile in natura ? o non anzi il contrario de veri calcolare per regola certa ed ordinaria? Qui I' esame di alcune delie rare produzioni dei più celebri uomini potrebbe giovare alla co a fermasi ione delbasserrioo mia. Ma io lo om metto, come cosa che ogni dotto leggitore conosce di lunga mauci. e che d’altronde non è rigorosamente necessaria. Che se taluno si ritrovasse, il quale dopo le fatte scoperte, pel desiderio d essere utile a1 suoi slmili, scegli esse pure con tanto suo sacrificio di assoggettarsi ad una cura si minuta, e per lui quasi mecca Luca; questi sarebbe certame uto un vero eroe scientifico^ c riguardar si dovrebbe conio una eccezione assai più rara del genio stesso. D'altronde forse ciò non sarebbe utile ai progressi dello spirito umano, mentre quell attività e quel tempo ch'egli impiegasse a sminuzzare io sue dottrine poti ebbe meglio rivolgersi ad allargare l confini delle sue scoperto. Non contemplando pertanto ulteriormente questi singolarissimi casi, noi invece dovremo supporre per regola ordinaria, che il ridurre le opere del genio alla comune capacità sia opera di altri ingegni ausiliari! e subalterni, come dilfalti sempre avviene. Scorgesi adunque essere necessario per regola generale di natura, onde un Pubblico possa approfittare delle invenzioni del genio, che esistano siffatti ingegni, i quali suppliscano agl’ intervalli delle idee intermedie lasciati da quello: ne rischiarino, sviluppino, commentino i profondi pensieri, e li proporzionino alla comune veduta. Ma quante condizioni ancora si ricercano affinchè questi ingegni ausiliarii possano rivolgere lo sguardo all’apparire delle scoperte, interessarsi per esse, ed assumerne lo studio! quante poi per propagarle ed estenderle al maggior numero dei membri di una società! e quanti osta¬ coli conviene ancora superare! Frattanto l’impero della prevenzione e della scienza imperfetta si prolunga ancora per un tempo indefinito. E per verità non basta che il genio risplenda di una nuova luce per essere preso di mira; uon basta solamente che una scienza sia stata scoperta, o aumentata di nuove dottrine, perchè venga coltivala anche dal Pubblico. Vi si ricerca di più: è necessario un motivo che attragga l’attenzione comune ad istruirsene, e una occasione propizia che ne inspiri l’interesse. Questa precipuamente si verifica solo quando la comune stima, nata dal pubblico bisogno o reale o fattizio, o da un certo spirito di sazietà delle altre precedenti cognizioni, attiri l’attenzione di molti a coltivarla. Gratuitamente non si assume mai fatica alcuna dall’ uomo. Quindi affinchè uu Pubblico simile a quello che qui immaginiamo, il quale in sostanza è situato come una repubblica letteraria, potesse senza ritardo approfittare delle scoperte del genio, converrebbe che si trovasse in un momento in cui il genere delle scoperte del genio stesso coincidesse con quello sul quale il Pubblico si trovasse attualmente occupato. Lo spirito di moda diverrebbe così utile alla cognizione. Fuori di questo punto di coincidenza sono inopportuni, benché maravigliosi ed utili, i lumi del genio; nè di loro il Pubblico fa pregio, come di cosa d’un geuere o scaduto di stima, o che non è attualmente in ricerca. A fine di sentire colla dovuta estensione questa legge naturale di fatto dell umana istruzione non ci dipartiamo giammai dal contemplare la maniera semplice, unica e primitiva con cui si muove il mondo morale; voglio dire, in ragione composta del bisogno del piacere, e della tendenza all’inazione. Ma siccome questa legge, inerente all’uomo in tutte le situazioni.per sè stessa noa determina specialmente effetto alcuno: cosi conviene di mano in mano vestirla delle sue determinanti circostanze di fatto. Qui è mestieri calcolarne Fazione, meulre che si considera lo stato necessario delle facoltà umane, ed i successivi gradi di sviluppo intellettuale delle nazioni e delle vicende del gusto, ed in breve tutti quc’ periodi nei quali, sia originalmente, sia dopo le scoperte fatte, si effettua la gran legge dell’ umana perfettibilità. Articolo II. Necessità della coincidenza delle scoperte del genio col genere attuale delle occupazioni del Pubblico, prima condizione a propagare senza ritardo la verità. Se contemplo lo stato delle attuali società, io trovo che il bisogno dell’ istruzione, considerato o come suggerimento delPamor proprio onde sgombrare la noja, o come mezzo nelle popolazioni incivilite d’essere utile a sè o aggradevole ad altri, e quindi occasione a sè stesso o di ricompensa o di gloria; questo bisogno, dico, è uno stimolo, mercè il quale molti individui si applicarono dapprima alle scienze; e dopo, falli genitori, vi avvezzarono i proprii figli, o vi furono anche spinti dalla pubblica autorità o dai privati stabilimenti. Ma questa situazione, tal quale in oggi la veggiamo, è un fenomeno morale, il quale presuppone la esistenza e la compostissima azione di un numero vario di possenti, durevoli ed universali cagioni, le quali agirono nelle diverse generazioni trascorse; e favorite anche dalle casuali combinazioni, collocarono le società nello stato dell’ intellettuale e morale raffinamento in cui ora si trovano. Ad ometto di ben calcolare tutte le circostanze e gli effetti di queste lente e proficue rivoluzioni del mondo morale, è mestieri distinguere e ben apprezzare due epoche; la prima delle quali riguarda le invenzioni.; e la seconda la semplice istruzione intorno alle cose ritrovate. 419. La prima abbraccia tutto quel tratto di tempo che dall infanzia delle società si estende fino all’ età della loro ragione, quando mercè i soccorsi tratti dal proprio fondo, dopo reiterati tentativi ripetuti nel lungo corso dei secoli, o per opera di qualche straniera società, o di un privato in cui un concorso felice di circostanze affrettò lo sviluppo dello spirito, o almeno allontanò gli ostacoli, le più rozze popolazioni vengono fornite d’ogni genere di lumi onde conoscere i rapporti del mondo fisico e del mondo morale. In tal caso non rimane ad una siffatta popolazione sa:ì i:\iq la scelta fr a 1 Tarli rami dello wcilji!e3 por istruii ai quindi in ognuno. Ora questa svelta ralteri di quell epoca ebe rechiamo sotto al nostro sguardo, onde esaminarla nei rapporti dell' istruzione e della moralità. 4 30. la da notarsi però nell’ ordine della natura la suprema ed universale legge della continuità- direttrice delle forze dell’ amor propri» e dell inerzia, le quali producono sempre un effetto, ove siavi il minim di forza attiva. Mercè una Lai legge nei progressi del mondo morale niente si fa per salto, ma il tutto lo una .successione più o meno Ionia di gradazioni fedelmente osservate; e ciò forse per la intima relazione e connessione che l’uomo, essere misto*, ha per la sua parte fisica e oli* universa materiale. Attesa una tal legge non si debbono considerare queste epoche come IraLli distinti e staccati l’uno dall’ altro, e come situazioni le cui grandi diversità si possano verificare, soppressi tutù i passaggi_lbu belisi d’uopo contemplarle come progressioni di cangiamenti gradatamente eseguiti per una insensibile e sempre aumentata forza o frequenza d'impulsi eccitanti fumana attivila, e rattemperati in proporzione della forza d’inerzia; ai quali corrispondono poi altrettante successive gradazio oi ili effetti. Se la mente del contemplatore divido in certi spazi! distilli1 tutta la progressione continuata, e per is f li maIe gradazioni di r ò ce sì prò1 ungala; ciu fa al solo fine ili agevolare la cognizione e Tesarne delle pili contraddistinte situazioni . Io quali a certi intervalli diventano visibili^ diversissime dalle antecedenti; non altrimenti clic nel molo lentissimo deli Indice delle ore di un orinolo non si può contrassegnare gli spasa percorsi se non dopo certi intervalli, benché i progressi siano senza interruzione continuati. Per la qual Cosa, mentre consideriamo nello stato delle nazioni l’epoca doIT Immagina zio ne, dobbiamo ritenere che ila una parte eliaci va a perdere per gradi hi se usi bili dentro la sfera della piu diretta ed organica sensibilità, e dall’altra si confonde coITnurora della ragionevole^ temperala. Ciò avviene pure ad ogni individuo nella società (vedi la noia all1 articolo precedente), Si può dire in certo senso, clic la ragione comincia lino dalla prima Impressione delia nascita: poi clic tutto si opera mercè una catena dì cagioni Ida ciò ai può vedere la ragione di quanto coll autorità dì Bacone abbiamo già sopra accmiuato iu Ionio a 1 latta 0 catti è u lo die molti individui delle culto socleLà hanno per varie opinioni, le quali danno pascolo alta fantasia ; poiché anclie nelle cube società Rincontrano parecchi, i quali sono allo sLesso grado di Umn delle nazioni dominate dalla immaginazione. Inoltre con liiui fantasia si 1 ultamente agitata, e ripiana deifi impero di potenze or benefiche ed ora malefiche ^ nell ignoranza delle loro indili azioni 5 della estensione delti:1 loro forze e del tenore del loro dominio, la. quale lascia un campi? Infinito a fingersi ogni specie di mali, non altrimenti che un timido fanciullo, piena la incuto della credenza degli spettri e d’ immaginari! pericoli, si finge mille spaventose figure e timori al fi aspe Ito delle tenebre: come mai una società non sara compresa dai più violenti, più frequenti e più irragionevoli terrori. Quindi la religione dovrà avvolgersi ira tutte le tenebre, tutti S capricci e ì delirii della superstizione ^ c spesso del più ardente e feroce entusiasmo* Tremando, e venerando ogni appare ut e indìzio dell in flueuza della Divinità, il quale una fan Li sia rozza ed esaltata fa sempre ravvisare in ogni fenomeno die sembri alquanto straordinari a. o nel qua Irsi supponga qualche connessione eolia Divinità medesima, è ben cosa naturale die una popolazione prestar debba cieca fede alle Bilie, alle Sibille, agii oracoli di ogni maniera, alle predizioni, al pretesi predigli, spésso abusare dei dogmi della vita futura. Quindi gli augurii, le divinazioni, le aruspiciuc, i sacrifica di ogni genereanche fercidj se si sospettano grati alla DivinilaQuindi per ima guisa troppo maturale di coki porre le Idue In ima maniera analoga allo stato dello spirito, quale lo abbiamo ravvisato in questa epoca», tuta nazione noi: sapra ini marmarsi altra Divinità che uno o più esseri soggetti a tutte io passioni deli* uomo, c dotati di un potere sterminato:, e» quel eli’ è peggio, la rivestiranno ili Lulle le passioni anche più sregolate, meta* Ire m tal epoca, come tosto vedrà ssi, non esiste altra nozione di giusiizia» ne altra morale, die quella delle passioni monlioatc della forza, Impastata cosi la Divinità d’un aggregato dei più assurdi attributi, datolo un impero ed una provvidenza a norma anche del vario genio dei popoli ed a norma del clima stesso, ora si farà intervenire negl* affavi umani, si esigeranno da lei prodìgi], s* inventeranno le prove giuridiche, si farà pieghevole ai doni, vendicativa, parziale, sangui uam. e s inventeranno anche stravaganze feroci per placarla: e ora stimmaginerà neghittosa, ora voluttuosa » ora guerriera, ora astuta., c fin antri ghiotta c vorace ; e a norma del genio a lei attribuito si dirigeranno pim: gli uomini nel loro culto. Dal fin qui detto pertanto si rileva quanto la nascita del poli-teismo sia naturale agli nomini ed alle sassoni nell’epoca ni cui le contempliamo, senza che abbisognino d’ereditarne l’idee Jr ime dall’altre: e si deduce altresì la chiara a generale origine dì Dilli e sì stra vagan li 'culti) dei quali è piena la storia della Specie umana. Por una legge poi troppo naturale al cuore umano, e spesso inavvertita, di spandere lo ai fez ioni nostre dal soggetto principale die cc lo inspira sovra tutto ciò che con lui ci sembra avere relazione: ai druKfai lama* ai profeti, agli auguri, al divinatori, ed a tutte in line le persane giudicate soggette in qualche guisa all* Influsso o ài comandi o al culle delle pretese potenze superiori, si estenderà parte della venerazione professata per le potenze stesse collo quali si supporrai! no in relazione. Sì temerà persino d’ incontrare l’ira coleste, se sì ardisse dì dubitare ^ loro carattere: e si riguarderanno perciò come un ordine superiore ed inviolabile di esseri, sì seguirà uno i loro impulsi, sì iddìi dirà ai loro comandi, si ricorrerà ad essi come ad intercessori fra làn min e le superiori intelligenze, sì consulteranno nelle sventure, $’ imploreranno i loro consigli negli affari, e sovente si affiderà lóro il destino politico dulie popolazioni. Lcco i impero teocratico ; ecco la universale crednliOt rinforzata dai più temuti e più reverendi vincoli, mercè la quale intuiti boni ed inImiti mali si possono preparare, produrre, perpetuare in un popolo. Se un Z oro astro, un Minosse, un Licurgo, im Salone, un IN urna, un May* cu-capac, un Confucio vivono allora nel di lei seno, lei felice; ma se vi esistono solo valgavi druidi, lama, bonzi, muftì oc., in tal caso per serie indefinita di secoli f se pure la commista d’ mi popolo straniero doti vi si frapponi) la sorta della nazione sarà di bruteggiare ncIL ignoranza, di tremare ira le angoscio delta superstizione, e di gemere sotto il peso del des poliamo. In tale situazione questa congrega di fanatici, d5 impostori, di ambiziosi, di malvagi, come non avrà il più forte e durevole interesse di perpetuare il proprio impero, perpetuando nei popoli quell' ilIasione sulla quale è fondalo ì Come nou daranno estrema importanza al rispetto verso il loro ceto, al bendimi resi alle loro persone: e per Io contrario pretenderanno gravissime colpe le trasgressioni e la uoncurauyjq non senza l’artificio d’essere ad un tempo stesso rilassali uri più importanti doveri della morate? Dà questo tenore sarà in quest’epoca (come la storia di Lutti i paesi ce lo prova) la religione delle più rozzo società, Vi 4, Da questo solo si potrebbe agevolmente prevedere quale esser possa lo stato della monde e della legislazione^ la quale non è in sostanza die la morale stessa m unita di sanzioni umane, avvalorala cogl’ in li ressi politici, colle abitudini, colle precauzioni, e colla forza unita. LìuIlton ha osservato giudiziosamente, che e ove la religione è imperfetta, ivi la politica società e tutte le leggi deggiono essere del pari imperfette. La religione altro non è che ima sublime filosofa, uè ver un uomo potrebbe vantarsi d’essere eccellente nelle scienze politiche, se prima la sua mento non fosse rischiarata cd ampliala dalle istituzióni della teologia; imperocché un errore di religione trae mai sempre seco il guasto nelle leggi, (Storia d Inghilterra) Ma senza ciò, consultando i lumi della ragione c i fatti della storia, troviamo elio in quest’epoca 1’ uomo viola i più importanti doveri della morale socievole, per quella stessa ragione fondamentale per cui nel l’epoca antecedente, limitato ai primitivi bisogni, uon Ei poteva pressoché mai uè praticare, uè trasgredire. P rosegli imenla deli1 darne della seconda età della società relativamente all* istruzione umana* Della mortile delle nazioni. Sono costretto ad arrestarmi sul proposito della morale delle nazioni m quest’epoca più ch’io uou vorrei, e abbandonalo per un momento bordine progressivo delle presenti osservazioni, debbo salire più alio al principii teoretici rii filosofia- onde schiarire e convalidare ed estendere i risultati derivanti dal [Esperie p?.a delle nazioni. A ciò vengo astretto non lauto dall importanza dell argomento, e dalla sua affinità a queste ricerche ? in quanto egli formi una delle materie sulle quali cade più spesso il giudicio del pubblico, ma eziandio perchè non essendo in molli peranche spento il pregiudizio, per vicinissime relazioni cognato del teosofismo, cne la comune degli uomini possa sicuramente giudicare della morale senza l uso del raziocinio, e per un senso o per un istinto da Dio preparato, ciò urterebbe di fronte la soluzione da me addotta del quesito proposto e le ragioni allegatene. Quindi assumerò per un istante i loro sentimenti, e li rinforzerò di quelle prove che li possono almeno apparentemente convalidare. Il lìu qui detto (taluno opporrà) se verificar si può sotto uu aspetto, sembra non aver luogo sotto un altro: anzi ripugnare all’ordine provvido della natura. Concediamo (si proseguirà) che ad acquistare la cognizione della verità le occasioni presentino alla mente gli oggetti, e che 1 attenzione umana si adoperi su di loro in tal guisa da cougiungere e separare i rapporti apparenti delle idee in un modo del lutto corrispondente alle convenienze ed alle ripugnanze reali delle cose. Ma che perciò? Dunque non si potrà giudicare, almeno delle materie morali, che col solo mezzo dei lunghi giri del raziocinio, delle lente spinte dell’analisi, e del penoso procedimento dell’ induzione ? Poniamo che una legge generale e costante somministrasse in natura le occasioni opportune alla mente umana, ed inspirasse un forte interesse a considerarle; e che la direzione di questo interesse, in forza della costituzione naturale dell’ uomo e delle altre preordinazioni della natura, piegasse l’altenzioue giusta le vere ripugnanze o convenienze delle cose, senza che fosse d’uopo fare altri confronti per comprendere la verità e disceverarla dall’errore. In tale ipotesi è chiaro che gli uomini presumere si dovrebbero sicuri scopritori e giudici del vero, meno per scienza che per sentimento,* e quindi il loro comune giudicio apprezzar si dovrebbe generalmente qual fermo ed infallibile criterio di verità. Infatti, se egli non fosse tale in forza di raziocinio e di dimostrazione, lo sarebbe in forza della irrefragabile autorità della natura. Ora tal è la condizione dell uomo rapporto alle verità morali Imperocché se dapprima si riguardi Y ordine di natura, i rapporti del i|Liale vengono appunto espressi dalle verità* le quali non uè sono clic i risultali di cognizione, e si supponga che la natura non abbia voluto liiy\ n-, hi vano : sì deve certamente supporre che ne abbia altresì divisala V esecuzione. Quindi giudicandola provvida ed antiveggente, si deve pur supporre clic abbia preordinata le cose in guisa, die questa moltitudine ih esseri umani debba essere spinta efficacemente, sulle tracce da lei segnate. per mezzo di quelle facoltà stesse dì cui ella li fornì, e per le quali si muovono lu tutte le altre loro 1 unzioni. 448, Pertanto ella doveva fornire all’ intelligenza loro quelle occasioni* (Fonde eglino .trai1 potessero la cognizione delle di lei intenzioni ; ed al cuor loro quegli stimoli, ui forza de quali secondar dovessero i fini volali da lei. e fuggire I lini da lei proscritti. Ecco infatti le sanzioni naturali annesse alla pratica delle leggi della natura, il benessere consunto all'osservanza loro, e il disagio che no segue l1 inosservanza; ecco Fani tir proprio fatto F unico e glande motore nelF esecuzione debordine morale di natura: ecco la legge naturale inscritta nel cuor dell'uomo: ecco t doveri, i diritti, le virtù ed i vizi! uou ignorati: ecco ì fondamenti di una morale sperimentale^ niente dissimile, sotto dì un aspetto, da una fisica speri mentale, Per tal motivo adunque, trailo dalla provvidenza c dall ordine delle cause finali della natura* esister deve cella costituzione umana un comuno lo u d a me1lto, pe r il quale i n morale de b b ano gli uomini, senza uso di teorie ed lu forza di sola esperienza e di sentimento, pensare uniformemente e pensare con verità . laiche F errore diventi una pura eccezione . Da ciò inoltre si vede come indie materie di morale, e per la stessa ragione nelle altre cose lutto elio per se stesse costantemente interessano il genere umano, le massime particolari, le quali sono 1 espressione d altrettanti guidimi sugli effetti, debbano procedere i sistemi, e le isolate osservazioni e gli aforismi assoluti debbano precedere lo teorie, ludi nascono i proverbii delle nazioni, indi le sentenze e gli a poi Log mi dei savii, avanti ebe nascano lo loro dimostrazioni. Così le conclusioni dei raziocìnìi precedono la comprensione r la esposizione dei principi! generali. Ma lutto ciò senza temerità, e per una sicura mossa della natura. Del senso e tildi' istinto murale. I seguaci di IIuLcbesou, c degli altri filosofi dell istinto molali mi sapranno forse buon grado di’ io abbia presentalo da un lato assai vantaggioso la loro opinione prediletta. Alò nc.fi è possano essere pm sicuri eli’ io ne contemplo tutto il tenore, uou credo inutile di esporlo. Il dottor Hutcheson si propose di provare che l’uomo è dotato di un senso morale. Egli appellava con questo nome una facoltà della nostr’anima di discernere prontamente iu certi casi il bene ed il male morale per una sorta di sensazione, e per un gusto indipendente dal raziocinio e dalla riflessione. Gli altri moralisti lo appellarono istinto morale (e d altri sesto senso ), il quale è, come dicono essi5 una inclinazione o tendenza naturale che ci porla ad approvare certe cose come buone e lodevoli, ed a condannarne certe altre come malvagie e biasimevoli, iudipeudentemente da ogni riflessione. Fra questi sentimenti vieue annoverala la compassione ai mali altrui, la gratitudine ai beneficii, la benevolenza sociale, 1 indignazione all ingiuria, o al racconto di una iniquità commessa contro un nostro simile. L’ origine di questo sentimento si attribuisce a Dio, che ha costituiti gli uomini in questa guisa, e che ha voluto che la nostra natura fosse tale, e che noi fossimo affetti in questa maniera dalla differenza del bene e del male morale, come lo siamo dalla differenza del bene e del male fisico. La ragione poi ossia il fine per cui Dio fornì l’uomo di questa specie d istinto comune si è. ch’egli si determinasse più fortemente e più piontamenle in tutti que’ casi nei quali la riflessione fosse troppo lenta, mentre i bisogni pressanti e indispensabili domandavano che l’uorno fosse condotto per la via del sentimento, il quale è sempre più vivo e più pronto del raziocinio. Ecco in compendio la dottrina dei difensori del senso o del1 istinto morale, la quale ha avuto ed ha tuttavia seguaci, e venne esposta come vera anche in un libro, del quale i dotti di una celebre nazione pretesero di fare un ampio deposito delle umane cognizioni, e come il fiore più scelto dei lumi del secolo ( Encjclopédie, Art. Sens inorai ). Del senso comune. 45 G. lo non credo poi di dovere aver lite coi difensori del senso cornane. Basta ch’io esponga le loro idee e le loro pretensioni per far sentire che fra noi non vi può essere contesa. Per senso comune s’intende la disposizione che la natura ha posto in tutti gli uomini, o manifestamente nella più parte di loro, oude giunti all’ età della ragione recassero un giudicio uniforme e comune sopra differenti oggetti dell’intimo senso della loro propria percezione: giudicio che non è la conseguenza .ti aleuti altro principio anteriore. Oud’ ò5 i lio questo senso comune sopravvieuc all1 uomo dopo la fanciullezza ossia dopo 1’ educazione della prima ria ; e, a senso dei filosofi, versa intorno a quelle elio appellatisi prime verità, 457. Eglino però ammettono*, clic fuori, di queste primo verità si verifica la legge o l'assioma comune, die la verità non e per ìa moltitudine ì il glie si verifica* dicono essi* io lutti quei casi 5 ove sì tratta dì impiegare Fallendone e la combinata. riflessione, di cu! la molli Ludi ne non è capace. Ma nelle altre verità, die appellammo verità prtme9 può aver luogo certamente Feltro dello comune, che la voce del popolo b voce dì Dio j la quale nello cose di puro fatto eziandìo si può* come vedremo più sotto, con certe precauzioni cri lidie verificare* 459. Ridotte pertanto così le cose, e ammesso questo senso comune $ che io non saprei negare in un Pubblico incivilito e ridotto al periodo della ragionevolezza 5 per la ragione che deve esistere un fondamentale carattere comune die lo faccia riconoscere per tale ; e questo dev’essere it possesso almeno di certi principi! generali e primarii della ragione^ acquistati per una serie di molli avvenimenti anteriori; ammesso*, dico*, questo senso connine, non servirebbe non basta ancora per lare del giu dici q del Pubblico mi criterio di veriisV in tutte le ricordate materie, e clic anzi tutto è fonda Lo sopra imperfettissime nozioni. E per procedere cou ordine e con efficaci1 persunsiQne io dirò in prima delle cose morati^ iodi a suo luogo di quelle che appellami dì semplice pus io. Articolo 11. Osservazioni generali iti risposta alla precedente 'obbiezione. 40 G. Si vuole primieramente clic il Pubblico possa essere giudici; competente e sicuro delle cose morali^ o si vuole clic lo sia mm pei nziocinii teoretici o acquisiti, ma per mi scali meato sperimentale. Ora io osservo die qui si suppone resistenza reale d*una cosa ili fiuto $ cioè d un istinto morale qual legge di natura coni uno alla magginr parte degli uomini. /.Gì, In tale supposto c cerLo ìu buona logica, che il filosofo davi' ragionare col sussidio àeW osservazione ; altrimenti non vi sarebbe pi confine alla smodata licenza delle mere ipotesi, delle congetture, deb ie illusioni e delle chimere s nò distinzione alcuna solida fra la ve/UJt i1 V errore. Ciò posto, egli non deve ammettere resistenza di cagioni la* comprensibili, confuse, e di pura eccezione, quando dai fatti «Lussi piai trarlo ciliare, noie, regolari, e fondato iu una comune-, semplice o primaria logge della natura* Sarà sempre arbitraria, capricciosa e nulla ogui eccezione, a cui la cognizione delle cagioni note delle cose non ci aloni di ricorrere Questi sono pr incipit logici di una lorza, di un evidenza e dì un estensione, che ogni uomo di buon senso non saprebbe nvpcìiru in dubbio. Ora, mercè un altea lo esame della natura umana e dei rap porli costanti di lei, sì giunge a scoprire eli e luLti i fenomeni a L tribù ili dal patrocinatori de! senso morale sono pure derivazioni acrjuìsife derivanti dall azione combinata delle circostanze esterne e delle laeolia uma¬ ne 3 al pari delle akre nozioni ed a Ile zip ni clic al senso /fiorale unii si fanno appartenere. E non solamente si dimostra come nascano, crescane e si estendano, senza ricorrere ad altrg eccezioni c finzioni confuse; ma, quel cìFè più, si dimostra coi fatti positivi, più moltiplicali, pìb cevh 0 più generali della storia scrìtta di tutu i popoli, clic h esistenza e E forza di siflaiti sentimenti in fatto pratico deriva interamente dall* azione r dalPordine delle circostanze de termi nauti F umana sensibili Ln. Dunque non solamente si deduce che la dottrina del senso morale è puramente gratuita, a nti di oso fica e nulla, in linea di ragione, ma. quel cìdè più, positivamente falsa, e ripugnante alla verità di fatto ♦ 471. Chiederei volentieri ai sostenitori del senso e deli' istinto morale, se abbiano mai ridotto il loro uomo a quel putito di semplice considerazione, in cui era d’uopo assumerlo per dar forza alle loro prove. Lo hanno eglino spogliato dì tutte le acquisizioni dell’ educazione} della religione, dell1 istruzione sociale^ deli’ esempio * delle abitudini ^ e ridotto allo nude sue facoltà abbandonate alla natura, onde scoprire se gli effetti che vergiamo negl’ individui delle culle società siano prodotti dell1 istinto o di un sesto senso, o non piuttosto dell1 educazione? Ciò era pur d'uopo di fare, per non essere esposti al rischio dì attribuire ad una cagione puramente supposta effetti realmente derivanti da altre conosciute sorgenti: e conveniva anche escludere l’azione di queste note cagioni, o almeno dimostrarla totalmente inefficace a produrre gli effetti che attribuir si vogliono al senso /fiorale. Ma eglino si sono limitati a considerare 1 uomo la! quale si trova nelle culle società, o almeno in uno stalo in cui egli è già rivestilo delle abitudini àe\Y educazione $ poiché certamente nel perìodo dell' infanzia,, e cosi anche nell' isolala vita selvaggia, non è nè morale, nè immorale. Ma venendo dire Ita m cute all'esame dei fondamenti della ricordata opinione, io convengo di buona voglia che la natura abbia divisato l ordine morale, che ne abbia voluto P esecuzione, che uè abbia preparati i mezzi; ma che perciò? Dunque dir sì dovrà che precisamente abbia voluto seguire le tracce disegnale dal capriccio di alcuni filosofi? T\on era dunque possibile altra sarta di mezzi, die quella immaginala da questi enigmatici creatori di istinti? 0 almeno un’altra maniera di econonna non era forse più conforme alle viste complesse dei grandi suoi disegni ? E quando mai sì correggerà la viziosa maniera di trarre illazione dal metodo nostro di ordinare le cose a quello della natura? E Imo a quando temerariamente si ripeterà s questo è utile, questo è ragione-» volo; dunque la natura lo ha fatto? Perchè non dire invece: questo fu fatto dalla natura; dunque è utile e ragionevole? fi i L Se dovessimo argomentare nella guisa oppostaci, con pari diritto dir potremmo: la natura ha destinalo fuorno alla ragionevolezza ed alla scoperta delle verità: dunque Pilorcio è sempre infallibile ne suoi giudicib Qual differenza di titolo indar si potrebbe fra queste due conseguenze ? Il principio, da cui si deducono* è Io stesso. E che giova che il Pubblico si arrogisi il giudicio delle coso h i morsi? Frova ciò forse eli’ egli ne giudichi per istinti)? Prova ciò forse et’ egli m sin giudice infallibile ? Esclude ciò per avventura, che risicatone. r educazione, hi religione, F esemplo, le abitudini noti lo possano porre in grado di recare le decisioni ch’egli pronuncia? ilo forse io proteso ch’egli sempre commetta errore ne5 suoi giudici i? e quindi die. istruito s peci alme ùle dal progresso dei lumi ragionati sparsi in lui per credenza e per tradizione, non possa giudicare sanamente della morale, del bello e del merito? Non lio io accennato più sopra le fonti da cui derivano i lumi ? Ma in questo caso il Pubblico ammette le cose più per credenza e per imitazione, che per un discernimento interno o per raziocinio: doveché uelPaltro caso egli le conoscerebbe come per una ispirazione rispettabile ni in Fai Ulule della stessi natura. Nel primo caso egli non reca un giti dienti proprio . ma altrui: ed in tal guisa rac conaio dato alF altrui autorità, che in lui riguardar si deve più per una preoccupazione ossia per un pregia di ciò, die corno un sentirne uLo di intima pr ovata pe rs uision o . Cosi adunque ridotti i suoi giudicii,, resterebbero esclusi dall'ipotesi che combattiamo. Ma non constando die le abitudini e le pieImi sioti i del Pubblico possano per se sole riguardarsi come diritti derivali da un titolo proprio in Ini riposto, e racchiuso nel suo propri*} landò* ad esercitare ]’ impero de! giu die io e delFopimcue, perciò non è necessario eh" io mi trattenga ulteriormente a dimostrarlo, o ciò io ritorni ad occupa r mene dappoi. Sembrami che questa risposta .sommaria potrebbe bastare a far sentire { almeno ia generale) la nullità della con tra ria dottrina, ^ amando io di porre in chiaro lume Ferì ore in mia maniera più proficua a IF istruzione 9 vale a dire col dimostrare la opposta verità, c di svolgere chiaramente Lotta la catena delle idee imperfettamente presentate, e ai tessere l’origine naturale dei fenomeni morali, V ignoranza della quale fece all’orgogliosa ed impotente curiosità immaginare un cieco istinto! io mi accìngo ad esporre succintamente dapprima il comune e nolo principio delle affezioni tutte del cuore umano, che e l- amore della j elicti unico ver a Sènso ed istinto morale ^ come richiede la legge del raziocinio. Indi mi sforzerò di far vedere che quelle affezioni stesso virtuose e sociali, che si all riha irono allVjtfmfiK sono semplici e naturali atispnsizio ni risultati I i dalle circostanze, e si vedrà come nascono: c che del pari tutte le viziose discendono dallo stesso principiti. Premésse queste osservazioni generali, comuni a tutti i icmj'ù a tutti i luoghi, a tutte le circostanze, perchè emanano iramediatamea dalla chiara, provala e conosciuta costituzione della natura umana, e dalle circostanze di fatto necessariamente inerenti a lei; si puo indi agevolmente passare con una precognizione chiara di principii a determinare quale esser debba la morale tanto di giudicio quanto di pratica delle nazioni poste nell’ epoca dell’ immaginazione di cui ragioniamo: le quali se, così dedotte, saranno conseguenze vere, saranno pur anche conformi alla storia di tutte le società situate in un simile periodo; e mercè tale coincidenza confermeranno le mie teorie, e rovescieranno opinione da me impugnala. Così tutto sarà tessuto e ridotto a quella vera unità sistematica che si trova sparsa nel grand’ordine della natura, e si potrà da tutte le cose antecedenti ricavare un saggio della storia dello spirito e del cuore umano in quest’epoca. Amor proprio. Sua indeterminata direzione. Conseguenza sul carattere morale. E indubitato che i sentimenti morali sono nell’uomo meri efjetti, che riconoscono una propria cagione. Ora questa cagione esiste o nell’uomo solo o nelle circostanze, o nell’uomo e nelle circostanze congiuntamente. Ma l’uomo non è nò può essere giusto od ingiusto, virtuoso o malvagio, se non a proporzione che trova un sentito interesse ad esserlo. Egli nasce colla sola tendenza ad essere felice, la quale si determina a norma delle circostanze, o, a dir meglio, degl’interessi inspiratigli dalle circostanze. Non si può dunque dire in astratto che l’uomo sia naturalmente o buono o malvagio; ma bensì egli si deve dire indifferente all’ una e all’altra cosa. Se dunque è vero quanto asserisce Machiavello, che in politica tutti gli uomini si debbano riputare cattivi, ciò non può avvenire se non perchè il concorso delle ordinarie circostanze o interne o esterne ilelle società sia tale, che faccia riuscire il cuor dell’uomo vizioso. Nelle sole circostanze adunque operanti sulla natura umana si deve ricercare la cagione, sulla quale in ultima analisi vada a risolversi 1 origine del carattere morale della specie umana. L’uomo non è nudo spirilo ma nasce coir ingombro di una macchina, a cui per conservarsi per crescere e per propagare è mestieri di molti pimi soccorsi esterni, dell’ esigenza o della superfluità dei quali la sensibilità viene avvertita mercè 11 bisogno la sazietà o il dolore. Così bnomo si può dire che nasca con certe occasioni 7 che determinano la sua tendenza a procacciarsi il benessere. Quindi v chiaro ciò ci nasce colla tendenza a conservarsi, e perciò a respingere ogni nocumento*' quindi V amore alla consertali trae, rodio aìF ingiuria, V impulso alla difesa. 483. Ei nasce colla tendenza a nutrirsi, a difendersi dalle iugiurh delle stagioni e degli animali, e a propagare la sua specie; e quindi col desiderio di possedere gli oggetti al Li a soddisfare a siffatte intenzioni. Quindi il desio del dominio delie cose, del co/ìkh'zìo coll* altro sesso, t della libertà di procacciarsi il proprio vantaggio. 484, Ei nasce con nna macchina che tende come LiilLi gli altri cor" pi all inerzia, no si muove che a proporzione degE impulsi che riceve o dagli oggetti esterni o dallo spirito; e ne ritiene le impressioni, e ripete i suoi proprii movimenti con maggiore o minore facilità, a proporzione che sono più o meno ripetute le proprie azioni o le impressioni esterne, e giusta le loro maniere. Quindi nasce V imitazione: quindi si formano le abitudini; quindi [a loro forza sulla natura, il loro durevole impero sull* nomo, la loro ostinata resistenza a cancellarsi; quindi i caratteri individuali, quei di famiglia, di provincia, di nazione. Ciò non e tutto. Siccome il corpo umano è uu automa di una compostissima costruzione, le Cui suste molto esercizio affatica, c molta quiete rende piu inerii e rilassate: così V uomo nasce con una tendenza aJEazione in certi tempi, ed iu certi altri tempi al riposo. Inoltre., siccome egli non è un Dio da bastar sempre a sè solo, così abbisogna spesso del soccorso altrui anche nell’ esercizio pieno delle sue forze; e provatolo utile, viene spinto a desiderarlo ed a procacciarselo, Perciò volendo accoppiare il massimo di comodo e di piacere cui minimo dr incomodo e di dolore, egli appetisce piò il soccorso altrui che il proprio lavoro^ e il dominio uuito delle cose e delle persone più che il dominio delle cose sole. Quindi scorsesi in generale 5 die l’AMOR PROPRIO – GRICE ON BUTLER ON CONVERSATIONAL SELF-LOVE AND CONVERSATIONAL OTHER-LOVE OR BENEVOLENCE -- d'òguì individuo trasportalo in società è un centro dì attrazione che tende ad appropriarsi il maggior numero possibile di beni e di servigi; e che Para or proprio d'ogni altro simile., per la stessa ragione, tende dal cauto suo ad attirare a sè con egual forza i servigi di tutti. Da dò deriva, come da sua prima fonte, Pamor delle ricchezze, del potere, del comando e della riputazione, che serve alP uno e all’altro: e che eziandio solletica piacevolmente la sensibilità e per la prospettiva dei piaceri che prométte, e per una ripetuta testificazione c compiacenza della perfezione che si possiede. Da ciò eziandio si vede quanto questi sentimenti siano connaturali alla specie umana, 489, Per la qual cosa è chiaro quanto l'uomo sia naturaimente amante solo di sè H. P. GRICE BUTLER CONVERSATIONAL SELF-LOVE : e che per sè solo egli opera anche quando agisce a prò dT altrui, benché di ciò egli por avventura non s’avvegga. È pur chiaro quanto il bisogno sia necessario per indurlo ad operare a prò della colleganza; cosicché se ['istituzione della società fosse un oggetto rii mero arbitrio e non dì necessità, non si sarebbe mai effettuata società alcuna, anzi non sarebbe mai stata possibile. Il grande argomento adunque che rimane tuttavia a discutere si è. fino a qual segno naturalmente l’uomo si presti al soccorso altrui, fino a qual seguo egli aspiri a soddisfare le proprie brame, e fino a quando egli rimanga inerte; e d onde finalmente si debba ripetere la cagione dell eccesso o del difetto, o dell'aberrazione de’ suoi affetti e delle sue azioni. Delie affezioni sociali virtuose* Loro origine, Se contempliamo i reali bisogni dell1 uomo, noi scopriamo cb essi sono veramente imperiosi; ma sentiamo del pari*, cito sono pur anche assai limitati^ nè esservi uopo di molto a soddisfarli. Ond’ è chef sollevato che sia l’uomo da tali bisogni, gli può rimanere ancora grande spazio ad agire a prò d’altrui. Ma se oltre la sfera dei bisogni cessasse nelPuomo ogni vincolo di dipendenza e d interesse co’ suoi simili, come potrebbe egli concorrere al loro soccorso? Agirà egli senza motivi? Cessa, è vero, un bisogno materiale; ma éòtteutrauo per buona ventura, e per legge naturale a Uri bisogni morali torse assai più efficaci dei primi, e certamente di più estesa utilità. Solleutra nelle sventure, nei dolori e nelle indigenze altrui la compassione, la quale recando nello spettatore o nelPudilore,per un’associazione di idee analoghe, ma acquisite, un senso penoso, lo spinge a soccorrere l’afflitto per sollevare sè stesso dall’ ambascia. 494. Sottentra all’ aspetto o alla rimembranza dell’ ingiuria altrui un senso comune di odio essenzialmente annesso all’indole delle idee componenti il concetto dell’ingiuria, che spinge alla comune vendetta, che io appello convendetta, onde sfogare il senso di odio concepito, riducendo le cose all’eguaglianza ingiustamente violata. 495. Sotteutra all’aggradevole sensazione di un bene fattoci da taluno, o all’aspetto di un bene da taluno recato ad altri, o alla rimembranza loro, un senso aggradevole o diretto o riflesso, o attuale o ricordato, naturalmente connesso all’idea del piacere, il quale viene appellato rispettivamente gratitudine o congratulazione ; e per una naturale associazione d’idee rivolto verso l’autore del beneficio, prende anche forma di benevolenza. Da siffatte cagioni e per simili modi naturalmente si estende, si perfeziona e si sublima la socievolezza. Cosi quei sentimenti, ed altri molti da essi derivanti per una reazione naturale e felice a prò dell’uomo, riproducono e variano ed accoppiano in mille modi tutti i fenomeni delia virtuosa sensibilità. Ond’è che, diretti dalla conoscenza dei principi! dell’ordine e delle persone a cui si debbono riferire, moderati dai limiti che debbono avere, assumono in complesso il nome di umanità, di cfc vita del genere umano, di fdantropia. Tutti questi sentimenti sono più o meno attivi, più o meno durevoli, a proporzione che sono più o meno forti e durevoli le loro cagioni. Ecco come, anche cessati i primitivi bisogni umani, la natura supplisce alla socialità colle leggi stesse dell’amor proprio di ognuno posto in esercizio dalla sensibilità, mercè i vincoli e le associazioni delle acquisite attive idee di piacere e di dolore. Non è necessaria molta penetrazione a riconoscere che gl’ indicati sentimenti sono tanto naturali al cuor dell’ uomo socievole, quanto Io sono i più concreti ed animali bisogni, mentre ciò risulta dalla loro stessa esposizione. Si vede però eh’ essi non sono effetti nè di un sognato sesto senso, nè di un oscuro istinto morale. Guai a colui che può dubitare dell’esistenza di queste affezioni! Io non so se sia più da compiangere o da detestare chi giunse a spegnerle. Egli può dirsi veramente aver sofferto iu tutto il suo cuore una morte morale odiosa alla natura. Dell' intemperanza morale. Quello che è più fatale alle nazioni si è, che senza il ministero dei lumi viene talora a scemarsi la forza di questi sentimenti virtuosi, e fin anche a soffocarsene il nascimento. Conciossiachè conviene sempre aver presente eh’ essi propriamente non sorgono che da una restante porzione di quel sentimento che sopravanza, per dir così, ad ogni uomo dopo di aver pensato a sè stesso. Un uomo infatti preoccupato fortemente del solo proprio bene, uon può prestarsi all’ altrui. Quegli che combatte coi flutti può egli essere mosso ad accorrere alle grida degli altri naufraganti? Le affezioni sociali esigono adunque almeno certi intervalli liberi dalle prepotenti passioni personali. Ma le passioni fattizie usurpano nel cuore quella parte di sensibilità che l’uomo volger dovrebbe a prò de’ suoi simili: e iucominciando dal renderlo duro e freddo egoista, finiscono col renderlo ingiusto e scellerato. Ecco l’origine, i progressi e i gradi della corruzione sociale. X fine di scorgere chiaramente come ciò avvenga, ritorniamo ad esaminare in sè stessa la costituzione reale dell’ uomo. Dalle cagioni di fatto universali e necessarie, esistenti nella natura umana, noi deduciamo assai meglio e con più solida argomentazione non solo l’esistenza dei naturali o necessairi effetti o buoni o cattivi, ma ci viene inoltre concesso di prevenire i perniciosi e di preparare gli utili . Questa dovrebb’ essere la prima scienza del legislatore e del politico, la quale poi gradualmente dovrebbe discendere all’uomo della loro nazione e del loro secolo. Solo in questa guisa eglino possono utilmente divisare ed operare. Senza di questo metodo o si va brancolando fra le incertezze di un cieco empirismo, o si dissipa il pensiero fra le chimere di un aereo idealismo; e frattanto il bene delle società rimane avventurato al caso, o immolato agli errori. Si è veduto come naturalmente l’uomo abbia bisogni reali, ed abbiamo pur anche osservato quanto naturalmente egli eserciti le sociali virtù. Come dunque con pari ragione egli aver può anche vizii sociali ? S egli non fosse costrutto con altri organi che con quelli di un ostrica, ò chiaro eh egli non avrebbe altro sentimento clic un oscuro e material senso di vita, nè altra specie di bisogni che quelli della sua rozza macchina. Onde siccome quella è condannata ad aprire ed a chiudere perpetuamente un guscio, a cercare alimento, e a propagare la spceie: così 1 uomo sarebbe unicamente ristretto a tali funzioni, benché fosse anche in mezzo a tutti gli oggetti di delizie e di godimento. Egli quindi non sarebbe moralmente intemperante, nè farebbe mai guerra a’ suoi simili per protervia, ma per solo bisogno. Limitato quindi nel male alla pura necessità^ sarebbe moderato quand’anche recasse danno ad altri. Se dunque l’uomo riesce cupido, astuto, intemperante, ciò deve avvenire in vigore del principio stesso per cui egli è ragionevole, illuminato e sociale. Ciò dev’essere un frutto di quelle facoltà e potenze stesse che formano la sua perfezione, e la superiorità ch’egli gode sopra i bruti. Infatti, data la possibilità che l’uomo possa conoscere ogni cosa, egli può pure, almeno in astratto, desiderare ogni cosa. Quindi può desiderare anche ciò eh7 è oltre i proprii bisogni reali, oltre le proprie forze, di altrui pertinenza o diritto, e così contravvenire al dovere ed alla virtù. Quindi contemplato f uomo dal canto della sola cognizione, egli può essere tanto più corrotto e vizioso, quanto più estesa è la serie di quelle cognizioni che gl’ inspirano i desiderii dannosi al suo simile. Ma se si riguarda la sola cognizione, può essere del pari tanto più probo e tanto più virtuoso. 506. Egli è dunque V interesse che lo determina a rivolgersi piuttosto ad una via che all’altra. Questo interesse nasce dalle circostanze j e se queste circostanze sono universali, si debbono ritrovare comuni alle società: e gli effetti che ne derivano debbono derivare in ragion composta della natura dell’uomo e delle situazioni esterne. Ma se tutti gli uomini, ancorché capaci di limitate cognizioni, non avessero altro grado di società che quello dei Boschmanni, degl’irochesi, o d altri barbari popoli, avrebbero del pari assai meno d’industria, d’invenzioni, di comodi, di virtù, di scienze; ma avrebbero eziandio assai meno modi di cupidigia e di corruzione, non tanto per ignorare variate e moltiplici combinazioni di reità, quanto anche perchè queste propriamente non possono sopravvenire nell’uomo se non dopo che sono soddisfatti i primi bisogni creati dalla natura, la soddisfazione dei quali non solamente è lecita, ma altresì doverosa ed irresistibile. D’onde viene, che la corruzione è una cosa del pari fattizia che tarda nella società; e che nell infanzia di lei gli uomini possono essere bensì ingiusti per ignoranza, e ciechi nella scelta del bene e del male: ma non sono nè possono essere corrotti di cuore, nè malvagi per malizia ragionata. Ora quali possono eglino essere in quest’epoca dell’ immaginazione^ seconda età della società ? Veggiamolo. sfato r/torafe riporto affo v^mto ed al cuore delle società nel perìodo della seconda età. 508. Non perdiamo di vista Tu omo di fatto. In ogni società, segnala mente se è giunta a qualche progresso, mercè le varie ed irresistibili combinazioni delle idee, parte delle quali deve spontaneamente svolgersi in ognuno j e parte apprendersi ed imitarsi da altri, le varietà e lo disuguaglianze di stato ira gl’individui debbono nascere necessariamente e rendersi assai visibili, e produrre effetti e distinzioni segnalatissime. Cosi se taluno ha dalla natura sortilo una felice disposizione a combinare piu idee di un altro, per le ragioni fisiche clic si diranno altrove; e che, coiti’ è ben naturale in quest'epoca, mercè lo stimolo dei bisogni rivolga V ingegno suo a migliorare la sua fisica situazione; egli si troverà in grado dJ inventare mezzi più numerosi, più facili e più utili di provvedere alle proprie indigenze, od eziandio di procacciarsi fino ad un certo seguo le comodità della vita* Ceco l'origine prima dello arti necessario e alili alla specie umana t E ben naturale e giusto eh7 egli prima di chicchessia profitti dei beni che ne ricaverà. Eccolo cosi, mercè V invenzione-, giunto in situazione migliore di molti suoi simili, 509. Altri poi, mercè uno stimolo più continuato, unito ad tm robusto temperamento, persìsterà nell' affaticarsi sugli oggetti utili, ondo latrarne maggior prof Ito, di cui riterrà a preferenza il possesso. Eccolo, mercé 1 industria, in miglior condizione di molti infingardi, olG. Altri finalmente senza fi una u l'altra di siffatto doti, giovato da un accidente le lice, si troverà nella situazione di acquistare un maggior numero di boni di qualsiasi altro. Eccolo per fortuna posto in uno italo più vantaggioso dì assai persone della stessa società. All’opposto T infermità od altri casi inevitabili de] f or dine fisico ti morale possono privare dei mezzi del benessere, già dapprima acquistati, parecchi individui; ed eccoli posti al di sotto degli altri sopra rammemorali. A questo si aggiunga una originale costituzione meno valida a lunghe fatiche, onde, anche volendo, non si possa esercitare un' industria pan a quella di molti altri; un’indole meno ingegnosa, meno inventiva, e quindi meno atta a migliorare la sorte attuale; o finalmente la mancanza dogli stimoli eccitanti all* invenzione o all’ industria: ed ecco una moltitudine d uomini in assai più infelice condizione di parecchi loro compagni. Non fa bisogno provare che tanto le uue quanto le altre cagiou agiscono in tutti i tempi, in tutti i luoghi, e in tutti gli stadii della società. Àrdendo sempre nei petti umaui il desiderio del benessere col minor incomodo possibile, e rendendosi palesi nelle società queste differenze, si potrà egli evitare ch’esse nei più malagiati non eccitino l’invidia, la cupidigia, e l’amore del loro acquisto? Supponiamo che in taluni questi sentimenti possano limitarsi ad una tacita e non intraprendente passione, e che in alcuni altri si restringano ad una emulazione lodevole: potremmo noi riprometterci che in questo periodo una silialta moderazione si estenda a molti? Consideriamo attentamente tutte le circostanze. Qui la società è assai imperfetta dal canto della sua pubblica costituzione: tutto al più non veggiamo che un governo di famiglia foudato piuttosto sull’ uso e su vincoli volontarii, che su formali regolamenti sanzionati colle leggi, ed assodati dalla forza comune. Quindi o le società sono piccolissime, e ad un tempo stesso gl’individui sono assai indipendenti; ovverameute esse sono adunameuti fortuiti, i cui membri sono collegati fra loro per condizioni eguali suggerite dal bisogno, o da altre avventizie ed auche strane occasioni. In secondo luogo in questo periodo, in cui per la legge delle gradazioni la società è aucor vicina all’epoca della più macchinale sensualità; non possono gli uomini avere acquistata idea veruna dell 'ordine morale, dei diritti, dei doveri, della giustizia. Queste sono nozioni troppo astratte, troppo complicate. La legge insuperabile delle al finità logiche sarebbe altrimenti violata; e d’altronde, per la immutabile costituzione propria alla verità, essa non può esistere che in una sola combinazione delle cognizioni intorno ai rapporti delle cose. Come adunque nell assoluta ignoranza delle regole della giustizia potrebbero gli uomini per un giudicio di relazione conformarsi a loro ? Vero è che esistono in natura i sentimenti preordinati, che spingono all’equità ed alla virtù sociale. Ma come in quest’epoca la più parte degli uomini vi potrebbe prestare ubbidienza? Spinti dai bisogni assoluti, coi quali una mal agiata situazione cinge e stimola incessantemente la loro sensibilità: o almeno eccitati mercè il paragone del miglior essere altrui; incominciando a sentire il pungolo dei bisogni relativi 5 cui l’intemperanza umana accoglie ed estende sterminatamente in tutte le successive età: senza un freno esterno sostenuto da una forza umana superiore che ne bilanci la violenza colla minaccia di una certa pena; senza la tema interna di una sanzione invisibile, onnipotente ed i uìti: ii SEzmm: ri capo \\\. inevitabile. clic spaventi f ingiustizia; senza Y abitudine d?uua felice e moderala e due azione die modelli e diriga in una guisa conforme aU*ordiue sociale i moli del cuore 5 con una gagliarda fantasia, che esagera !' importanza di uu oggetto utile 0 piacevolone per conseguenza colla massima violenta delie passioni operanti con tu Uà Ja naturale loro impetuosità; come mai Je volontà non dovranno per un* assoluta, imperiosa od evidente morali; necessità essere tratte a norma degli stimoli della cupidigia? I,a moderazione e lenità qui sarebbero un fenomeno assurdo, un rovesciarne uto di tulle le leggi della natura morale. Infatti una voIonLà eoi più violenti impulsi da una parte, e senza nessun treno contrario che In rafctenesse dall1 altra,, se agisse da quel lato dal quale mancano i motivi, sarebbe un vero assurdo morale. Quindi è Inevitabile clic tutti coloro che per difetto d'ingegno, \V industria e per infingardaggine si trovano mal acconci ai pacifici lavori delie arti, e che sono insofferenti dogin occupazione, in forza della cupidigia e dell’Inerzia che li spinge a voler ottenere 1 beni colla minor fatica possìbile; è inevitabile, dico, ohe non solo aspirino alfa equi sto degli oggetti utili, di cui veggono abbondare gli al Lei, ma eziandio per quel carattere rozzo, non educalo, e che non conosce nè riguardi né modi indiretti, ed è proprio di tutte siffatte societàeh leggano direttamente ai più agiati possessori delle; cose utili 0 tutto o parte di esse, 0 assolutamente le invadano per arrogarsele colla forza. E ben naturalo dall* altra parte, che per quella premura in-gemia in ogni nomo dì con servare ciò che gli ù caro c ciò che gli è costato fatica ed industria, i possessori neghino di cedere di buona voglia gli oggeLU dei loro benessere, uè soffrano in pace di vedersene privati. Ecco quindi da una parte, la violenza, la rapina, il ladroneggio; dall* altra la resistenza, la rivendicazione. Ecco la guerra Lanto dì offesa, quanto di difesa; la rappresaglia. Il saccheggio ilei viveri, delle vestì, dei bestiami, dolio donne, c di ogni bene infine alto a procurarci sostentamento o ditello* ha vendétta nasce ad un tempo stesso tanto dalla parte degli usurpatori, quanto dei difensori, con tutta la violenza nel suo sentimento, con tutta la ferocia nel suo esercizio, con tutta V estensione ut? suoi effetti, e colla massima pertinacia nella durata e nella riproduzione. Ecco una seconda cagione di guerra incessante: ecco Y origine dell5 indole feroce, brutali a, sanguinaria, vendicativa ili quest" epoca. Ciò non r tulio, lina sorte favorevole, una maggiore robustezza, 0 conto altre cagioni rendono . per qualche tratto almeno, vincitore uu uomo, o una famiglia, o una banda di collegati. La sperienza dimostra che l’offeso ritorna a molestare. Quindi la naturale antivedeva, od anche un assoluto sentimento di orgoglio e di domiuio troppo naturale, suggerisce di porre l’avversario nell’ impotenza di più reagire, quando non lo si voglia privare di vita. Ed ecco nata la schiavitù personale. ])a essa 1 uomo, per quella naturai legge già accennala di procurarsi la so ddisfazione dei bisogni o il godimento dei piaceri col minor incomodo possibile, non tarderà a ritrarre profitto, e quindi a farsi servire dal fatto schiavo ; ed ecco il despotismo della forza da una parte, e la servitù forzata dall’altra. Molti fatti cosi ripetuti, il vedere la superiorità della forza e del coraggio essere cagioni all’acquisto dei beni, del potere, del comando, ed inspirar terrore e rispetto, è ben naturale che debbano eccitare la stima verso siffatte cose, in vista di tutti i vaula^^i che ne derivano. L noto che la sorgente e la misura della stima deriva dalla sentita utilità. Ecco l’origine àe\Y opinione pubblica in quest’epoca. Essa deve apprezzare e lodare sovra ogni altra cosa la forza ed il coraggio, e disprezzare e biasimare la fievolezza ed il timore, sì pella ragione indicata, sì perchè mancaudo generalmente le nozioni di giustizia e di diritto, od essendo assai imperfettamente conosciute, e di nessuna conseguenza pratica per il reale comun bene, uon danno adito a diffidare della falsità della comune maniera di pensare. Prescindendo dalla cognizione dei principii della morale, io non veggo per quale diritto le culte società nell’ apprezzare cotanto ed in guisa assoluta le grandi ricchezze, e tutti i contrassegni che vi hanuo relazione, si debbano in buona morale filosofia riguardare come superiori alle barbare nazioni nell’ apprezzare la forza ed il coraggio. Il solo appetito, il solo interesse detta tanto nell’uno quanto nell’altro stato i giudicii pubblici. Anzi ardisco dire che in una società, ove sopra ogni altra cosa si apprezzano i beni di fortuna, gl’interessi sono dissociati, le virtuose affezioni o languide o sbandite, e la vera pubblica opinione spenta. Ma ritornando all’epoca che esaminiamo, in forza degli annoverati stimoli ne verrà che per inspirare stima ad altri, e per conciliarsi i comuni applausi e la sociale ammirazione, si ecciterà nel cuore la brama di dare tutte quelle esterne dimostrazioni, le quali possano ingerire o conservare l’opinione della forza e del coraggio, e allontanare ogni sospetto di fiacchezza e di timore. Per la qual cosa accadrà che, anche senz’altro bisogno che quello di aver fama ed applausi, molli si occuperanno a dar prove di valore, di coraggio, di gagliardia. Per lo stesso motivo la circospezione, la prudenza, P artificio ( nell’opinione di quelle menti grossolane, le quali non possono penetrare più addentro della prima superficie esterna delle cose, e non hanno idee di ordine morale alcuno) appariranno irresolutezze derivanti da timore: per tal ragione saranno generalmente disprezzate, biasimate, infamanti. Per lo contrario una certa protervia, un’aperta e diretta manifestazione delle proprie idee, della propria volontà, della propria condotta, verrà lodata, esaltata ed onorata. A ciò aggiungasi altresì la rozza situazione dello spirito, incapace di molte combinazioni, e per non esercitata pieghevolezza non abituato a studiare raggiri, dissimulazioni, riguardi, cui d’altronde le resistenze non mettono in necessità di praticare; e si scorgerà come l’astuzia, la cautela, la dissimulazione non possano in questa età essere comunemente praticate, ma nemmeno conosciute, ed anzi per lo contrario positivamente infamate (ved. Plutarco). Ecco Porigine di quella schiettezza, lealtà, franchezza, semplicità, buona fede, che si videro in quei secoli, e che in un’epoca simile di barbarie ritornala ebbero vanto in Europa, e dovettero essere onorate, apprezzate, ed encomiate. Ecco altresì come la natura prepara sotto P inviluppo della rozzezza tutta la composizione di quelle virtù che dappoi formar debbono il cemento della civile società, un pregio onorevole degl’individui umani, una nobile sublimità dell’indole loro. Così nei seno della terra, frammisti a vili materie, si tesoreggiano nelle miniere quei lucidi metalli e quelle preziose gemme, le quali, disceverale col ma¬ gistero dell’arte, dovranno formare un ornamento alle suppellettili dell’opulenza, del culto e della suprema podestà. Un mezzo certo, onde scoprire ed apprezzare quale sia la sentita morale speculativa e pratica di una società, sarà sempre di rilevare quali oggetti vengano apprezzati o negletti o disprezzati da lei. L’opinione pubblica sjlrà eternamente Punico, naturale e non fallace segno dei sentimenti pràtici d’ogni nazione. Dalle riflessioni fatte sin qui, corroborate dalla storia di tutti i popoli posti in quel periodo in cui ora li esaminiamo, si deduce che, oltre i caratteri sovra ricordati, si verifica in essi una greve ignoranza, una leggiera credulità, una mobile incostanza, una insolente arroganza nelle cose prospere, un vile abbattimento nelle avverse, un’improvida condotta nelle deliberazioni e nei regolamenti, un disordinato regime in tutte le passioni: ed in fine P incapacità di ravvisare le cose nel loro vero aspetto, di combinarne molte dal canto in cui si conciliano scambievolmente, di connetterle in guisa sistematica, onde comunicare una certa conseguenza stabile alla condotta. E cliiaro altresi, che tutti questi cileni derivano da animi spinti da tutta la forza delle passioui, senza il contrapposto di sentiti interessi che li risospingano all’ordine della giustizia e della virtù. 529. In tale stalo potrà giammai un popolo, non dico giudicare rettamente delle materie morali, ma nemmeno andarne ricercando convenienti istruzioni? Come giudicare e sentire giusta una norma che ripugna a tulli gl’ interessi ed a tutti i sentimenti attuali ? D’altronde le idee della morale sono di un genere astratto e generale, e di rapporti complicati; e, quel eh’ è più, di un genere del tutto relativo ad una regola immutabile, suprema ed unica della legislatrice natura. Ond’è, che per la ragione medesima per cui le menti degli uomini, quali si trovano in quest’epoca, si dovevano prima gradualmente preparare, onde porsi iu grado di ricevere a suo tempo le opportune istruzioni scientifiche di qualsiasi genere ; per la stessa ragione si debbono preparare onde ricevere quelle della morale, e riceverle non per semplice cieca credenza, ma per dimostrazione che produca un’efficace ed intima persuasione. La inorale infatti, sotto il rapporto del giudicio, altro non è che una scienza, ed una delle più vaste ed astratte. 530. Per la qual cosa il Pubblico in quest’epoca dell 'immaginazione^ massimamente nei tempi più vicini al regno dei sensi, non può essere peranche acconcio alla passiva istruzione della morale, ed anzi all’opposto è tuttavia rimotissimo dall’ averne la capacità. Articolo Vili. Continuazione dell’ Articolo precedente. Esame di quel tratto dell’ età dell’ immaginazione che piu si avvicina alla ragionevolezza civile. 531. Più addietro, nel carattere morale delle nazioni dentro l’epoca dell’ immaginazione abbiamo distinto due tratti di un’indole assai differente 5 bencliè per continuala progressione fra di loro connessi: l’uno dei quali si risente della vicinanza del regno dei sensi, con cui confiua per un estremo, ritenendone molte affinità; e l’altro partecipa della vicinanza dell’età della ragione, verso la quale per l’altro estremo si avanza. Ora rapporto al primo tratto io credo di aver detto quanto basta al mio istituto. 532. Del secondo dirò alcun che sotto i rapporti dell’argomento da noi qui contemplato. Per la qual cosa converrà accennare in succinto il carattere dello spirito e del cuore umano in questo progresso, c indirare la maniera eolia i piale venga effettualo in natura mercè 1' anione composi^ delPaLLivHà delle passioni e della forza (F inerzia dirètta dalla legge iella contai ni Là. Converrà poi dedurre qual grado di capacita una nazione possegga a ricevere i lumi tic IP istruzione relativi allo stalo ubico della verità. Nel primo tratto più vicino all* impero dei soli sensi, invece di trovare nelle menti umano quella metafìsica in cui consiste la ragioneoolezz^ì ermi e abbiamo detto altrove., vi abbiamo trovato un ordine d’idee parte interamente sensuali e parte imperfettamente astraLlc, cioè a dire che erano tuttavia assai aggravate dalle spoglie concrete., fra cui in oriè io e le Idee astratte stanno ravvolto. La povertà del linguaggio doveva fare annettere molte ideo alto stesso vocabolo, e quindi nozioni assai confuse e vaghe allo stesso discorso, I)’ altronde, siccome la generazione naturale delle idee astratte e generali imporla eli esse vengano formate dall’attenzione t come si è veduto, e debbano essere necessariamente tratte dalle idee concrete: cosi anche per quella necessaria legge di continuità che regge le lorze dell'attenzione, e che è propria della natura umana, esse non potevano se non mercè lente gradazioni essere dedotte. 535. Così avvenir doveva che qui t fantasmi dovevano tener luogo di idee astratta ; i bizzarri accozzameli LÌ tener luogo di idee generali; e le Casuali combinazioni tener luogo di raziocinio; in una parola, la sola fantasia in quel primo tratto tenero il luogo delia ragioneLoco la metafisica delle nazioni nel primo tratto di questa età. Da ciò solamente si poteva scorgere quale esser dovesse tutta la scienza del popoli intorno a qualsiasi genere, C per verità, che cosa e propriamente la sana metàfìsica, se non che V espressione dei rapporti comuni ossia generali dei fatti del mondo hsico e del mondo morale - attesa la limitazióne umana. Io spirito non può veramente conoscere o ragionare sulle cose se non padroneggiando questi rapporti: e se non ptm padroneggiarli se non col renderli generali ( giusta quanto si è discorso piu sopra)* come potrà egli possedere scienza alcuna senza la metafisica l Inoltre, prescindendo dal contemplare i fatti, ossia la realità delle cose, 1 uomo si gcLta nell' immaginario e nei chimerico. Come dunque potrà possedere una solida metafìsica senza prenderli in considerazione ? finalmente lordine fìsico p V ordine morato, oltre gli oggetti che compongono la natura., e gf individui che compongono la nostra specie, possono eglino racchiuderne d'altre maniere? Ed, olire siffatti oggetti, V Ha egli altra specie di esseri esistenti conosciuti dall'uomo? Può egli qui adì esistere altra specie di rapporti, die quella eli' è fondata su di essi ? Può adunque esistere altra scienza ^ che quella che tersa intorno ad essi ? La vera metafisica adunque è la espressione la più elevala di tulio lo scibile umano: essa è un estratto piu sublimato della ter a scienza, e per conseguenza V unico punto da cu! la mente umana veramente possa scorgere lo connessioni più ampie dello cose. Perciò essa nel tracciare l’albero delle scienze devo essere h madre e V ordinatrice di tutta la loro logica genealogia; mercè di essa sola si possono esattamente tessere le origini e lo procedenze di tutte le cognizioni D'altronde, però è chiaro, che so nella esposizione loro essa forma Io spirito architetto ed ordinatore, ed è la prima scienza che si deve supporre: per lo contrario nella generazione di fatto delle coedizioni, quale avviene nelle menti umane, deve per ciò stesso essere 1 ultima a scoprirsi ed acquistarsi. Per la qual cosa si scorgo chiara la ragione per cui quelle scienze nelle quali essa esercita un più vasto dominio, le quali appunto sono le più vaste, le più complicate e le più utili al genere umano; come, a ragion d’esempio, le scienze del diruto, dei cosLumi, della legislazione, elei governi, e quella eziandio delle più universali leggi del mondo fisico, debbano necessariameute riuscire le ni Lime ad essere scoperte ed intese nella loro vera estensione, e le ultime altresi ad essere apprese per modo di semplice passiva istruzione., e che fanno ordina riamente presupporre una più provetta età. Ciò è del tutto naturale. Imperocché, prescindendo anche dalle leggi dell' inerzia e dai molivi, ùiì^attenilone^ che non ispiu gemo giammài per salto allo più ardue e laUcose operazioni ed attenendoci a contemplare quella graduate c. preventiva serie di cognizioni assolutamente necessarie alla mera loro intelligenza, e ritenendo ì ordine successivo e ristretto cui lo spirito umano limitatissimo è forzato di osservare; J 1 acciaino sentire questa importante distinzione, mercé di cui si dimostra che cosa si racchiuda di vero in quelle opinioni die suppongono gli uomini essere in ogni tempo conoscitori della legge naturale; e si fa sentire, eoe a motivo solo di idee confuse e di un precipitoso passaggio alle conseguenze si è stabilita una tesi che non era il legittimo ri su Ita mento dei latti O’ dei principi l su cui riposava, 1W T, M5, Misi dica: non ò egli vero die buoni o è un essere prima di divenire essere intelligente* Non è egli vero che* a odi e dola tu JT intelligenza, non agisce die a norma delle idee di cui r fornito? Cln: queste idee presentando Valile o il danno alla menta, e stimolando il ctioiv col piacere o col dolore, lo pongono in esercizio a norma della /oro diversa forza? Ciò posto, se confrontiamo I’ uomo provetto coti altri esecri senzienti. o coll' nomo stesso bambino o del lutto selvaggio, che cesa risulta da questo paragone sul punto della moralità? Affinché questo paragone riesca più istruttivo, e la venta venga esattamente circoscritta e fedelmente lumeggiata in tutti ì tratti cliilli riveste 5 r mestieri tessero questo paragone sotto due rapporti s : cioi fi d'uopo riferire prima il nostro soggetto alla facoltà di vedere speculativamente le cose; indi riferirlo alla facoltà di volere e di agire a nomili degli impulsi ricevuti, e quindi avvicendarlo al sistema realmente eseguito dalla natura. Cosi dapprima ravviseremo la notìzia della morde et della mancanza di lei nell’umana cognizione ; quindi 1’efficacia della medesima monde, e V efficacia di altri impiliti, in mancanza della di lei r&òtizi&f sul fumana volontà; c per ultimo la direzione seguita dallWie sotto gl’ impulsi dell’ordine naturale, I bambini e i bruti li a ano una forza esecutiva della loro to* looLà al pari di quella ddtòiomo dotato di ragionevolezza, 1/ ostrica ini' mobile nell'arena, e che altro non fa se non die aprire et chiuderò il suo guscio* fa ciò che vuole. Questa volontà ù determinata da una semaio nc? die ò quella della farne. La sua forza-} in quanto non viene eslerioo mente impedita (e che è perciò libera:-) * v dotata di libertà. (j, 54D* Gli altri bruii hanno una stura piu estesa di azioni, por dii hanno organi piu complicati; tanto sensitivi, quanto esecutivi. Come .suscettibili di un maggior numero e di una più estesa varietà di moviairuli5 sono capaci di trasmettere all'anima più numerose e più variate sensazioni ; quindi somministrano alla volontà più numerosi e variali pn uccn e dolori, ossia motivi dì volizione ; quindi più numerose e variate determinazioni c scolte: finalmente agli organi esecutivi le volizioni l rasiti Atono più numerosi e variati movimenti, i quali a proporzione poi della loro rispettiva stmlUira e forza variano, moltiplicano * e rendono più 0 meno energici i medesimi movimenti. Cosi co usi durando questo llJ quanto non incontrano ostacolo, uè vengono impedite nei loro impTiUL sì possono chiamar libere. Giù nonpertanto la legge fondamentale ri eli -azione dell ostrica e di quella della sciinia è perfettamente la medesima; i mezzi e i modi soli variano di specie e di numero. NeH’uomo, essere misto, cioè a dire risultante dall’ unione di una ceri’ anima con un certo corpo, sotto di un rapporto non si cangia nè si può caugiare questa legge fondamentale. Egli dai canto della moltiplicità e della varietà degli organi esecutivi è assai meno superiore alla scimia, di quello che la scimia lo sia all’ ostrica. Ma egli ha una facoltà che lo distingue da tutti i bruti siffattamente, che esclude qualsiasi paragone. Dal polipo alla scimia evviuna scala di gradazioni di sensibilità e di azioni volitive ed esecutive, la quale in vero è assai estesa; ma in sì lunga serie di gradazioni per nulla si riscontra la capacità di tessere tutti i gradi delle astrazioni, tutte le composizioni delle nozioni e delle categorie generali; in breve, nulla che costituisca la ragionevolezza . Per lei P uomo è costituito nel carattere di essere intelligente ; carattere da lui goduto esclusivamente al di sopra dei bruti. Le sue facoltà mentali, e l’ organizzazione per cui può divenir tale, costituiscono realmente ciò che appellasi perfettibilità. Ora l’uomo senza l’uso dei segni potrebbe mai riuscire a ciò? L’uomo non giunge a questa elevazione se non per un graduale avanzamento eseguito durante l’ infanzia, epoca che dalla nascita si estende sino alla fanciullezza, la quale, rapporto alle facoltà mentali, riesce più o meno lunga nei varii individui a proporzione che l’organizzazione interna e le esterne circostanze sono più o meno favorevoli allo sviluppamene; e siccome del pari la ragionevolezza si svolge gradatamente mercè la scomposizione ossia l’atteuzioue parziale sulle idee semplici, aggruppate e raccomandate ai segni, e di nuovo poi accozzate, divise e paragonate in altre mille svariate maniere; così fra l’uomo essere senziente c 1 uomo essere intelligente non si frappone un’ essenziale differenza^ ma soltanto una differenza, dirò così, di preparazione e di lavoro di quelle stesse idee e di quelle stesse affezioni cui egli ebbe ed ha tuttavia come essere senziente ; diflerenza però importantissima, e che lo rende capace a fare ed a pensare ciò che tutti i bruti dell’universo non potrebbero. ooh. Ma ognuno accorda che l’uomo come essere puramente senziente^ ed allorquando si trova, per dir così, ancor tutto ravvolto entro la crassa atmosfera delle idee sensuali, non è superiore ai bruti; e (parlando al proposito della moralità) uon è suscettibile nè di inerito nè di demerito, uè di premio nè di pena. Ma perchè ciò? Perchè non è peranche ragionevole. Quando adunque nell’ infanzia egli è mansueto, compassionevole: quando nello stalo puramente selvaggio i genitori nutrono i figli, i figli accarezzano i padri: quando non rubano, non ammazzano, uon pongono legami alla libertà altrui: non sono, a parlare esattamente, agenti morali, cioè capaci di merito e di demerito, di virtù e di vizio, di probità e di delitto, di premio e di pena. Eglino agiscono bensì a norma della morale, ossia della legge naturale, ma uon la conoscono. Sono allora simili ad un cieco, che brancolando passeggia le strade senza vederle. Ma per qual legge l’uomo fa egli tutto questo? Per quella del piacere e del dolore ch’egli ha sentito e sente, ch’egli rammenta e ch’egli prova, che le circostanze esterne hanno associato nella sua memoria. In breve, ella è la sola sentimentale utilità il motore e la causa di tutto questo. Ciò non si chiama certamente aver idee di doveri, di diritti . di giusto e d’ ingiusto, di onesto e di turpe, di lecito e d’ illecito. I ulte sono idee astratte, e relative ad una regola; e questa regola non è conosciuta da lui, che non ha idee astratte di sorte alcuna. 557. Che se perchè la natura lo ha preordinato in guisa, che debba così sentire ed operare a fronte delle circostanze, dir si dovesse eh’ egli opera per un sesto senso, o per un istinto ; dire pur si dovrebbe, che in forza di un sesto senso e d’un istinto egli scappa quando vede un uomo che lo ha bastonato, si rallegra quando rivede un cibo altra volta aggradito, fugge da un pericolo perchè gli rammenta passate cadute; e così dei resto. 558. L’unico istinto è V amore al piacere e Yodio al dolore. L unico sesto senso è la preformazione organica di tutti i sensi umani, per cm tutti essendo formati io genere d’una sola maniera, è loro inevitabile il sentire tutti certi bisogni e certe soddisfazioni . certi dolori e certi piaceri, in simili circostanze e alle stesse epoche, e in certi gradi pressoché uguali. 559. Ma per qual motivo godendo l’uomo dell’attuale ragionevole za, diviene egli un agente morale. J Perchè in tale situazione raziocinando, e paragonando il presente col passato, le idee generali fra loro e gli effetti colle loro cagioni, egli può conoscere nelle diverse circostanze i rapporti che gli può somministrare il bene o il male; egli può antivedere le conseguenze d’una propria azione: può discernere il bene apparente dal bene reale; e perciò può determinarsi in vista di un maggior bene antiveduto, e resistere alle sollecitazioni d’un utile presente e di mera apparenza: la qual cosa far non può sotto l’impero di una sensualità schiava delle sole idee fortuite . sia attuali, sia passale, accozzate in luì dalie esterne circostanze, e dall1 azione degli oggetti esterni. Mercè di questa sublime cognizione si erige mi regno proprio 5 per dir cosi, deli’ uomo interiore, oye la volontà dirige i suoi decreti e le sue operazioni per impulsi nati da interne e libera combinazioni. uOO, l udire, mercè la intelligenza e la ragionevolezza può venire scoprendo che le regole delle sue azioni sono espressioni della volontà d’ un Knte supremo e che alla sanzione annessa all* ordine naturale si aggiungo uq’ altra sanzione di supplemento decretata dalla di luì provvidenza. Fu vista quindi di essa l’uomo può vie meglio dirìgere la sua condotta sopra una traccia diversa da quella dei nudi appetiti. 5G-L Finalmente, mercè la intemgetiza * può essere capace dT intendere il senso d’nua minaccia o dT ima proméssa annessa dall* uomo a certe azioni: e quindi, in conseguenza dd timore e della speranza prodotti dalle istituzioni umano, determinare le suo azioni In una guisa diversa da quella dd soli sensibili e preseulanei appetiti. Ma se non avesse intelligenza come potrebbe in tendere il significato delle leggi ! come antivederne le conseguenza 7 come applicarle allo sua azioni, e Jeru e nonna ad esse? Come potrebbe adunque essere meritevole d’ un premiò, cui non assunse uè potè assumer mai come inoltro delle sue azioni? come essere soggetto ad uua pena, cui non potè nò temete nò conoscere? 5U2. In forza dunque dell1 intelligenza diviene un agente morale., un agente capace dì merito c di demeritò, di premio e di pena ridia maniera sovra indicata. 1? intelligenza o ragionevolezza lo costituisce tale, c lo assoggetta ad un genere d5 impulsi Leu diversi da quelli dd sdo èssere seni tenie* Ma la morula naturale altro non è veramente che il sistema delle regole che debbono servire di norma alle azioni libere dell' uomo. La parti’ puramente precettiva-) ossia prescrivente le tali e tali azioni, è, per dir così, una serie rii tracce segnale dalla naturo qual sentieri clic r nomo deve percorrere nulla vita. 50ò, La parte poi persuasiva., o movente* altro nou è die il sistema ilei motivi die la natura annette allo azioni medesime.,! quali altro con sono che il piacere o il dolore, l1 utile o il danno che deriva all' nomo in conseguenza dsiresecuziouo o deirom missione di alcuni suoi alti liberi. Dunque il conoscere la morale è lo stesso che conoscere siila Ile regole e i loro motivi. Ma se per uno stimolo fortuito di sensibilità, nato dalle circnstauze, egli percorresse le tracce medesime die la natura segnò, ne verrebbe egli perciò che ne avesse letto il Codice legislativo, e ne couoscesse gli articoli ? L’uomo adunque in quest’epoca può essere un agente morale 5 e non conoscere la morale; agire a norma delle regole della morale, o violarle, senza pur conoscerle. 5G8. Dunque conviene distiuguere nell’uomo tre distinte situazioni. La prima, di essere non morale, cioè non avente ragionevolezza, e non determinante sè stesso iu forza di riflettuti motivi tratti dal proprio fondo, come souo appunto i fanciulli e i selvaggi più abbrutiti. La seconda, di essere morale, ma ignorante le regole astratte dei proprii doveri, e i freni speculativi delle proprie passioni, annessi a queste regole: che tuttavia provando in pratica le buone e cattive conseguenze della sua condotta, come sono appunto gli uomini nella prima barbarie e nell’epoca dell’ immaginazione, agisce a norma dell’ utile più diretto. La terza, di essere morale, e istrutto delle regole de’ suoi doveri c delle sanzioni della natura, com’è appunto l’uomo sotto la istruzione delle leggi civili, delle leggi religiose e della coltura. Allora prima di agire conosce la carta, dirò così, del paese che la sua libertà deve abitare, e le vie eh ella deve percorrere per giungere al suo meglio: allora egli riesce giusto o ingiusto, in quanto si conforma o si dilunga dalla norma fissata. 5G9. Ma siccome iu tutti questi tre stati 1’ unica susta che dirige l’uomo è l’ amore alla felicita; siccome gli stimoli eccitatori sono il pia cere e il dolore; così in quelli egli non diversifica il fine, ma i soli mezzi per giungervi. Egli è sempremai spinto dalla medesima forza . Merce di questa forza, diretta dallo sviluppo successivo delle sue facoltà, egli è avviato verso la cognizione delle regole. E mercè la cognizione di queste regole egli poi diviene culto e sociale. Perche la cognizione delle vere regole speculative della morale debba essere assai tarda, e difficile a scoprirsi nelle popolazioni. Dal fin qui detto non si ravvisa ancora distintamente la dimostrazione della proposizione di fallo da me esposta, che iu quest’epoca di barbarie più vicina alla selvatichezza non possono le popolazioni avere peranche la cognizione delle vere regole speculative della morale. Ora, per convincere altrui di questa verità, trovo espediente di applicare a questo particolare lo stesso metodo che mi sono proposto di sc i 8s;ì "aire per rapporto a tulio II complesso delle verità che riguardauo hi soluzione del quesito* Cosi propongo brevemente di accennavo che cosa debba far Idioma per conoscere le regole teoretiche della morale. D'onde emergerà se le popolazioni possano o no in quella dà giungere alla cognizione di si falle regole. Ciò diviene importarne a fi cole di una vol^ave opinione, la quale fa riguardare la provincia della morale come quella sulla quale gli uomini in complesso, o a dir meglio il Pubblico sembra arrogarsi una piu speciale competenza di giudieu*, come alLrovc si h veduto, e sulla quale potrebbe precipuamente cader dubbio che il giudieio del Pubblico s’abbia a tenere al maggior grado possibile qual criterio, di ver Uh, Che debba fare L'uomo per discoprire le regate f tpec illative della morale. Osservare gli uomini ed i loro rapporti interni ed esterni, lau\o da uomo a uomo, quanto colla natura, in quanto producono il bene o il male dipo udentemente dall' attività delle loro azioni libere ; rilevare prima le complesse e concrete circostanze particolari; ricavar poscia le astratte simili., meno complesso e generali; indagare le cagioni da cui nascono e gl’effetti che producono; collocai duomo in diverse categorie contemplandone le qualità ed i bisogni merce di piu semplificale astrazioni, e a d it li tempo s t ess o abbraccia re una si era piu ai np iu . dove appariscano le differenti circostanze; riportare le relazioni di latto ad un centro comune, qual è il conseguirne ntu del bene e del male; nidi dedurre quali diritti egli abbia e quali doveri ne nascano: e ad un tempo stesso dal conflitto delle circostanze Inevitabili ed irreiormaLUi dall umano potere dedurre i motivi eccitatori delta volontà che tende alla felicità; ècco in compendio la più risi retta e generale espressione dei doveri logici, ossia del metodo onde osservare in morale e trarne le regole tcoroi ielle di direzione, ed ì motivi naturali efficaci a porle in pratica. Ma quante cure e quante cautele l1 esecuzione di sii latte cose reca mai seco ed esige dal contemplatóre a line di cogliere la verità! h* dopo ciò, quanto imperfetti no debbono Urti avia riuscire i risultameli li l h Come lutano debba procedere nello scoprire i primi generali fondujnen li della morale. Supponiamo che le molteplici osservazioni d \ fatto siano conipiu te, c diamo un semplice saggio di quello che rimane a lare dappoi Se ci trasportiamo alla categoria più semplice e più universale. (Tonde lo sguardo abbraccia tutto il genere umano, ne ravvisiamo, è vero. gT individui sotto il più uniforme ed unico aspetto; ma. come beo si vede, egli è il più rimoto dallo stalo loro reale. Colà se prescindiamo, come esige la semplicità, da qualunque stato o sociale o selvaggio, noi tronchiamo dal concetto una differenza . la quale è pur cotanto feconda di diritti, di doveri, di virtù e di perfezione.Se poi passiamo a rivestire gT individui del carattere sociale, la contemplazione diviene meno generale., e la nozione meno semplice. Ella non abbraccia più l’altra circostanza di fatto degli uomini selvaggi; o, a dir meglio, questa nuova differenza non si concilia più coi caratteri comuni anche agli uomini selvaggi. Quindi le regole che ne nascono non convengono che ad una sola parte del genere umano. Viceversa le regole che prima nascevano nella superiore universale categoria uon bastano nè servono completamente all’uomo posto in società. Dunque trasportandole così nude, vale a dire senza la dovuta aggiunta delle circostanze sociali, riescono impraticabili in società, ed anzi di un uso nocivo. Conciossiachè ciò clie deve e ciò che è lecito all’uomo fuori di società onde procurare il suo benessere, non è tutto lecito all’uomo sociale onde procacciarsi il suo; e così viceversa. Ma anche nella considerazione dello stalo sociale, contemplato nel senso più astratto e generale, non si comprende peranche la circostanza dei Governi, ossia delle società politiche. Laonde le regole morali risultanti dai rapporti delle società non politiche, sia riguardo a tutto il corpo, sia riguardo ai singolari individui, non sono applicabili tulle come stanno alle società dirette da una sovranità; e così viceversa. 578. Ma siccome anche nelle politiche società ogni individuo, oa dir meglio molti individui separatamente, oltre all’essere uomini sodi e cittadini (i quali appunto sono i caratteri appartenenti alle tre categorie ora contemplate), taluni sono o magistrali o padri o figlia tanto separa' tamente quanto cumulativamente, ovvero sono anche rivestiti di altre individuali o comuni prerogative, circostanze ed accidentalità: così è chiaro che alcune regole non possono vicendevolmente servire a determinare i diritti, i doveri, le virtù e i motivi di benessere in tutti gli stati differenti. Così, a cagion d’esempio, le viste di una individuale prudenza non convengono nella loro totalità ai rapporti di famiglia: quelle di famiglia a quelle di membro d’uua professione; queste a quelle di cittadino; e viceversa. Perlocchè, a fine di offrir regole proporzionate a tutti questi stati, è assolutamente indispensabile contemplare tutte le circostanze che racchiudono; rilevare i rapporti al benessere in una guisa conciliabile con tutto il complesso degli altri rapporti generali; cogliere i risultati interessanti di tutti questi rapporti promiscuamente modificati, e così 1’ effetto del benessere individuale; e quindi trarne le rispettive regole teoretiche, e i motivi della morale.Ma perchè mai la considerazione di tutte queste cose è effettivamente necessaria a determinare le vere regole teoretiche che servir debbono alla pratica esalta della morale? La risposta è semplice. Perchè tutto l’ordine morale in fatto si fonda sull’ordine fisico: quindi le redole sono necessariamente determinate in ispecie, numero ed estensione dall’ordine fisico, sia permanente, sia successivo. A fine di dare un saggio di prova di questa fondamentale verità, e far sentire le conseguenze che ne nascono,, trasportiamoci di nuovo alla sommità della scala delle morali categorie, e riguardiamo l’uomo nella sua più assoluta ed astratta semplicità. Certamente in questo punto di vista egli ha il minimo di reale . e riunisce in sè il maggior merito metafisico. Ora benché in questo punto di vista non riteniamo che i soli essenziali caratteri, pure troviamo una quantità assai complessa. 581. Esaminiamo questa quantità; riportiamo le elementari e più importanti circostanze alle viste del diritto e del benessere; e veggiamo che cosa ne risulti. 582. Se non contemplassimo nell’uomo che la sola parte dello spi rilO) egli per ciò stesso avrebbe i soli diritti, i soli doveri, i soli bisogni e la sola felicità propria dello spirito: quindi, se si fingesse tale, non abbisognerebbe nè di nutrimento, nè di vestito, uè di propagazione: non temerebbe uè la fame, nè il freddo, nè le catene, uè la morte. 583. Quindi non esisterebbe diritto di dominio, nè tutta quella ramificazione di conseguenze che Ya annessa a siflatto diritto: non esisterebbero nè i doveri nè i diritti di matrimonio, non quelli della conservazione dell’ individuo, non quelli della hsica esteriore libertà. I delitti contro la temperanza fisica, contro la educazione e la società, l’omicidio, il suicidio, il lurlo, le percosse, il libertinaggio d’ogni genere ec. sarebbero cose di cui non si potrebbe formare tampoco un’ idea. La morale umana detterebbe un altro catalogo di doveri, di virtù e di vizii, di cui non è possibile formare alcun concetto. Ma per ciò che riguarda Dio, l’uomo avrebbe le stèsse relazioni di dipendenza, e quindi sarebbe soggetto ai doveri religiosi. Ma il modo di praticarli nello stato di puro spirito sarebbe diverso da quello dello stato di essere misto. Dunque egli è la coesistenza di una macchina, e di una certa macchina che determina la specie, il numero e l’ estensione delle vive regole della morale umana. Ciò tulto si esprime brevemente dicendo che la morale umana è la morale di un essere misto. Dunque, benché i rapporti ne siano necessarii ed immutabili tuttavia il fondamento di questi rapporti non è niente più immutabile e necessario di quello dell’ordine fisico. 1 rapporti di una figura materiale reale sono necessarii ed immutabili: ma lo sceglierne la specie è cosa arbitraria; il farla esistere, distruggerla, cangiarla, è cosa contingente. Questa macchina umana, benché costrutta come ora la vergiamo, si può immaginare formata in altre guise. Se l’uomo, a cagiou d esempio, riunisse entrambi i sessi, e fosse costrutto in guisa da moltiplicare senza accoppiamento, egli polrebb’ essere padre e madre ad uu tempo stesso. Ecco cangiati tutti i doveri e i diritti relativi a questo particolare. Se le sue braccia invece di finire in maui flessibili andassero a terminare (come ha immaginalo Elvezio) in una zampa di cavallo, non potrebbe fare lavoro alcuno. L’arte della scrittura, dell’architettura, della pesca, l’agricoltura, la tessitura, l’arte del falegname, del fabbro-ferrajo, ed in breve tutte le arti di prima necessità non potrebbero aver luogo. Da ciò quanti beni sociali di meno, quanti disagi di più! Anzi la società uou avrebbe luogo, poiché gli uomiui sarebbero condannali ad abitarle caverne a guisa di bruti. Del pari un numero infinito di diritti e di doveri sarebbe senza fondamento. 589. La struttura adunque della macchina umana determina iu ispecie molli doveri e diritti, e perciò molte regole della morale, e molli molivi di osservarle. 590. L’uomo, quale ora lo conosciamo, ha una tessitura di organi distruttibili dalle forze de’ suoi simili, talché ne può soffrir danno e morte, come anche ne può ritrarre molti beni e soccorsi. Ma se questa strutlura fosse, per dir così, invulnerabile, o se le forze dell’uomo fossero talmente fievoli da non recare alcuna nociva impressione, o non prestare veruu ajulo al suo simile, cesserebbe ogni fondamento di molli doveri tanto positivi quanto negativi, e riuscirebbero impossibili molli vizii e molte virtù. La passibilità dunque della macchina umana e la sua Jorza determinano altri diritti, doveri, virtù, vizii e delitti. 59 1. Ma se l’uomo, benché dotato di una macchina, non abbisognasse di un nutrimento procurato dall’ industria, ma invece lo assorbisse dall atmosfera, e per una via più compendiosa compisse il nutrìmento e Y assimilazione dei corpi estranei 5 se la temperatura delle stagioni in certi climi non irritasse dolorosamente le fibre del suo tatto, e talora non apportasse malattia e morte; egli è chiaro che non abbisognerebbe dei frutti della terra o del regno animale per ricovrarsi, nutrirsi c vestirsi. Perloccbè di nuovo la tanto estesa caterva dei diritti e dei doveri annessi al dominio delle cose, tanti oggetti di necessità, di comodo e di piaceri, e quindi tante passioni virtuose e malvagie non avrebbero esistenza. Aduuque i bisogni fisici dell’ uomo, derivanti dalla struttura e dalle determinazioni e relazioni della sua macchina, determinano assolutamente certe regole della morale. Così (senza dilungarmi in ulteriori enumerazioni) il numero, la diversità, l’estensione, Y intensità, la durata dei bisogni, le forze ora maggiori ed ora minori a poterli soddisfare, saranno e sono tutte circostanze che inducono e indurranno una diversità di numero, estensione, specie, durata ec. di alcune regole della morale. Da questo brevissimo saggio analitico consta abbastanza la verità della sovra allegata proposizione, che Y ordine morale, tanto nel suo stalo, quanto ne’ suoi rapporti attivi, sta interamente fondato e viene diversamente determinato dal Y ordine fisico. 595. Dunque le regole della morale, quali possano servire alla pratica umana, debbono essere tratte e definite dalle relazioni di fatto fisicomorali fra fuorno e gli esseri che lo circondano ed hanno azione sopra di lui, e sui quali egli pure reagisce; e ciò in quanto le sue azioni libere possono influire sulla sua fieli ci là. Ma in questo elevato punto di vista mancano pur tuttavia assaissimo considerazioni, onde determinare la morale sociale . Qui nou abbiamo contemplato l’uomo se non nel suo più astratto e generale concetto: ma vi manca la parte maggiore che può servirgli nel commercio co’ suoi simili, lo ne farò quindi il più breve cenno, e generale. Il commercio tra uomo c uomo è intieramente fisico: le anime loro non si comunicano direttamente : il corpo vi sta frammezzo; e mercè di esso si eseguiscono tutti gii atti sociali. Di più, col progresso dell iucivilimcnlo sorgono variatissimi oggetti fisici, che divengono fondamento di nuovi diritti e doveri. H. Come V uomo debba procedere nel determinare le regole della inorale sociale. 597. La mente umana, fatte le convenienti osservazioni, scorge nell'uomo, al pari che negli altri esseri animati, il line comune della cotiservazione degl individui e della riproduzioue loro. Questa è uua legge di fatto naturale. Nella storia preliminare, proposta a fondamento di questa scienza, si è notato esistere in tulli gl’ individui uua invincibile teudeuza al piacere, e un odio insuperabile al dolore ; in una parola, Yamor proprio ossia l’amore alla felicità : legge di fatto reale della natura. Io terzo luogo alla conservazione, alla riproduzione, ed ai mezzi a quelle tendenti fu annesso Y amore e il piacere, ed alle cose contrarie Yodio e il dolore. Auche questa è legge di fatto reale di natura. 598. Mercè quindi il collegamento dell’rt/nor proprio alle sovra espresse cose il contemplatore scorge due leggi di fatto insieme coordinate allo stesso bue. Dunque è costretto a dedurre in generale, che giusta l’ordine stabilito dalla natura, e giusta i rapporti del comune interesse, la distruzione, l’incomodo, la schiavitù, e in fine tutto ciò che tende a togliere o a sminuire la felicità altrui, sono cose vietate dalla natura, e per le quali da’ suoi simili a lui ne deriverebbe danuo, perii connaturale odio al dolore, per la tendenza alla difesa, e per gli stimoli alla vendetta: mentre per lo contrario tutti gli atti di soccorso e di beneficenza vengono muniti dall’approvazioue della natura legislatrice, e sono vincoli di affezione e di colleganza. Da ciò vede esistere una norma delle sue azioni, indipendente dalla di lui esecuzione, i rapporti della quale gli arrecano o male o bene. Dunque egli scorge un bene ed un male annessi a siffatti atti, che riescono di stimolo o di freno alla sua libertà. Formando quindi la nozione degli atti che portano seco si fatte conseguenze, nasce l’idea del dovere. Osservando che il bene e il male annessi sono per lui inevitabili, e sentendo una unica ed invincibile tendenza alla felicità, ne trae la nozione della obbligazione morale. In vista di uua nonna, ha uu modello di paragone, onde nascono relazioni di conformità o di difformità fra quella e le sue azioni. Ecco la nozione di giustizia. Siffatta norma essendo il risultato di rapporti realmente attivi, ed esistenti iu natura, forma la nozione di legge. Alla osservanza pratica od alla contravvenzione scorgendo annessi il piacere o il dolore, per tale unione e relazione forma l’idea di sanzione. Finalmente scoprendo clic per ciò appunto che la natura ha voluto la conservazione e la felicita, é drl pan avrà autorizzato la voIopLà e la forza ili ogni uomo a praticare r ii alti a lai fine tendenti od efficaci., ed avrà vietalo ad ogni altro nomo E impedirlo ; cosi formerà 1 idea del diritto 5 G00. Olimpio il dovere e il diritto non sono nella loro realità se non che modificazioni della libertà eli fatto dtilTpQtóo. Voglio dire, eh 'essi non sono se dou che gli atti stessi della sua facoltà di volere e dì eseguire le volizioni, in quanto vengono riferiti alla norma ed al fine voluto dalla natura. g GOL Ma in natura Tatto astratto non esìste j non esistono che atti indwiductli 'doli* ticiBO. Presi come esistono, sono effetti di. una forza: agire altro non è che produrre un certo elle Ito. La loro relazione non f\ die mi concetto dello spirito umano: ben è vero che il loro esercizio è l'applicazione dì mia forza sopra un oggetto. Dunque i diritti presi nella loro realità, e riportati alla loro norma e al loro fine non possono essere altra cosa che T esercizio della volontà r de IL forza umana sopra certi oggetti, in quanto questi alh sono conformi alle leggi della natura, e Lendenli a procurare il benessere ut] i ano. G(K;p. Dunque malamente e impropri a monte di cesi trasportare c svenarti un diritto . Il trasporto e T alienazióne non cade che sull oggetto. L’uomo dal cauto suo altro non fa. che raffrenare la sua forza dal praticare su ili un da Lo oggetto quegli atti che prima a suo piacimento era gli lecito esci citare. 6 Od. Dunque una convenzione riguardante specialmente una cosa materiale, se si considera dal canto suo movale-, altro non e che I espressione della volontà di due o più uomini, per cui 1 uno ma mi està che a favore d? un suo simile egli ha deliberato cd assicura di non esercitai più la sua forza legittima sopra di ima data cosa 5 e 1 altro esprime di voler egli praticare senza oracolo gli stessi atti . \ iceversa quando la convenzione ha per oggetto Tesecuzione diretta di qualche aLLo personale* l'espressione è pure la medesima, postochè dapprima una parte non era in dovere di praticate un atto della sua terza. 6(b>. Ma il possedere un dato oggetto materiale, oppure 1 esercizio dì un atto personale nel commercio umano, è per sè cosa utile, e sovente necessaria. Il continuare in siila Ito possesso Lrae seco importantissime conseguenze al ben comune. Il richiamarlo contro la volontà del possessore apporta incomodo, dispiacere 0 contrasto. Inoltre trae seco per necessaria conseguenza il turbamento di molteplici connessioni necessarie al collegamento, alla conservazione cd ai progressi della società. La società è d altronde uno stato asssolutainente necessario al benessere eil alla perfettibilità umana. Quindi nulla si può attentare contro di lei ; e per lo contrario praticar si deve ciò che tende alla sua conservazione ed al suo meglio. 006. Da ciò la mente umana deduce le regole riguardanti la fede e la stabilita dei patti non risolvibili senza il consenso scambievole delle parli. Internandosi poi nelle rattemprate modificazioni e nell’ incrocicchiamento dei diversi rapporti del tutto sociali, e riportandoli al loro centro, ne trae, come per soluzione di un problema, le limitazioni e *r 89 j Sì 5 Io sei io quanto la legge non li considera soggetto a me; perchè ci obbliga entrambi a rispettarci ; perchè se imploriamo la sua autorità, se si tratta di concorrere al ben comuue, ci riguarda con pari affezione: ma non perchè ti debba lar parte dei frutti della mia industria, della mia fortuna, degli onori da me acquistati e de’ miei onerosi privilegii. Se tu avrai pari industria, ingegno, fortuna, merito, virtù, tu godrai uuo stato eguale al mio. La tua eguaglianza astratta è dunque ipotetica. In tutto ciò noi siamo diseguali : dunque diseguali debbono essere anche i diritti relativi che godiamo in laccia della le°£e. Ma d onde nasce questa conciliazione ? Dall’aver prese in considerazione alcune circostanze di fatto dell’ordine reale di natura, non comprese nella nozione di fatto che formava il concetto del principio astratto. Discendo alquanto dalla montagna, e dico: tutti gli alberi sono egualmente alberi: ma non tutti gli alberi sono eguali. Non altrimenti che le apparenze ottiche hanuo un’ effettiva verità alle diverse distanze da cui si contempla l’oggello, talché ogni pittura che se ne fa si può dir sempre fedele, ma pure diversa in date ilistanze; così pure nelle regole pratiche avviene che i pii nei pii (benché nelle diverse generali categorie siano veri) nulladimeno non sono completi che nel punto piu vicino alla realità, perchè la pratica uon può mai essere astratta. 62 l. Lo stesso sperimento che ho tentalo sull’eguaglianza eseguir si potrebbe egualmente sulla libertà. Ma ciò soverchiamente mi devierebbe dal mio scopo. 62o. Si perdoni questa lunga digressione all’importanza della opinione che io poteva temere contraria; si perdoni alla mancanza di metodi precisi di ragionare in morale; e finalmente alla rilevanza della materia medesima troppo interessante all’umanità, e in cui per difetto di metodo si sono commessi e tutto dì si commettono innumerevoli errori calamitosi alla società. Articolo li. Se gli uomini nell epoca barbara della immaginazione possano conoscere le regole della morale. La risposta è già fatta dalia dipintura dello stato di quell’epoca paragonato col complesso dei doveri logici fin qui esposti. Che se il cuore di molti ripugna all’atrocità, alla violenza ed alla soperchierà, non ne viene perciò che senta una tale ripugnanza ia vista d’an paragóne con una regola teoretica, auzicliè per un effetto di sensibilità determinato dairattivilà delle idee acquisite, la cui efficacia ed impressione piacevole o dolorosa viene diretta dai rapporti della sua natura, oiusta quanto si è veduto di sopra. Ad acquistare la cognizione d’una cosa qualunque non vi sono che due sole vie: vale a dire o 1’ invenzione propria, o Yistruzi0ne altrui. Ma la prima è impraticabile, se non si hanno dapprima predisposte le idee, se la ragionevolezza e la coltura non sono giunte ad un certo grado di sviluppamene proporzionato alla comprensione delle astrazioni; e per conseguenza, se l’attenzione non venne fissata dapprima sugli aspetti parziali delle cose, se non ne ha ritrovati i segni e annessevi le idee, e in breve se lo spirito umano non abbia eseguite tutte quelle operazioni che si sono dimostrate indispensabili alla ragionevolezza ed alla scoperta della verità. L'istruzione poi è impossibile dove mancano le persone che siano fornite di lumi, e li possano sommihistrare ad altrui - Ma in questa epoca delle popolazioni e l’una e l’altra di queste condizioni mancano interamente. Dunque manca ogni mezzo di conoscere le regole teoretiche della morale. Si chiederà se colla guida del solo sentimento, benché acquisito e determinato dalla natura nel modo sopra annunciato, possauo le popolazioni recare giudici! morali tanto retti, quanto mercè il lume della più perfetta cognizione delle regole teoretiche. 631. Rispondo, che se molte volte ciò far possono, ciò non trattiene le popolazioni dal cadere spesso nell’ errore. Il sentimento diviene fallace ogniqualvolta vi si mescola qualche estrinseco eterogeneo interesse. Il sentimento diviene fallace ogniqualvolta vi si associa male un’idea. Cosi se per alcune particolari circostanze in un popolo nasca la credenza che sia atto di compassione l’uccidere i vecchi e 1 esporre i bambini, esso lo farà freddamente, ed anzi s’applaudirà di praticare un atto umauo; se crederà rendersi terribile ai vicini, o fare un opera meritoria mangiando o abbruciando vivi i suoi nemici, ciò pure praticherà con allegria di cuore: e così dicasi del resto. L’ospitalità, benefizio tanto costantemente usato presso tutte le barbare nazioni della terra tanto antiche quanto moderne, quante volte non è stata violata cogli atti ì piu immorali! Aprite gli annali del genere umauo: leggete la storia delle nazioni in un’epoca simile a quella che esaminiamo, e poi rispondete se entro a quella il solo sentimento possa servire di sicura guida morale alle popolazioni. Ora se cotanta è la fallacia di questo mezzo, come mai si po. tra stabilire la tesi generale, che il sentimento possa essere un sicuro direttore dei giudicii morali, e quindi riescire un criterio di verità? Io non dico perciò che il sentimento molte volte non detti quegli atti medesimi che le regole morali additano. Ma se egli non esclude per sistema intrinseco e generale le opinioni immorali, sarà eternamente vero che converrà determinarne la direzione colla combinazione delle circostanze esterne 9 o rettificarne le aberrazioni. Questa è l’opera delle leggi, e di una ragione pienamente illuminata; e le une e l’altra non si riscontrano che in un’ epoca ulteriore di incivilimento per lente e graduali progressioni eseguito. Ed anzi in questo stalo medesimo di perfetta società v hanno gradazioni, le quali se prima non sono fedelmente seguite, non si giunge alla vista della verità: la quale all’ occhio umano non si presenta se non sotto un punto di vista unico e viciuo, e dopo che è salito ai più sublimi gradi della perfettibilità, come in parte si e già veduto, e più ampiamente si vedrà in progresso. Questo sarebbe il momento nel quale, volgendo l’occhio sulle culte ed illuminate popolazioni, dovrei fare l’applicazione delle teorie fin qui tessute allo stato di fatto del Pubblico; e, riscontrando le cognizioni necessarie alla scoperta della verità colla pratica possibile di questo Pubblico 5 far sì che risultasse evidentemente la verità della risposta da me recata al proposto quesito. Ma siccome l’unità sistematica, che appoggia e sostiene la catena delle verità, non permette speculazioni dimezzate ; così debbo sospendere ora dal procedere a sififatta conchiusione, lino a che non abbia esposte e sviluppate altre fondamentali considerazioni. Necessità di conoscere la base della certezza delle cose di fatto. Due sole specie di verità possono esistere; cioè a dire le verità di fatto e quelle di raziocinio, corrispondenti appunto alla sensazione ed alla riflessione. 636. Non escludo il raziocinio dalle notizie di fatto, ben sapendo che a guidare 1 uomo alla loro scoperta, o ad accertarlo delle loro qualità e delie loro circostanze, soventi volte è mestieri del raziocinio. Ma allorché scopo primario del ragionamento sono le cose di fatto ^ egli noa diventa se non che un mezzo subalterno, onde porle in luce ed in certezza. Ciò però non altera nè corrompe l’indole e la costituzione della verità rintracciala, uè può alterarne la specie; uon altrimenti che uua strada non può cangiare la forma o la collocazione della meta a cui si lende. D’altronde in ultima analisi i raziocina che servono ad accertare i fatti sono in se medesimi altrettanti risultali di altri fatti diversi. per la ragione che i raziocina risultano dalle idee acquistate coll’ esperienza. 637. Ripigliamo il (ilo a cui tendeva l’incominciamento di questo discorso. I giudicii umaui, aventi per oggetto la verità, debbono poggiare essenzialmente sullo stato reale delle cose. Abbiamo accennato che ogni nozione anche astratta e generale noti è vera, se non in quanto si può in ultima analisi ridurre ad uua idea di esperienza. Dunque ogni teoria non sarà vera se non in quanto esprime la connessione ed i rapporti vicendevoli di molti fatti reali della natura o fisica o morale o mista. Ma se i fatti immaginati non sussistessero, ogni nozione sarebbe puramente ideale ; ogni teoria diverrebbe un mero romanzo. Dunque l’uomo giudicando che siffatte cose veramente esistessero, ed in natura fossero come egli le concepisce, formerebbe un falso giudicio. Quindi affinchè ogni pensamento umano si possa dir vero, lauto rapporto a’ suoi fondamenti, quanto rapporto alle sue deduzioni, è assolutamente necessario che la sperienza nou sia fallace. 640. Ma approssimiamoci vieppiù allo scopo a cui tendono le nostre osservazioni. Siccome in natura qui non abbiamo che l’uomo e gli esseri che lo circondano, così tutti i fatti si racchiudono entro questa sfera. Dunque i raziocina aventi per iscopo la verità eutro questa sola sfera si aggirano, nè oltre si possono estendere. 641. Ma siccome gli esseri uon sono fra loro nè sconnessi, uè isolati: ma all’opposto per un’azione, per una reazione, per un assorbimento scambievole si ravvolgono entro innumerabili sfere, or più ed oi meno ampie, di reciproca influenza, talché fra loro alcune si aiutano, altre si collidono, altre predominano, ed altre servono: così i fatti saranno risulta menti necessarii della materia e dello spirito, modificati, aggirali, e in milioni di guise composti dall’azione, dalla forma, e dallo stalo accidentale e progressivo dei soggetti medesimi posti in iscambievole comunicazione e dipendenza. Ciò premesso, approssimiamo ancora di un grado le idee al nostro soggetto. La base prima delle scienze è la storia di qualsiasi genere, come ora si vede. Ma quand’anche i fatti fossero certi in se medesimi. se chi deve recar giudicii su di loro non avesse prove indubitate della loro esistenza e delle specifiche eircostauze u per l’esperienza o prr indubitata autorità, i giudicli nuli r Esulterebbe; ro mai certi.. Dall'altro cauto il dii mero dei J fitti die possono emisi a re ad ormino mercé la prò* pria esperienza é ristrettissimo* Dunque è inevitabile il riportarsi quasi intieramente all altrui tradizione o scritta o verbale. Ma se sulla nuda in esaminata fedo altrui si ammettessero! fatti* è troppo chiaro che 11 fondamento dei giudleii nostri sarebbe Le* m erario. Allora col favore di questa precipitilo za si potrebbe sempre In* tra dere e far ammettere come certo qualsiasi fallo non contestalo, e sovente ancora fatti realmente falsi. Perl oche i giudici! clic ue sorgesspri) non potrebbero tenersi mai qual criterio di verità. Che se ci rimanesse dubbio sulla eerttcitU del Pubblico, curri mai potremmo esser certi della verità dirli notizie a noi trasmesse tmri la via delia tradizione? Dunque, prima &i Litio, deve esistere iu un* luna un fondamento certo ed uifutliLib1. il quale ci rassicuri che la norrazione e la tradizione, poste almeno certe circostanze. non sono men* zognere: altrimenti, mancando questo primo fmidameiiL'. imi s n r u Eitn i o aggirati da un perpetuo dubbio su tutte quelle cognizioni quali JL:,|j ci constassero per immemata esperienza, Periodi è quasi tutto lo sci L il avrebbe una fonte meramente precaria. 645. Dunque, oltre l'avere un principio indubitato ridia triV^a reale delle case à\fctttO,r avvi d uopo alia ter Le zza dei giiidicii umani eh'1 esista un chiaro e formo teoretico fondamento che ci assicuri dell .dlnn veracità. Nè pensarsi deve ch’agli riguardi soltanto que#faUi dteformano la storia civile o religiosa, ma abbraccia eziandio I dati e 1 dell ordine fisico, psicologico e morale misto. _ Quando II Pubblico e il pm dei fisici medesimi giudicano che gli esperimenti di Newton, di Haller, di Franklin, di LavoLi-r sono veri: quando ammeftouo corni' autentiche le storie di Buffon, di BonneU di Réaumur. di Trembley, i Spallanzani, ui Linneo, di Tourneforl: quando riportano con fiducia le loro scene. Ora egli è pur vero che ogni idra, ogni affezione, ogni seminjento mio non si può divìdere da me, che lo sento; e che Lauto dalI esperienza, quanto dall ipotesi . esse non sono enti reali o diversi a staccati da me, ma soltanto modi d’ esistere dell'essere mio senziente: la qtial cosa poi nel buon linguaggio della realtà altro non significa, m non che esse non sono altra cosa che 1 estero mio cosi modi! ira lo, ossi:i I essere mio in quanto esiste ora sotto la forma dell'idea delfodor di rosa, ora di color cilestro, ora di virtù sociale. So tutto ciò è vero, a che casa propriamente fidar rts&Besi quella doppia attività tll sopra supposta nelI* idea ? ^ 61 j, 11inLrmsechf! determinazioni dell' esser mio, qualunque xiauo. noli atto che provo T idea del colore cllestro determinano la mb sensibilità a vestirsi dell idea di detta colore; egli sarebbe cosa ripuj .gnaulò il dire che uè] momento stesso siffatte do terni inazioni tenda a o a sbandirla. Dunque fino a che questo determinazioni non cangiano, non si cangerà nemmeno Io stato attuale della mia sensibilità. S se 1 esser mio abbisogna di cangiare di de ter mi nazioni, code rivestire 1 altro stato successivo: e so lo stato attuale è uh effetto ! giusta I ipotesi J soltanto delle determinazioni sue interne. indhJÈndi'rJ* temente da qualunque esterna azione; come potrà dunque essere a stesso cagìppp (Jj cangiamento ? Se l'idea del colore cilestro non è una sostanza reale, e per conseguenza non è una po Lenza attiva e divisa da ine. ma è per se stessa un effetto, una semplice modificazióne mia; in brrve, altro non è che Y essere mio cosi esistente : non dovrò io dire, che siccome, a tenore dei priocipìi deir idealismo 3 io non esco da me stesso nell atto di sentirla, e sono io stesso che me la formo; cosi anche per cangiarla non debbo implorare il soccorso di alcun agente esterno? G*G. Ora se la ragione di cangiarla si deve ripetere nell’idea stessa attuale, anzi m è forza dedurla da essa sola, poiché ogni stato dell'essere mìo passato e futuro non é veramente un Ila; debbo adunque supporre m me un attuale, viva ed attiva determinazione ad avere fi idea stessa ed a scacciarla da me, cioè a dire ad averla e a non averla nello stesso tempo. Ciò rimi è tulio. Nelle alluci e combinate JetermmazLom delTesser mio de ve si uou solo ri irò va re questa contraddittoria tendenza a produrre ed a far cessare semplicemente mi’ idea; ma inoltre è forza racchiudervi una speciale e determinala disposizione ad eccitare F altra determinala idea che succede: ciò cho aggiunge una nuova ripugnanza. G78* Nè dir si po Irebbe clic Fidea precedente generi la successiva al momento solo eh5 essa parte da! campo della sensibilità 5 cioè a dire, clFelia vi persista senza cangiamento, per una forza naturale di conservazione di eè stessa, per creare la successiva al momento solo ch’ella parte dall' anima. Imperocché dovrebbe sempre ritrovarsi una prima ragione, per cui essa debba partire dalla mente; o5 per parlare più precisameli Le, per cui Fan ima so ne debba spogliare. Nemmeno dir si potrebbe, die soltanto dopo un dato tempo di durata nella sensibilità l’idea debba divenire madre di un altra: poidie se da nessun altro agente esterno non sopravviene mutazione in tutto il tempo eli ella si trattiene nella mente; c. sé ella non è un ente distinto e sovrapposto alla facoltà di sentire, che vada cangiandosi per partì successive, ma bensì è una nuda m edificazione della sensibilità; non v è ragione, per la quale s* ella deve essere madre di un idea successiva, esserlo non debba al primo momento che sT impossessa della mente : e per ciò stesso* clic nel momento medesimo non debba sparire dagli occhi mici, per dar luogo alla pretesa e necessaria sua produzione. Ma ciò (parlando senza allegorie] non involge forse una formale contraddizione ed un fatto contrario alF esperienza f fufatLi, se al momento che un1 idea si forma in me devo produrne un’altra, e svanire per darle luogo; ciò deve far necessariamente supporre entro di me una determinazione uno stato qualunque anche incognito, mercè il quale ìó debba avere e non avere nello stesso tempo le idee tutto. Imperocché* se un idea al primo momento clic esiste in me deve cessare, olla realmente non vi esiste nò vi può esistere in alcun momento possìbile* cioè a dire non vi può esistere giammai. Ora non ò forse questa la necessaria conseguenza dell idealismo non solo, ma eziandio della troppo celebrata mi tempo ipotesi delV armonia prestabilita^ nella quale soltanto per un supposto del tutto gratuito sì ammetteva la esistenza della nostra macchina e degli altri esseri della natura? Iti dunque non solo gratuita, ma assurda e ripugnante al latto la supposta obbietta la attività generante delle idee; ed è dimostrata tale non in vigore d'nna pretesa roguì/douc del F intima natura della nostra mente, ch'io professo di nou avere, ma da] hi combina /ione sola dei rnj porli di quella ragione stessa, colla quale l’ idealista si sforza di persia dermi de] la sua opinione. Resta dunque provato che ressero nostro senziente e pensanti' debba ripetere fuori di sè stesso la cagione determinante le affezioni tnlte della sua sensibilità; ciò che è lo stesso come dire, che esiste fidò che cosa di reale e di attivo fuori di noi* die è la cagione eccitatrice delle nòstre idee. 684, Prego a ridettero attenta mente ni rapporti interni di queste ultime riflessioniLsse rovesciano ogni fondamento tanto dell1 una quàt* to dell altra opinione che combattiamo ancorché si pretendesse chi' In prima idea non si debba all azione di verno agente esterno, ed aUcofcIfe si volesse tarmare dell essere nostro una spècie di divinità, a coi aon abbisognasse nemmeno un primo impulso onde far comparire e mettere ni moto tutte le parti della macchina nostra ideale, e far succedere b ime alle altre tutte le variate scene delle nostre idee » delle nostra affezioni; delle nostre volizioni, e tutta la catena in fine degli avvenimenti della nostra vita, Confermazioni dei precedenti riflessi Osservazioni sull' unità del L'essere pensarne. 685, Mi si permetta ancora una osservazione atta a convalidare le prove Gli qui addotte. A ivo ed irrefragabile come il sentimento della misi esistenza . io ho quello dell unità del mio essere. Ogni dimostrazione, ogni raziocinio che tessere si volesse onde convincermi che io non setto piu persone, ma una sola persona, uon solo sarebbe del tutto superfluema ridicolo ed impossibile, come sarebbe una vera follia tentare di persuadermi il contrario. Ora questa unità o è realmente singolare propria indivisibile, c rigorosamente tale iu natura; oppure è una unità soltanto col* ì e Ulva, Impropria, divisibile e nominale. Nulla prima specie di unità sarebbe vano il tentare qualche divisione, o voler discente re differenze^ poi eh e ciò renderebbesi impossibile dal concetto -stesso dulia cosa. Quindi volendola definire, potrei ben indicare ciò ch’ella non è o non può efc sere coll annoverare le qualità che non lo si convengonoma non potivi mai insegnare ciò ch’ella sia in sè stessa a chi dapprima uou ne avesse idea: non altrimenti che ad un cieco-nato non [rosso far comprendere che cosa sia la intrinseca idea del color rosso. Nell’ uniti collèttmi poi io distinguo bensì più cose; ma, a parlare propriamente, io le distinguo non Dell'idea di unità, ma bensì ar|,po fletto a coi la giudico appropriala., Io mi spiego. Avarili di me siasi posto, a cagion d’esèmpio, uu pentagono tua Le riale, o un dato animale singolare. 1/ idea della loro totale indivìdua figura ò talmente semplice e determinata, che non mi è possibile aggiungere o levare a lei almi uà cosa senza distruggerne il concetto. Quindi essa è tale, o non è più, Ecco V unità rigorosamente singolare sotto di un aspetto. Tale pur si verifica ne Ih idea di ogni determinata grandezza, colore, figura, ec. Ma siccome, passando ad un’altra considerazione, io veggo delle parti Ìu questo pentagono o animale; e veggo che possono, come a n eli e Fesperienza me Io dimostra, esistere Funa senza dell’altra; e comprendo che sono ira loro distinte e moltiplica quindi ho sullo stesso oggetto l'idea di numero. Ciò non ò tatto. Come veggo che queste parli moltiplici sono quelle stesse che concorrono a creare in me l’idea Sémplice ed indivisibile di pentagono e di animale, laiche pare che questa idea rigorosamente unica, singolare e io divisibile vada a chiuderle lutto entro un solo co d ce L Lo indivisibile, ciò che gli scolastici chiamavano informare : quindi per uri’ operazione dell anima mia, che racchiude amendue queste considerazioni ad uu tratto, io dico che al pentagono, alFanimale, e cosi dicasi ili un aggregato qualunque di cose, si può attribuirò soltanto una unità collettiva^ e non singolare* 5 689. E però ma ni tosto . che propriamente non esiste che una sola idea di un ità^ i;i un aggregato rii eni distinti l'uno dallVdlro, aventi una esistenza fra di loro ludi perniatile. DebLo dire altresì, clic questo di’-io appello un tulio, canal derato in astratto, non ò veramente dal cauto renio della cosa clic un puro nulla * c ch'egli ò soltanto uua idea prodotta in comune da tutti quegli enti uniti; e perciò che in natura non esistono se non enti singolari e determinati, e niente più. g 602. Prego di ponderare per un momento questo ultimo peri siero. Par mi che debba#! ammettere come un assioma di ragione, che TiJn delVmte reale, applicata ad un soggetto, sia per necessità metafòrica Ìliseparabile dall' idea di unità * cosicché quando l'uomo afferma che quel fai ente esiste^ e elio quel tal ente è reale^ deve anche per Decessila inch in dorè nel suo concetto*, che per sé stesso è unito; poiché se la realità o renliLà fossero moltipiub, dir non si dovrebbe più che quel tal ente esule j ma brusi clic quei tali enti esistono. Che che ne sia, non la impugnerei giammai con quell’ usi tato argomento col quale, accordando che Dio abbia bensì la potenza di farlo, ma provando che gli sia impossibile il volerlo, perchè ripugna agli attribuii morali ili lui il trarre in inganno f uomo 3 si deduce che dobbiamo nutrire un assoluta c massima certezza dell’ esistenza reale dei corpie degli altri esseri umani. 75L lo non mi gioverei mai di questo modo di ragionare, perche i neh in de e si appoggia su di un supposto lulso, o almeno non provato. Ammesso infatti die ripugni alla Divinità V ingannare T uomo ; ammesso clic la veracità e la schiettezza, clic l mortali apprezzar devono infinitamente, e riguardare come sacri doveri, perchè costituiscono uno dei vincoli più importanti della società umana, debba pur necessariamente annoverarsi fra gli attributi morali della Divinità £ si pretenderà dunque altresì che per non farla autrice d’ inganno, essa si debba fare anche malie vadrìce di quegli errori nei quali Tucano cade volontaria me uLe, o i quali la ragione più illuminata trova pur mezzo di evitare? No certamente, mi si risponderà. 752. Ora per ciò appunto che ammettete che Dio, attesa la sua olivii potenza, abbia il potere di supplire nel mio spiritò a tutùle apparenze delT uni verso, e che a voi è impossibile accertar vene per mezzo di esperienze, polche non avete altra via di contatto; colle cose esterne, che le soli; vostre sensazioni: ne segue clic vai dobbiate necessaria™™ le Coulessare che non vedete impossibile che Io stesso effetto possa derivare di due cagioni, c non avete prove evidenti da escludere l' intervento di unti piuttosto che dell* a 3 tra. Dunque io tal caso attribuir si deve ad uria verri preti jiUansff, se voi giudicate ch’esse possano derivare soltanto da una sola, citi dai corpi. 1/ inganno adunque sarebbe dell’uomo, e non della Divinila, Pene li è, a ca gioii d’esempio, tutto il mondo crede falsamente i carpì la se stessi colorali, sonori, odorosi ec., dirà forse li filosofo clic la Divinila inganni 1 uomo? Gli sì potrebbe ben rispondere, che nella ragione umana abbiamo ii mezzo di persuaderci del contrario ili queste cosa di latto. Cosi in questa ipotesi, per ciò solo ohe si amine Ih. fisicamente il potare della Divinila ad eccitare le idee nella uostE inuma, e elie ad un tempo stesso non possiamo iliscernerri coti evidenza di sparirne n to se le dobbiamo o a lei o ai corpi, abbiamo nel supposto me desi irto un argomento a dubitare del contrario, se non in latto, almeno m linee dì possibilità* E quindi la ragione, lasciando luogo ad im’ altra possibile causa, non è tratta necessariamente in inganno. Dunque nel caso eh mia tal causa agisca su di ani per far le veci dei corpi, la tirili u ire Fa&fonc medesima ai corpi sarebbe un gin die io nostro non necessariamente derivante dai rapporti delle cose sulle quali giudichiamo, si beni; una illusione tratta da una precipitosa ed inconsiderata operazione della nostra mente. 755. Sapete quando propriameuLe potremmo essere tratti in inganno ? Allorquando o noi avessimo una certezza sperimentale sulla natura delle cagioni esterne delle nostre sensazioni . che necessariamente si limitasse ai soli corpo; o la mente nostra, per una necessaria legge del suo naturai modo di ragionare, ci facesse sentire impossibile 1* intervento (Itila Divinità sola a produrre in noi le sensazioni: talché, tanto per I uno quanto per Faitro motivo, dovessimo escluderne la possibilità. 756, Laondea line di escludere E intervento della Divinilà, P conviene assolutameli Le negare die Dio possa fisica meri le agire sull amimi nostra a modo dei corpi : o, se ciò si ammette, conviene anche ainnujLtere ebe tale azione noti ripugni agli attributi morali di lui. 757, 5la fra emendile questi, casi, siccome il pifi approssimato allumarla intelligenza, il più accomodato alF indole delle prove, rd d conforme alle affinità delle cagioni, si è quello di supporre esseri limitati c distinte dì numero, Lauto rapporto ai corpi in generale, quanto rapporta agl' individui umani: cosi a questo naturalmente Fuma tiaragioue dona la preferenza, e su dì luì sì acquieta. Quindi colui clic ammetto il potere della Divinità a produrre le apparenze tìsiche in noi, deve pure ammettere la esistenza dei corpi e degli altri esseri umani come dimostrata soltanto da una massima probabilità, contro la quale per altro non vede poter esistere clic un unico caso in comprensibile, Ridonali alla società dei □ostri simili, e bramosi di scoprire se lutti abbiamo un simil modo di conoscere Io cose, onde accertarci so esista fondamento di una verità comune dei nostri giudici! riguardanti i latti esterni: noi troviamo sempre non solo di non avere altro mezzo di certezza che quello stesso che ci persuase dell’esistenza degl’altr’uomini, ma che ci è audio impossibile averne d’altra sorta. Imperocché, onde sapere con certezza di sperimento s’esista o no differenza fra il modo dì sentire e ili conoscere proprio degl’esseri umani, farebbe d'uopo essere sta Li successivamente in noi stessi e negl’altri. Ora ò impossibile clic nessuno sia stato giammai fuori di sè stesso. Ciò posto, io chieggo se un’ occulta diversità di sensazioni si concilierebbe mai con un modo comune di esprimersi e dì agire non solo alla presenza degli stossi oggetti esterni, ma eziandio iu infinite circostanze, rielle quali eglino ritornano, si accoppiano o si modificano per cento diverse maniere* @ HUL Tutte le possibili differenze che possono esistere nelle sensazioni Ira 1 5 u ] i o e Fabro uomo, si riducono a due classi: Tona nella forma o specie della sensazione, e P altra n&ìWattìviià piacevole o dolorosa che Ricconi pago a. Ciò è provato da] ['analisi che se ne può fare, seguendo r esperienza. Infatti ogni anatomia che tentar piacesse di una sensazione* per rapporto alla sensibilità di ogni nomo singolare-, non potrebbe somministrare al!1 occhio del filosofo clic duo parli sole 5 io voglio dire I idea considerata come semplice maniera di essere dtdlr anima ) e la dì lei attmih piacevole 0 dolorosa. 5 7(i f. Anche queste cose però sono identificate colla maniera stessa ili esistere dell anima, nè si distinguono clic per rapporto agli elicili, poiche, a parlare esattamente, il piacere ed il dolore non pongono una diversità specifica nella forma delle sensazioni -, ma solamente una diflevcn/ri., dirò cosi, di attrazione e di ripulsione, ed una distinzione di gradi nella energia loro sulla sensibilità r sulle facoltà attive delTuomo* Ne voTum, I, '£.tj lete una prora di esperienza? Aprile gli ocelli sopra uu piano coperto ili nere, da cui si riflettano i raggi dei sole. Per breve ora ne semirote piucerei indi passerete all'incomodo e al dolore. La stessa stessissima sensazione continuata è quella clic vi fa provare questi due stati opposti. | 762. Fingiamo ora per una mera ipotesi, clic ciò eli* io veggo o alle o distante o lunsro o largo lui piede solo, al mio vicino apparisse ihlla misura dì due piedi ; (Le ciò ch’io veggo plano gli apparisse curvo, e viceversa; die il latte sembrasse bianco all’ tino, c rosso all' altro; eh Fodere ch’io appello di rosa, fosse nell'odorato del mio vicino Fodere di garofano, o viceversa: che il snono per me dì no flauto tosse nell’ orecchio del mio vicino il suono d'ima zampogna: sarebbe egli possibile ube gli nomini si potessero fra lpro in tendere c comunicare lo loro idee? A prima vista pare di no: e cosi pure parve ad alcuni celebri pensatori. Ma ciò non pertanto, considerando la cosa pni profonda menta, sì scorge die. malgrado tali differenza poti' ebbero pure usar Lutti uu linguaggio sìmile, intendersi Firn l'altro, ed esser*: persuasi se&mbkvoli nenie di avere le stesso idee. Ciò non ò lutto, lo dico clic esisterebbe aoclie sempre uu fondamento di verità comune, per rapporto alle idee, dei sensi coi loro oggetti. Infatti se una certa misura apparisse diversa fi u due in db io ui. per qual cagione ciò avverrebbe, se non atteso il mezzo per cui si Luis, mettono le sensazioni? Tale apparenza sarebbe dunque un risultalo dei rapporti naturali delle cose. Posto adunque die un aggetto avente la abiura per nifi di uu piede si sminuisca o si accresca dolili metà . :he si sminuirà pur sempre in proporzione anche dl allio, tomo av id uu occhio nudo e ad un occhio armato dì lente. 11 linguaggio *u mi pie sarà simile fra entrambi, benché siano diverse le idee loro interiFu stesso dicasi nei colorì . nei suoni, negli odori; poiché lo dUitn teca dea ciò e rinnovandosi con un rapporto costante ira 1 sensi e g r re Iti, attese le relazioni rispettivamente eh fiorènti c eoa Lauti ha la .li entrambi, si vanno pure a rinnovare anche nelle idee di II un tuia. Per la qual cosa deve avvenire che LO STESSO SEGNO o ricevuto > comunicato non solo uou può svegliare le stesse sensazioni hi divn&i :e rv dii . ma deve svogli a rie a ssa idifferen ! 1 5 c ad nu lem pós f.e sso al 1 1 'orno dei medesimi o di altri simili oggetti risvegliare eoiStan temente stesse idee nel medesimo cervello. Quindi in ogni uomo ingerii 1l01j a persuasione elisegli In Leo da il linguaggio delle sensazioni altrui. u ' dive, che gli altri leghino le stesse stessissime idee allo stesso segnò; keli è realmente ve ne annettano una del luLLo diversa. Gettiamo uu lume maggiore su questa ipotesi, la quale sembra abbisognarne, perché riesce troppo stravagante al comune ed usitalo nostro modo di concepire gli altrui pensamenti. Supponiamo il caso che si presenti una rosa a tre persone differenti, e cbe in una ecciti la sensazione del color rosso, nell’altra del giallo, e nell’altra dell’azzurro. Egli è certo, cbe siccome ciò avviene in forza della struttura organica degli ocelli di ognuno: così ogni volta che si presenterà di nuovo lo stesso bore, egli rinnoverà in tutti le annoverate diverse e rispettivamente identiche sensazioni. Per la stessa ragione ogniqualvolta si presenterà qualunque altro corpo, la cui struttura superficiale sia atta ad eccitare nell’uno la sensazione del rosso, avvenir deve che negli altri due ecciti costantemente quella del giallo e dell’azzurro. Così se dalla prima persona il colore veduto alla presenza della rosa venga denominato rosso, e gli altri ne apprendano da lui il vocabolo, l’uno chiamerà rosso ciò che nella mente dell’altro è giallo, e l’altro pure chiamerà rosso ciò che nella mente dell’ altro è azzurro, senza che avvenga mai varietà alcuna nella corrispondenza che passa fra il vocabolo e l’ idea a cui è associato, e fra gli oggetti ai quali viene applicato. Oud’è, che anche negli altri colori, dandosi le stesse costanti dilfereuze, useranno pure lo stesso linguaggio; credendo ognuno in suo cuore fermamente di annettervi le stesse idee, le quali altri vi fanno corrispondere, senza che ciò per altro effettivamente avvenga, e senza che sia possibile accertarsi se fra loro intervenga disparità d’ immaginare. Ora passando dall’ipotesi al fatto, qual cosa dobbiamo noi tenere per certa su questo argomento? Anche ammessa l’esistenza dei nostri simili, tali e quali ci sembrano all’apparenza, siccome mai non potremmo avere sperimenti o ragioni per accertarci se esistano o no siffatte differenze; così dobbiamo limitarci ad una meno convincente analogia, e quindi ridurre anche questa cognizione alla classe delle probabilità. Ben è vero, che se le soprannotate differenze si possono fingere nelle sensazioni individuali dello stesso genere, in guisa di conciliarle con un comune linguaggio, egli sarebbe impossibile di farlo supponendo fra parecchi individui una differenza generica di sentimento; cioè a dire, se piacesse di fingere che uno avesse le idee appartenenti ad un senso, mentre che l’altro ne mancasse, o ne avesse un’altra di un scuso diverso: e così se uno vedesse, mentre che l’altro non vedesse nulla; o in vece di vedere udisse qualche suono. Una sì strana differenza fra due individui aventi alla presenza dello stesso oggetto esterno non solo idee diverse appartenenti allo stesso senso, ina idee appartenenti a sensi diversi, farebbe sì che fra loro non s? intenderebbero in guisa alcuna, o che ognuno accuserebbe l’altro di stravagante, di mal organizzalo, di pazzo o di visionario. Il cieco-nato potrebbe mai ragionar di colori, e il sordo-nato tessere teorie di musica? 769. Ciò non è lutto. Se con un esame paragonato si osservinole esperienze somministrateci dal senso del tallo, e le inflessioni diverse che debbono prendere le nostre membra per rapporto alla struttura degli oggetti più materiali sottoposti al senso della vista, si trova un punto, benché unico, tendente a confermarci nella opinione della somiglianza delle sensazioni nostre con quelle dei nostri simili, ed un fondamento di analoga presunzione anche per rapporto alle altre particolarità delle sensazioni visuali, e fors’ anche degli altri sensi. 770. Ilo detto un punto unico ; imperocché fra il tatto e le inflessioni delle nostre membra e la vista non v’è altro genere di sensazioni in cui concorra una corrispondenza di somiglianze, di differenze e di successioni, come nella struttura o forma delle cose più palpabili. Finalmente supponendo anche esistere fra uomo e uomo le sopra limitate differenze nelle sensazioni, ciò non indurrebbe discordanza alcuna almeno in quelle verità che debbono servire all uomo ragionevole, e riescono importanti agli usi della vita ed al commercio scambievole dell’umana società. Conciossiachè, a riguardo della prima circostanza, egli è certo che siccome le differenze dubbie fra le sensazioni di parecchi uomini rispettano certamente i confini dei loro generi; così rispettano pur anco lo stato delle idee generali ed intellettuali, le quali, se ben si osservi il linguaggio della ragion comune, sono le predominanti nelle verità anche di fatto. Eccettuando infatti i ragionamenti che contengono o riguardano le descrizioni degl individui ed alcune sensazioni specialissime, tutti gli altri sono più o meno generali. E d altronde sic come anche le differenze, se esistessero, avrebbero un costante rapporto fra gl’individui, e tale che necessariamente si concilierebbe colla convenienza apparente di sentire fra uomo e uomo; convenienza clic bisogna assolutamente tener per certa, perchè è una cosa di esperienza e cosa nota: perciò l’uomo nulla dovrebb’ essere premuroso d’indagare gl’ impenetrabili recessi della mente altrui, polendo benissimo valersi dell ajy parenza sola, come di un segno costante e certo di verità nelle cose di fatto appartenenti alle sensazioni. Per la qual cosa se, a cagion d’esempio, taluno a me dicesse: io ho veduto un fiore giallo ; benché io dubitassi che a lui fosse veramente sembrato rosso, io dovrei dire: il tale ha veduto un fiore, cui sJ io vedessi troverei di color giallo; cioè ecciterebbe in me l’idea di giallo, benché in lui abbia forse eccitato l’idea del rosso. E ben chiaro che, mercè questa differenza, la cosa venendo ridotta ad una pura traduzione del linguaggio d’istituzione, comune all’idioma mentale di ognuno, salva nonpertanto i rapporti che passano fra i sensi di ognuno e gli esseri esterni: couciossiachè a quel dato vocabolo nella mente dei varii individui si sveglia l’idea che ognuno vi ha legato; ed oguuuo vi ha legato quell’idea che risulta dai rapporti necessari! che passano fra il di lui essere e l’universo. Perciò una tale differenza sarebbe nulla per la verità delle sensazioni. 774. Quindi ogniqualvolta io fossi solamente certo che un mio simile esprimesse veramente l’idea ch’egli legò a quel tal vocabolo in forza dell’uso suo comune di favellare, sarei pur anche certo ch’egli ha veduto o sentito quel tale oggetto, al quale io ho legato quello stesso vocabolo, o qualsiasi altro seguo d’istituzione. Oud’ è che ogui racconto, purché fosse verace, sarebbe pur anche vero per rapporto alla realtà del fallo; cioè a dire per rapporto allo stato esterno degli esseri che circondano l’uomo, in quanto agirono sulle di lui facoltà. Il fin qui detto si riferisce soltanto a quelle verità di sensazione, le quali riguardano meno davviciuo 1’ uso della vita, che potrebbero perciò in paragone delle altre chiamarsi speculative . Anche di queste mi conveniva qui ragionare, attesoché presentemente noi riguardiamo non l’utilità o il danno, non il piacere o il dolore, ma bensì l’esistenza o la non esistenza di una cosa qualunque in natura, e delle di lei qualità e forme, affermala o negata da più uomini concordemente. Tutto questo appartiene alla parte fisica e psicologica della veracità, d’onde risulta la sua base reale. Parmi per altro che i ragionamenti esposti bastar debbano contro i sogni dell’idealismo e contro tutti i dubbii del pirronismo. Dell' unico metodo a scoprire le verità di fatto, ossia la realità. Avanti di chiudere questo saggio sulla parte metafisica della veracità, giudico acconcio esporre esplicitamente la nozione della verità di sensazione e dì accendere almeno in geo citte ciò die lar dell mi IW ino per conseguirne la cognizione* 77S, Datemi un uccìdo umano, e datemi uno determinata quan tilò dì luce ebe sotto certe leggi ne irriti P interno tessuto nervoso. Ne segno mi effetto fisico nel Porgano della vista: ed a questo effetto fisico ne cor risponde liu altro nella sensibilità rimana, ed e l’idea di un colore è di un ilaLo colore. 779. Questa catena dì effetti, risultante dai rapporti naturali, a. a a dir meglio, dalle forze dì tilt Li quest’èsseri posti in i scambievole commercio conforme e proporzionato alla loro rispettiva attività radicata nella loro natura* costituisco necessariamente o rende la mia idea V espicisione di un fatto reale . Questa catena è necessaria del pari dio h un* tura delle cose da cui risulta. i 89. Siccome adunque qui intervengono esseri clic veramente esistono. ed i quali producono un effetto reale, e proporzionato alfe Imo attuali determinazioni j cosi all'alto eh* io bo P idea di i dato colore, gladi* caudo 1." clic esista qualche cosa fuori dì me: 2." che lai cosa agtSBS su di me: 3.u ebe V effetto^ che ne risulta, sia corrispondente ai rapporti naturali delle cagioni attive, io giudico rottamente. Duco in buona filfr sofia clic cosa sìa la verità ri e f gnidielo sulla realità delle cose esterne, ossia la verità della sensazione stessa rappòrto al suo Aggetto. Dal canb mio, qualunque ella sia, non posso esimermi dal sentirla tuie e rjuale mi si presenta, e dall1 essere convinto di sentirla* Ma questa r la certe dei sentimento, anzi di è la verità della sensazione. Se fucino fosse costituito con sensi diversi, con scusi di raggiere attivili», non vedrebbe forse le cose diversamente ì Per rapporto a quest7 ultima circostanza sembra che il microscopio ci persuada allenanti vomente. In ogni caso possiamo dedurre ebe lo stato delle verità di latto rapporto all* uomo sia puramente ipotetico. Ma siccome non è in potere delPuomo di cangiare Patinale6*stillazione sua naturale, e per conseguenza nemmeno le relazioni cogl' altri esseri e i loro risultati*, ebe sono appunto le sensazioni; così egli o costretto a riguardare le verità di fatto nella stessa guisa che se avessero un reale ed esterno fondamento assolutamente immutabile. Otiti r, ebe per rapporto a ciò, senz'ai tre cure, egli dev’essere attento sol Lauta a Leo rilevare te notizie dell'esperienza dei scusi. Le condizioni clic In verità di fatto esigono dall uomo sena dunque sempre le stesse, voglio dire quelle medesime ebe abbiamo già Indicate come necessarie nelle verità di riilessiòneSpiavi: attentati! ente ri 1 lutti i fenomeni dei sensi.; raffigurarne minutamente le particolarità, sentirne attentamente le differenze nell’alto di sperimentare la loro azione: ecco la cura unica dell’ uomo che brama ottenere la verità delle sensazioni. Ciò è dimostrato dall’esame dei rapporti interni della definizione che ue abbiamo sopra addotta. Quindi V osservazione dei fatti non ò punto diversa àa\Y osservazione delle idee acquistatene. Per la qual cosa l’arte di osservare non sarà nè potrà essere altro che l’attenzione applicata con regola alle sensazioni nell’atto di sperimentarle; la qual cosa si effettua tanto coll’ attendere accuratamente all’esperimento allorché ci viene fortuitamente oflerto dagli oggetti, quanto coll’ applicare con certi modi gli organi per riceverne le sensazioni ©«rispondenti; e finalmente coll’ indurre certe modificazioni nelle cose, onde altre non ordinarie apparenze ci vengano rese sensibili. Aon è questa sola cura dei fisici, ma lo è eziandio dei psicologisti, dei moralisti e dei politici. Ecco che cosa sia a riguardo dell’ uomo la realita c lutto ciò che può e deve fare l’uomo per conoscerla. È stalo detto che, ammesso il principio che quello che sembra il più conforme alla ragione o all’ attuale interesse dell uomo non influisca efficacemente sulle determinazioni della volontà di lui, e non sia valevole a produrre infallibilmente l’effetto conforme c proporzionato alla natura ed alla forza dei motivi; ammesso un tale principio, dissi, sarebbe ad ognuno affatto libero il pensare che molli uomini abbiano potuto mentire gratuitamente contro la testimonianza dei loro occhi, e contro quello eli’ essi sapevauo colla certezza maggiore. La veracità e la certezza morale sono adunque fondate sulla legge generale delle volizioni umane H. P. GRICE PRICHARD DUTY AND INTEREST. Quindi la credenza di qualsiasi genere, che tutta riposa sull’altrui veracità e che sì largamente si estende su tutta la nostra vita, trae interamente il suo appoggio dall’ annoverata legge morale. i. L ulil cosa esaminare attentamente le prove ili questo ragiariamente. a fine di sperimentare la solidità delle fondamenta di ogni nos l rà crede nz a risgu a r d ante i fai Li ? e t css e re c osi una scala gene r al o t Sei gradi diversi di probabilità annessi alle circostanze ed ;d numero diverso delle pèrsone elio concorrono a testificare un latto ^ e quindi far se o li rt cj il a io certezza assegnar si debba alla testi moni ari za del Pubblica. Siccome il palesare ed il raccontare un fatto qualunque, di cui lumino testimonìi, altro non è ebe un atto della nostra volontà» ed una esecuzione di quésta stessa volontà, die esprime coi segui colivi nienti all altrui intelligenza una o più sensazioni che Panima nostra Ita provalo alla presenza degli oggetti esterni: così questa slessa espressione è soggetta perfetta mento alle leggi della volontà e della libertà umana: talché non v c* nè vi può essere eccezione alcuna rapporto a lei, a mtìto che non si cangi Fessenza stessa 'dell'alto* ciò che ù impossibile: osi ri* jormi la costituzione naturalo dell'etere umano, ciò che non è no riunenti da considerarsi ueìT ipotesi dello stato attuale delle cose. Ma esaminando la natura stessa di quest’ alto, si trova che I uomo può bensì essere veritiero gratuitamente; ma die gratuitamente non può mentire* Infatti a il esprimerà un fatto qualunque di esperienza basta la scienza del fatto stesso: a mentirne l’ espressione vi si ricerca una invenzione cd un interasse contrario» Ma è evidente ad un i * uipo stesso, che il fatto non s'ignora, e si sente dentro di sè come realmente In: ed o chiaro del pari, die le circostanze esterno di qua! dato luti-1 non hanno somministrata [a composizione della menzogna per ciò stesso che è menzogna ; cioè a dire, nou ne hanno offerte te idee o almeno b lorma complessa, il nesso successivo, e lo stato generale. La menzogna dunque è un atto del tutto avventìzio, occidentale, ed estraneo a quella situazione naturale, in cui la legge dell'esperienza pone Idioma per l'apporto a quel fatto stesso sul quale egli mentisce. 700, Indire è liu atto assai più cont pósto nella specie, nel numero c nella combinazione delle mac laro che assume Lnnnio mendace. Ibso ricerca una fatica estranea e divisa del ['attenzione a conciliare idee beo diverse da quelle che i fallì som ministra no da sè sdì; cd a conciliarle col sentimento segreto di verità che tenta di sprigionarsi, e ad annettervi un'espressione esterna, in cui sì possano radunare plausibilmente tutti i requisiti della v erosi m igiut 1 1 za, 791 « Ma non può certa mentiIl menzognero, per regola di natura, sottrarsi dalla logge tF inerzia propria delFuomo di seguire sempre ciò l-hu imporla meno di fatica n udì' esercizio dolFaUcuzioiii:, o iu i|acllo delle facoltà listello» INou può nemmeno darsi quelle idee cldegli non ha, e che sarebbero pur talvoli a necessarie a conciliare certe ripugnanze osto rii e o interne fra idea e idea, e fra le idee e le cose esterne. E ben eli è anche talvolta rinvenir k potesse, non no potrebbe far uso se non a proporzione sol Lauto dell1 indole, del numero e della forza dei motivi che lo spingessero. Quindi ne deriva, che dì sua natura la menzogna essere non può cosi consonante nella esposizione tutta dei fatti, cosi stabile, uniforme e comune a molli, che non involga contraddizione, e non lasci un varco alla verità. Vero ò, che se esiste un interesse prepotente contrario alla veracità., Tuomo agirà a norma di questo interesse, convelli agisce a norma di lui quando e verace. Ma egli è vero altresì, che nella veracità lazlono organica è conforme di natura sua alla verità j talché molli uomini per essere veritieri non abbisognano di combinarsi insieme e iTiuLe adersi su di un fallo qualunque, non potendo essere veraci che di una sola maniera: dove eh e nella menzogna I interesso essendo diverge u Le dalla traccia della verità., può essere diverso in i ufi Elite maniero. Comandale che si segui la linea retta ria molti uomini sim ni tanca ménte : doti nc uscirà che una sola. Comandate che ne segnino una non retta : ne uscirà uno di in dui le maniere diverse. ). Da essi soli traggousi tutte le regole possibili risguardauti lopportunità, Fuso e la necessità degli argomenti che denominami dai critici negativi o positivi. Ecco i canoni che reggono la fede storica . la fede legale . la fede religiosa, per rapporto agli avvenimenti. e somministrano forza alle eccezioni che versano intorno all’abilità o inabilità dei testimoni^ alla fiducia o al sospetto, all ommissione o ricettazione delle loro deposizioni, ed in uua parola a tutto ciò che riguarda la certezza o V incertezza, l’assenso o il dissenso sulla testimonianza di un fatto qualunque o passaggiero o permanente, o palese o segreto, o vicino o lontano, affermalo da uno o più uomini. Fondamento generale dei principii risguardauti la credenza dei fotti. Ma se le leggi generali, colle quali agisce il cuore umano, fossero di natura loro versatili e incerte, o nou si avesse principio sicuro onde conoscerle: è ben chiaro che si toglierebbe ogni fondamento dì certezza alla fede prestata alla testimonianza altrui, foss’clla ben anche di tutto il genere umano unito. Ora queste leggi della volontà amar sono esse certe, invariabili e conosciute. È cosa di esperienza che la volontà nou può agire senza oggetto di volizione. D’altronde l’indole dell’anima, considerala da sé sola, è di natura sua indeterminata, e per agire abbisogna d’impulsi spcc.ah: a meno che far non se ne voglia un Dio a rigor d. termine, ma m Dio assurdo. La volizione adunque è necessariamente un puro effetto, che trae la sua cagione, a meno occasionale, da impulsi esterni. Non esistono in natura, ed è impossibile che esistano, se non volizioni singolari e determinate: e perciò conviene ripeterne l’ origine o dagl'impulsi speciali esterni, o dalle idee speciali presenti all’anima. Si noli henc : qui se ne parla solo remonii, c all’ interesse loro ad essere veraci o lalivamente alla buona o inala fede dei lestimenzogneri. l'.u mi m. siùzrONK ii. c u>o il Le volizioni adunque sono necessaria m ente effetti o di reazione o di pura pLl$S ibi t 1 1 ti », ile rivalili dall attiviLa del f anima clie sì d dermi u a in vista di no' ideo, o è mossa da esterni impulsi. Chi. la cosa di fatto ch’ella sì determina ed è spinta sempre verso del suo meglio o apparente o reale. Questo fatto di esperienza non può essere invocalo in dubbio da vcrun uo dìo dotato di senso comune, qualunque sia il sistema clic sì anime L La sulla libertà umana. Dunque i! maggior piacere e il minar dolore sono Ve cagioni efficienti delle determinazi o n i della voi 0 n tei, o a f rn e n o o 1’ uno e I al tra som o i sego i naturali e connessi die corrispondono costantemente alle leggi collo quali una cagione occulta qualunque determina Io nostre volizioni 5 crea i nostri affetti, c ci spinge alle azioni esterne. $j 80 th Ma dico di più. Supponiamo che si volesse anche negare qrte-si* armonia tra la forza dei motivi e le nostro volizioni, dopo di avere loro negata una vera influenza di aziono impellente e de ter min ante, lo dico pur tuttavìa, che siccome ò certo (per prova di ragione pari alla certezza della nostra esistenza) che l'anima ha volizioni singolari e successive, e so fi re suo malgrado disgustose situazioni; e non c, uè può essere a sò medesima ad ini tempo stesso e origine e derivazione, c cagione ed effetto delle situazioni del proprio essere: cosi sarebbe pur certo che dovrebbe cercare fuori di sè la cagione determinante, o immediata o mediata, delle proprie volizioni. Ora lutto questo sottomette tuttavia la volonLa umana a leggi Infallibili . certe e conosciute dì azione. Couciossiaelii! per un princìpio certo, anzi per il principio stesso di contraddizione, consta che ogni essere è di natura sua determinato: cioè a dire, la sua costi tu zio no altro essere non può cheli complesso fisso ed Immutabile di certe qualità ed attribuii che compongono la sua natura: talché, cangiandosi in Lutto o in parte, non sarebbe più lo stesso etite, ma un altro cui-:. Bùi. Consta altresì che il nulla non è capace di aziono:, principio ili una pari evidenza del precedente* o clic perciò ogni aziono, ogni db letto reale vuoisi attribuire all’ente reale ed esìsto ole 5 la quale azione essere non può clic l ente medesimo, in quanto agisco. 802. So dunque avvenga ohe un onte por determinarsi abbisogni dell azione mediata o Immediata di un altro, egli è evidente che la dolermi nazione, che un risulterà, altro non potrà essere clic il risultato ìiù~ céssàrio della natura di entrambi, messa io mio scambievole 'commercio di azione e di passione, 0 di aziono e di reazióne. Blbf. Che se volessimo supporre Y e fi etto fallibile* cioè a diro che talvolta 1 aziono doli oggetto determinante potesse andare frustrala sui suo soggetto, cadremmo in un assurdo. Imperocché per ciò stesso che una sola volta produsse effetto, egli lo deve sempre e necessariamente produrre. Infatti per qual ragione lo produsse una volta, se non perchè ambi gl’esseri erano dotati d’ una forza attiva, e la natura loro non ripugnava allo scambievole loro commercio, altrimenti belletto uon sarebbe giammai seguito? Siccome adunque questa stessa natura sussiste pur ancora fra entrambi, così sarebbe assurdo che non seguisse l’effetto connesso al loro urto scambievole: il quale effetto per ciò stesso è rigorosamente necessario. L’efficacia del fuoco ad ardere un qualche corpo è iu ragion composta dei rapporti che passano tra il fuoco e la materia combustibile; i quali rapporti poi si risolvono nella natura dell’uno e dell’altra. La combustione è il risultamento e l’effetto di questi rapporti praticamente combinali, una legge cioè di natura. La fallibilità dell’effetto sarebbe dunque una formale ripugnanza. 0 conviene adunque uon supporre mai l’effetto: o supponendolo esistente con le stesse cagioni, convieu concederlo sempre infallibile, e concederlo sempre necessario c determinato. Potrebbe certamente avvenire che si desse la concorrenza di due o più impulsi simultanei sopra uno stesso soggetto, prodotta da diversi oggetti, e perciò che l’azione di uu altro precedente venisse tolta o collisa o modificata. Ma ciò non distrugge o affievolisce, anzi conferma vieppiù il mio precederne raziocinio sulla necessaria ìufallibilila dell effetto. posta la sua cagione. Imperocché dall’ipotesi questo essere diviene renitente all’azione completa di un tale agente estraneo, non in forza delle disposizioni sue naturali e necessarie, ma bensì delle disposizioni acquisite e contingenti che risultano dall’azione degli altri esseri sopravvenuti ad operare in lui. Pertanto ora non si può prestare interamente, o almeno in parte, all’ azione di un singolare oggetto, per la stessa ragione per la quale dapprima vi si prestava, e vi si prestava totalmente. 806. E iu verità a questi nuovi esseri attivi si deve pure applicare in generale la teoria da noi allegata a riguardo del primo, avendo eglino comuni con lui tutte le determinazioni, i rapporti e le leggi clic competono a tutti gli esseri. Quindi siccome sarebbe stato assurdo il dire, rapporto al primo, che, data la capacità di agire o di reagire fra due enti, e venendo l’un l’altro entro la sfera della loro scambievole energia, non ne fosse seguita razione e l’effetto; del pari sarebbe assurdo 11 dire, anche riguardo agli altri concorrenti all’azione, che non producessero un elìetto proporzionalo alla loro combinata attività, ed ai grado dell’attività stessa esercitata sul loro comune soggetto. 807. Perciò eglino debbono necessariamente impedire o moderare o rendere mista l’azione di un ente, per la ragione medesima per la quale uno di essi la compiva tutta da sè solo, quando solo si trovava ad agire sul soggetto suo; non altrimenti che un corpo mosso da due eguali forze impellenti a direzione rettangolare deve seguire la direzione diagonale per la ragione medesima per cui egli seguiva la direzione retta quando era mosso da una sola. 808. Dunque anche nelle eccezioni apparenti la legge della necessaria discendenza e stabile proporzione fra l’effetto e la cagione si mostra in tutta la sua forza. Anzi il modo stesso e le condizioni con cui riesce il risultato delle forze combinate portano in sè l impronta d’una dipendenza tale, che corrisponde perfettamente al tenore dei gradi d energia impiegata da ogni potenza a produrre in concorso 1 elicilo sul soggetto comune. 809. Laonde, qualunque sia il sistema che si abbracci intorno alla volontà, non si potrà giammai riuscire a sottrarla da leggi certe ed invariabili di agire. E siccome abbiamo veduto, che o si ammetta che le considerazioni del bene e del male, della felicità o della infelicità siano per sè stesse motori efficaci della volontà a scegliere e ad agire; o anche, negalo questo, si valutino come meri segni naturali e di corrispondenza fra le modificazioni della potenza sentimentale e delle potenze attive dell’uomo; o finalmente, negata anche quest’armonia, si ammetta per lo meno (come per necessità metafisica si deve ammettere) che gli alti della volontà siano atti singolari e veri eilelti; non si può sfuggire di adottare qualcheduno di questi partiti: così sarà eternamente vero che le volizioni saranno soggette a leggi fisse, inalterabili e conosciute, per ciò solo che si ammette che l’uomo è un essere capace di elletlo. 810. Per la qual cosa la forza di siffatte leggi dovrebbe necessariamente estendersi fin anche al caso che l’uomo potesse essere a sè medesimo uuica cagione de’ proprii voleri, e non ne riconoscesse fuori di sè nemmeno cagione alcuna occasionale o prossima o rimola; e che tra la facoltà di sentire e di volere si supponesse anche frapposta una insuperabile barriera, che impedisse fra di loro qualsiasi comunicazione. 811. Io mi limito a queste principali osservazioni metafisiche, senza estendermi alle altre confermazioni tratte dall’universale persuasione di tuLto il genere umano, che esista una infallibile e costante connessione HC fra i muli vi clic sono prese uh all' inLen dimenio, e le dclemiuaziaui rL-U l'umana volontà; e dio queste dctormìuazioui .sia tra per 5 è stesse efìdli assolala inculo certi ed invariabili, rdalivi e proporzionali alla .specie ed aireuergia dei molivi medesimi. Le legislazioni Lutto religiose e politichi.', la murale* buso della parola* l’edncariaae, le ricompense alle azioni virtuose e le pene ai delitti, la sicurezza pubblica e la privala* il commercio, e in breve la condotta universale del genere umano, sommi lustrerebbero infiniti mdizìi, Ma come questa è una sovrabbondanza, così m\ rimetto a quanto ne dice h Genesi del Diritto penale ^ 4D7 lino al , | SIS. 0 conviene adunque negare che 3 uomo sia un ente rati le ^ 0 negare che abbia volizioni* 0 negare i priuclpii più semplici, più uia* versali 0 pili incontroversi delle cose; o d alba ì Ito lato ù forza anime tic- re la indicata invariabile e certa legge dello volizioni umane (>). Le fondamenta dunque di quella che appellasi morale certezza sono immutabili ed inconcusse lo non vorrei perù che si pensasse ch’io faccia agir l'anima a guisa di un corpo, e ]’ nomo ragionevole al pari dei bruti* 1/ ànima nou agisce nè può agire a guisa di mi corpo, perche non è uè può essere, come pensante*, fin soggetto composto. Inoltre nell' nomo intelligente non sono precisamente i molivi die determinano l’ anima* ma è beasi l’ aulma che determina sò stessa in vista dei molivi: distinzione importantissima, che frappone una diJìcn/uza inficila fra la spinta d' una pietra e le volizioni di un uomo* 8 1 4. Di più; non sono sempre le sole occasioni esterne die abbiano forza d' influire sulle determinazioni sue, come nei bruti; ma bene spesso ella no trae da II’ io terno suo i motivi: talché a molli appetiti svegliati dalle circostanze esterne, e chi' il bruto segue senza riserva c senza previdenza, Contrappose una ragionata, sublimo e mora! seria di molivi dT una superiore ed antiveduta IV: li citò* \.' intelligenza di cui egli " dotato, e di cui sono mancanti i bruti 0 gli stupidi, Jo rende capace ^intenderò il senso di una légge, e di conoscere i rapporti di convenienza (1) Alte cose détte daU!Àntorc da! h 1 1 Ijiiq e tilt vogliono tfi&ere intese rnd loro giusto senso, onde evitare $^3 errori dui dei&rmunsmOz servo lì 0 di ujijjorEuno stbiaxiMK-iilo il 7^7 e il ffdgìjéiaic. Fréga i! lèttene di vedere énebo lo mie no ri ola/ ioni a divtj1* si ^ai-àgrall della Genesi del diruto penale circa il li lj ero arbitrio e l’ a aio tic dei molivi stilla volontà. e disconveuienza delle sue azioui con quella. La sensibilità poi, di cui è dotato, lo rende suscettibile a piegarsi ueiratto pratico alla sanzione ; e runa e l’altra di queste facoltà, considerate sotto questi rapporti, lo costituiscono un essere capace di moralità ed attualmente morale, quando egli abbia l’anima fornita delle idee relative. Queste sono qualità di cui mancano i corpi e gli esseri irragionevoli. 815. Ma perchè l’uomo ha questa superiorità, perchè egli ha la volontà, come dicesi, illuminata, e può fare, mercè l’uso dei segni e delV intelligenza^ infinite combinazioni, e creare migliaja di motivi diversi ed impossibili all’azione dei puri sensi (benché eglino siano la prima sorgente di ogni idea); c perchè in vista di siila tte cose egli può essere uu ente morale: si dirà dunque che questi qualunque sieno intellettuali motivi o legali, o liberi da obbligazione, smentiscano la legge unica ed universale della infallibile esistenza dell’ effetto, postane l’adeguata cagione? Anzi all’opposto l’indole stessa delle leggi tutte sì divine che umane, e della moralità, svela e predica altamente il supposto dell’azione e corrispondenza infallibile del bene e del male sulle determinazioni dell’umana volontà, senza la quale nell’un caso sarebbero un puro gioco illusorio, e nell’altro gratuite ed irragionevoli crudeltà. 81 G. Ancora una parola in grazia della pia timidezza di coloro che non sanno ben concepire fumana libertà. Io bramo di cuore di trovarmi d’accordo colle persone di buona fede. 817. Qual differenza v’ha fra un uomo di cinque anni ed un uomo di trenta? Quella sola, mi si dirà, dell’età, e quella sola che l’ esperienza può frapporre nelle cognizioni di questi due uomini. Ma la sostanza, la natura, le facoltà delle anime loro: il numero e la struttura delle facoltà fisiche; le idee sensibili, gli appetiti naturali e fisici, le passioni che ne derivano immediatamente, l’odio al dolore, l’amore al piacere, la memoria nel rammentare le cose passate; sono in sostanza simili in entrambi. Solo il fanciullo manca di idee iutelleltuali ed assai astratte, di nozioni e princlpii generali, che, mercè l’uso dei segni, disciolgano e sottraggano le sue idee dall ordine delle circostanze esterne, e dall’impero meccanico col quale padroneggiano l’umana volontà, delle quali idee intellettuali è fornito l’uomo di trent’auni. Questa differenza, la quale consiste parte in una semplice separazione d idee, parte in un’associazione spontanea di esse, e parte in un artificioso collegamento delle medesime fatto dall’ attenzione, come sopra si è veduto; questa sola fa sì che l’uomo di trentanni sia da tutti i filosofi, da tutti i teologi, da tutti i giureconsulti, e generalmente da ricerchi: SI LLà VALIDITÀ’ dei giui.it cu, ec. mo lutto il mondo considerato lìbero, ed il lanciLillo no: l'uomo di treuG njnii un ente moru/e, che merita e demerita colle sue azioni; ed IL (alleluilo un ente non ancor morale^ die non ha nè merito nò demerito, La libertà umana dunque propria dell'essere ragionevole, e quale viene comunemente intesa, deriva unicamente dal possesso delle idee in ielle Liliali, e dagli effetti loro sulLnom^. Giù da me schiarito, eccoci riconciliali. Dalla nozione che nulla prima Parte di questo scritto abbiamo esposta si vede cbe cosa noi intendiamo qui sol Lo la denominazione del hihbhcQ (ved. Parte J. Capo \ I )* Chiedere adunque se il Pubblico possa generalmente riuscire giudice autorevole di verità, egli è lo stesso cbe chiedere se II maggior numero degli nomini componenti una o più civili società possa recare giudicii I quali tenersi debbano qual criterio di venta. Dapprima sotto uua considerazione meramente ipotetica abbiamo [ i gu va Lo qu es Lo P u bb 1 i co fornito di tutte le capacit à opportune e pròporziouatcì a giudicare (ved. Parte R Sezione li. Capo IX), Ma questa è una pura finzione, attesoché realmente lo stato e le circostanze delle civili società impediscono al maggior numero degli individui componenti il Pubblico di acquistare e rivestire siffatte capacità. 5 ^44. Se la costituzione, P estensione ed i nessi dello verità fossero versatili) laiche or più ed or meno si potessero ampliare e ristringere proporzionatamente alla comprensione di chi le contempla' forse un sii Pur ora -ci oon leu liomo di q iresti re nrraltafli? tlt proposito qnoalo àtgo raetUo, Vcd *"’a motivo editi più sono dobbiamo di nuovo Pone IV. Sose. MI. Capo Ili) Ari. U. fatto Pubblico, quale realmente lo riscontriamo nelle civili popolazioni, potrebbe divenir giudice competente di verità; e quindi le sue decisioni rivestire un carattere autorevole di certezza, ed esprimere gli oracoli adequati dell’umana ragione. Ma siccome la verità dipende dallo stato reale delle cose, immutabile rapporto all’uomo: e siccome un tale stalo offre un vastissimo ed immenso numero di relazioni, di esistenza e di non esistenza, d’identità e di diversità, di origine e dipendenza da uoa parte, e di iudipeudenza dall’altra, di coesistenza e di successione, ec.: e siccome altresì i giudici! umani si racchiudono entro tali rapporti, talché la verità relativamente all’uomo non è che la comprensione di siffatte cose, a norma dell’azione risultante dalle determinazioni scambievoli del di lui essere pensante con tutti gli esseri fisici e morali che lo circondano: così è troppo chiaro che i giudicii umani per essere veri debbono abbracciare ed esprimere siffatte relazioni, lotte le scienze, tutti i lumi, tutte le umane investigazioni hanno questo solo scopo e quest’ unica sorgente. 845. D’altronde abbiam veduto che le verità per se evidenti nou debbono entrare come scopo c materia nelle ricerche di questo programma, ma bensì dobbiamo attenerci alle verità complesse. Dunque, parlando del Pubblico nello stato reale, conviene esaminare se al di la delle verità spontaneamente evi denti possa essere collocato in tali circostanze, che, assumendo la Datu rale capacità della mente umana, egli possa recar giudicii i quali siano il risultalo della cognizione dello stato complesso e dei moltiplici iaj porti delle cose. Ma siccome abbiamo veduto che a ciò si vuole un’ analitica e profonda attenzione, il cui esercizio richiede tempo piopoiziouat grandezza degli oggetti ed alla limitazione della vista RAZIONALE, oltreché dipende dall azione . direzione, durala ed intensità dei motivi: così, riguardo alla ricerca presento, convieu discoprire se nell’universalità degli uomini componenti le civili società si trino siffatti motivi, che spingano a ricercare, o almeno ad impau mercè l’altrui istruzione, a conoscere i rapporti meno evidenti delle cose; e se pur anco loro ne rimanga il tempo proporzionalo. 847. Ridotta la questione a questo punto di vista, la risposta si piescota agevolmente. D noto un calcolo che un acuto ingegno (sa rriaso) ha formato per provare la necessità della rivelazione pei 1 1 1 alle verità morali. Onesto stesso calcolo non solo prova la necessita ti parte mi. si; zi ohe n. capo ìx. 047 ìr istruzione scientifica* derivata ria quei pochi privati che hanno il raro privilegio di essere inventori o pensatovi; ma, esaminalo a fondo, prova che la universalità degli individui componenti le civili società non ha il campo nemmeno di essere completamente istruita, onde formare giudici! autorevoli di verità (0, Diciamo anzi* die per lo più si contenterà delle decisioni del puro senso comune sulle cose più ovvie e triviali: ricevendo, rapporto alle altre materie alquanto ardue, i giu dici I studiati . dall’autorilà e dalla tradizione di pochi, in guisa che li ripeterà per una cieca deferenza, e senza comprenderne il valore. 848. Ed affinché si ravvisi più davvlemo questa verità* giova considerare che i primi lì vi ed In dispensa bili bisogni invocano imperiosamente la nostra attenzione* Dopo di questi sopravvengono I bisogni di comodità* In appresso convìeu sempre ricordare che l'esercizio dell* at¬ tenzione, clic appellasi studio^ riesce penoso, In olire* che ì piaceri fisici e di spettacolo hanno un grande a&ccmlcnie sulf nomo, essere misto* Quindi tutto II coro dello passioni predomina generalmente alta tranquilla ed imparziale passione della ricerca e cognizione della verità* Questi sono fatti noli, e deriva ri li dalla cosile u zinne cognita dell Panino, 849* Ciò posto, considerando dall’ altro canto lutto ciò che i progressi dello stato sodalo esìgono dai membri della società, e combinando le forze c le circostanze col carattere fisico e morale del genere umano* si ritrova clic 11 maggior un mero di una popolazione* lungi da! potere In veruna materia riuscire conoscitore competente e giudice autorevole di venia, vì rimane anzi dccisivameuLe inabile* Si assuma in consklerazinue qualsiasi popolo* in quanto sia capace di conoscere e giudicare della verità. Conviene tantosto sottrarne la metà* cioè a dire Je femmine* l'educazione e la vi La delle quali si oppone a qualunque profonda cognizione della verità* oltre lo più evidenti e triviali, E d’uopo altresì del farne i lanciti Ili, i vecchi, gli artigiani* gli operai, la gente di. servizio, 5 soldati di proiezione, i mercanti, il gran numero degli agricoltori* ed inoltro genera Ime u le lutti coloro ohe, in forza del loro stalo, delle loro dignità* delle loro ricchezze, sono assoggelUili ad assidue occupazioni o dati in balia a piaceri che riempiono molta parte dello loro giornate: e sì troverà quanto ristretto risulti il numero di que? soli i quali possano giudicare della verità nelle diverse materie meno triviali. (') P'^ge die qui véja°iìno richiamate l> ;j n i uomo puà ri asci re passiva inrijtt addot li’ mullàmì iml^pcasabili, mcrrr le quali I rinato, r^|;ì controversia, viene designato il complesso degl’ intendenti^ non limitato a numero, nò a paese. 1/ alito Pubblico viene sotto alla denominazione di volgo i oppure di popolo; ed il quesito ha chiesto non del volgo, nò ilei popolo, ma bensì del Pubblico in genere* In vista di ciò, potendo essere avvenuto che codesta Reale Accademia abbia avuto di mira siffatto Pubblico o còme soggetto solo, o come soggetto cumulali va; se io tralasciassi. di volgere le, mie ricerche su di big non soddisfarei alle intenzioni del qa esito, c le mie discussioni riuscirebbero fuor di proposito, od i mpcrfóUe. 5 $G8* V’ha ben anche un'altra considerazione, che si può conciliare coi termini del quesito ; ed è, che una situazione acconcia a giudicare sulle cose complesse^ quale nel maggior numero degl’ indivìdui delle rivelili popolazioni rinvenire non si può in fatto, ma che pure non ripugna, si potrebbe porre nel novero di quelle circostanze contemplate dal quesito, entro alle quali situando il Pubblico, può forse recare giudici i che talvolta s'abbiano a tenere per criterio di verità* 8blh Lui altro motivo finalmente si è5 che quand'anche si supponesse che il Pubblico disegnato dal quesito fosse quello solo che più ovviamente viene divisalo; ciò non pertanto le mie ricerche sulla validità dei giudici! della repubblica letteraria mi somministrerebbero, rapporto alla validità o nullità dei giudicò del Pubblico, volgarmente inteso, risultati di una forza trascendente Con cioss biche* se si dimostrasse che i! gìudìcio concorde dei dotti non può essere in certe materie criterio di veritìt^ argomentar sempre si potrebbe a fortiori ch'essere no '1 possa pel Pubblico in genere. * Nelle altre materie poi, ove i dotti potessero essere giudici autorevoli, riflettendo al come ed al perchè il giudicio loro concorde possa divenire criterio di verità, si verrebbe a dimostrare In is pedalila, che la Lesi mia generale contro del Pubblico (tesi della quale 10 medesimo ho fallo la censura, come testò si è vedalo } viene pur an^ che verificata in tutti i casi, o, a dir meglio* in tutte le materie. 870. Laonde, m vista dei premessi motivi, mi è forza analizzare se il ragionamento lessato nel Capo precedente sussista, o no. E posto che sussista, se m tutto o in parte sia conforme al vero; c con quali cautele, e in quali materie, e dentro a quali circostanze si possa egli verificate. Che, in forza di sole generali e piu favorevoli considerazioni, il gì lidie io dei dotti tuffai più esser può un criterio probabile, ma non certo, di verità .Per quanto il ragionamento esposto nel primo Capo far possa iugombro alla mente, e per quante attrattive egli abbia a cattivare il volo della ragione; uulladimeno non giungerà mai a persuadere che il giudi c i o concorde e ragionato di molti riguardar si debba quale infallibile norma di verità. Diffatti le prove addotte ci additano elleno per avventura in una guisa speciale e dimostrativa la infallibilità scolpila nel giudicio concorde e ragionato di più uomini? Escludiamo forse, mercè i rapporti del ragionamento, la possibilità logica di un comune e concorde errore? Anzi all’ opposto ci abbandoniamo ad una logge vaga, confusa, generale, e per noi incalcolabile, qual’ è quella della fortuna degli umani pensamenti. Se reudiamo esattamente conto a noi medesimi per qual via siamo giunti alla illazione che attribuisce tanto peso al sentimento concorde di molti, ci avvediamo di aver percorsa soltanto la dubbia e vaga carriera della probabilità, dove solo penetra il barlume ed il presentimento, ma non la retta e piena luce della certezza, per cui l’ anima e còlta da una irresistibile attrazione di assenso. Abbiamo noi forse dentro i cervelli umani vedute le idee connettersi a foggia di vero, benché tutte si esprimano in una sola maniera? L’errore è vario. Ciò è vero. Ma fu forse dimostrato essere impossibile che molti uomini talvolta, giudicando anche a proprio dettame nelle materie complesse, errino di una sola maniera? E pur veio clic l’errore dipende dall’ignoranza e dalla mal diretta attenzione. Ora ci consta per avventura certamente che in molti uomini non si possa verificare il caso, che tutti ignorino su qualche materia complessa un dato aiti colo, la cognizione del quale perchè appunto mancò doveva trarli ad uno stesso errore, quanto più metodiche erano le loro ricerche e quanto pm esatte le illazioni? Datemi un calcolo riguardante qualche cosa di reale, a cui manchi una partita: lutti i più periti calcolatori dedurranno la stessa somma. Ma applicato al fatto riuscirà falso. E perchè ciò ? Perchè vi manca una quantità reale . A che giova per la verità che molti siano concordi nello stesso risultato, se non ad assicurare che il calcolo è stato tessuto a dovere, ma non mai che tutte le quantità convenienti sianvi state introdotte? parte iv. shznm: i. capo nr. nri5 STA. Ora* per rapporto ai Pubblico,, si e forse dimostrato die a motivo fhe molti concorrono a ragionare di ima stessa maniera sur uu sog-* getto complesso, abbiano avuto tutte le notizie die la natura delle case esige per la verità? Giù posto, dii ci assicura dall’ ignoranza, prosa rigorosamente carne tale? 875, jn tale ipotesi sarà vero che non yì fu ammissione nei radocimi; ma ciò basta farse per la verità ! Se un popolo di ciechi deduce che il sole non fa altro che riscaldare il genere umano, prova ciò per avventura die lealmente sul restante degli uomini produca questo solo effetto ? ^ 870. Dunque esaminando 11 gì li dido concorde di molti per questo .solo rapporto, che io chiamo rapporto allo spirito^ luti ' al più potrebbe produrre, la certezza die non intervenne abbaglio nell7 osservazione e nella deduzione; ma non mai V altra certezza ch'egli sia conforme alia verità delle cose, là quale in $è stessa, cioè a dire nello stato reale, può essere diversa. Che se poi esanimiamo questi giudicò reta tirameli le al cuore ^ vale a dire per rapporto ai motivi dire Uovi deHaLLcnzione, il ragionamento sopra tessuLo non ci può offrire il giudicio concorde di molti rivestito di certezza, nemmeno per rapporto alla osservazione ed alla deduzione, se non si dimostra p recisa me u Le che non vi possa intervenire una cagione contane di seduzione. Questa agisce, come si e veduto, deviando 1J attenzione dal considerare quei rapporti i quali comprendere si dovevano per pronunciare un giu di do vero; oppure non istimolando abbastanza fa Udizione ad a r restar vi si per quel tempo e con quella intensità eli* erano necessari! a percepire tutti gli aspetti delle cose* 878. Fino a che non abbiamo un principio dimostratilo, il quale escluda una siffatta cagione comune, non potremo mai riguardare quei giu die iì come aLLi a servire di criterio di verità, 8 i 9. Ora nei proposto ragionamento non ci consta dell7 esistenza di un principia chiaro, il quale escluda questa cagione.— Dunque, contemplando L giudicò benché concordi di molti dal canto delle leggi dell attenzione^ non possiamo, in forza dei soli dati generali sovra espressi, ì quali, come ben si vede, sono i più favorevoli possibili:, non possiamo, dissi, mai dedurre eh eglino s’ abbiano a tenere per im criterio infallibile di verità* Solo ci consta che non possiamo decidere tra la f allibii ila. o la infili iìbilità Dunque siccome tanto dal canto dello spirito, quanto dal cauto del cuore* vi sì ravvisa la logica possibilità dell’errore, o almeno non si può escludere; il giudicio concorde e ragionalo di molli non si potrebbe giammai tenere per cerio ed infallibile, ma soltanto probabile criterio di cerila. 881. Ecco in geuerale fino a qual segno il giudicio di un Pubblico intendente tener si potrebbe qual criterio di cerila: tutt’ al più si potrebbe farlo salire fino alla probabilità della esistenza del cero, ma non mai fino alla certezza assoluta. 882. Per tal modo emerge un altro estremo di conciliazione frale mie idee. Ilo dello che nei senso rigoroso di criterio, che ho richiesto di un uso infallibile, il giudicio del Pubblico, ancorché vero, rimaneva superfluo, perchè incerto. Qui trovandolo probabile ?, dico che, nelle materie dove può verificarsi, egli serve ottimamente all’ uomo in pratica; perchè temer potendo di abbaglio nel ragionare sugli oggetti complessi, abbisogna di una testimonianza che lo rassicuri da tal timore; e in mancanza di certezza, gli serve la probabilità. Spingiamo più oltre l’analisi. Per qual ragione debbo io indurmi a presumere che nel giudicio concorde di molli conoscitori si racchiuda la verità? Deve pure esistere un principio teoretico e generale, certo per sè medesimo, il quale determini ed avvalori piuttosto questa presunzione, che la sua contraria. Se io mancassi di un tale principio, la mia presunzione sarebbe temeraria . Esiste questo principio fondamentale e determinante? E se esiste, qual è ? 884. Se in natura non esistesse un mezzo per sè infallibile onde conoscere le verità complesse; se questo mezzo non escludesse di sua ua tura tutti i casi possibili dell’errore, e non abbracciasse tutti gli accidenti favorevoli alla verità; a che gioverebbe l’investigazione e l’autorità di molti uomini a produrre nel privato o certezza o probabilità della di lei scoperta? È pur chiaro che tutte le viste del genere umano sarebbero m tale ipotesi frustrate, e noi rimarremmo nella notte perpetua del pirronismo. Dunque in tanto il giudicio pubblico si valuta qualche cosa per la verità, in quanto si suppone che l’uomo sia fornito di qualche mezzo per sè infallibile di rassicurarsi della verità. 886. Ma se all’opposto a tutti gli uomini singolari ogni verità si presentasse in una guisa evidente, cosicché escludesse la tema dell abbagito a die avrebbero bisogno d' invocare il soccorso dell'altrui autorità? Dunque il gnidi ciò di molti in tanto si considera utile e tu tanto Ottiene preferenza sopra quello dì un privalo, in quanto si suppone else un solo o pochi possano errare più facilmente che molli nel rilevare ] veci rapporti delle coso. 888, Dunque per ciò stesso si suppone per regola generale e teo~ reiioa* che moki vengano o avvertano quello che un solo o pochi non vedono* li i avvertono. Iu breve: si suppone che, a forila di radezza te e disti ole osservai ioni, i molti emendino i diletti di spìrito e dì cuore*, i quali possono rendere erronei i giudi rii d’ogtii nomo singolare; e ciò in forza della sola moltiplico diversità delle loro vedute, dei loro interessi e delle loro in eh nazioni. Se si riuniscono adunque gli estremi del principio avvalorante lautorità di molti in fatLo di verità* egli in chiù de il doppio supposto* che esista un mezzo infallibile a conoscere la verità* escludente tutti 1 casi dell'errore* od abbracciatilo lutti eli accidenti fa vere voli alla verità: e che questo mezzo* merco Tosarne di moltivenga ridotto ad effetto piu probabilmente che da un sola nomo: e perciò ottenga V intento della scoperta della verità. 890. Ora lutto ciò hi verifica egli di fatto? Con quali modi e iu quali circostanze entrambi i supposti si possono verificare? Potendosi eglino verificare in natura* come sì deve dirigere fuomo privato iu pratica* onde accertarsi della loro esistenza noi casi Concreti, e determinare il suo assenso al pubblici giudi eh ? Loco ricerche, la soluzione delle quali* quando venga eseguita a dovere* deve ini allibii incuto soddisfare allo scopo del proposto quesito. Prima però di entrare nella loro investigazione è d uopo proporre altre p r eli ni i u a ri osse r v azio 1 ii . A tjualt confuti venga ristretta V idea del l' libidico intendente, ossia della repubblica delle lettere - . Anche la persona di questo Pubblico intendente sì deve circoscrivere entro certi estremi. Se a costituire il pubblico consenso dogi i intendenti si richiedesse il pensamento di tutti coloro che io ogni secolo edili ogni paese giudicarono e giudicano cou cognizione di causa di qualche cosà, non sólamente ciò renderebbe troppo ampio il concètto di questo Pubblico, ma Io farebbe riuscire del Lutto frustraneo. II PubfeEeo colto d‘ oggidì si può forse appellare il Pii JjIjMco del secolo di BUONAIUTO GALILEI di Bacone e di Newton* o quello del secolo di }Lride o di Augusto? Se oggi esce qualche produzione, stilla quale i dotti decidono, si dovrà forse attendere il gliidieio della posterità per affermare che 11 Pubblico o la repubblica delle lotterà abbiano giudicato? 804. Qud che vissero dapprima formano fan tirili l.'i o gli augnali; quei che vengono dopo formano la posterità. Il Pubblico si racchiuda fra questi due estremi. Egli è nella generazione rivelile. La tomba corii* tuisce la linea di confine dm circoscrive il concetto del Pubblico, 895. Che se questo Pubblico adotta i pensamenti delle antecedenti generazionis* egli aumenta il patrimonio dei lumi che ne ereditò; tulio ciò gli appartiene* direi cosi, per sua speciale proprietà. TJ diritto di rm* ionia pubblica, ebe le vecchie opinioni hanno è fondato i nteramentij sul consenso della viveule generazione: la quale siccome alcune oc a-o* nulla, ad altre deroga, e iu tal guisa fa si che non più riescano gmdicìo del Pubblico, ma opinioni di qualche privatoo vìttime dell’obbho: cosi se alcune ue ritiene, sicché possano dirsi pubbliche* ciò avviene unicamente in forza di uu intrinseco ed innato diritto della vivente età* S9G. Non dico perciò che molte vòlte gli antichi non possano aver ragione contro un Pubblico moderno* ù che ìl Pubblico noti abbisogni in certi casi del soccorso della loro sapienza per legittimare i suoi giudici! : ma dico solamenteche n cosLiluiie il giudicio di un Pubblico riccr* casi unicamente il complesso dei co aleni pora neh Questi sono 1 limili cU sembra fissare si debbano al Pubblico ragion a loro per rispetto ali eia, dj 897. Ma se anche, attenendosi ai soli eoo Tempera noi si volesse per un altro cauto oltrepassare il cerchio degli intendenti racchiusi nitro alle nazioni culto poste in iscambleyole 5 mòltiplice e regolare corrispondenza e commercio di lumiper errare traviali Ira le piò e dissociate popolazioni a raccoglierne i pensamenti sugli articoli speciali degli umani giudicii: questa cura sarebbe del pari strana che ina prati cabile albi lì Lento die trar se ne dovesse. lì altronde m Ila comune significazione si sente che siffatta ampiezza eccede smodatamente i limiti dell' idei di nu Pubblico di dalli, o vogliaci! dire di una repubblica ‘-Ir. tu lettere, 898. Nemmeno poi credo che sia lecito restringerei ai pensieri degli intendenti di una borgata o di una CiLlà. onde caratterizzare un g1K' di ciò veramente pubblico, o poterlo dir e giudici o della repubblica L-ttcr aria 5 trovandosi che nella comune significazione il suo concetto . Proseguo, persìstendo sempre a far suonare sul cembalo ./la corda prima, e passa sul cembalo lì a toccare la seconda corda, stento la differenza. Ecco un secondo giudici^ negativo. 91 fi, Persisto sempre iu A sulla prima corda, e iu B collo stesso metodo passo a toccare la terza, la quarta c la quinta corda. Sunto scia, iti:. pre la dissonanza, e ut; ottengo uti terzo* un quarto e uo quinto giudiciò negativo si ugola re Ritengo che B troll ha clic cinque corde, notizia di latto preliminare; veggo d’averle percorse Lulle: concili udó die la prima corda del cembalo A uoli consuona cou alcuna del cembalo B. Questa è ua;s cotieljiusione generale su tutte le corde del cembalo B rapporto alla prima del cembalo À . Questa couehlusioue forma un giudicio negativo, che si esprime colla seguente proposizione! La corda prima del cembalo J non consuona cou alcuna del cembalo B. La verità di questa proposizione risulta dalla verità di tutte le altre proposizioni * ossia, di tulli i giudici! latti nel paragonare il suono della prima corda del cembalo A con ognuna delle corde del cembalo e m tanto appunto è vera,, perchè lui te le altre singolari sono vere, Ma come è risultala questa verità? Prima dal sapere che il cembalo B La cinque corde; in secondo luogo dafLayerlc come sopra paragonate* 9*20. Ma come si è saputo e scoperto clic IJ aveva sole cinque corde ! Dall' averle ben distiate e annoveralo, cioè dall* attillisi* Ma Favere cinque corde forma lo sialo di fatto reale del cembalo, Dunque J 'analisi dello stalo di fatto delFoggetlo su cui versa il raziocinio h la prima operazione preparatoria onde ottenere certamente una verità riguardante una cosa complessa* dì cui st voglia al fermare o negare qualche cosa in una maniera generale, Pili sotto giu sii li cleri l'estensione generale da me data a questa couchitisiont. Frattanto raccolga come un lemma. 922* L5 altra conseguenza poi si è, che il paragone analitico 5 cioè fatto con ogni elemento delle idee complesse, distinto prima col mezso de d'analisi*. è la seconda condizione pratica e necessaria nude a Samare una verità generale, vale a dii e relativa a Lutto intero un argomenta Se sopra si è veduto 'Capo antecedente) che tutto ciò c iodi ^pensabile all’ uomo attesa la naturale ristrettezza della sua comprensione, si vede ad uri tempo stesso esservi un mezzo infallibile onde otteuere la scienza certa dei rapporti* vale a dire V evidenzila 924. F però chiaro che il metodo usato in questa specie di rag10nameutì compiessi è perfettamente identico a quello che si usa nei 8iU' rlicii o ragionarne# ti semplici. Non v’ha altra differenza che nell esseri ripetuta l’operazione, e nel riferire In £mc il sommario di queste ripf;F ziuni. Mercé la conclusione generale veggo con un solo cenno il risultato delle operazioni prore Jenljj e quindi neJFmvo rapidamente trascoi io . %3 più oltre. Il motivo che mi fa riuscire indispensabile Tanalisi per ridurre tutto a molti plicità) a fine appunto di ottenere due semplici vicine unità, è pur quello stesso che mi rende indispensabile questo sommario, in cui le cose singolari si riducono ad unità, onde ottenere il più semplice concetto proporzionato alla capacità mia. Sarebbe agevole opera il dimostrare essere questo metodo lo stesso di quello che si usa nelle matematiche; e quindi nasce una conferma più speciale di una verità annunciata in generale più sopra.Ma se da questo primo sperimento io volessi dedurre che nessuna corda del cembalo A consuona con quelle del cembalo questa conseguenza sarebbe precipitosa. La deduzione sarebbe un pregiudicio. . £ perchè ciò? Perchè se la prima corda del cembalo A non consuona con tutte quelle del cembalo B, potrebb essere benissimo che qualcheduna o tutte le successive consuonassero con taluna o con tutte quelle del detto cembalo B. 928. Ma ciò non mi consta, uè mi può constare, se non dopo che Lo ripetuto collo stesso ordine Io sperimento paragonato. Così pronuncio un giudicio che uella maggior parte non è provato. Qui il difetto è nella prima parte della proposizione. Quanti difetti di questa natura si commettono tuttodì negli umani giudicii su di qualsiasi materia! Quanti scrittori, quanti filosofi rassomigliano a quel Francese, il quale avendo in Germania alloggiato ad un’osteria, ove la padrona era rossa di capelli e stizzosa, scrisse utd suo giornale: tutte le ostesse di Germania sono di capelli rossi e stizzose! A questo difetto l’uomo è assai proclive, lutte le opere che segnano i progressi dello spirito umano ne fanno luminosa prova. Si scorge ch’egli, dopo pochi fatti non bene analizzati, scappa con impazienza e senza riteguo alle couchiusioni generali. Tulli i sistemi imperfetti dei filosofi, tanto antichi quanto moderni, contestano questo fatto d’ una maniera tanto costante ed invariabile, che si può porre per legge: esistere una intemperanza logica nello spirito umano. 931. La cagione è nella natura. L’amore di conoscere molto e senza fatica da una parte, e il ritegno dell’ inerzia dall’altra, producono questo elfelto. La curiosità odia di andare a lente e piccole pause trascinandosi . sui particolari, dai quali nou trae die pìccole cognizioni e tè ime piacere, 1/ inerzia non procede se uou islimolata : e V ima e Mira, g n dir rullio f uomo Tiene atterrito. dalla fatica della meditazione, $ 932. Questa Intemperanza reca ìn progresso molti inali. Il primo si è d’ indurre i pregmdicii e gii errori formali mercé l’ allettativo d’ima piccolissima dose di verità clic abbaglia. Il mondo si trova iu onda Lo di cognizioni, le quali rasso migliano alle mone Le dorate. L’apparenza è vero oro: l'Intrinseco è pessimo metallo, Il seco □ do male» egli è di arrestare per lunga pezza i progressi dello spirilo ornano: e ciò per due motivi. I] primo, perché Tappa rema della verità attrae e lega, per dir cosi, lo spìrito -all’ errore epa quella far* za istessa per cui dovrebbe andarne sciolto, vale a dire per Tamar del vero. I titoli autentici e le prerogative della verità .si fanno servite di passaporto all errore. Come mal non si attirerà egli la fiducia della mente eLe pure lo odia, e che. ravvisatolo per quel di’ egli è. usui gli darebbe certamente ricetto.’ ì] secondo motivo si è, perchè Io spirito umana vie* ne, per dir cosi, adulato e lusingato nel suo stesso debole. Difiat li Li passione predominali Le di chi si rivolge 1 studiare alcuna materia si è quella di conoscerla. E come mai non sarà lusingalo da una co neh disio tic generale. la quale appunto gli annuncia che conosce tulio? Come mui riposerà. egli con una specie eh soddisfalla acquiescenza, d un far Le ri Linecamealo e d ona compiacenza orgogliosa sulle proprie conquiste, o sul possesso di quelle che suppone mime e coni pie Le verità? Come non d irriterà contro chiunque ardisce sturbarlo, o diminuirgli od assai più tògliergli siffatto dominio? Rimarrebbe troppo povero mi umiliato. Quindi hr controversie ìutoruo alle nuove opinioni, benda vere quindi le censure e le persecuzioni contro 3 saggi nova t un dal regno sdenuGcn; quindi lo umiliazioni e lo scoraggi inculo laro: e Tra-liaiito più durevole T impero del Terrore. Tutte questo opposizioni derivano e derivar debbono appunto da] più ricchi del regno scientifico, i quali ne soffrono il maggior danno. Non è questa forse la storia pratica delle lettere e delle scienze? Ora si vegga se T inerzia e Tamar proprio mal di* retto nou si debbano riguardar corno leggi che largamente rnJlmSconfl sopra 1 giu dici! dogli intende oli in tallì i tempi ed in talli i luoghi, fino a che un pieno lume non rischiari tutte le oaasclieratc de IT errore, avvalorato da quel Tamar proprio clic è imperfettamente attivo rudi’ acquistare. e sommamente tenace per la medesima ragione nel posso doro, 935. àia questo nou è aucor tutto, .De neh-: l’errore dipenda in ultima analisi ila quel motore medesimo che spinge all’acquisto della ve ni'1 ocr, e solo ue differisca uri gradi progressivi di energia e nella direzione : pure contro la verità rivolge le a Li ratti ve medesime di cui ella si giova per ca LI Iva re il cuore deli" uomo. Se lo spirito- umario non tosse svegliato dagli stimoli della curiosità, apula li ed aumentati da altri interessi socondarli « egli si arresterebbe entro il più augusto cerchio delle cognizioni limitatissime., procacciategli dai puri indispensabili bisogni : quindi uou si potrebbe mai co m pierò l a grand7 o pera dell a urna a perfettibilità. Ma al] 'opposto 1* incessante e sempre rinascente bisogno di conoscere nuove cose è. per dir così, uno sprone a percorrere una carriera immensa. Periodi è, da uno hi altro particolare sempre scorrendo.. Fu omo non si arresta litio n clic non sia giunto ad una sfera, d'onde realmente abbraccia o almeno credo abbruciare tulli i particolari o generali delle cose. Si pud dire, i mila u do una frase antica, clic la sfera a cui tende lo spirito umano sia 3 a regione metafisica. 937. Noi abbiamo altrove accennato ., per quali gradazioni salir si debba a quella sfera, e come discendere se ne deliba : le difettose dimore,, U rilassamento. Fa "gravamento e la preci pi lanza. di cui si è parlato, rendono l’opera imperfetta: ma puro si vuol soddisfare a qualunque costo aWnppàrenza. 938. Da ciò nasce la tendenza a ridurre sempre le scienze m leone generali, in sistemi, in corpi, in corsi. Se queste cose sono utili e necessarie nel Lempo della piena cognizione., elleno sono ìiib mia mente nocive le uno stalo dì lumi imperfetti, i quali non possono porgere più die meri aforismi, o assiomi meno generali. Dico die Sono infinitamente noti ve : an/l aggiungo, che sono tutte prestigli e adulazioni perniciosissime, le quali lusingano, seducono e corrompono la ragione dell' uomo. e per lungo trattò ri e arrestano i progressi. 939. E come no ? Se Io spirito umano si lusinga rii conoscere tutto, non fa più nulla per Spingere più oltre le sue ricerche. Da un canto uou sospetta dm esista un paese da conquistare alla sua curiosità: dall .alLro Cairi Lo unii si riversa sopra la carriera trascorsa, perché non Ravvede delle grandi lacune die vi Ita lasciale per entro. E cóme lo larebbe con oli anima la quale non è mossa se uou dagli stimoli, e a cui si toglie per questo m ev,z o L i ncrtiLìy o de Ibi r uriosi 1 à ? Da ciò il male si raddoppia, perché in chi lo prova toglie la volontà di guarire, togliendo lino il sospetto d' abbisognar di rimedio; r perchè dalla irritabile resistenza, di cui sopra si è parlalo, i saggi u ovato ri vengono respinti, e viene loro Imposto silenzio: noti altrimenti die quando un ammalalo, non cause io della sua infermitàcaccia da se > medici. I Gli IHClIt EG. 941. Per buona fortuna la male imbevuta generazione sparisce nella successione dei tempi: e la verità giunge a trionfare* c lo fa eolie forze medesime con cui si volle difender Ferrare. Imperocché se la eorcmue degli nomini coiti trascorre o. a dir meglioriposa sugli estremi delle oiLi Le generali, olire le quali le spirilo umano non può sospingersi: nasce il felice accidente di taluso che, dagli estremi procedendo al centro, o a dir meglio attenendosi ai particolari, procede coti meno di prccipibaza ai generali, e va discoprendo molli assiomi meno generali, e moltiplica così ì puuU dì vista intermedi!. 942. Allora nuovi., pieni e più solidi priucipii vengono discoperti; ma allora la vecchia scienza vh-n cangiala* Appunto il complesso di questi nuovi principio o a dir meglio delle viste intermedie, forma la nuova scienzae porge il campo alle conquiste dell' uomo di genio, 1/ attività e Farle mdF eseguirle sono i caratteri che lo contraddistinguono dalla comune! intelligenza. 943. Nasce, è vero, tra le vecchie, imperfette od erronee dominaci! opinioni e le nuove un acre conflitto^ ma se da un canto Ferrare sest tnulo dal V amor pròprio combatte, ciò si rivolge a profitto della vcritk. 944. L’ ardore della conLroyersia riconcentra V attenzione del vero iuterprete*ed energico difensore della verità. Ogni nuova trincea, tigni nuova difesa contrapposta al nemico riesce un nuovo sostegno albi verità; e se l'notno di genio, prima di palesare le sue scoperte . prevede fs resistenza, diffonde sulle sue idee un più chiaro ed irresi alibi! I u tri o, a due di soggiogare F indomito e negli il toso orgoglio degli spirili lusingali r, vincolali dal Terrore. Ecco per qual maniera 3 a verità giunge a tnoufare colle forze medesime con cui impera i errore. 945. Hai fin qui detto lice trarre una conseguenza impor tante A presente trattazione ; ed 4, che in astratto un gindìcio cd un opiuieu!.' accolta o formata da dolLt in qualunque epoca an tenore alla picca scoperta dei lumi non può veramente, essere tenuta per un assoluto prol lutile criterio di verità^ ma solamente far prova della sita i ila -ione legittima dai ricevuti principila Mi riservo a provare più ampiamente tj mista verità, la quale riesce una delle fondamentali della presente Opera, *j 94(4 E d'uopo altresì distinguere: le condizioni della verità e dvlY errore nella loro intrinseca attività, e quali sì verificano in natura, dalle apparenze loro esteriori, e quali si verificano solamente nella umana opinione. Sotto iJ primo rapporto dotte cose sopra dette si deducono i seguenti corollarii: cioè: Quanto più rm giu dici o è generale*, cioè comprendente maggia punterò Ji ometti nel suo concettobenché abbia ne5 suo! fondamenti un' apparenza o, a dir meglio, uni certa quantità di verità speciali che impongono all- intelletto ; ciò non pertanto, per naturale difetto dello spinto umano, trae seco una maggiore facilità pratica di errore. Onesto ìun corollario applicabile a tutti i tempi., a tutti i luoghi, a tutte le materie 3 a tutte le circolarne, per ciò stesso che vien tratto daL rapporti universali della verità, c dalle leggi fondamentali della naturale umana fallibilità. 2/ Viceversa quanto meno un giu dieia e generale*, vale a dire piu speciale-} trae seco una minore facilità di errore dal canto dell’ uomo. Forse dir si potrà che, per lo contrario, a proporzione ciò reca seco una maggiore presunzione di verità. Ma rispondo, che se se assume questa presunzione dal cauto dell 'apparènza esterna, ciò non si può verificare se non se provvisoriamente ed in una guisa negativa: cioè a dire, se non lino a che non consti della falsità positiva, e però dopo che si avranno tutti i dall che dal canto degli autori del giudicio c dell* opimo* uè siasi posto In uso un esame accurato, il quale (come sopra si è veduto. e meglio si scorgerà dappoi ) è acconcio a procurare la cognizione della verità. Ma se poi si riguardi la cosa intrinsecamente,, questa presunzione di verità non ai può legittimamente dedurre dai gradi diversi della ftdUbilUa. Ciò è chiaro, poiché deriva dalla nozione intrinseca della verità indivisibile ed invariabile. Forse clic ella rassomiglia ad un liquore die possa esistere disperso iu parti ed esteso in Li u tura suite umane Idee'? Ogni verità sta in un gtudicio; ogni ve ri Là relativa ad un oggetto complesso sta nella couchiusionc del raziocinio. A dm giova che taluna delle premesse sia in se stessa vera, se non ha un rapporto completo colla conseguenza ? Questo rapporto completo non risulta torse dall influenza degli altri dati, ossìa delle altre premesse? Lu solisma, perché impone . è desso vero ? Ma pure impone a chi lo legge ed a chi lo ascolta. Dunque dalla minore 0 maggiore probabilità dell errore^ relativa alla maggiore o m ì □ o re fallibilità umana, non è lecito dedurre una maggiore 0 minore presunzione di verità sullo sta Lo intrìnseco delle cose. 3.° U altro corollario, che deriva dalle cose discorse in questo Capo, si ò, che la riprovazione dei dotti al comparire di una nuova opinione contraria alle massime da loro ricevute in quella materia in cui sono versali. non può per se stessa formare una presunzione legittima di falsità. contro la nuòva opinione, 0 di verità a favore ddl antica.. Appartiene ad £C. un terzo il giudicare. Questo terzo è F intimo senso còlto dall "evidenzaed il Pubblico che può esser giudice è la posterità. Questa si deve annoverare fra le circostanze da registrarsi nella risposta del quesito. 4.° Per lo contrario la favorevole accoglienza d’ima nuova contraria opinione (altro non constando in contrario nè dal canto delPiutimo senso. nè dal canto di un secreto interesse), quando venga fatta dai dotti su quelle materie in cui tali si prolessauo (specialmente se sia intervenuta controversia), induce per un’astratta considerazione nel privato una ragionevole presunzione estrinseca di verità a favore della nuova opinione, e una presunzione di falsità contro l’antica. Potremmo trarre altri corollarii; ma qui non cadono per anche iu acconcio. I sopra dedotti richiedono per la pratica alcune altre considerazioni; e noi ci limiteremo a suo tempo a quella sola che precipuamente interessa Io scopo di quest’opera. Frattanto è d’uopo non perdere di vista Io scopo speciale di questa Sezione; perlochò ritorno alla mia similitudine. Il lettore si rammenterà ch’io ho fatto lo sperimento della prima corda del cembalo A con tutte le corde del cembalo B. e l’ho trovata dissonante con tutte . Ora a fine di scoprire con certezza la verità di cui andava in traccia, vale a dire se iu ambedue que’ cembali ne esista alcuna che consuoni scambievolmente, proseguo collo stesso ordine il mio sperimento sopra tutte le corde, e giungo finalmente a scoprire che la quinta corda di A consuona colla quinta di B. Ma quante operazioni mi è convenuto eseguire? Siami lecito esprimerle qui tutte paratamente. Cembalo A. Corda 1.a colla » 1 .a .» 1.a . » 1.a 1 .a Cembalo B. 1. a dissonanti 2. a diss. 3. a diss. 4. a diss. 5. a diss. Cembalo À. Corda 2;’ colla » 2.a, 2.a li 2;' 2? .. OPEJUZIONJS U. Cembalo B? disse oan li 2." diss. # 3* disa, 4* diss* t, 5a diss* OIT.RAZIOKE III- Cembalo A, Cembalo B Corda 3.“ colla . 1 3, 5 3* .5“ dissi or uè. a vagine iv. Cembalo À. Corda 4 colla,, ìl 4.* a * 4* 4,a 4.a . OPETU&fOrvPv. Cembalo J. Cembalo Corda 5.a colla 1.* dissonanti n 5.n fe* diss. u 5 3* diss. .4 * diss. » 5t* . 5“ concordanti. Cembalo /?, 1,a dissoda oli 2.a diss. 3;1 dìss, 4;1 di ss, 5,a di ss. Se si rifletta al tenore di queste operazioni parziali, le *11ìl1'* formano il complesso particolareggiato deir analisi generale e paragonala dei suoni delle corde nei due cembali, si trova che ad oggetto di scoprii e se vi siano due corde consonanti io ho eseguili ventìcinque confronti dai quali sono risultati venticinque giudicii singolari e semplici, compendiati in cinque giudici i generali per rapporto al cembalo /?, ma che per rapporto ad ogni corda del cembalo A di ventava do singolari, Questi giudieii generali e subalterni . eccettuato l'ultimo, si esprimevano come il primo, Ji e, ti sopra alziamo ragionato: cioè a dire: nessuna Jelle corde del cembalo B consuona colla prima del ceni Li lo J; pi casi ripetendo in seguito. 9 9ì J> Perìodi!* sì scorga clic ogni idea singolare ossia eie m eoi are hJe tjo oggetto putii divenire un centro com uni: di rapporti affermativi o ubativi con Lulte le idee di un a Uro oggetto. Si può fìngere cosi eli 'ella fornii intorno a sè come tanti raggi, forbita dei quali forma una nozione complessa ed unica, il cui centro sia 1 idea costituente il primo estremo degni paragone, e la circonferenza le altre die no formarlo il secondo estremo. 952. Allora questa nozione srrve conre di mi punto compendia le * u ondò più spedita mente può Io spirito passare ari altre, allorquando gli rinvenga di doverne far uso* Dilla Iti U mento non abbisogna di altro lampo a comprendere, se non clic di quello che ricercasi per a hi tracciare tl concetto di tana semplice proposizione. 953. Cosi nel nostro esempio tu ita quell’ analisi si riduce ad uà complesso di cinque nozioni. Queste si possono di nuovo tradurre e restringere in una sola e generale. Eccolo. 1 itile le corde dei due cembali A e lì sono dissonaci li fra loro, a riserva delle due ultimi. Questa nozione esprime tutto intero lo stato dei rapporti Ji consonanza e dissonanza dei due oggetti. Mercé di essa vie a ricomposti) nella mia mente ciò che dapprima ella vide singolarmente diviso u ©Uà mentale anatomia, la quale era total me ut e necessaria alle corto visti! della mia cognizione. Questa ricomposizione esprime la natura. beco Il metodo unico per ritrovare la verità dì ri flessione. 5 955, Ma I termini della mia ricerca quali erano? Sapere sa tra In curde dei due cembali ve ne fossero delle consonanti, o no. J, idea di consonanza era dunque il centro unico di tulle lo mie ricerche. Mì eseguirle egli era il tèrmine primo di paragone con tutte Ir successive Idee singolari dei suoni delle corde. Dunque la soluzione non poteva essere se non un gmdicio semplice o affermativo o negativo; o lulL d più. due. giudidi. l'imo affermativo fra f idea assunta per primo termine di paragone con alcune; parli dell* oggetto, e l’altro negativo Ira la medesima idea ed altre parti del medesimo oggetto. 956. Si è veduto con quale artificio questo si compia. 1 al è pere il modo dì sciogliere qualsiasi problema n quesito filosofico, ma tematico} fisico, politico: scmpreche il suo oggetto si possa analizzare. 5 957. Ilo deLLo semprechb si posta analizzare: poiché se col nostro esempio constasse bensì che i due cembali avessero delle cordo* ma fos* I sero collocali iti allo, e non fosse possibile, se non mercè qualche filo annesso all’uno o all’altro tasto, di scoprirne i suoni, è chiaro che allora la mia ricerca, se fosse generale, resterebbe delusa: e il problema riuscirebbe per me insolubile, per mancanza di qualcuno dei fatti fondamentali. la cui cognizione è necessaria a scoprire il mio intento. 958. Per altro allorché sapessi clic vi souo più corde alle quali non posso far rendere un suono, la ragione ben dedotta ne trarrebbe altri risultati * cioè a dire, che la verità ch’io mi sono proposto di scoprire è superiore ai mezzi praticabili; e quindi che debbo acquietarmi in una ragionala ignoranza, ed astenermi da chimeriche congetture. L’altro risultato si è, che se le mie cure riescirono frustrate nel loro scopo finale e generale, non rimangono tuttavia defraudate di frutto e di utilità. Conciossiachè dopo i miei tentativi dir potrei: le tali e tali corde consuonano, e le tali dissuonano. Queste sarebbero effettive verità singolari e certe. Perlochè se l’oggetto fosse utile, ne otterrei sempre verita speciali, acconcie a qualche uso. Dal fin qui detto si scorge che col metodo medesimo si giunge tanto alla piena scienza, quanto alla necessaria ignoranza, della quale si debbono rispettare i confini. 959. Quante volte avviene in ogni scienza che lo scopo d’una ricerca riesca frustraneo? Ne abbiamo un’infinità d’esempii in fisica, in * morale ed in politica, che ommetto e per amore di brevità, e perchè più sotto ne dovrò fare parola. 9G0. Solo parmi che nelle matematiche astratte dar non si possa veramente un problema intrattabile, a motivo appunto che gli enti di sì fatta scienza essendo di creazione umana, cioè a dire mere astrazioni, ovvero nozioni ontologiche, non possono racchiudere dati estremi o mtermedii non reperibili coll’analisi. E se per avventura taluno dei proposti problemi rimane intrattabile, ciò deve certamente derivare o dall’assurdo racchiuso nella esposizione, o dal non essere l’esposizione fatta a dovere. Quindi non si deve dire problema intrattabile, ma bensì assurdo e ripugnante negli estremilo mancante dei dovuti requisiti. Potrei comprovare tutto questo coll’esame di quei problemi un tempo cotanto celebrati, che fecero il tormento di tanti matematici; ed eziandio collanalisi di quei pretesi misterii matematici, che l’ignoranza per tali riguardo, perchè non salì giammai alle prime origini delle cose. 961. Non debbo per altro dissimulare, che fra il modo di ragionale delle mere logiche convenienze e discrepanze degli oggetti, e il modo di ragionare delle dipendenze e delle connessioni fra le cagioni e gli effetti, passa per un rapporto una totale diversità, Ma questa diversità noD varia punto il concepimento Iodico della verità, nè la di lei struttura, dirò così, nè la legge unica Ae\Y analisi applicata successivamente alle parti singolari. La diversità consiste soltanto urAY ordine* o a dir meglio nella distribuzione degli oggetti. Come in pittura posso ravvicinare nello stesso quadro un edificio della Cbiua ad un edificio di Londra: così pure nella mia immaginazione, quando scelgo di rilevare le somiglianze e le differenze di due oggetti, posso prescindere dalla loro reale collocazioue in natura, e dalla loro priorità o posteriorità di esistenza: in breve, mi limito alle loro qualità, facendo astrazione dalle circostauze con cui esistono nello spazio e nel tempo. Ciò appartiene agli oggetti che noi giudichiamo esistenti fuori di noi. Per lo contrario ragionando delle cagioni e degli effetti, l’ordine non è più arbitrario rapporto alle connessioni ed alle esistenze: ma viene necessariamente determinalo dall’ordine e dalla successione reale delle cose, e viene sillattamente determinato, che il negligerlo o il controverterlo produrrebbe errori e assurdi formali; e gli uni e gli altri sarebbero gravemente nocivi, attesa la natura degli oggetti cui appartengono. Per altro agevolmente si scorgerà che collo stesso metodo esaminando le connessioni e le dipendenze, previo un esalto stalo islorico o sperimentale della cosa, si giungerà ad un risultato del pari evidente, il quale determinerà o la nostra assoluta o respettiva ignoranza* ola nostra certa scienza ; e Luna e l’altra di queste cose è infinitamente utile alla umanità. 963. Ben è vero che talvolta nella mancanza di cognizione di certe o concause 1 intelletto umano attribuirà interamente l’effetto alla sola cagione conosciuta: ma l’errore allora è inemendabile, l’uomo non è colpevole; e altro non constando, è costretto ad attenersi alla cagione conosciuta. 964. Da questa considerazione emerge una necessaria limitazione alla proposizione proposta, in cui abbiamo enunciato l’esistenza di uu mezzo infallibile a conoscere la verità. Noi abbiamo inteso ed intendiamo che riguardi non le verità storiche, per dir così, e quali esistono nei rapporti forse comprensibili all’uomo (ved. Parte II. Sez. I. Capo XVIII. le Osservazioni), ma di cui però mancarono le notizie e le occasioni per ottenerle; ma riguardi soltanto le verità di osservazione e di deduzione sulle notizie che la presenza delle cose ha offerte o poteva offrire alla mente umana. Qui il giudicio dei dotti è concorde: là è precario. Come il metodo sovra esposto escluda lutti i casi possibili dell' errore, ed abbracci tutti gli accidenti della verità. 9G5. Ritenuta la limitazione ora fatta sulle verità e gli errori comprensibili all’uomo, mi rimane a provare fino a che si estenda la forza e la sfera d’influenza del metodo sopra divisato; e dico ch’egli esclude tutti i casi possibili degli errori di osservazione e di deduzione, ed abbraccia tutti gli accidenti favorevoli alla verità. Alcuni filosofi hanno asserito che la scoperta di tutte le verità nuove è effetto dell ’accidertte. Se si parla della scoperta delle verità che sopra ho disegnate col nome di storiche, ciò è vero. Che se poi si ragioni delle altre verità di osservazione e di deduzione; se ciò si verificasse in fatto, deriverebbe unicamente da qualche difetto di memoria e di attenzione, e perciò nel complesso degli uomini sarebbe evitabile e correggibile. Ma sarebbe sempre vero che, mercè il metodo sopra divisato, l’uomo di genio non sarebbe douo della sola natura e dell’accidente, ma sì bene dell’arte. Conciossiachè se da prima noi abbiamo sottomesso le occasioni d e\Y attenzione ad una specie di ordine fortuito (ved. Parte II. Sez. II. Capo XI.), ciò da noi fu contemplato nei casi singolari; ma per ciò appunto che si ragiona di un Pubblico, questo par che divenga caso di eccezione, per le ragioni sopra allegale in favore dell’ autorità prestata all’assenso di più uomini che di concerto rivolgono il loro ingegno allo stesso oggetto. 9G6. D’altronde non conviene mai perdere di vista che le osservazioni determinate dai rapporti generali vengono a grado a grado limitate dai meno generali. 9G7. Che se auche dopo la scoperta del metodo piacesse, per l’uso pratico di lui, attribuire all’ accidente tutto quell’impero che prima di tale scoperta esso ha su \X attenzione; ciò non affievolirebbe in conto alcuno la verità della tesi, per cui affermo esistere un mezzo infallibile a porre in luce tutte intere le verità di osservazione e di deduzione. Conciossiachè la mia proposizione non riguarda l’esercizio pratico dell’uomo, e nemmeno le circostanze favorevoli ad adoperare siffatto metodo: ma sì bene affermo che il mezzo racchiude di sua natura uua tale efficacia, che praticato dall’uomo gli procura certamente la cognizione della verità. L’ una di queste proposizioni è di fatto, l’altra è di diritto. Lungi pertanto dal collidersi, anzi conciliansi scambievolmente. L’intemperanza morale, la quale produce tuttodì una moltitudine iufinita di disordini, esclude ella forse 1’ esistenza di uua regola di perfetta giustizia e di virtù? Premessa questa couciliazione, procediamo oltre. Articolo I. Effetto ed estensione dell' efficacia dell' accidente sulla cognizione della verità. 968. Quando dicesi che V accidente è cagione di tante scoperte tisiche e morali, qual è il senso reale che annettere si deve a quest’asserzione ? 969. Ogni verità per rapporto all’uomo non può essere che uu giuclicio ; ogni giudicio non può essenzialmente venir prodotto e creato se non dalla presenza delle idee e da uu atto di attenzione. Se dunque alV accidente si attribuisce la scoperta di una verità, ciò non potrebbe significare se non che esiste una combinazione di circostanze o non comprensibile o non procurata, la quale introduce nella sensibilità di taluno certe idee, e ne richiama 1’ attenzione a paragonarne i rapporti. La cognizione del risultato di questi rapporti costituisce appunto la verità relativamente all’ uomo. 970. Ma è ben chiaro che se V accidente non pareggia il metodo nel guidare successivamente e adequatamente l’umana attenzione sugli aspetti tutti di due oggetti, la verità scoperta sarà rapporto agli oggetti medesimi solamente parziale. Il concetto integrale, ossia la conchiusione che abbraccia tutto il complesso delle verità singolari, e che esprime la somma di tutti i rapporti d’identità o di diversità, di cagione o di effetto, mancherà intieramente. Venendo ora al fatto, io chieggo se l’attività accidente s1 può ella estendere fino a questo segno. wSi noti bene: io qui non parlo di ciò che è possibile metafisicamente, ma bensì di ciò che per legge stabilita di natura si può ottenere. 972. A questa ricerca si presenta tosto un’ovvia osservazione. Pei la ragione medesima, che veggendosi su di uua tavola una fila di caratteri di stamperia, i quali esprimessero, a cagion d’esempio, Arma virimi rjue cano, non si giudicherebbe mai essere stata opera di un getto fatto a guisa di quello dei dadi; del pari una teoria, un’analisi seguita non si saprebbe tutta attribuire ad una vista fortuita. Nelle cose di fallo dell’ordine fisico e morale non v’ha altra norma solida di ragionare sulle Leggi stabilite, se non che ricorrere alle consuetudini della natura, oe si afferma, a cagion d’esempio, esser legge di natura clic l’anno abbia ili verse stagionile che il sole duri or piti ed or meno sulio-rizzuplc; tale asserzione ò fondala unicamente su IT esperienza del passato. 973* Per loditi ragionando della sfera attiva Aù\Y acci&jfàite ueirimpero razionale 5 chieggo a quanto egli per se solo estenda le viste dello spirilo umano allorché presenta le viste e sveglia FaLLenzioDe. La storia e la sperìeuza ci mostrano ch’egli per se solo non somministra che ri strettissimi e fuggitivi cenni, e nulla più. 974* Se poi sì chiede lì no a qual segno egli per sè solo sospinga dappoi ì passi della ragione, e renda utile una vista presentata; e spela Imeni e poi se egli esiga condizione alcuna preliminare onde inspirare, diro cosila verità; io rispondo colle seguenti osservazioni. 975. Soventi volte V accidente presenta le occasioni più favorevoli ;a vedere una nuova verità, rna lo presenta in vano1 ignoranza o la diali Uè ozio oc vi si oppongono. Ad un uomo della plèbe si presentano nel1 ordine morale certi oggetti, che india Lesta di un filosofo avrebbero prodotta una luminosa e loco u da teoria; ma nell nomo della plebe, quasi semi gettati su sterile arena muojcmo senza germogliare* (Juaule volle ad uu pastore sui monti e fra i boschi la natura svela certi segreti che il fisico si tormenterebbe invano d’ indovinare ì Ma allo sguardo zotico del pecoraio trascorrono inosservati, ovveramente eccitano uno stupore' pass aggi ero, e nulla piu* La storia delle invenzioni di ogni genere c la sperìeuza giornaliera sommiinsLrano infinite prove di questa verità. Negli uomini stessi illuminali, se da qualche passione vengano assorti, avviene il medesimo* Ma per ora atteniamoci ai rapporti della cognizióne* e sorpassiamo quelli d e Watt eiti-i Oìie D’onde deriva che nel filosofo clic avverte ad uu fenomeno o fisico o morale, ovvero anche ad un accozzamento nou premeditato di idee, V accidente divieti fecondo di verità 1 È, troppo chiaro che deriva da ciò: che nel filosofo la mente si trova dapprima fornita di altre convenienti cognizioni, le quali facilmente si accappiano colle fortuite successive: ed all’opposto V idiota ne manca. Didatti qual è il carattere che contraddistìngue l’uno dall’altro, talché 1 Accidente debba favorir I uno, e l’altro no? Certamente è quello solo che distingue un uomo istruito da un altro che non lo è, Ma approssimiamoci vie meglio alla verità La sperìeuza e hi ragione ci dimostrano che se queste cognizioni precedenti non si Liovano iti un rapporto assai vicino con quelle che vengono presentate dalV accidente^ questo nou olire sorgente alcuna di verità* Didatti so fra le cognizioni attuali acquisite e le fortuite si frapponesse un’assai lunga distanza* ò troppo chiaro clic sul momento la incute umana non pnLpelèe coglierne gli estremi, perchò eccederebbero .sovcrcliittmeute la suri naturale capacità* Uali'alLro canto,, passato ristante, I toccasi ni tc svanisce. non si produce verun e Iteti o di Goni prensione c di giudicìo, 918, Dunque in fatto di eerità, perché Yuccìdente riesca fecondo ili im buon pensiero o di un alquanto estesa scoperta, sì richiede die il fondo, dirà così* dello spìrito umano sia preparato c disposto a guisa di addentellato: ossia che le sue Idee siano in tal guisa associate ed ordinate* che faci! mente innestare si possano colle fortuitoNò ciò solo: ma ricercasi inoltre che V intervallo fra lo uno e le altre non sia eonslrlfirabile, o. n dir meglio, elio le nue e le altre non siano fra toro trinilo disparate, g 979. Può talvolta avvenire ( he la mente umana avendo due serio separate di idee, non vi ravvisi eli anelli luLermcdd dì comumcazintir. Allora P accidente servo a guisa di polite, il quale mostra c rende praticabile la eonuiulcazione dapprima incognita fra due strade già cognite ed appiattale: allora pronto e fecondo riesce Folletto dr 31V/iv.7t/c^A\ ila ;mfhc ia questo caso la caLcua intermedia delle ideo non può esseu1 lungo, ed eccedere t limiti di un semplice raziocinio* altrimenti 1 cffe'àrìa àa\Y accidente riescireLhe frustranea per la medesima ragiono sopra discorso* 980. Talvolta poi guida ad un varco non previ ditto. a£VT dente si ò la vocazione ad una data scienza od arte. In tal case egli non apporta veruna speciale cognizione della verità, ma solamente somministra eccitamenti ad acquistarla. Allora rassomiglia a taluno che invili a leggere un hi mi. predicandolo interessante senza spiegarne il Gnu Li uli te \p pari iene Cali era mente al leggitore il rilevarne la dottrina e il trarne le couvenicalJ istruzioni. Quindi allora non siamo debitori a \Y accidente delle nostre cognizioni piu di quello che lo saremmo ad un cieco o ad uu ignora nòe il quale ci additasse resistenza di im libro istruttivo. 982, Dalle cose esposte (ino a qui si deduce che l1 accidente SI ilUU contemplare come operativo In tre distinte maniere: cioè: 1 ."come limolo ad acquistare certe cognizioni* 2." co me apportatore diretto di cenni rapidi di cognizione; ecceomo stimolo ed istnittorc nel medesimo tempo. La prima maniera non appartiene al nostra assunto. Noi ragioniamo qui della cognizione iutiina della verità^ e non della passione d’ intra prenderne la ricerca. Nemmeno la seconda maniera può interessare la presente trattazione; perchè l' accidente in quella rassomiglia a taluno che mostri in privalo una pagina di un libro, e uè lasci leggere una riga, e poi lo chiuda e lo nasconda. Ora nel presente argomento di questo scritto valutar si debbono le cagioni operanti sulla massa intera di un popolo o di una colta classe di persone; e perciò la cognizione della verità si debbo derivare da cagióni costanti e comuni: specialmente poi perchè ri viene proposto II Pubblico in astrattole si deve prescindere da qualunque luogo, paese, e momentanea circostanza. Quindi i vantaggi e gli svantaggi puramente accidentali non possono recare al Pubblico alcuna prerogativa speciale sópra del privato, ma all'opposto la comunicano al privato sopra del Pubblico. Tabù appunto la sorte di molti nomini di genio, e di tutti quegli inventori i quali a rigor di terni ine mentano questo nome. Della terza maniera non faremo parola, come 4 ! [ cosa superflua: ella è una mera unione delle due precedenti.— Non era innlil cosa il considerare da vicino questa sorgente di COgmziouL postochè sembrava avere qualche iullueuza sulla opinione avvalorarne i pubblici giudico. Articolo II. Come il metodo graduai niente analitico e recapitolante escluda i casi dell* e irore, è racchiuda Hit il gli accidenti favorevoli alle verità di riflessione. 985-, lo non dubito che chi dà un5 occhiata alla esposizione e albi pratica del metodo sovra esposto, non accordi agevolmente eh’ osso raduna tutti gli accidenti favorevoli alle verità di osservazione e di deduzione, ed esclude Lutti i casi possibili di errore. Se tutte le convenienze e sconvenienze sono sentile; tutti i giudici! sono dunque tessuti, Lutte le veri i. ù seoperie, tulli gli errori esclusi. Ciò è troppo manifesto, e non abbisogna d' ulteriore dimostrazione, 985. Solo sembrami non inutile cosa il iar osservare, che quando proponiamo di ritrovare con quel metodo qualche speciale verità, ci avviene di abbatterci ito pensata mente in altro luminose eri importanti veci là, delle quali non ci eravamo pur sognala la esistenza. Scorgo in vetta di un collo un edilìcio che mi vico brama di visitare. In salir vi debbo per un aperto sentiero, da me però non mai per Io addietro praticato* Con qual grata sorpresa ni' avviene per via di vedere aprirsi avanti allo sguardo mìo le varie scene* ove per lunga fuga boschi e colli e limine paesi sono in vaga distri bustone disposti. 1’aspetto dei quali io oca immaginava allorquando mi avviai per quel sentiero! Io chiamo iti testimonio tutti que’ pochi pensatore ì quali hanno fallo uu uso completa dell'analisi ia qualsiasi materia; e sono ben certo ch’eglino tnLli, or fin ed or meno * saranno stati sorpresi da queste aggradevoli fughe d’icìcee scossi eia un vivo trasporto di giojii si saranno vieppiù confermati nella persuasione della piena efficacia di siffatto metodo in prò della istruzione umana. Ardisco predire, che a malgrado dell’alta opinione che si uutrs della ricchezza dei lumi di questo secolo, potrà avvenire tuttavia che io ogni materia esista un Archimede, il quale colto da un' ebbrezza ili verità non solo esca dal bagno esclamando inverti* inv&ìlij ma eziandio possa eoo trasporto esclamare: Io trovai assai più di quello eh io ut’ era proposto di scoprire. Questi sono, se mi lice dirlo, I colpi segreti della grazia razionale, coi quali il genio della venia e della sana ragtoue tee* ferma ed infervora i suoi eletti nella difficile ed unica via delta certezza. 9 SS. Non so con quale accoglienza siasi dai dotti trattala ropiniene di un troppo celebre scrittore, colla quale sostiene per principio necessano di natura, che ogni nuovo pensamento sia dono deli accidente' 50 però che la ragione ch’egli ne adduce è incoia eludente: a Una venia intieramente incognita non può essere oggetto della mia meditazione»^ Questo riflesso ò vero, ma la conseguenza non ò h‘gil!lma. Conciossw* che [ oggetto cognito della mia meditazione, analizzato con metodo, ini può somministrare certe verità* delle quali prima della meditazióne non aveva il minimo presentimento: non altrimenti che un libro o uu gahi* netto che rni proponga di visitare mi offre oggetti dapprima non vedali 51 dirà che altro è un oggetto di meditazione, ed altro è un oggeilo mljsìbile incognito, lo rispondo: che no’ idea anche presente alhanhoa. dell-1 quale V attenzione non abbia per anche distinti e rilevali ì rapporti e l particolarità s può somministrare almeno tutte le Ideo relativo, ossia i giudici), in una maniera totalmente nuova. Si sa clic ogni verità, di ll’^" sione consiste appunto nella cognizione del risultati di si fatti rapporl1, Ne) paragone dei due cembali io poteva scoprire clic tutta le collidi entrambi fossero dissonanti; la qual verità r lese irebbe genera le p^‘ rapporto a quei due oggetti, mentre pure ch’io m’era proposto soltauLo una speciale verità, la quale era di sapere se oc esistessero nkiim concordanti. elici.;. Di: lv hr/mmr. Scct. II L Chap, U Per le cose fin qui esposte convengo che esista uu mezzo infallibile a scoprire le verità di osservazione e di deduzione, e che perciò il primo supposto inchiuso neiropinione autorizzante i pubblici giudicii dei dotti sia pienamente vero. 988. Ma tutto questo non determina peranche nulla per lo stato reale e pratico del Pubblico, sicché si attribuisca a’ suoi giudicii una preferenza di verità sopra quelli di un solo. Parlando metafisicamente, sì fatto metodo può essere usato con pari felicità da un solo uomo, o da molti insieme. In tal caso meramente possibile il privato nou abbisognerebbe dell’ assicurazione dell’ altrui giudicio nelle verità di osservazione e di deduzione, come non ne abbisogna in una dimostrazione geometrica. 989. Perlochè ora è d’uopo indagare se il secondo supposto racchiuso neH’opinione convalidante i pubblici giudicii al di sopra di quelli dei privati si verifichi, o no. Egli era quello che si esprime col comune proverbio: plus vident oculi, quarti oculus. 990. Prima di sperimentarne la verità stimo acconcio di additare in qual guisa si debba verificare, giusta i termini che racchiude. Ma avanti di accingermi a questa intrapresa debbo giustificare il contegno mio sopra adoperato, estendendo in generale un esempio sensibile. Che il metodo e le leggi dei giudicii e dei raziocina delle cose sensibili si applicano rettamente a qualsiasi materia. Quando io penso ad una massa di piombo, la mia anima non rimane meno spirituale che allorquando penso ad un angelo o a Dio. E l’un a e E altra idea sono sempre modificazioni del mio stesso essere pensante: o, a dir meglio, egli è lo stesso mio spirito, in quanto riveste 1 una o l’altra idea. Egli rassomiglia ad uno specchio, le cui riflessioni si fanno colla medesima legge fondamentale tanto riflettendo l’una, quanto l’altra pittura. 992. Se io ravviso le relazioni d’ identità o di diversità, d azione o d’ efletto che passano fra due oggetti corporei; o, a dir meglio, fra le loro idee, o fra due idee intellettuali, o fra una corporea ed una intellettuale; Tatto del mio intendimento è sempre simile ed uguale. La diversità sta nella natura intrinseca degli oggetti, gli uni dei quali sono corporei, e gli altri incorporei; e non nel modo di concepire e giudicare dell’anima, che è sempre il medesimo. 993. Inoltre l’essere le idee in se medesime o semplici o complesse, o generali o singolari, non può indurre varietà uè differenza fra le leggi dei coucetti e dei raziociuii che versano su di loro; couciossiachè la semplicità e la complicazione delle idee sono (jualità che si verificano promiscuamente tanto negli oggetti sensibili, quanto negli intellettuali. La nozione di un essere che defluisco dotato delle facoltà di sentire, di volere, e di eseguire le volizioni, racchiude essenzialmente il concetto di tre distinte idee, le quali fanno riuscire l’idea totale complessa. Ecco l’idea dell’anima umana, oggetto incorporeo. Se tentassi sottrarre taluna di siffatte parziali idee, distruggerei il concetto di un’anima umana. Pure quest’idea quanto è complessa a fronte di quella di un circolo tracciato sulla carta! 11 carattere di complesso non si oppone al corporeo, ma soltanto al semplice, il concetto del moltiplico in parti si oppone solamente al concetto deli’ zm/co rigorosamente. Perl oche non si potrebbe sentire ripugnanza ragionevole uel vedere che le conseguenze dedotte da un esperimento logico fallo sopra due cembali si estendessero ad ogni maniera di giudizii. 995. Ma perchè mai avviene che con pari facilità non si possano tessere le analisi e le ricomposizioni sulle cose astratte e generali, come sulle cose sensibili ed individuali? La ragione della differenza è troppo manilesta. Un oggetto sensibile può realmente sottomettersi all’occhio., o esprimersi in figura; dove per lo contrario uu oggetto astratto o generale non può essermi reso presente se non col magistero della memoria, o voglia m dire della immaginazione . Ben è vero che, dopo che è reso presente, può essere espresso coll’uso dei segni, specialmente in iscritto; e quindi si scorge la necessità di una somma esattezza uel foggiare ì vocaboli anche per uso di colui che produce una propria idea. Qualunque scrittore avrà sperimentato soventi volte che la scelta sola di un vocabolo avrà influito sulla cognizione di molli rapporti di una cosa qualunque, e quindi sulla scoperta di una verità, e sempre poi sopra una chiara di lei dimostrazione. 996. Ma se questo sussidio giova dopo che le idee sono risvegliate, qual soccorso possiamo noi avere contro i difetti della memoria, la quale o non riproduce assolutamente le idee in tutto o in parte, o le olire m una guisa languida, o finalmente le affolla d’una maniera rapida e coniusa, talché al momento che ne abbiamo espressa qualcheduna, le ahre sono già svanite dallo sguardo della mente? Contro sì fatti diletti non v’è rimedio: couciossiachè doli è in potere dell’ uomo il fissarsi sulle sue idee ueH’atto stesso che ne distoglie la sua attenzione. Ecco dove consiste la differenza e la difficoltà maggiore nel maneggiare analiticamente le idee astratte e generali, e ogni rappresentazione interna in paragone di un visibile oggetto esterno. E qui di uuovo si riconferma una delle cagioni fisiche che può frapporre una grandissima differenza fra gl’ ingegni degli uomini. Si vede inoltre, che al buon raziocinio ed alla vasta comprensione delle cose si esige una forte, vivace e durevole memoria, vasta quanto la materia che si tratta. Onde parmi che sia un favellare improprio il dire che una gran memoria escluda un grande ingegno. Io sono d’avviso che dir si dovrebbe piuttosto, che una memoria grandemente caricata di molte notizie non lascia il tempo, nè permette l’ abito del raziocinio. In breve: contemplar non si deve la potenza della memoria, ma si bene il di lei esercizio esclusivo. Degli aspelli diversi, sotto i quali si pub assumere il giudicio del Pubblico . Dire che molti occhi veggono più che un solo, suppone che molti occhi esaminino una data cosa attentamente, o almeno ciascuno ne rilevi una parte, talché 1’ unione di tutte vicendevolmente comunicate costituisca un concetto completo, altrimenti un occhio solo, attento indagatore, vedrebbe assai più che cento occhi distratti. Inoltre col dire che molti occhi veggono di più che un solo, non si determina quanto ci veggano di più. Ora trattandosi di ravvisare la verità, è cosa importantissima il sapere la comune misura di vedere del Pubblico anche illuminato. Le verità sono immutabili, e stanno, pei dii così, collocate immobilmente in un dato luogo, per raggiungere il quale è indispensabile percorrere una carriera più o meno lunga. Ma per quanta velocità piaccia attribuire all’ uomo, egli non potrà eccedere giammai 1 angolo che le sue gambe possono lare nel dar ogni passo. Parliamo senza metafora: egli non potrà mai eccedere i limiti della naturale sua intuitiva comprensione, talché sarà sempre costretto nelle materie complesse a ripetere più o meno a lungo le sue occhiate 5 ne in ciò vi può essere differenza fra un solo o molti. Quindi è, che siccome tutto un popolo situato in una pianura non vede ciò che si apre allo sguardo di un solo uomo collocato sulla cima di un colle vicino; del pari nel paese della ragione esister può un solo individuo, che in qualche materia vegga di più che tutti 1 suoi contemporanei uniti. Tali sono appunto i genii, i quali hanuo ampliato i li : inili (Jelltr limati e coguizìoui. Scilo questo puulo di vista il PnliLlico M. me potrebbe mai esser giudice competente di verità avanti che gli fossero comunicate le grandi scoperte, non dico di rigorosa invenzione t ma Jì pura asservitone e deduzione* delle quali appunto parecchie s’iueouLrauo nella storia delle scienze? È pur vero che dappoi le adattò e le riconobbe per vere* ma è pur vero che dapprima fu imbevuto di un cernirne errore, che riconobbe e riprovò. È pur vero ch'egli dapprima, nm conoscendo le posteriori scoperte, non poteva far uso di incogniti priaeipii ue! recare i suoi giu di eli, ^ Dunque siccome la storia dello spìrito umano presenta iti ogni materia errori comuni, rivocali pur anco dal giudìcio concorde del medesimo Pubblico che pria li confessò : così giova dedurre che il suo gludicto non si estenda a modellare i prmripii direttori dei giudicli, ma sulamento abbia forza a pronunciare sulle verità di mi paragone* assumendo per norma il principio ricevuto, e riportandolo al nuovo oggetto. 1002. Con vieti dire per altro, che &* egli cangia d'avviso, ciò timi avvenga in forza di si fatto paragone, ma bensì per quel lume di ragia* ne di cui più sopra si è parlalo. mercé il quale venendogli svelati ed oflerLÌ luminosa incute nuovi rapporti, udii si può esìmere dal riconoscerne le forme e le connessioni. 1 003, E chiaro per altro, che sì latto magistero non determina nulla di preciso per la verità, non altrimenti che la bontà di un occhio umano non determina per sè medesima la struttura e il colore di uu oggetto visibile (ved. loc. eli.). 4 004. Ma a bue che Io scopo delle nostre ricerche non vada soggetto ad uno scambio facilissimo, attesa la somiglianza dei termini, stimo acconcio premettere alcune generali e teoretiche distinzioni. 4005. La frase di giudìcio del Pubblico si può assumere iti din; scusi, ciascuno dei quali importa mia relazione ed un effetto assai diverso. Ella può sigili beare lo stesso che un opinione del Pubblico intorno a qualche oggetto, e può eziandio disegnare uaa mera decisione m* torno a qualsiasi materia, 4 006, Sotto la prima interpretazione II vocabolo di giudìcio veste un significato totalmente logico, attesoché è noto che ogni opinione con* sIsLe appunto in un giudìcio. Nell* altra interpretazione poi niclmide un concetto per dir così giuridico, e quale appunto egli presenta allorché il Pubblico giudica fra due partili, fra i quali ferve una qualche controversia di opinioni : allorché assistendo ad uno spettacolo ne afferma o nega la bellezza o la magni bronza, o pronuncia sul merito di un libro 3 partì; di un’azione, di una persona, di una manifattura, o assolutamele o comparativamente ad un’altra opera o azione o persona. Nell’ usitato modo di favellare sembra che la denominazioue di giudicio venga riservala più propriamente a questa seconda specie : e che alla prima si applichi in vece più esattamente il nome di opinione, che di giudicio. Diffalti dicesi che il Pubblico reca giudicio fra le opinioni di Leibnitz e di Newton ; e viceversa dicesi più propriamente che il Pubblico tiene opinioni religiose, morali, fisiche, politiche, di quello che dire tiene giudicii religiosi, morali, fisici e politici. Ciò premesso, se dobbiamo estimare il giudicio del Pubblico nel seuso di mera decisione, in quanto ha rapporto alla verità, si debbono distinguere due considerazioui fondamentali; la prima cioè di diritto, e la seconda di fatto . La prima riguarda il principio o la regola che serve di norma al giudicio decisivo del Pubblico; la seconda poi riguarda la pratica ossia le leggi di fatto naturali, colle quali la ragione umana viene in molti uomini diretta a giudicare. 1009. Ritenuto tutto questo, sembrerà per avventura a primo aspetto che il giudicio del Pubblico intendente, riguardato come una mera decisione^ non importi un apparato tanto grandioso di condizioni, come quello che abbiamo premesso. Ma se più addentro si consideri la cosa, si scoprirà che anche un tale giudicio soventi volte esige le medesime condizioni. le quali uelle prime parti di questo scritto sono state da noi annoverate; a meno che da un canto non vogliamo assumere per norma di verità una mera provvisoria apparenza delle cose tanto nella loro intrinseca nozione, quanto uel modo di presentarne gli aspetti e di tesserne i rapporti; e dall’altro canto non vogliamo ammettere che qualunque grado di lumi del Pubblico, uelle diverse progressioni dell’ incivilimento, sia egualmente acconcio a renderlo giudice competente delle verità complesse, e quindi sempre ugualmente dotto ed immutabile ed infallibile. 1010. ITo detto soventi volte ; ed è quindi mestieri determinare la ragione e i confini di questa limitazione. . Per due maniere il Pubblico può recare una decisione: o assumendo per norma la verità possibile della cosa, colla quale confrontando l’oggetto speciale, ne rileva la rispettiva conformità o difformità, quindi giudica a norma del sentimento che ne riporta; ovvero decide assumendo per norma un già cognito c professato principio, ovvero un modello, intorno al quale ha data opinione di verità o di falsità, di bontà o di malvagità, di bellezza o di turpitudine, di perfezione o di difetto. Nel primo caso la norma che assume può essere in sè medesima vera e perfetta, c può essere eziandio falsa e difettosa. Ma siccome iu torno a questa uorma si presuppone che il Puhblico tenga qualche opinione, cosi la chiamerò giudicio logico antecedente, a differenza del posteriore decisivo, cui nominerò giudicio susseguente. Ma se il giudicio antecedente fosse iu sè medesimoyù/vo, è iucontrastabile che anche il susseguente dovrebbe riuscire necessariamente falso, quantunque molti Io deducessero In tal caso dunque, a fine di caratterizzare un pubblico giudicio come vero, non basterebbe ch’egli fosse formato rettamente: ma di più sarebbe necessario che il principio, da cui è dedotto, fosse vero per sè medesimo,* e però che il Pubblico non avesse dapprima errato nel giudicio antecedente. La validità dunque dei giudicii decisivi e susseguenti del Pubblico risultar dovrebbe dal previo adempimento delle condizioni che la verità esige dallo spirilo umano per fissare i principii logici delle cose. 1012. Che se poi si tratta del secondo caso, allora ci troviamo con principii dirò così di convenzione o di fatto positivo. I n questa ipotesi la verità di un giudicio dovendo essere il risultato completo dei rapporti fra due oggetti fìssi, Puno dei quali si pone come uorma di verità, di bontà, di bellezza e di perfezione, e l’altro come oggetto di paragone: in tale ipotesi, dico, le condizioni per giudicare rettamente sono meno difficili e meno numerose, e quindi è più agevol cosa ottenere la verità. Ma ciò non pertanto è sempre vero, che se tutte le esposte condizioni non si debbono riscontrare nella pratica del pubblico, tuttavia vi debbono aver luogo quelle che sono proprie dei più semplici giudicii di paragone. In tal caso per altro la competenza dei giudicii del pubblico viene assai ristretta: conciossiachò verrebbe esclusa dal recare giudicio autorevole sulle cagioni dei fenomeni e dei fatti dell’ordine fisico e morale, e limitata ad un semplice giudicio comparativo delle convenienze e delle disconvenienze, del più o del meno, del bello o del turpe, del bene o del male, a norma del sentimento. Allorché si vuole assegnare la vera e adequata ragione del moto della sfera di un oriuolo, sarà sempre d’uopo indicare la molla elastica, i rocchetti e le ruote, e la loro scambievole connessione. Perlochè o siano molti uomini od un solo, esistano in tempo di barbarie ovvero d’incivilimento; finché non giungeranno a sì fatta cognizione tutte le loro teorie e le ipotesi saranno sempre false, e quindi i loro giudicii sulla vera cagione non potranno esser veri iu parte alcuna ; attesoché l’effetto è un risultato unico, derivante in ragion composta dalla considerazione di tutte le cagioui confluenti a produrlo. Quindi è, cìh: se ìjj la l.to ili rassomiglianza o differenza o (lei |,i[ì e del meno apparir possono verità parziali ed ovvie., ciò non può avvenire al torcile sì ragiona delle cagioni e degli effetti. jj}.]5. Ma egli è pur vero, die nello spingere successivamente i pria ci pii logici verso le loro origini non si deve procedere all* in finito. \lh (ine si giunge ad un principio, o almeno ad una classe di principi!, olire i quali h impossibile procedere. Perioditi siccome I giudicìi auLecedciili sono dal canto loro susseguenti ad altri principiò non si sellivi* la difficoltà esaminandoli parti Laro ente V uno rispett iva mente all’altro* ma invece è d'uopo riportarli tutti ad una norma connine, qual’ ù la verità essenziale delle cose. 10 Iti. Riduce odo però allo Stato reale delle civili popolazioni que-,sla considerazione* si giunge ad una situazione, nella quale troviamo la massa della società romita degli elementi costituenti la ragionevolezza civile. Ma questi alla perline die cosa sono in sé medesimi? Eglino altro non sono che le idre radicali . dirò cosi, della ragionevolezza, le quali vengono tratte dalle più ordinarie scene c dalle più ovvie apparenze delr ordino tìsico e morale. Ha a qual prò si potrebbero elleno allegare là dove si tratta delle più complesse verità tanto tìsiche quanto morali, te quali pur sono quelle die più largamente padroneggiano il sisLermi delle nostre cognizioni l Ma eccoci ornai avviati dalle viste teoretù Le verso le con side razioni di fatto. aie hi qualunque epoca della ragionevolezza esule una cagione comune a cani ritenere errori simili e durevoli, Delia prima epoca. filosofa volgare. Tutti gli uomini, prima di essere dotti ed illuminati, sono ignorali li e rozzi: lutti 1 popoli, prima di essere politi. Furono selvaggi ghe osservazioni, scoprendo che i pianeti hanno mi moto speciale* adegueranno loro una sfera di cristallo trasparente in circoli perfetti, Ed ecco un * astronomia intelligibile a Lutti, da tutti facilmente accolta^ nella quale tuLti o almeno il maggior numero dei ragionatori converrai! no* perchè uri trovano una cornane ovvia ragiona, o a dir meglio spiegazione, Così vedendo talvolta rovesci di pioggia*, immagineranno, a somiglianza delle cose che veggono iu terra, serbatoi da cui, come da vasi ed otri, hi acque vengano traboccate. 1 °22* Nel!a fólgore, dopo certe funeste speranze di alberi scorticali e infranti, di materie accese, di fabbriche diroccate, immagineranno, a somiglianza delle cose più note e familiari, uà sasso o no ferro rovente scagliato con impelo sorprendente, e collocheranno in cielo zolfi, biUuni. ed altre confuse malerie, die esalate dalia terra, poi si accozzano e si accendono, 102^3. Osservando inoltre che i vapori, il fumo, il fuoco ec. salgono in a Lo, I acqua discende al basso, e la pietra gravita enormemente-, ini magheranno le varie sfere di tendenza; e quindi la regione del fuoco sarà più alla, quella del fumo e dei vapori più bassa, quella finalmente dei gravi nel seno della terra. 1024. Sentendo talvolta la terra tremar sotto a’ loro piedi, la loro casa scossa dall’impeto del vento, e il turbine schiantare alberi e atterrare abitazioni, eglino si figureranno che sotterra i venti vengano fra loro a fiera lotta, e facciano traballare la terra; ed ecco il terremoto . 1025. Passando ai corpi organizzati, e riflettendo che tutti nella loro specie, siano animali, siano vegetabili, vestono una forma simile, e nascono da ascose semeuti; e d’altronde essendo loro noto che gli artefici hanno certe loro forme, onde sollecitamente gettare e far sortire molte cose tutte simili, e che, ripetendo sempre lo stesso getto, 1 opera ìiesce sempre uguale: così naturalmente immagineranno le forme plastiche, ed altre preformazioui di siffatta specie. Alcune volte poi quando nei luoghi chiusi s’ avvedranno di certi vermi o della muffa, nascerà loro 1 idea della generazione dalla putredine o dall’ accidente. Finalmente sperimentando che ogni luogo è pieno daria; che l’acqua penetra ovunque trova meati ove porsi a livello; che laria e laequa s’ingorgano nell’atto di darsi scambievolmente luogo, ma che nulla lasciano di vano, immagineranno nella natura una innata tendenza a riempiere ogni cosa, ed una ripugnanza a lasciar vuoti; e denomineranno tale tendenza orror del vacuo. 1027. Così se le prime popolazioni, non conoscendo altie cagioni attive fuorché degli esseri animati, dovettero immaginare in cielo, nell’aria e nel seno della terra uomini o genii buoni o cattivi; la nazione incivilita per egual maniera spiegherà i fenomeni della natura meicè le leggi più cognite e più grossolane, le quali a prima vista nella natura e nelle arti si svelano o si aprono alla impaziente meditazione di un ingegno che rifugge d’ intiSichire su minute, lente, ripetute, spesso frustrale, sempre faticose e poco sorprendenti osservazioni. Se fra le nazioni può esistere qualche varietà, ella sarà di modificazione, ma non di essenza nel fondo dei pensieri. Nel nostro spirito non v ha pressoché veruna nozione anteriore a quelle che apprendiamo dallo spettacolo diretto della natura e dell’arte nel paese che abitiamo. Questo principio quanto non è fecondo di osservazioni utili all’educazione. E come dunque non sarà questa la prima fisica di tutte le colte persone nei primordii delle scienze? e come non sarebbe e non sarà sommamente facile in tutti i tempi e in tutti i luoghi farla adottare, ammirare, tenere per soddisfacente e certa? Ella sceude da principi! o. a dir meglio, da notizie cognite, nè reca fatica ad essere compresa. Rammentiamoci che anche in mezzo ad una generazione illuminata sonovi sempre fanciulli adulti e ignoranti, e che ad ogni nuova generazione si presentano forniti di tali germogli comuni, sui quali siffatta filosofia si può sempre e poi sempre innestare. Se, per uua finzione, al dì d oggi tutti i libri e tutti gl intendenti della sana fisica fossero rapiti dalla terra, io sono d avviso che in capo ad un anno questa sarebbe la fisica di tutta r Europa. 1029. Io non so se male m’apponga; ma parmi che quando uua filosofia si trova in tale lega colle sempre rinascenti ed eguali nozioni volgari, nou può sembrare molto meraviglioso che tenga un concorde, vittorioso e durevole impero sulle menti umane. 1030. Molte volle avvenir può (come diffalti è avvenuto) che questa popolare filosofia emigri da un popolo all’altro: ella serve al genere umano come di primi rudimenti e di scala intermedia alla scienza della natura. In tal caso però si avrebbe torlo di calcolarne la vera durala connettendo le successive epoche iu cui dominò i pensatori nelle rispettive popolazioni. Se un popolo che da cent’anni iu qua ìucominciò ad essere colto e adottò siffatta filosofia, dappoi soggiogato ferocemente venga risommerso nell ignoranza, e la medesima filosofia passi a regnare in un altra rozza popolazione per altri cento anni ; non si dee veramente dire eh ella ha durato duecento anni nello spirito umano, e che per tanto tempo lottò contro la verità? Ma compiamo il giro dell’orbe intellettuale, e delle materie sulle quali cadono gli umani giudicii, onde non uasca sospetto ch’io mi voglia, mercè l’esame di una parte sola, disimpegnare dal restante. Avvezzo l’uomo dalla prima infanzia a trasportare le sue idee fuori di sè ed ai membri del suo corpo, dirà di sentire nella mano, nel piede, nella schiena ; e dirà quindi filosofando, che l’anima è sparsa in tutto il corpo, oppure è tutta in tutto, e tutta iu ogni parte. _ Nei forti affetti suoi sentendo certi plessi di nervi, collocati alle regioni del petto, più sensibilmente irritarsi per la loro maggiore corrispondenza col corvello, cosicché nasce una più forte sensazione, dirà che il cuore ama ed odia. Avvezzo, come dissi, a trasportare le sue idee fuori di sè, attribuirà i colori, i suoni, gli odori, i sapori, il caldo, il freddo agli oggetti posti fuori di sè; gli parrà di palpare le realità, di vedere fin per entro le essenze. Le sue idee saranno per lui immagini, la sua anima uno specchio. Le larve, le entelechìe, gli specchietti delle monadi verranno in folla ad abitare gli appartamenti della filosofia 5 come le ombre dei morti, i folletti, i gemi cattivi, i congressi delle streghe, i vampiri escono di notte ad inondare la terra nel regno della superstizione. I ragionatori allora giudicheranno con eguale audacia delle qualità reali e dei poteri della natura; e tutta la intellettuale filosofia nelle più astratte nozioni si risentirà di questo realizzamento, fino al segno di inventare le forme sostanziali, le realità accidentali, e convertire le specie e i generi in sostanze esistenti. 1035. A questo passo io non so contenermi dal richiamare le fatte osservazioni, e di rivocare alla mente le leggi generali dello spirito umano, che vien mosso per un canto da uno stimolo di curiosità, e rintuzzato per l’altro dallo scoraggiamento di un’aspra e incerta fatica, che spaventa la nostra inerzia e la nostra vanità, mentre la nostra curiosità ha lieve pascolo: perloché avvenir deve che l’ingegno umano, munito di pochi fatti, si rivolga ad abbracciare tutto lo spettacolo fisico e morale posto sotto i suoi occhi. 103G. Che se poi sale a sottili astrazioni, ciò avviene per la medesima legge. È certamente più comoda e agevol cosa in una indolente solitudine riversar l’ attenzione sulle proprie idee, che uscire ad accattar con istento le osservazioni singolari e staccate in seno della natura e della società. Perloché lo spirito umano, in forza di tal legge, si darà in balia alle astrazioni ed alle minute anatomie fatte ex abrupto, dirò così, sul fenomeno tal quale gli verrà presentato, anziché cumulare i fatti, tessere sperimenti, e derivare una buona genesi delle cose. Qual meraviglia dunque se con sommi ingegni e coti lunghe meditazioni non solo non si allarghi la s fera delle umane cognizioni, ma solamente si ammucchi! una illusoria scienza, la quale arresta i progressi della ragione per l’apparenza stessa della verità? Qual meraviglia che presso tutte le società dell’ universo si ritrovi l’infanzia della filosofia cinta d’un’aspra selva delle più minute e sfumate astrazioni, le quali sembrano dover piuttosto appartenere all’epoca della maturità? La geometria potrà fiorire, è vero: ma la geometria nou è forse figlia immediata delle astrazioni più ristrette? Grandezze, superficie, numeri, quantità esigono forse la cognizione dei fatti della storia fisica e morale, e le penose indagini e le difficili genealogie delle cagioni e degli effetti? Giacendomi neghittosamente a letto potrò sapere, al di sopra di chi che sia, tutte le più minute particolarità della camera che sia sotto gli occhi miei . Ma per sapere con certezza la sola misura del territorio mi converrà uscire, informarmi, far mille e mille passi, e spesso Tom. I. 63 indarno. Por sapere come la mia camera fu formala, e il magistero Quindi . approssimandoci per uu doveroso ritorno colle austro riflessioni al punto da coi ci dipartimmo, giova tare? una 1 irti i tn^.iuuo ni stip posto autori^Mmic ì gmdiciì pubblici sopra i e: iti die il privali, restringendolo entro certi caniini: cosiceli t: fino a quando mi Pubblico non ha disceverato le sue vetluLe da quelle del volgo5 non si potrà riguardate già m mai come più illuminato di alcuni pochi u di un solo privalo. Avverrà bensì che in alcuni paesi ravviamento alla verità venga maggiormente acceleralo: ma questo non isme olisce la regola sopì addetta. Inoltre nel seno di tuia popolazione e fra ì dotti sì troverà lino i dissidènti . Questa è ima provvidenza. Sorgerà poi l Ercole liberatote, Ma frattanto se eglino non saranno nè Lauto illuminali * nè tanto robusti da riformare colta possanza di uua irresistìbile cd ampiamente fruttifera evidenza i priacipiL e non si trama dietro il volo universale, al[' opposto verranno trascuratile ùu anco perseguitali* Le opinioni volgari hanno il vantaggio di affascinare colf incantesimo dell appai Tinnì, t li interessare colla facilità di un’abituale e comune serie di idee, e coi! «ablazione resa all’orgoglio: attesoché non rinfacciano l ignoranza, urgSìigono limite alla curiosità. Dalla distanza che i progressi del lumi frappongono fra il popolo e la repubblica letteraria* 1052. Da quello che pur ora abbiamo discorso sembra die trarsi possa una conseguenza in ordine invèrso; ed è, die in massa II giudicb dei moki intendenti deve riuscire discordante w-Werrore* allorché le teorie sono, se m* è permesso il dirlo, del tulio fattìzie; vale a dire, acquando debbono trarre tutto il loro vigore dalle complete, razionali c graduale nozioni. ri mote dal volgari concetti, Cóucios&iachè sembra efie avvenir debba la discordanza* tostochc gli uomini non hanno, pernii cosi, più un punto comune di vocazione alte medesime opinioni; m£l,u_ vece è Imo d’uopo scegliere da se la traccia, per la quale procedere a qualche conclusione. Ma in fallo pratico questa io dipende ale investigazione si vjvitìca ella mai pel maggióre complesso degl1 iute a denti anche nel regno dei lumi non volgari? Lo vedremo tantosto. Frattanto giova osservare dì passaggio, che questa è l’epoca più solenne (Dilla umana perfettibilità; ma ad un tempo stesso è il momento della maggior reale povertà dei bini i e dello esatte cognizioni. Se la voce divina e possente della Verità dissipa finalmente l’ incantesimo di una seduttrice fantasia; se Tenerla penetrante del genio supera gli ostacoli eretti dalla ignoranza e dall’ orgoglio, spezza le catene dell’ errore, sgombra gli spettri dei pregiudizi, afferra la mano della ragione, la trae fuori dal vecchio recinto, e la sforza quasi suo malgrado a fare un perpetuo divorzio dalla sua antica società; se guidatala in una regione dapprima a lei incognita, sotto altro cielo, dove signora di sè medesima può scegliere la via che la condurrà alla luce eterna del Vero ed alla purissima beatitudine del giusto: con tutto ciò, se il genio non le addita ad un tempo stesso il sentiero che deve percorrere, a quante cadute umilianti egli non l’avventura! 1055. Il genio percorre d’uu rapido sguardo il regno scientifico: sembragli intravedere il tempio della Verità, ne traccia i contorni, ne eleva le mura. Ma l’edificio posa su labili fondamenta; egli è rovinoso, perchè fu elevato in fretta, e non era possibile fare di più. Le illustri e lunghe fatiche dei saggi a distruggere i vigenti errori e a sventare i pregiudizi! non lasciarono adito a scoprire i rapporti diretti della verità; o se parte ne scopersero, non ne poterono segnare tutti gli aspetti. Ciò per altro era necessario, perchè a diritta ed a sinistra vi mettono capo ì sentieri degli errori. Però il genio rese un alto servigio alla umana ragione, egli ardi redimerla dalla schiavitù dei comuni nativi errori. 105G. In origine questa fu l’opera di felici circostanze. Sopravvengono di poi altri geuii i quali, approfittando dell’acquistata libertà, rovesciano l’effimero edificio eretto dal genio precursore. A ciò non abbisogna grande sforzo, avvegnaché non incontrano se non fatlizii ostacoli. L’edificio che atterrano non s’ innesta coll’addentellato molteplice e saldo dei consueti e sempre rinascenti errori e pregiudizii. L opera più grande di questi nuovi genii consiste nell’essere legislatori della repubblica letteraria. Le imprese del primo sono le fatiche di Ercole; quelle dei secondi T opera dei Licurghi, dei Numa e dei Manco-Capac. Ma dopo che i pensatori sanno diffidare delle nozioni volgari, e vedonsi forniti di meditati lumi dimostrativi, costituiscono in mezzo alle popolazioni un corpo, nelle operazioni del quale il Pubblico comune non prende quasi parte alcuna, attesoché le vie di commercio ed i punti di comunicazione sono soverchiamente disparati. Allora per la comune ì giudicii dei dotti diventano sempre più oggetti di mera credenza . Nella storia dell’ infanzia delle nazioni coloro che primeggiavano in sapienza tenevano gelosamente celato al popolo il tenore delle loro dottriue: quindi il Pubblico riceveva le opinioni a guisa di oracoli, e le professava per credenza sostenuta ùdN autorità. Nella storia delle più illuminate nazioni, dove i dotti comunicano apertameute le loro cognizioni, il Pubblico non le cura; o se pure le riceve, lo fa tuttavia per tradizione, persuaso dalP argomento dell’ autorità . Cosi gli estremi si toccano senza confondersi. Quanto più una scienza sale ad uu punto maggiore di perfezione, tanto più lunga e varia diventa la catena delle dimostrazioni che racchiude. Siccome il metodo non si può dispensare dall’ indurre la certezza, così non si può esimere dal segnare tutti i punti di passaggio necessarii alla ristretta capacità dello spirito umano. Ma siccome tutte le scienze fanno corpo, perchè tutte sono espressioni della natura, e sono deduzioni tratte da comuni fondamenti, così verun uomo non si potrà a buon diritto chiamar dotto, se non conoscerà le connessioni della scienza da lui coltivata. Quanto la dissociazione delle scienze riesce di ostacolo alla completa loro cognizione, altrettanto il ravvisarne i rispettivi confini e le proviucie, dirò così, fini time riesce utile a fissarne la collocazione nella carta generale del legno scientifico. Ma inoltre (quello che più importa) ciò serve a determinale le fonti dalle quali ogni scienza trae il suo nascimento e la sua esisleu za, e ad indicare quei rapporti successivi, mercè i quali o sola o iu coni pagnia di altre scienze influisce sulla filiazione di altre subalterne. 10G0. Ma a proporzione che si radunano le esperienze, che si mo tiplicano gli assiomi, che si dilata il tessuto armonico delle teorie sui i versi oggetti dello scibile; a proporzione pur anche ogni uomo no11 pui abbracciare se non un minor numero di rami dell’albero scientifico, lei lochè nell’albero enciclopedico accadrà appunto quello che vedesi ne0!i alberi di genealo già. All’infanzia delle scienze i nomi dei dotti possono agevolmente abbracciare tutta la dottrina cognita. All’ opposto nella loio maturità il nome di ogni dotto viene innestato su di un solo ramo. Si può dire che a proporzione che i lumi si aumentano tocca ad ogm uomo una sempre minor frazione della vera scienza. Perlochò l’elogio di Ci cerone a Varrone ridurrebbesi nel secolo dei maggiori lumi ad una incredibile adulazione o ad una satira formale. Un uomo tale ripetei cl’l c 5 \v, sue cognizioni corno il sergente di Storno nel Tristmm Sh.andy ret\ui la predica. Si falli uomini sono i pappagalli del paese razionale : e„ljuo uon possono divenire giudici delle cose, ma rimangono puri eredenti. Pare eglino ed i loro piccoli confratelli, cacciatori di vocaboli, di molti, dello stelluzze dei tropi ripetitori o estimatori di fogliame e di vernici * sono quelli die menano più rumore nella repubblica delle lettere. Ma i solidi pensatori sanno che il corvo così coperto delle piume altrui de/ essere rilegato col volgo. Quando le scienze souo spiate ad un grado assai elevato tenti esi impossìbile il creare grandi sistemi, perdi è sono giù scoperti. Laonde i grandi ingegni non si possono riversare che sui particolari. Il campo è mietuto : conviene spigolare. Da ciò si scorge che la repubblica delle lettere non si devi' assumere come un tribunale, ì cui individui presi in complesso possano giudicare su ogni materia; ma bensì come un unione, le coi competenze riseggono ìu altrettanti dipartimenti divìsi, a ciascuno dei quali, ove mai giudicasse oltre la sfera della sua competenza, oppor sì potrebbe ragionevolmente la declina Loria del fóro» Il ?ie su (or uhm erepidam non si applica mai tanto a dovere in epoca veruna, quanto in quella dei grandi lumi. 1063. Se dunque gl’ individui componenti il Pubblico letterario potessero recare giudici i che tener si dovessero per un critèrio dt verità nello rispettive materie, tale prerogativa non apparterrebbe ai meri eruditi, nò ai biologi, nò ai begli spirili, nè ai ragionatori occupati fu una materia disparata, ma sì bene a quei solì che fossero versati nelle materie proprie, sulle quali cade il gì inficio. Se la necessità di rostri ugere alle persone testò rammemorale la proporzióne e la competenza di quest* autorità risulta dai rapporti della sola cognlz ione^ ella assai più si còni erma so si ridette, alla necessità dotV attenzióne di cui sopra si ù ragionato. Conciosslachò, dato eziandio che taluno possa conoscere una cosa, siccome non abbiamo argomento ch'egli vi presti attenzione iu una guisa proporzionala a rilevarne tutti; le parli se non per effetto dell* Impressione' esternai e dall altro canto essendo indispensabile tale attenzione iu chi deve giudicare : così a buon diritto siamo costretti a riservare PauLórità del gìudicio sulle materie complesse a quei soli che consta appunto essersi su di quelle rispettivamente occupati, od occuparsi attualmente. 1005. Per quanta sia la propensione che ini spinga ad allargare vieppiù la competenza di giudicare su di un maggior numero di persone. non ritrovo venni principio logico il quale mi autorizzi ad ammettere sì latta estensione. Ritorno sempre al mio principio: per giudicare con verità convien conoscere tutti i rapporti delle cose, nella cognizione completa dei quali consiste la verità. Per conoscere siffatti rapporti convieue esaminarli ad uno ad uuo. Per esaminarli in tal guisa è necessario avere 11 metodo, il tempo e V interesse di farlo. Chiunque è altrove rivolto o volontariamente o a suo malgrado, non fa uè può fare nè l’uno nè l’altro. Parlando di un Pubblico, i cui giudici! debbono fare autorità per essere di molte persone concordi, non si ha altro mezzo a riconoscere chi sia in grado di aver tempo, metodo ed interesse di applicarsi all’esame di uua materia, se non dalle notizie estrinseche ottenute dalle opere, dalle lezioni, dalle conversazioni : in uua parola, mercè i segni estrinseci o degli scritti o dei fatti o della favella. Collocandosi poi il Pubblico in un epoca di lumi molto copiosi, quando i gradi intermedii per giungere dalla sémplice ignoranza agli estremi delle già scoperte cognizioni sono molto numerosi, dovrebbe per ciò stesso esigersi molto tempo ed attenzione: e perciò una mediocre e superficiale dottrina* non potrebbe avvalorare il giudicio delle persone in qualsiasi materia, quand’anche di quella sola si fossero occupate. Dal fin qui detto però non vorrei che si deducesse ch’io voglia collocare e restringere la competenza dei giudicii nelle materie complesse a quei soli che professano una data scienza al momento che viene annunciata una nuova scoperta: talché in qualunque situazione possibile si debba riguardare a preferenza quale miglior norma probabile di verità. Solo intendo parlare di uno stato posteriore alla scoperta dei lumi, dopoché cessato il conflitto fra le vecchie, imperfette e scadute opinioni e le novelle, queste a mano a mano hanno acquistato il voto universale, e vengono dal Pubblico coltivate. L’importanza, la latitudine e le condizioni di questa limitazione si sentiranno assai meglio più sotto, dopo che avrò sviluppato altre vedute. Ma a quali segni esterni riconosceremo noi l’epoca della, se non completa, almeno maggiore scienza, quale per congettura si può ripromettere? Non è egli vero che ogni secolo intenta la pretesa di essere il più dotto ? E come no? Merce i sistemi suoi o ragionevoli o assurdi abbraccia tulio lo scibile, ed anche quello che non si può sapere. D'altronde non conoscendo le scoperte che i secoli avvenire faranno, non può avere norma o misura alcuna nò della sua ignoranza, nè de’ suoi errori. 1068. Rispondo, che il secolo dei maggiori lumi verrà riconosciuto precipuamente mercè due contrassegni visibilissimi, e che non mi sembrano fallaci. Il primo si è una vera e sentita stima che i coltivatori di tutte le scienze e di tutte le arti professeranno scambievolmente gli uni verso gli altri. Il secondo poi si è F intima persuasione di non poter conoscere nè giudicare di certe materie (di cui più abbasso si farà parola), e la perfetta acquiescenza nella ragionata ignoranza di quelle. 1069. La validità del primo coutrassegno si sente tantosto, se si ridetta che allorquando una scienza od un’arte sono spinte ad un allo segno d’ ingrandimento, si conoscono i loro estremi, le loro connessioni, i loro sussidii, e le leggi di azione e di reazione che le une hanno sulle altre. Siffatti rapporti di connessione, d’ influenza e di soccorso scambievole esistouo certamente fra le scieuze, e ormai fra molte parti dello scibile si sono comprese e si agisce in conseguenza. Se invece di avere informi e mal distribuite classificazioni delle scieuze avessimo un vero albero enciclopedico: se fosse esistito in Europa un genio, il quale invece di fare partizioni meramente fattizie ed incongruenti avesse tessuta la filiazione naturale delle scienze; il pubblico scorgerebbe al dì d'oggi fra le scienze questa vicendevole connessione ed influenza, come in un albero genealogico la vede fra le cognazioni. Siccome adunque ogni scienza esprime il complesso di tutti i fatti e di tutte le nozioni tessute e concatenate, le quali or più or meno a lungo serpeggiano, fino a che per rami distinti si giunga ad un tronco comune; e siccome si sa che l’uomo coesiste costantemente con altri esseri, i quali hauno e tra loro e con lui rapporti vicendevoli di identità e di diversità, di azione e di passione, di cagione e di effetto : così le scienze, le quali altro non sono che la espressione di siffatti rapporti, debbono per necessità rappresentare un sistema di collegamenti, di relazioni, di dipendenze, di azioni e di reazioni, di influenze e di effetti. Se dunque tutto ciò vien compreso e sentito, le professioni rispettive dei dotti sentono di poggiare le une sulle altre, e di attingere scambievolmente soccorso. Allora i diversi loro coltivatori diventano stretti per una specie di cognazione e di scambievole società. E se durante l’epoca di una corta intelligenza ogni dipartimento aspirava al primato letterario, ciò non avviene più nell’epoca dei maggiori lumi. Couciossiachè ognuno conoscendo il sistema degl’interessi interni ed esterni del mo dominio, e la di lui collocazione ed estensione; nell1 orbe scientifico, uou può ornai più nutrire mire ambiziose, le quii verrebbero tosto rintuzzate dagli altri. le cui prerogative egli si volesse arrogare. Inoltre conoscendosi evideu te mente e notoriamente debitore de* suoi possessi alle fatiche di molli alivi, egli non può soverchiare altrui per la prosperità e lo splendore della propria provincia. Se e T iuteresse che inspira la stima, come uou potrebbe ogni uomo veramente scienziato stimare doppiamente le professioni tutte, che vedo recare lauto sussidio ai ramo prediletto ila lui, alla umana perfettibilità ed al benessere sociale? Quanto poi alla cognizione dei limiti dello umane investigazioni, e alla necessità di rispettarne i confini. ciò è troppo chiaro essere una naturale conseguenza di una scienza completa. Quando gli uomini sono giunti ad un tal punto, invece li gettare inutilmente 1 loro su riori in tentami superflui, o disperdere stoltamente la preziosa attività delle loro meditazioni io un vacuo immenso, la rivolgono sul campo li uno ir u idi era speculazione ♦ Sono inoltre costretti per una inevitabile coalizione a divenire modesti e meno dogmatici- perchè scorgono quanto sia* no limitale le progressive visto umane, e perchè s* avveggono die gli ultimi limiti, a cui viene raccomandata la Galena della loro scienza sulle cagioni e sugli effetti, sì stendono olire il loro sguardo per ascondersi iu una notte impenetrabile, 1075. Per tal maniera i detti costituiranno una vera repubblica letteraria, invece di rappresentare un anfiteatro sii piccoli ambiziosi, gelo*], esclusivi, e sempre alle mani gli uni cogli altri. Ecco i contrassegni esterni^ ai quali si riconoscerà V epoca dei lumi più completi che ottener sì possano fra gli uomini. Dèlia seconda epoca della civile ragionevolezza* Pii volgiamo ora i nostri ragionamenti a comprovare Piutrapres-1-1 assunto. À ferreo lo i. Duo stali conviene distinguere nella costituzione razionale di ogni Pubblico, per fissare P estensione delle sue vedute, e la validità dei giudieìi che appellammo antecedenti (ved. loc, sopra cit,). Il pruno si è quello della scoperta delle verità: il secoudo si è quello della loro accettazione. Esaminiamo i rapporti di fatto del primo stato. Toltene le più semplici, ristrette e triviali opinioni, la scoperta o F invenzione delle verità complesse, sia che parliamo di quelle che hanno una più ampia applicazione speculativa, sia che parliamo di quelle che largamente influiscono sulla morale e sulle arti, è un privilegio per ordinaria legge riservato ad un solo pensatore. Immaginare che molti ingegni, senza una precedente scambievole comunicazione e per una specie di simultanea ispirazione, creino uno stesso originale pensiero richiedente qualche studio ella è cosa che la comune sperienza di fatto ed il sentimen'to delle consuetudini razionali riconosce cotanto straordinaria, che quando due veramente s’incontrano in qualcheduno di siffatti pensieri, si presume piuttosto l’uno averlo tolto all’altro, che derivar esso da una originale e simultanea concorrenza di idee. Io non dimenticherò giammai di ricordare, che ad assegnar le leggi di fatto del mondo fisico e morale dobbiamo sempre riportarci alle consuetudini cognite della natura. Questa legge fondamentale della origine delle opinioni studiate, derivante da un solo, da cui dappoi il Pubblico le raccoglie, viene più largamente confermata dalla storia costante di molte scoperte, le quali rigorosamente non meritano un tal nome: pel merito delle quali ciò non oslaute alcuni rari pensatori hanno acquistato gli strepitosi nomi di inventori, di genii creatori, ed altrettali predicati da apoteosi. Tali nomi e tale esagerata professione di stupore si direbbono meglio essere una specie di tacito compenso cercato dall’orgoglio della mediocrità comune, la quale veggendosi fuori della sfera di una facile emulazione, e nella distanza troppo visibile dal merito, si sforza di rendere il genio pressoché prodigioso. Per tal maniera si tenta di togliergli ciò che non si può uè dividere con lui, nè offuscare. 11 genio per verità merita la nostra ammirazione, i nostri suffragii e la nostra gratitudine. È dovere il professar verso di lui siffatti sentimenti, tanto per una specie di ricompensa alle sue coraggiose fatiche, quanto per aggiungere uno sprone a coloro che fossero còlti da sublime entusiasmo di imitarlo. Ma conviene da un altro canto guardarsi bene dal collocare il genio in tanto ardua altezza, che agli altri nascer debba F opinione dell’ impossibilita di raggiungerlo. Non so se male io m’apponga, ma parmi che questa mal misurata opinione sia da annoverarsi fra gli ostacoli che si oppongono ai progressi delle solide cognizioni, e fanno si che il Pubblico s’arresti, assai più di quello che F ordine delle cose comporta, in quelle lunghe pause che si frappongono fra le utili scoperte. A dissipare questa illusione 10 credo che sarebbe cosa acconcia il far entrare nella educazione razionale la storia degli uomini celebri, più particolareggiata in quei tratti che fisicamente o moralmente poterono influire sulla loro anima, aggiugnendovi eziandio le pratiche da loro usate per rapporto all’ attenzione. Se ad insegnare a pensar rettamente è necessario tracciare il modo col quale 11 pensiero deve procedere, dall’altro canto è pur d’uopo dargli stimolo a camminare. Un muto e freddo apparato di regole che non movono il cuore come potranno svegliare l’attenzione? E come si potrà svegliar l’attenzione senza eccitare le passioni convenienti? Quanto è possente nei teneri cuori la sacra fiamma dell’entusiasmo scientifico! Ma quanto è sopra ogn’ altro mezzo valevole a suscitarla V esempio ! 1082. Quindi vorrei che un due terzi per lo meno d’ogui corso di logica (la quale non dovrebbe esser altro che una pura avvertenza di attenzione su quello che dapprima si fosse già fatto nell’ apprendere altre scienze ben insegnate) fosse occupato dalla vita e dagli elogii dei più celebri scienziati. Vorrei per altro che anche nell’ incominciamento della carriera filosofica si proponesse, fra gli altri eccitamenti, l’esempio della gioventù di siffatti illustri personaggi, e si additasse solo in generale la celebrità a cui salirono dappoi, e gli onori di cui i contemporanei o iposteri ricolmarono il loro nome. Io non sarò giammai del sentimento di un moderno Inglese, il quale vorrebbe in siffatte vite troncata ogni narrazione delle circostanze private, accusando di noja e di superfluità il riferirle. Certamente se Foggetto per cui si narra la vita di un gran letterato dovesse essere unicamente un dilettoso spettacolo onde ingannar l’ozio degli svogliati lettori. egli avrebbe ragione. Ma se si considera essere necessario il togliere all’inerzia umana ogni scusa, e prevenire lo scoraggiamento nella comune degli uomini, i quali stupefatti dalla grandezza delle opere dei celebri letterati s’ immaginano che siano concorsi mezzi assai straordina rii a sublimarli a tant’ altezza di merito e di gloria; io credo alF opposto essere cosa utilissima il dare a divedere, mercè la narrazione fedele della loro vita privata, eh’ essi non furono collocali in veruna situazione privilegiata al di sopra della moltitudine, e che generalmente la P0' sterità non ha per questo rapporto altra scusa, che la pigrizia o la tumultuaria applicazione determinala dalie seduzioni di un abbagliante lusso ideale. Io non sono perciò disposto a credere che ogni uomo, il quale n’abbia il tempo, possa divenire, mercè la sola arte, uomo di genio, siccome più sotto accennerò: ma dico solamente, che per attribuirgli troppo il privilegio delle esterne circostanze si toglie forse l’adito ad aumentarne il numero; e certamente si respingono gli altri dal giugnere almeno a quel segno a cui senza ciò potrebbero utilmente pervenire. Ripigliamo il filo del ragionamento. Ho detto che a molle cognizioni si è attribuito il nome di scoperte, mentre pure no’l meritavano. Non si avrà difficoltà alcuna a ravvisare la verità di questa proposizione, se si dia un’occhiata ai monumenti più celebri dell’ umana ragione. Se si eccettuano alquante scoperte dell’ ordine fisico; come, per esempio, l’uso della calamita, della polvere da schioppo, della elettricità, e di altre simili; le restanti tutte dell’ordine fisico, e generalmente tutte le altre dell’ordine morale, sono un mero risultato dei paragoni e dell’applicazione di quelle notizie eh’ erano già sotto gli ocelli di tutti. Ne potrei citare molti esempii; ma, come noti, li tralascio per amore di brevità. Le prime si possono quindi veramente dire scoperte accidentali ; le altre poi, se tali furono talvolta in fatto, non lo sono però di loro natura: quindi le appelleremo col nome di razionali. In queste ultime Y invenzione altro non è che una più lunga e non ordinaria deduzione. Ma se il fatto costante di tutti i secoli dimostra essere queste razionali invenzioni riservate sempre al privato, si può fissar come legge di fatto dell’umana ragione che il Pubblico in complesso non sospinge più oltre i progressi delle cognizioni; o, a meglio dire, non deduce le complesse verità, le quali pure potrebbero essere raggiunte col solo uso dell 'attenzione. 1088. Da ciò deriva una importante conseguenza; ed è, che il Pubblico, propriamente parlando, in fatto di verità riesce, per dir così, un conoscitore passivo, ritenendo il solo merito della scelta e dell accettazione delle dottrine scoperte dal genio. Perlochè conviene esattamente distinguere le circostanze che lo determinano a siffatta scelta, e all’uso ch’egli ne fa dappoi. Se i progressi dei genio si possono riguardare come gli slanci più energici ed ampii della umana ragioue; se la misura dello spazio percorso dal genio ad ogni scoperta forma la misura della distauza maggiore che passa fra il Pubblico intendente e gli estremi sforzi della ragione umana; e se, mercè di tale misura, si viene a circoscrivere l’orizzonte della veduta dei Pubblico, ed a fissare l’estensione del suo discernimento; egli è certamente del nostro instiluto l’occuparci di quest’oggetto. H(1, ^r'ììc scoperte 'Ielle verità due tratti specialmente primeggia* no; vale a dire ì essere elleno ad assai rari intervalli sparse nella successione dei tempi, e Tessere ogfci volta eseguito da! ministero di mi solo. La medesima cagione produce questi due effetti 9 e viene effettuata dal complesso delle circostanze che formano T uomo di gemo, Qui noi parliamo del genio di riflessione, c die come La le doyrebbn essere definito —h ve ditta ampia e distinta dei rappòrti che sodo fra % cose,^ Egli, occupandosi di no dato oggetto, prima abbraccia Lette k yc~ riti note al Pubblico,, e in ciò è semplice tu ente dotto; ma ve ue aggiunge poi molte altre dapprima incognite, o a dir meglio non avvertite. Con un piccolo progresso un uomo sarebbe ingegnoso, ma non un genio. 1092. Ma siccome egli non può cangiare la natura del suo essere! tì è le leggi del destino umano* cosi non può nemmeno ampliare la capacita della sua Intuizione, togliere o scemare l’inerzia delle sue facoltà, prolungare la sua vita, protrarre la sua gioventù. Quindi la legge delle ripetute riflessióni e della graduale spinta delle cognizioni, la forza dei motivi, T ordine delle circostanze, la necessità del metodo oc., sono dominatori supremi a cui egli è costretto di servire e di soddisfare, 1 093. Quali sono adunque le condizioni in dispensa lidi che producono ì\ geulo, e lo contraddistinguono dulia comune dògli uomini ; L indubitato eh elleno esser debbono quelle medesime* le quali, data L natura attuale dell uomo ed I suoi rapporti colla verità, sono valevoli a produrre T e fletto che contraddistingue il genio dagli altri minori iugegnb Quest effetto, come testò si ò veduto, consiste nella veduta ampia na11 è gn à co ì anto ristretto ; qua 1 1 Lo più ris L r e ito e ssere non dovrà II novero di coloro che adempiono alle condizioni che la verità richiede dallo spirito umano l 5 noti. Ciò non è ancor tutto. 11 noto qua u lo sìa prepotente sull’aoiino degli uomini V impero àt\V autorità e della pubblica opinione, E nolo che questa, benché assurda,, ottiene il sacrificio di tanti piaceri e tanti interessi. che eccita tanti alla uni c tanti bisogni, che dalla capanna al trono regge imperiosamente la sorte delle riputazioni, e spesso anche il deuino di molli uomini. Ora è ben evidente ch'ella deve spesso affacciarsi IL uomo di genio come un terribile fantasma, ed arrestarlo nella sua carriera, f pensamenti invalsi uel tempo precedente, e adottati dai contemporanei. si rivestono dal Pubblico di un'autorità veneranda, alla quale pare non esser lecito opporsi senza sacrilegio n ribellione. Molte volte poi alla forza morale già troppo soverchiati te delYùpinione si aggiunge eziandio la forza reale della pubblica autorità) la piale non bene distinguendo ì confini della verità, della giustizia e del ben pubblico, interessa il sacro c supremo suo potere per difendere opi^ ninni (die realmente sono iu differenti, o nocive al rogge L Lo delle vere suu cure, talvolta poi, tremando d'oguì novità, sbandisce indistintamente anche quelle che potrebbero riuscire proficue alla verità, alla giustizia, ed al comune interesse. La storia delle IcLLere somministra molti esempi! dì questi abusi. L uon parlo solamente delle opinioni che riguardavano davvlemo la tranquillità ed il benessere delle popolazioni, ma eziandio di quelle die erano più indifferenti e più rimote da quella dignità che deve occupare i direttori delta pubblica felicità. Xou si è forse vedutomi Parlamento d’Inghi [terra in ter e sdirsi della pronuncia di certe lèttere dell'alfabeto greco? Siccome questo è un aneddoto non mollo conosciuto. 10 riporterò culle parole medesime di un anonimo Inglese (0. « Sul fra i» re del regno di Arrigo Vili. Smith e Check cominciarono a riflettere » ai cattivi effetti cagionali dalla imperfezione della greca pronuncia. Os* }) servarono cV oratisi perdali i suoni di molle vocali e di parecchi dilli tanghi: che un tale difetto privava la lingua della sua antica bellezza,,3 del suo vero spirito e del suo carattere proprio, e re u dovala insipida c « languida, Xon sentivano in questa pronuncia quell* armonia, nè quei » sonori periodi, pei quali gl’antichi retari ed oratori greci avevano ìì acquistato un si gran nome* Non potevano far comparire eloquenti » alcuna nei loro discorsi e nelle loro arri □ glie, perchè mancava ad msr vi la bellezza c la varietà dei suoni: ciò fece che pensassero ad una re ji forma. Studiarono la più parte degli antichi retori e autori greci, 33 i quali aveouo trattato dei suoni: e ritrovando in essi il modo d i n Irajr durre una mutazione, di consentimento della più parte dei doti! dolili h [inversi Li si posero ad al faticar visi. Furativi alla prima alcuni conta•j sii: ma iu dappoi quasi generalo V approvarlo uè. » Era allora Cancelliere dell1 (Ini versili Croni vvclh Non erano so-llo 11 di lui le riformarlo ni tanto pericolose* come sotto Gardincr suo suiti ce sso re, il quale era nemico di ogni novità. Quest' ultimo lece per iji^l ii che tempo ostacolo. lS i arrogò un potere* che non si ora giammai p1 -i Cesare^ di dar leggi alle parole. Scrisse a Check, professore a qLii'l ì'tn i po di greco, perchè abbandonasse II suo nuovo metodo. Il qmdf [?l-Ll tutto t dine era l'a litico e il vero* Check non si diè a vedere sommesso in » di Ini volere. G ardine r mandò a nome suo e del Parlamento nix u ii che ha qualche cosa di straordinario. Io qui non ne riferirò pi 1 >K 3? vita che due o tre articoli* Ou isrj u is n os tra m potcs la lem agnoÈMs 3 sonos lilteris sire graecis ( j ) R eflec i f o ns tipo n ha m 1 rcg\ w h e re / n i s skeft-n thè iris uffici ency there&f in itssever&l pàHiculftrg^ in or iter in crine e thè tisefuD netti a tid ne c&ssity; of lieve la t io ù . E u l rado l Lo in italiano solilo il ri Loto di Trattalo della ìn tf Chi riconosce il nostro pulci' » non osi dare di sua privata atùn certezza delle scienze. Vcni'Ktfl, p1 u ^ f CL'Sco Rii ter], 1 735, Vedi il Cypo Uh t|TlSr e seg, *. (0 CMi* De linp grafie, pronti ,v >uL Simili, De prommt. linf: Ali. sive latinis ah usa può Ileo mrae- sentis saeculi alienos privato j itili ciò a (fingere non andito. tìmhthongos gpQccas* n editai lati nas. nìsi id diaerssis exìga sonix ne diducilo. \f ah £ et es ah i ne distinguilo^ tantum in orthogmpìua disdirne n servato; ??, i3 v ano eodcmqite so¬ no expria? do. Nè multa : in saniti o maino ne pkilosophator^ sed utitor praesm* fàhus. )> rii alle lettere greche o latine rt suoni differenti daJFuso pubbli ce n dì questo secolo. Ji Non is componga i suoni dei s) dÌLLonghi greci o latini, se non lo n ridi lede la figura di dieresi, » Si distingua cu da s e u da t a solamente nella ortografia, r3 v » abbiano un medesimo suono. n Tu somma: non. filosofar sopra » i suoni, mp ognuno si attenga al» l'uso. 1 i Nulla noi aggiungeremo a questo esempio. Le riflessioni si presentano in folla da sè medesime, 1 ] 08. Ma se è pur vero che V impero ridi' autori ih La cotanto predominio sulle menti umane, talché il Pubblico per qu està parte ne sembra sotto un aspetto Io schiavo, e sotto un altro il tenace difensore pronto a combattere contro ogni privato che non ne veneri ciecamente i dettami se questo Pubblico è un padrone sempre rispettato dagli individui: come in ai potrà agevolmente sorgere un uomo che ardisca violare il senti mento della venerazione infuso in lui sino dall’ infanzia? 0,, se pure giunge ad emanciparsi, come vorrà poi per un'opinione sua propria compromettere i! proprio nome; e fin anche la propria tranquillità? A meno di un singolare e sLraordìnario entusiasmo, ciò non pare praticabile. Frattanto lo .stalo delle umane cognizioni rimane per lunga pezza nella condizione e md grado di depressione in cut si trova, e te scoperte riescono rare. fili abusi della critica, moke volte dettata da motivi personali, ossia dal1 amor proprio „ cadono sotto questa classe. Gli nomini si rassomigliano hi tutti gli stati; o. a dir meglio, le passioni agiscono sempre di una data maniera. La passione dei dotti sembra essere f ottenere e il conservare è pubblici Goffragli e il primeggiare in riputazione. Un aulico scrittore chiamò i filosofi animali della gloria. Nello stato politico la passione di chiunque ha già soddisfatto alla necessità sì è pur quella di distìnguersi c di dominare. Ora siccome i vecchi nobili, come ha riflettuto Bacone, invidiano gli avanzamenti dei nuovi che ascendono del pari coloro che ( i) Frano» sci Bac&n»S eie Y orni am io Sarmcatp.f fideU.^ Y J V,J0Q8 primeggi a no nella repubblica delle lettere scorgono con amarezza la nuova fama di mi alLro pensatore, e quindi pongono lutto in opera per reprimerne i progressi, clic temono nocivi al loro domìnio sulla pubblica opinione. Arrossiscono di aver potuto ignorare quale li e cosa nelle maL* rie Jl cui fanno professione, e quindi spingono la censura lino alla mala fede ed alla sopcrchieria, Ancora una riflessione avanti ili chiudere questo articolo, L condizioni sopra annoverale per formare I' uomo di genio sono quelle: che possono farlo divenir tale. In ultima maniera però il loro esercizio spiegato e pratico dipende da felici combinazioni di fortuna, Questa jorluna a libracela alcune circostanze sopra non avvertito: come, a cngiojK cl* esempio 5 il nascere o il trovarsi in un paese dove siano coavemenla occasioni d istruzione, d’emulazione, d* imitazione, rincontro di lettura proficue, r accesso ad uomini illuminati, e finalmente anche quelle ultime accidentali determinazioni del pensieri, di cui piu sopra si ù ragionala i yeti. Al fin qui detto aggiungere si deve, che solamente ìli una certa epoca di cognizioni sono possibili certe scoperte; e ciò forma U misura della forza del genio. La di lui attività non e infinita : olla viene circoscritta dall' indole delln memoria* dalla estensioni: naturale della, mente umana nelle intuizioni singolari, e dal tempo che iru piegare ^ può nella meditazione durante la ragionevole u robusta età. Se dunque ogni scoperta nel caso nostro è una verità, e per conseguenza ella àia cognizione delle connessioni che sono fra due estremi ; ogi-uqmjbch'1 questi estremi siano talmente rimoti Limo dfitr nitro, che il trovarne gli anelli intermedii sorpassi il tempo e la capacità di cui ora si la pavol.q, essi eccederanno per allora la comprensione del pensiero umano. Ma sà * come poì col progresso di più ingegni, che va nno a grado a grado 3g»lU' gnendu nuovi anelli, si ottiene un avvicinamento maggiore Ira qui. sLl estremi: o* a dir meglio, si segnano nuovi punti di passaggio : cosl ilvlene dappoi eseguibile ciò che dapprima non era. Ond è, che rjiir-sL • situazione di avvicinamento, è una circostanza favorevole a produrre d pieno effetto; ni a si può a ragione appellare opera del tempo e del t rivoluzioni dello Spirito umano. fili. Dalle cose fin qui disaminato si scorge la ragione per cingi uomini di £euio nello spazio dei secoli e delle società delibano essere L° tanto pari. Sì vede ad un tempo stesso che un tal fenomeno dipeline una stessa Cagione. Quindi non è meraviglia se le scoperte siano tanti» scarse, i progressi della ragione cotanto lenti, e i impero dei pregiudizi – cf. Grice, Prejudices and predilections, which become the life and opinions of H. P.. Grice, by H. P. Grice -- e degli errori cotanto durevole. Quello che abbiamo detto del genio si applica pur anche all’ ingegno, da cui esso non differisce che per la sola misura. Articolo IL Osservazioni preliminari sulla promulgazione delle opinioni, e sull' accettazione fattane dal Pubblico . Mi lusingo di aver dimostrato il fatto e la ragione per la quale il Pubblico dotto non iscopre le dottrine, ma gode solamente delle scoperte fatte dapprima dal privato geriio. Nelle scoperte che appelliamo razionali le verità non sono di rigorosa invenzione, ma bensì di pura osservazione e deduzione. Dunque se il Pubblico dotto non eseguisce da sè siffatte scoperte, è per ciò stesso evidente ch’egli per se medesimo non estende la sua attenzione ad investigare i rapporti dapprima inavvertiti fra le cose, a connetterne gli estremi, e a formar quindi giudicii logici espressi in proposizioni, in sentenze, in teorie, in sistemi. Dunque il Pubblico non esercita il suo giudicio direttamente sullo stato delle cose, ma sì bene sulle opinioni che intorno alle cose medesime vengono formale dai privati dopo che tali opinioni sono stale promulgate. Dunque la cura unica de’ suoi giudicii consiste nell’ approvare o nel riprovare, ammettere o rigettare un’opinione, un sistema, un principio enunciato dal privato autore. Bla ogni teoria o sistema altro non è che 1’ espressione dViua somma e serie più o meno lunga di giudicii taciti o espliciti sopra una data cosa, di cui si affermano o negano i rapporti o contemplativi o efficaci. Dunque il giudicio del Pubblico in queste contingenze ad altro non si estende, che ad affermare o negare i rapporti indicati da un privato. Ora se prima della scoperta fatta il Pubblico non conosceva questi rapporti, ed auzi ne riceve la notizia dal privato, se sempre egli viene addottrinato dal privato autore: come potrà egli giudicare da sè della verità o falsità dell’ opinione promulgata? Forse per le censure o le lodi di un altro privato? Bla primieramente quando siffatta critica o lode non esistessero, come mai il Pubblico se ne potrebbe prevalere? Quando poi esse esistessero, il Pubblico in tal guisa non giudicherebbe più per propria scienza, ma bensì su V altrui parola e per cieca credenza . In tale ipotesi il suo giudicio non sarebbe propriamente il giudicio di molti intendenti, ossia dei Pubblico, ma sì bene il giudicio di un solo ripetuto da molti. In terzo luogo, con quale ragione si dovrà presumere che il Pubblico modelli il suo giudicio piuttosto su quello del critico, che sa quello dell’autore medesimo? Iu fondo della cosa potrebbe darsi bellissimo che il critico avesse torto, e l’autore avesse ragione: e talvolta accadere il contrario. Come dunque iu una cieca scelta si potrebbe mai presumere la verità? Ma in fatto pratico . o sia che esista controversia, o uou oe esista, il Pubblico talvolta approva, accetta e professa l’opinione di un autore, e talvolta la disapprova e la rigetta. Ora dà ragione ai critici coutro l’autore e i suoi difensori* ed ora la dà a questi contro dei critici; e talvolta dà torto ad entrambe le parti. Finalmente avviene talvolta ch’egli riceva un’opinione senza critici e senza difensori. Pared unque che in questa condotta egli non assuma le suggestioni di una classe di privati come guida de’suoi giudicii, almeuo iu quelle materie dove può giudicare liberamente, ma bensì li pronuncila proprio dettame. Ciò è conforme anche a quel sentimento di naturale indipendenza dei proprii pensieri, il quale si spiega energicamente quando non preesisle la preoccupazione dell’autorità, o il costringimento della forza e sopra tutto poi quando la veduta dei rapporti è lauto chiara e viciua, che convelle, per dir così, e attrae diretlameute la nostra sensibilità. Generalmente parlando, pare che, per qualunque estensione che abbia l’impero dell’autorità altrui sul nostro spirito, tale impero non si eserciti propriamente e completamente se non dove noi abbiamo uu confuso timor di errare. Ma allorquando le cose ci si presentano sotto uu vivo, chiaro e convincente aspetto, non abbiamo bisogno del soccorso dell’autorità per giudicare, ed il di lei impulso o la di lei tesi slenza rendesi pressoché nulla, a meno che non abbiamo adottala la precedente opinione dell’assoluta sua infallibilità. Da ciò lice trarre una importante conseguenza per la plt; sente trattazione: e questa si è: affinchè il giudicio del Pubblico non n' sca sospetto di derivare da una mera ripetizione dell’altrui sentimento, anziché da proprio impulso e persuasione diretta, essere necessario clic una nuova opiuione di un privato sia ridotta così vicina allo stello ut tuale della comprensione del Pubblico, che non debba durar molta lotica a coglierne le connessioni. Qui cadono in acconcio le osservazioni già fatte; e si scorge quindi che le condizioni necessarie alla passiva istruzione del Pubblico sono pur anco quelle che rendousi necessarie affinchè egli possa veramente giudicare a proprio dettame, e quindi costitu,re U11 giudicio che si possa con verità riguardare come proprio del Pubblico. Ora supponendo che il pubblico giudichi per intimo e libero seutimeato tanto nello scegliere quanto nel rigettare le opinioni, e uel decidere su qualsiasi materia: con qual logge* nonna e sentimento si diri^e egli* Devesi ammettere* o no, che il Pubblico sì attenga allora alla vini là? ^ M2f2. AÌ casi in cui sì esercita la scelta eia decisione del Pubblico se ne aggiunge un altro. Talvolta avviene clic il Pubblico sì trovi fra due o più sistemi, Ira due o più teorie o sette o scuole, che invocano tutte il suo voto e sollecitano i suoi suffragi). Allora egli si vede avanti gli occhi la scena nella quale a Pirrone presentava □ si i filosofi di Atene, eli egli ravvisava divisi in molte scuole opposte, gli uni dai Liceo e gli altri dal Portico, gridando: Sun io che posseggo la verità: egli è qui che sì apprende ad essere sapienti ; venite, signori, datevi la briga di entrare: il iato vicino non è cheun ciarlatano che vi fura impostura. Eppure, malgrado tanti dibattimenti dì opinioni, il Pubblico presta i suol suffragi ad una parlo, e proscrive le altre: professa le dottrine di una scuola, r sommerge lo altre nell ebbi jo. Questo scelta c decisione deve pm svcio una qualche cagione, o buona 0 cattiva. Questa ragione qual* è y. Certamente ella è un sentimento o imparziale, o determinato dalle passioni. Prescindiamo dalla seconda cagione, od alleniamoci unicamente alla prima. Chieggo io: il Pubblico, uel determinare la sua scelta e ueì pronunciare i suoi giudica, va egli soggetto ad errore / Esaminiamolo. La decisióne e la scelta del Pubblico intendente puh esser fallace. Lo stato ipotetico in cui ravvisammo il Pubblico, egli è quello di nif epoca di libertà c dì ragione. Le materie sulle quali abbiamo figurato versarsi il suo giucUcio^ sono quelle intorno alle quali non può cadere sospetto di estranea passione clic rifranga le sue sentenze. Le opinioni poi sulle quali egli pronuncia, furono da uni supposte di pura ov1 az-io ne e d ì dedrtz io 1 1 e, tìngendo eli 0 i fon d a ni enti di fa Ilo * i a n o certi. Abbiamo con Lulle queste supposizioni Lr ovato che il I ubidì co non giunge a procurarsi lo scoperte razionali, e per conseguenza ne a creare uè a riformare i priuoìpii delle scienze, ma bensì che gli accoglie o li rigetta dalla mano del privato autore. Quindi rassomiglia a colui che solamente gode dei cibi apprestati, alcuni de* quali gusta, e ad alcuni Jk 1 altri non si cura di stendere la mano, senza però essersi dato cura alcuna di prepararseli. Sotto questo punto di vista trattandosi d’uu mero giudicio di scelta e di decisione, io dico che, malgrado tante supposizioni favorevoli, il Pubblico va tuttavia soggetto ad errore. Ilauuovi però gradazioni e modiGcazioni tali nella maniera di errare, che in fine favoriscono la competenza del Pubblico, e danno una gran preponderanza al suo discernimento. 1 12G. Nel comprovare la mia tesi non pretendo colla mia privata autorità erigermi censore dei giudicò del Pubblico ragionatore; ma beasi pretendo valermi della sua medesima autorità. Si è già avvertito che il Pubblico in un secolo professava una concorde opinione, che poi in uu altro secolo riprovò. Non è mestieri ricordare più specialmente i falli sui quali è foudata quest’asserzione. Le dottrine delle quali più sopra ho esibito un saggio, e le quali pure versano sopra materie intorno a cui sembra che gli uomini nou debbano avere una passione ed un interessamento ad errare, furono quelle di tutto il mondo culto un secolo fa, e pur tuttavia in certe nazioni occupano e ritengono l’assenso della pluralità degli intelletti. Ora se il Pubblico un tempo professò sentimenti che dappoi rigettò per sostituirvi un’altra guisa di opinare, egli è certamente forza conchiudere che o in un tempo o nell’altro egli abbia preso abbaglio. Dunque il Pubblico, anche nelle materie dove non esiste una estranea spinta d’interesse a decidere piuttosto in una guisa che in un’altra, e soggetto ad errore. Vero è che talvolta, anzi il più delle volte, il Pubblico viene costretto, quasi suo malgrado, a deporre le vecchie opinioni. In tal caso forse si dirà, che se si può supporre che dapprima siasi ingannato, ciò non si può supporre dopo l’avvenuta rivoluzione delle sue idee: imperocchè ella non potè esser l’opera che di forti, chiare e ben rannodate dimostrazioni, le quali abbiano, per dir così, avuto forza di divellere il suo assenso dal vecchio errore per annodarlo alla scoperta verità. 1 129. Rispondo, che in questo caso esiste una maggiore presuntone^ ma non mai una certezza della verità del giudicio del Pubblico, assumendo il solo giudicio qual criterio di verità. Poiché convengo di buon grado, che a fronte del conflitto della controversia, della imponente influenza dell’ autorità, e dell’abituale impero delle ricevute opinioni. non è cosa naturale che il Pubblico con libero impulso deponga •un’opinione per abbracciarne un’altra, od anco semplicemente ne proscriva uu aulica, senza che esista una più chiara e convincente ragione che a ciò lo induca; altrimenti dovremmo rovesciare le leggi essenziali deh’umauo intendimento. Ma non segue perciò che la nuova ragione sia in sè medesima indubitatamente conforme alla verità, talché per questa sola vittoria dir si debba assolutamente certa. Primieramente si sa quale distanza passi fra il distruggere un errore e creare una nuova opinione. Per convincere taluno di un errore basta porre in chiaro le sconvenienze fra quelle idee ch’egli connetteva: per lo contrario a stabilire una teoria, un principio, un sistema ricercansi altre vedute. À dedurre un carattere di certezza assoluta in favore della decisione del Pubblico non basta che noi lo supponiamo preferire una opinione ad un’altra, bastando che la prescelta apparisca più ragionevole dell’altra. Il sentirla più ragionevole reca seco una persuasione puramente comparativa, ma non mai una certezza assoluta. La certezza assoluta non può essere prodotta che dalla piena e perfetta comprensione dello stato reale della cosa a cui il pensamento si riferisce. Ora non solo non abbiamo alcun principio teoretico che il Pubblico possegga la scienza assoluta delle cose; ma per lo contrario sappiamo che ogni nuova veduta, in cui si ricerchi studio ed artificio, gli viene somministrata dal genio di un privato autore. Come dunque avvenir potrà che il Pubblico possa pronunciare il suo giudicio in vista di siffatta scienza assoluta? Dunque tutt’al più il suo giudicio in favore della nuova opinione potrebbesi rassomigliare a quello di un tribunale integro ed accurato, che pronuncia giusta le cose allegate e provate in processo, ma non mai direttamente ed immediatamente sullo stato reale delle cose. E la verità risiede nello stato reale, non nelle deduzioni del contemplatore. E vero però che in questo caso il Pubblico cangia di giudiciò per un sentimento che ogni volta più si approssima alla verità, attesoché ogni volta abbraccia il verisimile, e lo abbraccia in un’epoca sempre più copiosa di lumi e di scoperte. Perlochè la pratica del Pubblico ad altro non riducesi, che ad uu esercizio del senso comune, o a dir meglio della ragionevolezza, la quale pronuncia senza parzialità Y affezione che prova alla presenza di un’opinione scoperta e a lei presentata. Ma ciò non ci assicura che tuttavia non vi siano altre relazioni incognite da scoprire; anzi questo modo di giudicare lascia le investigazioni a quel punto, sotto cui vengono offerte. D’altronde la persuasione che aveva il Pubblico di non errare si trovò pur priva d’un assoluto e perpetuo fondamento tosloché esso fu costretto a riconoscere il suo errore ed a cangiare di opinione. L’unica norma dunque onde trarre argomento clic la pubblica decisione non sarà più per cangiarsi lìberaweole, sarebbe il sapere certamente che la Materia, della quale si sano dall' autore seguali i lapponi, fu vera niente esausta. Ma il giudichi del Pubblico non ci rassicura su questo punto: poiché anche dapprima esso credeva veder tutto, mentre poi l'evento mostrò il contrario. Dobbiamo dunque couveuire, die mercè il /urne naturale non si ravvisano gli a». se nou sono ravvici ubili assai al centro dei roggi; e così come Tengono presentati, c nulla più, lidi. Dunque con tutte le supposizioni favorevoli sovra espresse eì È forza convenire cLe il Pubblico in ogni materia complessa vaia soggetto ad errore * eouciossìachè se In quelle 5 intorno alle quali nou prova uu impulso parziale di passione e di interesse . r costretto a soggiacere a fallacia; con assai più torte ragione vi deve andar soggetto iu tulLi quei casi, dove elTelt iva mente esistono seduzioni o secreto o palesi del cuore. Del pari se, cangiando rii pensiero, a fronte della controvèrsi11 e di una penosa rinuncia alle dominanti v cecilie opinioni, va soggetta ad errare, mentre pure aveva il piu vivo interesse di esaminare ajscimtamenic i titoli delia confutazione o della nuova opinione; con quanto maggior ragione non riescìrà fallibile la decisione e la scelta in quelle materie dove manca la discussione, e per una non contrastata apparenza e promulgazione, o per uu assoluta novità, uu soggetto razionale s insinua nella grazia del Pubblico? Non dico perciò che Fultima opinione del Pubblico sì debba assolutamente reputar jfals&ì ma affermo soltanto non aver noi dal cauto della condotta del Pubblico uu principio teoretico, ed no a norma e pietra di paragone, per accertarci clic la reale verità sìa pienamente conforme ai caratteri die f opinione racchiude. Dalle cose sopra discorse risulta che li Pubblico e q usuilo accetta e quando rigetta uu? opinione la quale esigè studio ed artificio ad essere creata, ciò fa dietro la semplice prima perisimi^liiuiz&ì 0 PCI un appaiente conciliazione coi piincipii già ricevuti: ma non mai per uu profondo esitine delta materia medesima, e per un 'antecedente piene scienza della verità. Quindi sì scorge clic può esistere imi comune ùcw timento fra molli uomini sopra un dato oggetto, senza che inevitabilmente siamo costretti a confessare che tale uniformità sla effetto unico e proprio della sola venta. 1137. Affinchè r illazione che si trae dall 'uniformità di pensare alla esistenza della verità fosse legittima converrebbe dimostrare che tale uniformità nou potesse essere prodotta che dalla sola verità. Bla toslocbè si vede che ella può derivare da una passione o da una prevenzione comune, o da una semplice apparente verisimiglianza che sulla comune faccia impressione, senza che realmente la cosa in fondo sia vera; tale uniformità diviene in generale un connotalo equivoco, e per conseguenza non può servire di certa prova a determinare in particolare la presenza della verità, ed escludere quella dell' errore. Ogni prova per essere veramente tale deve per sè medesima escludere resistenza degli altri casi o diversi o con Irarii. 1138. Interniamoci vieppiù nei seni reconditi di questo supposto. A fine di poter trarre vantaggio dalla disparita dei pensamenti umani in favore della verità, allorché si verifica la uniformità di pensare converrebbe dimostrare che un’opinione apparentemente ragionevole, ma in sostanza erronea, non possa nel maggior numero degli uomini nou dotali dapprima di lumi superiori fare una eguale impressione. Converrebbe aver provalo dapprima esistere in natura una legge, per cui un giudicio non evidentemente erroneo, passando da un uomo ad un altro, sempre svegli successivamente una nuova vista di cose; o che ogni altro, cui viene comunicato, ve l’aggiunga da sè: talché propagato a tutto il Pubblico, alla perfine non ottenga mai l’uniformità di assenso e la pluralità dell’approvazione. Ciò non basta ancora. Converrebbe aver provato che queste nuove e dispari viste, impedienti la uniformità, derivassero unicamente dall’azione e dal sentimento dell errore. Conciossiachè se anche una cosa vera producesse questa medesima disparità di opinare, ella non potrebbe per una contraria relazione servire di distintivo nè alla verità, nè aWerrore.Ma venendo alla storia reale dei giudicii del Pubblico, si trova ch’egli molte volte di comune assenso ha ammesso un errore e rigettata una verità anche in quelle materie dove nou interveniva un interesse estraneo che deviasse le idee. Dunque l’assenso o il dissenso del Pubblico non fa prova certa della presenza o dell’assenza della verità. Bensì in tale ipotesi constando che in ogni uomo, che non sia fuor di senno o soverchiamente invaso da una straniera forza, un errore evidente non può mai cattivarsi l’assenso; così nella presenza evidente ed irresistibile della verità, Senza ima patente mala fede 5 noa pohà esimersi dal tributare uu uniforme gludìcìa, Dunque il valore dei giudicii del Pubblico si ristringe ad mi’ olvù* convenienza o riptiguaÉin eolio stato attuale delle cognizioni di egli possiede; e perciò non fa altra prova, clic della esenzione da un oc tuo ed apparente errore. 1UL Àudiam più oltre, 0 supponiamo il Pubblico in uno stalo in cuti non è fornito die dì nozioni volgari, le quali appellatisi ragion naturale ; o lo supponiamo in uu epoca dì lumi acquisiti eolie mulilazioni dei tioLti, die potrebbonsi dire cognizioni fattizie. 1 Di 2. Nel primo caso traviamo mia cagione anipia di comuni errori. come sopra si è veduto, anche in tutte quelle materie nelle qttsili non può esistere un prepotente estraneo interesse a giudicare piuttosto in una guisa che nell altra* Ivi gii errori sono durevoli e largamene predominanti, senza che la legge dei singolari dispareri faccia sulla nia&.sa del Pubblico mi sensibile elle Ito. I I 43. Se poi lo contempliamo neiPepoca dei lumi fattizii^ per v\ù stesso lo troviamo sforniti) di uu patrimonio proprio e riservato di lumi ulteriori a quelli d/ ogni progressivo pensamento, sì quale riportarlo come a termine di paragone* M 44. Se dunque neglige o rigetta un pensamento nuovo, ciò non può avvenire che in forza dei rapporti delle precedenti sue coguiziaaÉ. Che se poi lo accetta . è chiaro che non deriva da uu discernì mento naturale^ col quale in ogni tempo ed in ogni epoca d' Ignoranza, intendendo i rapporti di una cosa» ò spìnto a giudicarne in una guisa retiforme alle impressioni ricevute ed al Tal Leu zinne prestatavi. Ma siccome per regola generale non s interna mai assdissi/no nei seni reconditi delle cose, talché per veder più oltre ha semfiai d uopo del soccorso dei privati ingegni: cosi tale disccrnìnienLo noa rassicura da un più ascoso errore. Nulla hi natura *si fa per salto, nò senza cagione. Tutto (fio che avviene nel mondò razionate ha le sue leggiCosi data la misura della perspicacia comune dell* uomo in quella clic appellasi prima trn/a ed ordinaria attenzione per decidere, sì ha la vera misura del J lecerrnmecto del Pubblico, c quindi della sua fallibilità. Dunque o con viene supporre che il Pubblico dapprima ufìQ siasi Ingannato, n con vie n confessare che la sua approvazione o disapprovazione, la uniformità o il disparere non provino certamente h esistenza della verità n falsità recondita rispettivamente alle attua b sne cognizioni. Il fatto comprova solennemente questa verità. Quante volle è avvenuto, che essendo un tempo insorti molti critici ed ottimi innovatori, i loro giudicii nel tempo che furono divulgati non ebbero effetto alcuno, od anche furono rigettati, mentre dappoi il Pubblico s’ avvide che avevano piena ragione? Dunque l’argomento riferito al principio di questa Parte inchiude un supposto, il quale applicato indistintamente alla pratica riesce falso: trovandosi che il convenire in un sentimento non è effetto della sola reale verità, e viceversa la moltiplicità delle opinioni non deriva necessariamente ed unicamente dall 'errore. 1150. I casi dell’ esistenza di varii errori non si debbono calcolare matematicamente; cioè a dire, non si deve far uso del calcolo delle astratte probabilità, supponendo che in ogni caso, dove non sia presente la verità, siano egualmente praticabili tutti gl’errori che s’oppongono ad una data verità; e che perciò moki dispareri possano effetti va meote nascere ad un tempo stesso in un Pubblico, il cui discernimento si esercita in maniera superficiale. Anche gli errori hanno le loro leggi fisse . le quali determinano sempre resistenza di uno in particolare a preferenza di ogni altro. Ogni errore è un giuclicio ; ed in ogni giudicio concorrono la comprensione e l’attenzione, come cagioni efficienti. Dunque gli errori di un Pubblico sono determinati dalle leggi attuali della cognizione e dell’ attenzione di questo Pubblico. Sopra abbiamo veduto quali siano queste leggi, e come elleno operano; talché qui è superflua ogni ulteriore dichiarazione. Dunque risulta, che lauto per legge di fatto ^ quanto per legge di ragione, tanto a priori, quanto a posteriori possono esistere cagioni di un errore simile e comune in un Pubblico in qualunque epoca della ragionevolezza, senza che la moltiplicità delle viste rivolte sopra uno stesso oggetto possano indurre un’ assicurazione sullo stato vero e alquanto recondito delle cose. Dei diversi gradi del loro valore, inalisi del senso comune. Abbiamo veduto i difetti e i gradi di debolezza del discernimento del Pubblico; ora veggiamo le prerogative e i gradi di validità. La esposizione delle cose per riuscir vera dev’ essere completa. Primieramente si è veduto die il gin-lieto libero e ^njpiu del Pubblico fa sempre fede delia esenzione di u m di lai opinione Ja una evidente ed ovvia falsità e ripugnanza fra le idee noie; talché si può sempre dire: il Pubblico pensa cosi: dunque questo pensiero non è ovviarti cute falso, 1 1 K siccome indie diverse elevazioni della istruzione ei prò* cede sempre decìdendo a norma dei principili dapprima ricevuti; cosi s ir il 1 u Id i ìco afferma o nega, sceglie o rigetta liberamente c con pròpria scienza, dir si può ebe la sua decisione è ragion eV0Ìe, com par a tivamente ai principi i cogniti e ricevuti. Ma anche di siffatti principi! aulecedenti, professati liberamente ed a proprio dettame, si può affermare fa medesima cosa. Dunque 11 canone predetto, col quale si attribuisca una verità apparente ai giudicii del Pubblico coti tali condizioni recali riesce gene-nule* Non abbiamo spiegato ebe cosa debba intendersi per libertà del ghidicto, Non istinto però superfluo di far presente^ die Ih due maniere si dove ella verificare: vale a dire tanto rapporto alla d sÈoue dello Spirito^ quanto rapporto alla espressione esterna, lìelytiuTTinutc al primo punto è chiaro che siccome la verità delle cose non dipende dall’ arbìtrio umano, così i giudiosi dello spirito non possono dipendere dalle affezioni da cui egli è preoccupalo, ma bensì debbono essere intieramente modellati giusta i rapporti della verità. Dunque lo spirilo dev1 essere talmente disposto, che se la verità gli delta una apimone, egli non vi si opponga; dev1 essere disposto ad adottare lauto un pensiero, quanto il suo contrario. Senza questa perfetta indifferenti, o H dir meglio impu rz la Itth . riesce sempre sospetto qtfalsiasi giu ili ciò. M ria. Ma js attenzione è una delle cagioni necessarie alla Ibrttìàz ione dei giudicii. Dunque Fumee* motivo tlvAV attenzione esser deve un impegno generale a scoprire la veri Là della cosa, il quale ad un trmpo stesso lascia sgombro il cuore dal desiderio dì ottenere piuttosto tiu 1 |j saltato die il suo contrario. Dunque quaudo copta intervenire qualche prevenzione o / n t è ress e che determini specialrncute un giudizio piali11' sto che il suo contrario, il giu dici o diviene di sua natura sospettò; t;|l abbisogna d'essere intierameute convalidalo da un'accessoria dlnmtìU'tizione che ne taccia sentire la verità, rimanendo intanto nulla laulenU di chi lo recò. - -Ecco quella ebe io chiamo liberta dì spirito nei guidici I del Pubblico. Ma siccome si chiede se questi giudicii possano mai servne di criterio di verità* così si suppone cito siano palesai f e palesati mtJI-ra mente nella guisa eoo cui furono formati. Dunque allorché co ufi tasse che uon esiste una perfetta libertà eli manifestazione, si potrebbe sempre ragionevolmente sospettare se gl’individui componenti il Pubblico esprimano le cose nella guisa con cui le sentono, e quindi se il giudicio promulgato sia conforme al concetto intellettuale dei Pubblico, o no. Perlocbè, oltre alla imparzialità di spirito, esige un’assoluta libertà di manifestazione, affinchè possa rivestire un carattere autorevole, e riguardar si possa come la voce della ragione comune di una nazione o della repubblica delle lettere. Questo è ciò che precisamente intendo per libertà di giudicio, la quale si deve esigere come perpetua condizione nei giudicii umani, affinchè possano servire di qualche prova della comprensione della verità. il canoue sovra fissato si verifica iu una maniera eguale in o^ni Pubblico. Conciossiachè sebbene due nazioni possano essere dispari fra di loro in cultura, ciò non pertanto la misura di vedere d’ entrambe, considerata dal canto delle persone, riesce perfettamente uguale. L’ una vede maggior numero di oggetti dell’altra: ma la vista dell’una uon è in sè medesima più lunga di quella dell’altra. Datemi due uomini di vista eguale, l’uno posto in una valle, e l’altro su di un monte: benché questi scorga più ampio orizzonte e numero maggiore di cose di quello che sta nella valle, non si può dire ch’egli abbia miglior occhio dell’altro. La misura visuale media fra molti si è quella che forma la misura della vista fisica umana. Del pari, ragionando dello spirilo, il discernimento tra più uomini preso in simile proporzione forma la vera misura di quello che appellasi senso comune, o lume di ragione. Per tal maniera il Pubblico letterario non riesce punto superiore al Pubblico popolare. Fra l’uno e l’altro non v’ha altra differenza, se non che gl’individui del letterario sono collocali chi più chi meno alto nelle scienze; laddove quelli dei popolare sono rimasti chi per necessità e chi per pigrizia nella ignoranza. Perlocbè i popolari stando a quel basso sito, o non giudicheranno di quelle cose che vengono ravvisate solamente da quelli che stanno iu alto: o, se ne affermeranno alcuna, ciò faranno soltanto sulla informazione e tradizione altrui. E se pur volessero di proprio capriccio dirne qualche cosa, è chiaro ch’eglino parlerebbero a caso, e proferirebbono molti errori. Ecco fin dove s’estende la condizione di parlare con cognizione di causa, che noi abbiamo richiesta come indispensabile ai giudicii del Pubblico. Quindi, oltreché siffatto giudicio non deve essere recato sull’altrui nuda autorità, deve eziandio essere formato con competenza di cognizione; e però presuppone una tale istruzione e dottrina, che il discernimento esercitato in . uua «*»’«• Mimici* possa agevolmcute cogliere gli estremi fra |c preti,,denti cog Dizioni di cui tabu, o è fornito, e Vogalo ani quale si s Jt6a RutHjae dove consta intervenire* lina consìderabilwf&^ja fra i lumi di chi giudicacela malaria «alla quale egli pronuncia, èktm ragionevole il Sospetto die 11 giudiclo non sia recato colla cognizione necessaria ed intima dei rapporti che legano i concetti: e quindi non può né devesi mai tenere come un dettame della ragione umana. I Hit. Abbiamo veduto qual differenza passi tra il Pubblico volgare ed il Pubblico istruito. Questa differenza è pura monte estrinseca ^ ma nuli di costituzione* dirò cosi, delle facoltà razionali: attesoché olla rnu.siste nella sola maggiore coltura di cui uno è fornito a fronte dell altro. Iticio è chiaro die tanto il Pubblico popolare strile nozioni volgari da lui compreso, quanto il Pubblico letterario sulle acquisite con ispedah studio, sì dirigono nella stessa maniera, e così godono mpettivameiito di pari autorità. Couciossiadiè siccome fra gl' individui umani, beuelér esistano e ciechi e miopi e oftàlmici e guerci, ciò non pertanto dicasi sempre che tulli gli uomini ei veggono, e che fino ad una data lontananza dìscernono: del pari benché fra i privali si riscontrino e stupidi e pazzi e prevenuti e la n alici e distraili, dicesi però sempre clic gli Udini ni giungono comunemente a dis cernere e comprendere duo ad uu dato senno. Qui si offre spontaneamente la ragione per la quale a pari caso il giudici d pronuncialo dal Pubblico a proprio dettame* con cognizione Intima della cosa e Uberamente, debba avere una decisa preponete cu nzit sopra il gì ti dici g di uu privato, assunto come nuda untori lu . eu e appunto perchè uri complesso degli individui componenti il ! Libidico spariscono tutte lo subalterne individuali eccezioni difettose: R quindi ottenendo il suo sentirli en Lo » accompagnato dai sovra richicsli requisiti, si ottiene lo schietto e adequato sentimento della naturali1 h** gionevolezza emana 5 posta ni un dato grado di sviluppata perfetti! àllta* Q li està naturale ragionevolezza è la stessa cosa clic il senso coovine. Molti filosofi hanno confuso un lai senso colla cognizione i o a dir meglio colla erudizione comune. Se per senso comune s in leni la la misurai dei lami dei quali un popolo si trova fornito, non si riscontrerà in realtà giammai senso, comune alcuno: attesoché venendo allora riportato soltanto ad una varia, mutabile ed estrinseca quantità) noti può mai essere ridotto a stabile definizione. Oltre diete i lumi e le notizie forma no piuttosto F oggetto sul quale il scuso comune si esercita, anziché costituire il scuso comune in sé medesimo* Se poi per senso comune s’intenda la sola astratta facoltà di discernere e giudicare, in tal caso non abbiamo cbe una nuda potenza :, la quale non contraddistingue colui che dicesi aver senso comune da colui che dicesi esserne privo, o non averlo per anche acquistalo; come sarebbero, A CAGION D’ESEMPIO, GLI STUPIDI E I BAMBINI. Il senso comune sta collocato fra questi due estremi: egli dir si potrebbe essere realmente la comune e subitanea capacità comprensiva dell’ intelletto umano, ossia dell’uomo dotato di ragionevolezza, posto in qualsiasi grado di coltura. Questa nozione non si può sentire adequatamele fino a che non se ne abbiano accuratamente distinte e sviluppate le parti; e specialmente se non si abbia presente qual differenza passi tra i fondamenti ossia le idee radicali, dirò cosi, della ragionevolezza umana, e le cognizioni scientifiche più artificiali. Quando TACITO, MACHIAVELLO MACHIAVELLI, GALILEO BONAIUTO GALILEI, Bacone, Locke, Leibuitz, Montesquieu hanno annuncialo le loro osservazioni, le grandi loro vedute, hanno forse dovuto inventare un nuovo dizionario ? E chiaro dunque che le loro scoperte non racchiudevano se non mere combinazioni diverse delle già cognite idee radicali, tanto concrete quanto astratte, tanto assolute quanto relative. La cognizione attuale di tali idee serve all’uomo come quella dei caratteri alfabetici per leggere o scrivere. Se io conosco siffatti caratteri, è ben naturale che quando vengami presentala una nuova parola non mai da me veduta, io la rilevi e la legga e la scriva, quantunque ella sia nuova. Del pari allorché l’uomo è fornito delle idee le quali servono quasi di perpetui elementi ossia di materia prima alla industria intellettuale per fabbricare le infinite sue combinazioni, ei può a grado a grado passare da una in altra cognizione, senza bisogno di tessere dapprima entro la sua mente le associazioni elementari fra i vocaboli e le idee. L’unica pena cb’ei proverà sarà quella di seguirne le combiuazioni, segnatamente se vengano soppresse le idee intermedie al di là di quelle ch’egli può per una subitanea comprensione abbracciare o supplire. Se si tessesse un catalogo separato di tali idee radicali comuni a tutte le umane cognizioni, vale a dire un catalogo separalo delle idee rigorosamente semplici . espresse come tali, tanto di quelle che si destano dagli oggetti esterni, quanto di quelle che stanno racchiuse nelle affezioni interne della nostra anima; io ardisco dire che il catalogo risulterebbe infinitamente più ristretto di quello che taluno possa figurarsi. Ora questo catalogo esiste realmente in ogni uomo dotato di ragionevolezza fiuo ad un dato segno, cioè fino al punto che le circostanze ordinarie della vita civile comportano. Egli è già latto: ma si trova sparso e frammisto per entro le idee complesse. le massime e Io opinioni che vengono tuttodì poste in opera dagli uomini. Questo catalogo e queste cognizioni formano il patrimonio, dirò così, del senso comune. La capacita poi naturale della vista intellettuale, ed il modo ordinario di esercitare l’attenzione sugli oggetti tanto fisici quanto morali, costituisce la forza e F estensione del senso comune. Laonde ricomponendo tutte le parti d’onde egli risulta, si può dire che il senso comune è la comprensione naturale dell’intelletto umano, in quanto trovandosi fornito delle idee che la natura e la società olirono agli uomini inciviliti, si esercita a norma dell’ attenzione diretta dalle circostanze. 11/0. Perlochè se troviamo che le verità più semplici divengono, per dir così, acquisizioni immediate del senso comune: egli è del pari vero che possiamo collocarlo anche in uno stato accidentale e meno immediato: non altrimenti che se fingessimo gli uomini non abitare dordinario che la sola pianura, potremmo ciò non pertanto supporli abitare sui colli e sui monti. Ora se didatti collochiamo il senso comune nella sommità della maggior perfezione ragionevole, noi troviamo eh egli si esercita colle stesse leggi . cioè a dire comprende colla stessa forza ed estensione proporzionale, colla quale comprendeva nello stato dell infima ragionevolezza: nè v’impiega cura o tempo maggiore che prima. dita nel p scorse, di comprovare che non si estendono oltre questi contini, ei o chè ogni giudicio del Pubblico altro non è che la decisione del senso comune collocato in tutte le graduali cognizioni delle scienze e delle aiti. Ciò posto, qualunque siasi la materia sulla quale il I uhblico pronunci la sua decisione, non se gli potrà mai negare, posti i convenienti requisiti già sopra espressi, quella misura di autorità, la qu Qui siami lecito osservare, die la disparità fra due mimi non può essere cotanto esorbitante. tra mie il caso die non abbiano da indio tempo avuto mutue Cuti tiessi olii ed attivo commercio di lumi e di utEJiliL Quindi a proporzione clic siffatto commercio fu ed è più Ìntimo e molli jd ice, e die i pensatori usano di uua lingua intesa da entrambi i popoli, o st moltiplica le traduzioni, o si comunicano i lavori e le mie f rie, sarà il uopo a proporzione un lampo mollo minore, perchè la naymiue meno colla possa decidere colla misura del senso connine o, a dir medio, del buon senso Il quale non è elio lo stesso senso comune cali calo iti un grado non volgare di lumi. La misura del tempo che abbi* sogna per divenire non dico gemi inventori, uè tampoco ingegni che flg* giungano e rischiarino, ma soltanto semplici addottrinati al seguo intuì \r scoperto sono gin spinte, egli è JI punto di competenza dei giiidiciì di ogni Pubblico umano. . 1 ulte queste considera zìo ni. tutte questi regole e cautele ri" riardano solamente d primo requisito della validità dei giudico del Faibbeo: d qual requisito trae \ suoi rapporti dalla sola cognizione* Compiuto cosi questo primo saggio sulla parto dallo spirita $ passiamo -alle considerà&iuui degli elicili del cuore sui giudici! del Pubblico, ed alb ! gole convenienti per Fare uu uso pratico della loro autorità. Dette regola risguardantì l'uso del giudicH del Pubblico per rapporti all imparzialità del cuore, ed ulta lìbera loro promulgazione* Pi I dr Non là Insogno dimostrare die la imparzialità del cuori' 1 delI essenza di un giudici^ vero: e la libera sua promulgatilo è iudispi'usa bile, ove si voglia saperne il vero c genuino Umore. Così. per esempla, se nella geometrìa si potesse introdurre un estraneo interesse, il auendovrebbe essere sgombro da ogni desiderio che il quadralo ddFipohnusu iosso uguale al quadralo dei cateti, affinchè riir potessimo che Sa concilia siooe del geometra sia stala vera, allorché ci riportassimo alla di lui -JL]~ tenta. Ma tostoché constasse eli1 egli ha uu estraneo interèsse a desiderare; che j! quadralo sia maggiore o minore, la sua autorità ci di vorrebbe sospetta. Del pari ci dovrebbe constare che non abbia iutarosse alcuno contrario a palesarci il multato della sua dimostrazione, e alte cm non gli venga vietalo da ehi che sia: altrimenti noi potremmo legittimamente: temere die la espressione esterna non sia conforme sfH ictteruo pensiero. Questa medesima condizione diviene indispensabile ai progressi di qualunque scienza ed arte. Dai elio deriva che, almeno negativamente, la libertà sarà mia cagione confluente ai progressi dei lumi, delle arti e dell iuemiinfèuto di qualunque società. Ilo detto negativamente* condola eh è la imparzialità e la libertà risultano da una mera nemiune cd assenza di un ostacolo interno ed estero. A. svegliare Fattività umana tanto a pensare, quanto ad operare ? si esige un positivo stimolo efficace 5 il quale consiste ne\V aspettazione di un bene o di un male fisico o morale. Da queste considerazioni nasce una regola logica, che quando consta di parzialità n di costringimento, l’uomo privato deve sospendere il suo assenso, e richiamare ad esame la decisione emanata, e riportarsi al suggerimento della propria ragione. Vm. ÌNon è cosa ardua lo scoprire le cagioni della p.v/mili là ° del costringi mento del Pubblico. Conciossmhè non potendo tali effetti derivare se non dà cagioni che operano sur una massa intera di uomini, per ciò stesso sono note e palesi; e sì può agevolmente ravvisarle, e calcolame i gradi di estensione e di attività sulle diverse materie. Do speci bcare siffatto cagioni c le rispettive materie ci verrà meglio fatto più so Ito. et Ora ini si chiederà come il privato operar debba quando non consti della esistenza di ostacoli interni od esterni che il cuore o il potote oppongono alla perfetta cognizione e genuina manifestatone della verità. _, Da risposta, è già latLa dalle cose discorse. Quando si ver-iii nliinq i requisiti uecossarii dal canto della pura cognizione, il giudicio del Pubblico sì avrà a tenere come F espressione del senso comune r. come mi’ autorità di V arisi mig 1 i n . Appena egli è necessario ricordare, che quando un se oli m auto esce dal Pubblico ad onta di un contrario interesse, egli racchiudi' la maggiore vmWMì^ ianzu. È noto con spiai occhio indulgente e coti quanta facilita l’un ino accolga le idee che lusingano le sue passioni: per lo contrario con quanta, severità e renitenza egli s induca a cedere àlh cose, se d cuore contrasta,. Per finale compimento delFnso pratico che far si dove di. i giu dicli del Pubblico risai La che la prigione dell uomo privato appon loro., per dir cosi, il suggello autentico della probabilità relativa. Di (Fa uh SO quando una eoo vìnce ore ragione oppugna nell’ intimo scuso dell uomo un pubblico giudieio, egli non vi deve deferire; scapando ha aigomenu della loro invalidità, a motivo della mancanza degli opportuni requisiti, gli è tF tropo riportarsi intieramente al proprio interno dottami' . ricerchi: sulla validità' dei gfudigh, ec. egli è troppo ciliare clic allorquando li trova con l'ormi ai risultati della propria discussione, eglino acquistano il maggior grado possibile rii pròbahilm. Ed a vicenda se siffatti giudici! del Pubblico succedano a convalidare il gitidicio del privato, gli prestano una cauzione di verità, è Io rassicurano vieppiù dal timore di avere errato* Sa quali materie t giudica del Pubblico possano o non possano essere riguardati per un criterio di ve ri tic Le materie possibili dui giudicii del Pubblico sono le materie lotte debili umunt pensieri* Ma sia che V uomo col pensiero ascenda al cielo o si approfondi negli abissi, sia die arretri la mente sullo spailo ÌliIiuILo del passato o la inoltri nel futuro, sia che la contenga nel risibile o la sospinga nell’ invisibile, sia ciré Raggiri sull’ esistente o la lasci trascorrere senza freno nel possibile, J uomo non esce giammai da sé rarde.simo: le sue proprie idee sono mai sempre il cerchio insuperabile in cui si ravvolgono i suoi pensamenti. Ciò posto, quante specie di idee assolute e relative esistei' possono, altrettante sono le materie dei giudicii del Pubblico, e le specie dei giùdici] medesima. E benché qui riguardiamo siila Ito materie nel solo rapporto della validità del ||udmm del Pubblico a divenire criterio di t 11 erìth.,* talché, analisi latta, si scopra che alla perfine non abbisogni ionio di sì vasto apparecchio Dèlia enumerazione delle materie: ciré nondimeno siamo costretti ad abbracciarne tutto il complesso ideale, onde rassicurarci di non averne trasandata alcuna, la quale potesse cadere a buon diritto sotto le nostre ispezioni. Per tale maniera siamo obbligati a contemplare, almeno in mia vista generale, tutto intero b albero enciclopedico, guidati dall analisi. la quale se da un canto si occupa a dividere e ad Isolare con precisione le parti di un oggetto, dalbalt.ro cauto però presuppone di tenerlo tutto intiero sotto II magi stero anatomico. Fissato cosi il canapo della annali nostre osservazioni, passiamo a distinguerne le parti clic costituìscoilo le materie degli umani giudici i. Nella scienza Ili generale distinguo prima di tulio due cose: yate a dire Y oggetto della scienza medesima, che con altro vocabolo appallasi malaria della scienza ; ed il fine di lei. Il primo membro di quesia distinzione racchiude tulle le idee possibili dell’uomo ; li secondo poi esprime il centro di tendenza della mente umana ue IT occupare la sua alieczEonc intorno [die idee medesime, . SoLLo il primo rapporto le idee uon sono altro clie un feuomnto puramente storico ed esperlméntale ; sotto il secóndo divengono materiali per simmeliizzare il grande edificio della scienza. Conciossiache ogni scienza ho un /ine, e per ciò stesso esìge una determinala scelta e combinazione d’idee confluente al centro o scopo suo; e così esclude ogni altra combinazione. Appunto sotto questo secondo rapporto cì conviene conteraipiare le Idee umane. Ciò ritenuto, è noto che il bue di ogni scienza 6 la verità, Ma . Quest attività ò svegliala dall’ amor proprio (ved. Parte Ih Sez* Ih Capo. I), Dunque tutte e tre I c fa coltà del 1 T e ssere pensante so u o ad un tra tto esercitate u c 1la contemplativa o conoscitiva.Ma siccome la scienza mte rasante non é che la stessa conoscitiva^ in quanto è rivolta a discerne re c a discevera^' i rapporti utili c nocivi e i motivi de Tarn or proprio: e del pari siccome la scienza operativa non è altro che la medesima conoscitiva^ in quanto discerne, trasceelic o fissa le regole delle azioni* sia interne, sia esterne: così anche Toni. I. 1038 ricerchi: sulla validità dei giudichi, ec. in queste due parli tulle b* tre facoltà dell’etere pensante vengono impiegate ed esercitate congiuntamente. Nella operativa avviene precisamente lo stesso. Le idee, In cognizioni, i giudicii determinano la voloutà. e questa spinge l’ attività ad operare in conseguenza. In breve: nelle scienze, nelle arti, nella vita le facoltà dell’ auima umana non solamente nou agiscono mai divise, talché avvenga che quando l’ima si esercita, l’altra riposi: ma all’ opposto tutte congiuntamente sono poste in esercizio. Ilo creduto dover trattenermi alquanto più a lungo su queste considerazioni fondamentali, sapendo di avere a fronte la divisione generale delle scienze fatta da Bacone, adottata da Ghambers, e dappoi dagli enciclopedisti francesi. Credo così di offrire una significazione di rispetto a tanti uomini celebri, posto die vengo a dipartirmi dal loro modello per esibirne un altro. Connessione costante fra Varie e la scienza. Aggiungiamo aucora un cenno, per dileguare F incantesimo che sembra affascinarci quando contempliamo F edificio generale dello scienze e delle arti. Se tutto ciò che l’uomo può scrivere, favellare, dipingere e formar colla mano nou è che la espressione del suo stesso pensiero. accompagnato dall’azione della volontà e dal sentimento dell’utilità: è chiaro che le scienze e le arti vanno per una specie di ruota di ntoiuo al medesimo principio da cui partirono. Questo è il punto più semplice di reintegrazione di tutta la gran macchina deli’ esistente e del possibile per rapporto all'uomo. Le cose esterne, ch’egli appella universo, clic cosa sodo re ramente per rapporto all’uomo, se non idee di lui ? Se ne assegna Li causa ad un potere incognito esterno, ne vede però solamente 1 effetlo in sé medesimo. Quest’ effello egli denomina appunto cose esterne, b cose esterne adunque nou sono che sue m odifìcazioni, determinai a uno o più agenti esterni. Per rapporto alle cose interne è nolo uoo essere elleno che modificazioni determinate direttamente dai potei i che costituiscono la sostanza dell y essere pensante. Dunque la speranza, la storia, le scienze, le arti, in quanto formano la materia dell’umano discorso, non sono altro che modificazioni dell’uomo interiore. Ma se il fine della scienza contemplativa e conoscitiva c di scoprire Ja verità fra molti errori possibili; se del pari il fine della scieuza interessante è di cogliere la verità per rapporto ai beni ed ai mali, onde additare all’uomo i mezzi di felicità: e se finalmente nella scienza farti: operatila 11 mestieri disceriRTe, fra mezzo ai modi die non producono gli atti conformi alla intenzione, quei modi ed atli onde sì eseguisce. Feifctto intese: si sente perciò che in lotte le arti e le scienze interviene la cognizione guidata dall’ arte, e che ogni parte della scienza richiede il soccorso di un'arte speciale. Così distinguendo le arti sussidiarie ad ogni scienza Hall’arte essenziale costituente la scienza medesima, si trova che nell'albero enciclopedico un 7 arte viene sempre sottintesa; questa serpeggia, per dir così, entro le vene d’ogni scienza, le dà anima, vita, forma e direzione Per sentir meglio questa verità giova riflettere, che se le cognizioni umane fossero senza scopo e il mondo intelligente si dovesse pareggiare ad un caos in cui le idee, a guisa degl’atomi di Democrito e dell’Orto, non avessero connessione, nè centro alcuno di tendenza* noi avremmo bensì una sensibilità in esercizio; ma la verità e F errore, il bene ed il male, ridotti a puri fenomeni di cognizione passiva* sarebbero ricevuti con pari iti differenza* Ma è chiaro che in tale ipotesi non esisterebbe scienza alcuna. AH' opposto, to&lochè noi supponiamo uno scopo È mestieri trovare e percorrere la via onde giungere a lui. Allora ecco la scienza. Ma ad un tempo stesso ecco utiV/rfe, la quale in ultima analisi costi Luis ce In scienza . e la contraddistingue dalla indeterminata cognizione Sperimentale delle cose. Ecco del pari che convieu dividere e disegnare le scienze dal loro fina. Così viene confermala la ragion e v ote zza della divisione da noi riportata. Arte figlia dulia natura. 1*245. Ma se Varie uellT uomo fosse innata, ella non sarebbe veramente più arte, ma natura : Fnomo non avrebbe bisogno di arte alcuna, poiché giungerebbe in la 11 ih ìl mente al suo fine. Se poi ques Varie non innata, come la discopre egli? Certo conviene elicgli la ritrovi senz'arte. Dunque avanti di tutto si deve supporre ch’egli la ritrovi per semplice speri.cn za. Dunque in prima origine le scienze e le arti si riducono e ritornano alle leggi di -fatto della sensihilUh sotto il regime della natura. 1/ emblèma del serpente, che fi i cesi usato un tempo dagli Egizi i per simboleggiar I anno, potrebbe pur servire di simbolo alla scienza. Da questo punto di visLa V esperienza e la scienza non vengono punto distinte, e se dappoi riescono diverse, ciò pure deriva in orìgine dalla forza e dagli impulsi dclltes/jmm^. In tal guisa b natura di cesi maestra deli9 nomo. L uomo agisce lauto internamente, quanto esternamene. Dunque la distinzione di cognizione e di Opera, di scienza e dì potete zn. di scienza e di arte ha un fondamento reale nella natura, L L nomo, consideralo corno un essere esistente 5 forma parla della natura, hglì diviene a sè medesimo oggetto della propria eoa tempi azione* oggetto dell arte. L aLlività sua., olire all* esercitarsi in risia di un fine sugli oggetti esterni, si esercii a eziandio sul proprio interne, Gli altri esseri esistenti fuori dell’ uomo formano II restsató della natura, che più specialmente si appella universo. Mia natura corrispondono V esperienza e la credenza. Gli oggelti di queste sono i fatti . i quali formano la universale e comune prima base e materia delle scienze. 4 250, Come la natura non ci somministra le case, nè le seggio I e, nu gli orologi formati, ma si bene Ì soli materiali : del pari non ci eom ministra le idee astratte, nè le nozioni, uè gli assiomi, no le teori b, nò i sistemi, ma i soli materiali di tutte questo cose. E siccome le mÈuifalturc sono propriamente prodotti dell* arte fisica esterna* cosi lo costì razionali sono prodotti dell arte psicologica intenta* Llleno appellar à pòIrebbero lavori mentali La natura genera Varie, coma si e vccIliLo . 1 arte serve alla natura per conseguire il fine della verità e della utilità, Perlochè vi sono tante arti, quanti vi sono scienze, e da esse acquistano la denominazione, Solo non esiste Varie di crear J arte^ perché è natura, come si è detto* Se i Jaiti^ ossia la natura, formano la base c la materia tlì tutte le scienze; dunque i fatti somministrano i materiali dell albero enciclopedico* Questo nella parte scientifica presuppone già 1 un iene Li fatti tatti debordine fìsico e morale. La raccolta dei fatti può c dev’essere ordinata ad usp Llb mente umana* benché nell’ universo tutto esista in uno stato connesso- e concreto. La distribuzione delle materie di questa raccolta forma le radici., dirò cosi, dell’albero enciclopedico, l veri rami di quest’ albero dovrebbero essere quelli che abusivamente appellarsi elementi delle sciente o della filosofia^ ì quali più propriamente appellarsi dovrebbero risultati delle scienze. Dìffatti se. al dire del filosofi, eglino racchiudo^ il sistema dei pria ripa generali, racchiudono adunque quelle aozjQUb ie quali sono veramente le ultime ad ottenersi coi ìien ordinari progressi del Fu mano intendimento nella eognizioue delle cose. Il modo eoo cui separiamo queste che chiamiamo radici delFalbero enciclopedico dai rami superiori che formano i principi generali delle cose, corrisponde alluso ed alla successione della sìntesi e delFanalisi. L’analisi riguarda i fatti: la sintesi riguarda Se scienze. La prima prodace la seconda, e la seconda succede alla prima. Per lai maniera si scorge che un albero enciclopedico tracciato in questa maniera deve riuscire il più completo e fruttuoso. Una sola avvertenza mi conviene qui ri di la mare, ed è: che sui fatti singolari^ attesa la nostra limitazione, ci h forza impiegare il raziocinio . come altrove si è discorso. Ciò però non altera F aspetto linaio ed essenziale della cosa (vcd. Parte li. Capo ultimo). Un fatto sarà sempre una rappresentazione completa, quale viene o dovrebbe venirprodotta a norma dei rapporti tutù attivi delle cose che fanno o farebbero impressione su di noi: rappresentazione la quale, considerata nel suo stato reale * non soffre astrazioni, nò paragoni, Questi sudo opera della nostra mente. Quindi vi sono arti che tendono a scoprire o a verificare i fatti; come appunto Yurte di $p$&ìmen$arC) di osservare, la critica, ee.Da ciò viene in qualche modo turbato il vero ordine col quale delincar si dovrebbe V albero enciclopedico, se tutti i i'aLti potessero constare alFuomo mercè la esperienza diretta. Adattandoci quindi alla limitazione c costì lufcioa e attuale della mente umana, noi osserveremo preliminarmente gli ultimi confini dell orbe scientifico. A destra Tu orno ha, por cosi dire, il passato; a si nisira il fa furo. Egli è posto nel mezzo del visibile, o. a dir meglio, del sensibile, A fronte e a tergo ha Y invisibile^ ossia V insensibile. Però se l'uomo non conosce veramente se non a tenore delle idée ricevute; dunque il passato ed lì futuro non saranno nulla per la cognizione umana, se non in quanto attualmente le apportano una cognizione certa dei fatti o accaduti o futuri. Ma il passato veramente non esiste più. Dunque la certezza della di lui esistenza ò fondata sui monumenti presenti che ebbero connessione col passato medesimo, che da ossi viene indicalo mercè di siffatta connessione. 3 200. Similmente F esistenza elei futuro non può, mercé la cognizione* essere determinala che per le connessioni eoi presento: altrimenti rami esisterebbe fondamento di distinzione ira il puro immaginar io ed il reale. Rapporto al abbiamo dimostralo che buoni u nonne può conoscere le vere intime cagioni invoce egli è limitalo a segnare nel prospetto enciclopedico la successione delle apparenza costatili fra gli oggetti come cagioni delle loro azioni* passioni, fenomeni* effetti^ ec, Libi, Ma per conoscere le cose convieu supporlidapprima già èststenti, e tali che agiscano sull uomo. Dunque è chiaro eh1 egli non può nulla pron li a eia re sulla primitiva origine dello medesime* e non può ai a iter marne* nè negarne l'epoca e il modo. Le origini clic l'uomo conosce. e può conoscere * sono le apparenze del nascere delle cose subalterne* vale a dire di meri lezio meni del lutto secondarli, dopo eli»; le coso esislouo. 1203. I ulto questo si vede, se sì ritiene che Fu omo non può conoscere i poteri reali della natura se non mercè gli effetti clic producono in lui. Gli attributi essenziali delle cose sono sepolti al di lui sguardo iti una notte impenetrabile. lAdieltiva primaria cagione delle cose gli è iticomprensibile. La catena reale delle cagioni primitive* producenti Lift inameni 5 e del pari ascosa* c cinta eia tenebre insuperabiliLa qua bissi reale origine di tutti gli avvenirne u ti del Tu ni verso viene n e ccss;j riandate ignorata dall uomo* Dunque eoo infinita me u te maggior ragione egli uon poLri aver cognizione nè congettura alcuna dell’ origina c della fb& inazione delF universo. Da ciò si scorge che la scienza delle cagioni ossia dei potAJ reali della natura non deve entrare uelhalbero en ciclope dico* ma dev essere soltanto inscritta nella serie delle umane credenze. Del pari sì du duce che la cosmogonia li Iosa Bea dev7 essere aucldessa eliminata dJpm spetto delle scienze: parlo perù di quella cosmogonìa che 1 uomo* invìi-*, il solo proprio ingegoo5 si Unge filosoficamente. . [al contegno* li u o ad uu certo limite* si può usare rumbe nella cosmologia ♦ Imperocché V nomo non può promiuciare che mll" mere secondarie apparenze? delle quali è spellature. Ma queste app^ieu_ zc . a cui corrisponde F ascosa ed ini pepe tra bile realtà 9 connotai)0 11110 scarsissimo numero di leggi generali di quello di’ egli appella universo ^ c se eccettuiamo la luce degli astri ed il moto dei pianeti. Lutto il resinale della cosmologia resLrmgesì alla tèrra el degli abitino per consegue^ somministra Io spettacolo ristrettissimo di un solo punto dellòmivei'so. lo credo che prima di erigere l'edifìcio enciclopedica sia à Ut)po divisare i materiali che vi debbono entrare *, e quelli che convieu > gcLLarc. Se le scienze vengono determinale dal loro fine* è tropp0 tVl‘ dente che non possono abbracciare uè quello che unii si può sapere quello di ’ è falso. Il miglior servigio che rendere si possa alla ragione umana non è solamente istruirla di ciò che ignora, ma eziandio avvertirla di quello eh’ è impossibile di mai conoscere. Questa parmi la prima cautela fondamentale nel tracciare i confini del regno delle scienze. Dai confini passando all’ interno, distinguo in questa storia la parte meramente descrittiva dalla parte ragionala. L’oggetto poi di lei è Y imiverso e Yuomo. 1208. Nella prima parte descrittiva si comprende la cosmografia, che si divide in uranografia ed in geografia. La geografia presenta la forma e la struttura del globo, e in essa la materia organizzata e la inoro-anica. L’ organizzata abbraccia la materia animata, vale a dire gli ammali: e la materia organica inanimata, vale a dire i vegetabili. La descrizione di questi riceve il nome di botanica. 1209. La materia inorganica abbraccia la terra, il mare e l’atmosfera 5 io una parola, quelli che dal volgo appellansi elementi. La tena. presa sotto questo aspetto, dà campo alla descrizione delle miniere, delle cave, delle cristallizzazioni, delle petrificazioni, ec. L’atmoslera, tutte le meteore: il mare, tutte le sue vicende e diverse forme di vortici e correnti, di tempesta e bonaccia, di flusso e riflusso, ec. 1270. Salendo all’altra parte della storia che deve servire di materiale alle scienze, c’incontriamo nella storia dell uomo. La di lui descrizione si divide in interna ed esterna. L’interna riguarda il principio pensante, vale a dire l’anima: i fenomeni puramente spirituali entrano in questa descrizione. L’esterna si è quella della sua macchina e de suoi bisogni. Quindi la storia dell’uomo si divide in psicologica e fisiologica. Questa storia riguarda l’uomo individuo. Ma siccome l’uomo stesso vive in società, evvi una storia politica, civile, aneddota, ec. Egli ha una religione, un culto, una credenza, e quindi la stona religiosa, teologica o sacra o ecclesiastica. Le popolazioni vivono e si succedono per il corso dei secoli: quindi la divisione della storia umana in antica ed in moderna: quindi la cronologia presa come divisione de’ tempi. L’uomo e le popolazioni formano certe opinioni, certi discorsi, certe combinazioni d’idee, che palesano a’ loro simili. La recensione di tutte queste cose forma la storia letteraria, in cui l’errore e la venta, i pensamenti utili ed i nocivi vengono egualmente compresi. L’uomo, mercè la sua mano ed il suo ingegno, forma opere elaborando la materia, o producendo mediatamente certi effetti esterni. Ecco la storia delle arti e delle loro produzioni. Cosi percorrendo i sovra riportali ed altri oggetti, si prepara il londo delle sciente e delie arii* le prime delle quali siano coordinale alla verità, e le seconde alla utilità ed al piacere. Dopo ciò sorge V edificio razionale^ distribuito in tre grandi parti, a coi corrispondono altrettante parti dell’arte generale che costituisce la scienza. Se le partizioni possono convenire alla sto ri a*, esse ripugnerebbero alta struttura generale delle sciale: elleno deh bona essere esposte mercè rassegna/. ione dello fonti da cui derivano. Per la )1. Ma a fine di veder vie meglio a qual punto preciso debbono essere rivolte le uoslre considerazioni è mestieri riflettere clic V atkn-,ione non è die I esercizio di uua forza* Questa forza non può essere suscettiva che di due stati: vaio a dire di azione o d1 inazione * JNdlJu stato di a Jone non si possono distinguere se non: P'J la durata del Ji lei esercizio: '2, i gradi ora maggiori ed ora minori della di lei energìa: e finalmente la direzione del di Iti esercizio, dia abbiamo veduta ebe fa verità richiede dì sua natura che l’uomo si possa accomodare a com* prendere tutti i rapporti clic le cose in eh in do no, quali sono iti sé mettasimi. Dunque fino a che non consti che 1* attenzione del Pubblico v&ug realmente spinta per un principio generale attivo a cogliere le coso ad loro vero aspetto, non consterà che. il Pubblico giudicando per sentimele lo, giudicai con verità. Dire eli e l inclinazione comune la giudicare così; e che dunque ilgìudicio è vero, sarebbe un ragion amento temerario fin ù a ehc non constasse che il sentimento del Pubblico venga d'altronde l3ìretto, per una legge generale, giusta i rapporti della verità. Qui nasce una distinzione importante, lo quale dà lame in tutte quelle decisioni nelle quali ha parte il cuore. Altro è dire che un giudici,*) venga recato per uà intima com prensione delle idee e della loro intrinseca redazione; ed altro é dire che venga recalo sulla veduta e stille, connessioni degli aspetti offerti da tm sentimento interessato. 11 primi) modo di gìudlcii è propri a me ole teoretica; il secondo è di pù gitone. Quantunque questa seconda specie potesse essere e lusso elle ni vanumi vera, tuttavia la certezza non risulterebbe dalla illazione, ma binisi da un’armonia tra la spinta dell' affetto e i rapporti della verità* Alloca la certezza 'divinile, per dir cosi, estrinseca. Ma onde accertarsi se ciò avvenga veramente, è iV uopo dimostrare che io certe materie il cuore ^ i ige et presenta al Pubblico le idee in guisa armonica colla veritàIto' que è d uopo dimostrare che esista su certe materie una legge di jtdlo* per cui la natura dirige colle spinte del cuore i dettami del Pubblico a norma della verità* Fuori di questa certezza uon potremmo mai rig$fjp dare i giudica del Pubblico porta ti per puro sentimento come legittimi? ma s\ bene come mancanti ili prova: in ima parola, li dovremmo estimare come semplici preludici], che la ragione deve poi ratificare u ri£d' lare mercè una diretta di musi razione. Queste sono le nozioni direttrici, colle quali possiamo avviarci iu progresso a determinare in quali materie il giudicio del Pubblico, che dobbiamo sempre ritenere non essere se non l’oracolo del senso comune, tener si debba quale criterio di verità. Ridurremo queste materie a cinque classi principali; vale a dire: del vero e del falso speculativo; del giusto e dell’ingiusto; del bello e del turpe; dell’ utile e del nocivo; del merito e del demerito. Del vero e del falso speculativo. ]u questo Capo doli diremo nulla, oltre a quello che si è già discorso. Lina sola ricapitolazione e necessana. Articolo I. Separazione del vero e del falso speculativo, di cui il Pubblico non pub giudicare, da quello di cui egli pub recar giudicio. 1290. Prima di tutto convien separare il vero ed il falso speculativo, intorno al quale il Pubblico non può mai recare giudicio per mancanza di cognizione. Ora dalle cose dette più sopra risulta: Che nell’ ordine fisico ilgiudicio concorde del Pubblico non si potrà mai tenere come criterio nemmeo probabile di verità, quando abbia per oggetto di pronunciare sui poteri della natura reale, sulle veie origini delle cose, su quello che per se possa recare di bene e di male, poste altre combinaziodi. Nell’ordine morale il giudicio concorde di molli non si potrà tenere per un criterio di verità^ quando col senso comune pronuncia sulle leggi delle umane percezioni, attesoché iu natura esiste un fondamento costante ed universale di errore, originato dalle abitudini e dalla inevitabile ignoranza, per cui deve passare e principiare bordine delle umane cognizioni. Nemmeno sulle materie religiose puramente tali, iu quanto il giudicio del Pubblico si occupa nel pronunciare sugli attributi della Divinità, sui decreti della di lei volontà, sull’ordine della di lei provvidenza, sul culto a lei dovuto. Non già che la sana ragione non possa, poste certe cognizioni, dedurre alcune verità su queste materie: ma bensì perché in natura vi sono leggi costanti, per cui il Pubblico, diretto dal solo senso comune, deve comunemente errare . Qui il fallo di tutte le false religioni convalida la mia proposizione. Nell ordine fisico-morale il giudicio del Pubblico non può essere assolutamente criterio di verità in tutte quelle materie, la determinazione e la cognizione delle quali dipende dal concorso di molle minute, passaggiere e momentanee circostanze, e di viste affatto private e spesso incomunicabili. Questa proposizione viene dimostrala dai rapporti essenziali del giudicio. Per ciò stesso cbe si tratta di un giudicio del Pubblico, comien supporre una materia la quale o per sè stessa sia posta sotto gli occhi di tutto il Pubblico, o della quale almeno esistano prove comunicate a lui. Ma come è egli possibile comunicargli, a cagion d’esempio, quello che appellasi colpo d'occhio di un generale, di un politico, di uu filosofo, di un artista, e di qualunque altro uomo che s’accinge a qualche impresa? Come giudicare di quelli che appellansi presentimenti o passaggiere apparenze, note ad un solo od a pochi privati? 11 Pubblico tutt’al più potrebbe giudicare degli effetti esterni, di cui rimanesse una cognizione almeno di tanta durala, che potesse completamente comunicarsi a tutti gl’ individui componenti il Pubblico. Articolo II. Del vero e del falso speculativo nelle materie di fatto . Separate cosi queste materie, rimangono tutte le altre, sulle quali può accadere il vero o il falso speculativo. Queste materie altre sono di fatto ed altre di riflessione . Su quelle di fatto-, siccome qui non contempliamo il Pubblico come testimonio, ma bensì come giudice che ne afferma o ne nega la verità; cosi noi siamo costretti a limitarci a quelle materie di fatto ^ sulle quali egli giudica non mercè della propria espe rienza, ma per altrui tradizione. Le prime sono propriamente cose talmente notorie, che ad ogni uomo privato constano mercè un atto d intuizione, talché non abbisogna dell’altrui giudicio onde pronunciale con certezza. Piestringendoci pertanto alle seconde, esse non possono riguaida re se non che un fatto passato, di cui soltanto esiste la memoria 50 un fatto presente, che avviene fuori degli occhi del Pubblico; come, a cagion d esempio, in un paese lontano, ovvero in un luogo del tutto privato. Qui abbiamo sott’occhio un Pubblico posto nella necessità di trarre ogni sua notizia dal racconto altrui. Dunque trattiamo della credenza del Pubblico, e quindi cerchiamo se i motivi di credibilità elio egli adotta si possano riguardare come certi, perchè egli li adotta; e se 1 uomo privato debba deferire alla pubblica credenza. Quest’ipotesi presuppone che esista la testimonianza, sulla quale il Pubblico crede il fatto narrato. Questa testimonianza dev’essere certamente nota a tutto il Pubblico, poiché egli deferisce il suo assenso a lei. Dunque l’uomo privato può chiamare ad esame la testimonianza medesima senza aver bisogno della credenza del Pubblico, onde pronunciare se il fatto sia o no credibile, se sia certo o incerto, vale a dire provato o non provato. 1294. Sarà sempre vero che la notizia del fatto noto deriva da uno o più uomini. Dunque assumendolo dal canto della sua prova, non può la credenza di molti, quand’anche si supponesse ragionata e determinata dalle regole della più purgata ed imparziale critica, spingerci ad altro risultato, se non a quello di sapere se il dato uomo, che narra il fatto, si possa credere verace, o no. Dunque il fatto anche ammesso da più persone, mercè l’uso accurato delle regole critiche non diviene niente più certo di quello che essere lo possa mercè la fede del testimonio. 1295. Se dunque dal numero delle persone che concorrono con discussione critica a credere un dato fatto si volesse trarre maggior argomento della certezza di lui di quella che deriva dalla testimonianza di chi lo depone, si argomenterebbe falsamente. L’unica illazione che trar si potrebbe a favore di un fatto, quando la sua credibilità fosse stata purgata dal crogiuolo della critica, si è: che dal canto del testimonio non constano nè appariscono eccezioni di menzogna: che la nostra credulità o incredulità non è temeraria, perchè viene misurata dal valor critico della fede del testimonio, e nulla più. 129G. Ma ridotta a questo punto la questione, si hanno tosto in mano le misure onde stimare il giudicio del Pubblico giusta il suo vero valore . Didatti s’egli non è accertato dell’esistenza del fatto se non col mezzo della testimonianza; se la credenza per non essere temeraria deve essere richiamata a discussione; siamo dunque nel caso che la certezza della credenza riposa sui raziocinii. Dunque risulta che la credenza del Pubblico dev’essere stimata colle medesime regole con cui si valu tano i di lui giudicii sulle verità complesse di riflessione. 1297. Ma ciò non basta ancora. Fra le materie di fatto e quelle dì riflessione passa una differenza essenziale . Nelle materie di riflessione non devesi ricercare se gli oggetti esistano, o no: qualunque siano, quando souo presenti, Tuomo giudica. La questione cade sulla sola cognizione dei rapporti. Non esistendo le idee degli oggetti, non si può tessere giudicio alcuno sopra i differenti punti di relazione e di tendenza che possono avere. Per lo contrario, benché il Pubblico non abbia sott occhio prom alcuna dd lutto, In può credere e sposso lo crede sulla sola asserzione dì mi uomo che rie propaghi il racconto o la descmione. >— Unaqu e* affinerò la pubblica credenza possa servire di qualche presiniziouc di verità . sarebbe necessario : 3r' die le prove dei latti fossero i.: gualineute pubbliche e note, quanto il fallo medesimo; 2tu che siffatte prfl?e fossero talmente sminuzzate ed ovvio, che per coglierne la vali diti non si richiedesse che una prima vis la . un allo del senso comune; 3? vk questo Pubblico non avesse uu estraneo interesse^ nato dalle passioni, ;i credere un fallo, avveramento un contrario interesse a non crederlo. 1298. Poste tutte queste condizioni, si potrebbe dedurre die lame* deuza del Pubblico fa prova dì credibilità, egualmente che dì verisimiglianza, nelle cose di riflessione; o. per parlare più precisamente, de* dur si potrebbe che se il Pubblica crede un fatto con tali fondi /doni, gli argomenti di credibilità sono verisimili^ e quindi non si deve leggiennuate rigettare la credenza del fatto; e lino a che non sì hanno più cornhe denti prove si dee giudicarlo come probabilmente avvenuto, Ala riportandoci alla pratica costante dui Pubblico, uocitro* viamo quasi mai die le tre sovra allegate condizioni sì yen fidi ino nella credenza dui latti ch’agli ammette come certi : all* opposto troviamo gB* nerakaente temeraria la sua credulità o incredulità. La ragione di questo procedere si scorge contemplando da un canto quali rapporti tirila mente e del cuore si richieggano per comprovare un latto * e qual cosa dall’altro prestar soglia il Pubblico in siffatte investigazioni. Sì richiami alla mente qual’ estensione e penetrazione dì veduta abbia il senso comune ( ved. il Capo XV. della Sezione prenderne); quale intriPP discussione sì riehiegga . onde avverare il faLLo più minuto, e h ss aro e i gradi di probabilità ? e ufi sfiline farà le meraviglie come aneli e nei fatti dove il cuore non rapisce il giu dlcio, sì possa giudicare generai monte con som tua precipita □ za* Su qu®' sta difficoltà. di verificare i fatti m’ appèllo ai giureconsulti iuteuii a nscontrar prove dio hanno appena il minimo vigore filosohcoj della qualipure la potenza umana è stata costretta di contentarsi per jjrancanza u prove piò convincenti. Clic se poi esaminiamo la credenza dd Pubblico nei rapp01^ del cuore, troviamo pratico monte cagioni di errore e dì pire cip! tauzn, anche supponendo tuLLe le possibili facilità dal canto delle cognizioni. Si sa che Fa more, Iodio, il falso zelo, l'or. irò dio nazionale., il desiderio c fi speranza, il timore od il sospetto viziano egualmente e l’esposizione nei faui, è la loro credenza o rigo nazione. A questo proposito ini rimetto a quanto ne dissero i filosofi 5 a quanto si scorge nelle opere dei critici, e upf li il mi ali dell’imposture. Basta aggiungere, die il privato ha un mezzo più direlLo e breve per giudicare delle verità di fatto richiamando ad esame i fondamenti della credenza de! Pubblico 5 mentre 11 privato in questo caso riveste il doppio carattere di privato giudice c di membro del Pubblico; attesoché per principio teoretico si dimostra che onrni fatto, le cui prove non siano egualmente noie a! Pubblico come il fallo s lesso, non si può giammai riguardare cerne probabile. \h ti colo 1IL Nulla di essenziale dobbiamo aggiungere sul vero ed il falso speculativo nelle materie di riflessione^ dopo le cose dette nella Sezione precedente. Solo por rapporto ai gradi di validità dei giudicii del Pubblico, recati con cognizione di causa, con imparzialità e con libertà, ci c. o u verrei i he entrare in qualche enitìneroztonù, disegnando le relazioni diverse delle cose che forma no la materia dei giudicii speculativi* c fissando In ognuna L gnidi diversi di ve risi mi glia nz a die le decisioni del Pubblico possono ottenere. Conci ossiachè dapprima abbiamo contemplato il giudi ciò del Pubblico su queste materie in complesso, e senza una distinta loro recensione, e un calcolo speciale della diversa misura di verismi iglianza delle decisioni de) buon senso intorno ad ognuna di esse. È su pedino formare questa scala di probabilità, dopo quanto nr scrissero il Locké (e Genovesi (a). Quindi io dico, che a proporzione dei gradi della cognizione umana intorno alla identità o diversità, eguaglianza o disuguaglianza, esistenza assoluta o coesistenza, connessione o dipendenza,cagione o effetto, i giudicii del Pubblico avranno gradi diversi di yerisimigtifmza, ben ritenuto che il punto da cui si deve salire, e quello a cui si può giungere, siano racchiusi entro Ì soliti limili della comprensione e deli’ attenzione esercitale in ogni atto del senso comune. Da ciò emerge, che in tulle le materie positive* dove si t ru t E ; di cogliere le somiglianze 9 sarà più agevole al Pubblico il giudicare, e quindi piu probabilmente egli si avvicinerà al cero. In natura esiste un fondamento, mercè il quale gli uomini più facilmente giudicano con verità allorché si traiti di pronunciare sullo somiglianze. Le idee si n (r) Drì.P iute ridimmi' j umano, .Lièi' a Logica, chiamano scambievolmente nella memoria mercè il (loppio vincolo dell’associazione e àe\Y analogia ; anzi queste sono le uniche fonti del bello letterario: tutti i tropi in ultima analisi riduconsi a questi due soli generi; le metafore e le allegorie si riferiscono oXYanalogia; gli altri si riferiscono alle associazioni formate dalle circostanze che costantemente presentano due o più idee connesse o di tempo o di apparenza. Nelle somiglianze lo spirito umano assaissimo si compiace. Quindi tanto a motivo della costituzione della umana memoria, quanto a motivo dell’interesse che le somiglianze inspirano, si deve conchiudere chela massima autorità nelle materie di pura riflessione attribuir si deve ai giudicii del Pubblico allorché si occupa a decidere in fatto di somiglianza o d 'identità. Nemmeno sul giusto e Y ingiusto dobbiamo più a lungo trattenerci, dopo quanto ne abbiamo scritto. 11 giusto qui si assume come relazione ad una regola. Sotto questo rapporto fa parte delle verità speculative di riflessione. Quando la regola teoretica è già nota ed ammessa, il giudicio del Pubblico sopra un’azione o un sentimento riesce agevole, e riveste il massimo grado di autorità. Allora non si tratta che di pionunciare se la materia o, a dir meglio, il soggetto sul quale il 1 ubblico giudica sia conforme alla norma adottata. Ma questa specie di giudicii non somministra che una verità ipotetica e convenzionale, anziché care una certezza della reale verità. Questa non può risultare c e a un profondo e moltiplice esame dei rapporti interessanti delle cose, 1 cui il Pubblico nel giudicare non suole assumere giammai 1 ìucauco. D’altronde le materie della morale e del giusto sono per sè stesse cilissime e complicatissime, talché la scoperta delle venta viene esclusivamente riservata all’uomo di genio. Che se poi chiediamo se il Pubblico possa formare gu autorevoli intorno al giusto e all’ ingiusto, seguendo i dettami del cuoie; rispondo che questa ricerca si risolve a sapere se i giudicii dell affetto intorno all’utile ed al nocivo s’abbiano a tenere quali dettami di retta ragione. Conciossiachè per ciò stesso che la guida a giudicare si è ì cuore, si presuppone che l’unico criterio sia il sentimento dell utile o del nocivo, del bello o del turpe. La risposta a questa ricerca si troverà nei Capi seguenti. diffi teoretiche udicii Del hello e del turpe. | 1305, Se nel decorso di questo scritto ìio serbato silenzio sull Argomento del hello e del turpe $ abbenchè mi sia. proposto u □ a speciosa fibbie* ione», ciò fu per non disperdere in minute e staccate osservazioni, e quasi in frammenti, tl complesso della risposta, j 1300. E prima di tutto osservo, che Hutcheson ha stabilita ]’ esu sten za di un senso estetico; ma la cosa, m ultima analisi, si riduce a mere parole. Non si nega che l’uomo sia dotalo di capacita a sentire il bello ed il turpe^ il buono ed il nocivo; anzi e 1 uno e V altro sono tali unicamente in forza àe\Y effètto che fuomo ne risento, piacevole o do I or oso, utile o nocivo alla sua conservazione, ai mezzi del piacere, eri a tutti quégli oggetti che possono soddisfare ì suoi bisog ni. Quello che più importa di sapere si è, se la natura abbia dotati gli nomini rii tale sensibilità ed antiveggenza, ed abbia così coordinalo il sistèma delle coso, che qualunque specie c grado di hello n di turpe, di utile o di nocivo venga sentilo mercè un allo subitaneo die rassomigli alla sensazione, e quindi Tu omo non prenda abbàglio nel giudicare. 1 307, Ora a schiarire questo punto non basta solamente dimostrare die V uomo senta il hello eri il turpe. Vi Ulte ed il nocivo in molli oggetti; conciossiadiè siila Ito fenomeno può benissimo verificarsi nelle materie di pura sensazione fìsica, od anche nelle materie morali, fino ad un dato segno, senza che per ciò necessariamente si debba supporre ch’egli avvenga in ogni altra più profonda e meno prossima circostanza. Il risolvere adequatameli te questo problema importa viste più grandi e varie di quelle che i partigiani del senso estetico hanno abbracciate. Non solo è necessario arrestarsi sull7 uomo . spiarne sottilmente i fenomeni sentimentali, e le conseguenze clic tic derivano 5 ma egli è indispensabile entrare nell7 economia generale della natura, nei molli plici rapporti del fini da lei voltili nella umana costituzione, seguendo però sempre i risultati ili ima esperienza paragonata fra le cose che avvengono ndP indivìduo, e gli cileni che sì producono sulla massa elei genere umano nei diversi periodi di tumì^ di gu sto e dì benessere. Quest1 astratta osservazione verrà vie meglio sentita quando entrerò in qualche specificazione. Ora mi limito ad un princìpio generale, ed è: che so la naLirra umana non viene a cangiarsi nei diversi periodi di cognizione, non si dovrebbe II Appai; cangiare II gusto, se fosse vero che runico sensorio del hello fi siedesse come iu un seslo senso: attesoché nella stessa maniera che l’occhio, in qualunque tempo cìie gli si presenta uu oggetto illuminato, produce una sensazione visuale, c siffatta legge non si può smentire: del pari iu qualunque tempo si presenta un oggetto di gusto, egli dovrebbe dall’ uomo essere sentito come hello, senza che avvenisse giammai clic un secolo prima fosse ritrovato indifferente, ed uu secolo dopo assai bello, o viceversa. Ora la sperienza comprova, che segnatamente nelle materie di gusto ideali avviene iu tutto il Pubblico una rivoluzione e contraddizione di giudicii e di sentimenti. E come dunque si conciliano le funzioni di questo sesto senso colla esperienza? Se egli esistesse, le sue leggi sarebbero del tutto simili a quelle della umana perfettibilità e del senso comune: e quindi non verrebbero a somministrare criterio al¬ cuno estetico, mercè il quale dir si dovesse che il gusto del Pubblico sia una norma del bello reale. Qui per bello reale si assume quel sentimento piacevole che viene prodotto o, a dir meglio, dev’essere prodotto in ragion composta dei rapporti che passano fra la costituzione reale delle umane facoltà, e l’ attività degli oggetti esterni o interni, lo non pretendo ancora di assegnare una definizione, ma soltanto di accennare alcuni tratti fondamentali che sono inseparabili dal bello reale. Ma, a fine di dare qualche ordine alle nostre osservazioni, giudico necessario separare in diversi punti di vista l’argomento sulle materie di gustosi* latinamente ai giud icii del Pubblico. Non aspiro a raggiungere In meta che molti scrittori si prefissero nel trattare del bello essenziale applicalo alle opere della natura e dell’arte, ma sì bene mi limilo a trattarne rapporto al Pubblico, onde scoprire se il di lui gusto possa servire di cu terio per discernere il bello dal turpe, ed il men bello dal più bello. Delle rivoluzioni del gusto del Pubblico. Sembra che lo spirito umano provi un’incessante inquielu dine fino a che non raggiunga il bello e P ottimo: ma del pari sembi.i che, quando lo ha raggiunto, tenda ad allontanarsene. Non è nei soli piaceri sensuali che l’uomo diventi logoro ‘blasé), usandone senza moderazione: ma lo diviene eziandio nei piaceri dello spirito e nelle opeie del bello. Il Pubblico, pel solo motivo che persiste iu un dato geneio i piaceri o in un dato modo di produrli, se ne sazia ed auuoja: questa e cosa di fatto notorio. 1309. La cagione è fondata nella costituzione stessa dell’u01110, una fibra viene scossa per la prima volta, reca seco il piacere della nevilà: ma dappoi a poco a poco quella specie di energica resistenza alla impressione dell’ oggetto, per cui reagiva sull’anima con un tono di una interessante difficoltà, e per cui il piacere diveniva più vivace, e s’aumentava eziandio dalla forza dell’ attenzione; tale resistenza, dico, va degenerando in un’abituale e pieghevole facilità, e talvolta eziandio cade in vera atonia. Quindi la primitiva aggradevole impressione si scema, e decade alla noja od anche al dispiacere. Ma rimane pur anco una reminiscenza confusa del piacer maggiore provato dapprima. Quindi si viene ad un involontario paragone fra il minor piacere presente ed il maggior piacere altra volta provato. Da ciò nasce una disaggradevole situazione, in cui col piacere attuale si sente il desiderio di un piacere uguale o maggiore di quello che si provò, e però una somma inquietudine, ovvero anche un positivo sentimento di disperazione, allorché non si ravvisino i modi di soddisfarlo. Allora si fanno tutti gli sforzi d’invenzione per pareggiare il piacer passato, ed anche per superarlo. Quindi avvenir deve l’ abbandono totale dell’oggetto usalo, o almeno delle forme e combinazioni che dapprima rivestì. Quindi si cercano altri oggetti intieramente diversi, o almeno altre combinazioni e forme atte a recare un nuovo piacere. E succedono le nuove invenzioni nelle arti, le nuove foggie di frasi, di maniere, di vesti, di musica, di poesia. Nò giova, per impedire queste vicissitudini, che un oggetto siasi dapprima riconosciuto rivestire i rapporti più completi del bello: tuli’ al più si otterrà dal Pubblico una fredda confessione: ma ciò non impedirà ch’egli non cada nella sazietà, e non tenti variare. Per astenersi dall’innovare sarebbe d’uopo ch’egli potesse mantenere la sede del piacere nello stesso sialo di energia, da cui l’uso solo dell’ impressione la fa decadere. Ma siccome è impossibile cangiare la natura dell’uomo, così è del pari impossibile che un oggetto quantunque bello possa sempre piacere. Ma dall’altra parte l’incessante bisogno di godere stimolando senza posa il cuore umano, e V ottimo in qualunque genere uou potendosi variare od oltrepassare senza peggioramento ; non si può evitare dicadere nel mal gusto, e subir sempre nuove e più rapide rivoluzioni. La sorgente dei piaceri al di là dei modi della vera bellezza è sempre più sterile; il gusto loro riesce vieppiù incompleto. Invano allora gridano i precettori del bello, che nelle opere dell’arte non conviene discostarsi mai dal grande ed inesausto modello della natura ; invano con precetti luminosi e critiche severe tentano ri .j 054 siedesse come iu un sesto senso: attesoché nella stessa maniera che rocchio, in qualunque tempo che gli si presenta uu oggetto illuminato, produce una sensazione visuale, e siffatta legge non si può smentire; del pari in qualunque tempo si preseli la uu oggetto di gusto, egli dovrebbe dall’ uomo essere sentito come bello, senza che avvenisse giammai che un secolo prima fosse ritrovato indifferente, ed un secolo dopo assai bello, o viceversa. Ora la sperienza comprova, che segnatamente nelle materie di gusto ideali avviene iu tutto il Pubblico una rivoluzione e contraddizione di giudicii e di sentimenti. E come dunque si conciliano le funzioni di questo sesto senso colla esperienza? Se egli esistesse, le sue leggi sarebbero del tutto simili a quelle della umana perfettibilità e del senso comune: e quindi non verrebbero a somministrare criterio alcuno estetico, mercè il quale dir si dovesse che il gusto del Pubblico sia una norma del bello reale. Qui per bello reale si assume quel sentimento piacevole che viene prodotto o. a dir meglio, dev’essere prodotto in ragion composta dei rapporti che passano fra la costituzione reale delle umane facoltà, e l’ atti vita desili ometti esterni o interni, lo non pretendo ancora di assegnare una definizione, ma soltanto di accennare alcnni tratti fondamentali che sono inseparabili dal bello reale. Ma, a fine di dare qualche ordine alle nostre osservazioni, giudico necessario separare in diversi punti di vista Pargomenlo sulle materie di gusto, ielativamenle ai giudicii del Pubblico. iNon aspiro a raggiungere la rac,n che molti scrittori si prefissero nel trattare del bello essenziale applicalo alle opere della natura e dell’arte, ma si bene mi limito a trattarne i apporto al Pubblico, onde scoprire se il di lui gusto possa servire di eie terio per discernere il bello dal turpe, ed il men bello dal piò. Sembra che lo spirito umano provi un’incessante i uquielu dine fino a che non raggiunga il bello e P ottimo; ma del pal* semb1 che, quando lo ha raggiunto, tenda ad allontanarsene. Non è nei so ì piaceri sensuali che l’uomo diventi logoro [blasé), usandone senza mo derazione: ma lo diviene eziandio nei piaceri dello spirito e nelle opeie del bello. Il Pubblico, pel solo motivo che persiste iu un dato geneie piaceri o iu un dato modo di produrli, se ne sazia ed auuoja: questa c cosa di fatto notorio. La cagione è fondata nella costituzione stessa dell uomo, c una fibra viene scossa per la prima volta, reca seco il piacere della no di y i l ri : in g dappoi a poco a poco quella specie di energica resilienza alla impressione de|F oggetto, per cui reagiva sóli1 anima cou un tono ih una iuleress&plti difficoltà, e per cui il piacere diveniva più vivacelo /aumentava eziandio dalla forza dell1 atte unione; lalc resistenza, diro, va. degenerando in un’ abituale e pieghevole facilità, e talvolta eziandio cade iti vera atonia. Quindi la primitiva aggradevole impressione si scema. e decade alla noja od anche, al dispiacere. jj 1310. Ma rimane pur anco mia reminiscenza confusa del piacer maggiore provato dapprima. Quindi si viene ad uu involontario paragone fra il minor piacere presente ed il maggior piacere altra volta provato. Da ciò nasce una disaggradevole situazione, m cui col piacere attuale si sente il desiderio ili un piacere ugnale o maggiore di quello clic si provò j c però una somma inquietudine, ovvero anche un positivo sentimento di dispera zio uè, allorché non si ravvisino i modi di soddisfarlo, Allora si fanno Lutti gli sforzi tF invenzione per pareggiare il piacer passato, ed anche per superarlo. Quindi avvenir devo F abbandono toltile dell 'oggetto usato, o almeno delle torme e combinazioni clic dapprima rivestì. Quindi si cercano altri oggetti intieramente diversi-, a almeno altre combinazioni e forme atte a recare uu nuovo piacere. E succedono le nuove invenzioni nelle arti, le nuove foggie di frasi, di ma mere, di vesti, di musica, di poesia. 1312iNò giova, per impedire queste vicissitudini, che un oggetto siasi dapprima riconosciuto rivestire i rapporti più completi del belìo: tu If ai più si otterrà dal Pubblico una fredda confessione, ma ciò non impedirà ch’egli non cada nella sazietà, e non leu Li variare. Per astenersi dall’ innovare sarebbe d’uopo ch’egli potesse mantenere fa sede del piacere nello stesso sialo di energia, da cui Fuso solo dell1 impressione la la decadere. Ma siccome è impossibile cangiare la natura de Ih uomo, così è del pan impossibile che un oggetto qnan t unque hello possa sempre piacere^ Ma dall'altra parte F incessante bisogno di godere stimolando senza posa il cuori: umano, e V ottimo in qualunque genere uou potendosi variare od oltrepassare senza peggiora mento 5 non si può evitare di cadere uel mal gusto, e subir sempre nuove e più rapide rivolo zio ui. La sorgeii Le dei piaceri al di là dei modi delia vera bellezza ò sempre ] a u sterile 3 d gusto loro riesce vieppiù incompleto. Invano allora gridano i precettori del bel Un. che nelle opere dell’arte non conviene discostarsi mai dal grande ed inesausto modello della natura : invano con precetti luminosi e critiche severe imitano ridilaniare questo Pubblico di sensibilità obliterala alla purità del gusto; invano citano le informi stravaganze della novità al confronto dei capolavori antichi. L’amore della varietà, il bisogno di nuovi piaceri trascina gli artefici ed i contemplatori per sempre più oscure e mal agiate discese d' imperfezioue : fiuo a die la sazietà medesima e la noja., la quale assai maggiore ed assai più pronta si fa sentire tra gl’ imperfetti piaceri della decadenza, riconduca di nuovo gli spiriti per altre vie. e li riconcilii colle Muse e colle Grazie. Queste sono le inevitabili vicissitudini del gusto del Pubblico, le quali è forza che si succedano cou tanto maggiore rapidità, quanto è più durevole e concentrata la persistenza di lui nello stesso genere di piaceri, e quanto è più delicata la sede organica, per mezzo di cui si percepiscono. Laonde dir si potrebbe che il gusto del Pubblico, in quello che appellasi bello d invenzione dell'arte umana, non assicura della perfezione dell’oggetto. Il pubblico non ha altro criterio del bello che il proprio piacere. Dunque il suo gusto forma l’espressione diretta dello stato attuale della sua sensibilità e cognizione, anziché della perfezione intrinseca dell’oggetto stesso. Bramo però che si distingua il gusto dai giudicii estetici del pubblico. Effetti delle rivoluzioni del gusto a prò dell'uvnana perfettibilità. Le leggi del gusto sono in parte quelle dell’attenzionibe leggi dell’attenzione sono quelle che determinano la direzione e 1’esito degl’umani giudicii. Le leggi del gusto influiscono adunque nell acquisto della cognizione di molte verità. Le leggi del bello, ed il bisogno che l’uomo ne sente dopo che il conobbe, si possono riguardare: 1.°come impulsi a percorrerei gradi di quelle cognizioni che un più ristretto bisogno non rende ue cessarie o interessanti; 2.° come sussidii alla istruzione, allorché il blico giunse ad intraprendere la coltivazione di una determinata dotti ina, 3.° come oggetto di semplice stima e di puro diletto alla specie umana, la quale abbisogna d’intervalli di ricreazione onde giungere al fine vo luto dalla natura. Nel primo stato le leggi del gusto precedono e gm dano l’uomo sulle soglie del tempio della Verità: nel secondo dalla soglia lo introducono al di lei santuario; nel terzo poi giovano all uomo i genio, onde interpretarne gli arcani, e renderli agevoli al volgo La natura determinando l’uomo alla ragionevolezza e ad u li’ a Ita perfezione, dispose i mezzi ad ottenere il suo fine: tali sono i bisogni naturali, i fattizii, ed il desiderio del bello. Ma arrestandoci sopra quest’ultimo, noi troviamo una ragione importante nelle rivoluzioni del gusto. Il piacere annesso alle idee sveglia ed adesca l’attenzione ad esaminarle; la sazietà, il disgusto e la noja, appendici dell’abitudine, lo distolgono dall’ arrestatisi oltre il bisogno, e lo invitano a passar oltre all’acquisto di nuovi gradi di perfezione morale ed intellettuale. 1319. Se un oggetto fosse all’uomo affatto indifferente, egli non vi arresterebbe giammai l’attenzione, e non potrebbe trarne profitto nè per la verità, nè per l’utilità. Se all’opposto continuasse ad essergli piacevole ed interessante come da principio gli riuscì, l’uomo non se ne staccherebbe mai per trapassare ad altro meno piacevole. Dall’altro canto la scala dei gradi di piacere viene determinata da altri importanti fini dell’umana organizzazione. Perlochè il crescere sempre in intensità nelle impressioni dei diversi oggetti diveniva certamente impossibile senza costruire organi diversi o crearne a mano a mano dei nuovi, e senza violare molti altri rapporti sistematici del mondo fisico e morale. 1320. D’altronde, quand’anche per una finzione si avesse supposto un ordine di questa fatta, conveniva pur sempre coordinare le circostanze in guisa che l’uomo non fosse mai condotto a scegliere i sommi gradi di piacere, tralasciati i meno intensi; ma bensì condurlo ad incomiuciare dagli infimi e più languidi gradi della scala, e successivamente fargli calcare ad uno ad uno gli altri tutti consecutivi. Senza ciò, se gli eventi della vita in quest’ipotesi avessero primieramente recato all’uomo il godimento di quegli oggetti d’onde si attingono i più forti piaceri; come avrebbe egli, nel caso che avessero durato sempre con eguale attività, potuto discostarsi per discendere agli inferiori? Dunque il far sì che un oggetto da principio fosse interes sante all’uomo, e continuasse ad esserlo fino ad un dato segno, e dappoi il piacere continuando si scemasse, riuscir doveva un’ottima via per attrai* l’uomo su altri oggetti sovente meno piacevoli dei primi, e così guidarlo ad altre cognizioni. 1322. E poi necessario temperare la durata del piacere e dell’ attenzione in guisa, che riescano proporzionate allo scopo della ragionevolezza. Se l’attenzione cessasse troppo presto, le cognizioni risulterebbero sempre incomplete. Se continuasse troppo a luugo, si frapporrebbe un ritardo ai progressi della perfettibilità. Il mezzo unico efficace fra questi due estremi era di porre un rapporto proporzionale di eccitabi 11)58 ftICMCHK . lìti iì dì consistenza fra la tenacità dell1* attenzione e la capacità c a mprc u et l va del Innitua . . fila esaminiamo gli dìolti dello leggi del gusto nei Ire « sopra dipintiPresso ima nazione vivace ed ingegnosa* in ima lungii pace, senza ostacoli alle invenzioni od alla coltura, con opportuni $ussiiJn, molto più se si aggiungano eccitamenti esteriori, massima rlnvVs&m la rapidità con cui le fasi tuLle del gusto si succedono. Se alla perirne sì esauriscono lo sorgenti del diletto*, die dirci quasi di lussò r amasie, ne nasco in appresso un bene* La nazione per togliersi dalla uopi viene costretta a rivolgersi senza avvedersene a più solide occupazioni, appunto perdi è le leggi del gusla la nutrirono col latte primitivo del [dà saperdolale dilettò.* Cosi se nelle lidie arti d’immaginazione s incominciò a dilettarla coir incantesimo della poesia, questa re n desi vieppiù uiteres* stmle coti adornar le memorie nazionali, e rivestire le massime delia morder II Insogno detta la scolla. I graduali avanzamenti, latti cella legg’è della continuità, som ministra no il tipo del belio proporzionato al grado di sviluppo delle facoltà della niente. Cosi se l’ epica e la morale presta lormano i primi rudimeuli dell' istruzione nazionale, la colta lirica clcvv sopravvenir più tarda, la drammatica vi sta frammezzo. La nazione chi' si trova solamente capace a seguire I racconti dellr epica non polffikk' mai tener dietro ai salii della più sublime lirica. Sono persuaso che k Odi d’ Orazio, lette al secolo di Omero o di Romolo, non avrebbero desiala ammirazione alcuna. 4324. Ma si scorge clic per entro le materie medesime poedek u sono gradi di maggiore difficoltà, che ricMeggono attenzione Cosi la natura a poco a poco illudendo Romana Inerzia, o a dir guidandola Insensibilmente per una salila agevole e borita, e alienandola dal passato, la guida ai gradi più elevati della perfettibilità. Ciò clic fu dello della poesia si applica pure alla pittura, db scultura, alf ardii lettura, alla musica, alla eloquenza, ed a tulle kmli in cui il piacere primeggia, e rutilila sembra tenere un luogo subaltvJ alico. Ho detto le prime libere, avendo di mira unicamente il gradualo svi lapparne a tu mercè i naturali Impulsi della umana curiosità^ e inni delle pecche, straniere ed eventuali urg enzeQuand'anche questi vi si mescolino In guisa da rendere necessaria una certa classe cu cognizioni che ecceda l’atluale capacità del Puhldioo. non faranno perù eli’ egli aifelli soverchia ni cote la salita ai più elevati gradi dello cognizioni; benché gli stimoli noti derivino dalle impressioni dirette del beilo, ma bensì da DB bisogno originato dalle sociali circostanze. Ne sono Lesti moni! que secoli, nei quali il diritto c la morale erano scienze più clic necessarie agli i ci I eressi 'li certe nazioni; oppure gl’ interessi, i trattati eh decisioni offrono un li izza no complesso di strane c male avvedute dia posizioni., Le medesime leggi, la «lessa influenza del piacere e dulia uo\.f si veriflca.no eziandio allorché non per propria in-veuziou e, my pt, i bJ. tur ;i dello opere di .m’ altra colta nazione uu Pubblico ignorante viene coltivandosi. Le traduzioni, EeiWiziff&e, lo studio degli originali, k loro imitazione, sano i gradi pei quali questo Pubblico passar deve pei iu,L tersi in cani ini uo parallelo colla uoziuue maestra. E per libera e spontanea inclinazione 3 dopo le anno vera le materie, la fisica, la storia naturale, la eli-ùnica in Le lesseranno le L',Ltl rhe del Pubblico. Dopo ciò per gradi insensibili e per quelle ùuigk pause con cui le invenzioni si succedono, egli si rivolgerà a quegu aiutili che dapprima lo spaventavano per. la loro dilucollàma die allora troverà più proporzionali. et dall’ altro cauto nuovi, e cosi perverrà alla metafisica di tutte le materie, ma prima al diritto, alla morale, alla legislazioue, alla politica. 1330. Ecco come la natura per uu cammino eli graduale pendio, proporzionato alla lena dello spirito uraauo, coll’ allettativa del piacere, cogli impulsi e colle ripulse della sazietà, guida la specie umana allacquislo delie più elevate e solide cognizioni. Perlochè dir si può che le belle arti e le belle lettere alla mente umana, per rapporto al progresso delle scienze ; launo la stessa funzione dei fiori di primavera negli alberi. Senza di essi i albero non concepirebbe il frutto. Piacciono, durano poco, e cadono: ma al loro cadere vedete già spuntato il frutto, che poi maturerà. Uu altro rapporto utile si scorge in questa economia. Una lunga pace fa sorgere infiniti bisogni dapprima incogniti, e moltiplici oggetti dell umana cupidigia. La società diventa una macchina più complicata, ove sono necessarii lumi maggiori a dissipare i germi di dissoluzione, e correggerne i pericolosi fermenti. Perlochè se il progresso dei lumi e della coltura somministra Pulimento alla umana intemperanza, olire pur anco i ritegni per raffrenarne gli stimoli, e direi quasi neutralizzarne 1 attività imitante. Così nell’ordine fisico facendo maturare in primavera la fraga, indi la ciriegia, poi le susine: nella più fervente stagione fa maturare i maggiori frigidi, come il cocomero, il popone. Che se per un deviamento l’uomo libero sconosce la natura, ciò non ismeutisce 1 ordine provvido con cui essa procede, e gli offre, per dir così, sotto alla mano i proporzionati correttivi, a lato di quei mali che sono inevitabili nella effezione del bene. i3o2. Seguendo la traccia con cui la natura promove e reca al suo fine il progetto della perfettibilità umana, mercè le alternative spinge del bello, del piacere e della noja in provvida successione, abbiamo adoperato come il fisico nell’asseguare le leggi semplici e generali del flusso e riflusso del mare. Insorgono nella pratica modificazioni le quali oppongono qualche apparente eccezione; ma il fondo del sistema si trova sempre lo stesso. Così se in una nazione esistono ostacoli esterni a quella espansiva forza della ragione, la quale ricerca una sana libertà, gli effetti delle spunte della natura non appariranno con pieno effetto. Ma nelle sue stesse forzate mosse porterà l’ evidente impronta della potenza superiore che le opero: non altrimenti che in una pianta cresciuta fia scogli che costrmgono lo sviluppo delle radici si ravvisano le le^1 possenti della vegetazione, che tendono all’accrescimento. E però a proporzione che gli ostacoli all attenzione sono meno forti, la legge della 10ÙI perfetti bili tà ricevo il suo effetto, posta pari ogni cosa dal cauto del dima, del suolo, della soddisfazione del primitivi bisogni, della quiete e sicurezza del Pubblico. La vegetazione della pianta imprigionata appronta di ogni spazio e di ogni vano per condursi ad accresci mento e maturila. Periodi è dir si può della coltura ciò che fu dello della popolazione, die per se non abbisogna essenzialmente di eccitamenti esterni, ma le basta 11 riuaoY intento degli ostacoli, g 033. utile e la gloria sono due sproni possenti a questo Hnej usa sarebbe una sconoscenza oltraggiosa alla natura il dire che siano i n ditip e a $ abili a 1 1 V' He zi one del gran line dello sviluppameli t o del Tu m a o a ragione voleva. GT individui capaci di spingere più oltre la dottrina ne abbisognano solamente per superare gli ostacoli accidentali ed esterni che ltì fattizie umane istituzioni oppongono ai loro progressi, od anche per accelerare le mosse, attesoché quelle della natura riescono assai più lente. Non si, deve confo udore la storia della coltura del Pubblico colla storia delle invenzioni dd genio. Il Pubblico non produce nulla,, ma si approfitta delle altrui fatiche. Egli rassomiglia a chi entra In un campo ubertoso c pieno di frulli maturi, c li coglie finché, non trovandone più, si volgo altrove a cercarne: bisogna dar tempo che altri ne germoglino, per dare altro pascolo alla sua curiosila. Questo più specialmente verificar si vuole in un’epocà, nella quale dopo un corso di vicende e di dottrine elementari il Pubblico si trova, per dir così, proporzionato a pascersi d’ogui novità razionalo. lj Ad®'. Questa col Loro viene eseguita, come si è già dello, dagli ingegni minori, il cui ufficio è di ridurre a tale aspetto lo scoperto del gerì i ih, che si p r educa la impressione del piacere e V ago v o I a mento del la fa licy. La prima forma ì' impero positivo del hello; il secondo ne adempio lo condizioni negatile : couciossiachc la minor fatica nel cogliere i rapporti del bello complesso e uno dei requisiti propri i di lui. Gol vestire degli ornamenti, della immaginazione i sublimi e vasti caucciù del genio, o coffa pprossi mare gli estremi da lui segnati, gli spiriti rischiaratoli ottengono l’uno a l’altro effetto. Col primo mezzo offrono l’allettativa, die fa strada aff accoglienza della verità, col secondo si accomodano alla fievolezza cd impazienza 3 che s’oppone ad ogni ardua iatica. Il diibeile consiste nel conciliare queste due operazioni cosi, che gli aspetti della verità non ne soffrano detrimento, e bini magi nazione rispètti i dettami del buon metodo. Per tal maniera si scorge qual sìa buso del fatto udì acquisto delle solide cd interessatili umane cognizioni, e come venga posto in opera dalia natura, e come si possa adoperare dall’arte umana. 11 bello sensibile d’imitazione, giunto ad un certo confine, non solfre vicissitudini, per la ragione medesima che le umane sensazioni della vista non possono essere cangiate dall’umano arbitrio. Io mi souo lungamente trattenuto sull’uso del bellone sui (iui a cui può servire, per contrapporre vedute ragionate alla obbiezione proposta nella Parte seconda di questo scritto, e tratta dall’economia generale della natura. Ora appare in qual guisa combinare si possano le idee generali e confuse, riguardanti la tendenza dell’umana sensibilità, coi fenomeni versatili del gusto del Pubblico; e quanto a torlo da ciò trar si pretenda, che il sentimento del bello riguardar si debba come un criterio di verità estetica, la quale suppone un modello immobile, come esiste nei principii teoretici delle scienze. Quand’anche esistessero questi modelli, figli delle nostre astrazioni, non pare che la natura ci spinga a sagrificar loro oggetti più gravi uelle opere del mondo morale. Sembra piuttosto che abbia voluto farli servire di veicolo alla severa asprezza delle cose più importanti, giusta il pensiero di Lucrezio espresso taulo lelicemente dal Passo. Ma io stimo acconcio internarmi iu altre considerazioni dirette intorno al bello contemplato nelle sue diverse relazioni. La distinzione fra il bello e X interessante è taulo nota, che non abbisogna di lunghe trattazioni. Si sa che il bello viene riguai dato come inerente alla forma ed alla disposizione delle idee dell oggetto appellato bello ; talché viene tenuto come una sua qualità così propria, che cangiato il complesso che lo costituisce, cessa di essere bello. 1 ‘ i o contrario V interessante si riguarda come un effetto, anziché come una qualità; un accessorio associato al bello, anziché una parte iutegianlc di lui; talché soventi volte V interessante esiste senza il bello, o questo senza X interessante. Tuttodì si dice: la fisouomia della tale PeiS0Ua non é bella, ma è interessante. L’ interessante si riferisce direttamente ad un affetto che viene svegliato iu noi iu relazione a qualche eonsido razione estrinseca dell’oggetto stesso. Il bello per lo contrario, quantunque ecciti piacere, si limita piuttosto ad una compiacenza conia11 piativa, quale appunto sperimentiamo nel mirare un7 architettura, uua pittura, ed altre tali cose. VX interessante si riferisce sovente all nido, a ìdc^ìucle il coni u so stmlimealo ili ito nostro bisogno, o di qualsiasi pussiono usti ìo s££ a a cui 1 bigetto può soddisfare. Ora soventi volte il bello si trova accoppiato al Y interessante jn \nl\i) le materie di gusto. Allora l'uomo, per la contemporanea impressione dell* uno e deli7 altro* attribuisce al bello tulio l'effetto elisegli doveva ripartire in parie aneli e sopra l' interessante. P. per sentire la voriLà di questo pensiero basta dare un' occhiala passeggierà, ma atte ala. al vani generi di cose, intorno ai quali il Pubblico unire il sentimento del bello . Noi ci avvediamo che in tutti si può accoppiare il sentimento accessoria dell 'interessante^ e soventi volle vi si colliri unge e fa sulla mente un effetto simultaneo, e dirò così soUdale* Supponiamo un quadro die rappresemi Y addio di Ettore ad Androni aca* Supponiamo die riavendone, h eotnpasidone, Y espresaioue il colorilo, il chiaro-scuro bisserò degni di tutta lode; ma die venisse posto sull' occhio di no Pubblico che ignorasse il fatto. Il sentìmonto di piacere, ebe un tal quadro sveglierà, sarà tutto proprio del bello pittoresco. Ma se bugiamo che il Pubblico conosca e gusti Omero* quale impressione proverà* oltre a quella die provò quando ignorava d l'alto? Non solamente si sentirà svegliare in petto quel tremilo di piacere die desia il bello pittoresco; ma per un' associazione inevitabile di itine proverà un confuso e delicato assalto di moliti rapidi alletti, ebe colla loro commozione accresceranno il piacere del bello. Un eroe, un padre, un marito, uu prìncipe elio consacra il sangue alla difesa della patria: il destino di una boriila nazione clic pende dal suo valori;; una virtuosa principessa desolata sulla sor Le del marito: uu pargoletto die colle iuuucelili grazie dell* infanzia spando la tenerezza; sono immagini commoventi, le quali ìli confuso sentir si debbono da qualsiasi Pubblico intende u te e gouii ti-. ATTILIO REGOLO che RITORNA PRIGIONERO A CARTAGINE; DORIA che col sacrificio del potere crea la libertà della pairia, e altri argomenti di questa sorla v riuniscono certamente il doppio cfletto del hello e dell' interessanée, 1340. In archile Lima se vegliamo delineate, a e a gioii d esempio, le mine di ROMA, cì possiamo noi tòrse sottrarre dal rammentare le grandi cose di ROMA ANTICA, e per un contuso ed inavvertito sentimento ingrandir l'idea dell' architettonica maginiiccnza ? E Nella musica disiiuguesi V armonìa dalla melodia^ la quale n o forma il più seducente iueante simo . Una musica che non Locca il mi ore, a ragione si pareggia ad una beltà morta. Tariini ai suonatori ili violino clic ambivano- u visitarlo nel suo ritiromentre per dargli saggio della loro maestria eseguivano pezzi di difficile agilità, rispondeva: Tutto è bello; ma (ponendosi la mano al cuore) questo noti mi dice nulla ; c così faceva la distinzione fra il bello e l’ interessante della musica istruinentale. L aggiunta dell’ interessante si sente più chiaramente nella musica vocale, in cui all’armonia si aggiugnc l’effetto della passione a cui le parole alludono. Per altri modi più distinti P interessante si accoppia «d bello musicale. Una melodia nazionale, un’aria militare che rammenta il trionio sopra un nemico, per naturai legge dell’essere umano svegliano in un solo gruppo tutte quelle idee piacevoli che un tempo yi si collegarono. IN ulla aggiungeremo intorno agli altri generi di bello fantastico o intellettuale o morale o misto. Lo spirito, avvertilo a porvi attenzione, ravvisa tantosto P interessante regnarvi iuseparalo nella guisa più manifesta. Oguuno che conosca anche superficialmente il giuoco delle impressioni simultanee rimane convinto ch’esse confondono talmente il loro effetto, che anche al freddo analitico sarebbe impresa malagevole 1 assegnare la misura del piacere che ognuna produce. 11 cuore le sente a modo di una sola cagione: nè sa distinguerle se non allorquando si trovano accoppiate a rovescio, cioè quando il bello si trova in compagnia del V interessante penoso, o P interessante piacevole si trova accoppiato al brutto .Siccome la più esplicita sensazione è quella del bello. j in quanto che la forma e la distribuzione delle idee richiama principalmente la nostra attenzione: così la sensazione àe\Y interessante divenendo quasi accessoria, serve ad aumentar quella del bello; e tanto più he^a una cosa verrà giudicata, quanto più grande sarà l’energia di questo misto effetto. Ora, parlando filosoficamente, questo modo di giudicare non è veramente esatto; ed è mestieri separare le cagioni combinate del piacere, ed attribuire a ciascuna il suo proporzionato effetto; anziché usurparlo all’ interessante^ per attribuirlo tutto intero al bello, e smentire così l’intervento dell’ interessante., o almeno sconoscerlo di ciò che gli è dovuto. Pero i gì ridici i del Pubblico saranno sempre recali in questa maniera. La natura che vide l’abbaglio non essere nocivo, ne lascio provvidamente sussistere la cagione. I grandi artisti, sia per un avvisalo sentimento, sia per un confuso barlume, sentono che l’unione del bello e dell’ interessante, anche là dove pare sfinire all’occhio, è il più e^' cace mezzo ad ottenere la stima più grande del Pubblico. Quindi scelgono quegli oggetti che per molti altri fini divengono interessanti alla società. Chi può dubitare che uno scultore scegliendo a rappresentare un eroe caro alla patria, non riscuòta maggiori applausi dalla sua nazione che rappresentando uno straniero ed incognito personaggio? Ora P esempio di Attilio Regolo, di Doria, e di altri simili a loro, non è forse un impulso alla virtù? Da una muta tela, da un freddo marmo, da un insensibile metallo, che offre le immagini degli eroi, lo spettatore trae un’ispirazione di meraviglia e di emulazione. 1345. Da ciò si ricava per tutti gli autori delle opere del bello una regola nella scelta dei soggetti, la quale coincide con quella delle scienze e delle altre arti. 1346. L’uuioue del bello e c\e\Y interessante è una sorgente di varietà di giudicii intorno al bello, se si paragonino quelli di un privato con quelli del Pubblico, quelli del Pubblico di un paese con quelli di un altro, di un secolo con un altro secolo. Questa varietà, supposta pari ogni cosa dal canto dei rapporti del bello reale, non consisterà che in una diversa misura di piacere e di stima, seuza passare a generi opposti di sentimento. Riassumendo gli esempli sovra riportati, chi non vede incontanente che il quadro di Ettore doveva sembrare assai più bello al brigio che al Greco? Il Frigio didatti vi aggiungeva un sentimento di più; e questo si è F interesse e la gloria nazionale. Così al Romano quello di Attilio Regolo, al Genovese quello del Doria debbono sembrare più belli che ad uno straniero : quindi si può dire che il primo e più forte grado del piacere è riservato al Pubblico a cui la rappresentazione pittoresca più strettamente si riferisce. Il secondo e men forte grado si è quello che in ogni colta ed imparziale società F interessante risveglia in forza di quegli stabili e preziosi vincoli di affetto che la natura pose nel cuore umano. Si potrebbe formare una scala, in cui ponendo tutto il restante pari, tanto dal lato della dipintura quanto del discernimento degli spettatori, si farebbe sentire una graduale progressione di intensità nel piacere che deriva dall 'interessante congiunto al bello, la quale si estendesse ad un numero sempre maggiore d’individui. Così il ritratto di un amante può sembrar più bello ad un individuo, che alle altre persone di una famiglia; quello di un antenato può sembrar più bello a una famiglia, che ad una società; quello del fondatore di un corpo o del capo di una setta può sembrar più bello ai membri che la compongono, che alla nazione intera; quello di un eroe, di un re benefico, più alla sua nazione, che ad una straniera; quello di un nume a tutti i seguaci d i una data religione, più che alle nazioni che ne professano una diversa ; final nmi ricerche sulla v vuur i A’ dei giudicii, ec mr?nlcr J immagine dell’ inventore di un’ arte o ili un bette di citi ^aJoiju luttr le civili società, può sembrar più bello alle nazioni poli Liete* rlu: n quegli uomini dm non vivono sotto siffatto redime, L esempio preso dal in' Ilo pittoresco sì eSteinle rr^tivol rilento a rutti gli altri generi di bello fantastica o morale o Intel letto ale o misto. UlÌ può dubitare die al Lìiéco t:d al Romano un dramma, ua poema epico, una storia, nu brano ^ docpienza, che alludano ad uu avvenimento nazionale, non debbano sembrare assai più belli dio ad una straniera nazione l Alla stessa nazione poi deve apparire molto più aggradevole, se essa e LuLLora costituita iti circostanze pressoché simili al buio avvenuto, che se sì ritrovasse in un sistema d’iuicrcssi del Lutto disparato. L immagine c i fatti di i biglie] ino Teli sembrerebbero forse egualmente pregevoli e belli allo Svizzero vivente sotto il governo monarchitcS chc sotto il repubblicano? È facile moltiplicare le applicazioni: e flap* portutto 1 esperienza comproverà ad un attento indagatore l1 efficace influenza dell interessante nei giudicai che iì Pubblico forma sul balbi i qualsiasi genere- Da ciò si può trarre una regola logica intorno alla validità dei giudico del Pubblico sul bello preso rigorosamente come tale: siccome nella ricerca delle verità bisogna sottrarre le i junu rilà che derivano da mia parzialità straniera. Mu siffaLLi operazione è più agevole ad eseguirsi e o n una specuì t l tJva astrazione, die medio □ f e u □ a sicura direzione [ira ben. Abbiamo veduto che ud mescolameli tu dello impressioni del bello o dell interessante la mente del lilosofo assai difli ci 1 mento potrebbe se parare 1 effètto che ognuno dei due prmcipìì produce. Periodatanto più difficilmente ciò si potrà ottenere ud casi pratici dei giudica ih! Pubblico intorno alle materie estetiche, onde rilevarne la vera ftittiutt di verità, 1350, Tri generale contentiamoci di dire che i giudicii del pubblico fanno fede della bellezza dell'oggetto ma questa fede si sminuisce a proporzione che un estraneo interesse concorre ad alterarne hi imjuvssiGxis. Questa regola ravvolge nel suo concetto l'opinione dell’esistenza del bello o del turpe ^ i epa li per sò medesimi siano capaci a recare una impressione aggradevole o disaggradevole. Quindi si presenta uiP altra ricérca, od è: se i giudicii del Pubblico sul bello schietto sabbiano a tenere per criterio di verità estetica ; vale a dire, se il Pubblico pronuncia una cosa essere più 0 meti bella, ovvero turpe, si debba per ciò stesso ammettere che realmente -sia tale quale egli la glU" j deden ritmi ac tneiilnr bonus 0). » 1 433. Couchiudiamo. Le materie politiche, e special tocn Li; fica di esse, si possono a buòn diritto riporre fra quelle sulh 1N,J 1 1 Pubblico unii s’ha a tenere per giudice assoluto. Su questo l;,JllliTI non mi arresto ulteriormente (m: ni capo \ n QucsLu parola merito munto viene tuttodì usata in lauti diversi significati, che se seuliamo darne una definizione ci si allacciano alla monte più idee, le quali ora ammettono ed ora escludono certi elementi che in diverso aspetto sembrano iu Destarsi sopra un fonde comune. 1435. È noto che dalfuso volgare di funesta parola viene spesso disegnata una mera capacità a produrre in generale qualche utile 0 piacere, In questo senso il merito si applica anche alle cose lira gioii evo li ed inanimate. Dicesi: il tal componimento* la tede pittura ha qualche merito. lieti é vero che più esalta mente a siila L Le cose viene applicato V attributo di pregio o di valore. Parlando anche degli esseri umani, ed avendo relazione a qualche dono di natura, si usurpa la parola di merito per indicarlo. 1 43 G. Del pari questo vocabolo si applica alle azioni ornane, in quanto venendo prodotte con intelligenza e con libertà, acquistano al loro autore un diritto od una relazione morale a conseguir qualche bene, od a subire qualche pena. Allora il merito si riferisco ad una qualche leggo morale. Cosi dicesi che l’uomo dotato di ragione è capace di merito e di virLù, di demerito e di vizio. 5 1437. Finalmente il merito si applica a significare qualche talento, qualche disposizione pratica ad esercitare atti utili o belli ^ o in qualunque altra guisa pregevoli, ed a creare certe produzioni di mano o d’ingég n o co ii espressa coguizion tre libo r t A Questa specie dì meri io e \ pi dio che è proprio della moralità delle azioni hanno questo di comune, 'clic in chiudono nel loro supposto il concetto àc\Y imputazione^ senza la quale qualunque uomo, benché sia fornito di qualche cosa pregevole, od ottenga qualche bene od onore, o faccia qualche atto stimabile, dicesi essere senza merito, lo breve, per attribuire merito a taluno si esìge una potenza conoscente e libera, la quale sia cagione deireffeLLo premiabile. Nel caso nostro perù si tratta di una potenza prossima ad un effetto praticabile, o, a dir meglio, di ufi abito morale a produrre pensieri, ad esercitare atti, a formare opere con disegno e con libertà, le quali siano nei rapporti del hello o de IL utile. 1 439, Ciò premesso, si chiede se il Pubblico sìa giudice pompe tenie del merito^ e se le sue decisioni s’abbiano a teucre per un criterio di verità. La risposta a questa ricerca in gran parte ù già fatta mercé le cose deltc più sopra. Imperocché qualunque esterna opera, d’onde uu uomo si può conciliare l’opinione di aver merito* si riduce ad alcuua delle materie sopra esaminate. Quindi verificandosi solamente il fatto che taluno ne sia autorete che il Pubblico giudichi con cognizione diretta delle opere sia intellettuali, sia morali, sia fisiche, si ha una tessera della validità de’ suoi giudicii intorno al merito. Quello che rimane propriamente ad indagare si è, quali requisiti debbano concorrere ad accertare se il Pubblico attribuisca merito a taluuo con fondamento, oppure temerariamente: e se il diverso pregio iu cui tiene le diverse specie di merito, e la stima che ne professa, si abbia a tenere come il criterio della vera quantità del merito di un uomo. Agevolmente si scorge, che se oguuuo non può essere vero giudice del proprio merito, il giudice essere non può che un terzo: ma se questi fosse un semplice privato, potrebbe più lacilmenle soggiacere alle eccezioni difettose della ignoranza o della parzialità. Dunque per togliere di mezzo, per quanto è possibile, tutti i vizii del giudicio non v ha miglior espediente che quello di ricorrere al giudicio del Pubblico: ivi almeno svaniscono i piccoli particolari interessi contrarii al mento. Ma ciò non ostante molte volte il giudicio del Pubblico, preso indistintamente, non può assicurarci del merito. Queste considerazioni possono cadere tanto sulla cognizione, quanto sugli affetti del Pubblico. Esponiamoli paratamente. Articolo I. Dei giudicii del Pubblico sul merito per rapporto alla cognizione che ne può avere. Trattando dei giudicii del Pubblico sul merito di qualche uo ino particolare, non si deve dimenticare che talvolta un Pubblico giudica del suo proprio merito, facendo elogi all’ ingegno e all indole e a propria nazione. E troppo noto V accecamento dell’ orgoglio naziona Quindi il voto delle altre nazioni tult’ al più potrebbe divenire uu mezzo egualmente competente a giudicare del merito del Pubblico di un tao paese, come questo lo è per rapporto ad un privalo. Un celebre scultore francese a decidere la troppo strepitosa controversia intorno la premi nenza della musica italiana sulla francese diede peso alle ragioni in vore della prima. Ptagionaudo quindi del merito dei particolari, due cose con vien distinguere nei giu dicii del Pubblico: vale a dire le notizie difetto parti; j (>80 ri.sguairtla.nLi le prove ed ì molivi ptu quali si possa giudicare aver tabulo mi merito} e la vera cognizione de! valere e dei gradi del medio medesimo- 1445, Rapporto al primo punto, o le prove sulle quali il Pubblico pronuncia stantio 'Spilo gli occhi di lutto il Pubblico, come quando si tratta di ima rappresentazione teatrale, d? uu libro iu lìbera circolazione, d'ima cosa esposta nei luoghi pubblici; o siffatte prove gli vengono Lram amia te per altrui privala tradii ione. Nel primo caso rimane ad indagare scegli abbia le cognizioni e disposizioni convenienti: e se la maggior patte degl 'individui che Io compongono siano proporzionati a recare un gì ridi ciò, sul valor del quale si possa nutrire fiducia. Nel secondo caso è indispensabile riscontrare tulle quelle condizioni, mercè le quali egli può venire accertato dell* esistenza di un fatto particolare. Noi qui non ripetei cruci ciò die ai è giu esposto su questo articolo (veda! Capo llì. ili questa Sr/., Art. Hi Solo faremo riflettere che il merito .y la cui esistenza uon è legittimamente comprovata, deve ascriversi al novero di quelle tante vane credènze di cui tuttodì si moltiplicano gli esempli. Non perciò ragion evo I mente si negherà die un tal uomo, vantato come meritevole senza prova alcuna esistente sotto gb occhi del Pubblico, sia Investo di merito. Piuttosto sì sospenderà il giudirio, e con un si dice -s* evi Lenì dì a doti a ro ima falsa opinione. Passiamo ora ad esaminate il gibdìcio del Pubblico sull’uO' ino di merito, ì cui titoli siano per la parie di fatto indubitati. Per conoscere u meri Lo dì ima persona bisogna rilevare ima connessione fra a di lui talenti o d carattere movale, ed uu modello ali verità o di bellezza, o uu effetto Stimabile o perfetto. Tutto questo importa. che chi deve giudicare conosca il pregio della cosa, ed eziandìo conosca i mezzi pei quali taluno sia giunto a produrre ì azione qualunque die serve di fondamento e di titolo alla stima del Pubblico Ciò riesce perfeLta mente identico con quanto abbiamo detto sui gin elidi del P Libidico intorno alle verità di riflessione^ intorno al giusto* al buono ed al bello. Laonde se si usano gli stessi canoni, i giudicii del Pubblico intorno al merito avranno sotto questo rapporto la medesima autorità che rivestono allorquando si aggirano sulle ricordate materie. Qui prego a richiamare eziandio quanto abbiamo notalo sull' uomo superiore al smsecolo o sull’ nomo prontamente celebre. Per quello poi che riguarda i mezzi, mercè dei quali Idiomi particolare ha acquistalo opinionedi mento*, non y’ ha dubbio die quanto piò di cognizione; c di arie la loro esecuzioni: importava) lauta piti il me dette più sopra. Imperocché qualunque esterna opera, d’onde un uomo si può conciliare l’ opinione di aver merito, si riduce ad alcuna delle materie sopra esaminate. Quindi verificandosi solamente il fatto che taluno ne sia autore, e che il Pubblico giudichi con cognizione diretta delle opere sia intellettuali., sia morali, sia fisiche, si ha una tessera della validità de’ suoi giudicii intorno al merito. Quello che rimane propriamente ad indagare si è, quali requisiti debbano concorrere ad accertare se il Pubblico attribuisca merito a taluuo con fondamento, oppure temerariamente : e se il diverso pregio iu cui tiene le diverse specie di merito, e la stima che ne professa, si abbia a tenere come il criterio della vera quantità del merito di un uomo. Agevolmente si scorge, che se ognuno non può essere vero giudice del proprio merito, il giudice essere nou può che un terzo: ma se questi fosse un semplice privato, potrebbe più facilmente soggiacere alle eccezioni difettose della ignoranza o della parzialità. Dunque per togliere di mezzo, per quanto ò possibile, tutti i vizii del giudicio non v ha miglior espediente che quello di ricorrere al giudicio del Pubblico: ivi almeno svaniscono i piccoli particolari interessi contrarii al mento. Ma ciò nou ostante molte volte il giudicio del Pubblico, preso indistintamente, non può assicurarci del merito. Queste considerazioni possono cadere tanto sulla cognizione . quanto sugli affetti del Pubblico. Esponiamoli paratamente. Trattando dei giudicii del Pubblico sul merito di cjualcl mo particolare, non si deve dimenticare che talvolta un Pubblico dica del suo proprio merito, facendo elogi all’ingegno e all imo e propria nazione. È troppo noto P acciecamento dell orgoglio nazioi Quindi il voto delle altre nazioni tutt’ al più potrebbe divenire uu m | ^ egualmente competente a giudicare del merito del Pubblico di uu paese, come questo lo è per rapporto ad uu privalo. Uu celebre sonilo francese a decidere la troppo strepitosa controversia intorno la pie™1 uenza della musica italiana sulla francese diede peso alle ragioni m vore della prima. Ragionando quindi del merito dei particolari, due cose vien distinguere nei giudicii del Pubblico: vale a dire le notizie ci/ risgttardanli le prove ed i motivi pei quali si possa giu di care aver tal trito fin merito: o la vera codili /dono dd valore e dei gradi del merito medesimo. Rapporto al primo punto, o le prove sulle quali il Pubblico prou un eia stanno sotto gli occhi di lutto il Pubblico, come quando Si tratta di una rappresentazione teatrale, d1 nu libro in libera circolazione^ d’uua cosa esposta nei luoghi pubblici: et siffatte prove gli vengono tramandale per altrui privata tradizione. Nel primo caso rimane ad indagare scegli abbia lo cognizioni e disposizioni convenienti; c se la maggior parie degl* individui clic lo cdfiut pongono siano proporzionati a recare un gl udlrio, sul valor del quale si possa nutrire fiducia, Nel secondo caso e indispensabile riscontrare lotte quelle condizioni, mercé le quali egli può venire accertalo dell’esistenza di un fatto particolare. [Noi qui non ripeteremo ciò die si è già esposto su questo articolo. Solo faremo ri ile Iter e. che il merito la cui esistenza non r dritti inamente comprovata, deve ascriversi al novero ili quelle Laute vane credenze di cui tuttodì si moltiplicano gli esc m pii. Non perciò rag! ou evo I mento si negherà che un tal uomo, vantato come meritevole senza prova alcuna esistente sotto gli occhi del Pubblico, sia fornito di merito. Piuttosto si sospenderà il giudici®, e con mi si dice s*evi lem di n dottare una falsa opinione. Passiamo ora ad esaminare il giudicìo del Pubblico stili* uomo di inerito, i olii titoli siano per la parte di fatto indubitati. Per conoscere il merito di una persona bisogna rilevare una connessione fra ì di lui talenti e il carattere morale, ed no modello dì verità o di bellezza, o un elicilo stimabile o perfetto. Tutto questo importa, che dii deve giudicare conosca il pregio della cosa, cd eziandio conosca i mezzi pei quali taluno sia giunto a produrre Fazione qualunque che serve di londarnento e di titolo alla stima del Pubblico. Ciò riesce perfettamente identico con quanto abbiamo detto sui giudici! del Pubblico intorno alle verità di riflessione intorno al giusto, al (mono ed al belio. Laonde se si usano gli stessi canoni, ì giudicai del Pubblico intorno al merito avranno sotto questo rapporto la medesima autorità che rivestono allorquando si aggirano sulle ricordate materie. Qui prego a richiamare eziandio quanto abbiamo notalo su IF nonio supcriore al suo secolo c su 1F uomo prontamente celebre. Per quello poi die riguarda i mezzi* mercé dei quali Fuouin particolare ha acquistalo opinione di merito, non v’ha dubbio che quanto piò di cognizione e di arte la loro esecuzion : importava^ tanto più il me l'ilo medesimo cresce, a motivo appunto che il suo carattere essenziale importa intelligenza e liberta. Su dì questi messiti si può pensare clic un Pubblico ^ comunque intenderne., noti possa mai essere adequataruectc informalo 3 onde recare una illuminata decisione. Conciassi adì è il pili delle volte refletto esterno non manifesta quanto siasi contribuito ili artificio, di fatica, di cure, di virtù e di cautele. Se t pochi e rari conoscitori giungono ad avere qualche lume intorno a questo proposito, lo ottengono piuttosto paragonando quello che a Ih irò stessi costa ima eoa dello stesso genere, die per una diretta comprensione dei mezzi lEp6" gali dall'uomo di merito* Pcrlocliè il già die io del Pubblico uou puA essere giammai un perielio e adequato criterio del merito iulkra di un nomo. n Dei gntdkìi dei Pithblieu sul me ri lo, considerato uvi rapporto dritti rii luì stima. Pino a qui dir si può dm io abbia ragionato sopra uea ficai possibilità e sopra uu’ ipotesi* attesoché per comodo dell analisi b° !iLP rato nei giudi di del Pubblico la cognizione dagli affetti* Il fatto sta i"1che uo merito non isti maio comunemente unn viene riguardato comi; merito, ma unicamente come talento di produrre cose di uhm , Io generale, quantunque sia vero che la solida e vera a-i ^ debba essere lo scopo delle opere e dei pensieri dell uomo i, veti. \ . tuttavia in latto pratico rosta a determinale se >i qualunque circostanza il Pubblico possa essere Leon conoscitore n que sia comune utilità, c se efleLtivamente la conosca e la risconto produzioni *, quindi determini la sua stima a norma del vero f. j o se pure molte volte lo sconoscale quindi non gli renda la gius11* che Mi è dovuta. Si noti bene: altro è din1 clic il Pubblico tiJ‘ altro è dire che, esondo ; due la sua stima se non se al merito olili? a lui: qualunque merito realmente utile . In stimi sempre. Questo so a a proposizioni totalmente distinte. La prima è vera, eri è indora monte conforme ai rripp0^1 dell’ amor proprio r, della ragione. Uoll’amor proprio; conciossia > ben noto che ciò che porta seco Pi-dea eli un nostro vantaggio deve eoo odiarsi per Jcuge ili fatto il nostro amore! e vi sì deve accoppi31 u :T\. u,.. i, Ula difficob della nvll’ csecu/dotiC; nude d suo autore riveste una specie di stipiì senti mento piu nobile di pregio quando ci avvediamo loriiif ti di sopra della comune. E poi conforme alla ragione 5 a motivo che la natura ci addita l’importanza e la nobiltà della sociale virtù. 1452. Solo convien rammentare, che siccome vi sono anche delle virtù di pregiudicio, così può anche esistere un merito ed una stima di pregiudicio. L’opinione dell’utile presente o futuro, politico o religioso, detta i sentimenti del Pubblico. Senza ricordare la stima agli àuguri, agli indovini, agli astrologi, di cui tutte le popolazioni furono prodighe, non vediamo noi ad arditi impostori tributarsi una sentita stima presso molti popoli anche oggidì? Dunque la stima del Pubblico non è sempre adequata al vero merito, e per conseguenza non può essere norma sicura ed universale a contraddistinguerlo. Ma evvi ancor di più. Supponendo anche un oggetto veramente stimabile sotto gli occhi del Pubblico, egli non si sentirà spinto ad apprezzarlo fino a che almeno non gli venga evidentemente mostrato nei rapporti pratici di una immediata e materiale utilità. Prima di vedere una siffatta connessione egli sarà avaro della sua stima; e quindi il merito rimarrà negletto, e soventi volte disprezzato. Pure hanuovi certi rami delle arti e delle scienze, i quali sono, per dir così, le radici dell’albero che fruttifica a prò del Pubblico. Senza queste radici egli non coglierebbe certamente il fruito. Ma il Pubblico non è grato se non a coloro che glielo spiccano e glielo apportano, e non apprezza il merito prodigato intorno alle radici. Tali sono le scienze solidamente teoretiche, senza delle quali non sarebbe possibile giungere ad alcuna utile scoperta. Ma se queste si trovano un solo grado fuori della più immediata e presente utilità, il Pubblico non ne fa pregio, e le riguarda come cose di vana curiosità. Un primo sguardo del senso comune non estende taut’oltre le sue vedute. Ma qui non finisce peranche la cosa. Date due azioni notoriamente importanti e vantaggiose, il Pubblico non accorda sempre una stima proporzionata al grado della loro utilità pubblica, ma sì bene a tenore del più o meno forte accidentale sentimento eli’ egli ha di tutte queste cose. Se le vicende degli umani eventi fossero sistemate su di una scala di proporzioni morali; se la nostra attenzione, la nostra fantasia, e la forza dei nostri desiderii, delle nostre speranze, dei nostri timori, delle nostre urgenze fossero proporzionate al merito delle cose, io di buona voglia accorderei che il sentimento del Pubblico potesse pur anco servire di norma a fissare i diversi gradi del merito. Ma siccome anche avendo sottocchio le circostanze tutte del merito avviene sempre che non vi presti il dovuto esame; e più occupato a godere del beneficio, che ad esserne riconoscente verso Fa utore, non calcoli il vero grado Um di eccellenza : così il Pubblico deve bene spesso mostrarsi i u giu sto per recesso e per diletto. A eoulerinare questa verità fìngiamo uno di quegli uSempii* dei quali sovente vediamo il modello nella storia di Lutti i popoli, lo gè aerale vince ima battaglia contro un esercito incanìminato verso una capitale, 1 □ politico eoa avveduto Irutlalive allentata una guerra clic sarebbe stata ancor [dù fatale, perchè con un nemico mollo piu poderoso ed agguerrito, il Pubblico non ignora tal fatto, f tuU.i I estensione del pericolo ila cuj il negoziatore Io sottrasse. lappine il Pubblico attornia il generale vittorioso) Io accompagna iu trionfa, gli L N^e statue, v riguarda il negoziatore come un grande riguarda tiu m bLjoii servo. Pure il bene ebe il politico reco fu realmente maggiore I quello dm recò il generale. Egli senza sanane, senza spese, senza terrari jli - ij I anò un nemico assai più pericoloso. L’altro all’ opposto non potè contro nu rneu furie u* urico otLeuere lo stesso bue se non col sarriljciu di molte vite, col lutto di molte famiglie, e colla perdita di molli lesali. N-' dir si può che derivi ria ciò, die i talenti dell1 uno siano 1 uferiori a quelli dell'altro. E noto die le viste di un avveduto politico sua o pili complicate di quelle ili uu generale. i, Ala por togliere anche quest'apparente diversità si sappDtigano due generali . I’ nno dei quali vinca il nemico al remoti confi aidr:J| impero, e l'altro lo scoti figga alle porte della capitale, fo sono cuiidfe dto al primo non si tributerà giammai la stessa ammirazione clic vien dimostrata all altro. Il timore medesimo fa piu 1 orlc me ale avvertire al pericolo* c lo ingrandisce, e rende vieppiù interessante il becchetti ricevuto: bandii: l'utilità sia pari . c la difficoltà vinta sia miuore. Perlock Rvvi un ardore o un languore d1 interesse, il quale infiamma o rallreddàt I immani nazione, perpetua nutrice dei nostri alleili* Conchi udì am£Jj clic 1 opinione del Pubblica non può indicare la vera misura del mèrito nemmeno quando ò uuLorio, c tnlti gli aspetti di luì iu sono JunHtima* mento presenti, e I oggetto di lui c giusto e granfie, 'S I4uf>. S\ potrebbe a udì e q ni a t tendere l 'opera del tempo > ^,J (F‘1^ lasciando calmare V effervescenza di uu preso ala neo interesse m progresso prescolare una più matta misura del merito evidente e fidibliou. Ma se il tempo modera gli eccessi della immaginazione* malte radi1 adda dui lutto quei scotimenti i quali abbisogna v ano d’f^1'0 T^P" più animati, lo però sono ddvviso. elle non intorno alla misura del tifa rito, ma sì bene in torno alla solidità dell 'oggetto di lui SI tempo sia itia tuetra di paragone, per cui E uomo di merita acquista dai posterà qftfclftf ;,Jie gli venne negalo da’ suoi contemporanei. Il manoscritto che noi possediamo ha fine con questo Capitolo, in calce al quale si trova la seguente intestazione aggiunta di pugno dell Autore. Cap. Vili. Raccozzamento e prospetto del complesso dell’ Opera. Recensione delle circostanze generali e speciali, in cui il giuclicio del Pubblico pub essere tenuto come criterio di verità. Conclusione. Questo titolo sembrerebbe annunziare compiuta la discussione dell’argomento. Se non che si trovò fra gli scritti inediti un brano, scritto tre o quattro anni dopo, in aggiunta alla dottrina del bello. È un sollecito abbozzo, o piuttosto una prima nota di pensierima fa credere che l’Autore meditasse una generale ampliazione del suo lavoro. Più volte eccitato a pubblicare quest Opeia die da tanti anni giaceva inedita, palesò il proposito di rifonderla e modellarla su quei vasti disegni che nella lunga meditazione, nell’ esperienza del secolo e nella pratica delle cose era venuto architettando. Questo frammento per verità non era destinato a venire al cospetto del Pubblico nella sua presente forma; ma sembra ad ogni modo che i pensieri che vi si adombrano sembrassero alT Autore non indegni d’essere conservati. Il perchè non ci parve convenevole di abbandonarli aU’obblio. Ltiggv della con tinnita. Si riferisce ai paragrafi 4-fìi, e 13.05 ai t-4-np \ 4,7. Nell Opera inviolata AVeerc/te tWAitó ek£ et uditi i l - i.fH, .itictl*. vmnnw IIM gvtuuufl del Pubblico a dis cerne te il vero dal falso Lo indagato F origine Jd sentimento del bello per rischiarare i fenomeni se eli menadi del gusto, Onesta teoria è fondata nella economia delie umane facoltà, c nella unità sistematica dei principi! motori del mondo morale. La misura necessari ri del! umana comprensione e del giuoco delta memoria nel riprodurne :e conservarne le idee entrano come elementi rii spiegazione. Le due grpudi leggi deir associ abilità delle idee, e particolarmente Y analogia* spiegai-io j l' oo me ni degli accompagnamenti: quella della misura comprfensiva spiega gLiutervallL i riposi, la distribuzione equabile delle parli; éd unendosi entrambe, spiegano quello deli* unità e della semplicità. Queste due, congiunte poi col senso fondamentale ed e speri ritentale de! piacere. o5 dirò meglio, del desiderio del piacere., spiegano il bisogno della varietà nelle idee piacevoli; per cui si La nel minoro spazio la maggior somma compatibile colla semplicità, coll1 unità, e con quella moderala estensione che si proporzioni alla forza rappresentativa della memoria e alia capacita comprensiva dell* anima. A cui se si aggiungi I altere s* sante 9 si produce il massimo di diletto. Si può dire allora: opiM tulli punctum. Questa teoria riduce così i fenomeni alle leggi primitive dello spirito umano; ma par tuttavia Ita bisog no di un'aggiunta. Questa nguarda la gradazione, la successione c l’ordine delle varie idee piacevoli Ò® entrano nelL oggetto, e più precisamente la legge della continuità estetica. S Là. ^8, Per rischiarare lo stato della ricerca distinguo: 1 ■ L estensióne totale del l'oggetto che dì cesi bello* 2d La divisione delle sue [farti corrispettivameuto alla facoltà comprensiva umana. d*° La varietà ira gli elementi. 4." La lacile loro cospirazione AY uniti f . che ne j ! capitola c couHundc il e ance Lio: ciò chi* appellasi ordine. In lodevole seni pii e itti, cioè l’ economia nella varietà per corrispondere alla facile comprensione; cosiceli è gli elementi non siano lauto stivati ila rendere difficile II pronto sentimeulo, uè tanto scarsi da renderlo languido. (1° La distribuzione, per cui queste variet à vengano race Muse dentro certi spazii e con certo ordine, oltre i quali sta la confusi onc^ come al di sotto sta Sa insipidezza; e abbiano luogo i riposi, die possono essere una nuova fonte di piaceri relativi* T.° Gli accompagnamenti per cui la energia deirìmpressìone venga a fu Tata con una specie di ripercussione ogni t piai volta la serie cominci iuì eccedere la forza comprensiva dello spirito. Dopo Lutto questo rimane a schiarire come le varie singolari idee debbansi succedere per produrre il primo necessario elicilo dellarmoidn. Resta dunque a parlare della gradazione, successiva^ ossia della continuità accoppiata alla varietà medesima. La varietà si riduce alla differenza scambievole della loro intrinseca qualità o quantità rappresaltatila. Si Lrova p. c. ndl^sperieoaia, die certi colori collocati successivamente fanno piacere all’occW mentre altri cosi successivamente accompagnati non fanno che dispiacere. Si trova die una forma protratta giusta una certa linea fa piacere, e quindi nasce la curva della hdlez&a; ma protratta in una maniera diversa ? non fa piacere. Del pari una data voce elio succede □ si accompagna ad un' altra produce r armonia musicale, mentre un3 altra ih dissonanza. Qui non Vale propria mente la teoria della varietà^ perchè élla può coesistere a questi difetti: non vale la teoria della sempUciih* perdi è gli dementi possono essere nel giusto numero ed essere tuttavia disarmonici: non vale parimente la teoria thAl'onìine. àcU’ untiti e della distribuzione. Ciò premesso, si ricerca quale sia la teoria fondamentale del piacere annesso a questa intrìnseca graduale armonìa* Essa deve cospirare colia teoria del hdlo^ ed esserne un necessario accompagna mento. ]I giuoco del sensorio e della memoria, per quello thè riguarda l intensione sola delle Idee, non può essere soddisfacente. A questo aggiungiamo 5 che iva due idee comunque diverse non si vede ragione per cui luna debba avere piuttosto affinità con certe, che con certe altre. Parlando metafisicamente. la diversità è una qualità outo logica, fondamelilalo* semplice, indivisibile-, die non può essere cangiata senza upugiiauza, ossia senza violare i fondamenti di ragione. In una parola* due idee diverse lo sono per infinito od eguale concetto di distanza. Con tutti questi riflessi presentì rn propongo mi pensiero clic uou voglio adottare come vero, nò rigettare come falso, lino a die non si esperimenti alla dimostrazione. Eccolo. Se nel succedersi di due idee varie si eccitasse il sentimento di una terza per un mero tacito accompagnamento, che cosa si produrrebbe? Vi avrebbe: 1.°il piacere assoluto di queste due idee; 2. il piacere relativo per la successioue ed il paragone loro : 3.° il piacere relativo pel doppio rapporto colla terza tacita, e inoltre uua ripercussioue di energia che rifluirebbe sulle due iblee espresse. E questo lutto iu uu solo punto. Se all’ opposto queste due idee si succedessero senza eccitare secretameutc quella terza, uou •.mei che il piacere prodotto da esse due immediatamente, e più oltre ancora io sentirei uua disarmonia. I Se questa terza idea, che già per se viene suscitata dalla puma, e che pei l altro estremo di connessione può giovare alla seconda, venisse espressa, certamente si diminuirebbe assaissimo il piacere ^ poieh' si allontanerebbe l’ impressione simultanea fra le due idee estreme pei espiimerne una intermedia, la fruale viene già suggerita da sò. ) i o. AH opposto se invece si scegliessero fra le idee espresse due clic non siano valevoli ad eccitare una tacita idea intermedia qualunque, quale consegueuza ue verrebbe? Il seusorio, in cui le impressioni successive non si possono fare che in tempo determinato, si potrebbe forse trovare affetto iu guisa da uou seguire agevolmente le leggi a lui propiie, e quell affluita graduale di moli che è propria alla di lui natura, e che auzi questa venisse controvertila; o almeno la espansione di lui uou venisse avvivata o secondala, ma lasciata cadere ed estinguere. 146 4. Volgiamo ora alla verità dei fatti. Uua legge naturale della memoria si è di risvegliare, per un solo uodo di analogia e di affluita, idee che 1 uomo contemporaneamente non ebbe. Una idea simile è la medesima idea ripetuta, e però vi corrisponde la medesima impressione dal sensorio. Risveglialo questo movimento, si risvegliano anche gli altri associati dalle circostanze, e però anche le idee corrispondenti. 1465. Due idee analoghe non sono due idee identiche, ma talvolta non hanno clic un’affìuilà di rassomiglianza assai rimola. Ciò stante, tutto quello che uou è rassomiglianza è vera differenza. Se l’uomo non fosse disposto a percepire che le perfette somiglianze, ossia lo vere identità, e non fosse per necessaria legge indotto a percepire anche le a finita meno viciuc, accadrebbe mai questo fenomeno di latto? h uomo è costituito in guisa da percepire una serie di idee giusta una certa ostensione di affinila, senza che a ciò sia necessaria una impressione esteriore. Ma queste affinila lianno un confine. La minima differenza graduale, unita alla più vicina rassomiglianza, va via via estendendosi in ragione inversa; cioè a dire, a proporzione che si aumenta la Carenza si diminuisce la rassomiglianza, e viceversa. Questo costituisce la continuità. Si può graduare la voce così, che il passaggio dal tono più acuto al più grave si faccia d’una maniera impercettibile. In una lunga lettura fatta ad alla voce si offre questo fenomeno. Nei colori le gradazioni e le sfumature si possono fare in guisa, che l’occhio non possa determinare il punto preciso del cambiamento. Se si sopprimono queste impercettibili gradazioni, si hanno le sensibili differenze, e senza ti queste le rassomiglianze hanno una ben estesa espansione. Quali considerazioni somministra questo fenomeno. La differenza è un modo di sentire, ma non è percettibile che a certi determinati intervalli, fuori dei quali per l’essere senziente non c’è vera mente differenza. Ma s’è certo che si può passare a questi intervalli per gradazioni impercettibili, è pur vero che i nostri organi sono fatti per sentire queste impercettibili gradazioni. 1469. Se la gradazione non si può fare che di una sola maniera, nè può stare in arbitrio dell’uomo il produrla eccitando d sensorio in altre maniere, è pur anche certo che le leggi della di lei impressione sono necessarie. 1Se le gradazioni vicinissime non somministrano il senso chiaro della varietà, ma bensì sovrabbondano in quello della uniformila, e chiaro che non possono essere nei massimi rapporti del bello, che esige la varietà. Se finalmente le analogie servono di eccitamenti a risvegliale idee corrispondenti, è chiaro che fra due idee d’una determinala varietà se ne debbono eccitare altre inavvertite intermedie d’una minore varietà, che possono dare come una sfumatura di piacere, e clic pure debbono ad un tempo stesso avvicinare l’impressione delle idee anteriori e posteriori espresse, che non sono rimote da essa idea sottaciuta ed inavvertita, e produrre così il piacere già disegnato nei prenotati ante tm Yi“ chiamate t set hctltiicnle^ ossia coi segui di convenzione, 10. Questa osservazione è forse nuova, tua è importa u Le e decisiva yw la sorte iutiera della scienza. Essa abbisogna non solamente, come Lai riire nostre produzioni intellettuali, d’essere rappresentala in uua sola maniera, ma di essere espressa in due maniere diverse. Considerando in generale i progressi dell’umana ragione, si scopre che col distingue/ e si crea la ricchezza, e col rappresentare si dona la possanza razionale. La ricchezza sarebbe perduta, se la rappresentazione non la coprisse colle sue divise. Così mirabile e possente si è il magistero rappresentativo, che pare costituire il dominio eminente del mondo umano. Vedetene la piova nella moneta, nella scrittura, nei pesi, nelle misure, nella bussola nautica, nei barometri, termometri, igrometri, nei pesa-liquori, e in mille altri stromenti e segnali che ci assicurano delle qualità o quantità delle cose, dei fatti, e perfino delle nostre stesse volontà, ec. ec. I progressi del magistero rappresentativo, come assicurano, così testihcauo visibilmente le crescenti nostre cognizioni. Ma esso variar deve a norma del bisogno. Quando esso viene applicato alle cose fìsiche, egli ha l’oggetto suo corrispondente rappresentatoci dai sensi, e quindi dalla memoria; quando esso esprime qualche nostro sentimento, qualche nostro bisogno, qualche nostra passione, esso ha pure nel mondo interiore il suo ometto intelligibile, fabbricato dirò così dalla natura: ma quando versa sulle idee matematiche, esso non può ricorrere alla rappresentazione verbale, se prima non compie la razionale. 11. Voi mi direte che in Matematica vi sono le figure, le cifre numeriche, e gli altri segni. Ma di buona fede credete voi ch’esse siano e tali e tante da supplire al bisogno dello spirito degli apprendenti, e che la maniera colla quale vengono usate supplisca a siffatto bisogno? Questa ricerca mi porterebbe a trattare un argomento speciale, sul quale dovio appunto dir qualche cosa. Basti tutto questo per far presentire il bisogno di riformare il primitivo insegnamento delle Matematiche . Io qui prescindo da quei molivi che riguardano l’intima natura dei metodi complessivi della scienza. Posto tutto questo, e volendo tracciare un buon metodo d’istruzione, parmi che convenga considerare tre cose ad uu tratto; cioè: 1.° che cosa esiga da noi la cognizione più breve, più lacile e più proficua del vero, avuto riguardo all’ indole propria della materici da insegnarsi; 2.° che cosa esiga, avuto riguardo allo scopo morale c sociale a cui destiniamo l’insegnamento; 3. che cosa esiga finalmente, avuto riguardo allo stato particolare ed al bisogno degli apprendenti. S 12 1 risultati di queste tre considerazioni, contemperate le uue colle altre, formano le condizioni di qualunque buon metodo d’insegnameulo. HI Iti c Toro 2 io 111 non i naie ZIOilG 2 PRODUZIONE onsegueuza di queste condizioni si stabiliscono le regole. Ampio Lisi ri chiederebbe^ se si volesse di proposito trattare so queste is^ tanto in generale rpiauLo io particolare per le Matematiche « Ma intendendo che di motivare una proposta ; credo clic basti aeccualcuni principi i che piu da vv Scino riguardano la primitiva istruivate malica. Esaminando i termini della prima ispezione, essa ci porta alla riucrca = quale idea formar ci dobbiamo della Datura e dèlia generazione degli enti matematici, ossìa meglio dei concetti primitivi che intervenivo come elementi nella scienza della quantità* =±= Questa ricerca dopo Loti secoli dovrebbe essere stata esaurito, e quindi la risposta dovrei» b esftere \a pponto* Ma considerando attentamente le cose che sì dettano c s’ insegnano, siamo noi certi di poter rispondere con verità? L'esame di alcune sentenze fondamentali dei matematici cì convincerà che noi abbisogniamo ancora, di un'analisi psicologica dì questi primitivi concetti. Ma essi corno costituiscono V abbici della scienza, somministrano pure i primi lumi logici del metodo : la cognizione adunque almeno abbozzata dalla loro indole e generazione vera naturale è indispensabile per istalline le condizioni di questo metodo* 14. Generazione naturale del punto c della lìnea. 1 primi concetti matematici sono quelli che versano sull’ estùrmone. Una grandezza senza forma in Geometria è mi assurdo filosofico. Le nitrazioni colle quali si è preteso di generare gli enti geometrici debbono essere uniformi alla natura logica delle cose, ed alla maniera con cui opera Ì1 nostro intelletto. Con un'astrazione non è permesso di cangiare l'essenza del concetto originario 5 ma unicamente si deve far avvertire all’idea ultima che si è voluta dislaccare dalle altre. Dunque Fidea astratta deve portare F Impronta autentica della sua origine; altrimenti essa e dirò così apocrifa, e quindi falsa in fatto. Seguendo questo princìpio, jo uou dirò mai, per esempio, che la lìnea sia prodotta dal flusso del punto indivisibile ; ma dirò invece eh* essa è V estremità d'una superficie. Diluiti il concetto della linea si genera in noi concentrando l’attenzione STi questa ^tremila, l, idea nata da questa concentrazione separata Haliti a [ire si chiama astratta $ segnata con un nome, appellasi linea. Voi presentando 5 per esempio, una carta bianca tagliala sotto una forma qual, tjuque, fissando 1 attenzione sul suo contorno, formate ridea delEn litica o rena o curva, a norma della forma che avete soli* occhio* Dividendo jicu questo contorno in minime parti, e ferma udo Fatte azione sopranna di esse, estraete l’idea del punto; come pure la formate i marmandovi no roto odo appena discernibile, o tutto nero. L idea del flusso di im punto è tutta artificiale . per far in le udore come si formerebbe la lìnea se si potesse seda generare iu natura. Essa ° 1 operazione inversa del l'astrazione già fatta. Ma altro è il meccanismo mannaie, ossia la formazione arti Belale dima cosa* ed altro è la generazione logica o psicologica della medesima. Voi* per esempio, descrìvete l elisse col giro di un h lo raccomandato a due punte; voi costruite la parabola con un filo attaccato, e col movimento di una squadra: direte voi perciò che questa sia la generazione naturale di queste curve? ÌSo certamente; perche un altro ve le presenterà con un tagliò del cono. 0 qualche altro forse eoo altro strumento. Le nostre costruzioni artificiali conscguenti allo studio non formeranno mai l’origine net tur die di un idea presentataci dalla natura * Ma nuche dato che voi vogliate per comodo vostro spiegare come si possa simboleggiare e descrivere una linea ed un punto, lungi che voi possiate applicar loro F attributo d inestesi ^ vi ponete anzi uelF impossibilità di far nascere questo con celta. La inauo e 1 occhio non creano uè crear possono cose incstese 0 invisibili. Ihii ancora: dalle cose vedute o toccate è assolutamente impossibile ricavare 1 idea dell invisibile e àclY inesteso f Ma voi generar volete lesf.ee alone per mezzo delFiucsteso, nell7 atto stesso che Iu una maniera serisibilo, mediante il movimento della linea, fate nascere la supci'fteie e il solido. Così ponete e negate ad un tratto l’estensione* Ma, per flauto vogliate illudere voi stessi ed altri, voi non potete mai e poi mai riuscire ad accozzare insieme questi concetti. Da ciò ne viene, che a dispetto dei matematici il concetto del punto 0 della linea non si possono spog^arfl giammai deli idea di una minima discernibile estensione. S i5CIie d Punt0 matematico non è il princìpio de Ha figura, ma è la stessa figura, // punto, di cesi, è il principio di tutto . Ed io rispondo, volete: essa sarà sempre 0 un circolo, o un quadralo* 0 un triangolo ec. cc. Convertirla in un punto non è solamente un distruggere il concetto di lei 5 ma egli è un pretendere clic il punto possa essere ad un tempo stesso circolo, quadralo, triangolo; ossia che il suo concetto possa simultaneamente essere identico e diverso. Qui non v’è mezzo: o conviene che il concetto del punto sia nello stesso tempo il concetto di tutte queste cose insieme (locchò è logicamente impossibile), o conviene che non sia veruna di esse; perchè il concetto del punto e essenzialmente diverso da quello di ogni determinata figura. Ridotta dunque la figura al minimo termine possibile imaginario, essa rimarrà sempre com è. peichè la sua forma costituisce la sua essenza. Devesi dunque ammettere in Geometria una specie d’impenetrabilità logica, come in Fisica si ammette P impenetrabilità materiale. Anzi, a dir vero, l’impenetrabilità logica è ancor più manifesta della materiale. Ciò non è lutto. Supponendo il punto inesteso, essenzialmente si esclude la possibilità di formar V esteso ^ perchè il concetto della negazione esclude quello àe\Y affermazione. Il concetto negativo dell estensione ripugna al concetto positivo della medesima, come il nulla ripugna all’essere, e il bujo all’illuminato. Ma supponiamo il punto anche esteso: egli tuttavia non potrà logicamente essere il principio formale della figura, perchè la forma individua d’una figura non può ripetere il principio che dalla stessa sua essenza. Per quella ragione che il primo esteso ripete da sè stesso la propria forma, ogni altro esteso la ripeterebbe sempre da sè medesimo. La forma univoca d’una figura o semplice o complessa è logicamente unica, indivisibile e propria, talché non può risultare che da un concetto univoco e indipendente da ogni altro. 0 conviene abolire il concetto dell 'essenza logica delle cose, o conviene concedere che il principio della figura sia la stessa figura. 1 6. Delle essenze logiche e del possibile ideale. La mente umana ragionar non può che sulle essenze logiche, e trarre la certezza e la evidenza se non che dalla loro considerazione. L’essenza logica altro non è che quel tale concetto, senza del quale non possiamo affermare che una cosa sia o possa essere. Pensando quindi che una cosa esista o possa esistere, noi giudichiamo essere impossibile la sua esistenza senza presentare questo suo concetto. Il verbo essere inchiude queste idee. Quando parliamo di oggetti distinti, parliamo di oggetti particolari ; e quando parliamo di particolari diversi, noi concepiamo in uno ciò che noi concepiamo negli altri. Le essenze dunque particolari sono necessariamente qualificate, ossia hanno ognuna un determinato caratterc. Ma ila] l’altra parie tolti questi caratteri. 3] concetto della cosa svanisce. Dunque 1 Videa di questo carattere o di queste qualità b insepèraLile dal concetto dell essenza* Ecco Eattrìbuto ed ecco pure l5 immutabilità perpetua di un’essenza, sia reale, sia possibile. ba differenza fra il possibile e Vesislente consìste; quanto a noi* nella d inerenza fra lì reale c il puramente imaginatìo. Ma questo con celta nou altera quello degli attributi essenziali degli oggetti. Dunque la differenza fra l esistente e il possibile^ lungi dal cangiare il concetto esseri zia le delle cose, anzi fa sì die Elido serva, dirò così; di specchio all'altrò. CoHaggranjfirfi o impiccolire non si altera it carattere formale delta figura. Queste nozioni sono certissime, primitive, c comuni a tulli gli oggetti dei nostri pensieri. La Matematica dunque non può die ubbidire alle medesime. Impugnarlo o tramutarle egli è pretenderò che Diamo aLqim il buon scuso, o cangi le leggi del proprio intelletto. Ciò premesso5 proseguiamo. Ogni figura può essere considerata o rispetto a sé. stessi o rispetto ad altre. Considerala in sè stessa, come far si può dTun astro solo in grembo al bujo assolti Lo, essa d presenta E Idea di un esteso finito avente una data forma. Questi sono attributi essenziali di lei, .Domandare il perchè siano tali e non altri, è lo stesso che domandare il perchè il bianco sia bianco, e il rosso sia rosso. Il vero e il fatto qui sono tu Li’ uno. Non sono i limiti che facciano esistere Io spazio: ma t Io spazio finito che somministra E idea dei lìmiti La diversa maniera colla quale può esistere ossia figurarsi questo spazio, costituisce la forma o le vane forme che appella usi figure. L’idea della forma è semplice, individua, immutabile, come quella di uu odoro, di un sapore, del caldo e del iietldo. Essa è attributo specifico, ossia costituisce Eessenza particolare Con ciò essa si qualìfica, e si distingue la figura. Cercare concetti equivalenti è un assurdo, perchè sarebbe lo stesso che cercare di tramutare il L in nQ> Considerando una figura isolata reale, noi c7 imaginiamo che po^sa essere più grande o più piccola* Ma questo concetto è logicamente relativo^ perchè colE imaginazione si finge la stessa forma o più graude o più piccola. Se dunque nel grande o nel piccolo distingue si il concetto positivo dal comparativo, ciò non nasco che dalla diversa maniera di paragonare, Nel positivo prescindiamo da qualunque paragone special^ come quando diciamo uu uomo grande o piccolo. Nel comparativo n riferiamo ad una data finita grandezza. La denominazione adunque ito . I j 7 lala di grande o piccolo inchinile mi paragone generico $ la locuzione di più grande o pili piccolo involge un paragone specìfico. Qui sorgono ìe idee del maggiore o del minore rispettivo* Questo s lesso può essere deie rminatoo in deierm it i a i o . 11 concetto adunque che domina in tutte queste consrd orazioni è sempre relativo^ e puramente relativo. Ma il relativo non può alterare i a imita i cara1eri spcci/ici degl’oggeiti; ;m zi il r eia tivù è lutto fondato su questi caratteri., e risulta appunto essenzialmente dal paragone di questi caratteri* Dunque, parlando delle figure e di ogni altro oggetto possibile, vale il detto* che il pili e il meno noti muta la specie. Ma se non muta la specie, dunque uou mula né le relazioni, uè le affezioni, nò le funzioni annesse ed essenziali alla sua specie. Fu detto di sopra, che il principio della figura è la stessa hgurs. Dunque il grande e il piccolo non potrà mutarne la specie, o snaturatile le funzioni. J magma Levi pure un circolo, un'elisse, un quadralo, oppure qualche minima parte imita o figurala di ogni figura possibile. Le loro relazioni saranno le stesse, perchè la loro indole è immutabile. Voi potrete ampliarle ed audio divìderle mentalmente, come per ravvisar meglio una cosa lontana vi avvicinate, o per vedere una cosa minuta a doparate una lente o un microscopio. Ma ciò non altera punto il carattere specifico della figura o della quantità: ciò è anzi impossibile, come ognun gente Dunque logicamente assurda sarebbe tuia dimos trazione, la quale si fondasse sul supposto che il grande a il piccolo possa tramutare le funzioni logiche degli oggetti geometrici, 18, Fallacia del concetto della divisibilità infinita dell'esteso fluito. Di mesi raziona logica di rei La. Ogni parte di spazio finitoossia ogni estensione finita, esclude essenzialmente il concetta di infini tOi E pure sogliono i matematici parlare à' infiniti', e d’ infiniti maggiori gli uni degli altri. Essi suppongono la divisibilità infinita delLesteso finito In questi discorsi qual è il concetto che illude? Il concetto che illude si è quello die nasce dalP accoppiare la nuda e fantastica possibilità delbaggrandìmeuto o impiccolì mento deifestoso colto stato positivo c coi rapporti determinali della misurazione o della divisione* Da ciò nasce il giudizio, clic l’idea delf aumento o decremento metafisica mente possibile delf estensione si posso accoppiare coll'operazione della misurazione o delta divisione. Ma questo giudizio, se bene addentro venga esaminato, si trova essere contro ragione. Ecco q e la prova. Egli c certo che Leste n si onc in genere si può in un senso astrailo Voi 1* H Sfollilo raffigurare judo fini (.amen le suscettibile di aumento o dee renne uto^ nm egli t* mio drl pari, cIjc 1 idea di un palmo è finita come quella di un digilo, g che 1 estensione finita di un palmo ò maggiore dell’ estensione finita di un digito. Ogni esteso reale è finito, e però i limiti delPestensioue esistente sona sempre determinati, Lo spazio infinito uou è più una quantità, perché non ò suscettibile di aumento o di decremento. Non di a u ni e a lo . pe v c ì t o si figura i ufi n i Lo : non d i de e re m e ulo . ] >e r eh è se fosse suscettibile di decreti] en lo. stando la sua natura ò? infinito. sarebbe perciò s lisce ui bile di gradii noli ulto stesso che non sarebbe egsenzi a Ime'ut* su scelli bile di aumento. Cosi o cesserebbe la sua essenza logicalo si dovvebbe ammettere uu co n cello con irati dii torlo, Da ciò uè viene, clic lo spazio infinito ed I! punto in esteso si rassomigliano col non ammollerò I idea di quantità, V idea dunque dì quantità estesa Pia fra te chimeriche idee del punto inestéso e dello spazio infinito, li piu e il meno -adunque noti si può logica mènie verificare che nelLesteso finito elhnitain, Pro codiarti olire. Ogni aumento a decremento di un esteso finito ioTolge nel suo co ned lo uu* addizione o sottrazione di una porzione esU’* sa finita. Questa^ porzione» qualunque siasi, è positiva. ; questa porzione ar-lfa data ipotesi o aggiunge o sottrae una pari e .rispettiva estesa, avrà dunque sempre mi residuo esteso e finito, sia uguale, sia dwBgpalo. sia aliquota, sia non ali quo Lo, LSc talvolta voi non potete ragguagliare il residuò colle prime porzioni che avole fallo, oppure non potete ha cn incidere sui esteso col metro che avete assunto, ue viene mo la coasngueuza della divisibilità infinita dell'esteso che avete sottocchio? Unnici conseguenza legittima che ne viene si L che voi non pollile trovare uoa coincidenza metrica^ sia fra le porzioni separale e la residualo, sia fra d metro vostro e. l'estero misuralo, e nulla più. Dedurre la con segue clic Testeso finito residuali', sia infiailàmeate divisibile, egli è lo stesso The affermare ad un solò tratto ch'egli sia in finitamente esteso, c sia nelI allo stesso suscettibile di aumento o di decremento; lo che è un assiu'n manifestissimo. Allora lo spazio infinito sarebbe lo stesse clic mi alomo estesa, ossia le due idee dello spazio infinito c ri 1 Vaio fa o saiehb*^0 l.,i Riessa cosa. Allora^ anche quando avete una misura coincidente, poIresle dire che ogni digito ed ogni atomo è infinito: e quindi avreste mtìniii maggiori, minori, od ugnali ad altri infiniti. Ma a che vidurrehbcsi allora la cosa ; La cosa si risòlverebbe a significare clic I infinita sarebbe propria dei maggiori, dei minori e degli eguali estesi finiti; e quimh !-KV sta in non cale questa qualità comune, rimarrebbe sempre la necessita di determinare rannidilo o il decremento rispettivo di questi estese L’mfinita divisibilità pertanto, comune ad ogni esteso e ad ogni porzione di lui, rimarrebbe sempre una qualità puramente oziosa. Ridotta al suo vero, valore, essa si risolve nel concetto proprio del V esteso^ in quanto è suscettibile di ampliazione o di diminuzione, di addizione o di detrazione, e nulla più. L’idea della suscettibilità astratta del V esteso di soffrire tutte queste alterazioni senza fissar limite alcuno, associala all’idea di vcirii estesi finiti, fa dunque nascere l’ illusoria ed irragionevole idea di questi enti ad un solo tratto infiniti e finiti, maggiori gli uni degli altri. 19. Come nasca il giudizio della divisibilità infinita dell’esteso finito. Sua irragionevolezza. Se voi raccoglierete l’attenzione sul vostro intimo senso, voi troverete una conferma di queste osservazioni, e v’accorgerete in che consista 10 scambio logico dal quale nasce la vostra illusione. E di fatto che voi nel misurare gli estesi non fate uso del punto iuesteso, ma adoperate l’esteso, ed agite sull’esteso. Ora sotto questo rapporto il moltiplicare e 11 dividere vale lo stesso. Voi dunque proseguite a dividere. Ma l’idea di una cosa estesa sta sempre avanti gli occhi vostri, perchè agite sempre su di lei. Per quanto adunque ripetiate questa operazione, essa vi darà sempre lo stesso concetto. Egli è lo stesso come se diceste: io penso ; io sento di pensare ; io avverto eli sentire di pensare ; io sento di avvertire di sentire di pensare; e così all’infinito. L’idea d’ infinito sapete dove sta? Nell’astratta idea della possibilità di proseguir sempre a ripetere la stessa cosa: e però non istà nell’oggetto, ma in voi. Lo stesso avviene quando vi occupate a dividere l’estensione. L’indefinito infatti si verifica sì nel grande come nel piccolo, perchè entrambi vi presentano sempre un esteso. Quindi voi avete sempre il motivo o di ripeterne la misura, o d’ impiccolirla a piacere. Finché dunque non fate cangiar natura all’idea di estensione, essa starà sempre presente al vostro intelletto, e produrrà in voi lo stesso concetto. Ma col farla crescere o diminuire non la distruggete. Dunque ripetendo senza fine la vostra operazione, e pensando di poterla ripetere senza fine, voi giudicate che la divisione o l’impiccolimento possano essere infiniti, e quindi che l’estensione sia infinita. Con questa maniera voi potreste dire anche un sapore, un odore, un suono iufinito, perchè potete imaginare gradazioni senza fine. Ma il fatto sta, che questa infinità non è che illusoria, ed altro non significa che un’idea non si può cangiar mai iu un’altra. conferma Li dimost razione 05 (Questa irradio fievolezza, E per verri à sì il gititi ile die il piccolo li anno un’essenza ed miesislenza o reale o intellettuale, Ripugna logica mente die nello slesso punto siano e non siano, IMa (piando divìdete o impiccolite nn oggetto, Io supponete per ciò stesso esistente co’ suoi attribuii essenziali* Dunque nella funzione della divisione l’idea di esistenza interviene sempre nel vostro concetto. Ma quest’idea è immedesimata colFidea delFftfó€tt£ft* ossia cogli attributi qualificanti il soggetto* Dunque ned la divisione dell* esteso interviene come indistruttibile l’idea dclFé\?/envfQrae. Questa conseguenza è evidente al pari del sentimento della nostra stessa esistenza* a meno che non convertiate 1T idea di divisione*, efiè indica parti esistenti e sussistenti* in quella di aìinientamcnto^ che indica la negazione di ogni esistenza. Ora vi domando se il sì possa diveltar no. E vero* o no, che la divisione richiede un oggetto positivo, le -parti del quale si vogliano separare? Dunque peT ciò stesso si sùppongoim parli esistenti c sussistenti. Ma se sono esisto Dii, e se lo coucepilo e5È* stenti, come poi eie voi risolverle nel nulla? Se parliamo di un tutto èstero dm sia un aggregato, le parli non so no che ripetizioni dell’esteasiouc. Allora figurate più csLesi die compongono un esteso: ma separati, esn vi danno sempre l’idea d’uua propria estensione, c voi siete sempre da capoAllora abbandonate la divisione, e ricorrete all* impiccolimejitQ, e con accade una perpetua ripeliziouc dì concetti, come sopra ho annotalo; fi quindi pronunciale F estensione infinita. Ecco il vero tenore dell infinito dei matematici. 2 I C he la pretesa Infinità suddetta altro in sostanza non e die la impossibili1 di cangiar V essenza logica della quantità. lu qualunque concetto di una grandezza o massima o mlmnu UOk associamo due idee che &i confondono; la prima è quella di esiste la seconda è quella di estensione. Ma siccome all 'estensione ^crol P1'' i I pih od il mono, così ci fig u v j a ino d ì po Ter divide re o i m piccoli r ] y 1 1 finitamente. Ma a questa maniera, come ho già detto, posso indeiunlnmente diminuire un suono e qualunque altra sensazione, e quindi dirle infinite, e però considerar rae stesso, dm tutte le provo, come un essere infinito, ila se per verità, come ho già dimostrato, tutto ciò non so-1 fica altro che F i m possibili I à di cangiar Fesseuza logica di una cosa, e di convertire il sì in ?ìo, egli ne segue che F infili ilo dei matematici è uu& mr*ra illusione, anzi una vera e positiva assurdità logica, X on v'àcéorgetó voi della contraddizione che voi stessi commettete, quando da una parte mi ponete avanti 1’ infinitamente grande, l’ infinitamente piccolo, e dall’altra i punti e le linee inestese generatori dell’esteso ? Se la divisione può essere infinita, dunque non si potrà finir mai coll inesteso. E se 1 esteso può incominciare coll’ inesteso, dunque la divisione e 1 impiccolimcnto non saranno punto infiniti. Se volete, io vi darò infiniti più meravigliosi. È di fatto che uno specchio ha la facoltà di riflettere l’imagine di tutti gli oggetti presentati* ecco un influito di riflessione. È di latto che una palla ha la facoltà di seguire tutti gl’impulsi che le vengono dati: ecco un infinito di movimento. Questi attributi sono proprii tanto d’uno specchio grande, quanto d’uno piccolo; tanto d’una palla grossa, quanto d’ una minuta. Questi attributi dunque non sono annessi nè alla grandezza nè alla piccolezza, ma alla natura intrinseca della cosa, la quale finché sussiste darà sempre lo stesso effetto. Ecco una parità per l’estensione infinita dei matematici e per qualunque altro simile concetto, lo lo ripeto: 1 infinito non è nelle cose, ma nel concetto interno dello spirilo: o, per dir meglio, non è in verun luogo; a meno che non vogliate erigere in oggetto infinito l’impossibilità di cangiare le essenze logiche coll’ aggrandire o coll’ impiccolire. 22. Da che deriva l’illusorio giudizio dell’infinità dell’esteso finito? Da che adunque derivò che tanti uomini insigni adottarono con persuasione le idee di questi infiniti? A me pare che debbasi attribuire a due cagioni influenti ad un solo tratto sui nostri giudizii. La prima consiste nel confondere l’idea dell’ aggregato materiale, che ci si presenta unito in un’idea sola, colla idea nuda d e\Y estensione ^ o almeno nell’ associarle in modo che l’una non vada disgiunta dall’altra. La seconda consiste nel dar corpo a tutti i nostri concetti della quantità, e costituirne altrettanti oggetti reali dolati d’una positiva esistenza. E quand’anche non si empia il mondo di sillatte creature, si considerano almeno come qualità reali, ossia come idee corrispondenti a qualità reali esistenti nelle cose. Ma se avessero pensato che la mente umana, sia che si alzi al firmamento, sia che scenda agli abissi, non esce mai da sè stessa, avrebbero conchiuso che l’universo non è che un fenomeno ideale presentatoci dai rapporti reali che passano fra lo spirito nostro, e gli oggetti a noi incogniti esistenti fuori di noi. Allora avrebbero riguardate le idee tutte di spazio, di estensione, ed altre simili, come puri segni naturali corrispondeo ti a questi oggetti, e nulla più. Anzi avrebbero riguardate queste idee come segni secondarii e rimoti, perchè furono dedotte da noi col magistero deli astrazione. Allora avrebbero distinto ciò che ci viene dal di fuoii da ciò che ricaviamo totalmente dal nostro fondo alP occasione delle idee che ci vengono dai sensi. Allora avrebbero veduto che tutte le essenze sono puramente logiche per noi, e che non possiamo nè potremo conoscere giammai che cosa siano le realità degli esseri esistenti fuori di noi, e nemmeno conoscere Piutima nostra realità. Quando la filosofia avrà acquistata quella finezza, quella certezza e quell ampiezza che la di lei natura richiede; quando eserciterà i suoi dintli su tutti gli oggetti che le appartengono: cesseranno anche quelle illusioni le quali predominano a proporzione che l’impero della fantasia prevale su quello della ragione. Allora svaniranno gl’ infinitamente grandi e gl infiniti piccoli. Allora non s’imbroglierà più lo spirito degli apprendenti con paradossi respinti dalla ragione. Allora non si dirà più a loio: ecco due parallele protratte indefinitamente; da un dato punto della parallela superiore tirate laute linee obblique alla parallela inferiore: 1 angolo si andrà sempre diminuendo; ma non si raggiungerà mai la parallela superiore. Ecco quindi un infinito reale. Traducete questo discorso, e dite: lo spazio in forma di lista rètta ed uguale non sarà mai simile allo spazio in forma di angolo; locchè si risolve nella proposizione, che la lista non è angolo. Sua equivalenza coll’ infinitamente piccolo. bino a qui abbiamo esaminato un giuoco irragionevole di fantasia, o dirò meglio un’inavvertenza nel non esplorare le alterazioni ideali nate nei passaggio che fa la mente dai concetti generali ed assoluti ai concetti speciali e relativi. Pare scusabile questa inavvertenza; ma che cosa direste voi quando vi venisse dimostrato che quegli stessi matematici che adottarono gl’infiniti maggiori e minori degli altri proposero nello stesso tempo 1 idea di quantità più piccola di qualunque escogitabile ? Svol gendo questa idea, non solamente essi distruggono gl’ infiniti suddetti, ma si abolisce perfino, senza bisogno, l’essenziale concetto della stessa quantità. E per verità, quanto al bisogno io osservo che il calcolo non La d’uopo dell’idea d’una quantità più piccola di qualunque escogitabile; imperocché il piccolo e il grande sono idee puramente relative 5 e non possono essere che relative. Ma per ciò stesso che le fate servire, sia per paragonare la grandezza di due 0 più oggetti, sia per segnare la nspet j] ViJ liniere)) voi creato uu misuratore geometrico tu! aritmeticomediante il quale intendete di scoprire V identità o la diversità di quantità delle "raudezzc paragonate, Quando questo metro abbia soddisfatto a quest'ufficio, T intelletto non abbisogna dì altro. Ora por soddisfare a quest’ ufficio non è necessario che questo metro sia una quantità piu piccola di qualunque escogitabile, ma basta che sia tanto piccola da esprimere o* ni valore che attribuite ? o qualunque differenza che segnar si devo nel dato processo. Dico nei dato processo^ e non in ogni processo immaginabile* Voi oil direte elio ha v vi la quantità conti un# m commensurabile* e die questa abbisogna di essere valutata. Ma qui vi domando se voi col misurare pretendiate di convertire il diverso essenziale in identico, e se ciò far si possa coll'assurdo concetto della quantità pili piccola ili qualunque escogitabile. Dico concetto assurdo; imperocché una quantità più piccola di qualunque escogitabile significa realmente un'idea che sfugge dia percezione, e però uu nulla logico. lo secondo luogo poi c certo, die quando pone Le l'idea di quantità, voi vi figurate una cosa suscettibile di aumento o dì decremento. Questa condizione è così inseparabile dall’idea di quantità, che senza di essa si distrugge il SUO concetto, coinè consta dalia sua de finizione* Questa condizione è anzi quella che determina Tesseoza stessa della quantità. Dunque qualunque quantità è esseri zialmen te suscettibile ddm picco iirnen lo; dunque è metafisica mente impossibile il figurare una quantità più piccola di qualunque escogitabile* O con vie uè adunque aborre l’idea di quantità 5 la quale, nei suo essenziale concetto involge la possibilità di aumento e di decremento, o bisogna rigettare come assurda l’idea di ima quantità più piccola di qualunque escogitabile. Tutto questo è per se evidente, nè potranno mal Ì matematici controverterne la verità. Ora domando se fra la quantità più piccola di qualunque escogitabile, e gli infinita mente piccoli esitali o resuscitali nei calcolo* passi una vera e logica dille reo za. Dove non si discerne nulla non si concepisce nulla* )Ia così è, che neU’iu finito non si dia cerne nulla, nè si pr e finisce nullo e specialmente si esclude l’idea di aumento e di decremento. Dunque gl’ i ufi u ila niente piccoli suddetti sono equivalenti alle quantità più piccole di qualunque escogitabile; dunque invano si potrebbe pretendere di riformare i fon dame a li della Materna Li e a col far resuscitare o e olTìm piegare questi piccoli infiniti, come ha faLto recente mente mi trase e li denta lista del IN orti* Il Le nozioni speculative della Matematica debbono necessariamente servire alle operazioni del calcolo. Ma il calcolo è un’ arte ; e quest’arte sarà più 0 meno illuminata, a norma che le nozioni speculative saranno più o meno adequale. Nè il meccanismo, nè Y espressione materiale distinguer debbono le specie diverse del calcolo delle quantità. Questa distinzione deve ripetersi dalla natura dell' oggetto 5 cui mediante il detto calcolo ci proponiamo di conseguire. Questa sentenza è fondata su di un principio logico, del quale si parlerà nel Discorso quarto. Quest’ oggetto non può consistere che in una data cognizione o in una data opera. Essa forma lo scopo 5 il calcolo ne forma il mezzo. Ma questo mezzo non ìiesce efficace, se non si conoscono le affezioni particolari e le leggi delle quantità. Queste affezioni e queste leggi sono fondate sulla natura della quantità del numero. Dunque conviene formarsi un’idea esatta sì del1 una che dell’altro. Io non esibisco un Trattato di Matematica, ma sole osservazioni sull insegnamento primitivo. Quindi dovrei ommellere il parlare di proposito dall’indole intrinseca della quantità e del numero: e volentieri lo farei, se anche qui non avessi a fronte autorità contrarie imponenti. La quantità astratta può essere bensì concepita come qualunque altra idea semplice, ma non può essere definita. Noi anzi non possiamo nemmeno formarcene idea, se non quando l’applichiamo a qualche soggetto reale. Allora apparisce qual’ è veramente; allora veggiamo eh essa non è che quel modo di essere, pel quale una cosa è suscettibile di aumento o di decremento. Il concetto della quantità racchiude in un solo punto quelli dell identità, e della diversità, per ciò stesso che racchiude le idee di piu e di meno . Questa condizione è così essenziale, che senza di essa svanisce il concetto della quantità. Tutto ciò che non è suscettibile di gradi non è suscettibile di quantità. La verità, la certezza, 1’esistenza, ed altre simili idee, non ammettono gradi, c però non sono suscettibili di quantità. La verità primitiva ed assoluta altro non è die un sì od un no immutabile. La certezza consiste nell’affermazione 0 negazione di una cosa escludente il dubbio del contrario. Quando nell affermazione o nella negazione entra il dubbio, nasce la probabilità, la quale ha tanti gradi, quanti ne ha il dubbio. Il dubbio assoluto esclude anche la probabilità, perchè l’animo non propende nè per il sì nè per il no: la ragione sta in equilibrio perfetto, e non giudica; sente il peso, ma uou propende da veruna parte. L 'imparzialità logica somiglia a quella di una bilancia che regge pesi uguali. L’eguaglianza non ha gradi* c però anch’essa non è suscettibile di quantità. Lo stesso dicasi dell’equilibrio perfetto. Il concetto universale della quantità si riferisce a tutte le cose suscettibili di più e di meno. Ma tutte le nostre sensazioni, tutte le nostre passioni, e molti altri modi nostri di essere o di agire, sono suscettibili dell’idea del più e del meno. Dunque sono suscettibili dell’idea amplissima di quantità. Dico amplissima, perocché nel comune linguaggio non si fa uso della parola quantità in tutti gli oggetti suscettibili di più e di meno. Non si dice, per esempio, quantità della bellezza, quantità delI ingegno, e nè anche quantità di un odore, di un sapore 5 di un colore. Il concetto dunque proprio della quantità si restringe alle cose vestite, dirò così, di estensione, sia ch’essa venga attribuita in senso diretto, sia che venga attribuita in senso metaforico. A quest’ullima specie di quantità si restringe la sfera delle Matematiche; e però essa forma il soggetto universale d’ogni specie di calcolo. 25. Del concetto del numero. Opinione di Newton e del d’ Alembert. Finché l’animo non pensa che all’unità isolata non può tessere calcolo veruno: esso incomincia a calcolare quando pensa ai numero. In generale il numero non è che una pluralità compresa sotto di un solo concetto. In questo senso il numero abbraccia anche le cose prive di estensione. Noi figuriamo allora un aggregato sotto di un solo concetto. In conseguenza di ciò noi gli prestiamo implicitamente Fidea di un tutto esteso. Questa maniera di concepire dir si può metaforica, perchè presta ad una pluralità di cose non estese un concetto complessivo esteso. Senza un concetto unico complessivo nou esiste Fidea del numero. Col ripetere sempre uno e poi uno, senza dir altro, non si forma un numero. Ma quando dico tre, quattro, cinque, annunzio pluralità con un solo concetto. Questo concetto unico, preso per sé solo, costituisce la grandezza numerica. Il concetto di lei è così positivo ed assoluto, come quello di un esteso circolare, quadrato, triangolare, o simile, che mi venga posto avanti gli occhi. Io posso allora paragonare queste figure numeriche, le quali mi presentano una forma geometrica più spiritualizzata, e posso quindi trarne rapporti e risultati; ma questi rapporti e questi risultati sono secondarii, e realmente non sono che verbi miei, che io esprimo coi segni del calcolo. Essi dunque non costituiscono il concetto positivo del numero, ma la logia del numero. Ciò posto, parmi che dir non si possa con Newton, che ogni numero non sia che no rapporto. Con questa definizione non si esprime il concetto positivo del numero, ma solamente la logia numerica. La spiegazione stessa d7 Alembert (') parrai che possa giustificare la mia opinione. « Nous remarquerons d’abord (egli dice) que un nombre, suivaut la définition de M. Newton, n est proprenient qu un rapport. Pour entendre ceci, il faut remarquer que tout grandeur qu7 on compare à » une autre, est ou plus petite, ou plus grande, ou égale; qu7 ainsi tout » grandeur a un certain rapport avec une autre à la quelle on la com» pare, c’est à dire que elle y est contenue ou la contieut d’une certame manière. Ce rapport ou cette manière de contenir ou d’ètre conteuue est ce qu7 on appelle nombre. Analizziamo questo passo. In primo luogo qui si parla di grandezzose di grandezze che possono contenerne delle altre, come formanti i termini dai quali sorgono i rapporti. Qui dunque abbiamo in primo luogo il supposto di cose estese, le quali sono poste come fondamento positivo a questi rapporti. Dico il concetto di cose estese, perocché la capacità di contenere o d’essere contenuto non si può applicare che a cose estese. In secondo luogo si suppone che queste grandezze possano avere dimensione variata, poiché si suppone che possano essere rispettivamente maggiori, minori od eguali, e in conseguenza somministrare i ìappoili dei quali si parla. Qui dunque ci si presentano veri enti geornetnci, o simili ai geometrici, in vista dei quali sorge il numero. Ma come si la nascere il numero ? Dal paragone estrinseco di clue" ste persone. Qual è l’oggetto logico di questo paragone ? Sapere quante volle una grandezza ne contiene un’altra, e come la contenga. Posto tutto questo, si pone ogni grandezza a guisa d una unità stac cata dall’altra per rilevare soltanto il rapporto estrinseco suddetto. H coU tenere o 1 essere contenuto non è qui che finzione, perocché si suppone che ogni grandezza esista per sé; ed altro uon esprime che il rappmto commensurabile dell7 una coll’altra. Ora ponderando questi concetti, che cosa risulta? Risulta, che da una parte o si toglie o si dissimula il concetto proprio della grandezza; e dall’altra, che le idee di ragione, di proporzione, di commensurabili tàs di simiglianza ec. sono scambiate coll’idea propria del numero . Primo, si toglie o si dissimula il concetto proprio della grandezza . D Pel* ve' Enciclopedia^ articolo ArUhmélique. rità nel mondo matematico che cosa è una grandezza maggiore o minore di un’altra, fuorché una quantità più o meno concreta? Il fondo, dirò così, della grandezza altro non è che la stessa quantità finita. Ora ditemi che cosa sia una quantità finita maggiore o minore di un’altra. Se questo non è un numero generico, che cosa sarà esso? In secondo luogo, dico che qui scambiansi le logie numeriche col concetto proprio del numero. Altro è che la mente nostra nell’esaminare un oggetto che chiamiamo grandezza faccia paragoni, pronunzii giudizi^ dai quali emergono le idee relative suddette; ed altro è che queste idee relative costituiscano il concetto proprio del numero. Quando io pronunzio tre, quattro, cinque, non mi rompo la testa a paragonare nel modo voluto dal d’Alembert, ma mi figuro ad un tratto un tutto composto di tre, di quattro o di cinque elementi similari che chiamo unità, e nuH’allro. Io entro in una camera, dove veggo qua e là collocati molli frutti. Non comprendo a primo tratto quanti siano. Fin qui altro non concepisco, che una indefinita pluralità. Dico indefinita, e non illimitata. Tale sarebbe quella mirando il firmamento sparso di stelle. Ma se raccolgo questi frutti, e li conto ad uno ad uno. e che ogni volta che ne accresco uno, uso un segno diverso, nascerà Videa dVun aggregato, che esprimerò con una sola locuzione. Ecco allora la naturale idea del numero. Questa idea è fatta qui per una successiva apposizione ; ma essa viene somministrata anche in una maniera più immediata colla divisione di un lutto in due parti. La mia mano è il primo modello che mi offre questa idea. Volendola semplificare ancor di più, piglio, per esempio, un quadrato, o un altro tutto uniforme, e lo divido in parti aliquote. Allora esprimo un tutto distinto in parti similari; ed ecco di nuovo il numero. Esso dunque comparisce sempre come una pluralità espressa con un solo concetto. Legge prima ed ultima dell’unità con varietà che forma V essenza prima d'ogni algoritmo. Sua forma ridotta ai minimi termini. Questo concetto complessivo è quello che costituisce appunto la grandezza. E siccome la pluralità è maggiore o minore, così la grandezza riesce maggiore o minore. L espressione numerica delle patti della grandezza può essere varia; ma ciò non altera il suo rapporto estrinseco con un’altra grandezza. Io posso dividere la stessa area, e posso lasciarla senza divisione alcuna. Nel primo caso avrò una valutala grandezza; nel secondo ne avrò una non valutata. È vero che. paragonando una grandezza totale minore con una maggiore, potrò figurarmi che stia tante volte nella maggiore; ma in questo caso io figuro la grandezza minore come parte della maggiore; e così se può capirvi molte volte senza che avanzi nulla, diventa parte aliquota della maggiore. Ma in questo caso che fo io ? Io fo un imaginaria divisione del corpo della maggiore mediante 1 applicazione della minore, e fo nascere il numero. Ma io posso fare lo stesso dividendo questo corpo direttamente in tante parti eguali alla grandezza minore, la quale in questo caso fa la funzione di unità | metrica, e nulla più. Il numero però consisterà nel complesso di queste unita, nelle quali e ripartito il corpo della grandezza maggiore, e nou nei rapporto univoco primitivo ed estrinseco fra le due grandezze. Iu questi esempli il concetto proprio del numero apparisce coperto dalle spoglie sensibili deli’ estensione. Ma, per verità, esso predomina anche scevro da queste spoglie. Così, per esempio, come nominiamo tre globi, così pure nominiamo tre suoni, tre colori, tre odori, tre sapori, tre pensieri, tre esistenze, ec. ec. Il numero adunque non indica che pluralità di concetti abbracciati con una sola considerazione. Se più oltre spingiamo la nostra attenzione, noi sotto l’idea del numero veggiamo trasparire quella legge suprema ed ultima deH’animo nostro, colla quale nel mentre che distinguiamo le diverse nostre idee, noi le riuniamo in un solo concetto complessivo; e quindi ravvisiamo sempre il tipo di quell lo unico, che ad un solo tratto sente e distingue, e che nel sentire e nel distinguere riunisce i suoi modi d’essere in un unico centro, cioè nell’unica facoltà sua di sentire. La pretesa dualità, annunziata da un trascendentalista del Nord, non contiene la legge suprema che veramente presiede ai calcolo; ma altro non esprime che l’atto puio di distinguere, e però non esprime che una parte sola di questa legge. Diffatti quando dico uno piu due fa tre, oppure in generale a più b fa c, io formo un numero. Ma qui realmente ho due idee concorrenti ed una concludente, due termini coefficienti ed uno risultante. Ma 1 idea di questo termine risultante è una terza idea così semplice, così unica e così propria, che non si può confondere colle altre due. Più ancora: senza questa terza idea non esiste il numero, nè verun risultato da me ricercato. Con questa terza idea poi io unifico così le cose, che dimenticar posso i coefficienti, ed avere ciò non ostante il concetto domandato. Nou è dunque sotto forma di dualità, ma di trinità individua che la legge suprema di ogni algoritmo può essere presentata. Delle vere astrazioni matematiche. Tutte queste discussioni servono di saggio per provare il bisogno di purgare la Matematica dai concetti illusorii e lambiccati coi quali, a dispetto della buona filosofia, si è voluto svisarla. Le prime nozioni sono quelle che abbiamo esaminato. Ora qual meraviglia se tanto penoso, tanto lungo, tanto tortuoso, tanto sconnesso riesce il cammino della scienza intera? Svestiamoci una volta da queste illusorie e mal tessute spoglie trascendentali, le quali, oltre di guastare i veri concetti logici, gettano nelle nostre scoperte e nelle uostre dottrine una durezza, una fatica, un gelo, ed oso dire una violenza ributtata dalla natura. Io non pretendo con ciò che le idee astratte e generali debbano essere bandite dalla Matematica: ma pretendo che debbano essere banditi que’ fantasmi che usurparono il loro posto. Togliere le idee astratte e generali. egli è lo stesso che ridurre l’uomo alla condizione delle bestie. Ma altra cosa sono le idee astratte e generali, ed altro le sfumature illusorie partorite dall’ ignoranza o da giudizi! precipitati. Le vere idee astratte e generali non ammettono nè quiddità scolastiche, nè analogie volgari, che si perdono nelle nuvole; ma esse si restringono all’espressione eminente dei fatti reali, raccolti con diligenza, esaminati con ordine, ed interpretati con sagacità. Queste genuine idee astratte e generali debbono dar forma e somministrarci i veri concetti e la fedele espressione degli enti matematici. Ma esse non possono compiere quest’ufficio sinché noi non interniamo le nostre ricerche sul modo col quale essi naturalmente si generano ed agiscono anche aH’insaputa nostra. Questa ricerca esigerebbe un lavoro fatto di proposito, del quale ora manchiamo. Qui io mi restringerò ad accennare solamente quel tanto che parmi necessario per fondare il miglior metodo dell’ insegnamento primitivo. 28. Legge universale di associazione dei concetti geometrici ed aritmetici. Il calcolo è opera tutta nostra. Esso in sostanza riducesi all’espressione artificiale delle leggi necessarie che dettano i nostri giudizi! nel paragonare le quantità. Questi giudizii risultano dalla combinazione di date idee. Gouvien dunque conoscere tanto l’indole di queste idee, quanto le leggi naturali del nostro intendimento, allorché si occupa su di esse. Ciò posto, io avverto che se con un concentrato raccoglimento interroghiamo il nostro senso interno, noi travediamo che in tutte le operazioni matemaliche intervengono due specie di concetti sèmpre associali. Il pT|mo Io chinino aritmetico^ ed il secondo gùQmeirico. In astrailo si possono confondere, perchè il misurare, riducasi In fme ai mia enumerazione di parti espressa con una o più preposizioni : ma esaminando piu addentra la natura loro, noi ci av veggi amo essere eglino diversi, F concetti deb ì tmUà elementare e del numero me ne somministrano una primo piova. Che cosa c veramente l 'uno aritmetico^ o, a dir meglio, a che cesa riferiamo noi l unità aritmetica ì L chiaro che noi la riferiamo alla sda idea di esistenza. Dunque V uno aritmetico è segno d’una esistenza*, e nulla più, L tefiò geometrico* per Io contrario, indica una data porzione di spazio, ossia mia (lata estensione lunta. Da ciò ce. viene, che il n u m$¥Q aritmetico è Lutto metafisico; il geometrico, al Top pò sto. è Lutto fisico. Col numero aritmetico indico tanti uomini, tanti alberi, Lauti animali tc, se,, nulla importando se siano grandi o piccoli, slmili o dissimili E dunque manifesto che nella semplice enumerazione non si considera che la nwda esistendo ma dall altra parte Fidea di esistenza è per se semplice cd in divisibile i dunque ne viene che l ei emonio primo è perpetuo della nuda enumerazione e esse oziai mente semplice ed indivisibile. La cosa non procede così nella divisione, e meno poi negli altri rami del calcolo. Ivi. anche uou volendo, sT introduce V uno geometrico. Ivi noi non veggi a ino e non possiamo vedere che lui-, ed agire che su di lui. In esso concorre bensì l'idea astratta di esistenza ; ma essa non è la sola olio ne costituisca il conce Lio. Questo co oocito è precipuamente formala dall idea d una estensione distinta e finita. Ma per giù stesso che è finita . è anche figurata, Queste due condizioni sono per noi inseparabili, Quando parliamo in particolare, la nostra Imaginazione si ferina sulla idea della data figura’ quando poi parliamo In generale, si sveglia uoa confusa idea o di una o di molle corrispondenti ai nomi che impieghiamo. 1 vocaboli generici di figura v di potenza, di termine, di piti, di meno^ e simili, non possono svegliare iu noi altre idee che queste : ahri" menti sono vuoti di senso per noi. Tutte le nostre Idee generali si presentano nella stessa guisa; e a norma delle parole die impieghiamo si risvegliano nella stessa maniera. Allorché ci occupiamo suìYmeso col senso aritmetico^ uou poniamo mento uè alla forma, nè alla collocazione delle superficie; ma altro non facciamo che numerarne le parli, ed annunciarne la somma, Diflstl'» colla valutazione, noi prescindiamo da queste circostanze in modo, clic dinamo equivalenti tuLte quelle superficie variamente conformate, le, Co \ m [amo quell' unita co ai p l essa olio sfugge ogni e a 1 c pio, Con esso anello 1’ nomo di genio riceve quelle subitanee inspirazioni, le quali sono indi pendenti dall’analisi o dal sillogismo* A questo apparitene pure quello die appellasi tatto morale o di esperienza tanto nei giudizi!, (punito negli usi delia vita Questo senso riceve maggior perfeziono quando od mi felice organismo sì accoppo una buona educazione. Egli opera in noi ad ogni istante della vita: e quindi in lutto le nostre me dilazioni. In esse i concetti, che cadono sotto il discernimento, sono parli dei conce Ili integrali, segnale ri più o meno larghi intervalli. Mediante poi il senso differenziale la nostra ini diligenza avvertita mente comincia da una parte colla natura, e dall’altra coi n osi ri simili e con noi medesimi. Diffalti la mìa mente nnn può avvertita mente comunicare nò eoa me, nò con a Uri, se non mediante quelle cose che d Incerilo, e quei sentimenti dd quali posso dar ragione a me stesso. Ma tutte le scienze, le regole, le dottrine, le ordinazioni umane derivano dal disccrti ini etile; dunque esse non potranno raggiungere giammai tulle le gradazioni, uè esaurire il fondo, dirò così, del senso mie graie. 1 dettami dunque scientifici particolari si possono rassomigliare a quelle colonnelle che sì pongono lungo una strada: esse segnano a largii! intervalli il cammino; ma lo spazio di mezzo ò lascialo senza in dica zio ac. Ma scegli è vero che dove non sì dìsceme piu non si può paragonale, perchè dove non si discerne piu non si sente differenza ? malgrado pure che esista e l'accia la sua minima impressione; sarà pur vero che ri dì là di celti limiti deve accadere nei nostri concetti una trasforma eztone^ per la quale la scienza deve cessare o cangiar linguaggio, ossia cangiare [espressione dei co u ceni, Bidone dii la iti le coso a questa estremila, le opposizioni si convertono in distinzioni, e le differenze in gradazioni. g 34. Vera natura delle Idee ontologiche. Loro connessione collo Idee matematiche. Né la cosa può procedere altrimenti, perocché FideiiUtà e la diversità non esprimono veramente che due modi di se- mire dell'animo noslro, associali a qualsiasi specie d’idee presentale a noi in una guisa risaltante. fu qualunque stalo si trovi o si finga l’animo nostro, sia che si trovi unito ad un corpo con sensi o maggiori o minori, sia che abbia idee senza l’inlervento dei sensi esterni, si verificherebbe sempre questo carattere. Tutte le idee ontologiche sono di questa natura: esse, parlando propriamente, non ci vengono di fuori. Le cose particolari hanno forme assolute e particolari: espresse in generale non cangiano natura. Le idee ontologiche non esprimono forine^ ma pure logie: quindi esse non appartengono all’esterno, ma si riferiscono solamente a funzioni fondamentali ed ultime dell’animo nostro, le quali intervengono perpetuamente nel sentire e concepire qualsiasi cosa. Così nello specchio, dopo le diversità delle imagini, trovate che tutte sono riflettute; ma la riflessione è la funzione fondamentale dello specchio, e non degli oggetti. Le idee matematiche sono, fra tutte, le più contigue alle ontologiche, e per un certo lato si confondono colle ontologiche. Questo fa sì che la sfera delle Matematiche ha per noi un aspetto immenso, e a prima giunta uniforme. Ma s’egli è vero che la nostra intelligenza è limitata; se ella ha certe leggi; se ognuno di noi è conformato d’una sola maniera; e se l’ io che sente le differenze in un oggetto materiale è quello stesso io che le sente in un oggetto intellettuale; sarà pur vero che una sola legge dovrà presiedere a questo sentimento. Que’ simboli segnati con un nome, che chiamiamo idee astratte, intellettuali, generali, non possono mutare la nostra capacità, nè sottrarci da questa legge. Quelle clic i matematici chiamano proprietà dei numeri saranno dunque effetto di questa legge. 11 numero non esiste in natura, ma egli è un concetto dui nostro spirito. 3 5. Della sfera delle Matematiche considerata nella loro fonte primitiva psicologica. Quanto poi al raffigurarli, noi non abbiamo altro mezzo che quello di un seuso distinto, risaltante, e che abbia, dirò così, una certa latitudine. LIu rapidissimo ed un lentissimo movimento si rassomigliano. Pare adun que che la numerazione distinta esteriore richiegga una certa vibrazione dei nostri organi. Se l’aspetto o la successione delle cose esterne eccita quella vibrazione con quel dato intervallo, nasce la distinzione; se non eccita a quel seguo, con quella tale latitudine e con quelle tali pause, nou si ottiene verun concetto particolare distinto. Le produzioni specialmente organiche conosciute ci presentano specie distinte, nelle quali colla varietà particolare della loro struttura vc0 giamo accoppiata una similarità di leggi e di azioni compatibile colla costituzione organica di ogni specie. I germi racchiudono sicuramente le prime cause determinanti di queste forme e di queste leggi. Se il nostro sensorio fosse conformato in guisa di un germe, o in altra simile forma, che cosa ne dovrebbe nascere? Una psicologia sagace, e ben corredata di fatti, potrebbe recar qualche luce in questi reconditi recessi del nostro essere . Ciò servirebbe di guida a spiegare in progresso molli fenomeni sentimentali che oggidì ci appariscono isolali, e che ci presentano la dottrina deir uomo interiore a guisa di una raccolta di viaggi di molti navigatori, i quali hanno bordeggiato le sole coste, o non si sono internati abbastanza nel paese, per darcene una carta specificala e complessiva. Se la Matematica fosse trattata a dovere, essa dovrebbe somministrarci la prima interpretazione delle leggi del senso differenziale unito all’ integrale; perocché nella semplicità delle idee, che maneggia, queste leggi operanti contemporaneamente si debbono mostrare alla scoperta. Noi avremmo allora la storia naturale dell’ animo umano, il quale ad un solo tratto sente e distingue; perocché la denominazione di senso integrale e differenziale non è che una locuzione per dare ad intendere la natura di due funzioni e modi d’essere dell’ANIMO – GRICE PSYCHE, SOUL -- nostro. Io trovo, per esempio, che in architettura s’assegnano certe proporzioni: che della musica si danno certi elementi coi numeri. Ora domando se siasi ridotta la teoria ad una tale unità sistematica e primitiva da mostrare la radice comune di fatto delle regole architettoniche e musicali. E pure questa radice comune esiste. Essa riposar deve sopra un fatto primitivo, o sopra alcuni fatti primitivi, dei quali se non possiamo trovare altra ragione, basta che constino a noi per servire di fondamento alle nostre dottrine. Dicesi, per esempio, nella Musica che le ottave si rassomigliano; e si considerano nei loro rapporti come una stessa voce. Si è mai filosoGcamenle analizzato questo coucelto? Le voci non hanno né figura, nè colore: come dunque trovate voi fra il grave e l’acuto, che sono due idee diverse, una identità come questa? Qui avete identità e diversità in un punto solo. Mi sapreste voi dare un emblema che rassomigliasse e mi desse ragione di questo fenomeuo psicologico? Alla Matematica pienamente sviluppala toccherebbe di offrire questo emblema; e, quando fosse convenientemente esposta, presenterebbe all’ umana intelligenza uno specchio, nel quale questa ravviserebbe sé stessa ed i proprii movimenti allorché si occupa a studiare le quantità. Essa vedrebbe allora, che i concetti aritmetici appartengono propriamente j 1 .sènso differenziale e eliti perciò debbono essere più semplici e. piò universali ilei geometrici, e servir quindi ai paragoni ed ai risultati geometrie i. Di rialti quando la m e □ Le nostra sempìieemeule di stiogu'e o limila un oggello, non ritrae allro concetto clic quello dì utia diversità o rlì ima latitudine astratta, la quale non si può risolvere in vétun altra più semplice idea. Da ciò ue viene, clic col senso aritmetico voi determinate anche le misure di quelle cose*, le quali non presentano superficie alcuna, lu questi casi perù il senso aritmetico viene assistilo dal geometrico. Cosi ci serviamo dello spazio per misurare il moto: e dello spazia n del mota per misurare il tempo. Così so noi cì occupiamo a determinare 3 a caduta, la prelezione, la direzione o diretta o ribattuta di un solido o di uo fluido, I imaginazione traccia per una pronta finzione b linea ch’ossi descrivono. Quanto alle forze, si associano le idee dtdresUuisione o dei numeri per segnare ì gradi: lai clic quesl’associazinue del senso geometrico coll 'aritmetico ù costante, universale, inseparabile. Nò la cosa, logicamente parlando., potrebbe mai procedere diversamente; perocché le idee di diversità^ di distinzione. di limiti*, dì ptìo di meno ec. sono tulle puramente relative* Ma per citi stesso che sono relatice esse, involgono il concello de’ termini^ dai quali sorge la relazione* Somministrare le idee di questi termini appartiene appunto al senso geometrico. Esso presta, dirò cosi., il fondo sul quale si esercita ogni specie di calcolo: esso quindi è il primo die agisco in noi. A lui dumpu: appartiene in prima ed ultima analisi il concetto positivo dell1 unità si metrica che complessiva. SO. Del concetto dell' un ilei complessiva. Copie si condili col senso discretivo. L’unità complessiva 5 sia sensibile, sìa mentalo ; riunisce molli concelli, i quali presentano qualità esclusive e qualità comuni nelle parlL ed una proprietà semplice individua nel tutto, clic non si può tramutare in un altra. .Da ciò deriva Lalvoka una incommensurabilità assoluta»Ciò però non toglie chT essa non si possa risolvere in dati elementi. bolla sola cognizione però dì questi elementi non si giunge a quella arnia. Non sarebbe più vero che esista una forma unica indivisibile^ e tutta propria del solo complesso, so ridea d dV elemento potesse esprimere quella del tutto, Un falegname costruisce la ruota di un carro, ed un muratore fabbrica una torre rotonda. Tre cose si possono domandare. Da prima, quanto materiale sia stalo impiegato nel dato lavoro: la seconda, quali lorme . \k\ Sp ecià H u y e&s e po le partì ni a gg tori e omponen li q u est5 op e ria, e quante di uùa forma e quanto di iuj 'altra siano state impiegate, e come siano siate collocate nel costruire l'opera suddetta; la terza finalmente quale sia b dimensione di tutta l’op qv a s u d di vis ala. Quaudo v oi doma udate q u a uLq matòfe sia stato impiegalo, voi fate astrazione tanto dalla forma unica complessiva del tutto* quanto dalla forma o formo diverse delle parli singolari: quando voi chiedete della figura delle parli maggiori, del numero e tifila collocazione di queste figure, voi fate astrazione tanto dalla forma complessiva di tutta Peperà, quanto dalla qualità e quantità degl l elementi primi, ossia degli atomi che compongono queste parti maggiori; quando finalmente vi rivolgete alla dimensione del tutto, voi prescìndete dalle minute particolari Là sopra ricordale, per ottenere invece un concetto semplice ed univoco di questa dimensione. Ma è cosa di faLLo, che tanto lo forme, quanto il numera degli atomi. delle parti maggiori e del tutto esìstono congiunte nell' opera; egli è di fatto, che tulle concorrono a costituirla nella vera sua dimensione e ftrmra semplice ed unica. Ora vi domando se, malgrado ciò io possa o no convertire la dimensione del tutto ili una forma discretiva di grandi parti dissimili ; se io possa o no trovare i componenti razionali di queste grandi parti, fenoli è F espressione loro complessa sia incommensurabile. Miro jè il dire che un dato effetto derivi dalle date cagioni; ed altro £ ;] dire ch’egli sìa di caràttere o simile o dissimile di quella delle sue canoni. Altro è il dire eli5 egli sia in sè stesso composto n misto; ed altro è II dire che abbia un'essenza cosi, semplice, univoca e propria* corno quella di ogni cagione considerata singolarmente. Due spinte uguali ad angolo retto fanno seguire al corpo sospinto la diagonale dì un quadrato: due dati suoni fanno sentire sotto un cerLo angolo un terzo suono. Ora domando se la direzione del corpo sospinto dai due impulsi suddetti. od il terzo suono che si fa sentire per la vibrazione dei due, siano o no cosi semplici o indivisibili come le due direzioni c i due suoni presi si li gelar m cu le, nell' allo puro che sono tulli e tre dissimili. Che cosa segue da ciò? Egli ne segue* che io non potrò certamente tradurre l'idea dd terzo suono, o della direzione diagonale, iu un'altra, perchè ne distruggerci il concetto, e convertirei il sì in no; ma potrò ciò nonostante trovare gli idem cu li coefficienti deifessenza da me concepita. Ecco ciò che accade nei nostri concetti nel compórre, o nelF analizzare Funi Là complessiva. In essa V asso eia zi ori e del,v en*ù geometrico ed aritmetico si palesa apertamente, In tutti i composti assoggettati ad umLà dir sì può die il centro formale e reggitore dell* unità complessiva iwu risiede dentro ale a uè delle parti si ugola ri» ma fuori (lolle medesime* l([ là egli comunica al latto le sue affezioni* Da ciò nasce die iu ogni parte dd> Lono esistere Lauto le qualità singolari^ quanto le attitudini comuni ; seu /a ili die non potrebbero concorrere a formare un solo tutto individuo, e dotato di vera uni Là. Queste atti Ludi ni sono il fonda me ulti dello proporzioni} le quali nell unità complessiva logicamente sostengono molti rapporti simultanei, tu esempio Io abbiamo accennato già sopra, tpiaudo abbiamo parlato del quadrato dell* ipotenusa. Disi lozione della commensurabilità dalla unifica bil ria. Per fa qual cosa tino dui primordi i della scienza conviene aectmilamente distinguere la commemurahiUth dalla unificabili la. La prima ad altro non si riferisce, fuorché alla coincidenza dei limili dati alle parli di un tutto*; sia con un metro comune, sia col paragone ad un alito tutto. La seconda per lo con trario si riferisce alfa cospiri rione simultanea di piu cose anche diverse a formare un lutto semplice ed indivi' duo, fatta astrazione se queste cose siano o non siano fra di loro cornine □ su rabdh òla questa unificazione viene considerala qui per quel Punico aspetto che può interessare la logica della quantità : dunque conviene ben distmguere il concetto proprio matematico dì essa da quello ili qualunque nitro finitimo* Il numero a prima giunta presunta uno di questi finitimi conccLli. Ma se voi considerate il numero conni ["espressione di elementi ideali simili ed eguali (corno sarebbe aritmelicameule quello di più esistenze. e gecun eliacamente quello di più punti escogitabili), voi non ruggì ungere te mai ridea generica dell’uailà complessa; perocché questa può abbracciare nel suo concetto unità, varietà e cniitinuiLà, Ora per ciò solo, che ili linea di quantità contiene solia u Lo la varietà, essa con in. ne parli disuguali ariime bearne ubi, e parli dissimili geómetricamenle/ruUa al più dunque il numero, considerato come sopra, potrebbe bensì fermare una specie particolare doll’umlà complessiva, tiui non ne racchiuderebbe tulli i caratteri. Dir dunque si dovrebbe quei numero essere unità complessa similare^ tua non unità complessiva genericaQuesta distinzione h impor Lautissima per il calcolo, perche, uc fa variare necessaria roc ut c il metodo. Questo metodo dev’essere atteggiato a norma della natura propria delle parti e del tutto, e a norma dei rapporti logico-matematici che si multai) Aleute passano sia fra parte e parte, che fra le parli ed il tu ILO. Questo basti per ora. onde preparare il concetto delle idee primitive matematiche in mira allo stnbìlìmeolo del miglior metodo deli’ insegnaiocuto primitivo. Queste idee implicitamente cd eminente monte racchiudono la virtù logica die deve in progresso determinare anche le vedute pratiche. Un ulteriore sviluppa mento delle medesime sara forse necessario nel progresso delle proposte disquisizioni 31i riserbo adunque di presentare questo sviluppa mento, pago essendo di aver fissato nota solo h proprietà dei primitivi cuuceLLÌ? ma eziandio la connessione loro razionale colle altre tenni cria conosciute del nostro intendimento. Cosi si avrà quel nodo v t? 3"5 D * # e si conosceranno quegli anelli di comunicazione che connettono le sdente mate maliche colla razionale filosofia. iNìola al Solini ente coll' aurora della buona Filosofia i matematici hanno tralasciato dal riguardare il punto c la linea come enti reali ^ ma non so se siano gì un li a riguardarli come segni di pure logie ossia come segni di idee ultime relative estratte soltanto dal nostro intellètto. Prima di quest1 aurora, al punto ed alla linea veniva attribuita una realità sostanziale, la quale ripugnava colla ragione. Ci^ fece dire ut Labbé: » Quid est punctum? Si coLorem quncris, expers si a parles, non habet; si nomcn, nihii acutius; si naturarci, niliil obscuriusj si ok m lieta, nihii ineertiiis. Noe corpus est, quia malcriam neseit* nec spirilus, quia ), qimjiiitatcm rèspicitj nec quanlilM, quia partes cxdudit. Quid est puna ctum ? Nihii, si cxperientìac credisi aliquid est, si rationem consniis ; et ah» quid et nihii, si plnlòsophos àudis. Aliquid est, quia par Ics net Ili 5 et nihii est, 3ì quia durti est pun etimi, vinculiitn esse nequit. Quomodo enim partes necLit, si 33 non Ungiti, si non adacquai? Quomodo adacquarsi est minila ? Quomodo n non est miims,sÌ est punctum? Et si est mi ntis, quomodo id taluni unit, quod » totum non tangit? Quomodo unum non est minus, et alte min majus? Quoj> modo unum non est niimtS, si est punctum j et alterniti màjns, si est lo „ tuns ? Quid est punctum? Si non interrogai*, sei&j si urges, nescioq si )> mavìs, ludo. » Ho detto che dal modo di assumere il punto qui supposto dal Labbe hanno in oggi receduto i matematici. Leggale il Grandi ed il Lacrolx nei loro KJeinenLi, 0 ve ne convincere le. Ivi vedrete le giuste definizioni anche della linea, deli' angolo ec. oc-, c vi convincerete vie ptu della verità delle cose da me esposte iu questo primo Discorso. Sull oggetto, sulle parti e sullo spinto delle dottrine m atema ti eli e . Passaggio dalia contemplazione metafisica ed isolala alla spedale e di fatto delia quantità, Conce Et I nuovi e reali che no nascono. L unità, sia metrica, sia complessiva . considerata nella massima tu;generalità, non veste alcuna posizione determinala. Ma questo aspe Ilo ì puramente fattizio. Esso viene preso lu non siderazione da noi soltanto per semplificare V oggetto delia nostra analisi, e determinare I caratteri eminenti e perpetui dell’oggetto analizzato. Co li vi no duncpio disceudm da questo punto altissimo di prospettiva, onde rilevare piu davvicitioii naturale aspetto di lui. In questo secondo punto di vista die cosa vergiamo noi ? Noi non vegliamo più F unita indefinita ma E vediamo finita, e veramente figurata. Noi non veggi amo più il numero a gelsa tF unii «empii co pluralità 5 nò una grandezza geometrica, come un pici o no mcuo di estensione, ma a questi concetti sì aggiungono quelli delle loro proprietà naturali -, siano assolute, siano relative, Mtoru gli cali matematici ci appariscono dotati d’uua specie di personalità propria, come le altre cose tutte esistenti in natura. Rappreseti tamloli con ordiu&j si forma la loro storia naturale, e nello stesso tempo si generano i pieni elementi del calcolo. Qui appunto consiste tutto Io spirito eminente della dottrina di fatto del primitivo insegna mento delle Matemali di e. S Necessità dì questa contemplazione speciale e di fatto per oLEcuerc h prona scienza ed il calcolo efficace. Indole e leggi della quantità dt fatto. L'arte di osservare somministra Farle di calco lare. Ma Farle di osservare è necessariamente determina la dallo stato reale difatto dui soggetto, e dai rapporti che pass a un fra di lui e la nostra intelligenza. Sarà dunque necessario di porre sotF occhio tutto il soggettò cóme sta J altri menti non avremo uf piena scienza, uà calcolo efficace. Pochi squarci saltLiarii o uno sfumalo profilo non somministreranno adunque clic risultali imperfetti, o di una rimotissima applicazione, I veri concetti matematici non sono nè fantasie poetiche, nè elaborazioni trascendentali. Essi sono risultati necessarii degli oggetti aritmetici e geometrici esaminati da noi. Ma questi oggetti ci presentano qualità assolute e qualità relative proprie e inseparabili. Dunque prima di tutto conviene studiare queste qualità, e le leggi necessarie che ne derivano. Questa sentenza è comprovata tanto dai nostro senso sperimentale, quanto dalla proposizione, che il principio della figura è la stessa figura. Questa proposizione altro non è che l’espressione di una legge necessaria, la quale, anche non volendo, si manifesta agli attenti calcolatori. Essi veggono diffalli più volte comparire ora una similarità dominante fin nelle minime parti d’ una divisione determinata dalle ragioni costituenti un tutto ; ora un predominio di certi termini posti in una data maniera; ed ora altri fenomeni consimili. Tutti questi accidenti sono la necessaria conseguenza di una legge necessaria che deriva dalla natura degli enti matematici medesimi. Se gli enti geometrici fossero soltanto generazioni di punti fluenti e di linee scorrenti; e se gli aritmetici fossero nude pluralità più o meno ampliate, ossia elevale a maggiori o a minori potenze; tutti questi accidenti e tutte queste affezioni, che ad ogni tratto si palesano nel calcolo, non potrebbero sorgere giammai. Qual partito adunque ci rimane? 0 di studiare di proposito la natura e le leggi proprie di questi enti, o di ricorrere alle qualità occulte dei peripatetici del medio evo. Ma se l’occulto si potesse render palese, non è egli vero che, ommeltendo le ricerche, noi ci condanneremmo ad una ignoranza volontaria? À che prò allora studiare di proposito le Matematiche? Forse che carpire qua e là con fatica improba qualche teorema forma la ricompensa e costituisce il vero frutto degli sludii matematici? 40. Antichità dello studio sull’indole e sulle leggi della quantità. Sua interruzione. Necessità di ripigliarlo. Lo studio che io propongo non è nuovo: ma è tanto antico, quanto la scienza. E°ii è in sostanza uno studio abbandonato od interrotto dalla o solita nostra impazienza di scorrere di salto al generale ed all’assoluto, prima di avere gradatamente esaminati tutti i particolari. Le Matematiche poi hanno dovuto subire una vicenda particolare non comune agli altri rami dello scibile; e questa si è V arcano che uno spirito di naturale ed universale analogia ha suggerito ai primi coltivatori e maestri. Questo arcano, al quale si unirono gravi interessi, ha soltanto permesso di esternare i metodi delle prime operazioni aritmetiche, occultando la loro origine e le loro ragioni, e il mezzo onde renderne sensibile la derivazione. Così il mondo fu condannalo a contentarsi di un cieco meccanismo, anziché ottenere una filosofica derivazione dell’arte di calcolare. E tempo ormai di ristabilire la scienza nelle sue basi; è tempo ornai di riannodare il filo interrotto della sua generazione: è tempo ornai di conoscere le ragioni di ciò che operiamo; è tempo ornai che gli apprendenti siano sollevali dall’ improba fatica di un insegnamento preso per la coda, o fatto con precipizio. 41. Come dev’ esser fatto questo studio. Per far ciò convien salire dal sensibile, dal semplice e dal particolare, all’ astratto, al complesso ed al generale. E poiché il senso geometrico deve prestare il fondo, e questo fondo è essenzialmente vario, egli fa d’uopo incominciare ad occuparsi su di lui, ed acquistare la cognizione almeno delle qualità matrici da lui presentate, per indi passare alle filiali . Queste qualità matrici si rilevano dall’esame delle differenti forme, e dai ualurali movimenti e periodi delle rappresentazioni simboliche delle quantità. Il nome di simbolo sembrami più adatto che quello di figura^ sì perchè negli studii puramente teoretici non intendiamo di rappresentare forme esistenti realmente in natura, e sì perchè l’oggetto del loro esame è propriamente quello di condurre all’arte del calcolo. Il loro carattere simbolico si è quello appunto che può autenticare i dettami scientifici. Questo carattere consiste nel porre sotto agli occhi le posizioni, le distinzioni e le composizioni nostre mentali. Ogni specie di disegno ricavalo dalla nostra fantasia ha questo carattere. Essi altro non sono chepitture del pensiero. Questo schiarimento è più importante di quello che a prima giunta possa comparire. Senza di lui si dà luogo a tutte quelle illusioni, alle quali un rozzo senso di analogia trascina gli uomini. Senza di lui non si distingue ciò che ci viene dal di fuori da ciò che noi ricaviamo dal di dentro. Senza di lui non si rintuzzano quelle pretese colle quali intendiamo di dominare la natura . Senza di lui finalmente togliamo la fiducia logica alla scienza, stante eh è col personificare i nostri concetti noi comunichiamo loro una natura indipendente da noi, la quale, oltre d’involgere un falso supposto, gli assoggetta alla critica dei fenomeni esterni. Per lo contrario col riguardarli come puri modi della nostra mente ce ne assicuriamo come di qualunque altro reale nostro sentimento. Questi simboli dunque si debbono riguardare come le note della musica, e farli servire come ci serviamo delle note suddette. Scoprire le qualità razionali degli enti matematici, prodotte o dalla loro composizione ? o dalla loro divisione, o dai loro nessi, e così discorrendo, ecco Toggetto logico immediato del primo esame di questi simboli. Varie possono essere le forme o del tutto o delle parti loro; ma esse non possono servir tutte al calcolo. Le prime sono quelle che nascono dalla formazione o divisione di un tutto avente unità di concetto con radici razionali. Esse allora fanno la funzione di guide e di mediatori proprii e naturali. Senza il loro soccorso ogni concetto rimarrebbe necessariamente isolato; senza le indicazioni loro non si potrebbero veramente tessere certi calcoli. Esse formano, dirò così, i muscoli ed i nervi del corpo matematico. Il calcolo è un’arte che riposa sopra una scienza di fatto. La scienza di fatto non si acquista che colla osservazione dei fatti medesimi. Questi fatti altro non sono che i concetti nostri geometrici, sia primitivi, sia secondarii, coi quali comprendiamo o paragoniamo le quantità. Per fatti primitivi io intendo quelli che si manifestano per via di una ordinaria attenzione, madre del senso comune; per fatti secondarii intendo quelli che si manifestano per via di una studiata induzione. Quando la scienza è nata, si trascelgono e si classificano questi fatti. Quelli che debbono essere sottoposti agli occhi degli apprendenti, sono certamente i più semplici, ma ad un tempo stesso i più fecondi. Tutte le posizioni dunque primarie del mo ndo matematico debbono in via di fatto essere poste sottocchio. Vedete la natura: essa non ci presenta ver un testo mutilalo. Imitiamola dunque almeno nella prima proposta, per far intendere che quando studiamo in particolare non dobbiamo rimanere stazionari!. Le prime posizioni sono rappresentate col simbolo dell’ unità geometrica, che a bel bello si va trasformando, e secondo le apparenze ampliando, diminuendo, ed associando con altre. La trasformazione somministra la vera ed essenziale differenza ; V associazione somministra la vera unità complessiva. Tutte queste forme debbono essere proposte e delibate, riserbando l’esame delle leggi generali ad altro periodo. I, Jfezri e modi rii questo sii ni io. Uso ilei ceiÌcqIo primitivo natura]^ dfslinìii tini secondario arltfieiule. Oltre di ri levare i fenomeni deità quantità ? >1 dm1 far avvertii^ ai movimenti nostri interni. Nel tessere questo esame si dovrà certamente for uso ili raziociuih e però di un vero calcolo. \Ia questo calcolo non è il calcolo matematico aftìjtziaìe^ conseguente alla cognizione delle leggi della quantità: mai' un calcolo primordiale generale della teoria, e quindi delle regole speciali de Ila le dalla cognizione di queste leggi . Calcolo inizialivo pertanto denominar si potrebbe quello elio ricce impiegato in questa prima operazione; nella quale si tratta di scoprire l’indole c le leggi delle diverse follile della qp aulì là. la questo esame primordiale non basta fare Fanalbi dei simboliche slan nojkòri di noi, ina convieu fare eziandio avvertire ai movimenti eie accadono dentro di noi nell'atto di compiere quest'analisi. Per Iti qual cosa convieu far bene avvertire, ohe ora il senso aritmetico è suWdiin-to al geometrico, ed ora il geometrico all1 aritmetico, in modo però che omeudue Intervengono sempre a dar l'orma ai nostri giudizi! rd alk nostre espressioni. Posto diffatli lo stesso simbolo Figurato, egli può diviso o estimato in mille diverse maniere. Fra tuLte però con vira preli'rire quella sola die viene determinala dai rapporti essenziali della sna posizione, e dai bisogni della nostra mente, rivolta a determinare sì il vaiore di tutte le parti dell'esteso esaminato, clic le loro prò j elioni, le lai a con cessioni, le loro convergenze; e, in breve, tutto ciò clic può èsig.'w in futuro il mini s lem del calcolo. Ordine delle ricerche sui fenomeni della quantità. Queste ricerche nascono spontaneamente le noe dalle altre alforcliè Insanie venga incominciato a dovere. La figura stessa, corno Vi somministra le risposte, cosi vi suggerisce anche le ricerche clic dovete insilare. \ fine d? incominciare a dovere quest’ esame si debbono proporre tre generali ricerche: la prima, quali siano i caratteri propni di tjaell.j lai figura la seconda, quali ne siano i coefficienti tanto a riguardo oeh porti, quanto a riguardo del tutto: lo terza finalmente, quali ne siano i vincoli di connessione, di tendenza con altre, e quindi quali ^ìì elementi per convenire a formare mi tutto individuo. I risultali di queste rkudic. fatte a dovere somministrano tutti i lumi primitivi di fatto per conoscer le leffgi naturali della quantità. Studiando posatamente queste formano le regole speciali e getterai: del calcolo. Distinzione della parte ostensiva dalla parte operativa della dottrina. Definizione generica del calcolo. Con queste regole si effettuano le leggi delP.umana intelligenza rivolta all’esame della quantità. Le figure diverse, esaminate in senso diviso e in senso unito, vi presentano di nuovo un gran tutto, le varietà del quale altro non sono che le metamorfosi, dirò così, cì’una grande unità. La serie ordinata di queste metamorfosi, le relazioni e i passaggi dalle une alle altre vi somministrano appunto i termini e i modi del calcolo universale matematico. In lui si riuniscono tutte le differenti specie di calcolo come altrettanti rami d’uno stesso albero. Qui noi entriamo nella parte operativa delle Matematiche, nella quale appunto consiste il merito loro. La parte ostensiva o contemplativa non è che il mezzo per giungere all’ operativa. Questo scritto versa sul metodo d’insegnamento . La parte dunque operativa esige una speciale attenzione. Domando adunque in primo luogo che cosa sia il calcolo. Esso viene comunemente definito = quella operazione del nostro intelletto* mediante la quale noi procuriamo di determinare e di esprimere i diversi rapporti delle quantità. = Questa operazione, a norma dell 'oggetto e dello scopo speciale che si propone, riceve pure speciali denominazioni, la tutte queste specie per altro l’operazione suddetta tende sempre a ridurre a termini più semplici e più compendiosi, che può, l’espressione di questi rapporti. Quando si conoscono i mezzi opportuni di far tutto questo, si conoscono le regole del calcolo; quando effettivamente si sa impiegarli con esito, si ha la perizia del calcolo. La collezione o il complesso di queste regole costituisce l’espressione dell’arte: il possesso pratico maggiore o minore dell’arte forma la perizia maggiore o minore, e quindi il merito maggiore o minore di un calcolatore. Domando in secondo luogo il perché sia necessario il calcolo. Perchè da una parte gli oggetti che dobbiamo o vogliamo conoscere sono tanto varii, tanto numerosi, e in massima parte nascosti: e dall’altra la nostra percezione è tanto angusta, confusa, ed arrestata dalle prime apparenze. Questo fatto è comune ad ogni specie delle nostre cognizioni; e però in tutte le nostre deduzioni interviene veramente una specie di calcolo. L’argomentazione e opera doli" iute Utenza limitala. Mediante il paragone di due idee eoa una terza, essa può scoprire quei r ri p porli i quali immediatamente non si presentano alPinLelleHo. La natura è la prima maestra. L’arte alleo non fa else imeagtee quelle maniere le quali l'esperienza mostrò seconde ad ottenere ['inizilo proposto. Ecco la logica artijièiafe. figlia e campagna della naturiti a Dico anche compagna^ perocché anche dopo il ritrovamento del!V$ciale essa esercita ancora il mio dominio iu mille e mille occasioni, le quali non furono contemplale dall arte, La logica dunque naturale si più dir sempre predominante^ perocché sono inolio piu numerose le circestanze nelle quali si ragiona cd agisce senz’arLe, che quelle nelle quali si ragiona cd agisce con arte* Per tal mozzo l’uomo anche nella più inah trata civiltà è più discepolo della natura, che delle instìluzioui fat tizie della socieLà* \ eneo do al calcolo, noi siamo costretti a confessare che il calcolo matematico è figlio del calcalo naturale ^ e forma un ramo particolare di questo calcolo primordiale, Diffatù cello studiare la storia naturali della quantità per ricavare le leggi della medesima, e quindi far nascere )e regole del calcolo matematico, noi slamo costretti di usare il calcolo. Per la qual cosa le regole del calcolo un a temati co derivano da un litro calcolo anteriore, il quale si confonde colpirle di pensare comune a tutto lo scibile umano. Non con fon diamo le regole del calcolo coi principii filosofici del medesima; né lo origine e V analisi dei concetti logici oollr pure definizioni e collo deduzioni secondarie. Il calcolo èun arte, ed un'arte di prima necessità; esso ha preceduto la scienza filosofici, crune tutte le altre arti primitive* In esse la ragióne dell’arte viene dedotta dal1 a pra fica e dall e prod azioni dell’arte medesIma. La prima creazior e è inspirata, dirò cosi, dalla natura, I/norrio allora contempla F opera della sua mano Da ciò dia ha fallo impara a far qualche co sa di piu; ma per lunga pezza prosegue a fare. Finalmente studia la ragione di quella eh fece; lacchè egli pratica rientrando iu sé stesso, ed indagando h natura e 1 andamento de suoi pensieri. Iti mane certamente*, come rimarrà sempre, molto di inavvertito e di occulto: perocché la ma un può fare assai più di quello die la mente possa discernereed intendere: ma smaniente collo studiare ciò che si può Jisceraere, c col dare la ragione di ciò clic fi può intendere, si può ampliare il nostro dominio razionale Necessità dell'analisi filosofica del calcolo. Pare a prima giunta che il calcolo non abbisogni di alcuna analisi filosofica, perchè egli porta un frutto certo che acquieta 1’ intelletto. A che rompersi la testa, dirà taluno, ad indagare la natura propria del calcolo, quando veggiamo offesso ci somministra i risultati che domandiamo? Prima di tutto io rispondo: non esser vero che col calcolo usitato si ottenga tutto ciò che si vuole. Se ciò fosse, io non sentirei a parlare nè di casi b’reducibili, nè di equazioni irreperibili, nè d’insufficienza della Matematica applicata, nè di altrettali argomenti. In secondo luogo rispondo: che per lo stesso motivo il farmacista, il tintore, ed altri che professano molte altre arti, potrebbero pretendere che la Chimica sia inutile. In terzo luogo poi rispondo: che quando al calcolo si voglia attribuire il privilegio d’essere usato senza la cognizione di cui parlo, allora non conviene parlarmi più nè di calcolo algebrico, nè di calcolo sublime, ma solamente del comune aritmetico. Diffatti nell’algebrico non solo si considera la quantità sotto un aspetto più eminente che nell’aritmetico usuale, ma eziandio si fa uso di certe affezioni e di molte leggi comuni degli enti matematici. Ne abbiamo una prova luminosa nell’applicazione dell’Algebra alla Geometria. Quanto poi al calcolo sublime, noi scopriamo che le di lui massime fondamentali non possono essere nè giustificate nè migliorate senza la cognizione filosofica, della quale parlo qui. Invano pertanto ci potremmo sottrarre dalle proposte ricerche sulla natura primordiale delle quantità, a meno che non preferiamo un cieco e fortuito empirismo all’ illuminato e ragionato modo di operare. 49. Necessità di conoscere ciò che si deve ommettere e ciò che si deve fare. Esempio. Il calcolo è un’opera di ragione, e non ài fatto arbitrario. Dunque è necessario di conoscere tanto le cose che si debbono ommettere, quanto le cose che si debbono fare. Quanto alle cose che si debbono ommettere vige un principio generale, che tutto ciò che è assurdo logicamente, e tutto ciò che è fraudolento praticamente, dev’essere bandito dal calcolo, sotto pena di nullità. Se per una considerazione generale non fosse possibile di annoverare tutti questi assurdi e queste frodi, dovrebbero almeno i maestri segnalare quegli assurdi e quelle frodi che illusero con effetto tanti uomini, e salire alle cagioni che ne possono rinnovare gli esempli. Il celebre Lagrange ha pubblicato un libro che porta il seguente frontispizio: Teoria delle funzioni analitiche, contenente i principii del calcolo differenziale scevri da ogni considerazione d infinitamente piccoli o di evanescenti, di limiti o di flussioni . e ridotti all' analisi algebrica delle quantità finite. Questo solo frontispizio manifestali colpo d’occhio e il sentimento d’uu uomo di genio, che non tollera nè l’assurdo, nè la frode. Qui l’autore allro non dichiara, che di volere far senza di infinitamente piccoli, di quantità che svaniscono, di limiti per tramutare gli eterogenei in un solo concetto commensurabile, di flussioni per confondere in uno le essenziali dissimiglianze. E perchè mai egli non si è prima occupato a dimostrare che se ne deve far senza? Perchè mai quel gran genio non ha voluto precluder l’adito a quei metodi che egli ha rigettati, mostrandone l’illusione logica e la fallacia? Col dire semplicemente al pubblico: ecco che si può far senza di questi melodi, non ha dimostrato che se ne debba far senza, e però ha lasciato ancora la facoltà di usarne, come se anch’essi fossero acconci a trovare la verità. Ma qui siami permesso di domandare: o l’autore era persuaso della irragionevolezza dei metodi dai lui rigettati, o no. Se ne era persuaso, dunque non doveva lasciare a’ suoi lettori la facoltà di abbracciare o la scuola Leibniziana, o la Newtoniana, o la sua : perocché fra il vero e il falso, fra il leale e il fraudolento non si può transigere. 0 l’autore non era persuaso della mentovata irragiouevolezza ; ed allora fare e dimostrar doveva che il suo metodo fosse piu facile, piu comodo e piu spedito degli altri da lui rigettati. Se diffatti anche questi venivano da lui riguardati come altrettante strade conducenti allo stesso scopo, altro motivo non rimaneva per far preferire la strada segnata da lui, che quella della maggiore comodità e speditezza. Ma egli non ha fatto nè l’una nè l’altra cosa, forse per la somma modestia che Io animava. Cosi noi siamo rimasti defraudati di un massimo servigio che quel sommo genio avrebbe potuto rendere alle Matematiche. Solamente col dimostrare l’ irragionevolezza dei metodi da lui rigettati egli avrebbeci compartito un inestimabile ed eterno beneficio. Abbattuto una volta dalla possente destra del genio il grand’albero piantato da suoi antecessori, e strappatene le radici per sempre ; eretto quindi un muro insormontabile ai veri confini della scienza; tutti coloro che venivano dopo avrebbero almeno imparato a non tentar più la strada dell’errore e della Irode. Perciò, quand’anche non avesse egli segnata la via diretta, avrebbe obbligati gli altri a non ismarrirsi pei sentieri fallaci tracciati da’ suoi antecessori. Questo beneficio sarebbe stato durevole, quantunque il metodo da lui inventato avesse dovuto perire. Consumata una volta l’opera della di ùtmzione.n si avrebbero potato rinnovare più volto anche io vano i tonfativi della edificazione' ma quelli clic fossero striti ben distrutti ima volta non sarebbero risorti mai più. Per la qual cosa so fosse vero quanto da un settentrionale trascendentalista è stato bruscamente rinfacciato al Lagrange., die il di lui metodo è falso OX avremmo almeno un criterio negativo per giudicare se quello del suo censore sia escuto dai vizii già diin o stràni. Dico un criterio negativo*) per far intendere che se Tan La gomito avesse impiegato mezzi già riprovali dalla ragione nel costruire il suo nuovo edificio, si avrebbe potuto, posta una chiara dimostrazione* accordargli esser vero non avere il La grange ancora indovinato il vero metodo del calcolo proposto' ma esser vero nello stesso tempo clic il suo censore ha pure tentato invano Y opera medesima. Difetti, dimostrata una volta con rigore lilosohco Tir ragionevolezza dei metodi rigettati, ossia dei loro mezzi fondamentali j se per avventura il nuovo riformatore gel leu Lrionale si fogge prevalso di alcuno di codesti mézzi? ogni, lettore avrebbe potuto dirgli : Guardate bene, o riguo re* che voi adoperate un mezzo assolutamente riprovato* e però il vostro assoluto trascendentale è un assoluto trascendentalmente, e In via assoluta riprovalo. Tutto questo serva in via di esempio per far sentire quanto sia necessario (specialmente prima die Limi scienza o un- arte sia giunta al suo apice!, quanto, dico* sia necessario di far notare le cose che si debbono ora me Ltere, prima di mostrar quello clic sì debbono o che si crede dovérsi praticate* 11 mostrare quello che doveri uni mettere non Importa assola lamento la cognizione di ciò die po trebbi:. ri con buon successo operare. Io mostro ad un navigante esservi scogli e voragini in doli punti dell3 Oceano ; il mare in certe stagioni essere soggetto a desolanti tempeste, Se io tralascio di mostrargli la via più breve c più sicura onde approdare ad una data costa, o die io la ignori, o che io prenda abbaglio, cesseranno forse d1 esser vere le notizie di fatto da me date? Tingiamo ora che taluno proponesse di seguire la via piena di pericoli, e che porta a certa perdizione, come se essa fosse strada opportuna: lasserebbe forse d: esser vero che colui mostra la via della perdizione invece di quella del salvamento? Dalla similitudine passiamo al fatto* Per dimostrare le cose dalle quali ci dobbiamo attenere nel calcolo non è sempre neces (i) Wruoski, Intimi tiz> *atc atta filosofia ttnllè Materne iu-ht'* pBg* • ario possedere Carte del calcolo, Àtìzi quando non si ira Ita delle jdid maniere di esecuzione^ ma si Lratta invece dei prmeipii eminenti di rà$0n$rj ed anteriori al calcolo, non solamente non è necessario di possedere il meccanismo del medesimo: ma, anche possedendolo, la d’uopo guardarsi dall usarne* specialmente quando si vogliono dimostrarci dovéri negativi eminenti ed universali. al* terza dei doveri negativi. Con quali principi! debbono essere discussi e stabiliti. LIó clic uon si può uè si deve fare in forza soltanto dei prindpii primitivi universali ed irrefragabili di ragione costituisce il tenore ili questi doveri negativi. Se ni un mortale ha diritto di comandare alla Logica* e meno poi di capovolgerla, i maestri di Matemàtica dunque dovranno piegare il collo a questi doveri. Invano porrebbero sottrarsi col mostrarmi una lanterna magica, un giuoco di bussolotti-, o una i'antasmngona. \ 01 commettete, risponderei loro, un circolo vizioso. Qui si tratta dei principi! di ragion comune. 11 terreno, sul quale dobbkmi disputare, non è quello delle fate, ma è quello del buon senso e della natura* A oi, col rifiutarvi dal venire in questo campo, vi sottraete dal combatli mento decisivo. Qui si deve cót&battere e qui si deve vincere, per dichiarare so la vostra vittoria sia legittima, o no: ogni altro partito è wa sullerfu gio, ed ogni sotterfugio è nu rifiuto di volere una decisione- le*giltima della causa della verità. Si racconta che Cremo nino peripatelico.j invitala da Galileo a mirare col suo telescopio il ciclo, abbia ostili a lamenta rifiutalo di farlo, per timore dT essere costretto a confessare cLe i cieli uon erano incorruttibili e cristallini, come aveva imparato -dulia scuola, ed aveva pur egli insegnato. Ecco il caso di quei matematici éz si sottraggono dalla discussione dei primitivi principi! di ragion coiti Dee che presieder debbono al calcolo, o che alle censure della filosofia contro i melodi adottati contrappongono no colpo di fantasmagoria matematica. Primo dovere: non confondere il sensibile fisico coti1 escogitabile. Esempio. Invano per altro ricorrono anche a questo partito, perocché la Biosofia sa cogliere i concetti nascosti, sa decomporre i composti, e sa dissipare gl’ illusoli!. U per verità quando i matematici, nell’ impotenza- di far coincidere la valutazione di due oggetti essenzialmente incomincnsul abili, stabiliscono un valore o una misura di mera approssimazioncj'd ragione mi dice die se essi presentano una cosa speaditiivameMe inutile, non mi presentano almeno una cosa logicamente assurda o fraudolenta. Ma allorché, dopo aver diviso ed angustiato l’ oggetto, e ridotte le cose ad un residuo, a loro dire minutissimo, e peggio infinitamente piccolo, lo volessero scartare, e quindi valutare Foggetto accomodato senza far entrare lo scartato, la ragion primitiva, ossia il senso comune, mi direbbe che essi non solamente mutilano Foggetto proposto, e realmente lo tramutano in un altro, ma pretendono che io debba riguardare Foggetto scambiato come identico al primo proposto. Quindi esigono che il calcolo che versò sull’oggetto scambiato venga da me riputato come fatto sull’oggetto domandato, e però che tutte le proprietà, tutte le leggi e tutte le affezioni dimostrate jiroprie dell’oggetto sostituito si debbano appropriare per equivalenza all’oggetto principale proposto. Così, dopo aver modellato le persone sul letto di Procuste, pretenderebbero che io dovessi riguardarle come dotate della dimensione che sortirono dalla natura. Quanto all 7 approssimazione^ ho detto in primo luogo essere speculativamente inutile. Con questa frase intendo significare, che se per gli usi della vita può essere utile di stabilire valori approssimativi, ciò è inutile per la teoria intellettuale della quantità. Negli usi della vita noi abbiamo per confine il discernibile fisico, e per motivo un interesse sensibile. Voler eccedere questi limili sarebbe una follia frustranea. Per la qual cosa siamo obbligati di adattarci ai pesi ed alle misure sensibili, e sensibili il più delle volte ad occhio nudo, malgrado che colla mente possiamo concepire che rimanga ancora qualche margine, il quale potrebbe essere assoggettato a divisione. Quindi è bene che la Matematica insegni il modo col quale si può misurare e ragguagliare colla possibile esattezza il campo del sensibile, malgrado che raggiunger non si possa la quantità escogitabile. Lungi adunque dal rigettare assolutamente i processi approssimativi per gli usi della vita, io li conservo e gli apprezzo : di modo che io terrò in maggior pregio, per esempio, la geometria del compasso di Mascheroni, che tutti gli assoluti d’un trascendentalista. Ma allorché dal mondo esteriore ci trasportiamo all’interiore, couvien cangiare di maniera. Nel mondo interiore dobbiamo prendere per norma i confini dell’ escogitabile per la stessa ragione per cui nel mondo esteriore prendemmo per norma i confini del sensibile. Ora siccome il più o meno sensibile di un oggetto materiale ne fa cangiare la quantità fisica, così pure un più od un meno escogitabile di un oggetto imaginato ne fa cangiare la quantità pensata. Il concetto intellettuale della quantità è così immedesimalo collo stato particolare di lei, ch’egli è violato allorché viene in qualunque minima parte alterato lo stato suddetto. Allora, qualunque sia, non è più quel desso di prima, ma un altro. Imperocché l’essenza stessa della quantità consistendo nell’attitudine di ricevere aumento o decremento, ogni stato della medesima consiste appunto in quella tale grandezza, sia numerica, sia geometrica, e non in altra. Dunque ogni piu ed ogni meno escogitabile costituisce essenzialmente uno stato diverso della quantità. Dunque siccome è metafisicamente impossibile che un meno sia nello stesso tempo un piu nell'identico subbierò, così sarà metafisicamente impossibile che una data grandezza pos1 sa rimanere identica togliendo o aumentando qualunque benché minima parte escogitabile alla medesima. Qualunque sia il nome che voi diate a questa parte, qualunque sia il concetto sotto il quale la presentiate, tosto che essa è suscettibile del concetto di parte della grandezza.?, ssa costituisce un piu od un meno rispettivo. Ma tostoché costituisce un piu od un meno rispettivo, essa per ciò stesso fa cangiare stato alla grandezza, e ne fa nascere un altra. Con qual nome piace a voi di chiamare questa parte? scegliete: per me è tult’ uno. Amate voi di chiamarla un infi ultamente piccolo ? Qui vi risponderò: o voi volete ch’esso sia un vero nulla, o che sia qualche cosa. Se è un vero nulla, dunque è assurdo appropriargli il nome di piccolo, il quale involge l’idea di cosa esistente e sussistente $ dunque è pazzia farne menzione nel calcolo, in cui si tratta di combinare e di paragonare resistente. 0 volete che sia qualche cosa, ed allora egli è una vera quantità. Considerandolo poi come parte d una grandezza, egli ne costituisce così l’unica essenza, che senza di lui ella cessa di esser tale. Col dirlo infinitamente piccolo altro non dite che esser egli d una piccolezza indeterminata rispetto al tutto col quale lo confrontate, e nulla più. Con ciò che cosa mi dite voi? 0 mi ditedi non sapere di quanto sia minore: o figurandovi un quanto, non volete esprimere questo quanto. Che se poi vi saltasse in capo di prescindere dal rapporto speciale della data grandezza, e mi voleste scambiare questo infinitamente piccolo puramente rispettivo con un infinitamente piccolo assoluto ed universale, in tal caso io vi rimanderei alla irrefragabile dimostrazione già fatta nell’antecedente Discorso, e vi convincerei di formale assurdo, degno solo d’essere guarito nella casa dei pazzi. Questa dimostrazione altro non è che una traduzione del principio stesso di contraddizione, come ognun vede; e però essa è cotanto rigorosa ed irrefragabile, quanto il principio stesso di contraddizione. Questa dimostrazione è comune tanto alla quantità geometrica, quanto all’aritmetica: anzi, a dir meglio, essa è eminentemente universale e primitiva: essa altro non è che uno sviluppamene dell7 idea stessa della quantità. Niun trascendentalista assoluto potrà mostrarmi concetti più estremi, e ontologicamente anteriori a quelli dei quali ho fatto uso. A che dunque servir può il concetto dell7 infinito nel calcolo matematico speculativo? In buona logica non serve a nulla di determinato. Bla per ciò stesso che non serve a nulla di determinato, non serve a fissare niuno stato positivo della quantità, il quale risulta da un piu% da un meno definito. Non serve dunque a stabilire alcuna induzione rispettiva, e quindi non può fare la funzione di verbo. L’unica espressione ragionevole pertanto, che ricever può questo infinito, sia grande, sia piccolo, si è quella che indica che una data cosa figurata viene concepita indeterminatamente maggiore o minore di un7 altra, e nulla più. Bla col semplice epiteto di maggiore o minore voi esprimete lo stesso concetto, senza ricorrere a locuzioni tenebrose d'infiniti grandi e piccoli. Bla ridotto il significato al suo vero valore, ed impiegando quindi le nude parole di maggiore o minore, io domando ai calcolatori che usano degli infiniti: potete voi, o no, adoperando le nude parole o i segni di maggiore e minore, far procedere uè più nè meno il vostro calcolo? Se mi rispondete di sì, allora io v’intimo in nome del buon senso di abbandonare la tenebrosa e subdola denominazione d’ infiniti, e di far uso degli umani e ragionevoli vocaboli di maggiore e minore. Se mi rispondete di no, allora, anche prima di entrare nel labirinto del calcolo, fermamente vi predico che quel che fate con questi infiniti è una mera illusione, alla quale sta sotto l’assurdo, perocché l’opera vostra è un vero logico delirio. Voi stessi alla lunga ve ne accorgereste con vostro rossore. Allora, aprendo gli occhi, comprendereste che la vostra ragione fu preda di un sogno ingannatore, e vi riconciliereste colla ragione comune e colla buona filosofia. Poste queste considerazioni fondamentali, io predico che nel calcolo speculativo non solamente ammettere non si dee veruna considerazione di quantità infinitamente grandi o piccole, ma eziandio che astener ci dobbiamo da ogni espressione definitiva frazionale e da ogni tentativo di approssimazione, il quale scinda la unità rispettiva, sia complessiva, sia metrica, determinata dai rapporti uecessarii dei termini assunti. Prematura sarebbe qui la dimostrazione di questa conclusione particolare, perocché non ho ancor posto in luce tutta F indole essenziale e lo spirito logico del calcolo. La vera imagine filosofica del calcolo sfuma sotto i processi, come il principio dell’organizzazione e della vita sfuma Sotto Fan alisi e Je combinazioni chimiche* Quest'imagtne uou pnò esser colta c tratteggiata che media u te quello luce mtille#luale e mediante quella perspicacia che fa ravvisare i tratti reconditi dell uomo interiore. 53Dm' ere fo mia menta le negativo nel calcolo degli escogitabili. Esempio. Nou eccedendo i confini del punto di prospettiva, dal quale ora rimiriamo il nostro soggetto, e valendoci soltanto dei principi! primitivi di ragione, qui si presentano alcuni doveri negativi risgtiardanli 11 calcolò degli escogitabili, il primo consiste = nel non confondere ciò die ò imagi uà ria in ente, e in senso diviso dìciam possibile con ciò che véramente ed in senso unito può esistere, ed effetti vani ente può esser fatto. = Contro questo dovere si pecca quotidianamente anche dai sommi matematici* e da questi peccati sorgono concetti mostruosi e locuzioni assurde. Io mi spiego eoo un esempio. Posto un circolo diviso in quattro parti e Inscritto mi quadrato, In di cui diagonale venga da me presa come F ipotenusa, avrò due latici quadralo inscritto, elio faranno la funzione di caldi. Qui lutto pòrta Firn prò ola del l eg u a gli a nz-a * ma qui ne11o stesso tempo si pr c c 3 U d e fallito a distinguere* a paragonare, ed a vedere ciò che una diversa mìstin dei cateti presentar ma potrebbe. Ira questa posizione però io rilevo certe proprietà e certe leggi, le quali essendo indipendenti dalla ccfìtsiderazbue dell eguaglianza dei cateti, si dovranno rispettivamente verificar sempre* anche posta la disuguaglianza, dosi ve^^n. per esempio* clic dal vòrtice dei triangolo rettangolo tirala una perpendicolare sino al fondo dei quadrato deli’ ipotenusa, ognuna delle parli di questo quadrato* qu dunque ne sia la dimensione* sarà eguale rispettivamente al quadrato del cateto che le sta sopra la lesta. Cosi pure veggo, die se qui l’altezza ilei triangolo rettangolo coincide col raggio perpendicolare a lFipdi^ti usa, quest'altezza non si può verificar pili, tosto che variano I due cateti inscritti nello stesso semicircolo e poggiati sulla stessa ìpotoaosa Allora per necessili deve scemare l’ area del triangolo rettangolo uel semicircolo, il quale altro non c che la metà del para 1 eli og rem ma inscritto cairn tutto il circolo. Veggo allora che cessa un’ altra coincidenza superficiale ha l’area del triangolo rettangolo ed il quadrato del raggio perpeu dicchi. Allora nascendo un quadrilungo maggiore di quello di due quadrati perfetti* ue segue, che il quadrato del Iato minore di questo quadrilungo m mi può offrir più F equivalente della mela delFarea di lutto il quadrilungo: come il quadralo delfallem del primo quadrilungo, compila di due quadrali perfetti, ini oilrìva le qui valente della mela deJFarea dello stesso quadrilungo ('). Qui facciamo punto, Se per una considerazione puramente meta fisica io penso di formar due cateti disuguali, quali induzioni trarre ne potrò? Io potrò tosto figurarmi che questa disuguaglianza sia, in astratto, grande o piccola, vistosa o minima. Io dovrò vedere allora uou so lame irle diminuirsi la lìnea dell'altezza del triangolo rettangolo formato dai cateti e dairìpotcnusa, ma questa linea più o meno discostarsi paralellamenta al raggio perpendicolare col quale prima coincideva 3 e lasciare frammezzo uno spazio più o meno largo in forma di lista rettilìnea* Allora io veggo che la potenza della linea di quest'altezza, più la potenza di quella che forma la testa della lista, mi cou trassegnano due quadrati, b somma dei quali equivale all area del quadrato del raggio. Allora veggp nel così detto quadrato geometrico della testa della lista un equivalsole di quello che è stato tolto alla metà del quadrilungo primo, composto dai due quadrati perfetti, cui chiamerò (jundrilungo dette guafianza primitiva. Qui dunque paragonando la posizione delheguaglianza con quella della disuguaglianza suddetta, trovo nella prima elementi tutti costanti, e quindi risultati sempre identici. Per lo contrario nella posizione della disuguaglianza possibile dei cateti e dello altre parti conseguenti no lì trovo di costante che l’ipotenusa e il suo quadrato, il raggio del circolo ed il suo quadralo. Ora se io soltanto dicessi essere possibile che Io stato delle linee e delle aree vari! più o meno, che cosa avrei dello io che possa servire al calcolo? (Nulla, e poi nulla. Converrà sempre almeno che io liguri in via di prima posizione ipotetica l-n nò o vk ìyieino positivo, sìa per via di aumento, sia par via di decremento, sia per, via di aggregazione, sia. per via di divisione, sia per via di proporzione, sia per via di ragione, cc, Questa verità ó ontologica mente evidente, pensando soltanto che il calcolo, consideralo anche me la fisica mente, consiste nel complesso delle funzioni necessarie, ossia di quello che far si deve per giungere alla valutazione delle quantità algoritmiche (ah La t dilatazione ^ io lo ripeto, la salutazione forma V oggetto finale del calcolo. Ora è vero, o nocche lava (i) lo adopero ìi nume di quadrilungo nir he nc connota io il parai «Ito grani ma a venaiiehe col volo di celebri od e, gatti ma lena alite quattro .angoli rcìlù con quattro lati* due ci, i quali col nome generico di pardìàfo* più lunghi e due più corta. (Vedi Legeodre.) gramma ( 50 1 lo il quale anche gli antichi (2) YV ronfila. Introduzione itila filosofiti, comprende vano si ài quadrato che qualunque delle Matematiche, pag. s&G. figura a lati parale! li) ri con escono non velutazione è metafisicamente e praticamele impossibile senza la considerazione di una quantità positiva determinata? Dunque la nuda ed astratta considerazione del piu o del meno della variabile grandezza, sia aritmetica, sia geometrica, ossia meglio il concetto della metafisica possibilità di questa variazione, e quindi dei gradi comunque possibilmente piccoli, è una considerazione od oziosa od incompetente per il calcolo, o per qualsiasi altra funzione nella quale si tratti di paragonare le quantità. Per la qual cosa, tornando al mio esempio, io potrò bensì figurarmi cbe la perpendicolare ebe divide il triangolo suddetto possa per ugainsensibile lista discostarsi dal raggio, e quindi cbe debba a bel bello sempre più accorciarsi. Potrò quindi anche figurarmi cbe il raggio perpendicolare e verticale a guisa d’una sfera di orologio vada scorrendo tutti i punti del quadrante, fino a coincidere colla metà dell’ ipotenusa proposta, ossia col semidiametro orizzontale: e, scorrendo questi punti. miseI gni l’estremo di tante perpendicolari verticali di altrettanti triangoli. Potrò in conseguenza figurare un graduale incremento o rispettivo decremento possibile di aree, ec. Ma a cbe giova tutto questo per effettuare la valutazione, o per istabilire qualsiasi differenza positiva o geometrica o, aritmetica? Nulla, e poi nulla. Io traccio su d’una carta un circolo; tiro il diametro; poi colla penna segno un taglio a capriccio o sul diametro o sulla periferia, senza sapere cbe cosa abbia tagliato. Piglio questa figu; ra, e dico ad un geometra: determinatemi il valore dei cateti, delle linee e delle aree cbe vengono in conseguenza di questo taglio. Che cosa aspettare mi potrei da questa proposta? Ognuno mi risponde, che quel geometra mi domanderebbe ch’io gli dica quanto abbia tagliato; e cbe quindi si presterà alla mia inchiesta. Ma se io, non volendo o non sapendo dirgli questo quanto, pretendessi ciò non ostante che soddisfacesse alla mia inchiesta, cbe cosa aspettar mi potrei? Ognuno mi risponde, cbe almeno in suo cuore quel geometra direbbe cbe io sono una gran bestia. 54. Principio logico del detto dovere negativo. Dall’esempio passiamo alla teoria. Altro è cbe una considerazione metafisica mi presenti l’astratta possibilità della valutazione, ed altro è : cbe me ne somministri il mezzo. Altro è cb’essa mi fissi certe condizioni costitutive della qualità o delle leggi essenziali d’una grandezza, ed altro è cbe mi ponga in fatto i dati pei quali possa determinare la rispettiva loro quantità. La valutazione generica altro non è cbe quella funzione, per cui stabilisco il giudizio cbe un oggetto è maggiore, minore o eguale ad un altro. La valutazione specifica è quella funzione, per la quale conchiudo 0 essere ella maggiore o minore di tanto di uuT altra, o lessero la somma delle parti alìquote dell' una identica alla somma delle parli alìquote dellVUra, La valutazione specifica forma, o no.. Loggcttc finale del calcolo? Se io do hi Latamente lo Forma, sarò dunque assurdo il far entrare concetti incompatibili con questa funzione, od esigere condizioni impossibili alla sua possanza. Ma così è che questa valutazione risulta essenzialmente dall* impiego di mi dato eleménto die mi serve di misura, e quindi dì criterio, per pronunziare un pia od anche uu meno positivo. Dunque egli sarà assurdità stravagante il volere nello stesso lompo o sciogliere P elemento assunto, o scambiarlo o mescolarlo con un altro vago $ metafisico non avente veruna corresp&££u> Uà col soggetto propósto, lu questa sola c or respeL Evita consiste la potenza di mena iva ilcllVlemcnlo ; perchè V uno metrico assoluto non esiste né può esistere per età stesso che esistono incommensurabiìi. Certamente sia in mio arbitrio d dividere, per esempio, una data linea o uu dato spazio, o allargare un *é Spr.esSiene aritmetica qualunqueMa tosto che io scelgo una di queste parti come punto di paragone, c che uè fo uso, non mi è piu permesso di togliere il concetto di questo termine. Egli è un fabbricare e uu distrugaere nello stesso tempo. Posso in vero cangiare la scelta; ma in quesLo casa rin noverò la valutazione sul secondo metro da me Irascelto ; ma non mi perderò mai alla considerazione che questo possa essere o maggioro o minore : come quando peso o misuro non mi perdo a pensare inutilmente che i gradì della ì dia u eia o del metro potrebbero essere più piccoli o più grandi. lJer un* inversa operazione poi io veggo essere frustraneo, ridicolo ed assurdo il volere, al favore della considerazione metafisica del pili o del meno, stabilire un criterio positivo di valutazione, il quale esser roti può clic puramente rispettivo, concreto e ipotetico. Hiteuiamo il principio fonda me fila le e massimo, che nella valutazione la i ntclli^ctìza e subordinata alla potenza .« io voglio dire, che utd calcolo di valutazione i risultali non dipendono da ciò che si può in astratto pensare^ ma da ciò che si può effe Divamente praticare. Se i matematici avessero posto mente a questa importante distinzione, non si sarebbero penosamente ed invano affaticati a violentare la natura, ed a sottomettere ad un'assurda identità di trattamento gli enti essenzialmente dissimili mediante la male intesa applicazione di un escogitabile puramente metafisico. Io presento ad un geometra un cerchio, in mezzo del quale sta un raggio mobile simile alla sfera d’uu orologio. Io muovo a capriccio un tantino di questa sfera, Metafisica meri le parlando., lo spazio percorso è realmente una quantità ri spettiva del circolo. Ma, posto questo fatto, potrà mai il geometra servirsi teoricamente e col solo pensiero di questa porzione di spazio percorsa, onde tessere un calcolo qualunque, o per misurare in qualunque maniera tanto le linee quanto le aree? Ognuno mi risponde che ciò sarà impossibile fino a che io non determini la porzione di spazio trascorsa, Qui dunque vedete che la cognizione da me domandata rimane essenzialmente subordinato alla condizione concreta di determinare lo spazio suddetto. Qui dunque la potenza dell’ escogitabile è necessariamente dipendente e subordinata alla determinazione di fatto dello spazio suddetto. Io non potrò mai conoscere i valori delle aree e le dimensioui delle linee, se prima non conosco di fatto la porzione rispettiva dello spazio suddetto. Ma per ciò stesso cbe si tratta di correspettivo, si esclude ciò che non contiene la correspettività, e per ciò si esclude ogni altro rapporto diverso puramente escogitabile, e possibile soltanto in una diversa o in milioni di diverse posizioni. Imperocché il primo è essenzialmente determinato, ed il secondo è essenzialmente indeterminalo: il primo si riferisce ad un dato tatto, il secondo- volteggia e sorvola libero nel caos immenso del \* idealismo. Egli è dunque pessimo ed irragionevole partilo quello di fermarsi allo sfrenato e vago escogitabile, per trarne indi una regola direttiva di ciò che è praticabile, e dipendente da una determinata ipotesi. Tale appunto è T infinito, ossia l’ indefinito, dal quale sorge la incommensurabilità, contemplato in una vista indipendente e generale. Rispetto a questo concorre una doppia assurdità. La prima è quella che risulta dalla considerazione di una vaga e metafisica differenza, quasi che ogni grandezza rispettivamente incommensurabile non avesse uno stalo determinato, o quasi che vi fosse un’unità metrica assoluta, e ch’essa non fosse cbe puramente rispettiva. La seconda assurdità poi, che qui concorre, i risulta dall’attributo d’ infinito^ cui assoggettar si vuole a valutazione, sia di eguaglianza, sia di differenza. Malgrado l’evidenza logica di queste osservazioni, io trovo i seguenti due teoremi, cui rimetto al giudizio del lettore, prima di tradurli logica| mente, ed indi giudicare del loro merito. I. Lorsq’on peut prouver que la différence de deux grandeurs » invariables est plus petite qu uue graudeur donuée, quelque petite que )) soi t celle-ci, il en resuite que les deux prémières grandeurs sont ega» les entr’elles. » e IL Lorsque trois grandeurs sont telles que la première, variable, » surpassant toujours les deux autres, qui ne changent point, peut ap . f i ca >i prodi ti t e u m £ metemj )S de t onte a deux, a assi pr ès qn 'a a v ou dra, e es ?j deux demléres grande urs sotiL cgat.es atilr’clles (’X n V questi due canoni si riduce quasi tutta 1T altissima sapienza moderna matematica in latto di salutazione nou ordinaria dei commensurabili, ma degli intrattabili ed indefiniti in commensurabili. Questi canoni. una volta stabiliti, autorizzano a coniare tutti ì zero relativi., c ai quali si è tramutato il nome degli in fin i temente piccoli. Queste denominazioni di zero relativo^ sinonimo dì quantità infinita mente pìccola $ le trovi amo anche presso il proclamato riformatore nordico delle Matematiche Wrousfii, pagp 204 della citata Introduzione. 55. Cautela ììlosofica conseguente. Se invece di tentare questi gì noe Li di forza., riprovati dalla ragioneed eseguili col far intervenire il puramente fantastico escogitabile nelle operazioni della pratica possibile alPtiomo : se invece, dico, di questo irragionevole partito, i matematici avessero voluto rispettare i veri confini della sragione ., essi avrebbero tenuto II seguente discorso. Sappiate che per un essenziale concetto passo un? insormontabile differenza tra il curvilineo ed il rettilineo 5 fra certe grandezze e fra certe altre, sia geometriche, sia aritmetiche. fS oi riconosciamo di buona fede la impotenza dello spìrito umano a ragguagliare con una sola misura queste grandezze. Quindi nei cìrcolo, per esempio, non potendo noi far uso che di rette linee . Io rappresentiamo come un poligono di lauti lati, quanti fa di bisogno pel nostro calcolo ili valutazione; intendendo peraltro sempre che k periferia non serva che di limile a questo poligono* Jn conseguenza noi non vi presentiamo questo poligono nè come requivalenle dell5 area del circolo, nè come esprimente la sua periferia* ma invece noi lo poniamo solfi occhio corno figura adattala ed accomodata ai nostri bisogni, e come una creazione dirò cosi della nostra mano. Li circolo resta in natura qual è;, la figura per lo contrario da noi conformala serve di mezzo allo scopo che si può colle nostro forze aLtuaìl oli cu ere, fio stesso diciam pure della altre curve s delle quali abbinino bisogno sia per calcolare il moto, per esempio, dei pianeti, sia la linea segnata da un pròjelLile, sia per determinare certo leggi meccaniche, co. ec. In breve, tutto questo lavoro altro non è che una possibile approssimazione per supplire ai bisogni della ragione nello studiare la fisica quantità e per giovare alle opere (e) Vud, lì&eroibq Essalssur l'enseìg,ne-mmt tu generai et sur r cisti des ]\$athvmatiqnc$ en partivtdikrej pag, it)&, Paris iBiib dell’ arie Per la qual cosa dici] a ariamo di non voler .sorpassare le forze deiromano intendimento, e meno poi di violare i concetti logici delle rose, tramutando il diverso in idèntico, e viole uLin do la potenza della vakt azione co c uno sfrenato Ubali* ma ; o, viceversa, pretendendo che ho barlume indefinito, clic si riceve ad occhi chiusi, serva di metro e dì criterio ad mia valutazione determinata* (*ou questo discorso ogni nomo di senno avrebbe applaudito al buon critèrio ed alla perspicace industria dei matematici. Ma ben lungi cbW abbiano voluto rispettare i confini dello spìrito umano, hanno tentato ìdvece dì occupare il posto di un Dio, al quale nou abbisognano nè cab coli nè induzioni, ma che lutto comprende per un atto puramente intuii ivo. Con quéste osservazioni io credo di aver dato abbastanza ad intendere quello ebe ammettere sì deve rigirarle del calcolo; o almeno credo di avere richiamalo la dovuta attenzione sul peccalo capitale della moderna Matematica nel calcolo delle quantità. Gli altri doveri negativi sono mollo mi non ; e ciò da cui dobbiamo astenerci è più facile a ritti* v arsi, ed è. opera di osservazioni pii! particolari e pratiche, le quali nou potrebbero trovar luogo in questo Discorso, né in verini1 altra parie di quest5 Opera 5 rivolta soltanto a fondare le basi del buon insegnamelo primitivo dello Matematiche. 56. Di ciò ebe far si deve. Prima avvertenza: conoscere il perchè di quello che far si deve* Dopo di queste osservazioni .generali su ciò che dehbesi o'mmeUm:. nel calcolo, passiamo a ragionare di c iò che far sì deve*, colla mira soltanto di comprendere in che consisti lo spiritò eminente dell’arte di calcolare. Ciò che far sì deve non differisce sostanziai mente da ciò dii: a fa o far sì può naturalmente : ma rid acesi a far bene, e in una nani ora avvertita e preconosciuta, ciò che si fa o si può fare naturalménte* Fra 11: diverse maniere possibili dì fa re, scegliere quelle che possono riuscire, ossia quelle che ci procacciano Pimento proposto, e ce Io procacciano in una guisa piò facile, più breve e più proficua, ecco in ée consistè r invenzione d \ fatto d’ ogni arte nostra. Con essa insegniamo tutto quello che far si deve, ed ommetliamo quello che far non sì de V& Scegliere poi queste maniere non per un cieco empirismo, ma colla cognizione del perchè si debba fare piuttosto così che così, assicura I invenzione deli* arte scoperta, e tic estende la sfera finc a quel segno si quale giunger può la nostra potenza. Imperocché conoscendo il perche delibi tic, si distingue per ciò sLesso quello che si può da quello che non si può 5 quello che si deve fare da quello che si deve ammettere* Ma cau ascendo ciò che far si può, sì spìnge l'arte fin dove può gri u ngere * e quindi si aumenta la nostra possanza lino a quel segno al quale può es~ sere porla la. e nella Ilo stesso si previene ogni lenta live frustraneo. Conoscendo poi ciò che (are od ammettere si devt\ ed il perche si debba fare od ammettere* si presta la direzione utile, e si prevengono i traviamenti nocivi. In [Questa maniera soltanto si verifica il dello di Bacone, che l'uomo tanto può quanto sa ; ritenendo che il sapere non sia ristretto alla perizia empìrica^ ma comprenda eziandio la perizia filosofica» Ciò premesso, io doma mio in che consista lo -Spirito positivo e f dosa f co dell1 arie del calcolo ì Badale Lene ni termini della qu istinti e, Se voi voleste rispondermi col mostrar mi come si fa a calcolare * voi non soddisfareste a questa domanda: imperocché quella risposta, che voi mi date, io r ottengo anche dalla macchina aritmetica inventata da Pascal, Orsù dunque, se volete, mostratemi pure il fatto del calcolo: ma esponetemi eziandìo le parti e le ragioni dì questo latto, e io sarò pago. Così volendo essere bene instruilo del meccanismo con cui da una macchina si segnano le ore, voi mi soddisfarete quando rm mostrerete le parli prima segregate, indi congegnate delia macchina; e mi segnerete la forza che la rn ove e quella che nv. tempera il movimento, e i modi meccanici della spinta e dei tempera nòe n ti. Coll queste condizioni potete voi rispondere alla mia domanda ? Se lo potete allora potete fissare anche le condizioni del Luca metodo del primitivo in segna me cito dello Matematiche ; ma allora egli riuscirà ben diverso dal praticato. Noti potete voi risponderò colle condizioni da me richieste 7 Allora io dico fermamente chele Malemaliche sì aggirano tuttavia entro la crassa atmosfera d'un cieco empirismo, e che l'arte del calcolo non è ancora divenuta arte dì ragione*, ma rimane ancora arte puramente sperimentale, ne Ih atto stesso che aspira ad una possanza eminenti; ed illimitata. 57. Confutazione della massima de ir empirismo cieco. Per quanto io potessi pensare ad unire questi estremi, io lì troverei logicalo ente Inconciliabili. Passiamo ora al fatto positivo, ho sento da lui a parte che sómmi matematici erigono V empirismo in principio dì ragione difettiva; e dall’ altra sento altri egualmente celebri, che mi citano i risultali infausti dei metodi sperimentali adottati nel calcolo sublime. Ecco gli esempli, Sauriu impegnalo a sostenere e a propagare d calcolo ìnhn itesi male, e volendo togliere di mezzo le difficoltà che veni v a egli o.ppoTom. E 7Ì | fi}G . sic. baciò scrìtto nelle Memorie dell’ Accademia delle Scienze ili p)|&j del 17*23 quanto segue : t1 tròp, non à la raisou, mais aux raisonaemens _ Nos calcufe nWtpas n tanl de besoia qu gu penso d’elre éekirésj ils portoni avec eux uce » lumière propre; et c'esl #ordinaire de lenr sebi mème que snrt touli >j celle qu W peni rópandre sur eux, et que peut recavo ir le sujet fjuon ■ traite.... Ce rissi jamais le caleul qui nous trompé quaud il est' biro a fidi: il tda pas besoiu d'otre appcyé par des raisoutieniens: mais dW)) diuaire ce soni les raisounemeus qui uous trompen t. et qui ne dolvcu* » nou$ determinar quauLnut qu il sout appuyés par le cale ni). m Con questo discorso ognuu vede canonizzato il cieco empirismo del calcolo sublime. La somma di questo discorso rido cesi a dire, die bastar deve il vedere belletto e la riuscita dì questo calcolo, senza vederne h ragione; Ma per mia fè, qual è il principio di ragione col quale qui sì tenia di gius li fiep re questa sentenza ? 1 nostri calcoli, sì elice, una hanno tanto bisogno d? essere illuminali: essi portano con sé una luce propria. 1 filat soli coi più gran lumi e le migliori intenzioni potrebbero guastar lutto, dando troppa non alla ragione, ma a) ragionamento. Esaminiamo questa causale. Che cosa è codesta luce propria, cui i calcoli portano con sè? e che cosa ò questo guasto^ che Olosolì Èli orni nati, i quali vogliono sdbiarìr tutto, potrebbero recare? Forse che la luce algoritmica è luce dina sole che, dire itameli te miralo, abbaglia i riguardanti? In tal caso essi abbaglierebbe tanto coloro che maneggiano il calcolo senza pretesa (li schiarirne i movimenti e le ragioni logiche primitive, quanto coloro che volessero investigare questi movi menù e queste ragioni, lo questo Cftw dunque il fatto del calcolo, e spinalmente del calcolo sublime, invitalo dopo lauti secoli e praticato da tenie poche persone, sarebbe uu nomeno imperscrutabile, simile a quello del principio della vita. Cosi ridurrehbesi la cosa al punto dì ricevere ima invenzione larda ed elaborata dell' arte umana, come non suscettibile di genesi razionale. Cosi uè segue, d/essa amministrar si dovrebbe senza cercare il pere h è, anzi epa espressa proibizione dì cercarne il suo perche . Io venero fi abilità dina Ycd. Lbcl’oìx, Opera eriarn. pag, ^fg^tljo. uùi calcolatore: ma, sapendo che ragionevole dev’essere d mio ossequio., gli domando i molivi della fede cieca ch’egli esige da me. Egli mi parla di luce intellettuale, e quindi di ragione che discerne; ma egli nello stesso tempo mi vieta d’usare di questa ragione* Come va questa cosa nella Matematica ? scienza eminentemente razionale ed evidente? Come va questa cosa nel calcolo sublime, metodo Lullo artificiale, e inventato per una elaborata induzione di uomini moderni, dei quali veggi a nio seguati tulli i passi, e i quali, Leu lungi di aspirare al titolo d una rivelazione sovrumana, si fecero mi dovere di assegnarne I fondamenti e 1T artificio / Voi dite che i filosofi coi sommi lumi c colie migliori intensioni del mondo potrebbero guastar tutto, dando troppo non alla ragione, ma ai ra gionamenti. Qual linguaggio ò questo mai? Che cosa sono i ragionamenti, altro else V esercizio stesso della ragione, vale a dire la ragione stessa non in potenza, ma in atto? 0 questi ragionamenti sono giusti, o uà. Se sono giusti*, essi non possono venire in con il ilio colla verità e con qualsiasi principio, perche essi non sono che l’ espressione stessa della ve ri Là : o sono fai si, od allora nan meri tane lì nome di m gì onarnenlLm a di sragionamenti; c sì potranno dimostrar labi analizzando i termini die contengono. Ma voi II supponete fatti con sommi lumi e di buona fede. Dunque voi temete che la massima del calcolo vostro non possa reggere a ragionaménti fallì eoo tutto l1 Ingegno, con tutta la dottrina e con tutta la buona fede. Voi esigete Inoltre d'essere dispensalo dal mostrar la fallacia di questi ragionamenti, e che ciò non ostante si riceva il vostro calcolo, lo non permetto che sì vada investigando il mistero del calcolo sublimo, ma esigo cdie venga ricevuto come sta, e maneggialo alla cieca, pago dì vederne ]’ dì et Lo. Ecco la forinola vostra* Basta averla accennata. perchè venga rigettala Imo dal scuso comune* Piacesse al ciclo che questa fosse una pretesa particolare del citalo scrittore: ma essa pur troppo è quella del volgo dei matematici, e perfino di taluno che occupa fra essi lui posto eminente. Un esempio lo abbiamo in un’Opera d* un celebre matematico 5 piena di eccellenti viste suir insegnamento delle medesime. Questi c il signor De Lacroix, il quale, dopo di avere applaudito ai sentiménti del Sa uri u* ripetutameli le professa d’ignorare la maniera colla quale sì acquistano le idee del numero c della grandezza. Je confessa mori ignorane e sur la manière doni ics idées de nombre et. de grati denti? £ acqui érent. In un'altra Opera pubblicata cinque anni prima sul càlcolo infinitesimale egli aveva di già emessa questa professione dì fede. (i) Ve J. Da croi Opera diala, 'pi. I l OS 1 ja prelesa (degli empiristi ma le malici pare else fosse fondata sopra la sicurezza dì possedere uno strumento di universife valili azione. Loro bastava il possesso di fatto di questo stromeuto, e si credevano dispensanti dal discuterne la legittimità Ma questa sicurezza pare che cessaidebba a fronte del terribile scandalo avvenuto coi calcoli di Eràtnp, dd merito del quale ninno può dubitare. Egli è stato sospinto suo malgrado, a tante mostruosità; al dire del Wrcaslu, che lo stesso Kvamp h lasciata scritta 3a seguente sentenza, die ri fi il e questioni dei prmdpìi matematici i piu grandi geometri sono obbligati dì confessare ingenua mente la loro ignoranza (0. $ £5S. Cenno di una massima posk ivo- fon da meni, alt? per Parie (Iti en I l u-1 u di valutazione! degli escogitabili» Ciò posto, rimane ancora la necessità dì discutere quésti prkieipìi: o, a dir meglio, rimane Fobbliga zinne di scoprirli, c di derivarli dalfunìca loro fonte legittima. Questa è la filosofia che. mediante un T analisi allenta ^ ordinata e perspicace, ponga in luce le condizioni e le leggi io uriamentali della parie operativa del calcolo, e supplisca indi e rettifichi w fi che è stato fatto sin qui» Afon è del mio istillilo il tentare tanta impresj; nè questo sarebbe il luogo opportuno per farlo. Annoterò ciò non osinoli' un’idea fondamentale, che pai mi luminosa e decisiva per la buona riaf scila dell arte di calcolare. Fino a che la teoria della valutatone uón venga intimamente associala con quella delle ragioni e delie proporzioni, iu modo che il passaggio dall’un a all’altra nou sia e (letto àe\V industri^ ma della condizione necessaria degli cuti geometrici ed aritmetici, ì quali concorrono a formare un tutto sistematico di ragione., l’arte del calc.sb universale sarà essenzialmente imperfetta. Essa esisterà soltanto albi® certamente e pienamente soddisferà all’intento cui è destinata. Ma questo intento non si può ottenere col ramo delfalgariLmo algebrico separalo dal geometrico i, e, quei eh’ è più, senza riunirli amen due eoo up ucuId comune, e mediante un terzo criterio indicato dalla sLcssa natura, CoiFaTgorilmo algebrico si passeggia realmente sulle creste dei monti, senza I discendere mai al piano che gli unisce. JL’algoritma algebrico non è dunque nè potrà essere mai del tulio soddisfacente ai bisogni della valulazione, ma vi soddisferà soltanto imperfetta mente. U imperfetta riuscita dì Ini, applicato alla Geametrkj è un fatto solenne riconosciuto da celebri matematici, e fra gli altri dal Alaseli croni. Esso diiTaUi non comprende (i) WWski. Introduzione aìfo filosofa delle Matematiche, pag. a5-j. 1 ! tì9 tutti i termini naturali die realmente intervengono, e die sono necessari! per valutare anche simbolicamente le quantità. Fisso dunque appellar si può col nome di algoritmo semilogico. La sua pienezza deve ancora essere supplita, e quindi la lacuna sarà riempiuta. Tutto ciò sìa detto semplicemente di passaggio. Qui io mi contenterò solamente di accennare a! ernie osservazioni psicologiche intorno a ciò che accade nello spirilo nostro nell'atto di calcolare, onde preparare le basi del metodo dell’ in segnarne □ lo primitivo. 59. Dei conceLU meritali che Intervengono nel calcolo. Del conce Ito complessivo del medesimo. Incominciando dalPogrgjbtto proprio del calcolo matematico, io fo avvertire che questo non consisto in qualunque quantità, ma solamente m quella clic può dirsi finca. La prova risulta dalle cose dette nel Discorso primo. Questa quantità fisica però non viene considerala fisicamente . ma solo razionalmente } vale a dire, noi prescindiamo (lolla consideratone dello stato reale delle cose esistenti in natura., e volgiamo V esame sai mondo solo intellettuale. Per questo motivo distinguiamo la Matematica pura dalla mista o applicata, Sebbene l3 intellettuale derivi dal lisico, ed involga il concetto del fisico, ciò non ostante distinguiamo l'uno dall' altro per la maniera con cui la mente nostra Io contempla Riuueado quindi questi tiara Iteri, dir possiamo die la quantità jidca intellettuale forma l' oggetto materiale dal calcolo matematico puro . Dico Y oggetto materiale per distinguerlo dalle logie, ossia dalle idee parameli Le relative eccitate e risultanti dai paragoni e dalle connessioni, e che appartengono tutte al nostro intimo scuso. Su di ciò non abbisogno di estendermi, dopo le cose notate ned bau lece dente Discorso. Le diverse qualità dell' oggetto materiale determinano lo diverse relazioni. Dunque i diversi concetti propri! delle quantità, paragonati o uniti agli altri, determinano le logie. Il complesso delle idee degli oggetti materiali delle logie e delle funzioni a Ulve del nostro spirito, riguardanti la quantità fisica-in Ielle L tu ale, forma il concetto complessivo del calcolo matematico puro. La parte Intuitiva non si può disgiungere dall’ operativa, pero celie qui la cognizione subordinala all’opera serve unicamente all'opera. L'uomo non è un automa, ma un essere in .cui qualunque azione esteriore od interiore avvertita deriva sempre dal conoscere^ dal volere e dall' eseguire ; talché 1’ effezione dell* opera appartiene solida* mente a tulle tre lo suddette facoltà Del magistero logico del calcolo. Sua affinità col magistero generale scientifico. Esempio. Studiando la maniera con cui queste tre facoltà operano nel calcolo matematico puro, si comprende qual sia il magistero di questo calcolo. Esso presenta per sè stesso tanto i caratteri generici, quanto gli speci, ilei; voglio dire, tanto le condizioni comuni, quanto le proprie. Con ciò noi giungiamo a stabilire la differenza fra il magistero del calcolo matematico puro, ed il magistero del calcolo generale scientifico. Certamente ' Ira 1 uno e l’altro bavvi molto di comune: perocché l’ io che calcolalo Matematica è quello stesso io che calcola in Fisica, in Morale ed in Psicologia ; e però convien conoscere questo comune aspetto, per rilevare quindi quello che è speciale al matematico. Il calcolo scientifico, del quale parlo qui, non riguarda la scoperta d’ogni specie di verità, sia di fatto . sia di ragione. L’arte di verificare i latti, che appellasi critica* nou entra nelle nostre considerazioni. Non vi entrano nemmeno le disquisizioni sulle cause e sugli effetti, e sul modo j di agire. Rimane adunque quella parte che ha una maggiore affinità col calcolo matematico puro. Questa, sebbene non si occupi della quantità, ma si restringa alla qualità delle cose, ciò non ostante manifesta un magistero, il quale si verifica anche nel calcolo matematico puro: talché per | questo lato si può dire con tutta verità, che il magistero fondamentale del calcolo è lo stesso, sia che si tratti di determinare il piu, il meno o Vegliale incognito nelle cose, sia che si tratti di dedurne la occulta somiglianza o dissomiglianza . Io entro in una camera, e vi trovo due cembali vecchi abbandonati. Alzo il coperchio, e veggo che non rimangono piu che le cinque prime corde ad ognuno. Mi viene la voglia di scoprire se le corde dell’uno siano concordanti o discordanti da quelle dell’altro. Che fo io? Incomincio a toccare la prima corda del cembalo A* e tocco pur anche la prima del cembalo B. Sento che queste due sono concordanti. Ecco un primo giudizio semplice d’identità. Esprimo questo giudizio, e I nasce la proposizione singolare, che la prima corda del cembalo A con| corda colla prima del cembalo B. Passo avanti: e sempre toccando la ' prima del cembalo A, la paragono colla seconda del cembalo B. Qui sento la discordanza. Ecco un secondo giudizio, ma di diversità, ed una seconda proposizione che lo esprime. Vado avanti toccando la prima corda del cembalo A, e la paragono successivamente con la terza, la quarta e la quinta del cembalo 2>, e la trovo discordante con tutte. Fatto questo primo giro, io esprimo i cinque giudizii singolari con una sola proposizioue, dicendo: tutte le corde del cembalo B, tranne la prima, sono discordanti dalla corda prima del cembalo A: oppure dico: la prima corda del cembalo A non concorda che colla sola prima del cembalo B. Con questa semplice proposizione io effettivamente esprimo cinque fatti, cinque rapporti e cinque giudizii diversi, uno affermativo, e quattro negativi. Questa proposizione adunque inchiude una recapitolazione, un compendio, e in fine esprime un concetto di risultato comune e semplice, il quale non si può confondere con veruno dei giudizii singolari prima emessi. Io prego il leggitore a far punto su di questa osservazione. Procediamo oltre. Fatto questo primo giro, passo al secondo. Qui tocco la seconda corda del cembalo A, e ne paragono successivamente il suono con quello delle cinque corde del cembalo B, e lo trovo discordante con tutte. Ecco cinque altri giudizii singolari ed uniformi, tutti affermanti diversità. Questi cinque giudizii singolari, colle loro proposizioni rispettive, gli esprimo con una proposizione negativa, sola, semplice e comune, e dico: la seconda corda del cembalo A non concorda con veruna, del cembalo B. Con questo metodo passo a confrontare le altre, e non trovo più consonanza, lo dunque conchiudo colla proposizione generale, che tutte le corde di questi due cembali, tranne le due prime, sono fra loro discordanti. Quest* ultimo giudizio generale e questa semplice proposizione che cosa suppongono veramente? Essi in primo luogo suppongono venticinque confronti, che somministrano ventiquattro giudizii negativi, ed uno affermativo. In secondo luogo suppongono che questi venticinque giudizii singolari siano stati convertiti in cinque giudizii speciali ; e finalmente che questi cinque speciali siano stati convertiti in un solo generale. Tutte le cognizioni generali, dedotte con senno, esigono questo processo: perocché le condizioni di lui sono rese necessarie dai rapporti reali e costanti che passano fra la limitata nostra comprensione e gli oggetti delle nostre cognizioni. Dunque parmi di potere giustamente affermare, che il magistero fondamentale del calcolo è sempre lo stesso, sia che si tratti di dedurre le quantità, sia che si tratti di scoprire per via di deduzione qualunque altra cosa. Passata la sfera deiriuluilivo simultaneo, incomincia quella del calcolo. Qui V intuizione non è ristretta solo alla sensazione, ma comprende anche quella che ci può essere somministrata dalla memoria o di fantasia. 1 1 n . g Gl* %irito eminente ed ultimo del magistero del calcolo. Cui calcelo scientifico noi vogliamo ottenere la vera cognizione Mle cose, Dunque qualunque specie di calcolo forma uu ramo della Lo* gica generai,.!. Dunque la Matematica è uu ramo di questa Logica, Ecco perchè io E Lio denominala la Logica dette quantità* Scoprire uri 'incognita identità o diversità mediante mi' identità o divemità già coaoscÌLita, ecco a clic si riduce io spirito eminente ed ultimo del magistero del calcolo, e di ogni minima mossa del medesimo. Nel calcolo jiritmetico noi ci occupiamo a scoprire l' identità o la diversità della quantità fra più oggetti diversi, o Ira le parti di uno stesso oggetto: nei geometrico noi ci estendiamo a determinare anche la situazione, le forme e l’auihmeuto ec. di un dato soggetto. Amen due perù questi calcoli uao seni o che parli dei medesimo processo* Ogni quantità considerala ruspe Ito ad inda lira è identica o diversa. L ìdenti ii rispettiva non può avere che un solo concetto: questo è quello dell eguaglianza. La diversità ne può aver due; e questi sono il piu ed il meno. Li eguale e il disitguale non è die uu verbo nosLro, LVgfóflgìianza altro uovi c elio V identità di quantità applicala a due o più aggetti, lussa esprime uu giudi/io affermativo di questa identità . La dò1uguaglianza non è che I affermazione della differènza, di quantità fra due o più soggetti* e quindi la negazione di eguaglia nza fra i medesimi. L 7 eguaglianza c la disuguaglianza si possono esprimere a n die con forme rispettivamente negative. Dico con j$jtrne negative*, e non con un concetto negativo * si perche io non conosco idee negative, e si perche Fan imo nostro sente la diversità come sente ['identità. Io sento cosi positivamente la differenza fra d bianco e il rosso., co me sento p o sitivi m co te V im pressione del solo bianco e del solo rosso* Più ancora: per affermare che il giglio è bianco come la neve, ini è necessaria l’idea di ameuditc; come per affermare che il giglio e pili o meno bianco del narciso. S 52. Deli intervento dulie idee rì1 eguaglianza e di disuguaglianza. L 'eguaglianza interviene perpètua mente nei nostri calcoli ^ come v' interviene la differenza. In essi ora forma lo scopo delle1 nostre ricerche* ed ora forma uno del mezzi per giungere alla scoperta che desideriamo. là eguaglianza h nome ó.’ identità, come la dUitguagìianz-a è nome di diversità. La semplice distinzione dònna Grandezza da uu altra non io chiude il concetto uè di eguaglianza, nò di disìtguaghanza^ perchè due o più cose distinte possono essere s't eguali che disuguali- come possono essere simili o dissimili. La sola distinzione adunque può costituire una circostanza, ma non un elemento del calcolo. L’elemento del calcolo matematico rigoroso viene somministrato dal più e dai meno di un dato oggetto o di più oggetti. Quando annunziate un più od un meno, voi esprimete qualche cosa di più o di meno. Questa qualche cosa è veramente un’idea positiva che voi riferite ad un dato oggetto. Il nulla infatti non forma oggetto nè di più) nè di meno. Se non manca nulla ad una cosa, o se non tolgo o aggiungo nulla, non si verifica nè il più. nè il meno. 11 più e il meno adunque inchiudono Tidea di una quantità positiva, che riferisco ad un oggetto pure positivo. Questa relazione è o ipotetica o eli Jatto, assoluta o condizionata. Coll’ ipotetica o condizionata altro non dico, che se aggiungessi o togliessi tanto, ne seguirebbe la tale conseguenza: per lo contrario colla relazione assoluta e di fatto esprimo di aggiungere o levare, o che è stala aggiunta o levata, o che manca o che esiste una data quantità. Nella relazione condizionata altro non fo che paragonare, lasciando intatto il valore della cosa: nell’ assoluta per lo contrario altero effettivamente la quantità. Usando del più o del meno condizionato, finisco coll’ affermazione o negazione de\Y eguaglianza^ e collo stabilire una data proporzione o un dato valore. Usando per lo contrario del più o del meno assolute ), io aggiungo o tolgo una quantità al soggetto aumentato o diminuito. Colla prima maniera rimane tutto nel soggetto, a cui applicai il più od il meno; colla seconda per lo contrario se ne cangia la dimensione, il valore, la proporzione ec., ed esso non è più quello di prima. La verità dunque dei concetti esige due espressioni diverse per due operazioni cotanto fra loro diverse. Lasciando al più o al meno assoluto i nomi di piò o meno, io denominerei il condizionato colle parole di se-più o se-meno (0. Con questa distinzione io fo tosto comprendere se io annunzio uno stato della cosa, o la mia operazione di aggiungere o di levare qualche cosa al soggetto, o se pure semplicemente misuro o paragono per giungere alla scoperta bramata. (i) Io esprimerei, per esemplo, 11 più o Il meno assoluto col soliti segni di -fo di . 11 se-meno o il se-pi'u io gli esprimerei nella seguente maniera: t H primo signifi cherebbe se-meno, il secondo se-piu. Spediti, semplici e analoghi mi pajono essi, e pero acconci per gli apprendenti. Evvi una terza ma niera, nella quale s’impiega il più e il meno, e questa è quella del binomio. Con questa non si accresce o detrae nulla, ma si segnano distintamente i coefficienti di un tutto semplice. Per questa espressione impiegherei I SEGUENTI SEGNI [cf. Grice, the formal devices] : -j-^, ovvero Nell1 esami tiare le diverse quantità intervengono, secondò 1 casi. Inalo i giudizi! di differenza assoluta^ quanto quelli di distanza maggiore o minore dall eguaglianza. Queste idee sembrano coni penetra Le. ma jjure sono diverse. La differenza quantitativa risulta dal rapporto immediato fra due grandezze. La distanza dalla eguaglianza risulta dai rapporto di queste grandezze eolio stato di parità non esistente fra le me! destane. Nel primo caso T intelletto paragona solamente i due soggetti fra di loro: nel secondo caso li paragona coli un terzo archetipo, ossia colla forma pari5 clic risulterebbe togliendo qualche cosa attinia, e dandola all’ altra. La differenza dunque assoluta si potrebbe denominare totak J,.a disianza poi dall’ eguaglianza dir si potrebbe differenza media, Li assoluta in chiude l'idea di appartenenza di un pili ad mi dato so"* getto, e di mancanza rispettiva all1 altro. La media per lo contràrio involge il concetto dWa detrazione di questo di piìt dall uno dei soggetti, e di ripartimenlo eguale di esso fra amen due. In tutti i casi nei quali sì tratta di lar intervenire gli esftejni ed i m edi t la distanza ni aggìore o minore dall'eguaglia n: a è cos i de e biva . eli essa per sé sola sembra somministrare una positiva creazione o auuientameuto^ quantunque il senso geometrico attesti il contrario. Col trasportare soltanto no àtomo dall’imo all’ altro medio per tenderli arabi egiuli, voi non diminuite in nulla la superficie del tutto; e pure nel prodotta della moltiplicazione avete un aumento, lo accenno questo fenomeno per far sentire quanto importi ili distinguere la differenza assoluta dalla media. \J assoluta si può calcolare co 117/ no,' ta media solamente col due Ciò nasce dall’essenza stessa di relazione doppia e di pari aggio, ^ t>4. DcL vario conccLto del piu e del meno che interviene nel calcola. Tutto questo avviene quando si tratta di differenze dete/umnate. ta queste ha propriamente luogo un tanto di pia od un tanto di m$nO,$ non un meno o uu piu indefinito. Il pili o 11 meno indefinito si espimi! colla maggiorità o minorità generica. Il maggiore o II mio ore in gè urrà non vi dà di per sè l’idea di quanto uu soggetto sìa maggiore o minare di un altro; ma altro in sostanza non esprime s se non eli’ essi inaurai di eguaglianza* ossia che sono disuguali Fra ridea della maggiorità o minorità* e l’idea di un dato vaiar nutrì urico, sia quella della rispettiva grandezza* e quindi -jaclU delle proporzioni. La proporzione determinata non importa per sè stèssa il concretto' di un determinalo va love intrinseco o io a Itera bile aritmetico, perocché ad una grandezza determinata sì possono dare tanti valori, quante sono le parti nelle quali possiamo dividerla. Se io figuro una superficie o una figura doppia, tripla o quadrupla di Linf alLva, io altro non fo cdie determinare lui rapporto estrinseco ira di esse, e nulla più. Quindi io le astrazione ? sia dalla generazione, sia dai eordficieu LÌ dai quali può risultare., sia dal valore metrico interno che può o deve ìli tali casi ricevere, sia da T attitudine sua ad unirsi con altri soggetti per costituire o una serie o un complesso, e così discorrendo. lt concetto di grandezza determinala segna i limili rispettivi della quantità sia discreta, sia continua. Essa di per se non presenta dati dimeusivi particolari se noti quando concorre con altre a formare un tutto* g 65. Del paragone dei dìsTtgiialq e di ciò else allora avviene nel nostro spirito. Quando paragonale duo quantità disuguali, che altro avviene nello spirito vostro? Ciò die ò pari, sia grande* sia piccolo, lo considerate come una cosa sola, e non ponete mente fuorché alla disparita. Allora è lo stesso paragonare due grandezze, per esempio, dì quattro o cinque digiti, come paragonarne due dì quattrocento o cinquecento. Gin non è lutto. Questa operazione implica una sottrazione di puro paragone di tutta la grandezza pari di lei* ossia un sè-meno. Ma il concetto di questa grandezza rimane immedesimato eoi soggetti paragonati, c serve di punto d'appoggio al vostro intelletto. Qui dunque la forma di eguaglianza astratta serve a determinare la differenzaSe dunque il sentimento della differenza è positivo, il mezzo dì determinarne la misura viene somministrato solo da ir idea di eguaglianza. Ma questa non è che mia ideatifa ripetuta. Quest'identità deve io vestire un qualche oggetto, ossia consiste essenzialmente nel concetto di qualche oggetto geometrico. Dunque la cosa si risolvo in ultima analisi nel concepire un soggetto geometrico come sta, e farlo servire di punto di paragono onde determinare la diversità di quantità con un altro e eon molti altri. 66. Mezzo conscguente di valutazione. Suo princìpio fondamentale logico ed unico. Omogeneità. Qui facciamo punto. Fu detto di sopra e dimostrato, che Yunò metrico generalo non esisto uè può esistere*) ma ch'egli è sempre rispettivo* Parimente ogni grandezza ò cosi determinata, e di un concetto cosi individuo ed immutabile, che non si può aggiungere o diminuir uulla senza tramutarla in un’altra, e così senza distruggere la sua essenza. Dunque se venga o paragonala o accoppiata ad un’altra, nasceranno certi rapporti, e non certi altri; certe convergenze o divergenze, e non altre; certe proprietà comuni o certe opposizioni, e non altre. Questi rapporti saranno necessarii ed immutabili, quanto l’essenze stesse delle grandezze dalle quali emanauo. Se dunque queste grandezze siano considerate come parti di un tutto, esse dovranno necessariamente somministrare un metro analogo ai rapporti che sostengono. La natura dunque di questo metro risulterà o semplice o composta, a norma dei rapporti essenziali della posizione loro. Dunque ne viene il solenne ed inconcusso principio, che per calcolare con verità nei casi in cui queste grandezze essenzialmente diverse concorrono insieme, non si potrà far giuocare nè il piccolo né il grande, ma si dovrà far uso soltanto dell’omogeneo . Quest omogeneità non consiste nè nell’ unità polverizzata, nè nel1 estensione microscopica, ma nell’essenza composta secondo l’indole della figura. In Geometria ciò viene confermato anche dalla proposizione sopra dimostrata, che il principio della figura è la stessa figura. Ma la presente dimostrazione essendo tratta dalla natura comune dei concetti sì geometrici che aritmetici, ne viene che il principio suddetto dell o/?zogeneita e comune a tutta sorta di calcolo. Allora cessa Fuso i/nmoderato dell estrazione delle radici: allora vengono banditi gli infinitamente piccoli; allora non si parla più di approssimazione ; allora non si tenta più di dividere la certezza come una focaccia, e di trarne risultati mostruosi: allora sottentra uu’ altra specie di calcolo analogo ai dettami della filosofìa e all’andamento della natura. Conseguente ripugnanza c falsità positiva matematica dell’ algoritmo infinitesimale. Io non pretendo per questo che si debbano abolire i metodi attuali; ma solamente partiti che in certe parti si possa illuminarli di più, e quindi riformarli ed unificarli. Questo può esser fatto soltanto usando del principio dell omogeneità, il quale esige come condizione, che a parte rei nulla venga da noi alterato nel concetto delle quantità impostate o derivate, e per pai te del calcolatore la piena cognizione della posizione intiera della quautità e dei rapporti logici di lei. Voi mi direte che si sono fatte molte scoperte. Ed io vi rispondo domandandovi, se tutte siano solide; e quelle che sono solide, nelle specie dei casi di cui parlo, non coincidano appunto, senza saperlo, col principio dell’omogeneità. Niuua verità può fare i pugni con un’altra, nè la verità matematica può venire in conflitto colla buona filosofia. Ora ditemi se questa possa ammettere le denominazioni di calcolo infinitesimale, di infinitamente piccoli o grandi, di quantità aggiunte o neglette, ed altre simili. E quanto alla denominazione di calcolo infinitesimale, credete voi che sia filosofica? Chi chiamasse la pittura arte delle ombre userebbe egli d’una denominazione conveniente? Lo stesso è in Matematica coll’ attribuire ad un calcolo il nome d’ infinitesimale. Il calcolare importa discernere e paragonare. Ora sull’iufinito si può forse esercitare il discernimento? Dove non si discerne regnano le tenebre per noi. Attribuire adunque il titolo et infinitesimale ad un calcolo è lo stesso che denominarlo calcolo tenebro SO) calcolo delle ombre. Questa denominazione impropria, la quale manifesta una pretesa incompetente allo spirito umano, sembra derivare dal trascendentalismo mal inteso, del quale ho già parlalo. Essa poi suppone che si possano oltrepassare certi limiti che la buona filosofia dimostra insormontabili, e che vi possa essere un’essenziale differenza fra il grande ed il piccolo . Sappiate, dice l’inventore di questo calcolo, che i fondamenti della mia invenzione non sono rigorosamente dimostrati, ma sono passabilmente veri (')• Tutti piegano la fronte, malgrado le grida della Filosofia e del buon senso. Così pure il Leone, nel tempo che pioveva, e nell’atto che i suoi cortigiani grondavano d’acqua, avendo sostenuto che risplendeva il sole, i suoi cortigiani d’accordo proclamarono che il sole gli avea bagnati. Ma, per mia fè, che cosa significa questo passabilmente vero, fuorché un’asserzione non dimostrala? Ora un’asserzione non dimostrata può forse servire di fondamento ad una teoria che esige una rigorosa dimostrazione? La dimostrazione non ammette nè verità dubbie, nè verità passabili; ma accoglie soltanto un vero pieno ed un vero dimostrato. Da quando in qua la Matematica, che appellasi la scienza emi (i) Il calcolo differenziale, basato sopra gli altri principii (cioè diversi da quelli del Lagrange), forma una scienza separata dall'Algebra, giacché in essa non avviene mai che quei principii s'inconlrino. Talvolta questi principii dimandano che si accordi la sussistenza di cose le quali hanno in sè delle proprietà contrarie affatto alla geometrica evidenza e ad ogni comune concetto; e questi sono gli infinitesimi, che ora si prendono per nulli, ora per quantità di misura che si confrontano con altre, e sopra le cui analogie ebbe a dire lo stesso Leibnizio, Acta Eruclitorum, Lipsiae, ch’esse non sono vere, ma ioleranter verae. Brunacci, Memoria premiata dall'Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova,. Edizione di Bettoni. Padova nenie mente certa ed eminentemente dimostratila deve ri posare su basi passabilmente vere? Questo é ancor nulla Se taluno affermasse elio il quadrato di un cateto può essere uguale al quadrato dell' ipotenusa, o che il calete stesso può essere uguale all* ipotenusa, uou direbbe l'orso ima propó^iótte apertamente ed agiatamente falsa? \ oi lo coti vincereste di falsità si colla dimostrazione della figura, e si col tagliare una lamina ed uri cartone in modo ch’egli dovrebbe confessare la falsità palmare delia sua proposizione. La verità della proposizione pitagorica è assoluta ed uaiv ers al e, perocché in essa si prescinde dulia considerazióne di qualunque divisione o proporzione particolare dei cateti o dei loro quadratile però per fa sua vera nni versali tà può sostenere il confronto della ebe dei Lcil>mziani. fi a sta aver delibalo i primi elementi ili Leoni etri a per essere Intimamente convìnti di questa universalità* Ora se, contro V uaivefsale verità ed evidènza del dogma pitagorico, io volessi contrapporre S etmempimenti Loie r et n ter veri 5 coi quali Letbmlz stesso denominò i fondam e u li del suo calcolo, cLe cosa si direbbe di ine? Dir si dovrebbe che i pensamenti toleranter veri debbono cedere II passo agli avide nUr veri; e che se i toleranter veri ripugnassero agli evidenter veri essi diverrebbero evidentemente falsi, per ciò stesso ebe gli altri fosseroe^dentc mente veri. Ora dico, sostengo e dimostro, che il concetto Lada monta le del calcolo di Lcibnitz ripugna positiva mente al dogma suddetto pitagorico ; e però coacbiudo, essere il pensamento Leibmziano evidentemente e ma te ma tic a mente falso. La prova di questa ripago ansarisulta dalla dimostrazione posta appiedi di questi Discorsi. Come mai mi ’ impostura come questa ha potuto trovar seguaci iti tanti nomini d’ ingegno di Lutti I paesi d'Europa ? Come mai un fantasma, il quale comparve sul Leatro matematico coperto non colle diviso della evidenza, ma colle spoglie ingannevoli d'ena volgare fantasie, mori tata col trascendentalismo e coi passi vacillanti del passabilmentetwo, potè illudere cotanto da regnare stille menti dei matematici, e resistere agli assalti del buon senso? Come mai anche oggidì egli esteuJe la sua dominazione, ed acquista campioni al suo partilo? Forse sta scritto nei libri del fato che aoche il mondo matematico debba talvolta essere colpito da uno spirito di vertigine come il mondo civile? Vi avviereste voi forse di dire che il dogma pitagorico è dogma geometrico e uou algo ritmico -i e che però noo può colpire la massima del calcolo Inim ilesini ale, nel quale si fa uso di principi! algoritmici? In questo caso $ Ai dimostrerei che il dogma pitagorico ò e mi ne me ni ente algoritmico ed li ni camente algoritmico, e versa intieramente sullo scopo unico d’ogni calcolo. E per verità il dogma pitagorico non determina egli il valore dei quadrati dei cateti rispetto ai quadrato dell’ ipotenusa in tutti i casi nei quali i quadrati dei cateti o siano eguali fra di loro, o possano differire per qualunque quantità escogitabile? Ciò posto, domando io: la valutazione non è essa lo scopo unico del calcolo? L’algoritmo non è forse il mezzo di questa valutazione? La determinazione del piu^ del meno, eguale * sia delle quantità impostate, sia delle derivanti o costanti o variabili 5 sia delle indicate, sia delle differenziali, non costituisce forse la funzione, anzi 1’ essenza propria dell’ algoritmo ? In esso si domanda forse di conoscere o quantità dubbie, o quantità insussistenti, o quantità false; o non piuttosto quantità certe, sussistenti e vere? Ora se la valutazione attribuita dall’algoritmo passabilmente vero ripugna colla valutazione evidentemente certa del dogma pitagorico, non si potrà sfuggire l’assurdo, perchè cade sullo stesso soggetto e sull’ identica operazione. Invano pertanto si avrebbe ricorso alla distinzione suddetta per sottrarre gl’ infinitesimi dall’anatema del buon senso, e invano gli Ercoli del calcolo potrebbero accorrere per impedire la caduta dell’edifizio poggiato sopra i medesimi. Mi direte che non sempre la massima del calcolo Leibniziano esige l’impiego di questi infinitesimi, e però che quel calcolo non resta sempre colpito dalla taccia dell’assurdo e della frode. A ciò rispondo, che qui si cangia di quistione senza affievolire la mia dimostrazione. Io ho parlato del modo praticato degl’ infinitesimi nel calcolo, e non ho parlalo del calcolo eseguito senza di essi. Ora se mi parlale del calcolo in cui essi non intervengono, voi non mi parlate più del calcolo veramente iulìuitesimale, ma di un’altra cosa; e però la vostra difesa cade su di un soggetto diverso. Allora il calcolo sublime altro non è che il calcolo naturale elevato a regole più generali, e nulla più. 68. Principio preservativo dagli errori e dalle frodi. Onde però togliere per sempre la sorgente primitiva di questo e di altri simili delirii, è d’uopo avvertire che altro sono le considerazioni del possibile fantastico « ed altro le considerazioni del possibile esistente. Egli è metafisicamente possibile che esistano Pietro, Paolo e Giovanni; ma allorché figurate Pietro esistente, egli è metafisicamente impossibile eh’ esso sia nello stesso tempo Paolo e Giovanni. La esistenza effettiva della persona di Pietro rende metafisicamente impossibile ch’egli sia nello stesso tempo Paolo e Giovanni. Così dicasi delle quantità. Una grandezza è metafisicamente suscettibile di vani gradi tr atimenlo o ijpcn> mento: aia posto iti fatto qualunque aumento o decremento eseegtlabtJiì di lei. si esclude per ciò stesso resistenza di fatto di qualunque altro aumento o decremento meramente possibile, e por ciò s Lesso di quatuqqiEfi altra possibile differenza, ragione, proporzione o rapporto logico poggiala a termini diversi. Questa sentenza altro non e che cu a traduzione del principio stesso di contraddizione. Posto questo dato, ce viene che quando in fallo voi figurate die una quantità impostata riceva tei dato aumento o decremento qualunque escogitabile, voi escludete perciò stesso qualunque altro auménto a decremento maialisi cani ente possibile di i 'crso d?i quello elio voi figuraste, qti&ud’ anche non sappiale 0 uou esprimiate d valore di questo pìk o di questo meno. Allora il pih ti il Meno figuralo riesce necessaria mente parte aliquota o non aliquota della quantità impostata. Potrà essere a voi sconosciuto il valore rispettivo di questa parto. Ma la ragione vi dice sempre, che siccome ossa noti può esistere e non esistere nello stesso tempo,, nè essere ad un solo trailo identica e diversa; così (quanti* a nell e il di lei valore non sia da voi conosciutoj, ciò) non ostante essa esclude la possibili la della coesistenza di uno sfiato diverso da quello, sotto del quale realmente esiste • Con ciò Inni gli altri stati mela fiate amen le escogitabili rimangono sepolti ad caos dell idealismo, e non ha véramente luogo che quello stato solo, sello il quale essa esiste. Indefinito dunque a parie rei non è nò può essere questo sialo; e però) è logicamente assurdo il concetto di un influitoti indefinitamente piccolo esistente* sia ideale* sia reale. Io sfido tutti i matematici a sovvertire la verità di questa o* set' razione. Ma nello stesso tempo domando loro se sia vero, o no. die col loro do: non lanciano intervenire e coesìstere tutti gli stati metafisicamente possibili della piccolezza, nellatlo che non è possibile fuorché la esistenza tT li o solo di èssi? se sia vero, o no, die confondono il meta stato incognito col possibile stato escogitabile di questo quantità, e cfuda questa confusione e da questo scambio sorga la mostruosa progenie degl* infinitesimi e la Illusoria fabbrica del calcolo relativo ? Perché io non conosco quanta sia faltezza dei monti della luna, pollò io dunque supporla indefinita ? Voi mi parlate di grandi e di piccoli come di oggetti del calcolo, Voi dunque distinguete un grande ed un piccolo ad uso pratico W calcolo. Ma questo grande e questo piccolo vengono da voi associti o tu senso unito o i u senso diviso [Grice: Don’t multiply them!] . Sogli assumale in senso unito, e m a a sfésLo che dire e provar mi dovete in che consista il grande^ e dove n ni* sca per dar principio al piccolo. Se poi gli assumete in senso diviso, voi mi dovete dare un criterio certo e stabile per distinguere il grande dal piccolo, perchè io possa iodi attribuire ad ognuno il suo posto e la sua funzione. Senza di ciò io taglio un terzo di una montagna ? e gli pongo il nome di infinitamente piccolo. Invano ricorrereste alla puerilità volgare del granello d’areua di Wolfio ; perocché questo stesso granello, o sotto al microscopio solare, o agli occhi d’un animale microscopico, pare o una massa di un metro di diametro, o una montagna. Il globo terracqueo è un punto rispetto all’universo. Queste norme nel regno dell’evcogitabile non possono aver luogo, e però conviene determinare il piccolo e il grande in via di rapporto logico assoluto. Ora dico essere logicamente impossibile agl’ in fi n itesi malis ti lo stabilire filosoficamente in che consista il grande e il piccolo per ciò stesso che gli stabiliscono indefiniti, stantechè V indefinito non ha confini. Dunque per essi è logicamente impossibile lo stabilire il fondamento primo esecutivo, ossia pratico, del calcolo del V escogitabile. Dunque quand’anche egli non fosse logicamente assurdo e matematicamente falso, egli sarebbe umanamente impraticabile. Universalità «Duna stessa legge segreta che presiede al calcolo. Lasciamo questi assurdi, e proseguiamo. Vi può esser forse un aspetto, sotto del quale la massima del calcolo Leibniziano può essere accolta come vera: ma questo aspetto non può essere presentito che internandosi nei più reconditi misteri dell’algoritmo naturale, e non può essere annunziato colle forme assurde degl’infinitesimi. Penetrando questi misteri si distingue il calcolo coerente dal calcolo vero; perocché havvi una specie di calcolo, la bontà o inutilità del quale non può essere scoperta e verificata se non si sale alla massima sua fondamentale. Allora si esclude quello che non tiene conto della diversità originale ed essenziale degli elementi, e che tratta gli enti matematici sul letto, dirò così, di Procuste. Io non posso e non debbo entrare nell’esame di queste massime, perchè dovrei dare un trattato di Aritmetica o di Geometria, invece di osservazioni generali sul primitivo insegnamento delle Matematiche . Quindi non è mio disegno d’impugnare veruna costruzione fondamentale dei calcoli usitali dai matematici. Ma altro è la meccanica del calcolo, ed altri sono i principii filosofici del medesimo; altro è la verità intrinseca dell’operazione, ed altro è l 'espressione conveniente della medesima. Ciò che ho annotato, parlando del calcolo sublime, versa soltanto sull’ abuso degl’ infiniti, e non percuote il merito intrinseco dello stesso, Su questo mento aneli e noo conoscendolo * si può osservare ciò che deriva dai principi t d'ima solida filosofia, e può interessare la prlmEtiva istruzione, la però, parlando del calcolo sublime, dico che se la tnassitua di questo calcolo e giusta, essa dev'essere stata traila da un fallo certo* ed essere conforme a leggi perpetue già conosciute. Uno è il» getLo della scienza . e identiche sono le leggi dell* umano intelletto. Le diverse specie di calcolo non sono che diversi artifici] per roggiiiogetsi diversi concetti delle quantità; ma questi artifici! non sono che medi diversi di queste leggi lo rida meu tali, Per vedere il sole e la luna vi bastano gli occhi nudi: per vedere i satelliti di Giove c l anello di Salem bastano i telescopi] ordiuarii: per vedere Urano, ed altri più lontani o più minuti oggetti, occorre d telescopio di Jlerskclma per questo vengono forse alterale le leggi della luce o quello dell’ Ottica? La massima dunque sulla quale è fondato il calcolo sublime, deve derivare da un fatto certo . primitivo ^ costante, e dì una influenza generale. Questo latto, lungi dal contrastare cogli altri, dovrà apparirci concordante. Dunque tutte le. specie possibili di calcolo dovranno risentire la sua inOueiiza, e però adattarsi ai rapporti ch’egli fa nascere. Dunque fino dai primo r sd 1 1 della scienza egli iu fluirà sui nostri concetti anche senza che ce ue avvediamo, e determinerà i nostri risultali dì ragione. Quando lo reggiamo alla scoperta, lo esprimiamo co’ suoi lineamenti genuini; quando all’opposlo non facciamo che presentirlo, o no I ravvisiamo che al favore di un languido barlume, uni gli prestiamo una forma confusa 3 la rappresentiamo con divise non sue, e, quel ri/ é peggio, gli attribuiamo funzioni Incompatibili colla di lui natura, lo potrei recare iu mezzo esempi i, nei quali celebri matematici fanno eseguire all’ infinitamente piemia le funzioni le più strane e k più assurde. Qua lo vedete far la funzione del mallo del tarocco; là lo vedete far la figura ò* un. blietri; qua le funzioni dei maghi di Faraone > f ioà cangia le curve in rette, e i segmenti In tangenti ; là fa la funzione di giocoliere, facendo sparire e comparire ciò che si vuole ; talché qualche gran maestro, invece di voler adattare i uoslri concetti distinti a ciò che accade in natura, ha preteso clic la natura non possa procedere che secondo questi concetti Lnv.I^ iJ di cui arco si assume come arco di circolo. Ma a rigor geometrico è dimostrato che il quadra Lo sopra AI C è uguale alla lista E P Q E Questa lista poi costituisce la differenza fra il semiquadra lo A B F E ed d quadrilungo A B Q P . Brunitevi, Memoria schietta, Aln i Leibniziani considerano questa corda come se non esistesse. Essi dunque tolgono Li lista suddetta, e quindi annullano la relativa differenza. Dunque essi 05» su mono il quadrilungo, che forma la parte, come eguale al semiquaJrab, che 1 forma il tutto. Questo tutto c appunto compost# dal quadrilungo e dalla lista suddetta. Qui domando se il porre una parte uguale al tutto sia cosa che conceder si possa come passabilmente vera. Voi mi direte che tutto questo si fa per giungere ad una valutazione tipprossima tiva, a fronte d’linairis u pe ra h il e in comme n su ra bili tu. Pi ù cose si posiono opporre qui. La prima si é, che non dovete porre avanti cose assurde per coprire 1 impotenza vostra j ma dovete far la dichiarazione già sopra espressa La seconda si tì, die lungi di aprirvi La dito alla co mmensu razione rettilinea possibile, voi lo precludete* Lai esèmpio perpetuo per tutte le gradazioni dell'area del quadrato lo vedremo nel Discorso VI. Parte 3» Ivi faremo vedere che nei casi della rettilinea incommensurabilità tanto la valutàz.icjnfl superficiale competente, quanto là conversione in forma linearmente r[ tunica bile dipende assolutamente dalla fissazione della potenza della minima corda circolare soppressa dai Leibnìziani, e dalla tassazione rie! laro infinitamente pìécdì di primo o di secando grado* Fu pure dimostrato il mudo di determinare questa potenza. Tutto ciò vien fatto procedendo in una maniera precisamente contraria a quella che viene praticato dai Leibnizirmi, Egli è vero che questa teoria non fu mostrala fuorché pei casi della graduale diminuzione del quadrato) ma egli è vero del pari che può essere colle debite aggiunte estesa: e sopra tutta é vero die con essa si escludono tutti i processi impotenti ed assurdi inventati per superare io scoglio delia incommensurabilità almeno relativo . Dico della relativa? perocché ogni sforzo è inutile nell1 assoluta, la quale risulta dal curvilineo rispetto al rettilineo. La valutazione è un processo che suppone identità ira le idee paragonate. L3 omogeneità s posta come principio praLico di vahttaztonCj rende indomabile qualunque essenziale c t erogene ita. fra gli Oggetti paragonali, La regola che obbliga a paragonare quantità della stessa, spècie è di assoluta necessità. Chi sara da tanto da volerla infrangere, e da pretendere ciò non ostante di somministrare un calcolo di fatto dimostrativo? È ornai tempo di abbandonare una ciarlataneria, colla quale, imitando I giocolieri eli bussolotti > ^i vuoi far travedere i sempliciotti. Dell' unificazione matematica sì logica che morale. 71, In quanti sensi si possa prendere la parola u n ijìciizioìic* Presa come operazione di calcolo, che cosa significhi. In due scusi si può prendere V unificazione fìiatanctticu* II primo come operazione di calcolo $ il secondo conio ordinamento della scienza in uno. Presa corno calcolo, tosto si distingue la coacérv azione dall’wn/ficazione 5 come si distingue un m« echio di pezzi dTuna macchina dalla loro co ni pagìna 1 1 ira. Altro è d i f fa Iti fo r m are a gg re gali, ed a Itr o è unì licare altro ò numerare e sommare, ed altro è porre in rapporto una quantità. La prima operazione, altro non considerando, non produce che una collezione* e ntm mai un unità complessiva. Produrre quesPuniLà è opera appunto delF unificazione Essa importa che non solamente le parti stiano insieme, ina clic vi stiano con tali rapporti da produrre un co u cotto cosi unico ed indivìduo, come quello che appartener può ad ogni parte presa singolarmente, Se si possà proseguire ad unificare, come si prosegue ad enumerare. Considerando le cose in una vaga possibilità, paro che Fu ubicazione ìioo abbia confini, e si possa seguitare od unificare come si prosegue a numerare. Se qui distinguete la pura amplt azione dall luiijìcazioìie, e \ unificazione primitiva dai perìodi soli della medesima, non pare che in Ma Le ma t le o si possa a mine Ile re un inde Unita unificazione di quantità nel senso di produrre uu' unità veramente complessiva, nella quale si trovi varietà e continuità accoppiata ad un solo e individuo concetto. Imperocché da una parte converrebbe che immensa fosse la comprensione umana . e dall’ altra clic i rapporti cospiranti delle quantità fossero pare indefiniti. Quando parlo dì comprensione * io intenda non la sola facoltà di percepire c di combinare, ma quella di abbracciare simultanea cicute molle cose distinte* La parola stessa con? prendere racchiude questo significato. Ora, lungi che noi ci possiamo vantare di questa mi* mensa comprensione, ci dovremmo anzi lagnare di una somma angustia. Quanto poi ai rapporti cospiranti della quantità, vale la stessa ragione sotto un altro aspetto; perché questi rapporti non sono che le idee re* Jative dei nostri stessi concetti della quantità, nate dalle leggi fondamentali del nostro discernimento. Dico del discernimento 5 perocché i rapporti indiscernibili non possono formare materia di calcolo. Questo discernimento è tutto relativo alla costituzione attuale del nostro essere; come 1 attitudine d’uu cembalo a dar suoni distinti, e quelle tali loro combinazioni e non altre, viene determinata dalla sua costruzione. Ora se m questo stato di cose tutto divien finito, e conformato d’unadata maniera, ne segue necessariamente che i concetti dell’ unificazione saranno non solo per sé circoscritti, ma che non potranno eccedere un dato numero di variazioni. 73. L'unificazione appartiene al senso integrale: da ciò nasce l’implicito. L unificazione appartiene al senso integrale, del quale abbiamo parlato da principio; e quindi essa è l’operazione la più originaria e la più naturale di tutte. L’unificazione matematica dunque pare ridotta soltanto a collegare i concetti del senso differenziale, e trovare i mezzi discernibili coi quali far si può l’unificazione naturale. Ma il senso differenziale non può raggiungere mai l’integrale. Dunque rimaner deve sempre un margine, dentro il quale eseguir si deve l’unificazione matematica. Questo margine dovrà al nostro discernimento apparire come una caligine, la quale limita il campo della luce intellettuale. Anche questo margine, quando è finito, potrà servire al calcolo; ma ciò in diversa maniera: imperocché avvi in Matematica un non so che, il quale riesce principio e fine dei concetti successivi della quantità, e che dir non si può essere egli stesso una data quantità. Egli non è nè lo spazio, nè il tempo, nè 1 estensione, nè l’unità metrica, nè il numero; ma egli è un reale senso recondito, dal quale sorgono rapporti aritmetici e geometrici determinati. Egli quindi nou è nè un infinitamente grande o piccolo immedesimato colla sostanziale quantità intesa; ma è una cosa posta fioriti lei, e che fa sorgere varii rapporti con lei. Egli è nello stesso tempo variante ed unificante; continuo nella sua essenza, e discreto ne’suoi effetti; esteso ne suoi progressi, e perentorio ne’suoi limili; diverso nelle sue forme, e identico nella sua potenza; dilatato nel suo sviluppo, e comprensivo nel suo concetto: egli è, per dirlo in breve. I’ indice ultimo della nostra attuale intelligenza riguardante la quantità estesa. Usando una greca etimologia, io appello questa specie di recondita potenza col nome di implicito posotico, dal nome greco iro^òryjg 5 che corrisponde al latino QVANTITAS. L’esistenza di questo implicito fu presentita da qualche profondo matematico, ma non fu qualificata; perocché l’esistenza di una potenza occulta non può essere definita o contraddistinta se non mediante i suoi effetti. Così distinguiamo la forza motrice, la forza di coesione, ed altre simili a noi sconosciute, colle idee degli effetti che producono, o che crediamo dover loro attribuire. Se questi matematici avessero esplorati i fenomeni di fatto della quantità estesa, essi avrebbero scoperti questi effetti, e in conseguenza avrebbero indicati i caratteri proprii di questa potenza, e ne avrebbero espressa almeno l’essenza nominale, nell’impotenza di assegnare la reale . Un solo di questi fenomeni fu da essi oscuramente presentito; e questo consiste nel sostenere il carattere di termine nascosto, o di punto di paragone algoritmico, senza che a lei attribuire si possa il carattere positivo di quantità, quale viene comunemente iuteso. L’esistenza di questo principio occulto non può essere scoperta per via d’induzione, analizzando le quantità in sè stesse; ma apparisce soltanto indirettamente come un fatto primitivo nello sviluppamento progressivo e paragonato dei numeri naturali posti in un certo ordine. Ciò verrà fatto palese, almeno in parte, allorché esibiremo l’alfabeto aritmetico e geometrico, il quale, secondo il nostro parere, servir dovrà di primo fondo del primitivo insegnamento delle Matematiche. Ivi ci verrà fatto di mostrare che in virtù di questo implicito si fa nascere una vera quantità comparativa, simile alle altre quantità differenziali, la quale nella prima volta è uguale alla quantità esplicita impostata. Questa comparativa quantità non sorge dal paragone di due quantità esplicite impostate, ma bensì dalla relazione immediata d’ una quantità esplicita col luogo dell’implicito. Questo luogo non entra nè punto nè poco come elemento sostanziale nel calcolo; e però non riceve nè aumento, nè decremento, nè stato positivo alcuno proprio della quantità. Egli forma il tuono, dirò così, decisivo del senso integrale. 74. Scambio irragionevole dell’ implicito, sia colla quantità impostata, sia col nulla assoluto. Lo scambiare il concetto d e\Y implicito col noto concetto della quantità, o porre la quantità sostanziale al posto dell’implicito, fa nascere tutte le oscurità, tutti gli enigmi, tutti gli assurdi logici, de’ quali viene accusata la Matematica sublime. Così lo attribuire ad un’imagme riflettuta da uno specchio i caratteri materiali dell’oggetto presentato fa K j il 1 1 , nascere la falsa supposizione che esistano due masse concrete, mentre che non ne esiste che una sola. \ iceversa il supporre che qualunque apparenza non possa nascere che dalla massa medesima presentata direttamente alF occhio, esclude la potenza reale dello specchio a provocare il paragone delle identità distinte. Lo stesso dicasi in Matematica. Ivi è del pari erroneo Y attribuire all’implicito i caratteri della quantità variabile conosciuta, ed il negare allo stesso qualunque virtù od influenza sui nostri giudizii nel calcolo. Non si può dunque riguardare Y implicito nè come uu residuo indeterminato della esplicita quantità, uè come un nulla . ossia una negazione assoluta di essere o di potenza ; ma conviene ammetterlo come una virtù occulta residente in noi, la quale per se influisce in alcuni giudizii comparativi, nei quali non veggiamo il secondo termine del paragone vestito dal concetto di reale e nota quantità. II fatto ci palesa l’esistenza d’una causa occulta, che in dati luoghi fa sorgere una quantità di paragone esplicito. Questo stesso fatto poi ci fa toccar con mauo che l’ implicito non ha alcun carattere riconosciuto proprio delle quantità sostanziali ; talché egli non ci palesa altro che il suo luogo, e ci nasconde la sua persona. À torto pertanto si è preteso di vestirlo colle divise della quantità comunque escogitabile: ed a torto pur nuche si è preteso di annientarlo, o di privarlo di qualunque virtù. Fra questi due estremi hanno fin qui fluttuato i giudizii dei matematici, mentre pure che i fatti primitivi dettano un concetto intermedio, il quale d altronde si concilia colla ragione e colla esperienza del calcolo. Io mi riserbo di allegare questi fatti, dai quali sorge questo concetto intermedio fra il discretivo esplicito ed il zero. II discretivo esplicito nasce per via di addizione o di sottrazione, o anche di segno apposto da noi fuori delle quantità impostate, che formano il corpo da valutarsi. L’implicito per Io contrario sta nel fondo della nostra intelligenza, ed opera anche senza che noi Io vogliamo e che noi ce ne avveggiamo. Egli è un oracolo interiore, il quale, consultato da noi, pronuncia sempre risposte fedeli e veraci, e ci avvisa della posizione nella quale ci troviamo nel mondo geometrico ed aritmetico. Allorché passeggiamo tra le file di una serie naturale di quadrali, egli ci avverte dove dobbiamo proseguire, dove arrestarci, e dove rivolgere i nostri passi. Qua ci mostra la mela della coincidenza e delFeguaglianza prodotta dallo sviluppamelo completo dell unità complessiva naturale. Qui, egli ci dice, si compie il primo viaggio della ragione algoritmica; qui si consuma la prima evoluzione dell’unità logica complessiva; qui s’incomincia un altro pen°do staccalo, il quale non racchiude più la pienezza del primo. L quando aravamo per viaggio, se volevamo arrestarci a certe pause, nelle quali incontravamo due termini massimi concorrenti c un terzo eoo eludente, latti e tre perfetta me ni e razionali, quest’oracolo ci avvertiva che lo sviluppa mento logico non era ancor compiuto* perchè ci mostrava mancare ancora V interiore naturale coincidenza, nella quale non sì verificava la omogeneità unificante V algoritmo. Allorché poi in mezzo alle file giungiamo alla fine del primo stadio integrale e differenziale, noi vegliamo sorgere il mezzo assodante e conciliatore della prima parte sviluppata, onde unirvi un’altra parte a formare un tutto massimo dì unifica zio ce razionale geometrica ed aritmetica. ^ ih* Predominio naturale del senso naturale implicito nella unificazione. Nella unificazione poi. della quale ci occupiamo in questo Discorso, questa potenza p esotica interviene precipuamente non tanto per collegare, quanto per limitare i confini della unificazione medesima, c per la r sentirò eziandìo come si possa accoppiare Fidentità colla diversità. L'impero del scuso integrale è Firn-puro della stessa natura. Dunque vi avrà una unificazione naturale che si opererà in noi per una legge secreta* la quale agirà anche all’ insaputa nostra. Onesta legge diffalti si fa sentire cosi in tutti ì passi latti da! discernì me u Lo, che pare non potere Fin ielle tto nostro riposare finche non abbia soddisfatto allo inchieste di lei. Questo sentimento naturale, costante, invincibile, riesce tanto più forte, quanto è più viva la nostra curiosità, e quanto più una fantastica analogia gli presta un interesse estrinseco. Se voi percorrete la storia dello scibile, o delle inslitimom che no derivarono, voi al lume dì questo fatto troverete la cagione di tante dottrine, di tante allegorie, di tante pratiche, di tante usanze, ec, ec. 1/ unificazione artificiale si può dunque considerare figlia della naturale^ e come rappresentante piccoli abbozzi grossolani della naturale, o, a dir meglio, come esprìmente alcuni simboli staccali della naturale. Ecco a die si riduce il valore anche della unificazione matematica considerata come operazione del calcolo. J 7£i, Ragione intellettuale che caratterizza Firnificazione. Quest* ultima specie di unificazione non è legata nè alla forma apparente del simbolo, nè all1 espressione accidentale numerica attribuita chi principio da noi : ma appartiene in fieramente alla ragione intellettuale, che risulta dai rapporti intrinseci ed essenziali fra le partì e il tutto. f j 96SLi che voi tentiate dì scoprire questi rapporti per dlscerncre il valore e la connessione o la forza delle parli;, sia che voi stesso abbiale per iscopo di comporre un tulio dotato di rigorosa india, voi dovrete sempre attenervi alla ragione intelletto ale suddetta* Voi potrete dunque per comodo del vostro discernimento allargai' e repressione,, ma non cangiti' re giammai i rapporti della unificazione-. Se cangiaste questi rapporti, voi mutereste lutto 11 corpo, dirò cosi, de3F oggetto prima proposto. Iti questa posizione adunque di cose col numerare non si uuificitj ma sì divide; e col. far frazioni realmente non si divide, ma si moltiplica, Allorché dunque si tratta delFun die azione non si deve badare nè alk forma nè alla espressione materiale, ma bensì al rapporto che passa ha 1 una e 1 altra quantità. Quindi si può e molte volte si deve tradurre una figura o una espressione numerica Iti un’altra! salva fessene lo ridarne □lale dei termini da paragonarsi, ossia della ragione clic passa fra Fune e 1 altro. Ciò si fa per porre in evidenza il rapporto medesimo, e Far sortire il mezzo conciliatore, il quale indichi la ragione unificante, ossia il rapporto coll unita complessiva. Questo artificio, che dir si potrebbe 1 istanza delia niente* forma appunto 31 merito dei buoni metodi. Trova* re. queste istanze* mostrare quando è d’uopo le seconde e le terze, segnare le loro traduzioni, fissare l'ultima più breve; ecco In che consiste 1 essenza e il merito delle formolo matematiche* Dall unione dì queste forinole nasce uua specie di topica nmlcmat tea, della quale si suole far uso nei casi occorrenti. In tolte le operaio* ni che formano questo calcolò unificante, se annientate o detraete sfiata toccare le ragioni fondamentali*, voi non aumentale e non diminuite nulla : ma altro non late, che domandare il rapporto bramato. E quando stabilite i medii5 voi realmente non fate entrare persone straniere; ma sos lag zìa Ime irte non faLe che unire le due ragioni in una terza, e vi senile poi di questa per legare gli estremi. 77. Dd mezzo logico dcìT unificazione* Né la cosa, parlando filosofica mente, può procedere dive rsame ole. Ogni ragione è un’idea per se unica, semplice, indivisibile: quiudi essa non si può dividere per ritrovare qualche cosa di mezzo* Dunque questo mezzo apparente non può essere die un composto di queste due: ragioni 5 ossia dclJespressione di queste due ragioni per concorrere in compagnia a far nascere F unità. Questo composto forma per sé stesso una cosa a sé. Esso fa nascere nuovi rapporti cogli elementi suoi, e dal complesso di questi rapporti nasce F unità che domandate. Dico l’unità} e HOT poh YtinOf vale a diro quella unìla complessiva, la quale comunica tosi a tutto faggrcgaLo la sua natura individua, eh e non si può cangiare fuorché distruggendo il concetto suo essenziale. Per ìa qual cosa in ultima analisi quelli clic di co osi incommensurabili o irrazionali si potrebbero considerare come prodotti di razionali ri dotti ad unita. Qui si entra nello scabroso delle Malemaliche, il quale forse non riesce tale se non perchè non furono premesse le cognizioni necessarie sì Rifatto che di ragione, Ho sentito valenti matematici a distinguermi la quantità discreta dalla continuai e lagnarsi della difficoltà di cogliere quest* ultima. Cerio, semplicemente numerando, essa non si coglie. Io veglio dire, che usando dei metodi ordinari! propri i della sola quantità veramente discreta, dove sfuggirvi. Anzi dovrà avvenire talvolta, senza dio ve ne avvediate, che Rincontriate in un nodo nel quale queste due specie di quantità sono venute ad incontrarsi ed allora voi col metodo discretivo vi trovate in imbarazzo. Ma se le cose fossero preparate a dovere, questi scontri non recherebbero sorpresa: u, a dir meglio, se avvenissero, ciò accadrebbe senza sorpresa, e si saprebbe come rimediarvi. q 78, Della continuità., e quindi della maturità. Degli estremi e dei mediò Ma, prescindendo da questi arcani altissimi della Matematica, io fa riflettere che le altre cose riguardanti V unificazione matematica sì possono rendere intelligibili, ed anzi visibili, onde porre in guardia gli apprendenti a non confondere la numerazione o f aggregazione colf unifrazione. Ora che cosa viene praticato nelle nostre scuole? Ld dicano tutti coloro che hanno fatto II loro corso con una sincera applicazione. Credete voi forse di poter applicare il calcolo discretivo per indovinare le 1^1 della natura, e quindi soccorrere le arti? Quanto sarebbe delusa questa aspettazione! La natura, si suol dire, non va per salti, ma tutto procede per via d’ una stretta gradazione, Da ciò fu dedotta la legge della continuità.; la quale imperiosamente presiede a tutte le opere del mondo fisico e morale. Quella che dicesi opportunità, maturità, si può dire essere il complesso dello condizioni necessarie ad effettuare la legge della continuità* Quando questa legge nou sia effettuata, io stato delle cose è puramente fattizio, e quindi o violento o debole, e sempre non durevole. Ora ditemi, di grazia, quali cavalieri concorrono nella continuità ? Quello della varietà accoppiata all1 unità. Ma la varietà suppone dilleTonni. f . reuza fra le cose appellate varie. Dunque bevvi non differenza che u [mè associare colf uniti, Limila complessa inchinile a ppUDlo questi Lewisiti, Quest5 uni Li complessa si verifica Lauto n elle /òrme apparenti, quanto nelle forze operanti Essa imporla il concorso degli estremi e dei weda collegati per una specie di mutua transazione 3 nella quale le forme vane e le disuguali iorze producono un solo ed individuo effetto. L’eccesso nou è estremo anzi è tanto opposto alleeremo. quanto 3a tlisLruzioiie è opposta alla conservazione, la discordia all’armoma, la vita alb morte. L’estremo consiste in un tale stato, pel quale stando la ci i versici o la dis uguaglianza rispettiva d?una cosa, essa può concorrere con altra a produrre io stesso effetto, L5 eguaglianza perfetta tra le forze porla 1 equilibrio, i! riposo, e quindi mancanza di viLa5 di varietà e di progres* so: la Smodata sproporzione di queste forze porta oppressione, ed ancfj.c distruzione* Perche dunque siavi vita, conservazione e progres.soje forze disuguali debbono stare fra di loro in una data proporzione, Ss il maggior eflelio nasce dove havvi ÌJ maggiore eccita meu Lo dello forze, questo maggiore eccitamento nou segue dove sono le più grandiose forze, ma dove queste forze stanno fra di loro in un rapporto che faccia succedere la reazione in conseguenza dell’ azione. Ma se questo, rapporto non e quello della eguaglianza perfetta, se non è quello della disuguaglianza smodala, resta dunque che sarà quello di uua disuguaglìaozà dentro ceri! limiti. Il termine di proporzione di questa disuguaglianza appellar si potrebbe termine temperante e conciliante, o termine moderai ore. Questo termine moderatore riveste essenzialmente un concetto sen^ pliee^ univoco, e nel tempo stesso relativo . Ma è logicamente impossibile il ricavare la nozione di questo termine dalla con side razicae isohte dei due estremi, perchè eglino, considerati isolati, non offrono che itetmini di una scambievole discordia. Dunque è assolutamente necessario di ripetere il concetto di questo termine da una considerazione composta di questi estremi con qualche altro cosa. Questa Èpa si de razione composta non si può fare che con una so^ posizione, ossia solamente con un dato stato. e non con altri; perocciii uu pili od no meno, sìa nelle formo, sia celle forze, non produce pii l efletto inteso. Dunque la possibilità di produrre questo effetto dipende da urna posizione unica di tutto il complesso. Dunque essa appone cosi esclusivamente aìV unità variata, continua e vitale, die eoe c possibile alla mente umana ili ripeterne il eoucetLo fuori clic dalla meda si ma. Dunque sarà impossibile col calcolo di enumerazione, di sovrapposizione, di aggregazione, di ampliazione, di sottrazione dei singolari estremi di stabilire il termine moderatore e vivificante, dirò così, di questa unità. Voi potrete bensì esaminare le parti di lei come si fa nell’Anatomia e nella Chimica ; ma il principio della organizzazione e della vita non si raggiugne. 79. Unità, varietà e continuità delle cose naturali. Insufficienza relativa del calcolo oggidì usitato. Tutte queste considerazioni nascono dalla natura stessa del soggetto. Ora venendo al positivo: se esaminate la natura e l’arte, voi troverete che la vita, la forza, l’ armonia, la bellezza composta derivano appunto da una serie di transazioni fra due o più estremi accoppiati in un sol tutto, e che però involgono l’esistenza dei termini ora esposti. Ciò posto, io domando se col solo calcolo discretivo proprio delle cose isolate si possa determinare questa unità. Il calcolo comune alle cose isolate è insufficiente per ciò stesso che è comune. La qualità di comune toglie appunto quel che è necessario sia per iscoprire, sia per formare l’unificazione: o almeno prescinde, sia dai rapporti, sia dalle regole speciali richieste dall’unificazione. Esaminando diffatti l’indole di lui, si trova che non tien conto di questi rapporti e delle regole conseguenti, come palmarmente io potrei dimostrare esponendo la massima di questo calcolo. Dunque ne viene la necessaria conseguenza, esser egli insufficiente tanto per esprimere, quanto per imitare l’unificazione e continuità delle cose naturali. Dunque col solo calcolo discretivo la Matematica non potrà certamente servir d’interprete della natura, uè cogliere quegli oracoli che nello stato nostro presente essa ci può rivelare. Pochi e simbolici sono questi oracoli iu paragone di quelli che ad intelligenze superiori potrebbero essere comunicati. Ma se tralasciamo d’impetrar dalla natura quelle risposte eli’essa ci darebbe, la colpa è nostra, e però la maggiore ignoranza è solamente imputabile a noi. Gl’antichissimi coltivatori della scienza, con assai minori sussidii di noi, erano più solleciti a stabilire e ad insegnare una Matematica opportuna a questo intento; e quindi distinguendo, come i Pitagorici, l’unità dalr z/zzo, s’occupavano a rintracciare l’unità e a mostrare i mezzi di ritrovarla. Nè qui obbiettar mi potreste, che se queste cose sono vere in un’astratta Metafisica, o se sono buone per vaghe considerazioni morali, non valgono per la Matematica, nella quale si tratta di un finito certo, su cui far riposare l’intelletto; imperocché con questo obbietto fareste fare alla Matematica un divorzio perpetuo dalle cose del mondo, per non costituirne che un oggetto di sterile curiosità. Allora non vi sarebbe male che la professione di questa scienza fosse ridotta ad una specie di monopolio esclusivo a’ suoi coltivatori. Ma se da una parte è vero chela 3Iatematica servir deve a spiegare le opere della natura ; se essa venir deve in ajuto della potenza umana: e se dall’altra parte è pur vero che 1 unità complessiva forma il punto massimo del vero stalo delle cose; sarà pur vero che la ricerca di questo punto dovrà formare uu oggetto massimo delle Matematiche. 80. Spirito filosofico del calcolo di unificazione. Io prescindo dalla questione, se il calcolo dell’ unificazione sia implicitamente o esplicitamente compreso in qualcheduno dei rami del calcolo oggidì praticato. Dirò solamente, che in linea di fatto egli non parte dalla supposizione, che il punto indivisibile generi la linea, che la linea generi la superficie, e la superficie il solido: che egli nemmeno pone verun infinitamente piccolo senza forma e senza virtù, il quale si possa maneggiare o espellere a piacere del calcolatore : ma che rispetta i i apporti della quantità, e li tratta ognuno secondo il suo merito uatulale. Dirò inoltre, che in linea di risultato egli non pretende che in tutte le posizioni debba risultare l’espressione della perfetta eguaglianza nei prodotti degli estremi e dei medii, perchè sa che l’unità complessa abbraccia tanto i razionali quanto gl’ irrazionali; e sa pure che fra grandezze essenzialmente diverse, poste in una maniera non conforme alla loro vera natura, il pretendere F espressione della perfetta eguaglianza, come fra grandezze della stessa natura, è un assurdo logico. Dirò finalmente, che altro é il paragone di puro fatto dell’eguaglianza e della disuguaglianza individuale delle parti, o dei coefficienti dell’unità complessa, ed altro è la loro convenienza in uno, ossia la loro attitudine a costituire 1 unità complessa, nella quale concorrono i requisiti dell unità, della varietà e della continuità. Certamente essere vi dovrà un criterio pei distinguere quest attitudine; e questo criterio dovrà in prima emergere dalle leggi conosciute e certe del calcolo praticato: e però esige, come prima condizione, che mediante il calcolo praticato si faccia sorgere il testimonio assicurante della verità del calcolo di unificazione. Ma, ottenuta questa testimonianza, non ne viene la necessaria conseguenza che il calcolo di unificazione, nel quale solamente si tratta della convenienza in uno? debba essere nella sua ultima espressione perfettamente identico al calcolo discretivo o infimo o sublime praticalo. Anzi il pretendere quest’ assoluta identità sarebbe un pretendere cosa ripugnante alla ragione, perchè sarebbe un pretendere che ciò che è essenzialmente diverso diventi identico. Per la qual cosa deve avvenire che, trattando gli enti di diversa natura nella maniera univoca e nella forma perfettamente uguale, propria degli enti della stessa natura, dovrà nella prova degli estremi e dei mezzi sortire la differenza nominale del piu e meno uno; per la ragioue stessa che fra enti della stessa natura sorte l’espressione zero, ossia il segno della perfetta eguaglianza. Io ho appellata nominale questa differenza; imperocché analizzando profondamente la quantità estesa, e facendo uso di rigorose dimostrazioni geometriche ed aritmetiche, si trova infine che la quantità estesa si può figurare a guisa di un zodiaco, il quale abbia due limiti, ed una linea di divisione nel suo mezzo. Nel valutare questi limiti si verifica per necessità il piu e meno uno nel prodotto degli estremi e dei medii tutte le volte che ambi gli estremi non sono quadrati aritmetici perfetti. Il piu uno, quando emerge dalla moltiplicazione dei medii, può essere ridotto alla equazione zero^ trasportando quest’ uno ad uno dei medii medesimi. Quando poi il piu uno sorge dalla moltiplicazione dei due estremi, non si può fare questo trasporto. In questo stalo di cose, trattandosi di stabilire valori superficiali, si debbono adoperare solamente elementi superficiali. Estrinseca riesce dunque la potenza quadrata dei contorni. Nella unificazione, in cui si tratta non di distruggere, ma di conservare la quantità estesa sostanziale, quest’avvertenza è assolutamente necessaria. Dall’altra parte poi viene soddisfatto ad un gran principio filosofico, qual è quello che l’unità dell’esteso non viene mai da’ nostri calcoli esaurita, ma più o meno limitata; talché rimane sempre un fondo inesausto di qualunque specie di unificazione si fìsica che intellettuale. Per la qual cosa soggiungerò, che il calcolo dell’unificazione si deve riguardare come il calcolo eminentemente naturale, non solamente perchè egli è il solo acconcio per avvicinarci un po’ più alla cognizione delle leggi che reggono la natura esteriore, ma eziandio perchè indica, dirò così, i limiti ultimi dell’alleanza fra il nostro senso integrale e il differenziale, e ne esprime il simbolo il più chiaro possibile. Dico i limiti, e non la linea; perocché le produzioni integrali non furono, non sono e non saranno mai suscettibili d una espressione sola, assoluta e perpetua. Ciò apparisce specialmente quando i così detti irrazionali o incommensurabili concorrono nella unificazione. Allora si presenta, dirò così, un emblema di tutto l’uomo interiore. 11 cuore umano vuole spaziare in no indefinito Ubero, e J intelletto ama di riposare sopra un finito certa Casi il senso integre non vuole assoggettarsi ad espressioni uni? oche, fil diffcrénziale non sa usare che espressioni finite. Àia nella varietà stessa dell espressione sta, dirò cosi,, la vera sapienza ^ a facon dita del calcolo. Imperocché lungi die questa varietà restringa a scienza, essa per lo contrarlo ? amplifica e raccomoda ai rapporti oc* djc sosteniamo colla natura. Imperocché in ogni posizione 'voi avete la conveniente espressione nata dai rapporti intrinseci delle quantità poste a paragone; per cui sorgono altri enti, dei quali vi potrete prevalere uelfe composizioni non solo della mente, ma eziandio della mano: carne, per esempio, nelle architettoniche e nelle meccaniche. Conseguenze pel metodo delT insegnameli lo primitivo. ha perfetta cognizione dei fondamenti e dello léggi da questo calcolo drAta anche le leggi del buon metodo particolare dell’ insegnamento. Culi essa si stabiliscono aulicipatàmeu Le gii oggetti da Osservare, c se traccia la via che gli apprendenti debbono percorrere. Nulla havvi desolato sphcialmente nelle Matematiche, nelle quali la Geometria e l'A ri Implica gènerale formano tutto il corpo della scienza. Tutte le parti di questo corpo, come ognun sa, sono subordinale le noe alle altre: e però ciò clic vieu dettato da principio, serve sino alla fine. Ma se ciò che si pone al principio è insufficiente per quel che segue, come riuscir potrà T istruzione ? Se . parlando in particolare ddi unificazione, gli apprendenti non possono ancora conoscere le leggi uerali, e i arne applicazioni iu guisa di problemi, si può, anzi si deve ciò non ostante esercitarli sopra esèmpi! particolari proporzionali alla loro capacità. Dunque converrà che i meLodi d’ istruzione siano rivolti a questo punto, come a compimento della scienza. Dunque difettosi saranno quei metodi, uri quali questo soggetto non sia diligentemente tiàltato. Che cosa direste d un Corso distruzione architettonica, nel quale s insegnasse come vada formala una porta, una finestra od un pilastro ec., e si tralasciasse di parlare della solidità, comodità ed armonia del tutto..? Tal'è h istruzione matematica, se òmmette di proporsi come Eoe vm~ simo lo studio dell1 unità complessiva e della continuità. La scienza allora è fermata a mezza strada, e, quel cld è peggio, è interrotta colla ignoranza dello scopo il più importante al quale doveva essere diretta* I dati per cogliere quest/ tufi frazione si presenteranno natura Innate mediante uno studio posato, graduale e bea simboleggialo degli coli geometrici ed aritmetici. Per la qual cosa non avrete bisogno di andare a caso o di instituire penose disquisizioni, perchè la natura stessa vi guiderà per mano, e sembrerà dirvi : Mirate, esaminate $ là troverete quel che ricercate. Se il modello dell’ unificazione fosse una invenzione artificiale, egli non avrebbe nè Timportanza uè l’influenza estesa, della quale è dotato. Egli nemmeno inspirerebbe quella fiducia, nè si concilierebbe quell’adesione che è propria del linguaggio della natura. Ma questo modello non è punto artificiale, e da sè stesso si mostra a chiunque sinceramente ed energicamente voglia ravvisarlo. Energica, sincera e insieme temperata deve essere questa volontà: perocché non dee volere spaziare in problemi indeterminali, i quali sembrano lusingare la nostra piccola capacità, ma seguire docilmente i suggerimenti che lo studio naturale va comunicando. Io non pretendo con questo che noi dobbiamo ripudiare l’eredità dei nostri maggiori ; ma anzi pretendo che dobbiamo darle un valore che senza questo studio essa non può acquistare. Le cognizioni didatti che abbiamo trovano il loro posto, si collegano e si rassodano con questo studio. Quando la scienza tocca il suo apice, tutte le vere opinioni si conciliano, e le erronee stesse si spogliano di quella larva o di quei mancamenti che le viziavano. Quel poco di vero che contenevano apparisce sotto il suo genuino aspetto, e concorre ad accrescere il tesoro delie utili verità. 82. Obbiezione contro la possibilità del calcolo di unificazione. Io sono convinto, mi potrà dire taluno, della immensa utilità che apportar potrebbe alla scienza delle cose naturali ed alle arti la teoria matematica deH’unificazioue. Ma è forse cosa che ridur si possa ad effetto certo, stabile, solido ed universale? Da punctum ubi consistami caelum terramque movebo^ diceva Archimede: ma siccome il trovare questo luogo, che servisse di punto d’appoggio, era cosa impossibile ad un mortale abitatore della terra: così l’opera di muover cielo e terra rendevasi impossibile. Altro è la considerazione speculativa di un fine, ed altio e la possibilità del conseguimento del medesimo. Questa possibilità risulta soltanto dalla considerazione delle forze e dei mezzi che stanno in nostro potere. Non basta dunque presentare l’idea della unificazione, e farne presentire i rnaravigliosi effetti che ne risulterebbero; ma fa d’uopo eziandio mostrarne a noi la possibile esecuzione. Voi prima mi dite che col puro calcolo discretivo, usitato dai matematici, non è possibile di effettuarla. Dunque bisogna inventare un’altra specie di calcolo, che appellar dovrebbesi calcolo sinottico. Ora di questa specie di calcolo quale nJua ne alziamo noi? Nessuno, e poi nessuna* Due specie dì unifiéteione es^Ler possono, come voi avete annotalo sul principio. La prima risulta dal complesso sìa naturale sia artificiale, di più oggetti dolati di qW luà, atteggiati in. modo da formare un' individua unità, La seconda risii Ita dal collegaménto e dalla cospirazione delle vario parti, ossia dei vani metodi particolari (Marie matematica, in modo da formare un alLcro sistematico ed individuo di operazioni ragionate. Con ciò silW ^eie oli lutto composto non solamente di funzioni e di parti contigue i ma di funzioni e di parli coprenti per logiche affinità, e cospiranti Lutti! olto stesso in lento. La prima specie di unificazione riguarda gli 'oggetti della nostra Contemplazione, ì quali per noi altro non sono clic ifiiùgini dello stato o reale o ipotetico delle cose o dei simboli ne1 quali ravvt&iamo ^ omta complessiva summenlovata. La seconda specie riguarda 1 àppo* razioni della nostra atiìeiUt. rivolta ad ottenere lo scopo propostoci)!! quindi abbraccia il complesso dello funzioni valevoli ad ottenere rpieslp intento. Lio vien fatto col magistero dell arte, il quale appunto merita un tal nome, perchè ordina e dirige Jri nostra potenza in una guisa prò conosciuta efficace ad ottenere ciò chebramiamo. Per brevità damjue chiamar potremo la prima specied’u nifi nazione col nome di unìficmhM sostanziale i la seconda col nome di unificazione magistrale. Ora parlando della possibilità della unificazione sostanziale* osservo cne in essa non si potrebbe far uso del metodo conosciuto dei lì filiti a degli indeterminatiperchè questo metodo non ha un punto fisso a m arrestarsi, mentre clic voi volete dati me dii e dati estremi, e perciò stesso arrestate ad un dato seguo il corso della limitazione. La limitazione, isolata per sé stessa, non conosce altri confini, che quelli ileJlWogitabik. Negli estremi per Io contrario Lavvi sempre un dato numeratore ed un dito denominatore n cos Lauti o variabili. Nel me dii poi esiste mi rapporto determinato di ragione. Ma per ciò stesso che si parla di numeratori e di denominatori, e di rapporti determinati, si esclude l'indefinito^ c si costituisce il definito ; e, quel eh7 è piu, se lo atteggia ad ogni caso concreto . nel quale si tratta di raffigurare un tutto avente unità, varietà e continuità. Ora vi domando come ciò sia fattibile in Geometria, a. fronte del fatto notissimo, certo* costante ed universale, lì quale ci manifesta clic il commensurabile sì alterna perpetuamente col Li n commensura bile, o si mescola In varie guise nei composti geometrici? Come ciò sarà fattibile in Aritmetica, a fronte dell'altro fatto egualmente noto delL impossibili ti di estrarre da Lutti I numeri inlenuedii ai quadrati numerici le vere radici? Non è egli manifesto die sì in Geometria che in Aritmetica converrà almeno necessariamente ricorrere all’ approssimazione^ la quale involge nel suo supposto la posizione d’un indefinito dal canto della quantità figurata 5 e di un processo indefinito di diminuzione della mente del calcolatore? Figuratevi pure limiti determinati., fra i quali poniate queste indefinite quantità. Esse saranno sempre un indefinito, cioè una quantità non assoggettabile a porzioni aliquote comparate » e quindi realmente incommensurabile 5 e non riducibile a valor determinato. Ma toslochè manca il valore domandato, non restiamo forse defraudati del nostro intento? 11 calcolo allora non divien forse nullo? Qual è E oggetto proprio del calcolo, fuorché il conseguimento di questo valore^ fatto con mezzi aritmetici e geometrici? Sia pur vero che voi distinguiate la coincidenza metrica dalla convenienza in uno: sarà sempre vero che voi dovrete determinare se le parti della vostra unificazione abbiano E attitudine di convenire in uno, e che dovrete accertarvene in una guisa irrefragabile. Ora in fatto di quantità ciò importa uri estimazione* una valutazione, e quindi una misurazione sì geometrica che aritmetica. Ora l’ indefinito, E incommensurabile, il mancante di radici razionali contrappone sempre un ostacolo insormontabile. Dunque anche nella convenienza in uno, nella quale si voglia dimostrare il concorso della unità, della varietà e della continuità, sorge quesE ostacolo. Egli in sostanza forma la pietra dello scandalo d’ ogni calcolo sì generico che specifico, sì primitivo che secondario, sì infimo che sublime. Ora, a fronte di tutto questo, non dovrò io forse temere che E unificazione sostanziale da voi concepita non rimanga che un puro desiderio? Veniamo all’ unificazione magistrale. Egli è di fatto che le diverse specie di calcolo conosciute fin qui non ci presentano quel magistero connesso, continuo, unico e soddisfacente, cui dalla semplicità, unità e coerenza delle Matematiche aspettar ci dovremmo. L’Àlgebra, per esempio, delle quantità finite, che occupa il luogo di mezzo fra l’Àritmelica comune e il Calcolo sublime, uè soddisfa intieramente alla scienza, nè serve a tutte le mire del Calcolo sublime. Che l’Algebra non soddisfi intieramente alla Geometria è un fatto notorio ai nostri padri, e ne troviamo la confessione negli scritti di molti matematici. Che poi non serva a tutte le mire del Calcolo sublime, questo è pure quanto viene preteso da alcuni celebri matematici moderni. Tutti poi riconoscono una differenza fra il magistero dell’Algebra suddetta e quello del Calcolo sublime. L’Algebra dunque, posta fra EAritmelica comune ed il Calcolo sublime, apparisce come u n tronco staccalo dalle sue radici c da' suoi rami superiori, mentre pure die il magistero dì lei dovrebbe risultare coerente ed tui dicalo così da fermare uu tutto Individuo 3 compaginato e contiene, mediante il quale Fumana ragione potesse salire, scendere ed aggirarsi per ogni dove, colla scoria delle stesse massime di ragione, c con modificazioni soltanto di un magistero unico ed universale. Lgli è vero che il calcolo per la sua data è la più antica delle arti razionali 5 cd ha esistito e prima e senza della scrittura : egli è vero ciac per la sua materia offre concetti più semplici di qualunque altra parte delle umane speculazioni: ma egli è vero del pari, eli’ egli oggidì um ù assoggettato ad uu magistero unico e contìnuo. Ora, senza di questo magistero, come sarà egli possìbile a qualunque mente umana o di costruire o di raggiungere mediante il calcolo Vunijlcaztone reale o ideale'/ Egli sarebbe lo stesso che voler salire alla cima di un muro o senza scale, u con addentella LÌ posti tratto tratto ad una distanza che non possa essere raggiunta dalla mano dell'uomo. Nelle cose clic eseguir si debbono*, non por un cieco empirismo, ma in conseguenza di princìpi! ragionatala potenza umana è Lai mente subordinata alla scienza, eh egli è impossibile (H efieLLuare colla mano ciò che la mente non dimostrò prima praticabile, e se non dopo che la ragione espressamente insegnò la maniera onde operare. Ciò posto, se man elimino della unificazione magistrale $ come comjùe re si potrà la sostanziale? Due ostacoli pertanto si oppongono alla unificazione da voi concepila. Il primo sorge dagli oggetti i quali voi volete sottoporre, o nei qual) ten tate di scoprire Firnificazione, e le leggi dalle quali essa risulta» Il secondo sorge dagli strumenti o dai mezzi che oggidì possediamo p^r gere a questo intentosia che si tenti di ottenerlo in via di costrti^ont sia che si te n li di ravvisarlo in vìa di semplice scoperta, il primo ostacolo risulta dalla incoììimensiirabiliia degli elementi che concorrer debbono a formare un solo tutto dotato di unità, varietà e continuità. H seco a do ostacolo risulta dall* Insufficienza riconosciuta dell’algoritmo algebrico, il quale se dentro cerLi limiti è riconosciuto sicuro, riesce impotente a raggiungere e a determinare le quantità tutte che concorrono nell7 imitazione. Gonlro questi due ostacoli si è fino al di d'oggi lottato invano. Quei sommi uomini, i quali hanno tentato di abbatterli, rassomiglia no a 4UW Uniti orgogliosi che vanno ad infrangersi a’ piedi d’ uno scoglio solida ed enorme. £3* A quali condizioni soddisfar debba la soluzione de IR obbiezione proposta. Grave, lo confesso, è r obbiezione espressa iti questo discorso; e lauto più grave per me, quanto più mi senio mancante della forza di quei gemi», i quali, si sono studiali di vìncere gli ostacoli ora accennali* lo quindi non farei altre parole sulla possibilità del calcolo di unificazione, se non sentissi quanto ella sia decisiva per fissa re le vere condizioni del perfetto insegnamento primitivo delle Matematiche. Pare che P insegnamento per sè stesso possa essere fatto bene», sia efie la sciènza sia perfetta., sia disella sia imperfetta. Insegnar bene quello clf è stato scoperto. pare che soddisfi allo scopo di ogni insegnamento. Ma più addentro investigando lo cose, io trovo che colla scienza imperfetta non si possono stabilire che metodi imperfètti e puramente precarii, c mai il metodo perfetto c durevole della data disciplina. La bontà d; un metodo d' insegnamento. clje prescinde dalla perfezione intrinseca della scienza o d tirarle, non ò che bontà puramente relativa, e non assoluta; estrinseca, e non intrinseca. Un precettore potrà porre ordine, chiarezza e allettamento; ma se egli non conosce pienamente i caratteri, ìc partì, i principili e i nessi della cosa insegnata, sarà mai possibile che il suo metodo soddisfaccia allo scopo logico delF insegnamento? .11 metodo che io richieggo si è quello che riguarda la dottrina quale può e deve essere / perocché da questo stato bolo ili lei si possono determinare le condizioni di ragione dei linoni metodi. Non esistono due intelligenze in noi, nè due mondi fuori di noi; e però non esistendo che un solo fatto ed un solo vero ed una sola mente, e non essendo possibile che questo vero sia inteso e sìa bene esposto, se tutto martino non è compreso, ne viene di necessità che il perfetto metodo dT insegnamento è inseparabile dalla perfetta cognizione dulia cosa da insegnarsi* Ecco il perchè io mi sono avvisato di parlare del V unificazione * la quale forma il fuoco centrale di tutta la scienza dello Matematiche. Io non ho dissimulalo nè a me stesso nè ad altri la difficoltà somma di questo argomento, come ognun vede dui discorso lo via di obbiezione ora presentato; ma nello sLesso tempo pormi dì aver fatto se n Lire olia la riuscita del buon metodo, in quanto riguarda il merito intrinseco della scienza, dipende unicamente dalla cognizione delle leggi di questa unificazione. Altro dunque non ci rimane, che il vedere se la difficoltà opposta si possa superare* I due ostacoli sopra mentovati csisLouo pur troppo; ma sono essi forse insuperabili? Se le discipline matematiche fossero stale nella nostra età preordinate al lume d’una risplendente ed esatta filosofia; se tutti i recessi ei movimenti non meramente possibili, ma indicati, della mente nostra nel valutare la quantità estesa, fossero stati diligentemente esplorati e riferiti; se i lineamenti tulli dei nostri concetti fossero stati abilmente disceverati e compiutamente tratteggiati; io confesso che dovrei riguardare come disperata 1’ impresa di sciogliere l’opposta difficoltà. Ma egli è più che notorio che oggidì il paese delle Matematiche si può riguardare come una terra non esplorata ancora dalla razionale filosofia, benché dalle officine di questa terra ci siano pervenuti tanti lavori sorprendenti per l’improba fatica che dovettero costare. Le pochissime cose detteci da un Condillac, da un Mejran di Berlino e da un Limmer ec. 5 il silenzio assoluto conservato dagli inventori dei calcoli superiori, e la stitichezza straordinaria degli espositori nella parte che precipuamente abbisognava di luce 5 ci lasciano ancora in un bujo, dal quale almeno non risulta la prova dell’ assoluta impossibilità di sciogliere la difficoltà proposta.Una lusinga pertanto ancor ci rimane, la quale se non possiamo elevare al grado della speranza, non ci getta almeno nella desolante certezza dell’inutilità di qualunque umano tentativo. Lodevole dunque sarà almeno il tentare; e se l’esito non corrisponde al desiderio, si potrà almeno finir col detto: in magnis voluisse sat est. Io non credo potersi affronlare addirittura la difficoltà, ma doversi prima preparare la strada per giungere alla soluzione della medesima. Così adoperando, la scienza vi guadagnerà sempre, quand’anche la soluzione non riuscisse. Cogli inutili tentativi di ritrovare il mezzo di convertire i metalli in oro, e di fabbricare Yelixir vitae, fu arricchita la farmacia di utili ritrovati. La soluzione della proposta difficoltà necessariamente importa di entrare a trattar di proposito di tutto il magistero del calcolo matematico, in mira specialmente di assoggettare a valutazione quelle persone geometriche, le quali ci si presentano sotto un aspetto incommensurabile. Per questa sola qualità esse somministrano al nostio discernimento un margine deserto, oltre il quale incontrando ancora il commensurabile, nasce in noi l’idea di un passaggio, nel quale non sentendo una distinta vibrazione numerica, siamo portali a qualificare questo tratto intermedio come indefinito. L’ostacolo di questo indefinito si affaccia fino dai primordii dello studio delle Matematiche, e quindi deve esser tolto di mezzo fiuo primo periodo di questo studio. Ma in questo primo periodo non può aver luogo che quel calcolo che denominammo iniziatico. Dunque col calcolo iniziallyo si deve superare l’ostacolo dell’ intervallo indefinito fra i veri commensurabili esplorali nel primitivo insegnamento. Questo intervallo altro in sostanza non è, nè può essere, che un prodotto della fondamentale e nascosta unità intesa, che si fa divenire misuralrice di sè stessa. Ma in questa funzione la mente nostra è necessariamente soggetta alle leggi naturali e recondite dei concetti differenziali ed integrali, discreti e contiuui, variati ed uniformi, segregati e uniti, progressivi e periodici, ec. ec. La maniera di superare quest’ostacolo deve soddisfare alle condizioni fondamentali fissate nella nostra Introduzione* e però dovrà soddisfare tanto al V indole propria della materia da insegnarsi, quanto al bisogno mentale degli apprendenti. Ma nello stato attuale del magistero matematico troviamo noi forse la maniera di superare col calcolo iniziativo il tenebroso intervallo dall’uno all’altro commensurabile? Non solamente non lo troviamo nel calcolo iniziativo, ma nemmeno nel sublime. Resta dunque die per ottenere l’intento dell’ottimo insegnamento primitivo si dovrà perfezionare il calcolo iniziatico in modo da superare la difficoltà dei così detti incommensurabili, che si presentano entro la sfera del primo periodo della scienza. Dunque entro questi soli confini si dovranno limitare le ricerche onde ottenere il calcolo primitivo di unificazione, contro la cui assoluta possibilità versa 1’ obbietto proposto. Ognuno prevede che con questo perfezionamento noi innestiamo il calcolo algebrico sull’ iniziativo, o, a dir meglio, noi diamo all’algebrico tutte le sue vere radici, e lo poniamo in grado di protendere i suoi rami superiori fino a quel seguo che la mente umana può arrivare. Allora il calcolo algebrico acquista una luce ed una possanza ch’egli attualmente non ha, e quindi tutto il magistero diviene coerente, compaginato e compiuto. Il calcolo algebrico si può considerare come occupante il posto di mezzo fra il calcolo iniziativo ed il sublime. In esso fanno capo e si sfogano tutti i passi dell’ inizia tivo ; come da esso prende le sue mosse il sublime, o ritorna a lui, o si ritorce in lui. La forza dei rapporti naturali è tale, che il calcolo stesso infinitesimale non si considera veramente compiuto se non quando risolvesi nel calcolo algebrico. Il calcolo infinitesimale (dice » Carnot nella sua bella Memoria scritta sulla metafisica di questo cal» colo) è un calcolo non finito, o che non è compiuto ancora; perchè » diffatli, eseguita l’eliminazione delle quantità sussidiarie, egli cessa di » essere infinitesimale, e diventa algebrico. Riflessioni di Carnot sulla metafisica giunte del Magistrali, 3o. pag. 26. Pavia del calcolo infinitesimale 3 traduz. con agi8o3, tipografia Bolzani. Qui si aggiunge S ^ella metafisica del calcolo iniziative). Prime osservazioni per trovare; I mezzi termini sostanziali di questo calcolo. Per la qual cosa col dare la vera logica del calcolo iniziative si compie la logica di tulio il calcolo universale, ossia meglio si dà la prima ed unica logica fondamentale di tutto il calcolo matematico. I na logica incombuta non merita il nome di lògica^ avvegnaché essa non può soddisfare al suo in Leu Lo. Logica, magistero e metafìsica del calcolo (preso il flonoe dì metafisica nel senso u sitato dai malematici) significano la stessa cosa, Quella che t matematici chiamano metafisica di un calcolo altro non è ]n sostanza che il magistero ragionato, ossia il complesso delle massime di ragione direttrici delle operazioni del calcolo. Le regole pratiche sono figlie di queste nozioni direttrici. eiezione di queste regole forma il meccanismo del calcolo. Ma queste nozioni direttrici, quando siano vere e quindi proficue, che cosa possono essere in sé stesse, altro che ima espressione di quelle leggi naturali che nascono dai concetti uostri riguardanti le quantità? Queste nozioni non sono dunque arbilr&rk^ ma sono necessario. La forza dei rapporti che le dettarono è tale, che la potenza della niente umana è obbligata ad ubbidire alla medesima. Tutte h. 1 cosi ruz ion L La Lt e J c trasform a zion u, Ini Lo 1 e combinazioni nosi re a rtificiali uno sono dunque né possono essere fuorché mezzi pur far sortive v rendere espliciti od avvertili quei rapporti. i quali stanno nascosa ni nastro sguardo allorché imprendiamo a valutare le grandezze., ossia i vani stali della quantità estesa. Trovare il mezzo termine della valuttìzione^ ceco la forinola generale della prima funzione del calcolo. Jpplì* cure questo mezzo termine al caso proposto) ecco la fot mola generale della seconda ed ultima funziono del medesimo. Ogni specie di od cu io sublime, medio ed infimo non può sottrarsi da queste due funzioni* perocché esse altro non sono che urf applicazione delle leggi universali indeclinabili e perpetue dell’umana intelligenza. Il mezzo termine altro io sostanza non ù, che f espressimi e ossL d concetto esplìcito dei rapporti logici fra una cosa cognita ed un+:dira incognita. Trovare un’ identità o diversità incognita mediante una identità o diversità già conosciuta, ceco l’ufficio proprio ed essenziale del mezzo ter 7 nine, JTalgoritmo altro non è che un maniero di v ah dazione. ^ lmmù in noia : « Ognuno sa infatti, cLe un calcolo, slitta lesa ttez sia ilei risii! lato SR nt>n^L- JLj' «in cui fini l’ilio $elLè quantità miinilesimali, n mento in rj«t le quantità infici tesi nóf li ** di uonta pfìitertninatOj e ciiq non ni va" intieramente clini indie. Di 11 aerila adunque ili ogni algoritmo consisterà nell' insegnare come si possa trovare il mezzo termine della valutazione* Ma il mezzo termine è determinato dai rapporti essenziali logici; e talmente determinato-, ch’egli non è soddisfacente se non quando comprende tulli 1 rapporti cospiranti a far nascere [a valutatone. Dunque V algoritmo è nullo quando uou è pienamente logicoossia quando Ì1 mezzo termine non è assoli! lam eia te plenario. Ora domando quali possano essere le forme del mezzo termine di valutazione, e quali condizioni racchiuder debba per essere plenario. Il mezzo termine, di cui parliamo, può avere ad uu solo tratto tre forme. La prima appellar si può mezzo termine dell eguaglianza; Ina seconda m ezzo termine della disuguaglianza ; la terza mezzo termine dell’ unificazione. Questi tre aspetti derivano tanto dalla posizione della quantità, quanto dalla operazione fon da menale del nostro intelletto, fi concetto di ecuagm aìvzà all.ro non è che quello di nn ideati tà ri peliti a; esso non ò che una idea ontologica £ esso uou è elio una mura logia, e Dulia più 5 esso non è che quella espressione prodotta dal giudizio col quale pronunciamo non esistere differenza alcuna fra le quantità paragonate* Egli esprime adunque un nulla assoluto differenziale. La disuguaglianza* per lo contrario oltre di essere una logia ^ involge nel s li o concetto un piu di reale quantità. Questo più è una vera entità essenzialmente indistruttibile, fino a che almeno si pensa che esista realmente, Il concetto adunque della disuguaglianza involge l'idea di un piu reale che si afferma esistere nella grandezza maggiore, c che non le può venir tolto senza distruggere la sua essenza. Dunque è cosi assurdo e ripugnante che il piti possa coesistere collo stato di eguaglianza nello stesso soggetto, coni7 è assurdo, ripugnante ed impossibile che l’idea dellV.vsere sia identica con quella del nulla assoluto. Questa osservazione è decisiva per il maneggio dei numeri pari c dispari, nei quali si verifica appunto questo nulla e questo essere^ e nei quali l’unità o in vìa di addizione o di sottrazione discreta, o in vìa di ampli azione o 86. Dell’ elemento sostanziale della continuila. Accentrare i rapporti costituisce la condizione precipua e fondamentale di questa legge; impiegare un espressione comune forma la seconda condizione di questa legge. Quando abbiamo scoperta V eguaglianza^ che cosa abbiamo noi in mano, fuorché la cognizione dell’ identità di quantità ? Ma che cosa ne risulta da ciò per P unificazione vitale ? Ancor nulla, e meno di nulla. Abbiamo scoperto al più lo stato di equilibrio; abbiamo fissato il punto della morte. Questo punto adunque non può servire ad altro, che a fissare i limiti di esclusione della vita, ma non mai le condizioni attive ed efficaci di questa vita. Negativa è dunque la norma delP eguaglianza per la teoria dell’unificazione vitale. Essa non può divenire positiva se non quando si aggiunga la cognizione di una data quantità sostanziale, che riesca simbolo d’una forza centrale appartenente non al vuoto àe\Y eguaglianza^ ma residente nella reale sostanza con tali rapporti da congiuugere la varietà colla unità e col progresso graduale. L’eguaglianza dunque è, nella teoria dell’unificazione, termine critico, ma non termine sostanziale. Esso serve per limitare, ma non per comporre; esso è, in una parola, mezzo per confrontare, ma non elemento per costituire P unità sostanziale complessiva. Resterà dunque sempre a ritrovare P elemento sostanziale della continuità e della unificazione. Ora domando io: dove dobbiamo noi rintracciare questo elemento? E facile il prevedere la risposta. Noi lo dovremo rintracciare nelle viscere stesse delPe.vte.JO ridotto alla più stretta ed uniforme unità, esplorandolo mercè un’altra unità di forma diversa, ma egualmente semplice e individua. Un esempio ci potrà servire di lume. Aprite un compasso speculare (0 sotto qualunque angolo vi piaccia. Se voi per caso v’incontrerete in un angolo che divida il circolo in tante parti aliquote, egli vi darà altrettante divisioni perfettamente uguali, e vi ripeterà altrettante volle l’oggetto unico presentalo, computando anche Poggetlo reale. Allorché poi Paperlura di detto compasso non dia un angolo dividente aliquote, egli ripeterà alcune volle Parco segnalo, e vi darà condensato il residuo che sopravanza a pareggiare l’eguaglianza degli archi tagliati. Lo stesso potete fare anche con un circolo descritto sulla carta. Posto questo fenomeno, qual’é la conseguenza che ne deri (i) Questo compasso speculare è formato da due lastre di specchio che si aprono e chiudono a guisa di compasso. va? Che vi sono divisioni del contorno circolare, le quali ripar lire lo poprno in laute parli aliquote; e ve uè sono alcune altre, le quali non servono a questo line. Ma da idi e derivar può questo fallo, se non che dàlia natura ìntima e recondita della i orma circolare, la quale riesce Miscelò bile deirideutilà o non identità ripetuta di nua data dimensione delle sue parli? lo non voglio ora procedere più, addentro a s qui ubare la tintura ed i rapporti dì questo fallo: mi basti dì averto accénuatOjper formarne oggéilo di meditazione. Ora posta questa proprietà naturale di questa forma estesa, Don è lorse chiaro di’ essa imporrà alcune leggi necessarie alla nastra ragie* uc tulle le volle che assumeremo questa forma o come criterio di eguaglianza, o come associata nei proce dimenìi del nostro calcolo? Non è egli chiaro che la forma circolare ci rileverà molti misteri della quantità esLesa, semplice, uniforme, paragonala coi rettilinei? Ora se colla unità ci presentasse accoppiala la varietà e la continuità, uoiì dovremo noi forse accogliere come una specie di oracolo tulle le indicazioni che Liei vari! siali della quantità essa fosse per manifestare? Ecco ciò che io prego di avvertire come un punto d1 insegnameli lo primitivo delta Matematiche. o come li u lume decisivo per la geometria di valutazione. Ritrovare 1* elemento sostanziale della continuità e della unificazione* ecco dò che resta a fare alla Matematica per compiere 11 calcalo si u ottico. A scanso dì equivoci c di aLssurdi che si possono insinuare colla mllucuza d uno stolido trascendentalismo 5 io prego di distinguere i;i contiguità dalla continuità * La contiguità astratta nel regime della quantità esc ogì Labile è una parola vuota di senso* o almeno un idea priva dì qualunque virtù algoritmica. La contiguità, viene espressa con punti estesi o non estesi, ì quali si toccano im mediala niente. La continuità per lo contrario è quella ragione logica* la quale la che una grandezza passi successivamente por diversi stati d* incremento o ni tleciennmto senza interro in pere o violare i rapporti d eli’ unità imperatile dia presiede a questi stali diversi, e però salva lutti i riguardi delle affinità iudoLte dalla potenza predominante nascosta. La contiguità è un idea mal eriàle o puerile, dalla quale non sì può ricavare alcuna legge ll1" glorie* continuità alPopposto forma una condizione j ) ri rn aria del vicolo di unificazione. Rite nula ferma questa distinzione, io insìsto di nuovo sulla ricerca del Tele me uto soslauziale della continuila. Qui, come ognun senfe, Laitasi una qui silo ne aritmetica, geometrica psicologica, o5 a dir mcgh^Ja questione del fondameli lo primitivo logico della valutazione della tjimn tifa continua e ào\V unità complessiva. Quest’ elemento sarà certamente omogeneo agli stati diversi delle quantità che possono cospirare a costituire l 'unita complessa. Unico adunque ed uniforme non potrà essere in sè stesso., ma sarà variato secondo la natura delle diverse quantità alle quali dovrà servire di mezzo termine. Poniamo eziandio che si potesse esprimere a guisa di un numeratore frazionale, e che fosse identica la espressione: sarebbe sempre vero che il corrispondente denominatore cangerebbe necessariamente, per ciò stesso che il numeratore fosse costante, e che il corpo della grandezza andasse variando. Ciò che caratterizza il valore d’ un esteso non è Tespressione singolare o letterale, ma bensì il rapporto proporzionale delle grandezze paragonate. Questo è ancor nulla. Dopo reiterati e certissimi sperimenti, e dopo la considerazione della legge fondamentale dell’umana ragione, si trova che l’elemento di continuità non può venire somministrato che dal fondo stesso unith complessiva strettamente tale quale fu da uoi definita. Questi sperimenti di fatto e questa legge di ragione ci accertano in una guisa indubitata, che in ogui nostro calcolo intervengono costantemente i tre concetti dell’ zz/zo, del piu e del complessivo in una maniera così associata, che, posto il più) non si può respingere l’impressione del complessivo . II pari e il dispari aritmetico uon sono che mere circostanze di questo fallo primitivo. In forza di questa legge ne viene che il complessivo o aritmetico o geometrico deve necessariamente da sè stesso, e per una suprema necessità, indicare l’elemento proprio della continuità tutte le volte che il calcolo parziale discretivo maneggia grandezze, dalle quali con coefficienti puramente razionali e quadrati uon può emergere la quautità necessaria a convenire in un solo concetto complessivo. Questo fenomeno viene posto in evidenza anche usando della più rigorosa geometria di proporzione. Qui propriamente si tocca il vero punto di contatto, o direi meglio il nodo vero di connessione logica fra la geometria delle proporzioni distinte e quella delle proporzioni associate . Allora questa geometria unisce i suoi rami, e diventa geometria di valutazione. In questa geometria conviene formarsi una ben chiara nozione della commensurabilità ed incommensurabilità, e delle diverse idee che questi nomi traggono seco. iVItro è T incommensurabilità lineare, ed altro è la superficiale. La lineare si verifica allorquando paragonando due ì2m fra dì lo-ro, med ìnule non divisione qualunque sii dell’ una sia del1 altra, nou potete trovar mai una coincidensa perfetta,. ma vi sopravgtiza sempre qualche cosa, L’ itìeoaìmDDsuT'abHità superficiale si verifica, aliai quando, latta astrazione dalla dimensione particolare del contorno, e considerando la pura superfìcie; voi no a potete ritrovare mai coincidenza fra gli elementi estesi ? nel quali potete figurare divìsa l’arca d’nua data figura. La commensurabilità superficiale si può spesso accoppiare colla in* commensurabilità lineare. Tagliate uu quadrato per mezzo della diagomde: voi avrete due triangoli rettangoli isosceli. Pigliate uno dì questi triangoli: voi avrete nei due lati di quest®: triangolo due cateti perfettamente uguali, e odia diagonale avrete P ipotenusa rispettiva, È nolo ck il rapporto lineare fra la pura diagonale e il Iato del quadrato eoa si pim definire, e quindi sono rispettivamente incommensurabili, Ma, malgrado ciò, non è forse vero dm voi potete affermare clic l'area del quadrato della diagonale è doppia di quella di uno dei lati? Questa proposizione che cosa è in sé stessa 3 fuorché una valutazione superficiale? .'Miro esempio. Descrivete un triangolo equilatero. Dal vertice di lui calale una perpendicolare sull® base. Voi troverete che il quadrato di questo perpendìcolo sta al quadrato del lato come tre a quattro* ossia clic egli La una superficie minore di un quarto di quella del quadrato del lato. Questo perpendicolo adunque è linearmente incommensurabile rispetto al lato* perchè non esiste un numero clic,, moltiplicato per se stesso, vi dia per prodotto il numero Irei tua ad un tempo stesso questa incommensurabilità lineare non v’impedisce di stabilire II rapporto superficiale di ire a quattro. Questa specie di commensurabilità superficiale accoppiata alla incommensurabilità lineare, si verifica in tutte le gradazioni intermedia fra le radici perfettamente quadranti. Il primo e massimo problèma della geometria di valutazione consiste nelfasseguare la legge naturale coti cui itali unità si passa alla pluralità 5 e così, per esempio., cerne da IL quarta parLe di un quadralo si passa alla sua metà. Conosciu ta la legge naturale od intima dell ampliandone continua, si conosce pur anche quella della menoiftazione. La soluzione di questo primo problema imporla di con ist ambiare i modi diversi di misurare, c molto più esclude la pretesa d’impiegare un modo solo: ed esclude pure fuso universale di cstrrirre radici aritmetiche dove esister non possono siffatte radici. La misurazióne lineare univoca non può convenire che a grandezze superficiali per ogai pur Lo tignali, e pe deità mente slmili allumo misuratore assunto. Ver ben I>1 iole Dii ere Lullo questo Io fr> osservare, die altro è la potenza ^ ed a 11 io |a dimensione ài uua linea. La potenza ài una linea altro non è che la espressione relativa alla grandezza del quadrato geometrico die descrivere si può su tutta una data linea, e nulla più. La dimensione della linea altro non è die I1 espressione dd numero delle parti nelle quali un dato contorno o una data parte di esso si considera diviso. Dico un contorno. perocché la linea astratta fisicamente non esiste, né può esistere. La linea reale non è, nè può essere, die V estremità della superficie j e par ciò stesso altro non è, die la superficie stessa considerala nella sola sua estremila, come fu giù dimostrato nel Discorso primo. Dico poi, die la dimensione non e die l'espressione numerica; 0 dirò meglio, altro non è che il concetto stesso complessivo dd numero di queste parli. La dimensione adunque è cosa della nostra intelligenza, e non è proprietà dellVstoo. Essa è una logia applicala, e uon tiu! alleai tuie reale cleri I esteso. Ad una data area identica voi potete applicare tutte le divisioni die a voi piace, senza che si cangi lo stato dellditoo. La dimensione adunque è cosa puramente mentale, nostra, e nulla più. Passiamo alla potenza della lutea. La sua significazione lu da ni e legata al concetto di un quadrato geometrico. Dico di un quadrato geometrico per indicare la forma sola della figura estesa, indicata da tutta una data linea, prescindendo dalla considerazione se questo quadralo sia 0 non sìa anche quadrato aritmetico. Per quadrato aritmetico intendo il prodotto di un dato numero di unità identiche molli plica lo por se stesso. Il quadrato aritmetico appartiene al numero metafìsico distinto dal numero matematico, li numero matematico porta con &è l'idea di estensione, perocché la quantità estesa forma P oggetto delle Matematiche, La forma quadrata estesa è per finzione sola quadrato aritmetica. Essa è tale sol La n Lo quando un lato del quadrato viene da noi diviso m tante parti eguali. Allora per F identità dei lati e degli angoli la somma dèlio parti è Identica col prodotto della radice moltiplicala per se stessa. La dimensione lineare o è asso lutti* 0 è comparativa, L assoluta si verifica allorché in divido un dato lato di un esteso in date parti, senza considerare se queste partì possano 0 non possano essere 0 aliquote, 0 crì.u rìdenti colle parti del contorno di indoliva grandezza. La comparativa per lo contrarlo è quella clic si serve dell’imo misuratore dì una data linea appartenente ad u uà grandezza, per misurare e valutare la linea di un'altra. Questa dimensione sì dovrebbe appellare col nome di camme figurazione, perocché essa piglia da una data lunghezza ì unita sua dime oziente, per farla servire di unità di m cimeli le d un altra lunghezza. Prima che colla incute o colla mano io divida una liuca iu parli ideutiche od aliquote per far nascere il numero ed il quadrato aritmetico, si può a questa linea associare l’idea di potenza univoca, qual’ è appunto 1 unita estesa di un quadrato geometrico, al quale la linea serve di limite o d indicatore. Così, per esempio, come mi figuro uu’ipolenusa della potenza di 50, mi posso figurare i cateti della potenza 25, senza pensare che questi cateti possono essere divisi iu cinque parli, I’una delle quali non può essere mai aliquota dell’ ipotenusa. Finche considero un quadrato geometrico per sè solo, qualunque ne sia l’ampiezza o la piccolezza, io posso dividerne il contorno in quante parli mi piace. Ma allorché lo confronto con uu altro d’una diversa ampiezza, potrò io più pretendere che la parte aliquota àeWuno sia aliquota anche dell’altro ? Tulio ciò che in teoria generale io posso stabilire si è, che dividendo amendue questi quadrati iu tante parli di numero eguale, ogni siugola parie del1 uno starà ad ogni siugola parte dell’ altro, come l’un tutto sta all’altro tutto. Proporzionali adunque solamente risulteranno queste parti, e nou comparativamente aliquote. L’ essere o non essere comparativamente aliquote uon può risultarmi che da uu rapporto logico assolutamente indipendente dall arbitraria divisione da me praticata. Per ottener dunque la bramala valutazione per mezzo della conimensurazione competente io non mi posso giovare del partito di dividere le linee in più minute parti eguali all’infinito; avvegnaché Y uno misuratore della prima grandezza starà sempre all’arco misuratore delT altra, come l’un tutto sta all’altro tutto. Il mezzo meccanico adunque della divisione e suddivisione della linea . come non può alterare il rapporto logico delle proporzioni, così è del tutto inconcludente a stabilire la vera ragione della commensurabilità. In ogni divisione pigliando Inno elementare del quadrato geometrico A, e confrontandolo co\Y uno elementare del quadrato geometrico B. si può ripetere eternamente la stessa pioposizione annunciata da principio; vale a dire, che il quadrato uno elementare di A sta al quadrato uno elementare di B, come il quadralo A sta al quadrato J5, ec. Nella co mmen sur azione pertanto il metodo suddetto è frustatorio per condurre la mente nostra ad una valutazione omologa ed univoca di due grandezze estese. L’impero della relazione logica, la quale sta sopra ai concetti dell’esteso, e la quale altro non è che l’esercizio mentale del discernimento nostro, è tale che conviene onninamente consultare le sue leggi? oude stabilire la vera commensurabilità i\e\Y esteso. Consultando queste leggi, noi troviamo che ogni esteso per sè stesso è un quid unum determinalo. Piira^o u li Lo da noi con im a Uro, fa sorgere Vkha relativa d^idetiLÌLà o di (Uvei1* iti di dimeusioutì o di formal'osla una torma identica, si possono verificare diversissimi valori delle aree, come posta una forma diversa, vi può essere equivalenza di area, U equivalenza altro non è che il conceilo della slessa quantità di estensione racchiusa sotto una diversa fiorai geometrica. Essa ò in sostanza V eguaglianza estesa trasformata. Due figure diverse equivalenti sono certamente commensurabili fra loro quanto alfarea. Ma sono forse sempre commensura bill fra loro quanto al loro con torno? Ecco ciò cito nino matematico potrà affermare giammai. Cotrje vi sono estesi simili od equivalenti superficialmente, ma di lati commensurabili, cosi vi sono estesi dissimili equivalenti superficialmente di lati incommensurabili * Ciò ù più che notorio, nè abbisogna di essere comprovalo» Ma qui ancora sorge la stessa osservazione già fatta di sopra, che la grandezza proporzionale e rispettiva dell’ esteso si desume non dalla dita e n si one m atonale di una l i r> n a, ma dalla rctg io n c ilei! e sup e rji c le, d \ modocbè la grandezza viene spogliala da ogni considerazione della sua forma, e si pone mente soltanto all' astratta quantità della superficie, e Dulia più „ Questo concetto dunque è tolto spirituale, tutto mentale, tulio logica. Citi amasse di simboleggiarlo, dir dovrebbe die in quesla posizione la mente umana nel valutare lo grandezze estese fa essenzialmente uso citili' idea di unità individua spogliata di qualunque forma speciale, sotto la quale potrebbe esistere. g S8Del mezzo di Valutazione considerato in sè stesso Procediamo oltre. Posto questo concetto, allorché vogliamo valutare due grandezze clic cosa ne nasce dal canto della incute nostra ì il -.'aiutare importa di trovare una data quantità, la quale misuri completameli Le le due grandezze proposte. Fu già dimostrato a quali necessità soggiaccia la potenza nostra meuLale in questa funzione. Qui volendo considerare questa funzione rispetto olla commensurabilità degli estesi, è necessario distinguere \' intento dal mezzo. Duo soli possono essere gl'inlEnli proposti nella commcnsurazione dell’esteso. 11 primo riguarda la dimensione paragonata divisa o unita dei lati : il secondo riguarda la dimensione paragonala divisa o unita delle superfìcie. L’estetmoue sola non può occasionare che queste due sole ricerche, perchè la superficie non presenta fuorché uno spazio uniforme fiuilo. Nel cercare la dimensione Ad™ dei r.A'i'i si vuol sapore se i! lato di un estero possa essere più lunga, più corto u eguale a quello dell’altro, e di quanto ecceda p manchi dell'altro. Nella cemmeusurazione poi unita ilei In li si vuole sapere quanto l'un Imo unito all’aliro può offrire di luogJiej'.zn, e quindi aneli e quale He sarebbe la potenza risultante. Nel cercare poi la dimensione diviso o unita delle superficie si vuol sapere quanti elementi estesi identici comprenda una data area rispetto all'altra, o rispetto ad un tutto di cui quella data area forma parte integrante. Cosi, per esempio, avendo su dinas diagonale di un quadrato descritti due quadrali, l’uno dei quali è doppio dell altro, volete sapere quanta sia l’estensione o il valore superficiale dei complementi, ossia dei quadrilvtugLi cimisi dai lati dei due quadrali? In questo caso la ricerca è tutta superficiale, ma limitala alla data figura. ( tnde soddisfare a questa ricerca può giovare certamente il sapere la dimensione comparatila dei Iati. Ma l’ottenere questa dimensione è forse si ntpre possibile ? Ogni matematico di buona fede mi risponderti sicuraniente essere ciò impossibile tutte le volte clic le due grandezze geomeii ielle non stiano Ira loro nei rapporti identici ai quadrali aritmetici. Paoli ni quésto caso i lati saranno discretivamente iu commensurabili, e però non potranno venir disegnati che eoi nome fi ella potenza a cui appartengono. \ ani adunque risulterebbero lutti gli sforai per assorge Ita re fjiu’sh iii lì ad una dimensione discreta e veramente aritmetica. Frustraneodunque riuscirebbe ogni tentativo di giungere per questo mezzo all j bramata valutazione, la qui cade la risposta sul seconda membro delta proposta inspezi od e. Questo riguarda appunto il mezzo della vai illazione. Qui sì possono ins Litu Ire due ricerche : la prima si è3 di qual natura ila il mezzo che ricerchiamo^ la seconda 3 quale esser possa la maniera di adoperarlo» Quanto al primo punto., osservo clic noi versiamo ora nel paese della Matematica pura 3 nel quale valutar dobbiamo F estensione pensata. Ciò posto, altro streme u lo non abbiamo 3 fuorché 1 esteso per misurare I esteso. La natura del mezzo ò dunque identica a quella delf oggetto da valutarsi. Quanto alla maniera poi5 in generale altro dir non possiamo due quésta dev'essere analoga alla natura delle idee e alle leggi fendamentali della nostra intelligenza . Certamente, a simigliatila delf é$te» so materiale, noi ricorriamo naturalm&nle alla misurazione lineare j mà ossa deve forse essere sempre la a lessa ? Piu ancora . Conosciam poi bei-m tutte le funzioni mentali ciac all'insaputa nostra intervenga*»? 1 mal mente abbiamo noi forse scoperto il gioco segreto primo ed mi timo dei concetti geometrici ed aritmetici, i quali talvolta si avvicendano por imprestare c per togliere un elemento costante o decisivo della vaio t azione ? I rapporti logici della grandezza estesa continua non possono esse¬ re sempre identici, specialmente nei concetti pari e dispari. Nel pari havvi un intermedio di eguaglianza, il quale non si verifica nel dispari. Più ancora: nei concetti sinottici o periodici della enumerazione, applicali all* esteso i se s’incontra una costante legge, esistono però rapporti speciali ad ogni grandezza periodica. La sfera della potenza dell’unità continua è limitala quanto è limitata la nostra mente, e non può essere simboleggiala che a seconda delle affezioni interiori della nostra mente. Ciò posto, ne viene che un unico e material modo di misurazione non potrà mai soddisfare a tutti i bisogni della valutazione. Converrebbe che l’unità continua crescesse a modo di circoli concentrici, la distanza e gP intervalli dei quali fossero eguali al diametro del primo circolo figurato come uno elementare. Con una, due o tre linee uguali, ovvero colla divisione identicamente lineare di un contorno, voi in primo luogo non potete indicare che una radice aritmetica superficiale. Se questa linea è retta, voi indicate perfetti quadrati singolari, e nulla più. Ma Vano quadrato elementare ha un determinato rapporto rispetto al tutto. Esso poi in sè stesso è sempre una grandezza suscettibile o d’essere accoppiala ad altra in via di aggregazione sgranata, o di essere ampliata in via continua. Ma quando dividete il lato di un tutto in tante parti eguali, voi create effettivamente un numero che vi dà l’idea della radice . Vi dà poi l’idea del quadrato se figurate tutta la figura generata da questa unica radice simile all’ elemento unitario assunto. Da ciò ne segue, che colla divisione di una sola liuea fatta con un’altra linea voi supponete o siete forzato a supporre un tutto perfettamente simile al vostro uno perfettamente quadrato; e però se fingete che il vostro uno lineare stia tante volte e non più nella data linea, voi dividete un tutto in tante parti quadrate aggregate, oguuna delle quali vi rappresenta un’unità elementare. Ma qui è evidente che l’ eguaglianza predominante ed unicamente predominante nou dà luogo fuorché ad un rapporto identico ripetuto, e nulla più. La vostra radice altro non è veramente, uè può essere, fuorché una serie di sgranati quadrati elementari identici ; ed il vostro complesso altro nou è che una determinata pluralità di questi quadrati elementari. Questa pluralità poi la figurate limitata d’ogni parte da un identico contorno egualmente luogo di quello della serie o della lista, cui chiamate col nome di radice. La commisurazione dunque finita e perfetta univoca lineare degli estesi rettilinei risolvesi in ultima analisi nel ragguaglio duna grandezza univoca, l’elemento radicala della quale non pnft essere die identico col l' elemento nui-radicale .Tuo’ altra grandezza. Dico uni-radicate,^ b., re c,ie fIllesto elemento vieu proso soltanto sopra di un solo lato ilelIV, fe.ro, e fa parte aliquota di questo lato. Ecco il concetto nascosto odia commisurazione finita di due sole linee. Jlav vi certamente un’altra commisurazione finita, e fatta con radici Sgranate di altri estesi rettilinei: ma questa non è unitaria, perché rigo l'HLa con più radici sgranale. Tutti i parale diagrammi non equilateri, fatti e°[^a m°HiplIcazione di due frazioni lineari identiche, cioè o eoa tatù -a n non è die una pluralità o ripetizione maggiore dello stesso elemento del ] 0. 1 io qui non maneggiamo che la polvere o Parerla delle Malcmaliche. Le grandezze die dicami discrete si possono considerare a guisa appunto di aggregali composti, o cdie si possono risolvere in elementi sgranati, che stanno insieme per via di cumulazione. Esse sono la omomerie del mondo matematico, nelle quali la quantità crescènte va in lirn^a risolversi. Ma la considerazione isolala o cumulativa di queste omomerìc non vi palesa ancora J* ultimo arcano della valutazione, perdiodalla considera zi oii e della pura identità non può nascere quella della diversità, L eguaglianza predominante in tutto il corpo dulie grandmi? razionali isolalo (come sono i singoli quadrati geometrici ed aritmetici) non vi può no potrà mai somministrare l'idea positiva delLw/ifl soélniizialc della rispettiva diffidenza contmta; come le tenebre non vi danno lume, nò il silenzio vi dà il suono, il più continuo, posto fra un prfmn uno esteso ed il suo duplo o triplo continuo, come non è partorito dall idea di eguaglianza, cosi pure non è uu elemento sgranato attaccato per apposizione. Accoppiando due radici eguali, la grandezza aniLaria quadrata non si duplica, ma si quadruplici 1 ignratevi pure distintamente queste grandezze, e dividetele pun? ì una e 1 altra in tante partì rispettivamente aliquote. Sarà sempre vero che ogni parte aliquota. delFono starà ad ogni parte aliquota dell1 altro, coinè l’un tutto sta aUàhrn tutto. Qui dunque Vidcntica dividane 6 in cd udu de lite per Li valutazione sia Molare, sia superficiale di fucsie grandezze. Allorché poi vi piacesse di uni rie per formare una figura sola, e costruire uu solo lutto 5 voi sareste privo di qualunque lume* H imàrrèbbe dunque sempre la necessità di litro vare la parola s ossia il mezze termine comune, di valutazione dell" esteso considerato ueT suoi diversi stati, e questo dovrebbe sorgere dai rapporti stessi cieli’ unità sostanziale collo stato diverso al quale passò, c non mai limitandosi ai rapporti ùuWùgH&glìanza individuale. Assurdo è dunque l’uso di applicare t grandezze prive di radici discrete quadranti il metodo di valutazione, proprio soltanto agli aggregati numèrici, aventi radici aritmetiche qua> tiraoli. Illusorio è dunque il finire con uu’ approssimazione indefinita* Dico indefinita, perocché avvi una riduzione di residuo indicala, la quale può prestare un lume massimo alla geometria di valutazioni; La quantità continua non tollera die ragguagli superficiali; e però la linea non si può assumere che come segno indivisibile di potenza unita, e con come radice d’ una grandezza di aggregazione, A dir vero, anche odia grandezza di aggregazione Tn/ro lineare è puro segDo di potenza* ma allorché si accoppia cou altre unita eguali e discrete, indica una po lenza divisibile in parti eguali; doveché nella potenza continua indica èiij rapporto solo dì proporzione che non tollera una data intima divisione razionale lineare. Consultando la natura propria della quantità estesa . si trova che moli si è fallo veramente nulla fino a {fbc non si lavora che sulla linea pura matematica. Conviene trovare le liste estese indicate dai rapporti stessi delle grandezze estese, e determinare il valore areale di queste listi;. Per esse e per esse sole si possono indicare le leggi di incremento e di decremento della quantità continua^ sia colJTaggiuugere, sia col determinare la potenza delle diagonali che nascono naturalmente, sia finalmante Col ridurre agli ultimi termini possibili gli elementi iniziativi delle diverse proporzioni. Imperfetta, grossolana e senza simbolo è quella Geometria, la quale pretende di esaurire sempre I esteso^ e di spingere tutto all indivisibile ed qlW insensibile ; quasi che i nostri raziocina e le nostre valutazioni o versassero sul nulla, o in sliluir si potessero nelle tenebre. Io sfido lutti I matematici dell’universo colla posizione mera dei punti e (lidie linee inestese a mostrarmi come le grandezze aritmetiche, geometricamente simboleggiate, passino per una vera affinità logica da uno stato all5 al ivo di grandezza continua. Questo passaggio, senza la cotìfcì[lera zi onc ed il maneggio d una Geometria superficiale e di un rapporto concludente di grandezze estese, rimarrà sempre incognito, e? quindi il calcola sempre tenebroso. La quantità estesa, io lo ripeto3 la quantità estesa forma 1 oggetto vero delle Matematiche, e però i concetti contigui forma no 11 primo loro elemento. £9* Delia incommensurabilità spuria; suo uso nelle Matemàtiche. ialvolta nella geometria di valutazione in mezzo ad estremi veramente razionali (ossia con efficienti lineari veramente commensurabilii si accoppia un inGommettsìnabiluà parziale. Ma questa è in sostala pu* ramenle relativa, e quasi direi precaria; perchè applicando il principe dell omogeneità e dell unità di denominazione viene agevolmente superala. La comparsa di questo fenomeno non è nè casuale, nè urbi tram; m t soggetta a certe leggi determinate, e nasce natura! mente nel p presso paragonato della quantità estesa discreta. P reziusi sono questi scontri all attento osservatore, perocché essi fanno Tufficio di interruzioni d’n ua catena elettrica, nelle quali II fuoco elettrico si mostra alla scoperta, o indica date qualiLi e date leggi proprie* Dilla Ili da questi scontri, uà li nello stesso paese del commensurai/ ile, si pone costa n temente in chiaro ck la possibilità della yà lutazione, cosi delta razionala finita dipende iutieramante dalla coincidenza dei limiti delibilo misuratore, il quale iev’es* sere identico specialmente per valutare tanto i mezzi termini dì eguaglianza e di disuguaglianza, quanto il termine concludente,, come dimostrerò a suo luogo con esempli. Allorché poi vien tolta di mezzo questa specie d incommensurabilità melante l’mntà e l’omogeneità della delio' mlnazionc, siamo condotti per man o alle vedute sinottiche*, le quali ci rivelano le recondite leggi e gli intimi rapporti di affinità e di continuili fra I diversi progressi della quantità. Questa spuria incommensurabilità è appunto mi mezzo Le rad né fra il discreto e il continuo, il quale, mediante mi' analisi indicata, ci conduce In Irne a ritrovare con qual legge e con quali proporzioni accrésca o decresca continuamente la potenza rettilinea. Essa didatti procede passo passo 5 e segue con minimi coefficienti rettilinei tutte le graduazioni indotte dalla curva circolare nel tagliare le rette e nel far nascere certe potenze lineari, e quindi certe grandezze estese proporzionali coesistenti coi rapporti della varietà, della continuità e dell' unità, sia iu uno stato addensalo 5 sia In uno staLo diradato. Essa mconnucia da una posizione rispettiva di eguaglianza e di rispettiva unità e varietà, C aggiunge Vano continuo. Così vegga rao II passaggio proporzionale al .più con ti uno; e ci a v veggio mo che questo passaggio corrisponde all’ ultima vibrazione della grande unità implicita, che presiede a tutto il sistema dell’enumerazione, ossia meglio del senso differenzia le, che distingue e calcola l’unità estesa. Per essa si determinano non solo i graduali incrementi traili dalle viscere medesime del primo uno sostanziale, ma si determinano eziandio i medii di eguaglianza superficiale segnati dal primo movimento del centro e della curva circolare5 che va diminuendo l’ area compresa fra due curve, ec. ec. 90. Conseguenze per fondare la possanza del calcolo iniziativo sinottico. Sperimento proposto. Tavola posometrica. Esclusi quindi gli antilogici e tenebrosi concetti di un trascendentalismo indeterminato ed assoluto (nel quale le vere e reali leggi di fatto naturale della mente nostra non sono consultate), noi seguiamo le indicazioni necessarie del vero naturale algoritmo, il quale predomina e predominerà mai sempre qualunque nostra operazione di calcolo. Allora fi incommensurabilità lineare non oppone più ostacolo alla vera e competente valutazione delle grandezze continue estese: ma per lo contrario serve di ajuto ed anzi diviene mezzo termine necessario per questa valutazione. Didatti senza questa incommensurabilità non si potrebbero rappresentare i termini concludenti, ossia le grandezze continue risultanti dai coefficienti razionali, ossia discreti. Qui lutto vien regolato con un metodo unico, ma adattato alla natura della quantità discreta e continua. Allora la Filosofia e la Matematica non solo si conciliano, ma si danno scambievolmente lume ed ajuto, e ci prestano una potenza prima sconosciuta. Tutte queste cose si operano mediante un magistero facile, spedilo, e quasi intuitivo, il quale non eccede punto la sfera del calcolo iniziativO) benché i casi che maneggiate e che scegliete contengano per lo meno vere equazioni di secondo grado. Questi casi coll’algebra comune (allorché soltanto si tratta di superare l’ incommensurabilità spuria ) non vengono sciolti che per una triviale approssimazione, mentrechè coll’omogeneità complessiva vengono luminosamente e di salto definiti in una maniera finita e senza residui inesauribili. Io sembrerò forse promulgalore di sogni a tutti coloro i quali non sono iniziati nella scienza primitiva della quantità estesa. Prodigii matematici sono questi, dirà taluno, affatto incredibili, perchè nè veduti mai da noi, nè praticabili colla forza dell’arte che possediamo. Io perdono questa incredulità, nè esigo che venga deposla fuorché in conseguenza di fermissime e luminosissime dimostrazioni. Tollererò quindi con pazienza la taccia di sognatore, d’illuso e d’ignorante, fino a che produca le prove di liuto ciò che asserisco. Dico fino a che produca tali prove, perocché io sono certo che alla prima comparsa loro svanirà ogni dubbio contrario. Duoimi che l’indole di questo scritto non mi permetta di soddisfare incontanente alla giusta curiosità de’ miei leggitori. Io debbo compiere prima tutta la proposizione del mio soggetto, essendo questo il fine primo di questi Discorsi. Io debbo quindi astenermi da ogni discussione sopra oggetti particolari 5 perocché diverrebbero digressioni enormi, condannate da quella economia che presiede ad ogni libro bene ordinato. in aspettazione però delle prove da me promesse io invilo qui ogni lettore a gettar boccino sulla seguente TAVOLA POSO-METRICA. Radici Gno mon Qua¬ drati Radici Gno mon Qua- i tirati Radic ( Gno mon Qua¬ li diati Radic Gno 1 mon Qvai diati o 0 0 5o 99 25oo 00 000 0000 100 «99 10000 1 i 4 49 97 2401 5 1 101 2601 99 «97 98o‘ 2 3 48 95 23o4 52 io3 2704 98 195 96°4 3 5 9 47 93 2209 53 io5 2809 97 «93 94°9 4 7 16 46 9i 2116 54 107 29,C 96 «9« 92lC 5 9 25 45 % 2025 55 109 3 0 2 5 95 189 9025 6 ir 36 44 87 i936 56 ni 3 1 36 9Ì 187 883G 7 i3 49 43 85 1849 57 ii3 3 249 93 i85 8049 8 i5 64 4 2 83 1764 58 n5 3364 92 i83 8404 9 81 4i 81 1 68 1 59 117 348i 91 181 8281 IO «9 100 40 79 1600 60 “9 36oo 9° «79 8100 1 ] 21 1 2 1 39 77 l52 I 61 121 3721 89 «77 7921 I 2 23 «44 38 75 «444 62 123 3841 88 i75 7744 1 3 25 .69 i96 57 73,369 63 125 3969 87 i73,5C9 *4 27 36 7i 1296 64 127 4ouC 86 «7« 739C 1 5 29 220 35 ®9 1225 65 129 4225 85 169 7225 16 3i 206 34 67 1 156 66 i3i 4356 84 167 7066 *7 33 289 33 65 1089 67 i33 4 489 83 i65 6889 1 8 35 324 32 63 1024 68 i35 4624 82 i63 6 724 ' *9 37 36i 3 1 61 96 1 69 i37 4761 81 i6r 656 1 20 39 4oo 3o 59 9°° 70 i39 4900 80 i5g C O 2 I 4r 44 1 29 57 841 7 « i4i 5o4 1 79 157 62^1 2 2 43 484 28 55 784 72 x43 5 184 78 i55 6o84 23 45 529 27 53 729 73 i45 5329 77 i53 5929 24 47 576 26 5r 676 74 147 5476 76 i5i 5776 2 5 49 626 75 49 S II DISCORSO ®ERZO, \22ì) F o lo prego a fissa v raltouziooe almeno sitile due prime colonne di que¬ sta tavolo. Nella prima,, scendendo dal primo grado lino ai ventesimoquai lo, voi vedete difessa contiene una serie Maturale di radici Crescenti dall1 uuo (ino al ventiquattro. A fronte delle ventiquattro nella seconda colonna sta la 20. che va salendo tino al 50* Qui la prima colonna presenta uua serie che daìFaUo al basso va crescendo ad ogni grado con una radice sgranata, accresciuta sempre di un' unità j e viceversa salendo dal basso all’alto, la serie va decrescendo dèlia stessa unità. La colonna seconda va del pari sempre crescendo d’ima radice: ma ciò fa salendo dal basso in alto. Da ciò nasce., che qui abbiamo due serie finite di 24 gradi* Tuna crescente e l’altra decrescente. Luna parallela all’ altra* Tn questa posizione se da ogni quadrato della seconda colonna noi deduciamo il quadralo clic le sìa contro nella prima, noi troveremo una serie di differenze crescenti dal 100 al 2500* e che ogni termine di questa serie rii differenze dista dall’altro dì 100 unità. In questa serie di differenze voi trovato cinque perfetti quadrali aritmetici. 1. 10.0 radice 10 Tf. 400 » 20 III. 900 » 30 IV. 1600 » 40 V. 2500 50 Prescindiamo ora dal quinto 5 e fermiamoci sugli alili quattro, Scegliete quello che vi piace. Unitelo col quadrato della prima colonna clic gli sia di fronte. Voi avrete due quadrati perfetti coefficienti^ iul mi terzo complessivo. Così, per esempio*. 57G (r. 24 ) -|100 £r. IO) : fì'rfì (r, 26), 441 ( r. 21 ) -j400 { r. 20) = 841 { r. 29). Compiacetevi ora di simboleggiare geometricamente qualcheduna di queste composizioni. Figuratela secondo la costruzione pitagorica dei quadrali del? ipotenusa e dei cateti. Per agevolare poi meglio i confronti,, pigliate la metà deb l'ipotcnusa: e fattone raggio* descrivete un circolo. Nelle ipotenuse divise in numeri dispari voi sarete costretto a dividere V uno esteso, e quindi si duplicherà 1 espressione della radice, e si quadruplicherà il valore delle aree. Ciò, per fare un semplice esperimento * non importa. Il fenomeno risulta sempre Lo stesso, sìa che dividiate, sia che conserviate luterò l’uno primo componente le radici suddetto. Fatta questa costruzione*, esaminate le parti della vostra figura. \oi troverete chetaci onta dei cateti e dell' ipotcnusa» tuLti razionali,, sorgerà a primo tratto V in eom m cnsu ra bili l a spuria fra i aegmcu li deir ipotcnusa e la mezza proporzionale che viene costituita, calando una perpendicoToiii. T* 78 •1 230 lare dal vertice del triangolo rettangolo sulla sottoposta ipotenusa. Domandale a voi stesso il valore, sia lineare, sia superficiale, tanto di questi segmenti delP ipotenusa . quanto della mezza proporzionale. Glie ue avverrà? Se voi impiegale di salto l’Àlgebra comune, non otterrete che una triviale indefinita approssimazione: ma se applicherete il metodo della omogeneità ed unità di denominazione, la pretesa iucommeusurabilità sparirà, e voi otterrete i valori finiti di ogni segmento e di ogni differenza. 91. Concorso del curvilineo e del rettilineo per valutare le grandezze estese, e quindi fondare il calcolo sinottico. Fu detto di sopra, che vi possono essere due specie R incommensurabilità: la prima di contorno ; la seconda di superficie. Quella di contorno si può verificare tanto fra il curvilineo ed il rettilineo, quanto fra i rettilinei medesimi. Fra i rettilinei però ; come fu detto, l’incommensurabilità dei lati non fa ostacolo alla competente valutazione delle superficie. Non è così fra il curvilineo ed il rettilineo. Fra la curva eia retta è così impossibile la coincidenza lineare, come è impossibile che un filo metallico fissato nelle sue estremità, e teso come una corda sonora, venendo tagliato, possano le sue parti toccarsi fuorché in linea retta. Alzando od abbassando queste parti di un solo punto, per toccare la curva j di cui formano la corda, amendue non si polrauno mai vicendevolmente toccare. La curva quindi non può essere mai rappresentala con due soli punti, ma per lo meno con tre. 11 minimo dunque della curva inchiude tre relazioni, mentre che la retta ne inchiude essenzialmente una sola. L uno esteso e finito esige per lo meno tre limiti rettilinei, ossia per chiudere qualunque spazio si esigono per lo meno tre linee rette. L uno esteso adunque finito, ridotto a’ suoi minimi termini possibili di contorno, sarà necessariamente un esteso o triangolare o circolare. Seguendo le analogie, e rammentando ciò che abbiamo detto nel paragrafo antecedente rapporto all’espressione estesa delle linee rette, potremo conchiudere che al perfetto quadrato rettilineo corrisponde il circolo, ed al quadrilungo corrisponde l’elisse. L area circolare adunque si può figurare come unità curvilinea continua ed univoca; l’area elittica per lo contrario si può figurare come pluralità estesa curvdinea. Così simbolicamente la linea retta unica non può essere che segno associalo di unità o quadrata o circolare, assumendo questa linea o come lato del primo, o come diametro del secondo. m\ QfS premessa dominilo se n«co.mmensural.)iIitii curvilinea, e prlmar j a erteti l e la circolare, possa formare ostacolo alla Geometrìa ili valutatone, Io prego ad esaminar bene i termini della quislione. Altro è dire die fra la curva e la retta sia impossìbile ogni coincidenza metrico- linetire, cd altro e il dire che questa impossibilità dì coincidenza possa servire di ostacolo alle valutazioni superficiali. Parimente altro è domandare se si possa stabilire il valore superficiale delParea del circolo, cd altro è il dire se quest’area o il giro della periferia possa servire di ostacolo alle valutazoni superficiali rettilinee determinate dal giro o dal taglio della curva circolare. Sarà sempre vero die il concetto della curva circolare non c identico a quello della linea retta c viceversa. Sarà piu vero essere impossibile una coincidenza metrica fra queste due specie di liner, lo dunque non sarò cosi pazzo da voler misurare le parti dell’ mia colle partì dell' altra, e pretendere di trovarne il ragguaglio. Giù involge un assurdo, perde si suppone una possibilità di coincidenza, e quindi una identità fonda me □ tale de non esiste. Ma, malgrado questa diversità essenziale nella forma dei contorni, ninno vede l’ impossibilità di determinare le superficie dei veri o sparii quadrati fabbricati sulle rette determinate dal giro della curva circolare, senza per altro esaurire mai la diversità fra questa curva c la retta. Così, per esempio.* alzando dal diametro diviso in tante parti alcune perpendicolari alla periferia, io posso ottenere rapporti certi fra le diverse grandezze dei quadrati fabbricati su queste rette. Si dirà perciò de io possa ritrovare la quadratura del circolo? Ciò sarebbe ridicolo ed assurdo. Ma dall'altra parte poi non si potrà negare che io possa ritrovare la superficie dei veri quadrati geometrici c aritmetici, de si possono fabbricare sulle diverse rette variamente limitale dal giro di questa curva, iu conseguenza della divisione da me fatta del diametro sottoposto. Ognuno vede didatti de qui la curva non segua die due estremità della linea retta, la quale non cangia per la diversità dello str omento che taglia o limila, ma viene variamente limitata per la distanza solamente fra i due punti che formano l'estremità della lìnea medesima. La curva circolare pertanto nella Geometria di valutaziooe sì deve considerare come uno strumento variamente limitante la lunghezza delle linee rette; ma con tal legge però, che le diverse dimensioni da lei indotte stiano fra di loro con determinali rapporti, soltanto propri! dì una grande unità? la quale viene rappresentata appunto dal raggio del cìrcolo stesso che percorre gradai a mente i punii diversi che formano l’estremità delle ordinate e delle ascisse. Ora considerala la cosa sotto di questo punto di vista, c meditando tutti i fenomeni che nascono dalle rispettive costruzioni, lungi che nelP andamento circolare e nella rispettiva incommensurabilità curvilinea si possa trovare un ostacolo alla Geometria di valutazione ed alla teoria del calcolo unificativo, vi si trova al1 opposto tutta la virtù logica necessaria alla valutazione ed alla unificazione. Tutto considerato, noi siamo condotti alla conclusione, che nel1 incommensurabile sta racchiusa la vera unità metrica rispettiva^ nou posta dall arbitrio dell’uomo, ma determinata dalla natura stessa del soggetto analizzato. Talvolta questa unità metrica della natura coincide con quella che lu posta da noi: e ciò accade appunto scorrendo gl’intervalli Ira le radici quadranti. Ma il passaggio e l’unione logica dei coefficienti a formare una sola grandezza appartiene così all* unità non materiale, ma all intellettuale, che sembra potersi solamente rappresentare dal simbolo della curva circolare, e non da quello della linea retta. V associazione logica de\Y identità e della diversità, la quale costituisce l’essenza di ogni mezzo termine, si effettua appunto associando l’azione della curva circolare coll azione della linea retta. Questo è così vero, che se per un ipotesi impossibile si potesse ritrovare la così delta quadratura del circolo, la figura rettilinea che ne sorgerebbe non potrebbe giammai prestare gli ufficii logici che la curva circolare presta e prestar può alla Geometria di valutazione. Questa nou segue la materiale dimensione della superficie racchiusa in un dato spazio, ma bensì la ragione intellettuale e logica delle diverse grandezze accoppiate insieme, ed associate ad una mentale unità sistematica, nella quale lo spirito umano adempie la legge fondamentale di ogni raziocinio. Infinitamente dunque più estesi ed importanti sono i servigi di questa Geometria di valutazione ( la quale sa giovarsi dell’ incommensurabilità medesima), che i vantaggi o i servigi che ritrai’ si potrebbero dalla impraticabile quadratura del circolo, lo prego a por mente a questa osservazione, la quale versa propriamente sull ultimo fondo delle leggi del nostro spirito nel paragonare 5 giudicare e comporre le diverse grandezze estese. Didatti per virtù di questo simbolo noi possiamo cogliere i traili caratteristici del principio dell’omogeneità applicato con un’identica denominazione, tradotta e trasformata dappoi in conseguenza dei rapporti ue1 cessarli che ne emergono. Guardiamoci dal confondere l’unità del principio colla uniformità delle maniere . L’uniformità di maniera nou può convenire che a grandezze identiche logicamente: l’unità del principio deriva, per lo contrario, dall’unità e dall’identità della mente che istituisce il calcolo, e che nel far ciò è necessitata a sentire i rapporti concorrenti ed i concludenti dei proprii concetti. L’applicazione del principio dee variare a seconda dell’oggetto. Così Io sguardo corporale varia di movimento o di mezzi, secondo l’aspetto degli oggetti ch’egli ama di esaminare; ma la legge ottica è una. Se didatti trattar dovete le famiglie delle grandezze continue e delle discrete, delle linearmente commensurabili e delle incommensurabili, la vostra ragione vi annuuzia ipso facto, che deve occorrere qualche diversità nel metodo della valutazione, per ciò stesso che gli oggetti presentano qualità tanto contrarie. L’ assoluta o perfetta identità di maniere pertanto non solamente riescirebbe sospetta, ma costituirebbe almeno una fortissima presunzione di falsità e d’incompetenza. L’esperienza verrebbe indi in soccorso di questa presunzione, e vi accerterebbe che non vi siete ingannato. Ora tornando al proposito dei veri e pienarii mezzi termini di valutazione, si può stabilire la massima: che se il principio dell 'omogeneità e dell’ unità essenziale dei metodi di valutazione deve predominare nel calcolo, debbesi nell’atto stesso soggiungere che quest’omogeneità variar deve secondo la reale natura degli enti valutati: e però che l’omogeneità importa bensì unità, ma non uniformità perfetta, la quale anzi violerebbe il principio stesso dell’omogeneità. L’omogeneità è appunto tale, perchè segue la natura delle cose. L’unità poi essenziale ? e non modale, verificar si deve atteso appunto l’identità e la diversità che si accoppiano nella quantità estesa. Tutte queste osservazioni riguardano il inerito intrinseco del calcolo, la potenza del quale risulta appunto dall’ attitudine sua a somministrarci le valutazioni che bramiamo. Io sono ben lontano dal pretendere di aver dimostrato in che consista e da che derivi la plenaria possanza del calcolo iniziativo che ci occupa. Converrebbe stendere un lungo Trattato per rendere palesi gli elementi di questa possanza, e corredarlo con esempli. Si ritenga dunque ciò che ne ho detto come una mera proposta e come un primo presentimento 5 per indicare in generale qual’ idea formar ci dobbiamo, e dove dobbiamo volgere le nostre disquisizioni per fondare la possanza di questo calcolo. Passo ora ad una fondamentale ispezione, riguardante la maniera di procedere nello stabilire le prime teorie della valutazione. A questa maniera si riferiscono le tre condizioni seguenti. Per esse la teoria della valutazione dev’essere: l.° prefinUa nella sua tendenza ; obbligata nei suo maneggio ; omogenea nelle sue conclusioni Quando dico clic deve essere prefinita nelle sue tendenze, io intendo che si debbano escludere tutti i tentativi arbitrarli e casuali, e però che ogni passo debba essere indicato dalle uozioni ritratte dallo studio precedente già compiuto nella parte ostensiva della scienza. In esso appunto ci vengono rivelate tanto le affezioni e le leggi della quantità estesa, quanto le esigenze della nostra mente nel meditare questa quantità. Colla cautela di stabilire la teoria della valutazione in vista d indicazioni preparate e preconosciute, si dà finalmente nesso, vita e possanza alla intiera logica della quantità estesa. Per questo mezzo si empie quella fatale lacuna, la quale oggidì è frapposta fra la Geometria e I Aritmetica: per questo mezzo si connette strettamente Puna coll’altra, per farle servire amendue allo studio della natura ed al perfezionamento delle arti. Così l’Àlgebra, figlia della Geometria, rammentando dopo molto viaggio, e dopo molte gesta impotenti, di avere una madre, volge indietro lo sguardo e i passi suoi, e va a porgere la mano a colei che da tanto tempo fu abbandonata sulla strada; e da essa implora lume ed ajuto per poter camminare senza traviamenti e con buon successo nel paese specialmente degli incommensurabili, e indi servire ai bisogni del1 umanità. La Geometria, io lo ripeto, la Geometria dee fondare la vera e piena teoria della valutazione ; e deve farlo in una maniera certa, facile, breve, ed a mano a mano preindicata dai simboli stessi della quantità. Couvien dunque compiere Io studio della Geometria, per compiere la teoria fondamentale delle valutazioni àe\V esteso. Questo complemento importa di fare uno studio speciale di un ramo ebe io appellerei Geometria di valutazione, del quale la teoria delle proporzioni ci offre già molle preparazioni importantissime. Quando io scorro i libri di geometri abilissimi; quando ad unauiea facilità e limpida chiarezza veggo accoppiata uua buona scelta (loccliè specialmente ammiro negli scrittori francesi), io esclamo: Qual pe ccato che così belli ingegni siensi contentati di darci soltanto una vecchia materia, o non fabbiano aumentata che di qualche particella! Ad essi eia nota pur troppo l’insufficienza e la difficoltà degli algoritmi usitati. E perchè mai non si sono occupati ad indagarne la cagione ed a suggerirne il rimedio? E perchè mai non si sono presa la briga d’interrogare la natura e di ascoltarne i primi suggerimenti? Essi avrebbero scoperto coti quanta munificenza questa -buona madre soglia premiare i figli c^e ^ consultano con raccoglimento, e ne seguono fedelmente le indicazioni. Lume, facilità, certezza, possanza razionale, e indi Gsica e morale, sono i Lenefizii che la natura largamente comparte a’ suoi ingenui cultori. Te nm ugjjre difficoltà, incertezza, impotenza, sono i mali che a fil isserò* aifiigrotiu e affliggerà uno semp re tulli coloro die o per ignoranza o per orn 1 5 ìj si scostarono, si scostano e si scosteranno dalle tracce segnate dalla natura. Così anello nel mondo intellettuale regna un ordine eterno, munito d’irrefragabile sanzione; così coll* irrogare le pene suddette la natura relrospinge ì traviali entro V orbita del grand3 ordine col quale reg£rc r urna uila ; cosi col castigo stesso ci fa sentire la sua provvidenza, 0 C'L conduce e sospinge a quella perfezione a cui essa ci destinò. Ho dello die la Geometria di valutazione ha una in Lima connessione con quella delle proporzioni* Ora soggiungo, che la Geometrìa di valutazione non è nè può essere altro, clic la teoria stessa graduale delle paorjpitssioiNij raccolta da tutti i rapporti deli/ unita cohplessiva, estesa e maneggiata col principio dell omogeneità lu questa teorìa io disliuTuo due grandi parli. La prima contiene le condizioni assolide; la seconda le condizioni relative. Giù che So dico del tutto verificar si deve in ogni parte, e però anche nella soluzione di qualunque particolare problema. Se la cosa non fosse cosi, non sarebbe più vero che la data legge generale presieda ai procedimenti dei calcolo; perocché essa Io tanto è generale, in quanto regge e predomina in tutti i casi particolari. Io offrirò a suo luogo un esempio d1 una soluzione latta con questo procedi monto preludio aio, al lume del quale sì potranno m s lituiro esperienze dì questa Geometria di vaio Lazio ne. Ora mi conviene iar avvertire a’d una particolarità dì questa Geometrìa, a ila quale non SO se 1 moderni abbiano posta bastante attenzione; e questa è la suddivisione indicata delle prime radici naturali dei quadrati posti Io serie con Linea (LX Lo scoui parto di questa serie fu latto (iti conseguenza dTma uàturale indicazione) in la fitte colonne, ognuna delle quali contiene ventiquattro termini, facendo in modo che il ventesimoquiuto serva di anello e di con ne ssi mie per unire una colonna coll’altra. Queste colonne, consiiltjrate come una via percorsa, presentano l’idea di altrettanti stadii della unità elementare: perocché si può figurare che Vano primo metrico progredisca successi vameu le per una data strada retta, e a mano a mano si vada con identiche ri petizioni discrete ampliando ad ogni passo con certe leggi tanto assoluto quanto relative, bua palla che rotola gin per un erto pendio coperto di neve-, come farebbe una ruota sempre girante sopra uno stesso asse * e che a mano a mano ravvolga una striscia di i ') Valgasi liL tavolaL In quéijifr invola vicini csposi.a Solww l1 espressione numerica- luuiiu Lililulc quiialO superilo ni c* mìe* lxI 1K. iJtìVldcUa larghezza odiale al proprio diametro; una "rossa, ma assai JlessUjìht ° 0 pasta d ima data grossezza, la quale si figari inca rnine! are ad avvolgersi con uà noccìuaìo di diametro eguale alla jjliìi grossezza, fa sorgere In fìtte im rotolo, la di cui base vi presenta un rotondo fatto a lumaca, ossìa diviso in una spirale cui potete 3 quando vi [date, chiudere iti un solo circolo. La grossezza della pagina ravvolta, considerata nella sola sua superficie, vi presenta una lista minima super* licitilo j la larghezza quadrata delia quale (ossìa il quadralo della cui testa j sì può assumere come unità prima superficiale. Estraete quesihma meln co quadrato, e sen itevene come di elemento fondamentale prima Noi vedremo cou quali rapporti naturalmente indicati si faccia la visione ricercala di questo elemento, a quali tisi poi serva questa sudilivisione nella soluzione dei profilami competenti io mi riserbo dì presentare osservazioni convenienti sulla costruzione e sui rapporti si di /ulto thè di ragione di questa tavola, Lauto per la dimensione lineare, quanto per le valutazioni superficiali: e eli porre in evidenza lo scambio antilogico clic viene praticato dal più dei calcolatori, special mente della linea colla lista, e dì far avvertire ai risultati tenebrosi e mortali che iodi ne derivano. Proseguiamo. Esaminando, per esempio, la prima colonna o studio di questa serie ad oggetto di ottenere una suddivisione indicala dalie radici, ossia meglio delibano elementare esteso (che dapprima si presento compatto nella sua torma e ne' suoi passi }, io non trovo che il salo ter mine decimo* il quale mi olirà una naturale e non artificiale indi cazioa& di questa sud di visiono. Potrei certamente nel dccimoterzo e nel diciassettesimo conseguire suddivisioni indicate*, e ciò cui duplicare la radici:, sia colla divisione, sia eoli' addizione: ma questo tentativo sarebbe arbitrario e prematuro, nè mi prese uterehfie gli altri rapporti naturali dÌTtflutazione che concorrono nel quadrato decimale. !.. uico pertanto iu qaesio primo stadio riesce questo quadralo, atto a soddisfare alle condizioni imposte al mio procedimento. Dopo di lui viene il ventesimo. Convita dunque arrestarsi al sìmbolo di questo termine* ed in ogni sua parte esami uà rio. Qui non conviene perder nulla, perchè ogni indicazione contiene rapporti importantissimi per tutte ì valutario ui cansec ulive. Q ci sta propriamente la luce prima del calcolo inìziativo specialmente cotiìfi inalo, perchè qui prima di tutto sì palesa lo stato dogli estremi massimi vitali entro l'unità, come fu sopra spiegato. Qui sorgono ì primi rapporti palesi della composizione continua di due ragioni, luna doppia dell’ ah tra, e della coincidenza in una stessa persona. Qui sì palesa e da qui sideduce il medio limile fra i limili eli unificazione (diversi da quelli di semplice esclusione) ri s guai danti la ragione fon dame u tale del simplo e duplo raccolti nel concetto unificato del tt iplo^ e riportati alla legge* e sottoposti all’impero primo ed ultimo dell’ implicito 3 del quale abbiamo di sopra ragionato (ved, 73), Ida ciò sorge una nuova specie di calcolo trilogicQy Tunico proprio del? unità estesa, e concorde alle leggi fondamentali e perpetue delbumana intelligenza. Qui si nasconde eziandio un mediatore massimo razionale per comporre cd unire grandule di natura diversa complessa, come si vedrà a suo luogo. Il calcolo del quale parlo*, per essere iudicato, deve soddisfare alle condizioni assolute e relative* Si deve Incominciare dall’ esame delle assolute per fondare r dati delia competente valutazione, c passare indi alla costruzione di movimento, per dedurne poi le suddivisioni del't’ftfto metrico prima assunto. Con ciò sempre proceder dovrà F in segnarne □ lo primitivo delle Ma tema licite. \, chi ama il ben tenebroso ed il ben difficile queste cure sembreranno vere fanciullaggini; ma il fatto sia, ebe questi signori coi loro x -jV + 3 si trovano talvolta bene imbarazzali, cd anzi del tuLlo incapaci a sciogliere questioni clic vengono agevoli&simamenle sciolte con queste fanciullaggini. Sprezzato quindi, come fa il giudizioso viandante, il garrire di queste cicale, o9 a dir meglio, di questi automi calcolatori, io proseguirò fermo nella mia carriera. g 93. Come riguardare ed usare sì debba del? implicò o. Nel mio secondo Discorso bo fatto presentire clic la legge (là quale Del Calcolo sublime assoggetta gPincommcusurabili ad un dato algoritmo) si dove far certamente sentire fino dai primordii delle valutazioni delF esteso. Il Calcolo sublime, riguardalo nel suo complesso, deve essere eziandio calcolo di .unificazione 5 senza di die egli inanellerebbe della sua parlo migliore, ed uuzi essenziale. In questo calcolo la possanza implicito si la sentire gagliarda mente « sia per differenziare, sia per palesare le leggi di una serie, sia per segnare certi periodi. L implicito quindi e decisivo, sìa comemezzo di salutazione^ sia come mezzo di linutazione., sia come mozzo di conclusione^ ec. Egli, non ravvisato nella sua lucida origine, viene sfigurato sotto l'assurda denominazione ora $ infinitamente piccolo, ora di zero relativo, ora di quantità sprezzabile e da eliminarsi^ oc. cc. Nel l'Algebra stessa quest' implìcito dà causa alle radici immaginarie^ e confonde sotto una stessa legge artificiale le valutazioni del commensurabile c fall’ incommensurabile 9 ossia del dìscroto enumeralo c del contìnuo. In tutti questi concepimenti bavvi certamente un f ondo nascosto pieno ili verità. Lo sconcio pertanto risaita dalla cattiva maniera di esprimersi: e questa cattiva maniera di dirti nasce dalla contusa maniera di concepire. La confusa maniera poi di concepire deriva dal non salire alla cognizione delle leggi primitiva e fonda mentali di puro fallo, clic reggono imperiosamente la nostra intdJjgeu&a nello valutazioni della quantità estesa. Questa cognizione primitiva nou si può acquistare fuorché cou esperimenti variati, reiterali e cerli^ i quali facciano sortire alla nostra vista le leggi recondite ed inde* olioabili della nostra intelligenza nel concepire, paragonare e combinare lo quantità estese. Quella pondera zione, quell’industria, quella pertinacia, quella saga dia che viene impiegata intorno Tele liricità, il magnetismo, Jj Chimica, per far parlare, dirò cosi, la recondita natura fisica, si J gì* p u i c i m piegare pe r lai* pa r I a re d reco□di lo uomo i rt ter i o re. 0 ra e s epeitata a dovere 1 arte di osservare cogli sperimenti co nvenienti, e rilevatele parli coi arila tulle, emerge appunto anche una quantità implicita mntale^ì a quale non appartiene propriamente agl] estesi rettilinei ini posta* h 5 raa mteryicne sempre nei concetti dei cosi delti incommensurabili pei compiere la vera e logica unificazione. Questa scoperta è un fatto primitivo semplice-, e dirò quasi intuitivo, col quale si rettifichilo tulle lo cattive maniere dì diro adottale dai matematici, e uel fatto stesso si dà ragione dell esattezza dei loro calcoli, e del fondo di verità ravvolto sotto le cattive loro locuzioni. L implicito si ravvisa pròpria meri le da* suoi effetti a guisa dulie Jorze esistenti io naLura. e non già per la sua forma, come ho già avvertito di sopra (ved, l3y, V olendo neJjf uuificazio no magistrale Impiegarlo a dovere, conviene necessaria mente conoscerne lo 1? Ì juUitrali^ uuLl altrimenti che per dar corso ad un'acqua, o per dirigere una correalr delinca, è necessario di conoscere e dì rispettare lo leggi naturali di questi di ti dì. Ora si domanda por quale maniera si possono urna destare a noi le leggi naturali di quesLo implicito. Ogni ma te malico filosofo mi risponderà che tali leggi ci verranno rese manifeste mediante le funzioni naturali della quantità estèsa, come le leggi della natura vivente vcagcìJtJ rcsc manifeste dai fenomeni che accadono o che emergono da sugaci esperimenti. Determinalo questo mezzo, che cosa dunque ci resta a fare per ricoprire almeno le prime leggi naturali che bramiamo? Ognuno mi risponderà, che converrà incominciare da uno sviluppa mento in Serie ^ proseguire indi colf analisi si assoluta che comparativa indicata dai Litio mi di questa serie, e ciò sì per le grandezze discrete che per lo cmiliuue5 e finir ludi culi’ indicazione dei risultali che nc emergeranno. Qui io non posso presentare questo lavoro. Ciò nou ostante in via eli primo presentimento io invito il lettore a gettar nuovamente Y occhio sulla tavola posometrica qui annessa. Dopo un breve esame, limitato soltanto ai fenomeni presentati dalle due prime colonne, si avvedrà che allorquando noi vogliamo contemplare le cose sinotticamente, ci si presenta una segreta funzione precisamente inversa di quella che esplicitamente abbiamo eseguila. Noi infatti, incominciando dall’zmo, avevamo per una positiva apposizione fatte crescere radici e fabbricati quadrati. Ma considerando bene le cose, noi ci avveggiamo di avere invece praticata una divisione d’una grande unità nascosta, e ciò tanto per tutto il corpo dell’unità, quanto pei gradi di distanza fra l’uno e l’altro termine. Più ancora: troviamo ebe ciò che ne fa specchio nell ultima evoluzione, nella quale si effettua Y eguaglianza^ e si finisce assolutamente il primo periodo, ciò, dico, che ci fa specchio,non è il zero segnato di Ironie al termine di 50, ma bensì una quantità nascosta, la quale ci dà per differenza Io stesso quadrato di 50. Nè qui dir si potrebbe che la costruzione di questa tavola sia arbitraria ; ma all’opposto confessar si deve ella essere indicata. Mirate prima di tutto le ventiquattro desinenze scritte dei quadrati perfetti. Esse si variano solo fino al grado di 24, e appuntino si ripetono identicamente all’infinito; talché leggendo voi materialmente qualunque numero espresso con tre cifre o più, e non incontrando qualcheduna delle dette 24 desinenze, siete certo ch’egli non è un quadrato aritmetico. Paragonate in secondo luogo ogni quadrato di ciascuna colonna col quadrato di quella che gli sta contro a sinistra. Voi vedrete che fra la prima e la seconda la differenza ad ogni grado cresce costantemente di 100; fra la seconda e la terza cresce di 200; fra la terza e la quarta cresce di 300, ec. ec. Tutto ciò si fa con tal legge, che giunti al fine di ogni colonna vi avvedete che il periodo è così compiuto, che non potete far valere l’aualoo ia, e proseguire in via di differenza a far nascere il quadrato che naturalmente vien dopo, nemmeno duplicando o rispettivamente triplicando i termini indicati. Il primo periodo è il più pieno; ed in questo non si possono eccedere che i primi cinque quadrati naturali. Oui taluno mi potrebbe ricordare che noi abbiamo cinque dita in una sola mano; che siamo dotati di cinque sensi distinti; che noi colla mente o coll’ occhio possiamo ad un solo tratto al più cogliere un com¬ plesso di cinque idee, come avvertì anche Carlo Bonnet; e che, oltre a questo segno, siamo costretti a contare. Queste indicazioni però non presentano che una congettura di analogia per Spiegare la legge indicata dilla favola. Li basti il fatto per farci avvertire die lumi nello sviluppa- incubi ilei concetti nostri fpsometrici mia legge segreta, la quale si mauilr.'iia nello sviltippament# paragonato della quantità Ma vestendo i concetti aritmetici con forme estese, e congegna qlIoIì ni modo che la ragion nostra abbia sotto la mano i termini assoluti ei tei mini relativi convenienti per eseguire V unificazione giusta le conilizjom pienamente logiche già accennate, che cosa ne dovrà seguire? Egli seguiva, che la mente umana dovrà conciliare lo ragioni proporzionai! intellettuali colle spoglie, colle forme e colle condizioni irrefragabili del1 esteso. \ olendo quindi trattare eongi un Lamento due o piu proporzioni con una forma di eguaglianza incompatibile all’indole logica di esse* tlnv ra lW£cere nei prodotti uu pia ed nu meno rispettivo, il quale 3 Iirugi dui i iprovarc 1 esattezza del calcolo, anzi lo gl li stili citerà, e cì potrà servili di passaggio e di mezzo termine a comunicare la forma logica coma alle assunte grandezze. Allora ci verrà fatto palese l 'elementi) rispettivodi continuità; allora vedremo come co Ih identità si c'oodlii b varietà, come la disuguaglianza vitale si cangi unga colla eguaglianza eiemontare; allora vedremo come le parti stiano insieme, e tutte conciprra- 1,0 a ili re un tatto unico, individuo, pieno di concordia, di forzai di bellezza, ect e e. Aulla è qui 1 industria, come è nullo V umano arbitrio. Tutte è kdicalo espressamente e determinalo imperiosa meuic da Uà mi ame rito al.eslSo della natura, la quale corona l’opera di colui che seppe in lei' rogar là. e volle docilmente seguirne i dettami . Io sarò come J ho 5 dice in suo cuore il trascendentalista: ma egli non s avvede, clic invece di occupare il trono della luce e della possanza, si assido su quello delle tenebre ù dell impotenza. Egli non s? avvede die legge di oscurantismo ù quella t,h egli detta seguendo 1 orgogliosa pretesa di possedere uu assoluto ae* goto ad ogni mortale. Egli non travede il pericolo che il genio delle leu e lire a l quale egli serve, possa essere debellato dalla luce possente q dalla spada acuta della semita e parlata ragione. Bastino questi cenni per segnare almeno In via di prima proposta lu tracce generali dell unificazione magistrale domandato. Qui non n Irattava che del semplice magistero del calcolo sinottico, atteggiato iu conseguenza delle leggi necessarie delia utiiiìcaziouù sostanziale. I /esce il alone positiva di questo magistero darà, a suo Wmpo, lume, e presterà la prova e la sanzione a questa proposta. 94De II’ unificatici n e morale delie Matematiche. Quando il calcolo di unificazione venga fondalo, dimostrala, è fino dai primordii della disciplina esercitato, cito casa avvenir de? e nelle Malemaliche? Ognuno lo prevede agevolmente, dopo le cose accennate ud 83. T junie. possanza, unità, semplicità, facilità in tutta la scienza, saranno le conseguenze dì questo genere di calcolo. Allena si andranno a fondere io uno stesso complesso tulle le scoperte faLle sin qui: allora lolle le opinioni vere si daranno mano, e le erronee sLesse si spoglieranno di quella larva o di quei difetti che le viziavano. Quel dì vero che contenevano apparirà sotto il genuino suo aspetto, e contribuirà ad accrescere il lesero delle utili verità. Di questo tesoro bau diritto gli apprendenti di approffklsfBr, ed c dovere dei precettori di coma oleario, per quanto si può. genuino, splendida. completo. Ciò fare non si può con una esposizione la quale manchi dì unità; o quest'unità mancherà sempre fino a tant o che le nostre ricerche saranno, dirò così, diramate, come veggi amo nelle Opere dei matematici. Convien dunque almeno riunirle ed unificarle, riducendo le cognizioni alle cose fondamenta li, e di una vera e solida utilità. Ma per eseguire conio conviene questa intrapresa convien possedere fa n a lo n i ia e la fisiologia, dirò così, m a te m allea la qual a’n o s E ri giorni pare negletta, o non forma almeno che V occupazione segreta di i]u:er fa qual cosa l’aver ereditalo uu ricco patrimonio non ci dispensa dal sapere come vada amministrato ed aumentato* Quindi l'economia dell5 insegnamento dev’essere tanto più perfetta, quanto più le ricchezze nostre sono accresciute. Ma la perfez ione di questa economia uou si otterrà mai se non a proporzione che imiteremo enn piena cognizione ed accorgimento il primo periodo della invenzione. Fu detto che gli estremi sì toccano senza confondersi: ecco ciò che osservar dobbiamo nelle opere nostre.! primi passi furono fatti alla cieca, ma furono giusti. Ripetiamoli con piena cognizione, e facciamo che siano graduali ed opportuni,e saranno più rapidi e più utili. Con questo consiglio io non intendo che svolgere dobbiamo le panne della storia positiva delle Matematiche, e trame indi modelli d.' imitazione. lo proporrei una sciocchezza, ed una sciocchezza d? impossibile esecuzione. Le origini matematiche si perdono nella calìgine di un indefinita antichità, della quale una abbiamo monumenti. Dall7 altra parte sì tratta di valerci dei prodotti dell5 invenzione, per trapiantare le cognizioni acquistate nei tardi posteri che vengono al mondo. Quando propongo dJ imitare gli antichissimi coltivatóri, io intendo d* impiegare una frase ch’esprima lo spirito filosofico, c non la forma positiva del metodo da me creduto necessario. Processo logico della parte dimostrativa. Sue funzioni emine mi. Tutto l'affare adunque si riduce ad eseguire le condizioni indispensabili prescritteci dallo natura ad apprendere con verità e con profitto. Fin qui ho accennate le condizioni eminenti di questo metodo. Ho di¬ stinto lo scopo logico dallo scopo morale ^ e la parte dimostrativa dalla parte interessante* Ora mi conviene dire io particolare qualche cosa della parte dimostrativa della istruzione matematica, perchè essa è quella che somministra l’oggetto proprio che si pretende di conseguire. Le altre condizioni non riguardano clie la maniera migliore di trasmetterlo e di assicurarlo. La parte dimostrativa, della quale intendo parlare, non riguarda la forma minuta ed esteriore, colla quale si scioglie un problema osi dimostra un teorema: ma bensì il complesso delle funzioni logiche, colle quali si acquista la scienza. Tutto il processo logico pertanto forma per ora 1 argomento del mio discorso. Questo processo iutiero si è quello che io comprendo col nome di parte dimostrativa dell’ insegnamento. Le parti di questo processo sono le stesse in Matematica, come io qualunque altra disciplina. Io mi restringo qui alla parte eminente, perocché gli artificii pratici sono una conseguenza dei dettami della medesima. Distinguere, connettere, esprimere, sono le funzioni simultanee ed inseparabili di qualunque invenzione ed istruzione possibile umana. Lsse sono indispensabili alla limitata nostra comprensione, perocché ad un solo tratto non possiamo ben cogliere colla mente se non quanto cape una nostra mano. Queste successive funzioni non sono necessarie allTutelligenza suprema: come nou sono necessarie quelle forme simboliche che denominiamo idee generali, le quali realmente non sono che monogrammi per ajutare la limitata nostra comprensione. Distinguere, connettere 5 esprimere uella maniera la più facile, la più breve, e la più proficua all’ intento che ci siamo proposto, forma il inerito dei buoni metodi sì d’invenzione che d’istruzione. L’effe Ito primo ed intrinseco, il più segnalato di essi, si è quello di ridurre le idee ai minimi loro termini. Con ciò intendo dinotare quell’ operazione, per la quale si estraggono e s incorporano i concetti, e si rannodano a pochi centri di richiamo, per mezzo dei quali tutte le idee principali, riguardanti quel tal soggetto logico, vengono ad un tratto risvegliate. Da ciò nasce quello che dicesi colpo cl’ occhio, il quale forma il merito eminente dell’ingegno: e quando coglie gli estremi più lontani e li unisce, costituisce il genio. Il distinguere si può prendere in due sensi: il primo come pui'O fatto, ed il secondo come operazione logica. Il distinguere, considerato come puro fatto, altro non significa che quell’alto mentale, por il quale facciamo sortire le idee differenti componenti i nostri concetti. Questo risalto puramente mentale deriva dall’esercizio della nostra al tentivitìi} ossia dell’ attivila dell’ animo nostro, il quale nelle masse delle percezioni, sia interne, sia esterne (le quali a prima giunta si presentano confuse, uniformi, incorporate), si sforza di discernere, sia le parti che le compongono, sia i limiti che le separano, sia le relazioni che le connettono, e cose simili. Fino a che non figurate uno scopo a questo esercizio, egli rimane un’operazione di puro fatto, ma tosto che voi volete con questo esercizio scoprire la verità, la operazione di distinguere esige d’essere fiancheggiata da quelle funzioni, senza le quali sarebbe impossibile di conseguire la cognizione del vero. Posto questo scopo, conviene avvertire che altro è il distinguere, ed altro è il disgiungere . La prima operazione altro non importa, che di avvicinare l’occhio o adoperare una lente, per vedere in una maniera distinta e propria ciò che veggiamo in confuso. Il disgiungere, per lo contrario, importa il segregare un oggetto, e costituirne una cosa avente o un esistenza propria, o un attività isolata. In ambi 1 casi interviene un nostro giudizio. IN e 1 pumo si atti i— finisce un’essenza ed esistenza puramente logica, propria all’ oggetto; nel secondo se lo considera spogliato da ogni relazione o di causa o di effetto o di concorso; in breve, se lo riguarda come dissociato. È più che noto, che non tutti gli oggetti logicamente distinti possono essere realmente esistenti ; e che non tutti gli oggetti realmente esistenti sono effettivamente disgiunti. Eppure un rozzo istinto ha tratto e trae ancora alcuni pensatori a confondere questi concetti. La famosa setta dei Nominalisti, combattuta e fin condannata dalla Sorbona, mostra quanto grossa e illusa (benché astrattissima e meglio sfumatissima) fosse la filosofia dominante di quel secolo. Le produzioni poi moderne di alcuni cervelli lenti e grossi ci somministrano le prove attuali. Per ben distinguere e per ben disgiungere ricercansi gli occhi e le ali dell’aquila, e non gli occhi e le gambe della talpa. I cervelli grossi e lenti non potranno mai e poi mai nè ben cogliere le differenze, nè bene abbracciare il complesso degli oggetti logici. Dunque il loro ufficio nel mondo scientifico è quello di occuparsi di que’ lavori che si fanno coll’arco della schiena, e non col cervello. Quando, violando la loro vocazione, si vogliono ingerire in ufficii superiori, e dal portar sassi e calcina vogliono passare a far da architetti, le loro produzioni sono moli informi, slegate, rovinose, oltre d’essere meschine, goffe, e senza splendore. Voi diffatti non ravvisate che brani staccati di concetti compatti. \oi vedete che colle loro pretese astrazioni uon iscompongono le idee, ma le piglia¬ no pei capelli, e le palpano al di fuori, limitandosi quasi sempre o al davanti, o al di dietro, o al fianco, c mai abbracciando il tutto della cosa. im Oa ciò devo nascere, CO me nasce difftt ti * che uhm osservatore si Lrova d’accordo coll’alito; e quindi,, so egli La seguaci, si formano ialite scuole, le quali sì rombatoli o a vicenda* e souo lutti cebi che. giro» caco alle bastonale. Finn a che essi si limitano all1 anfiteatro de IF idealismo puro, essi non presentano die uno spettacolo ridicolo: ma aliarci u: invadono le scienze e le discipline interessanti. il loro procedere dive afa intollerabile non solamente per le mostruosità che partoriscono, ma per la boria colla quale deprimono e rigettano le cose veramente eccellenti non Configurate alla loro maniera. A] brn distinguer è e al ben disgmngere ostano pure i cervelli vivaci, sottili, ma puerili, i quali pigliano j concetti a volo di uccello. La vivacità, la varietà e la disi u voi tura alba* gllano, ma non creano opero die reggano al crocinolo (Firn pieno esolido esame. A udì’ eglino bau do II loro orgoglio; ma è più scusabile c pii tollerabile di quello dei primi. DiffatLi se consideriamo le loro produzioni. esse non banuo ! aria goffa e pesante, ovvero stentala e strana dei pumi: essi a banco di no concetto pie no non pongono un’ appicciata ra, nò dopo di un pensiero nobile soggiungono una trivialità. Leggende le Imo Opere non vi sembra di camminare sopra una grossa gìnaja* ma mv pia un terreno sebbeu disuguale, dò nonostante agevole, spedito, e circondalo di amenità. IJ loro orgoglio poi è più tollerabile: perocché se essi non vi ofirouo le produzioni di un genio vasto, possente, profondo c solido, ciò nonostante Lamio Mèitudme di sentirne almeu di lontano il pregio, e dì stimarlo ari die co! plagio. Che se poi passiamo alla sfora dell Inteièssante^ essi non li armo la balorda pretesa di violentare la natura c dì trattarla sul letto di Proclisìe, come lamio i primi; ma sì piegano alle voci della medesima. E se mancano di grandi principi!, almeno suppliscono colla finezza di un senso morale clic nobilita e raccomanda i loro divisamente Vi sono altri cervelli, i quali hanno una profondità parziale* ma mancano di quella Ubèra spiritiudita* la quale non solamente sa sollevarsi alle grandi vedute, colle quali ben si connette e ben si disgiunge ma eziandìo si spoglia da quelle illusioni, e sgombra quei fantasmi clic circondano la si era delibiamo interiore. Di dò làmio fede lo loro produzioni. delle quali vedeto profondità e disordine, indipendenza e pregiudìzi i. presentimenti morali c violenza; e sogliono mancare sempre di varietà, di finezza, di amenità e di armonia. Anche questi hanno il loro orgoglio ma esso non impedisce loro di stimare c di riconoscere il btto ll0; qua mF anche uou sia fatto alla loro manierale di accoglierlo con istòria* Sonovi finalmente cervelli d’ una tempra viva, ma riposata, aimonica ed estesa, i quali presentano le cose con isplendore, finitezza, armonia e connessione, quale si ricerca per la scienza completa. Tali erano, per esempio, quelli dei Greci. 103. Delle funzioni sussidiarie ai ben distinguere. Ho detto die per ben distinguere sono necessarie alcune funzioni sussidiarie. La prima di queste funzioni consiste nella proposta della materia o dell 'oggetto della data scienza o disciplina. Se, senza presentare un oggetto al vostro sguardo, voi non lo potete esaminare, egli sarà egualmente vero che se no’l presentate tutto, non lo potrete esaminare per intiero. Ma non esaminandolo per intiero, l’idea ultima particolareggiata, che ne risulterà, non costituirà giammai l’intiero concetto distinto della cosa. Ora mancando una parte di ciò che cercavate, voi siete realmente defraudato nel vostro intento. Esso anzi manca intieramente, perchè voi volevate il tutto, e non la parte. Bonuni ex integra causa; malum autem ex quocumque defiectu. Dunque la proposta dell’intiero soggetto ed oggetto è la prima condizione assoluta per ben distinguere. La proposta dell’oggetto non può dirsi logicamente intiera fino a che non lo presenterete co’suoi estremi. Vi sono estremi intrinseci ed estremi estrinseci. I primi costituiscono V unità delle cose; i secondi ne segnano la latitudine, e però più propriamente meritano il nome di limiti o di confini. Questi però non sono che rispettivi alla nostra intelligenza ed ai rapporti che noi sosteniamo colla natura. Gol nou conoscerli si tralascia di ottenere tutto quel bene che la Provvidenza offre alla nostra potenza; col volerli trascendere si dà di cozzo contro un muro di bronzo. Ma quando si conoscono, non si pensa di oltrepassar¬ li. Parlando della prima proposta scientifica, io non esigo altro che gli estremi estrinseci, perocché gli intrinseci non si possono conoscere se non dopo l’esame. Non ogni proposta scientifica si può fare colla stessa facilità. Questa facilità cresce o decresce a norma del posto che la data scienza o disciplina occupa nell’albero enciclopedico. Diffatti, inoltrandoci in esso, si trova in molte parti non solo che i risultati di più scienze antecedenti formano le radici d’una stessa scienza conseguente, ma eziandio che i limiti d’una data scienza sono fissati dai limiti delle altre confinanti.!: |(U. Della prima proposta filosofica, Suoi llmiÈÌ, suo interno, suo spirito eminente* La prima proposta puerile e sensibile della Melemalica è fatta dàlia stessa natura coll’ averci dato cinque dila por mauo e per piede) ed uh sole ed una luna die dilla mina no. La prima proposta, per lo contrarlo) filosofica non può essere dettala fuorché dalla cognizione profonda dolio leggi die governarne la nostra intelligenza* Queste leggi debbono essere esplorate con Sperimenti certissimi e concatenali, i quali ci addilitio i yen limiti della scienza. La proposta data in esame agli a ppre uditili deve riunire V apparenza puerile ed il valor filosofico : quella deve eoadurre alla scoperta di questo. Il valor filosofico della proposta dev'essere eminente io voglio dire, ch'egli deve virtualmente comprendere tutta la sfera dell' oggetto^ in modo che Pesame, che si farà, somministri i risultali che si ricercano* Dunque la proposta apparente dovrà essere espressa in modo da abbracciarti virtualmente tutta la sfera suddetta. Una buona proposta pertanto non può esser fatta da un mero erudito in una data scienza o disciplina, ma solamente da colui elio conosce il valore complessivo della m ed esima. Quello che i Latini dicevano pitti et potesiatem tenere è cosi Indispensabile, che ninno potrà nemmeu dare il vero succo di un libro senza possedere la materia di cui egli traila., o almeno senza avere qnel colpo d’occhio il quale sappia cogliere le idee fondamentali* e radunarle in un compendio ordinalo. Considerando io scopo vero della Matematica, essa definir si potrebbe la logica delle quantità . Essa è dunque un arie razionale. Qui dunque la re téma servir deve all’ opera. Il calcolare costituisce appunto quest’opera* La dimostrazione d'un teorema o la soluzione d'un problema geometrico sono un vero calcolo, perocché ogni raziocinio, nel quale si tratti di scoprire i rapporti di qualunque quantità, ò no vero calcolo. In natura si presenta no quantità finite e quanlit k indefinite. Quando voi pesate una cosa, voi maneggiate una quantità i n defili ititi quando all’opposto misurate una pianta, voi maneggiate una quantità finita. Ntl primo caso, dopo avere stabilita l’oncia e il gratnma, potete ancora suddividerli fino a clic F indice della bilancia non segni alcun movimento ad occhio mi do.. Voi potete ancora figurare una bilancia pili sensibile e un occhio armato di microscopio, che vi segni altri gradi ancora* Dalfeltra parte poi l’idea della forza di gravità, alla quale attribuite il p15’ so, non vi presenta ver un limite fisso, al quale possiate riportare la divisione della quantità* Ciò che ditesi della forza di gravila dire pur si deve dì qualunque altro concetto non circoscritto da limiti conoscili Le Per lo contrario nella misura della pianta v ha un limite certo, oltre iE quale vedete c toccale elfessa nou esiste* Qui dunque la quantità può essere dvfinita^ sia per voi* *sia per la formica che cammina sulla pianta* \ oi usate uu metro più esteso di quello della formica. Ma ciò è puramente rispettivo. Ogni idea sémplice ed isolata è perse, illimitata: essa non viene circoscritta die col paragone di altre della stessa specie. Po suono non limita fidea dTuno spazio; nè un sapore quella di un colore. Col raduna* re molti odori, molti sapori, molti colori; o molli suoni 5 non si può uè fondare nò esprimere un calcolo dimenslvo. Voi potrete bensì sentire che Tono ù diverso dalP altro, o che lo stesso è piu o meno gagliardo 5 ma non poLrete misurarne due diversi, e meno paragonarne il più 0 meno delibino coti quello delbaltro, per determinare l’eguaglianza o la disuguaglianza reciproca., cd ottenere i concetti logici del calcolo dimenslvQì Quando ne esprimete molli, altro non fata che annunziare la diversità di tutti con una sola locuzione A v re Le dunque un calcolo enumeratilo^ ma non dimenswo. Il calcolo dimensìvo adunque in ultima analisi deyesi ali7 idea delV ostensione derivataci dalla vista e dal Latto. Dico anche dal tatto; perocché (senza entrare in disquisizioni psicologiche, e dimostrare la potenza primaria del tatto) osservo che i ciechi nati calcolano quanto i veggenti. Testimonio ue sia il cieco- nato Sauuderson « il quale meritò ili succedere nella cattedra di Matematica al celebre Newton, Ma l’idea dell* estensióne^ presa vagamente* non determina ancora il calcolo dimensivo. Essa ricerca d'essere finita e circoscritta. ÌJ illimitato può, dirò così? servir dì margine^ come il bujo spesso servo di limile ad un esteso illuminato:, ma non può costituire un elemento di calcolo. Chiudete gli occhi, c poneteli contro il sole o contro una fiamma vicina. Avrete un {barlume rosseggiante ed esteso, ma non definito né circoscritto. Questo ed altri simili soggetti sono sottratti dal dominio delle Matematiche* Ilio muras aeneus esto, dico la Filosofìa a qualunque uomo il quale voglia conoscere tutta la latitudine possibile dell4 orbe matematico. Dico dell'orbe matematico-; e con ciò comprendo tanto la parte contemplativa* quanto l’operativa : tanto la geometrica, quanto l’ar itm etica, lauto i limiti della quantità escogitabile* quanto i limiti dell* algoritmo praticabile, « L’algorilme (dice d 'Alembert nell'Enciclopedia] selou Sa force des mots siguifie proprement l’art de supputer avec justesse et faeili» té.... c’est ce qu’ou appelle logistique nombrante ou numerale.)) L’algoritmo adunque forma in sostauza il calcolo puro aritmetico. Ora per questo calcolo esistono due principi!, coi quali si fissa la massima latitudine sì del suo oggetto, die del suo mezzo ; e quindi si determina la massima sfera possibile della sua possauza. Questi principii sono proclamati dai matematici. Col primo si prescrive che le quantità adoperate debbano essere della stessa specie \ col secondo che il nulla e il tulio sono due estremità poste fuori dei numeri, e quindi fuori del regno dimensivo escogitabile. Siami qui permesso di servirmi delle parole proprie di matematici celebri, per indi procedere senza contrasto a quello che sono per dire in appresso. « L’unico mezzo di misurare una quan» tità (dice il celebre Paoli) è quello di riguardare come cognita e fissa » un’altra quantità della medesima specie, e determinare il rapporto di » quella a questa (l). » Questo principio riguarda il mezzo e l’ intento d’ogni possibile algoritmo. Esso presenta l’iniziativa del principio dell’omogeneità, del quale ho parlato nel GG. Se questo principio, annunziato da Paoli, non racchiude tutte le condizioni positive dell’ algoritmo in qualità di mezzo termine logico plenario, esso però segna gli estromi dell’algoritmo stesso: di modo che dir si deve impossibile, allorché per misurare una quantità si volesse far uso di una quantità di specie diversa, o che non si potesse tradurre in una specie identica. Frustraneo poi diverrebbe l’algoritmo allorquando non servisse a determinare il rapporto domandato. Tutto questo riguarda i limiti della parte operativa di tutta la Matematica, sia quanto all’intento, sia quanto al mezzo, sia finalmente quanto alla potenza umana nell’ occuparsi della quantità. Passo ora ai limiti ultimi e massimi della parte contemplativa . Il cel. Leibnitz in una lettera scritta nel Settembre del ITI 6, ultimo anno della sua vita, esponendo il vero significato dei nomi, e il vero valore meramente approssimativo del suo calcolo infinitesimale, dopo d’aver dimostrato che Io zero moltiplicalo per l’infinito darebbe l’unità, prosegue, (c Mais on peut dire que cela y va, et non pas qu’il y arrivo, car a la » rigueur nihilum, qui est l’extrémité des nombres en diminuant, de¬ li vrait ainsi étre divise par omnia, qui est l’extrémité des nombres en » augmentant. Mais X omnia pris cornine numerus maximus est une elio)) se contradictoire comme numerus minimus. Les deux extrenutes nani » et omnia sont hors des nombres, extremitates exclusae non inclu (i) Elemenli di Algebra. Tomo I. pag. i e 2. Pisa iyg4 -1 sa e (0 » Qui, come ognun vedo, si parla dui nutnero puramente aritmetico a metafisico, v. mm del vero numero matematico esprimente la quantità fisica escogitabile. I limiti della Fisica coincidono con quelli qui tracciali dal Leibnitz L’idea di quantità estesa sla fra le chimeriche idee del punto ine steso e dello spazio infinità . Al punto iuesleso geometrico corrisponde il nihìlnm aritmetico, ed ulF omnia aritmetico corrisponde lo spazio in lini lo geometrico* Detratto cosi V esteso illimitato, cesia dunque per le Matematiche il solo esteso circoscritto. Questo è o commensurabile, o incommensurabile 5 vale a dive suscettibile di misura coincidente 0 non coincidente con un dato altro esteso fluito e circoscritto, preso come termine di paragone. Ma per ciò stesso che esisto uu incommensurabile esisto un indefinito entro certi confini. Ilavvi dunque un indefinito illimitato ed im indefinito limitato 11 primo è sottratto totalmente dal calcolò ; il secondo può andarvi soggetto. Ma., atteso hi sua di versili dal commensurabile^ il calcolo avrà alcune leggi spedali. Queste leggi proprie de IV incanì mensurahile soffrono modi fio azioni subalterne, a norma delle diverse specie d ' incommensurabili ih. Due specie principali $ incommensurabilità $ incontrano: la prima ì V apparente^ la seconda ò la reale. La reale poi si suddivido in omogenea ed eterogenea. L’omogenea u quella che, sottoposta al trattamento della moltiplieadoue dogli estremi e dui mediì, vi dà ntf identità perfetta fra i prodo Lti. L’eterogenea poi è quella che non somministra questa identità, quantunque vada soggetta a leggi corte, e conciliar si possa colf unificazione. Senza calcolare V indefinito limitalo à i m possibile di misurare le forze e le composizioni della natura 0 delle arti, é anche d1 illuminare i risultati che riguardano quei soggetti limitati e finiti, i quali esistono od agiscono in uno stato unito e continuo. 11 calcolo del fruito c dell’indefinito limitato sono adunque due parti integranti cd essenziali della stessa scienza ed arte, sia integrale, sia differenziale, sia compositiva, sia risolutiva, sia primitiva, sia secondaria. Essi non solamente sono inseparabili quanto allo seopo^ ma eziandìo quanto al processò: io voglio dire, che con si possono far succedere in senso diviso, ma usar si debbono alternativa mento, secondo V avvicendamento del commensurabile e incommensurabile^ c si debbono far concorrere In compagnia nell* unificazione* Per la qual cosa i due algoritmi debbono essere associati Fimo all* altro per compiere il viaggio, e debbono darsi mano per tutta la strada, Opero, omnia. G-rmHiu si pad Frairvs Dei olirmi, i-p^. ] général, cornine nous Favons déjà remarqné en dounauL la doductiou » de la tedi Die de ralgovitbmie . Nnus le repétous : toni ce quìi j a de » géaéral daus la lésolulltm lliéorique des équations, ai usi que dans toujj te la ili éo rio de faigoriLlimie, se Irouye domié par les lois londamenì) lales que nous avous assìgtiées aux differeuLes brauebes de collo ih do» rie: oii no saurait alter au-delà; et jamais mi n’auva des lois oli des j j procédés li j é o ri ques gét i ère t ux d i fio r e u s de con \ que nous avous d e l o r3i luinos. La certitude absolue de euLLe assertion osi lo lido e sur les pnu» cipes i neo Lidi tic nnels dcsquelles derive ni les lois iheonques doni il 31 Sigilli ('). Siena reso grazie al signor W ronski, il quale cou queste ed alito simili dichiarazioni ci La rivelalo la nullità completa delle sue formule algoritmiche, dedotte dalla con siderazione delle somme ed ultimo generalità. Grazie si angli pur rese per la causale ch’egli adduce di questa nuli ila, benché questa causale sia assolutamente antilogica. .Mi si domanderà da quale litoio di ragione io derivi questo giudizio. Prima di rispondere categoricamente mi si permeila di domandare se sia vero, o do, che il signor Wronsld abbia confessalo cou lutto il mondo, che lo scopo d’ogui calcolo consiste uelT oLle nere le misure o le valutazioni da noi domandale. Qual è il mezzo per olle aere questo scopo, se non che l algoritmo? In che consiste F essenza dell' algoritmo, se non se nella virtù, ueda possanza, ne ih efficacia a farci ottenere il suddetto intento ? Senza que si* efficacia che cosa diventa ^algoritmo, fuorché una spada che nou taglia, uno stromento che non suona, un interprete che non parla; in breve, un mezzo futile, incompetente e nullo? Ma d’ oude l’ algoritmo U'ar può la sua virtù e la sua efficacia, se uou che dalla qualità degli oggetti e dalle leggi naturali e indeclinabili del nostro intendimento ? Dunque sono oziose ed incompetenti le considerazioni colle quali si prescinde dal concelLo intiero e pratico delie leggi di questo intendimeli Lo applicato alle quantità matematiche* io m L riserbo nel sesto Discorso di porre in chiaro la maniera di vedere del signor Wronsld in fatto di Filosofia. Allora il Pubblico vedrà, che altro egli non. La fatto elio seguire appuntino ìl solito costume di tulli (0 Inli'ùdiicttQJi à ht i>htlwoj>Jitc ics Mitih àmitujucs2 pag. uGi-aGa. rm i Jvati risii . Essi senz'altri .apparecchi escono dal mondo e &’ tu abituo nei tnt&endentalismO) per ivi cercare h pietra filosofale ètftasmkk. Quando credono di possederla rientrano nel mondo; ed a costo dì-faro a p tigni col pieno cero pretendono che a\V assoluto si assoggetti ogni cosa. Scorrete le Opere degli scolastici dei medio evo; esaminate Indoro maniera di vedere, di parlare 3 e perfino dì tessere alberi di idee; eroi ' accorgerete tantosto eh essi rassomigliano ai moderni trascendentali^ r specialmente al signor Wronski, Cosi adoperando-, si fa precisamente !' tiocedeie la scienza, e sì riconduce lo spirito umano ad una seconda ignoranza peggiore della prima. Nell a prima i concetti delle cose riuscivino iucompeLeuti per mancanza di distinzione; nella seconda lo som i •-! mancanza dì pienezza. La prima ignoranza presenta vasi coti linea* menti grossolani; la seconda si annunzia con viziose dicotomie. Ma celli j nniLi ignoranza si aveva la realità} e non mancava die la dlsiuiziom: > U acciò, progredendo, si poteva cogliere il distinto senza sorpassare il *i £l e' '^ll secoada ignoranza, per lo contrario, si abbracciano quasi ìt S0 K Uuvo^5 e progredendo si allontana vieppiù dallo stato reale delie ose, t. dalle condizioni necessarie alla potenza logica umana., ( |Jll0Da 501 te fi? Matematica, specialmente pratica, è cosa che non 1 u soiliiie ti svisamenti ; e però, trattandosi delle equazioni, non si posu. lai vuleic algoritmi frustranei . Quindi Y assoluto deve contentarsi au pi im.jto di puro nome, e iP investire i suoi seguaci del possesso l • campagne dei poeti d1 Arcadia* Tutto ciò è in regola, uè può ac* . a^1 hricnli; perocché col disfare non si fabbrica, e collo sciòglierò uon si tesse. h* che * par tic ola ri sono indipendenti fra di essi e da og ì ce u mento generale, Disti ugniamo la diversa possibilità astratta 1 A i,J diversa possibilità delle leggi logiche alle quali postiti delìu! forril° e ceni binazioni materiali possono essere il costa/1"'3 T 3 L algoritmiche sono essenzialmente limitate, certe stoiche ] l inazioni dei vocaboli sono indefinito: si dirà per qui v m l^L ^ bar|are siano indefinite, e che le regole grammatica /KJ^U yUtì rJa °&ai procedimento generale? Onesto scambio no puU vacare latech* mi «g0o del caos 8 della fotte, ma noe »d r° esistente, nel (i[b ale tutto è soli||ósto a leggi determinale C°S,TÌe S‘ 1>UÒ Jirc “*> Fontcelle. cLo la Lg uita .1 ruord'f.! r* ?* *°U0 iu **M*m tjucsle leggi «lgorilmkbe L ^ 0èr‘cI1^ lcog' psic.blogicLe, leggi di r^e, loggiato interiore ? Voi, voi stesso ce lo dite al principio del vostro libro. « Il » faut savoir qu’il exisle, pour les fouctions iutellecluclles de lhomme, » des lois déterminées. Ges lois trascendentales et logiques caraclerisent » T intelligence humaine5 ou plulòt constiluent la nature meme du sa» voir de l’h ottime. Or en appliquant ces lois 5 prises dans leur purete » subjective, à l’objet generai des Mathématiques, à la forme du monde » pbysique, il en resuite, dans la domaine de nòtre savoir, un sistème » de lois parliculières qui régissent les fonctions intelle cluelles spécia» les porlaut l’objet de cette application sur le temps et l’espace. Ce sont ces lois parliculières qui constiluent les principes philosopbiques des Mathématiques, principes que nous avons nommes 0). » Ciò posto, ne viene la conseguenza: o che tutte le buone teorie in ogni ramo possibile dell’umano sapere si riducono ad una sterile speculazione; o che esse regolar debbono 1 casi contingibdi entro la sfera del consueto, al quale esse si estendono. Larghissima riesce questa riflessione per la Matematica, nella quale non si tratta che delle pochissime leggi della misurazione, e nella quale la posizione dei fatti non importa 1 arte congetturale necessaria alla storia reale, fisica, morale e politica. Fra l’algoritmo e la grammatica avvi la più grande somiglianza. Come l’algoritmo è l’arte di supputare con giustezza e facilità, così pure lagrammatica è l’arte di parlare con giustezza e facilita. I nomi rappresentano le quantità sostanziali; i verbi le loro funzioni. Le altre parti dell’orazione poi rappresentano le affezioni, i rapporti e le combinazioni dei concetti matematici. Facile mi sarebbe di provare questa somiglianza, come utile l’eseguirla. Questa verità risulta dalle cose dette da Condillac nel suo libro intitolato Langues des ccdculs, nel quale se non troviamo questo ravvicinamento, si può ciò nonostante ricavamelo. I parlari degli uomini sono infiniti, nè può mente umana comprendere in quante forme particolari si possano accozzare i particolari concetti e le loro espressioni. Dovremo noi dunque dire che la risoluzione pratica dei casi grammaticali dip enda intieramente dall’azzardo? Fino a che si mescolerà lo sfrenato escogitabile col reale contingibile, fino a che si confonderanno le esistenze possibili dei fatti colle leggi logiche dell umana ragione, e si userà ed abuserà delle viste sommamente astratte e generali, si commet¬ teranno questi peccati. Oltre a ciò, non si comprender anno mai i pim” cipii solidi e le vere leggi delle cose, se non si tralascerà il costume di affrontare ex abrupto le scienze, e non si avrà la pazienza di procedere socraticamente; ma per lo contrario non si farà che oscurare e traviare. (i) Introduciion à la philosophie des Malhernalic/ues, pag. 2. Delle forinole compete ufi* Lasciamo la falsa causale allegala dal sig. Wrouski delFmefecfa del suo algoritmo, e ricerchiamo da che veramente proceda. Como è faipossibile di eflettuare la valutazione cou dati incompatibili^ cosi puro è Imslraueo il tentarla con dati insufficienlL La prima parte di questa proposizione in ampiamente provala nel Discorso secondo, Quanto nlEa seconda parie, ella è per se manifesta, pensando che un mezzo insufjl dente non può procacciare un line plenario. Ma così è, che una formo la troppo astratta e generale non vi somministra punto i dati suflh cienii, ma anzi ve li toglie; dunque con una formala troppo astraila n generale reti desi frustraneo ogni tentativo dolina piena c perfetta va- iu La zio ne* Ma quale sarà la formo fa troppo astratta o troppo concreta } e perdi incompetente, e quale la forinola competente? Ogni formala altro non ò *-fi.e un indicazione più o meno direna di una data nostra maniera Jì operare, lolle le arti hanno le loro forinole, come tutto le scienze possono avere le proprie. Principiando dal cuoco, dal farmacista, dal datore, e giungendo duo al sommo matematico, al sommo filosofo e al somma politico, tutti hanno o possono avére ie loro formolo. Regole t canoni, fa rm oh, ’i c elle, prò cessi 5 m o ditte, oc. e c . * esp ri m o n o in sosia xm J a sfossa cosa: esse contengono il magistero o parti del magistero dellarte, o a ! rn cn o segnano t dati im media ti, dai quali si p u ò tosto rie avare il' magistero suddetto. La for mola è giusta., quando ci fa conoscere con verità.} la formula è Intona, quando ci fa operare con effetto, ed ottenere Fé/fello inteso, Ma la formala è data per essere applicata come sta; s^nza tli ciò non è completa. La formula è tino stromento, il quale, SD abbisognasse d essere ancora ridotta ad uso deJFuomo, uou meriterebbe il nome di formata, ma di principio tT una forinola. Concedo che m I ormala può essere più o meno speciale; ma essa dovrà essere sempre di un uso immediato. La brevità, la fci0lità e V applicabilità a tutti i casi di una datasfera sono pregi della forinola ; essi ne costituiscono la perfezione. io ho già accennato iu die consista Io spirito delle forinole maternalidie . e la topica die ne nasce. Ora rispóndendo alla fatta domanda, quale: sìa ia forinola competente, dico che dir si deve cornpatonte quella formula die soddisfa all’ufficio a cui è destinala; incompetente, quella die non vi soddisfa. Ma qual è l'ufficio proprio ed immediato al -piale è destinata la forinola? Indicare la maniera pronta r sicura (li ottenere In data cognizione., di produrre II da Lo offe Lio, Ma nel regno razionalo a eìje ridar sì può quest* ufficio delle formolo ? Nell' indicare il mezzo pel quale dal cognito si possa procedere ;iW Ìncognùo7 e con da li ammessi coree celli acquisi a re là regi licione di una incognita verità . o confermarne la dimostrazione, La formola non è una storia o ima dot Irina spianala: ma, dove si traila di conoscere, altro non è che un rj sl.ro meri Lo per acquistare una cognizione bramata. Sommi ni$ Ir a rei dunque il mezzo efficace costituisce il vero ufficio, e quindi la vera competenza, il vero valore, il vero merito di una formola scientifica» Parlando adunque del mondo mtelleLLuale» il valore d'ima formola si ridurrà a somministrarci il mezzo termine logico di una scoperta o di una dimostrazione. o almeno ad indicarci il modo sicura e pronto di cogliere questo mezzo termine (0. Qual' è la conseguènza ciré deriva da tulio questo? Che incompetente sarà in Matematica quella formola la quale ci taglie la vista del mezzo termine logico sia coll* ài lontana rei da lui. sia col non condurci a lui. Ma il troppo generale e il troppo compatto producono questi effetti: dunque le forinole troppo generali o troppo compatte sono forinole incompetenti* Volendo fissare i requisiti delle formolo competenti ^ osservo che noi abbiamo già notato intervenire nei calcolo tre cose cioè gli oggetti, le logie e i movimenti, Le forinole in ultima analisi riguardano i movimenti nostri intellettuali» c propriamente quelli àeN attenzione * la quale costituisce il vero potere esecutivo razionale. Sebbene lo formolo vengano esibite alla facoltà di conoscere^ esse veramente si riferiscono alla facoltà di eseguire* Esse vengono presentate alla facoltà di conoscere ^ perchè non esiste altro modo possibile per farle passare alla facoltà di eseguire. Agire è lo stesso che produrre un dato effe Ilo, e nou un altro, lui solo di questi effe Iti produr si deve: gli altri debbono essere scartati. Escludere V arbitrario » ecco l1 ufficio primario negatilo di una buona formola \ somministra re il mezzo efficace all’ intento proposto, ecco l'ufficio suo positivo. L 'arbitrario dev'essere escluso, perché il vero non è che tiu solo, e però ogni altro concetto diverso non è quello che vogliamo ottenere, ma che anzi vogliamo sfuggire. La moralità del vero ha le sue leggi certe, necessarie, eterne* come la moralità del L utile ; e però come vi sono diritti e doveri astemi per le azioni, vi sono pure diritti e doveri interni per li pensieri. Prefinire i modi certi 5 eoi quali di', rosa ;-.ìa (jiictUj mezzo iprmiftp io l'ho spiegato él! fl-h entro Li sfera del consuèta debba la meste immuri procedere, ecco in clic consiste l'ut fimo immediato dhiuu buona forni ola. Coti ciò ad untolo tratto si esclude \ incompetente v ì’ arbitrario ^ e aT ìndica Ì1 mezzo kimine confacente all uopo, bacile riesce rescindere \'incompetenle3 perché si tratta di un ufficio negativo. Piu diffìcile riesce di escludere V arbitrarlo^ perché importn di scegliere Ira le diverse maniere di agire quella che mèglio rnudnea allo scopo proposto. Scegliere un modo qualunque d’agire importarli preferirne uno e dì lasciare gl’altri. La preferenza doverosa poi importa la necessità d’appigliarsi alcuna, e di escluderò tutto l’altre. Ma per preferire in questa maniera couvlen conoscere il merito della cosa Irascelta Ora in matematica chi ci condurrà a questa cognizione? o, per parlare più in particolare^ ohi ci guiderà a ritrovare le forinole alga ritoclic escludenti ogni arbitrario procedimento, e conducenti più facilmente alle valutaci oui ? À questa questione fu già risposto ned 92, al quale mi rimeUo. 112. Se l'algol timo delle equazioni sia puramente fortuito. ì ernia dèa al positivo. Il sig. \\ ronski pretende d'aver trovato la formola massima ultima ed immutabile di ogni a Igor limo algebrico, c pi'fitende che tutte le formole si risolvano nella sua. Dall’altra porto consta di lutto esistere per le equazioni „ almeno fino al quarto grado, oc raetodo di soluzione, Malgrado ciò, il slg* \\ ro usiti sostiene che l algoritmo delle equazioni sia commesso al caso, il motivo di questa sua scalena e ioudato sul riflesso, che ^algoritmo delle equazioni sia iudipeuikiilp da ogni procedimento generale, come resistenza di ogn i caso comparisce a noi iu dipo udente dall’esistenza dell’altro caso. Oui v’è uno scambio ih termini ed una falsità di iaLto. Prima, scambio di termini, pevch| IlflLJ s* tratta dell esistenza o della posizione dei casi c dei problemi, ma bensì elidi, 'i maniera colla quale si possono sciogliere. Ciò posto, qui h scambia 1 oggetto materiale dell1 algoritmo coll7 oggetto logico del medesimo. Inhuite possono essere le suonalo che si presentano ad un perito esecutore3 e queste tutte iudipeudenti le uno dalle altre: dirò io duuq11® che sarà puro caso elicgli Le eseguisca a dovere? Dico in secondo luogo, che la causale del sig. Wrouski in eh in de una falsila di fatto. (Quando a taluno si presenta uu problema 5, uu quesito, un caso da sciogliere^ elio cosa si fa dal proponente e che cosa d.J rispondente? fi proponente domanda la soluzione, cioè domanda di co11 ose ere una cosa ch’egli non vede. Che cosa far deve il risponde1» le Prima., esaminar bene le condizioni del quesito ; secondo* trovare il mezzo termine della risposta; terzo, tessere finalmente in via di risultato la risposta sull’ oggetto domandato. Ecco il processo logico nella soluzione di qualunque caso matematico : qualunque nome piaccia di dare alle parti di questo processo, la sua sostanza è quella cbe ora con vocaboli più comuni e più noli generalmente ho qui indicata. Posto ciò, io domando in che si risolva la possibilità della soluzione del quesito, fuorché nella possibilità di trovare il mezzo termine della risposta. Ora questo mezzo termine è racchiuso nelle date condizioni, o no. Se e racchiuso, la soluzione è possibile; in caso contrario, impossibile. Ma Wronski parla di casi di soluzione intrinsecamente possibile, e pei quali appunto egli dice aver trovato le formole eterne, benché in pratica inapplicabili. Ristretta la considerazione a questi casi, io domando se la formola esposta teoricamente da lui sia almeno analoga al procedimento effettivamente praticabile. Se risponde di sì, dunque altro non resta che vestire la foimola generale colle circostanze che i diversi ordini di equazioni esigono, e così assoggettare le leggi algoritmiche ad un solo sistema concatenato, unito, continuo. Se poi mi risponde che il procedimento indicato dalla formola universale non è almeno analogo all algoritmo delle equazioni praticabili, allora soggiungo francamente che il suo algoritmo è un vero castello in aria. Aggiungo di più, ch’egli a torto gli attribuisce il nome di generale, perocché non ha quella virtù e quella influenza che procacciar gli può il titolo di generale . Il generale e il particolare sono termini correlativi. Qui si parla d’algoritmo, e però si ha in mira la sua virtù operativa, e non la sua forma materiale. La mano d’una perfetta statua di cera è simile alla mano di un uomo vivente: si dirà per questo che la mano della statua abbia la virtù della mano dell’uomo? Pare che si possa pronosticare esservi un sistema concatenato algoritmico anche pei differenti ordini di equazione; ma questo sistema non potrà essere stabilito giammai colle viste, dirò così, spolpate, e coi semplici scheletri aritmetici usitati fin qui; e meno poi colle considerazioni trascendentali ed assolute del sig.Wronski. Converrà migliorare e completare il metodo, e ristabilire sulle sue basi naturali la scienza; altutnenti non si farà che traviare sempre più, o dar di cozzo contro uno scoglio insuperabile. La boria di sapere e di poter tutto colle cognizioni che si posseggono, è un insulto alla ragione umana. Con questa boria si lenta di spegnere anche la speranza di migliorare, lacendo credere impossibile di giungere ad una meta perché non fu raggiunta traviando. Se noi, per esempio, dovessimo prestare una cieca lede a quanto dice Wronski, noi dovremmo giungere ad uua conclusione. la quale nelI atto che sarebbe fatale alle Matematiche, formerebbe uu pessimo augurio per tutto lo scibile umano. Se l’algoritmo veramente utile fosse abbandonato al caso : se nel ramo il più semplice, il più antico e il più uni'ersale dell umano sapere fosse necessario commettersi all’impero d’una cieca fortuna: che cosa sarebbe dell’arte tutta di pensare e d’insegnare? A che giova rompersi la testa in teorie, direbbe taluno, se quando veniamo al fatto pratico siamo costretti di darci in braccio alla fortuna? Allora torna meglio gittarsi a dirittura ad occhi chiusi nel pelago che ci deve trascinare, invece di stemprarci il cervello onde acquistare uua possanza illusoria. A questa conchiusione spinge il trascendentalismo sfrenato. Fiat noxv egli par dire al genere umano: ma coll’augurare la notte perpetua ed universale non pronuncia forse un voto impotente? Le buone lormole costituiscono certamente il miglior fruito della ìeoiica delle arti. Ma per trovare quelle che sodo veramente buone, per ben esprimerle, per ben ritenerle, e per facilmente applicarle, che cosa c ouv^en fare? Eccoci alla seconda disquisizione proposta. Abbiamo detto che nell’algoritmo concorrono le quantità impostatecelogie ed i movimenti. I movimenti sono diretti dalle logie ^ e le logie sono determinate dall aspetto degli oggetti contemplati. È dunque prima di lutto necessario che V aspetto degli oggetti sia atteggiato iu modo da suscitare in noi le logie algoritmiche, e quindi determinare i movimenti . Atteggiare questo aspetto appartiene alla buona costruzione ed alla buona posizione dell’oggetto da esaminarsi. La bontà d’uua costruzione consiste nel presentare gli elementi dai quali sorger possano i mezzi termini lo0ici. Ma quali saranno le buone costruzioni algoritmiche almeno pei 1 insegnamento primitivo? Quelle dei simbolic i quali rappresentino sensi bli elementi necessairi a far sortire i mezzi termini di valutazione e la maniera d’ impiegarli. Dico anche la maniera d' impiegarli, peiocchè non si tratta solamente di giovare alla parte ostensiva, ma eziandio di dirigere la parte operativa. In conseguenza di ciò dico, che le vere figure algoritmiche debbono essere costrutte ben diversamente da quelle che comunemente sono presentate agli apprendenti; ed invece si deve ripigliare l’antichissimo costume di costruire figure complesse. L’importanza delle figure complesse U Semita aQche daI celehre Leibnitz, il quale, dopo avere annotato che primo ii romper*' il ghiaccio io questa parte tu Giovanni Keplero, nel fjbro IL *3ol suo il armonico prosegue dicendo, che con queste complicazioni non solamente si può arricchire la Geometria 1 infiniti nuovi Leon: mi, ma eziandio die questa è f unica strada di penetrare negli ai> cani della natura. Il primo motivo viene da lui provalo eoi far osservare rìie con ogni complicazione si forma una nuova figura composta. Studiando le di lei propri età 3 si creano nuovi teoremi e si danno nuovo dimostrazioni Quanto poi al secondo motivo, riguardante lo studio della natura* osserva che tutte lo cose grandi sono formate dalle piccole, qualunque sia il nome elio dar vogliate a queste cose piccole. Chiamatele atomi, molecole^ elementi, ec.: sarà sempre vero che la legge apparente della natura fisica sarà sempre questa. Qui LT autóre distingue le figure in rettilinee e in eufvilmce ; e facendo valore il buon senso sperimentale e naturale, non lenta di confondere i concetti umani con finzioni sofìstiche, ma rispetta le essenze logiche delle cose. Figura omnts simplex (dio egli), md rectiìinm, ani curvilinea est lìeciìlincae omnes sym metri cae: commuti e entm omniuni principium tnangulm. Ex ejus variti complica don ìbus con gru is omnes figurac redi line a e eoeuntes^ idest non hiantes, ordinine. Qui Ledimi lz ci auiumzia uu risultato scientifica delle figure rettilinee. Egli esprime il principio filosofico, che oirui figura rottili uca sì può risolvere finalmente nel triangolo. Dopo ciò prosegue: Veruni cuivilineamm, ncque circuiti et in ovalem eie., ncque contea reduci poteste ncque ad aliquid communi Qual è lo spirilo di questa proposizione di Leibnitz ? Che le essenze logiche delle cose essendo immutabili, non si possono tradurre le nnc nello altre nemmeno per equivalenza Latte le volte che il diverso loro concetto sia univoco. Questo ha luogo anche fra gli oggetti dello stesso genere, come appunto ha il circolo e lelìsse, Da questa proposizione stessa emerge che il principio formale della figura è la stessa figura, come fu detto nel principio di questi Discorsi. Dopo queste distinzioni Leibnitz prosegue classi fica u do le costruzióni, distìnguendo quelle di forma continua da quelle di forma discontinua, allorché ci figuriamo vacui inlermedu, eli* egli chiama hiatus . Egli accenna le zone, ossia le liste estese. Egli dice positivamente, che linea Imene nonnisi ejus de m gèneris imponi poteste verbi grati a recta ree Ine; cui vilinea ejus de m generis et sectionis, Parlando poi della costruzione complessa delle figure discontìnue, ch’egli chiama tessiture* concilili de. dicendo; Satis est prima line amenta du. visse tractationis de texluris hactenus fere n egire ine. Queste furono trascurale totalmente anche dappoi. Io invito i lettori a consultare nell’originale tutta questa Memoria, che versa sull’arte combinatoria ('), e l’altra sui complessi C2), e trarne i principii fondamentali, e svolgerli come si deve. Malgrado che il genio di Leibiiitz fosse come pianta agitala dal vento dell’eslreme generalità, e quindi piegasse all’impeto, ciò non ostante tornava a rizzarsi, e non fu mai strappata dal suolo suo naturale, e data in balia del vento che imperversava. Questo è così vero, che parlando egli del suo parto prediletto, pel quale avea dovuto sostenere la lotta coi partigiani di Newton, io voglio dire del calcolo infinitesimale, egli non Ira potuto tradire le inspirazioni del buon senso, come far sogliono que’ compositori di caratteri algebraici, i quali stanno al senso materiale delle cose. In Leibnitz la coscienza del vero non fu soffocata dall’amor di padre. La voce del filosofo si unì a quella del matematico per pronunciare la decisione ultima del suo genio. Con questa decisione fece trionfare la filosofia a dispetto delìmposluia. Quantunque io creda che la lettura di questa decisione non sia per correggere quella plebe che vuole agire senza coscienza logica, ciò non ostante io la riprodurrò a luogo opportuno, quale preservativo degli altri che non amano di essere zimbello delle illusioni. La costruzione complessa delle figure è destinata a concretare e ad agevolare tanto lo studio delia parte teorica, quanto le funzioni della parte \ ìatica delle Matematiche. Ecco lo scopo di questa costruzione. Essa, come bià detto, dev essere atteggiata in modo da far sorgere le logie, e quin11 a^oritmi* Ecco ^ forma eli ragione di questa costruzione. Ma eoa questa pioposizione non s’indicano che le condizioni fincdi della costruzione, e non la forma positiva e sensibile dei simboli e dei mocelli. Oia si domanda come questa forma debba essere disegnala. Cercare come dev’essere conformata una figura onde riuscire algoritmica presuppone una scelta fatta fra mille altre che l’imaginazione può creare. Quale dunque sarà il criterio di questa scelta? Questa domanda involge due requisiti in colui che deve farla. Il primo, ch’egli conosca ] ttamcnle gli ufficii ai quali servir deve la figura; il secondo, eh egli 1 trascelga quei tratti che sono idonei a prestare questi ufficii. Servire al calcolo, ecco l’ufficio generale ed ultimo della figura algoritmica e della sua costruzione. Ma tre specie di calcolo esister debbono nell’orbe mate(0 Questa trovasi nel Tomo II. Parte I. [*ag. 34o in avanti. (2) E questa si trova nel principio del To¬ mo malico. 11 primo è lo sperimentale, che denominammo anche iniziative); il secondo è il logistico, che denominammo anche derivativo ; il terzo finalmente è il sinottico, che appellammo anche di unificazione. In queste tre specie di calcolo l’ oggetto materiale è sempre lo stesso: ma noi lavorar dobbiamo su di lui in diversa maniera. Così, per esempio, nel calcolo sperimentale si tratta di scoprire i fatti dei numeri matematici; nel logistico di determinare le leggi comuni; nel sinottico finalmente di riunire i due algoritmi, e ritornare con coscienza filosofica sullo stesso oggetto. Si piglierebbe un grande abbaglio se si confondessero questi tre aspetti del calcolo colle specie ora conosciute e praticate. Esse intervengono e intervenir possono bensì come sussidii, ma non costituire i veri caratteri specifici di questi aspetti. Ciò verrà spiegato meglio nel Discorso in cui esporrò i tratti principali del metodo primitivo proposto. Proseguiamo. Le tre forme di calcolo suddette esigono viste diverse: dunque per ogni specie di calcolo si dovrà scegliere una costruzione corrispondente. Siccome però in tutte tre le specie è mestieri sempremai presentare i mezzi termini logici, così ogni figura dovrà racchiudere la costruzione valevole a somministrare questo mezzo termine. Havvi dunque una costruzione dominante per tutte tre le parti del calcolo teorico, ed havveue una propria e subalterna adattata ad ogni specie di calcolo. La costruzione dominante deve racchiudere gli elementi dell’identità e della diversità, dell’ uguaglianza e della disuguaglianza, del discreto e del continuo, del diviso e dell’ unito, dell’ assoluto e del comparato, come condizioni essenziali ai mezzi termini logici. La costruzione subalterna poi deve racchiudere le particolarità che dipendono e si rannodano col mezzo termine comune . Qui, per non divagare in discorsi generali, dovrei parlare delle forme relative al calcolo sperimentale o iniziativo; ma questo è argomento proprio del Discorso nel quale ho divisato di esporre i tratti principali del metodo suddetto. Ora mi resta a parlare di un’altra costruzione, e questa ò quella dei modelli delle funzioni. Altra è la costruzione delle varie forme della quantità estesa, ed altra è la costruzione dei modelli delle funzioni. Le prime dir si potrebbero modelli di proposta ; i secondi modelli di sviluppo. Coi modelli di proposta si cercano e si determinano i valori fondamentali dei composti geometrici; coi modelli di sviluppo si ripartiscono, si riducono, si amplificano, si associano, ec. ec. Coi risultati emergenti dall’esame della proposta si passa a costruire le funzioni. I modelli di proposta si possono dunque appellare antecedenti ; quelli di lunzione dir si possono conseguenti . I primi si possono ralfigurare come . poi te d ingresso, i secondi come altrettante guide conducenti ad esplodale i seni reconditi dei composti algoritmici. L'arte di costruire questi modelli si potrebbe denominare simbolica matematica. Mi si domanderà se con modelli sensibili e perpetui si possano convenevolmente rappresentare le funzioni principali algoritmiche. Il fallo risponderà meglio delle parole. Con questo fatto si vedrà che almeno nell inseguamento primitivo si presta una tale stabilità, una tale facilità od una tale evidenza alle operazioni algoritmiche, che non solamente non si possono dimenticar più, ma aprono una strada a scoperte importantissime. Nò qui temer si potrebbe di privare la Matematica di quella semplicità e generalità che la rende o almeno render la dovrebbe pregevole, imperocché non si eccede la sfera delle figure geometriche. Ciò mette al coperto il punto della semplicità. Nihil (diceva Leibnitz) in reus corporeis figura prius, simplicius et a materia abstractius cogitando consegui licei. L b01 a *a generalità, osservo cb'essa in ultima analisi è una iteutita applicata a tutti gli oggetti di uu dato genere. Ora le figure gelimeli jc e algoritmiche non sono, specialmente nel primo insegnamento, a. stessa figura assoggettata a diversi valori a norma delle divervi si o u i e pioporzioni congegnale. Dunque rilevali una volta iu una uzione i caialteried i rapporti che esistono indipendentemente dai va on particolari, non si può temere che i risultati manchino di quella generalità che giustamente desiderar si può nelle Matematiche. Soggiunb l 01j che il cogliere precisamente queste generalità appartiene al secondo stadio dell’ insegnamento. E però quando anche nel primo nou si tassei o fuorché i particolari, colla semplice coscienza della Joroparavi(dJbe fatto assaissimo perii vero e solido frullo della scieuisti li lo di generalizzare iu Matematica dev'essere frenato per il moche in I sicologia dev'essere risvegliata l’analisi dell'uomo inQeriie la coscienza matematica vale assai più che far correre a mente per le oasi dei teoremi e per le giostre dei problemi. 116. Necessità assoluta ed universale dei modelli proposti. 1 utt° considerato, io ardisco affermare che senza la pratica di que1710 C 1 a " alemallca tutta non acquisterà mai e poi mai quel corpo, (•) Epistola quarta ad Thomasium. Orcra omnia, queir anima e quella vita che deve avere, e che presso di noi oggidì non ha. A questa proposizione alzeranno forse altissimo grido di scandalo tutti quegli uomini volgari, i quali, abituali ad una cieca pratica, si appoggiano all’idolo dell’esempio. Ma se fossero suscettibili d’un poco di buona filosofia, si accorgerebbero che io non ho bestemmiato, ma che tendo a promovere il vero studio delle Matematiche. Se col generalizzare le idee non si debbono mutilare, con pari ragione le idee competenti non si dovranno presentare in nube e in una maniera così fugace da sfuggire ad un’analisi ponderata. Senza idee distinte, stabili e lucide c impossibile cogliere tutto il vero. Dove la memoria non ci può presentare uno specchio fermo, fedele e luminoso, supplir si deve altrimenti. La prima rappresentazione dell’oggetto decide di tutti i concetti e di tutti ; risultati conseguenti. Ricordiamoci che nell’arte convien vedere per operare, e convien veder bene per operar bene. Ma credete voi di veder bene a proporzione che vedete più in generale e col soccorso della sola fantasia, o non piuttosto a proporzione che acquistate una maggiore facoltà ad’ operare utilmente? Perchè insegnate voi la Matematica? Forse per addestrare i vostri allievi a fabbricare castelli in aria e ad eseguire giuochi di forza, o non piuttosto per somministrare loro un mezzo d’indovinar meglio la natura e di esercitare arti utili? E quand’anche far voleste delle Matematiche oggetto di mera speculazione, non è forse vero che voi dovreste proporvi di cogliere il pieno fatto ed il pieno vero ? Ora questo pieno fallo e questo pieno vero non si coglie a proporzione che si fanno sfumare le differenze individuali, o che si ravvolgono nello nuvole del fantastico; ma bensì a proporzione che si afferrano quei rapporti distinti e complessivi,! quali ci danno in mano le redini dell’umano sapere. Senza di ciò voi imitereste il cane della favola, il quale per cogliere la carne da lui veduta nello specchio dell’acqua perdette anche quella ch’egli teneva in realtà. La quantità estesa limitata, e variamente determinata, forma o no la materia prima ed unica della Matematica pura? Qui non v’è dubbio. Ecco dunque il campo, entro il quale dobbiamo aggirarci. Di che si vale la mente nostra per esplorare questo campo? Leggete, svolgete, meditate : e troverete eh’ essa si vale del solo senso aritmetico, il quale altro non è che la facoltà nostra di distinguere, cui in Matematica applichiamo alla quantità estesa. Ora vi domando: col nulla di esistenza si può forse ragionare in Aritmetica? Voi mi rispondete di no. Come in Aritmetica non si può ragionare col nulla di esistenza, così pure in Geometria non si può ragionare col nulla di estensione. Questo è aucor poco. Siccome il giudizio 'Mi’ esistenza suppone il fatto Jeìb cosa esistente, c la distinzione di più esistenze inchiude se u zia Im ente i ì fatto di piu cose esistenti^ cosi né viene la conseguenza, eJltJ ^ ^ea delPgj/ejp limi fato precede, coesiste, ed é accoppiata colle lofie di distinzione : così clic lobi I concetti assoluti dei fatti esteri, ee&sa* uo i conce Iti relativi, ossia le logie che ne furono provocate. Spingiamo le considerazioni alla massima possibile generalità. $oi esprimiamo tanto l’esistenza dei fatti, quanto resistenza delle logie; wSl U01 esprimiamo tanto una serie di l[l^' f'g t1rati? (fi,jiic.jtìiì guantoni, di jjncfiO fjt murai.» qìigoWc di i|uesie braccia!' successive varietà ed alle successive differenze si associno le viste della perpetua concorrenza logica, conforme alla generazione naturale delle quantità e dei rapporti della data operazione proposta. Ora parlando della quantità estesa, vi domando se colle sole cifre sia possibile rappresentare alla mente i varii stati o isolali o complessivi, o fissi o varianti, o primitivi o secondarii, o progressivi o regressivi, o dominanti o dipendenti, necessarii alla loro valutazione. Non solamente coll’ usare delle sole cifre è impossibile di far tutto questo: ma, restringendosi ad esse, si nasconde positivamente il punto di allusione, e quindi la relazione logica fondamentale cbe predominar deve sulla vostra operazione. Sollevate, se potete, lo sguardo all’ultima considerazione fondamentale della possanza algoritmica. Dopo averla ben raffigurala vi prego di fermar V attenzione sul mezzo termine, del quale facciam uso per valutare la quantità estesa. Questo mezzo termine, come fio già avvertilo al 84, ha tre forme; cioè quelle del più) del meno e del Vegliale. Queste tre forme sono sempre accoppiate: ma ora predomina la vista dell’ una, ora quella dell’altra. Cosi, per esempio, nei quadrati perfetti aritmetici e geometrici quantunque si paragonino grandezze disuguali, ciò nonostante predomina la ragione dell’eguaglianza. Le forme dei pih e del menov delle quali parliamo qui, non appartengono allo stato materiale delle grandezze, ma alla ragion logica nascosta, cbe ne forma, dirò così, il carattere morale . Questo pih e questo meno poi non si desume da una vaga possibilità, ma bensì dall’essere una data grandezza al di sopra o al di sotto dello stato di perfetto quadrato aritmetico e geometrico. Questo stato si verifica in tutte quelle grandezze alle quali gli algebristi attribuiscono le così dette radici sorde. Supponiamo per ipotesi cbe, rispetto a queste grandezze, si ritrovi e si giunga a quella equazione logica, la quale è richiesta dalla vera natura e dagli essenziali rapporti della continuila. In questo caso i mezzi termini per valutare queste grandezze racchiuderanno certe condizioni; ma la ragione dell’eguaglianza presterà la sua sanzione al calcolo. Ma colle sole cifre aritmetiche, e meno poi colle algebriche, non si potrà mai salire alla prima generazione dell’ algoritmo. L’Àlgebra non solamente suppone questa generazione, ma incomincia ad esercitare la sua possanza solamente dopo che nacque, dirò così, la parola matematica,e senza poter mostrare come nacque ed originariamente si sviluppò. All’opposto colla Geometria di valutazione, prefiuila nella sua tendenza, obbligata nel suo maneggio, ed omogenea nelle sue conclusioni, quale appunto fu caratterizzata nel 92, questa parola si palesa in una maniera lucidissima. Così dove incomincia la possanza algebrica si potrà far finire il primo sviluppo della Geometria di valutazione. Venendo ora al metodo naturale matematico, quale sarà la conseguenza di questa quanto facile, altrettanto luminosa impresa? Che restringersi alla sola indicazione delle cifre egli è un voler navigare senza bussola, e senza la carta avanti gli occhi. Si potrà giungere a qualche fine, perchè si sente all’ingrosso la tendenza algoritmica; ma è forse questo il lucido e compiuto processo delle Matematiche? Vi sono stati uomini zotici che hanno sorpreso il mondo per la loro possanza nel fare conti a memoria. Ma che perciò? La vera Matematica è forse ristretta alla volgare Aritmetica? Collo studio di queste cifre mi potrete heusì segnare alcune grandi e comuni logie puramente aritmetiche; ma non mi indicherete mai le connessioni e le relazioni di fatto, le quali sorgono dallo stato complessivo delle proporzioni delle grandezze estese coesistenti ed associate. Ma, se mancano queste connessioni, voi non mi potrete coudurre giammai a cogliere il vero mezzo termine delle valutazioni subalterne. Io potrei convalidare la mia sentenza anche coll’esame dello spirito dei diversi metodi oggidì u si tali. Come verrebbe posta in chiaro la loro incompetenza, cosi verrebbe dimostrata la loro correzione. Ma ciò mi spingerebbe fuori dei limiti che mi sono proposto. Attenendomi invece all oggetto proprio di questo Discorso, credo di poter conchiudere colla seguente TESI Lo studio e 1 insegnamento specialmente primitivo delle Matematiche dev essere fatto simbolicamente, nel senso sopra spiegato: I. Atteso 1 oggetto veramente logico delle matematiche. IL Atteso i bisogni della ragione, e la tendenza naturale ed iuyiucibile del nostro intimo senso. IH. Atteso lo scopo morale e sociale delle Matematiche. Atteso finalmente l’imperiosa necessità d’adattarsi allo stato mentale degl’apprendenti. Lettre a Dagincourt sur les monades et le calcul infinitésimal. II. 1 our ce qui est du calcul des infinite simale s, je ne suìs pas loutà fiait coment des expressions de monsieur Herman dans sa réponse à monsieur Nieuwentyt, ni des nos autres amis. Et monsieur JSaudé a raison dy finire des opposilions. Quand ils dìsputerent en France avec Vabbé Gallois, le Pere Gouge et A autres, je leur lémoignai, que je ne croyois point quily • eut des grandeurs véritablement infinies ni véritablement infin itésima l es; que ce nétoient que des fictions, mais des fictions utiles pour abréger et pour parlei' universellement, commes les racines ima ginaires dans V Algebre, telles que ; quii fiaut concevoir, par exemple, l.e le diamètre A un petit élément di! un graia de sable, 2. c le diamètre du graia de sable méme, 3.e celai du globe de la terre, 4.e la dislance d’une fiixe de nous, 5.c la grandeur de tout le sy sterne des fiixes cornine 1.e une dififièrentielle du second dégré, 2.c une dijfièrentielle du premier dégré, 3. e une l’igne ordinarne assignable, 4 .cune ligne ìnfime, 5.e une ligne infiniment infiinie. Et plus on fiaisait la proportion ou V intervalle grand entre ces dégras, plus on approchoit de V exaclilude, et plus on pouvoit rendre Verreur petite, et méme la retrancher tout d’un coup par la fiction d'un intervalle infimi, qui pouvoit toujours otre réalisée a la facon de démontrer d! Archimede. Mais comme monsieur de V Hópital croyait que par là je irahisois la caus e, ils me prièrent de n en rien dire outre ce que j'en avois dit dans un endroit des Acles de Leipsic, et il me fiat aisé de défiérer à leur prióre, III. Pour venir enfia à -JL-, ou zero divise par V infini, et choses semblables, je dis que cela aussi ne peut avoir lieu que dans une interprctalion commode, en prenant zero pour un nombre Aune grande pelilesse, et Vinfini pour un nombre très grand . Or plus vous diminuerez le numérateur, et plus vous augmenterez a proportion le denominateli}' de la fir action, plus vous approcherez du zèro - et . I 00 -, ce qui va vers = 0, T : oo i ou — = 0, ou rc rc = 0, de sorte que le carré de V infimi, mulliplié par le zèro, donneroit l’unité. Mais on peut dire que cela y va, et non pas quii y arrive ; car à la rigueur nihilum, qui est V extrémitè des nombres en diminuanl, devroit aitisi dire divise par omnia, qui est V extrémitè des nombres en augmentant. Mais /'omnia pris cornine numerus maximus est une chose contradictoire comme numerus minimus. Les deux extrémités nihii et omnia sont hors des nombres, extremitates exclusae non inclusae. IV. Il est aisé de tomber dans des paralogisìnes quand on ne reclifie pas ces choses par les idées que je viens de donner. Un habile matliématicien de Pi J2!Ì0 0^/V/rj G'rajijf/i, àpiMl ioutemi f/f om ^Var ^ jj ensemble foisoienl mie grtmdeur assignable, ùi aitisi par tuie elégànte tillégo* ti, il illa strali In production des crea Lurex du rieri par le more ri de l’ htjhii d fon fieni Alessandro 3f archetti, nutre fiatile ntathémnibien de Pise, ffiàppo'"'J disunì tjit tuie infinite de rum s ne seroi f j a me is mitre chose que rièri* Ei pr$utìnt h s ien a la rtgueur, il avoit raison. Cepe fidata le Pére. Grandi prouvoit sa pi oposiuon pm fa divisimi. / vu$ save*, monshur, qifien divisa rii ~ - on l:i>Cu i X ^ I (i>ca fivKrt" (fi eie. à V infui L Doni a fi tuta \, il y tundra 1 2 1 IX I 1X1 1 età. d rinfittii ce qui filtra 0X0 Xi)X!JXO eie* On nfia consulte la dessus, et vinci camme je cróis (Vavoir tifi thtfirv l cntgme. Il ne fata paini dire qi fi ime infinite de rie tu pris à la rigum fusseia queh] uè chose ‘ nessi rette sfi rie ne le dii paini, quoique elle paramele due. ] our la bien entendre il funi la resoudre en sfirifis fi nics dpprocharues é f infinte. SoU dono la serie 1 lX ! 1 eie* jinìe, alors si vous prenez tir, n umbre impair, par eoe empio 1 anités ì lxl 1 X 3 IX !> h tò«f fitit 1. Or lors tjftiè cela ce termine dans l' infìtte m il ni a ni pnir, ni impaip il finn prenda e le milieu arithmfitique etnee 1 et 0> qui est -1 . €ar dans lesestiwmmbigueSj quand il }li a pas plus de raison pùur Puh que pour f a atro, il futi prandi e le milieu uriihmétique. Par exemple entro 1 et m il finii prandio j cut ',, oxt, i u diro cesi udire - a V-J ai tacile de m aepliquer, et fio spère d’avoir ré assi passabletnerUÌiltLg/ud dune persona e de voi re p énfi trai ioti mais qua ut tinse dijf culle s tpn pira vent resicr dans ime ma dò re (lussi difficile t que collo doni il s tigli j fio taciturni *fir satlsfaire, oi ce sera le moren d fida ire ir la vérde* Ju reste je svisele. Nanii, Come nel regime civile per formare buoni cittadini e buoni magistrati si considerano gli uomini quali sono, e le leggi quali debbono essere; così nel regime scientifico per formare buoni allievi e buoni maestri si considerano gli studiosi quali sono9 e i melodi quali debbono essere. La bontà di un metodo, come la bontà di una legge, viene desunta dalla bontà del suo line accoppiala alla convenienza dei mezzi ch’ella pone in opera. Ogni buon metodo adunque ed ogni buona legge formano per sè stessi un ordine attivo di cose cospiranti ad un dato line. Quest’ordine viene in prima configurato in forza delle necessità costanti e transitorie della natura, in mira al fine proposto; e poscia viene da noi accomodato alla possibilità dell’esecuzione. L’esame adunque dell 'ordine finale antecedente e ùeWordine pratico conseguente deve somministrare per risultalo necessario il buon metodo che ricerchiamo. Ecco il motivo e Io spirito eminente di lutto quello che abbiamo discorso fin qui. L’ordine delle materie, l’andamento dei pensieri, il tenore dei principi!, la possanza dei risultati altro non furono che applicazioni di questa formola filosofica alle discipline matematiche. Abbiamo distinto un ordine finale antecedente da un ordine pratico conseguente. Ora parlando del mondo scientifico mi si domanderà in che consister possa c\ues\l ordì ne finale antecedente. Esso consiste nel complesso dei mezzi necessairi per giungere alla cognizione di un dato geuere di verità. Questi mezzi altro realmente non sono che le operazioni ipoteticamente necessarie della nostra mente e della nostra mano, onde conseguire l’intento di conoscere la verità (0. Essi dunque formano altrettanti doveri logici dell’uomo. Considerati come norme per agire, essi sono vere leggi di ragione scientifica. Dico leggi di ragione per di Dico anche della mano j perocché incaniche, ec. ec., è sempre mestieri che la ma cominciando dalle costruzioni geometriche, no venga in soccorso, dirò così, dell’ occhio, passando per gli esperimenti fisici, e venendo ossia della melile finalmente alle prove p. e. chimiche, alle mec I. klingiiedc sì dalTordiuc necessario Rifatto della uaUira, e si dalle leggi Ri [mi 'o fatto umano seguilo o per un casuale impulso, o per pura imitazione o per deferenza sola all* altrui autorità* Ma donde ricavar possiamo In cognizione di quest' ordine? Offiatccurata c chiara cognizione dello stato sì assoluto elio relativo de^li oggetti. combinata colEadcquata cognizione delle leggi della nustra inielttgenza. Imperocché (siami permesso di ripeterlo) la eogubdom; vera ddln cose non dipende dal nostro arbitrio, come non dipendono dalla nostra potenza le forze che facciamo operare* Le cognizioni sono determinale dai rapporti reali e necessari! che passano fra la nostra io tei licenza ei genuini concètti delle cose. Dunque è manifesto che la cognizione dd* l'ordine teoretico se te 1 1 tifico, e quindi del buon metodo essenziale, dev essere tratta dalla suddetta considerazione combinata* Lcco il motivo (Iella prima ispezione proposta nella Introduzione a questi Discorsi In ossa m traila di sapere che cosa esiga da noi T Indole propria della materia ila insegnarsi, per ottenerne la piu facile, la più breve e la più proficua cognizione del vero, i tre primi Discorsi furono consacrati a questa ricerca, II quarto poi fu rivolto a soddisfare alla seconda ispezione cnacern ente lo scopo morale e sociale, al quale dev'essere destinato I itisegnàmenLo delle Matematiche, L qui furono di proposito considerate le leggi necessarie di jatlo e di ragione della mente umana, sia in se stessa^ aia per rispetto alle Matematiche, sempre colla mira di ottenete lo sc0P° quale sono o debbono essere destinate. Ma, considerando la tetìdeaza di questi quattro Discorsi, noi cl av vergiamo che tutti insieme riga andino Il soia fine logico^ morale e sodi de de Ih insegnamento suddetto, e prò sono puramente finali e antecedenti. Resta dunque a parlare della parie conseguente d eli1 istr azione: tocche abbraccia ì mezzi convenevoli pei avere buoni maestri e buoni allievi. Certamente col formare buoni allievi si preparano anche i buom maestri : ma siccome Fra pochi buoni allievi ne sorgono molti cattivi » cosi, posti anche i buoni metodi, si possono fare pessime elezione Ad evitare le cattive scelte conviene avere un criterio si pei’ disltti gnerc anticipatamente i buoni dai cattivi precettori, e sì per assiemala di non esserci ingannati nella scelta da noi fatta. Prima della scelta^ db possiamo far valere che mere presunzioni; ma dopo la scelta possiamo accertarci cogli sperimenti. Per far tutto questo è necessario di conoscere pienamente tanto il vero metodo essenziale, quanto la maniera di comunicarlo agli appreu( demi. Come si. distingue il magistero di un'arte dal suo tirocinio^ si distingue la massima dell’ insegnamento dalla maniera dell’ insegnamento. La massima riguarda propriamente il metodo dimostrato, considerato in sè stesso: la maniera, per lo contrario, riguarda gli artificii coi quali si fa apprendere ed esercitare il metodo medesimo. Ho già avvertito che quest’artificio è perfetto quando, compatibilmente alla natura delle cose e degli uomini, egli riesce il più breve, il più facile e il più proficuo possibile. Quando il buon metodo è scoperto, altro più non rimane cbe di tradurlo alla capacità degli apprendenti; ma quando o non fu scoperto, o fu perduto, cbe cosa rimane a fare? Ognuno mi risponde cbe in questo caso conviene prima scoprirlo: poi dimostrarne la verità, l’efficacia, la fecondità, la facilità; e, per dirlo in breve, conviene dimostrare cbe il magistero, o inventato o dissotterrato dalle ruine del tempo, racchiuda tutti quei caratteri e quei pregi cbe sono inseparabili dalle opere umane modellate secondo tutte le istanze della natura. Se mancano queste condizioni, o qualcuna di esse, allora sorge una forte presunzione cbe il metodo sia imperfetto. E quando il metodo è imperfetto, conviene necessariamente sospettare cbe sia stata trascurata qualche condizione richiesta dalla natura degli oggetti, e dai rapporti loro reali e necessairi colla intelligenza umana. Se i metodi perfetti si contraddistinguono dagli imperfetti per la loro possanza, essi riuniscono eziandio il pregio d’un’esimia facilità. Questa facilità è come una leva congegnala in modo cbe può essere agevolmente maneggiata con mezzi ovvii cbe sono a disposizione di tutti. Le cose più facili sono appunto quelle cbe più naturalmente si connettono colle cose più perfette ; e la facilità di apprendere le cose perfette deve formare l’ultimo voto di un ordinatore di studii. Fare cbe il calcolo più sublime matematico sia accomodato ai non matematici, ecco il supremo termine di perfezione di questa disciplina. Pie rumque (diceva Leibnitz) facilia negligimus, et multa quae clara videntur assumimus (cioè le pigliamo ed usiamo senza esame). Quod quamdiu faciemus, numquam ad illud quod mihi videtur in rebus intellectualibus summum perveniemus ; nec genus calculi etiam non mathematicis accommodatum obtinebimus 0. Ora passando allo stato odierno di jatlo dell’insegnamento primitivo, cbe cosa presumere possiamo circa la perfezione dei metodi? Considerando le cose già notate negli antecedenti Discorsi; considerando la difficoltà, la secchezza e l’astrazione cbe ributta ogni spirito generoso; (i) Epìstola Leibnitz ad Oldenburgiurn ISewtono communicanda. Opera omnia 1 2jM. considerando il recente toivol girti culo (fatto per pigrizia ) di insega re 3 "Algebra prima die la elementare Geometria sia esaurita 5 e special, mente prima die la Leoria si speciale clic generale delle ragioni e delle proporzioni sia Leu conosciuta c simboleggialaconsiderando che k de* finizioni delle Idee tuono ovvie e meno famigliar! vengono espresse molto imperio LLaraen le, e sempre senza genesi logiche^ o almeno ssflza una spiegazione particolare dei loro termini, illustrate con esempi! ||eidi; considerando V liso di presentare brani staccali soLLo l'orma di problemi c teoremi, invece d1 un corpo unito e dedotto; considerando f abuso di imbarcarsi senza biscoLLo nell'oceano ddla dottrina, e l’ impazienza ] tiene® Ics vcrités gbisniétnqnes. Non seulcmcuL elle accou Lume Ics elu-,j dìans 3 uno grande rigueur dans le raìsoDuemeol. ce qui est un avan-,> lago prócitmx; mais elle leur offre en méme lemps uu geo re d’exer» esce qui a son cara etere pa r tieni lev, dì fiere uL de celui de Faualyse, et >} qui, daus des reclmrebes matbematiques imporlanlcs, pcut aider puls„ sarament à trouver les Solutions Ics. plus simples et les plus elegante^. » Ua poco dopo soggiunge quanto segue: u Les àncious qui ue connois» soienE pas F Àlgebre, y suppléoìeut par le raisoimcmenl et par Fusagc des proportìous, qu’ils mauioìeut avec beaucoup de dextérite* Poni* no us, qui avo ufi cet mstrumeut de plus qu’eux 5 nous aurions lori de » iFcu pas l'aire usage, s'ìl eu peni resulter uno plus grande farilitéO). n A quest’ ultimo tratto ohe cosa vi dice una sana filosofìa ;J Essa vi dice ebe qui il signor Legendre col rimanente de suoi contemporanei pretendono che per conoscere la generazione algoritmica delle proporzioni è meglio far uso dei risultati generici di questa generazione, di quello che mostrare i dati primitivi di fatto dai quali naturalmente deriva. Più ancora: che per Scoprire i risultiti particolari 5 ed 1 fenomeni d istinti ebe ne nascono in conseguenza, è meglio valersi degli effetti generali e indistinti 5 di quello che seguire F andamento e le combinazioni delle cause distinte e competenti* Dubitate forse voi che questo senso sia giusto? Compiacetevi di esanimare non il meccanismo algebrico, ma l' ìndoli: propria dei concetti adoperali in Algebra: e poi decidete se io abbia ramane o torlo. A fine di porre iu evidenza il vostro giudizio, ditemi che cosa sia propriamente TAIgebra. A questa domanda risponda per ine il Leìbuitz. Qaantilatem interdum quasi extiijinsece re Elio ne seti rei tiene ad aliati in smisi unni {nempe quando munerus partium co gnitus ilòti est) expo ni. Et haec origo est tngeniosae. annuite a è. spe El*! meritò tic Gifauivtric XWI$, chez I’ ir min J)kEuì. i8o, deli/ insegnamento delle matematiche. non dosa e, qua ni excoluU in primis Cartesius^ poste a in praecepta colle» getti Fnmciscus Scuttcnìus et Erastnus Bartholinus hi e edemmth Mg» theseos universalìs^ ut vocaL Est igltur aualysis dùchina tic rat log [Luì et proportiouibus^ seti CìU arili tute non exposita, Arilhnìètìcd de qu;mtilate e.\posila3 seti e li me vis ([). Il Paoli dice che FAlgebra Ita per fì£getto di considerare i numeri elio rappreseti Li do la quaulil+ serza arcr riguardo alle diverse specie di quantità cifrasi rappreseci. ano (fl). k Lea ^ nombres [dice Wronski) 3 cotti tue ioni les olqets inkdlecluels, peu« vedi étre considercs en generai et en particuliei ; c'est-A-dire qfl'oti | » peni, consulti ver sepa romeni les loìs des nombres et. Ics Jaits des □ e ni» bres. Par ex empie 3 + 4 = 7 est un lait des u ombrosa et la proposiìì liun la lucilie de la somme*, plus la moitió do la dillo rene e de tic ut u nombres egri lo ni Je plus grand do ces uornbres, esL mie loi des » nombres. m n Cotte cousidéralion est puromenl ìogirjue^ et idapparlieel par eoaii acque uL qné à la toc th ode de la scieuce: quoique qtfll cu soit k&mh zi des uombres formuli Vohjet datine brandi e de Falgo i' itimi le, qui est » FA u+ef.e : et les faits des uombres formenL Polijet duine aelre bran» dio. qui est 1 A iTir meti qlt e (j). » Io Lo seri lo ad arte le sentenze diverse di questi tre auto ri ^ perebb malgrado le loro dissomiglianze* tutti tre convengono che i concetti., i quali vengono assunti e maneggiali dalFAlgcbra, sono d1 una ceserauta la quale nou può essere uè ben intesa, nè ben ritenuta se ood dopo che si è veduto quali sia un i fatti della quantità cou creta* Se ili.iA.i F Algebra fa uso di sole idee di jl apporti co.vum5 dunque si deviane prima conoscere i tèrmini positivi dai quali sorgono questi rapporti. I w ancorar se questi rapporti sono generici^ essi sonoper ciò stesso (isttai^ I fi, ed appropriati a tutti gli siati simili delle grandezze. Ma corca formar ci potremo F idea AxAV astratto» prima di aver idea del concreto^ t come potremo noi fare applicazioni genera U, prima di aver idea "'i particolari J La natura delle cose* il senso comune5 e; I istinto, diro Cos« generale cospirano òi accorato contro questa sovversione 3 c impenni mente comandano un a u da mento opposto. Aprile i libri dei ma le co a Liei* svolgete le pagine della storia della Matematica: c voi scoprirete che duo all'età presente non cadde in mento ad alcuno di capovolgere, come ora si fa. il metodo del primitivo insegnamento 5 ma che. per universale coir Operiti u /finta. Ttmio IJI, p:ig, 3r [. (+ Clementi dì ilpvùra* Toni, I, pag. a, PjsEi 1 .7 A égaux.Le poligone se nomine quavré.v Lacroix, Elémens de Geometrie. Pari. I. Scct. I N.° 14 a. Così nella divisione prima e compatta dell’esteso l’alfabeto v’indica i primi venticinque modi, i quali se dappoi si suddividono ed ammettono intermedii, ciò non ostaute non alterano nè l’indole individuale, nè le ragioni interne ed esterne, nè la loro azione periodica. Anzi, considerati, do le cose più addentro, si prova che i termini più compatti sono eminentemente i più predominanti. Passo ora all’interna loro struttura. Ogni nome rivestir deve la forma di termine progressivo rappresentante i suoi componenti alleggiati e ripartiti secondo la legge degl’estremi e dei medii, e con una derivazione continua, lo mi spiego con un esempio. Nella tavola posometrica al grado decimo troviamo il quadrato 100, la di cui ladice è 10. Di fronte troviamo il gnomone segnato col numero 19. Ne bi amate voi uua pittura sensibile? Gettate 1’ occhio sulla figura della tavola annessa. Ivi vedete il gnomone Peb 'K E ineguale a 1 9. Là vedete il quadrato E N e b spigolare uguale ad un ceutesimo del quadrato dell’ ipotenusa, che può fare la funzione di primo estremo, nel mentre che le due liste possono fare quella di medii. Questo ripartimenlo è comune a tutti i gnomoni della tavola. 11 valore di questi guomoni è sempre il doppio della radice del quadrato inchiuso, più 1 unità elementare: ed è pure il doppio della radice del quadrato iuchiudente, meno la detta unità. Che cosa è questo gnomone, fuorché la difitrenza che passa fra l’antecedente grandezza quadrata e la susseguente? Come quésta differenza forma la misura dell’aumento dell’una, così forma la misura del decremento dell’altra. Ma questa differenza e questa misura è veramente in sè stessa una grandezza reale? Essa è una superficie determinata al pari di quella dei quadrati, dei quali forma la differenza, anzi essa è parte integrante della superficie del quadrato maggiore. I nomi adunque di differenza o di misura, di aumento o di decremento non sono che puramente relativi oII’ufficio che questa superficiale grandezza compie in questa posizione. Se considerate la differenza fra un gnomone e 1 altro, questa è costantemente di due unità sostanziali. L’uuitcà assunta forma 1 uno misuratore tanto delle moli generate, quanto degli stessi gnomoni. Quest osservazione è sommamente importante per tulio il calcolo. La mole del grado nono è tale, che formata in quadrato perfetto geometrico, si può dividere io nove liste uguali, ed ogni lista si può suddividere in nove quadratali perfetti. La lista prima appellasi radice; ogni quadratelo della medesima appellasi unità elementare . È per sè mauifesto che i nomi di radice e di elemento non sono che nomi di uffizio^ e di uffizio, dirò così, domestico ed interiore alla grandezza, della quale lo lista o il quadra tello formano parte. Qui ò 13 e cessarlo fare attenzione alle due prime maniere colle quali siamo accostumati ad usare dì queste misure. La prima maniera si può dire monogrammatica3 la seconda poligram malica. La mono granì malica consiste nel supporre una data figura perfettamente quadratal e quindi nel considerare la potènza quadrala di uu solo lato come rappresentante il valore di tutta la superficie . La poligrammatica consiste Liei considerare la potenza radicale di ogni lato come concorrente a formare la potenza di tutta la superficie cldu&a da questi lati . Quando voi moltiplicale una base per un* altezza, e determinate un'area, voi usale di una forma digrammatica. . Voi usate della digrammatica implicita audio quando adoperate due radici eguali . Se 1* eguaglianza vi dispensa dalla doppia estimazione delle radici, la funzione fon damen tale non lascia d’essere ! a medesima. Nel trattamento monogramma Lieo abbiamo parlato di potenza quadrata, nel digramma Lieo di potenza puramente radicale. Perche questa differenza ? Pensateci uu momento, e voi ne troverete là ragione. Quando su tutta una linea io fabbrico un quadrato perfetto, la potenza di questa linea uon acquista che una sola espressione. L area dei qua di ali tulli perfetti fabbricati sui lati di un quadralo perfetto è sempre uguale a lui. L'espressione adunque potenziale esterna è identica coll espressione superficiale interna . Non è cosi quando ad una superficie vengono fissati limili disuguali. Figuratevi un quadrilungo, uu lato del quale si possa dividere iu tre, e l’altro in quattro parti identiche. La sua superficie risulterà di 12 quadrateli!, ma la potenza quadrata de7 suoi lati non coincide col prodotto dell'uno Dell'altro. Oiffatti il quadrato sul lato 3 ò uguale a 9 quadratoni: il quadrato su! loto 4 è uguale a 1(5. Qtiesli valori non sono quelli dell' area del quadrilungo, ma solamente dei quadrati creiti sui lati di questo quadrilungo. 11 valore adunque potenziale univoco dei f ati d'una figura è lutto p,stuilskco al valore superficiale intèrno di lei. il valore potenziale individuo dì un lato non può essere equivalente ossìa identico col superficiale interno se non nel solo caso che tutta una superficie simile ed uguale venga ripetuta, e ripetuta in uu modo simile. Dico anche in un modo simile-.Eccovi un quadralo clic fa la I unzione di unità. Volete voi averne un secondo, ritenuta la potenza dei lati del medesimo? Voi dovrete contornarlo con altri Ire. Lite cosa olici (t) Un detto eliti queste sono te due prime fjufiltì si Là prr Lina sm-n \ntazumc Simile a 'p1 I ? Miniere, o noti tutte le maniere. Havv.cnc h Sà quadrata dcilvipùienusa, o per uu amtUmuiL una icraa ÌLidlvUna a siqicrfkiulr . La piiazwne incommensurabile. rete voi? Un grande quadrato perfetto, composto di quattro quadrati primitivi. Ecco il processo di apposizione dei contigui simili ed uguali') processo che si verifica anche colla divisione di una superficie continua quadrata in parli tutte uguali e quadrate: ed ecco il vero simbolo della prima serie naturale discreta dei perfetti quadrati aritmetici. La tavola posometrica annessa al terzo Discorso è fatta in sostanza con questo processo. Ivi il quadrato del secondo grado non è una duplicazione superficiale del primo elemento, ma una quadruplicazione del medesimo. Questa quadruplicazione qui viene fatta per un'associazione del quadrato primo antecedente col gnomone susseguente. Tutti i nomi quadrati della tavola vengono formati nella stessa maniera. Dal si m pio al quadruplo evvi un salto: frammezzo evvi il duplo e il triplo. Or bene, tutta la progressione è fatta con questi salti. I gnomoui mostrano la misura di questi salti. Essi fra l’uno e l’altro grado segnano col loro valore la grandezza di questi salti. Ma questi salti si verificano con una serie di radici senza salti, perocché la radice antecedente nou differisce dalla susseguente che di una unità sola elementare. Questi salti sono una condizione necessaria ed inseparabile del processo monogrammatico discretivo quadrato fatto con un elemento ideuiico. Dunque le latitudini d’ogni nome monogrammatico quadralo si possono considerare come limili discretivi di altrettante superficie continue che si succedono giusta una legge graduale e compotenziale. In forza di queste ampliazioni fatte colla serie progressiva di gnomoni aventi in ogni grado la differenza costante di due, e con radici aventi la differenza costante di uno^sì formano grandezze di superficie similari quadrate sì geometricamente che aritmeticamente \ le quali grandezze, nelLaHo che si possono tutte convertire in elementi identici, presentano certe leggi costanti ed universali, parte proprie e parte comuni coi non quadrati, come si vedrà più sotto. La pluralità maggiore o minore delle parli di queste moli, la quale è relativa alla rispettiva loro grandezza, non è che una pluralità mentale, la quale altro non fa che concretare tanto lo stalo rispettivo proporzionale delle moli generate, quanto la misura della differenza fra le medesime. Sotto quest’aspetto esse sono comparabili tanto fra sè stesse, quanto colle moli intermedie e colle altre grandezze che naturalmente si associano in forza del trattamento per estreme e medie ragioni. Con questo trattamento appunto è costrutta la tavola ; ma costrutta in modo, che il compositivo, il differenziale ed il co inpotenziale esercitano simultaneamente il loro uffizio. Li mp m m cu sniiibili tà di alcune grandezze intermedie non oppone ostacolo alcuno. Figuratevi else queste suino simili ad altrettante dissi * come i quadrati sono slmili ad altrettanti circoli. L’un a figura, come os¬ servò anche il Lcibnitz, non si può tradurre nel l’altra; ciò non ostante esse vi danno teoremi algoritmici di sommo uso. Serva d’esempio il teorema col quale si esprime che qualunque poligono inscritto nel cerchio sta al corrispondente polìgono Inscritto ivelT elisse s corno il diametro del cerchio sta all’ altro asse dell5 disse. Vi sono grandezze metafisiche di ragione elittica, come ve nc sono di ragione circolare. Questo carattere è indipendente datila forma sensibile della grandezza, ^ 125, Dell5 alfabeto del non quadrati. Ora passiamo all' alfabeto, dirò cosi, artificiale di queste grandezze cliniche. Questo è un alfabeto, col quale in forma quadrata geometrica si esprimono i non quadrati -aritmetici. La tavola A annessa a questo Discorso uè offre uri modello. Essa con 97 termini svolti dalle viscere della ragione di 48:49, compagna della ragione di 3:4, percorre algoritmica mente lo stadio delle ragioni e proporzioni inchiuse ed associate fra il si m pio ed il quadruplo. La forma materiale della serie è quale appunto era desiderata dal Lcibnitz, come rilevasi dai passi delle tre lettere scritto aì signor De la Lo ubère, membro dell1 Accademia Francese e di quella delle Iscrizioni e Belle Lettere (0. lo ignoro se il De la Loubère abbia pubblicato le sue ricerche. Quanto al Lcibnitz, egli soltanto ne congettura la possibilità. Fato (egli dice) hoc possibile esse, et ex attenta conskìeratione rntionum commensurabiiiuìn talern rnethodum generalem clìgì posse • Ea attieni habita^ haberetur*. ut diri., algorithmus talls caladi*, et periti-* de calca lare possemus adhìbilìs a e sfanno ni bus aids quìlmslibei fmltis ordinari is . Antequam miteni alias hrtjusmùdi calca II algórithmus intteniattfT} id estralionum addillo et compositìo, sic e multi pi leni, io sem riva h.erebimuS, nec ni si panca et faciliora dabìmus. Nell’ ultima lettera del Novembre 1705 scrive quanto segue: Je souhaìterois. moti sieur 5 que cous fusale : de loisir et di humour de poursuwre vos bel Ics pensée s sur les pròportions^ en Ics eherchant par là cole de F inquisii ton^ maxìmae comtminis mensurae, on par urie su bs tra ct i on retetee du RE&imr (come appunto ho fatto io). Il est remarquable^ que par cette vote non seulement la rock orche se termine quanti les grandeurs (e) Opera ojtuiìa, Tom. Iti. pag, G 5-4 C 5 G . A' e di questi (re dibatti in 13 lic. 1 soni commensunibleS) mais musi qua mi [ ìneomtmnsimd filiti est ài premier dégne; c’èsi-à-dire, quanti Tèquation est dii seconda la propor don infime des quoiiens est périodlque. Cod questo metodo appunto fu stesa la delta tavola. che si potrebbe intitolare Alfabeto posometrico dì yon quadrati aritmetici trattati informa quadrata geometrica. La secondo aspetto di questo alfabeto vieti presentato colla tavola B. Ivi si veggono i nomi generici delle proporzioni diverse colla rispettiva valutazione finita in serie confinila e concatenata. Questi nomi generici tengono appunto luogo delle radici segnate nella scala ordinaria dei quadrali naturali aritmetici, lu questa favola B si rilevano i seguenti fatta principali, 1 ♦ Se unirete le membra dei dii è numeri tassanti le due prepuziali u voi rileverete che la loro somma forma sempre un quadralo privilo aritmetico d’ un numero pari. La serie incomincia dal quadrato prie Ilo di 4, e giunge fino al quadralo perfetto di 192. Così, per esempio, avete le ragioni Ih IV* r di cui numeri sommali danno G, La prima parta 1 2, c la seconda 24: unite le due somme, avrete 36 / 6. IL II membro maggiore d’ognuno dì questi quadrati snstieue col minore proprio Ja data ragione,, la quale differisce dall* altra di due gradi, Egli poi passa a costituire il membro minore del quadrato susseguite, ed a rappresentare un termine di ragione minore t\f un grada, ili quello eli’ egli portava u dinante cedente. Con ciò i membri sodo conca te nati. III. La somma degli esponenti delle duo proporzioni forma appunto la radice d’ogni quadrato diviso nei due membri suddetti. CosL per esempio* Il + IV 6 | 12 -f24 == 36 6. Con questa legge pròcede tutta la serie. IV. 5c unite gli esponenti delle due proporzioni della stessa casa. v moltiplicale la somma pei numeri romani esponenti, voi avrete pr prodotto il numero sottoposto di valutazione. Così I + 111 = 4 4 X 1 4 | 4X3 r12 4. -f 1 2 =; 1 6 ir + iv— 6 0X2—12 0X4 = 24 12 + 24=30 m + v= 8 8X3=34 8X5 = 40 40 + 24=04 fi) I numeri rnnumi jnilicano ter proporr a .fti sta nome ire a rinquts, o ebe v’K.L.itJ «iftuì, Così, per esemplo, Uh V significa ire sa5 : 5 j>u 1325 discorso quinto; è intermedio fra il quadrato 16 c il 25: il gnomone 25 è inierme/12 i/13 dio fra 1 44 e 1 69 : e così del resto. IL Questa tavola vi dice clic tre dì questi gnomoni appartengono alla prima colonna 5 gli altri sono ripartiti ad uno ad uno sulle colonne seguenti. Cosi 9, 25, 49 cadono sulla prima colonna; la seconda non ha che 1T 81 : la terza, che il 121 ; e la quarta, che il 169. III. Ponendo mente al numeri delle distanze, e alla differenza costante di 4 fra questi numeri, la tavola vi dice che P elemento normale di proporzione nascosto, che regge questa serie, è il 2: perocché in tutte le serio differenziali il numero ultimo identico, come in questa, è sempre il doppio del numero reggitore. Questa osservazione sarebbe prematura per gli apprendenti; ma qui non si tratta di quello eh5 essi osservar potrebbero, ma di ciò che osservar debbono l maestri per conoscere il valore e la possanza delle cognizioni che. debbono comunicare. Soggiungo adunque, che l’ indicazione di questo 2 nascosto allude alla ragione circolare, ossia alla progressione dei quadrati perfetti aritmetici. Ciò si vedrà meglio nel seguente Discorso. Trovati i componenti quadrali di queste radici, ed anche trovata soltanto la progressione aritmetica delle disianze e delle differenze, ognun vede di leggieri il metodo ch’egli può usare per andare avanti a trovare altri termini maggiori, 0 tornare indietro per ritrovare i minori. Nell’esame delle serie ciò è importante, perche molte volto esse nascondono la loro sorgente, nella quale sta riposta la virtù eminente che si manifesta in tutto lo svolgimento delle medesime. Se si fosse pensato che qualunque variabile soggetta ad una data legge non è che una creatura soggetta ai rapporti com potenziali cFuna serie, si avrebbe mai preso il partilo tV infrangerne le leggi, assumendo anche in vìa sussidiarla una linea da potersi maneggiare àq arbitrio «ostro? Questa linea sussidiaria nelT esame p, e. d* una curva, quando sia presa o fra le ordinate 0 fra le ascisse, non diventa forse necessariamente una variabile soggetta alle leggi com potenziali di questa curva? Posto ciò, non è forse manifesto, ch’ella esclude ogni nostro arbitrio? Studiate adunque le leggi delle serio proprie, e uou malmenale lo stato naturale e necessario delle cose, IV. ih visibile che coi soli sei gnomoni quadrati espressi nella tavola posomclrica, che va fino alla radice 100, non si compie la serie dei hinomìi di quadrati dei primi nove numeri semplici; ma che questa serie ò troncala, e vi mancano i due ultimi di 113 e 145. Per rendere adunque compiuta questa prima serie couvieue aggiungere anche questi due termini. Con ciò abbiamo la prima serie naturalmente composta di otto termini. Si vedrà iu progresso quanto ciò sia naturale ed essenziale aliandole della duplicazione, considerata come ragione segreta di compotenza logica proporzionale. Noi abbiamo qui un primo segnale dei miti periodici naturali di questa ragione. Comunque si possa continuare indefinitamente, resterà 'sempre vero che questa ragione espressa in serie si dividerà sempre in altrettanti periodi composti, o almeno risolubili in otto termini fondamentali. Anche di quest’asserzione daremo una prova a suo luogo. Ora passo alla composizione riflessa. Dovrò io temere d’essere giustamente censuralo per questa denominazione? A me par di no. Ditemi infatti: quando voi assumete in astratto le potenze lineari di due differenti grandezze determinate col disegno di farne risultare unaterzaje ponete queste due linee ad angolo retto, e tirate l’ ipotenusa, è vero o no che fate una composizioue riflessa ? Prima di esibire la forma di questa composizione debbo avvertire, che niuua figura sì geometrica che aritmetica deve essere data a brani, come far sogliono generalmente i matematici. Con questi rottami non si può mai cogliere assolutamente il complesso delle affezioni e delle leggi della quantità, e quindi far sorgere quelle logie, dalle quali risulta la scoperta : allora per lo meno si rende assai difficile l’esito di una ricerca, e manca sempre il corpo sì della scienza di fatto, che del magistero dell’arte. Per la qual cosa conviene dar sempre ogni figura compiuta nel suo genere. Essa sarà nel suo genere compiuta, allorquando a guisa di specchio rifletta sempre l’imagine di quel tipo che interviene sempre in tutte le composizioni naturali posometriclie. Due estremi ed un medio, un principio ed un fine, un’evoluzione ed un periodo, uno slancio ed un riposo: ecco i fenomeni ed i segnali comuni di una figura compiuta. Passo ora alla composizione proposta. Qui. come ogimn vedersi hanno binomi i con coefjficietrti 3 0 somma complessiva Ut Hi quadrali, A dii voglia continuare la serie noa resta altra briga die di frapporre fra lo radici delle ipotenuse le distali* Ze c^]e passano fra i quadra ti perfetti* e pnjò procedere dove vuole Ora vegliamo come si possano per se stesse comporre le ràdici deb le ipotenuse mediante una costatile ed una variabile iu serie. Co ni posilo n£ dello radici dei quadrati aventi per coefficienti due altri quadrati peregrini I 11 IH IV V VI VII fui IX 25+1 25+4 25+9 '25+16 25+25j 25+36 |5+49 25+64 25+81 26 29 34 4) 50 Gl 74 S3 m 3 5 7 0 11 13 15 17 Da questa serie apparisce manifestamente che tutte le ipotenuse esprimono nella loro misura lineare altrettanti hiuomii aritmetici di quadrati, La prima misura ha sempre 25 unità, loccliè ari Lm elicameli le inrma II quadrato \/5* e Ja seconda misura ha per nome la serie pat. orale dei quadrati aritmetici.) incominciando dall7 uno, e proseguendo iadelìnìtameute. Questa serie abbraccia i primi 9 nomi quadrali, associali col nome quadrato di 5, Con ciò l’ abbiamo prolungala quanto la sene precedente dei gnomoni. e per uniformarla alia medesima; ciò non ostante si deve notare^ eli7 essa in forza dei pieni suoi rapporti manca di tre levmini, Questi sono i seguenti: X Xt mi 23+ 100 25+121 25+ 1 44 -- 125 ] 46 m 1 9 21 23 Con quest’ ultimo termine, il quale rappresenta il quadrato portello aritmetico di 13. sì pone In corrispondenza il termine primo ih 26 = 13> sta serie come sta* Vi Tom. I. 85 ìm Ossbrvjlziqkb. Trilla ispezione dì questa serie ognuno vede clic dalla parie siuislJ-i i cateti decupli hanno il di sopra: nella destra poi di chi legge Jirmaoit di sotto, Nel centro i termini diflerenzialL ossia i residui di sottrazióne^ si concentrano al punto iélFunilù, e le differenze di questi resi dai vca^fono alla perfetta eguaglianza. Da ciò si ricava Jd i u dolci di questo ped> do? il di cui mezzo è occupato dai tre termini neutrali. Nel mezzo ap punto nasce il pareggiamento dei cateti, meno un* unità; c quindi il passaggio dei decupli in meno. Cosi figurandovi un diametro di un circolo, nel quale diverse corde si vanno aumentando da sinistra a diritta * si giunge al mezzo. L28. Delle prime sii In he matematiche. Fin qui abbiamo esaminato le dna maniere spontaneamente offerte od espressamente indicate dalia tavola posomolrica* onde ottenere emuposti geometrici di lati perfettamente coiruaensurahilì per un ideatici} elemento. Queste sono per gnomoni ufi nome quadrato c per luncmii quadrati, dedotti dal paragone a specchio colla serie para iella di quadrali irai arali. Ora ci resterebbe a parlare di una terza fonte primitiva di coro* mens orazione razionale, la quale nasce dalle ascisse razionali sfatte sia dalla scala naturale dei nomi quadrati, sia dalla riduzione a eanniae misura delle medie proporzionali, le quali nei gradi compatti della seno dei quadrali aritmetici presentano una spuria iiieonmsensurahilitàMa re credo di trasportarne V esposizione dopo clic avrò discorso delle sillabe matematiche. Dico delle sillabe^ e non della compilazione matcmàtkn. Con ciò lo voglio indicare asse re azioni teoriche sulla cosa, e non H$h ì e m agistra li per fari e appronti e re . lo lo ri pelo: non parlo della man i ^ ra di comunicare agli apprendenti il metodo . ma parlo de! minilo dd metodo medesimo. Con questa mira Lo esaminato 1T alfabeto. Se si fosse trattalo della maniera di farlo apprendere, avrei dovuto procedere diversa mente. Volendo parlare delle sillabe matematiche teoreticamente sortii posso dispensare di porre solfoceldo almeno il materiale. Proseguiamo. Il punto delP eguaglianza perfetta forma il zero differenziale, ossia la negazione d7ogni differenza. Ecco il puulo positivo d ogni mossa algoritmica. Ciò posto, qualunque punto voi prendiate, per esempio, nella semicirconferenza A C/?(fig. VI. tav. I.), sia a diritta, sia a sinistra del punto C, voi avrete un segmento di curva. Sia questo punto scelto in il/. Tirando la linea MB parallela ad E F, voi farete nascere la lista E JS P F. Lo stesso avverrà figurando che per gradi comunque piccoli la linea E F si abbassi parallelamente. In amendue i casi voi avrete una lista, la quale conterrà un arco di cerchio più o menogrande. J1 quadrato sopra il/ C sarà equivalente a quella lista. Che cosa sarà questa lista, fuorché una porzione reale del quadrilungo A EFB? Questa lista può essere parte aliquota o non aliquota, sia del quadrilungo, sia del tutto. Ma l’essere o non essere parte aliquota dipende unicamente dai rapporti logici essenziali della figura, e non dall arbitrio del geometra. Dal suo arbitrio dipende la posizione del fatto, e non la ragione del fatto. Qui per ragione non s’intende il motivo^ ma il rapporto intrinseco e logico degli oggetti. Ciò che abbiamo detto figurandoci un movimento dall’ allo al basso, accade pure figurandoci un movimento da diritta a sinistra, e viceversa. Così, per esempio, nella figura XVIII. tav. I. posso figurarmi che la linea Cd proceda a diritta o a sinistra per misure date verso l’una o 1 altra estremità del diametro; e viceversa, che la linea DF proceda verso (») Qui si può proporre ai matematici il sedi uno dei binomii incrociati, trovare il memguente problema = Dato il membro minore bro minore dcll’allro binomio. = j[ centro, lu luLlì questi casi avrò a dati intervalli le liner e le superficie die vedete nella figura. Queste linee o ascisse ra-ppr esenterà» no diversi stati di questa linea, die perciò di cesi variabile* Qualunque sia la mussa di questa variabile, sarà sempre vero che dal punto delia partenza al punto della sua prima fermata ella avrà lasciato uno spazio dietro a sà, Questo spazio sarà essenzialmeuLe finito e determinato dai rapporti ai quali nella data figura va soggetta la detta variabile. Altro è die io pòssa o non possa valutare con misura comune questo spazio e le sue particole 5 ed altro è ch’egli non sìa in se sLesso esse ozi al me n Le finito e determinato. Figurare un’ eguaglianza reale o un infinito reale, perchè 10 non posso trovare un espressione numerica determinala di questo spazio 5 sarebbe la più mostruosa assurdità. Perche ti mancano gli occhiali per vedere il grano di cenere, dirai tu ch'egli non esista? perché 11 manca il compasso per misurarlo, lo dirai tu infinito ? Nella Matematica pura dipende da te fissare la prima lista. Comunque minima ella sia, sarà sempre un che, ossia una quantità reale e finita sottratta da una delle parli eguali. Paragoni Lu la parto scemata colla parte integra ? Allora dovrai dire che la parte scornata è minore d’un tanto della par Le integra, e che la parte integra è maggiore di quello stesso tanto della parte scemata. Allora dir devi quel tanto essere una grandezza reale. Divìdi lu questo tanto, e aggiungi tu la parte divisa alla parte scemala? Finché non raggiungerai £ut£as vi resterà sempre un meno che toglierà regu-aglianza* Alte corte: ira il con ce Ilo dell' 'essere e dei nulla muta fisi O co, ossia fra V eguaglianza e la disuguaglianza astratta non si può figurare veruna determinala quantità. È dunque assurdo e stranamente assurdo lo stabilire come logicamente possibile una quantità minore di qualunque assegnabile, perchè appunto in astratto si può assegnare qualunque differenza escogitabile. Come la logia àeWegttaglianza astratta non ammette gradi, così la logia della disuguaglianza astratta non ammette limiti. Se ho fatto uso dell'idea duna linea variabile* Filo latto per adattarmi al modo volgare ricevuto. 11 fatto sta però, che quest1 uso non è uè filosofie o 5 uè algoritmico* Non filosofico, perchè uua linea in est e sa non può ne camminare*! uè generar l'esteso (C; c però in realtà colla variabile non si se ti) Linea utcumq.uc multi jdì&ata ( disse Newton) jiq |ì potei t evadere siipeìficìe^ ìdeoque haec mperficìei e iuteh generano (ùnge alia est a multipli callo ne (Ari Mimetica mnversalisj Py,i £ 1. La mohlplk-nzìcme fìmu pie superficiale é prò pii a™ co le quale I abbiamo sopra presentata, e si fa o poi' via di quadra Lo, odi a! tre fi gore semplici prese coinè uni Là. JAiso ha iAto prevalere di prendere il quadrato come unità (vedi Ne\vto)ifÌoc.cii.). deli/ insegnamento delle matematiche, JHJa che un limite d’uoa superficie estesale però si allude essenti al metile ad uno spazio variamente limitato^ fipusideraio ila un Iato solo, fc è poi q 1 1 es t’ u $ o verameute a ìgo rii n i ico [Grice, decision procedure], a ] m eco finché non si c an side n1J0 r libili ili questo esteso in modo che ne sorga imo spazioseterminato chiuso da confluì, e configurato d7 una data maniera. Alloro egli contrae un'essenza propria, dalla quale sorgono tutti i rapporti di competenza l' orse si crede potersi a beneplacito arrestar Pesame ad un profilo^ senza considerare i] resto» Quando ciò si volesse fare abitualmente y cd ottenere ciò non ostante una valulazioue, sia complessiva* sia comparjti^ a* lia 1® parti della figura* si tenterebbe una cosa impossibile; prcìi è i valori non possono risultare fuorché dai rapporti dì compotenza del erminati dal] unità individuale costituente e caratterizzante la data fruirà, Come la data foglia, il dato ramo di uu albero, il dato membro di un corpo animale sono determinali dall’unità organica ed unificante del tutto y così i rapporti geometrici compitemi a li ed algoritmici sona essenzialmente determinali dalFiiuità individuale c caratteristica della data figura* 1 rollami adunque ed i profili staccali delle figure non possono essere esaminati con frutto e valutati con effetto, se non eoustderandalì in relazione al tutto di cui fanno parte* Dunque in Ma I ematica procedei si dee come nell Anatomia e Fisiologia dei corpi vegetabili cd 3nimalu Dopo che si acquistò l’idea della forma, delle proprietà e delle leggi del tutto 5 si potrà certamente far uso di costruzioni frazionarie; ma prima di questo tempo sarebbe il più stolido e il piò riprovato partilo quello di proporre ad esame questi rottami e questi profili spolpati* Aidlo studio adunque primitivo della quantità estesa incominciar si deve col presentare lutto iutiero il ritratto della cvealunt matematici c passar iodi ad esaminarlo partita mente, e fino ne’suoi ultimi coni ponenti c indi ritornare con mi senso distinto allo stesso concetto complessi* \ o* che dapprima apparve contuso. Foco il perchè avendo in confi a ciato culi assumere il quadralo geometrico* credo necessaria la costruzioni et hi no Olii incrociati. Mediante questa sola costruzione si possono otieucn-' le convenienti valutazioni nei tre stati successivi già sopra distìnti delle grandezze estese quadrale*, ed ottenerle nella maniera la pia breyc3 la più facile e la più proficua. In conseguenza diffaliì dei binomi! incrociali si segnano e si valutano i differenziali 1353 poiché la sua base, come modio, è propriamente in A C. Tosto si vede che l’area di questo modio è uguale al quadrato geometrico che si può costruire sulla perpendicolare FG. Così si può stabilire perpetuamente, che il modio nato daH’unioue di due triangoli rettangoli isosceli sarà sempre uguale al quadralo delle due altezze riunite di questi due triangoli. Forse taluno crederà che la costruzione di questo modio sia improvvisata. Bene al contrario. Essa è anzi preindicata dalla costruzione a binomii incrociati. Ciò consta osservando che il quadrato del cateto maggiore del binomio verticale è appunto eguale a questo modio. Si esamini la fig. VI. della tav. 1. Ivi vedete il cateto il ID. Il quadrato di questo cateto è uguale al quadralo del detto modio. Usando del teorema pitagorico, noi non otteniamo clic la metà del nome necessario per le valutazioni dei composti geometrici di quadruplice relazione. Il tetragonismo logico non consiste nella forma quadrata materiale ed isolata, ma risulta invece dalla quadruplice possanza e compotenza variata ; così che posta la varietà, ed ommesso un solo dei termini, manca necessariamente la valutazione. IBI. Delle trasformazioni preindicale. Noi abbiamo notato di sopra esservi tre maniere primarie di costruzione della parola matematica, cioè la prima per posizione, la seconda per trasformazione, la terza per trapodestazione . Queste due ultime maniere possono eseguirsi ad un solo tratto, come abbiamo veduto nell’esempio del modio ora osservato. Ma giova il vedere come siano preindicate. Quanto alla trapodestazione, ne abbiamo offerto l’esempio: quanto alla trasformazione, serva il seguente esempio. Ritorniamo alla figura. della tav. I. Ivi vedete il triangolo rettangolo A MB. Mirate ora la fig. XV. Questo stesso triangolo lo vedete segnato AEB. Parimente nella figura VI. abbiamo fatto osservare l’altro triangolo rettangolo D M C . Ora volgete l’occhio sulla fig. XVI. Ivi vedete questo triangolo segnato in AEB. Se nella fig. XV. e nella XVI. dalla parte inferiore descriverete il triangolo eguale AI1B, voi formerete i due quadrilunghi che vedete dentro lo stesso circolo. Questi due quadrilunghi inscritti sono, come ognun sa, eguali ai quadrilunghi aventi per lato la diagonale degli inscritti, e per altezza la media proporzionale, ossia il lato comune dei due triangoli simili AEG ed EG B. Ma i lati dei quadrilunghi inscritti non sono nè punto nè poco eguali ai lati degli impostati sul diametro, e chiusi dalle tangenti J A, FB: abbiamo dunque aree uguali con lati disuguali. Ciò incomincia a somministrare l’esempio d’una trasformazione lineare più aritmetica che geometrica. Dico piu aritmetica che geometrica, perocché i due quadrilunghi inscritti sono simili ai non inscritti, ed eguali in superficie, ma non eguali in Iati. Dunque la misura e quindi la potenza dei lati è cangiala, senza che siasi cangiata nè la superficie, nè la forma complessiva generica della figura. Così supponendo che in ambi i circoli il diametro sia diviso in dieci parli, e che AG nella figu ra XV. sia eguale a 2, ne verrà che A E sarà eguale a 20, ed EB~ 80. Ma siccome il quadrilungo ABFI—AO, dunque il quadrilungo inscritto AEBJI sarà eguale a 40. Or qui d ornando se A E ed All siano commensurabili. Dunque abbiamo qui la stessa area prima compresa fra lati commensurabili: e questi sono i lati IA ed A 2?, il primo di 4, ed il secondo di 10: poscia fra lati incommensurabili, il primo di potenza 10, ed il secondo di potenza 80. Ecco quindi una trasformazione lineare. Bramate voi un esempio di trasformazione di figura? Mirate la figura \. della tavola I. Ivi la curva A L 11 è un quarto di cerchio, avente per raggio tutto il diametro A B diviso in dieci parli. La linea B d" (eguale a questo raggio) viene portata in cl" un grado al di là della metà; di modo che avremo d'Bz=G. Ora se Bd"— 10, avremo cl! d"— 8. Dal punto d" tirate la linea di' A; avremo il triangolo AdtB, la di cui area sarà 40. La di lui area sarà dunque uguale al quadrilungo superiore AJSBB. Bastino questi cenni fuggitivi per far intendere i tre stati della parola da me sopra indicati. Fra questi quello della posizione prima del quadrato dev’essere rappresentato in modo da soddisfar sempre ad un quadruplice rapporto. 132. Delle parole composte. Come vi sono parole semplici, così vi sono anche parole composte . Questa distinzione non si può comprendere fino a che non abbiasi formato il concetto della personalità della figura. Quando figurate uu quadrato, un triangolo, e qualunque altro poligono, voi da principio li ravvisate con uu concetto solidale ed individuo. Se poscia pensate che iu forza di quei dati lati, di quei dati angoli e di quella data superficie ne debbano nascere date relazioni, e non altre, voi potete attribuire ad ogni figura un carattere proprio geometrico, in virtù del quale nasceranno date affezioni e date leggi. Ecco ciò che costituisce la personalità logica della figura. Fino a che voi vi aggirale entro la sfera personale, voi non trattate che la stessa parola. Essa si moltiplicherà, se farete altre fi discorso quinto. iggs gure sìmili; ma tulio avranno la sics sa personalità* Questa si altererà, quando di due persone dlssìmUi ne farete una terza. Ognuno iu leu ile che Ih composizione non sì può coli fondere eolia trasformazione, quale sopra lu definita; imperocché colla nuda trasformi azione altro non si fa elio sostituire sotto forma diversa una data superfìcie identica ossia uguale alla prima. Ciò potrà bensì f ar cangiare i rapporti parziali $ ma essi saranno sempre puramente individuali* Cosi io potrò a lutto il complesso, considerato come un tulio ^ cangiare un quadrilungo iu un quadrato o in un triangolo, e viceversa; ma i rapporti compolcnziali delle partì riusciranno sempre puramente individuali. Un esempio luminoso delle parole composte si è quello della composizione coi quadrali peregrini, di cui sopra ho ragionato : la quale, fatta nei primi sta dii della tavola poso metrica, fa sorgere un* interna spuria incorumepsuralaililà. Nelle parole semplici, quali sono espresse nella figura sopra esaminala, questo fenomeno utm può sorgere, pèrdi è Lutto viene ivi determinato in conseguenza delia divisione data al diametro. Allora fra le divisioni di Lutto il diametro, e quelle rlcì dì lui segménti determinati dalla media proporci ou alo, li avvi sempre una perfetta coincidenza. Nelle parole originari aMffjyrE composte questa coincidenza manca. Badate bene: dico originariamente^ per dinotare che la coincidenza operata dalla successiva conversione dei nomi superficiali in lineari non deroga per nulla all7 indole fondamentale di questa logica composizione. Io mi spiego con un esempio. Spiegate la tnv. Ih, e mirate la fig. IX. Ivi vedete il triangolo rettangolo a b c. Fingiamo che èia fatto iu modo, che la linea eh sia un terzo piò lunga della a e. Avremo il quadrato della a e~4, e quello della c b = Ih II quadrato adunque dell’ ipotenusa ab sarà eguale a 1 3, Dunque qui la linea ab sarà incommensurabile. Suppóniamo ora che dal punto c sia calata una perpendicolare sulla ah. Questa £ nell* aito che farebbe nascere due triangoli rettangoli simili fra di loro, e simili al terzo che li contiene) dividerebbe f ipotenusa a b iu due parti. Si domanda ora quale sarebbe la misura dei segmenti dell1 ipotenusa, e quale quella della perpendicolare suddetta. Ognuno mi risponde, che converrebbe trovare una misura comune, la quale, senza alterare le ragioni delle quantità impostate, mi sommiti ìs trasse la valutazione bramata. Dovrò quindi determinar prima queste ragioni^ e riguardarle come condizioni inalterabili. Fissata questa preliminare ricerca, veggo in primo luogo che il quadrato di a c al quadrato di he sta co un.' h a 0, Veggo in secondo luogo che l'area del triangolo ab c è uguale a \ dell3 uno, ed a l dell'altro. Ciò premesso, ecco come io procedo, Si converta il nome superficiale di ab io nome lineare. Allora avremo bai tra ìig-m-a mgmiH^ in cui A B sarà divisa io tredici parli. Sa questa linea se pendete quattro parti, ossia ^ * voi prendete il nome superficiale dì e [p trasportate in A II Allora avete A lì— A e Moltiplicando m p I uno per l’altro, avrete D L’rzz 3G, e quindi la linea D 6T=G, Ma pr ottenere la misura lineare di I) C potete dispensarvi da questa operaione ' ta quale dandovi il quadrato vi obbliga ad estrarre la radice) col mi Implicare invece le due radici del quadrati delle a c e cb^ e dire 2X3=6; P dunque 7TLr=G5 /Jc“36. Compiendo la figura come la vedete, avrete p p da uua’parlc A L 7= 16 + 30 = 52, dall1 altra Clì—Si + 3G = MT, Som ma: 1 G9 = 1 3X13. Moltiplicando poi /) C per A /», e presa la metà, avrete barca del triangolo A Cfi 39. Ora tutti questi valori non serbano forse le prime proporzioni ? 52= I3X^ 117 = 13X'I 39 = 1 3 X 3 1G9 = 13 X 13? Qui dunque avete po r misuratore comune il nome superficiale del( T ipotenusa, iudballo che avete fatto uso della divisione lineare. Xna discostandomi dal mio proposito 5 ed incontrandomi m ila tavoli prometeica nel grado 13, e facendo la seconda costruzione ora eseguita, egli h manifesto che bavrei fatto risultare dalla divisione della radice, ossia del diametro; ma la composizione del quadrati dei cateti sarebbe forse stala primitiva, originaria e semplice ? Non mai. Qui col 52 e col I IT alidaino due grandezze che st anno fra loro come 4 a 9 se no neh è non abbiamo due nomi quadrati, ma due non quadrati aritmetici, i quali non sono nemmeno multipli dei quadrati originarli. Ciò che abbiamo eseguito qui si può eseguire in tutti i casi nei quali abbiamo cateti rispettiva meate corri mena tira bili, sia o non sia razionale 1* ipotenusa* lì i teniamo adunque, die ciò che costituisce la parola composto nJrttematica non consiste nella ripetizione o divisione materiale della Jais figura, ma bensì nella compaginala™ solidale ed univoca di più persone diverse e indipenden ti NeH’incomiuciamento del 1 28 ho indicato come terza fonte di commensnrazioue lineare le ascisse, le quali si possono dividere in parti aliquote identiche a quelle di tutto il corpo al quale esse appartengono. Yarii, estesi ed importanti sono gli ufficii loro. Spiegherò il mio pensiero con alcuni esempii. Mirale nella tav. I. la fig. XVIII. Ivi la prima ascissa DF è divisibile in tre parti decime dei diametro. Unendola dunque alla linea F F\ avremo DF' = 13. Parimente l’ascissa a et è uguale a 4. Prolungata dunque sino al fondo, avremo eia" zzi 14. Questi valori comuni e preiudicati somministrano vincoli di cognazione fra diversi nomi dell a tavola posometrica. Tutte le radici dei quadrati aritmetici, le quali, detratta un’unità 5 segnano un nome quadrato, hanno questa proprietà. Il valore potenziale della prima ascissa è appunto sempre uguale al valore superficiale della radice, meno un’ unità. Così \/5 1=4, eguale al quadrato della prima minore ascissa, e però essa sarà eguale a f; v/10 1=9, eguale al quadrato della prima minore ascissa, che sarà f0; \/l7 1 zzz 1 G, eguale al quadrato della prima minore ascissa, che sarà di 4, ec. Per la qual cosa, presa la scala naturale dei quadrati, ed aggiunta a tutti un’unità, si avranno radici colla prima ascissa razionale. Ottenuta questa prima ascissa razionale, ne viene in conseguenza tanto l’ordinata corrispondente, quanto un’altra ascissa maggiore . Gol soccorso loro acquisterete il potere ora di porre in movimento il lato del quadrato inscritto e di trovare altri coefficienti, ed ora di fare ulteriori composizioni, suddivisioni, e in fine stabilire serie estreme e medie. Mi spiego con un esempio. Ritornate alla fig. XVIII. della tav. I. Ivi vedete la DjFz=3, D C zìi 5, ed F C zzi 4. Ora su C B (che è l’altro semidiametro ) pigliate CG—acl FD ; alzate quindi la perpendicolare G E. Questa perpendicolare sarà uguale ad F C. Uniti i due punti D E, voi avrete D E uguale al lato del quadrato inscritto; avrete l’angolo D C E retto, ed il rispettivo triangolo DCE uguale ad \ del quadrato inscritto, ed uguale ad l del circoscritto. Se poi dal punto D tirerete la paralella D IL questa taglierà la linea E G ad angolo retto nel punto /,* e però avrete i due cateti D I ed 1 E. Quando il valore lineare o potenziale di essi o di uno solo dei medesimi siavi noto, voi determinerete il valore di due nuovi coefficienti dello stesso quadralo deH’ipolenusa D E uguale al quadralo inscritto. Quando non avete una radice pari, come nel caso antcGedènk', ma una dispari, cui non vogliale duplicare, allora soUciilra la cosUndoinj della hg, XI. della tav. IL Con questa voi potrete talvolta essere condollo a nomi che non abbiano veruna comune misura eoi nomi originagli dai quali furono tratti, e però potrete creare persone (Futi Carattere totalmente proprio. Cosi si ottengono le nuovo composizioni prcindicatepcDa si col Legano anche i numeri per sé primi; cosi sì passa alle analisi spechi Questo non è ancor tutto. Colle costruzioni dì movimento, lòlle eolie ascisse suddette, si passa a suddivisioni indicale, le quali sona cuiw le dissoluzioni chimiche necessarie a formar nuovi composti, lì donila nifi alla lig X\IIL della tav, I. Ivi vedete il triangolo DEL Cotte L-uliatc FaUenzìoce sul primo segmento DJ. Ivi vedete il piccolo triangolo Bit, C certo che la linea il sta alla D / come la 2?/ sta alia D L Ma E I . DI :! : 7; dunque il;D l II ì :7. Dunque si deve dividere ogni grado in fólte minuti; dunque À B sarà suddiviso in 70. Senza questa suddivìsile non potreste passare alle, couve uien li valutazioni che far dovrete nelle successivo composizioni dipendenti . Ciò ohe abbiamo osservata iti questo caso si verifica in lutti quelli nei quali accade di ottenere 1 movimenti ed i valori simili a quelli ora osservali. Questi triangoli analitici, accoppiati alla parte alla quale sono a [lacca li . sì possono estrarre da tutto 11 corpo della figura, è passare a composizioni graduali pie in dicale, e tessere una catena non interrotta di composizioni e di analisi, e quindi dedurne serie differenziali ih un uso universale. Fissate Io sguardo sulla fig. Vili, della tav. IT. Qui nel triangolo ABC vedete uno di questi triangoli analitici: cosi pure ne vedete un altro segnalo D L C*1 1 la Lo L C é quello del maggior coef6 cicale. Compiendo la figura, si ottiene sempre uu quadrato in seri Ilo iu un altro. Si hanno pure i differenziali di primo e di sccond5 ordine, valn I uttr suddivisi, ec. Il minimo triangolo poi C a b vi dà le misure comuni Ira le tre grandezze quadrale complessive di questa costruzione, alla quale impongo il nome di compasso algoritmico. Tutto questo fu accennato di volo por indicare gli nfficii che prestare o derivar possono dalle ascisse razionali . c far p rese ù lire con» ess.fi divengono fonti rii commeusurazioui discrete. Altri servigi subalterni risultano pure; ma di essi non conviene far parola che in uri Tra Lia lo fallo di proposilo. Colle cose esposte fin qui intorno agli alfabeti, alle sillabe, 'alle parole. e alle fonti di commensurazione ragionale, altro da me non 1 lì fitto, che addurre alcune pcu'Hcoltiriiìu le quali possano raccomanda re il modo col quale io crèdo clic incominciar si debba lo studio delle Matematiche, Mi rimane ancora di esporre i! magistero di quello clic appellai calcolo inizialo. Ciò ven a fatto da me nel segue n Le Discorso, 1M. Della composizione delle parole di comm co àura zio ne lineare quadrata. Problèma. Risposta, Raccogliamo in uno le membra divìse del ramo esaminalo fin qui, e riportiamolo all’ oggetto reale, sul quale caddero le ultime nostre cousiderazioni» Quest' oggetto qual fu? Il tetragonismo 5 in quanto può essere valutato discretiva mente. Intatto è ancora il campo dei veri continai^ altri meati detti incommensurabili* Qui ci siamo ristretti a cogliere le co m potenze quadrale che si manifestano per misure lineari aliquote. Qual fu il fine primario di queste ricerche? laudare una Geometrìa di valutazione. Glie cosa intendete dinotare cou questo Dome ? lo iute u do dinotare un corso primitivo analitico e compaginato di osservazioni di fatto sulla quantità estesa, mediante il quale si possano assegnare canoni plenarii algoritmici. La quantità estesa, considerata in tutti i suoi stati possibili 3 presenta uu campo immenso, nel quale si possono fare per secoli milioni dì osservazioni e di combino zio eh. Conoscere Iti Lio queste possibili circostanze, o tentare tutte queste possibili combinazioni, non può formare lo scopo logico morale e sociale delle Materna lidie | cogliere quei fatti e quelle leggi che ci possano condurre a dettare linone regole ad uso dilli a vita, ecco Toggetlo duale dì questo esame. Fra mille sìmboli abbiamo prescelto come primo il quadrata. I suoi stati diversi offrono intervalli à' una coramensurazione discreta. ì rapporti di questa co m mense razione sono dipendenti dalle leggi di com potenza, che padroneggiano tanto i discreti, quanto i continui. Avendo prescelto i gradi nei quali si può manifestare la possibilità delle valutazioni discrete ) b necessario di vedere il complessivo aspetto di questi gradi. Cosi esaminando un paese nel quale a dati Intervalli sorgono colonne miliarie3 e trovato con qual legge proceda la distanza dall' una all'altra, si può indovinare anche la distanza di quelle che non furono sottoposto al nostro sguardo, 11 tei} agonismo^ simboleggialo con blu ormi incrociali, presenta sempre due mezze proporzionali, le quali sono coordinate ad angolo retlo. Queste coordinate sono appunto un'ordinata ed un’ascissa, le quali formano due lati di un triangolo, o due lati d’ un quadrilungo. La diagonale di questo è costituita dal raggio. Cercare a quali intervalli queste coordinate siano commensurabili, o possano divenir tali, ecco il primo argomento dell'esame del tetragonilmo simboleggiata. Posto questo argomento di ricerca, si può fissare il problema die serve di multalo delParalisi premessa. Questo problema è 31 seguente. =sDato qiuiluDijni quadralo aritmetico, trovare radici che servano a formare sempre due quadrati, la somma dei quali formi un terzo quadrato. = I, Prendete un quadralo aritmetico qualunque, ira eoe l’am Scrìtto il quadrato, detraete da lui mi' unità. II residuo (z/) segnerà h radice di uno dei coefficienti. Ih Prendete la radicò di questo sLesso quadrato 5 c duplroalcla. Il prodotto ( B 1 costituirà la radice quadrata del secondo coefficiente. HI. Prendete ancora il quadrato assunto, ed aggi ungetevi ni/ imiti La somma (£)5che oc risulterà, formerà la radice quadrante della somma suddetta. Così potremo rappresentare linearmente cou un triangolo rettangola tutte queste radici. E quindi // sarà eguale al primo cateto. B sari eguale al seco □ do cale Lo, C sarà eguale all7 Ipotcnusa. Qm, come oguuu vede, per tonnare A si sottrae; per formare Ètì moltiplica: per formare C si aggiunge. Le operazioni cadono sullo stessa oggetto, Dato un quadrato numerico, se aggiungete a lui un’ .natili, sorge n u’ ipotenusa : se la togliete, sorgo uno ilei cateti: se duplicale- la radice, sorge Tallio cateto, il rama le voi di tessere in un modo immediato c semplice laverie di questi catc li e di queste Ipotenuse? Scrivete una serie che incominci dal o . e progredisca in definì la mente 5 colla differenza di due fra ogni termine. Scrìtta questa serie, se volete ottenere i cateti 0 scrivete un 0 ; 0 sommatolo co! primo termine, seguitate a sommari;, come ali i 1,1 Esempio h { i 5 A et 4 + 1 = 5 C, 5x3 = Jj 4 x 4 j6 h X h = a:S a* B3 C1 Esempio II, 1 s A 1/3x2= fi il 9 -Jr = io c Sx 8— Ci A' fix 6= 56 B3 io X ro too C'J A 22. a i?= G a c a8t) l/,vuijitù IN. ifi 1 il, A K4x& a B i fi q - 1 1 ^ c Fiatilo l'alto nel generare la potè □ za delle ascisse circolari. ìSe volute ot- tenere ripoteuu&a C? scrivete sotto ai 5 un altro 5V e fate lo stesso. Ecco un saggio. Serie fondamentale 5 7 9 lì 1 3 1 5 ec* Serie delle ipotcnuse 5 IO 17 2G 37 50 65 ee. Serie loudanientale CaLeli A B 5 7 9 1113 15 ec. 3 8 15 24 35 48 63 4 6 8 10 12 14 Iti Pigliate su t numeri, e fate le figure; avrete: a b 3 4 c a b S 6 c 10 rt h lo 8 ce. ce, C 17 Le due prime ligure a b sono i due cateti ossia le due radici dei coefficienti; la terza, segnata c, è V ipotcnusa, ossia la radice del quadralo risultante. V1 accorgete voi qui dì avere in roano i mezzi termini per costruire lutti i b inondi incrociati discretiva mente valutabili? V’ accorgete voi die ; rappresentali questi elementi colla forma sviluppata conveniente al te Ir agonismo, voi avete in mano b ordinate^ le ascisse ed il raggio., lutti fra loro commensurabili, e per ciò stesso avete in mano i tre mezzi term i o i n e e e e sa rii al tei ragon ism o di-sere io? Per intendere quos to risellato mirate ìa fig. \ L delta tav. T., e paragonatela colf esempio pi imo sovra prodotto . In quest* esempio abbiamo it cateto a = 3* Mirale nella figura Lordi naia M Q: ecco questo cateto. Nello stesso esempio abbiamo il cateto b— 4. Mirate nella figura L’ascissa M c : ecco questo secondo cateto. Nello stesso esemplo abbiamo V ipotenusa o = 5. Fingete nella figura II raggio MQ: esso formerà V ipotenusa rispetto ai cateti M Q ed ili (\ corno costituirebbe la. diagonale del quadrilungo M C 0 Q. Ottenuti questi tre termini, voi loslo compite le parli tutte sìmbolidie del tétragOnisiiiò ed avute tutti gli altri valori lineari e potenziali del binomio incrociato t e quindi gli elementi fon darti onta Li della valutazione discreta. Ciò die qui Iio mostrato nel primo grado della detta serie si può eseguire in tutti gli altri gradi : c però il cateto minore forma V ordinata, il maggiore Y ascissa ^ F ipotenusa il raggio. Quelli forbimmo nel tei ragù r i ism o i m c % % i termini dell a disugu ag l la n za ; ques la della eguaglianza. Così abbiamo tutta la scala graduale dei binomii incrociati valutabili discretivamente, e il modo spedito di descriverli. Dico anche il modo spedito di descriverli ; imperocché costrutto un quadrilungo coi lati disegnali pei cateti, e tirata la diagonale, e con questa diagonale fatto raggio di un circolo, si hanno tutte le condizioni per compiere la figura. Costruite adunque geometricamente i gradi successivi di questa scala progressiva, e voi incomiucerete a disegnare il primo ramo della Geometria di valutazione, della quale ho parlato di sopra. Non tutto questo ramo con ciò viene disegnato, ma un solo profilo del medesimo. Qui non si vede altro che una progressione in serie, ma non si ravvisano ancora i periodi singolari della medesima, e però uou si scorgono i punti rispettivi degli estremi e dei medii singolari, in forza dei quali tutta la scala si può ripartire in tanti tronchi, ognuno dei quali contenga una propria sfera di compotenza estesa e sopra e sotto fiuo ad un certo grado. Le ascisse e le ordinate suddette furono qui assunte in modo, che il lato maggiore del triangolo rettangolo servisse di raggio ad un cerchio, per cui ne sortisse la fig. VI. della tav. I. Il tetr agonismo discreto adunque fu qui rappresentato sotto forma, dirò cosi, quadruplicata e di un uso immediato; ma questa forma si può cambiare, e far sì che le due coordinate formino due corde d’uu semicircolo, al quale il raggio serva di diametro. Allora, come ognun vede, le due coordinate esercitano un impero proprio, indipendente ed unito, in forza del quale convien ragionare con altri rapporti. Qui è dove nasce la spuria interna incommensurabilità nel costruire il binomio incrociato. E per addurre un esempio luminoso io sceglierò il sesto grado della serie. 49 1 =48 V 7X2 = 14 49 + 1 = 50 Ognun sa che, preso un cateto eguale a 30, l’ altro eguale a 40, si ha internamente tutto il razionale; di modo che la mezza proporzionale è uguale a 24, il primo segmento dell’ ipotenusa è uguale a 18, il secondo eguale a 32. Parimente nell’ altro binomio l’ ipotenusa è divisa in 49 ed 1 ; di modo che i Iati dei triangoli simili, che fanno le funzioni (li mezze proporzionali, coincidono colle divisioni assunte dell’ ipotenusa. Tutto ciò segue in conseguenza del binomio sommato di radice 30 e 40. Ma colla divisione del sesto grado della serie ora espresso non accade più questa coincidenza, e quindi avviene una spuria incommcnsurabililà, come nei quadrati di composizioue peregrina. Onde veder lutto mirale la lig. XI. della tav. I. Sia _///?:= 50; sia MC~ 1 4: sarà M D— 48. 14X'l/i19Gz -MC 48 X 48 = 2304 = M D Somma 2 5 0 0 ~ D C Domaudo qui: cosa sarauuo il/ T, C T, TD, o almeno la loro potenza? che cosa saranno i latino almeno le potenze dell’altro biuomio? e però, che cosa saranno AM* MB, A R, RB, RM, o almeno le loro potenze? Ognuno troverà, che per rispondere a questo quesito convieu distruggere la spuria incommensurabilità che nasce pel motivo che la linea M T non cade su alcuna delle divisioni stabilite alla D C, e quindi stabilire una comune misura. Tutto questo vien fatto in una maniera immediata, senza Algebra, e senza il lungo giro delle proporzioni, come sopra si è veduto. Questo sia detto di passaggio. Al proposito nostro mi giova osservare, essere questo un altro aspetto del ramo dei commensurabili lineari, mediante il quale si passa ad altre ricerche e ad altre affezioni del tetr agonismo discreto . Con ciò si tesse anche una serie di binomii sommati di composizione peregrina, la quale nasce dalle differenze a specchio della serie dei quadrati naturali, come abbiam veduto al 127. A questi, dopo la comune misura, si aggiunge Y altro binomio sommato incrocialo. Questo nuovo aspetto tien luogo della teoria delle frazioni o dei frazionali, perocché appunto convien suddividere (salvi tutti i rapporti di proporzione) l’unità elementare assunta in più minute parti. Per tal modo si ottengono i nuovi rapporti di compotenza colla legge di omogeneità, e coll’unità dei nomi. Io mi riserbo a dimostrare che quel meglio che si dà in Algebra non forma nemmeno l’abbiccì dei vero e pieno algoritmo naturale . Lascio il modo grossolano e anlifilosofico dell’ estrazione delle radici sorde, e attenendomi al solo razionale, dico essere ben poca cosa l’elevazione delle potenze e il maneggio dei poliuomii ec. tal quale viene praticato. Colla scala dei binomii sopra seguata si fa realmente passare la grandezza quadrata da un grado all’altro, e però si ha una serie di trapodestazioni. Tutti i nomi quadrati della tavola posometrica sono convertiti in tante ipotenuse, coll’aggiunta di un’ unità. Allorché poi si uniscono due quadrali in una figura di cateti per formare un biuomio indipendeute? si La il metodo universale delle frazioni accomodato sempre al quadruplice rapporto del le trago [risma. Preparati questi materiali, si può passare a tutte le funzioni aho. ritmiche cLe si vuole con im processo proindicato uclle sue poloni, obbligato nel S1I0 maneggio, e plenario nelle sue conclusioni. Largii sono i gradi dell'espressione razionale; c lauto più largiti, quanto più sono compatii ed apparentemente contigui. La cosa è tale, die ih il primo e secondo grado accade la duplicazione lineare, e quindi la quadra* pi reazione superficiale. Riteniamo perpetuamente, che nella quantità estesa . trattata aritmeticamente, col progredire si divide e suddivide a guisa di raggi distribuiti iu tante zone circolari, le più lontane .(Itili [uà i accolgono tutte le divisioni antecedenti, e vi aggiungono lo proprie, iNTot.a I. al H9, pag. 1294. Dell*, analisi dallo prime idee matemàtiche. Le prime idee Fondamentali e perpetue adoperate hi Matematica sono quelle di estensione e di numero. Ma sull* una c sull'altra idea si arrestano forse i prece Li ori come si deve ? Fanno essi sentire la differenza logica fra la prima comparsa (cui direi materiale) di queste idee, e l'ultimo loro concetto 3 die può dirsi intellettuale? Fanno essi notare clic in Matematica noi abbandoniamo il primo, e ci prevaliamo costantemente del secondo? fi vero che l' idea di estensione è un1 idea tanto semplice, quanto quella del colore, dell'odore ecq nè si può definire, ina solo connotare. 1 Vgli e vero del pari che Videa di ostensione per sè sola è astratta, perchè in tintura noi non possiamo figurarla per sè esistente, ma solamente come qualità dì un ente reale. Ma egli è vero del pari che, In forza di altre operazioni nostre intellettuali, questa idea primitiva e materiale subisce tali trasformazioni, per le quali ella forma una nuova materia tutta propria del mondo ideale, e somministra leggi applicabili vigorosamente al solo escogitabilePer essere adatte al fisico a b l>ìsogna no o di detrazioni o di supplementi, come tuttodì cì viene attestalo dalle scienze fisiche c dalle arti meccaniche. Ognuno converrà, dopo quello clic Tu no Lato nel 1d7, clic in Matematica noi investiamo Y estensione col concetto delVass cinta continui* lù, di cui fisicamente manca j c nell’ ano stesso la priviamo di solidità, ossia la rendiamo assolutamente penetrabile. Allora assunta ì*cstensìone.3 o a dir meglio il fantasma mentale dì lei il più astratto possibile, è tolto allo stesso ogni limite determinato, noi ci eleviamo in fine all'idea dello spazio assoluto, la quale forma In sostanza V ni timo concepimento intellettuale ed artificiale deli estensione. Che cosa è dunque lo spazio? V idea dèli1 esteso continuo indefinito. Dico V idea j si perchè, quanto a noi, nulla esìste so non por le idee die nc abbiamo j si perchè è dimostrato che Fu ni verso stesso non è che un fenomeno ideale di risu fiato necessario e sì finalmente perchè noi conósciamo la genesi logica dell'Idea dello spazio, c ben d accorgiamo essere egli un grande fantasma configurato dal nostro pensiero. Sìa pur verri eli e non possiamo immaginare corpi distanti, senza figurarvi uno spazio intermedio. Sarà sempre vero che lo spazio assoluto costituì ra 1 idea generale che racchiuderà tutti i possìbili intervalli, e che questi intervalli si considereranno come Laute partì di questo spazio assoluto* Qua bè la differenza che passa fra lo spazio assoluto e la superficie piana geometrica? Quella clic passa fra un' indefinita atmosfera che ne circonda, e nella quale siamo immersi, ed un piano imaginano di quest atmosferaConsiderate voi questo piano limitato e circoscritto? ecco la figura piana geometrica. Considerate voi questo piano indefinito? eccovi una superficie indeterminala. Ma si Luna che V altra superficie sono della slessa pasta si La loro, che fra Io spazio assoluto. La differenza consiste solo nei Limiti elio il penaìer nostro \\ aggiunge» Questa identità fra il tutto e le parti, questa identità suscettibile tarito di divisioni grandi e piccole, quanto delle varie forme Mille escogitabili, costituisee appunto il fónda mento eri il principio della possibilità delle commensurazioiu c delle valutazioni escogitabili. Senza di questa identità di natura, eq^. sta varietà di forme e di misure coesistenti ed associate nello stesso oggetto, etssa. la possibilità ds ogni logico paragone c d' ogni dimostrativa induzione, Con ! questa identità e suscettibilità dì divisione e di forme il numero sia nascosta nel1 unita, e Y unità investe la moltipiicith con un semplice ed individuo .ecncfitlo* Poste queste considerazioni indubitate, io domando se sia o no necessario dj stabilire queste prime nozioni come il perno massimo sul quale versa la Ma| tematica pura? se sia o no necessario di porle nella più chiara lacere di co-n£ rassegna rie come anelli di passaggio, i quali connettono la co in un e razionali filosofia colla scienza ridia quantità estesa escogitabile 2 Senza la genesi 5vitup* pata, senza ^esplicita coscienza dell'Ìndole Vera e della potenza propria delfc^gelto studiato s non t forse manifesto che maneggiamo cià che non conosciamo., die camminiamo senza bussola, e inventiamo solo per caso? Ora clic cosa viene praticalo nell' attuale Insegnamento? Il pritTìO mateiiaic e fortuito concetto d diptero viene assunto tal quale si affaccia a primo iniLto alla mente nostra, e si passa di sai Lo ad un alleo genere d'idee che pare la stesso, e che si assume come perfettamente equivalente, mentre pure eh 'egli l logicamente diversa* Che cosa ne segue da ciò ? Con un accozzamento imi ig ss lo si corrompono i veri concetti geometrici. Là seconda idea fondamentale e perpetua, della quale facciamo n$o ndlìi Matematica pura, si è quella del jvumsro. Anche questa idea, ai pari di quella del L esteso, dev3 essere considerata in due stali diversi* Il primo è quello di prima comparsa meniate ; il secondo è quello di risultato di ragione. Nel prima stato ella è un' idea di puro assunto; nel secondo ella e nozione Jilésof cu. quasi tutte le nostre idee morali si veri deano questi due statiE però plbrcàvii tratta di defluire se suole dai più diligenti distinguere la semplice slgnifcuziom ilei vocabolo dalla definizione lo pie a ; la definizione nominale dalla JihsoJìcà. Nella nominale $\ esprimono appunto le idee di assunto, cioè quali nei coutil senso si affacciano a primo tratto alla mente nostra* nella filosofala per lo con^ Irario si esprimono le idee di risultato^ vale a dire quelle che dopo un esatta disquisizione si trovano costituire gii attributi essenziali e perpetui del dato Oggetto* Nel parlare del numero conviene diligentemente presentare amen due qui* sti stati. Ma che cosa si a fatto sin qui, alLro che ripetere da lutti la défniìXW^ nominale di Euclide, alla quale Newton volle aggiungere quella delle eaàfér guenti logié numeriche? Ma domando io se la definizione di Euclide sia la vera o pieno nozione filosofica del numero, o non piuttosto la prima idea, dirò cosi, materiale del numero'? Badate bene alla quistione, Jo non dico che la deli ardo ne di Euclide sfa falsa; dico solamente ch'ella non ò la definizione filosofica àcl nu> in,*!'.'. I indicazione materiale di mia cosa non è falsa j ma la indicazione o Ja descrizione materiale non è una definizione. Euclide deli ntsce il numero cóme segue : IVumerus est ex unitatibus compost ta jnu hi nido. Per ben conoscere filosoficamente che cosa sia ì inumerò è necessario di esaminarlo tanto come fenomeno me ntale, quanto come oggetto avente la sua logica essenza. Esaminandolo come fenomeno ? noi indaghiamo da quali cause egli derivi, e come agiscano queste cause onde produrlo: esaminandolo poi come oggetto logico, noi lo raffiguriamo a guisa d’ un essere di regione, del quale dcterminiamo i caratteri essenziali. La chiara c completa enumerazione dì questi caratteri essenziali costituisce appunto la logica definizione del numero che ricerchiamo. Ora considerando iit primo luogo il numero come J'en amen o mentale, noi in» fine troviamo ch’egli altro non è che l'espressione unica ed indi visibile dell azione simultanea del senso discretivo e comprensivo, come il corso di un pianeta e l1 espressione delazione simultanea della forza centrifuga e delia centripeta. Dico che questa espressione è unica ed indivisibile ; perocché tanto il concetto solo di oggetti dispersi e veduti ad uno ad mio, quanto il nudo concetto isolato delibi trita non somministrano fi idea di numero, ma si esige una pluralità da noi compresa e veduta in un solo concetto. Ma siccome il distinguere più cosce funzione del senso discretivo, e il comprendere ed unificare e funzione del complessivo* cosi ò per se chiaro che il numero, consideralo come efe nome no mentttle7è fi espressione della simultanea azione di questi due sensi. Passando poi a considerare il numero come oggetto avente la sua logico es* senza, cadono tutte le considerazioni da me fatte negli antecedenti Discorsi, L’idea dì numerò è d’un uso assolutamente universale, e si accoppia a tutti i concetti nei quali interviene pluralità ed unite. Essa si nasconde nell esteso continuo per parteggiarlo in parli escogitabili; essa si avvolge nello Spazio assoluto per dividerne gli Intervalli; essa investe la successione per dar essere al tempo; essa percorro le serie per distinguerne le partì anteriori e le posteriori; essa si interna nelle forze per segnarne i gradi ; essa si ripiega sulTaninio per annoverarne gli aLti, cc. ec. Ma in tutte queste funzioni ih numero presenta sempre la stessa essenza logico, e si mostra sempre come effetto composto ed individuo dei due sensi sopra notati. Da ciò si può intendere che I estensione matemai tea in ultima analisi è un effetto di questi due sensi, e viene ini medesima la nel numero* Allorché nella Matematica pura si fa uso del numero, si fa forse dai precettori avvertire che si assume il numero solamente maritato C°H esteso, e però non si prende in considerazione che una sola fra le moltissime comparse logiche iM numero? Allorché poi ci isoliamo all1 Aritmetica, si faforse avvertire che assumiamo il numero spoglialo e solitario, e solamente appoggiato alla nuda idea di esistenza? Nulla, nemmeno per sogno, sì fa di LuLto questo; c solamente facendo valere un cieco impulso, si confonde ogni cosa. Allora nascono le improprie denominazioni di numeri intieri e di numeri rvtìi, invece di dire numeri assolati c numeri relativi ; allora nascono le radici sorde, e peggio poi le imaginane ; allora per dire che una quantità è al di sotto dello stato di eguaglianza si denomina minore dello zero ; allora s’inventano enigmi, nei quali si tira in iscena Y infinito a fare da mago, per coprire da una parte col suo manto o l’ignoranza o T impotenza, e per allontanare dall’altra il mondo dall’ indovinare il mistero tenebroso. Mancando la limpida e filosofica nozione del numero, si sovverte o si violenta anche quella dell’ unità. Io trovo in Leibnitz il seguente passo: «Quandj’ai » dit que 1 unite n est plus résoluble, j’entens qu’elle ne sauroit avoir des par» ties dont la notion soit plus simple qu’elle. L’ unite est divisible, mais elle n’est J> Pas rdsoluble; car les fractions qui sont les parties de Yunité, ont des notions » moins simples, parce que les nombres entiers ( moins simples que Yunité) en» trcnt toujours dans les notions des fractions. Plusieurs qui ont philosophéen » Mathematique sur le point e sur Yunité, se sont embrouilles, faute de distin» guer entre la résolution en notions, et la division cn parties. Les parties ne i) sont pas toujours plus simples que le tout, quoiqu’ellcs soient toujours moia» dres que le tout. » Opera omnia, tom. IL pag. 332. Che cosa vedete voi qui, altro che un confuso presentimento, nel quale le idee non essendo ben disceverate, si accozzano aspetti incompatibili? Distinguasi 1 unita aritmetica dall unità logica, Y individuale dalla complessiva, e tutto rimarrà conciliato ed illuminato. Noi abbiamo già spiegata questa distinzione nei paragrafi 36. 37. 71, ed altrove. Leibnitz dice che 1 unità è divisibile, ma non risolubile. Distinguo: o mi parlate dell unità aritmetica, o della geometrica . Se dell’aritmetica, nego che sia divisibile, perche 1 idea nuda di esistenza non è divisibile : l’ irresolubile e l’indivisibile qui sono tutt’ uno. O mi parlate dell’unità geometrica, e qui suddistinguo di nuovo: o mi parlate dell oggetto materiale abbracciato ed investito dal concetto complessivo esteso o mi parlate dell’idea individua ed astratta che da forma all oggetto stesso. Se mi parlate dell’oggetto materiale suddetto, concedo eh egli sia divisibile; se poi mi parlate dell’idea astratta ed individua del1 unita, io nego eh ella sia divisibile, salva la sua essenza. La divisione o fa nascere altre unita similari, come la facoltà d’uno specchio rotto moltiplica le stesse imagini ; o fa nascere altre Jorme diverse, come i triangoli che dividono un cei chio. Nell uno e nell’altro caso però la vera unità complessiva è assolutamente perduta. Dunque Y unità logica, presa nel suo semplice e rigoroso concetto, non è ne risolubile, nè divisibile. Dunque Y unità estesa, presa soltanto come corpo dell esteso, è divisibile; ma non è divisibile la forma logica chela costituisce, senza cessare d’essere unità. Allorché presso i sommi genii delle Matematiche convien disputare sull abbicci della scienza, avvi o no motivo di bramare una ristaurazione ? imi Nota II al suddetto. Sullo studiò anticipato dél-V Algebra. il celebre Newton riguardava cotanto necessario di far precedere le studio della Geometria a queliti dei l'Algebra., che spesso dolorasi di non avere incoiai intinto coll"1 applicarsi di proposito alla Geometria degii antichi, n Mane (cioè quella Geometrìa) esse voluti praeparationem Ànalysi addi scenda t abunde Lestaji iLis est Isaacus Newtorms f quemadmodum eutn dìt-ère solitum refert llcnrijj cus Pembertonus in praefa tiene ad Phìlosophiam Newtonianam. Doluti saepen numero vir summus, quod rum se studio mathematica totum iiadidisset, priits „ sdChartesii Gcomehiam aliosque scrìptores aigebmicos progress us fuisset, quam » Elemento liudidis attente perlegeret. Nec utujitam probavii tiorum conrilbì m, jj qui Geomelriae mcllmdo syrnhetica veterum prorsus neglecta, in solo calculo algcbraico studìum ornile consti m paia se ut E qui questo commentatore di Newton soggiunge: Nam s ut alia omìttani:, ahsquc ornili Geomelriae » praesidio vii calai lo algebra 3 co focus esse patos tj elpraeterea ii qui ad ahi ora ji proficisei volent, esperimento intelÈigent plora interdum oecur rere probiemata, » quae metti odo ve torti in multo brevìtis et degan Lì us solvuntur, quam per caln eolum amdyticum, qui persa epe ad modula perplexus et o pero su s esh » Altri insigni geometri posteriori s e fra gli altri il celebre Mascheroni nella sua bella Opera Della geometria dèi compasso, osservarono clic in molti casi col soccorso dall'Algebra non sì può giungere alla soluzione dei problemi -, c questi casi, come osservò un altro valente matematico, sono quelli nei quali le condizioni della soluzione dipendono dal carattere particolare e limitato delle figure. So diffatti il generato riceve la sua possanza c la stia forma dal generante, e non questo da quello 7 se dì più questo generato, non raccoglie in sè stesso che i rapporti comuni a molti generanti-, ommessi ì pvoprii ad ogni particolare, egli è logicamente impossibile c lic V Algebra, figlia delle generalità geometriche ed aritmetiche., possa supplire a tulle le ricerche speciali. Tutto questo nasce io conseguenza del tenore intrinseco deiralgontmo algebrico. La filiazione essenziale di lui è tale, clic si riprova come strano travolgimento l' insegnare 1* Algebra prima che 3 di lei naturali fondamenti siano resi manifesti e familiari. Le idee assolute debbono precedere lo relative, e quelle dei rapporti generali debbono succedere a quelle degli oggetti dai quali essi derivano, Senza che voi stesso ve ne a vveggia te 3 sentite a primo tratto un urto, una violenza, ed un tenebroso che vi respinge tutte le volte che volete affrontare, o che altri vi vogliano far affrontare un oggetto di rapporto senza la cognizione {.} AWkmtH/m unhemlìs /«*»« *>»Cfip.IProp.I. SflhoEona -%P»g6M^'oiodi G:>mwvutarhim* martore. Antonio Lee, lari r758: ex lypugmila Biblioteca Ambr. chi De nielli odo mcXytko. Lih. IL Bari. I. apucl Marcili 1, tk-i termini fondamentali. Ciò ù comune a qualunque scienza. La Ma le malica ha pai questo di particolare, che gli end primi della medes una essendo per sihtEssi Sommamente intellettuali e fattìzi!, non può somministrare le ultime sue foriti^ generali fuorché come prodotti d} una terza sfera del Lutto lontana dalle idee consuete alla specie umana, jNciretà in cui una corpulenta e tumultuante fan tasm non può ad un solo tratto convertirsi in una spirituale e pacala intdlellualilu, nulla vi può essere ili piò ributtante e di più violento del partite di ferie ricevere i prodotti dì questa terza ed ultima sfera artificiale spiritual iz^, fot la qual cosa ù sempre avvenuto t come avverrà sempre, quanto narra il lodato commentatore: « AnimadverU longo a ano rum esperimento > ex quo lapidarli >j hunc volvo erudicndae in mathemalicus (disciplinisi s t udiosac juventnlb, adoj> ìescenles plerosque Geometri ani, Medi a ni cen, Sia Eicon, rdiquasqoc Malheu seos aijipéniores partes avide il la 5 qn idem arripero., ijsque so totos d edere. Al w gebram v ero Ita o m i i es prop c fastidiose reqr > ti e re, ni a I i ire 1a l o confe.$ I i m ped c j> ante hujus discendae voi uni a Lem abficknlp quam ÀÌgebram ip.sam primi), Ut » ajuntj e limine sa luta verini j ali! vero oliquot post mensibus, ne clicum fUebuSj. » verccundius castra deserant; pauci admadum innpepLo persista ut; » (d A questo grido costante ed energico della natura non solamente si sono ned sordi j precettori matematici > ma hanno vie più imperversato fino ai puntadt premettere e rendere assorbente V insegnamento dell 'Algebra ; ed alcuni hanno spinto le cosa al punto d’insegnare la Geometria per via di semplici coordinata Questo e 1 estremo della stoltezza c dell' assurdo, e questo è l'ultimo attentato contro la vita slessa delle Matematiche. Malìa prefazione al suddetto trattato, sull’uso sussidiario dell’algebra. L’ufficio dell’Algebra di venire in sussidio allorché il numero delle parli non é conosciuto, non si può verificare in un senso assoluto in tutte le materie. Nella Geometria, per esempio, allorché incontrate l’ incommensurabilità spuria, voi mediante l’Algebra non ottenete che una volgare approssimazione, la quale da una parte riducesi ad una vera frustrazione, e dall’altra ad una privazione di luce dannosissima. Molti esempii io potrei allegare • ma qui mi contenterò di un solo. Ad un valente matematico ho proposto il seguente puerile problema. = Dato il diametro di un circolo diviso in 58 parti, e dati due cateti, l’uno dei quali sia eguale a 40, e l’altro a 42, avremo si i cateti che l’ ipotenusa razionali. Dal vertice del triangolo rettangolo calate la perpendicolare sul diametro: essa costituirà la media proporzionale fra duesegmenti del diametro. Dal centro del circolo elevate pure il raggio perpendicolare: esso riuscirà paralello alla suddetta media proporzionale, e farà nascere la linea intercetta fra l’estremità del raggio e l’estremità della media proporzionale suddetta. Ora si domanda: quale sarà la misura lineare, o almen potenziale, tanto dei diversi segmenti del diametro, quanto della media suddetta? In conseguenza quale sarà il secondo binomio incrociato ? = A f ine di rispondere a questa interrogazione ognuno vede essere necessario di trovare il comune misuratore,* e per far ciò conviene usare del metodo indicato. Ma volendo a dirittura tentare coll’Algebra la soluzione del quesito giusta i metodi adottati, sorge l’inciampo della 1/2, la quale rende impossibile ogni valutazione definitiva domandata. Ecco ciò che al detto matematico e ad altri pure avvenne. Oltre di far mancare la soluzione definitiva, si toglie 1 adito di vedere la varia legge colla quale la stessa spuria incommensurabilità suole agire nei varii casi. Cosi, per esempio, se nel caso recato nel 130 vedemmo clic dopo la suddivisione i primi cateti rivestono una misura meramente potenziale, noi troviamo che nel caso presente essi ricevono ancora una misura razionale . Cosi pure si rivela il fenomeno d’ una compotenza concentrata, la quale a guisa di germe racchiude una eminente virtù algoritmica, per la quale passandosi dal superficiale al lineare, o viceversa, si assoggettano le moli elittiche allo stesso trattamento delle circolari, e si compie con due radici la misura finita delle elittiche, come si compie con una nelle circolari. In conseguenza le cognazioni, l’influenza, il passaggio, il predominio, ed altre tali cose, si manifestano all attento indagatore. Questi ed altri tali lumi sono tutti perduti, attenendoci al1 uso esclusivo o male applicato dell Algebra. Quando col segno X ? od altra lettera, voi disegnale un' incognita, voi non definite mai if carattere naturate di ques fincognita. Ma se dà questo caràtteri* dipendessero i rapporti logici della sua valutazione, non è forse manifesto clic i risultali riuscir dovrebbero o ambigui, o impotenti, o fallaci? Resta dunque* /issare ancora la dottrina de 11’ app He abilità dell* Àlgebra alle diverse materie ed ai vani casi die si presentano ncfla Matematica pura. I_ rosegtio senza interruzione {'esposizione delle nozioni fondamen¬ tali die dovranno formare la maLcria dèlT insegnamento primitivo. Le osservazioni de me divisate sul libro do! signor W ronski sono subalterne a queste nozioni . Esse debbono servire a sebi a ri re o a confermare alcuni tratti, cui non potei maggiormente sviluppare dapprima. Non per ismauia di criticare, ma per necessità d'istruire, ho divisato di esaminare il libro suddetto. Io bo in co in in ciato colfesporre i fondo menti della Geometria di valutazione, cui il signor W rem db chiama Geometria algoritmica. Coti questo nome egli disegna quella che volgarmente vi en chiamata Geometria analitica. Qui il nome dì analitica viene desunto dall1 Algebra, appellata Analisi. L'Àlgebra 5 come venne caratterizzata da Leibnitz, altro non à che la scienza generale delle grandezze lì ci Le. da questa scienza generale ha i suoi fondamenti e la sua origine nei particolari, uè può essere intesa, uè di buonavoglia a ffro n t a l a, fu orcb è d a Ics te già i m bevute dalle cognizioni dei particolari Produrre e dimostrare questi particolari, ecco V oggetto e i limili della Geometria di valutazione destinata agli apprendenti. Essa noti è dunque la Geometria analitica usitata, ma bensì una p ile fa razione a questa Geometria. In questa preparazione fatta a dovere si ordiscono tulli gli arti Li eli dVin nuovo calcolo. Il solo vero ed il solo utile: io voglio dire del calcolo di unificazione annata, nel quale sì vanno a fondere tutti gli algoritmi conosciuti fui qui. La Geometria che conosciamo non ci somministra che altrettanti amminicolh i quali (issano alcune condizioni-estrinseche di questo calcolo. Essa anzi aspetta da lui la sua unità e la sua possanza. Una leg.au imperiosa ci sforza a procedere in ordine inverso di quello col quale L concetti della quantità nascono di fatto nella mente umana. Per insegnare con vie u distinguere, connettere od esprimere, mentre pure else n pluralmente iu cominciamo coll' ammassare e col confondere, Tom, I. Quest’avvertenza é importante $ perocché se, amando di ripesare sopra un finito certo, iu cominciamo a studiale e ad occuparci per eiezione dd partito c del dìscret&Q elementare 5 noi dall* al tra parte siamo segreta* monte tratti ad iti cominciai'1 per natura coll' unito e col caulinno complessivo, e sempre alludiamo a lui, [ u segreto antagonismo fraia ragù* ne clic distìnguo e divide» e fra il senso die confónde ed unisce, sospiuge la me ule nostra per una via di mezzo, odia quale convìen transigere perpetuamente col senso discretivo e col continuo, nell* atta pure, ck sin ino costretti od esprimere successivamente le affezioni di queste due Jorze mentali. La necessità di dimostrare le cose a brani successivi fa sì clic eoa possiamo raccogliere il vero concetto delle cose die alla fine della trattazione; e frattanto siamo condannati ad nua sospensione di giudei, die Irrita la nostra impazienza, o die ci porta a conclusioni precipitata. Ma per adoperare diversamente converrebbe avere una mente divina die apprende, distingue ed esprime ad un solo tratto. Ciò sia detto per rendere ragione dell1 andamento usato nel Discorso antecedei] le. Ivi avendo impreso ad esibire I primi materiali dell’ insegnamento primitivo delle Matematiche, fui costretto a separare Tesarne dei quadrati aritmetici dai non quadrati intermedi]. Dico degli intermedi!, perocché i nomi non quadrati in genere non possono tonnare oggetto di primitivo insegnamento, co. Ma in questa separazione pura me Elle mentale, fatta solo per agevolare Tesarne delToggetto proposto, io udii ho mai preteso di snaturare il vero concetto delle grandezze estese* t meno poi Intesi che fosse om messo l’esame dello stato interno delle grandezze da noi studiate. Io ho voluto sollaDto che venissero cólti i grandi e progressivi intervalli nei quali si annunziano i tuoni Interi razionali, riserba adorni di compiere lo spazio Intermedio, ossia di segnare I algoritmo necessario a valutare logicamente questo intermedio. Dare un saggio del metodo di valutare questi spazi! intermedli forma appunto il puma oggetto di questo Discorso. Dico il primo, perocché il secondo consisterà uclTesame del libro del signor "YYrouski* Io debbo necessaria mefite restringermi a pochi Lraili primitivi, ed esporli in un modo intelligibile ai non matematici. Le osservazioni si presentano In folla. Io trascesile! ó quelle sole che vanno a dirittura allo scopo proposto. Primo snggio dell' algori Imo dei continui dittici, Esempio; valutare il quadrato deli’ eccesso della diagonale di un quadrato rispetto al quadrato del Iato. Fissale lo sguardo sulla lig, IX. della lav, I. Sia descritto il quadrate A CD lì, e siano tirate le rispettive diagonali A 1\ BC. Presa la metà di una delle diagonali {e cosi, per esempio, la C K ), si faccia centro ju C, e si porli sui due lati CD e CÀ, li compasso taglierà la CD nel punto IL e la CA nel punto EParimente fatto centro in A, e presa Salila metà A Iv, e portato il compasso sul lato AB, questo verrà tagliato in GFinalmente fatto centro in IL e preso il raggio D K, e portato il compasso sul lato D lì 5 questo verrà taglialo nel punto F. Congiungote i punti, e voi avrete; Luil quadralo interno E GII 1 di un'area eguale alla metà dell3 esterno; 2.° avrete il gnomone E 111 I)B A di area eguale al detto quadralo interno. Questo gnomone è ripartilo in tre parti, La prima è formata dal quadrato dello spigolo GIF lì, e le altre due dalle due braccia o quadrilunghi ÀE1G ed IHBF. Si domanda rpiale sarà il valore particolare di queste àree, o almeno in quale pròporzione staranno, sia col grande quadrato interno, sia coll3 esterno, Prima di pensare a stabilire valori veggiamo se la costruzione geometrica imponga condizione alcuna, onde servire di guida e di garante ai nostri procedimeli ti. Fissata questa, ispezione, io rilevo quanto segue. I, Comi iato là geometriche alle quali il calcolo deve soddisfare. Posto che il grande quadralo esterno AD è il doppio dell1 interno E li, ne verrà che la quarta parte del quadralo A D sarà eguale alla metà del q u a d ra lo Eli. D n n q u e II tri a ago! o D K B sarà eguale alla m e là del quadrato E IL Ma anche II gnomone suddetto è uguale allo stesso quadrato E H. Dunque la di lui metà IilB I) sarà eguale al triangolo DTCB. Detratta dunque la porzione comune I) MI Bg ne risulterà clic il triangolo IKM sarà eguale al triangolo M II D. Dunque il lato MD sarà eguale al lato MI. Ma MD ù idiote u usa rispetto ad HHeHI). —fi,, ^ Dunque MD è doppia di HD. Alzate ora lo sguardo. Voi vedete II quadralo spigolare GII B diviso in due parti eguali, ognuna delle quali è per costruzione uguale al triangolo M II D, e per ciò stesso a! triangolo IKM. Dunque il triangolo MIL sarà eguale al dello quadralo spigolare. Ma questo triangolo non è che la metà di un quadrato. Dunque tutto il quadrato su LI sarà doppio del quadrato sulla IF. Compiendo quindi la costruzione, avremo là %. X. Che cosa vegliamo in essa? Noi veggio mo tutto il grande quadrato A BD C diviso in modo, che nel suo mezzo presenta il quadrato NOQP d’area doppia di ognuno dei quadrati spigolali. Il rimanente poi è diviso in quattro quadrati e quattro quadrilunghi, che formano tanti complementi. Ma qui dentro esiste pure il quadralo E 0 MG, die è identico col quadrato EIIIC della fig. IX. L’area di esso è divisa appunto in modo, che sulla sua diagonale OC stanno descritti i due quadrati NOQP e PLCG, il primo dei quali è doppio del secondo. Esso dunque contiene ed eguaglia il binomio pdrtito fatto dal quadrato del1 eccesso della diagonale sul lato rappresentalo dalla linea CL, e dal quadrato PO duplo di questo, coi rispettivi complementi. Osservo incidentemente, che se nella fig. X. fossero tirate le diagonali dei quadrati spigolati, noi costituiremmo un ottagono perfetto, l’area del quale sarebbe uguale a tutto il grande quadrato, meno il quadrato centrale NOQP. Quest’ ottagono diffatti escludendo la metà dei quattro quadrati spigolar!, queste quattro metà pareggiano appunto il detto quadrato centrale NOQP. Invito i matematici a cogliere l’addentellato che qui si presenta, e che forma un primo anello d’una importante catena di teoremi. Proseguiamo. IL Costruzione e valutazione del rispettivo binomio incrociato. Metodo di assimilazione. La geometrica costruzione ci ha somministrati i dati sopra notati: ora tocca all’Aritmetica a fare il resto. Si tratta di determinare il valore relativo ossia proporzionale del quadrato spigolare CP(fig. X.) e dei due complementi. Come procederemo noi in questa bisogna? Mirate la fig. XI. Sia il diametro AB diviso in tre grandi parti. Quella di mezzo verrà suddivisa in due, e però il segmento B 0 sarà eguale ad un sesto del diametro. Alzate la perpendicolare BM. Dal punto Murate le due linee MA ed MB. Compite il binomio incrociato tirandole altre linee M C, MD. Ciò fatto, per una facile dimostrazione troverete che il quadrato sulla MB sarà doppio del quadrato della AM. Disegnau —q —9 do per la stessa lettera q il quadrato geometrico, avremo A M • MB •• I : 2. Parimente ABI : AB ;; 1 ; 3, Finalmente MB ; AB ;«* 2 • 3. \ 3ì 7 Per uno necessario costruzione abbiamo diviso 1 Ipotenusa A. 13 in ~q “ Ora arrestai] deci alla fig. AIA., il quadrilungo V B iN lo vedete nel vicino e crns. La sua metà e C df sarà uguale all'area A LB del suo vicino. .IL aedf àchg. Dunque achg sarà uguale all’ area dui triangolo rettangolo suddetto. Qui il quadralo echi è uguale al quadrato della mezza proporzionalo. Qui il braccio i h df c uguale al braccio aeig Dunque unendo il delio quadrato a questo braccio, avremo il rettangolo tfcàg uguale alla metà del quadrilungo e c ni s. Dunque il rettangolo màj sara uguale all area del triangolo vicino A L IL Dunque l'area di questo triangolo é uguale al quadrato di della mezzo proporzionale, piu nn braccio di detto gnomone* Convien ridurre le cose in questa forma per la comodità e speditezza del calcolo. Venendo ora al concreto, e nchiamaudo i gin fissati valori, ecco la loro espressione ì A C 2 33 ex* 33 544 Somme F 35 577 E 612 G À =r alio spigolare, B a quello della media proporzioni aie- G ~ al braccio del gnomone. Fatte le somme, abbiamo E alla metà del quadrilungo* e quindi al- barca del triangolo rettangolo AMD della XL lav. I. Abbiamo F =: al braceio. più d quadrato spigolare. Unendo queste due parli, abbimi iti G al quadrato del raggio. Ottenuto il valore dell'area suddetta^ ecco come si procede alla lormazloue del modio, Qui portate l attenzione sulla Lav\ IL 6g. Posto che A 1?‘= 8 I fis sarà F \l 408 ^ G E A. Posto elisi E i 1 032, sarà E et 8 1 G J > E B Som m a 1 22 4 rrz all7 inserii te. F è uu quadrato 5 e posto che il l ri □ ugole Alili è uguale alla sua melò, ue verrà che il quadrilungo À fi SD san. uguale a tutto II quadralo FATI D. 4.° La porzione A N M D è composta dal qua d ra to m a ggì ora E }J e dal complemento E N, Dunque {la esso detracndosi lì quadriiango A US D (eguale alla metà del tu ilo), rimarrà la lista R S M N a n q u e nel riparti to re q li osto ri da Cesi a d i, e j >e r ò uguale al ' J uadrato della metà del laLo di questo eccéssoProseguiamoli quadrilungo AMHS = BIG -f 577 = 131)3Il quadri^ A 11 SD z 1 189Dedotto questo da quello, rimaiie 204, Dunque k lista li ài \ S =r 204. Ora se prenderemo quattro di queste liste, come nella %* V.s più quattro metà di 35 5 ossia 70 5 avremo 810 + 70 z: 88G. Se aggiungeremo lutto il quadrato E F 11 G eguale a quello della % IV-, cioè 2378, avremo 32G7, Ala. SiO. Dunque il qua* 4 tirato \BDC è ugnale a quattro quadrali delFesUremo maggiore, senza AUMENTO? NiL DIMINUZIONE, Fate la stessa operazione con qualunque eom me usura bile s e voi avrete lo stesso risultalo* V. Analisi p proTP cloHn vai u Lezione del secondo btnoniiu. Dopo di aver esaminala la prima parte della parola 5 cioè il binomio appartenente alla parte superiore (direttamente predominata dal curvi 9 —(ì lineo 1. cioè il binomio prima sommato, e poi pdrtito da AM + MB, fìg. XL lav. I., ragion vuole che esaminiamo l’altro binomio appartenente alla parte inferiore dipendente 3 e più dire tiara ente spettante al rettilineo. Questo è il biu orma pdrtilo sopra T D. Il primo termine è segnato dalla potenza di T 0, elio è il quadralo della media proporzionale: il secondo dalla potenza di O LE che è il quadrato del raggio s ossia della metà dell’ ipotenusa. Onde raffigurare le cose nel loro lucido aspetto colivi e u trasportarci alla fig, XIV. della stessa tav. I, Ivi il quadrato erta deve figurarsi esser quello ebo viene costruito sulla TD, fig. XI. Ivi la linea ih corrisponde alla T 0. lig. XI.:, e la linea ho corrispondo alla O D, fig. \I, Ciò stante, il quadrato eihctft rò quello della media proporzionale, ed il quadralo h o l n sarà quello del raggio, ossia della metà dell’ ipotenusa* Qui dunque abbiamo il binomio pdrtilo dei due mezzi termini della disuguaglianza e della eguaglianza. Questi formano gli estremi. 1 loro medi! o complementi sono i due quadrilunghi cho il ed ir uh* Questi quadri lunghi sono fallì sul lato della della mezza proporzionale e del dello raggio* Che cosa ne risulta? \ eggumudo. Il quadrilungo irnh è formato dal quadralo fu ugnale a quello della mezza proporzionale, c dalla id eguale ad una delle braccia del gnomone già sopra valutalo. Dunque Farea di questo quadrilungo è esattamente uguale a quella del primo triangolo rettangolo inscritto. Dunque gli fi Lessi valori ebe formarono i me dii., ossia i Complementi delFaulece dente binomio, formano pur anello i medii, ossia i complementi di questo binomio susseguente* Dunque Ira 11 quadrato della mezza proporzionale e quello del raggio intervengono gli stessi MED ri proporzionali che intervengano fra i semìqtiadrati del primo binomio inscritto nel semicircolo. Ora venendo al caso par Li colate proposto . ecco le valutazioni clune sorgono. 1386 DELL’ INSEGNAMENTO DELLE MATEMATICHE. 1.° Fu dello che il quadralo della inedia proporzionale è uguale a . 544 2. ° Che quello del raggio è uguale a . 612 Somma 1156 (44 il quadrato della mezza proporzionale. Attigua a questa vedete la squadra 08 e gu a 1 e al quadratude 1 1 a d i (Te re n z a fra F u u a e Fa l tr a, e sop a u e vede le 11 riparto nei numeri 33.33 clic segnano il braccio del gnomone, e nel numero 2 che segna il quadrato spigolare. Ora qui vedete 16 sottrazioni che vanno a finire in zero, cioè nelFgguagZ/VzftStf fra il sottraente ed il sottraendo. In tutti i biuomiì sommati composti di due quadrati* fra i quali intercede una ragione prossima proporzionale (come sarebbero simplo e duplo, duplo e triplo, triplo e quadruplo, quadruplo e quintuplo, ec.) avviene sempre l’ultima equazione perfetta, della quale parlo qui. La tavola numerica è generalo. Non conviene confondere questa equazione fra i quadrati delle due ascisse ( cioè della media e del raggio ) coi quadrati dei cateti. Noi qui parliamo dt quelli, e non dì questi. Questi sono i principali, quelli i secondarli ; questi gli antecedenti, quelli i conseguenti. Tom. f. $8 . f secondari^ per adempiere le funzioni rigorose ed algoritmiche di principali, abbisognano di ulteriori preparazioni, sulle quali nou posso estendermi per ora. Considerando adunque la serie dipendente di questi quadrati delle medie in relazione ai quadrati del raggio . importa di osservare eli e i nominativi delle proporzioni si assumono sempre duplicati. Così per la possibilità del calcolo non possiamo dire 8:9;maconvien dire 16: 18, come nel caso nostro. Ciò nasce in conseguenza dei rapporti necessairi del metodo di assimilazione applicato al tetragonismo. Così si vede quali gradi subalterni vengano racchiusi entro il dato grado. Onde ravvisar meglio questa circostanza esaminale la tavola numenca B. Questa incomincia dove l’altra finisce. Ivi vedete alla casa XY1, e X^ III. seguati i quadrati della media e del raggio. Ivi vedete, giusta la già fatta osservazione, formare entrambi uniti il quadralo numerico perfetto di 34, somma dei due esponenti XVI. e XVIII (0. Qui pure vedete che nella fissazione dei valori, mediante il processo di assimilazione, il calcolo estimativo delle due ragioni del simplo e duplo non può essere portalo ad altro grado più di sotto. Qui non finisce la cosa. Un braccio del gnomone circondante il quadrato del raggio è uua specie di radice. Qui quello del raggio ha il valore monogrammatico di 35. Il braccio di quello della media ha il valore di 33. La somma dei nominativi delle due proporzioni è 34, intermedio fra 33 e 3o. Se poi uniamo le aree ossia i numeri lassativi che stanno di sotto, abbiamo il quadrato di 34. Vi prego a notare questa circostanza, per cogliere i primi dati apparenti dei tre termini inseparabili dell’eslimazione dell’esteso continuo. Ciò tutto appartiene alla serie decrescente subalterna fatta per sottrazione gammata. Il frutto che voi potete ricavare da questa operazione egli è quello stesso che si può ritrarre in Chimica dalla dissoluzione d un composto, vale a dire somministrare la cognizione degli elementi per noi discernibili dei corpi. Quest’ ufficio si palesa anche qui. Eccone un esempio. Allorché sopra nel n.° IH. di questo paragrafo, considerando le figure IX. e X. tavola I., cercammo di valutare il quadralo dell eccesso della diagonale sul lato (cioè lo spigolare in conseguenza della più ristretta assimilazione di 8 con 9), questo quadrato ci risultò di 70 in relazione a 408. Ora che cosa ci dice la nostra Chimica espressa nella (i) Credo inutile di avvertire che io distinguo, come sogliono i matematici, l 'esponente dagli esponenti. Qui parlo del primo, e non dei secondi. Al primo io imporrei il nome di nominativo della ragione o proporzione, lasciando agli ultimi il nomo di esponenti. DISCORSO SESTO PARTÌ; PIUMA. i 39 I tavola numerica À? Essa ci dice che questo 70 è un composto eli seconda mano} il quale comparirà più lardi a Fare la sua funziono, Geltale l’occhio sulla casa XCT\ . Ivi vedete il residuo 12: attiguo vi vedete il gnomone 5-j-o + 2. Ponetelo lulla iu figura ^ avrete la seguente \ A .2 C 5 G 5 lì ri Qui, come vedete,, avete il gnomone uguale all5 a rea del residuo ni- terno j qui nel complesso avete il 24, che nella tavola À occupa la seguente casa XGI11. 5 è il di cui braccio di gnomone è 7, Questa corrisponde alla casa terza della tavola lineila quale vedete i nominativi li. IV,* i quali, sommati, danno 6, il quadrato del quale è 36, Qui ricordiamoci essere stato questo il primo quadrato dell* ipotcnusa per formare Ì termini dcirassimila/.ioue; e perù operavamo Érnza saperlo Ira lo radici 5 e i. Proseguiamo, Fatto questo schema primo 3 voi avete gli elementi per formare un binomio p&rtito. Prendete 12 (A) per primo estremo. Piglialo 24 (G) per secondo estremo. Pigliate A + B per medio da una parte e dall’ altra, avrete: A 12 un B17 C 24 F 70 Eccovi il 70, ossia il nome equivalente ricercalo. IX. Elementi coin potenzia li, (lai quali rUulci 11 vàio re dato ni quadrate dell’ eccesso delia dindonale sul lo lo, I n’ altra osservazione i m porta u Le cade qui. I due numeri 29 (Di e 41 (E) qui seguano le due parli di tutto il quadrato geometrico del valore di 70 (F). Queste due parti souo realmente i quadrati del due cateti che costruire si potrebbero sul lato del quadrato F, e i due quadrilunghi rappresentano il loro valore superficiale. Ora 29 (D) e 41 (E) fanno le funzioni di due biuomii sommati di quadrali, come abbiamo veduto uel Discorso V. pag. 1327-1328. Considerali come radici lineari, noi troviamo il 29 risultare da 25 +4, e il 41 risultare da 25 + 16. Considerati poi i loro quadrati ed i loro coefficienti nella tavola posometnca, troviamo la rispettiva loro composizione peregrina. Egli è vero che nel Discorso V. souo considerati come nomi lineari, mentre che qui si considerano come nomi superficiali; ma egli è vero del pari che anche sotto questo rapporto essi sarebbero sempre due binomii di 25 44 e di 25 41 G. Oltre ciò, in forza del processo di assimilazione per tulli i casi simili, mostrato di sopra 5 questi coefficienti si possono, anzi si dovranno convertire in lineari, ritenute le condizioni aritmetiche; e però anche il quadrato risultante subirà la relativa conversione. Per la teoria delle quadrature ciò è indispensabile; ma vien fatto con un processo frazionale preindicalo ne’ suoi dati, obbligalo nel suo maneggio, ed omogeneo nelle sue conclusioni; quindi filosofico e dimostrativo in tulle le sue parti. Esso respinge tanto le radici sorde, quanto le imaginarie; esso non fa uso di minuti indefiniti ritagli, nati da suddivisioni e suddivisioni materiali; esso li lascia alla zotica commensurazione fabbrile, la quale, giunta al fine del suo lavoro, trovasi ancora impotente come al suo principio. 137. Dello stato monogrammatico e digrammatico dei continui dittici. Scelta del metodo preindicato. Prima di proseguire questo primo saggio del calcolo iniziativa degli incommensurabili, applicato specialmente alla serie delle proporzioni continue associate, ragion vuole che io dia ragione di ciò che ho più volle accennato sul trattamento algoritmico di queste proporzioni. Insisto su quella del simplo e duplo. Io ho presa la prima mossa alla maniera consueta, proponendo un problema, e sono saltato al metodo di assimilazione per un analogia coi razionali. Ora prendiamo la cosa altrimenti. Procediamo con preindicazioni già stabilite, e usiamo del metodo devi vativo. Ritenuta ogni condizione sì generale che particolare della Geometria come condizione sine qua non, scelgo di lasciarmi guidar per mauo dalla natura. Questa legge è così indeclinabile, che l’Algebra stessa deve rispettarla assai più di quello che il più ligi o vassallo feudale li spettar doveva la fede data al suo signore 0). Ricordiamoci sempre, che noi maneggiamo la quantità estesa escogitabile, e che però le condizioni assolute dei nostri giudizii sono di esclusivo dominio della Geometria. Qui per condizioni generali intendo quelle che nascono dai rapporti necessarii dei binomii incrociati; per condizioni speciali poi intendo quelle che vengono indicate come proprie al binomio del simplo e duplo. Quanto a quest* ultimo, noi abbiamo rilevato quelle che nascono immettendo il simplo nel duplo, e abbiamo veduto che col metodo di assimilazione le valutazioni soddisfacevano, benché noi trattassimo le nostre grandezze a guisa di quadrati aritmetici ed in forma monogrammatica. La sola differenza di un elemento uasceva fra i prodotti degli estremi e dei medii moltiplicati fra di loro. Io ho detto che questa dilterenza non era eh e fattizia^ e però più nominale che reale. Ma quand anche fosse stata reale, come nelle approssimazioni materiali, si avrebbe avuto almeno una valutazione relativa. Per la coscienza larga dei Leibuiziani, i quali considerando il comodo, non si fanno scrupolo di violare il rigore geometrico, questa inequazione sarebbe nulla, specialmente quando i termini della serie sono assai inoltrati (2). Ma siccome questi signori hanno per costume di esigere da altri una coscienza rigida, neH’atlo che per sé stessi si prevalgono d* una coscienza lassa, egli è perciò che anche rispetto ad essi sarò tenuto a giustificare la mia teoria. I. Esempio della proporzione del simplo e duplo su due ascisse nello stesso circolo. Forma non quadrata dell’eccesso del duplo sul simplo. Per far ciò in una maniera preindicata osservo quanto segue. Nel 133 ho già fatto osservare, esaminando la fig. XVIII. della tav. I., che la seconda ascissa a d\ tirata sino al fondo, è uguale a 14. Alzate lo (1) Je dis encore une pois, quii esttres-aise de se tromper en Algebre quand on ne raisonne pas avec rigueur, a la facon des anciens geom'etres. Leibnitz, Opera omnìas tom. III. pag. 636. (2) Io propongo il seguente schema, il quale risulta dalla quarta evoluzione del simplo e duplo. ^ i386o 10601 G X B 19601 27 720 Moltiplicate A per B: avete 384,199,200. Moltiplicate G per G: avete 384,199,201. Qui la differenza 1, rispetto a trecento oltan- taquattro milioni e più, sarebbe o no una quantità sprezzabile, secondo i Leibniziani? Nei calcoli ordinarli di approssimazione è vero o no che, quando siamo solamente a cento millesimi, i matematici si sogliono contentare ? j 304 dell" iìvse giramento delle matematiche. sguardo sulla figura \ . \ oi vedete questa linea nella bblf’.Ota fingiamcclie su questa lìnea venga costruì lo un circolo. Qui compiacetevi di osservare la tavola IL. e di portare lo sguardo sulla figura XIV. Sia Ab \ h: ? —q ^arà ALI 1 1? G. La linea A 0 sarà raggio. Dnuque AÙ 49. Da À Ó detraete \ : avrete A E % ed E .0 ” 5. Dunque A Jò 4: E 0 =: Sfi. Ciò posto» alzate la perpendicolare lino a die lacchi la circo uiWeD&i in C: ìndi tirate la linea CO. Questo non è clic lo stesso raggio, il quale vi fa la Inazione d’ ipoleu usa rispetto ad K 0 e ad E C. Sopra abbiamo q q q veduto die CO /j-9ma EO 25 ; dunque E C ~ 24, Ora da ÀO detraete un unità. Sara EF = 4. Dunque El: ' = 16; q dunque 1' Q 1. Se dunque alzate la perpendicolare l E), avremo il suo quadrato ~ 48. Ma E ti ~ 24. Dunque E C ■ I' D *• 1 ^ Abbia* mo dunq ue qui, dentro lo stesso quarto di cerchiole due ascisse EEe D F5 tra la cui rispettiva potenza passa il rapporto del sire pio al duplo. Aggiungasi tanto alTuna che a [fa lira linea la porzione inferiore: avremo cd 90, e i) il 7= 1 92. Ora portiamo amen due queste linee sullo stesso piano orizzontale, come nella fig, XV*, in modo che amen due siano perpendicolari adii stessa lìnea (1 L a ritenuta fra di esse la stessa distanza che avevano deatro al circolo* Avr e mo C G fig, X V = C G fig. XIV, e D li %XV- DII fig. XIV, Più, avremo ognuna delle linee A D3 CE* G li figXV, %fua‘ 10 ad EF fig. XIV, Ciò ritenuto, pigliale la distanza G €/ e fallo centro in II 3 portale 11 compasso sopra la linea |ID: voi la taglierete in E. Portatala sopra la Gl : voi la taglierete in I. Campite la figura: voi avrete due rcUaugoh, E uno dentro dell' altro. Il primo sarà E F I II, che per la fatta costruzione sarà uu perfetto quadrato : ma quanto all’altro^ ossia al maggiore., c cosa da esaminarsi. È 10 dubita Lo eli e il quadrato che venisse costruito sopra D li starebbe al quadrato sopra Eli in ragione del duple al sintplo* Ma nella prcseuLe costruzione non sappiamo se 1)E sia eguale a CE* c però se i! rettangolo A D £ C sìa un perfetto quadrato, ©ra carne potremo noi accertarci del sì 0 del no? Eccolo, Se A D E C fosse quadralo perfetto, e quindi i lati CE e DE lasserò uguali, noi avremmo non solamente i! gnomone uguale in snpurfa al quadrato interno E I, ma avremmo eziandio questo rettangolo spigo DISCORSO lare maguloue almeno di ln sesto dello stesso quadrato interno (Ned. 1 I 9) Ora questa maggioranza si veri Bea forse qui? Niente allatto. Imperocché $ abbia m o veduto eli e la G E 4, e però C E ~ I G. A bbia tuo ved lì to e h e GG = 96; e però che EFI H=9B. Ma I 0 : 96 sta appunto come 1 a G, Dunque G E qui non sùpera questo sesto ; dunque egli non eguaglia i! vero quadrato spigolare del sitnplo immesso nel duplo in forma monogrammatica. Ma dall'altra parte è certo die DE forma Y eccesso del duplo sul si m pio. Dunque J.) E sarà maggiore di G E. Dunque lo due ascìsse del si m pio e duplo entro lo stesso senili: ircelo non tengono fra loro una distanza eguale alla differenza della loro rispettiva lunghezza. Dunque la loro forma di esistere entro V unità assoluta circolare non e monQgrammatic(t) ma digram malica* Dunque la forma monogra tu malica e perfetta mente similare da noi data a questo due grandezze, come nelle ligure [X, e X, della tavola I., è del Lutto artificiale. Quale sarà dunque nel caso nostro la conseguenza ? La conseguenza sarà, che nella fìg. XV. Lav. 11. dovremo riconoscere che il quadralo ilei sim pio viene inscritto in no rettangolo, un la Lo del quale è di potenza dupla del primo: e I altro lato poi è uguale a quello del siniplo, piu aggiuntavi la potenza di Ciò, lo confesso, sarebbe da un lato poco sodili sfaceli le : ma dall’ altro Iato otteniamo il luminoso principio risguardunlc la forma o il modo d’esistere di queste due grandezze rispetto all’ unità circolare* li. Delta (orma alternativa quadrala e non quadrala del si in pio o duplo. E qui non posso contenermi dal far osservare ebe il quadrato a ri \ melico perfetto è per se stesso essenzialmente circolare per essere appunto monogramt natica in tùlio. Aritmetica mente parlando, se il sì m pio è quadrato, lo potrà forse essere anche il duplo, o viceversa? Non mai. Ora sappiale che la Geometria vi dice esattamente lo stesso. Essa quando vi dà il s ira pio in forma di quadralo, ossia circolare, vi dà il duplo iu forma di quadrilungo, ossìa dittico ; aozi ossa avvicenda perpetuaci eoi e queste Forme, come io potrei dimostrare con molti c molli esempli, Ciò accade sempre, sia che le due grandezze vengano immesso fumi nel ['altra, sia clic vengano poste contigue, sia che vengano sommate. Ognuno Intende che io parlo di queste grandezze risultanti hi radku razionali, le uno mon ogra tnmalicam cute, le altre digrammaLicanienLe. Nm parliamo di l 'illutazioni aritmetiche* nui parliamo di calcolo 'discretivo. In questo conviene usare Io stesso trattamento tanto pei commensurabili quanto per gli incommensurabili ; senza di cbe non vTè uè logica, nè fifa, sofia, nè ni a tematica. 5 13b, Della forma razionale degli eli Ilici, ossia dei non quadrati aritmetici. Esempio sul simplo c duplo, À 6 ne di procedere anche in questa parte con un metodo preludicato5 giovami di richiamare alla memoria due cose* La prima, eli e abbianao veduto Ltelfesamo della divisione decimale, lav, I. lig. V., ris alla rei la linea bh ~ 1 -i. La seconda. che in forza del movimento fatto udla bg, X\ IH, abbiamo suddiviso ogni grado in sette partì: talché il lato do! quadralo iutiero vìe oc diviso in TO* e Tascissa a a* viene suddivida In 28 parli. Così abbiamo qui 98= 1 4X? 7 Ili tenute queste preludienti oiii3 trasportiamoci ora alla fig. X. lav, II. Ivi sia C D = 98, e sia C A = 1 00 : con aggiungere 1 del grado decimai intacchiamo bensì la lista della squadra», ma non assorbiamo il margine della figura. Qn est' aggiunta era necessaria, posto che abbiamo veduto che il segmento verticale del rettangolo spigolare èra più lungo del semento suo trasversale. In forza di questa costruzione avremo farsa del j rettangolo A B D C = 9800. Ciò fatto, sul lato AB prendiamo i! segmenLo A 1=28, eguale appunto a quello determinato dalla divisiuoc circolare. Parimente sul lato A G prendiamo il segmento À H= 3:0. Tiriamo le linee paralelle IL ed HG. Che cosa ne risulterà? liicorJjaniod clic dobbiamo verificare tutte le condizioni imposteci dalla Geometria nella 1 orina mouogrammatica5 e che furono già esposte ne l paragrafo antecedente. Posto ciò, ecco che cosa in primo luogo risulta da questa costruzione, L Posto cL e il lato A lì =98*. c che da esso fu detratto il segmento A r = 28, ne verrà che Ì1 segmento 1 II saià=Ttl. Par ini cote, posto che il lato ÀCt=100, e che da esso fu detratto il segmento AH— ne verrà clic 11 reslauLe segmento LI C sarà eguale a 70. Avremo dunque perla costruzione la linea IB alla HO. e però le altre tutte paralclle parimente uguali Avremo dunque FE, ED, D G, GF, tulle quattro eguali, e poste ad angolo retto $ e però il quadrata F G D E inscritto uel rettangolo avrà per suo Iato 70. Ma 70X70=4900. hf area dunque di questo quadralo inscritto sarà eguale alla metà del barca del quadrilungo circoscritto* Dunque il gnomone circondante avrà un'arca eguali? d quadrato inscritto o immesso* Ecco la prima con dizione soddisfatta. La seconda condizione precipua sì è, che la grandezza spigolare de! gnomone risili tao te dalla immissione del simplo nel duplo sia maggiore del sesto del si m pio. V uggiamo se questa condizione sia adempiuta, e come lo sia* La grandezza spigolare, della quale si IralLa qui, la vegliamo nel rettangolo À l F H. Due Iati di questo rettangolo sono eguali a 28* due alti! a 30, Ma 2S> Ivi pure vedete il duplo sotto figura di quadrilo Ugo compreso dalle quattro linee estrema . Il simplo è ~ MÌCIO; il duplo è " 9800* Ma il duplo eli 980 0 è '! 9 G G 0, quadrato di ì 4 0 . A h b. iam o q u i d uu qu e u u q uà d r alo aritmetico che può essere rappresentato geometricamente . Questo quadrato aritmetico è duplo d’un rettangolo c quadruplo tFun altro quadralo. Ora si domanda quali oc saranno gT inter valli . Facile è la risposta. Ea linea À C~100. Dunque aggiunta xm’aUra linea 4G, si avrà uua delle distanze daH'oQ duplo alTaltro duplo. Parimente la linea b D = 9S. Aggiunta dunque una Enea = 42, si avrà 1 altra disianza. Dunque 40 dall'alto al basso 5 e 42 trasversalmente saranno i gradi di distanza Ira l'ultimo rettangolo ed i lati di questo quadrato di 140. Dunque lo spigolare sarà uu rettangolo di 1G80, eguale al centrale i1 EMQ. Così li a il duplo ed il quadruplo bavvi un gnomone, il quale sarà eguale all'area del quadrilungo duplicante, e le di cui proporzioni intime, siano lineari, siano superficiali, vengono determinale colla maggiore facilità, A1F addizione discreta appartiene questo esemplo, e nell' addizione discreta si vede la vicendevole forma di quadrato e di quadrilungo, colla quale le grandezze si succedono. Qui si fabbrica un importante addentellato per le composizioni medie. Ma per porlo in evidenza sono obbligato di esporre prima un’altra operazione, della quale ignoro se esista alcun esempio, ed il relativo modello. Essa è universale per l’algoritmo della duplicazione, e ci rivela un'arcana possanza algoritmica. Essa pare formala per dar vita a dii non Fka, e a portar giustezza a chi u'era privo. Essa supplisce al metodo di assimilazione nella duplicazione, ed anzi lo inchiude nel suo seno s e Io pone in opera senza che noi s lessi ce ne avveggiamo, I. Coa umici tic doirapproSEÌTnatcnc di equazione. Lugge d'i nere mento che ne risulta. Differenza dell* unità nei discreti. Per intendere tutto questo fissate F attenzione sulla fig. X1L della tav. II. Ivi vedete lì quadrilungo acjnp. In questo si distinguono due parti: la prima è il quadrato a r k p+, le parti del quale sono segnate coti lettele maiuscole latine; la seconda si è il quadrilungo rknq* le parli del quale sono sognato con lettore niajuscole greche. Considerando la prima parte, voi vedete di' egli vieu diviso in modo da contenere nove qnaémti perfetti minori (e questi sono A, C, E, E. X, l\ X, Z, B ), e Tarn, l quattro quadrati pure perfetti maggiori (e questi sono G, I, R? T). Oltre a ciò, egli co u tiene dodici complementi (e questi sono B, D, F, II, IL M, 0, Q, S, V, Y5 A'). Quanto poi alla seconda sua parte, cioè al quadrilungo posto a’ piedi, voi vedete esser egli composto di tre quadrati minori, di due quadrati maggiori, e di ciuque complementi. Se voi domandale da quali iudicazioni io sia stato condotto a costruire questa figura, io potrei indicarne parecchie tutte cospiranti. Scelgo la più semplice, e la prima che si presenta nella tavola posornetrica. Questa è il binomio pdrtito del quadrato di 5. Consultate il 134, pag. 1359. Ivi vedete il uumero 5 formare la prima ipotenusa nella serie dei quadrati ivi contemplati. Fate ora la seguente costruzione: A. 4 G 6 G 6 B 9 Che cosa vedete voi qui? Voi in prima vedete che i due estremi danno il binomio diquadrato di 13, il quale co’suoi complementi dà il quadrato numerico 25. Questo binomio sommato 13 sta fra il quadrato di 3 ed il quadrato di 4. Esso non comparisce nella tavola posornetrica ma ciò non ostante nou lascia di esistere . Ora raccogliete i numeri su perficiali di questo schema: voi avrete il numero delle parti componenti il quadrato della detta fig. XII. Voi avrete: 1.° il 9 consacrato ai quadrali minori; 2.° il 4 consacrato ai quadrati maggiori; 3.° il 6 -f 6, cioè 12, consacrato ai complementi. Raccogliete ora i numeri radicali 2, 3, 5 ; e voi avrete i numeri delle parti del sottoposto quadrilungo, e così avrete: 1.° il 2 consacrato ai due quadrali maggiori: 2.° il 3 consacralo ai tre quadrati minori: 3. ila consacrato ai complementi. Sommaudo adunque le parti di tutto il rettangolo, avete 12 quadrati minori, 6 maggiori, e 17 complementi: in tutto 35 parli in genere. Questa somma divisa in 25 e in 10 (che forma due' parti di ragione di 5:2), e indi suddivisa ogni parte come sopra, non offre in ogni suo membro che altrettanti moltiplicatori di estremi e di medii, astrazion fatta dal rispettivo valore concreto di questi estremi e di questi medii. Questo modello adunque si può considerare come una fokmolA figurata. primo aspetto questa forra ola non è clic binaria; ma considerandola nel successivo suo sviluppo, non comparisce tale che pei periodi materiali delle operazioniEssa allora È cosi binaria come la pila yoltiauà nella Fisica, o come una spirale in Geometria 0). Ora passo a sperimentarne V effetto^ ed a mostrare 1' uso di questo modello. Incomincio da] tipo stesso di sopra recato, dal quale si può ricavarlo. Sia in primo luogo preso il grande quadrato arkp segnato colle maiuscole Ialine. Ogni quadrato minore sia valutato 4. Avremo Ì nove 1 _ Ufi rumori. Ogni quadrato maggiori' è valutato 9. Avremo i quadrati maggiori .Somma dei valori I complementi essendo dodici, ed ognuno avendo per va loro 6, sarà la somma di tutti . . Somma dì tutto il quadralo arkp .1 4 A y \ 2 E manifesto che prendendo le radici lineari 2 + 3 -j-% 3 + 2, avre mo 12; il quale, moltiplicato per se stesso, dà per prodotto 144. Qui, come ognun vede, Lavvi una perfetta eguaglianza in in Ilo. La somma dei valori di minori estremi uniti è qui eguale alla somma dei maggiori estremi uniti. La somma poi dei maggiori e minori estremi uniti è uguale alla somma dei dodici complementi. Procediamo oltre. Nel quadrilungo posto a' piedi, e segualo colle lettere rqnk, veggi amo i Ire quadrati minori FI T Q eli 4. Somma = J 2 Veggiamo pure i due maggiori A A 9. Somma I N Somma,, . . “ 40 Veggi amo i cinque complementi segnati F 0 H ^ T di tu Somma .... “ 30 Totali 60 ( i } Questa ìbnnòla figurata può a vere un’altraorigino; e questa può essere tratta dàlia fini: dal primo periodo della tavola posarne trite», còme ora fu tratta dal principio di questa periodo. La fine di questo periodo è segnala eoi So, Ora fai a un oìrcolo, il di cui diametro sia diviso in So parti, come nella fì / U 6 ] L V. Clic nel quadralo dell’eccesso del triplo sul duplo sta la prej orinazione organica, anzi il germe compiuto delle due proporzioni già valutate lo grande, poiché À : 13 : : 2 : 3. Più sì offre il binomio partito di queste due ragioni m forma di estremi e medii. Ma supponendo die la valutazione non fosso siala giusta, sarebbe mai sialo possìbile che ìu ultimo ne risultasse 11 residuo similare qui ottenuto ì Questo residuo similare non ci svela forse la legge arcana di quella cOMpOlsnzu che investe uu tutto unificato ? Non è l'orsa questo un aspetto di quell impU cito z del quale ho ragionalo nel Discorso terzo 1 Quest5 implicito B.o.n torma forse il verbo essenziale, i delta mi del quale costituiscono la sapienza matematica? Ju ultima sentenza dì questo verbo (il quale nel diflereumie, ossia nel quadrato dell’eccesso d5uua proporzione sull altra, ci svela i rapporti complessivi identici del gran tutto prima impostato ; non rende forse una nuova testimonianza^ la quale conferirla la giustizia delle nostre operazioni, e sanziona ripetutamente il nostro algoritmo? Vi, Ottenuti questi germi organici, ognuno vede cifessì divengono altrettanti moduli per ordire una seconda forma di Geometria (che dir si potrebbe di estratto o derivata)* la sola adatta per interpretare le opere della natura e giovare a quelle delle arti. Questi moduli formano propriamente altrettanti luoghi geometrici nella scienza della quantità estesa escogitabile ; c la teoria sfumata delle coordinate viene rimpiazzala da grandezze coni poto oziali clic passarono pel crocinolo. Di questa seconda Geometria dirò qualche cosa più so Lio, Qui passar mi conviene a mostrare alcuni esempìi di uif assimilazione di secondo grado, dopoché ho esaminato quello del primo, e più vicino a lui. Dopo V unità radicale conviene studiare la pluralità, C 50 A 40 Il 00 D 48 V 10 V 8 l H S 18 'Esempio d’una valutazione di secondo grado nella valutazione della proporzione di tre a sette. Ritorno alla tav. I. fig. V. Abbiamo già fatto notare i due cateti Ac e c D. Secondo la costruzione della figura, il diametro AB viene diviso i . ~ci ~(l in modo che Ac/ = 3,ed il segmento c'B = T. Dunque Ac : cB :: 4 i termini In un circolo) : avremo X Moltiplicate estremi e medii Ira di loro* Da una parte avrete 195, e dalfaiha 196* differenza 1. la quale è il quadrato della media distanza suddetta. Dc'i vftl uri dti due limo ih il io caccia ti nella tleiia proporricinc di 3 ; Premessi questi schiarimenti, torniamo al nostro esempio* fu conseguenza «lei valori sopra stabiliti presentiamo il prospetta nfiUato dei due binomi i incrociali. Incomincio dal primo. AM( = 30)> avremo Q L— 5, Ma siccome V 6) 1 : dunque À Lzz (ì„ F u detto che Q B— 5 : dunque Q B 25* Ma Q L 5 ; duo bug ' V q tf L B dO. Cosi se A L = G, e se L B =3 30, avremo la somma dìM A EDiffalli G X 0—36: dunque 0 d 9 e QO = -'i. Fu detto die QL 5, e clic 0 C !b Unendo questi due tiòmi, formano 14, Quadruplicandolo 3 avremo 56. Con questo moltiplicantla ? 7 —a Q F ed O Cj sarà Q L rzz 280 ^ e CO 50 4. La differenza ira c n tra jnhì t di 224. pari appunto a 56X4. Posti questi valori, couvien disili H buire gnomonicamente il valore di QO. Per far ciò io dico: 0() % Dunque QO 4. Ora 4X4 = 16; e L(>X2 =3‘2. Detratti 32 da 224. rimangono 192. Questi divìsi in due parli danno 90, Douqueanc —q ' » mo LP 224; P C := 32; L C 256, Ogni braccio del gnomone 06. Or ecco lo schema ; 32 96 96 280 128 376 504 Ridotti i valori ai loro minini termini, e moltipllcali gli estremici medi], avremo la differenza di 4, come uelFakro caso, la quale: colla il DISCORSO SESTO PARTE PRIMA. 142,1 visiono cidi prodotti suddetti può essere ricolta all’ unità. Tra spoi lata poi h detta differenza, ci conduce a dare alle moli la loro forma razionale competente. Ottenuti e verificati questi valori * passiamo a valutare ìE rimanente, —H ^ ^ f .? e ritorniamo alla predetta Lg. XIII. tav. I. A Lm 0X56“ 336. L .13 = 30X56 = 168(1. Dunque A 6 = 2016, eguale appunto a 36X56. v “ff ~y Dunque CD=2{HG. Ma 1. C =256. DulraenJolo adunque da C D, re sLerà LD = 1760. Ma dallbltra parie LP= 224, Detratto dunque da L I), resterà PD = 1530. Valutato cosi il binomio incrociato, immettiamo il simplo nel quiutu pio, come al solito. Per far ciò io dico: AL 1 GB, L B = S40, 168 “IT TT + 256 = 424. Detraili da 840, avremo 416. Ma = 208. Dunque avremo X Dunque V eccesso del quintuplo sul simplo stara um aoR i66 ne in questo grado compatto al simplo stesso, come 32 : 21. I medi! poi staranno 26 : 32 e :: 26 : 21. Date la prova colla moltiplicazione, e voi vi accerterete della verità. Ecco dunque un altro caso, nel quale praticando l’assimilazione di secondo grado, e spingendo il quadra Lo dei minimo, ossia della dìi Icren za di secondo grado, alla potenza quinta, si ottiene l'oggetto desiderato. Con questa valutazione e colle altre simili si preparano i mezzi termini, coi quali si veggono ad un solo tratto tanto le proporzioni principali, quanto le associate, e soprattutto i quadrati degli eccessi cogli esempli allegali. Oltre il triangolo equilatero e il quadrato, potrete valutare anche il pentagono con lutti i suoi annessi e conseguenti. A questo proposito mi resta ili avvertire, che fra le costruzioni geometriche del pentagono, la più semplice, la più facile, la piu luminosa, la più feconda, e la più conducente alla valutazione, si è quella di lolorneo astronomo alessandrino, riportata da Glavio(’). Essa vi dà ad un solo tratto d lato del pentagono e del decagono da inscrìversi ne Ilo stesso circolo, e v’indica nel medesimo tempo b strada della valutazione finiLa di Ini e de’ suoi accessorii. Soggiungendo poi la dimostrazione di Gam ( i Lib.XlII. TJiaar. y. Prupo.ùt. y . ^choljitm., pag. 1 RL' mstc, apu, Ma 7 446^4— 1784. Dunque 11 G = 7 I 30, Per la regola /issata il primitivo valore del minimo deve portarsi a 32. Dunque aggiungendolo al valore di estimazione di M3G, avremo 7158. Dunque per le fatte dlmostrazio ui 31(3 = 71 08. Questo sarà pure il valore della lista EFQP. Ora si coordinino» se si vuole, tutLe le valn [azioni. Ma qui possiamo abbassare V espressione, ed ecco in qual modaAb* hkmo detto che 110—7136. Detratto il minimo 32, si divida il residua hi due parti eguali. Avremo 3552, ognuna delle quali segnerà il valore superficiale del rispettivo braccio della squadra che circonda il quadrato delia mèdia proporzionale 31 R, Ora si divida fino al quarto: avremo il valore = 888. Si faccia Io stesso col quadralo spigolare; avremo et Ecco lo schema :1 425 A 8 G 888 G 888 B 98566 D 896 99454 E (0 v Riportandoci quindi alla suddetta fìg. XI. tav. J., avremo CO 100.350: A lì = 401,400: A INI = 1 73,940 ; MB = 227,460; MR ' —q J ? = 98,566; 110 = 1784. Avremo pure per l’altro binomio MG = 1792; M D = 399,608 ; T U = 397,824. Premessi questi valori, passiamo ad immettere il minor termine del q —q AM MB primo binomio nel maggiore. - =86970. - = 113730. Sommata 2 2 la metà di ÀM con MC, avremo 88,762. Detraendo questa somma dalla della metà di MB, avremo per residuo 24,968. Diviso questo residuo per metà, avremo 1 2,484. Ecco quindi lo schema : ( i) Stendete la tavola dei puri quadrati dispari colla massima della tavola posometrica annessa al Discorso III. ( vedi la tav. C): i gnomoni saranno geminati, e il quadratino spigolare sarà sempre 4> perchè havvi fra un termine e l’altro la distanza di due. Distribuite le parti di questa serie in tanti rami paralelli, contenente ognuno dodici termini, piu il i3 appartenente al quinario, e disposti collo stesso ordine serpeggiante e continuo della tavola posometrica. S’incontrerà nel quadro retto dall’anello 2 25 \/i5 il primo ramo contenente il quadrato di 221. Questa radice è uguale al nome superficiale primo della mezza proporzionale sopra segnata. Ora la superficie tutta del gnomone geminato, che con torna 4884 squadrato di 221, è appunto 88S, che nello schema non occupa che un solo braccio del gnomone. Ma se al quadrato suddetto aggiungete due radici superficiali, avrete un rettangolo di 49283 = 221X223. Questo sarà esattamente uguale alla metà del quadrato B dello schema. Voi potrete in conseguenza trasformare il quadrato B in complemento del binomio, i due termini del quale siano le radici 221, 223, e viceversa fare la costruzione dello schema. Oltre a ciò, il quadrato v/22 1 ed il quadralo \/6o formano l’altro quadrato v/229; talché qui esiste un nodo massimo, la soluzione del quale guida ad ulteriori preziosissimi risultati. 12484 00 8G970 cì Ora lormiatno il binomio partito, e assoggettiamolo al ripartimeuto della fig. IV. tav. II. Il quadrato L AEG sarà .= 86,970 Il quadrato EBMD sarà = 113,730 Somma A 13 . 200,700 Il complemento CEDO 99,454: così pure il complemento A N B E = 99,454. Unendo questi due numeri all’ antecedente somma, avremo il quadrato LNMG = 399,608, appunto eguale al quadrato del maggior cateto del minor binomio incrociato. 11 quadrato AFDH è uguale alla metà di tutto il grande quadrato suddetto, e però viene valutato a 199,804. Detratto adunque dal quadrato sulla AB ~ 200,700. rimarranno per residuo 896=:BH. Dunque la di lui metà, ossia il quadralo sulla R N, sarà eguale a 448. La porzione ANMD è uguale al maggior termine del binomio, più il complemento. Dunque questa porzione sarà 213,184, Detratta dunque la porzione A 11 S D uguale alla metà di tutto il grande quadrato, rimarrà la lista R N M S ni 1 3,380. La sua metà dunque sarà n: 6600. Ma se da questa metà vengano detratti 448, eguale al quadrato della lesta della lista, rimangono 6242. Dunque la lista accollata al minor quadrato del binomio sarà zr 6242. Ottenuto questo valore, formiamo un gnomone, nel quale il primo braccio sia 6242, e dibattiamo dallo stesso il 448. Avremo 5794. Duplichiamolo, ed aggiungiamo il 448. Avremo in tutto 12,036. Dibattiamo questa squadra dal quadralo LA E C, e seguiamone il residuo. Di nuovo spingiamo Boperazione fin dove può giungere. Che cosa otterremo? I. Dopo dodici sottrazioni abbiamo per residuo 390. Ma questo 390 era appunto il nome del quadralo del minor cateto del binomio maggiore anteriore all’assimilazione. Dunque abbiamo qui per via di successiva sottrazione gammata il termine primo del binomio restituito come prima. IL Questo nome porla per suo estremo di confronto 448, e per complementi due nomi identici di 418. Quanto al 448, sappiamo essere il quadrato deli7 eccesso del termine maggiore sul minore; e quanto al 41 8? nome d’ogni complemento, si dimostra essere egli appunto il bino* mio partilo e completalo della ragione del simplo e triplo essenzialmente legato al triangolo equilatero, cui gli antichi ponevano come simbolo della Divinità. III. Se da 418 dibattete 390, rimangono 28. Ripetete il 28, unitelo a 390: avrete 446. Dibatteteli da 448: rimarranno 2. Ecco lo schema : 2 28 28 390 30 418 448 Pieno d7 infinito senso e di somma importanza si è questo schema; perocché dall’impero della pluralità si passa sotto quello della singolarità ^ e però si accenna un importante passaggio teoretico, che vedesi appartenere allo sviluppo delle ragioni di 13 a 17, la somma delle quali è il 30. IV. Preso il binomio partito del simplo e triplo co7 suoi complementi, espresso dal numero 418, e fatto esso stesso servire di complemento alle altre due grandezze monogrammatiche corrispondenti di 448 e 390, ne nasce il seguente schema : | 390 418 | 418 448 808 866 1 674 Ouesli numeri sono suscettibili di divisione senza frazioni. Quindi dividendo tutto per mela, abbiamo: 1 Vi 8 1 WS 20.9 X 209 22 4 404 438 837 4Xukip]icale estremi e rnedii: voi avrete per di Ile rem a I fra i priftiotli, benché fra 195 e 224 siavi la differenza di 29. j1 1‘wdralo avente per radice 1 4 =190. ile ma Lo di un'uuità 1 9n. Così pure il quadrato di 1 5 = 225, scemato di un’ uniti = 224 Dall’altra parte poi 195= 13X15, e 224 = 14X10. Parimente 209 = 19X1 I. Prendete la figura iutiera: avrete 3(1 xfl 4. 3'2x 14, 22X19, ovvero 3Sx 1 1 A I. Ma ciò oli e importa sopra lui Io di rii e va r c ss c 1 V n i/ìe tizio n t?, ossìa meglio il germe della mi è fica zi quo particolare clic otteniamo (la tutto questo processo, il quale nelle altre nostre costruzioni non era possìbile di ottenere colla eterogeneità dell’ unità e della pluralità. g 142. Osservazioni algoritmiche incidenti. Prima osservazione . Il valore del minimo di primo grado à ugnale a due. Quello del secondo e dei eotiseguenlt luguale alla quarta potenza duplicata della differenza primitiva fra il quadrato della media proporzionale c quello del raggio. Seconda osservazione sul passaggio dal superficiale al lineare. Le disquisizioni antecedenti cadono sui due primi casi, nei quali si può luminosamente praticare IJ metodo di assimilazione, e ricavare ìt minìmo relativo clic forma la luce iniziativa eli tutta In valutarne. Il primo caso è quello, nel quale adoperando i più ristretti valori, il quadrato ddJa media differisce da quello del raggio del quadrato unoIvi la proporzione ira i due termini del primo binomio è continua, come per esempi 2 9 2 : 3 s 3 : 4, oc. Il seco ej do caso poi è quello, nel quale sì i quadrati dei mezzi termini, cito quelli del binomio impóstati, differiscono dal quadrato quattro de im mediatameli le sussegue quello delibo. Nei primo caso abbiamo trovato die, faLta F assimilazione, il minimo riesce uguale a 2 $ u per fi eia J e, N el secondo caso p pi ri esce se m p re u gua le a 32: Lacchè costituisce la quinta potenza di 2 lineare. Onesta valutazione proporzionale JYt trovata anche comune agli altri gradi, elevando cioè il co me lineare primitivo, che forma la disianza fra il raggio e la media, alla quarta potenza duplicata (0. Ora qui cade un’osservazione subalterna. Assumendo ogni quadrato perfetto del raggio, si può dal superficiale passare al lineare, e costruire quadrati d’ ipotenuse e di cateti tutti commensurabili; Ioccbè apre l’adito ad una nuova specie di calcolo, dirò così, di suddivisione, ed a procedere dall’ esteriore all’ interiore Geometria, e dalla valutazione delle grandezze impostate alla valutazione delle grandezze dipendenti o associate per logica compotenza, ec. ec. Noi abbiamo mostralo il metodo di primo grado nel 132 col sottrarre 1’ uno quadrato da una parte, e coll’ aggiungerlo all’ altra, e col duplicare la radice del dato numero quadralo. Abbiamo quindi segnala la serie di questi cateti e di queste ipotenuse tutte commensurabili, formanti lo stesso corpo di figura. Ma questo magistero ristretto allumo relativo e alla duplicazione della radice del quadrato assunto, era appunto correlativo al primo grado solamente. Ora soggiungo, che anche usando del 4 si ottiene la serie della triplice commensurabilità: e, quel eh’ è più, eh’ essa può essere derivata dalla stessa fonte materiale geometrica. Per intendere questa particolarità conviene rammentarsi che lo stesso diametro diviso in sei parti ci ha somministrato le prime valutazioni per il sim (i) Qui ricorre alla mente una doppia analogia fra il lineare ed il superficiale. Abbiamo veduto nella costruzione tricommensurabile, l'atta coi quadrati che appellammo peregrini, che da tutte le fissate ipotenuse maggiori del 5o detraendo questo numero io quintuplicato, si ricavano gli altri due cateti razionali. La maggioreo minore lunghezza non contrappone ostacolo. Così nel caso nostro, oltre l’unità metrica dividente il diametro, quando la media sia linearmente incommensurabile (fatta l’ assimilazione come sopra), detraendo la quarta potenza duplicata del numero lineare intercetto fra il raggio e la media, si ottiene il ripartimento dell area del quadrato di questa intercetta. Più ancora abbiamo veduto (pag. 1 336) che il nome medio e quasi reggitore delle compotenze si è il 1 6 0, la cui radice è i3. Qui se osserviamo la serie lineare seconda, che daiemo più sotto, si trova che il numero delle parti della prima ipotenusa è u, e quindi il suo quadrato è 169. Se poi osserviamo nella va lutazione fatta sì dall’approssimatore, clic altrimenti, quale sia il medio fra il simplo e il duplo paragonati in primo grado, troviamo pure lo stesso 169. 1° 1 169 /|o8 239 577 816 Sembra dunque che come il 5 o il 10 è costituito primo reggitore dell’ zz/zitó, il i3 lo sia della pluralità. L’uno e l’altro però sostengono fra loro la relazione di estremi : talché se ognuno nel proprio zodiaco regge le rispettive serie, havvi fra loro un altro medio che può associarli e reggerli ad un solo tratto. Quanto al lineare, ne veggiamo la traccia ; perocché nella fig. XVIII. tav. I. la linea A G; è uguale a 5, e la stessa prolungata in DF' è / l uguale a 10, ovvero AL~ 10, eDF— i3. lJio e duplo, come ce le ha somministrate per il simplo e il quintuplo. Periodi è il quadrato del raggio eguale a 9 è riuscito in entrambe il primo termine costante di conlronto e di consociazione, e quindi elemento di assimilazione. Ora volendo convertire il superficiale in lineare ad oggetto di tessere una serie indefinita, nella quale si abbia la triplice simultanea commensurabilità dell’ ipotenusa e dei cateti anche colla sottrazione ea addizione del 4, come l’avemmo coll’1, questo stesso 9serve al medesimo scopo. Eccone la prima sorgente. Grado I. Grado II. 9—1=8 8X 8= 64 3X2= 6 CX 6= 36 9+1=10 10X19=100 9 4= 5 5X 5= 25 3X4 = 12 12X12 = 144 9+4=13 13X13 = 169 Mirate ora I esempio II., prodotto in nota alla pag. 1360, e voi vedrete che nel primo grado si può tentare l’esperimento sul quadrato anteriore di 2, cioè 4. Ma l’esperimento comune non può essere eseguito che in quello della radice 3, cioè 9 (0. Se voi proseguirete gli esperimenti sui quadrati successivi delle radici 4, 5, 6, 7 ec.5 voi troverete tanto fra le ipotenuse quanto fra i cateti ottenuti per la sottrazione costante di 4 la progressiva differenza di 7, 9, 1 1, 13 ec., e fra i cateti fatti per la moltiplicazione della radice col moltiplicatore costante 4 voi troverete la differenza di 4. Paragonando poi le due serie di primo e di secondo grado fra di loro, voi troverete che si può passare da una all’altra, aggiungendo alle ipotenuse di primo grado la serie intermedia di 0, 2, 4, 6, 8, 10, ec. Con quest aggiunta ogni ipotenusa di primo grado diventa cateto di detrazione di secondo grado. Duplicando poi l’aggiunta suddetta, e facendo 8, 10, 12, 14, 16 ec., ed aggiungendoli alle rispettive ipotenuse della prima serie, voi pareggiate le ipotenuse della seconda. Per vedere tutto questo si faccia attenzione alle seguenti due serie, esprimenti misure lineari. La prima appartiene al primo grado, del quale abbiamo già parlalo nel Discorso quinto; la seconda appartiene al secondo grado, del quale ora parliamo. (i) Io prego di ricordar qui il problema così dello postumo di Leibnilz, inserito nel tomo III. delle sue Opere minori s pag. 4, 22 I, apre I adito ad una bellissima costruzione, e quindi ad una luminosa analisi feconda di interiori ed esteriori rapporti co nipote oziali. Qui non mi è permesso di estendermi a dare queste costruzioni coi loro accessorie Bastar mi deve di aver somministralo alcuni sussidi] al calcolo iniziativa, il quale formar deve oggetto dello studio primitivo delle Matematiche. Debbo però avvertire, che dopo le prime costruzioni giova assai più procedere dalle maggiori dimensioni alle minori, che dalle minori o dallo zero di differenza alle maggiori. III. Prospetto unito delle serie delle ipotenuse e dei cateti tutti commensurabili. A compimento necessario dei primi sussidii del calcolo iniziativa ì cosa indispensabile di ravvisare il prospetto unito delle serie delle ipotenuse e dei cateti tutti commensurabili. seguendo l’ordine della tavola posometrica. Qui mi ristringo ai soli primi nove termini componenti la tavola pitagorica, avvertendo che questo prospetto abbisogna d’essere ampliato per compiere almeno il primo stadio. La tavola D annessa al presente Discorso offre questo prospetto. r^re direzioni conviene rilevare nei termini che compongono il prospetto. La prima è quella dal basso all’alto, che appeller erao verticale^ la seconda da sinistra a diritta, che appelleremo orizzontale,• la terza dalla punta sinistra della base al vertice, che appelleremo trasversale od obbliqua. Golia prima e coll’ultima si passa pei successivi gradi del prospetto 5 colla seconda si percorrono i termini successivi dello stesso grado. Il grado è costituito dall 'identità del quadrato, che sempre si sottrae dai successivi. Cosi nel primo grado si sottrae sempre il quadrato 1, nel secondo il 4, nel terzo il 9, nel quarto il 16, nel quinto il 25, ec. ec. II. Nella direzioue verticale salendo dal basso all’alto, e segnando la differenza fra le ipotenuse dei diversi gradi, si trova sempre la progressione di 3, 5, T, 9, ec. CO. Nella direzione orizzontale la differenza procede colla stessa progressione: ma il primo termine in ogni grado non incomincia sempre collo stesso termine come nella verticale, ma o col secondo, o col terzo, o col quarto, ec., a norma che il grado è più o meno rimoto dal primo segnalo col 5. Quanto alla trasversale, le differenze procedono colla progressione di 85 1 2 1 6. 20. 24. ec. ec. * come vedesi appunto al 12G, pag. 1324. 111. E qui cade un’ importante osservazione. La serie espressa alla pagina suddetta segna le radici sulle quali cadono i guornoui di nome quadrato della tavola posomelrica annessa al Discorso III. Ora confroutando il prospetto D, si vede che questa serie è appunto la trasversale sopra notata. Ma iu questa trasversale si colgono soltauto i capi primi di ogni grado successivo, e non si percorre mai il grado stesso. Dunque la serie dei nomi, sui quali cadono i gnomoni aritmeticamente quadrati, contiene i capolista d’ogni grado successivo. Questi capolista lineari, come vedesi alla delta pag. 1324, sono formali in una maniera, dirò così, concatenata, perchè vengono formali unendo il secondo membro del nome antecedente col primo del susseguente. Si può dire adunque che la trasversale, la quale va a finire nella punta della piramide, rassomigli ad un ramo della catena omerica dell’algoritmo primitivo. Rammentiamo qui, che con questo stesso magistero procede appunto la tavola B annessa al precedente Discorso. In essa viene esposta la serie delle proporzioni continue, in modo che il membro maggiore del quadrato antecedente forma appunto la prima parte del susseguente, come nella serie razionale ora prodotta il uome quadrato antecedente forma la prima parte della radice susseguente. IV. La sola metà del primo stadio di questa serie trasversale fu segnata nella tavola D $ perocché dev’essere spinta fino al grado 20, irn V/ 29 V 20 v/21 portante il nome lineare di 841, formante la somma di 400 e 441; e però 1’ ultima differenza fra un ipotenusa e l’altra dev’essere di 90. Questo grado è il primo punto di riposo, un gran centro ed un gran nodo pieno di luce algoritmica. V. E qui non posso contenermi dal far osservare, che fatto il diametro di 58 e i cateti di 40 e 42 cotanto vicini all’eguaglianza, e che rappresentano una specie di equatore algoritmico, si fa nascere una spuria incommensurabilità fra i segmenti dell’ ipotenusa ed altri, per togliere la quale convien convertire i nomi superficiali in lineari, e giungere appunto alla dimensione suddetta di 841 del raggio. Così per una legge comune il grado 20 compatto, formato dai quadrati .400 e 441, che forma il primo termine di riposo posometrico, da superficiale si converte in lineare. VI. Quanto alle serie orizzontali conviene rammentar qui le cose dette nell’antecedenle Discorso dalla pag. 1328 alla 1340. Due cose distinte debbomi ivi rilevare, I.;ì prima si ò la seria propria, :i cui sin ia mezzo il 169, quadralo di 13; e 1* altra la serio disimi &[ anteriore * che finisce col oli. Mirale il quadro iu seri to alla par*, Jj$j Ivi vedete k cinque prime case, che dal 20 vanno al 50; e poi redele le altee olio, che dal 61 procedono avanti. Le prime cinque apparta* £oao ai ll» il cui capolista è 26: le altri? ad un aliro.it cui a polista è Gl. Il prospetto D vi segua il luogo competente. Per vederi! auche questo innesto esaminate il quinto grado del prospetto R Tvi vedete in capolista i due cateti 11 e 60, e V ipotcnusa 61. il nome del vm minore, cioè 1 I, è Identico col quarte termine progressivo della dilL ronza 5. L 9, 1 L Volendo voi procedere dal 6! in ordine relrogra^ colla progressione suddetta farete 61 11 56 | 50 9 ^4l | 1 fJ i | o-j 3 29 | 29 3 =z 26* Ora mirale il premito Bv e voi vedrete clic dal piano del primo senliuo del grado quia tosi passa ad una linea i magi n a ria di 50, duplo di 25, che vedete in fidate di sotto. Indi si scende immediatamente a! primo scalino degrada, quarto, e si Locca Pipoteuusa 4L Qui si cala giù a piombo, ossia pia verticale, e s’ incontrano appunto il 34, il 29 e il 26. La progressione continuala salendo, qui vien fatta nella segaeMff maniera : Grado L verticale* 20 3 IL 29 HI. 34 IV. 41 Qui dal nome dell’ipotenusa 41 si passa al quadralo assurte 25, e si duplica, così si fa il numero 50, il quale dista di 9 da 4L e dì 11 da 61. \ IL 11 grado al quale come capolista appartiene il 61 è il grado quieto di questo primo prospetto. JNel prospelte non vergiamo che il ramo destro di queste grado ; il ramo sinistro è soppresso. Esso pur .litro vedasi esposto , nelle quali abhiBfma insistite sulTanalist dei termini, dell* economia e della compoteu/.a propria di questo grado. Importava assaissimo per P algoritmo il ponderate a preferenza i rapporti di questo grado medio, perocché da lui si apaade una luce dolina vastissima possanza. vili. Se voi vi arresta! e ad esanimare la posizione maierìale di questa grado, voi lo vedete chiuso di sopra e di sotto dà due serie, lo quali fanno, dirò così, causa coli Ini, e le quali costituiscono ì due ESTitEVti paradelli, Ira i quali egli sla nel mezzo. Tutto il prospetto pertanto si può figurare riparlilo in tre grandi, zone contigue, ognuna composta di tre gradi. La prima contiene i gradi pili compatti: la seconda i medi! più vitali e ró.m potenziali ; la terza i più dettagliali. La pjù in fi nenie e la più ricca di lami riesce la media, perocché in essa conlluiscono i rapporti coni potenzia li di tulio questo primo prospetta. IX, E qui lue orni nciando ad esaminare V ultimo termine segualo dall* ipotenusa 109 . che forma il centro di questo grado, voi trovale □el grado superiore e nell’ inferiore le rispettive ipotcnuse coi loro cateti star fra di loro colle ragioni di 3, 4, 5, come stanno naturalmente sempre nella ragione della divisione quinaria del diametro., per rendere ;d oTado 50 tulle le linee del binomio incrociato commensurabili. Nello c stesso tempo le misuro dei cateti rispettivi dell* ipotenusa 169 vengono fissale coi rapporti della più vicina «gangliari za, cioè in 120 e 111), Se esaminate la tavola poso metrica, voi al grado 26 del paragono avete ì cateti di costruzione peregrina eguali a IO e 24, c f' ipotcnusa eguale a 26, Togliete 13 n commensurabilità spuria, e voi ridurrete il raggio a 1 60, tiuVrdinata a 11 9, e Fasclssa a 120. Così in questo prospetto avete naturalmente l'ultima liquidazione della triplice commensurabilità, come Fa veste negli altri gradi. Quando i tèrmi ni si avvicinano così all’ eguaglianza come qui, e nell equa loro del grado 29, si possono infine alternare le linee, e costruire 1 lati superficiali, Allora la Geometria è al suo colmo. X. Il magistero algoritmico che presiede alla formazione di questo prospetto e unico ed invariabile; le qualunque grado dal quadrato aritmetico assunto còme capo di lista si sottrae il più vicino minore. 11 residuo forma la misura del primo cateto, c pei' conseguenza la prima radice od il primo termine del binomio. Golia doppia radice del quadralo sottratto si moltiplica la radice del quadrato assunto, e col prodotto si costituisce la misura del secondo cateto e il secondo termine del binomio. Fin film ente al quadrata assunto si aggiunge il quadralo di sottrazione, e culla somma risultante sì costituisce la misura dell* ipotenusa, ossia la radi oc del terzo quadrato complessivo. Il modello del binomio algebrico limalo, qual. ih da noi offerto all \ png. 1351, non apparitene elio al hinowio pttrt'Ho* e non serve punto .il Tu fri. T, t)1 ì W8 mromio sommato ragionale co me questo, Pormi coUstn una lacuna da; doveva essere supplito nei primi elementi, XI [ sondo tli questo magistero, nei due primi gradi nasce una perplessità, la quale non viene lolla che al terzo. Nel primo grado respressìone delle due radicq che serve di moltiplicatore, eccede nominalmente il quadrato sottrailo di 1, ed anzi Io duplica per intero: nel secondo grado la dóppia radice del quadrato 4 sottratto lo pareggia: e però liayvi una coincidenza di nomi, la quale lascia ambiguità se si debba per nidifi pii calore assumere il quadrato sottratto 3 oppure la doppia radice soli. Quest* ambiguità vieti tolta al terzo grado, e viene dissipata per sempre nei successivi, ne' quali si vede che la doppia radice del quadrato sottratto forma il vero ed unico moltiplicatore della radice del quadrato assunto, onde costituire il secondo cateto, che direi ih fitQltiplicftzionG, come II primo è di soìtrazione* Cosi a nell e in questo caso si palesa ì' indole logica fonda mentale della relazione ternaria : e si conferma che se il 2 segua distinzione* non somministra un completo giudizio. Per lo contrario col ternario si sviluppa il discernimento, e si conclude il giudizio. Ciò è conforme ai priaci pii logici e geometrici tli già esposti nel *2G ed altrove. Cosi dirsi può che il primo numero logico e y ora mente razionale è il 3; come il primo puramente discretivo ò il % 11 primo complessivo è il il primo associ a. ni e poi è il 7. Nelle perfette costruzioni algoritmiche conviene pa mente a queste proprietà, s tantoché quelle che noi chiamiamo p copra, tu dei numeri altro realmente non sono che leggi necessarie logiche della niente umana nel pensare alla quantità, Perla qual cosa dopo h notizia generica delle proporzioni tassa Le conviene assumere divisioni ? e stabi lire valori d’uua piena virtù e di una completa com potenza. XII. Fu già cìa noi osservato col LeìbnitZj che il |ud#cipio tinte lice di tutte le figli re geometriche rettilinee si riduce al triangolo* clH chiamo questa considerazione alla Geometria sistematica ? noi tsoviamo che il parlilo di studiare il quadrato, e quindi il triangolo rettan^o o* è una strada di mezzo fra le gradua te situazioni che presenta r Puo stesso triangolo, Diffatti, consultando il Già vio nel Tu Iti mo suo 1 eon^1 accessorio al Teorema , corrispondente alla famosa Proposizione n. di Euclide, col quale in una guisa più generale di quella di I Appo 1 mostra l'eguaglianza rispettiva dei para le Ilo grammi costituiti sopm i di un triàngolo qualunque d \ noi ci accorgiamo che un angolo I t ) È rtc/ii/ì s Eie ni ce tv ru w 1*3 J>, XV, L Ih, I. p, ^i.Rom ac, apriti Burlliolo ai 1(111 ^ ' 1 aL/1 golo gradualmente avvicinandosi al cello, la proposizione pluagorlca forma ini solo grado di no a più generalo teoria, XI li. Più ancora* per passare alle curve geome D i che fingete per primo esempio il seguente. Da un piano orizzontale alzale due perpendicolari paraletle Furia, all’ altra indefinita mente. La lista che ne nasce veofTa divisa per mela da un* altra slmile paralella perpendicolare indefinita, Sulla base orizzontale potete alzare lauti successivi triangoli, i quali abbiano lutti una base comune, ed i vertici dei quali cadano luLli stilla parai dia di mezzo. Cosi successiva mente Fangolo ve ri [calo di ognuno Susseguentediverrà sempre più acuto del precedente* che sta di sotto. Oui paiole variare le distanze di questi vertice Fingiamo che ira I uno e l'altro vertice passino le distanze potenziali degli eccessi del duplo, triplo, quadruplo, quintuplo ec. superficiali. Falla questa costruzione, dividete in due parti quesla lista, e ponete ad angolo retto le due parti, in modo che ogni semilriangolo abbia l'origine delle sue ipotcnuse in un solo punto. Voi farete una squadra, colla quale alzando e congiungendo le rispettive parcelle, disegnerete i punti pei quali passa un* iperbole. Questa iperbole congiungerà i punti angolari dei rettangoli appartenenti alle diverse proporzioni continue sopra figurate. Il lato esteriore delle due liste rappresenterà gli assi titoli deifi Iperbole* Ciò sia dello come esempio delle, costruzioni sistematiche risanar Jan lì i rapporti com potenziali geometrici, ì quali sembrano Ira loro eterogenei. 14:!. Riflessioni relative al metodo sovra esposto. Arrestiamo per un momento ì nostri passi, e riflettiamo uu poco su quello che abbiamo fatto, c sui mezzi tanto materiali quanto intellettuali die abbiamo Impiegati. Pensiamo che abbiamo un sommo bisogno cT inferire una coscienza matematica^ e che qui non si tratta di dimostrar teoremi o di sciogliere problemi, ma di accennare soltanto alcuni traili principali del metodo del più facile e del più naturale primitivo insegnamento, In conseguenza di ciò discendo alle seguenti riflessioni. Dtii modelli di proposta c iti funzione. Osserva?. ion è sull’ 1x50 elei medio, I /esposizione dei primi passi delTalgorUmo dei continui dittici fatta si lì qui sembrerà lunga, perchè lu analitica, 0 perchè si trattò di esporre uu nuovo. 0. a dir meglio, un dimenticato arlifìciò. Ma. la loro esecuzione pratica é rapida . semplice» evidente, e quasi intuitiva. Essa è resa visibile dai modelli sensibili di proposta e di funzione^ che furono da uoi impiegati (vcd. '1 IG\ Quanto ai modelli di proposta . uoi abbiamo usalo due binomii incrociali -t dei quali abbiamo giù giustificata la necessità* l' imporla nza e la fecondità logica ;ved. 120). Quanto poi ai modelli dì funzione^ noi ne abbiamo impiegati sei, a norma delle operazioni algoritmiche occorrenti alla \ abitazione, Questi sei modelli sono i seguenti: cioè L 11 vicnio. clie voi ve de Le nella fig. I. della lav, II. IL La squadra, clic risulta dalla immissione di un quadralo: minore dentro mi maggiore, come nelle figure l\. e XIV. Parte IL tav, 1. HI. Il eTn'ovtiq partito dellé grandezze principali*, come per esempio nella fig* XII. tav. I. Ivi il quadrato A E l G forma la prima grande^za. e il quadrato 1 II 13 F forma la seconda. IY. li in parti ronK. quale voi vedete nella fig* I\* tav. IL 1 /associa n te progressivo. quale sta descritto nelle figure M. VII. e VIIL della tav. 11. VL Finalmente f approssimato he di equazione, quale sta esposLo nella fìg. XII. della stessa tav. 11. Questi sei modelli sensìbili sono perpetui e di un uso universale. JUspetto al ai omo però occorre una osservazione 5 ed. è: eia og li con k universale se non nel caso delle composizioni dimezzate ^ le quali sci vono a fissare la mole media allorché ci restringiamo a con templare e ad agire entro V unita circolare. Del rimanente, allorquando si vaglia passare a modelli composti e complessivi, dei quali non In ancora pailn I o5 conviene adoperare tutto intiero il rettangolo o quadri 3 ungo interno* Io mi spiego. Mirale le figure \\. e XYL della lav. IVói ivi vedete il ' risultato dì 35; quindi quello del L ll,*la delia lista sì dovette dividere iti IT, b Questo in co li veti leu Lo non &au accaduto, se avessimo prese le due principali grandezze nella b|T0 t'-'ul beta. E però la regola vuole allora elic si duplichi il valore del mino1 * mine del binomio in crociato: e invece di prendere la sola arca Jcl ftaiti golo rettangolo per complemento, .sì deve prendere tutto il quabi ' H ' L c&-e-, la divisa di sensualismo* nel mentre pure eli e Condrite è quel desso die La a minutalo come fondamento essere 1 universo un fenomeno ideale,, nel scuso sopra spiegato, e nel mentre che Gouddlac Ila arricchito la filosofia della bella e fondamentale teoria della forma/, ione delle idee astratte et della loro associazione, mediante le quali veniamo sottratti dalla schiavitù dei sensii quali ci assoggÉftavano al solo corso fortuito della esterne impressioni? lo prescindo dai liLoli di benemerenza che Condì] he si è acquistato applicando 3 a sua teorìa alTarte di pensare e di scrivere: cosa che niun trascendentalista assoluto potrà fare giammai. Dirò solamente., che se la lingua del calcolo non piacque come opera matematica al sig. Wronski ciò nulla detrae al merito di Condillac 5 il quale non si propose di trattare della filosofia della Ma tematica, ma solamente volle offrire oaJ iti astrazione della sua teoria in fallo di linguaggio^ q nulla più. Leggasi il solo frontispizio dell’Opera, c si rileverà la prova di quel che dicoEccolo come sia nelf edizione di Parigi di Carlo llouel* dell’anno sesto repubblicano* m La langue des calcola onvragc posili u me et Cementai re, imprime » sur les manuscrits aulograpLes de l’autonr. dans le quel des observa>s tious fai ics sur Ics coni m enee me ns et les progni: s de celle I angue, deil, moulrent Ics vices des langues vulgaircs, et fo ut voir coni meni un » pourroit; dans toulcs Ics Sciences*, reduire Lari de raisouner à urie Irm>j gue bieii fai Le* » Leggasi l’Opera, e si troverà no limpidissimo dizionario filosofico h He primitive nozioni algoritmiche,, la lettura del quale noti saprebbesi mai raccomandare abbastanza agli apprendenti per calcolare con una esplicita coscienza^ lontana del pari dal cieco meccanismo degli empiristi, che dalli: : sfumate elaborazioni dei trascende ala listi. La difesa dello dottrine di Goudillae e inseparabile da quella dei progressi della coscienza fi toso fica anche in Matematica* Cosi pure l’esame dell’Opera del sig. Wronski da me vico fatto sellante colla mira dì porre in evidenza i principia e te regole della matematica filosofia* in quanto specialmente concerne l insegnamento primitivo* l. ua critica fatta di proposito della sua Opera esìgerebbe ben altro lavoro. Lo mi contenterò dunque di Irascegliere solamente quei tratti i quali riguardano direttamente L’oggetto di questi mici Discorsi. L’Opera del sig. Wroushi, alla quale egli diede il pomposo titolo d 'Litmduzione affa jilosùjia delle Matematiche, altro veramente non fi che un saggio di metafisica aritmetica. Io nou voglio entrare ad esaminare gli algoritmi dell’ autore* sì perchè qui non esibisco vermi Trattato di Matematica, e sì perchè non amo di eccedere la sfera del primitivo inseguamenlo. Mi restringerò dunque a sfiorare quegli aspetti i quali convengono aU’assunlo di questi Discorsi. Le mie censure versano sulle opinioni. Io rispetto assai la persona del sig. "Wronski, e nulla detraggo alla possanza de’suoi calcoli. Io anzi godo di vedere che lo spirilo eminente e filosofico delle sue teorie (comunque espresse con un gergo per noi strano) collima collo spirito fondamentale della vera arte matematica. 145. Di alcune nozioni preliminari del sig. Wronski. Le prime cinque pagine del libro del sig. Wronski sono consacrale ad indicare V oggetto universale delle Matematiche, ed a segnarne i grandi rami, per concentrarsi indi sulla parte teorica deiralgoritmo numerico. Quanto all’oggetto esteriore ed interiore delle Matematiche, egli ripete meramente le idee di Kant; quanto poi alla partizione loro, egli ripete la solila divisione della Matematica in pura ed applicata. Egli suddivide la pura in due rami, l’uno dei quali egli ascrive alla Geometria e l’altro alla scienza numerica astratta, ch’egli chiama Algoritnua. In ognuna di esse distingue la parte dimostrativa dalla parte precettiva. Alla prima dà il nome di teoria, alla seconda di tecnica. I teoremi appartengono alla prima ; i canoni o le regole alla seconda. Ciò tutto era uotorio. Il sig. "Wronski premette tutte queste nozioni alla sua Introduzione alla filosofia delle Matematiche. Noi dunque avevamo diritto di aspettarci qualche cosa di filosofico in questo ingresso. Noi tanto pai potevamo pretenderlo, quanto più è certo ch’egli, dopo un breve esoidio sul complesso della disciplina, concentrò il suo lavoro sulla parte numerica astratta. Ora che cosa ha egli fatto? Le nozioni preliminari, ripetute colla scorta di Kant, parte sono false, e parte nulle. Eccone le piove. Se voi domandate al signor Wronski che cosa sia la Matematica, egli nou vi risponde con una categorica definizione; ma vi dice solamente, che la forme, la manière détre de la nature ou clu monde phjsique est l'objet generai des Mathémcitiques. Gli scolastici distinguevano la sostanza dalla forma, come si distingue la materia dalla figlirai ma nello stesso tempo i più giudiziosi confessavano che la forma non è che un modo di essere della sostanza, di maniera che la forma do» Può sussistere per sè stessa, come la figura d’uu corpo nou può esistere senza di lui. Con ciò la cosa si risolveva nel dire, che in realtà la forma altro non era che la stessa sostanza così esìstente, e che Ja distinzione dell una dall altra non era die puramente mentale* Fin qui non avvi nulla che ripugni alla ragione. Ma queste Idee impastata dal t rasc&n d e u t ali fi m o assoluto som ministra no recipienti) nei quali si fa vedere forma e contenuto, e Le monde » pliysiqtie presente, daos la causatile unii intelligente, dans la nature*, » deux objets distìnets; Fun, qui est la forme ^ la manière dVlre^ Fa atre, » qui est le conienti} Fessence mème de Faci imi plmupe. Con queste parole s’intnfiiì a qii Introduzione alla filosofìa delie Matematiche, .Analizziamo questo passo. Quali sono i primi nominativi di questa sentenza? il mondo fisico, una causalità noti intelligente nella natura. Ma parlando filoso ficamen te, che cosa è e può essere rispetto a noi questo mondo fisico, fuorché un fenomeno ideale in noi eccita Lo dfi [Fazione e reazione ira qualche cosa ^incognito che crediamo esistere fuori di noi, e fmert? nostro pensante? Questa è una verità rigorosa, la quale emana dal fatto, che Funaio pensa ole non esce mai da sé stesso, e non può nè vedere nè render conto se non di ciò cV egli vede e sento in se stesso. Ciò posto, il mondo fisico si risolvo realmente nel complesso dello idee da noi attribuito ad oggetti esterni, e nulla piò. bissata questa nozione, la sola filosofica possìbile, io distinguo nel mondo esteriore tanto particolarità, quante ne distinguo nelle idee da me attribuite ad oggetti esterni, i quali essendo lutti individuali^ altro concetto non mi som ministra no, che quello di cose semplici o complesso, le quali in diversa guisa affettano ì miei sensi, o, a dir meglio, suscitano in me ideo e sentimenti che io classifico secondo ì mezzi pei quali mi figuro che vengano iu me suscitati. lo quindi non conosco nò posso conoscere cause prime ; ma altro non conosco, che effetti seconda rii e di puro rapporto. Questi effetti non sono che idee mie, le quali Io debbo riguardare come segni reali dt effettiva corrispondenza ? e ualla più. Ma non conoscendo le cose esterne nella lóro realtà, ma veggendole per speculato et in enìgmateò lungi che Io possa ragionare di causalità intelligente o non intelligente} e peggio poi dell* ras tr stessa dell' azione fisica (come pretende il sig, Wronski ), io mi veggo cestro Ito a limitarmi al puro l'atto delle apparenze.. e delle apparenze che accadono nel mio essere senziente, L1 essenza dell* azione fisica*. secondo il sì g. Wronski, forma il contenuto. lo so che il cibo è contenuto in un ventre, come so clic un liquido è con Lo nulo in un vaso^ ma contesso di non saper comprendere come T me/Crt delazione fisica possa divenire contenuto di qualche cosa. Agire è lo slesso clic prodarre uq certo effetto. l'azione mm è che Ve servìzio di una forza, ossia ima funzione di un èssere attivo. Laute reale, l'auto esistente, e la sola cosa di fatto esistente in natura, Lersenza logica di mi azione consìste nei caratteri eli e la contraddistinguono da qualunque altra cosa. Come applicare a lotte queste idee il carattere di colite tutto/ Per contenuto intende forse l’ cute esistente? In tal caso egli contiene se stesso, ossia esiste cornac, e nulla più: continente e contenuto è inumilo. La causalità non intelligente deila natura formali recipiente . e questo recipiente presenta appunto forma e contenuto, Ma ciac cosa ù questa causai Uh non intelligente ? Jl forse la materia} ù forse la chimera scolastica ? Che diavolo è mai essa? Dobbiamo fera1 apprendere la trascendentale filosofia per mezzo di sibilimi! e ili strambotti? Gli eqiiipondialiter e gli archi gingie c di alcuni scolastici dui medio evo erano modi eleganti in confronto di questo. Forma e maniera di essere sono tu IL’ imo pel signor W'roùsH La forma sin qui fu riguardata come una delle qualità essenziali dei colpi; ma ogni maniera di essere del corpi nou fu mai ridotta alla sola forma. Le maniere dì essere risultano da tutto il complesso delle qualità essenziali, e non da una sola dì queste qualità. Quando II sìg. W reo sii ami di dir cose ragionevoli, o parli diversamente . o si degni almeno di darci d suo dizionario. a La deducimi! de celle dualità de la nature, prosegue Wronski appartieni à la Philosnpliie: uous nous conteuterous iti i de nòtre savoiiq eL uommèmenl daus la diversi! ó qui se t rotivi calie >> le lois transcéndantales de la sensibili te (de la recepibile de notte » voi r), e! des lois Iranscendantales de Tenie □ de meni (de fa spontanulc 3> ou de racliviLÓ de no tre savoir). (Tesi, ca effet, dans la divergile {1U1 jj roani te de Tappi ìcation do ces lois ani pljcuomèues donnea a postene » ri, que consiste la dualità de T aspect sous le quel se presente la ualA1 ?; re; duali E e quo iious raugoons, conduits de nonveau par des bbs tia“ >y scénda □ talea, sous Ics conceptìons de forme et de conteim du 1110,1 c p pi iy si que. » ff Or Informe^ la manière d'étre de. la nature, ou du monde ph)ftl » que. est lèda jet gèuèràl des Matiiììmatiques f et sou contenti^ &ml cS" ii scuce meme est Tobjel gè udrai de la Pitystquti. Mala laissnns celle deiti i ère. pour ue nous occupar icl que des MatLèmatiquOs. » Clie cosa vegliamo in questo passo? Clic Fautore pretende di ghermire le esisf.jvze stesse componenti il mondo ìsico. Con queste ptcf.csi non siamo forse gettali u elio plebe© Illusioni^ lo quali precèdettero la nascila della Filosofia? Come? V essenza stessa del mondo fisico forma IVg^etto generale delle scienze fisiche? Futti gii uomini di senso comune dichiara no eoo De Buffon, che noi non solamente non conosciamo essenza alcuna.,, rna che tulle le nostre fisiche teorie consistono nello spiegare un effetto meno cognito e particolare mediante mi effetto più coguito c generale. Effetti c puri effetti (e mai cause prime, o peggio poi essenze) noi conosciamo, e possiamo solo conoscere. Volendo tradurre in un senso ragionevole h cose delle dal signor VVi-ónski. pare thè ne esca il seguente scuso . La natura sì presenta a noi sotto lui do (Mio aspetto, il quale nasce dalla nostra maniera di vedere le cose, Ber questa maniera noi distinguiamo la sostanza e ì u fórma. Alla prima appartengano gli attribuii essenziali: alla seconda le diverse maniere di esistere ìu conseguenza di questi attributi e della loro azione. Posto questo senso, la dualità da lui asserita riesce puramente mén tale, lassa consiste nella distinzione da noi latta fra 1 idea deli essere. c quella dei diversi modi coi quali egli può esistere . Ma col dirci tutto questo die cosa c insegna egli? Passando all’ uomo interiore, la facoltà di sentire viene del pari logicamente disilo La da quella di ragion ci re Fa il is l in z 1 o i u j del senso dalla ragione è la uto antica, quanto è 1 a Filosofia, Abbisognavano forse le Matematiche dJ incorni Gelare dall esordio dell' Ideologia, e da un esordio così vago, per mostrare la loro generazione filosofica ? Proseguiamo. « Informe dii monde pbysique, qui resulto de F apri pii calie n des lo i s tra ascendati talea de la sensibilità aux phenommes » [PEANO successione GRICE] do u n és a posterìot'ì* est le temps ponr tous Ics objeLs physiques cu » generai, et Vespa ce pour Ics objels physiques extérieurs. » Spazio e, tèmpo costituiscono, secondo II sig. AVronski, la forma del mondo fisico. L n spazio è una forma; il tempo è una forma. Ma lo spazio e il tempo quale forma folca possono essi avere? Più ancora: L’aggregato dei corpi, considerato intrìnseca mente^ sarà dunque zero? Volendo parlare contro senso, non v’ha nulla di meglio. L’ ombra è tutto, e il solido b nulla. k Qe sont dono les lois du temps et de V espace, en considera rtt ces » derni èrs cornine appartenant aa monde phjsìqne donne a posteriori, » qui font le pèritabie oh jet des Matliémaùques. h L( £b appliqui! ut a u temps. considerò objeclivemeut comm e appari®» uant au\ phònornónes pbjsiques doriùòs a posteriori. les lois trauscenri danlales du sa voi r, et uommémont la première des lois de IV n terni e)i meni, la quanlib-' prisc daus Loute sa generalità . il cu ròsulle la conception de la succession des instans, et daus la plus grande abstra» clion la conception ou plutòt le schema da nombre. De plus, eu ap» pliquant la méme loi transcendantale à rintuition de l’espace, ce der» mèr etant de raème considerò objectivemeut comme apparteuant aux » phénomènes physlques donnés a posteriori, il en résulte la conception » de la conjonction des points, et daus la plus grande abstraction la con» ception ou plutòt le schema de Yétendue . Ges deux déterminations » particulières de l’objet generai des Malhématiques donnent naissance » à deux branches des Mathématiques pures. La première a pour objet » les nornbres : nous l’appellerous Algoritiimie. La seconde a pour ob» jet V etejidue : c’est la Geometrie. . Esame delle nozioni preliminari suddette. Eccoci finalmente entrati in argomento. Qui domando se la Filosofia possa ricevere le nozioni somministrateci dall’autore. Egli, senza definirci che cosa sia quantità, ci annunzia in un tuono assoluto, ch’essa forma la prima legge dell’umano sapere. Fin qui si è sempre pensato che la quantità consistesse in un attributo o in uno stato pel quale una cosa è suscettibile di aumento o decremento, e però niuno al mondo sognò mai ch’essa fosse una legge dell’umano sapere. Egli pretende con Kant, che l’idea del numero nasca dall’idea del tempo. Ma il senso comune respinge questa sentenza, come un travolgimento della naturale generazione della idea del numero. Ho già dimostrato nel Discorso primo, che il concetto del numero è concetto individuo e complessivo . Quest’idea è iuchiusa nelle definizioni del numero dateci dai matematici da Euclide in qua. Ciò essenzialmente importa. che gli elementi omogenei siano compresenti al nostro pensiero, e compresi sotto di un solo concetto; così che, tolta questa simultaneità e consociazione, cessa l’idea propria di numero, e soltentra quella di unità sgranate e disperse. Ma il carattere precipuo dell’idea del tempo consiste nell’idea di successione. Se coll’ajuto della memoria e della fantasia noi non ci formassimo l’idea complessa ed unica d’una serie d’istanti o di esistenze, mai giungeremmo a creare l’idea individua del tempo, e vestirla con un coucelio proprio; ma saremmo affetti passivamente da un’attualità staccata d’istanti, senza poter distinguere nè passato, nè presente, nè futuro. Lungi adunque che la successione effettiva (che costituisce il tempo reale ) somministrare ci possa l’idea del numero, essa per lo contrario ce ne priverebbe perpetuamente. Ma la fantasia presentandoci i successivi a guisa dei simultanei col giudizio della loro successione, noi investiamo la successione col concetto individuo del numero, il quale, così conformato, presenta la nozione del tempo . Diffatli il passato ed il futuro realmente non coesistono col presente. L’istante presente soltanto esiste; ma l’istante presente non può somministrar mai l’idea di numero, ma quella sola di unita. L’idea di numero essenzialmente importa quella d’una pluralità compresa in un solo concetto. L’idea dunque del tempo non è idea matrice, ma idea filiale del numero. Essa non può essere conformata e intesa da noi se non in conseguenza del concetto d’una pluralità d’istanti compresi sotto di una sola nozione; locchè appunto involge l’idea di numero. In questo senso il concetto del tempo altro uou è che quello di un numero trasformato, ossia meglio altro non è che l’idea di numero associata a quella di successione. Le unità di questo numero sono gli istanti. Chi all’opposto dicesse die il numero altro non è che il tempo trasformato, non travolgerebbe forse ogni senso comune? Eppure questa è la nozione sublime e trascendentale che ci viene somministrala da Kant, e ripetuta dal signor W ronski. Veniamo ora alla generazione dell’idea di estensione . Assegnarle come origine la congiunzione dei punti è un vero controsenso. Figurate voi questi punti inestesi ? Allora accoppiate un assurdo. Figurate voi punti estesi ? Allora l’estensione si presenta da sè stessa come uu’idea primitiva, uè abbisogna d’essere altrimenti generata. Cosila successione degli istanti per creare il numero, e la congiunzione dei punti per creare V esteso, attestano che razza di filosofia sia quella che ci fu regalala da Wronski. Questo non è ancor tutto. Wronski pretende che l’estensione presentataci dal mondo fisico sia identica all’idea di estensione maneggiata in Matematica. Con questa sentenza egli ci prova che il vero senso trascendentale non è stato da lui raggiunto, come non fu raggiunto nel pensare al numero ; imperocché, tutto considerato, si trova che l’idea di estensione, quale viene assunta e maneggiala in Geometria, non è propriamente quella che la ragione può ammettere nel mondo fisico, ma è bensì un’idea fattizia, derivala dalla vista uniforme e indistinta delle superficie. Dico che l’estensione, quale viene assunta in Geometria, non può filosoficamente essere attribuita alla natura esteriore; e ciò non solamente per essere astratta, ma eziandio perchè la continuità assoluta, chele prestiamo, ripugna alla pluralità di estesi discontinui . Figurate monadi, atomi, od altri elementi sensibili. Le loro aggregazioni respingono l’idea d’una rigorosa continuità, com’essa è respinta da un rnucchio di sabbia, al quale imprestiamo un individuo concetto superficiale. Fra l'idea inlriseca di estensione geometrica attribuita alla monade, considerata come unità elementare, e quella di cui rivestiamo l’area di ima grande figura, non v’ha differenza alcuna. Se questa differenza esistesse, 1 identità di specie, che forma la condizione prima e fondamentale della commeusurazione, mancherebbe, nè sarebbe possibile nè valutazione, nè algoritmo alcuno. Secondaria dunque ed artificiale risulta l’idea dely estensione, della quale ci serviamo nella Matematica pura. Essa è esattamente quella dell’ uno continuo e indiviso. Essa per questo concetto forma appuuto il mezzo termine comune delle valutazioni. Da ciò ne segue, che la quantità fisica escogitabile non è una copia materiale della fisica reale della natura, ma uu emblema enigmatico di quella dell’esteriore natura. Questa quantità fisica escogitabile, io lo ripeto, non può essere sensibile, ma puramente logica. Essa è un impasto formato da noi per valutare l’esteso in generale. Mercè questo impasto noi vestiamo gli aggregati colle spoglie dell’ unità: e viceversa, a grandezze continue associamo l’ idea di valori numerici. Per la qual cosa la Matematica, a parlar rigorosamente, non fa uso nè della quantità discreta, quale esiste in natura; nè della continua, quale può e dev’essere concepita; ma veramente assume la sola quantità continua parteggiata. L’unità dell’ io pensante, che apprende e distingue ad un solo tratto, crea per una naturai legge questo enle f attizio, e ne la uso senza nemmeno avvedersi della sua indole e del suo vero valore. Noi siamo forzati a valerci di questi concetti; perocché per questi soli simboli ci è peimesso di ragionare sulle cose esteriori. Logica dunque e non fisica 11guardar si deve V estensione della quale facciamo uso nella Matematica pura. E però allorché dall’escogitabile passiamo al reale, deve ìnteivenire una traduzione di concetti. 147. Prima conseguenza pratica. Calcolo superficiale. In forza di questo concetto dell’esteso ne segue non poter noi frapporre differenza fra il commensurabile e l’incommensurabile, se non a riguardo della potenza del nostro senso discretivo. Una corda pei date i tuoni maggiori ben distinti dev’essere divisa a dati intervalliEcco il commensurabile lineare. I gradi inlermedii escogitabili occupano il campo tra l’uno e l’altro limite commensurabile. Ma sì ueH’uno che nell altro caso per paragonare l’esteso debbo computare le superficie, e quindi assumere le lince o le divisioni come equinotanti, e non come equivalenti a superficie. Tanto la linea, (pianto qualunque altro indice anime im tìco litri) Li otisi assumere come segni, c non come ii reale oggetto valutato. Se si fa corrispondere mimerò a numero ? non conviene sostituire il concetto del segno al concetto della -cosa, .1 /assumer lineo o parti di esse udii si deve considerare che come un’ indicazione indiretta, e come mi segno eomspoudeuLe di commeosu razione superficiale. La computazione lineare è utile quando usar si può; ma essa riguardar si deve sempre come un mezzo parziale^ e non mai come esclusivo*, uè padroneggiatile tutto 1’ algoritmo. Impiegatelo dunque, ma senza dimenticare ch'egli non lignifica qualche cosa se non colF associazione dei concetti superficiali. La buona Matematica non ripugnò mai a questo metodo anche quando fu dominata dalla mania delle quadrature, e fu illusa dalle viziose dicotomie, f( Mos oblili Li ii (disse Newton), ut geucsis seti descriptio superri. ideici per linearti super aliarli linearci ad ree Los angulos moventem, cìì» catur multi pi icario i siimi m l'mearum. Nam quamvis linea ni ulti plica la » non pomi evadere superficies. Ideoqtie liaec superiìciei e lineis gene» ratio [ùnge alia sìt a nuilliplieatione ; io hoc tamen conveniuut, quod y> numerila u ni taluni in al ter u tra linea, m uhi plica tu $ per mime rum titilli p furti in altera produca! abstracLum numerimi uni taluni in superficie I| i_t e i s islis compre] musa, si modo unitati super ficialis de buia tur ut son Ih. quadratoni, eujus balera suoi imitateti superficiales. » [Àrithmetka ttnivers'aUsi £b ) Il sig. La Croi*. ne* suoi Elementi di ^Geometria CO osservò che a mesurer des grandems u’étant autre chose que comparer etitre clles H cclles de ménte espèce^ il est d vide ut que la mesure dos aires doit Jf avfqr poviv bui de savoir combien ime aire qu eleo n que en conticnt >} Ul]e auire psiae arbitraircment pour servir de termo de comparaìson.» Usando egli di questo principio dimostrò la proposizione, che due rettangoli qualunque stanno fra di toro come ì prodotti della loro base per |Li joro altezza* o come i prodotti dei due lati contigui. Dopo di aver data la dimostra zio uè, soggiunge in noia: w Je me suis servi ebdessus de la » muUiplieatiou par ordre camme du moyeu plus sito pie pour par venir » a u resultai eh orche: mais il pourrail arriver que Fon éprouvat qucl» que àif fienile à concevoir ce efrangemenl daus le quel il serable quii )> faut mulliplier des aires eulre elles. Celle difficili té cesserà si Fon imu rnaglue que ccs aires pour ótre comparées mitre elles soni rapptwlées ?)à urie certame aire pvise pour mesure comniune ou pour unite, » La (i) Siemens (h Geometrie. Hulttoe nditlon, PaiL T. n.° 167'itì^ Paris, chez Gourcicr, ai), difficoltà téinuta dall'autore tiou può cadere die nelle teste stravolte o tu quelle che non avvertono che nella cmnmen sur azione geometrica con si la uso propri am e u te die di aree anche quando si assumono sole lineo : orni v lia che l'esteso che possa misurar restoso. Golia idea ustru U ìa non si fissano fuorché rapporti di confini e di direzioni; ma noti si può creare uno slromeulo vero misuratore e di geometrica valutazione, 1 più valenti geometri c'insegnano che le superficie astratte si debbono considerare come puri limiti dei corpi, e le linee astratte come estremità di queste superficie ; e finalmente I punti come limiti di queste linee. lutto questo non segna che logie nostre, e non il carattere coiliUUivó delle grandézze reali estese* Anzi queste logie si fondano tutte è si qipoggiano così al concetto intuitilo ed intero dell' esteso, che senza di ciò uè esistere potrebbero, nè servire ai nostri raziocini!. Glabre senza corpo, segni senza significato riuscirebbero essi senza la realità dell esteso primitivo. Newton disse, che la moltiplicazione a non tantum fit per » abstractos un in eros, sed etiam per concretas quantitates* ut per li» neas superficie^ motum Incateni pondera etc., quatenus bue ad ali» quam sui generis nolani qua alitateci tamquam un itale in relatae ram tiones nunierorum esprimere possunt el vices supplire. » {Arithmetica universalis, 8.) Il numero per se non indica alcuna specie deter min. a la dì cose, come ognun sa. Dunque egli non altera ì caratteri delle cose 5 ma si associa con Lutti. Dunque ndlo valutazioni il numero serve a questi caratteri. Dunque, parlando dell'esteso, lascia al punto ed alla linea geometrica la loro natura; e però nell'atto che no connota Io parti non attribuisce loro altra virtù dimermva*, che quella eh essi hanno naturalmente. Ma E essenza di questi enti di ragione esclude in essi Ir qualità proprie dell’esteso reale, c lascia loro soltanto la virtù rii segni associati, e nulla più. Dunque nelle valutazioni superficiali l’uffizio delle linee sarà solamente equinotante. e uon propriamente valutante c di~ mensfaa deiresteso. Tutto questo è d’ftna verità così rigorosa, che non può essere impugnato senza distruggere il principio stesso di contraddizione, perocché nasce dal concetto stesso essenziale del punto ? della linea c deb V esteso. Io dunque non escludo l'uso delle espressioni numeriche lineari, come non escludo l 'espressione numerica dei luoghi, dei grttdh delle combinazioni 3 e di qualunque altra logia ripetuta; ma avverto urlio stesso tempo uon essere permesso di sovvertire le leggi di ragione 3 f acendo che la linea usurpi i! posto della superficie* o che la superjicie si converta in linea . Viceversa poi dico e sostengo, essere principio es&en m ziale di ragione. che la valutazione geometrica* sì continua cbo disco ntifimi* iìA essenzialmente superficiale, e clic l'algoritmo lineare sia essenzialmente sussidiario^ associato e subordinato ai superficiale. La natura stessa della mente umana si fa. dirò così, giustizia da sè stéssa. Ellaa dispetto dei matematici non bene avvisali, ì quali vogliono sottoporre il superficiale al lineare, si emancipa da questa tirannia; imperocché trattandosi di valutar superficie» olla sostituisce aneli e a nostra insaputa il numero superficiale al lineare. Di [Talli un vittorioso is liuto ci fa sentire essere impossibile valutazione alcuna delle aree, se non si assumessero altre aree elementari* Distinguasi dunque la posizione del numero lineare daìl'Vifo di questo numero. Se Fuso inirin seca mente non fosse quale io fi annunzio» i risultati della valuLazioue superficiale o sarebbero assurdi 3 o sarebbero nulli. Gol!7 iuesteso non si misura l' esteso. Ponendo a paragone l’esteso co-Il’inesLesò 5 non solo non paragoniamo quantità della stessa specie, ma ragguagliamo coso fra loro ripugnanti. La Geometria riposa perpetua mente sulla base della conim emulazione superficiale tutte le volte cld essa paragona Festensione rispettiva di due grandezze. Cosi la famosa proposizione pitagorica viene dimostrata confronta Lido superficie con superficie, S aro I j Ij e ben c osa ettrana die u 11a for m a, u n a 1 egge 5 u n fistio, un mezzo clic si dimostra e che si usa pei generali usar non si potesse audio pei particolari ; o viceversa, die ciò clic ripugna ai particolari co live n I v dovesse a i genera l L 11 i te n i a in o dunque, che le uni tà e i uumeri lineari uou sono dementi, ma equinotanti degli elementi super fidali. Questi poi sono i soli competenti alla valutazione degli estesi: e però ci gioviamo dei concetti lineari come di sussidii o di segnali e gut notanti^ ma non equivalenti. Ecco un canone fondamentale per valutare gli estesi. In forza dì queste considerazioni non solamente rimane giusliiicaLo il calcolo superficiale geometrico come primo, precipuo cd unico, ma la natura*, gli uffizi^ la competenza^ \ limiti del lineare sussidiario vengono filosoficamente determinali. Allora si vede che col subordinare il superficiale al lineare, o col voler generare la scienza col lineare, egli e lo stesso che far dipendere il corpo dall* ombra, e coll* ambra generare il corpo. Rovinoso, distruttivo» antilogico sarebbe dunque l’ insego amen Lo primo della Geometria per mezzo di due od amebe di tre coordinate. come alcuni pretendono. Questo mezzo tu L fi al più sarebbe buono per richiamare in ultimo un profilo delle leggi algoritmiche riguardanti la Geometria. Allora con una incute nutrita delle cognizioni della naturale generazione degli enti geometrici ed aritmetici SI POSSONO FABBRICARE ALCUNI SIMBOLI – cf. Grice on Austin SYMBOLO --, ai quali associandoci le mille idee sottaciute (le quali dal processo nudo delie coordinate uou possono essere presentalo';, cspvi1110110 le leggi generali geometriche . come coUfAlgsbra si seguano le leES'1 generali numeriche. 1/ ultimo eccesso, n a dir meglio l3 assassinio massimo dell is Inizio uè, sarebbe il sostituire I* insegna tn e alo per coordinate a quello della primitiva arte di osservare. Concludo ponendo per primo canone pratico 31 valutare con elementi superbcsall le quantità estese presentate e computate nel primitivo msegna rimi ito, 148. Da quanta eticità hi VI a le malica vigente sia dominata'* secondo il sig. Wfon&bi, Kitoruo al sig* Wrorisbi. Dalle prime pagine del libro mi con vieti saltare alle ultime, perocché Iti queste a lui è piaciuto di concentrare i motivi reali del suo lavoro. Kg lì fa la seguente domanda: e Quid était » Téiat des MaLbomatlques. et sur toni de IbAlgoridirme, avau t celle piliss losophle des Ma ib erna ti ques? » A questa dmnauda cosi ampia egli risponde restringendosi soltanto a ciò clic spetta al puro algoritmo: perocché dello stalo della Geometria non fa cenno, e solamente si contenta di dame in Bue i rami attuali in forma di albero .all’ uso di quelli degli scolastici del medio evo ('X Ristretto quindi Tesarne allo stato dell algoritmo. dice in primo luogo clic i primi principi!, ossìa i me La fisici, risguardanti T arte di computare . non avevano prima di lui fuorcliè una ce /'tozza problematica. Resta a vedere se dopo di Ini abbiano acquistata una certezza soddisfacente. Sarà vero per altro clic presso la comune non avevano certezza veruna, perocché una certezza probi ente tied noti è uè punto nè poco certezza. Il carattere essenziale della certezze Caa_ siste nell7 escludere qualunque dubbio del contrario. IN luna meraviglia può nascere sulla controversa natura della metafisica di Non impugnando il latto s e tributando omaggio al discernimento del si*-, Wronsk't si domanda se and/ egli abbia conosciuto il principio riguardante queste quantità imaginarie. Se lo avesse veramente conosciuto, coinè pretende, non si sarebbe, prevalso deUVpileto di ideai u, ina avrebbe usato f|uel!o di snaturate.) e snaturate per via d’uu incuocetenti-: artifìcio ([). So di' egli La preteso di giustificare la sua sentenza \ ma il mezzo da Ini impiegato è una viziosa petizione dì principio . Per confermare poi filosoficamente il suo assunto ha avuto il coraggio di regalarci un tenebroso paradosso ^autìstico dopo una più tenebrosa dimostra?, ione ccU’iubnÌLo, e Quaut à Fefipcec do contro die lion qne ecs » ìw mbres pava ssent im pi i q a e r* c t dont ti o u s nyons don u la de d action, » ou volt in ai u le nani qne cc n’est poiut ime coutradiction l&giqite qui o Ics reudrait ahsurdcs., mais bien uno conlradiction tra nscc n da nlale^ JA-iniè veri tabi e antinomie dans luntclligence ìmmaine, pvovenant de » lopposilion des loia de l’enten dome ut avec les lois de la valsoli. >s (Pag. 1 Gì,) (n II celebre Lcibuil» cliUmiava queste raposti fra l' essere e il nulla. Opera omnia, dici imiigiiiarb eoi nome di mostri amfibìi Esame della sentenza del signor Wronski intorno le radici imaginarie. la questo passo la sana ragione rileva tre cose. La prima una mostruosità assoluta morale; la seconda un controsenso matematico ; la terza una stravagante applicazione di questa mostruosità, onde giustificare questo conlrosenso. Queste tre qualificazioni debbono essere provate per esteso, perocché qui si tratta di una legge fondamentale della natura umana, la quale oggidì non solamente è poco conosciuta dalla comune dei filosofi, ma, quel che è peggio, fu presa in senso contrario a quello che viene indicato nella suprema economia della natura. I. E cosa nota che l’uomo non è predominato da un ristretto, uniforme e materiale istinto, come i bruti: ma è governato da una forza e con leggi tali, per le quali nei diversi secoli e nei diversi paesi egli uou solamente varia le sue maniere di pensare e di agire, ma in certi luoghi egli va migliorando il suo modo di vivere, vale a dire, equilibra ognora più i mezzi di potenza cogli stimoli dei bisogui. Le rondini ed i castori del dì d’oggi fabbricano i loro nidi e le loro case come al tempo di Adamo* ma gli Europei del dì d’oggi non errano più nei boschi per pascersi di ghiande, uou si rifugiano più negli antri, nè abitano più semplici capanne, costrutte con rami strappati, e coperti di fango (l). Le campagne coltivate, le paludi asciugate, le città innalzate, le vie appianate, i ponti costrutti, l’oceano tutto navigato, il fulmine condotto, le invenzioni tutte diffuse, ec. ec., sono tanti fatti visibili e palpabili, i qnali attestano in faccia al sole la possanza morale della quale la natura dotò la specie umana. Per essa gli uomini si perfezionano cogli anni, e le nazioni coi secoli. Posto questo testo indubitato, luminoso, solenne, quali sono le os servazioni prime di fatto che si presentano? Una è la specie umana, e identica fu sempre la sua costituzione ed il tenore fondamentale della di lei economia. Ma daH’allra parte la storia tutta ci fa fede che la possanza morale umana dovette talvolta sormontare sì ardue difficoltà e vinceic si gravi ostacoli, che gigantesche ci appajono le di lei imprese. Talvolta poi Di quest’ultimo modo di abitare non veggiamo esempli fuorché o in paesi oppressi da un assorbente inveterato feudalismo, come sarebbe l’ Irlanda, le Ebridi, e le rnonta& della Scozia, o nei paesi posti sotto al C11C0 polare. eìb cammina cosi moderata e cosi tenue, che a guisa di persona adagiata su d’ima barca sembra abbandonarsi a grado del vento delia fortuna. Qual’ è la conseguenza prima di questi altri fatti? Esisterò nella costituzione dell essere umano mi principio motóre^ 1T energia del quale, cornunque finita, misurar non possiamo. Dunque ti imi uomo preveder può (in dove giunger possa la sfera di questo motore segreto, nè quali fenomeni ulteriori apparir possano nel mondo delle nazioni. Così nel mondo lisi co veggeudo i turbini e gli oragani die sconvolgono il mare e la terra3 e i zefiri ed i favoni! die accarezzano i fiori e fecondano le piante, noi non possiamo tassali vani e nl.e prèfiu ire la forza assolata dell1 atmosfera, benché asserir dobbiamo esser ella finita. Ma come nelTa imo sfera lo zefiro e lordano sono effe L ti della stessa forza e della stessa legges cioè della tendenza a ristabilire l\i Iterato equilibrio: così pure nella specie umana i conte a rii effetti intellettuali, morali* economici, politici, sono elfeLLi della stessa forza, e conseguenza, della stessa legge. Quella molla che in un orologio ben compaginato e ben equilibrato vi segna esattamente il corso del tempo, quella stessa molla lo segna male o arresta la macchina, quando le condizióni del buon meccanismo sono alterate. Anzi questa contrari elei di effetti fa lede deibum? a del principio energico, perchè sarebbe logicamente assurdo che, variale le condizioni degli impulsi e delle resistenze, no dovesse ciò non ostante seguire lo stesso effetto. Qui facciamo punto. E vero, o no, che la contrarietà dagli effetti deriva in ultima analisi dalla contrarietà del meccanismo, e non da contrarie qualità della inolia centrale? Essa si suppone sempre la stessa: la sua forma, la sua dimensione, la sua energia elàstica, per la quale tende a svolgersi, non è punto cangiata. E dunque più che manifesto, elio se pav [spiegare la contrarietà dei fenomeni io affermassi o che la molla cangiò di natura^ o che racchiude in se stessa qualità e leggi contraddittorio, Io pronunzierei un'assoluta bestialità. Ecco il caso deUVmtfriiouria morale del trascendentalismo di Kant, ripetuto qui dal sig. Wronslri., E per far sentire che la parità corre perfettameuLe, io prego il lettore a seguirmi con attenzione. In altra mia Opera ho detto che se, prescindendo da particolari circostanze, si volesse assegnare una grande leggo generale, dir si dovrebbe che il cuore umano ama di spaziare in un infinito libero i e lo spirito ama di riposare su di un finito certo * Tutto questo nasce dalla indefinita capacàtxi di bramare tuUo ciò che può appagare i suoi deriderli. Questa capacità deriva in sostanza dalla facoltà di sentiree di volere, non limitata da verno particolare istin* to (0. Gii effetti di questa indefinita capacità sono appunto la creazione, i periodi e le vicende del mondo delle nazioni, delle quali parlai nel detto libro (1 2): e quindi la maturità rispettiva, da cui deriva V opportunità^ la quale altro non è che la necessità pratica della natura riguardante la specie umana (3). Questa prau legare universale fu ricevuta a controsenso dai vecchi moralisti e politici. I moralisti divisero l’uomo in due parti fra loro contrastanti; e distinsero un uomo inferiore, al quale attribuirono cecità di mente ed intemperanza di cuore : ed un uomo superiore, al quale attribuirono lumi intellettuali e temperanza di affetti. Nelle transazioni poi delle diverse età delle umane aggregazioni riguardarono i successivi progressi dell’ incivilimento come aberrazioni della specie umana, e come un’antinomia delle leggi fondamentali di lei. Così fu fatto insulto a quella divina economia, nella quale se si pone l’uomo fatto ad imagine di Dio, è cosa assurda ed empia lo stabilire uu manicheismo, pel quale o conviene ammettere non esservi più speranza di migliorare la vita umana, o che la causa prima non voglia far trionfare, per quanto può, la sua bontà e la sua provvidenza (4). Questa sconcia dottrina fu coniata perchè l’ordine morale fu da loro configurato colle massime claustrali, e la bontà della sua economia fu misurala giusta i dettami di un amor proprio individuale. L’umano intendimento non era ancora stato espressamente ìuvaso da questo manicheismo; ma Kant tentò di assoggettarvelo, e il siguoi Wronski di aggiungervi la conquista del paese delle Matematiche. La teoria dei progressi dello spirito umano respingeva queste sentenze, e le aveva rigettate nell’ ammasso delle rugginose ed ammuffite produzioni del medio evo; ma ecco che si tornano a porre in commei ciò sotto forme più oscure e con un aspetto più elaborato. Qualunque però siano queste forme, qualunque sia il linguaggio col quale si vogliano presentare, non lasciano d’essere assolute mostruosità. E prima di tutto osservo, che s’incomincia a scindere la mente umana in due parti: l’una denominata intendimento, che è la facolta di assu mere, concepire ed intendere; l’altra denominata ragione, la quale è la facoltà di avvertire, distinguere e giudicare. Ma è più che notoiio che queste due facoltà non si possono distinguere fuorché per una men a e Assunto primo della scienza del Diritto naturale Vedi la mia Introduzione allo studio del Diritto pubblico universale astrazione. Una è Y anima, uno è l’ io pensante. Quando si considera questuo pensante in fatto, senza badare se pensi giusto o no. gli diamo il nome generico di intendimento ; quando poi lo consideriamo occupato a sottoporre a sindacalo i suoi pensieri, e a pronunziar sentenze a norma di una verità o reale o presunta, allora gli diamo il nome di ragione. Così distinguesi il fatto dal diritto. Ma il diritto è sempre un jatto, ed un certo fatto^ vale a dire è un fatto regolato ; dovecbè il fatto nudo può essere sregolato. Così pure la forza in genere può essere una forza regolata o sregolata; ma è sempre forza. In che dunque si risolve la distinzione fra V intendimento e la ragione ? Nella sola distinzione dell’ esercizio delle sue funzioni, o, a dir meglio, della direzione di questo esercizio. La ragione altro non è né può essere che lo stesso intendimento, in quanto è occupato a pronunziare i giudizii aventi per iscopo la verità. La mira a questo scopo forma la tendenza che caratterizza la ragione. Il complesso dei mezzi creduti valevoli ad ottener questo scopo forma V ordine o reale o presunto di ragione. Questi mezzi trascelli, purgali, confermati e proposti come modelli perpetui, formano le regole di ragione. Ma questa ragione non è che lo stesso intendimento in funzione, ed occupato in un certo ordine di funzioni. La sua tendenza, anche quando sbaglia, è sempre una e sempre la stessa, vale a dire la cognizione del vero. So che vi sono uomini che scientemente impugnano la verità conosciuta, e si servono della conosciuta menzogna. Ma so del pari che la simulazione e la menzogna non possono alterare la interiore coscienza del vero. La legge dell’mtendimento è così necessaria, quanto è necessaria la visione colla luce. Ma ommessa la simulazione e la menzogna, e concentrandoci nell’ intima coscienza dell’animo, ognuno sa che, posta qualunque nostra indagine, si possono frapporre due ostacoli all’ intento di acquistare la piena e certa cognizione d’uua data cosa. Il primo di questi ostacoli è Y errore^ e il secondo è la mancanza dei dati competenti. Questa mancanza è vincibile o invincibile. E viucibile allorché l’oggetlo è compreso entro la sfera dello scibile umano; è poi invincibile allorché l’oggetto è fuori di questa sfera. Così la cognizione delle essenze, quella delle cause prime, dei fenomeni, quella della fabbrica totale del mondo, quella del futuro, ec. ec., oltrepassano la sfera dello scibile umano. Vane adunque sono le ricerche, insolubili i problemi, interminabili le quistioni che si possono agitare. Prima che la filosofia abbia dimostralo i confini insormontabili dell’umano sapere, l’umana curiosità tenta di penetrare, e si lusinga di poter giungere alla cognizione di quel clic brama. In questa posizione o ella si persuade dell’ impossibilità della soluzione della quistione, o no. Se si persuade di questa impossibilità, ecco pronunziala una seulenza giusta. In caso contrario possono presentarsi due partiti. Il primo si è quello di astenersi da qualunque giudizio definitivo di fatto, ma pure di lusingarsi della possibilità della soluzione. Il secondo si è quello di supplire con ipotesi, con analogie, con induzioni imperfette, e farle valere come dati pieni, certi e concludenti. Nel primo caso si commette un errore di presunzione ; nel secondo o un errore d ì f atto positivo 5 od un giudizio temerario. Ma in tutto questo processo la mente umana agisce come in tutti gli altri casi, e niuno potrà trovare nè antinomie, uè contrasto fra le leggi dell’ intendimento e quelle della ragione. Sia pur vero die la curiosità, ossia il desiderio di sapere, porti l’uomo a ricerche eccedenti la sua possanza: e che per ciò ? La curiosità è un bisogno, e non una legge di ragione ; la curiosità è la madre del sapere ; la curiosità è lo stimolo che porta a ricercare e a domandare. Tocca alla ragione e tocca sempre alla ragione il pronunziar la sentenza sulle domande della curiosità; la ragione e la ragione sola fu, è, e sarà il giudice. Forse che per trovare antinomie si farà valere l’umana fallibilità ? Che razza di antinomia sarebbe questa mai? Essa è la conseguenza dell’ inseparabile limitazione umana; essa non richiede un manicheismo logico, ma solamente l’abuso nel giudicare. Colla stessa ragione si giudica bene e male, come colla stessa forza si fa bene e male. A questa fallibilità poi viene o presto o tardi rimediato colla revisione delle sentenze pronunciate, e colla riforma delle erronee. Questa revisione ìaie volte vien fatta dai primi giudici, e spesso un secolo posteriore rifoima i giudizii degli anteriori. La cassazione versar può su tre punti; vale a dire la falsità, l’ incompetenza e la temerità. Orsù dunque, dove sta X antinomia trascendentale asserita? Foise nella curiosità, ossia nel desiderio di sapere ciò che alla nostra possanza non è dato di scoprire? Ma, prima di conoscere i confini dello scibile, qual è l’oracolo che mi dica che io tento una ricerca frustranea? Ufi ancora: senza di questa indefinita curiosità potrebbe mai la specie umana giungere alla cognizione delle verità competenti? Chi è che coraggiosamente apre il cammino in regioni sconosciute prima, fuorché 1 illimitata curiosità ? Chi è che rovescia i sistemi chimerici, o compie gli imperfetti, fuorché l’ illimitata curiosità ? Chi è che, ricercando cose impossibili. ha arricchito il mondo di scoperte utili, fuorché l’ illimitata curiosità? Chi è che apre la guada ad u l ili rivelazioni, fuorché l’illimitata cuj'ÌQScta? Chi è Infine die fa progredire I lumi, eliminare i p regni dizìi, purgare gli errori, ampliare le dottrine, migliorare le Invenzioni, ec. ec., fuorché V illimitata citriosiih? Un osservatóre si reca ìli una bigattiera per vedere il nascimento cd i progressi del baco da seta. Egli vede schiudersi 1 uovo, e s cime il bruco; indi lo vede cangiare la sua pelle, chiudersi nel bozzolo, e trasformarsi in farfalla. Volendo dio sola re. ecco il suo argomento. Un bruco, come bruco, per la legge generale dei viventi tende a conservarsi nel sno stato di bruco. Egli difTalli mangia, cresce, riposa come bruco. Ma in veggo che getta via le pelli, e si cangia in farfalla. Dunque esistono in lui due leggi-, due poteri, due economìe $ e quindi àm facoltà fisiche trascendentali opposte, lima delle quali vincendo Fai tra. ne nasce la metamorfosi. Clic cosa direste voi di questa filosofìa? Il corso delFuma.no incivilimento è una serie continua di metamorfosi. Il principio impellente sono i bisogni fisici e la curiosità . A uhm mortale è dato di prevedere quale possa essere Fui timo termine delle acquisizioni delFumaua potenza sospinta da questi stimoli. Stolido è dunque il contrasto figurato fra l'uomo guidato dalla spinta dei secoli e Fuomo della presente età. Su la natura non ci condannò ad un’ eterna infanzia, deve dunque essere accusata di antinomia '? Eleviamoci a considerazioni eminenti. Negli oggetti individuali della natura noi dobbiamo collocare mi* energia sovrabbondante* della quale non conosciamo I limiti. Dalla coesistenza, dal congegno, dall’ azione e reazione scambievole dogli esseri attivi nasce l'energia vitale, per la quale fd effettuano I temperati sistemi e Y armonia universale. Fino a che a guisa di lumache non ci occuperemo che del nostro guscio, fino a elio penosamente non ci trascineremo che da particolare a particolare, fino a eh c ri a li al ih r acciere mo la calena conosci I ili e della nato r a e d ci secoli, noi calunnieremo sempre la Provvidenza. Ripigliamo. Nelle ricerche delTettero pensante la curiosità* avvivala aneto da estranei interessi, interviene per isti mola re ; ma Y intelligenza sola in ter vien e per vederee per giudicare. 1uq n està li iteli ige nza non racchiudasi ubo una sola forza, un solo principio, una sola essenza* una sola tendenza . Coglie l'uomo la verità? questa tendenza è soddisfatta. Coglie egli l'errore? questa tendenza e realmente frustrato: ma di fatto è appagata, perchè si crede dovere abbracciata la verità. In Lai caso il giudizio di aver colpito il vero Licu luogo del giudizio vero, c apporta la stessa soddisfazione. Che se poi parliamo di una curiosità che non può venire soddisfatta perchè l’oggetto sorpassa la sfera dello scibile umano, lungi dal vedere alcuna opposizione fra V intendimento e la ragione, noi altro non veggiamo che una impotenza ed una limitazione di mezzi a scoprire un vero nascosto. Uua potenza anche angustiata non è una potenza gladiatoria, ma uua potenza contenuta eutro certi confini, e nulla più. Fingere dunque nell’io pensante potenze contrarie, e personificare la f'agione come diversa dal V intendimento ^ e che lo fa ubbidire suo malgrado, è una mostruosità la quale non può venire partorita fuorché da quei cervelli che veggono gli uomini come alberi ambulanti, e dipingono gli oggetti colle gambe in su. Stringiamo Pargomento. Distinguendo anche a modo vostro V intendimento dalla ragione, a quale dei due attribuite voi la funzione di giudicare ? 0 P attribuite alla ragione sola, o la rendete comune all’ intendimento. Nel primo caso non esistendo che un solo potere giudicante, non esiste più un altro potere discordante, il quale possa suo malgrado essere costretto a cedere al potere della ragione. Uno sarà sempre il giudizio, sia vero, sia falso, ed uno l’assenso dello spirito umano. Dunque chimerica, mostruosa e contraddittoria riesce allora P antinomia e Y opposizione delle leggi asserita da Kant e da Wronski. 0 volete porre duepoteri giudicanti con tendenze e leggi diverse nell’/o stesso pensante; ed allora non solamente voi stabilite una duplicità ed una opposizione di potenze senza prove, ma introducete una mostruosità, un assurdo nell’economia dell’essere umano e di tutto Puniverso.il senso comune non ammette jatti senza prove, e senza prove chiare, tassative e concludenti. Il fatto di questa duplicità intellettuale non solo non e provato da verun sentimento nostro interno, ma è fisicamente assmdo in vista della triplice unità sopra dimostrata. Dunque risulta che questa duplicità è un’assoluta mostruosità morale. Le funzioni contraddittorie delle opinioni vere e delle false ? delle adottate e delie ritrattate, delle mature e delle precipitate, delle compe tenti e delle eccedenti, non sono fisicamente, ma solo moralmente con traddittorie ; e sono tutti fenomeni d’una stessa potenza, e conseguenza d’una stessa legge. Dico in primo luogo che non sono fisicamente contraddittorie. VLU la parola fisicamente non viene da me assunta nel senso materiale o corporale, ma solamente nel senso di cosa appartenente alla realità di una sostanza o d’una potenza effettiva. Posto qu esto senso, io vi domando se l’imagiue dello stesso oggetto presentata da diversi specchi, 1 uuo perfeltaineule piano, labro ondulalo, l'altro cilindrico, co. cc, siano forse funzioni fisicamente conir addii lori e, e che palesino una opposizione nelle leggi della riflessione della luce* Tulli vi dicono quello clic vi debbono dire ed io tutti la legge della riflessione viene modificata senza violare la sua unita. Invano voi mi opponete die uno vi presenta una faccia storia, un altro una testa lunga che non avete. Voi scambiate con questa opposizione la quistioxie ài fatto colla quistione di diritto $ senza controvertere il principio delpHmtà fisica da me asserita. Quando contrapponete la vostra faccia dritta e corta, voi uscite dallo stato di fatto dei fenomeni, e ricorrete ad no modello esterno che late servii di regola Allora voi fate contrastare fatti véri, reali e costanti di natura coli un altro fatto ipotetico preso da voi come archetipo. Ma por verificare questo fatto archetipo voi dove te porre in fatto altre circostanze reali : e voi otterrete il fatto archetipo e regolare in iorza della stessa potenza c della stessa legge generale, per la quale otteneste ì fatti non regolari. Tal1 è appunto la costruzione dello specchio perfettamente piano, e tale la riflessione conseguente della luce. L'opposizione dunque da voi imagi nata non k fisica ^ ma ò puramente morale ed ipotetica ; vale a dire, che assumendo per norma un dato stalo non esìstente, voi lo trovato non conforme all* esistente. Ma che perciò ? Ne vico forse la conseguenza, esistere nella potenza e nelle leggi reali il e II a natura un’originaria contrarietà? Molli uomini insigni sono caduti in questo scambio. Essi assumendo il diritto astrailo ed ipotetico come norma dei faLLi fisici della natura hanno Ogn rato aberrazioni ed opposizioni fisiche nell’ aito ch'esse non erano che puramente specolative, f pè nate dalla considerazione dei faLti, i (piali fisicamente essendo ciò che debbono essere, non sono quali moralmente dovrebbero essere. Ma questa moralità nascendo dal solo paragone con un Ordine finale concepito dalla nostra ragione 5 non no segue altra conseguenza, che cangiando le esterne circostanze che fanno nascere il fatto moralmente discordante ^ e introducendo quelle circostanze che possono produrre il concordante^ si la allora coincidere il fisico col morale i c si fa coincidere in forza di quella stessa potenza c di quelle stesse léggi fondamentali, le quali produssero i lalLi moralmente discordanti. Ecco il vero punto di vista della reale economia della natura riguardante le nostre azioni cd ì nostri pensieri. La seconda qualificazione da noi dala glia sentenza del sig. Wronsti è quella di contenere un con tro.se uso matematico. Il vero elisegli dogmaticamente afferma di aver dimostrala la legittimità delle ràdici imagùiane; ma. esaminando i mezzi da lui adoperati, si scopre F illusione-c fa iallacia del suo tentativo» idgli, maneggiando le cifre delFny finito assqj.cto. reca una dimostrazione la pi li tenebrosa possibile, ed anzi la più antilogica di tulle. Quando Leibuitz pretese di giustificare il calcolo nifi ni Le si male, egli Lento di coprirne il difetto colle radici imagiuarie. Viceversa il sig. W-tfoaski per legittimare le radici -ima gin arie ricorre al1 infinito assoluto, e con ciò ne dice ciré esse « emanenterc tonte pur et é >j de la facul le méme qui donne des Icùs à Fili te 11 igeo ce humaiuc. n Così mi artificio in ventato pochi secoli fa per sottoporre tutto ad un tratta* mento unico razionale o discreto r dal sìg. Wrouski viene convertito in una legge di sapienza purissima sovrana e ciò vico da lui fatto colle cifre dell7 infinito. Provare una cosa tenebrosa od assurda per un altra egualmente tenebrosa e non accettabile, ecco, secondo il sig. \Y r a ositi, le leggi altissime die coti tutta purità emanano dalla legislatrice ragione; ecco i mezzi coi quali egli pretende die venga soggiogato suo malgrado 1 umano intendimento. «Telie est la ddducliou methapdjpiquc ile » ces nombres vraimeul e^traordiualres, qui forme uL un des plieflótìiè» nes inteUectucds Ics plus remarquables* eL qui donne ut uue preuye » non equlvoque de Finllueuce qui eierce daus le savoir de 1 hormne la » Jciculté legislative de la raisom douL ces nombres soni un produrt en » quelque sorte malore VentendemenL » Ma dii ha dello al sig. Wrouski che queste radici imagmarm siaco Lina produzione di questa ragione sovrana legislatrice? Forse la sua dimostrazione por infiniti assoluti? no certamente* Forse la buona filosofia? nemmeno. Forse la storia? nemmeno. Anzi la storia e la filosofia attestano lo strano travolgi mento che partorì questi mostri. Se d signoi Wrouski avesse consultata l’Opera veramente classica del sommo aiatematico Cassali . riguardante la storia dell’Algebra fcdj sarebbe £taLo largamente istruito dell1 origine di questi mostri di ragione (dj C del torlo ( i ) Orìgine tra$portt} in ì ial ia > progressi in essa de IF Àlgebra* Storia critica. TJ.l]]:i rtì filo lì pag rafia pru’menar:. l’jr'j-, i'ì ) I larjiic elci^nns el mi rubi le. utilizi uni repcrit «n ilio Ànalfseos mi macula idvahs tu itndi .piene imur ens et nati ruS cpicd radiùem imagin&rìatn ^ppr-tbJ“:MS>,ì fcg Leìbrnf.a, Opera ojnnm * ^ ^ lL na 5^ hi, Qui Lribnili manifes.13 SG|J o l’ urlo dell^aspBUa tli quegli uiòstrì-i ltlA die baiano i malemalici di farne uso. Egli avrebbe veduto ch’essi furono partoriti dalla mania della commensurazione fabbrile, e dalla tirannica pretesa di prender sempre come prevalente il razionale volgare, a Sono » qui dunque (dice il lodato Cossali) le parti delle radici » imaginarie, laddove nell’ antico metodo da Fra Luca esposto a pagiuna 126 risultavano reali. E d’onde cotanta differenza ? Dal tenersi » nell’antico metodo all’ in violabil legge di prendere per rappresentante » della somma dei quadrati delle due parti della radice cercata il ternii» ne del proposto binomio piu potente, ancorché irrazionale ; e dal )) prendersi nel moderno metodo, con legge diversa, a rappresentante di « essa somma dei quadrati delle due parti della cercata radice il termine » razionale, ancorché meno potente % E quale di queste due leggi è la » giusta, la conforme alla natura? La prima senza dubbio. » E qui l’autore entra con un chiarissimo calcolo a dimostrare la sua sentenza. Indi prosegue: « E che? E egli dunque vizioso il metodo moderno? Non si » può a meno di non riconoscerlo illegittimamente generalizzato, od » esteso dal suo al non suo caso. » Da questa fonte illegittima escono appunto le radici imaginarie ; e però in qualità di mostri, e di mostri inutili, vanno bandite dal paese delle Matematiche. Se il signor Wronski nella sua riforma dell’algoritmo algebrico ha ignorato lutto questo, ed anzi è trascorso all’eccesso sopra notato, noi dobbiamo confessare che, malgrado la da lui proclamata propria superiorità di aver veduto o insegnato in Algebra ciò che veruu mortale non ha nè veduto nè insegnato fiu qui, e malgrado il non plus ultra da lui intimatoci, egli è dominato ancora da tutti i pregiudizii volgari della preseute età. Una doppia prova 1’ abbiamo nel vederlo buonamente manipolare l’ infinito in molti casi, e specialmente per avvalorare il nefando paradosso sovra piantato; locchè accusa non solo la mancanza di quella filosofia della quale si vanta, ma eziandio la privazione di quello slro mento algoritmico, il quale da uno studio profondo e conforme alle leggi della natura viene somministrato ad una mente sagace. non di averne conosciuta P origine. In generale la mente di Leibnitz aveva delle grandi inspirazioni ; ma esse furono da lui lasciate quasi sempre compatte ed indigeste. Così il vero merito dell’uomo di genio manca a’ suoi scritti. Fino a tanto che non si padroneggiano le idee travedute, e non si dà ragione a sè stessi e ad altri del loro tenore, della loro connessione e della loro verilà, non si può dire che un pensatore abbia adempiuto il suo ufficio. Ma per far questo conviene essere dotati di quello spirito analitico, il quale non è dato che ad uomini cui un cielo benigno fece sorgere ed educò. 1 \u Delle lacune algoritmiche ulteriori accusate dal sig,Wronski. Il sig+ W rousskì prosegue, u La théorie generale de la numératiqNj h doni le schèma est raarqué, et qui embrasse Ics séries (Vili.) et » les Iractions contiuues (I\. ), ifétait poi n t contine daus ses pnucipes, jì Eu eflet, la forme generale (2 '2; de S algori ih me de la numeratili » u etait pas ancore deduite; et la loi fonda mentale de celle theorie, qui n en embrasse tonte Félendiie.) n’esl pas non plus cornute eneore: oous » la don nero us daus ìa seconde panie de cet ouvrage. Quant i Falgo>] rì ih me des uumcrales 5 formanl un cas parliculier de la iLeoriu w de la numerario □, ou ue le disli inguai t pas eneore. >j n La theorie generale des facultes iTétait co un ne que par indù« cUon* Le principe premier de cette ih norie-, marquó (3 1 : . et sa loi fondamentale que uous dounerons également daus la seconde parile » de cet ouvrage, u etaieni point counus. Quanl à l’algorithme des fa» c lori el les (25), il n'est qti’mi cas particulier de la iLeovie des Lctillcs. ?j tf La loi fondamentale de la ihéorie des logaritit^es. marquees (40) » et (A l), on daus sa plus grande generatile (43)s n’était. eucore deduile » que de la ili éo rie de smas. De plus, la loi fondamentale et la plus sitav pie de cette thdorie, marqoée, natali poi ut reconnoe ancora pour w le principe mème de la Littorie des logarilhmes: ou ne la considerai! « qtie cornine une expressiou in slru mentale, pronte à donner les devei> loppemens de ces fouctions. Quaut au principe archi teetonique de » ceLLe théorie, la transitioo de la numeration aux facaltesj on non avaat » pas li dee. 33 ff La loi fondamentale de la tliéòrie des smus* marquèe (47), cl les 33 expressious (48) qui en proviennent 5 uetaient point connnes. Ien » plus, cette théorie. eu la considerali! me me daus le premier ordro de 3> son état transceodaut, rrietait eucore do onde que par L GEometne. 33 Pour ce qui concerne les ordres superìéurs de la Lheorie des sauiis>J auxquels correspondent les expressions (54), (55) et (5Ì?)5 ^ otaieut » enlièrement iriconnus. m « La loi fondarne alale de la ih do ri e generale des diffÉrENcEiSt> » quée ( C ) et (c)'? u’étaiL pas con no e. Mous savana bien que Ondarci j) etait parvenu, par inductiou, ù Feipressiou marqoée (A). qui eSt >i le plus particulier de cette loi; mais nous ne savori s pas qu’on ai1 ^e_ ìì dujt rexpression genera le (c) s et sur lo ut qiTon Fait recounue p our ^ h Ini fon darne nlàle de tonte la thè ori e des différeaces et des diilerenticd DISCORSO. 147!) ?> Ics, directes et inverses, Sons savona au eonlrairc que* poni* ce qui )j concerne en piarlieulier le calcai différeutiel, on o fini par cu méccrnj} u altro enti ère meut la Dature, en lui dormati t, polir principe, le pròn tenda Lbéorème de Taylor, ou dWtres ejtpressious teclmiques pa» reillcs. » a La tlmorie des ghades et des gradueles n’était pomi connue; on j> n’eu soupconnail rrième pas Tcxistence. » a La lol fondamentale de la tliéorìc des nombres, marquée (D\ qui i) est le principe de la possibilité des congruences, élait iu. contrae. Il eu >? élait de me me du prìncipe arcliileGlGiiique de ce Ho timóri e. n a Les principes téléologiques de la thè arie generale des equjvalenw CES ufétaìent pomi eonnus: et quant aux lois fondarne mlales de cotte n rimerie, la loi principale, marquée, n'était pas coprine non plus: n ori ne connaìssait que la loi marquée qui est yisìlilemeul d uno )> m omette importa noe philosoplrique. » (t La résolution ibéorique des équati'oks jTéqui valevo e élait deve)) nue tont-à-fait problématique. On ne eonnaissait que la rèsola ti on des » équations des quatres premiers dégrés, et on u’avait nulSc idee de La n nature et de la forme des raciues des équatìons des dégras supèrieurs. Cesi cotte nature et catte forme qui donne la loi generale de la resoa lulion des équatìons d’éqnivaleoce, exposée dans larticle coueernaul i> ces équatìons, et dorivée de la loi fu oda montalo (pp) de la thè n ne des » equi vai ences* >? La résolution thè ori que des equations de dtffkhences et de diejj ferentielees élait eucore plus imparfaite* Les precède s qi/ou a pone » Ja résolution de quelques cas pmiculìers de ces équatìons, soni mdi» vecls cl arlifciels: ìls ne sout pas numi e encorc ramenés à la loi gé» cerale de la résolution de ces équatìons; à la loi qui est exposé*; dans » farli eie concerna ut Ics équatìons des dilTérences, et démée de la luì j) fonda mentale de la lliéorie generale de ces fonctions* » v La résolution th cori que des Équatìons des giudes et des gra»j dueeés n'était pas eucore eu question. » u Enfia, la résolution fhéorique des Équatìons de con cruente se J} tròuY.ait dans le mèma ètàt dumperfection que la résolution des équa» tiuns de différéuces et. de d i ffére ali elle s. n ii Tour ce qui concerne la tecunje de l’algqkii jimie. oh u\jii avait » encore nulle idée; et eu offet, la déuomìualiou iucxacle de méthodes n d*appróximatim qumu avail do uuée a quelques procedei Lecbmques » isolés, aux quels on s’ctail U-ouvc forcò de recourrir, prouve, avee cvi h deuce, toute Tabsence de l’idée de cette partie intégrante de l’algo» rithmie. On ne se doutait nullemeut que les différeus procédés techni» ques, qu’on nommait methodes d' 'approximation, formassent des sy» stèmes particuliers et dépeudaus d’uu principe unique. Meme dans ces » methodes isolees on ne connaissait eucore que les cas les plus parti» culiers: par exemple, dans les methodes dites d' approximation, qui « fouruissaient les séries, ou connaissait seulemeut quelques methodes » dépeudautes du pretenda théorème de Taylor: la loi de la forme plus » generale (X) des séries, et eucore moins la loi de la forme la plus gé» aerale (Vili) des ces fonctions techniques, et par conséquent les mé» thodes fondées sur ces lois, n’étaieut nullement connues. Quaut à la » loi technique ou algorititmique absolue (XXXII), et aux methodes )) qui en dépendent, on ne s’en doutait méme pas. » « Voilà quel était l’état de rAlgorithmie avant cette philosophie des » Mathematiques. Pour ce qui concerne la Métaphysique méme de 1À1» gorithmie, il est superfiu d’en parler, parce que, suivant nous, ou n’eu » avait pas eucore entrevu l’idée (0. » A questa umiliante Iliade che cosa sanno rispondere i matematici ì Basterebbe la metà per far sentire il bisogno d’ una ristaurazioue generale di questa disciplina, e prima di tutto dell’Aritmetica. 151. Se nel supposto dell’ insufficienza degli attuali algoritmi il sigWronski abbia almeno cominciato a provvedere come doveva. Alla quistione proposta in questo paragrafo fu antecedentemente risposto nei paragrafi 110. 111.112. Poco nocivo sarebbe il cattivo esempio di Wronski, perocché il suo libro porta il suo correttivo con sé. Ciò di cui dobbiamo dolerci si è il costume invalso di trattare una disciplina pratica come le Matematiche con formole algebriche astratte anche quando si deve esporre un nuovo argomento di dottrina interessante. Questa è una positiva sovversione degli ufficii della Matematica, cd un vero insulto ai comuni bisogni. Io mi presento ad un uomo di Stato e filosofo, e lo prego di darmi il progetto d’un buon Codice civile. Clu fa egli? Scrive la seguente forinola = Pareggiare fra i privati rutilila mediante l’inviolato esercizio della comune libertà. == Ecco, egli mi dice, in che consiste tutto un Codice civile. Sia pur vero che questo sia lo scopo di un Codice ; sia pur vero ehe tutte le sue disposizioni si debbano poter ridurre a questa formola: ma egli è vero del pari, che con (i) Wronski, Inlroduction d la philosophie des Mathematiques, pag. 257 alla 260. Vi S Ì questa sola forinola i giudici, i magistrali e i privali rimarranno privi ili uea direzione pratica negli usi della vita. Svolgete dunque od applicate questa formola traducetela ai casi piu. frequenti risguardariti lo stalo delle persone., le cou trattazioni c le successioni ereditali e; e voi soddisfo rete alla mia domanda. Questa mk risposta sarebbe essa ragionevole? Eppure i grandi calcolatori non La vogliono ammettere. Con poche direalgebriche si cavano d’impaccio: e qua odo siamo per applicare le loro forinole con vie u tessere una specie di trattalo, prima di poterci accostare all’ applicazione. Questa peste ha invaso anche V insego a mento : e però nell1 atto die si soddisfa alla pigrizia dei precettori, si proclama metodica in eri Le la boria. F ignoranza e l1 oscurali li sino. Quanto al signor Wrouski, io m1 appello a tutù quelli che 1 hanno letto., se non sin necessaria un7 improba fatica per intenderlo, cd un. assai più improba fatica per guidare le suo formolo a qualche pratica applicazione. Eppure egli si vanta di aver dato a tutto 1 edificio delle Matematiche i fondamenti dei quali egli mancava. Notale bene: i fonda-* mentii ed i fondamenti non conosciuti di latta la Matematica. Gol proclamare s col ripeterà j coir inculcare i suoi non plus ultra fondamentali ogni uomo crederebbe averci egli rivelata la scìen za fo nda menta h \ distinta e complessa de IV esteso escogitabile e delle leggi numeriche. Per la qual cosà dovevamo presumere aver egli dato alla teoria delle curvo geometriche una genesi concentrata, connessa ni unificata, di cui ora mancano, c della quale sono pure suscettibili (come verme già effettuato da un valente nostro matematico in un lavoro ancora privato). Da questo lavoro, accompagnato da un armonico tessuto rettilineo, la prima Geometria può ripetere queir ordinamento in orco da lauti secoli aspettato. l'ila nulla di tutto questo fu operalo, tentato, e nemmeno sospettato dal signor NVrouski, il quale pretese dare alla Matematica i fonda Nienti dì cui mancava. Ma abbandonata la Geometria, egli si è concentrato io(forameli Le entro la sfora algoritmica, quasi che in questa tosse possibile vedere ed agire senza il soccorso della Geometria, ad oggetto special’ meute di conseguire il nero intento ultimo delle Matematiche, Ma anche seguendo i suol passi in questa regione tenebrosa . e volendo pur conoscere se egli abbiaci somministrato non quintessenze slama Le, ma i veri e solidi fondamenti dell'algoritmo^ noi troviamo che egli ha praticato precisamente 1? opposto di quello che pretendeva. Gol darci le ultime astrazioni delle foggi più universali algoritmiche non da i fondamenti della piramide scientifica 5 ma E ultimo vertice della medesima. 1 veri e solidi fonda menù dovevano consistere nella cognizione beo dedotta da fatti accertati delle proprietà e delle leggi primordiali delle quantità numeriche, sia quadrate, sia non quadrale, riguardale particolarmente in serie ; e nel farci rilevare la fonte da cui emanano, i luoghi che le uniscono, i periodi ai quali vanno soggette, e le leggi compotenziali alle quali ubbidiscono. Così avrebbe fondata la vera teoria dell algoritmo, e l’avrebbe atteggiata a norma delle esigenze perpetue dello spirito umano. Ma nulla di tutto questo fu praticato dal sig. Wronski. Con qual titolo dunque pretende egli di averci dato questi fondamenti ? L’Opera del sig. Wronski dev’essere riguardata come un y ultima esaltazione dei cattivi metodi regnanti. Essa al più è un volo fatto con ali più robuste degli altri: ma un volo fatto nella regione del caos e della notte. Que’ pochi frammenti che ci furono trasmessi dai nostri antichi progenitori giacciono ancora nello stato di rottami staccati, i quali furono dissotterrati dalle mine del tempo e della barbarie. Noi gli abbiamo fin qui descritti a modo degli antiquarii: ma non mai gli abbiamo studiati col genio di uu Bramante, di un Michelangelo e di un Palladio. V’è ancor di peggio. Noi gli abbiamo confinati in un magazzino; e di là estraendone alcuni pochi, presumiamo di ordire la tela della dottrina con fili di ragno, e di affrontare così Io studio della natura, e di soccorrere le arti. E fino a quando dureranno questi traviamenti? E fino a quando ci risolveremo noi a ricalcar le orme tracciate dalla natura? E fino a quando ci persuaderemo che l’oscurità, la secchezza e la difficoltà non sono gli attributi della buona scienza, ma l’appannaggio del cattivo metodo e della imperfetta o snaturata dottrina? Io m’accorgo di predicare oggidì al deserto, e di seminare nell arena. Di ciò sono tanto più convinto, quanto più il metodo da me proposto è totalmente contrario al praticato. Ma so che la verità è la più forte delle cose, e che la voce della ragione, il bisogno dell’istruzione si fa sentire nell’alto che la secchezza e l’oscurità disgustano ed annojano. Per la qual cosa se non potremo raccoglier nulla nell’adulta vivente generazione, a bel bello la verità si farà strada presso un’incorrotta posterità. Pour moi en particulier j’aurois souliaité de voir votre méthode d esimici » les grandeurs par la recherche de la commune mesure (ou d une serie de quo » tiens, lorsque cette mesure ne se sauroit trouver) poussée plus avant. Vous » vous souvendriez, peut-èlre, que j’avois coutume deprimer votre sèrie des » quotiens par une Ielle équation: a 1 n + 1 p + - h eie. 8.&+i.tì5— = IV 1 83+ 182+ 2 193 18624 igt . la' + a 1 8024 384 38q 17800 576 17484 %a 17112 568 195 + 1881 7 384 18240 1 9012 7 7^+ L 70+2 IX 1 ++1 73+^ X e 7 1 4” ^ 7 ^ H— 2 XI ^9+iG+j-a X[[ 017+167+1 35* 15312 548 14904 544 14620 391 1 4280 356 ‘5&+l59+a xvir,57+f57+3 xv in > 35+ t 55+Ji 1 XlX 1 53+ 163+ XX *5 1 + i5 1 +a 1 2640 3 16 12324 5u 12012 3>H 11704 5o4 l40+l43 + a XXV Vi I+E + +2 xxu i3i)+i39+a XX VII ''7+5+i p5+s XLIV |03+ 1 03+3 2 3.1 fi ICO 230 5040 a 1 G 5724 aia bbV2 aofi g5+9H-2 X L IX £H+9:)+a L 9'+G'+2 LI 8o-| «9+* LH B7+B7+3 1 39 Go 1 192 m 1 2 188 4324 184 4140 176 79+19+2 LVIt 77+77+* la Vili 7^+7^+2 L1X 73+75+ t,x 71+7!+* I t0o 3120 t_56 2964 I 5a 2812 W 2604 44 G3+G3+2 L.XV 6 1+0 1 +3 : LXYI 5iì+i;t+1 Lxvn 57+5'+ LA Vili 55+5 5+ a 1 - - - - 1024 'l 1 28 . 1984 13.1 1860 1 740 1 G 1 i* 47-K7+ I.AX11I 43+ ì j+3 LXXIV 45+43-)-* LXXV j 4[+i,+1 LXXVI Sr,+%+a et 1 1 04 r 1012 88 dii 1 I Bi 840 8a 1 J 3, +3, +4» L,XAXJ ^9+29+a LX X X 1 1 37+37+2 LXXXIII j 3 5+aS+i LXXXlV a3+a5+5 1 G'i 480 cv tm, -ti 1| 364- ! z712 4f 1 j 5— (— 1 54"'! I.XXXIX 1 .’/•+ f ^+^ XC l i + i 1 +: 1 SCI ! 9+9+1 xcii 7+7+: 1 3a 112 84 2' ; co 1 j > 40 il 1674/i -xi ir 1 3944 9 11 2 5304 fi I -JI 8 I -)— 2 m iG.38.ti iGS^4$iH-2 53* 5on t 55+ »5j+ a 68 Xiv 13(M2 XXII 1 \ ] 00 XXX 8844 1 7 + 1 1 7+ a «5(3 i i + iot+: ao.'l 85+85+: 6 fj+6+ha XXXV III 6844 XLVl 5 i oo 79+ [ 70+ 2 3.Cr: fj.3+lfi3+: 3+ 4 7? + 1 4 7 + - 3|| 3i+i5i+a 16,020 xv 1 3284 77+177+a 556 16.+1Ó1+: 15064 XXIII 1 0804 xxxt 8580 S2.fi t 45+ i ']Ij + : 2 () S 2^+ 1 2Q+ H G.O xvi 12960 XXIV 10-412 xxxn 8320 l,5+M&+3: XXXIX m\ 6012 iri+llS+a ir, 0384 99+M+a| xlvu | a'+4+ 1.36 I4V B3+83+a i6ft 3612 } 4900 1412 5,'i -+ v'— 6 j 2380 XLVILI 4704 lofi LXXVH 700 LXXX V 2G-' xeni 24 3-+S7+a 74,9'*° 8,0 G i : 8,5 20 8,320 : 8,58(i 1 2,64o h. 11,960 12,960 1 5,2 84 i8,e4o : .8,0=4 igì 18,6*4 f : XII XIV XVI xvii : XIX xxx : XXXII xxxiil : xxxv xlvi : x l Vi 1 1 xlix ; 11 ixit 1 LXIV LJt T : xxvi 1 lxx vi ti ; lxxx LX XXI : LSXXLIl xeiy : XCVI 4 : J 2 420 ; 480 6l3 : 684 ijSGo >#4 2,44 : 2,58o 4,024 : 4,5 12 4,900 ; 5, 100 7,812 : 8,06 ■; 8, 5 80 : 8,844 1 2,334 : 1 ifiia 13,284 ; l 3,6 13 1 7,860 1 1 8,340 ‘ lì : IV xtu ; XV xvii i : XXIX XXXI XX XIV 1 vxxvi xi. v ; xivii L t ili lxi ; 1XIII LXVt : LXVm lxx Vii : lxxix LXXXII 1 L XXX IV xeni : xcv .g5 1 8, 8 1 7 1 2, i *4 5G4 : 430 884 : 760 h'jio 1,860 3*580 : 2,520 4s4o : 4>3*4 5,100 : 5,5o4 7,564 : 7,813 8,841 : 9, tu 12,0 12 : 12,324 1 3,6 [£ : 1 5,944 > 7,484 : 1 7,SGo ■ 9,01* . iix : Y xtx ; xiv xix : XXI XX VI 11 ; xxx xxxv : xxxvu xliy : kivi 11 : lui lx : IX Li LXVH ; lxix LXXYI : lxx Vm lxx.xj.ii : ixxxv XC1I 1 SCI V 1 ' 24 : 4° 3l2 : 364 7G0 : 84o 1,624 > >,74° 3,5 30 4 3,664 3,960 ; 4, i |o 5,3o4 : 5,5 12 7,020 : 7,5G:j 9,112 : 9,334 1 1,704 : 1 3,0 1 a .3,94 5 : .4,280 17,112 1 >7,484 ; IV VI si ; XIII xx : xxri XXVII J XXIX xìxvi : xxxviii xim : xlv ni : 1 iv 11% 5 LXI LX Vili ; lxx LXXV : LXX VII LKXXIV 4 LXX XVI xci : xeni I 1 ! 4 ; Go sG4 : : 3i2 84 0 : 9=4 1,512 ; 1,624 a, 664 £}8 1 a 3,784 : 3,i)Go 5,5 il : 5,724 7,080 : : 7,3ao 9,584 : 9,660 1 1,400 : 1 1,704 I ^,280 : 1 4 1.6 so 10,7,44 : 17,1 12 ' v 1 V» x : XII xxi : xxjrr XXVI ; XXVIII XXXVII 4 XXXIX sur : xlzv liti : iv LVHi ; x£ LXIX 1 XXXI LXXIV : tsxyt LXXXV : LXX XVII xc XGH j Go : 84 2 20 : e 64 9*4 : 1,0 I 2 >,4»4 1 IjS 1 2 2,8 i 2 : 3,f)64 3, Gì 2 : 3,784 5,7*4 : 5!4° 0,844 : 7,080 9,6 60 : 9>94° I l,ioo : 1 1,4 00 1 14,620 ; 14,96! 1 6,38 0 : .6,744 vx : Vili ix ’ ; xi xxu : XXIV xxv : xxyii xxxviii ; xl x Li : XUiì iìv : ivi L VI 1 1 LlX LXX : ixxn lxxiii : ixxv I.XXXVI ; LKXXVllJ LXXX1X: set 84 : 1 1 2 180 : 320 1,012 : m°4 ij5oo : i,4o/f E,cj64 • 3,130 5,444 : 5,61 3 0,9 50 : 6, 1 60 ! 6,612 : 6,844 9:94° ; 10,214 ^ 1 o,8i>4 : i i,i 00 14,964 : 1 5*3 1 2 16,020 : 16,380 tu ; vni : x xxiu : xxv XXTV : xxvi xxxix : xii IL : XLlì xv ^ xyii LVt t IVI II LXXt 1 txxm lxxii : ixxiv LXXXVII : LXXX1X Lxxxvm : xc T 12 ; >44 >44 : 180 m«4 : 1,200 1,200 : i,3oo 5,120 : 3,280 3,280 ; 3,444 6,t6o : 6,384 1 6.384 t 6,6 1 2 10,22 4 : io,5 la io,5i2 : io,8o4 1 5,3 13 : 1 5,664 1 3,664 : 16,020 Tjv. ( Serie ùci quadrati ì» i 0 p a v i COLLE LORO DIFFERENZE A SPECCHIO. O i 1 *4 U 1 *3 rt J 15 CE ■ «a fi tl s Q# n co q* *0 CS »— ■ P u ed et « z à el_r ed 3 Q* ’u n ed i 1 1 a^ot» 2401 43 1 51, 260 ^aoo 9801 99 101 10201 1 20 00 22201 149 3 9 1 l ino 2209 47 53 2809 GG00 9409 97 103 10G09 i luou 21609 147 5 25 2000 2u25 45 55 3025 G000 902j 95 LO 5 11025 looofi 21025 I 45 7 49 1 800 1849 43 57 3249 54oo £649 93 107 1 1449 go OP 20499 [43 9 81 iGuo 1681 41 59 3 4SI 4800 8281 91 109 11881 8000 19881 141 121 1 4* 0 1521 39 61 3721 4*00 7921 S9, ìli 12321 19321 139 i- 1 1 1 169 : aot* 1369 37 ' j 63 1 3969 5Coo 7669 87 113 12769 Cooc» 18769 137 223 1000 1225 35 65 1 4225 3ooo 7225 85 U 5 13225 5 000 18225 135 1 J 289 800 1089 33 67 4489 6889 83 117 1 3689 4000 17689 1 1S3 1 1 19 361 C 00 961 31 69 4761 1800 6561 81 119 14161 5 0 00 17161 13 L 1 j 21 441 /|OU 841 29 71 5041 j 200 6241 79 121 14641 3000 16641 12S 23 1 529 atro 729 27 73 1 5329 600 5929 77 123 15129 1000 16129 1 27 1/24 := 62 fi QUADRO TERZO 1/ 75 5625 V/Ì2S ==“16625 QUADRO QUARTO 151 3 155 157 159 161 163 1 65 167 1.69 17 L 173 22801 23409. 24025 24649 252SL 25921 26569 27225 27850 28561 29241 29929 fe5 b 1 C 800 iD4no l/j.000 1 2600 1 ì 200 g8oo 8^j 00 7006 56 00 fy 200 ^ Stili i4oo 3960 J 3 8 809 38025 37249 36481 35721 34969 34225 33489 5*761 32041 I 31329 1/ 175 30625 fi Cd 199 197 195 193 191 189 187 185 183 181 179 177 QUADRO QU1INT0 Radici 1 | et a a P £ s Quadrati "u e sd \201 40401 2 1G00 6.200 L 24:' 203 41209 igS&o 61009 247 205 ; 42025 18000 60025 24d 207 42849 16200 59049 247 209 | 43681 i44or 58081 241 . 211 44521 1 isti OC 57121 23» 213 45369 io Rao 50169 231 215 46225 1 9000 55225 j M 217 47089 •J00JÙ 1 54289 23: 219 47961 53361 tà: 221 48841 5 600 52441 22[. 223 L 49729 1800 51529 1 m V/225 50625 i prospetto unito Della prima serie delle ipotenuse e dei cateti Lutti commensurabili seguendo la Tavola posometnea . Tav. D . Caldo cori Calcio con X Ipotenuse con -f- 4— i = 100 8izz 19 10X18=180 1 00 + 8 izzi 8 1 1 2 1 - 8 IZZ 4° 1 1X18=198 12 1+8 1ZZ202 144—81= 63 1 2X18=216 1 44 + 8 1=225 /^y 81—64= 17 9XiGzzi44 8i + G4=»45 100 64= 36 1 0X1 Gzz 1 60 100+ 64=164 121 64= 57 1 iX 1 6=176 121 + 64= 1 85 144 64= 80 1 2XiG=ig2 i44+G4=208 • .x'j/ b'VX /v%y G4 49= i5 8x1 4— 1 1 2 G5 + 4g=* i3 8l— 49= 52 9x1 4— » 2G 81 + 4 9= 1 3 0 100 4 9= 5i ioXi4=i4o 100 + 49=149 121— 4 gzz 72 1 ixi4=i54 12 1+ 49=170 144— 4g= 95 I 2Xl4 *C8 144+49=193 O^yZ 4 49+ 1— 5o 64— izz 63 8x 2zz iG 64+ izz G5 81— izz 80 9X azz 18 81+ izz 82 ! 00 * 1= 9£ JOX 2= 20 100+ 1 = 10! j 121 1 ZZ 1 20 llX 2= 22 121+ 1=122 i/,4 i=i43 12X 2= 24 1 44 + i=*45 ) •> li 13 15 17 19 21 TAT\I. TA7.DÙ AA F,, a V r È E 7/ / #y >' \ / 0 \l/ il ’ Ti# . VII. Fiff-VT. 1> A E !» a'uiiL'iiisaBma aaasaasa&aa CONSlbKlUZION] Kb ESEMPI I IHSUOAJtDANTl I.* IKSKGNAMBXTO PRIMITIVO IH ESSA Pt GIORGI dotto* e im musoni e m léggi \H.Ì\ SERVIRE l>I DI G. D. R. Dì Torri, I. AVVERTIMENTO [Io creduto conveniente aggiungere all'Opera del Roma- gnosi sull insegnamento primitivo delle Mateiiiatiehe que¬ sto mio breve Saggio* pensato già molli anni prima che mi fosse nota, sembrandomi che possa servire ad essa di opportuno schiarimento* perchè si accorda in molte idee fondamentali con quelle dellÀutore* e ad un tempo s acconcia meglio al linguàggio adottato da tutti i cultori delie scienze esatte. Ciò che mi proposi in questo opuscolo il Lettore lo rileverà dalla Prelazione che vi premetto, ÀDGL PREFAZIONE (Questo Saggio, come indica il suo titolo, non è un Trattato di Algebra, ma soltanto la sposizione di alcune dottrine fìlosolìche che mi sembra possano condurre a formarsi una giusta idea delVindole della Matematica, ad apprezzare l’importanza dcllinsegnamento primitivo di questa scienza in vista dello scopo suo, e quindi a stabilire quale sia il miglior metodo d’ impartirlo. Io non mi proposi però di dare tutto lo sviluppoche si potrebbe ai principii che accenno; ho cercato soltanto di toccare le idee capitali, come esigeva la natura di questo breve scritto, limitando pure le mie considerazioni all'Algebra sola: e procurai di rendere evidente col mezzo degli esempii alcuno tra i canoni che indicai rapporto al metodo. Se avessi voluto far vedere tutte le applicazioni delle dottrine da me esposte, avrei dovuto stendere un compiuto Trattato di Algebra; ciò che era fuori del mio assunto. Mi sono quindi accontentato di dare il piano di un Corso d5 Algebra elementare, accennando le materie che mi sembrano da trattarsi, e i limiti entro i quali dovrebbe essere ristretto V insegnamento ; e quanto agli esempii, scelsi la dimostrazione della formula newtoniana del binomio per l’esponente intero positivo, e il metodo per l’estrazione delle radici quadrata e cubica dai polinomii e dai numeri. Della prima mi cadde in acconcio parlare trattando brevemente la quistione importantissima del valore della induzione "scientifica nelle Matematiche; ls altro lo esposi 1490 estesamente, onde rendere manifesto in qual modo io vorrei associare Y insegnamento dell'Algebra e dcU’Àritmetica. In questo metodo quanto a!! Vstrazi one delle radici dalle quantità numeriche, oliera ciò su che piu mi premeva d insistere, io parto dal principio, che le potenze dei mimeri si possono e debbono considerare come potenze di polinomii; e fin qui io ripeto ciò che fu detto da altri. Ma, per ridurre il metodo alla maggiore evidenza, stabilisco che la scomposizione delle radici numeriche non debba essere arbitraria, ma quella di tre cifre si debba avere come un trinomio, quella di quattro come un quadrinomio ec., secondo il loro ordine, cioè imita, decine, centina ja echi questo credo essermi scostato dalla comune maniera di considerare le radici numeriche, e quindi le loro potenze. Se pur qualche cosa tf interessante v’è in questo seritto, mi pare debba essere la dimostrazione della formula newtoniana del binomio per Y esponente positivo intero, tentata assai volte, nè mai ottenuta coi mezzi elementari. Io spero d’ esservi riuscito, c di averla ridotta al principio d* identità; senza che non potrebbe appellarsi dunosi fazione, Io la deduco dal seguente assioma: dati identici fattori^ si debbono avere identici prodotti Del resto, io pubblico questo mio lavoro più filosofico che matematico senza alcun’ ombra dì pretensione. Il uno scopo è soltanto quello di pormi in grado di sentire il giudizio altrui sulle nuove dottrine che per avventura lo ssei o in questo Saggio, onde rettificarle se errate, o averne la conferma se saranno trovate giuste. Lungi adunque che la cri fica mi sia per i spia cere, io anzi crederò di avere conseguito il vero fine che mi proposi nello scrivere questo opuscolo, se arriverò ad ottenerla. Dell indole del calcolo. leseti do essenziithì alla metile umana il procedere sempre {lai particolari alle genertìjLà, la classificazione come modo indispensabile alla formazione appuro dei concètti Onerali, è assolutamente necessaria per avere delle notimi distinte degli oggetti. La limitazione delle sue facoltà costringe l’uomo a ridurre tulli gli oggetti a certe classi, onde rapprese n[arseli disliiUanmnle, e non [smarrire nella immensità degli individui. Da quest! principi i, che la Filosofia ci somministra* ne viene che uno dei primi bisogni dell* uomo sia quello di calcolare* lì calcolo infatti non è che la maniera ili classificare gli etiti cotit ingenti rapporto alla loro quantità. La qualità e la quantità sono il fondamento di qualunque classificazione, I numeri non sono altro che generi o specie; ma generi e specie che, èssendo formati mediante 1 astrazione di una proprietà comune a lutti gli individui, quali che siano per altra parte le loro qualità, abbracciano tutto quanto esiste o può esistere, quando sia capace di aumento e diminuzione, ossia quando abbia quantità CA)« ilo dello che calcolare non è altro che classificare. Infatti uel cairn lo non si fa altro in line che numerare e de nume rare (05 ossia riunire molle unità omogenee, onde formarne un aggregato che si chiama numero; o quando si abbia l’aggregato, scomporlo u e' suoi elementi. Né ciò è vero soltanto per la quantità discreta^ alla quale appartiene il calcolare propriamente detto ; ma anche per La quantità continua, alla quale spetta il misurare. Misurare non è possibile senza un regolo, un elemento; ciò che dicesi unità di misura. Dunque tutta la differenza che alil i potesse vedere fra il calcolo delift quantità discreta e la misura LT Ente supremo emendo esanimaimenfr uno? non Ism 'quanti tàj quindi non 6 soggetto a calcolo. Tutto ciò die ha rapporlo'W ordino morale ri ter ami osi alla quai'Utt, non pud essere soggetto a calcola. L’anima li ori è spggaua a calcolo che per la quantità discreta (molle udendo hjuiiaie), non mai per la ; ìjuànlìta continua f mancando di estensione Mi si perdoni un vocabolo clic limi sarà Torse in nessun 13 ut io noria, ma che però è indispensabile per rendere esano la nozione di feltra; vocabolo che non significa niente s o almeno non significa quel clic con esso si vorrebbe significare. tifila quantità contìnua non è che apparente; ma in sostanza In tutta la Matematica non si tratta di i;ir altro che comporre o scomporre ; nume* rare cioè, o eie numera re. Si dice, con molla esattezza, dir* la Matematica è la scienza de! rapporti della quantità* Ora un rapporto non è altro che r eguaglianza o la differenza di date quantità, e l'eguaglianza o la differenza non si possono determinare che mediante il confronto tra una quantità e Pulirà; Ptjjxità di misura nelle quantità eguali, quando non si riferiscano ad una comune misura, è Puna o V altra di esse quantità: Punita di misura nella differenza è la minore delle da Le quantità, ovvero una terza quantità determinata [»er convenzione. Dunque quando si cerca jl rapporto fra due quantità continue, o si prendano a vicenda per unità se si consideri la loro eguaglianza, o si prenda jier unità la minore se si tratti deliri differenza, oppure si confrontino ad una terza quantità, sempre trattasi di numerare o de numerare anche nella quantità continua: perchè nel [elmo caso si considera la quantità coatimia come unità : nel secondo si prende per unità la minore, c la maggiora è il composto risultante dalla numerazione ; e finalmente nel terzo si considerano tanto ie quantità eguali, che le differenti, come il risulta me ilio della composizione formala colla terza quantità presa come unità Ilo detto die ì rapporti delle quantità sono soliti nto l'eguaglianza e la differenza, nè credo che su ciò possa cader dubbio; giacché aneliti quando si riferiscono le quantità te mie alle altre per averne o confrontarne i quozienti (come nelle proporzioni ma lamcute appellale geometriche) non si fa che diridere z ossia compendiosamente sottrarre, che io a ppe Ilo de numerare . La verità di questa proposizione, che anche nella misura delle quantità continuo una si fa che numerare e de nume rare ^ mi sembra assai evidente, per quelli almeno che hanno rifleUtiLo pili al T Indole delie Matematiche, die alla loro l'orma* Può darsi però che ad alcuno apparisca strana, attesoché non si trovano simili considerazioni in veruno scrittore di cose matematiche. Ma ciò non importa alla verità del principio, che lotto in M atematica si riduce a numerare e denumerare^ a comporre c scomporre; in una parola, alla sintesi e alP analisi. Il sdo ConcIUlac, oidio mi sappia, ne intravide la verità; ma lo ha limitato &jIUttLl0 alla quantità discreta, cadendo in una manifesta contraddizione colPaltro suo principio, die l'Algebra è la lingua in cui sono scritte le Matematiche Liti gira il^ì caLolù Se la scienza delle quantità di qualunque specie non d altro può occuparsi che nel determinare i loro rapporti; se i rapporti delle quantità non sono che eguaglianza e differenza ; se 1* eguaglianza e la differenza non si determinano che colle frasi dell Àlgebra: il calcolo dunque si applica tanto alla quantità discreta che alla quantità continua: o piuttosto il misurare la quantità non è altro che calcolare, cioè numerare e denumerare . Non insisto di più su questo punto, perchè essendomi proposto di ragionare in questo Saggio dell’ indole dell’Algebra, ossia della parte delle Matematiche che si occupa del calcolo della quantità discreta, il fermarmi più a lungo su ciò che spetta alla Geometria mi farebbe uscire del mio soggetto. L’Algebra dunque non è altro che il mezzo indispensabile onde classificare gli enti contingenti rapporto alla loi'o quantità. Sotto il nome di Algebra io non comprendo soltanto il calcolo delle quantità espresse con segni generali, come sono le lettere dell alfabeto, ma altresì il calcolo delle quantità espresse con cifre. La sola differenza fra il calcolo colle cifre e quello colle lettere è dal meno al pili) dal generale al V universale. Un numero è una generalità di quantità ; una lettera esprimente qualunque generalità e 1 universalità della quantità. Ogni lettera può esprimervi qualunque numero, e perciò non ne indica alcuno. Supponete di avere una formula ossia una frase della lingua algebra, che vi esprima qualche relazione tra quantità espresse con lettere: voi potrete dare a queste lettere qualunque valore, ossia potrete adoperarle per esprimere qualunque numero, purché conserviate i rapporti. La quantità universale è necessariamente meno determinata della particolare, ma fa vedere con maggior precisione i rapporti. E d’onde nasce questa precisione? Siccome le parole sono indispensabili per fissare nella mente ed esprimere agli altri i concetti particolari, generali ed universali formati colle qualità degli enti, così sono necessarie le parole per fissare i concetti esprimenti la loro quantità. Le lingue comuni o volgari servono anch’esse ad esprimere i concetti della quantità, e in questo modo di esprimerli non hanno i concetti della quantità nessun vantaggio su quelli delle qualità per rapporto alla precisione. Ma l’indole della quantità permettendo di adoperare una lingua tutta propria di lei, ammette un’esattezza che d’ordinario non si riscontra nelle altre scienze, perchè le lingue adoperate per apprenderle e per esporle non hanno i caratteri distintivi della lingua della quantità. IA repressioni costatili, brevi e ciliare, rispondenti sempre esattamente ad nu oggetto ben determinato; procedimento da un’espressione all’altra, conservando la più rigorosa identità : ecco ciò die rende l’Algebra una scienza lauto esatta. Dissi l identità 5 uou F analogia . come malamente il Condillac nelI Opera sopraccitata. L'analogia non è clic rassomiglianza, e Fuua dall’altra sono immensamente distanti. Egli definisce \' analogia «una relazione di somiglianza; oud’ è che *» una cosa esprimere si può in molte maniere . non essendovene alcuna ” che ad altre molte non rassomigli.?» Ma se le molle maniere devono egualmente esprimere una data cosa, esse sono fra loro identiche, non soltanto rassomiglianti. Se per avventura egli avesse confuso F analogia colla identità, noi avremmo una buona ragione per ritenere che il tuono di superiorità anche ributtante non può far le veci del buon senso, e mollo meno dell’ingegno o del genio. L’ identità^ che è il principale motivo dell’esattezza della scienza o lingua che diciamo Algebra, non riscontrasi soltanto nelle espressioni o frasi sue. ma innanzi lutto nel suo oggetto, che è la quantità. Senza ciò non sarebbe possibile la perfetta identità neppure nelle espressioni. La quantità infatti, considerala come attributo delFente, è sempre costante ed identica in tutti gli enti. Se voi prendete un individuo, egli è identico per la quantità con qualunque altro, di qualsiasi altra specie, per quanto differente nelle qualità: nelle qualità vi possono essere delle differenze nel grado di loro perfezione, nella quantità non mai. Quantità è la proprietà delFente, in quanto si considera capace di aumento o diminuzione ; o, come la definisce il Ilomagnosi^ « quel modo ?» di essere, in virtù del quale una cosa si rende capace di aumento o di »» decremento »» (2). L’intelletto non ha quantità: non si accresce o diminuisce l’intelligenza; ma si sviluppa, si perfeziona. L'unità è l’ente puro: al vero ente appartiene propriamente 1 unita; quindi a Dio solo. Degli enti contingenti è proprio il numero o la pluralità; e però 1 unità dell ente contingente non si può considerare che come elemento di più composte pluralità, che diciamo numeri. L’unità non è numero; ma si considera come numero, in quanto esprime l’elemento del numero. Il calcolo e la classificazione degli enti rapporto alla loro quantità. l’Algebra, compresa F Aritmetica, è il mezzo per questa classificazione; e (i) Lingua dei calcoli. Introduzione. (2) Nell 'Assunto primo del Diritto nat.} l’àlgebra non è altro die la lingua in cui sono scritte le Matematiche, come la Geometria è la lingua in cui è scritto il gran libro dell Universo. Premessi questi cenni sull’indole del calcolo, vediamo quale sia lo scopo del primitivo insegnamento delle Matematiche, e quali le regole fondamentali per impartirlo in modo conveniente allo stesso scopo. A che debba tendere 1 insegnamento primitivo delle Matematiche. Difetti di alcuni metodi. Un geometra uscendo dal teatro dopo avere assistito ad una tiagedia del famoso Raciue, indispettito dagli applausi dei quali era stato testimonio5 chiedeva : che cosa ella prova ì Ecco il difetto troppo comune ai matematici, di non trovare cioè niente d’interessante nè di provato, fuori delle loro lucubrazioni. Certo che gli applausi dati dal pubblico ad un capolavoro dell arte non provano che i tre angoli di un triangolo sieno eguali a due retti, ma provano il buon senso e la coltura di una nazione. È inutile ch’io avverta (il lettore lo pensa da sè), che accennando qUi [ yizii dei matematici, non intendo parlare di tutti i cultori delle scienze esatte, fra i quali furono e sono uomini pensatori. I matematici si possono dividere in due classi: matematici ragionatori, e matematici calcolatori. Se ad alcun matematico sembra strana questa distinzione, tenga pure per provato ch’egli appartiene alla seconda classe. L’insegnamento primitivo delle Matematiche è forse diretto a preparare soltanto dei matematici calcolatori? Se ciò fosse, Galileo avi ebbe avuto gran torto quando interrogalo a che serva lo studio della Geometria, rispose: a misurare i goffi. Egli avrebbe dovuto dire invece, che serve a formarli. Altro dunque dev’ essere lo scopo dell’ insegnamento primitivo delle scienze esatte. Questo scopo è doppio : per una parte si tratta di preparare alle più sublimi dottrine della scienza della quantità quelli che vi si destinano di preferenza: per l’altra parte di esercitare la mente anche di quelli che d’altre scienze vorranno occuparsi, mediante la ginnastica intellettuale, eh’ è frutto delle scienze esatte studiate a dovere. MtìG Soauniaistrare le nozioni fon dame ululi per pntor procedere lidio stu ^e^'Matematiche* preparare la mente allo studio di qualunque sclenza: ecco il doppio scopo doli’ iu sogna meato primitivo dì cui parliamo, i )h il secondo c il più importante: poiché se manchi, non si è fatto (pianto è necessario a preparare gli allievi neppure allo studio delle alte dottrine matematiche. Quindi mi sembra clic il peccato capitale de llf istruzione primitiva su quieto punto (generalmente parlando) alia nel trascurare lo scopo principale. per guardare soltanto al secondario. Ih qui nasce,, die quelli i quali si dedicano allo studio esclusivo delle Matematiche riescano calcolatori, anziché veri mafemulìri ragionatori; e qurlii che sì danno ad altre scienze non vi riescano t menu poche ecce* zhuin, come sarebbe u desiderare. Di qui ancora trae origine il disprezzo col quale per ordinario si guardano dai matematici le scienze morali, quasiché quella ragione die è buona a dire la verità in Matematica non servisse più nelle altre scienzo, coniti se il io ndamento della verità e delia certezza fosse diverso. 10 potrei citare dei rispettabili materna Ilei che non hanno rossore dì dire che la Geometria è una scienza sperimentale . e ridono quando ai parli di verità dimostrate a priori / c questi per quanto siano estese In loro cognizioni matematiche, sono calcolatori, non ragionatori. Dada trascuranti dello scopo principale dell' iusegnsuneiiU) primitivo delle Matematiche ; che sta, come dissi, nel preparare forti e giusti pensatori 5 deriva un altro disordine, che è poi anche una delle cagioni dei vizi! de’ mate malici che teste accennava. Tale disordine consiste ne! h stendere di troppo questo insegnamento primitivo. 11 tempo accordato per impartirlo è di un anno scolastico, e questo basta per preparare le menti dei giovani alle discipline superiori. Ma guai se r istitutore voglia in un periodo così breve esaurire tutte le teorìe elementari che servono di fondamento alle sublimi ricerche della Matematica! Egli è allora costretto a percorrere di passaggio mi enorme ammalo di dottrine che ingombrano la, mente degli allievi di mal digerite nozioni, egli da una lunga serie di calcolisenza farne vedere le in lime ragioni; e in luogo di preparare alle scienze delle menti esercitate alla riflessione e al ragionare esattamente, forma invece delle teste imbarazzate, e ibrs anche disgustate di uno studio die è pure della più alta importanza. Forse il difettodi cui parlo, è ima conseguenza deila estensione che ricevettero k Matematiche, eh' è veramente maravigfiosa nella parte Speculativa, non so poi so altrettanto nella pratica, lo su questi) non voglio proferire giudizio: ma se è vero che gli antichi erano assai più indietro di noi in fatto di cognizioni matematiche, chi non deve rimanere sorpreso confrontando l’immenso cumulo di teorie, che ingombra tante menti da qualche secolo, colla potenza esecutrice degli antichi? Ponendo a paragone ciò che hanno fatto gli uomini di trenta secoli fa. col non plus ultra che ci consentono le tante applicazioni delle nuove dottrine matematiche, siamo portati a stabilire, almeno per certe cose, la nuova legge, che quanto piìt procede la teoria, tanto la pratica resti indietro . Per quanto strana possa parere questa conchiusione, inviterei quegli che non Y ammettesse a veder modo, con tutti i nostri progressi, di costruire una piramide come quelle dell’ Egitto, di tagliare da una cava un monolite come l’obelisco del Vaticano, e d’incendiare una dotta con degli specchi, come ha fatto Archimede. I frutti delle nostre cognizioni saranno più vantaggiosi, sebbene meno giganteschi, ne convengo; e ciò vuol dire, che noi le dirigiamo ad una meta piu ragionevole! ma sembrami fuor di dubbio che, prescindendo dall’uso che ne facevano, la potenza degli antichi sia immensamente superiore a tutto ciò che il vantato nostro progresso ci pei mette di eseguire. Forse io sono un tratto uscito dal seminato : ciò che dissi valga, se non altro, a renderci meno orgogliosi del nostro sapere. Ritorniamo all’argomento. e limitiamo le nostre considerazioni all’Àlgebra, come esige l’indole di questo scritto. Le condizioni cui deve soddisfare l’ insegnamento primitivo delle Matematiche sono determinate dal suo scopo, indicato nel precedente Capo. 1. ° Sviluppare l’intelletto di quelli che si dedicano allo studio di qualunque scienza. 2. ° Offerire le nozioni fondamentali, onde procedere nello studio delle più elevate teorie di questa scienza, per ottenere non dei calcolatori, ma dei veri matematici. Ecco le due condizioni essenziali cui deve soddisfare l’insegnamento primitivo delle Matematiche, e clic segnano anche le norme al giusto metodo d’ impartirlo. I canoni principali di questo metodo mi sembrano i seguenti. 1. Osservare la maggior brevità, ossia limitare V insegnamento alle sole nozioni strettamente elementari, onde rimanga tempo di mostrare agli allievi il fondamento, la ragione dei metodi insegnati, e lasciar qualche cosa da fare anche ad essi. 2. Non far precedere un esteso Trattato di Aritmetica all’Àlgebra, ma insegnare congiuntamente l’uua e l’altra. Esporre almeno i rudimenti e alcune capitali dottrine dell’Àlgebra, prima di procedere molto innanzi nell’insegnamento della Geometria. Del primo canone ho detto nel Capo precedente quanto mi consentivano i limiti che mi sono proposto in questo scritto. II secondo potrebbe forse non essere così facilmente ammesso, giacché ho veduto a questi ultimi anni qualche scrittore di cose matematiche esporre assai estesamente l’Aritmetica senza cercare alcun soccorso dal1 Algebra (0. Io stesso un tempo non aveva avvertito alla sconvenienza di questo procedimento, e prima che mi cadesse tra mani l’Opera di cui intendo parlare aveva tentato dimostrare la legittimità di alcuni metodi usati nell’Aritmetica senza il soccorso dell’Àlgebra, a cagiou d’esempio quello per l’estrazione delle radici dai numeri. Ho dovuto però convincermi che ciò riusciva inutile, ed anche dannoso. A che prò infatti battere una strada lunga e piena di difficoltà, per arrivare a risultati che si potrebbero ottenere con semplicissime osservazioni? A che prò impiegare delle frasi oscure e inesatte, in luogo delle brevi e chiare dell’Algebra; e invece di approfittare dell’ immenso soccorso di questa lingua, perdersi nel labirinto delle lingue comuni? Un Trattato di Aritmetica scritto a questo modo è inutile allatto allo studioso dell’Algebra, che cammina per vie più brevi e più facili ; ed è inutile e dannoso a chi vuole apprendere estesamente la scienza dei numeri, perchè esige un dispendio di tempo e una fatica enorme per acquistare delle cognizioni che si possono ottenere in brevissimo tempo, e con molto minore fatica. Del terzo canone poi niente si avrebbe a dire, ammesso l’ incontrastabile principio esposto nel Capo !.. che l’Algebra è la lingua in cui sono scritte le Matematiche, perchè è impossibile imparare una scienza (piando (|) Intendo dire dall’ Algebra propriamenmenti sieno espressi con parole o con segni te detta, poiché è impossibile trattare scienconvenzionali, per la sostanza della cosa è tificamente l’Aritmetica senza l’ajuto di una tutt’uno; non però cosi per la facilita, chiacpialehe specie di Algebra. Che i ragionarezza e brevità – Grice: be brief: avoid unnecesary prolixity --. s’ignori la lingua in cui è scritta. Però siccome in apparenza io mi discoslo su questo punto dall’opinione di sommi matematici, die vollero la Geometria insegnata prima dell’Algebra: cosi gioverà aggiungere ancora un cenno sopra ciò, onde mostrare che queste due opinioni, in apparenza opposte, si conciliano benissimo tra di loro. È indubitato die l’Algebra trasse origine dal seno della Geometria: ma è altresì indubitato che la necessità del sussidio di questa scienza fu la cagione che determinò, per così esprimermi, la Geometria a procrearla. « Fu la Geometria una madre che partorì nell’Algebra una figlia pveci» puamente a suo vantaggio (0. » Se adunque l’Algebra è di grandissimo sussidio alla Geometria (ed io aggiungo, appunto perchè l’Algebra e la lingua della Geometria e di tutta la Matematica pura ed applicata), non si potrà negare che sia necessario insegnarla prima della Geometria, per la gran ragione che i mezzi devono precedere lo scopo che con essi si vuole conseguire. Io però non ho detto che si debba del lutto lasciare dall un dei lati la Geometria, finché non sia esaurita la trattazione elementare dell Algebra: ho detto soltanto, che non si proceda troppo innanzi nella Geometria, prima di avere insegnato le capitali dottrine dell Algebra. Mi si potrebbe opporre, che l’Algebra esseudo nata dalla Geometria, per insegnarla convenientemente bisognerebbe procedere dall originante al derivato, dalla causa all’effetto, dal principio alla conseguenza, dalla madre alla figlia. A ciò rispondo, che altro è il metodo dello scopritore, altro quello dell’ institutore. Guai se per insegnare le scienze si avesse a camminare per la strada lunga e spinosa che calcarono quelli i quali all’attuale loro ingrandimento le condussero 1 Noi abbiamo nell’Algebra uu sussidio potente per lo studio delle Matematiche: ebbene, facciamo nostro prò di esso, e lasciamo alla storia della scienza il mostrarci che strada abbiano tenuto per rinvenirlo i primi che ne la arricchirono. Io prego il lettore, che prendesse qualche interesse in questo importante argomento, a meditare il Capo Vili, del tomo II. della celebre Opera del Cossali, che ho citato di sopra, nel quale sebbene non sia espresso il principio che io annunciava come terzo canone riguardante il metodo dell’ insegnamento primitivo delle Matematiche, e dell’Algebra iu particolare; tuttavolta si trovano delle riflessioni e delle applicazioni a molti casi, le quali giustificano pienamente questa mia proposizione. Cessali, Origine, trasporto in Italia, lume li. Cap. Vili. pag. e seg. Edizione primi progressi in essa dell Algebm., ec. Vodella Reale Tipografia di Parma,, in /,.° 1500 Non iusisto maggiormente sulle cose dette in questi tre Capitoli, perchè mi sembrano bastare ad un semplice Saggio. Serviranno di maggiore schiarimento a questi brevi cenni gli esempii che darò dopo avere esposto il piano di un Corso di Àlgebra puramente elementare die mi sembrerebbe da adottarsi, avuto riguardo allo scopo dell’ insegnamento primitivo delle Matematiche, e segnatamente dell’Algebra, che è la lingua in cui è scritta tutta la scienza delle quantità . Premessi, a modo d’introduzione, brevi cenni sull’indole delle Matematiche, sui diversi rami in che si dividono, sull’origine dell’Àrilmetica e dell’Algebra, io dividerei tutto il Corso di questa scienza in sei Sezioni, delle quali ecco il prospetto. Cominciando dalle prime operazioni sulle quantità espresse colle cifre arabiche, si dovrebbe man "ere alla ricerca dei divisori. Essa potrebbe essere divisa in tre Capi suddivisi in paragrafi nel modo seguente. Capo I. Delle operazioni che si fanno sulle quantità espresse colle cifre numeriche. Della somma o addizione. Della sottrazione. Della moltiplicazione. 4. Della divisione. Capo II. Delle operazioni principali che si fanno sulle quantità espresse colle lettere. Della riduzione. Della sottrazione. Della moltiplicazione. Della divisione. In questo Capo, oltre le osservazioni essenziali sul coefficiente, sull’ esponente, sull’ uso dei segni, e sulle quantità negative, conviene por molta cura nel fare avvertire la essenziale differenza tra queste operazioni fatte sulle quantità espresse colle lettere, e l e stesse operazioni eseguite sulle quantità espresse colle cifre numeriche. Se ogni matematico anche il più superficiale sa che passa una gran differenza fra la sottra aritmetica e l’algebrica, è pur vero che nell’insegnamento molte volte si passa leggeraveute sopra cose elio sembrano piccole, ma alle quali è legato il frutto ilelF insegna mento elementare delle Matematiche* Io forse nr ingannerò: me ne dorrebbe molto, perchè eli quanto scrivo ho acquistato il convincimento dopo avervi meditato sopra assai, dopo averne fatto l’esperienza nelle lezioni che privatamente ebbi occasione di dare, e dopo avere adempiuto oltre misura al precetto oraziano: nonum p re nudar in annum . Io vorrei pérò bene clic misi dicesse come si fa ad avvezzare rapprendente a riflettere alle cose grandi, so non si comincia a fargli osservare le piccole. Ho sostituito alla parola somma l'altra di riduzione^ relativamente alle quantità esprèsse colie lettere, seguendo Fe seni pio 4 li altri. Se avessi saputo Lrovare nuove parole per esprimere con più giustezza anche le altre operazioni algebriche, lo avrei latto. XjC definizioni e gli schiarimenti debbono nel Trattato supplire al difetto ili migliori espressioni. Capo FU. Di alcune operazioni secondarie sullo quantità espresso colle cifre, e colle lettere, I* Del raccoglimento dei fattori — 2* Della ricerca del divisori — 3, Dei numeri primi, ec. n[ FRA Zi ONU Intitolo così questa Sezione, per abbracciare tanto il calcolo delle frazioni veramente tali che appartengono alF Aritmetica, così proprie come improprie, quanto anche le espressioni algebriche che uou hanno altro ili frazionario che la forma; essendo ben noto che in Algebra uou vi sono propriamente frazioni, ma divisioni indicate* Questa Sezione si divide in cinque Capi come segue. Cato IV. Idea delle frazioni^ e modo di calcolarle* (V ^ /dea delle frazioni ; e principii fondamentali — Della ricerca del massimo comune divisore di due o più quantità, * % Somma delle fr azioni. Sottra delle frazioni. Moltiplica delle frazioni Divisione delie f 'azion L Delle frazioni letterali od algebriche* Velie frazioni decimali. è j . Somma dei decimali. Sottra dei decimali Molli/ dica dei decimali. Divisione dei decimali. Utilità dei decimali. Eh Trasformazione delle frazioni ordinarie in decimai ì} e viceversa. Caco Vii Delle serie. C apo Vili Delle frazioni continue « Tomr L 9^ i r>0‘ 2 DELLE POTENZE E DELLE RADICI. Delle potenze dei monomii. Delle radici dei monomii. Capo XI. Delle operazioni che si fanno sui radicali. 1. Della riduzione dei radicali eterogenei. Semplificazione dei radicali. Somma dei radicali. Sottra dei radicali. Moltiplica dei radicali. Divisione dei radicali. Elevazione dei radicali a potenza. 8. Estrazione di radice dai radicali. Delle quantità imaginarie. 1. Somma e sottra delle f— au+ 4 a*b+ G aW+ 4 « b>+ b' a'b 1 IO a'b*— 40 a*i5— 5 abK—b\ Supponendo finalmente che un termine sia positivo «. e 1* altro negativo) si ha: (« t)a a s 2 a b + (a— 4)s=as— 3 à*h + 3 ab*—b* (a a*— 4 a H> + G n^5— 4 a //+ 4* (a bfzzz a 5 a 'b 10 a*b*~ 10 ttE4s+5 ab'—b3. Esaminando attentamente i risultati ottenuti dalla successiva moltiplica zio ne di a + 4, —a lu a b per sé stessa una, due, tre, quattro volte, si vede che i termini di questi sviluppi formansi colle seguenti leggi. I, Gli esponenti del primo termine a vanno sempre decrescendo secondo 1 ordino dei numeri naturali: di modo che il primo è il gradodella potenza cui si eleva il binomio, e Tu Rimo ò zero, che rende uguale ad J il primo termine del binomio nell'ultimo dello sviluppoGh esponenti del secondo termine h invece vanno sempre crescendo secondo lo stesso ordine ; in guisa che il primo è zero, e l'ultimo è il gradò della potenza* IL lì coefficiente del primo ed ultimo termine dello sviluppo è l, quello del secondo termine è uguale al grado della potenza cui si eleva il binomio. Quello poi degli altri termini è uguale al coefficiènte del termine precedente, moltiplicato per l’esponente del primo termine del binomio rìde nel termine precedente, e tutto diviso pel numero dei termini antecedenti: per esempio, nel termine 10 a 'b* il coefficiente 3 0 è 2 2 HI. U numero dei termini dello sviluppo è espresso dal! esponente cui si eleva il binomio, aggiuntovi 1 ; cosicché la seconda potenza ha tre termini, la terza quattro, la quarta cinque, ec, iy jje]i0 sviluppo di ciascuna potenza vT e un coefficiente massimo, dopo il quale ritornano i coefficienti precedenti con ordine inverso. La ragione di ciò si rende manifesta solo che si osservi, che si Sarebbero ottenuti gli stessi termini con ordine inverso, se invece di sviluppare il binomio a + b si avesse preso l’altro b + a; in guisa die il primo termine sarebbe stato rultimò, ed il secondo il penultimo, ec. Tale massimo coefhcicnle è quello del termi ue medio per le potenze pari, e per le dispari il primo dei medii. Questa legge riguarda il valore dui coefficienti: non la loro forma, la quale resta sempre quella indicala nella legge IL y [ termini dello sviluppo sono tutti positivi tanto nelle potenze pari che nelle disparis se quelli dei binomio sono pure Lutti positivi; e per h pi di- use ['il cucile se sono tulli negai ivi : sono invece Lutti, nr gali vi nello potenze disparì, se quelli del binomio sono tulli pur negativi Finalmente se im salo termine del binomio è negativo, sono negativi tulli quei lumini dello sviluppo, in etti entra tome fattore il termine negativo del binomio con esponente dispari. Queste leggi, secondo lo quali sono formati gli sviluppi delle potenze del binomio, noi le abbiamo dedotte dai casi speciali di questo cinque potenze. Possiamo noi ora conchiuilcrc che si verificheranno per ogni altra potenza ? Ecco il secondo caso dT induzione applicata alle Matematiche, clic accennammo poco sopra» Le s pressione u-\-h è tutta algebrica, e perciò noi possiamo stabilire che, qualunque siano i valori di a e di si verificherà la legge duo alla quinta potenza. Ma 1 esponente fin qnì assunto è numerico, c perciò, quanto alle potenze, non ìndica clic casi speciali l dunque noi non possiamo co&cLitulefc Funivi -realità di quelle leggi, se prima non dimostriamo elicsi verificilino per un esponenti qualunque m> Noi dubbiamo dunque ritenere, filetto tale semplicissima osservazione, che questa specie di induzione non può essere sufficiente fondamento per ìstabilirtì 1’ universalità delle esposte leggi. Ma giova cercare se vi sia modo di dimostrare la verità della formula newtoniana coi mezzi elementari almeno per 1 esponente m posi! ivo intero, perchè avremo occasione di fare dulie riflessioni phi diffuse sull' importante argomento del quale ci occupiamo. Questa dimostrazione elementare fu tentata da altri matematici, c valentissimi; maio credo offessi non sieno stati mai persuasi pièna melile di- Ila giustezza dei metodi coi quali corcarono giungere al loro intento, giacche la dimostrazione che generalmente fu adottata involge sempie una petizione di principio. So noi infatti cominciamo a dire che se h leggi sovra esposte si verificano, a c a gioii éf esempio, fino alla quinta potenza, si avrà la formula generalo (a -f b)m =am + m am~' h + m (m 1) 5 i: se sulla baso dì questa formula si dimostri clf esse si verificano audio per 1J esponente m -jJ, noi abbiamo già posto ciò clic si deve appunto provare, cioè la verità del canone newtoniano per fi esponente generale m; abbiamo conduuso dal particolare al generale senza aver reso legittimo questo nostro passaggio. Abbandoniamo adunque questa via già battuta con esito inldiCC, c tentiamone uu 'altra So iu buona Logica noi non possiamo argomentare dai particolari ade generalità in quello scienze ove si esige la certezza assoluta, come sono appunto lo Matematiche, niente c’impedisce di passare da una forma paiticolare ad una generale, dacché l’indole della scienza, di cui trattiamo, ce lo consente, onde poter osservare i rapporti delle quantità che calcoliamo. Mi spiego. Noi non siamo autorizzati a dire che la potenza in del binomio a + b sarà formata secondo le leggi newtoniane, perchè lo sono le potenze seconda, terza, ec. ; ma possiamo ben dire che se si supponga 5 », lo sviluppo ottenuto per (a + 6)5 sarà identico collo sviluppo di (, i + b)n ; ed avremo in questa trasformazione il vantaggio di poter osservare meglio le relazioni che sono nei termini di esso sviluppo. Dietro ciò, posto re in luogo di 5, avremo : (a + re an~ lb + n(n t)re"““52 + » (re 1 ) (n 2) a " 3 b ' 2 . 3 + re (re 1) (re 2) (re 3) re’1-4 è4 2 : 3 : ~ + re (re 1) (re 2) (re 3) (re 4) a”"5 b\ 2 ! 3 ’ 4 ' 5 Espresso a questo modo lo sviluppo della quinta potenza di a + b, moltiplichiamolo per a+b, onde avere la potenza successiva, cioè la sesta. Disponendo ed eseguendo l’operazione al modo solito della molliplica5 avremo : a" + n an~'b + n (n \) an~%V + re (re 1 ) (re 2) re ” b 2 2.3 + re (re— 1) (re 2) (re 3) re”-4 è4 2 ' 3 ' 4 + re (re 1) (re 2) (re -3) (re 4) re”-5 b‘ 2 ( 3 ! 4 ! ~ a + b + 1 q nau b + n (re 1) re”-’ b* + re (re 1) (re 2) re b 2 2 . 3 + » (re 1) (re 2) (re • 3) a”-3//' 2 • 3 ! 4 4» Ire D(re 2) (re 3) (re 4) 2 ^ 3 ! 4 1 5 i + a n et + n un^1 b3 -{n { n I) a n“a 6S-|n (n 1 } (n 2) a * “3 b*' 2 2 . 3 + n (n 1) [n 2) ( n 3) ati~^b5 2 7 I ! 4 + n (» 1) fri 2) (n 3) (ri 4) an~*b* 2 .3 ; 4 ; 5 ' (ri + f) rz ^ J + n 1 ^ a*~s // n (n *) / f » 2 \ a *-a &3 2 ^ 3 ' n (n 1 ) (n 2) f 1 -f ri 3 ^ a n ~ 3 &4 2 ~ 3 ' 4 / n (« f) (n 2) (n 3) ( fl + n 4 ^ ^ 2 3 . 4 v 5 ' n(n—1) (n 2) (« 3) (n 4) a 2, 3 « 4, 5 Osservando il modo coli cui sono forma Li i termini di questo prodotta, sì scorge a prima giunta che il coefficiente di ciascuno coasia di due coeh fìcienti consecutivi della serio presa a moltiplicare, in guisa ohe fuori della parentesi si han no successivamente i coefficienti dei termini di questo sviluppo, e dentro la parentesi 1 + n 1 . 1 -f ri 2 3 1 + n 3 ec. 5 2 3 4 cioè n 1, n + A, n + f 2 _ 3 Quanto agli esponenti s essi evidentemente seguono nello sviluppo la stessa legge thè nel moltiplicando. Quanto al numero dei termini 5 essi nel prodotto sono uno di più che nel moltiplicando. Quanto all ultimo termine del prodotto^ egli è identico colf ultimo del moltipllcando ; m guisa che essendo LI coefficiente di questo eguale ali’ unità, è uguale all'unita anclic il coefficiente di quello* O' i segni non parlo, giacché è troppo chiaro che so b~ a. cagion d'esempio, fosse negativa, sarebbero negativi e nel moltiplicando c nel prodotto tulli i termini ove b fosse elevala a potenza dispari. Tutto ciò dipende dalla natura della moltiplicazione algèbrica, e non abbisogna di alcuna spiegazione. Facendo ora n + 1 z= r, il prodotto trovato acquisterà la seguente. forma : (a + by—a'+ra'-’bi-r (r— 1) ar“*ia+ ;■ (f— 1) (r— 2)ar~ib 2 2 . 3 + r{r 1) (r 2)|r— 3)« *4‘ 2 . 3.4 4r(r 1 ) (r 2)(r 3) (r 4) ar~9 45 2 3”. 4 . 5 + r fr 1 > Cr 2) (r 3) (r 4) (r 5) aT~f‘ br' 2, .3 . 4 . 5 . 6 Par ridurre l’ ultimo termine alla forma degli aliti nou ho fallo alito ohe moltiplicarlo per r, cioè per 1 . L'identità di questa formula eoo quel6 la dello sviluppo di (a -f b)" uon abbisogna d’essere avvertita. Se eoi ora moltiplicassimo questo sviluppo di (a + b)r per a + b, onde averne la potenza r+ 1, cioè settima, potremmo ripetere le stesse considerazioni che abbiamo falle, e così in segnilo. Onde resta dimostrato, che per qualunque potenza intera e positiva del binomio si ottiene uno sviluppo dell’ identica forma, cioè formato secondo le esposte leggi. Ma come avviene che quella conseguenza, la quale non ci credevamo autorizzati a dedurre quando ì coefficienti erano numerici, pensiamo poterla trarre ora che hanno la forma algebrica? Ossia perchè allora l’induzione uon ci bastava, e adesso la troviamo sufficiente fondamento alla bini os trazione ? Perchè il principio induttivo lo abbiamo ridono a principio tutto rimonaie: o, a meglio dire, perchè all’ analogia, fondamento dell’induzione, abbiamo sostituita l’identità, che è il solo fondamento proporzionato della dimostrazione. La conseguenza Infatti che noi deducemmo dalle considerazioni sul prodotto ottenuto dalla moltiplica dello sviluppo di (a + b)n per a + ^ non è altro che V applicazione di epe s Lo assioma: Dati identici fattori*, debbono aversi identici prodotti Dobbiamo dunque conchiude re j che Y induzione scientifica non è fonie di cognizioni tu aiematiche neppure presa nel secondo senso accennalo in principio dì questo Capo. Veniamo al terzo caso et’ induzione 5 die, come dicemmo 3 è quando dalla legge elio seguono alcuni termini di una serie deduciamo clic tutti gli altri termini di essa saranno formali allo stesso modo* Abbiasi da sviluppare in serie la espressione frazionarla — Dispo I ~X nendo ed eseguendo F operazione al modo solito della divisione, avremo \ a a -f a x 1 x # + a x a -|ax + ax*+ ec* a x + a x' a x a ar'4a;5 * + a X* Osservando i termini ouenutì per quoziènte, noi diciamo che* proseguendo quanto sì voglia nella divisione 5 ogni termine del quoto «ara eguale al suo antecedente moltiplicato per x* Ma non v’ha Insogno di molte parole per rendere palese che anche in questo caso poi argomentiamo Sriiìl’appoggio del principio delFitlenliù, porcile restano sempre identici il dividendo, il divisore, eT indole della operazione colla quale si ottengono i successivi residui. Siamo dunque condotti a conchiudere questo Capo collo stabilire io t^si generale che ~V Induzione scientifica, fondata sull* analogia, non può mai essere fonte per dedurre verità matematiche; o che se in qualche caso sembra che a ciò P induzione ci servai1 intervento suo non è che apparente, poiché sempre ove vi è verità dimostrata non altro può essere d fondamento che il principio della identità, = . Della estrazione delle radici dai polinomi! e dai numeri* Io accennava nel Capelli, come mio dei canoni del metodo, che F insilamento dell1 Yritm etica e delFÀIgebra sia impartito con gin ala mente* .Molti esempli dovrei addurre per mostrare h diverse applicazioni di tale principio; ma i limiti che mi sono proposto Io questo Saggio non consentendomi maggior diffusione, scelsi esporre la teoria della estrazione delle radici dai poli nonni e dai numeridiserbate ad altro fiori t lo so lo circostanze me lo coose olirà imo, appi io a zio oi più estese. Osservando come si formino le poterne dei binomi itrinomi! oc., ci è facile rinvenire il metodo per 1 estrazione della radice dai polinomi!. Abbiasi ad estrarre la radice seconda del polinomio a + 2 a x + a;3. La prima osservazione da farsi è, se il dato polinomio sia una potenza peifetta del grado indicalo dalla radice (nel nostro caso del secondo grado). Per accertarsi di ciò basta esaminare se il dato polinomio sia conforme a tutte le leggi, dietro cui vedemmo formarsi le potenze dei polinomio Gin fosse esercitato abbastanza per fare in ogni caso una tale osservazione, potrebbe estrarr® a colpo dmecbio la radice di qualunque polinomio clic fosse: potenza perfetta, o risparmiare, nel caso contrario, una operazione talvolta lunga, per accertarsi die il polinomio dato non è una perfetta potenza del grado indicato. Facilmente ncUVdotto polinomio si scopre eli' egli è potenza seconda perfetta di un binomio a + a?, perchè è composto di ire termini, del quadrato di rt, di quello di e del doppio prode Ilo dì iQlLo positivo Ma non sempre è possibile, specialmente ai principianti, lo scorgere così a colpo d* occhio la radice delle potenze dei gradi superiori ? od aneli e delle seconde dei polinomi! di molli termini Però conoscendo che il primo termine di un polinomio elevato ad una potenza qualunque segue nel suo sviluppo lordine decrescente dei numeri naturali dal grado della potenza fino all’ 1, e conóscendo con quali leggi sieno formati i termini dì una potenza qualunque, ci è facile ottenere la radice dei polinomi! con un me lodo un poco più lungo, ma sicuro. Converrà dunque primieramente ordinare il polinomio dato per rapporto ad una lettera, precisamente come nella divisione dei po! inondi per polinomi!. g 1, Estrazione delia radice quadrata dai polinomii. Abbiasi dunque ad estrarre la radice seconda dal trinomio mz +J* + 2 mf* Ordinato questo trinòmio per rapporto ad m. si Là: quadrato radico ) -f m + / ™ _ 2 in residuò m + ‘i»‘f+.r Siccome il primo termine della potenza contiene il primo termine della radice elevato (nel caso nostro) a seconda potenza, così il primo termine della radice sarà + ni. Faccio il quadrato di /??, lo sottro, ed ho il residuo Ora il secondo termine è e dev’essere un pro dotto, in cui entra come fattore il primo termine della radice moltiplicalo per 2 ; pongo sotto la radice questo fattore 2 ni, e dividendo il termine 2 mf per esso, trovo Y altro fattore f eli’ è necessariamente il secondo termine della radice. Moltiplico 2/»X/; e faccio il quadrato di f Sottro: e vedendo che non ho alcun residuo, con chiudo che i m i/^ la radice quadrata del dato trinomio : radice che si è ottenuta facendo precisamente le operazioni inverse di quelle con cui si eleva alla seconda potenza un binomio. Il doppio segno si pone per la stessa ragione che nei monomii. Se invece di un trinomio fosse dato un polinomio, si opererebbe in sostanza allo stesso modo: poiché nella formazione delle potenze dei poliuomii non vi sono che delle differenze accidentali, e non essenziali. Sia, per esempio, da estrarre la radice seconda del polinomio a'-2^3 + ^-2aV + 2 &V + c6 CO; avremo 1. ° residuo 2 a%b2-\-b^ 2aV + 2^c5 + cs radice ja2— c\ -f 2 a2b2 bw 1.°divis.2a2 2. ° residuo *— 2 «V + 2 Z>V + c6 2.°divis.2a2— W + 2 ac% 2 b2cz c6 Nel secondo divisore abbiamo raddoppiato i due primi termini della radice a 2 b2, onde avere i doppii prodotti che sono nel quadrato. Del resto non si fece altro che distruggere ciò si era fatto innalzando alla seconda potenza il trinomio a 2 b2 c3; con che si ebbero appunto i tre quadrati a\ b\ c\ e i tre doppii prodotti 2 a2b2, 2 ac\ 2 b2c\ Sembra che in questo caso non si conservi la regola degli esponenti; ma una tale eccezione è solo apparente, e deriva dall’essere i termini della radice essi pure affetti da esponente. (i) Essendo il termine 2 aV dopo il ternon la contiene. Ma in questo caso è inutile mine h\ sembra che il polinomio non sia oril trasportare il termine 2 aV, poiché Tespodinato per rapporto ad a, perchè dopo due nenie di a è ancora 2, come nel termine termini che contengono a ne viene uno che 2 a2l2. Estrazione della radice quadrata dai numeri . Olii numero si può considerare composto di tante parti, quante sono le cifre delle quali è formato. Per esempio, 26 si può considerare composto di due parti, cioè di 20 + 6; 359 di tre, cioè 300 + 50 + 9, ossia tre centinaja, cinque decine, nove unità; ed il quadrato che si ottiene moltiplicando il numero 359 per sè stesso, sarà il risultato dei vari! termini che si otterrebbero sviluppando la espressione 300 + 50 + J nel modo con cui si opera per innalzare al quadrato l’espressione algebrica a + c + d. Ciò è evidente solo che si consideri la generalità della formula à + 2 a c + 2 ad + c2 + 2cd + d\ che è la potenza seconda del trinomio a + c + d. Sarà dunque 3592 = (300 + 50 + 9) 3002 +2. 300. 50 + 2. 300. 9 + 502 +2.50.9 + 92 90000 + 30000 +5400 +2500 + 900 +81 = 128881. Volendo ora rimontare da questo numero alla sua radice, il metodo algebrico vuol essere alquanto modificato, perchè le varie parti componenti il quadrato non più si scorgono dopo la loro unione in un termine solo, essendo la loro somma eseguita, mentre nell’Algebra è soltanto indicata ; ma però siamo sicuri che in esso si contengono tutte quelle parti che costituiscono la seconda potenza di un trinomio. Vediamo adunque in qual modo si venga a scoprire la radice di un numero. Per comprendere chiaramente il metodo che siamo per dare, premettiamo alcune osservazioni sulla natura dei quadrati dei numeri. I. I numeri semplici non hanno nel loro quadrato più di due cifre, giacché il quadrato del minimo numero composto, cioè di 1 0, è 100, minimo numero di tre cifre. I quadrati dei numeri semplici sono: numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 quadrati 1, 4, 9, 16, 25, 36, 49, 64, 81 II. Il quadrato di un numero terminato con degli zeri è uguale al quadrato delle cifre significative coll’aggiunta di un numero doppio di zeri. Il quadrato di 1 0 p. e. è 1 00, quadrato di 1 coll’aggiunta di due zen; il quadrato di 100 è 10000 ec. : giacché tali quadrati dipendono affatto dal sistema della nostra numerazione per decine. Così il quadrato di 40 è 1600 giacché 40 X 40 non è altro che quaranta volte quattro decine, cioè 40X4X^ = 160X10 = 1600. III. Un quadrato non può avere più cifre, che il doppio di quelle della sua radice. Per esempio, il quadrato d’ un numero di due cifre non avrà più di quattro cifre, perchè 100, primo numero di tre cifre, ha per quadrato 1 0000, primo numero di cinque cifre. In tal caso il quadrato ha un numero pari di cifre, poiché il doppio di qualunque numero è pari. I\ . Un quadralo non può avere meno cifre, che il doppio di quelle della sua radice, meno una. Il quadrato di 100, per esempio, mimmo numero di tre cifre, è 10000, die è il minimo numero di cinque cifre. Qualunque altro numero adunque di tre cifre, che è necessariamente maggiore di 100, non potrà avere nel suo quadrato meno di cinque cifre. In questo caso il quadrato ha un numero dispari di cifre. Y. Dalle cose anzidette rilevasi, che dividendo il proposto quadrato in membri di due cifre, si avranno tanti membri, quante sono le cifre della radice. L’ ultimo poi di tali membri potrà essere anche di una cifra sola (nel caso del n. IV). Tale divisione in membri si farà da destra a sinistra, poiché così vengousi a riportare ai loro luoghi gli eccessi delle somme delle cifre dei varii ordini, come si rileverà più chiaramente da quanto diremo in appresso. Fatte queste osservazioni, disponiamo l’operazione nel modo seguente: quadrato proposto radice termini eliminati 12,88,81 359 300 . 9 1.° divisore G,5 1.° dividendo 38,8 2.° divisore 70.9 2. 300. 50 + 502 . —32 5 2.° dividendo 638,1 2 . 300 . 9 + 2 . 50 . 9 + 92 638 1 0 Ripartito adunque il proposto quadrato in membri di due cifre da destra a sinistra, come dicemmo, osserviamo primieramente: che la radice del massimo quadrato contenuto nel primo membro 12 è la prima cifra della radice ricercata, e non può nascere mai il caso che dalla somma dei doppii prodotti e quadrati si riporti tanto, che confonda il quadrato della cifra dell’ ordine massimo della vera radice con quello di un’ altra cifra. Se, per esempio, la cifra prima di una data radice di tre cifre sia 1, non si potrà mai riportare 3 di eccessi; con che si avrebbe nel primo membro il quadrato di 2 invece di quello di 15 e non si saprebbe determinare per conseguenza se tal prima cifra della radice fosse 1, oppure 2. La ragione di ciò si è, che siccome la data radice non arriva a 200, così il suo quadrato sarà minore di quello di 200, che è 40000. Ma essendo essa radice di tre cifre, il suo quadrato deve avere almeno cinque cifre (pel n.° IV); ed un numero di cinque cifre minore di 40000 non può avere 4 per cifra massima, come è evidente. Dunque è certo che non potrassi mai cogli eccessi, che si riportano, confondere il vero quadrato della cifra massima con uu altro, valendo uu simile ragionamento per ogni caso possibile. Ciò posto, dal massimo quadrato contenuto in 12, eh’ è 9, estratta la radice 3, poniamola al suo luogo; facciamone il quadrato, e sottriamolo da 12. Abbiamo il residuo 3: onde intendiamo essersi riportate tre decine di migliaja dalla somma delle varie parti del quadrato. Conosciuta così la prima cifra della radice, che è 3, esprimente centinaja (dovendo la radice avere tre cifre pel n.° V.), ed eliminato dal proposto numero il primo termine di quelli ond’ è composto, cioè il quadrato appunto delle centinaja 300’, abbassiamo accanto al residuo 3 la prima cifra del secondo membro 8, alla quale deve certo arrivare il doppio prodotto delle centinaja nelle decine, perchè egli arriva almeno alle migliaja; cosicché dividendo 38 pel doppio delle tre centinaja scoperte, cioè per 6, il quoto che otterremo sarà la seconda cifra della radice, esprimente le decine. Il quadrato di queste, che è almeno di centinaja, deve arrivare all’ altra cifra del secondo membro, che appunto esprime centinaja. Abbassiamo adunque anche questa seconda cifra, e separiamola con una virgola, indicando di non tenerne conto nella divisione che siamo per fare del 38 .* 6.Diviso 38 per 6, abbiamo 6 di quoto. Prima però di scriverlo alla radice conviene esaminare se 6 divisore moltiplicato per 6 quoto, più d quadrato di 6, si possa sottrarre da 388. giacché questo prodotto e questo quadrato devono essere contenuti, come dicemmo, in 388. A tale effetto posto il quoto accanto al divisore, così, G6, ed eseguita la moltiplicazione per 6, abbiamo ad un tratto il quadrato ed il prodotto, che danno 39G. Ora essendo 396 >388, dobbiamo conchiudere che 6 è una cifra troppo grande, e che conviene diminuirla di 1 (e, se occorresse, di 2, di 3 riducendola anche allo zero, come nella divisione). Fatte le stesse operazioni col 5, avendo per risultato 325 c 388, poniamo 5 al luogo della radice, e sottriamo 325 da 388. Ci resta G3. Noi abbiamo con questa seconda operazione eliminati altri due termini, cioè 2 . 300 . 50, e 50 . Accanto al G3, che rappresenta gli eccessi riportati dall’ altre parli del quadrato, abbassiamo l’ultimo membro 81. Nel G381 si deve contenere il doppio prodotto dello centmaja nelle unità, quello delle decine nelle unità, ed il quadrato delle unità* Nessuno dei due prodotti può appartenere all ultima ci Ira clic rappresenta unità : essi sono adunque compresi nelle cilro 038. Ora i doppi i prodotti conte nuli in quéste cifre inumo due i allori comuni, cioè il 2 e La cifra che esprimerà le unità, gli altri due sono tre centinaja e cinque decine. Se ri divida adunque 638 pel doppio di Ire centinaja, più cinque decine, cioè per 70, noi troveremo ad un trailo l altro iatture esprimente le unità. Separata dunque dal G38i 1 ultima cifra 1, ed eseguita la divisione di 038: 70, abbiamo per quoto 0. Posto il 9 aceanLo al divisore 70, ed eseguita la moltiplicazione di 709 X 9, abbiamo ad un tratto il doppio prodotto dell® unità nelle centi naj a, e delle unità nelle decine, ed il quadrato delle unità 6381 3 che sottriamo; e non avendo residuo alcune, concliiudlamo essere il 9 la terza cifra della radice, e quindi esattamente \/ 128881 r: 3 59. Con questa terza operazione abbiamo eliminato i tre termini *2 * 300 * 92.50,9, 9*. Se di maggiori cifre fosse composto un dato numero, di cui si volesse la radice quadrata, è evidente che si opererebbe in un modo affatto simile a quello testé esposto, vale a dire distruggendo dò che si fa colT innalzamento a potenza. Se poi il dato numero non fosse potenza perfetta, si avrebbe un resìduo. Rapporto alT estrazione della radice quadrata dei decimali, essa si la come negli iutieri. Soltanto è da avvertire, che siccome nel formare la seconda potenza dì un decimale si separano tante cifre nel prodotto* quante sono quelle del moltiplicando, piu quelle del moltiplicatore ; cosi nella radice, che si troverà, dovrà separarsi la metà di cifre Contenute nella potenza. Le quali se saranno in numero dispari, si avrà 1 avvertenza di aggiungere uno zero, che già non altera ii valore, onde sia possibile separare nella radice le cifre die dicemmo. Cosi, per esempio, V 3b i ~ 1/ 5 I j0 71 circa: ed aggiungendo altri due zeri al quadrato; V 5 17000 = 7,19 più prossima me u te. Lo stesso vale, coro e otnaro5 anche qualora non vi siano intieri, ma soltanto decimali; ed altresì pd easo clic un dato mimerò non sia potenza perfetta, onde levala la radice del mass Imo quadrato in esso contenuto, rimanga un avanzo: poiché aggiuntivi due, quattro, sei zeri, o più se occorra, si troverà la radice approssima*# espressa in decimi, centesimi, milleri mi, oc. OssKfiY AZIONE, Nel caso die un numero non sia quadrato perfetto, potrebbe nascere il dubbio se la radice trovata sia quella del quadrato massimo contenuto nel numero proposto, o se un quadrato maggiore in numeri interi vi si contenga. Per uscire d’ incertezza si esamini se il doppio della radice, aggiuntavi Punita, superi il residuo. Se ciò avvenga, il quadrato della radice trovata è il massimo che si contenga nel numero dato. Infatti chiamando a questo numero, b la radice trovata, il resto è espresso da a b, e la radice prossimamente superiore a quella che si rinvenne sarà b + 1, il cui quadrato è b1 -f 2b + 1. Se dunque sarà 26 + 1 > a b\ sarà anche 2 6 + 1 + 6 2 > a (aggiungendo da ambe le parti 62). Ora 5 3 _p 2 b + 1 non è altro che il quadrato di b -f1 : dunque il quadrato di b + 1 è maggiore di a . Dunque il massimo quadrato, in numeri interi, contenuto in a è b. 3. Estrazione della radice cubica dai polinomio 3 Abbiasi ad estrarre \/ ( a 3 + 3a6 + 3a6s+ ò3). Essendo già ordinato questo polinomio per rapporto ad a, disponiamo 1’ operazione nel modo usato di sopra per l’estrazione della radice seconda. a1 + 3 ab + 3 a b2 + 6 5 radice + b a5 3 a residuo 3 ab + 3 ab + bl 3 ab 3 a 65 6 5 * * ~ Caviamo la radice terza dal primo termine, sapendo eh’ esso contiene il solo primo termine della radice elevato nel caso nostro alla terza potenza: con ciò otteniamo il primo termine a della radice cercata, che si pone al suo luogo. Fatto ora il cubo di e sottrattolo, abbiamo il residuo 3 l) _[_ 3 a 5 2 + bs. Siccome il secondo termine della potenza è il triplo del quadrato del primo termine della radice moltiplicato per l’altro termine della stessa ; così fatto il triplo del quadrato di che è 3 a\ ed assuntolo per divisore, noi potremo scoprire l’altro termine della radice. Dalla divisione otteniamo il quoto 6; ma siccome nella potenza data, oltre del termine 3 ab, vi deve essere anche il triplo del quadrato di b moltiplicato per così, per accertarci che b sia veramente un altro termine della radice, esaminiamo se il termine 3 b‘ a corrisponda ad un termine che si trovi nella data potenza. Vedendo che ciò si verifica, fatto anche il cubo di 6, sottriamo dalla potenza i tre termini 3 a26, 3 ab\ 63; e non avendo più alcun residuo, conchiudiamo che a + b è la radice cubica del dato polinomio. Basla dfire un occhiata a queste operazioni per conTom, I. 9G SAGGIO FILOSOFICO 4 518 vincersi che non sono altro che le inverse di quelle con cui si ottiene la terza potenza di un binomio. Alquanto più complicata riesce la estrazione della radice cubica dai polinomii che hanno una radice trinomia, quadrinomi ec., ma però sempre dipendente dal modo con che si formano le potenze. Debbasi estrarre, a cagion d'esempio, (/ (a3+ 3a3c + 3 ad 3a c* + Gacd + c5+ 3ad3-\3 c d\ 3cG?‘-f-(f). Disponendo Iterazione al modo solito, avremo radice I a -p c + d 4,° divisore 3 a 2.° divisore 3 cì -f 6 a c + 3 c* a 3 + 3 a2c -j3 ad + 3 a c-f G a c d + c3 + 3 a d3 + 3 c*d + ^ cc^ "t" ^ 4 .° res.° +3 a c -(3 a’d + 3«c3+ Gacd -(c3 -f3 ad' 3 cd + 3 cd +• d 3 a3 c 3 a c c3 2.° residuo * +3 ad * +6acd * + 3 a d*+ 3 cd + 3 ctf+ d* 3 ad 6 acd Sad Zcd—Scd'—d' Essendo il polinomio già ordinato per rapporto ad cominciamo ad operare come nel caso precedente. Estratta la radice cubica dal pi uno termine, abbiamo a; fattone il cubo, e sottrattolo al solito, abbiamo il primo residuo. Preso ora come divisore il triplo del quadrato di ? 0100 3 abbiamo il secondo termine della radice + c. Fatti i due piodotti 3 eie, 3ca, ed il cubo c3, li sottriamo, ed otteniamo il secondo residuo. Assunto adesso per secondo divisore il triplo del quadrato ( i a abbiamo alla radice -fd. Fatti i soliti prodotti, cioè (3 a + G aC - f 3c2) d, 3 d~ [a -fc), ed il cubo cP, li sottriamo; ed osservando che non si ha verun residuo, conchiudiamo che a -fc -fd è la radice cubica del dato polinomio; la quale noi abbiamo evidentemente ottenuta eseguendo le operazioni inverse di quelle che si fanno per innalzare un trinomio alla terza potenza. Osservazione. Sarebbe facile stabilire dei metodi per estrarre la radice dei gradi superiori al terzo da qualunque polinomio che fosse potenza perfetta del grado dato ; e ciò dietro la semplice avvertenza, che per estrarre la radice basta eseguire le operazioni inverse di quelle colle quali si ottiene l’ innalzamento a potenza, le leggi del quale sono già note. Questi metodi non hanno altra difficoltà che la lunghezza dei calcoli ? e in pratica non sono quasi di nessun uso. Però, senza cercare oltre, si possono estrarre alcune radici di gradi superiori nel modo che abbiamo usato finora. Così per estrarre la (/ basta estrarre due volte la radice seconda dal dato polinomio, giacché p. e. (a + bf =: (. KOMAGWOSI wvertimento Questi Opuscoli medili., coi qua [I si compie il preseti te Ycdunrc, avrchhi'ro dovuto andare uniLi agli alivi che si leggono dalla pagina 469 alla '44, se Q1 momento della stampa di questi ne avessi avuto notizia, ed agio di pTouij farmeli* 11 lettore, die sa quanto sia difficile cosa raccogliere ed ordinare scritti inediti, tollererà questo lieve sconcio* 1 paragrafi sono pru> nunu reti in seguito all'ultimo degli Opuscoli edili, COL Or. Ilo alla denominazione di leggi dell' umilila perfettibilità io contèndo lauto lg leggi di «paolo quelle di dovere. t) 602, Per leggi di fatto io intendo li modo connine e naturale cui quale gli uomini in generale, ossia meglio le unzioni procedono cello sviluppo del loro spirito relativamente alle scienze, alle arti ed ai costami; ossia il costume dalle nazioni tenuto, o che pur anche terrebbero e terranno sèmpre tanto nelle invenzioni, quanto nell’ addottrinamento o nella civilizza e io ne* G, G03, Per leggi di dovere io intendo generalmente tutto quello che le nazioni far dorrebbero, non tanto per Scoprire il vero, sia speculativo, sia interessante, ed evitare l’errore; quanto per ottenere di farlo nel modo pii! breve e più facile, e col maggior frullo e durala possibile. g GOL Ogni legge di fitto, qualunque siasi, altro essere non può elio ui/risnltalo dei rapporti che legano le cose fra di loro. Questo risultalo, che, a parlar propriamente, non è die un effetto, non potrà ma! essere conosciuto a dovere, se non si conosceranno convenientemente 1 rapporti e le forze delle cagioni che lo producono. È dunque &’ uopo il conoscere le forze ed i rapporti dello spirito umano, lauto per assegnare la ragione di quello che fa, quanto in parie per additare la regola ilt quello clic far deve e dovrebbe rispettivamente alle scienze ed alle arti. Come infatti potreste voi esattamente assegnare le leggi di fallo colle quali scorre un fiume, e quelle colle quali farle lo potrebbe dirigere, se prima nou conosceste le leggi fondamentali e le forze della gravitazione e dell’equilibrio dell’ acqua tanto in istalo di quiete . quante in istato tii ruoto? Da qui adunque nafica !a necessità di ricercare e di fissare,,,JU!iUl° “ P“6» (iudI° cL° Ptó fare l’uomo tanto iu fctralLo,, manta 0Gcret0‘ Per apporto die scienze ed alle arti» dof' ' ÌJ ^ ^ 1 ^elerm‘Qtlre questa potenza conviene conoscerne fiuÌ y ' | P estensione* Tutto questo non si può ottenere eoo ve 5lj p . ll t &amr: dei reali primitivi, e seuza commentali], Oueiti* qua i qui Ji contempliamo 5 costituiscono Io stato fonda me ala k ^ Dm#° C°r^ °ggeUÌ tutti dello scibile* t dunque mestieri spingere le j', cucili tino a questo punto estremo * o, a dir meglio, è cosa lui sa bile incominciare Ja qticy t0 punto, per procedere a detcrmi..." ~_J '* ài potenza e dì é&mm ddl'utnana perfeìfjiiitóf / 11 uili cosi dei lumi fondamentali, e chiamando ad esame d inthia la storia eogaìia del geuere umano . uoi potremo assegnare r ndurre a certe determinate leggi generali e costanti Ai fatto \\ costamitui liL intellettuale delle nazioni nei loro processi rapporto alle -cieuze ed ^ alle arti: o, a dir meglio, potremo scoprire queste leggi di (UtQ) so esistono. À vicenda poi da quello eli’ è avvenuto costantemente in circostanze -simili potremo trarre la conferma delie cagioni che ne addurremo, e della teoria clic ne risulterà» y Gli 8, Cosi si vedranno Io cagioni delle verità e degli errori 5 dei ritardo e deilfpceleramenlo della coltura, do ll’au mento e delia decadenza -,lL i si giungerà ad uu risultato forse non mai osservalo linea qui: qual e. che tanto gli errori tutti umani, ossia la false opinioni; quante il mal gusto e la depravazione delle arti, hanno leggi cosi reali o costanti, come le venta ossia come I giudizi! veri, e come il bello e buon gusto: e chti gli uni e gli altri, e piuttosto tali che tali altri* sono fruiti di stagione. t) G09. Dal hu qui detto pertanto sì può indovinare die tre sono le gieiudi parti di quest* Opera, oltre la parte preliminare sui fondamenti delle scienze e ddle arti. b CIO. Nella prima tracciar si deve la storia filosofico dello sviluppo della perfettibilità delle nazioni, per feci) prime le leggi naturali indecliu a bili e generali Ai fatto in tutti i periodi del di le! sviluppo. OH. Nella seconda è mestieri assegnare quello che le nazioni possono lare, a norma delle forze e delle leggi con cui agisce necessariamente lo Spinto umano, per procedere oltre nelle scienze e nelle arti. 01 2. Nella terza poi. die è il vero scopo (kit’ Opera, si dovranno prescrivere le leggi normali per le nazioni e per gl’individui, «ode 0 Renerei progressi delle scienze e delle a rii nel modo più ideilo e [dii fet* e col maggior frutto possibile. -. 1/i2£) Giova per altro aver presente, che siccome quello che Tuomo fa e deve lare non può eccedere, quello ch'egli può fare ; e quello ch 'egli può fare in alto pratico non è sempre quello die fare potrebbe assolutamente i cosi questa parte, concernente la potenza dello spirito umano, è suscettibile di diverse trattazioni, ed entra necessariamente come un ingrediente attivo nelle altre due parli. Nella prima, per dar ragione dei fenomeni dello spirito umano nei diversi periodi della perfetti hi lìti sviluppantesi, nella terza, per determinare il modo ed i confini dei doveri intellettuali sotto la direzione del buon metodo tanto nell' invenzione, q uan lo n Ìli ? istruzion O., Ciò non pertanto non vengono cosi assorbite le considera** zio ai risanar danti la potenza dello spirito umano nello mentovate due parti, che uou rimanga ancora tutto intiero l'oggetto a trattare separa la niente. Imperocché là dove viene In acconcio per determinare il latto dei fenomeni e delle vicende dello spìrito umano, so ne osservano piuttosto gli effetti in ragione composta dì certe determinate circostanze . clic E intrinseca assoluta estensione od energia della potenza medesima* Là poi dove essa si considera rapporto al dovere, viene piuttosto fatta un’ applicazione ed un uso pratico di essa, anziché il ritratto, dirò così, della di lei personale e propria entità, e della sfera assoluta della di lei energia* Gl 5. Ciò premesso, sì fa ornai luogo ad esporre e ad intendere tnl La l’orditura dell5 Opera ch'io progetto, o, a dir meglio, che ho progettato: avvegnaché mi sarebbe stato impossibile formare il piano di un’Opera nuova come questa, se dapprima non avessi almeno all'inda grosso scoperto lo parti che deve contenere, e il nesso che queste parli debbono avere, e le ragioni della loro esistenza o dolio loro connessioni. Piano ragionato della parte pud ini in are, ossia del Trattalo dei fondamenti * G. Gl G. Pinna di Lutto deve precedere, come ho già accennalo, la esposizioue dello stato naturale e reale dell’ uomo cogli oggetti dello scibile, cui anche Ito definito* Quante coso deve comprendere questa trattazione preliminare 1 con quanta antiveggenza ne debbono essere raccolti i pezzi! con quale economia irascel li e trattali! cou quanta solidità assicurati! cou quanta chiarezza cd ordine esposti! Questi pezzi quali sono? È chiaro ch’essi debbono essere tali, che dopo averli ottenuti uou debbasi più ricercare la dimostrazione della loro verità. Quindi o che eglino debbano inchiudere in loro medesimi la certezza, oppure che debbano essere dedotti in guisa, che con irresistibile evidenza si senta o che non ne può essere addotta dimostrazione alcuna, o eh essi s’appoggiano davvicino ad una base che esclude ogni ulteriore inchiesta. Gl 8. Dunque o ch’eglino debbano involgere nella loro enunciazione il seguente concetto; cioè io sento, e sento in questa maniera ; ossia meglio: ogni uomo sente in questa maniera, senza abbisognare di altra deduzione. Oppure che da questo latto primitivo, e non suscettibile di raziocinio, ma solo di esperienza, debbano procedere tutte le viciue coucbiusioni d una necessaria ignoranza o d’una irresistibile certezza. Dunque questo Trattato preliminare sullo stato naturale dell’uomo cogli oggetti dello scibile non deve racchiudere se uou che o mere esperienze sentimentali notorie ed incontroverse, oppure conchiusioni evidentemente dedotte e dimostrate dai puri rapporti di queste stesse esperienze. E però tali conchiusioni non debbono inchiudere nei loro elementi o involgere nei loro supposti relazione alcuna a veruno stato particolare di fatto o reale o ipotetico delle nazioni. G19. Non credo ciò non ostante che sia mestieri il fare una storia completa dell’intimo senso, la quale rassomiglierebbe assaissimo ad una Psicologia sperimentale; come dall’altra parte non credo nemmeno di dover sorpassare totalmente certi oggetti che sono di quella sfera, e passare di salto a trattare direttamente l’argomento dell’Opera. Quindi io avviso essere necessario fra questi due estremi lo scegliere certi punti che hanuo un’influenza universale in tutto il progresso dell’Opera; e ciò vieppiù perchè fino al dì d’oggi, per quanto è a me noto, alcuni non sono stati nè con bastante accuratezza snocciolati, nè colla dovuta forza compiovati, ed altri non furono per anche scoperti. G20. Questo partito, nell’alto che ci fornirà preventivamente eh ccili lumi necessairi a guidarci e ad assicurarci della certezza di quello che dovremo in progresso osservare, ci farà eziandio evitare nel corso dell’Opera lunghi episodii, i quali se da una parte si rendessero necessari* a dimostrare la verità di certi risultati che resterebbero privi di certezza, dall’altra parte però colà situati riescirebbero d’imbarazzo al corso spedito e strettamente collegato delle deduzioni. Questo inconveniente sarebbe certamente effetto di mancanza di quell’ordine, mercé il 9liale convicn porre lo cose al loro luogo. Le altro osservazioni di esperienza sentimentale poi, le quali Li questi preliminari non prendiamo in considerazione, farse cadranno in acconcio nel progresso delf Opera,. e sarà allora opportuno far presunte il tenore ora delle ime ora delle altro, appunto perchè se ne sentirà il bisogno;, ma ciò far si potrà senza disordine, perde oltre 1’ evilare vane e sconcio ripetizioni, sì produrrà assai meglio la persuasione merce il ravvici nani culo delle cagioni ai loro effetti, dei principi! alle loro conseguenze, senza che ciò ne possa costringere ad inopportune digressioni per provare i principi! medesimi, essendo essi di quelli, cui basta d essere rammentati pur essere dimostrati, g 022. Dal [in qui licito adunque risulta, de in questo Trattato dei fondamenti : 1+° Non debbono essere esposti quei dati primitivi, concernenti lo stato naturale e reale dell' uomo cogli oggetti dello scibile, i quali siano d' un'assoluta notorietà, o, pome sì suol dite, per se evidenti, essendo più acconciodi farli presenti nelle parti interiori dell1 Opera, quando l’uopo 10 richiederà-: ma solamente occupar ci dobbiamo di quelli che abbisognano di dimostrazione* 2. ° àia nemmeno lutti quelli che in questa sfera abbisognano di dimostrazione debbono entrare in quesito Trattato, ma solamente quelli che per il progresso delle nostre ricerche divengono di uso universale, Che debbono essere dimostrali in guisa, che veggausr appoggiati sciiz 'ambiguità ai fatti evidenti primitivi e sperimentali dell'intimo senso, 4*° ©he la loro trattazione non dev'essere protratta in guisa, che sTiiuoIlriuo nelle partì interiori dell’Opera, ma bensì che debbano ad esse parti trovarsi così vicini, che se ne possa far uso senza trattenersi in uno svolgimento preparatorio per tessere la dimostrazione dell’assunto attuale. E però debbono essere per maniera preparati, che con uno dei loro estremi tocchino il confine insormontàbile e primitivo della sperieuza sculi mentale 5 è coll'altro estremo giungano ad occupare, dirò così, 11 vestibolo ossia il confine delle materie proprie di quest' Opera, il di cui campo almeno in generale è stato aulici palarne □ te determinalo. lu questo modo è chiaro che per una parte l’Opera intiera riuscir dovrebbe a guisa d' una grande catena, i di cui anelli tulLi appoggiano sopra un punto Turni inconcussa solidità: e dalbaliva parte ì pezzi integranti non solamente sarebbero allogali a dovere, ma inoltre dilatati e (se mi e lecito il dirlo) impinguati in guisa, on d'esse re scambievolmente tu un giusto avvici □amento, anzi in un contatto logico, per cui produrre la facilità e la certezza tanto in me, quanto in ogni altro sensato leggitore. Si è detto di sopra, che non tutte le primitive nozioni, che per se stesse abbisognassero di dimostrazione o di sviluppo, debbono aver parte in questo nostro Trattato dei fondamenti, ma solamente quelle che iu progresso ncscouo d’uu uso universale. Ora come faremo noi a disceverile dalle altre, onde lame la scelta, e sottoporle alla nostra meditazione? . Qui ci è d’uopo d’uu colpo d’occhio, che almeno ci faccia pievedere ad un tratto la sfera d’influenza di questi fondamenti in tutta la macchiua che abbiamo divisato di fabbricare. 625. Esiste egli per avventura un punto centrale di vista, che ci possa guidare a questa scelta? Se esiste, egli pare che dovrebbe essere 1 idea universale stessa delia scienza, dello scopo di lei, e del modo cou cui 1 acquistiamo o la possiamo acquistare. 626. Analizzando diffatti la nozione medesima della scienza, noi vi scopriamo tautosto due grandi parti: la prima riguarda i dati primi, i quali nel soggetto universale dello scibile non sono che fattizia seconda riguarda il ragionamento che sui fatti medesimi si va tessendo. Così la cognizione dei primi appellar si potrebbe la erudizione, o la storia, o i materiali, o i dati della scienza. La cognizione poi, o, a dir meglio, 1’uso del secondo appellar si dovrebbe l’esercizio dell’attenzione umana sopra dei fondamenti, a fine di scoprire il vero di qualsiasi genere. La prima parte diffatti corrisponde alla sensazione, all’esperienza, all’osservazione; la seconda corrisponde alla riflessione, al raziocinio, alla teoria. 627. Per quello poi che concerne ai mezzi coi quali acquistiamo o acquistar possiamo la cognizione dei fatti, non ve n’ha che di due maniere; vale a dire o per propria esperienza, o per altrui tradizione, la quale deriva appunto in ultima analisi dall’esperienza fatta da altri. Di queste diremo qui sotto. Ora torniamo a contemplare la scienza in sè stessa, cioè facendo astrazione dal modo col quale l’acquistiamo. 628. In ogni scienza, e principalmente in quelle che hanno pei °noetto di conoscere lo stato delle cose, due sono gli argomenti precipui delle umane ricerche, il di cui uso è universale; cioè: L Le qualità e circostanze costituenti l’entità, sia reale, sia fittizia, delle cose di fatto ^ o siano permanenti, o transitorie, o assolute, o relative, ec. ; lo che appellasi anche stato o tenore d’una cosa. 2. Le derivazioni delle cose medesime ; lo che riguarda la cognizione tanto delle cagioni loro, quanto del modo col quale le cagioni operano nel produrre questi loro effetti. 629. Nel nostro Trattato adunque dei fondamenti è mestieri in primo luogo trascegliere quei dati primitivi abbisognanti di dimostrazione. i quali Laudo una relazione necessaria ed universale eolia cognizione vera e certa tanto del tenore quanto delle derivazioni degli oggetti Lutti di fatto fondamentale dello scibile* | fi 3 03 1 . Ma il cercare del tenore e della derivazione d'uua cosa presuppone resistenza della qualità e delle cagioni, e per ciò stesso T esìste u za reale della cosa medesima* Ora o queste ricerche versano sulla propria nostra persona, o sono rivolte ad altri esteriori oggetti. Sulla ventai e sulla certezza della nostra propria esistenza, e di tutto quello che uni sentiamo, non è necessario far parola; ma rapporto alle cose esterne con è più lo stèsso, 032. Altro è la certezza del sentimento d’uua cosa, altro la certezza della dì lei realità, Da prima è un fatto di esperienza^ ma la seconda ine! linde un giudizio, mercè il quale affermiamo resistenza reale d’uua cosa fuori di noi, cagione del sentimento che ne abbiamo, od almeno corri^ ponderi te a lui. Questa esistenza è un fatto posto fuori di noi, e però non può involgere nel suo concetto un evidente e sperimentale sentimento di verità- 033, Di più, anche supposta resistenza reale d’uua cosa qualunque, altro è la certezza di sentire un impressione di lei, ed altro è che noi possiamo assicurare che a queste impressioni diverse veramente corrispondano negli oggetti altrettante qualità a modi reali. La ragione è la medesima che per f articolo dell’esistenza. Ma anche supposta ls esistenza reale di queste diverse qualità o modi reali corrispondenti, altro è la certezza di sentire le tali e le tali, ed altro è che noi le sentiamo, ossia le conosciamo o le possiamo conoscere tutte. Per la ragione medesima sovra recata questo punto c vieppiù complicato. g (335. Anzi tari Lo è lungi eh a quegli articoli possano essere certamente decisi mercè d’uua sola occhiata di senso comune, quanto più 6 certo ch’ossi tutti sono ancora, dalla nascita della greca filosofia in qua, soga disputa. Nò si può dire che questa sia una petulanza di alcuni inTom. o visionarli o temerarii. benché si opponga al consenso, dirò cosi, (li tutto il genere umano, mentre da alcuni stimabili pensatori moderni. Con tutto questo però ben volentieri io mi esimerei dall’aggi1Jrmi su questo orlo estremo del mondo intellettuale, se fare il potessi senza ledere gl interessi della verità: o, a dir meglio, se questo punto non avesse un influsso decisivo sopra molte cose di cui debbo trattare in piogresso. lo non parlo della certezza o della incertezza fondamentale di tutta quella parte dello scibile che riguarda l’universo intiero. La questione tutta sarebbe, se la realità di tutto quello ch’esiste fuori di noi si debba riguardare come ipotesi, o come verità: se avrebbesi altro da ricercare. o da decidere. Io parlo dell’influenza sopra molte regole di pratica nelle scienze derivanti dalla decisione di questi articoli. E per verità, benché sembri chiaro che in qualunque ipotesi la convenienza e la discouveuieuza delle idee, la loro forma di astratte, di generali ec., e tutte le deduzioni ed i sistemi di riflessione, in conseguenza della semplice forma o numero delle idee medesime, e di tutti i loro rapporti che ne derivano, possano avere una verità, una certezza, anzi un evidenza incontrastabile, anche riguardando l’universo tutto come un fenomeno puramente ideale; e che però quelle che dai nostri secchi denomiuaronsi verità subbiettive non soffrano alcuna scossa dal1 incertezza di questo punto: tuttavia se ci volgiamo a quella classe di idee che riguardano la potenza o l’impotenza, il possibile o l’impossibile reale, le cagioni o gli effetti, le origini, le successioni, e fin anche a tutta la fondamentale sfera dell’ontologia; non possiamo più trovare questa indifferenza nella decisione dei mentovati articoli, come appunto vedremo nel progresso di quest’Opera. Ora quante cose ne derivano dall’uno o dall’altro partito? Apprezzare giusta il loro valore vero le idee tutte ontologiche, sulle quali riposano tante fabbriche anche importanti di valentissimi pensatori, ed assegnare indi l’uso logico che far se ne può; valutare non solo l’intrinseco, ma il progettatolo di tutte le cosmogonie, sulle quali gli uomini dall’ infanzia della ragione in qua si sono preso diletto di occuparsi; dar retta o rigettare certe generali quistioni sui pnncipn motori, e su quello che può o non può fare la natura; avere od essere privi di una parte almeno delle osservazioni sulla ignoranza necessaria o sulla scienza ottenibile, e quindi una fonte di precetti sulla moderazione dell’umano ingegno, per non disperdere la sua attività in fru ii straripi ricerche, ed occuparsi delle fruttìfere: deciderà se esista o nou esista un punto dì vista nel tare d vero albero enciclopedico di cui tuttavia manchiamo, nude inserire od escludere dal corpo delle scienze certi oggetti per eccitare gli uomini ad occuparsene, o per rilegarli nella storia del fenomeni, o, a dir meglio, delle aberrazioni della mente umana: tutte queste ed a II rettali cose interessar debbono certamente il filosofo che si occupa delle leggi di fatto, di potenza c di dovere dell’umana per fruibilità rapporto alle scienze ed alle arti. Ora questi sono oggetti, sui quali, a mio credere, non si potrà mai prendere un parlilo decisivo, se prima non si decidano i tre artìcoli sopra mentovati, e se rie deducano i conseguenti corolla ni. 638. Ecco perchè io mi sono determinato a farli entrare nel trattato dei fondamenti dclf Opera da me divisata, addicendone appunto una mia soluzione dedotta dai principi! primi di ragione 5 comuni ed incontroversi tanto all’ idealista che al pirronista, e dai quali anche la parte interna della celebre ipotesi deira emonia prestabilitasi dimostra assurda; senza per altro convenire uè’ mici risultali coi filosofi del contrario partito, no cogli altri in generale in quello che concerne la cognizione della realità. Qui si sente che in dovrò spingere le ricerche verso i risultali, ed in questi cercare lo scopo comune a tutte le scienze, cioè 1 unità e i di lei fondamenti. E siccome essa ha per i scopo m questi oggetti la rea-* litù. ; quindi la verità, di cui qui trattar si deve, è quella che denominasi di sensazione^ ossia, come i nostri antenati I Spellarono, verità obbiettivù.: perciò con verrà mmi definirla e valutarla, per potere da questo lato apprezzare lo scibile intiero. Ma prima di lutto sarà mestieri raffigurare e valutare la verità in genere, che abbraccia tanto questa specie, quanto l’altra detta di riflessione^ ossia verità mbhiettiva^ cosi dagli scolastici appellata, ed al lume di un senso più semplice fissarne l’idea. 5 640. Scarsa, io lo confesso, è la luce di chiarezza che iu cotanta profondità può rispondere sopra questi argomenti, e l’aspetto loro non è punto fatto per piacere: solo può interessare per la relazione alla solidilà ed all’economia di quello che viene in progresso. Ciò nou ostante io mi studierò di raddoppiare il lume, pei' quanto sarà da me. Cosi mi lusingo che arii intendenti non riuscirà discaro di aggirarsi meco entro questi ullìmi fondarne ululi recessi di tutto lo scibile umano. Cosi un abile architetto, ohe brama istruirsi in tulle le parti del T arte sua, nou si contenta solamente di visitare, come fanno I viaggiatori di diletto, le parti esposte di un vasto e ardilo edificio: ma affrontando l’incomodo d’ incontrare : oscuri! ìu umidità* ed un camminar chino, discendendo por 1 ungo ordine df anguslc, disagevoli ed oscure scale, si porla a ricercare tutto il sotterraneo. dove ie basse voile, i frequenti rei enormi colonualt, ì rozzi muri, 1 apparente disordine ve la mancanza della dilettevole simmetria punto 11 0 ^ rd m Unno 5 ed anzi lo scorge inevitabili, e le approva rii buon grado, piucfji? giunga a scoprire con quale -artificio le parti nobili c magnifiche di tu [lo l edificio superile vengano so s te ri u te, onde recare ai risguard Liuti quell imponente meraviglia che risvegliano, e possa cosi trarre una nuova regola del come le leggi della gre viti si possano far cospirare alla maggiore magnificenza, senza nuocere alla maggiore solidità. bàL Dopo la Irati azione di questi putiti fondamentali, quali alili ulrar fieli trono !□ questo trattato preliminare? liti solo momento di attenzione sulla prima parte della scienza ci rende avvertiti che la cogni^oujr ri, die qualità e delle eircosla uzr dei falli sia apparenlc . sia reale, uni versai metile necessaria per le scienze e per le nrli Lulle* Ibi 2. fo in questi preliminari non mi d'-M io occupare specialmeflta di quello che far debbono o possono o fanno le nazioni per acquistare la pui vera e la pia completa cognizione del tenore dei falLi che servono singolarmente a certi rami di scienza ; ma bensì debbo primimmÉiito indagare se, prima di trattare di quello dtp riguarda l'ininuscco dei falli m genere, sia necessario assicurare qualche alito principio primitivo di ragione, onde procedere poi speditamente e con solidità alfa trattazione loro intrinseca. Ora esaminando i mezzi coi quali Lauto le nazioni quanto i privati acquistanti od acquistar possono cognizione del tenore deifatli. Li lì mezzi, come si è già delio, si riducono a due; e questi sono^ l'La propria speriti nza, la quale produce la scienza propria (lei lalti, e che ^guardasi anche come la più certa, 2." V informazione o relazione o tradizione altrui. Questa in luogo della scienza propria produce la credenza. Essa ha per fondamento r altrui auto ritti 0. 043. Quello che pensar si deve intorno ai fondamenti della certezza della propria spene nz a ci viene appunto som ministra lo dai risu Ila li sogli auledi espressi di sopra. Ma cosa pensar si deve intorno al fonda menb della credenza? Questione importante e d’un uso universale* weulie non si troverà quasi scienza alcuna risanar dante tanto 1* ordine fisico, tpumlo (') To w Ja™ ajll^e la imita vcrìrà bqjfrrlantc, e ili un Oso prati*0 Fr Jc *lal]j Ài lei ^eutra^kjnr t ossia dui modi, eoo bcÌvivic c per Ir; urti, cui si l’or cria io noL fluì quale si rileverà una j i> r J i ne m ora I e, i di cui fatti fon da men tali in in a ss \ tu a pa ite, pe r gl inventori, per gl’ istruttòri e per gli addottrinali particolari, non riposino sulla fede alt mi. (j 044. È chiaro per r alita parte * die nell’ arte £&' verificare i fatti, speda tenie del genere dei fmraitòm, consiste appunto quello che far debbono gli uomini per ottenere quella maggiore certezza che è possibile. Ma quest’arte suppone un fondamento primitivo teoretico e naturale 5 giustificante nell'uomo dissenso alEasserrione altrui: In ima parola, suppone in natura una base di fatto solida della credenza. Di questa base non è certamente acconcio il trattare là dove si deve solamente parlare di quello die deve e può far I' uomo per verificare criticamente i fatti. 645. D'altronde non tanto di queste regole critiche sarebbe vano Posare in qualsiasi argomento* quanto sarebbe anche impossibile aJPuomo il trovare verno fondamento di certezza autorizzante la credenza specialmente dei falli passaggcri.se prima non esistesse in natura un principio di ragione ceri amen Le dimostrabile, che almeno, poste certe condizioni. 1T asserzióne a Unii si può riguardare come certa* ossia che esista la veracità; e che. poste certe circostanze, affermare si deve che essa viene fedelmente osservata. Questa mia proposizione non può soffrii controversia, Dilla Ili. posto dall’un cauto E nomo privo della notizia intuitiva dei fatti; e posto dalla Uro questo stesso uomo, che non può entrare tietl* interno del suo slmile per vedere se i fatti siano veramente stati da lui veduti e sperimentati in genere, e come lo siano; e però se hi di lui esposizione corrispónda alla di lui esperienza* e la di lui esperienza sia stata fatta a dovere: c troppo evidènte che se per un altro proprio principiò di ragione non esistesse un fondamento di credibilità, la nostra fede sarebbe per lo meno sempre precaria, o« a dir meglio, sarebbe avventurata ad un sentimento di un ragionevole perpetuo dubbio. Gi 6. È dunque mestieri in questa parte preliminare dei fondamenti E esporre colla dovala forza e chiarezza questo princìpio ; ìocchè è tanto più necessario, quanto meno i pensatori si sono occupati di lui. Così il trattato su di questo argoménto, inserito nei nostri preliminari, dovrà liuire là dove appunto gli altri trattati di crìtica incornili ciano. g 547, \on debbo per altro ammettere un* avvertenza. L* arte di osservare riguarda i falli che cadono sotto alla propria esperienza : 1* arte critica propriamente delta versa intorno ai fatti conoscimi per altrui Iradi rio ne. Ora qui si presenta un' importante riflessione, V arte di osservare ha pei: oggetto di verificare la realtà delia cosa stessa: por lo eouk.irìo {'urta critica non ha altro scopo, clm di verificare la verità della testimonianza. Ma se l’aulor primo della tradizione non può avere notizia del latto che mercè la propria sperieuza; dunque X arte di osservare e tanto necessaria a lui per iscoprire e quindi esprimere tutta la verità, e per non prendere abbaglio, e quindi trarre in inganno anche altri, quanto è necessaria a qualunque altro che osserva per solo proprio conto il tenore dei fatti medesimi («). G-48. Ciò stante, se contro la verità e la certezza dell 'esperienza propria può sorgere il conllitto degli errori di una osservazione mal eseguita, contro la verità e la certezza della credenza possono militare tanto questi errori di osservazione, quanto la menzogna avvertita. Là abbiamo la sola nostra testa a dirigere ; qui abbiamo la testa e il cuore altrui da esplorare e da valutare. G49. Da ciò ne nasce, che prima dei canoni critici propriamente detti conviene aver notizia dell 'arte di osservare, ed esporre le regole, onde trarne indi per l 'arte critica una seconda sorgente delle di lei regole, qual è quella che concerne l’accuratezza dell’ osservazione fatta dall’autoie della tradizione nel rilevare il tenore dei fatti notificati. Amendue queste arti, in quanto vengono specificate (e conviene anche farlo), appartengono a quella parte dell’ Opera, dove si tratta di quello che debbono fare le nazioni per il progresso delle scienze e delle arti. Quindi a questa parte preliminare non riserveremo se non le cose generali, e la ricerca se veramente e certamente nella natura dell’uomo esista una forza impellente ad osservare i fatti in geuerale, e quali ne siano le leggi, e quali finalmente i risultati di cognizioni che ne possono derivare per la cognizione del vero completo tenore dei fatti. G50. Ottenuti questi schiarimenti, ci sarà facile in progresso, esaminando lo stato non solo degli uomini particolari, ma delle nazioni medesime, e ponendo mente alle circostanze operanti o ordinatamente, 0 disordinatamente, o per eccesso, 0 per difetto, o per giusta proporzione sulla loro attenzione, e calcolando lo stato reale delle cose e delle persone medesime, ci sarà, dissi, facile il trarne una moltitudine di risultati non Tutti 1 primarii precetti per gli storici primitivi, sia dei falli della natura, sia dei latti umani, derivano da queste basi. Dopo manca solo additare l'arte di esporre in quanto all’ordine ed allo stile. La storia primitiva altro non può essere che un sussidio all’osservazione sperimentale dei fatti per un ente come l’uorno, che non vederli tutti in un medesimo istante, nè 2re in luoghi diversi, nè occuparsi nel Jgliere simultaneamente i fatti, e làbbriun sistema. ( fucilo adunque che deve dirsi dell os zione, con maggior ragione dir si deve storia, dove un muto foglio deve pone BELLE LEGGI DELL’UMANA PERFETTIBILITÀ’. 1 5L5L» solo concernenti la critica dei fatti, ma eziandio riguardanti gli oggetti di tutte e tre le parti dell’Opera che progettiamo. Diffalti tutta iutiera l’arte eli ragionare in tutte le scienze possibili: tutta 1 educazione concernente lo spirito, tanto per le scienze quanto per le arti; tutte le risorse e gli eccitamenti per isvegliare ed estendere i lumi ed il gusto; cosa altro sono veramente, che impulsi, soccorsi, direzioni date all’ umana attenzione (>)? Cosa sono inoltre tutti gli errori, se non che effetti immediati d’una mal esercitata attenzione ? A cosa si riducono infine in massima parte i poteri degli uomini e delle nazioni per inoltrarsi nelle scienze e nelle arti, se non che a quello dell’ attenzione? . Cercare adunque dell’esistenza, dell’indole, delle leggi di jatto sperimentali e naturali di questa facoltà umana ; dimostrare solidamente c distinguere accuratamente i risultati, dev’essere uu oggetto precipuo di questa parte preliminare della mia Opera concernente lo stato naturale dell’ uomo con tutti gli oggetti dello scibile e del praticabile. . L’importanza di quest’oggetto viene tanto più sentita, quanto più è manifesto che l’opera della perfettibilità dello spirilo umano anche in fatto riducesi in sostanza all’esercizio attenzione. Esame fatto, si giunge al grande ed unico risultato che spiega la legge suprema di fatto, cioè che il principio attivo dell’ umana perfettibilità è l’ attenzione. . Ma analizzando le leggi dell’ attenzione, noi ci troviamo necessariamente condotti a parlare degli effetti che ne derivano. Quindi le astrazioni, le idee generali, i raziocinii, le teorie divengono oggetto delle nostre ricerche. L’ordine stesso delle cose altronde ci guida a questo punto, 654.Proseguiamo, e proseguiamo con ordine. Qual è il punto di prospettiva, sotto del quale rimiriamo noi ora lo scibile? Egli è pari a quello col quale contempleremmo l’aspetto della terra in un planisferi, nel quale tutte le masse fossero poste giusta le loro proporzionate dimensioni: oppure egli è pari a quello, sotto del quale vedremmo l’orbe lunare in vicinanza di alcune centinaja di leghe. 655. Tutto sta sotto il nostro sguardo, e nulla veggiamo d’ individuale. Solo le grandi masse rendonsi visibili; ma tutto vi è confuso, duello che ne otteniamo non è che la universalità del complesso e le «randi differenze. Conviene qui adunque insistere per determinare gir ometti ch’fentrar debbono nei fondamenti. (t) Sarà bene il vedere un’Opera d’uno superflua reudizioue ha studiato di provare Spaglinolo, il uguale con uua vastissima ma questo punto rapporto ix\Y educazione. Egli è vero die per l'utilità delle scien» e delle arti conviene discendere da qu«ti punti di vista rotante elevali, ed approdi mar si agU ogge li leali ; e clic queste viste generali non sono di valore, se non sono .1 risii tato piano, socco», c .piasi direi un perfetto compendio delle cose panico ari analiticamente indagate, paragonate e re capi telate. Ninno più di me può essere persuaso di questa verità. Ed anzi, per quanto mi verrà concesso dal tempo e dalle forse, io procurerò. modo più certo, o almeno più ridarò, onde ottenere sùkiLLi risultati gtujcralb l i ai ti iman. I ai te ddlìcilissimn di lar uso delle stesse nozioni generali nelle materie concernenti la pratica, 3 Finalmente, nell’ eseguire l’Opera lidio progetto, gradatamente isct ui ni n dalli piu coiiiuse, vaste eri uniformi viste generali, alle più k LiuU, i faln iti. . dille renti e particolari * distinti prima i rami principali dello scibile ungilo, .3 separatili «In quelli che alm-sÌYftmeute furono iV hn,>Ì tu 1 corpo di lui: Io mi sforzerò «li accennare in ognuno quello die j.Li tltitbono ^ I i uomini tanto per V invenzione, quanto per f istruzione. Ma cori tutto questo io persisto tuttavia a sostenere esser ti1 uopo,,mzi isslm. indispensabile per ora, d'mtrat tener ci in questo punto di viste elevatissimo . malgrado che noi reggiamo solamente in confuso; e ciò appunto per ottenere di vedere dappoi tutto distintamente, e trarne valevoli sussìdi! per la verità,, e per il più completo progresso delle scienze e delle ani. $ bòì. Biffa Ltj le viste generali e confuse ili assunto precedono Pana[i.m. e ne danno il tema; le generali, figlie dell’esame, e che io denominili th risultato, la seguono, e ne somministrano un distinto compendio. Li; prime presentano 1 ulto il campo dell’ osserva dune : le seconde ne ajportano il Irulto. Senza le prime l’analisi non si potrebbe aggirare con ordine, nè essere avvertito se rimanga tuttavia o no qualche cosa ad esaminare; e quindi rimarrebbe dubbio se le nozioni generali di risultalo siano compirle. Senza le seconde non si potrebbe mai avere una distìnta notizia dello stalo delle cose: e però saremmo soggetti agli errori, ai pregiudizi!, ed alle teorie azzardale. U seconde adunque alla perfine debbono coincidere col corpo delle prime, cioè avere la medesima estensione delle prime, senza averne la confusione o la precarietà. Le prime adunque assicurano il compimento alfe seconde; le seconde dando il giusto valore e scòta nmento alle prime. ti.iS. ibi ciò uc vii.ne, ebe delle prime non si può far uso ohe per preparare le ricerche alla ragione, ma eiasu di esse non è lecito prònunciare sul vero stalo delle cose ; che l’abuso consiste nel sostituii le a quelle che debbono risultare dall’analisi. Che all’opposto incominciare un’analisi senza di quelle, egli c un esporsi al rischio di farla tumultuariamente, e che il risultato rimanga incompleto; e però tale risultalo venendo valutato come generale, riesca falso. L’analisi non può che separare le parli: ma per sè saper non può d’avere il tutto sott occhio, o no. Dunque tali viste generali sono necessarie, anzi indispensabili nell ìntiaprendere qualunque lavoro, specialmente là dove il concetto ideale della cosa tiene il luogo della cosa medesima da analizzare. 659. Se diffatti io abbia solt’ occhio un animale od una pianta, io assicurare mi posso di averla ben nolomizzata in tutte le parti, e posso da una in altra procedere ordinatamente, per la ragione appunto che i miei sensi m’assicurano di tutto il suo complesso. Ma se il soggetto stesso fosse, come il nostro, per sè astratto e intellettuale, è evidente che conviene appunto incominciare dal raffigurarlo per una prima vista nel totale e nelle sue grandi parti, per ass icurarsi di non ommelter nulla, e di procedere con ordine. 660. Allora l’analisi procede con compiacenza; allora ne sorgono le buone nozioni generali, che sono la recapitolazione in compendio dei particolari giudizii rettamente iustituiti. Questo paralello, sebbene verissimo, è ancor troppo compatto per potere ravvisare lutti i rapporti delle nozioni venerali tanto di assunto quanto di risultato nelle provincie tutte dello scibile. Egli basterebbe, se una scienza sola fosse l’ oggetto delle umane cognizioni. Ma essendo molte le scienze, e le uue essendo più vicine, e le altre più remote dalla storia pura dei fatti; le une essendo logicamente anteriori ed autrici, le altre logicamente posteriori e dipendenti; ne viene di necessaria conseguenza, che le nozioni generali di risultato di una o più scienze diventano come elementi integranti delle nozioni generali di puro assunto di altre più complesse e vaste scienze. Allora nasce un nuovo corpo di nozioni, in cui sebbene le parti, prese individualmente, siano conosciute colla dovuta distinzione ; tuttavia il complesso unito producendo nuove idee relative che inchiudono nuovi ed incogniti rapporti. egli è d’uopo sottomettere il corpo stesso ad analisi; e però tali nozioni speciali, nel loro carattere non di risultati d’elementi costituenti, osSia come costituenti un tutto, diventano puri argomenti proposti alla decomposizione intellettuale. 661. Tali sono quasi tutte le scienze pratiche, ma particolarmente le morali. Se si ponga mente tanto all’indole delle nozioni che la scienza susseguente prende, dirò così, ad imprestilo dall’ antecedente, quanto al iT* I ontmc materiale cou cui ri smjècdouo, sembra a prima vista clic il mygìslero sia sintetico. Ma ciò che risulta non si verifica. AOiacLè dù avvenisse conterrebbe che le nozioni generali di risultalo si rivenissero, dirò cesi 3 entro la sola provincia da coi furono estratte, e cui virtualmente i jppn sentano. Vi i allorché esse vengono impiegate coll" unione di altre ad una nuova provincia dello scibile > lungi d’usare Ai una sintesi, altro veramente non si fa che un vero progress©, cioè un lutavo e piè esteso Um.i non Lini Lo di queste medesimo unzioni, quanto anche di altre coli cui si accoppiano por formare il tòma di un altra carpo di scienza piu complessa, djr riveste nuovi caratteri, nuovi rapporti, e che produce una nuova arte ed altri speciali eiTeltL Ad mira dunque dell* astratta gcnerstEiia calta quale sì presentano le nozioni particolari dello scienze successive. che fanno uso dello parti metafisiche d' una scienza anteriore, tali nozioni non Coflitutseono propriamente la vera metafisica dulia scienza posteriore, ma unicamente certe parti singolari, e nulla piu. 9 (ibi. Laonde parlando delle nozioni cldcntrano nel corpo delle scirri* ze pratiche, le quali sono sempre derivanti dai risultati di fatto dello siala ossia delle qualità e delle leggi del le cose tutte, egli devi' sempre avvenne die le loro prime teorie sembrino meta tìsiche, ad onta die rispetti vani tute alla scienza in cui s impiegano non Io siano veramente. Old. Lcco quello die si verifica nelle scienze dì Diritto, e pyrlkoja ralènte in quella del Diritto pub Idi co. Esse lamio uso do ila cognizione dei risultati proprii «lelTaudroiogia, e delle relazioni fisico-morali degli uomini:; ma nello stesso tempo si occupano a determinare un sistema sii azioni particolari, di cui esse costituiscono un corpo dì scienza separato, e die si fonda sulla pura osservazione, dirò così, storica ed immediata dai fenomeni fisici, morali e misti, che nascono m\Y ordine di fatto dèli universo. Così affinchè le sue prime nozioni fossero meli fisiche per I&h cou‘ verrebbe ch'esse esprimessero almeno in generale il sistema risultante dalla c Olisi de raziono dogli uomini in società, avuto riguardo al fine eli essi debbono conseguire. Ma nulla di lutto questo avviene, uò può avvenire, se non che nella ricomposizione progettata, 064. Non si può, è vero, negare che un vero premesso generale di risultato particolare d’analisi non avvenga ned dall dì fatto eh7 entrano nulla scienza dd Diritto pubblico, ma ciò non viene praticato pel caialtere essenzialmente costitutivo della scienza medesima, ma solamente sopra di un ordine parziale d’ idee del di lei soggetto. Il di lei carattere esse oziale u costitutivo è propriamente finale e precettivo, perdi è il caratLi-rr proprio e spedale delle di lei teorie è quello di addurre luì sistema di foli ^ di azioni 0 di effetti più 0 meno subordinati al bue generale, u quindi dedurne delle regole per l'arte fisico- morale di far gli uomini felici, 0 mono infelici che si può, mercé Y azione pubblica delle società e dei privali, L'ordine adunque graduato dei fai Li dal generale a! parti coh^e 5 quale fu esposto, è una concomitanza necessaria bensì, ma che non viola T Indole delf analisi che et impiega per le competenze proprie della scienza medesima. Periodi è le viste generali proprie delle scienze proposte, prima dei dettagli analitici, sono nozioni di pura proposta, ossia di assunto, le quali è d'uopo analizzare, e quindi ricomporre, per rilevare di effetti in senso unito, GG5. Per le scienze pratiche quindi abbiamo un punto normale generale ben provato, dì cui non rimano che una felice applicazione. Quella pertanto che appellasi sintesi presuppone tre altre operazioni : 1d la preliminare veduta generale e provvisoria dell’ oggetto: %° la di lui analisi; 3.° \ risul Lati, ossi ano i principi i generali. Da questi poi si procede all' applicacene, ed il metodo onde farlo costituisce appunto la sìntesi. iSoa e dunque no di sintesi, uè di prmeipii sintetici, di cui io fa uso iu questo piano, e di cui intendo prevalermi nell* esporre effettivamente i fondamenti dell'Opera: alfopposto io mi prefiggo di far uso dai soli fatti reali e delle cose ben provate, senza ulteriori raggiri Qui poi altro non f0 Gbe preparare il campo alle meditazioni, e dare la ragione degli oggetti che io (ras colgo Lauto per formare il corpo del soggetto, quanto per preparare i dati die servano di fondamento. Ma ciò basti per quest' oggetto. Iti tori damo in sentiero* 5. bbO.. Dopo la notizia dei fatti, e dopo le ricerche sulla certezza della V fri la loro, sia intrinseca, sia estrinseca, e prescindendo per ora da ogni s pi : c i Gcazi 0 n e sull a qual i là de i fatti m e desimi, q uà I al Lro ogge Ito d ’ un a p.iL'l influenza universale e della s Le ssa categoria dobbiamo noi scegliere, il quale si possa veramente dive clic appartenga ed anzi che faccia parte dello stato naturale dell' uomo collo scibile intiero, e che, giusta Le condizioni sovra proposte, debba entrare uelf Opera preliminare dei fondarne ni 1 ? In conseguenza della cognizione dei fatti, come si è già osservato, in ugni scienza si formano le deduzioni, ossia il ragionamento^ mercè il quale appunto si fabbrica la scienza medesima. L’oggetto del ragionameli Lo è la verità. Questa è appunto quella che risulta dai paragoni moltiplica e di vario genero die fa la mente umana fra le idee che da prima no ricevette: questi paragoni, eseguila m una maniera, som miai strano la verità; tessuti in una maniera diversa, producono Y errore. Questa verità*, la quale nasce da tali operazioni del : ! intendimento, appellasi dt riflessione o di deduzione, È Lea chiaro djt' i requisiti di questa, come anche che In può accompa fronre, entrar debbono nella imi Lagone dei fondamenti. Sarà qimtìfi 0pportai*® notar qui un importante risultato di mi caso universale die ne deriverà ; qual e, che l 'evidenza rigorosamente tale può appartenere a tutu li: materie dì riflessione^ comunque complesse, ossia a Lulle le scienze, i cui dati si possano analizzare u paragonare fra loro* 0(jSr Esposto Io scopo, sì fa passaggio al mezzo, cioè al raziocinio j fenomeno della mente umana, il quale fa fede così della di lei estrema piccolezza, come della dì lei meravigliosa industria* Se lo scopo ultimo di lui si ò, come si disse. In cognizione della verità, è chiaro che il di lui tenore consiste appunto nei paragoni evidenti ed accurati, recapitatali poi e ristretti nel più piccolo spazio possibile. Lordi eappunto costituisce lo spirito Ji tutti i metodi possibili utili per F uomo in ogni ramo dello scibile. ClìO. Ma quante cose debbono procedere prima di potere upprczzare, fri usta il suo vero valore ed estensione ^ questo magistero della m etite umana, e prima di assegnarne le natura II ed artificiali leggi di fatto, di potenza e di dovere ì G7ib Misurare ìa forza comprensiva naturale stabile, e non mai aumentabile, dello spirito umano relativamente allo stato reale degli oggetti dello scibile, d'onde nasce appunto h necessità del raziocinio, delle idee generali, dei metodi, e delle troppo voluminose scienze, che sarebbero assai più brevi e più piene dì risultati, se 1T uomo rii gambe cotanto corte non dovesse prima far tanti passi per giungere alle concJiiusiom ; determinare in conseguenza Io leggi dì fatto è di potere di questa forza, per acquistare la cognizione delle coso; indicare ad un tempo stesso i sussidii delle facoltà umane, e delle circostanze che di fatta concorrono o concorrer possono alla più completa e pronta cognizione delle cose: ecco il gran campo che ci si presenta in questa parte dello stato reale naturale della mente umana da percorrere, prima d’ indicare le leggi dì doeere dei ragionamento per servire al progresso dello scienze r dello arti: ài eCco pur anche quello che per altri ridessi ci con vieti prima meditare, onde prepararti in questa parte dei fondamenti quelle basi solide, quelle nozioni direttrici, e quelle connessioni sistematiche 5 senza delle quali r Opera riuscirebbe, a guisa di un accozzamento fortuito distaccali. pezzi, inutile all intento. , Urti ci sarà il’ uopo per iiiLro di molta au Li veggi -ir za v rii sur» tnii economìa, si por non oauueiiei* nulla di quella clic dopo necessario d* aver già preparato, e si ancora per uou lasciarci trasportare a trascorre^ avanti tempo entro il campo proprio ridi Opera clic succedo ai pivliminan. E siccome I soggetti della meditazione cPentrambe le parli ìi anno fra di loro una grandissima affinità; così sarà bene distinguerli, pur avere avanti agli ocelli tuia chiara norma di contegno nella trattazione, Perloeliè, hi cominciando da quelle che concernono la potenza comprensiva dello spirito umano, conviene aver presenti le considerazioni die segno no. * I;"1 ConSider astone. Ewi nell ordio e naturale e reale delle cose un confine, il quale, quand'anche ci figurassimo Y uomo dotato d'una comprensione quanto si vuole più vasLa (03 non sarebbe mai possibile di olire passare, attesoché ripugna alla natura ed ai rappar.li naturali della cognizione, ossia alla nozione die della cognizione noi ci possiamo formare. Per cognizione intendo Y acquisto, il sentimento dell’idea di qualsiasi «‘osa: per comprensione poi intendo la simultanea. cognizione di cui ì: capace la mente umana in un solo alto. Tal è didatti anche la forza del vocabolo comprendere^ che esprime abbracciare tu uno le cose* 673. Da questa prima considerazione nasce l' idea di. una potenza e rispettiva impotenza assoluta comprensiva, propria dell’ ente pensante in genere, e che appellar si potrebbe metafisica. "La potenza abbraccia lutto il campo die sta entro al confine; Y impotenza principia da questo confine, é si estende a tutto l5 infinito. 677, 2,a Corvsinj; inazione. Contemplato fu omo colla quantità di forza comprensiva di cui egli è realmente dotato, ma ad un tempo stesso prescindendo da qualsiasi angustia derivante da esterióri impedimenti, avvi un confine, oltre il quale ei non può estendere la sua comprensione* De1 e imi uà ti tali confini* noi avremo tu Ita l’ampiezza della comprensióni; naturale effettiva dello spirito umano in qualunque possibile sì Inazione, cioè quand’anche V nomo fosse dotato ili maggior numero di sensi, o se anfdm nc fosse spoglialo * e che ciò giovar potesse a spiegare la massima di lui naturale comprensione. Questa d fornisce Y idea d’ una seconda misura di quella potenza o impotenza. Questa ò tutta propria dello spirito umano: in lei reggiamo il max unum effeUivù della sfera a cui si può fi) Quésta Ei adori nè un unite di carmivenati die io usa ài comma modo di penswe, per agevolare, il punto, di vista che ptcfi'énto* Del resta s parlando filosofiti mente, io non so so quella tmatonc si possa Iì^ arare acnnneno possibile, Sfinii violare al tre no al ani e reWJpkni troppo note sull espcro nopiro pensante, il solo a noi veramente cogrillo, e elio servir ci possa di norma in tutte le ipotesi apprezzabili sol tonto a quel lume della ragione che risulta dalle G.p.gtiite c fon* dam cnl ali le^gi di lei. estendere la di lui forza comprensiva in qualunque stato. Quindi la potenza e la rispettiva impotenza, che ne seguono, sono assolute del pari clic le antecedenti, perchè non è possibile, senza cangiare la costituzione naturale dell’ uomo, variarne i limiti. 675. Se per altro il concetto di questa misura è assoluto, e in forza del concetto fdosohco della cosa stessa è veramente tale: pure considerando una tale potenza relativamente alla situazione di fatto del genere umano, calcolando cioè tanto il complesso delle umane facoltà, quanto le condizioni alle quali in realtà l’esercizio loro deve so". 3.a Considerazione. Ponendo questa forza reale accompagnata e determinata da tutto il complesso delle facoltà che costituiscono l’essere umano, ma ad un tempo stesso collocando l’uomo nelle migliori circostanze possibili per la sua completa comprensione delle cose, evvi un confine reale cui lo spirilo umano non può oltrepassare, e vi sono delle condizioni alle quali è forza sottomettersi nell* esercizio della forza comprensiva. Ecco una terza maniera di considerare la potenza o Y impotenza della forza intelligente dell’uomo. 677. Se qui non viene diminuita o aumentata la forza intrinseca dell’ente pensante umano, ne viene però legato l’esercizio a certe determinate condizioni, e sottomesso all’influsso delle determinazioni d’ un essere misto dotato di certi sensi e d’uria certa struttura. 678. Quindi la esposizione di quello che può fare l’uomo in quella considerazione deve essere un risultato derivante in ragion composta del concorso di tutti gli elementi che compongono l’ipotesi, ossia di tutte le condizioni che costituiscono l’essere reale umano collocato per altro nelle migliori possibili circostanze. 679. Questa per altro meno astratta e più prossima considerazione non si può riguardare ancora come esprimente il fatto universale delle nazioni. Dallo stato in cui si considera qui l’uomo, allo stato reale in cui egli fu, è e sarà su questo globo, vi passa tanta distanza e differenza, quanta si può figurare che ne passi dalla situazione del più grand’uomo di genio, preso nelle ore della sua meditazione occupato intorno ad un soggetto, i cui dati ei conosca perfettamente, e che di più sia nel piu bel fiore degli anni (vale a dire di cervello il meglio temperato possibile, e che abbia tutti i soccorsi possibili, e ne approfitti il meglio che sia possibile), alla situazione comune della vita umana nelle società. Cioè alla situazione degli ingegni ordinarli collocali nelle circostanze comuni. Riguardando finalmente quella forza comprensiva dello spirito umano, collocata e modificata come realmente e di fatto sta nelle diverse nazioni della terra, senza per altro discendere ai minuti dettagli storici 5 ma solamente contemplandole nei passaggi che subir debbono e dovettero, o rispettivamente dovranno fino alla scoperta del buon metodo; e proposto e scoperto l’oggetto dello scibile, e computando in questa considerazione lo stato di una società incivilita, ed i bisogni, le vicende, i soccorsi e le relazioni indispensabili, sia fisiche, sia morali, che costantemente l’ accompagnano ; valutato specialmente il diverso ipotetico temperamento ed eccitamento mentale (0; evvi pur anche un confine reale, o, a dir meglio, una legge imperiosa ed indeclinabile, alla quale questa forza, qualunque siasi, è d’uopo che si sottoponga, e proceda in consonanza nei progressi delle scienze e delle arti. Ecco una quarta maniera di considerare la forza comprensiva dell’ uomo, per determinare quindi quello ch’egli può o non può fare rapporto allo scibile. Questa considerazione è veramente più concreta della precedente, ed anzi la rinchiude in s è tutta, coll’aggiunta di altre condizioni più vicine all’uso pratico. Ed anzi se tutti gli elementi di questa considerazione verranno scelti a dovere, e tutti compresi nel di lei tenore, ardisco dire essere essa appunto quella che potrà servire di norma onde valutare la forza intellettuale delle nazioni e del genio, e suggerir potrà in conseguenza quello che conviene provvedere. G81. In tutta questa serie di considerazioni, se poniamo mente a questa forza comprensiva, noi rileviamo che il concetto di essa dal più semplice punto di vista passa successivamente al più composto, ed a guisa (piasi della cima d’una piramide, discendendo dal più astratto e generale al più speciale e complesso, va via via aumentando di volume; talché i risultati debbono riuscire in proporzione vieppiù complessi. Diffatti nella prima considerazione abbiamo sottocchio la forza intelligente, senza che vi sia mescolata circostanza alcuna imaginabile, avendole levato persino ogni limile che ne possa determinare la quantità. In questo punto di vista i caratteri di lei sono universalissimi; e tali caratteri si possono estendere (i) Sotto di questa denominazione, cd in questo caso in cui si contemplano i fondamenti del raziocinio, io non comprendo se non le condizioni della aie/noria, cioè una memoria piò o meno fedele, più o meno rapida, più o meno vivace; a cui appartiene anche l’ magi nazione, la quale per lo spi rilo umano è la miglior serva e la peggiore padrona. Nel progresso di questo Piano si sentirà la decisiva influenza di questo temperamento per r invenzione, e si potrà arguire quanto la natura debba contribuire per formare T uomo di genio.ad t>"Eii imaginabjle intelligenza; ma è pur anche varco, che in questa elevatissima categoria ella c spogliata di tutti quei caratteri reali, coi quali ella esiste In natura, per non riteucre che quella salo cl/è indispensabile, e senza del quale sarebbe distrutta ogni dì lei idea. Onde sì può dire che ella, a proporzione che acquista di estensione estrinseca, perde altrettanto di realità intrinseca, G82. Nella seconda considerazione poi ella viene vestita de1 suoi limiti naturali, od acquista cosi un grado di approssimazione allo stato suo naturale: ma ad mi tempo stesso perdo' il carattere superiore di universalità suprema c li 1 essa iti quel grado aveva, ossia il di lei carattere non può convenire ad ogni genere d* intelligenza, G83, VI fu terza e nella quarta accade lo stesso iti proporzione; ij divenendo intrinsecamente più complessa, ili pari passo cessa d'essere più generale, 084, Ju fi ite nr Ila prima considerazione la forza comprensiva umana viene figurata come quelle ili im Dio; nella seconda come quella di pii angelo; nella terza come quella di un uomo perfettissimo ed eruditissimo-; nella quarta finalmente come suole realmente esistere nelle diverse popolazioni della terra, 085. Ora venendo al nostro proposito, dico die le tre prime maniere dì raffigurare la forza comprensiva dell’uomo appartengono appunto a questa parte preliminare dei fondamenti; la quarta appartiene alle parli interiori dell' Opera progettala* 68 G. Parlando poi delle leggi di fatto e di dovere, che anticipatameli te si possono e debbono esporre . io fò osservare quanto segue* Per quale ragione premetto queste considerazioni? Certamente per potere dappoi con chiarezza, con certezza, e con Luna estensione spiegare, dimostrare e determinare quello che far debbono e possono gli uomini pei progressi delle scienze e delle arti, dopo dì aver fatta la storia di fatto dello sviluppo dell’ umana perfettibilità, ed assegnata la cagione dei fenomeni che nello svolgimento di lei sì presentano all'&sservataEC. Giù pósto, sarebbe cosa inutile, anzi stravagante, 1* imaginare fatti puramente ipotetici che non abbiano una vera influenza su quello che in progresso si dovrà meditare. Dunque se può essere cosa interessante il rilevare i limiti della potenza o impotenza di questa forza nelle due prime ipotesi, per con chiudere sòlidamente o con maggior ragione i limiti di lei in atto pràtico, uou potrebbe certamente essere del pari interessante il fantasticare in dettaglio sulle operazioni dì tali situazioni, cui d’altronde de tenui cani non potremmo che gratuitamente, per non essere noi mai siati nè Dei, nè angeli. 087. Non può essere adunque conveniente il ragionare di quello che fa o far deve l’uomo se non nella terza ipotesi, cioè in quella in cui si considera l’uomo reale e naturale nella migliore situazione possibile. Ma il fine per cui anticipatamente ci occupiamo in questo esame qual è ? 1. ° Per dare la ragione dei fenomeni reali naturali della perfettibilità umana in atto pratico, ossia per poter trovare le leggi di fatto del costume delle nazioni nell’ avvezzarsi nella carriera dello scibile, e dimostrare che tal legge è vera, naturale, indeclinabile. 2. ° Per potere indicare la conformità o le aberrazioni della mente umana dalle traccie del vero, e cosi avere come una modula di paragone, onde valutare il metodo naturale della mente umana abbandonata, diro così, al destino delle cose. 3. ° Per potere dappoi dire in concreto quello che le nazioni far debbono e possono per giungere nella maniera più breve, più facile, più certa e più fruttifera allo scopo inteso delle scienze e delle arti. G88. Ciò stante, è chiaro che in questo trattato preliminare dei fondamenti io debbo identificare quello che può far l’uomo sulla terra, ipotesi la più perfetta, con quello che far deve nel ragionamento, per avere un punto di vista che serva a questi fini consecutivi. G89. Ma qui nasce un dubbio. Come dunque si distingue quello che far debbono le nazioni, di cui trattar si deve qui in progresso, da quello che far deve l’uomo nella situazione assunta in questi preliminari, a fine di ottenere la cognizione della verità? Se il metodo che si assegna è il solo ottimo, se tutto è fondato sui rapporti reali dell’uomo, se la verità è invariabile, se deve servir quindi d’unico modello aH’uomo in ogni stato; cosa rimarrà più oltre a dire su questo proposito ? G90. Prima di tutto io rispondo: che rimarrebbe sempre ad esporre quello che far deve l’uomo in tutti i rami principali dello scibile, di cui mi sono prefisso ragionare; sebbene anche in quelli non rimanga che l’applicazione del metodo universale. Ma siccome quest’ applicazione deve per ciò stesso abbracciare degli oggetti più concreti ancora, così anche il metodo diviene più complesso, quantunque abbia in sè stesso un’invariabile conformità alla massima generale, che serve come di bussola nelP immenso oceano delle scienze. G91. In secondo luogo, prendendo anche lo scibile iu massa, cioè sotto di un unico concetto generale, tuttavia passando alla considerazione del cenere umano, come sta esposto nella quarta considerazione, non Tom. T. i ri vm) k a ri i n \ no m i„v operi pub ^ "l'-rxlo risili m ut.' utili rapporti de Un sia in più somplhe antecedente Minio bastare por far produrre dio ii azioni -1 ' iuoi'cmuiili desiderali «elle scienze e nelle ari t. Rimane auc nmoliti a fare per citeriore Ymt f 1 j to+ Ora questo, n rimati, r mi* rigirinola ili piu rii spirilo che finir* hoiio fare. Orni è, dir siddinm il metodo siti lo slesso iu entrambe le situazioni. vate a dire eb egli io luti il la sua strati lira soffrir ami debba imitazione alcuna nel passane all’alto pratico; La Ita via non è da se solo capace, quando ria anelili atto a produrre 1* intento voluto, e perù vi occorrono altri sussidi) ohe deh ho no essere impiegali. Per conseguenza ne viene, cric quel lo die realmente far debbono le nazioni per ^avanzameli’ lo dette scienze e delle arti consiste udì’ unione di questo metodo cori unii gH altri sussidi i a quel to relativi* Queste complesso costituisce lui corpo ili scienza pratica, ossia maglio di arte, die io chiamerei Legista"ione ossia Politica scienUJièjji. lauto por l’ in v dizione . quanto peri' istruzione nelle scienze e orile arti. G92. Ecco la grandissima differenza che passa fra quello die bir tlcbbono gli uomini, nella, considerazione astratta propria di questa parie dei fondarne ri li, e quello die veramente debbono fare lo nazioni nelle sthi azioni complesse iu cui si trovano nell’ universo. GtKb Qudlo che viene esposto nella detta parie preliminari sn questo punto (che per altro non ò die un ramo sdo dì lei) abbracciar deve il meglio, e quello ancora die manca d’ importante, e direi quasi di capitale, ai piti celebri Trattati di Logica, alle arti di pensare, agli organi delle scienze, die dai filosofi fino al di d’oggi ci sono stati fomiti. Diftalli in essi si contempla l’uomo iu altra forma, o almeno non si assumono altri efementL ebe quelli die convengono all* nomo ipotetico, clic «db i rza considerazione abbiamo rappreseti tato, E perù con do veniamo avvertiti. die comunque eccellen ti possano essere i loro precetti, manchiamo perù tuttavia di quei s^ggerimenlL ossia di qnd corpo complesso c ben dedotto di metodo e di leggi, die più largamente e più da vv lcuio e cou vera efficacia contribuir deve all’ incremento dello scienze fi delle arte 5 G9i. Q indio poi dio esporre si deve nella terza parte interiore del* lT Opera racchiuder deve tutto il complesso del metodo dei banda menili, senza ripeterlo; e solo riassumendo i risultati finali antecederli** die a vicenda servir debbono di altrettali fi principìi per avanzare più (dire, aggiunger dov cassi tutta la collezione dei sussidii c dei mezzi die s mas praticamente indispensabili alle nazioni por effettuare i progressi intesi. Quesii sussidii non debbono essere ìmaginati a forma di progetti jpo&Sibili, m a bensì debbono essere dedotti dall’intima cognizione delle nren m\fKfrmiLlTA\ i 55 i stanze reali iti cui furono, in cui sono, e ut cui potranno o dovranno scmprfe essere le nazioni 'Iella terra* 695. Ciò tutto schiarilo, tanto per propormi una norma certa, in cui le lince di demarcazione vengano fortemente eoo (rassegnate e le parli esattamente subordinate, cju auto audio per far comprendere il segreto magistero dello stesso lavoro, e darne come il tipo, si vede ormai fino a ijual punto possa essere nei preliminari in u oli rata la trattazione sul ra~ gionamento* e quali oggetti possano esservi più specialmente compresi. In tre SENSI – Grice: “Do not multiply them!” -- diversi si suole comunemente assumere la parola morale e moralità* Noi primo sì vuole denotare la capacità in genere di conformare io proprie azioni interessanti sé stesso e gli altri ad una redola preconosciuta. Da questa capacità viene costituita quella che appellasi libertà mora le, dia li n La dalla mera spontaneità; perocché una volontà illuminata da una norma preconosciuta ed Interessante, ed una forza esecutiva esènte da ostacoli, pud sottrarsi dalla direzione dei ciechi appetiti, ed uniformarsi alla norma preconosciuta. In questo senso la moralità forma il fondarne alo della cosi detta imputazione morale ^ in vista delia quale sì ascrive a merito o a demerito un’azione onesta o colposa, doverosa o criminosa* ti €97, Nel secondo senso la parola morale si assume come attributo degli atti umani; e come dicesi bella o brutta una cosa* dlcesi morule o non morale nn atto. Qui si veriGcano due concedi: il primo è quello di essere conforme o non conferme ad una data norma: e il fiction do di essere o no praticato io una maniera imputabile. Quando è imputabile, Fazione forma un allo così detto Umano ^ ucl scuso del moralisti, sia flloscdi, sia teologi. 698. Il terzo senso usi tato della parola mortile si è quello di regoAi. ossìa di norma delle, azioni interessanti sia sé stesso, sìa gli altri. Cosi dìcesi, per esemplo, h morale pU$ffirìca$ la stoica* la peripatetica, per significare le dottrine direttive dei costumi secondo gl* insegnarli culi di queste tre scuole: cosi puro dieesì la morale eva ngelica, la mìmsultnanica 5 ec. 5 In tu Ltì . jnesli sensi però con viene por melile aIPo££efto unì* u e proprio sempre su! Li u le so 0 sempre con Lem pia Lo» Questo sì à quello ( he viene denominalo il costume ossia i costumi} chiamati In latino maresi CL1 condannati dalla buona Morale, c vengono dal senso comune qualificali come immorali. 702* Poste queste considerazioni, che cosa ne segue? Cbe in ultima analisi il concetto di moralità e à* immoralità viene atteggiato dalla conformità o deformila dì uu alto coir ordine voluto e dettato da una norma direttrice degli alti liberi ed interessanti;. talché non basta che il motivo ne sia plausibile, rna si esige che lotto eseguilo sia regolale* (j 7 (Kb Affinchè però questi ruotivi lodevoli non sicno traviati, ed aiti nolo1 le passioni non sic no cieche, si esige clic la volontà sia illuminala,; mediante l’intelletto venga sospinta giusta le direzioni dell ordine normale di ragione. Con questo mézzo sì opera anticipatamente sulla sor^"'[ilc delle azioni morali; con questo mezzo si opera sulle cause stesse de* costumi, li! siccome per far ciò si esìge la cognizione dell’ agire umano dedotta dalle sue cagioni, così si esìge quella che diccsi morale jdosojica. Conoscere le cose per via delle loro cagioni assegnabili costituisce ciò che appellasi filosofia: assegnare e suggerire i motori c le direzioni ibi tu opere in conseguenza delle leggi naturati di questi motori costituisce h filosofia pratica. Volendo quindi dirigere la volontà umana giusta nua data norma, conyien parlare alla ragione, e mostrare e far sonine i mutivi impellenti di questa norma. 5 704. Quale dunque sarà 1* ufficio dalla morale filosofia ? = Parla re alla coscienza di un uomo ragionevole; mostrandogli le norme drl ben vivere, deLEate non dall’ arbitrio : ma dalle necessita interessanti, indotte dall’ ordiue: naturale delle cose. = liceo 1 ufficio pròprio, essenziale e caratteristico della morale filosofia. Con questa cnimziazioiie generale la morale filoso Ila non paro distìnguersi dalla scienza del diritto : ma piu accuvalametile considerando fi? coso, si trovano rimili tratti che diversificano l’ima dall’alt m dottrina, Prima di lutto nella scienza th 1 diritto no u si assumono clic gli ulti i quali md commendo degli ugnimi possono toccare gli scambievoli interessi: e però col diritto si regolano solamente le azioni verso gli altri uomini. Nella filosofia morale, per lo contrario, si contempla 1’uomo in tulle le posizioni, in tutte le relazioni; di modo die a lui si mostra come fin anche nel governo del suo pensiero egli proceder debba onde godere tranquillità e soddisfazione. 705. Iu secondo luogo nella dottrina dei diritti e dei doveri reciproci conviene attenersi alla venta estrinseca, e talvolta comandare cose che la Morale trova indifferenti: e viceversa lasciarne libere alcune die la Morale disapprova, ed abbandonarle al sindacato dell’opinione ed alle sanzioni della convivenza. La sicurezza sociale da una parte, e il rispetto alla padronanza naturale di ognuno dall’altra, obbligano a scegliere partiti ne quali al minimo d inconvenienti sia accoppiato il massimo de’ vantaggi del tutto. Nella morale filosòfica per lo contrario, se pensale ai limiti, voi vedete che, dopo aver accolto lutto quello che la giustizia sociale comanda, si sorpassano i gretti confini del diritto, e si tratta delle virtù e dei vizii, del merito e del demerito, delle buone e delle ree intenzioni, delle sane e delle nocive opinioni. Se poi pensate al fondo, voi vi accorgerete di non ragionare sullo stato esternamente dimostrabile delle cose, ma sopra 1 essere ed il fare loro intrinseco: e sopra tutto di considerare gl interni motivi degli umani voleri, dei buoni o tristi effetti dentanti realmente dalle umane azioni. Finalmente nel Diritto si tratta di afforzare la colleganza: nella Morale di santificare P umanità. Si nel1 esempio del diritto che in quello della morale personale agiscono gli stessi motori: ma nel Diritto essi piegano alla necessità della convivenza ed alla forza dei tempi. Per lo contrario nella Morale essi dominano colla convinzione della loro intrinseca bontà, e si giunge al seguo di mostrare Puomo innalzato e potentemente agitato da emozioni scevre da mire cosi dette interessate . Questo trionfo della ragione, questa elevazione delJ umana natura, per la quale Puomo si emancipa in certa guisa dai ceppi dell’autorità terrena per sovranamente dettare, a sé stesso le leggi de’ suoi voleri: questa elevazione sopra la sfera del mondo fortunoso, per cui Puomo si accosta al carattere della Divinità, non sarebbe possibile, se la natura non avesse dotato l’uomo di certe tendenze della mente e del cuore : peiocchè la specie umana non può operare verun bene stabile o abituale, se Dio non è con lei. Come l’arte di ben pensare altro non è che la logica naturale perfezionata, così Parte di ben vivere non è che la morale naturale (. sovranaturalmente ) perfezionata. E siccome Parte di ben pensare pare esercitarsi nei meditati pensieri, e nel rimanente supplisce Pabiluale buon senso; così Parte di ben volere pare esercitarsi nelle meditale azioui? e nel rimanente supplisce un senso morale comune. Diciamo di più: quando si giunge ad abituare la mente ed il cuore a ben pensare e a ben sentire, sembra essersi ottenuto il miglior frutto della educazione. 706. Ma benché una buona coscienza sia il più bel dono del Cielo, ciò non ostante rimane esposta a traviamenti, quando non sia soccorsa dalla ragione. Decipimur specie recti . Altri uomini poi esistono, pei quali una buona azione diviene un affare di calcolo. È dunque necessario che la ragione si armi di possenti motivi, onde dirigere tutti coloro che travierebbero, se mancassero di lumi ossia di motivi illuminati. J litio considerato, l’ufficio dell’Etica consiste più nel dissipare 1 ignoranza e nel rattenere l’intemperanza, che nell’eccitare ai doveri ed alla virtù. Or ecco la necessità della morale filosofia, nella quale si distinguono due grandi parli, la prima delle quali versa sull’ ordine normale del libero arbitrio individuale, e la seconda nell’ istruire la mente sulla necessità di mezzo di quest’ordine. La cognizione di quest’ordine non si vuole solamente a modo di autorità o di morale istinto, ma a modo di dimostrazione, come la cognizione delle teorie fisiche e meccaniche. L attributo di filosofica imporla la cognizione delle cose per via delle loro cagioni assegnabili. Queste cagioni assegnabili non sono che effetti ossia leggi più note e generali, assegnate come tanti perchè di altri effetti o leggi meno note e particolari; perocché le cagioni prime e propriamente tali non sono da noi assegnabili. Nella filosofia de5 costumi queste cause assegnabili sono i così detti molivi, i quali nelle azioni libere eccitano la volontà. La cognizione dei vantaggi procacciati dall’osservanza dell’ordine non sarebbe sufficiente, se non si aggiungesse anche quella de’ guai che vanno annessi alla di lui violazione. Socrate, che, al dir di Cicerone, trasse la dottrina morale dal Cielo, fu sollecito nell’ insegnare che i mali seguono l’infrazione dell’ordine, come l’ombra segue il corpo. Senza la doppia sanzione dei beni e dei mali, la giustizia diventa una speculativa norma destituita d’ogui forza motrice dei cuori umani. La sapienza del dolore forma la precipua salvaguardia della Morale. 707. Benché la morale filosofia non sia scienza contemplativa, ma bensì operativa; benché insegni ad essere operatori e non meri contemplatori; ciò non ostante essa si occupa nel conoscere, per operare secondo l’ordine necessario dei beni e dei mali. In essa si vuole beu conoscere. attesoché conoscere il vero egli è lo stesso checonoscere il reale; e quindi possedere il vero é lo stesso che possedere il modo di far servire le forze reali delle cose, e. a dir meglio, di prevalersi dell’ordine ei-fettivo. Per questo mezzo 1 uomo diventa veramente possente. Così la sapienza diviene per 1 uomo madre della possanza, e l una e l’altra autrici del godimento. Questa parte della scienza forma il fondamento della teorica della morale fdosofia. Ma questo stesso fondamento della teorica riposar deve sopra un principio operativo di fatto e di ragione, il quale predomina tutta quanta la dotlriua. Questo principio operativo consiste nella cognizione della forza motrice perpetua ed universale che interviene in tulle le umane azioni, e delle leggi, per noi irrefragabili, colle quali questa lorza suole operare. Come importa conoscere e dimostrare le leggi naturali delle acque, per dirigerle con utilità e divertirne i danni: così importa conoscere le leggi naturali dei libero arbitrio, onde dirigere gli alti umani a procacciare i beni e ad allontanare i mali. La tendenza assoluta ad uno stato felice, e l’avversione ad uno stato infelice, è un fatto d’immediata coscienza, del quale è impossibile dubitare. Questa tendenza viene assunta come principio certo, operativo, assoluto, dal quale dipende tutta la certezza, tutto il valore, tutta l’efficacia della morale filosofia. Senza di esso la dottrina riesce o illusoria o assurda. T08. Ma questa cognizione non basta; si esige eziandio la cogni¬ zione dei mezzi possibili di agire di questa forza. Dal desiderio di guarire non viene suggerita la medicina opportuna. La tendenza suddetta è dunque principio, ma non direzione, nè caratteristica della scienza. Col1 amore del bene si compiscono ogni sorta di azioni anche estrinseche alla scienza del giusto e dell’onesto. Non è dunque l’amor del bene principio direttivo, ma semplicemente impulsivo. S’ egli è finale, egli però non suggerisce la via. Non qualifica dunque la scienza, ma solamente la spinge e la rinforza. IL Opinioni disparate sui fondamenti. 709. Dopo una lunga serie di secoli, durante i quali gli uomini e le genti insegnarono precetti c leggi dettate da incognite ispirazioni del senso morale, accolte ed applaudite dalla coscienza comune, finalmente domandarono il perchè tali precetti e tali leggi obbligar dovessero gli uomini. Allora il consenso, comunque rispettabile, ai proverbii, alle massime ed ai precetti di Morale, fu sottoposto a sindacato, come qualunque altro ramo dell’umano sapere; e prima di tutto fu domandalo, se tutto l’edificio della morale avesse basi certe e dimostrabili, talché 1* uomo si dovesse realmente tener obbligato a seguire certe vie, e a lasciarne certe altro. Allora le dottrine morali dal dominio del cuore passarono sotto quello dell midi elio* o, a lIi l* mèglio, al dominio del scuso morale comune si volle aggiungessero quello della ragione dimostrativa, onde comunicare al rispettivi dettami la certezza, la probabili I à 0 il dubbio che meritavano. Allora fu che si disputò sulla natura del libero arbitrio; allora si propose li problema del come il giusto e 1 utile si associano o si escludono; allora sì parlò delle azioni interessale e delle disinteressate; allora fu imitato della concordi a e del conili Ito fra la morale sociale e la individuale: allora si disputò delle sanzioni naturali e delle soprannaturali; in breve* le questioni sugli articoli fon da mentali della Morale furono posto in discussione. L'esame di questi articoli, come ognun vene, ioima uno studio preparatorio e preliminare alla teorica stessa della morale filosofia, come nella costruzione di un edificio raccertarsi della solidità del terreno preceder deve li gettare dei fondamenti, 7 IO, La necessità di questo studio lui sentita lino dalla più alla antichità, come si può vedere, fra gli altri libri, in quelli di Cicerone, ma runico risultato che se ne ottenne fu, essere necessario di accertarsi ferma mente dei fondamenti logici deli7 Elica, L Etica sta al volere, come la [logica sta al ragionare. La logica fu detta arte di ben ragionare:, cosi l Etica dire si può l'arte di ben volere. E siccome la logica Irne la sua solidità ed il suo valore da unii scienza anteriore che ci assicura della verità degli umani gìudizii; cosi ridica trac la sua solidità e il suo valore da una scienza anteriore della norma obbligatoria degli umani voleri. Come dunque esiste mia proto lo già logica, così pure esiste una proto logia etica. In questa appunto si tratta degli articoli fondameli tali sovra annoverati, sui quali gli scrittori non sono fra toro d’accordo! e però la filosofìa morale non è ancora riconosciuta come vera scienza, ossia dottrina dimostrata con logico rigore, ^ 71 b Queste dissensioni per altro presso gli Europei non influirono sensibilmente sul regime pratico delle genti, sì perchè i disputami riconoscevano che utdia vita pratica conveniva obbedire al senso morale c comune, e si perche per buona sorte bau tonta delle leggi, della religione e dell'opinione comandavano i buoni costumi ed i buoni esempli. Linai ai popoli se dovessero essere ballottali a grado delle scuole diverse! La differenza de’ costumi non armò gli uomini gli unì Cóntro gli altri, come fece la differenza de' culli. Se fu forza respingere ltinvasioni, se si dovettero reprimere i facinorosi, la diversità delle opinioni morali non eerìtò quel fanatismo e quelle persecuzioni clic informarono le diverse setto religiose. La movale pratica rimase sempre fórma, r le dìspute dei filosofi furono rilegale nelle aule accatendehe 0 nd licL Necessità di richiamare il j cassato. i 1 2, Siccome però importa clic le grandi convinzioni penosamente raccolte da una lunga tradizione fra le genti incivilite, non aleno dimenticate. specialmente ìli mezzo alla maggior complicazione e le divisioni degli interessi di uu alta civili a* cosi giova richiamare alla memoria la parte più solida di quella Morale, la quale infiltrata nelle leggi ? nella religione e nelle massime volgari, ci richiama la sapienza de* nostri antenati, IFnrp e c nocivo si è il non usare della miglioro ere ili là de' nostri maggiori: questa trascuratila siccome equivale ad una ripudiazlone * cosi ridonda a nostra vergogna ed a nostro danno. E quand'anche dall' antica sapienza non si potesse a ili nostri ritrarre dogmi pratici proporzionali allo stato nostro attuale, ciò nonostante Io studio delle scuole antiche farebbe fede come a boi hello si fosse proceduto nella dottrina de’costumi Meditando lo spirito e l'andamento delle antiche scuole, non solamente ci vien fatta palese la cagione delle apparenti discrepanze delle medesime, le quali pur troppo sussistono tuttavia fra le moderne: ma ci si rivela eziandio un altissimo punto dì vista, il quale domina tutta F economìa degli agenti morali, e dimostra la possibilità di elevare l'uomo intcriore più amalo dal Cielo ad una specie di sereno e tranquillo Olimpo, dal quale si ravvisano sotto i piedi [e nubi e le tempeste domin atrici nella bassa sfera, entro la quale si avvolge una moltitudine bisognosa di direzionee nella quale d'altronde la fantasia robusta e non disseccata può sospingere a gagliarde ed nidi imprese. Col In morte filosofica del Pitagorico s'iucommcjava h vita del sapiente non ascetico, unii (spruzzatore degli interessi materiali, non trascurante II bene de* suoi crm cittadini e delFnmamt^ ma del sapiente convivente e dirigente questi materiali Interessi senza essere schiavo de medesimi, e che si vale dell' opinione volgare p^r condurre i suoi simili a convìvere con industria, con dignità e con cordialità, la scuoia stoica sì può ;t buon diritto riguardare come uu ramo della pitagorica t e i dogmi stoici professati dai sapienti di Roma, fanno formato ['eccellenza dei loro responsi . INI ori panni che questa opinione si possa sospettare come dettata da boria nazionale, perchè emerge da prove positive di fatto già conosciute. Se i moderni, i quali si sano occupati cotanto di chimica psicologica, si fossero egualmente occupati a considerare le scuole antiche non da! solo canto delle loro esterne divise, ma eziandio dal cauto del loro spirito e dell' occulta loro filiazione e del loro elicilo, forse avrebbero prevenuto sia un umiliante sensualismo, sìa un desolante astenici sm o5 sia una tra scen dentai e nullità, sia ni d esecranda versatilità nella parte pratica della Morale, Se dunque lodevoli furono lo loro mire nell accertarsi del fondamenti, fu dall1 altra parie biasimevole la loro trasc u ralezza a non tener vive le buone tradizioni» Perchè calare il sipario sul passato, e dilaniare fallendone degli spettatori su di una polemica in» considerala, nella quale da una parte vedasi il divorzio fra gl’ interessi materiali e gf interessi morali, e dall* altra una guerra fra gY individuali ed i sociali: da una parte le affezioni generose sacrificate ad un egoismo dissolvente 5 dall* altra fissale norme senza impulso: e: così discorrendo? Io li oli sono per condannare le discussioni e le controversie; ma dico che era un dovere degli scrittori di non lasciar cadere in dimenticanza quel meglio che nell1 antica filosofìa contribuisce ad elevare ad una sfera, dirò così, celestiale d saggio, e renderlo augusto a sè stesso, sia quando diffonde al di fuori le delizie delle virtù, ssa quando Lsla fermo contro Fa v versa fortuna, Fissi tulli dovevano dire ai loro lettori : eccovi le lezioni che la sapienza de5 nostri maggiori ci hanno trasmesse, e die Fesperìenza de' secoli ha confermate. Fino a qui esse hanno per sè 1 autorità de' maestri e F applauso delle buone coscienze. Vero è che a' di nostri sono insorte dispute sol loro logico valore: ma questa è una lite pendente e non finita, Frattanto la presunzione della verità milita pei dettami dell’ autorità e della integra coscienza. Dall'altra parie e voi e noi abbisogniamo di massime prati eh e e di precelli speciali non rivocali in disputarci vi raccomandiamo d' informarvi dei medesimi, di penetrarvi della loro rettitudine, e di riguardare le nostre dispute fonda me u tali come puro spettacolo, o come una lite che aspetta ancora la sua decisione. Con questo contegno gli scrittori moderni avrebbero saviamente proceduto. 7 1 h . Fra Se dispute sugli articoli fondamentali e i dettami dell aulica sapienza sta il tessuto primordiale della morale filosofia propriamente detta, cioè di quello 'Stadio nel quale si vogliono conoscere le cose per via dello loro cagioni assegnabili. Queste cagioni vengono rese manifeste col doppio studio delF ordine necessario dei beni e dei mali, e dell iodolo e leggi naturali di fatto dell* uomo interiore, considerato sì \u senso assoluto, che sotto F impero del tempo e della fortuna. Col primo studio si rivela la cognizione dell' ordine normale necessario onde ottenere il vivere migliore; col secondo sì scuoprono te tendenze del cuore umano, sia propizie, sia contrarie, e le disposizioni indotte dall* impero del tempo in relaziono alla pratica possibile delVordine suddetto. Avvertiamo che qui sS irrita duina scienza operativa: ram meri tiamocì di dover dipendere dati l'ordine di lla natura, della quale formiamo parie. Posto ciò, la vera c completa morale doso 11 a consisterà es se n alai metile nel doppio studio ora divìsalo. 7[fn Dopo un Picoloroini ed un Panila* che scrissero piu distili iai nenie in Italia nel XV J, secolo intorno I Etica, lo SleUlni, nato sulla fine del \\1L secolo, din un nò In Morale suddetta primordiale colla psicologia la più accerta la* Si1 Bacone traccia il metodo della fisica, egli non indirò come trattar si dove la morale* I suoi Serrnonas fulclcs sono pensieri staccali esposti alla ma ni era degli antichi: 1 suoi Cenni psicologici non sono che riproduzioni dulia maniera di vedere I uomo interiore insegnata dagli scolastici della sua età . [topo lo Stelliti] l' Italia ebbe la Diceosina del (ienaveri; ebbe ripetitori e compendiatovi: rnn un lungo letargo succedette, e libri rimarchevoli sulla morale filosofia in balia non comparvero più. Ni : almeno si fosse pensato a volgere nella É avèlla il aliali a la grand-opera dello Stellili!, si avrebbe forse contribuì Lo a risvegli .uè l' industria di altri ingegni* ma uemmen questo venne latto; laicità una vergognosa inGugardaggine oscura al di d’oggi il nome italiano. C\ 7 IO* À line di scusare questa mancanza, taluno dir mi potrebbe : a che vi querelate voi perchè sia stato om messo ogni nuovo tentativo* mciiIre confessate che dura ancora la disputa sopra gli articoli fonda tu midi, Mentre il terreno ci trema salto i piedi, còme sì può fabbricare . A 1 In. servir può l' istruzione» se manca il fondamento della credenza? loiyeliù almeno il dubbio non intacca tutti j singoli dettami, allorché esso si aggira sui fondamenti ? Yoi accusale il bisogno di direzione inni .di. *. J 11 J rollò religione e Còlle leggi non si provvedo forse abbastanza •* La religione e le leggi, io rispondo, sono cose eccellenti ed indispensabili: ma esse amano rii non avere meri servi* ma bi a roano avere quanti più compagni trovar si possano. La religioso eie h -ned sa suonano, ma non dimostrano razionalmente la Maiale. L,m una legge reale effettiva, polente di lotto, la quale domina si la. mente che il cuore. Allora si può dallotdiue dei beni e dei mali ricavale e l-Tt scegliere un ordine normale, nel quale la filosofia del pensiero e qau a della volizione ai può disciplinare collo stessa principio e colla sU,ssj 1jos sauza. All'opposto se si potesse sol dubitare che questa reciproca tu ueit za sta an? illusione, ne seguirebbe che la consistenza logica della may c svanirebbe, per lasciarci in preda ad un desolante pirronismo. Qua Hno poi avrebbero gli ardimenti dei soverchiatovi quando potesseio losin gar$l o sol dubitare di non aver contro di loro la forza onnipotente l o a natura, e Tira presta o tarda del Nume? 723. 11 capo saldo adunque massimo ed unico, al quale sta lacco mandata tutta la dottrina dimostrativa del conoscere e del volere umano, consiste nella dimostrazione della reale esistenza e della reciproca azione delle cose esterne sul me umano, e di questo me sul mondo estenui1-* lo nou mi occuperò in questo Discorso a tessere tale dimostrazione. in mi lusingo di aver già tìata nella prima Parte del mio Discorso Su lift n ì m t e sa mt; e per ò procedo olire V. Necessità di accertare la possibile influenza delle lezioni dell Etica. . \\ secondo punto scientifico assicurativo dell1 Etica consista isp\ formarsi una giusta e distinta idea della potenza interiore dell’uomo sotto il regime dell' ordine reale del mondo da Itti abitato. L'Etica si propone di guidare le azioni col ino ve. re la volontà: ma se questa volontà fosse cosa che sfuggisse sempre dalle mani senza che si potesse mai colpire col discorso, o che fosse trascinata da fatali impulsi che mai vincere io potassi colle mie ragioni, è vero o no che le mie parole sarebbero geliate a! vento? Frustranea allora sarebbe la dottrina, e stolida la pretesa di "miliare la umana volontà con qualunque discorso. Ora se voi figuraste la volontà o trascinala da un ferreo fatalismo . o sempre in dipeli don le dair impero della persuasione, è vero o no che vi mancherebbe la possibilità di rendere progne le lezioni della Morale? Dunque prima di spiare il corso di queste lezioni conviene assicurarci se dalle dimostrazioni e dai precetti avvalorali come quelli dèli' agricoltura posslam riprometterci qualche frutto. La possibilità o impossibilità di far frutto non si pud scoprire, se voi non proviate la pieghevolezza della volontà umana alla impressione dei molivi presentali alla ragione sviluppa La : e però se non conosciate a dovere quale sia la naLnra ossia la legge di catto naturale che distingue la spontaneità dalla libertà. Questa legge venne disegnata dai moralisti col nome di libero abbi trio, sol proprio dell'uomo già reso ragionevole: e che si distingue dall' istinto, ossia dalla spontaneità animale, 725. Duole al filoso lo d’ internarsi nel tenebroso recesso sul quale cotanto In disputato dalle scuole, e su cui in oggi stesso si discorre senza discernimento. 1 legislatori e gli uomini d affari si ridono con ragione di queste controversie, e a dirittura operano sugl' interessi come su qualunque altro oggetto industriale. Ma chiamato il filosofo ad appagare f intelletLo, egli è condannalo a sostenere la lotta tanto delle illusioni di buona fede, quanto dei sciismi di obbliqua intenzione. C> 72f>. L’importanza e l'uso pratico de IL argomento della libertà morale, ossia del libero arbitrio, negli affari civili e di coscienza, a fronte della confusione e dei dispareri delle scuole, e di storte apologie sosteTgrl t99 nule tiri difensori dei delinquenti, obbligano J 'espositore dell3 Etica a siabilire un’ idea chiara e dimostrata sull indoli;' propria del lìbero arbitrio. Dovrà dunque il maestro di Ltiiui prendere le mosse dai daLi certi e conceduti, e progredire a segno ili far sortire ht genuina nozione del libero arbitrio, T2T. V oi accordale, egli dir potrà che in esseri irragionevoli non regna, nè regnar può il libero arbitrio. Ma l'essere fornito di ragione non m verifica solamente col! essere capace a divenir ragionevole, ma bensì col possedere elteuivuineule l'uso della ragione. La libertà dunque morale, ossia il libero arbitrio, non può essere attribuito al bambino, al pazzo, a! rimasto stupido, et:, ec. Ninno diffalti sognò mai di giudicar? costoro imputabili di merito o demerito, uè di dar loro abilità a scacciare le tentazioni degli appetiti. 5 728. Ma d barn buio pensa, vuole e agisce per energia sua intima e personale, e gradatamente giunge al possesso della ragionevolezza, la questo intervallo qual è il carattere che attribuite a suoi voleri ed alle sue azioni ì Quello della spontaneità^ ma non quello della /fiorale liber* tà * L’uso dunque di questa libertà è acquisito come fuso della ragione, e mediante la ragione. Dunque la libertà morale, ossia il libero arbitrio, non è un potere primitivo sostanzialo innato dell'essere senziente, ma un modo di essere dell’umano svilii ppamen Lo. (2!b Posta questa prima qua [ideazione, mi si domanderà come la libertà morale si distingue dalla mera spontaneità . Rispondo colle seguenti osservazioni. Altro è un impulso esterno accompagnato da piacere o da dolore- ed altro è uu motivo di volere^ nel quale interviene razione tutta dell'uomo che usa della ragionevolezza. Altro sono poi in quest uomo ragionante i ino Lo ri di prima azione,, ed altro i motori hi lane ulti e in line prevalenti. Si gli uni che gli altri possono assumere il nome di motivi; ma gli uni operano in uu modo assai diverso dagli altri. A dìi meglio, r uno agisce con modo Leu diverso. L’uomo sensuale agisce da schiavo degli appetiti; Tu omo ragionante, all'opposto, agisce da padrone, io un spiego, rdO. Il nome di motivo., sin animo dì motore*, quale idea esprime. Quella di una forza morale impellente o repellente della volontà. Se figurate l'animo umano come una monade la quale riceve uu dato impulso esterno, voi non potete supporre uu' azione contraria a quest' mi polso : ma se aHoccasione di quel tale impulso sì suscitano altri impulsi interui contrai il. pari o prevalenti, voi prevedete che l’atto sarà rat tenuto, 0 seguirà il contrario. Ora contro disordinati o ciechi appetiti somministrare impulsi coibenti o debellanti è opera della educazione, ossia delle idee acquistate delfieducazione, madre della ragionevolezza. Allora voi vedete 1" intelletto die pondera, la volontà che oscilla finché abbia deliberato: allora vedete lallazione e fiirresolutezza che viene abilmente espressa nei buoni drammi ; allora ingomma vedete l 'esercizio della morale libertà* 5 732* Volete voi sapere come ciò si operi? Rispondo, che ciò si fa col gioco de U’asso eia % torte delle ideo prodotte dall educazione e vali orzate da IT abitudine . Quando voi educate il vostro cavallo e fa una mossa inconveniente, voi adoperate la sferza, e nello stesso tempo gli fate eseguire il da Lo movimento regolare. Co! ripetere alcuna volta queste pratiche che cosa uè nasce? Che l'Idea dell1 in condita movimento si associa all’idea dolorosa della frustata, e però il cavallo si astiene dal ripetere il vietato movimento: la frusta allora sla, dirò così, nel cervello, od agisce per prevenire in futuro il cattivo movimento del cavallo. Questa frusta mentale esercita o no una forza ripulsiva dì questo cattivo movimento? Con quest'ufficio merita o no il nome di malore ossia di motivo? Ciò che dicesi d’uti motivo doloroso è repellente, dir si deve di uno piacevole ed impellente. Or bene, ecco come nell’ uomo ragionevole si possono considerare svegliarsi ben altri motivi distinti, e contrarii a quelli di prima azione, sia dei sensi, sia della fantasia* Quésti debbono essere preparati; r ciò si fa sia colf istruzione, sia eolia riflessione dell’uomo educato. fi 734. Nel cavallo io no 1 posso fare che colla frusta; nell’uomo per lo contrario ciò si fu colf Istruzione, sia comunicala, sìa procacciata da luì si esso: da ciò fi uomo può prevedere ciò che aspettar si deve d alfa zio no proposta. 735, Questa previdenza costituisce fiunmo agente morale; e quando non sia violentalo, lo rende mponsabile del suo operato: dò che dir non potete del fanciullo, del pazzo, dell' insensato, nel quale preparar non potete quest? previdenza e questo corredo di motivi preconosciuti. 736. Voi dunque vedete la diversità fra la spontaneità animale e la morale libertà. Da questa diversità risulta il vero, unico e concepibile concetto del libero arbitrio; da ciò intendete come io, dotato di ragione, sia libero autore degli atti mici, come sono lìbero espositore de’ miei pensieri, Allora voi vedete come io sia Imputabile delle mie azioni, e come le léggi divine ed umane, e la fede storica e la morale sicurezza riposino sulla stessa base, e concordino col senso comune. fi 737. Bastino questi pochi cenni per indicare il tèma della trattano uc su E Ubero arbìtrio, Se la capacità Ut volerti in 1 1 le e imUè coso divèrsa rd anche contrarie suppone necessariamente una facoltà che abbisogna di essere piegata da tic ter mi nate idee interessanti . e se Fammo umano non è un Dio. che abbia il principio e il fine ditlf-agir suo In se stesso: ne consegue che il libero arbitrio sarà un effetto*, e l’agir suo dovrà formar parte del grande movimento dell* universo, al quale l’essere umano appartiene, ed in lui riceve c rimanda le impressioni sue giusta le sue forzo limitate, vi Controversie sul principio direttilo* e quindi .irti merito dclln Morale * Ì 38, Posto I uomo in commercio sostanzi a le col mondo dèlia natura e degli uomini che lo circonda, e conosciuta la legge colla quale le facoltà sue interiori effettuano i di lui liberi voleri . coiivieii passare a vedere il modo col quale agire dovrà al dì fuori la di lui moralità, 1 dii Or eccoci ad nn altro campo di dispute e di sentenze contrastanti 5 tuttavia vigenti sulta regola degli atti liberi degli immi ni e delle genti, e specialmente nei vicendevoli loro uf fieli, * AD. Qui tratta dì sapere qual sia la vera forza e podestà d*dlu forale* considerata come regola degli alti umani: e ciò prima ili esaminarle i dettami particolari. Se tn dimandi alF agricoltore se esìsto mi’artc di coltivare fa terra : se Io ecciti a decidere se quest* arte sia reaie o immaginaria: quale risposta ti puoi tu aspettare? Se poi pii domandassi se tulli ì terreni, in qualunque luogo ed in qualunque clima,, debbano esscn Dal iati alio stesso modo, quale concetto formerebbe di te? Eppure in iaLlo di Morale queste ed altre simili questioni furono e sono trattate sul serio, c i dispareri sono tuttora vigenti a danno immenso della vita CJV'le e politica. 1 Ninno ignora che prima che la Morale fosse trattata come scien za, la quale riposa sui falli a] pari della idraulica e deiragidcoltura, alcuni negarono esìstere un ordine di cose, che viene espuso col nome di nata ridi1 diritto, da cui nasce la relazione del giusto ed ingiusto morale. Essi asserirono essere Lulle queste cose parti dell* opinione imaginati al['opportunità di governare gli uomini. Con questo ateismo morale s’ impugnò un faLLo visibile e palpabile dei l'eco no mfo reale deirnroanUà* e si tentò di annientare il potere della coscienza. S ™2* Altri confondendo doperà deli- urna uà ragione nelFeconomia di fatto dell'universo, e non pensando che all Etica, fattosi l'uomo centro di mi sistema, van tessendo la tela mentale deirade del miglior vivere. Questi ima " in ino no una contraddizione Interna reale ed universale ueir economia stessa di fatto della natura, u però introdussero una specie di numidi sismo morale, il quale suscita acerbe querele contro la naturale provvidenza. 743. Miri finalmente non avvertendo che le leggi morali sono bensì di ragione necessaria, ma di posiziono contingente (non però arbitraria all'uomo^ e che questa posizione è tanto ampia quanto la necessità e I ordine della natura operante sull'uomo nei luoghi e nei tempi, invaginarono certi modelli spolpali, i dilessi bili, uniformi di Morale, ai quali sottoposero h vita privata e pubblica delle genti viventi nel tempo e sotto il vario impero iTuna prepotente fortuna. 744. Da ciò uè seguirono due alternativo del pari disastrose, Fai Lu vali re le assolute e rigide formule stabilite * Ecco la vita umana trattata sul letto di Proc uste. Vuoi tu per lo contrariò dispensarti dalle dette (orinole ? Eccoti gettato ueir arbitrario; eccoti una morale secondo le passioni, ed un diritto secondo la forza. g , Mia perfine che cosa pretèndete voi dalla Morale? Voi mi risponderete di voler adempiuto ti voto dogli uomini, i quali nelle reciproche loro relazioni invocano pace, equità e sicurezza, e nel loro interno tranquillità e contentezza. Ottima risposa, io replico; ma soggiungo nello stesso tempo di non lasciarvi trascinare ad astrazioni ed a raffinamenti che conducono ad un misticismo inconcepibile, o, dirò meglio, ad mi vero con Irose uso. Guardatevi dall attribuire alle frasi vaghe e sfumate di felicità e di sommò bene altro senso, che quello che possono avere in natura; guardatevi diti confondere i canoni di ragione dedotti dall intelletto col procedimento eli fatto della natura medesima, e lo condizioni strumentali dei beni prefissi alla scelta degli uomini (denominate necessità di mezzo ) col regime positivo e prepotente di questa stessa natura. Con questa confusione voi uscireste dal mondo per gettarvi senza posa nel cieco caos dell’ idealismo, onde lottare senza frutto colla servitù o colla licenza. Ma l’amóre della felicità uoa è forse cosa reale, ingenua, permanente, invincibile nell' uomo? lo rispondo che questa tendenza si trova mi singoli atti umani, 1 soli possibili in natura: ma che l’amor separato e generale suddetto nè esiste, nè può esister giammai. L’amore della ieiìciLà non è die conseguente degli atti concreti umani. Desiderare di sentire sempre più aggradcvolmeute e lungamente che si può, ridotto a forinola generale, altro non è che un’ astrazione intellettuale. 14 amore della felicita realmente non è che un desiderio sempre riprodotto j ma non è che desiderio, ossia meglio una serie di singolari desiderii. si tratta del cancella della legge morale di natura. Le cose dette da quel celebre pensatore meritano di essere sottoposte ad. esame, perocché appunto presenta una di quelle conclusioni le quali derivano da molle verità e da molte con fusi oni Ù), (ij L'Autore parla divisameli te itagli erimi Genesi del Diritto n>ri di Bentham e delta confusione d1 idee péft&le. fDG) elle ài trova nel io tuia meliti lIcI ntio sisicrna, Vello studio pieno dell' Etica. . Or eccoci condoni allo studio pieno dell’Elica, lutto il disegno fin qui tracciato non riguarda realmente fuorché la prima Parte, e piuttosto E introduzione, e non la esposizione competente della scienza. Non il corpo della dottrina, ma la radice e le direzioni sole vengono somministrale dalla trattazione generale usi tata fin qui. La cosa coll andar del tempo fu ridotta a tale, che i limiti di questa scienza furouo ristretti a mano a mano ; e troncata la parte tutta della civile sapienza, tutto il campo fu ridotto ad una esposizione più imperativa che dimostrativa dei doveri verso gli altri e verso sè stessi; ed oltracciò fu spolpata di modo, che sotto l’alchimia dialettica di Kant fu mandata in fumo. Quanto poi alle altre scuole nelle quali fu trattata con basi più larghe, essa non soipassò i confini della parte che io riguardo come solamente primordiale e introduttiva della morale filosofica. Il punto di vista, sotto del quale è necessario di trattare la scienza, si è quello che somministra la iagione dell’ordine reale più 0 meno progressivo dell’economia divina risguardan te la natura umana; e però dopo l’ordine normale di ragione discende alle disposizioni degli uomini considerali nel loro vero stalo natuiae, che non fu nè potè essere mai l’insociale. L’uomo individuale interiore si può nell’ordinazione naturale appellare figlio del suo secolo, e le sue opinioni e i suoi costumi riguardar si possono come altrettanti . frutti ^ 1 stagione . Quella graduale dissoluzione dei poteri originali indivi ua ^ gretti e compatti; quella divisione, direm così, delle capacita Peis colla contemporanea fusione nel tutto sociale : quella successiva ia 1 ne dell’eredità intellettuale e morale de’ nostri maggiori a mano a mano aumentata, e insieme purgala e concentrata: quella continuità di fon zioni effettuata negli umani consorzii civili, e per la vita stessa ^s a mente fissala sui lerritorii: quella formazione di grandi Stali sorti ca tribù ignoranti e barbare; quell’ordinamento, in una parola, lento, ie condito, possente, che si appella vita degli Stati, nei quali si ravvisa un conoscere, un volere, ed un potere solidale, e ne sorge una vera mora t persoli filila nula dalla cospirazione dei voleri, dei poteri e dei doveri dui più: è vero o no thè presenta il vero e reale stato dogli uomini e delie ge nti? Qui il volere* il potere e il dovere umano, concepiti in astratto, jù trovano, per dir cosi, talmente trasformati dal processo vitale organico operato in società e per la convivenza m società, clic la filosofiti molale usilata si trova trasportala come iti un mondo nuovo, benché realmente sia li mondo da lei supposto. Nel mondo delle nazioni s’eccitano e dirigono i motori mo-,-nlÌ in una maniera cosi assorbente, così determinata c cosi propria, eli e -lì appetiti, i desiderai personali e le affezioni verso degli altri acquistano o perdono di vigore, pigliano una retta o storia direzione, compiscono un moto ascende nle o retrogrado, o rimangono stazionari!, a norma delle varie circostanze predominanti. I tre motori dei beni, dell'opinione e dell'alito ritù imperante sono o no gli eminenti nella vita sociale delle nazioni? Le sole aspettative incoraggiate o scoraggiate, le opinioni comuni rette o storte non esercitano forse una possente decisiva influenza uni vivere civile? Siene dunque pur veri gli avverti menti normali dei moralisti e dei politici; siano pur sante lo massime proclamate: sarà sempre vero che tali avvertenze e massime riscuoteranno sempre una fredda approvazione ed applausi speculativi, tutte le volte che Tonda degl1 interessi ed 1 fantasmi delT opinione non saranno, almeno all’ ingrosso, concordi con quelli dell1 onda morale. Ora col modo fin qui tenuto nello studiare e nell’esporre le dottrine morali, vie li forse reso manifesto come le suste ed il movimento naturale sociale possono concorrere alT esecuzione deli" ordine normale di ragione? Diciamo di più: apparisce almeno come dev’essere tracciato questa stesso ordine morale sociale di ragione ì SÌ dimostrano forse i conte m pera m culi degl* interessi e dei poteri indispensabili alla socialità, di m odo che la teoria della vita civile si vegga trattata come Tarn male, certamente assai più difficile a stabilirsi? Dall1 altra parte c vero o no non esistere nè ragionevolezza nè umanità senza società, e senza una data società? f? unica dunque filosofia morale vera e possibile naturale si è quella nella quale interviene la dottrina della vita degli Stati, e non ciucila che viene dettala dalle consuete astrazioni, o dai soli dettami privati. Non mi si dica che questo punto di vista formi un ramo speciale della scienza generale, c che iu esso si faccia un applic azione dei principii della scienza. Come mai, io rispondo, potete considerare quale ramo vm processo di fatto, per cui la natura va creando voleri^ poteri e dottóri? che nel punto di vista astratto non erano contemplali ? l' orsechè la specie umana si può pareggiare alle rondini ed ai castori, i quali in oggi fabbricano i loro nidi e le loro case come al tempo d’Adamo? Forsechè le ostinate fantasie e gli educati costumi, rattenuti anche da lreni politici, agiscono colle compatte illusioni e colla violenza di una fanciullezza sbrigliala o di una adolescenza sconsigliata ? Dall’altra parte poi sarebbe grave errore figurare che nel punto di vista da me inteso si tratti solamente dei doveri verso gli altri, e non piuttosto delle relazioni tutte dell’ uomo, e dell’ azione e reazione fra tutto l’uomo collettivo e tulio l’uomo individuale. Quell’amore immenso del vero, e di un vero, direm così, disinteressalo di un Archimede, di un Galileo e di un Newton, per cui le storie ci presentano lino abdicazioni fatte al principato: quella caldissima carità sociale ricordata negl’ateniesi e nei Romani, perla quale l’individuo sembra rinunciare alla stessa sua personalità: quella elevazione augusta e religiosa, per la quale l’uomo sembra dimenticare la terra: si riferiscono o no alla triplice relazione verso sè stesso, verso gli altri, e verso la suprema Provvidenza? Or bene, ditemi se sia possibile sperare colali sensi fra i Boschmans e gli Eschimesi. . Voi mi parlale di applicazione de’ prineipii astratti. Perchè non parlarmi piuttosto di aggiunte sostanziali? Mi direte forse che nelle comuni dottrine si comprendono tacitamente le vedute da me accennate . Qui vi rispondo, che ciò che espressamente non viene contemplato non esiste in una dottrina; vi rispondo, che da prineipii astratti e generali non derivano che conseguenze astratte e generali: vi rispondo, che dovendo maneggiare oggetti reali, i quali per necessità di natura non esistono sempre in una data maniera, non interessano in una data maniera, non soccorrono in una data maniera, le forinole generali riescono insulficienti e disastrose: insufficienti, perchè mancano di speciali direzioni, disastrose poi, se vengono applicale colla loro cruda generalità. Potici anche soggiungere l’irruzione dell’arbitrario non prevenuta da codeste formole astratte, atteso che si lasciano negli affari vastissimi campi non disciplinati, e però non guardati da sanzione dimostrabile, costituente motivi efficaci alle coscienze: ma questo è un inconveniente abbastanza nolo, e pur troppo sentito colle desolanti dottrine de5 casisti. Vili. Quanto sia necessario questo studio delia civile filosofia* 765. Per la qual cosa ognuno può giudicare se a ragione o a torto io riguardi i Trattali morali lino al di d’oggi conosciuti come altrettanti prolegomeni della vera ed integra morale filosofia. Resta dunque ancora a tra U arsi del merito naturale pieno e proprio d i cjuesLa scienza* Il proporne il tèma esige per se solo una vastità di vedute ed un accorgimento di scelie, che non possono derivare fuorché dallo studio di quella oidio chiamo civile filosofia. La sua necessità nello studiò delle dottrine morali si può dire dimostrata, quando questa necessità sìa dimostrala nelle dottrine intellettuali, Ognuno sa che non si possono avere Linone volizioni seu za buone cognizioni ; ognuno sa che il coltivare L intelletto forma una parie degli uffici! dell1 Elica; ognuno sa che il dì scemi ni e Mio morale onde valutare rettamente un bene ed uu male, e quindi la possanza pratica del libero arbitrio, consiste nella coltura intellettuale oltre gh impulsi della coscienza, Allorché dunque la necessità della civile filosofia sia dimostrala por ben conoscere le leggi reali della mente sana, questa necessità si deve' riconoscere anche per ben conoscere lo leggi reali del cuore umano. Io mi credo dispensalo di tessere la di mas trazione domandala, dopo quello clic no ho scritto negli ultimi cioquc num.1 dell’Opu&colo Dotta suprema economia delì umano sapere in relazione alla mente sana. Tutto questo riguarda la connessione Intima ed indispensabile fra le firnriunì intellettive e le volitive. Ma qui non sta ancora tutta la cosa. \ oi mi parlate nell’ Etica dell' amor dell’ ordine,, di quello della giustizia, della patria, e così discorrendo. Ma V amore si può farse comandare, o non pii mosto inspirare,3 L* amore anche spontaneo non viene forse raffreddalo. e in line ributtato da uiLudiosa corrispondenza 7 Piu ancora: rolla coscienza che altri debba in certi oggetti prestarci uffici! corrispettivi cui effettivamente non presta, si potrà forse af tribunale della coscienza accusare tal uno di non essere affezionato ad un ingannatore e ail uno sleale 7 Ora d vedere e il dimostrare come la natura proceda neri lT attiva re e nello sviluppare! motori morali, e come essa somministri Lordi na mento fonda mentale, o, a dir meglio, i mezzi ed i poteri sia fisici, sìa morali di questo ordinamento, appartiene essenzialmente ed e&cWiv arnen lea ! Ia ci vi1e filósofia. Dunque cs sa è la y er a madre della morale adatto agli uomini individuali e collettivi, posto che l’ individuale, in forza rii naturale necessità, riesce privo di valore senza del collettivo. Lo stimolo non manca; solamente vi occorre di conoscere la strada sicura, i» ili essere in grado di affrontare la lotta di potenze avverse. L’istruzione non può die illuminarvi ; il potere della coscienza deve Compiere L impresa. Allorché ì suggerimenti di un buon cuore erano sufficienti a provvedere ad un cerchio ri sire Un dì circostanze, la Lesta, d cuore, il bràccio si trovavano collegati nella loro azione in virtù di una naturalo bontà; ma allorché col progresso si allargò quid cerchio, allorché fu necessaria hi sperienza c la tradizione. quesLo collegamento uou si potè ornai più effettuare clic mediante la dimostrazione scientifica. Questa dev’essere tanto più convincentespecificata c connessa, quanto meno é ovvia. quanto piu contrastata e più importante. Loco l’opera che rimane ancora a compiersi. Il successo di lei non può mancare, perchè la verità è la più forte ili tutte le cose. 767* Frattanto ponendo metile all' ordinamento dello studio della morale filosofia, io osservo essere questione capitale: se gli uomini nascono buoni o cattivi. Questa quistioffe di fatto è stata pur troppo decìsa contro 1 umanità : e 1 opinione sinistra adottata suggerì dottrine detabuli. La questione doveva esser posta in altri termini, e domandarsi doveva: se F ignoranza e l'appetenza in defluì la umana nell* economìa della natura si possano per fatto generale opporre oli1 eflezione dell’ordine morale di ragione; ed in caso affermativo, in quali oggetti, dentro a quali circostanze, e fino a qual segno valer possa questa opposizione* % 168. La soluzione di questo quesito, siccome necessari a mefite involge la posizione degli umani individui in uuo stalo di sociale convivenza. così avrebbe condotto ne cessavi amen Le ad indagare quale sia la legge suprema dell’ umano incivilimento sotto il regime uaLurale del tempo. Or ecco lo studio della civile filosofìa ripartilo ne3 suol tre rami essenziali; cioè F economico* il morale ed il politico* Senza di questa cura la morale biosofia si aggira negli spazi! imagmarii: e non conoscendo la provvidenza naturale, non solamente avventura la sorte umana ad un cieco empirismo, ma accora non si trova in grado di combattere dottrine maligne o soverchiasti. 760* Volendo voi trattare della migliore coltura di una pian La. potreste mai prescindere di trattare c del terreno e del clima piu opportuno? La suscettività stossa della pianta a fruttificare non è forse affetta da queste circostanze ? Mir ale nelle nostre serre la pianta della noce mosca da, e rispondete* 770. E qui sì apre uu’alLra grande considerazione* ebe dimostra la necessità dello studio della civile filosofìa. Figuratevi un uomo, il quale non abbia veduto la pianta della noce moscada fuorché nei nostri paesi, e ignori d’onde sia venuta, e non sappia che nel suo clima e torre native reca frutto: che cosa direbbe questiona.©? lo non ho mai veduto piatile di noce moscada a far frutti: dunque codesta pianta è in fruttifera. Ecco quello che per solito avviene a coloro che intraprendono a trattare della Morale senza la precedente cognizione della civile filosofia. Colpiti dalla folla dei fatti della storia, la quale quasi sempre non rammentò che le opere dell’ignoranza e dell’intemperanza umana, pronunziano sentenze sinistre contro il carattere ingenito dell’umanità: e se per sorte si rammentano loro esempli di sode ed alte virtù, essi li nguaidano come eccezioni, ed a guisa delle mostruosità del mondo fisico. Di mala ed instabile natura sono gli uomini, dicono essi: e però conviene rattenerli e fermarli colla forza. 771. Ma questo modo di vedere è poi giusto? Se all’uomo figuralo nel sovra recato esempio voi presentaste il frutto della pianta noce mosca da: se con moltiplici testimonianze lo convinceste non essere quella pianta europea, ma orientale; che cresce nelle isole indiane, e che produce il frutto da voi mostrato; è vero o no che cangierebbe opinione sulla suscettività naturale della pianta suddetta? Or bene, ecco l’effetto naturale della civile filosofia, quando venga mostrata e provata a dovere; e, quel eh’ è meglio, quando si vegga randamento della natura, la quale se tende a cangiare, è per migliorare. 772. Ponete (dice questa filosofia) gli uomini sul terreno e sotto il clima propizio, e voi scoprirete di quale bontà, vigore e sublimità sia suscettiva la natura umana, e con quanta inconsideratezza voi confondiate le provvide innovazioni del tempo con una insana e riprovevole instabilità . Voi vi querelate che la natura vi sia stata matrigna, e gridale per le battiture che soffrite nel mondo delle nazioni. Ringraziatela piuttosto (risponde la civile filosofia) che adoperi il flagello, per avviarvi sul terreno e sotto il cielo da lei destinato. 773. Io preveggo che questo mio modo di vedere incontrerà molti increduli. Io li scuserò: ma tempo verrà che questa incredulità sarà dissipata, e i detrattori rimarranno certamente disingannati, semprechè questa filosofia civile venga loro mostrata col suo corredo e colla sua possanza. Frattanto io non posso dispensarmi dall’ eccitare lo studio di lei, tanto per riempiere l’ immensa lacuna che ancor rimane nello studio delle morali dottrine, quanto per dar vigore all Ltica medesima, la quale senza la posizione di uno stato normale di fatto riesce pressoché nulla. Milano, 6 Maggio 1830. Bi ano sul 1 aleuto logico^ e he può servire di sviluppo a qual che luogo delle Vedute fondamentali sull arte logica, . 7 7 i. li nome di talento non esprime una facoltà o una disposizione qualunque a pensare o a lare qualche cosa, ma bensì a pensarla o a lai la bene. Questo ben Jare o pensare costituisce un tipo normale dell opera o del pensiero, lo imaginazione è nome di potenza di puro fatto generico, sia o non sia ordinala, bene o male disposta. Per lo contrario il talento dir si potrebbe una imaginazione bene disposta a pensare o ad operare qualche cosa. Ciò serva a spiegazione della parola. ,el ras. dal quale fu trailo questo brano gli tìen dietro un altro intitolato: Della memoria e della sensibilità estetica in relazione al ben pensare. Questo si omette, perchè leggesi testualmente nell’ Introduzione allo studio del Diritto pubblico ai 221-422. fDG; OSSERVAZIONI DI GIORGI som v Intorno ai 1 delle Vedute fondamentali sul? arte logica, pag, 241-242; e al 2 degli Opuscoli pag. 472. Il sW. Ab. Rosmini, nella sua Opera sul Rinnovamento della filosofia in Italia ec, (Lì-b, III. Gap. XLYJII. pag, 506-5.67, ediz. IL), dico molte cose intorno olio opinioni m ani festa le dal nostro Autóre in questi luogIlÌ: e specialmente rispetto alle parole del 2 degli Opuscoli filosofici cosi sì esprimer « Io vorrei dimandare se sia in potere di alcun nomo il d definire, clic v’abbia una sola fra Le verità a noi conoscibili, die si pos» sa dire al tutto inutile. A credersi autorizzati di pronunciare una somw >j c/li ante sentenza, o couvien conoscere Pi ncateu amplilo di tutte le verità i) fj »aute esse sono, o couvien essere un ignorante Per altro il Romaji .>110 si è coerente al principio: lolla la verità assoluta, resta la sola venta j> pratica, che non è verità: la contemplazione è inutile in questo sistema* flutto si riduce alla vita attiva: che è appunto il sistema contrario di^rittamente a quello di colui che disse dell* amante contemplatrice, che >3 optima m pari em eie. gii, 33 Si potrebbe osservare primieramente che* senza essere ignorante, e smiza bisogno di conoscere l'iutiera connessione di tutte le verità, si pnò lieti dire che vi sieno delle verità in utili* proprio inutili. Poniamo 5 a cagion d'esempio, due uomini, uno dei quali si proponga di voler trovare il numero de' sassi che coprono una certa porzione ile! letto di un torrente * e l’altro invece la natura dei terreni circostanti e la coltura ad essi adattata. Tutti due cercano una verità: il pruno trova Tom. I. *^a che quei sassi sono 100,000: l’altro trova il modo di rendere fertili delle pianure prima incoile; e il senso comune giudica stolto il primo, saggio e benefico il secondo: giudica cioè inutile la prima verità, utile la seconda: quel senso comune che dettava la nota antica massima: nisi utile est quod facimus, stulta est gloria. Ma lasciando da parte tutto ciò (giacché in queste osservazioni è mio scopo trattenermi soltanto di quello si riferisce direttamente alla dottrina religiosa del R.), mi pare che l’osservazione del Rosmini, fatta in fine del brano riferito, sia del tutto insussistente. Infatti il R. parla soltanto relativamente all' ordine naturale, e quindi non è da opporgli una sentenza riguardante Y ordine soprannaturale. E poi, questa evangelica sentenza è ella veramente opposta al principio, che il valore del sapere consista nell’opera proficua, e che ogni speculazione dalla quale non derivino cognizioni utili sia vanità? A me pare che no. Diffatli la contemplazione non è sinonimo di speculazione, perchè la contemplazione non esclude certo Y amore; anzi la vita contemplativa è apprezzata a preferenza della vita attiva, perchè appunto giova a condurre l’uomo ad una maggior perfezione di carità. La stessa fede è morta, se dall’amore scompagnata : tanto più lo sarebbe la nuda speculazione, scompagnata dalla carità e dalla fede. La scienza gonfia, e la carità edifica; dunque la contemplazione non è apprezzata se non in quanto la scienza che procura serve alla edificazione. Ora edificare, amare è sì o no opera, ed opera proficua? H bene morale sta egli forse nella sola speculazione? II premio è egli promesso alla nuda scienza, o non piuttosto allamore? Dunque la contemplazione è scienza accompagnata da opera proficua; ha valore per l’opera proficua, eh’ è appunto la carità; e qualora si riducesse a nuda speculazione, sarebbe vanità. Pare dunque che ogni dubbio in proposito cessi, quando si avverta che la vita contemplativa non esclude l’opera; anzi la esige tanto, che senza questa si ridurrebbe a vana speculazione. Intorno al delle Vedute fondamentali ec., Il eh. sig. Ab. SERBATI (vedasi), al proposito della parola utilità adoperata dall’Autore in questo paragrafo, e riferendosi anche ai 650 e 651, dice: « La morale filosofia del R. non mostra quasi mai alcun » altro fondamento, se non quello dell’utilità, e dirò anco deH’utililà ma„ teriale. » E nella nota: «Alcuni col vocabolo di utilità comprendono » anche i beni morali, cioè la virtù e la giustizia. Il R., non par» landò che di que’ beni che nascono dall’azione di noi sulla natura e J u della natura su noi, ci toglie fin anco la possibili là dr Interpretare il suo >j detto In un senso meno abbietto* » (ÌUttnov. ee,, . od. Ih) lo non entrerò qui a parlare diffusa mente intornio al senso in die il Roma gii osi adoperò la parola utilità, si perchè sarebbe cosa troppo {natta per ima semplice osserva dono, si perchè ne bn detto a sufficienza nelle noie alla Genesi del Diritto penale e in quelle ùW Assunto primo del Diritto naturale* sì perchè in (ine avrò campo ili trattare più di proposito quest* argomento nel Sàggio promesso. Dirò adunque poche cose. In primo luogo la censura del Kos mi ni 4 cadendo sopra un brano staccato* non merita di venir calcolala, perché il senso delle parole di un autore deve risultare da tutta l'opera, e non da brani trasenti. t LSi osservi ili passaggio che il censore usa la frase restrittiva quasi orni: o di queste espressioni se uè vuol tenere gran conto I) I u et ec ondo luogo, qua u do pu re alcuna volta il R orna g li c si avesse parlato dell1 utilità in senso vago, ed anche materiale (ciò che però non concedo \ non ne verrebbe per giusta conseguenza ch’egli avesse ammesso il principio delPulllilà In tutta la sua estensione, e con tolte le sue conseguenze: potrebbe nelle deduzioni e applicazioni aver offeso la logica, o salvale delle esigenze molte più Sante. tu terzo luogo non è poi vero che le espressioni di questo paragra lo, anche prese isolata meri te, in chiudano quel scuso abbietto che loro attribuisce il Rosmini* La parola natura si prende io senso latissimo, die abbraccia tanto la natura tìsica che la natura spirituale e morale ; e mi pare che il tenore ilei paragrafi seguenti, e specialmente , tolgano ogni dubbio sul senso datissimo in cui si prende in questo la parola natura. Ora 5 e parliamo, a cagione d* esempio, dei beni morali, della virtù, delle azioni le più sublimi, noi potremo giustamente dire die essi ci sono procurati dall' azione di noi sulla natura e della natura su noi (o sulla nibuLe nostra, come dice R.)» Infatti, so Fatto virtuoso è tale che si limiti alla sola iÉÈjenzione, esso è il risultato di un* azione nostra (della- volontà) sulla natura morale dell’uomo, colla quale azione vien diretta la mente a quei pensieri o guidici che sono moralmente buoni, ossia il bene morale. So poi Fatto morale è anche esteriormente manifestato, egli non pnò esserlo se non a condizione eli e P uomo agisca sulle cose esterne, ossia sulla natura materiale. Reciproca metile dalle cose esterno possono venire degli eccitamenti auclie al bene morale, come avviene mediante l'esempio, gli scritti, l'eduedizione cc. : e questi eccitamenti sono un’azione della natura esteriore su non Onesto cenno, a imo credere, basta per provare l'assunto proposto™ mi. che in questo paragrafo non vi è quel senso abbietto che crede vedervi il Rosmini. Intorno al delle f edule fondamentali ccv pag. 2tì2, nella nota. Piacque al cL Ab. Rosmini richiamare a serio esame la noia del Romagnoli a questo paragr, 704. e interpretatala nel senso In cui egli intese altri luoghi del nostro Autore, gli parve poterne trarre delle couseguente cosi serie, che meritano un imparziale e diligentissimo esame. Ecco come egli si esprime nella som Opera // nn nova mento della lulosojifi ec., , Ediz. IL t* Uno dei poco dignitosi artificii del Romagnost si è pur quello di « avvolgere insieme alcuni sistemi manilesta monte erronei e strani con » delle verità religiose certe, ed anco dogmatiche; pittando poi queste » c quelli in un fascio fra le cose mutili . e peggio* A ragion d* esempio, J) trae in beffa quelle di* egli chiama ultra- astrazióni Fino che per noi >ì non si sa che cosa egli in tenda per codeste ultf'dfi^traz loni^ ninno » adombramento ci nasce della sua dotti Ina: ma non cosi ove si licer» chi che voglia significare con quel vocabolo nuovo» opportuno ali bi» lento d’avvolgere in un notai velo quanto intende cT insegnare con esso. » Udiamo noi adunque la spiegazione ch’egli stesso dà di quel vocabolo, w = Sotto il nome di u Itr a~as traz imi i io intendo que* predoni irnaginarii) ne* quali Y uniformare e Fagg raudire vet^nò spiali df ultimo seguo escogitabile. Tale è, per esemplo, la sostanza unica di Spinoza: !o spazio Immenso per tatti ì versi, da Newton appellato sensorio dì Dìo; jj durata senza tempo; la perfezione somma attratta; in kne V assolai* Lutti questi concepimenti derivano in sostanza dal convertire una relazione iu entità, e ragionarvi sopiti, come appunto fanno i matematici colle loro infinità, le quali appartengono appunto a queste u Iti a-as trazioni. lo non voglio per ora dir nulla del loro valor ontologico, e però non definisco se entrar possano nel conto di mere! logiche. 1/ istinto mentale non basterebbe a soddisfare alla decisione* perocché allora il politeismo r ogni altra illusione sì dovrebbero assumere come fonti di verità: dirò solamente ciò clic Lribnitz disse dell' infinito matematico, cioè dm queste n l Ua-as trazioni non istillano dentro, ma fuori del calcolo. Ad ogni modo io sono autorizzato a lasciarle da una parte, a farne conto come gli scolastici della loro chimera, di cui così spesso facevano menzione nelle loro logiche dottrine, e a lasciarle a chi vuole camminare nelle tenebre e correre dietro ad ombre di morte. = Merita questo brano, che gli si dia tutta l’attenzione, a fine d’in» tender bene la mente di R., e di conoscer la sua maniera di » esprimersi. Osserviamo adunque, che In esso egli ci mette insieme un sistema panteistico, quello » di Spinoza, e un’ardita e gratuita opinione di Newton, con due o Ire » proposizioni, che per molti altri filosofi sono verità delle più iuconcus)) se, e per tutti i Cristiani sono dei veri dogmi religiosi: cioè: 1.° la du» rata senza tempo, ossia l’eternità : 2.° la perfezione somma astratta, e » l’assoluto, ossia Dio. Questo amalgama di veri così rispettabili ed au» gusti non meno in filosofa che in religione, con delle empietà e delle » stranezze, è cosa che sola basta a dar notizia chiara di un uomo che » non è sciocco, e che non può credersi non avvertire a quello che dice. » « 2.° Or egli dichiara di tutte queste dottrine di così diverso gene» re affastellate insieme, eh’ egli = non vuol dir nulla del loro valore « ontologico, e non vuol definire se entrar possano nel conto di merci » logiche. = Ma però notate bene, che nello stesso tempo ch’egli vi fa » questa dichiarazione, vi dice ancora francamente: a) che quelle dot» trine sono prodotti iniaginarii; b) che tutti questi concepimenti deri» vano dal convertire una relazione in entità, il che è quanto dire in er» rori madornali, come è appunto il prendere una mera relazione per » una cosa reale: c) che non istanno dentro, ma fuori del calcolo ; d) che » si può lasciarli da parte, riguardandoli come là chimera degli scola;) siici, cioè come un essere fantastico, privo al tutto di realtà: = finalmente ch’egli crede di poter lasciare quelle dottrine a chi vuol cam» minare nelle tenebre e correre dietro ad ombre di morte !! = » Ora leggendo tutte queste belle cose, accompagnate dalla solenne » protesta di non voler dir nulla sul valore ontologico e logico di tali » dottrine, è egli possibile che ad un uomo di buon senso non corra to» sto alla mente la filosofia beffarda dei sofisti francesi del secolo scorso; » e che non ravvisi in R. i vizi! dell’ età in cui crebbe, e i ve» sligi di una scuola che, per grazia di Dio, pute nauseosamente al nuo» vo secolo in cui viviamo? Dopo di tutto ciò, viene quasi superfluo l’osservare, che il Ro» magnosi non solo limita la conoscenza del vero alle cose sensibili, e » n’esclude le soprasensibili; ma non concede neppure, come la il C. M., tm » che a queste si possa pungere colf istinto, il quale, dice, se aver pon tesse antoiità, convaliderebbe fio anco le stravaganze del politeismo, r Ma che è eu\ dopo cì dogli già disse, che 1* eternità, la somma perfé>] zìone, l' assoluto, sono tenebre ed ombre di morte? Nò possiamo rim spondere che il Romagtiosi nomina Ideila con rispetto in molti luoghi >j delle sue Opere; perocché non cl starai noi accorti dì aver clic fare i) con una filosofìa beffarda ? >1 H nel suo et iggio sulla dottrina religiosa dì Ro magnasi^ inserito anche nel Volume delle Opere dì Apologetica * così parla Saggio separato, e \ìeW Apologetica) u ÌE Romagnoli dice, che la durata senza tempoy ossia ìe temiti, la » perfezione somma astratta^ e Vassoiata^ che non è altro che Dio sleali so, sono ultra-astrazioni ; e dichiarasi autorizzalo a lasciarle da una » parte, e di farne conio come gli scolastici dulie loro chimere, dì cui » cosi spesso facevano menzione nelle loro logiche dottrine, e lasciarle ii a chi vuole camminare nelle tenebre e correre dietro ad ombre di « morie. ~ » « Ma 1 eternità. Li perfezione somma, e Dìo, sono i fondamenti del » Gattolicismo, come anco della re li gioii naturalo. » e Dunque la dottrina del Roroagnosi in questi punti é anticattolica*^ Ometto tulio ciò che può essere questiono di sola iilosoha. coni e mio costume; perchè sulla moralità della polemica ho dei gran dubbi, quando non vi sìa una grave necessità dì usarne, anche se si rispettino quei confini che la decenza e qualche altra cosa ancora prescrivono;! quali credo di non avere oltrepassato in questa, nella quale fui obbligalo ad impegnarmi dal convincimento di fare opera giusta e santa* Limilo quindi le mie osservazioni a ciò che riguarda le capitali venta che il Rosmini crede offese dalle espressioni del lì orna gnosi, Sì potrebbe innanzi tulio notare, che un’accusa eli smhl blta porta già con sè un cerio sospetto d’inesattezza: perché se d Roma gnosi (come confessa il Rosmini : nominò con rispetto Iddìo in tnolH luoghi delle sue Opere; se egli, come risa Ila dai passi che ho citato nella seguente osservazione (al 84 J delle Vedutè^onàa mentati)) ammise chiaramente ed esplicita mente hi vita futura, cioè Icieruità; non è a presumere eh* egli voglia con parole velate insegnare il contrario di ciò che disse enti parole aperte, le quali per Io meno sarebbero state da lui omesse, ove avesse avuto in animo dJ insegnare II con Ira rio in modo non bcilniente intelligìbile* Pare adunque che Su tali circostanze mr passo oscuro dovrebbe essere inteso m buona parte, almeno per non far torio al buon scuso dei lettori imparziali Ma lasciando questo argomento,, dirò cosi, # priori, andiamo al fondo della questione. Spremerlo il succo di lutto il discorso del Rosmini, noi ricaviamo che la sua censura va in fine a cadere sulla qualificazione di prodoLLi iraaginarii ec,., data da Roniaguosi a queste tre cose, che c^ama ultra-astrazioni Ciò sono: La durata senza tempo. La perfezione somma astratta. L’assoluto* Analizzi a mole una alla volta. La cluni ia senza tempo viene dal Rosmini presa puvamenie e semplicemente come sinonimo dì eternità, E ciò posto* quale conseguènza più giusta dì quella eh' egli ne trae? Ma 1 imbroglio non Istà già uelPammettere la sua conseguenza, accordata la promessa : rimbtfBglio sta appunto ucir accordargli la premessa: giacché non credo che ad alcuno sia mai caduto in mente di definire Y eternità in durata senza temp0 ; e (pianti' anche questa definizione fosse stata data, non ne seguirebbe clic fosse giusta. La parola eternità si prende in due sensi: nel primo ìndica la csistanza senza principio 0 senza [ine, e questo concetto deir eternità non può applicarsi che a Dio; nel secondo indica la continuazione senza Ime didl’esistenza attualo ch'ebbe principio, e si applica, a cagion d esempio, alle pene della vi la futura. Tanto nell’ uno che nell1 altro senso la parola eternità non può esattamente tradursi nella frase durata senza tempo. Infatti la durata esprime la continuazione dell’ esistenza anteriore, ma non esclude i concetti di principio 0 di fine: il tempo poi esprime un complesso finito d’ istanti. Ld e ciò così vero, che. anche nel comune linguaggio si contrappone il tempo all1 eternità. Ora F idea di eternità nei primo senso esclude l'idea di ogni limite, e net secondo senso esclude ridea del fine. Volendo dunque tradurre la parola eternità in un'altra espressione, bisognerebbe chiamarla durata senza limiti nel primo significato, c durata senza Jitie nel secondo, e non mai durata senza tempo, lo me ne appello a quanti sanno apprezzare II valore delle parole, anzi al linguaggio comune. Ma v’ è qualche cosa di più. Se le parole durata e tempo hanno il significato sopra stabilito, com* è fuor di dubbio, esse In sostanza sono idee cosi connesse, che 1 una non può stare senza dell* altra: non potendosi concepire la continuazione dell esistenza precedente, se non m ull complesso d* Istanti successivi. Perciò la durata senza tempo è un concetto contradditorio, come sarebbe quello di quadrupede bipedenò più uè meno; 0. per parlare più chiaramente, e con maggior relazione alle frasi del R. nel luogo che esaminiamo, il volere separare dall’idea di durala, cioè di continuazione delPesistenza precedente, l’idea di tempo, è un astrazione viziosa, un’ultra-astrazione, che conduce a un concetto contradditorio, vale a dire a una chimera. Che se esaminiamo ancor più intimamente questi concetti, quello di tempo non è che un’idea di relazione, nel quale necessariamente si unisce all’idea di durata: se questa relazione noi la convertiamo in una realtà, e vogliamo separarla dal concetto nel quale si compeuetra non come attributo reale, ma coinè semplice relazione, noi andiamo, come si diceva, nell’ assurdo, nel contradditorio, audiamo dietro ad ombre vane. Tanto è lungi adunque che l'idea di eternità sia traducibile in quella di durata senza tempo, che anzi, ammettendo la possibilità di questa versione, si verrebbe a stabilire che l’idea di eternità fosse assurda, contradditoria, e quindi impossibile; perchè appunto assurda, contradditoria, impossibile è l’idea di durata senza tempo. Ma poniamo che tutto questo ragionamento fosse falso, cioè che le nozioni di durata e di tempo, come io le diedi sull’appoggio del comun modo di adoperare questi vocaboli, non fossero giuste: sarebbe sempre da vedere se quelle parole avessero nella fraseologia del R. il significato che io loro attribuiva, giacché alla fine poi le parole adoperate da un autore vanno iutese in quei senso in cui le usava. Per accertarci su questo punto, vediamo com’egli definisca la durata e il tempo. Io trascrivo le parole sue dai degli Opuscoli filosofici, Tutto il mistero (in qualunque cosa capace di più e di meno) consiste nell’unità continua, a cui si ae^iun^e il nostro giudizio di potei J co o u, crescere o diminuire all’infinito. Questo giudizio, speculativamente metafisicamente concepito, viene di fatto applicato alle cose reali esistenti fuori di noi, senza avvertire se questo modo e se questo giuoco delle no sire idee possa o no effettuarsi in natura. Un’analisi più esatta dell idea del tempo, e quindi della durata, potrebbe vieppiù rendere chiara questa verità. Siccome il numero altro non è che una pluralità compì esa sotto di un solo concetto, così pure il tempo si può dire essere una pluralità di istanti compresi sotto di una sola nozione. = = 11 carattere precipuo dell’idea del tempo consiste nell’idea di successione; e questa idea si forma colla compresenza di un’idea stabile e di altre variabili. Cosi, per esempio, da una parte sento il movimento prolungato di un carro, e simultaneamente sento molti tocchi di una campana, che si succedono l’uno all’altro. Durante il romore del carro conto dieci colpi di campana; questi si associano all’idea unica del ro Dòli? more del carro: ed ceco che io mi formo Videa di un periodo. Io jueoutrn piùcasi simili presentatimi dalVespcrienza, e quindi passo ad estraniti l'idea generale: c con qo està estrazione generalo nasce V idea del tempo in generale. Per quella tuiuione poi ordinària del mio intelletto di togliere ì limili, forino 1 idea di un tempo indefinito e di una durala senza fine. =* Risulta da questo passo, clic Ru mago osi intendeva la durala e il Lem* pò nel triodo clip ho sopra spiegato, cioè secondo sodo intese queste parole nel comune linguaggio, giacché egli viene a stabilire: C Che ! idea di durata è correlativa a quella di tempo, poiché dice i.lut aLiollsi più esatta dell idea di tempo, e quindi della durala, = Gtc il tempo si può dire una pluralità d’ istanti compresi sotto una sola nozione, come appunto io lo definiva. 3V Che lidea del tempo e della dorata inddudc dei limiti, i quali bisogna togliere quando si vuol formare Videa di tempo indefinito, di durata senza fieleDunque il significalo elio lì ornagli osi dava alle parole durata c tempo confermi quanto dissi; e perciò resta fermo, elio lespressione durata senza tempo è assurda, perché eolie funzioni della nostra mente non possiamo formarci che Vìdea di tempo indefinito e di durata senza fine, c non mai quella di durata senza tempo* perchè non possiamo formarci idee contradditorie. Ma di ciò basta. Passiamo alla seconda frase da Ramaglia# qualificala per ultra-astrazione, che è la perfezione somma astratta* lo uou saprei Leu dire se SERBATI (vedasi) censuri queste parole prese da sé, oppure le consideri unite còlle altre, durata senza tempo e V'assòlulQ. Pare dai due brani sopra riferiti, ch'egli prenda 1 -espressione di perfezione somma astratta unita alla seguente, V assoluto, come sinonimo di Dio ; e se si guardi al modo con cui espóne nuovamente uellV//ìtf/ogeiica a questo luogo di R., ripetendo ciò che aveva detto nel llitmQV&nictitQ ec., pare anzi che le unisca insieme tutte Ire, perchè così discorre, tc li Romagnoli dice, che della durala senza 3i tempQ) della somma perfezione astratta* e del l* assoluta ^ il che ò qu aulì to dire del V eternità di Dio, egli fa quel conte che della chimera face» vano gli scolastici esc.» (Saggio sulla dottrina religiósa pag. tffl.) Che che pero ne sia, egli ò evidente che quelle frasi sono da R. prese di sg.iu uta metile : e ad ogni modo, se non hanno, isolato, quel senso clic loro dà il Ilo smini, non lo avrebbero neppure unite. Venendo dunque ad esaminare questa seconda frase; la perfezione somma k co usid ariamo o in Dio, o udlVuomo. Toi La perfezione in Dio esprime queiratlributo essenziale della divinità, il quale consiste neiresclusioue d’ogni difetto, d’ogni limite in tutti i sensi : e quindi la perfezione somma non può, a parlare propriamente, convenire che a Dio. La perfezione nell’uomo, ente finito, non indica che il continuo accrescimento o sviluppo in qualsiasi sua facoltà, c specialmente ravanzamenlo sempre crescente nel bene morale, nella virtù, ed inchiude sempre l’idea di limite, essendo l’uomo un essere finito; per cui la perfezione nell'uomo non può mai dirsi somma. Dunque la perfezione somma non può ammettersi che in Dio. 3Ia quale idea possiamo aver noi mai della perfezione di Dio? Quando abbiamo detto che in Dio non havvi alcun limile nò alcun difetto, abbiamo detto tutto. Il filosofo e il teologo asseriscono Dio perfettissimo, ma, se sono sani di mente, non intendono con questo vocabolo altro die l’esclusione da Dio di ogni difetto in tutti i sensi: e se qualche filosofo vuol parlare della perfezione somma astratta, e pensa di comprendere che cosa sia, e ne discorre come se ne avesse l’idea distinta; egli spinge la sua mente a cercare l’ incomprensibile, e parla di ciò che non conosce, ne può conoscere; egli ingrandisce oltre la misura delle forze della ìagione umana quell’ idea di perfezione limitata, e quindi impropriamente detta, die si è formala coll’astrazione; e questa sua perfezione somma asti alta si può giustamente lasciarla da parte, perchè è fuori del dominio e a mente umana. Malebranche, che certamente non era ateo, nè aveva un idea bass. e vile della Divinità, diceva molto giustamente: Vous devez savoir que pour juger dignement de Vieti il tic Jan lui attribuer que des atlributs incompréhensibles . Cela est ai * puisque Viete est t infini en tout sens ; que rieri de fini ne ^Hl c 01 vient ; et que tout ce qui est infini en tout sens, est en toutes n nières incompréhensible à l'esprit huniain. ( Entretiens de Metap ; que. Entr. VII. Ve Vieti et de ses attributs.) . j. Ora, se nessuno può dubitare che la perfezione, come attributo Dio, è infinita; se nessuno può negare che l’infinito sia incompien bile alla mente umana finita; ne segue che molto a ragione il R. collocò fra le ultra- astrazioni la perfezione somma astratta, in quant con queste parole si pretenda esprimere un’idea distinta della peifezio ne somma considerata in sè, e si pretenda di ragionarci sopra, corT1 si farebbe in quelle cose che stanno nei limili delle forze della mente umana. Non saprei come si potesse trovare in ciò nulla che offenda Religione, la quale, ben lungi dall’ ingiungerci di occupare la mente no sira nella ricerca di cose incomprensibili, ci avverte anzi che: scrutator ma j estati s opprimetar a gloria. Riflettendo un momento a questo brano del R., che nomina Iddio con rispetto in molti luoghi delle sue Opere (e la confessione del Rosmini mi dispensa da ogni citazione), e che, al dire del censore medesimo, non è sciocco, e non può credersi non avvertire a quello che dice ; si vede apertamente ch’egli pensava di lasciare a chi vuole camminare nelle tenebre quei concepimenti che sono assurdi e conlradditorii, ovvero incomprensibili, i quali tutti stanno fuori del calcolo, cioè non possono essere oggetto dell’umano pensiero, alcuni perchè importano l’assurdo, altri perchè sorpassano le forze della mente umana. Io credo che queste riflessioni rendano così evidente non essere nel passo che esaminiamo nulla che offenda le cattoliche verità, che più non si potrebbe ragionevolmente desiderare. Ci resta a parlare dell 'assoluto^ da R. pure chiamato ultraastrazione, prodotto imaginario. Io non so come mai il Rosmini, conoscitore profondo qual egli è dei sistemi filosofici, abbia potuto credere che con questo vocabolo venisse significato solamente ed esattamente Dio. Io non andrò cercando nella storia della filosofia le molte significazioni nelle quali si prese la parola assoluto: questa fatica, quantunque poca, sarebbe gettata, poiché resterebbe ancora a stabilire iu quale di queste significazioni lo intendesse R.. Adunque riferirò qui a dirittura un brano del nostro Autore, dal quale rileveremo apertamente in che senso egli intendesse l’assoluto, e se avesse ragione di non farne alcun conto. Si noli che questo brano è tratto da un articolo sulla filosofia di Kant che si pubblicassero le Vedute fondamentali sull'arte logica, nelle quali si legge questa nota sulle ultra-astrazioui censurata dal Rosmini. Ciò avvertito, ascoltiamo le parole del R.. Dapprima Senofane fra i Greci antichi, indi Spinoza un secolo e mezzo fa, e finalmente alcuni successori di Kant iu Germania, si avvisarono di annientare la reale esistenza della pluralità degli esseri, per ritenerne un solo che fosse senza limiti e senza condizioni, e che fu denominalo assoluto, il quale avendo in sè stesso il principio e il fine di tutte le esistenze, non abbisognava di accattare il sapere da veruna potenza. Ecco il così detto sistema dell1 identità e dell1 idealismo trascendentale ; sistema il quale, come osservò l’Ancillon, non è che una modificazione dello spinozismo. E nolo che Spinoza sostenne non esistere che una sostanza unica, che fa la figura di mondo, di uomo e di Dio. Or bene, alcuni maestri alemanni annientano Y individuo, «e si posano nel seno dell’assoluto, dal quale sortono poi mediante diversi atti liberi della loro onnipotenza, per dar nuova vita agl’ individui e per generare le scienze. Se l’assoluto inghiottì tutto, ciò fu per restituire la sua preda. Hanno ridotto tutto al nulla, ed anche loro stessi in qualità d’individui, onde arricchire r assoluto; e l’assoluto si mostra riconoscente a questo servigio col riprodur lutto. Questo sistema si ò quello dell’ idealismo trascendentale. » = =z Si domanda che cosa sia questo assoluto, che assorbisce tutte le esistenze individuali per formarne una sola. O ò un nulla, o ò qualche cosa. Se è qualche cosa, egli sarà un ente reale ed una sostanza unica. L’idealismo dunque trascendentale altro non òche lo spinozismo sublima to. Aucillou qui descrive i modi di questo sistema; ma la tesi è: uou esistere fuorché una sostanza unica, la quale si pascola colle sue fantasie. Lidea lismo di Fichte, ristretto agl’ intelletti umani, fu trasportalo alla sostali za unica universale, che fa la figura di mondo, ili uomo, di Dio, animai landò l’universo lutto, compreso Y io umano. Leggansi le Opere di Sche ling, di Villers, di Krug, di Bardili ec., e si troverà quest ultima £ia,^a zioue dell’aseismo (devaio alliufiuito.zz: [Opusc»fdos.^ Questo assoluto infine non è dunque altro che la relazione di dipeli denza del finito, del contingente dall’Essere infinito e necessaiio, conve ti La in entità reale, per cui quest’assoluto si figura essere il lutto. Ora non pare che Uomagnosi s’ingannasse, dicendo che asso u un prodotto imaginario ! Ecco a che si riduce tutta la censura di SERBATI (vedasi). Io credo c ic possa più restar dubbio sul senso vero di quelle tre espressioni l’oggetto delle nostre ricerche; c quindi, riassumendo, arriviamo a | ste conseguenze : La durala senza tempo non vuol dire eternità . La perfezione somma vien giustamente collocala lia astrazioni, non in quanto si limili ad indicare l’esclusione da Dio ( 1 o difetto in tutti i sensi, ma in quanto la perfezione somma asti alta comprensibile. 3°. L’assoluto non è per molti filosofi che un’espressione equivalente a quella di sostanza unica: e il R. lo intende e ceUSU in questo senso. 4.° Dunque la dottrina di R. non è in questi punti aulì cattolica. Se la giustizia vuole die le parole oscure di un Autore d’intemerata fama sieno intese nel miglior senso, ne segue che le espressioni di questa nota dovrebbero essere prese in buona parte, auche se fossero veramente oscure, anche se non avessimo altri luoghi delle Opere sue che le rischiarassero. Che si dovrà adunque fare quando le frasi, ch’egli dichiara prodotti imaginarii, sono tali realmente, e non hanno che fare coi dogmi cattolici; e quando abbiamo de’ luoghi chiari delle Opere sue nei quali parla di Dio con rispetto, e si professa veneratore delle grandi e sublimi verità cattoliche, dall’ esprimere le quali le frasi da lui riprovate sono tanto lontane, quanto la luce dalle tenebre ? Intorno al delle Vedute fondamentali 1 e 41 degli Opuscoli filosofici^ . Delle cose dette dal R. in questi paragrafi il Rosmini ne parla nell’Opera sul rinnovamento della filosofia ec., Lib. III. Cap. 33. pag. 385-387, ediz. IL; e nell’opuscolo sulla dottrina religiosa di Romagnosi* pag. 8 ( pag. 304 Apologetica). Nel primo luogo egli si esprime di questa maniera: « Il R. dice che sulle disposizioni della economia divina » riguardante la natura umana = convien far punto =, soggiungendo » di poco buon umore: = e che perciò? vorreste forse colle tenebrose » vostre cosmologie gettar ancora la filosofia nelle larve analogiche nien» te più valevoli delle cosmogonie caldaiche, indiane, cabalistiche ? A » che prò trascinarci in un pelago oscuro, infinito, inutile alla mentale » educazione? {Vedute fondamentali = » « Ora questa maniera di parlare è, a dir vero, non poco equivoca. » Si nominano, è vero, con dispregio le sole cosmogonie caldaiche, ìn» diane e cabalistiche ; non si parla dell’ ebraica : ma che intende egli » per cosmogonie caldaiche? io non voglio rilevarne il mistero. Dico bensì » che quella maniera di parlare esclude tutte le cosmogonie, e non le n sole nominate. Se ad una sola egli facesse grazia, se avesse voluto ser» bare l’ebraica, e almeno come documento storico non polca preterirla, » l’avrebbe assai probabilmente nominala. Ma egli vuole che sull’ econo» mia divina riguardante il genere umano si taccia del tutto. Or questo » assoluto, questo profondo silenzio sopra ciò che forma e formerà sem» pre T interesse massimo dell’umanità, e di cui si parlerà sempre, chcc» che si faccia o si dica, nou solo è impossibile, non solo non ista con » chi professa la religione di Gesù Cristo, ma non è degno nè pure di » un filosofo; e chi proibisce a’ suoi simili il ricercare onde provennero e a quale destinazione vanuo, il meno che dir si possa di costui si è, » ch’egli professa uua filosofìa assai povera, e al tutto insufficiente ai hi» sogni dell’ umanità, una filosofia a cui egli medesimo dà ben poco va» loro 5 quando non la crede atta a travalicare di un passo il breve cir» colo della materia segnato alla vita presente. » u E però non fa maraviglia se dica in un luogo, che zz il limite del» r impenetrabile riguarda le cause prime zz {0 pus c. filo s.^ 1), dopo » aver detto che zz l’impenetrabile è assoluto, perchè non si può tra» scendere da veruna potenza umana zz (ivi). E tuttavia fa maraviglia la » maniera onde esclude la filosofìa dell’economia divina sulla vita futu» ra, perocché dice che zz essa non abbisogna delle arguzie della filoso» fia per assicurare il suo trionfo zz (ivi, 41). Anche coloro i quali so» no persuasissimi di questa sentenza converranno meco, che ella non » può essere sincera in bocca del R.: ch’ella pare anzi conle» nere un dispregio affettato della filosofìa, alla quale in tanti luoghi lo » stesso R. commette l’umano perfezionamento. Piuttosto il di» videre sì fattamente la filosofia dalla religione., e il non volere che quel» la si mescoli punto nè poco delle cause prime e degli eterni destini » dell’uomo, potrebbe indurre altri a credere, che si voglia con ciò sta» bilire una filosofia ai tutto materiale, e, mi si permetta il vocabolo per )) ributtante eli’ egli possa parere, atea. » E nell’opuscolo sulla dottrina religiosa di R. (. Apologetica-: « 11 R. dice che zz l’impenetrabile è assoluto, perchè non si » può trascendere da veruna potenza umana zz: e poi dice che =1 impenetrabile riguarda le cause prime zz; e che sulle disposizioni del» l’economia divina riguardante la natura umana zzeonvien far punto » escludendone anche le cognizioni positive e storiche, non solo le fdo)) sofiche. » « Ma il Cattolicismo ci svela l’economia divina riguardante la na» tura umana; anzi non tratta, si può dire, che di questa sublime e » consolante economia, e ci dà in mano dei documenti storici, che ci di» chiara infallibili, i quali manifestano inoltre le disposizioni divine e po» silive circa i destini dell’umana specie. » « Dunque la dottrina del R. in questa parte non si concilia )) colla dottrina cattolica. » Ora se abbiamo ascoltato pazientemente queste amare parole, ascoltiamo anco il R.. Egli nel luogo in parte citato dal Rosmini dice precisamente: = accordo che il mondo della natura non viene compreso fuorché nei rapporti dell’economia divina riguardante la natura umana. c però conTien far punto suUe di^ensa^oni Ji questa economia. E che perciò ? Vorres Le forse colle latebrose vostre cosmologie oc. = Negli O/^ic^^o/a poi ($$9. 40. 4f) cosi saleimemenle sì osprime3 ch’io reputo conveniente riferirli qui, alide dall immediato confron 10 tra la censura rosmìnkiua sopra qualche lrasc ambigua o.° che questo dogma basta per sè solo a far perdere irreparabilmente la causa al materialista; C. che 1 articolo dell’economia divina sulla vita futura, base su cui riposa la sanzione religiosa, trionfa senza bisogno dei puntelli delle umane sottigliezze; 7.‘J che non bisogna confondere ciò che spetta alla filosofia con ciò che spelta alla teologia, ec. ec. Ora domando se tutte queste proposizioni facciano supporre che chi si esprime cosi chiaro ed aperto non creda alla rivelazione. Domando se un luogo oscuro possa essere interpretalo cosi aspramente, a fronte di confessioni di questa fatta. Domando infine se una filosofia, la quale conduce dii la professa a simili conseguenze, possa essere sospetta di ateismo, di materialismo ! Potrei aggiungere, che le oscure parole tanto temute dal Rosmini significano in sostanza, che quantunque si debba ammettere una divina economia riguardo alla natura umana, tuttavolta non si deve spignere la curiosità fino all’ intemperanza, e pretendere di scandagliare colla ragione gli abissi di questa economia. Potrei soggiungere che il cattolicismo, a parlar propriamente, non ci svela V economia divina riguardante la natura umana; ma ci svela solo gli effetti, i decreti, le disposizioni di questa economia, che servono a nostra guida e conforto; mentre quando c’instruisce, a cagiou d'esempio, sulla redenzione, sulla grazia, sulla predestinazione, ce li dichiara misterii incomprensibili all’umana ragione; c T insegnar dei misterii non è certo svelarli. Èri Potrei dire queste e molte altre cose, potrei addurre altre testimouianze del Romaguosi; ma ciò non mi è concesso dalla brevità che mi proposi, e temo di aver violata anche troppo in queste osservazioni ; e non è poi neppure domandato dalla necessità di convincere i più ritrosi della verità di quella proposizione che ho tante volte ripetuta e spero provata, non essere, cioè, anticattolica la dottrina di R. 10 dovrò altresì ritornare un tratto sulle cose dette dal Rosmini in una nota al luogo sopra riferito, ed altrove, riguardo ai Cenni di Romagnosi sui limiti e direzione degli studii storici, e confido di recare altre prove della medesima consolante verità testé accennata. Intorno ai delle Vedute fondam. ec., ; e al degli Opuscoli JìlosoJìci, 1. 11 SERBATI (vedasi) riferendo alcune frasi di questi paragraG, crede poterle interpretare in modo da essere condotto a pensare che la dottrina di Romagnosi penda, e non poco, al materialismo. Io riferirò per intero le parole sue, come al solito; sembrandomi che io dispute cosiffatte il lettore, per giudicare rettamente, abbia bisogno di aver sottocchio le frasi scelte a base dell’ accusa e il preciso tenore di questa. Il Rosmini adunque nell’Opera più volte citata: il rinnovamento ec., adduce le seguenti espressioni del Romaguosi, ove parla del potere della ragione: Quando tu saprai dirmi che cosa intrinsecamente sia la vita, allora pure dir mi potrai che cosa intrinsecamente sia questo potere. Forse fra amendue esiste una comunione ed un nesso segreto che finora non fu rivelato. ( Vedute fond . = ; poi prosegue: « Con dei semplici » forse^s i può trarsi mollo innanzi nell’indagine di un’assoluta certez» za? Per altro queste parole assai chiaro dimostrano, che il Romaguosi » non afferrò l’essenziale distinzione fra il conoscere e il vivere animale ; » e però non vide l’opposizione che il primo tiene al secondo per sì fatta » guisa, che la natura dell’uno esclude la natura dell’altro. Sospettò dun» que che il conoscere sia qualche cosa di simile ad una funzione amma» le; il che solo basta a mostrare che la sua certezza non è concepita da » lui come dotata di vera razionalità, e però non è punto nè poco cer» lezza. » E nella nota così discorre: « Quanta attenzione io credo doversi porre a non attribuire agli scrit» tori opinioni men rette, le quali non appariscano chiare nelle loro » scritture ; altrettanto estimo non doversi dissimulare o velare quello » che v’ ha d’ erroneo e di pernicioso per entro alle opere loro fatte di pubblica ragione ; il cbe darebbe in noi mostra o di vile adulazioue, o di pusillanimità, o di piccolo amore pel pubblico bene. Dirò dunque » di nuovo* secondo il mio costume, assai francamente quello che io » penso della dottrina del llomaguosi: penso eh’ essa penda, e non poco, » al materialismo. Intanto qui si vede, che fra il potere razionale, e la » vita animale, egli non trova una essenziale differenza; anzi vien sospet» tando fra loro una comunione, un nesso secreto. Questo già è molto, » perciocché è un disconoscere nell’ intelligenza quell’ elemento immula» bile e veramente eterno che la costituisce; quando nella vita animale » nulla v’ha che non sia distruttibile. Ma che concetto s’ è poi egli for» mato della vita animale ? Quiudi conosceremo il concetto che s’è for)) mato anche dell’ intelligenza, die con quella sospetta aver secreta co» munioue. Il nostro autore dà manifesto segno di credere che la vita » animale sia un risultamene di atomi e di gaz! In un luogo egli vuol » mostrare che tutte le idee sono derivate. Ora fa Y obbiezione a se stes» so, che le idee hanno de’ caratteri opposti a quelli delle sensazioni, p. )) e. la semplicità. Ma egli risponde, che non si può da questo dedurre, « quelle idee non essere un prodotto di più forze anche estese, perocché » un effetto di nozione semplicissima può derivare da cause cornpo )) stissime =: ( Vedute fondi .); e reca in esempio la vita che risul w ta dagli atomi e dai gaz, sebbene con essi ella non mostri alcuna ias» somiglianza, m Vorreste forse, dice egli, darmi la vostra impotenza a » conciliare le cause delle cose sperimentali per pronunziare sulle ori» gini ? Allora io comincierei col dirvi non esistere vita alcuna, peulu » cogli atomi e coi gaz non posso vedere come nasca la vita. (Vedute ì) fond ., 8 05). In un altro luogo esprime lo stesso pensiere, dicendo » contro quelli che dall’ analisi delle idee vogliono indurne che non ven » gon tutte dai sensi: rz nei composti razionali di unita complessa anno » scomposizioni dialettiche, come se si trattasse di scoprire semplici rap » porti di quantità. Ma è noto che come sotto all’ azione della chimica^ » vita sparisce, e la forza vitale non si coglie giammai; così sotto a ^ » mica dialettica si dissipa la forza razionale, e la generazione m » non si raggiunge giammai in. {Opusc. filosofie). Quesle Pa10 ' non avrebbero nessun senso e valore, dove non si supponesse per c » to, che la vita è un prodotto di elementi chimici, ragionando 1 auloi » nostro così: Come gli elementi chimici e temperati insieme a „ foggia producono la vita, ma scomponendoli questa si perde; cosl scoro » ponendo il pensiero umano, ci restano tali elementi, coi quali non vec » giamo il modo di ricostruirlo. L’ argomento è antilogico, come ogmm vede; e, a (lire solo alcuni dei molti peccati che gli pesano addosso: » 1.° la esso si suppone per certo che la vita animale sia un risultamen» to di elementi materiali: or questo è meno che un'ipotesi, è meno che )) un’affermazione gratuita, è un errore. La parità dunque non vale, non » prova nulla, non esiste in natura. 2.° Nella scomposizione chimica la » vita ci sfugge, e ci restano in mano delle particelle materiali morte. Non )> è già così nella scomposizione dialettica; anzi in questa ci restano in » mano degli elementi vivi, e tanto vivi, che son questi appunto, queste » nozioni e idee, che involgono una contraddizione in terminisi voler» le dichiarar sensazioni. L’argomento avrebbe qualche forza, se dopo » aver noi analizzati e scomposti i pensieri, non ci restasse che seusazio» ni, e ci svanisse tutto ciò che è razionale; allora si potrebbe dire in qual» che modo: ecco qua gli elementi del conoscere: è vero che il razionale » è svanito; ma ciò sarà avvenuto, perocché egli dee essere un risulta» mento di questi elementi fra di sé congiunti, noi non sappiamo in che » modo. All’opposto, facciasi ciò che si vuole, la parte razionale non si per» de mai; sta sempre là innanzi agli occhi dei sensisti, ferma come uno » scoglio: taglia, assottiglia, lambicca; la parte razionale non si fa che più » pura dal senso, più inesplicabile. la fatto adunque riesce per appunto al » contrario di ciò che afferma il R., e prova dirittamente contro di » lui. Gonvien riflettere che le ultime, le più elementari idee non hanno » nulla di comune colla sensazione: ove fossero solo differenti da questa, » si potrebbe Tampinarsi; ma che nature intrinsecamente contrarie sieno » prodotte da altre nature intrinsecamente contrarie, ciò cozza non solo » col principio di causalità, ma ben anco con quello di contraddizione. » Molli altri errori potrei osservare ; ma me ’l vieta la brevità di una no» ta. Raccoglierò piuttosto l’argomento, e dirò: L° il R. sospetta » una comunità fra la vita animale e il principio razionale dell’uomo; » 2.° la vita animale è considerata dal R. come un accoppia» mento di particelle al tutto materiali. Dunque la sua dottrina precipita » verso il materialismo . Recherò altrove delle altre prove della rne» desima increscevole conclusione, e tutto ciò in avviso alla buona gio» venlù italiana. » Abbiamo già veduto nella nota precedente quale materialismo di nuovo conio sia quello del Romaguosi: gioverà però rifarsi un tratto sull’argomento, che è, per verità, di grandissima importanza. Analizziamo adunque le frasi sulle quali il Rosmini appoggia queste sue censure, onde vedere qual senso abbiano, specialmente quando si leghino alle precedenti o alle successive. fu queste parole: quando tu saprai dirmi che cosa intrinsecamente sia la cita, allora pure dir mi potrai che cosa intrinsecamente sia questo jjotere (della ragione), io uou so vedere che il R. sospetti il conoscere essere qualche cosa di simile ad uua funzione animale. Parmi che egli voglia dire soltanto, che V intrinseca natura di questo potere è incognita. com’ è incognita l’essenza della vita; cioè che la natura di quello e di questa hanno ciò di comune, d’essere entrambe iucoguite. Forse (soggiunge il R.) fra amendue esiste una comunione ed un nesso segreto che finora non fu ricelalo. La quale espressione s’ intende benissimo nel senso, che tra la vita e il potere della ragione vi sia un nesso, un legame, una relazione ancora ignota: ma non mi pare se ne possa inferire che il R. non trovasse alcuna essenziale deferenza fra il potere razionale e la vita animale. Tanto più ch’egli tosto soggiunge: ina siccome, a fronte dell' ignoranza dell' essere intimo della cita, si può distendere una igiene ed una chimica ; cosi pare che . malgrado r ignoranza dell' indole intima del senso razionale, stabilir si possano le condizioni dei buoni melodi scientifici, della buona educazione morale, e dei confacenti ordinamenti sociali. Nelle quali parole ini sembra confermato il senso che io credo, fuor di dubbio, doversi dare alle altre testé riferite, e segnata evidentemente la separazione dell ordine materiale dal morale, e non già confusa la vita animale colla ragionevolezza. Il Rosmini stesso nota, che le parole del R.: un effetto nozione semplicissima può derivare da cause compostissime, sono tiatte da quel luogo, ov’egli vuol mostrare che tutte le idee sou derivate. Che ne segue dunque ? Ne segue che quel paragrafo fu inteso da SERBATI a rovescio di quel che suona, perchè l’Autore evidentemente vuol dire, non potersi dalla semplicità delle idee dedurre che uua o più sieno ni nate, potendo bene un effetto di nozione semplicissima 5 coni è il Pcu siero, derivare da cause compostissime, cioè dalla percezione avuta col mi nistero dei sensi e dalle operazioni dell’anima su queste percezioni. L al tributo di composta non si riferisce certamente ad alcuna di queste cause presa separatamente, ma all’azione loro unita; esso cioè significa soltanto il concorso, l’unione di più cause a produrre un effetto semplice. Ciò si conferma anche dalle altre parole di questo medesimo paragrafo, clic cosi suonano: di tutti i pretesi trascendentali si dimostra la genesi dallo sperimentale fatta dall' astrazione e dalla imaginazione. Quanto poi alla similitudine ch’egli nuovamente adopera nel succes sivo nel ITO degli Opuscoli filosofici . tratta dagli clementi della vita, io non disputerò sul suo valore scientifico; dirò bensì dia non so vedere alcuna tendenza male rial fatica in queste espressioni (se mai a tal senso volesse traile ì! Rosmini), perdi è il dire die scomposta la vita si hanno i tali elenìenli* e scomposta la forza razionale rèsta uo i tali clementi, non è confonderò la natura degli elementi stessi, nè dd risultato ddla rispettiva loro composizione. Riassumendo adunque il fin qui detto-, risponderemo allò ultime conclusioni di SERBATI: CR. prende la vita animale come similitudine ad ispirare i suoi pensamenti circa il potere della ragione e non già come cosa che si possa confondere con questo potere* 2° Che la comunità da lui accomiata fra la vita animale e il principio razionale non c identità o somiglianza di natura 9 ma solo nesso, legame fra Runa e Fai Irò ; e quindi, qualunque sia il modo, anche erroneo* nel quale egli intenda la vita materiale, non può questo essere argomento per dire che la sua dottrina precipiti verso il inalemlismo* E, a maggior conferma di Lutto ciò, sentiamo ancora una volta ddh splendidissimo dichiara zio ni del nostro \ li ture. Egli nel ’H degli Opuscoli filosofici cosi discorre sull’idea dell’anitiiik = Studiando sè sLesso, c fissando Y esame sul me interiore, 1 uumo scopre in questo me tre funzioni massime psicologicheQuesto sono? il conoscere i il volere e Y eseguire. Egli sente di possederle m proprio, c quindi le riguarda coniò attributi propri! di sè medesimo. Le dico por essenziali. perche mancando di alcuna di esse non esisterebbe pm >'u tne che iutende* vuole od eseguisce, ma bensì un essere di diversa natura. Queste tre funzioni generali sono tre modi d’essere di una sebi od individua sostanza: perocché l'io pensante sente d'essere uu solo ed individuo ente senziente, volente ed operante. VI non essere non possiamo attribuire facoltà veruna. Ora siccome io scoto di pensare * di volere e di operare: Cosi conchiudo esistere in me un che reale che compie tutto questo. Dall- altra parlò poi sento di essere imo; e però concimilo che questo che reale è un solo ed individuo onte, una sola e individua &n~ stanza-) e non una pluralità di sostanzeCiò è sinonimo di semplice* spi rituale, indivisibile, indistruttibile, cc_Ecco fufea ddftìfniÒHrt. Quésta idea è dedotta da fatti indubitati quanto la stessa mia esistenza : talché il è e mi mento complessivo di questi fatti c inseparabile dal conci:. Ito univoco della mìa esistenza. Questa idea mi soni miufa Ira un’ essenza logica pari a quella di ogni altro oggetto, Tu definisci l’arcimà non in conseguenza della cognizione dell’intima realità, ma bensì della cognizione delle di lei costanti e certe operazioni. la questa guisa ci formiamo il concetto dello forze conosciute della natura. Quando nominiamo la forza motrice, h aLlrafliva, In ripulsiva, esprimiamo noi forse die cosa sicrto in se stesse? No certamente: altro non diciamo, se non che esiste ima forza eli e fa movere, una forza che avvicina, una forza clic allontana, senza saper dire che cosa inlrìnsecameute sienp in se medesime. Un che incognito sfa sotto di questi concetti. Lo stesso avviene rispetto alla cognizione dell'anima nostra. Un che incognito sta sotto di queir io unico ed Individuo, il quale pensa, vuole ed eseguisce ; e però io non posso definirlo se non mediatile il concetto delle sue operazioni da me conosciute. Le riflessioni sono ovvie: il lettore le farà da sii, lo credo di aver detto troppo piu che non era necessario per produrre m lui il fermo convincimento dell5 insussistenza delle accuse di SERBATI (vedasi). I ormino queste Osservazioni rinnovando la protesta che ho latto altre yolle, di non voler cioè recare alcuna offesa allo intenzioni dell' illustre AL Rosmini. To mi proposi soltanto di far vedere il torto elicgli ebbe nel reputare anticattoliche certe prò posizioni di R. Quanto al modo col quale adoperò fame della critica contro un uomo celebre, che non polca piu difendersi perchè era morto, io converrò con tutti essere riprovevole, perchè questo è nu fatto clic balza agli occhi alla semplice lettura dei passi che ho riferito; c l'ammettere i fallì, c II dire ad un uomo voi siete ito ma ^ non è fargli ingiuria. Però siccome anche dai falli altrui possiamo trarre degli utili ammaeslramentì, cosi dai difetti che si scorgono nella polemica rosromiana possiamo imparare, che la polemica anche sotto la penna dei grandi uomini e religiosissimi non perde la sua uattira, di essere facile a trascorrere all’ ingiustizia, e a varcare i confini segnati dalla moderazione. (Sì leggano le Prefazioni alla Genesi del Diritto penale e alle Opere sul diriitto filosofie Ò, e fra queste le Note all’Assunto primo del Diritto naturale) Padova. C tinnì sulla "Vita di G, IX R. Avvertimento deir Editore. LA LOGICA dem/Àe. GENOVESI (vedasi), Ài Lettori l’ Editore . Ragione dell’ Opera (di R.). Prefazione dell’Autore. Proemio Jìdìa definizione della Logica {Aggiunta di R.). Della p&fihìone della Logica (Aggiunta di R.i). Dell1 emendatrice, Ctro Della natura dell’anima «inaila, e delle sue facoltà e operazioni. Della definizione dell uomo (Aggiunta di R.) IL Oidi1 igi larari ?,a3 ddlVrrore e delle prime loro cagioni Ili, Degli ertovi provenienti dal corpo.Delie cagioni de’nostri falsi giudi zìi, clic sono al dì fuori dì noi. DEGL’ERRORI CHE NASCENO DALLE PAROLE. Dell' inventrice. C*.eo L Della natura e delle varie specie delle idee, e forme c noi Die delle nostre sensazioni, c còse dio ne sono gl’oggetti. IL origine o invenzione dell’idee, ossicno notizie delle cose. DELLA NATURA E FORZA DELLE PAROLE. So gl’autori han potino e voluto sempre spiegarsi. Dell'arte dì ben intendere ì libri, chiamata dai Greci Kriìtejteyiic&. Della giudicitricl. Del vero e dd falso in generale. Dd gradi delle nostre conoscenze. In clic ni odo si vuol giudicare pel* Patte stazione dei sensi. Dell' usò ddl'au ter dii umana nd formare i nostri giudizìi. Come si vuol giudicare dd fatti per rapporto ai diritti qhc nr nascono. Della evitica dei libri. PROSPETTO DELLE OPERE. Delle enunciazioni, dette altrimenti proposizioni e come se ne debba giudicare. Dell’altre proprietà delle enunciazioni.Della ragionatrice. Della capacità, estensione ed attenzione che si richiede a ben ragionare. Del raziocinio in generale. Delle usitate maniere di argomentare. Dell' arte sillogistica. De’sofismi. Carattere dei cervelli romanzeschi, fanatici, sofistici . . io! L’arte di disputare. Della ordinatrice. Del metodo, ossia ordinamento de’ pensieri per iscoprire od insegnare il vero . . ina Regole della sintesi, o del comporre.Del metodo analitico. DcH’ordinamcnto delle nostre idee. Considerazioni su le scienze. VEDUTE FONDAMENTALI SULL’ARTE LOGICA di R. AGGIUNTE ALLA LOGICA DEL GENOVESI. Prefazione dell’autore . Introduzione. Del conoscere con verità. Della scienza dell’uomo intcriore. Indicazioni generali. Limiti e tenor pieno della scienza dell’uomo iutcriorc. Studio del perfezionamento umano. Della maniera di studiare e di esporre la filosofia dell’uomo. Avvertenze generali. Avvertenze speciali. Valore delle scienze, dei metodi e del criterio. Del vero e del falso possibile. Del campo e delle funzioni del potere intellettivo. Generalità. Suilà psicologiche. Dell’ operare con effetto. Della causalilà. Della causalità in relazione alla scienza dell’uomo interiore. Causa delie intime emissioni. Delle apparenze. Delle idee innate.Della co gì» mone in linea di fatto. Della legge fondamentale e per pelila del movlrnenli intelleUoal]. Idea della, i a na ragione. Della legge fon sperata nella maniera la più generale iVeeejjiró di ben défhiitv Vi dea di legge. Concetto fondamentale tornirne a quaìtmqjte idea dì legge Quale sia Videa predomiftànte c caratteristica inchiusa nel concetto di qualunque legge. (3uaJe idea ci dobbiamo formare dei rapporti attivi d'onde risulta tefijp Ìvi Inaile applicarmi dell' idea di necessitò, Quale è la necessità che iMendene nd concetto della legge. Primo aspetta della miti ito. delle leggi. Illustrazioni ddh antecedenti veditte fìellt% legge considerata come cagione Della legge considerata come effetto Odia tiunitmé dei due aspetti della legge Etfezione della legge in senso universaleDelle potenze elettrici. Definizione universale della legge . Deir opime in generai e consideralo come legge, Variò a ppiic azioni deU." idea di ordine, Di (piali di e^i parla qui . Prima carattere dell' ordì ne legale. MotipBciia di leggi Seconde carattere dèlt ordine legale Concorso di più leggi pMdurre in comune lo stesso effetto FINE E MEZZI. FINE E MEZZI INDISPENSABILI ALL’ESISTENZA D’UN ORDINE ATTIVO. – H. P. Grice, P. G. R. I. C. E. Philosophical Grounds of Rationality: Intentions, Categories, Ends. Means and Ends. Doppiò carattere che investono le leggi singolari nella supposi zio di un o ridite legale. Legge considerata come norma. Giustìzia universale Che cosa propriamente è la giustizia universale. Come l’idea di giustizia si verifica in OGNI SPECIE D’AZIONE anche fuori delle cose di diritto. liti mutabilità e realtà ncdV ordine. Come si dove intendete che ógni ordine è necessario ed immutabile. Leggi è ordini esclusivi e non esclu/wì. Leggi e ordini di posizione necessaria e non raeccjwìz’in. Del l ' arte ivi 5.^0 Neees&ttà delle relative nozioni ÌVecejfitò madre delTarte.Ufortsifc conrcgueiUe. Quaìltó importi una definizione analìtica dell arte Entro quali D'iprUisì restringa qui la trattazione.Sua mira universale. Primo Miri bùio dnll’a rie. Imputa /ione morale. Primo giudizio nascosto nella nozioni dell’arte, Imputazione Azione reale dell arte. Suoi caratteri proprìi . . Timi. PROSPETTO DELLE OPERE Presunzione che interviene nell'idea detrazione dell'arte. Precognizione e libertà essenziale all'arte . Differenza fra l industria delle bestie e l'arte dell'uomo, e fra gli altri atti di lui ucConseguenza per distinguere la scienza dall'arte. Differenza fra l'arte e le operazioni così dette naturali e le avvertite. Passaggio all' efficacia dell'arte. Secondo attributo, bfficacia. Sue condizioni essenzali. Donde si deduce l’esistenza o la mancanza della potenza artificiale. Definizione di questa potenza. Come l’efficacia venga associala alla nozione di arte. Distinzione fra la potenza virtuale e la effettuale. L’arte non puo essere che effettuale. Efficacia reale e presunta. datura puramente contingente e relativa dell' arte. Sua opportunità. Elementi dell' efficacia dell'arte. Terzo attributo dell’arte. Direzione. Elementi costituenti di lei . applicazione loro all'arte come ente morale. Del magistero. Sua definizione. Parti del magistero. Educazione madre di tutte le industrie. Sua necessità $ sua definizione . Tre stati dell' industria. Torma conseguente della causa delle arti . Stato personale e cause originali della direzione delle arti. Definizione risultante dell’arte. Sua derivazione dalla natura e soggezione perpetua a lei. Definizione dell'arte come funzione . Famulato reciproco della scienza e dell'arte . Connessione loro inseparabile . Derivazione originaria loro. Principio vitale del pensiero Occhiata retrospettiva sulla ragione umana . vf Reazione dell arte sulla natura. Emancipazione dalla cicca fortuna. Impero conseguente umano .Concorso delle società e dei secoli per fondarlo ed ampliarlo Predominio della natura tuttavia assoluto . . Necessità perpetua della connessione, dell'opportunità e della continuità nelle opere dell'arte. Conseguenze pratiche pei tempi piu illuminati Universalità delle leggi di fatto dell'impero della natura rispetto all' arie Fiducia nel regime della natura a' tempi della coltura maggiore. Dei. provare con certezza. Nozioni prime sulle prove. Prima idea della prova e dei mezzi relativi. DELL’INFORMAZIONE [cf. FLORIDI, GRICE, SPERANZA] e della sue specie Dei man i di prova e dei loro gen ti ri . Dal valore delle prova. Della certezza ? della probabilità e del dubbio* h„ 'Delle diverse q udì ifc azioni date ai giudi ili di fatto in conseguenza del vaio jv dalle prove Fdmenii dell’INFORMAZIONE (Grice, Floridi, Speranza). Estimazione delle prove. Delle presunzioni) della vcrisimigliànza e dell’inverishniglianza. Fondamento universale e primo dell' impero delle prove . Effetto comune ddl' accertamento sperimentalee del tradizionale. Necessità di occuparsi qui del tradizionale . 1 »> fin» Dell: 'accer tomento tradizionale e. de1 suoi fondamenti. Estensione ed importanza massima delt accertamento tradizionale. „ Come fi generi là credenza. Cke cosa tacitamente supponga la credenza. Deli integrità. c verarità della notizia dì H. Defmìmne &W trictt'ifi-iriéjtfo -Pimio di vista da trattarsi qui . Estrèmi contrarii entro cui sta F incivilimento. Aspetto logica V. idea sommaria della viift di unii Stato incivilita . Economia fondamentale di lei .Effetti civili Jt/OÌ Vr Come intendere si dove che uno Stato puo andare effeituàn, volta c soddisfacente convivenza. Detta colta e soddisfacente convivenza . Cvndhiotù assolute della soddisfacente vita civile. Per quali mezzi r con quali impulsi è avviata mi inoltrata a vr degli Stati j(J \ [ ! . Poi r ri vitali degli Stari e rispettivo antagonismo ed ac renio a q J paludi . {10 /[S2 l’HOSI'KTTO IJKI.Li: OPERI: l(W(ì VJN Procedimento originario detti nei vili menta. rHmo modo .png-, ij-a j \'1V tanti nunzio rtt Umt dell opinione di potenze iimsìàilì. W. Cvnlimuizittrir F due azione untale à'h& inciampo ad emanciparsi . ijii \V I. Stcù/idù mòdo dei procedimeli fu origintinu dell tneivilìmenia TRi?f5ECU Quali sie.no. Della Protohgia . 3ieiìiiìEÌpJìe . 1 7 emcrità dialettica dd trascendentalisti. , / niosa mauiertt di studiare i fatti ' Ultimo eccesso trMcendentahu Circolo illusorio. Causa naturale di questo eccesso. Nodo capi tuie di tutte le questioni. Soluzione fondamentale dì tutti i sommi problemi. Grave ommisdone anche oggidì praticata nello studio del pennuto. l)i unti, filosofia dd sapere umano positivo. Sua alleanza, colla psicologìa. Istanza fattane dal pubblico. Come si debba e possa soddisfai a questa istanza. Co tuli zi u ni uuusegueaù di questa filosofa. Esposizione storico-critica dei Kantismo e delle consecutive dolivi. Cniduuiaziotie dell' Articolo precedente. QuesiicÉ. sulle apparenze tisiche sull’ esteti sione e sulla durala 5i8 5 ig 530 5a t Si2 ivi Sji.I &2& a filosofia. L? a b ite S5'i 5> 5gt Co i5(i5 iUì:>,4 ^74 Orano sul talènto logico che può servire di sviluppo a qualche luogo delle Veduta fondamentali sull’arte logica. RICERCHE sulla validità dei giudizu DEL PUBLICO A UISCERNEUL n. VERO DAL FALSO. Ai Lettori V Editore Esposizione dui quesito. Imparzialità e rispètto dell Autore. Stato della quistioke. Supposto del quesito. Ordine delle ricerche. Considerazione di que* rapporti ohe possono servire a determinare lo stato dulia qm&uone. Delta testimomanza del pubblico. Della credenza del pubblico. Del gusto de! Pubblico. Della opinione pubblica. Della nozione del pubblico. Del modo del grildicu del pubblico. Vili, Ri capitola zio rre . P«£7av nJJ rji 74. 7 4 li rM Soi,i:z.io-ìk pel questo. I. Risposia al quesito. Esposiiionc delfaspeSio preciso cui è d'uopo di chiamare ad esame. Qual genere di prova ri eh legga si dall1 indole del quesito. Inefficacia dèlia prova tratta dai soli fatti. Teoria sulla fallibilità perpetua dei giudicii del pubblico. Modo di dimostrarlo. Di LI ti CHE L* UOMO NK CES SA RI Attente R et &K E IRA l SI R* T E DEBBA CONtMUUIHE r£E CflKOSCtUt LA VERItL I, Sialo delle verità in generale [L Delle yerllà semplici. Dell’evidenza [Cf. Grice, “Do not say that for which you lack adequate evidence”]. Che lT evidenza può appartenere a nttte le Utenze. Del metodo ad ottenere l1 evidensa. Necessità n^olttta di e quindi dui metodo opportuno alla cognizione della verità DcLl'uomo superiore al suo secolo e delEuomo prontamente celebre. Esclusióne delle verità per sk evidenti dalle ricerche del programma. Avvertenze sulla necessità di Umiiarc le nostre osservazioni a quei rapporti generali delle venia complesse per cui reminosi necessarie cel le operazioni dello spirito umano a ben comprenderle VII. Dello coesioni c delle dipendenze fra le verità. Deir attenzione 0 della dì lei natura - Sua necessità a fissare le ideenella memori. H VILI. Coni in nazione. Necessità thW attenzione a formare le idee astratte c 1C generali, Necessità dèi segni e dell’intensione per conservarle. „ IX. Co sitimi azione, Altre riflessioni sulla necessità della Udizione analitica a formare le idee generali. Necessità dell1 astenzione analitica nella deduzione dei rapporti ipotetici e nella perfezione delle opere del bello. Perchè l’uomo debba uecesBàrlamcnlc contribuite dal ruoto suo tmir le sovra enunciate operazioni a fine di co uose ere la ve ri La qSÌi, 7 -M,S5 l6!» n* 1 t ] * j'ó X I f xm. xii r ÀKT. FU US PETTO DELLE OPERE Quìstiorjt' itillu necessita dell# nozium e dei principi! generali ad ar rjyr^ttrc U cognizione dei veri rapporti delle rose . pa Necessita d Lina breve analisti Ielle idee generali, onde scoprire Ea ragione per cui I uomo ne abbisogna a conoscere le retila. Degl] oggeili sìmili. Degli pagelli di unn scambievole differenza totale, . lidie nozioni generali degli oggetti di rassomiglianza parziale. Occasione di esaminare le nozioni ontologiche Degli universali e della loro vera estimazione . ^ ornlamtmio d estensione della necessità delle idee generati, . lidie regole proprie alle nozioni ed ai principi! generai»,, onde relUiniente ragionare. Ricapitolazione delle condizioni nei escane allo spirilo umano, onde ro tiosevrc t) giudicare della verità . Appendice suda memoria. Delle quali là della memoria relativamente alla it matta ragion evclezza. Del potere della natura e dcllVduciiziouc sullo spirilo umano. Di pcnu.0 ciie possono vvxi eri comi ni feH CONOSCE HK 11 VélllTi. Nccessi li dei molivi all’ i sere r zio dtìd’aUenzionr. Ostacoli e Ima? Proporzione tra la forza dei motivi e l’cnergra iMI'at tensione Corrispondenza lia la direzione daU’attenziottC e la drittibuziané dei molivi sugli oggetti. Cagioni degli errori. Fonti elei motivi dell1 attenzione. Cognizione fortuite della verità. Probabilità somma delD-muc tttì grudieii umani T, Del lume della ragione Falli bili là maggiore intorno alle idee generali Passaggio alle clrtosianZB di fatto sodali Quali possono essere in società Ircosi enti e generali cagioni cieli* i«iruzione umana? Aspetto della ricerca presente. Confermazione della fallibilità perpetua del giudici! del Pubblico. Prime prove deU* etì attiva fi i ronie loro SlliblM » Con ferma zio ne del Capo precedènte, Errori frequenti ed inevitabili del Pubblico in ogni genere dello scibile, in qualunque epoca ni' Ila ' | u :j I e. Il maggior mimerò di una .^n. irtà rum nc perluiia metile istrutte. . v n . Delle condizioni necessarie alla propagazione -lei lumi. . Efscontro delle cognizioni necessarie all" istruzione scientifica coi!» pr&J lice possibile del Pubblico . t >t E Dette condizioni necessarie affinchè uìl Pubblico possa mhh* passivamtMù istruì io in pratica su dt un genere speciale di sógni* zimu. Prima condizione: Jhéùtiùiie delie idee, dd genio alla misura comune di condire. Ripugnanza dd gufilo a questa ridati o ne i ostacolo alla pronta propagazione dette verità li ÌYoecsshù detta coincidenza. delle scoperte dd gemo col genere attuale dette occupazioni del Pubblico, prima condizione a propagare senza ritardo la verità . ( f1' ivi iM 7«D A 79J 8oi finti Sia Si 5 S»7 Suo 2 2 84 Hji.j 83 o 83a m 838 S3q B-J ’S A h, t Esame della prima età detti società relativamente alt' istruzione umana . Esumi' delta seconda età delle società, relativamente distruzione umana . Delle affezioni sociali virtuose. Loro origine . Dell intemperanza morale. Dello stato morale rapporto allo spirilo ed al cuore delle società nel periodo della seconda età > 5» ^1) Vili, Continuazione dell' Articolo precedente . “ Esame di quel tratto dell' età dell imaginazione che pià ai avvicina alla mgiozMTO' lezzo ernie . In qual senso fi debba intendere V espressione^ che i popoli in quest' epoca non hanno le pozioni della morale. Perché 2u cógniaian&' delle vere regole speculative della morate debba essere assai laida e dilfidlc a scoprirsi nelle |M>pd|^xioui . . . 88a A ut. I. Che debba far l'uomo per discoprire le fregole speculative della morale. Se gli uòmini nell epoca barbara della imaginazione possano co nosperc le regole della morale . Necessità di conoscere la base della certezza delle cose dì latto. Ricerche relative. Dei giudicii deu Pubblico sui fatti esterni. Paute [metafisica nnm y^jucirà. (Xro 3. (Questioni sulta veracità del Pubblico. . Il, Tràine dpP idealismo. Delta prima idea - . UT, Corttiuua&ifiue, Dello idee posteriori. Couimuaziottc, Con l’erma zi one deiCapi antecedenti . Obbiezione. Esame del fondamento delP armo nia prestabilita comune utL1 idealismo Jp0 Conferma z ione dei precedenti riflessi Osservazioni Su IV unità deh T essere pensante. Applicazione delle idee del Capo antecederne alta esistenza reale de gli oggetti Inori dì noi Della cognizione della iiainra dello cose, n D1,J IX, Co rdc ma alone del Capo antecedente . Certezza invariabile ne1 nostri giudici! per rapporto allo stato reale del le case nella totale ignoranza della loro natura Dell' esistenza degli alivi uomini »* {P-s Ita PROSPETTO DELLE OPERE Capo XII. Della convenienza ilei giudicii ili sensazione fra gli uomini Limitazione . • . rton . y-*7 Nozione filosofica della verità di sensazione. Deirunico metodo a scoprire le verità di fatto ossia la realità . Deila parte morale della veracità [Grice: Do not say what you believe to be false – try to make your contribution one that is true] Capo I. Principii della credenza c della critica rapporto all'esistenza dei fatti. „ g3i II. Fondamento generale dei principii riguardanti la credenza dei fatti. Schiarimento. Quale specie di certezza vada annessa alle testimonianze umane . „ q\o VI. Gradazioni della credibilità. Della credibilità in favore del Pubblico. „ g{i VII. Continuazione . g^ó Vili. Se la credenza del Pubblico possa servire di prova alla esistenza di un fatto . . g4 j Se il Pubblico comunemente inteso, c quale sopra lo abbiamo definito, possa riuscire generalmente giudice autorevole di verità Come, quando, in quali materie e fino a qual segno IL GIUDICIO CONCORDE DI MOLTI s’ ABniA A TENERE PER UN CRITERIO DI VERITÀ. Preliminari e generali teorie. Capo 1 Dove sia fondata l’autorità attribuita al giudicio concorde di molti intendenti sopra quello ili uno o di pochi privati . Conciliazione del Capo precedente colle cose dette dapprima. Necessità di esaminare il ragionamento precedente . 9ja III. Che, in forza di sole generali c più favorevoli considerazioni, il g>" dicio dei dotti tutt'al più esser può un criterio probabile, ma non ^ certo, di verità Quali precisi supposti racchiuda la tesi che attribuisce al giudicio di molti intendenti una maggiore presunzione di verità che a quello di un privato . » 9° VA quali confini venga ristretta l’idea del Pubblico intendente, ossia della repubblica delle lettere . 9J7 SEZIONE II. Esame delle questioni proposte nel Ciro 1^ • della Sezione precedente. Verificazione del primo supposto. Del mozzo infallibile a scopile la ^ verità .Degli errori nelle materie complesse IV. Come il metodo sopra accennato escluda tutti i casi possibili dell cr rore ed abbracci tutti gli accidenti della verità. Di quali errori e di quali verità . V Continuazione. Come il metodo sovra esposto escluda tutti i casi ^ possibili dell’errore ed abbracci tutti gli accidenti della verità • » 9 iJ Art. I. Effetto ed estensione dell' efficacia dell' accidente sulla cognizione della verità . Come il metodo gradualmente analitico e recapitolante escluda i PaS . casi dell'errore, e racchiuda tutti gli accidenti favorevoli alle verità di riflessione. Che il metodo e le leggi dei giudici! e dei raziocini! delle cose sensibili s’applicano rettamente a qualsiasi mateiia. Degl’aspetti diversi sotto i quali si può assumere il giudicio del pubblico. Che in qualunque epoca della ragionevolezza esiste una cagione comune a commettere errori simili e durevoli. Della prima epoca. Filosofia volgare. Della distanza che i progressi dei lumi frappongono fra il popolo e la repubblica letteraria. Che il giudicio sulle materie complesse potrebbe al più avere validità nell’epoca dei maggiori lumi quando deriva dai pochi versati specialmente nelle materie intorno alle quali s’aggira il giudicio. Dei contrassegni – GRICE, SEGNO E CONTRA-SEGNO -- esterni ed ovvii per riconoscere il secolo della maggiore scienza. Della seconda epoca della civile ragionevolezza. Della scoperta delle verità. Osservazioni preliminari sulla promulgazione dell’opinioni, e sull'accettazione fattane dal pubblico. La decisione e la scelta del pubblico intendente può esser fallace. Che la concorde uniformità o la moltiplice diversità dei pareri su di un dato oggetto non può servire di contrassegno – GRICE, SEGNO E CONTRA-SEGNO -- certo per indicare piuttosto la verità che l’errore. Quale validità aver possano i giudicii del pubblico per accertare della verità. Dei diversi gradi del loro valore. Analisi del senso comune [cf. H. P. Grice, “Common sense, scepticism and ordinary language”] Dell’uso pratico che in generale far si deve del giudicio del pubblico. Come si puo il privato accertare dell'esistenza del primo requisito necessario alla validità dei giudicii del pubblico. Delle regole riguardanti l'uso dei giudiciidei pubblico per rapporto all'imparzialità del cuore ed alla loro promulgazione. Su QUALI MATERIE I GIUDICII DEL PUBBLICO POSSANO O NON POSSANO ESSERE RIGUARDATI PER UN CRITERIO DI VERITÀ. Prospetto generale delle materie dei giudicii del pubblico. Divisione generale delle scienze. Radici dell'albero enciclopedico. Nozioni direttrici per determinare in quali materie il pubblico può recar giudicio autorevole. Del vero e del falso speculativo. Separazione del vero e del falso speculativo, di cui il pubblico /-7I r-i/j orrli itiifi T'pf'ni ' tri urli CIO 10D4 pub giudicare, da quello di cui egli pub recar giudicio. Del vero e del falso speculativo nelle materie di fatto. Del vero e del falso speculativo nelle materie d’inflessione. Del giusto e dell’ingiusto. Del bello e del turpe. Delle rivoluzioni del gusto del pubblico. Effetti delle rivoluzioni del gusto a prò dell'umana perfettibilità Della distinzione e combinazione fra il bello e l'interessante, considerato come cagione dei giudicii del pubblico. PROSPETTO DELL’OPERE Del bello per se ossia considerato separatamente dall' ittterefsa flit, jiit^ S r-}f>I[a differenza dei giudica intorno al bello reale schietto Delle specie diverse del bello e dèi valore del gl lidie ii del pubblico iti torno ad esse. C^o VI Bel giudi di del Pubblica intorno »U*u(ilu ed a! nocivo,, Ur E Dei giudìcu del Pubblico intorno all utile ni al nocivo fìsico . O. Dei giudici i del Pubblico intorno alle materie politiche. Della legislazione. Dell applicazione delle visir legislative alla pratica. II. DO merito . A ut. I. Dei giudìcii del Pubblico sul merito per rapporto alla cognizione che ne puh avere li, Dei giudica del Pubblico sul turrito considerato nei rapporti della dì lai stima Nata dei primi Editori. Aggiunta alla tedili a del bello. Legge del In continuità. Avvenimento dell' Editore DELLO INSEGNAMENTO ^PRIMITIVO DELLE MATEMATICHE Dedicatoria deli’ Autore., Motivo dell' Opera. Sl.L],’ IMiqLE E GtxLfLAZIDNJt iNATt «ALE nti PII IMITIVI CONCETTI MATEMATICI. Necessità di ctìaofe-tTc l'indole e Ih gtmertìztone degli etiti ma toma ilei . Genrtazìàpc naturalo delle idee del punto e della finca . Che il punto matematico non é i] principio roAMiiE della figura-, ma è la stessa figura, 11 Delle essenze logiche c del possibile ideale . Dei [‘esteso finito e figurato. Limiti Grandma e piccolezza, CoTo^gcandiro o dopa -cu li re non si altera il carattere formale della Sgm^ Fallacia dd concetto della divisibilità infinita ddfesteso finito, DimustraKiune logica diretta, {.jome nasca il giudizio ddla divisibilità infimi» de llf esteso finito. Sua ir ragionev a ìczzu, . Si conferma fa dimostrazione di questa irragioncvolezza ., che la pretesa Infinità sudile! u altro in sostanza non à clic la impossibilità di cangiar l'essenza logica della quantità . Da ohe deriva I illusorio giudizio dòli' infinità dell’ esteso finito. Assurdità del concetto fefjl I IDJ f Eoi no; lira ivi 1 j i4 1 e e a ufi ili; ! I I Cj I I iO ivi 112 1 I V ii 1 1 rH I Uà I>*7 contenuti; in questo volume. Delle vere Retraziont mote maliche wajj ^ , Legge universale dì associazione dei concetti geometrici cd aiiMnetìd Distinzione fra 1' idea di estensioni e quella della materia. Virtù logica fondamentale dell'idea d’estensione, identità e diversità in un punto solò rt a r33 Tki. Senso preciso della commensurabilità co-esistenza in uno stesso oggetto dei ili versi rapporti di simigliEmza, ragione, proporzione, coni me usura biUtiiK esempio. Delle quantità poste, dello imprestate, u dèlie logie die intervengano ridi'osarne della quantità stessa Dd senso integrale e del senso differenziale in generale natura dell’idee ontologiche loro connessione coll’ideo Mnienifl tiche jj itc della sfera delle matematiche considerata nella loro fonte primitiva psicologica s» S j(>. od concetto dell’unità complessiva. Come si concili i col senso discretivo. „ t i4c> distinzione della dammènsurahiltlà dalla 11 ni Inabilità 1 f4a ttm al if\ .Suli/ oggetto, sulle parti e svi, lo spìrito belle dottrine ZIàT ematiche passaggio dalla contemplazione metafisica od isolata alla speciale c di fatto della quantità. Concetti nuovi c reati che ne nascono necessità di questa con torri pia-zio ne speciale e di fatto per ottenere la piena scienza cd il calcolo ctàoàcé, indole e leggi della quitti irta di fatto aniirhità dello slml io sull’indole e sulle leggi proprie della quatti. Sub in terra zinne necessità di ripigliarlo come dov’esser fatto questo studio oggetto logico immediato di questo studio natura della quantità mezzi e modi di questo studio uso del calcolo primitive naturale Il significare naturale primitivo il significare artificiale secondario GRICE distinto dal secondario artifìciale oltre di rilevare i fenomeni della quantità si deve far avvertire ai movimenti nostri interni ordine delle ricerche sui fenomeni della quantità distinzione della parte estensiva dalla parte operativa della dottrina definizione generica del calcolo. lt4q „ I* crollò sìa necessario il cale ole Come nacque in prima il calcolo e si perfezionò m5o „ 48Necessità dell'analisi filosofica – philosophical analysis was in everybody’s lips – Grice -- del calcolo Necessità di conoscere ciò che si deve ommetterc n ciò che ei deve fare Esempio, ivi un. Dei doveri negativi. Della laro cognizione. Forza dai doveri negativi [Grice, IMPERATIVES, conversational, “Do not...”]. Con quali principi! debbono essere discussi c stabiliti Sa, Primo dovere: non confondere il sensibile fisico co! Lesto gii abile, Esempio M Sa. Dovere fon d amen tal e negativo uni calcolo degl’escogitabili Esempio Principio logico del detto dovere negativo. CAUTELA FILOSOFICA – “My motto” – Grice -- conseguente. Di ciò che far si deve. avvertenza: conoscere il perchè di quello che far si deve 1 iG.| I f>2(> confutazione della massima dell’empirismo cieco pai cenno di una massima positivo-fondamentale per farle del calcolo di valutazione degl’escogitabili. Dei concetti mentali che intervengono nel calcolo del concetto complessivo del medesimo del magistero logico del calcolo sua affinità col magistero generale scientifico esempio spirito eminente ed ultimo del magistero del calcolo dell'intervento dell’idee d’eguaglianza e di disuguaglianza distinzione fra la differenza assoluta e la distanza dell'eguaglianza del vario concetto del più e del meno che interviene nel calcolo del paragone dei disuguali e di ciò che allora avviene nel nostro spirito mezzo censeguente di valutazione suo principio fondamentale logico ed unico omogeneità conseguente ripugnanza e falsila positiva matematica dell'algoritmo infinitesimale principio preservativo dagl’errori e dalle frodi universalità d’una stessa legge segreta che presiede al calcolo condizione di ragione del calcolo universale sul postulato fondamentale del calcolo infinitesimale deli unificazione [Grice, AEQUI-vocality thesis] matematica si LOGICA CHE MORALE in quanti sensi si possa prendere la parola unificazione presa come operazione di calcolo, che cosa significhi se si possa proseguire ad unificare come si prosegue ad enumerare l'unificazione appartiene al senso integrale da ciò nasce l’implicito scambio irragionevole dell’IMPLICITO [cf. Grice, IMPLICATURA], sia colla quantità impostata sia col nulla assoluto predominio naturale del senso naturale implicito nella unificazione ragione intellettuale che caratterizza l’unificazione – Grice: “Why I love Occam’s razor!” del mezzo logico dell’ unificazione della continuità e quindi della maturità degl’estremi e dei medii unità varietà e continuità delle cose naturali insufGcienza relativa del calcolo oggidì usitato spirito filosofico del calcolo d’unificazione conseguenze pel metodo dell’insegnamento primitivo obbiezione contro la possibilità del calcolo d’unificazione a quali condizioni soddisfar debba la soluzione dell’obbiezione proposta della metafisica del calcolo iniziativo osservazioni per tiovaic 1 mezzi termini sostanziali di questo calcolo dell’uno misuratore e delle quantità indicate e sussidiarie considerate in sé stesse dell’elemento sostanziale della continuità delle diverse specie di commensurabilità e d’incommensurabilità del mezzo di valutazione considerato in sè stesso dell’incommensurabilità spuria suo uso nelle matematiche conseguenze per fondare la possanza del calcolo iniziativo sinottico rimento proposto tavola posornetrica Spc- Concorso del curvilineo e del rettilineo per valutare le grandezze estese, e quindi fondare il calcolo sinottico dell’unificazione magistrale in che possa e debba consistere come riguardare ed usare si debba dell’implicito dell’unificazione morale delle matematiche considerazioni generali sul metodo dell’insegnamento della scelta degl’oggetti dell’istruzione primitiva matematica in mira allo scopo morale e sociale di lei distinzione dell’oggetto logico dal materiale entro quali confini versar debba la detta istruzione con qual ordine ne debbano essere presentati gl’oggetti logici taccia a Bacone ed agl’enciclopedisti galli della scienza e dell’arte legge suprema a cui soggiacciono conseguenze pel metodo dell’insegnamento sua triplice opportunità dell’imitazione degl’antichissimi coltivatori delle matematiche processo logico della parte dimostrativa sue funzioni eminenti della funzione di distinguere attitudine dei diversi cervelli delle funzioni sussidiarie al ben distinguere della prima proposta filosofica suoi limiti suo intento suo spirito eminente della forma logica della prima proposta degl’oggetti bando della forma sintetica della funzione di connettere sue condizioni della funzione di esprimere della rappresentazione competente si intellettuale che sensibile delle cose e degl’algoritmi della competenza algoritmica osservazione fondamentale per ottenere la bontà assoluta fatti comprovanti la incompetenza assoluta dell’astratto smodato delle formole competenti se l’algoritmo dell’equazioni sia puramente fortuito della rappresentazione sensibile degl’oggetti e delle funzioni algoritmiche delle diverse costruzioni sensibili algoritmiche utilità dei modelli [cf. H. P. Grice, “A model of conversation”]. Necessità assoluta ed universale dei modelli proposti si conferma la detta necessità lettre à Dagincourt sur les monades et le calcul infinitesimal tratti principali del metodo DA R. PROPOSTO oggetto di questo discorso necessità d’una ristaurazione dell’insegnamento primitivo dei primi fondameuti della ristaurazione del primitivo insegnamento canoni fondamentali osservazioni teoretiche per istabilire i canoni derivanti dall’esigenze naturali della mente umana degl’alfabeti algoritmici PROSPETTO DELL’OPKUK 7G2S degli uMibcti dei quad ilrati V*l «j i s5* dell’alfabeto dèi non q u rada ti t. iab, dei gnomoni e delle differendo quadrate fra ì termini della serie ripiegata osservazioni sui quadrati di eomposmonc peregrina, H [àH, delle prone siila tx? matematiche tacp delle parole matematiche did Limimi' incrociati . w i3a dei binomi] portiti e dei complementi dèlie traforaiazioni prcmdicate tJ sài delle parole composte osservazioni speciali sitile ascisse razionali r sui loro ufficii primitivi.della cornposidione dolio parole di e q 1 1 1 incus uni zio nc lineare quadrata problema risposta dell’analisi delle primi idee mtttewÙUich# nota IT. al suddetto sullo stmli» antro; peto defflÀ ìgèbra nota UT. b! Suddetto sull'uso sumuilario dell'algebra DISCORSO \L P s rtk 1* £ |35, oggetti di questo discorso saggio drirfllgontmo dei coni inni (dittici esempio i valutare d quadrato dell'eccesso della si ing;osia.lc di un quadralo rispetto al quadralo del lato condizioni geometriche alle quell il calcolo deve soddisfate, *T li. costruzione e valutazione del rispettivo binomio incrociato metodo d’assimilazione NT soluzione categorica del proposto problema tre maniere rchuivi'. piu ma maniera o risposta conseguente circa il valore cercato seconda e terza pianterà della l'orma al tornali va quadrata © non quadrata del film pio c dup o della (orma razionale degli dir, ilei, ossia dei non quadrati aritmetici esempio sul riraplo e duplo. i3q. dell’incremento dei quadrati dcU1 mcrerneolò eonliìiutì esclusione assoluta dell’iollrul o, F # ¥ dell’incremento discreto cenno su dì un incremento arcano ,f I. costruzione dell’approssimatore d’equazione legge d'incremento ebe ne. Risulta differenza dell’unità nei discreti alternazione di questa differansia d’unità nei discreti UT azione recondita del lappi-ossi malore nella duplicazione per ctìmìtirre il valore imperfetto del quadrato dell'eccesso ni suo giusto limite. ivi r^Q V.ì taffS i38B i) i5p‘ iqi |qr>«%G 1 |oo j44 1 i 0 s S '. jfì del secondo grado di’assimilazione valutazione preliminare della ragione di quattro a sei, ossia del duplo al triplo esempio d’una valutazione di secondo grado nella valulazioue della proporzione di tre a sette osservazione sulla prova per moltiplica d’estremi e medii essa è di confronto, ma non di stato dei valori dei due binomii incrociati nella detta proporzione di 0:.,, V. esempio della valutazione di secondo grado trovare il quadrato dell’eccesso del quintuplo sul simplo, onde poi servire alla valutazione del pentagono valutazione di secondo grado valutazione della proporzione di 10:.analogia mirabile degl’ultimi risultati di sottrazione colla valutazione di primo grado ricomparsa del primo termine del binomio impostato come nella proporzione di 2:0. osservazioni algoritmiche incidenti prima osservazione il valore del minimo di primo grado è uguale a due quello del secondo e dei consguenti è uguale alla quarta potenza duplicata della differenza primitiva fra il quadrato della media proporzionale e quello del raggio passaggio dal superficiale al lineare della serie di diversi gradi di commensurazione lineare saggio d’una tavola di quadrati dispari fatta a specchio prospetto unito delle serie dell’ipotenuse e dei cateti tutti commensurabili riflessioni relative al metodo sovra esposto dei modelli di proposta e di funzione ossservazione sull’uso del modio aumento dei complementi degli dittici nel passare dalla forma monogrammatica irrazionale alla digrammatica razionale punti capitali dell’algoritmo valutazione del minimo formazione delle tre moli legge di coincidenza ambiguità della dualità come debba essere considerata la valutazione finita dei così detti irrazionali o continui dittici giudizio filosofico sulla valutazione del minimo delle parti del processo di valutazione finita della divisione mascherata onde ottenere un comune misuratore limiti e leggi compotenziali di lei indicazione d’altre grandi operazioni ommesse delle quadrature come si debba assumere lo stato delle grandezze geometriche rettilinee della geometria di valutazione e de’suoi gradi necessità dell’intervento della filosofia per creare la doppia geometria indicata osservazioni sull’opera di Wronski oggetto proprio di questa parte d’alcune nozioni preliminari di Wronski esame delle nozioni preliminari suddette conseguenza pratica calcolo superficiale da quanta cecità la matematica vigente sia dominata secondo Wronski esame della sentenza di Wronski intorno le radici imaginarie delle lacune algoritmiche ulteriori accusate da Wronski PROSPETTO DELL’OPERI; VAI Se nd supposto i^ra:iW n'pe/u/a, M saggio filosofico sull Ugebra plemmLire considerazioni ni esempli riguardatili l'insegaamento primitivo ili questa sciènza, ili a+ ix a, per servire ili appenditi n e sdì io firn caloall’ Insogna* rilento pnniilivo delle M a terna tiri i e il i G J>. JloaucNQ&i* Avvertimento., H f1 PrefaìtiQne . t « Givo L DftlT infide dei calcolo . Uno classi di matematici, A che debba tendere I insegnamento primitivo delle Materna! ielle, Difetti di alcuni metodi Condizioni cui t leve soddisfare rinsegnamento primitive delle Matematiche. Plano di un Corso (IVAÌgcbra demminrc. Della indimene ccm^derma ndsuor rapporti colle Matematiche. Dell’estrazione delle radici dai poi in ornili e dai numeri. Estrazione delia raffici' quadrata dai fnììnamit. Estrazione detta radice quadrata dai numeri. Estrazione della radice cubica dal palìnamii. Estrazione della radice cubica dai numeri. ifjf t4- iLoo 1 Sei» i S H» i b m) .1 NOIE ED OSSERVAZIONI PRINCIPALI AGGIUNTE. Nlu Lo note presegnate con asterisco non sono cicli' Editore. Nella logica di GENOVESI (vedasi). Delle vedute fondamentali sull’arte logica. Sul manuale della storia della filosofia di Tennemann, con supplementi di POLI (vedasi). Sulla metafisica. Sulla vita contemplativa. Sull’utilità. Intorno alle ultra-astrazioni. Sull’economia divina riguardante la natura umana, Sul materialismo. SULL’INCIVILMENTO NATIVO ITALIANO – Grice: “When I started my serious study ino Italian philosophy, I noted that whereas I always took pride on my ‘civilmento,’ Italian philosophers especially proceed in an inverse way: they take pride on the INCIVILMENTO NATIVO ITALIANO, as Romagnosi calls it – I suppose to justify what Italian philosophers should do for their nation!” -prospetto delle opere , Su IT idra dj Db cc. Sullo scopa delle ptinubni da certe iegip a nìIìIL^ aulì animali omicidi. {jt ftiegii Opuscoli lilusoiici. S i, Vedi lt osservai iuni al (Selle Vedute fondamentali, ifiot 3. ^ udì le osservazioni ai dóo e Ibi delle Vedute fondamentali Vedi b osservazioni al 8.', i lìdie Vedute fondamentali . „ ifc'oi J4^> Sulla catena delle eosÉ? e isull'oTiii ne attuale ddl'tìoi verso ec. >t &3(? « V edi le osseryaziijul oi delle Vedute fQiidftnwnudi„ ido5. Dì una questione relativa alla cognaiouo delle essenze 1t 3k|iì, Sulla creazione 63u „ ìSj, Lettera del Prof. B, Poli, tratta dalla Biblioteca Italiana, nella quale espone il piano di una Statistica degli usi pedagogici dei diversi paesi dT Italia.«, 4oó. Cenno sulla Filosofia di De Malslre, u *fi£i .p5 Cenno sulla Filosofia di Condillac. Sull* ecciti Isroo Sul vario significato dell'espressione di timor proprio CORREZIONI E VARIANTI Nella V ilo dell’A ufo ce, mila jjog. vni dopo la linea 2$ 4 fg giucco ia alarne copie il se- gui'tj Lf periodo. Multe accademie vollero ascritto 31 fiomagnosi a] loro consorzio^ noteremo fra tante ¥ Istituto Beale di Francia, die lu nominava suo socio per J a classe delle scienze morali con, diploma ÌH3jk Sì mostri egli ricono- stente ii questo Leo meritalo non comune onore, mandando ad esso Istituto una Memoria intitolata {'edule eminenti per a mmìnìstrtire 1’economìa suprema dei- V incivilimento e lasciandogli colla sua disposizione di ultima volontà una grande medaglia col suo ritratto a cesello, opera dì CESARI (vedasi), che una società di estimatori suoi gli aveva offerto poco tèmpo prima della sua morte. !S e-.: n 1 1 1 1 o un tu s. d u li 1 0 [>e fa SulT insegna jnefltQ primitivo delle Metejfiatiche^ alta pa timi 1 'fc 7 ", yn luogo di dò che sta dalla lin lo alili t(j, dovrebbe leggersi coinè segue I politici poi riguardarono le innova/doni del tempo come attentati di una rea intemperanza, e quindi suggerirono un regime reprimente e retrogrado. Ninno quindi rese omaggio alia suprema provvidènza della natura e a quella di¬ vina i -con ornili, nella quale e rusa sssurda eil empia il supporre cose tra loro cotanto ripugnanti. Più ancorai con questa specie rii morale manicheismo non si avvidero di ragionare secondo impulsi plebei. L'ordine morale fu da loro configurato e e. 1 ~. nella nota. Credo si trovi /en-gi Si trova. lin. ult. co 1 I. nota. si scoprirono/egli scoprì 55 107* » Che giova nelle lata dardi cozzo.1 InJ'. Cauto v. . .penult nota pel punto/sul punto per regola/per la regola uh.. del fato Forse si dee leggere del fatto Veggasi un’espressione simile uh. uota psicologioi/prieologiei a. importanti/importali. Villers Nell’edizione originale si legge it 1600.. Villers f 'eiller. Sembra però clic vi sia errore. Vedi la nota . vedemmo formarsi/si formano penult. nota reudizionc erudizione. Impresso in Padova coi tipi di Sitea. Luglio. S B.N. Ucc I\3hS ‘ S. Gian Domenico Romagnosi. Romagnosi. Keywords: scienza simbolica, scienza simbolica degl’antichi romani, il vico di Romagnosi, la terza Roma, la prima Roma, la prima eta, la terza eta, la logica di Genovese, la matematica, Sacchi, Cattaneo, incivilamento, gl’italiani, la nazione italiana. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Romagnosi," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Romanato: la ragione conversazionale e l’implicatura -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). . Gianpaolo Romanato (Rovigo, 17 agosto 1947) è uno storico italiano.  Biografia Si è laureato in filosofia all’Università di Padova e specializzato alla Cattolica di Milano. Nell'ateneo patavino è stato professore associato di storia contemporanea fino alla pensione. È presidente del Comitato scientifico della casa museo Giacomo Matteotti di Fratta Polesine (Rovigo), presso la quale ha avviato la collana dei "Quaderni di Casa Matteotti". Dal 2007 fa parte del Pontificio Comitato di Scienze Storiche (Città del Vaticano), nominato da Benedetto XVI e confermato da Francesco. È stato relatore in numerosi convegni storici promossi dal Comitato in Italia e all’estero, i cui atti sono pubblicati dalla Libreria Editrice Vaticana. Collabora alle pagine culturali di vari giornali, tra i quali Avvenire e L’Osservatore Romano.  Il suo duraturo sodalizio intellettuale con lo storico delle religioni Ioan Petru Culianu, assassinato negli Stati Uniti nel 1991, è attestato dal nutrito carteggio, pubblicato in Romania e in Italia nella rivista Antares, 18/2021.  I suoi ambiti di interesse prevalenti sono la storia della Chiesa cattolica in età moderna, con particolare riguardo alla storia del papato[1] e dell'espansione missionaria, nonché la storia italiana postunitaria, soprattutto in area veneta.  Opere Libri G. Romanato, Cultura cattolica in Italia ieri e oggi, Marietti, 1980 (con Franco Molinari); G. Romanato, Pio X. La vita di papa Sarto, Rusconi, Milano 1992, pp. 341; G. Romanato, Daniele Comboni. L'Africa degli esploratori e dei missionari, Rusconi, Milano, 1998, pp. 368; G. Romanato, L’Africa nera fra Cristianesimo e Islam. L’esperienza di Daniele Comboni (1831-1881), Corbaccio, Milano, 2003, pp. 454 (edizione spagnola, Madrid, 2005); G. Romanato, Gesuiti, guaranì ed emigranti nelle Riduzioni del Paraguay, Longo editore, Ravenna, 2008, pp. 103 (edizione in spagnolo, Asunción, 2011). G. Romanato, L’Italia della vergogna nelle cronache di Adolfo Rossi (1857- 1921), Longo Editore, Ravenna, 2010, pp. 452, ISBN 978-88-8063-658-8. G. Romanato, Un italiano diverso. Giacomo Matteotti, Longanesi, Milano, 2010, pp. 330; G. Romanato, Pio X. Alle origini del cattolicesimo contemporaneo, Lindau, Torino, 2014, pp. 552, ISBN 978-88-6708-262-9 (premio Acqui Storia, 2015); G. Romanato, Le Riduzioni gesuite del Paraguay. Missione, politica, conflitti, Morcelliana, Brescia, 2021, pp. 412, ISBN 978-88-372-3532-1 (in preparazione l'edizione spagnola); G. Romanato, Giacomo Matteotti. Un italiano diverso, Bompiani, Milano, 2024, pp. 332, ISBN 978-88-301-0785-4. Curatele Religione e potere, Marietti, Casale Monferrato, 1981, pp. 254, in collaborazione con I. P. Culianu (edizione romena, Bucarest, 1996); Chiesa e società nel Polesine di fine Ottocento. Giacomo Sichirollo (1839-1911), Minelliana, Rovigo, 1991, pp. 452; Diocesi di Adria-Rovigo, Giunta Regionale del Veneto-Gregoriana Libreria Editrice, Padova, 2002 (Storia Religiosa del Veneto, 9), pp. 603; Giovanni Miani e il contributo veneto alla conoscenza dell’Africa. Esploratori, missionari, imprenditori, scienziati, avventurieri e giornalisti, Minelliana, Rovigo, 2005, pp. 352; Veneti in Canada, Regione del Veneto-Longo Editore Ravenna, Ravenna, 2011, pp. 318, ISBN 978-88-8063-684-7. Genealogia dei desideri. Pio X nella memoria del popolo dell'Alta Slesia. Genealogia pragnień. Pius X w pamięci ludności górnego Śląska, Atti del convegno svoltosi a Opole (Polonia), 26 giugno 2013, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2015, pp. 248, ISBN 978-88-209-9577-5 (con M. Lenart). Riforma del cattolicesimo? Le attività e le scelte di Pio X, Atti del convegno svolto a Treviso-Venezia, 24-25 ottobre 2013, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2016, pp. 600, ISBN 978-88-209-9783-0 (con G. Brugnotto). L’emigrazione italiana nel Rio Grande do Sul brasiliano (1875-1914). Fonti diplomatiche, Consiglio Regionale del Veneto-Longo Editore Ravenna, 2018, pp. 821 (con Vania Beatriz Merlotti Herédia); 1919-2019. Riforme elettorali e rivolgimenti politici in Italia, Quaderni di Casa Matteotti, 1, Cierre, Verona, 2020, pp. 140, ISBN 978-88-5520-071-4 (con Lodovica Mutterle) Italia 1919-1922. L’occasione perduta, Quaderni di Casa Matteotti, 4, Cierre, Verona, 2023, ISBN 978-88-5520-236-7. Saggi Ricordo di un amico. Ioan Petru Culianu, in Religion, Fiction and History. Essays in memory of Ioan Petru Culianu, Editor Sorin Antochi, 2 volumi, Nemira, Bucuresti (Romania), 2001 (1° volume, pp. 74-152). Lo stesso testo nella rivista “Antares”, Bietti editore, Milano, 18/2021. Le leggi antiecclesiastiche negli anni dell’unificazione italiana, in “Studi storici dell’Ordine dei Servi di Maria”, Volume 56-57, 2006-2007, Edizioni “Marianum”, Roma, 2007, pp. 1-120; Conclusioni, in Euntes in mundum universum. IV Centenario dell’istituzione della Congregazione di Propaganda Fide. 1622-2022, a cura di B. Ardura, L. Sileo, F. Belluomini, Urbaniana University Press, Roma, 2023, pp. 471 – 478. Isbn 978-88-401-9072-3. La Santa Sede e la Questione Romana, in Santa Sede e cattolici nel mondo postbellico. 1918-1922. Raccolta di studi nel centenario della conclusione della Prima Guerra Mondiale, a cura di M. Agostino, Pontificio Comitato di Scienze Storiche, Atti e Documenti, 55, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2020, pp. 371-389, Isbn 978-88-266-0466-4. Missioni, istituzioni e culture. Romanizzazione e internazionalizzazione della Chiesa cattolica in età contemporanea, in A Reforma Teresiana em Portugal, Congresso internazionale, Fatima, 22-24 ottobre 2015, Ediçoes Carmelo, Marco de Canaveses (Portugal), 2017, pp. 363-370, Isbn 978-972-640-156-8. Achille Ratti in Polonia nel contesto del rinnovamento cattolico dopo la Prima guerra mondiale, in Nunzio in una terra di frontiera. Achille Ratti, poi Pio XI, in Polonia (1918-1921) – Nuncjus na ziemiach pogranicza. Achilles Ratti, pózniejszy Pios XI, w Polsce (1918-1921), a cura di Q.A.Bortolato e M. Lenart, Libreria Editrice Vaticana, Atti e Documenti 47, Città del Vaticano, 2017, pp. 23-34, Isbn 978-88-266-0031-4. Conclusione, in "Inutile strage". I cattolici e la Santa Sede nella Prima guerra mondiale, Raccolta di studi in occasione del centenario dello scoppio della Prima guerra mondiale (1914-2014), a cura di L. Botrugno, Libreria Editrice Vaticana, Atti e Documenti, 44, Città del Vaticano, 2016, pp. 695-704, ISBN 978-88-209-9683-3. Adolfo Rossi e l'emigrazione italiana nello Stato di San Paolo (1902), in Roberto Radünz e Vania Merlotti Herédia (orgs), Imigraçao e Sociedate. Fontes e acervos da imigraçao italiana no Brasil, Educs, Caxias do Sul, 2015, pp. 178-203, Isbn 978-85-7061-793-4. Il Sillabo 150 dopo. Alle origini di un documento controverso, "Il Pensiero Mazziniano", LXX, 3, settembre-dicembre 2015, pp. 92-102. Rio Grande do Sul e dintorni nel giudizio di esploratori, antropologi e viaggiatori italiani, in V. B. Merlotti Herédia e R. Radünz (organizadores), História e Imigração, Uducs (Editora da Universidade de Caxias do Sul), Caxias do Sul (RS, BR), 2011, pp. 197-214, Isbn 978-85-7061-610-4. Conclusioni, in La sollecitudine ecclesiale di Pio XI alla luce delle nuove fonti archivistiche, a cura di C. Semeraro, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2010, pp. 441-448., Isbn 978-88-209-8344-4. La religione dell’anticlericalismo, in Alberto Mario nel 1° centenario   della morte, Atti del convegno nazionale di studio, Lendinara (Rovigo) 2-3 giugno 1983, pubblicazione del Comune di Lendinara, 1984, pp. 99-112. La riapertura dell’Abbazia dopo le vicende ottocentesche, in Spes una in reditu. Miscellanea di studi nel centenario della ripresa della vita monastica a Praglia 1904-2004, a cura di Francesco G. B. Tirolese, Badia di Santa Maria del Monte, Cesena, 2006 (Italia Benedettina, 26), pp. 13-29. Da Knoblecher a Comboni. Il contributo missionario all'esplorazione del bacino del Nilo, in Daniele Comboni fra Africa e Europa. Saggi storici, a cura di F. De Giorgi, EMI, Bologna, 1998, pp. 11-53. Le missioni fra esplorazione e colonialismo, in Pietro Savorgnan di Brazzà: dal Friuli al Congo Brazzaville, Olschki, Firenze, 2006, pp. 103-119. Il Veneto e l’Africa nel XIX secolo: Esploratori, amministratori, missionari, “Archivio Veneto”, vol. CLXIX (2007), pp. 203-225. La fine dello Stato Pontificio, in Singolarissimo giornale. I 150 anni dell’«Osservatore Romano», a cura di Antonio Zanardi Landi e Giovanni Maria Vian, Antonio Allemandi & C, Torino, 2010, pp. 39-54. Tempi e opere di Luigi Orione, in Immagini della vita di don Orione e della sua opera, Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona, Tortona (Al), 2011, pp. 19-61. Un intellettuale divisivo e diviso: Ernesto Buonaiuti, in La coscienza divisa. Da Antonio Rosmini a Pietro Prini, a cura di A. Aguti, A. Loffi, W. Minella, G. Sandrini, Dipartimento di Lettere e Filosofia, Studi e Ricerche 27, Università degli Studi di Trento, 2021, pp. 83-103. Da papa re a pontefice universale. La svolta di Porta Pia, in La Breccia di Porta Pia. Raccolta di studi nel 150º anniversario (1870-2020), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2022, pp. 227-245. Un papa venuto dal Veneto, in Il Papa senza corona. Vita e morte di Giovanni Paolo I, a cura di G.M. Vian, Carocci, Roma, 2022, pp. 49-76. L’inizio delle missioni cattoliche in Estremo Oriente. Alessandro Valignano, in Libellus quasi speculum. Studi offerti a Bernard Ardura, I, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2022, pp. 627-64. L’emigrazione italiana nello stato brasiliano di Rio Grande do Sul (1875-1914), “Revista instituto histórico e geográfico do Rio Grande do Sul” (Dossiê 150 anos da imigração italiana), dezembro 2024, n. 167, pp. 55-87. Note ^ Nelson Castro, La salute dei Papi, Edizioni PIEMME, 2021, ISBN 9788858527290. Controllo di autorità           VIAF (EN) 264855493 · ISNI (EN) 0000 0003 9866 267X · SBN RAVV073109 · BAV 495/79221 · LCCN (EN) n82086929 · GND (DE) 136850774 · BNF (FR) cb12240400q (data)   Portale Biografie   Portale Editoria   Portale Storia   Portale Università Categorie: Storici italiani del XX secoloStorici italiani del XXI secoloNati nel 1947Nati il 17 agostoNati a RovigoStudenti dell'Università degli Studi di PadovaStudenti dell'Università Cattolica del Sacro CuoreProfessori dell'Università degli Studi di Padova[altre]. Gianpaolo Romanato. Romanato. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Romanato.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Roncaglia: la ragione conversazionale alla palestra – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Studia a Roma e Firenze sotto GREGORY (si veda) e MAIERÙ (si veda). Insegna a Tuscia e Roma. Si dedica alla storia logica fra il medio-evo e Leibniz. Saggi: “Intero e frammentazione” (Roma, Laterza); Rivista di filosofia dell'intelligenza artificiale e scienze cognitive ; “Palaestra rationis: una discussione sulla copula e la modalità” (Firenze: Olschki); Università Roma Tre. Dimissioni organi consultivi Mi BACT. Note a margine del concorso per CCCCC funzionari del Ministero Beni Culturali: mezzo bibliotecario per ogni biblioteca? E la tutela di libri e manoscritti chi la fa? Tuscia.   Nel parlare di e-book per la didattica, c'e un primo e fondamentale quesito che occorre porsi: il formato 'libro elettronico' e  davvero adatto a veicolare contenuti didattici?   II libro a stampa, lo sappiamo bene, e ormai da secoli non solo  strumento per eccellenza di produzione e trasmissione culturale,  ma anche strumento didattico di primaria importanza: il concetto stesso di 'libro di testo' basta a ricordarcelo. I nostri modelli di  insegnamento sono figli della cultura del libro, e si tratta - a mio  awiso - di un'impronta della quale non debbono affatto vergognarsi.   II libro elettronico, che nasce per trasferire nel mondo dei  nuovi media e dei supporti digitali un'esperienza di lettura la piu  vicina possibile a quella del libro a stampa, sembra un candidato naturale a veicolare anche contenuti rivolti specificamente al  mondo della didattica e della formazione. E tuttavia, a mettere  almeno in parte in dubbio questa apparente certezza sono alcuni dati di fatto che sarebbe sbagliato ignorare.   Innanzitutto, va considerato che esiste gia un vasto spettro di  strumenti informatici e multimediali nati come supporto alia  Una prima versione di questo intervento era apparsa nell'ambito del forum di MediaMente dedicato ai libri elettronici Libri elettronici. Pratiche della didattica e della ricerca   didattica. Si pud anzi affermare che il campo della didattica e  della formazione costituisce uno dei settori trainanti dell'editoria  multimediale. Ebbene, il punto di forza di questi strumenti che  viene piu spesso sottolineato e proprio la loro capacita di superare i limiti del libro a stampa in termini di interattivita, flessibilita dei percorsi, ricchezza multimediale dei contenuti. Se il libro  elettronico si propone di fornire uno strumento di lettura direttamente ispirato al modello del libro a stampa, non vi e il rischio  di riproporre attraverso di esso tipologie di contenuti e modelli di  organizzazione deH'informazione che il campo dell'editoria didattica multimediale ha gia superato? D'altro canto, e a parziale conferma di questi timori, si puo  osservare come i primi libri elettronici realizzati (mi riferisco qui  specificamente al formato e-book, owero a testi elettronici nati  per essere letti su 'lettori' portatili, dalle dimensioni e dal peso  simili a quelli di un normale libro a stampa) rientrino per lo piu  nei settori della letteratura e della saggistica: ambiti di produzione testuale tradizionalmente caratterizzati da un 'organizzazione  fortemente lineare deH'informazione, e da una decisa prevalenza  della scrittura rispetto ad altri codici comunicativi. Si tratta, non  a caso, dei settori che erano stati finora meno direttamente  influenzati dalla rivoluzione digitale, dato che la scomodita delle  interfacce di lettura (il monitor del computer) non era stata compensata da immediati ed evidenti vantaggi nella fruizione dei  testi.   In buona sostanza, la situazione sembra quindi essere la  seguente: esiste gran copia di software e di strumenti didattici  multimediali - in una miriade di formati diversi, ma nella maggior parte dei casi non in formato e-book - ed esiste ormai un Quali ebook per la didattica?   certo numero di e-book, nella maggior parte dei casi non specificamente pensati per la didattica.   Questa situazione impone qualche riflessione. A mio awiso,  potrebbe essere interpretata in due modi radicalmente diversi:   1. come testimonianza di una differenza insanabile fra il  modello di testualita proprio del libro e quello proprio di altre  forme di editoria elettronica orientate all'interattivita, all'iper-testualita e alia multimedialita. Se si accetta questa prospettiva, e si considera il formato e-book come specificamente  orientato verso testi fondamentalmente lineari e prevalentemente scritti, i libri elettronici conserveranno certo una propria e specifica utilita didattica, ma limitatamente alia realizzazione di strumenti testuali abbastanza 'tradizionali'. Corsi  interattivi, test di autovalutazione, sussidi didattici multimediali continueranno ad essere costruiti utilizzando strumenti  diversi dal libro elettronico;   2. come testimonianza della relativa 'giovinezza' dei libri elettronici, ancora limitati nelle proprie capacita e potenzialita  espressive. Se si accetta questa impostazione, l'orientamento  iniziale del formato e-book verso testi prevalentemente lineari  e 'poveri' in termini di interattivita e contenuti multimediali  dipendera sia dalla maggiore semplicita di tali modelli testuali, piu adatti alle prime sperimentazioni con strumenti ancora  tecnicamente immaturi, sia dal desiderio di estendere i vantaggi della lettura elettronica a testi che, proprio per le loro  caratteristiche di linearita e basso contenuto multimediale,  erano rimasti ai margini della rivoluzione digitale. In questa  prospettiva, l'evoluzione futura potra portare a libri elettronici che, pur mantenendo con l'eredita della tradizione testuale Libri elettronici. Pratiche della didattica e della ricerca   a stampa un legame piu stretto di quello proprio di altri settori dell'editoria multimediale, presenteranno un contenuto  multimediale piu ricco, una maggiore interattivita e la possibility di strutturare l'informazione in maniera piu complessa  e articolata.   La scelta fra queste prospettive dipende, come e owio, da due  questioni ancor piu radicali: da un lato, cosa si intenda per libro  elettronico; dall'altro, che livello di ricchezza multimediale, interattivita, complessita ipertestuale si consideri piu adatto a veicolare contenuti didattici.   Si tratta di temi che richiederebbero evidentemente una discussione piu articolata di quella possibile in questa sede. Mi limitero ad avanzare al riguardo tre tesi, piuttosto generali ma non  per questo necessariamente condivisibili. Qualora siano condivise, tali tesi indirizzano - per vie in parte diverse - verso la seconda delle prospettive sopra delineate.   La prima tesi e che, anche se il concetto di libro elettronico  dovrebbe assumere il libro a stampa come primo modello di organizzazione deH'informazione e di fruizione dei contenuti 2, dovrebbe pero nel contempo accettare di interpretare tale modello in  maniera flessibile e non rigida. In particolare, si dovrebbe accettare la possibilitd (il che non implica owiamente la necessita) che  un libro elettronico comprenda, accanto a contenuti testuali,  anche contenuti grafici, sonori o filmati. Perche si continui a par- 2 Su questo tema, cfr. R. Libri elettronici: problemi e prospettive, in  Bollettino AIB disponibile anche in rete all'indirizzo, e  Id., II libro elettronico in biblioteca, Milano, Editrice Bibliografica, in corso di pubblicazione. Quali ebook per la didattica?   lare di libro elettronico (e non di semplice e generico prodotto  multimediale), tuttavia, il ruolo del testo dovrebbe restare fondamentale, in particolare nel delineare il 'filo narrative-' dell'esposizione, e gli strumenti offerti dal dispositivo di lettura dovrebbero  essere particolarmente orientati alia manipolazione testuale dell'informazione.   Analogamente, si dovrebbe accettare la possibilitd di una  strutturazione non lineare ma ipertestuale deH'informazione, e  dunque la possibile presenza di snodi e articolazioni esplicitamente interattivi, nei quali e richiesto l'intervento diretto del lettore per scegliere uno dei percorsi di lettura proposti dall'autore.   La seconda tesi e che - ferma restando la grande varieta di  tipologie e necessita didattiche, alia quale corrisponde una  (almeno) altrettanto ampia varieta di possibili soluzioni sul piano  delle modalita di articolazione deH'informazione e delle scelte di  interfaccia e di funzionalita offerte dai software didattici - il lavoro didattico e formativo vada normalmente associato all'idea di  percorso, e dunque a un processo che, se non e necessariamente lineare, e quantomeno orientato, ha punti di partenza, punti di  arrivo, tappe intermedie spesso obbligate. Cio implica che la  complessita ipertestuale tipica della maggior parte degli strumenti didattici (testi, ma anche corsi interattivi, strumenti di  autovalutazione ecc.) non possa essere di norma troppo elevata 3 .  Chi usa questi strumenti ha a disposizione alcune scelte, ma tali  scelte (a differenza di quanto puo accadere ad esempio nel caso   3 Sul concetto di complessita ipertestuale cfr. R., Ipertesti e argomentazione, in Le comunita virtucdi e i saperi umanistici, a cura di Carbone e  Ferri, Mimesis, Milano, Libri elettronici. Pratiche della didattica e della ricerca   dei giochi 4 ) sono disposte aH'interno di percorsi in larga parte  predeterminati, ed anzi accuratamente studiati da chi ha elaborate) i contenuti del prodotto didattico. Questo tipo di limitata complessita ipertestuale pud bene  associarsi a strumenti 'ibridi' che ereditino dal libro a stampa  una impostazione fondamentalmente lineare a livello di macrostruttura, ma assorbano dalla lezione degli ipertesti la possibility di un'articolazione interna in percorsi differenziati in funzione  delle scelte (e dunque della preparazione, delle capacita, degli  interessi specifier) del singolo utente. Se i libri elettronici accetteranno questo allargamento di prospettiva, potranno rivelarsi  eccellenti strumenti didattici.   La terza tesi e ancor piu generale, per certi versi meno precisa, e forse piu radicale. Ha a che fare con i dispositivi di lettura.  Sappiamo che - proprio come il termine libro' - l'espressione  'libro elettronico' puo essere utilizzato sia con riferimento al testo  e alle sue modalita di presentazione, owero a una componente  strettamente informazionale, sia con riferimento al dispositivo di  lettura, owero all'hardware utilizzato per leggere. Ebbene, ritengo che anche nel parlare dei contenuti, della loro strutturazione  e delle loro tipologie, dovremmo prendere molto sul serio la componente rappresentata dall'interfaccia hardware. Si tratta a mio  awiso del campo piu delicato per l'affermazione dei libri elettro- Non intendo qui negare la possibile utilita didattica dei giochi di simulazione,  della quale sono anzi un convinto sostenitore. Ritengo pero che i giochi di simulazione rappresentino una tipologia piuttosto particolare di strumenti didattici, e  siano in grado di fornire i risultati migliori se integrati anche dall'uso di materiali  piu tradizionali. Quali ebook per la didattica?   nici, e di quelle- nel quale - a fronte della 'perfezione ergonomica'  dei tradizionali libri a stampa - devono ancora essere fatti i maggiori progressi. E alle carenze delle interfacce hardware (oltre che  alia difficolta di individuare standard condivisi e politiche semplici e funzionali di gestione dei diritti) che si deve a mio awiso  in primo luogo lo scarso successo conosciuto finora dai libri elettronici 5 . Gli strumenti di lettura per libri elettronici che si affermeranno in future- potranno essere macchine strettamente dedicate e monofunzionali, ma piu probabilmente saranno - e in  parte gia sono - strumenti che permetteranno di leggere libri  elettronici (auspicabilmente assegnando a tale funzione un'alta  priorita a livello di progettazione deH'interfaccia), ma che permetteranno anche di fare altre cose: ascoltare musica, telefonare, controllare la posta elettronica, e cosi via. Ora, credo che in  casi di questo genere la plurifunzionalita associata a un unico  strumento hardware abbia la tendenza a generare nuovi paradigmi interpretativi 'ibridi' che fondono e intrecciano cio che in  origine era distinto. Dove in partenza si vedono funzionalita radicalmente diverse (libro elettronico, scrittura, navigazione in  Internet, ascolto della musica...), alia lunga si potranno vedere  aspetti e caratteristiche diverse di un unico strumento, al quale  si verranno ad associare connotazioni nuove. Se gli studenti utilizzeranno, a scuola o all'universita, un unico dispositivo di lettura per leggere libri elettronici ma anche per ascoltare musica,  guardare un filmato o navigare in rete, il fattore decisivo non Si veda al riguardo il capitolo dedicato ai libri elettronici in Calvo, Ciotti,  R., Zela, Internet, Laterza, Roma-Bari, e  II libro elettronico in biblioteca cit..Libri elettronici. Pratiche della didattica e della ricerca   sara quale particolare componente software debba essere utilizzata per 'leggere' un determinate) prodotto didattico, ma il semplice fatto che quel particolare prodotto didattico possa essere  utilizzato su quel particolare lettore, su quel particolare strumento hardware. Chiamare o no 'libro elettronico' (nel primo  significato, quello relativo al contenuto informativo e alia sua  articolazione) lo strumento didattico in questione potra rivelarsi  una questione almeno in parte nominalistica.   Cio non significa, si badi, che sia opportuno o anche solo possibile prescindere dalle questioni di definizione e di indirizzo,  limitandosi a delegare all'evoluzione tecnica la nascita dei nuovi  paradigmi di testualita (e di testualita didattica). Al contrario, la  lezione da trarre e a mio awiso che anche gli aspetti di evoluzione tecnologica, lo studio delle interfacce, l'organizzazione delle  funzionalita offerte dagli strumenti hardware, vadano studiati  con un'attenzione specifica, considerandone le ricadute sulle  forme di testualita e sui modem didattici. In altri termini: se  vogliamo (come vogliamo) che gli e-book siano uno strumento per  preservare e far crescere la cultura del testo, dobbiamo essere  noi a mettere i testi nella macchina, dobbiamo sapere che la  macchina modifichera i testi, e dobbiamo pensare che questo  processo puo essere studiato, interpretato, indirizzato. La comunicazione nelle scienze biomediche  di Maurella Delia Seta L'informazione nelle scienze biomediche Preparare un intervento dedicate alle scienze biomediche nell'ambito di un convegno dedicate al libro elettronico non e compito facile. Infatti, mentre in altre discipline il libro elettronico si  e gia affermato come strumento per la diffusione delle conoscenze, questa considerazione non e del tutto valida per l'ambito che  stiamo prendendo in esame. Nel settore della scienza e della tecnologia in generale, e in particolare per la medicina, la classica  monografia (a stampa o in formate elettronico), per quanta sempre fonte insostituibile di conoscenza, non riveste l'importanza  che ha per altre discipline; l'aggiornamento in campo medico  awiene prevalentemente tramite altri canali, tra cui la consultazione di articoli pubblicati su riviste e quello piu comune: la tempestivita nell'aggiornamento dei dati e la necessita di una pronta diffusione dei risultati privilegiano infatti l'articolo rispetto al  libro.   Prendendo spunto da questa considerazione, in questo lavoro  si esamineranno le principali tipologie di fonti informative in  ambito biomedico, soffermandosi in particolare su quelle in formate elettronico e sulla loro diffusione in Internet.   Come primo punto e opportuno interrogarsi su chi ricerca  l'informazione medica in rete. Da una parte il medico o il ricercatore, dall'altra l'uomo della strada, il paziente o i suoi familia Libri elettronici. Pratiche della didattica e della ricerca   ri: le esigenze di queste due categorie di utenti sono diverse e  diverse sono le prospettive e le fonti a cui rivolgersi al momenta  di effettuare una ricerca.   Per quanta riguarda l'utente non specializzato, e stato calcolato che "ogni giorno nel mondo vengono condotte su Internet  dodici milioni di ricerche sui temi della salute, che il ventuno per  cento degli europei, prima di andare dal medico, consulta la rete,  che nei paesi occidentali il trentanove per cento dei malati di  cancro cerca informazioni online. E anche noto, pero, che la  ricerca di informazioni mediche in Internet non sempre riesce ad  ottenere i risultati desiderati. Benche la ricerca di notizie su  argomenti delicati come tutti quelli che coinvolgono la salute sia  una delle motivazioni che piu frequentemente spingono al collegamento in rete 2, la semplice immissione di un termine medico  in un motore di ricerca produce spesso un numero di citazioni  elevatissimo. Non sempre, come e noto ai navigatori Internet, cio  che piu potrebbe interessare compare tra i primi risultati, ed e  quindi inevitabile lo scorrimento di pagine e pagine prima di  riuscire a ritrovare informazioni valide e pertinenti. Come orientarsi quindi nella scelta di risorse mediche, come giudicare quali  siano attendibili e come districarsi nel mare magnum del Web?  La necessita di strumenti di guida e orientamento e tanto piu   1 Riccardo Renzi, Internet e salute: come districarsi nella rete, in "Corriere Salute" La medicina e anche l'argomento piu trattato nei media, nelle trasmissioni televisive e nelle rubriche scientifiche dei quotidiani. Si veda, a questo proposito, B.  Montolli, Osservatorio permanente sulla comunicazione scientifica attraverso i  media, in "JCOM: Journal on science comunication", Seta, La comunicazione nelle scienze biomediche   sentita se consideriamo che la diffusione in rete deH'informazione nel settore della salute, rivolta sia al professionista che al cit-  tadino o al paziente, e la possibility di accedervi liberamente  costituiscono temi di grande interesse e molto discussi nel  decennio appena trascorso. Ogni responsabile di politica sanita-  ria si e ormai reso conto che rendere accessibile al grande pub-  blico l'informazione sulla salute e sui farmaci potrebbe da una  parte migliorare il livello di prestazioni del sistema sanitario, in  quanto un paziente ben informato stimola il medico all'aggiorna-  mento professionale; dall'altra garantire a lungo termine un  risparmio sui costi della spesa pubblica, in quanto un innalza-  mento nel livello delle conoscenze potrebbe influire su una  miglior utilizzazione dei farmaci, nonche indurre una maggiore  consapevolezza dell'importanza della prevenzione e dell'adozione  di stili di vita piu salutari. Si indicheranno quindi nelle pagine  seguenti alcune realizzazioni di metasiti, cioe di selezioni di risor-  se Internet affidabili e valutate secondo criteri di qualita, parti-  colarmente indirizzate verso l'utente non professionale.   Passando adesso ad esaminare l'altra tipologia di utenti, cosa  motiva il medico a ricercare informazioni su un determinate  argomento in rete? In genere, la preparazione di una relazione  scientifica o un intervento a un convegno, oppure la risoluzione  di un problema clinico strettamente correlato ad un paziente:  nell'ultimo caso la necessita di reperire informazioni attendibili  ed aggiornate e ancora piu impellente Bagagli, EBM e ricerca bibliografica in medicina generate, Societa italiana di medicina generale Libri elettronici. Pratiche della didattica e della ricerca   Gia nel XIX secolo il moltiplicarsi del numero delle riviste  scientifiche rendeva difficoltoso l'aggiornamento del medico e del  ricercatore. Nascono in quel periodo i primi repertori di riviste,  tra cui il piu celebre e Vlndex Medicus, che inizia la pubblicazione, grazie all'intuito di Billings,  responsabile della biblioteca medica dell'ufficio  del Surgeon General of the Army, negli Stati Uniti. È lui infatti  che, dopo qualche anno di direzione, comincio a pubblicare un  catalogo della biblioteca e un indice periodico della letteratura  corrente (Index Catalog of the Library of the Surgeon General's  Office), prototipo del futuro Index Medicus, che corse peraltro il  rischio di cessare la pubblicazione gia dal volume 6, in quanto  con la morte del primo editore vennero a mancare i fondi necessari. Fortunatamente venne trovato un nuovo editore e la pub-  blicazione pote continuare senza interruzioni, fino ai giorni  nostri, nonostante alcuni cambiamenti nel titolo e nella periodi-  cita 4 . Lo sviluppo della tecnologia informatica fece si che dal  1964 divenisse operativo il MEDLARS (Medical Literature  Analysis and Retrieval System), un sistema di analisi e di reperi-  mento della letteratura medica, che venne utilizzato, in un primo  momenta, essenzialmente per registrare su nastro e gestire i dati  relativi alia letteratura medica indicizzata per Vlndex Medicus,  che aveva raggiunto una dimensione tale da non poter essere piu  trattata con procedimenti manuali. Contemporaneamente il  sistema MEDLARS veniva usato a livello sperimentale per effet- Per maggiori informazioni sulla storia deW'Index Medicus e sul PubMed si veda: Dracos, Seta, Cammarano, PUBMED: guida pratica alia consultazione del Medline su Internet, Roma, Di Renzo. Seta, La comunicazione nelle scienze biomediche. Gino Roncaglia. Roncaglia. Keywords: palestra. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Roncaglia” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Ronchi: la ragione conversazionale e la ragione conversativa -- il conversativo, o, filosofia della comunicazione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Forlì). Filosofo Italiano. Forli, Emilia-Romagna. Si laurea a Bologna e consegue il dottorato a Milano sotto SINI. Insegna all’Aquila. Dirige “Filosofia al presente” per Textus, di L’Aquila e “Canone minore” per Mimesis di Milano. Dirige la scuola di filosofia Praxis. Si dedica alla passione -- “Sapere passionale” (Spirali, Milano) e alla questione della comunicazione intesa filosoficamente come partecipazione alla verità e fondamento ontologico della stessa pratica filosofica (“Teoria critica della comunicazione: dal modello vei-colare al modello conversazionale” (Mondatori, Milano) -- Grice: “I like ‘conversativo,’ Almost a Spoonerism for ‘conservative’!” --; “Filosofia della comunicazione. Il mondo come resto e come teo-gonia” (Boringheri, Torino). Propone  una revisione del modello vei-colare o standard della comunicazione e una critica al paradigma linguistico del vivente. Al problema della raffigurazione e al suo rapporto col dicibile nella filosofia è invece dedicato “Il bastardo: figurazione dell’invisibile e comunicazione indiretta” (Marinotti, Milano). Grice: “This shows a distinction between ‘ingelese italianato.’ To call indirect communication bastard would be a bit too much at Oxford!” --. Grazie ai suoi studi su Bergson si è segnalato come una voce significativa della cosiddetta “Bergson renaissance”. – cf. Grice, “Speranza e la cosidddetta “Grice renaissance””. In “L’interpretazione” (Marietti, Genova) e  “Una sintesi” (Marinotti, Milano) guarda a Bergson come a un filosofo in grado di dare risposta a questioni tuttora aperte del dibattito filosofico. Bergson non è un filosofo irrazionalista, spiritualista, ostile alla scienza e ai suoi metodi. Per lui la filosofia è un metodo rigorosamente empirista, che consente la massima precisione possibile nella descrizione dei fenomeni. Bergson è anzi il filosofo che cerca di emancipare la scienza da quanto di meta-fisico è ancora inconsapevolmente presente nelle sue pratiche. Con le sue celebri nozioni di “durata” e di “memoria” (cfr. Grice, “Personal identity: my debt to Bergson”) ha costruito un nuovo modello di intelligibilità del divenire, alternativo a quello del Lizio, in grado finalmente di spiegare, senza riduzionismi, il “vivente” quale e descritto dalla biologia evoluzionista.  Il pensiero bergsoniano è presentato come uno snodo essenziale della filosofia. La sua dirompente attualità è mostrata attraverso un confronto sistematico con la fenomenologia, l’esistenzialismo, l’ermeneutica, il pensiero della differenza e l'epistemologia della complessità. Al tempo stesso però,  Bergson è ricollocato dall’interno della tradizione filosofica come un capitolo, tra i più alti, dell’indagine filosofica sulla natura: un capitolo che continua l’opera di quei filosofi e di quei teologi che, dai accademici a Cusano fino a Grice e GENTILE, hanno provato a pensare la natura come vita vivente e come divinità immanente.  Impegnato in una definizione e ri-abilitazione del filosofico contro il pericolo della sua dismissione (“Come fare: per una resistenza filosofica”, Feltrinelli, Milano), proprio grazie al confronto con Bergson e ai filosofi amici di quest’ultimo -- Grice, and Grice’s immediate sources: Gallie and Broad -- define la sua posizione filosofica inscrivendola in una costellazione ben precisa, ancorché minoritaria -- “Canone minore: verso una filosofia della natura” (Feltrinelli, Milano). Empirismo radicale, realismo speculativo e “pragmatica” “trascendentale” sono le definizioni che, più di altre, esprimono il senso e la direzione della sua ricerca, improntata com'è a criticare quella che chiama “la linea maggiore della filosofia” e che definisce dualistica, soggettivistica e antropo-centrica. In una parola: moderna.  Da Kant sino a Derrida, la filosofia è stata infatti caratterizzata dal primato accordato alla finitudine, alla contingenza, all'intenzionalità griceiana, alla negazione e al linguaggio e la semiotica. La filosofia di questa linea maggiore è, in fondo, un’antropo-logia cui oppone una filosofia del processo radicalmente monista e immanentista che contesta la tesi dell'eccezione umana e che non pone come apriori il principio della correlazione soggetto-mondo -- anche nella versione offertane dall'ermeneutica e dalla fenomenologia. Alla svolta trascendentale kantiana è opposta quella cosmologica whiteheadiana e, al dispositivo aristotelico del Lizio potenza/atto, dispositivo insufficiente a cogliere la natura naturans, la nozione di gentiliana di “actus purus”. La linea minore della filosofia è, infatti, anche e soprattutto una linea megarica che, alla potenza logico-linguistica e umana troppo umana dei contrari, sostituisce una potenza che non può non esercitarsi -- sia essa quella dell’uno di Plotino, della sostanza di Spinoza o della durata di Bergson. La filosofia della linea minore è una filosofia del processo -- categoria che oppone all’aristotelica Kinesis del Lizio -- che, pur confutando il nulla e il possibile come pseudo-problemi, non sacrifica il carattere creativo e dinamico del reale. Il problema filosofico del rapporto uno-molti da sempre al centro della riflessione cioè risolto nei termini di una co-generazione reciproca fra i differenti per natura, in cui questa differenza non di grado tra il principio e il principiato funziona come causa dell’immediato essere uno dei molti ed esser molti dell’uno, ossia come la causa di quella unità cangiante di tutte le cose che  chiama immanenza assoluta.  Altri saggi: “Luogo comune: verso un'etica della scrittura” (Bocconi); “La scrittura della verità: per una genealogia della teoria” (Jaca, Milano);  – modello conversativo. Grice: “As I say, I like ‘conversativo;’ perhaps I should adopt it! ‘conversative,’ rather than the pompous ‘conversational’! -- Liberopensiero. Lessico filosofico della contemporaneità (Fandango, Roma); Brecht. Introduzione alla filosofia (et al., Correggio ) Zombie outbreak: la filosofia e i morti-viventi (Textus, L'Aquila ); Credere nel reale (Feltrinelli, Milano); Dispositivi (Orthotes, Napoli) -- realismo speculativo, Sini, Gentile. Rocco Ronchi. Ronchi. Keywords: filosofia della comunicazione, immanenza, in defense of the minor league, natura naturans, Gentile, atto puro, implicatura conversativa. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ronchi” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rosa – implicature in deutero-esperanto --la scuola di Susa – filosofia torinese – filosofia piemontese – filosofia italiana – Luigi Speranza (Susa). Filosofo torinese. Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Susa, Torino, Piemonte. Scienziato naturalista, direttore del museo zoologico di Torino, da alle stampe il suo progetto di lingua internazionale nel Bollettino dei Musei di Zoologia ed Anatomia Comparata della Regia Università di Torino col saggio, Le Nov Latin, international scientific lingua super natural bases.’ Muore a Novi Ligure. Appassionato d’evoluzionismo e ottimo conoscitore di lingue antiche e moderne, decide di basare il suo studio di lingua a posteriori, come si deduce dallo stesso nome della lingua, sul lessico latino. R. dichiara che la sua lingua può essere letta da qualsiasi studioso senza che questi la abbia prima imparata - fondamentale caratteristica che sola può rendere una lingua veramente internazionale - e può essere scritta dopo appena poche pagine di spiegazione, senza il bisogno del dizionario. Vedasi PEI (vedasi), One language for the world, New York, Biblo and Tannen. L'alfabeto è quello latino, con l'unica differenza che non è presente la lettera «y», e la pronuncia dei grafemi e delle loro combinazioni è quella italiana. Il sistema d’accenti segue le regole dell'accento latino, per cui: le parole bisillabe hanno accento sempre sulla prima sillaba (es. lat. LAUDO ['lawdo]). In parole con più di due sillabe, l'accento tonico cade sulla penultima sillaba se questa è lunga (es. lat. AUDIRE [aw dire]), altrimenti sulla terzultima (es. lat. ANIMUS [' animus]). L'accento non cade mai prima della terzultima sillaba. Gl’articoli si dividono in determinati, al singolare «le» e al plurale «les», e indeterminati, «un» di cui non esiste la forma plurale – cf. Gric (Ex), “some, at least one” – “the ones” --. I nomi e gl’aggettivi sono indeclinabili, ridotte alle loro sole radici. Le funzioni dei casi sono espletate dalle preposizioni. S’ottengono eliminando le lettere finali delle parole prese nella loro forma genitiva singolare latina, fino ad ottenere la loro forma radicale (la cui costruzione risulta allora chiara per i sostantivi di prima e seconda declinazione - es. lat. LUPI > «lup» -, ma molto meno per i sostantivi di terza, quarta e quinta - lat. DIEI > *«die»/*«di» - e forse, in definitiva, a discrezione del lettore, poiché non specificato dall'autore. Il genere è naturale e solamente le persone e gl’animali di sesso femminile sono indicati con terminazione «-a». Il plurale è ottenuto grazie al suffisso «-s» o «-es», secondo regole di eufonia decise dall'autore. Il plurale negl’aggettivi è indicato solamente se questi non sono legati a un sostantivo. I gradi dell'aggettivo sono indicati con le parole «plus», «mult», «vere». I numeri cardinali sono «un, du, tre, quat, quinq, sex, sept, oct, nov, dec, dec-un, dec-du,... vigint, trigint, quadragint,... cent. mill,..un million». I numeri ordinali si formano regolarmente aggiungendo ai numeri cardinali il suffisso «-esim» (es. «unesim, duesim, treesim»). Tuttavia, sono presenti anche «prim, secund, terti». I numeri molti-plicativi si conservano «semel, bis, ter» e gli altri si formano aggiungendo ai numeri cardinali le parole «vices, tempors» (es. «tres vices»). I pro-nomi personali sono «me – “me Tarzan, te Jane” --, te, il, ila, nos, vos, ils, ilas» ai quali viene aggiunto «hom» alla maniera del “on” francese (es. fr. on parle, it. 'si parla'). Il pro-nome riflessivo è «se». I pro-nomi sono tutti indeclinabili. I pro-nomi (e aggettivi) possessivi sono «mei, tui, sui, nostr, vestr, lor». Vi sono poi tutta una serie di pro-nomi, conformi a quelli latini, ma ridotti alle loro radici («ist, il, id, alter, qui, aliq, quicunq, quidam, omn, null, nihil, tal, qual, tant, quant, ips, - e, dal latino volgare *METIPSIMU(M) - medesim») che possono prendere il suffisso del femminile (se non sono legati a un nome che già lo esprime) e del plurale.Vi sono poi tutta una serie di pro-nomi, conformi a quelli latini, ma ridotti alle loro radici («ist, il, id, alter, qui, aliq, quicung, quidam, omn, null, nihil, tal, qual, tant, quant, ips, - e, dal latino volgare *METIPSIMU(M) - medesim») che possono prendere il suffisso del femminile (se non sono legati a un nome che già lo esprime) e del plurale. La forma dei verbi cambia in base al modo e al tempo, ma non in base alla persona, secondo le seguenti regole. L'infinito termina in «ar, er, ir» - cioè è come l'infinito latino meno la vocale finale - ed è uguale all'indicativo (es. «me amar» 'io amo' e 'amare'). L'imperfetto termina in «aba, eba, iba» (es. «me amaba» 'io amavo'). Il participio presente termina in «ant, ent, ient» (es. «amant» 'amante'). Il participio passato termina in «a, e, i» (es. «ama» 'amato'). Il futuro si forma attraverso il prefisso «vol» (es. «me vol amar» 'io amerò'). Il condizionale si forma attraverso il prefisso «vell» (es. «me vell amar» 'io amerei). Non vi sono né il congiuntivo né l'imperativo. I tempi passati si formano tramite l'ausiliare «haber» seguito dal participio passato (es. «me haber ama» 'io ho amato', «me habeba ama» 'io avevo amato', «me vol haber ama» 'io avrò amato', «me vell haber ama» 'io avrei amato', «habent ama» 'avendo amato'). La forma passiva si forma coniugando il verbo «star» 'essere' e aggiungendo il participio passato del verbo (es. «me star ama» 'io sono amato', «me staba ama» 'io ero amato'). Per quanto riguarda i verbi deponenti, si trattano come se fossero attivi e si determina il loro infinito aggiungendo la desinenza dell'infinito attivo alla forma presente indicativa della seconda persona singolare, una volta eliminata la desinenza -IS (es. lat. HORTÄRIS > «hortarar»). L'infinito dei verbi irregolari si ottiene dal tema dell'imperfetto con applicazione del morfema della -r dell'infinito (es. lat. VOLEBAM, inf. VELLE > «voleba», inf. «voler»). Il verbo 'essere' (lat. ESSE), poiché troppo irregolare, è sostituito dal verbo regolare STARE, «star». Gl’avverbi, le preposizioni, le congiunzioni, le interiezioni sono identici a quelli del latino. La sintassi, che a detta dell'autore è simile a quella delle lingue romanze e germaniche, deve seguire l'ordine più logico, evitare gli idiotismi, le espressioni metaforiche (cf. Grice, “You are the cream in my coffee”), in virtù della loro non universale intellegibilità, sopprimere tutte le parole che non sono strettamente necessarie. A questi lemmi latini sono da aggiungere, al bisogno: le parole di lingue derivanti da greco o latino, opportunamente riportate alla loro forma originale e poi nuovamente mutate secondo le regole del Nov Latin; le parole internazionali con ortografie particolari, che si mantengono tali e quali (es. New York). Le parole internazionali che non derivano né dal greco né dal latino e che hanno forme diverse in ogni lingua, quanto più avvicinate alle regole della grammatica latina e, quindi, del Nov Latin (potrebbero essere un esempio le onomatopee). L'autore con il termine "parole internazionali" intende parole che si trovano almeno nelle lingue romanze e germaniche insieme. Si veda un esempio di Nov Latin fornito dall'autore stesso: Le nov latin non requirer pro le sui adoption aliq congress. Omnes poter, cum les precedent regulas, scriber statim ist lingua, etiam, si ils voler, cum parv individual modifications. COUTURAT, L. LEAU. Il progetto di R. si configura più come un breve elenco di indicazioni generali che come una vera e propria grammatica. La critica che si può avanzare ad un sistema di tal sorta è che non risponde veramente al problema dell'universalità linguistica visto che per poter essere utilizzato è necessario che i suoi fruitori conoscano già il latino. Posto anche che questi lo padroneggino, il Nov Latin, più che lingua ausiliaria, si presenta come una semplificazione di una lingua che già di per sé potrebbe essere indicata come universale, almeno tra i dotti. Se lo scopo è una semplificazione in vista di una comunicazione più veloce tra scienziati e studiosi, allora il fine può considerarsi raggiunto. Se invece lo scopo è creare un sistema utilizzabile ex novo da qualsiasi persona, l'operazione appare discutibile. BOLLETTINO Musei di Zoologia ed Anatomia comparata della R. Università di Torino N. S9 pubblicato VOLA D° R. Eu e.rp diettraa. international scientific lingua super natural bases. I am convinced that any really efficient new international language which is to be elabored for practical use in science must be based upon a modified Latin vocabulary and a simplified modern grammar. HENDERSON.Lingua. N. B. Indications pour faciliter la lecture des pages qui vont suivre. Article determine « le », plur. « les » ; indeterminé : « un ». Les noms substantifs sont derivés du genitif singulier latin, en retranchant les desinences e, è, és, us. Les adjectifs sont derivés, suivant la méme règle, du genitif singulier masculin. Pluriel es ou s. Signe du genitif : « de » -- cf. H. P. Grice on Hardie, « What do you mean by ‘of’ ? » -- , signe du datif : « ad ». Les verbes ont pour toutes les personnes à l’indicatif présent la desinence -ar (e. g. MENTARE), -er, ir (e. g. MENTIRE), a ’imparfait ada, eba, iba, au participe present ant, ent, ient, au participe passé d, é, > « I am loved » staba amd jPétais aimé « I was loved » - haber sta amd Jai èté aimé « I have been loved »habeba sta ama j'avais été aimé I had been loved » vol star amà Je serai aimé i shall be loved vol haber sta ama J'aurai été aimé i shall have been loved vell star ama je serais aimé i should be loved vell haber sta amd j/aurais été aimé i should bave been loved stant ama étant aimé being loved habent sta ama ayant été aimé having been loved amd aimé loved 21. Les m20ds et les tempors qui non star supra enumerd star traducé cum les formas plus conveniént inter ils qui nos haber supra retiné.Le franformation de les latin verbs în verbs de le nov latin desinént in ar er ?îr accider sequént ist regulas: Les regular verbs perder solum le desinentia e. — Ex.: amare), timer(e). Les irregular verbs star transformà sequént le indicativ im- perfect — sic nos haber: poter, imperf. poteda (lat. posse, potebam), voler, voleba (lat. velle, volebam), ferer (lat. ferre, ferebam); praeterea nos haber les defectivs oder (lat. odisse), meminer (meminisse) etc. Le verb esse nimis irregular star substitué cum le verb star (hispan. estar). c) Les deponents star transformà sequént le secund persona de le indicativ — sic fer (= utor, uter-is), 70rîr. (morior, morir-is), hortar (hortor, hortar-is) etc. d) Les reflex verbs star obtiné adjungént ad le activ forma le pronomin personal me, te, se etc. — sic: ramus frangiîtur devenir: le ram se franger. e) Les impersonal verbs star traducé cum star (p. es,: star dicé = lat. dicitur) aut cum Rom (hom dicer, fr. on dit, germ. man sagt). Les adverbdies star sicut in latin. — Hom poter substituer ad les adverbies deriva ex adjectivs aut participies, les ips nov-latin adje- ctivs aut participies. In les grades de comparation les adverbies sequer le regula de les adjectivs Les praeposttiones star sicut in latin, sed le signification de aliq inter ils deber star limità acceptànt le plus commun sens: sic 7 significar solum stat in loc (non contra), 00 exprimer causalitàt etc. Plures poter star traducé cum brev periphrases. 25. Conjuncliones et interjectiones, sicut in latin, ee Sintax. Un quisq poter sequer le sintax de quilibet neo-latin aut anglo-saxon lingua, observànt les sequént regulas: Sequer le ordin plus logic. Evitar les idiotismes et les metaphoric expressions qui non star universe intelligibil. Aboler tot les vocabuls aut particulas qui il vider non star absolute necessari ad le comprehension. Ist ultim regula star mult importànt — sic les praepositiones de (gen.) et ad (dativ) post un verb vel un alter praeposition deber star omitté quand ils non star necessari. Vocabulari. Un nov-latin lexiîc star complete inutit. Un quisq cum le even- tual auxili de un parv latin lexic poter formar sine difficultàt les nov- latin vocabuls. Le nov-latin vocabulari deber star formà cum les sequént elements : 1. Latin vocabuls (includént les scientific, scholastic, legal etc. ter- mins). Vocabuls non vere latin sed derivà ex le latin (aut ex le graec). Ist vocabuls deber star reducé ad le forma qui ils vell haber in latin et deinde transformà in nov-latin vocabuls sequént les regulas qui nos haber exponé supra. Vocabuls non derivà ex le latin aut ex le graec sed qui star jam international, et qui haber in les singul linguas divers formas. Ist vo- cabuls star transformà aliquant arbitrarie reducént ils ad le plus simplic forma. International vocabuls, latin aut non, qui in tot les linguas servar le forma qui ils haber in le lingua unde ils haber stà deriva. Ist vocabuls star adoptaà sine modification et cum le original orthographia. Les vocabuls de le prim categoria deber praevaler super les alters. Sed quand’ils deficer aut star nimis parum cognit hom deber adoptar ils qui pertiner ad les sequént categorias seligént ils qui star plus in- ternational. Un vocabul star international solum quand il star inveni simul in anglo-saxon et in neo-latin linguas. Hom poter etiam formar composit vocabuls sicut in german et in anglic. Ex.: dulc-aqua-pisces, vapor-machina etc. Si hom deber introducer nov verbs ils deber desiner in ar. Ex.: te- legraphar, telephonar, microscopar, etc. MSA Aliq latin verbs deber mutar vel ampliar le lor signification. Ex. star significar in nov latin esse, apparer significar videri, alter modifica- tiones poter star successive introducé sed solum quand ils star absolute necessari, Le « Lingua » de Y. G. Henderson. Hom haber proponé in ist ultim tempors mult international linguas. Ist linguas, volapùk, pasilingua, spélin, internacia etc., haber .un commun character; ils non star absolute intelligibil si non ab il qui cognoscer le lor grammatica et le lor special vocabulari. Ob ist character ils non poter star adoptà sicut scientific lingua, nam le seriptor voler star intelligé ab le plus grand possibil numer de lectores. Le « Lingua » de Henderson star contra sufficienter intelligibil, il star fundà super les medesim bases sicut le nov-latin. Nos voler hic comparar les du linguas et notar les plus notabil differentias. Me haber implicite acceptà sine modification le latin a/pradet et le latin pronunctation. In futur aliq modificationes vol poter star introducé sed nunc star necessari non crear inutil obstaculs. Henderson contra introducer modificationes in le alphabet quia il voler saepe imitar le son de les exotic vocabuls qui il introducer in le lingua. Id star, me creder, un error. Nos cognoscer saepe les exotic vocabuls solum sicut ils star scribé, non sicut ils star pronuncià, ita ut si ils star scribé se- quént le pronunciation nos non poter recognoscere ils. Henderson derivarles substantivs et les adjectives ex le genitiv plural omittént les desinentias 72 vel rw sic: mensar(um), domino(rum), die(rum), gru(um), navi(um), ciner(um), bono(rum), felici(um), divit(um). In le nov latin derivant ist vocabuls ex le genitiv singular nos obtiner : mensae, domini, diei, gruis, navis, cineris, boni, felici, divitis. Le resultàt star saepe identic sed le method de Henderson star plus difficil nam il qui non cognoscere mult bene le latin star saepe incert si le genitiv plural star orum, ium aut um etc.; star mult facil sumer cinerarum pro cinerum, pauperorum pro pauperum etc. Praeterea non star facil scire quand nos deber omitter w2 et quand rum, cur nos deber scriber puero(rum) et melior(um). Le p/ura/ in le lingua star etiam s vel es, les cases star etiam abolé, et indicà cum praepositiones. Ist praep. star pro le genitiv o (ex le anglic 07) et pro le dativ « (arbitrari); me haber contra adoptà de et ad qui star intelli- gibil sine explication; me creder quod nos deber vitar grammatical par- ticulas de non latin origin quia sic le selection vell star arbitrari. Le articul determinà star etiam apud Henderson /e, sed il admitter un articul indefini a, qui, ut in le anglic lingua, star distingué ab un 00 = (definit unitàt). Ist distinction deficer in omn les non anglic linguas, et me non haber acceptà il. Les personal pronomins star apud Henderson me, tu, è, la, îd, nos, vos, ls; me haber adoptà non ‘vu sed fe, nam me voleba vitar les discordànt expressiones de fu, ad tu; il, ila, ils etc. star obtiné sequént le general regula de les pronomins (16). Les nov-latin verbs star omnino different ab ils de le Lingua de Henderson et, sicut me creder, mult magis natural et intelligibil. Hic Henderson haber absolute relinqué les natural bases et haber formà les verbal formas sequént processes qui star sine exempl in les Arian linguas et qui pertiner ad les Turanic agglutinativ methods. Sic ab le verb scr7d (= sceriber) il obtiner les sequént formas: Me scri’b-num, me scri b-num-i, me scri’b-num-ivi, me scri b-tum, me scri b-tum-i, me scri b-tum-ivi, me scri’b-qum, me scri’b-qum-i, me scri’ b-qum-ivi, me scri b-num-ivi-i, me sero b-tum-ivi-i, me scri’b- quum-ivi-i, scri'b-qu, es-scrib-tu etc. ll haber etiam composit-verbs qui praesentar formas sicut: /w-scî, fu-es-nosc, es-pati-i etc. Omn ist formas star anti-arian et non intelligibil sine explication. In le nov latin tot les verbes star reducé ad le forma de les activ regular verbes. Le indicativ praesent star aequal ad le infinit. (Sic etiam in anglic: we love, you love, they love = inf. to love; sic in german: wir lieben, sie lieben = inf. lieben). Le indic. imperfect star aequal ad le imperfect latin sine les desinentias variabil secund les personas; ex.: amaba(m), amaba(s), amaba(t),,amaba(mus) etc. Le participi passiv star etiam aequal ad le participi latin sine le desinentia; sic amd star derivà ex amatus, amata, amatum. Le participi activ derivar ex le participi activ latin sequént le regula de les nomins et adjectivs; sic amant ex amans, amant-is. Les alters mods et tempors star abolé vel exprimé anteponént particulas aut auxiliaries sicut in les anglo-saxon linguas et partim in les neo-latin linguas. Les alter discrepantias inter me et Henderson star de parv moment et me non voler hic insister super ils. Id qui me haber dicé star sufficiént ad demonstrar le differentia et le plus grand facilitàt de le nov Zatin. Sed Henderson haber stà le prim qui haber indicà ad nos le rect via, et non considerant les defects de le sui Lîngua, nos deber star grat ad il pro le sui fecund labor. HENDERSON Lingua, an international language. Tribner London, SCI AD LES LECTORES. Le nov-latin non requirer pro le sui adoption aliq congress. Omnes poter, cum les praecedént regulas, scriber statim ist lingua, etiam, si ils voler, cum parv individual modificationes, ils deber solum anteponer ad le lor opuscul un parv praeliminari explication sicut il qui star in le prim pagina de ist nota. Sic faciént ils vol valide cooperar ad le uni- versal adoption de ist international lingua et simul ils vol poter star legé ab un mult major numer de doctes quam si ils haber scribé in quilibet alter vivént lingua. Les lectores qui approbar ist schema star precà voler contribuer ad le sui diffusion (le reproduction de ist opuscul star liber) et mitter ad le scribént un visit-charta cum le littera A significànt solum approbation. D" DANIEL ROSA R. Zoologic Museum Torino (Italia). En vente chez Carlo Clausen, succ. Loescher - Turin, 3633 - Tip. Guadagnini e Candellero, via Gaudenzio Ferrari, 3 - Torina IR praa GAY Q n° MASTODONTE di Cagli so 9A ce Mi, AS TERAN î di trade alora; sth nidi y NUIT. TRE RATIVA dns di gv apo P9) Mi toro My; ag nea + Rini di od AS wii A Baht, US: i atlete alovtalzig rta sais ra Atti ser ia if atifotato Eri “tettoia. * i LIg di, esere - Lula Atto Mira anni algo sii CORK Ali Fugi de “iter ci "È af Mira Faces «canti ribalta. it pi dh Te Nfliveria Cio puri tion 46 riri dre ae i lagnoatra 2h itato; de î : | a ter" n Pi da 7 3 si Spia after Pi iinoriti _e-_ d Ò Mr - hg. Biiadiagiiri + pda aiena sr posi VNCEUN 6 VR e Daniele Rosa. Rosa. Keywords: deutero-esperanto di Grice. Refs.: “Grice e Rosa.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rosandro: la ragione conversazionale degl’amici filosofi – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher who becomes an acquaintance of Elio Aristide.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rosatti: la ragione conversazionale e l’implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano Marcello Vitali Rossati.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rosselli: la filosofia italiana nel ventennio fascista – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Important Italian philosopher. There is a R. Circle in Rome. Teorico del socialismo liberale, un socialismo riformista non marxista direttamente ispirato dal laburismo inglese e dalla tradizione storico-politica del radicalismo liberale e libertario. Fonda a Firenze il foglio clandestino “Non mollare e insieme a Nenni, la rivista milanese “Il quarto stato”. Fonda il movimento anti-fascista “giustizia e libertà”, che combatté per la repubblica nella guerra civile spagnola, all'interno della colonna italiana R., costituita assieme agl’anarchici. Ucciso in Francia insieme con il fratello R. da assassini legati al regime fascista. Nato da una famiglia politicamente attiva, avendo partecipato alle vicende del Risorgimento italiano: Pellegrino R., tra l'altro zio della futura moglie di Nathan, sindaco di Roma, è un seguace e stretto collaboratore di MAZZINI (si veda) ed un Pincherle è nominato ministro nella Repubblica di S. Marco, instauratasi nel Triveneto a seguito d'una massiccia insurrezione anti-asburgica guidata da Manin e Tommaseo.  I R. abitato per un considerevole periodo a Vienna. Si trasferirono a Roma. Qui, dopo la propria nascita, venne alla luce il fratello R.  La madre, separata, si trasferì con i suoi figli a Firenze, dove frequentarono la scuola. R. mostra in quel periodo poco interesse per gli studi e la madre lo ritira dal ginnasio, facendogli frequentare la scuola tecnica. L'entrata in guerra dell'Italia è accolta con entusiasmo dai R., decisamente interventisti. Il fratello maggiore è arruolato come ufficiale di fanteria e muore in combattimento. R. collabora al foglio di propaganda «Noi», fondato dal fratello, anche se l'editoriale Il nostro programma, è redatto con buone probabilità da lui. Il manifesto, che l'ingenuità di due ragazzi indirizza verso una fiduciosa speranza in un mondo migliore, propone sin da allora alcuni tratti fondamentali della sua personalità, ossia un amore incondizionato per l'umanità e la spinta all'azione nel solco dello spirito mazziniano, che lo inserisce nel filone dell'interventismo democratico. Per «Noi», licenza saggi, uno sulla rivoluzione russa, altro sull'entrata in guerra degli Stati Uniti. “Libera Russia” esalta il risveglio del paese di Gorkij, Tolstoj e Dostoevskij, supremi interpreti di un rinnovamento in atto già dal secolo precedente, per cui la rivoluzione non e che il punto culminante di una lunga preparazione all'avvento di una società più giusta. Vi è tutta una massa che sale lentamente, inesorabilmente. La marcia si puo ritardare ma non impedire. Dei recentissimi eventi, inoltre, viene esaltata la componente pacifica, la loro attuazione relativamente non violenta.  Il saggio “Wilson” mostra tutta la fiducia nutrita per l'uomo che define il conflitto come “una guerra per porre fine alle guerre”, uno slogan che rappresenta bene le sue speranze di e di tutta la famiglia R..  È chiamato alle armi. Frequenta a Caserta il corso allievi ufficiali e venne assegnato a un battaglione di alpini in Valtellina. La guerra finisce senza che egli avesse dovuto sottomettersi al battesimo del fuoco. Il contatto con militari e molto importante per lui. Apprezza la massa furon posti in grado di comprendere tante cose che sarebbero loro certamente sfuggite nel loro isolamento di classe o di professione. Diplomatosi all'istituto tecnico, si iscrive a Firenze al corso di scienze sociali, laureandosi a pieni voti con una tesi, Sindacalismo italiano,” e si prepara a sostenere anche gl’esami di maturità classica per ottenere il diritto di frequentare altri corsi universitari. Tramite il fratello, conosce Salvemini, professore a Firenze, che e da allora un costante punto di riferimento per entrambi i fratelli. Gli fa rivedere il suo saggio sul sindacalismo rivoluzionario, che giudica non un saggio critico, equilibrato, sostanzioso, ma in essa e incapsulata un'idea fondamentale: la ricerca di un socialismo che fa sua la dottrina liberale e non la ripudiasse. S’avvicina al partito socialista, simpatizzando, in contrapposizione all'allora maggioritaria corrente massimalista di Serrati, per quella riformista di Turati, che egli ha poi modo di conoscere a Livorno durante lo svolgimento del congresso del partito, che sance la definitiva scissione dell'ala di sinistra interna filo-bolscevica che prende il nome di partito comunista, e scrive svariati saggi per “Critica Sociale”. MUSSOLINI sale al potere. I riformisti di TURATI sono espulsi dal partito socialista. Si trasfere a Torino, dove frequenta il gruppo della “rivoluzione liberale», in quel momento fortemente impegnata in senso anti-fascista, e con la quale incomincia a collaborare. Conosce Matteotti, del partito socialista unitario, nel quale erano confluiti GOBETTI (si veda) e la componente riformista espulsa dal partito socialista, come Rossi. A Firenze, il gruppo dei socialisti liberali che si raccoglie intorno alla figura carismatica di Salvemini inaugura un circolo di cultura. Oltre ai R. vi sono Calamandrei, Finzi, Frontali, Jahier, Limentani, Niccoli e Rossi. Gli ex-combattenti del circolo adereno all'associazione anti-fascista “Italia libera”. Si laurea a Siena, con “Prime linee di una teoria economica dei sindacati operai” e parte per Londra, stimolato dal desiderio di conoscere la capitale del laburismo, di seguire i seminari dei fabiani e di assistere al congresso delle unioni operaie. Vi è anche Salvemini, che tene un seminario sulla storia della politica estera italiana al King's. Tornato in Italia grazie anche ai buoni uffici di Salvemini, si impiega come assistente volontario a Milano. Prosegue la sua collaborazione a “Critica Sociale” di Turati. Vi pubblica un articolo, invitando il partito socialista a rompere con il marxismo, che giudicava espressione di cieco e tortuoso dogmatismo, per mettersi piuttosto sulla linea di un sano empirismo all'inglese. Collabora con la rivista del partito socialista unitario, «Libertà», scrivendo proprio un saggio sul movimento laburista inglese. Dopo il delitto Matteotti s'iscrive al partito socialista unitario. Spera invano che in Italia si costituisse una seria opposizione anti-fascista moderata in grado di offrire un'alternativa politica alla borghesia che guarda con simpatia al fascismo. Una di queste avrebbe potuto essere l'unione democratica nazionale d’Amendola, alla quale adere il fratello. D’Inghilterra invia al giornale del partito socialista unitario la «Giustizia», le corrispondenze sull'evolversi della situazione politica inglese, successiva alla vittoria elettorale dei conservatori e alla rottura dell'alleanza tra laburisti e liberali. E pessimista sulle condizioni politiche dell'Italia. La secessione aventiniana non produce effetti, con i suoi sterili tentativi di accordo con il re, con i generali e i fascisti dissidenti. Del resto, i fascisti stano re-agendo. Lo dimostrano anche devastando il circolo di cultura, che, come non basta, venne chiuso dal prefetto con una singolare motivazione. La sua attività provoca il giusto risentimento del partito dominante. Lasciato l'incarico a Milano, insegna a Genova. Scrive a Salvemini. Forse non ha apparentemente alcuna positiva efficacia, ma io sento che abbiamo da assolvere una grande funzione, dando esempi di carattere e di forza morale alla generazione che viene dopo di noi. Appare così con la collaborazione di Rossi, Salvemini, Calamandrei, Traquandi, Vannucci e il fratello, che ne ha proposto il nome, il foglio clandestino “Non mollare”. Alcuni redattori della rivista sono Traquandi, Ramorino, Rossi, Emery, e i due R. La denuncia di un tipografo provoca la repressione e la dispersione d’alcuni tra i redattori del foglio. Rossi riusce a fuggire a Parigi, Vannucci in Brasile, Salvemini è arrestato a Roma è denunciato per vilipendio del governo fascista. In attesa del processo, messo in libertà provvisoria, a causa delle minacce dei fascisti, passa la notte a Firenze, in casa dei R., che non sono ancora fra i sospettati. Gli squadristi però, venuti a conoscenza del fatto, devastano l'abitazione il giorno dopo. Scrive R. ad Ansaldo. Io sono di ottimo umore e l'altra sera ho financo bevuto alla distruzione compiuta! Se i signori fascisti non hanno altri moccoli, possono andare a dormire. Aspetteranno a lungo la mia rinuncia alla lotta. Ormai preso di mira dai fascisti, è aggredito a Genova mentre si reca all'università e poi disturbato durante la sua lezione, con la richiesta del suo allontanamento. Si attiva infine lo stesso ministro dell'economia, Belluzzo, che chiede il suo licenziamento. A questo punto, prefere dimettersi.  Pochi giorni dopo, a Firenze, sposò con rito civile una laburista venuta a Firenze a insegnare nel British Institute, conosciuta da R. al circolo della cultur. Lapide commemorativa: «In via Ancona vive il martire anti-fascista e qui ha sede la redazione del ‘Quarto stato,’ rivista socialista a difesa della libertà e della democrazia. R. vive a Milano, dove fonda con Nenni la rivista «Il quarto stato’. La rivista ha vita breve, venendo chiusa con l'entrata in vigore della legge sui provvedimenti per la difesa dello stato fascista italiano. Scopo della pubblicazione è il tentativo di rappresentare un punto d'incontro di tutte le forze socialiste e di sviluppare temi di politica culturale al cui centro e il perfezionamento degl’uomini e l'elevamento della vita dei cittadini.  Con Treves e Saragat costitue un trium-virato che, costitue clandestinamente il partito socialista dei lavoratori, che prende il posto del partito socialista unitario, sciolto d'imperio dal regime fascista a causa del FALLITO ATTENTATO A MUSSOLINI da parte del suo iscritto ZANIBONI. Bova, Turati, R., Pertini e Parri a Calvi in Corsica dopo la fuga in motoscafo da Savona.  Oganizza con Oxilia, Pertini e Parri l'es-patrio di Turati a Calvi in Corsica, con un moto-scafo partito da Savona. Mentre Turati, Pertini e Oxilia proseguirono per Nizza, Parri e Rosselli, ritornati con il moto-scafo a Marina di Carrara, SONO ARRESTATI, nonostante tentassero di sostenere d’essere reduci d’una gita di piacere. È accusato anche di aver favorito la fuga d’Ansaldo, di Silvestri, di Treves e di Saragat.  Venne detenuto nelle carceri di Como, poi inviato al confino di Lipari in attesa del processo. Quando e ricondotto da Lipari a Savona per essere processato, nell'isola siciliana giunge il fratello, condannato a V anni di confino.  Al processo si difende attaccando il regime fascista. Il responsabile primo e unico, che la coscienza degl’uomini liberi incrimina è il fascismo che con LA LEGGE DEL BASTONE, strumento della sua potenza e della sua nemesi, inchioda in servitù milioni di cittadini, gettandoli nella tragica alternativa della supina acquiescenza o della fame o dell'esilio. La sentenza, rispetto alle previsioni, e mite: X mesi di reclusione e, avendone già scontati VIII, avrebbe potuto essere presto libero. Ma una nuova legge speciale permisero alla polizia di infliggergli *altri* III anni di confino da scontare a Lipari. La vita al confino trascorre con le letture filosofiche di Croce, Mondolfo, l’epistolario di Marx ed Engels, e Kant. Intanto, si prepara la fuga, che venne organizzata dall'amico di Salvemini Tarchiani. Evase da Lipari con Nitti e Lussu, con un moto-scafo guidato dall'amico Oxilia diretto in Tunisia, da cui poi i fuggiaschi raggiunsero la Francia.  Nitti narra  l'avventurosa evasione in “Le nostre prigioni -- e la nostra evasione”, mentre R. racconta le vicende del confino e dell'evasione in “Fuga in IV tempi”. A Parigi, con Lussu, Nitti, e un gruppo di fuoriusciti organizzati da Salvemini, e fra i fondatori del movimento anti-fascista "Giustizia e libertà". “Giustizia e Liberta” pubblica diversi numeri della rivista e dei quaderni omonimi ed e  attiva nell'organizzazione di diverse azioni dimostrative, tra cui il volo sopra Milano di Bassanesi. Critica appassionatamente il marxismo ortodosso, colonna portante della stragrande maggioranza dei vari schieramenti politici socialisti. Il socialismo liberale propugnato da R. si caratterizza quale una creativa sintesi della tradizione del marxismo revisionista, democratico e riformista -- quello, tra gli altri, di Bernstein, Sombart, Turati e Treves -- ed il socialismo non marxista, libertario e de-centralista -- come quello di Merlino, Salvemini, Cole, Tawney e Jászi.  Attacca dirompente contro lo stalinismo della terza internazionale che, con la formula del “social-fascismo” accomuna  social-democrazia, liberalismo borghese e fascismo. Non stupisce perciò che uno fra i più importanti stalinisti, Togliatti,  define il socialismo liberale un magro libello anti-socialista e R. un ideologo REAZIONARIO che nessuna cosa lega alla classe operaia. “Giustizia e libertà” adere  alla concentrazione anti-fascista, unione di tutte le forze anti-fasciste non comuniste – REPUBBLICANI, socialisti, CGL -- che intende promuovere e coordinare ogni possibile azione di lotta al fascismo. Pubblica i "Quaderni di giustizia e libertà".  Dopo l'avvento del nazismo in Germania, “Giustizia e liberta” sostenne la necessità di una rivoluzione preventiva per rovesciare i regimi fascista e nazista prima che questi portassero a una nuova tragica guerra, che a “Giustizia e Liberta” sembra l'inevitabile destino dei due regimi.  Bandiera della colonna italiana, nota anche come centuria giustizia e libertà, che sostenne i repubblicani nella guerra civile spagnola. Scoppie in Spagna la guerra civile tra i rivoltosi dell'esercito filo-monarchico, che effettuarono un colpo di stato, e il LEGITTIMO GOVERNO REPUBBLICANO del fronte popolare di ispirazione marxista. È subito attivo nel sostegno alle forze repubblicane, criticando l'immobilismo di Francia e Inghilterra. I fascisti aiutano FRANCO con uomini e armi agl’insorti. Combatte la sua prima battaglia. Cerca poi di costituire un vero e proprio battaglione -- intitolato a Matteotti.  La prima formazione italiana, che prende poi, dopo l'uccisione dei due fratelli, il nome di colonna italiana R., annovera tra i 50 e i 150 uomini, reclutati fra gl’esuli italiani in Francia dal movimento “Giustizia e libertà” e dal comitato anarchico. Tra questi c'erano anche gl’anarchici Marzocchi e Berneri. Marzocchi scrive sulla comune esperienza anti-fascista di anarchici e di militanti di “Giustizia e Libertà”, "R. e gl’anarchici".  In un discorso, pronuncia la frase che poi diverrà il motto degli anti-fascisti italiani: "Oggi in Francia, domani in Italia". È con questa speranza segreta che siamo accorsi in Ispagna. Oggi qui, domani in Italia. Fratelli, compagni italiani, ascoltate. È un volontario italiano che vi parla dalla radio. Non prestate fede alle notizie bugiarde della stampa fascista, che dipinge i rivoluzionari come orde di pazzi sanguinari alla vigilia della sconfitta. A contrasti con gl’anarchici si dimette da comandante della colonna e fonda il battaglione Matteotti. Soggiorna a Bagnoles-de-l'Orne per delle cure termali, dove è raggiunto dal fratello. Sono uccisi da una squadra di miliziani della Cagoule, formazione eversiva di destra francese, su mandato, forse, dei servizi segreti fascisti e di Ciano. Con un pretesto sono fatti scendere dall'automobile, poi colpiti da raffiche di pistola. R. muore sul colpo; il suo fratello, colpito per primo, venne finito con un'arma da taglio. I corpi vennero trovati due giorni dopo. I colpevoli, dopo numerosi processi, riusciranno quasi tutti a essere prosciolti. I R. sono sepolti nel cimitero monumentale parigino del Père Lachaise. I familiari ne traslarono le salme in Italia, a Trespiano. Salvemini tenne il discorso commemorativo alla presenza del presidente della Repubblica. La tomba riporta il simbolo della spada di fiamma, emblema di “Giustizia e Liberta”, e l'epitaffio scritto da Calamandrei. Giustizia e liberta. Per questo morirono per questo vivono. L'unico saggio pubblicato da R. mentre è in vita è "Socialismo liberale", scritto durante il confino a Lipari, in una situazione di semi-prigionia. “Socialismo liberale” si pone in una posizione eretica rispetto ai partiti della sinistra italiana del suo tempo -- per i quali “Il capitale” di Marx, variamente interpretato, è ancora considerato come la bibbia. Indubbiamente è presente l'influsso del laburismo inglese, da lui ben conosciuto. In seguito ai successi elettorali del partito laburista, R. è infatti convinto che l'insieme delle regole della democrazia liberale sono essenziali non solo per raggiungere il socialismo, ma anche per la sua concreta realizzazione -- mentre nella tattica leninista queste regole, una volta preso il potere, debbono essere accantonate. Pertanto, la sintesi del pensiero rosselliano è: "il liberalismo come metodo o mezzo, il socialismo come fine". Pisacane, L'idea di rivoluzione propria della dottrina marxista è fondata sulla concezione della dittatura del proletariato -- che, in realtà, già ai tempi di R. si sta traducendo, in unione sovietica, nella dittatura del vertice di un solo partito. Essa viene respinta da R., a favore di una rivoluzione che, come si nota nel programma di “Giustizia e liberta”, è un sistema coerente di riforme strutturali mirate alla costruzione di un sistema socialista che non rinnega, ma anzi esalta, la libertà individuale e associativa. Alla luce dell'esperienza spagnola -- difesa dell'organizzazione sociale di Barcellona compiuta dagli anarchici durante la guerra civile -- e dell'avanzata del nazismo, R. radicalizza la sua posizione libertaria. Influenzato dalle idee di Mazzini e di Pisacane, R. propugna il socialismo liberale: il fine è il socialismo, il metodo o mezzo il liberalismo, un metodo o mezzo che garantisce la democrazia e l'autogoverno dei cittadini. Il liberalismo deve svolgere una funzione democratica, il "metodo o mezzo liberale" è il complesso di regole del gioco che tutte le parti in lotta si impegnano a rispettare, regole dirette ad assicurare la pacifica convivenza dei cittadini, delle classi, degli stati, a contenere le lotte -- peraltro desiderabili se limitate. La violenza è giustificabile come risposta ad altra violenza -- per questo è giusta la lotta contro il franchismo e sarebbe stata auspicabile in Italia una rivoluzione violenta in risposta al fascismo. Il socialismo è una logica conclusione del liberalismo. Socialismo significa libertà per tutti. R. ha fiducia che la classe del futuro è la classe proletaria, la borghesia deve fare da guida al proletariato. Il fine è la libertà per tutte le classi.  Archivio R. Bio. Tranfaglia, Dall'interventismo a “Giustizia e Libertà” (Bari, Laterza). Il circolo di cultura a Firenze, chiuso da Mussolini, e  rifondato a liberazione di Firenze appena avvenuta, per iniziativa del Partito d'Azione e dei soci superstiti e intitolato ai R.. Assunse così il nome di circolo di cultura politica R. La sua prima manifestazione è presieduta da Calamandrei. Con decreto del presidente della repubblica è stata costituita ed eretta in ente morale la Fondazione Circolo R. per sostenerne l'attività.  Martino: Fuorusciti e confinati dopo l'espatrio clandestino di Turati nelle carte della R. Questura di Savona in Atti e Memorie della Società Savonese di Storia Patria, Savona, e Pertini e altri socialisti savonesi nelle carte della R. Questura, Gruppo editoriale L'espresso, Roma. Commissione di Milano, ordinanza contro lui (“Intensa attività antifascista; tra gli ideatori del giornale clandestino “Non mollare” uscito a Firenze. Favoreggiamento nell'espatrio di Turati e Pertini”), Pont, Carolini, L'Italia al confine, Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali, Milano, ANPPIA, La Pietra,  Cfr. Commissione di Firenze, ordinanza contro N. R.  (“Attività antifascista”), Pont, Carolini, L'Italia al confino  Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali,  Milano, ANPPIA, La Pietra, Cfr. La storia sotto inchiesta: Fuga da Lipari, un esilio per la liberta trasmesso da Rai Storia. Il discorso di R. su Roma civica.net  in.  Fiori, Casa R., Einaudi); Franzinelli, “Il delitto R.: anatomia di un omicidio politico” (Mondadori, Milano). Altre saggi: “Oggi in Spagna, domani in Italia” (Einaudi, Torino); “Scritti politici e auto-biografici (Polis, Napoli); Ciuffoletti e Caciulli (Lacaita, Manduria); Lettere Salvemini, Tranfaglia, «Annali della Fondazione Einaudi, (Torino); “Socialismo liberale” (Einaudi); Il Quarto Stato» di Nenni e Rosselli, Zucàro, Sugar Co, Milano, Epistolario familiar (SugarCo, Milano); Socialismo liberale, J. Rosselli (Einaudi, Torino); Socialismo liberale, J. Rosselli, introduzione e commento di Bobbio, «Attualità del socialismo liberale» e «Tradizione ed eredità del liberal-socialismo», Einaudi Tascabili. Saggi, Scritti dell'esilio. «Giustizia e libertà» e la concentrazione anti-fascista Costanzo Casucci, Collana Opere scelte” (Einaudi, Torino); “Scritti politici, Ciuffoletti e Bagnoli, Guida, Napoli, -- una grossa anteprima del libri. Scritti dell'esilio. Lo scioglimento della concentrazione anti-fascista, Casucci (Einaudi, Torino); Liberalismo socialista e socialismo liberale, Terraciano (Galzerano, Casalvelino Scalo), Giustizia e libertà, Limiti e Napoli, prefazione di Larizza, Roma, con la tesi sul sindacalismo (Firenze). Scritti scelti, Furiozzi, “Quaderni del Circolo R.” (Alinea Editrice, Firenze); Salvemini, “Scritti Vari”, Agosti e Garrone, Feltrinelli, Milano, Opere scelte, Cultura e società nella formazione, buona anteprima del pensiero di Salvemini con i rapporti e la grangia politica correlata Gremmo "Alla Cagoule" Silenzi e segreti d'un oscuro delitto politico. Storia Ribelle, Biella. Garosci, "Vita", U, Roma, Giustizia e Libertà, Levi, "Ricordi” La Nuova Italia, Firenze («Quaderni del Ponte»). Merli, "Il dibattito socialista sotto il fascismo. Lettere di Morandi, Rivista storica del socialismo», ricompreso in Id., "Fronte anti-fascista e politica di classe. Socialisti e comunisti in Italia,  Donato, Bari, Movimento operaio; Tranfaglia, "Dall'interventismo all'antifascismo", «Dialoghi del XX», Cfr. il  informazioni su volume "R. e l'Aventino: l'eredità di Matteotti", «Il movimento di liberazione in Italia», Cfr. stralcio di "L’Aventino. L'opposizione diventava per la prima volta opposizione, minoranza; come minoranza, avrebbe potuto darsi una psicologia virile, d'attacco. Ma aveva troppi ex nelle sue file, era troppo appesantita da uomini che avevano gustato le gioie del potere e della popolarità.»  «Fu questo il miracolismo dell'Aventino. Credere di poter vincere con le armi legali l'avversario che ha già vinto sul terreno della forza. Pregustare le gioie del trionfo mentre si riceve la botta più dura. Evitare tutti i problemi. Gobetti dice. L’Aventino ha un mito, il mito della cautela" -- sperando che la borghesia dimentichi Quanto alle masse popolari, che si mostravano nei primi giorni in stato di effervescenza, guai a chi avesse tentato metterle in movimento! Solo i comunisti e le minoranze giovani chiesero lo sciopero generale. Ma le opposizioni non vollero, per non spaventare la borghesia e il sovrano. R. dall'interventismo a «Giustizia e Libertà»" (Laterza, Bari, Biblioteca di cultura moderna); in appendice: scritti di R. e Lettera di R. a Nenni; "Dal processo di Savona alla fondazione di Gustizia e Liberta, Le fonti di «Socialismo liberale»", «Il movimento di liberazione in Italia», Lolli, "Alcuni appunti per una lettura del «Socialismo liberale»  di R.", «Il pensiero politico», Fedele, "Lo «Schema di programma» di «Giustizia e Libertà», Belfagor, Bagnoli, "L'esperienza liberale di R.,, Italia Contemporanea, L'antifascismo rivoluzionario dei «Quaderni di Giustizia e Libertà»", «Ricerche Storiche», Santi Fedele, "Storia della concentrazione anti-fascista prefazione di Tranfaglia (Feltrinelli, Milano); Garbari, "I «vinti» della Resistenza. Nel quarantesimo del sacrificio di R. e R.", «Studi Trentini di Scienze Storiche», a"«Quarto Stato» di Nenni e R.", Tavola rotonda fra Bauer, Grimaldi, Spadolini, Zucàro, «Critica Sociale», Valiani, "Il pensiero e l'azione”, Nuova Antologia, Tranfaglia, "L'anti-fascismo", «Mondo Operaio», Vivarelli, "Salvemini", «Il pensiero politico», Poi compreso Spadolini, "R. nella lotta per la libertà", con lettere tra Reale e R., «Nuova Antologia», Colombo, "R. e il «Quarto Stato»", «Nord e Sud», "Giustizia e Libertà nella lotta antifascista e nella storia d'Italia", Atti del convegno internazionale organizzato a Firenze dall'Istituto storico della Resistenza in Toscana, dalla Giunta regionale toscana, dal Comune di Firenze, dalla Provincia di Firenze (Nuova Italia, Firenze); Bauer, "R. e la nascita di Giustizia e Liberta in Italia". Petersen, “Giustizia e Libertà in Germania”; Guillen, "La risonanza in Francia dell'azione di Giustizia e Liberta e dell'assassinio dei R.”; Rosengarten, "R. e Trentin, teorici della rivoluzione italiana”; Salvadori, "Giellisti e loro amici degli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale". Fedele, "Giellisti e socialisti dalla fondazione di GL alla politica dei fronti popolari”; Zunino, "Giustizia e Libertà e i cattolici”;  Garosci, "Le diverse fasi dell'intervento di Giustizia e Libertà”; Marzocchi, “Gli’anarchici"; citazione sottostante da un articolo di Finetti. Infatti considera una barbarie le stragi di anarchici in Catalogna, tra cui l'uccisione di  Berneri, l'anarchico che lo affiancava nella guida della prima colonna italiana formata da MMM anti-fascisti, i primi accorsi -- e si ricorda, nel prosieguo, anche la ferma presa di posizione delle brigate partigiane di Giustizia e Libertà quando Canzi e rimosso da comandante unico della XIII zona operante nel piacentino e grazie a questa presa di posizione e reintegrato dopo un breve arresto. Le brigate partigiane di Giustizia e Libertà sono  in gran parte influenzate dal pensiero di R.. Tommasini, "Testimonianza --  L'eredità di Giustizia e Libertà". Piane, "Rapporti tra socialismo liberale e liberalsocialismo". Codignola, “Giustizia e Liberta e Partito d'azione". Tranfaglia, "R.", in "Il movimento operaio italiano; “Dizionario biografico", Andreucci e Detti, Editori, Roma, Colombo, "R. e il socialismo liberale", «Il Politico», Bagnoli, "Di un dissidio in «Giustizia e Libertà». Lettere di Levi, Giua, Chiaromonte, Garosci  «Mezzosecolo», Centro studi Gobetti, Istituto Storico della Resistenza in Piemonte, Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, Annali Cirillo, "Il socialismo", Fasano, Cosenza); Lussu, "Lettere  e altri scritti di «Giustizia e Libertà»", Brigaglia, Libreria Dessì, Sassari. informazioni su Storia della Sardegna di Brigaglia, son presenti correlazioni fra i succitati personaggi. "Le componenti mazziniana e cattaneanea in Salvemini e nei R.. Belloni",   Convegno, Domus Mazziniana, Pisa. Arti Grafiche Pacini et Mariotti, Pisa,  Comprende: Colombo, "Il «Quarto Stato»" Varni, "Derivazioni mazziniane nella concezione sindacalista di R.", Ceva, "Aspetti politici dell'azione di R. in Spagna",  Tramarollo, "R. e il regime",  Bagnoli, "Il revisionismo di R.", in "Guida alla storia del partito socialista. La ripresa del pensiero socialista tra eresia e tradizione", Talluri, «Quaderni del Circolo R.», Galasso, "La democrazia da CATTANEO (si veda) a R.", (Monnier, Firenze); «Quaderni di storia», R., Una tragedia italiana" (Bompiani, Milano); Kostner, "R. e il suo socialismo liberale", Lalli, Poggibonsi, Linee politiche; Bagnoli, "Tra pensiero politico e azione", Passigli, Firenze, Colombo, "R. e il socialismo liberale", in "Padri della patria. Protagonisti e testimoni di un'altra Italia", Angeli, Milano, («Ricerche storiche» ). Invernici, "L'alternativa di «Giustizia e Libertà». Economia e politica nei progetti del gruppo di R.", Angeli, Milano («Studi e ricerche storiche»). Valiani, "Da Mazzini alla lotta di liberazione", «Nuova Antologia», Scacchi, Colombo, presentazione di Spadolini, Casagrande, Lugano,  («Quaderni europei»). Vivarelli, "Le ragioni di un comune impegno. Ricordando Salvemini, R. e R., i, Rossi", «Rivista Storica Italiana», Spadolini, "R. e R.: le radici mazziniane del loro pensiero", Passigli, Firenze («Letture R.»). Malandrino, "Socialismo e libertà. Autonomie, federalismo, Europa da R. a Silone" (Angeli, Milano);  Bandini, "Il cono d'ombra: chi armò la mano degl’assassini dei fratelli R.?", SugarCo, Milano, Colombo, "I R., due guardiani per l'albero della libertà", "Voci e volti della democrazia. Cultura e impegno civile da Gobetti a Bauer", Monnier, Firenze («Quaderni di storia»), Nel nome dei R.. Quaderni del Circolo R.», Angeli, Milano,  Muzzi. "A più voci, Arfé, Casucci, Garosci, Malgeri, Rapone, “Scritti dell'esilio", Il Ponte, Il carteggio dei R. con Silvestri", Gabrielli, «Storia Contemporanea», Fedele, "E verrà un'altra Italia. Politica e cultura nei «Quaderni di Giustizia e Libertà»" (Angeli, Milano, Collana di Fondazione di studi storici Turati); Ciuffoletti, Il mito della rivoluzione russa e il comunismo", in "Socialismo e Comunismo,  Il Ponte, Bagnoli, "La lezione di R., La nuova storia. Politica e cultura alla ricerca del socialismo liberale, Festina Lente, FNicola Tranfaglia, "Sul socialismo liberale"; "Dilemmi del liberalsocialismo", Bovero, Mura, Sbarberi (Nuova Italia, Roma, «Studi Superiori,  Scienze Sociali»). Atti del convegno "Liberal-socialismo: OSSIMORO o sintesi?", organizzato ad Alghero Dipartimento di Economia istituzioni e società dell'Università Sassari. -- fu pubblicato il primo numero di “Libertà”, periodico legato all'ala socialista del movimento antifascista, il sottotitolo fu la frase di Marx ed Engels: Alla società borghese, con le sue classi e con i suoi antagonismi di classe, subentrerà un'associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno sarà la condizione del libero sviluppo di tutti e, su invito Treves, Mondolfo e Levi, Rosselli scrive un articolo “Il partito del lavoro in Inghilterra” in cui R. riafferma una parte del suo pensiero del periodo. Il partito laburista in base agl’elementi che lo compongono può definirsi come una federazione di gruppi economici e di gruppi politici. In realtà è l'organizzazione politica federativa ed associativa del movimento operaio più vecchio e potente del mondo.  Suppa, "Note su R.: temi per due tradizioni", in I volume "dilemmi del liberal-socialismo, Puppo, Il Quarto Stato, L'attualità di R. e del socialismo liberale. Dialoghi tra: Bosetti, Foa, Maffettone, Marzo, Tranfaglia, Supplemento a di Croce Via, Edizioni Italiane, Napoli, Atti del dibattito svoltosi a Napoli  in occasione della presentazione italiana del volume "Liberal socialism", lavoro di Urbinati, tradotto da William McCuaig, Princeton, Princeton, Urbinati, "La democrazia come fede comune", «il Vieusseux»,  Bagnoli, Rosselli, "Gobetti e la rivoluzione democratica. Uomini e idee tra liberalismo e socialismo", La Nuova Italia, Firenze («Biblioteca di Storia»). Casucci, "La caratteristica ", con un vademecum, «Belfagor», Visciola, Limone, "I Rosselli. Eresia creativa, eredità originale", Napoli, Guida, Graglia, "Unità europea e federalismo. Da Giustizia e Libertà a Spinelli", il Mulino, Bologna) "Il dibattito europeista e federalista in «Giustizia e Libertà»", «Storia Contemporanea», Lisetto, Le élites. Una teoria tra l'elitismo democratico e la democrazia partecipativa", «Scienza et Politica», Pagine scelte di economia, Visciola e Ruggiero, Firenze, Le Monnier,  Mastellone, "Il partito politico nel socialismo liberale «Il pensiero politico», Furlozzi, "R. e Sorel", «Il pensiero politico», L'eredità democratica da Bignami a R.", Angeli, Milano, Mastellone, La rivoluzione liberale del socialismo»". Con scritti e documenti inediti. Olschki, Son riportati testi pubblicati da R. non inseriti nel  I delle «Opere scelte». R., “Dizionario delle idee", Bucchi, Riuniti, Martino, Pertini e altri socialisti savonesi nelle carte della R. Questura, Roma, Gruppo editoriale L'espresso, Franzinelli, "Il delitto R.: anatomia di un omicidio politico" (Mondadori, Milano); Dilettoso, "La Parigi e La Francia di R.: sulle orme di un umanista in esilio", Biblion, Milano. Bagnoli. Il socialismo delle libertà. Polistampa, Milano, Bagnoli. Socialismo, giustizia e libertà. Biblion, Milano, Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; Iacchini, Socialismo liberale ma... vero!, Movimento Radical Socialista brigata Garibaldi. Archivio dei R.. I fratelli R., genesi di un delitto impunito. Berneri. Vite parallele d’Ortalli (da "Umanità Nova" Fondazione R., Centro di ricerca, Circolo R. Firenze,  "Pecora" Socialista e liberale. Bilancio critico di un grande italiano, su politica magazine. Spini, "Perché i R. parlano ancora a questa Italia", sul sito repubblica. Carlo Alberto Rosselli. Keywords: sindacalismo, sindacalismo revoluzionario, laburismo, partito laburista, I fabiani, Mill, Bonini, liberalismo, sindacato, sindicato nella storia italiana, sindacato in Roma antica, socialismo liberale – l’ossimoro di R.. Refs.: Luigi Speranza, “Rosselli e Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Rosselli.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rosselli – scuola di Firenze – filosofia toscana -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Firenze, Toscana. Per limitarsi ai filosofi italiani, di mnemotecnica si occuparono DOLCE (si veda) in “Della memoria”, il domenicano fiorentino R. In “Thesaurus artificiosæ memoriæ” (Venezia), e BRUNO (si veda), che nella sua “De umbris idearum” (Parigi), da lui dedicata a Enrico IlI di Francia e che gli procura una cattedra, espone l'Ars magna di Lullo e dà un fondamento metafisico-gnoseologico alla mnemotecnica che appoggia sempre al sistema topologico-simbolico. Del resto, l'insegnamento di quest'arte, della cui efficacia BRUNO porta a testimonio la propria memoria eccezionale, gli da spesso i mezzi per vivere. Altri filosofi italiani che scriveno di mnemotecnica sono PORTA (si veda) nell’”Ars reminiscendi” (Napoli), MARAFIOTI (si veda), di Polistena nell’“Ars memoriæ’ (Venezia), e il palermitano BRANCACCIO (si veda) nell’ “Ars memoriæ vindicata” (Palermo). THESAVRVS ARTIFICIOSÆ MEMORIÆ, Concionatoribus, philosophis medicis iuristis oratoribus procuratoribus,czterisd; bonarum litterarum amatoribus: Wigocisfócibn, infüper,alijsd; fimilibus, tenacem, ac firmam rerum MrzMoR:IAM cupientibus, perutilis. vc omnes [ui amatores, po[fessores valde locuplesansyinfimnla, decoranss cum rerum celestium atque terrestrium tenax, ac tutum fcrinium esse poffit; AKFTHORE R. P. F. R. florentino, sacri ord. pradic. minimo professore cum indicibus locupletiffimis, tum Capitum, tum rerum omnium infigniorum CVM PRIVILEGIO, VENEZIA. Apud Antonium Paduanium, Billiopolam Florentinum. Y Vet vtæ kh VG 4 mI TT. ie S i et, 8 SUY CPC Eos beriganiots bibsM, didi Ol: "i ern Mepoionols f Ron dA Gu zn iud qpetzarsoei idi pt8s03011, zr Lo Sub. PEMQPOSGENE C17 3 H eR i iendino minos 1 » ÆMz l4 Ed sæ TIPS p18. iet E em mum e Y La 34 1 "5 28 Y NC i i Me p po Asus i venera eu Tow mite. iip nius kt pot Fendisiba? mu $ GENET n , Fr aram iilerte T $ Es PCTNCMEOS. f ILLVSTRISSIMO, svb TN PIRE PAN D.O.M TWO DOMINO CARDINALI IVSILNPANUO EF DAMIANFVS R. ordinis pradicatorum, salutem eo felicitatem E004 MNIAJjam in promptu erant llluítrissime, ac reverendissime, domine, quz circa artificiofz TM morix opus R.; germanus meus is chariffürus, non parvo tempore; ac studio ETE] Ac vero improba mors, que 2. i inceptis vt plurimum invidere solet, (cum nostrorum operum 1am protenfam telam gladio fuo fxuiffimo fepe numero fuccindere, nofcitur ) huic etiam operi, a multis eruditissimis viris concupito, acnon paucis paruisa; laboribus ipsius autoris, confe&o, clare inuidit. Nam, & ft operis profe&ionem minime abítulit, cum ipfi extrema iam manus imposita fuerit; candore tamen, et luce, et gloria totum illud pro viribus priuare est aufa. uod vtiq; obtinuit, cum in lucem sub tuis gloriosissimis, clarissimisd; auspicijs edi sua fxuitia omnino negavit. Iccirco meum erat, illustrissimejaac reverendissime Domine, fratris mei labores vna cum corpore pene mortuos impreffioni tradere, vt ad vitam a nor paucis optatam euocarentur. Quod optime accidit, cum sub alarum tuarum protectuone pofiti exiftant, sicuti in epistola, amplissimo dominationis tue nomini, una cum opere dicata, ia aperte videre licet. Qua inre, humilibus ac ardenuffimis precibusmmenfam humanitatem, atq; tuam benignitatem, cx intimis deprecor, nefratris mei defuncti "d "Tu tam paruum ac minimum,magnitudini tz, donum defpiciat : fed fimulque cum illo ma-. gnam voluntatem,latumQque cor meum benignitatis fuz: oculo infpicere dignetur ; ac me ipfim denique in feruorum fuorum numero, licet indignum et inutilem, habeat. Quod fauoriglorizQue gratiffime afcribam. Florentiz ex Sandi Marci cenobio, Pridie. ILLVSTRISSIMO Ls REVERENDISSIMO ADD M TIN DOMINO CARDINALI j JW S TINMIBNO Ex Ordine Pradicatorum a[fuzmpto, F .R. florentinus y ordinis em[demn.alfecla salutem plurimam dicit: Foelicitatemque tum temporalem in totius Chriftianc Republic bonum,tum fpi ritalem atq; perpetuam vehementer exoptat. FTIV M, immo€S9 flagitium «niuer[rs bominibus infenfi[fimumyes busmanapolitia ac confuetudimi admodum obio XIumyac ipfi Ln[uper Deo-val NU) Aur de contrarium, et abominabir. Yr AC euer D. beneficiorum exiflit obliuto, €9' tngrat.tido, qua etiam pietatisfontem exic exiccareperbibetur cia voniuev[os bomines eius redandantia €9 diffafionis abundantia reddat indi qnos. At cui noftrum (mifortefabulofo letbe biberit)fabrapere poteft obliuto eorum qua nobis,no[tro que ordini, vel olim, vel nunc temporis indulta funt,et cotiuuo indulgentur à D T. llluftriff-ac Re uerendi[.beneficiorum ? Quis ne[ciat,velquis obli u10nls ommo ita inueniatur arveptus atqy percu[fus;&9 eims deufisfimis tenebris fic obfitus, e9 obuo lutusqui non apprime recordetur bumanitatis bo nitatis benignitatis, Illuftrif-ac Reuerendi]J. D.q.dum quonda Dominicanam rempublica; affaliliue zodo (cunctis profecto gratiffimo ac [a lnberrimo ) gubernaret, ac moderaretur ? Has fer mé ingenij, €59 anima-vires atqyvirtutes tunc ma ximopere oftendit,cum nostram banc Romanam prouinciamyac ordimempené vniuer[um, eiu[dem ue patres, acfratves, vifitantis perfungens officio ; binc €9 indepertran[iensgnuieret humanitus,dul citer alloqueretur.fructuose con[olaretur elo Dei feruidus conflanter hortaretur, foueret bonum,fa ueret hu dtofis vetula vestauraret : restaurata conjirmavet:[apienter ordinaret,qua oportuit:pra denter qua dirigi debuerantyinue[ligaret. Ea pro pter pteryot putoyoniuerfi noftri ordinis profeffores;tua Milufirisfimasac Reuerendisfima Dominationi deLitas per[olueve gratesyvel extera-voce, vel (altem £ntima admoniti recognitione, fe fatentur oLftri&os. INon nullis tamen,aliquam nattis occafione (quamdinimpen[e de[iderio praflolabantur ) con- ceffum est,quibu[dam etiam beneuolentia frenis,be neficiorum memoriamses exinde animi ambrem, veluti fi iliceignem abfcon[nsn.foris excutere,et cor disintima affectionis fcintillas emittere .. Quibus profecto remises" [I mon quantum voluerint,gman turn [altem voaluerint,obliutonis noxam,extero ctiam fecalca[fe pede desnonfirant. Inter bos for j fan numerari dignus extiterim,fi quod. cogitaui, fouere, ac benigno digneris amplectifauore. lntur eqosminimus [ane inter noftri ordimis profejfores, beneficiorum in «niuer(ali ac im particulari (cumopus fuit) nobis exbibitorum particeps, ac minimeimmemor pre[ens opu[culum, breue maumu[culum:[ummatamen beneuolétia fignum, amo vis indicium deuotionis, mea qualecumque mont mentumyofferre geftio, ac veipfa nunc gefliensoffe- Yo, atq; [ub tuo nomine dedico .. Quod beneuolenHa fignum (nom inanivatione deductus) Speroyatque que confidoyac in[rper vehementer defidero, Domi nationi tua gratumtua fore bentgnitate:Quod eg abstefatisefllagito, cum [at miifuturum exifti mem fi oeleoerbo audierimyvel (altem figno percipiamgratum quid tibi feciffe. Nam, €9' fi debita exili boc snumu[culo haud me per[olutffe non ignovemyattamen pro debitis tfleper[oluendis, ac ga tiarum actionereddenda:Dominatione tuam ala eviter (afcepiffe evatulari potero, 9" iterumgaudens ingentes tibi reddere gratias. Comtenientisfi ye ergo, ob rationes adductas [uperius,tratlatus efle pra[ens de artificio[a memoria Tua Illuffrifama,ac Reueredifma D.olim patri,munc domino, beneficentia, ac munificentia baud immemori : à tuoolim [nbdito,atque religionis gratia,au[im dicere,filto : nunc autem ob Apo[lolica dignitatis eminentiam (qua fulges) etiam feruo, dicari debuerat. Cut nam,qua[o, poteramyaut debueram artificiofa memoria tratkatum dicaffe melius.quz tibi, qui naturali, felicique (vt omnes pernouimus) MEMORIA pollens, 9 fulgens omni in flatu officio eradu. dignitateqs confhitutus,omnium no-Siri ordimis. profejforum immemor. nequaquam nec olim extiterisnec impra[entiarum exiflistNón Hi mo igitur ot remini[carisyoel tua augeatur memoria, ad te tratkatulus ifle nofler diretius csl: ci quem Pius V. Felicifima memoria pie cogitando euexit:quem fingularis dignitas digne auxit que gradus itte extulit quem merito mundus bonoratnunquam obliuto (qua crebro magnatum funbrepit mentes,€9' obliuionem incutit illis ) a nobis abítulerit;vel longe con[Ituerit:mec immemore «l ladignitas fecerit, nec tuam bemgnitatem minute rityvel affabilitatem prolibuerit:fed ideo ad te opu fculuiflud direximus : ot bac artificio[a memovia tibifelicis memoria Iluffrif. ac Reuerendifo no dicata domino aterna quide digno memoria ac identidem o mnium noslrum baud immemor decoretur,illnftretur, perficiatur .. AÀccipiat ergo atque (ufcipiat D.tua Illofhrifüme ac Reuerendifn me domine, boc exile munu[culum,nec illud dum taxat, verum, €9 beneuolum ammumsac intima mea affectionis [rena perno[cat,e9 amet.V ale Illa ffrifüme, ac Reuerendi(üme mi Domaine. Aluftriffj-eg? Reuerendiff-Dom.tua feruus F.Cofma Or4. Pras4. FRATER NICOLAVS ALESXIVS PERVSINVS. Ordinis Predicatorum. ; $5 Sicre Theologix Bo. ac Sandhilfing Inquifitionis Commiffarius : Cofmno Reffellio P. Reurendo.. $. D. BRUCH D metam vai difcutiendo perduxi AC P.Z. quod reliquum erat lucubra tionum tuarum. €quidem illas om BA mes agno[co, c probo : ee nihil in . hiseffe arbitror, quod non cum fiz de Catholica recle confentiat ; ] Quin non Cleantis AUR oleat, e EN: (quod aiunt ) fapiat unguem. "Dignum itaq; opus existimo, quod publice commoditati propediem edaz tur. Multa [unt qua bic admirer, (9 que mihichariorem eo reddant. Jod amenitas ingenij tui, que non mediocriter hic clare[cit : Deinde eruditionis besar cum liber ifle tuuscvaria te leclionis e[fe hominem plane testetur : uippe cum te Pbilofopbie rece[[us, 1 beologie adyta., cAflrologie arcana, Poetarum carmina, Oratorum Diaz tribem, EU I UR faluta[Je : [cd penitus. funditus, per uafi[[c, "veram multtudo prafe ferat. T rabit "ec in P2 AGnt Y d N AN ja S : S S " EA ja v S Ny TJ N ATI EEDEL admirationem maiorem, fermo concinnus, eo- lepidus, qai evel Ciceronis facundiam, eo» phrafin emuletur. 9 uamo brem, etiam fi te numquam de facie noui[Jem, mihies iam ifto nomine longe amicisfrmus:nam, e» fi quando de te [rz to incidat, te ipfum commendare non defiflo. c 4rrident ergo mibi, que [cripfifli omnia, e» meo illa probo cuna calculo; bertorá,ut quam primum illa in lucemadas. "Ua le. Datum Peru[ia. Yi. Kalendas Iunias, 1 5 7 5. Carmen ad Léctores in operis encomium: eiufdem Magift. Nic. Alexij Com.S.Inquifttionis, SE Vid prodeft [ludijs, fi nocte dieq; "vacando Protinus ex animo que didiciflis eunt ? N2q; ea ditaxat, memori mente tenemus, JCATMEDMD qeimusat oblitis tempus inane fuit. Hunc igitur, fladiofa cobórs ver[ate libellum: estate bunc "ve[lro nocte dieq; fina : Q uem Rofeus ('o[fmas vobismunc adit ; ibidem Adnemofinen mira prouidus arte iuuat ; Et loca perquirit, totum quoq; fpe£lra per orbem Fa[ce breui : Mundi Machina "va[ta patet. Dumq, bomines Cofmas,rerum docet e[fe tenaces : ente oculos illis cuncla creata locat. Hinc memores fieri, doctiqs probiq; valemus, T anta viri virtus: tanta Camena fuit. Jure igitur Co[mas vocitatur, (Cofmicus baros Iure Rofa, buic Rofeo, nomen habere licet. Eiufdem : in laudem operis Vid prodeft ludis noctesq; díesq; vacare Voluendisq; diu [e macerare libris: $i mox ex animo qua legeris illarecedant? Sic impen[a perit; Tempus inane fluit. Ergo, 9 ui[quisaues, tanto [uccurrere morbo: E xhibet y excellens boc opusczdntydotum ; Kl anc tacitus retinens Cofmas RofJellius artem, Communem vt faciat publicus urget amor. REVERENDI PATRIS PRATATS 1 R. FLORENITTTWNI, ORDINIS PRÆDICATORVM. Epistola ad Candidum Lectorem. mMSNISZBVS hbominilus liquido NS UN patet ( candide lector ) naturam eorum fingulis baud tribui[e : fed aliquibus eorum, diflribuilfe potius naturalia [ua quedam dona, pers fectioness. Etenim, quamuis [ua E omnia, omnibus in genere bominiz bus tribuerit : non tamen eorum fingulis, ea ipfa omnia, lar gita efl. Homoenim bomini prestat. eapropter, quod boc in bomine,natura deficiende fecir abiectum; illud in alio, ez minentiori modo fecit exiflere. 9 uamobrem » quod abiectis in Uno: id in alio,infi igne,excelle ntiféimi ue con[bicimus. Pro pterea, quodcunque abiectum, vel etiam nobile ex ipfa na tura, nobis in ee nouerimus, quam primum vigilanti anis mo, diligenti studio, induftria, arte, exercitiog; excolendum erit ; ut quod abiectum qz) minimum, nobile eo infi gne; co quod magnum, e illuflre, egregium, excellentifei mumæ fieri queat. Profect) qui arte artisque labore Agros frhueftreis A ES S filueflveis etiam uelit excolere; eorum fructus tberrimos pe detentum letus. accipiet. Dubitabit ergo nullus, quod per fécliones quis nancifci poftit. diuer[as : fi habitibus vel artibus ue "viresexcolat mentis vel anime. " Pelagus bic immen[um [icco pertran[eundum pede percen[eo, «ox [ub filen tio claudere, diuer[arum artium emolumenta ; quibus vel natura operiuntur defectus, vel eifdem babitibus, que nis mium abietla fuerint,eadem in re nobiliffima appareant om nibus. efrtem enim nsturam perficere : ac multa complez re, que nequaquam natura perficere poteft, philofophorum omnium princeps a[[euerauit eAriflot. € ua etenim «vis ani miuo[lri, que potentia, qui fenfus, quod denique membri arte, ac ingeni inuentu perfici non poterit ?. 9 uare cenfores libelli buius nolumus cos, qui "vix operis iflius infpetlo titulo ( ne dicam perlecto opere ) tanquam Cicerone, € uin tiliano, c» Seneca pratermiféis quampluribus alijs doctifGi mis "viris fapientiores vel artem fimpliciter,vel in bunc orz dinem à nobis digeflam defpiciunt, quia for[(an memoria naturaliter clarent, qua bac confirmaret praceptio,clarioréz que redderet, quia ars perficit naturam, fi ezarifloteli cec ditur, vt [upra diximus. "Nec illos admittimus, qui pri ma philofophie elementa non attendentes, aut applicare ne fGientes, vel for[am non intelligentes : [enfibiles hauras,bona fronte negant, prodeffe po[fe memorie : affirmant; hanc per fenlibiles figuras memorandi artem laboriofiorem effe, quàm frmplicitereg naturaliter memoriter baurire, €?» re tipere: quibus, c [i rationibusrefpondere po[[umus, dediz. gnamur namur quidem. Hoc tantum illisve[bondentes, quid iuxs ta illos exempla que dantur, fimilitudinesue, qu& à docen tibus traduntur di[centibus, "vt aliquid difficile, mente ca piant eo intelligant: fuperuacaneum,ac laboriofifcimum e[fe 04, vltra dotlrinam,exempla etiam, eo fimilitudines eos intelligere co» retinere oporteat. A aior etiam labor evit(pro pe iflorum errorem) acu [uere quàm abs, illo, co quid && az cumyeo filum,per foramen trabere debeat utor. Non ne pueri infantili curru a eAMatre demiffi,melius ambulare difcunt,quam fs ibidem non ponerentur ? Attamé fe ipfos regere, co currum eos in[uper fecum trabere oportet. Intelligant quafo ili, memoria fenfum magis à fenfiLilibus mouerieo figuras buiu[modi artis, noflrum infiruere fenfum,ut facilius ac velocius recordemur.. A tne nos à pro pofito abera[[e quis exislimet, de memoria nam, dicturi : quid perficiatur arte, quid nobilitetur artificio &&* augeatur indu[iria affirmamus,quod ex antea dictis,eomin bis,que fc. quentur per[Picuum e[Je poterit. uave,fi multo labore, e indaflria conati [unt quamplurimi corporis aut animi vires arte perficere ; nequaquam erit indignum, banc memorandi artem addi[cere,qua dormiens memoria excitatur à [onno; labilis fit tenax: ignobilis nobilitate donatur ; abic£la clarefcit parua accipit incrementum;mouetur immobilis, mortua reuiui[cit: que memoria, [i natura,vigilans ac tenax nobilis e? clara,mobilis & viuax aliquo inbomine extiterit:in co ipfo artificio,eo induflria praflantifsSimam foresequo animo pollicemur.Q uis igitur tam egregium memoria donum, cius que que multiplices fru&lus, bac breui avte cape[feve moli? Nul. jn ? enim [cire appetant omnes,omnes itidcm memini[[e ue lint neceffe eft. T unc enim arbitramur [cire, cum memoria tenemus.[nter ceteros autem illi maximopere meminifJe de Ridcrant, qui diuer[arit artium liberalium, "vel fciétiarü fta dijs affolent inuigilare;v t que auide bau[erint, firmiter veti pert queant. Eodem defidevio, acinfuper cvebementiori tenentur illi,qui alios docere "vel hortari voluerint vel qui aj quomodo apud alios [unt verba facturi.) uis enim intrepido ac constanti animo, alios docere vel hortari poterit: [i di. cenda à [ua excidere memoria facile dubitat £rgo bis omni bus adiumento effe, e maximo quidem, boc noflro in opere promittimus, quod ad amuf'im pref affe illi qui av;i buic ali quatenus inuigilauerint cognofcere poterunt 7 fateri. Ef ac igitur artem, qua prateriterummemini[fe e» ea tanquam li teris exarata,vel in marmore (culpta ob oculos babere pofei mus (^ quod ab omnibus concupitifeimi eft) amplexamini "vos omncs,qui cupitis [cire (]/ memorie [cita qua plura manda re,ac cum oportunum fuerit vobis vel Alijs,ea ipfa foris vo ce,ac lingua proferre defideratis. Atq; exinde in vobis, vel natur ueftra benignitatem in memorando pro[picientes, bac freti arte propéfiora dona [Perate :eveletiam noxam eiu[dé ac defectus confiderantes,eadem arte complete.Deoá, ma ximo, qui optimis viribus mentem "vef vara donauit, quid, 1n» ca omnium artium naturam perf. cientium femina » benis gnusinfudit, immortales reddite gratias.F ale. ELENCHVS EORV M QVJE IN TRACTATV DE artificiofa Memoria continentur Ordine Alphabetico à c4 SESS] QV Æ diuiftones [fecundum. diuerfa que ERN SW SY ut ANE diuerfis in partibus eius inueniuntur. par. ON pri capit.s. fol16 MxDoSp ees) CAPUT IS regiones tres quarum "Unaqueque iux ta meteorologicos in tres portiones diuiditur Ppes a equas imprefsiones p.p. cap.s. 1g Ærea impre[fiones. ibi cap.3. 18 edqua partiiiones ub figura.cap.s. 20 c Æris partitiones [ub fisura cap.5. ibid. e/fngelorum nouem chori.p.p.cap.s. 32 eAngelorum quilibet ordo quo preciofo lapide defignetur,eo quaratione p.p.cap 5. 33 eIngelorum veftes metbaphoricé quomodo colore [ii precio ft lapidis [blendeat. p.p. cap. 5. EET e-4ngelorum nomina ad choros eorum pertinentia. p. p. ca picelo LL 33 c/drbor «vita p.p.cap.. 30 c Animalia quatuor circa (bristi thronum p-p.eap.s. . 35 e-drbores celebres in facra [criptura p.p.cap.s. 48 Arbores Arbores que diuerfis [antlorum agminibus quodam myle rio a(fignantur,ad boc "vt artis nostr loca qz figura mul tiplicentur. ibid. efmpliimorum locorum «v[us in communi p.p.cap.6. 5t e^fmpliora loca que dicantur p.p cap 7. $i Ampliorum locorum partitio p.p.cap.7. L Ampliorum locorum "Uus p.p.cap.7. $3 Ampla loca qua [int p.p.cap.8. $4. Ampliorum locorum "U[us.p.p.cap.8. $4 Apothece diuer[& p p. cap.1o. $7 Artifices diuerfi p p cap.10. $6 Artifices diuerft fvernaculo fermone Animalia quadrupedia diuerfa alphabetico ordine. p. p. capitulo I$. i 66 Animalium pradi&torum vel fimilium partitio arti accomo da p.p.cap.iz. 65 Animalium pradiclorum diuifiones fub figura p.p.c11.. 67 Arborum diuer[arum nomina p-p.cap 12. 69 e/Arborum aromaticarum nomina p.p cap.12. 69 edrbor;, vulgari nomina-vernaculo idiomate p.p.c.a. Arborum omnium portiones fingula Pp capas. 7;0 Arborum omnium "v[us p.p cap.12. ipi. Animaduer[iones circa loca.p p.caa3. 71 Alphabeti Hebraici Graci co» Latini characferes.1 p oUpi tulo 6. ! 91.92 Animalium terreflrium. paruorum ac "vermium quorunz dam nomina alphabetico ordine.1.p.cap.5. 86 e 1A A qua stibqearilbvo animalium quorundam nomina talpbabeticoor dine.1.p.c.4-. 8€ eduium quarumdam nomina ordine alphabeti s :.parte caz pitulo 4. 88 eInimalium quorundam nomina ordine alpbabeti 2.p.capi tulo 4. 89 Alphabeta EAPoilouni: Gracum: Caldeum: Arabum. a.p. cap. 6. 91.91 A lphabetum de rebus naturalibus,vel artificialib.in figuris fimilibus de[umptum Alpbabetum aliud de[(umptum ab humanis membris figura retinentibus in fui difbo[itione naturali characterum al phabeticorum.WAT weil aliud "varia digitorum bominis compofitione extrabitur.1.p.c.7. 10I Alphaberum à à "vocibus quibu[dam hominis Alphabetum à [onitibus,e7: uocibus quarumdam rerum,co - animalium Animalium voces diuerf& pro alphabetis Ocli undecim ppp. (lorum nomina. ibid. (lorum Celorum feptimum planetarum portiones. 2L Celi [eptimo planetarum quomodo et quo ordine feptem me to -galliefameant.. ian) ox Nom etse ee eA ue Celorum cuilibet figura datur ut loca. arti de[eruientia atq; figure multiplicentur. : » ibid. (lorum quodlibet eo f ab angelo moueatur, tamen folum -trescalos pof uimus,quibus angeli præ[fe dicimus. ad bo tantum "Ut diuerfificaretur e [ic arti noflra de[eruiret. ppp. EY 22.€7* 218 Celorum quodlibet quo colore in bac arte. oportet imaginari coloratum.p.p.cap.a. 14. Celorum omnium ordo fub figura... 28 Celi empyrei fitus fupra omnes.p.p.c.s. 38 (eli empyrei partes prout modo deferuiumt negocio capiz tulo 5. ' 49 Celi empyrei, Muri T urres *Porte Plates a/D.lob.Euang.pofite.p.p.c.s. 4o Celum empyreum [ub ciwitatis figura difpofitum.prima par te.cap.5. 40 (uiratis cuiuslibet partes communts.p.p.c.8. $4 Ciuitatibus quomodo vtimur p.p.c.8. $4 Cenobiorum petitiones.p.p.c.9. 55 4 onditiones quamplures locorum omnium.prima p^rte, capi tulo 13.c.14. 71.72 Celeflinm figurarum nominis 2.p.cap.5. 89.90 D D d ^ D Amnatorum pene noftro de[eruientes propofrto.p.p.ca itulo 1. 3. 4-5 Demonum diuer[a [petra prout arti noflre de[eruiant.2. ar.C.T. 4 Diuites alphabetico ordine pofiti.p.p.cap.it. 64 E Lementa quot.p.p..cap.s. I$ E Elementorum partitio iuxta ea querealiter continentur in eis. ibid. Elementorum alia diuifio memorabilior.p.p.cap.. 19 Elementorum omnium ac eorumdem diuifiones multipliz ces fub figura.p.p.cap.s. 10 Ecclefiarum bac in arte u[us.p.cap.o. $5 Elementa quomodo in corpore noflro inueniantur 1. p.c.8. F F Ons vita in celo ponitur p.p.c.$. 30 Flumen Dei inparadi[o quomodo circuire illum fumilitudinarie dicatur p.p.cap.s. 30 Fortifeimi fortitudine corporea. p.p.cap.nt. 63 Figurarum in bac arte deferuientium diffinitio, diuifiones, c fubdiuiftones.z.parte.cap.x. SES 77 Figure Figura infernales qua. in bac: arte f tnt imaginanda.a. "AT Figura in bac arte diuer(a ion: 2p per totum.Fruticum nomina ordine alphabetico.2.p.cap.5. 94 Figura celestes quadraginta, eg ocfo.2. p.cap.5. 85 G G 'Ummarum quarundam nomina ordine alphabetico.z.. p^r-cap.3. 85 924 EH Omihum, As ni D .cap.u. Vutew Hominis cuiuslibet diuer[ portiones:diuerfis modis af fumpta p.p. np. 61 Efominis partitiones fub figura p.p.capaa.. 67 4ominibus quomodo «utamur bac in arte. p.p.cAs.,.c. 67 Herbarum "vulgarium nomina ordine alphabetico. 1.p.c4pitulo 5. * 84 Hominis geflus,membra et difpo[itio eg) voces non deartiz culata varias alphabeti literas pra[cferentes.z.p.c.7..98 KEforio quomodo contineat omnescreaturas 2.p.c.8. 107 I ] eNferni feélioin communi.p.p.c.1. 2 Infe rni difbofitio. ibid.. Inferii locus [fecundum doctores. 3 loferni nfeyni flumen. 6 Anferni totius figura arti nofira deferuiens. 12 Jgnea impre(fiones in æve.p.p.c.s. 19 dgpneirum imprefcionum multitudo ibi. J4gnis partitiones quomodo in bac arte poffint affignari. - ibi. 1gnis diuifiones fub figura. 19 Iris in circuitu fedis Chrifli po[itus.p.b.c.5. lacob (cala exponitur.p.p.c.5. jo IHtinerum feciio bac in arte Immagines deferuientes noflra arti.2. p per totum. Imaginum d uerfitas.vide [ub nomine figura. Infernalia [pe£lra in bac arte .2.p.c.1. 78 Impre[Ssionum ærearum aquearum, e ignitarum thomina «fub alphabeto:1.p.c.4. 87 P L Ocorum omnium artificio[e memorie de[zruiendum dif finitio,diuifio eo fubdiuifio, Loca tmplifima in bac arte que fit.p.p.z«c. 2 Lymbus [anélorum patrum ubi. Py Lymbus infantium. ibid. Locorum ampliffimorum in bac arte efus i in communis Locis ampliffimis quibu[dam regulis utimur. p Loca ampliora bd AULAR Lg. $2 Loca ampla que fint.p.p.c .Loca gqlks di JL oca mediocria qua frnt.p p.c.8. Me s : $4. Locorum ampliorum u[usp p.c.7. $53 "Locorum mediocrium vfus Pp j4 Locorum minorum diffinitiormumerus partitiones, ex eu[us Loca minima qua fint ee eorum partitiones et ufus in arte P peapau- 6o Literarum amantiffimi.p.p.c. 1. x Loca minima alia a [uprapofrtis eo» eerum partitiones pp pitulo T 66 "Locorum minimorum ev[us p.p.c.iz. 67 " Leguminum quorundam nomina.1.p.c.5. 85 (MEmoria artificio vtilitas in proemio per totum. E: M ZMemorie artificiof laus. : ibid. Mineralia quedam numerantur p.p.c.3. 16 Metalla in particulari numerata. ibid. Metalla ac mineralia actione [lellarum eo precipue folis in terra "vi[cera compenetrante gignuntur.p.p.c.s. 16 AMortium [céliones celebres. p.p.c.7. $3 Medici excellentiffimi ordine alphabetico Mineralia 2. p.c.2.. 82 eZMetalla omnia.z.p.c.2. ds ^ ON : N Vmerorum. aliquorum facratorum recitatio, [ecunda arte.c.8. : 109 d O E ? 204 TUNET O Fficine diuerfa &'9 earum vo [ut,. a, a P Vieus inferni.p.p.c.z. 3 Purgatorium p-p.c.2. : 6 Purgatorij locus [ecundum dolores. : ilid. Purgatorium [ub figura arti nostra de[eruiente.e.s. 10 Paradifi quedam apta difpofitio metbaphorica quidem, fcd .« Sollro propofito [eruiens.p.p.c.s. Paradisi figura arti buic fauens.p.p.c.5. 37 Paradifi terreftvis diuifto. D Paradifi terrestris Lignum vita Lignum fcientie boni,cox mali Fluuij quatuor. $3 Planitici cuiuslibet portio arti deferuiens.p.p.c.7. $3 Poffcffionum partes. ilid. Palatiorum partitiones QUU VIE- $5 Pala tiorum uus p. p.c:9. $6 Plitearum partitio,co "vfus Pp-69- $6 "P hylofophi ordine alphabetico p. p.c.11- 6i Poeta fecundum alphabeti ordinem. E . Partium vvniuer[arum in hominc cxiftentiam fitus C0: n0omina:-velconfideratio. 64 Pifces alphabetico ordine .p.c.a. 86 Pradicamentorum omnium ad propofitum applicatio.s.p. .per totum.. 10v. C7 infra. Planete, Planete,eo fina celestia quibus faueat corporis membris. 2.p.cap.8. III n Sanclorum omnium quedam d;[Pofitio ez fituatio noftra arti de[eruiens.Sanélorum bominum diuerft gradus Pp. 36 Solium [anta trinitatis ab Ezechiele quomodo pofitum.p.p. cap. j- 3I cala lacob qua:et eius graduum quedam intelligentia Pp. cap. $- 3j ftagnorum parter affigmanda in hac arte.p.p. j3 daxa,eox gemma.z.p.c.2. : 8o Serpentium nomina ordine alphabetico.1.p.c.s. 85 Begetum nomina ordine alphabetico. g Similitudoradix applicationum figurarum ad memoranda Simile aliquod alicui dicitur multipliciter &* nunc fimilitu dine aliquo pradicamento.z.p. Terrepartes varie affignantur Terre partesafsienantur fecundum diuer[a,qia in eis ve periuntur.p.p.c.5. 16T ronus ChrifHiad inflar illius a Salomone fabrefaéli ponitury'ot noftro de[eruiat propofito p.p.c.s. "na ! M y T ilitas artificio memorie in proemio per totum. 1 V "Ufusampliffimorum locorum p.p.c.6. $1 : 4j. vj "U [us ampliorum locorum p.p.cap.7.. $r Usis ampliorum locorum p.p.cap.8. $4. V fus locorum mediocrium p.p.cap.9. $4 Vfus omnium locorum minimorum p.p.cap.12. 66 Vfus locorum omnium in communi,eg» animaduerfiones cir. ca "Ufum, ez) quibus cum conditionibus eifdem locis utaiur. Vermium quorundam nomina alphabetico ordine. (ecunda s paraps. (0 86 'L'olatiliam c2 auium nomina [ub alpbabetis. [ecunda part€ cap. 4. j lu Aa Voces animalium diuer[&e pro alpbabetis.a p. Voces litteras non dearticulare pro alphabetis.s p.c. 105 Principalium materierum in hoc opuículo tractata rum ordinata con geries. i. Inprima parte. M Emorie artificio[a vutilitas necefcitas eo laus in proe mio narratur.p.p. 1 J:Memoria quomodo locis,c imaginibus conflat pb a Loca quomodo fint multiplicia ac diuer[a. ibid. De inferno,eo eius partibus, Damonibu:: Damnatis: eo Pe nis tratlamus in cap.2. TES A De elementis: eo impre(Gionibus, qua in eis vecipiuntur De celis, eo flellis, co imaginibus, quas eis affigimus caz. pitulo 4. yw [S De De celo empyreo:folio Dei : Y brono Chrifli : fedecvirginis, angelorum choris,[anélorum manfi onibus,ceterisá,, vel realiter,velper wetbapboram, e fimilitudine accipien Depradittorum locorum v [u.c.c. De paradifo terre[tri, R egionibus, prouinciis f milibusqi, €o* eorum partitione.c.7. $2 De cenobijs,ecclefiis, palatijs et ffi milibus, eeeorum partitio ne cov [nu in artec.9. 53 De cAtrtificibus diuerfis:e) eorum officinis, e) "v[u ecrun dem:c.1o. $6 De hominibus diuer[arum conditionum.c.w. 6 De Philofophis.litterarum amatoribus: Medicis : Fortibus: Diuitibus De membrorum principalium in bomine numero ac nomini bus;c.i1. 64. De diuerfis s animalibus eo eorum portionibus.c. (2. 66.67 De diuerfis arboribus cov eorum diuifionibus.c.ia., 69 De animadærfionibus circa loca.c.15. 7r De conditionibus locorum.c 14. : 7i In fecunda parte agitur. De multiplici denominatione, eo partitione fieurarum in bacarte Defigurisinfernalibuse.a. OD De figuristerreds, Metallis,e mineralibusc.o ^ 82 De figuris [ubterraneis animatisatq; [erpentibus.c.1. .8, De freticibus Herbis: Giemis: Segetibus: Legutmninibus.c. 5.84, "De quibu[dam animalibus paruulis.e) vermibus De figuris aquatilibus: pifcibus €7c.C. 4. 86.87 De figuris æreis co impre[sionibus Æreit, Aqueis igneis. caz : pitulo 4. ibid. De cuibus,co aliquibus alijs volatilibus.c. 4: IET. De quadraginta,ee octo figuris.c 5. 89 De cAlphabetis: Hebraico: Greco: Latino e2. c.6. 91 De elphabeticis literis [umptis a vebusnaturalibus, vel ar tificialibus.c.6; 94 De alphabeto à membris bumanis.c.7. is 98 De alphabeto à diuer[a digitorum di[pofitione De alphabeto à*vocibus bominis diuer[is.c.7. 10f "De alphabeto a quibuf dam [onitibus,ee "vocibus.c.7. - Yo6 De figuris in quolibet pradicamentorum genere,co* de appliz catione earum ad memoranda.c.8. 107 De figuris alijs modi a fuperioris fa bi fimilibus: eo de appli- . €«atione earum.c. 9. 113 De applicatione quorundam [pecialium memorandorum. ad fuuras.cio.,.. 123 Deanimaduer[ionibus circa figuras.c.11. 129 De conditionibus figurarum. c.12. I3I Exempla multayquibus bac ars intelligi pofcit.c.3. 152 Deampliftimorum locorum vv[uyexemplum concionatoribus peretile. 133 De-v[um locorum minimorum. 135.136 De humanorum digitorum u[ujin bac arte. 139 "De vv[ii quorundam membrorit bominis, ac fc&lionibus. De quibu[dam figuris buius artis. 140 De motibus «variarum rerum ec. AI De vfu alpbabetorum omnium,egc. 141.142 De vfu alphabetorum ex litteris, eo characleribus. 142. De vilitate alphabeti bebraici. 143 Interpretatio duplex litterarum bebraicarum. 143.144, Authoris intentio 2 excu[atio. EORUM OD 49 a i1 f ^ taf " i E INPS S "x i] ONORBIS S NUN à &Y AY Van: CI AURA ^ A S cæl ee s " " p T $ ÁS g eq » w- » í re 4 ey Laid A d n avt "ueri teri ii jd de" v-v€9-7 CE DL denn z "a. mo - ps5 LE m Hber HP" AT" mnc Ene 1 E wr Bert ; » evt à EN 93 SNO rte ct ud wow d* qe A E E "T. Y E LN. TEN La K *b v"^ 4 AS TE M M à LT B " E OMS L] 3YmN t b Li E] 0535 D E M p ao Mn k] ' ES 2-2 *.x j 44 H3 4S ' El DIM y. NE A F.Rk 22 IE "a Jj es LN "m " » 4 : " Y ^ rg ues æ f Ee ww ; air ite., ' : AM t et ' ' N : * -. ed Es "d » * * ^c ap a EET P» A ÆD v" TR z^ "s € N k " n - P »" fæ X es à. we - AR «^w aio rntodigions e * Arm *. » e Ld t » Pt n "s -, Gu qu n m BUR Oe p, o : - pe ce £ wo. eee po- ym : "es t zi ^4 - : Mo aw Ter .[4 Á RE E s pw a rPIGOIOS e A a AVTORE R. P. R., ORDINIS PRÆDICATORVM. ozuxc32) Emori« tbe[aurum, adeo omnes di ENSE eA (o fertifsimi rethores communi a[Jen: 1 fa celebrauere,cot corum quzm plu op rimi, minime dubitarint : oratoria Ves ( artis [(ummam, in ip[o confislere. S) t» eandem perinde fententiam cono eT») firi T beologi ferunt de concionanz diarte difputantes. Dei etenim donis [upernaturalibus, in Cancionatare [uppofitis: Inter naturalia eiuf dcm; ft pronun ciatio Thesauri memorie artificiose eiatiopyimum. Memoria secundum fibi vendicat locum. Q uod cum ita effe babeamus omnes, ac identidem in non pullis multum i in aliquibus veroparum, Memoria fenz fum vigere fciamus : regalas atqi precepta, quibus ip[4 in «Utrisque maximum accipit incrementum, in niedium pros firamus./U erum enim vero, locorum atq; figurarum artiz ficio, memoria comparari;apud huius artis gnaros,proditum ef : 9 uamobrem localis memoria "vocitatur ab aliquibus; a plerisqi autem artificialis : que e» à Tullio, quarto retho ricorum libro, artificiofa dicitur. Eapropter de locis primo: de figuris deinde, diflinle dicemus. Ideoqs traciatum nofirum in duas [ecamus partes, in prima quarum de locis:in fecunda de figuris agemus. * Prima partis capitula, quaz tuordecim erunt: [uis diflincta titulis. De locorum diffinitione; in communi:diuifione fubdiuifioneq; cum declaratione fingulorum membrorum. Cap. I 35 Gl Ocus noflro propofito in[eruiens dicitur omma Eel illud, quod figuras naturales, [eu etia artifrs NÉ ciales, reales velfiélas : recipere. pote[E ata; à) feruare : «vt bicetngulus, bac columna; rvel talis chimera talem rem : puta vas. 2964 .. 4 wo ad diuiftanem Locorum quedam communia vos camas : quadam particularia. Loca communia funt illa ; que Pars prima. 2 qua particularia continent, in que co diuiduntur ; quaf. ge mus in [pecies [uas .c/dliter. Loca c; munia fant, qiue partes magnas babent eo infignes vel Efomogeneas,vt, elemen tum quodlibet: celi «ubi flelle non funt eoc.fiue Heteroge neas,ut corpus bumanit: "vt arbor: vt domus ciuitas €oc. Loca particularia, unt. pradi&lorum locorum partes, qua loca eo» ipf dicuntur; quia fiquras ambire «9 continez re poffunt. V'elaliter : Loca particularia fant, qua(vvt plus rimumnyon autem [emper )imagines immediate, continere folent: «ut hic e dngulus, banc flatuam. Locorum vero communium, quedam minima [unt, quedam mediocria: S wedamhis maiora : c/Alia ampla : e/4lia predictis ampliora. 9 uedam "vero amplifsima. orum autem locos rum vna quedam communis conditio eft, quid [cilicet ma fora minora continent ; vel po[unt aut faltim a[folent, cos titere: "De quibus omnibus e fingulis dicluri,ab Ampliffis mis tanquam roniuer[alioribus incipiemus. De locis Ampliffimis, que et quot fint, et dc partitione eorum :figuriíq; in eifdem contentis. 2 3y[0« communia ampliffima, funt, quie alios (EM rum omnium funt capati fima, qued; alia 1 multa; Ium communia,tum particularia; €on / e S » 9 hs tinere po[junc. vf £ Locorum Thefauri memoriz artificiofe Locorum vero communium amplifimorum: Quedam sunt inferiora e subterranea: € uedam dictis fuperiora o contigua: (eleflia alia: fi upercelefliacultima : de quibus omnibus figillatim dicendum est. Locaautem communia ampliffima Irferiora ; funt Ins ernus damnatorum ; Purgatorium purgandorum ; Lymz bus fan&lorum patrum ; Lymbus infantium defunctorum, in originali peccato. £ uo ad partitionem, notato. Infernus diuidi poteft in fe&liones vndecim : In «vna quarum (qua prima nobis erit) puteus inferni exiflimetur: quem in medioinferni fez vé pun£tnaliter ponimus: de quo infra. (rca ipfum puteum quatuor gradus inibi exiflentes pro tot inferuicut partibus. Septem alias inferni portiones € partes ( de quibus infra) fuperioribus adijcimus, iuxta Jeptem peccatorum genera, in damnatis diuer[avim poenarum generibus, gradis ufq; puniuntur -Varietas enim penarum, iuxta, peccas torum diuerfitat£ inflictasez ipforum damnatorum diuerfa fituatio eo difpofitio; varijqs gestus eorum : multum Jd emorid proderunt;pluraq; loca dabunt. "De varietate ergopænarum: feétionumq, inferni d'ffo fitione eorundemque paktium eonuenienti fituatione mul ta dicemus. 5 et de loco fi tu; di[bofitioneq; inferni, co eius cuiu[libe partis, "ubi bi-velilli puniuntur daniati, pertractantess eon[onum erit infi pul edicere, quas diuerfis in partibus inz férni luant penas, varijs peccatorum generibus obftricti. : Verum Pars prima. EE Verum de infirno dæmonibus ded, damnatoYum pani agentes, à facra ( quoad fieripotefl ) volumus, qua dicis mus;baurire fcriptura. verum rislta metbaphorice gp fimilitudinem tantum intelligenda ponere nosoportet. Ins fuper cg multafingere hoc in noflro negocio meliori ac cona uenientiori, quo potuimus modo, coacli [umus, non vt fanclifimue aliquid addamus [cripturz,[antiorumq: ac ca tholicorum doélorum illam exponentium inteligentia, nec ita effe vt finxerimus, credamus, [ed vt facilius recordes mar locorum atq; figurarum, quibus cuti voluerimus. rca igitur terra centrum, vva[lifSimus ac pene planus. fit tibi locus, rotundæ crcularifa: figura, borribili &2 tencbrofa luce perfu[us... MM In cuins rotundi loci medio puteus altiffimus [it, veles ynenti eMluans igne, flammi[que fumo permixtis:quiq; ignis demones inibi veclufos excruciet : extrad, ospuiei, quaft. lamboens egrediatur : Co per «vniuer[um infernum eiusd pertes quafi ferpenszincedendo diffundatur,palmogæ tauz tum à terra furgens co profiliens ( ne damnatos nobis occul. tct) eof dem cruciet €» torqueat. cft circa ip[um puteis, quatuor gradus lapideos brachio: rum triam velquatuor latitudinis ; duorum, «vel circiter altitudinis ; ipm circumquaq: puteum ambientes. e) cirz eundantes;rumum alio [uperiorem exiflimato.in quorum fu periore,qui orificio putei proximior efl : Ldefl in primo barez tici fint [acros [criptura libros difcerpentes nam perquam ffequenter [anctas ifi peruerterant Jeripturas In fequenz ti,qui 'Thefauri memori: artificio(ze ti, qui medius eft, Iudei fint &reis vel ferreis frontibus, vt eorum obfLinatio fi gifs cetur, velvelatis oculis, evt corum cacitas demonflretur:"velinclinata ceruiceyvt cordis duris tia declaretur corum, confingantur. In tertio idolatre cum fuis proftrati idolis imaginentur. Kyppocrite in quarto gra da ponantur qui cvltimus eft. 1gne "vehementi predicli damnati à putei ore egrediente torqueantur. upra os putei Lucifer quafi à puteo egrediens, figura appareat inis Lili, flammis quaft infidens, ac ab eis circundatus Des feenfis autem quatuor pradiélis gradibus, circa nteum exi flentibus, ip[umq; 4 parte extera circundantibus ; feptem lineas pertrabes,a planta cvltimi gradus, [qs ad platea cir cunferentiam fluentes, ipamq; proportionabiliter diuidenz tcs. In quolibet autem [pacio inter lineam e lineam : vel mlius inter murum eos murum(nam loco linearum muros, latitudinis unius brachij finges: à terra. tribus aut quatuor palmis fargentes) : In quolibet igitur [acio inter murum e» muram conslituto, ptem damnatorum genera iuxta feptem peccata mortalia co llocabis: Ffoctamen ordine, quód f'perbi in illo collocentur [patio, quod dextris Luciferi e pa. teo cgredientis,velpotius ab umbilico &g) fs ur[um egre cisfttualiter conrefpondet. "Destras enim mn Dei fed Démos: nis, bac peccatorum maximo quo damoniacam malitiam: imitati funt. fibi antea in uita pofiti wendicauérunt. - Depenis autem fuperborum, noftro inflituto de[eruiet Efaia fententia «4. capite fcripta, Derralta eft ad inferos fuperbia tua:concidit cadautr tuum. Et illud. à. 2f ach... Incbriate Pars prima. 4 Incbriaté eum calice ire domini,quomiam contra dominum erecius csl. Ifi ergoin bac eorum inferni partitione, qua in ordine-qu'nta efl ; imterram deiécli, ac proflrati imaginenz tin, validifsimo.cruciatiigne. TH Inter quos appareant damoues(iuxta illud Iob,cvenient: fuper eum horribiles) Leonum effigieni babentes, atq; ronguibus L uperborum corpora per terram trabentes, eo infiz: mulea di[cerpentes eg dilaniantes. Leonibus enim fua in fuperbia ifl [imiles fuere. ! ! 1n [ecundo [bacio, quod fua poftione eo» frtu. dextram: Lwiferi coxam, non in recía pror[ne linea, [cd parumper pendente refpicit int auari:&) uorum (extra banc poft tio nem)recte recordaberis,quia in dextro coxe pradicie; locus los eg mar[upium ( quod ifH [emper concupiere ) tenere [os lent bomines. uiEnY iro Rd Ifi waltibusin terram deprefQis exiflimenturjtotoq; in-" clinati corpore.cld terram emm terrenaqi ve[bexerunt ifti dum *viuerent. laxta illud Hieremia.vx.ei ui Vero octis li egcor ad auaritiam.Hflorum ctiam fanguis in loco ona rum, ac i diuer[is corporis partibus, à [anguifugis eliciatur. Anter bos admixti [iit dmones,vultibus lupimisuelbu fonum apparentes, qui baculis iflorum dor(a percutiant. Hi enim tanquam lupi «9» ceu bufones eg [evpentes terrazin(a turabiles auro £9 argento extiterunt. "9 In tertio [bacio ideft ante Luciferum veia linea; laxuriof ponantur cuius pofitionis rationem, quilibet ex fe bone sle confideret. TERN ibt: T ales 'Thefauri memoriz arttificiofx T ales corrodantur à uermibus in pe£tore. tuditb 16 ."IDa Lis ignem c9: vermem in carnem eorum, vt vrantur fem per. Et Efd.vltimoyvermis eorum non morietur : €» ignis corum non extinguetur.De «verme proprié diclo,non negat. Se Augullinus boc intelligi poffe Sicut. D. e.4nton.vefert.4. parte tit.14.(Cap.s.De vermibus etiam E [aias quarto di cit, fubter te [lernetur tinea, &o* operimentum tuum erunt vermes Caie.in "D Marci Cap.9. metaphorice vermcm fami tradit, cum dicitur, vermis eorum non morietur. iz ce etiam ardenti iflorum corpora perfundantur :quia carnis delitijs [eruierunt.eMpoc.-vlt. 9 wantum [e exaltauit, e in delitijs fuit, tantum date ei tormentum eo luctum. De fimilibus, Efa.5. In die illa auferet dominusornamentum calciamentorum, &e* lunulas ex torques eo* monilia cc. €) erit pro (uaui odore feetor,e9* pro zona funiculus, eo pro crifbanti crine caluitium;e pro fafcia pectorali cilicium;ta libus ergo ifi aut fimilibus agitentur penis. Erecli autem flent boc in [pacio homines gj mulieres cincli colubris eo rum mordentibus carnes:maxime eo in loco, vbi iam carna les fibi dele£fationes admouerunt.Calui in[uper [rnt,ez) pro compta coma a[pides, vipera ce T hyra ev. a capite dcfluant; vermes infuper carnes corrodant corum. . Inter bos demones adfint quorum aliqui porcorum forz n24m pra[cferant : lj mulorum z Hircorum-*ve ceteri, qui eorum carnes ficut [upra pralibauimus,ardenti pice perJundant: Interq; pedes corum flercura eo limus, fordidifsi mumq; perip[ema inueniantur. In [p4cie Parsprimadt o [ In [bacio quarto, quod ad fi nifira coxam fitum e$t, iras cundi difponantur. nam finiflvo in terra offirmato pede, ad effandendum f anguinem,pluries iratus bomofe mouet. Hi autem vunguibusyUultum pectusq; dilanient e: exz corient:oreqs aperto "Deum blaphemantes i far[um ereélis eultibus fpumantesqimanu[qs proprias pre rabie morden tes, imaginentur. c/dpoc.t6 b. ( ommanducauerunt linguas fuas pradolorz, eo blafphemauerunt Deum celipra dolo re, eo vulneribus [uis.Per os autem, na[um e oculos, fuz mus borribilis, igne admixtus, egrediatur.C uo ad fitum po fitionemqi pradiclorum, Hj pedibus "vno ab altero longe feiunclis,[lent. Damones multi,in rabidorum canum -vr[orumqi,aquilarum etiam figura inter ip[os apparere fingantur ; qui ferz reis "Uncinis vunguibu[q; retortis, dor[a, renesq; totas excoz rient,excarnificentqi. In [bacio quinto,quod finiftro Luciferi humero corre[pon det,gulofi fedeant. Horum finiflramembra,rut brachia, T i bis;inhirmiora cateris membris, in gulofis e vvoracibus effe folent:ac ob dejluentes bumores à crapula genevatos ; multis teneri cruciatibus. 1d circo boc fitu, finiftram Luciferi refpi ciente : eorum aliquatenus memini[fe cvalebis. Ml intro ia gatture linguaq;, igne ardentifsimo crucientur; ficut e) de epalone logitur: LucA6.crucior in hac flamma. Potum ama viffimum eAb[ynthio eg felle permixtum; feculentumue bi bere à demonibus compellantur, Ffierc.1.3. Ecce ego cibabo co5 ab[ ynthio, co potabo cos felle. Exgc.2 Et calicem maroz 5 ris Thefauri memoriz artificiofze yis triflitia bibes co potabis v[q; ad faces.Sedeant ifiimaci lenti, extenuati, quorum cutisofibus tantum adbareat, e[urientes fitientesque credantur, co pre fame «9:fiti taz befcant. à Inter iflos gulofos, demonia furgant figuram bolorum ev felium babentia : que in borum damnatorum ora cvi emarifsima pocula,eliquatumq; plumbum, effundant: Hoz rum peccatorum aliqui, euomant interiora ex «vifcera. Retro in [pacio, inter lineas à posterioribus partibus, fiz nifiri humeri ad circunferentiam pradicla platea defluenz tes,inuidi maneant: Q) ui bene retro collocati exiflimentur: quia et [lercore malo.fbroximi, letati [unt: &) d contra bos num illius, «velut flercus reputauere, dum illud vilipende runt, vituperauerunt ab[conderuntq;. s Inuidi autem in toto corpore varios liuores babeant: pal lidieoc. Hos autem Ouidius pinxit. Pallor in ore fedet: macies in corpore toto: ]N'u[quam recía acies, liænt rubigiz ne dentes./U'ifcera felle virent:lingua est fuffua -veneno. Hiproflrati in terra iaceant;atq; duriffimis flagellis,ut puta taurinis atque plumbatis à dimonibus pa[ferum vel "Draconum figuram habentibus, durifime verberentur. In feptimo (pacio dextro Luciferi corre[pondéti bumero pigrosponimus acediaque percu[Jos : € ui in tali inferni loco conflituti;ligati fint manibus e pedibus: Iuxta illud; ligatis manibus eg* pedibus proijcite eum. ide[l Seruum inutilem, in tenebras exterviorcs.Iaceant bi, in avena: pedibus in compedibus reclufismanici[q; ferreis ligatis manibus:catbe nifq; Pars prima. 6 ni[qy multis vintli eg cireundat?. Inter iflos diabolifint, fa cies mergonum «oelmerguum babentes.afr noram aliqui: qui acut ifsimis Siismalis pradictos pangendo torqueant. D«moz numq; aliqui, merguum "vel mergonura efhiciem babentes, tanquam [mper eos [edentes € equitantes, calcaribus co. rumconfigant, eg) compenetveni latera; baculifa; pofteriores eorum percutiant partes. Impleta platea damnatis predis Cis, gelidarum aquarum vapidum flumen [ua inter littera fluens, co plateam predictam ambiens,ponimus. c^dt hic notato, quid inter finem platea infex ut dixiz nus diuif& /pacia, eo arenarium litus interius buius flumiz nis quemdam murum, terra tribus furgentem palmis, e plateam claudentem, cg» ab arenario eam diuidentem féparantem,te oportet confingere:te loca indiflincla confufionem noftre ingerant menti FPofl quem murum plateam recludentem litus fequitur:totam circundans plateam: Deinde flumen : nigras fecibusá, permixtasa fundo ebulliens aquas. 1n boc autem flumine :in ante.f. Luciferi Cymbam, ani marum plenam exiflima : In qua atrocifimus fit d«mon, nauim ip[am gubermans, eg» animas peccatis oncratas diuerfis, deportans: mon ob id ( barontis claffem admittimus, ftd bec metaphorice [umimu. Mflas aiit predictas animas, damones multi in pradicla naui exiflentes, in varias pr«dicle platea c inferni portiones eo [paciaymaximo impea tu proijciunt "vel deportant. Extra flumen pradicium, quod totum circuit infernum NET à parte Thefauri memoriz artificio k parte dextera l uciferi,1n cripta Lymbum infantium: 0845. : Retro Luciferum, Purgatorium:incripta et TA tras f'umen pofitumcexiflimetur. 2L miftri 35 in cripta Lymbum [antforum patrum: Ho vUmrationem pofitionis breuitati ['udens omitto. ct ciendum, quód Lymbus infantium mortuorum in originali peccato locus efl [ubterraneus continuus cum infer no,ee parsinferni.[ed tamen fuperior eoloco, quem infers num dicimus : locum autem iflum, in duas diuidimus partes: in quarum «vna infantes mares [int : in altera femelle morentur/De boc Lymbo,vide.$.T bo. :fen.dif.45.quaz fio. 1 im ratione ad eandem qu&fiienen. Purgatorium, qui locus purgandorum est, in altitudine füperior fit predicto Lymbo;qui locus rotundus fit, quaft pu teus fed latin. Et ibi fint ( lerici Presbyteri: E pifcopi ec. A eligioft, Monachis Abbates coc.bomines prinati mulie res. Locus ifle flammis excande[cat eg fumo: Et tanquam balnea; fedi ignem non aquam cbulliens exifHinetur. In mez dio fupra quandam exisimatam petram vel in porta:uel melius in balnea circuitu «vel vltimo per ærem : cfngeliconfortantes exiflimentur.. Lyiibus [anéborum patrum; locus fubterraneus eft; pa lo fuperior Purgatorio exiflimandus. Santi enim patres;in quibus. minimum erat de ratione culpa, [upremum ee mis nus tenebrofum locum habuerunt,prout a [antlo T homa.4. fen.dift. 45. uni ar. diste haurire po[Jumus. Locum autem bunc quadratum exiflimemus, eo in pi »70 angalo [int [ anti Patriarchæ: in fecundo fancti Propheta:intertio [ancli:eo: Iu[li bomines: In quarto infantes circuncifi: omnes ifli ibidem aliquando fletere, v[que.[- adi Chrifli defcen[um, e& ab inferis a[cenfum. Additiones operi infert ab codem authore. F. Cofma Roffello, ad ampliorem noti timeorum, qua fupra pofuimus:& adlcgentium maiorem vtilitatem : et vberius oblectamentm. e Oft quam pra[enti operi de memoria artificio JJ fa. finem dedimus : placuit co nobis, vut ea, qu& de inferno,elementis celeflibus.[bberis, QU celos, Empyrto diximus, ac feripfmus spi. &ura commendarentur: bac nempe de caufa, ut videlicet. tum in[hetlori maximo e[fent emolumento:tum, vt illis c. [picientium animus oblectaretur ac hifce fludijs peram na uare,vel"vtili, vel voluptate, vel certe "Utrod, permotus pene compelleretur. Igitur curantes, vt Infernus, Paradiusd, omni, qua potuimus diligentia, pingerentursmelius edo Cli,addere quedam, aliqua in melius commutare, paucifriz mac, excludere, neceffe fuit. Et,rvt eorum omnium, qua de pila fuerunt, notitia plenior haberetur omnium pradictoz fum declarationem, ibidem a latere. appofuimus : cut que. pittura includeret;feriptura declaventur. Ef as ergo Inferni pne "Paradifi 7 Thefauri memoriz artificiofe Paradifiá, declarationes pleniores eo locu; letiores, non om nes,ne iam [cripta replicentur [cd e duntaxat, que im mo fro libro minus plene po[uimusi buic nojtro operi, inferimus &) [ «bncclimus. DeInferno in communi,& de damnatorum poenis in vniuerfali. qr&me ug LN terra medio centro, Infernnm damnatos J num effe,etft mon certo probabiliter, tamcn fa » [ eri afferunt doclores,vt 5. T bo.in 4-quilibet g «elol] "videre poteft. qui locus vviliffimus eft .Ut pos te qui "vilium mancipiorum, perpetuus incolatus exiflat, "Profundus.nam circa centrum e[Je creditur. Hforribilis ex viftone demonum. vt'D. Greg. autumat.P auperie egestaz ted, omnium bonorum a[berrimus, verme con[cientiam cor rodente intolerabilis, P'ermibusá, forfan corporeis fatis plez nus, quod ee D.efuguftinus non negat.nam etfi naturaliter ibidem, pre[ertim pofl. iudicium immoto primo molili e[Je non poffint, Dei tamum miraculo in damnatorum pena ade[Je poterunt: uod gg tunc litteraliter de ipfis damna ris exponeretur illud. "Dabis vermes in carnes ipforum.Inz faper locus ifle inextricabili confuftone plenus ef : ibidem. enim nullus ordo,fed [empiternus borror inbabitat.1gne ve bementifimo exefluans: Putridus maleq, olens : Gelu æ frigore indicibili flridorem dentium incuriente vepletus: flez tucinlatu, clamoribusq, auditui infenfr[imis, [be longe la4 ted Pars prima. 8 req [emotus. T'enebris gratie ac gloria plenifeime opacus ác in[uper lucis extera admodum priuatus. Ita qud ignis ille im Inferno exiftens,non ad leuemen, fed ad penam videri poféit,isq, horribili fumo permiflus flammæ, fabrübea, vel t mili terrorem incutiens,penamiá, damnatis in ffüigens. € ui denid, locus,carcer eft apo[Fatarum [birituum ficut de eoer uator no[Ler a[Jerit. Q aiparatus et. diabolo c: cngelis, eius;in[uper [celeflum bominum habitatio: Perpetuum ve proborum exilium:pra[citorume digna cauerna.[pelunca. fla bulum, bominum illorum: qui, vt animalia irrationalilia in boc mundo vixerunt exitlit, Q uidamnati bominesomnes er finguli, fi non equa li modo: (quia [ecundum.magis [altem ee minus) attamen eifdem penarum [Deciebus excruciantur, cum pene damni pena, [enfus «niuevft [ubiaceant:iU'erum enim vero, diuerfos danmatos diuer[as luere pemas,coruma, peccatis [ac tis contienientes,ex [acra [criptura, «ut plurimum decerpfimus:quas cadem [criptura, evelproprie, evel per metaphora dixit;cut eft illud E[aie .Erit pro Zona funiculus, co pro erilbanticrine caluitium:vel in toto,vcl in perte accipitur, ut eft illud, Ibi erit fletus.quod per finechdoché idcft won pro emifsione lacrimarum:[ed pro dolore cayitis, eo» contortioue panniculi cerebri, accipi debet.fecundum D. Lo. elias in[uper penas non finximus, vt in[Pector, vel ip[as penas ifl is uel illis damnatis conuenientes conf deret, "vel certe ipfe idem le&lor ex fe excogitet quofdam cruciaz tis pradictis fcripto fignatis vel depictis perfimiles: fed lonz 4t atrocios Thefauri memoric áitificiofx ge atrociores : ipfistamen damnatorum peccatis corre]bonz: dentes,A Dco inflictos, vel infligendos e[e. Nam clarifti-: mum ex [acra deprompfimus [criptura, penas peccatis con: uenire debere.€) uod «9 rationi [atis confonum eft. D. etia T ho. dicit, quàd nil in damnatis erit quod eis non fit mates ria triflitie : nec deerit aliquid pertinens ad triflitiam. Ca. propter, fuperbos in Inferno proflratos conculcatosá, à deme: nibus difhofuimus: "vt qui in "vita gloriam humanam affez élauere conf ufi, eg omnium de[peclifimi ( ficut vei mil eris. probabit euentus ) con[sderentur in Inferno damnati: ficá, de ceteris cruciatis eo cruciatibus intelligas .SNec te chaz vifsime leéfor fallere poteft pi&lura, qua aliquando nostro in uentu diuer[os diuerfimode excruciatos oflendit. Nam coz gita fi potes omnia atrocifcima tormentaya[perrimasá, pez uas àmundo condito à diuerfis tyrannis bominibus infli ctas etiam (Chriflo domino, illas et omnes, qua bumano inz uentu infligi po[Jent, nec tamen parem "ollam inuenies, qua etia minima infernipena-vel [enfus,vel damni coaquari po[sit:quod cox doctor nofter c/4ngelicus afJerit, rationibus, probat. Idcirco qualibet bac in pi&fura data pena, damnaz ds quedam [ingulis, [ed longe maior erit excogitanda : qua eminenter ba[ce depiclas continere credatur. 94 parz Pars prima. M De pattibus Inferni hac in charta depi&ti,deque diuerfis damnatis pradictis in por . tionibus,ac de diuerfis eorundem cruciatibus. SN tartari obfcuriffimo loco. eo lacu, ac inz e. fuper in putei cenofa profundad, "voragine, innumeros demones ibidem excruciatos atz Ic tendito. Luciferum etiam omnium demos um principem, flammis fumod, ex puteo egredientibus cir. cundatum, Qj à putei ore prodeuntem,animasá, torquentes con[idera. e/4 puteo pradiéfo ucbementiftima egreditur flamma, qua per totius Infernipartes debaccatur, omnesá, damnaz zos iuxta [ingulorum merita torquet. quia dei inflrumétum e[?. Ligat autem ignis ifte animas, eruciatá,ac miro tormis ecomnium damnatorum impenetrat corpora Hleretici in primo [unt pofiti gradu, qui [acros libroscom burunt d ilacerantá,: [acrarum enim [cripturarum germaz nos fenfus in bac luce conflituti,deprauare folebant. peruer tere in[uper,et cas aliquando abolere aufi funt. Secus istos, Iudæos obflinatos, duraá, ceruice ac mentis eculos obcecatos habentes, ignis idem [pro eorum excruciat sheruis. Idolatras in terram prostratos, uebemens à puteo egrcfz f^ flamma excr uciat. 4H» ppocritas im quarto grada circa puteum conflitutos Z locauimus, hefauri memortz artificiofe locauimus, à quibus demones laruas ouinas detrahere, eo feces turpiftimas denudare finguntur. Retro Luciferi dextram,rvsd, ad frmiflram circulaviter progredientes, feptem mortalibus capitalibus culpis obnoxios difbonimus.bos omnes «varijs penis cruciatibusue diuer fs defatigatos cernere poteris: ficut gj [uperius abunde diximus. De flumine vel ftagno Infernum ambiente. I uS Elidarum aquarum flumen Infernum am $25; sh biens po[uimus. proinde 10b.s4. de quolibet : Ua" damnato fcriptum efl.c-4d nimium calorem, hem] manfiet ab aquis niuium. Conficiant. ergo aqua i4, vel paludem ; «vel flumen, vel aliud quid : ita quid feparata fint ab igne, vel pluribus in partibus Inferni ea iple aqua appareant : "vel virtus duntaxat eorumiq, geluip quadam confufione e? permixtione, ot Doctores di cunt, damnatos ipfos excruciet : nibnoftra refert. fat cnim tobis cfl, abfonum non efe immo con[onum fuiffe, [criptus req, lancla con[entaneum, aquas in Inferno po[uifJe. Cocytum autem flumen eas appellare, quod luctum [oz pat,uelpaludem.fLigiosq, lacus,quod me[iitiam [igna tucl Lethe,quod obliuionem importat, ron est inconueniens:im$no. nomina ifla my[lerijs baud carentiquod c palam a[Jes rimus,non «vt Poetarum figmentis f aueve velimus ; [ed vt quod illi muffitantes dixere ; hoc nos (brifliana "veritate plerifjime A ES Pars prima. HE: 10 pleniffime eruditi declaremus, e tanqu&m ab iniquis po[féfforibus,ut D. Hieronimus ait, qu« «vera dixerunt a fs menti extrabentes in noflram referamus e'tilitatcm. De Lymbo Puerorum. 9] Imbum puerorit, extra preditium fumé -oel V Hlagnum in crypta difbofitum inuenies. ui SA locus, cum Inferno continuus efl, ac inter eius a asse] partes a docloribus connumeratur;[ed tamen eo [uperiorem difpo[uimus. In quo exiflentes anime, dupliz ces tenebras patiuntur gratie [cilicet :eo- glorie.e 4t iflipez na [en[us moleflias non patiuntur.Hfic defcendebant infan tesilli, qui in nature lege ab originali non abluti peccato, de cedebant: llli in[uper;qui olim in priori tefl amento incircum cifi et vita migrabant : nunc "vero omnes, qui ante rationis evfum facro non fignati bapti[mate moriuntur. De Purgatorio. x] Urgatorium est locus purgandarum animaJ rum:quod L»ymbo predicto fuperior intcl/iga tur : nà longe [uperiores gradu animabus pue 2j rorum existunt ife puyganda.cizd qué pors ro locum, pr&dicle anime deducuntur ab cZngelis : Comis tantibusramen co afiftentibus dæmonibus.) uo in loco £lo rie tantum, non tamen gratie tenebras fubflinent, 6) pas a Ve set 1 tiuntur, T hefauri mcemorix artificiofic diuntur, ignei, cox fi non perpetuo, temporáliter tamen per maxime affiguntur eo craciantur. Igitur pena danni pe nad, fenfus tempovaliter torquentur, «bi cj: demones, etfi non torquentes ; attamen illudentes €) conuiciantes conuez niunt Nam ratio expostulat,"t viclores à «viélis minime torquentur, et fi aliquantulum ab eif demilludantur. Efoc proinde in loco anima exiftentes,nofl ris [acrificijs orationi bus, leiunijs,uigilijs, peregrinationibus,flagell ationibus, E lce "mofinis ceterisd, fimilibus bonis,à parmis [ubleuantur. ua iuxta. y.cdug.[ententiam,pradictis animabus profunt:uel, «vt ipf pena tempore,rvel intenfione diminuantur,vel ab eifdem ipf anima penitus ab[oluantur. Aliud leuamé eo» ee anima con[equuntur. nam ibi non de[unt. c/dngeli, qui ps gratas apimas bortentur, «9 quafi [ua pra[entia 0HeAnt. De Lymbo San&orum Patrum. V] zdnélorum patrum Lymbus paulo fuperior eff Purgatorio, ee pradiétis locis minus obfcu gebantur: [ed glorie tantum fplendore;fez cundum prefinitum tempus priuabantur.9) u& locum [ubito pofl mortem adit Iefus [lendore beatiffime anime locum animasd, illuftrans eo illuminans, bean:á, omnes illas vix fione fs diuinitatis. £) ui locus, educlis inde patribus, cau in poslerum fuit ac perpetuo erit. T 5M "De fN aii Pars prima. Hu De Naui Animas deferente. 8T 7 fi naui non indigent anima, ned, veclori Gus cateris,cut pote demonibus: "vt ad fua loa ca pro meritis, iuflitia «urgente diuina perue niant ce perducant:attamen ad celos, ange portaretur ab efngclis. Et Ecclefia boc fere ide demon[lra re "videtur, dii dicit "Data e[l e/dtchangelo Michælipote flas [per omnes animas [anclorum [u[cipiendas. fic de qui bufdlam prauis bominibus, quid ad infernum à dæmonibus perducantur, [ epius legimus. Q uod etiam de [acra [criptuz ra te[limonium baberi videtur, dum dicitur. Ecce repetent animam tuam à tec alibi, Tradidit ei tortoribus quou[ ue redderet «vniuer[um debitum. Ideoó, actas à demoni ds naues pinximus, quibus animas ad portiones diuer[as infirni, damones ipfi deferant, e proijciant.e *vt boc fis gno multorum. bominum anima etiam «v ifibiliter sd, ad Infermum per datla intelligantur, cum quibus € perpetua focietatem inuite pertrabent. Dc Cryptajin qua cauerna et aditus ponitur. Axes] U'amuis anime Infernum petentes. fouca sel MC aliquo huius modi, "vt in infernum impenez j/4] trent es defcendant, ee) ab eo diglutiantur, NeeeA] non indigeant : attamen expostulabat ratio, CCS vt illorum 'T hefauri memoriz artificiofe vt illorum infelicium animarum ad. Infernum de[cenfu:, qui pingi non poterat, bec figno in[bectori^us declaretur. cetcmnmn iadicij tempus aducnerit, quo «niuer[ et anima cor pore denuo "ve[lHicturit»c freut olim [upra Datbaan et Abi ron congregationesá, eorum cos uiuos deglutiens terra aperta eft: Ita cg peracto extremo vvniner[aliá, iudicio,ea ipfa ter ra cora damatis magno aperietur hiatu eo abyfci magna pu teus fuper cos urgcbir os [uum, e viuos deglutiens perpez tuis ibidem tenebris veclufos eruciabit. Q uefo vosomnes lectores in[beGloresa, viuentes: ad inferni profunda cogitas tu "ve[tro defcendite, penasá, «niuer[ as perpenditeyut eru ciatibus predictis admoniti, c7 bac invita illis quafi "vul neribus percufisatà, perfofet, a peccatorum fomno,iam hora exifleute, furgatis. 9). uo [obrij eo "vigilantes,atá, precincti libero patétio, ince[J: u, virtut4 omni femitas peurrere poe tis, «o ad eterna beatitudiné in calo perfruéda pertingere. Omniam prædictorum locorum figuram ad maiorem euidentiam pono. in qua fane figura-vniuer[a quia [uperius féripta funt, dijpofita inuenies-fed mon precife eo quo fupes rius diximus, modo: nam in melius qua fcriptærat mutare (rut in bis additionitus uides.) fapientis erat, e» tilitati con[alentis: In eadem figura,candem ob caufam, quedam addita inuenies. Nec ob id miretur lector, nam [cripto boc opere absa, figuris, ess iterum illi Wacantes,ut pro maiore dez claratione in ip[o orit, qe [cripfimus,ponerétür figura. qua dà mutare:queda addcre placuit nobis. €) uod et in [equéti bus,ne eade repetere i1eneamur nos ferua [Je animaduertito. ALlodd queen YT AT ER bU P " AUC WUCAMECS Axes UE V REENC IT VE MI Miiisiecviá ws, CIA Hm e "1 Y Y3CAY W ER ; FE SETS pe Tr EIE e E. QA y EI o 4 S 8NOlV5odA CO ÆSES NI V F3 res Las uigne PER uteri mieu SUC. T ACT ADRIAG ST app V VAR MORES qe Me DR, ETC ce ADR xpi ei xu o d ed ei oen Thefanri memoriz artificiofx 7 /oniam in. carminum compofttione minus JJ] apti minu[ue eruditi [umus,ea propter ne ali j quid noftro defit operi, quod lectoribus fore (NES 9) gratum € vtile exifhimemus : ideo qu profa diximus, xut carmine comprehenderetur,curauimus. 4 uapropter. R./P.F.SNicolai Alextj Perufini celeberri mi in (acra T beologia profe[Joris, ac [anct Inquifitionis di ligentiffimi commi[[arij opem € operam efflagitantes, [ua tum benignitate tum praclara in [ludis ommbus eruditione,meruimus quantocyus exaudiri. litur que cito, fed eleganti copiofoá fbylo profudit carmina, hic infraa nobis poz nentur:tie buius noflri operis lectores,ac figurarum in[pectores, bac ( quam carmina donant ) animi oblectatione priz uéturimmo que pro[ayt diximus, declarata uiderintycar sine bec eadem [e babuilJe letentur: vt qua animi oblecta mento auide legerint : ea ab eif dem iocundius € "vtilius [n [cipiantur, co fixius in corum figantur qo rccondamur semoria. RP. * P? M. NICOLAI ALEXII BB R.VoOS LOU ORDINIS PRÆD. COMMISS, S.Inquifitionis, Carmina. DE OENFERNOS SS DAMNATORVM GENERATIM. d ades, iam fi ifle gradum, circum [pice formam j Tartaream, € penas pedore conde truces ; C-ARCER atrox Nerterd d grauis,uer TT o meid Voraces T'errifica facies, borrida Monflra, ('Fuces ; Eftcalor intenfusyriget intolerabile frigus, eNunc buc,nunc illbuc perdita T urba ruit ; Lutlus co Virrices Cura, [bes nulla falutis, Styx nigra fax pallens, Pax procul;acl 4 quies "Dira fames,violenta fitis, truculenta cupido, E xplere at nallis,bic,[ua ota datur ;. Sic femper miferi cupiunt,numquamq, cupita. Percipiunt, Thefauri memorie artificiofx Percipiunt ira binc bisrabio[a furit. Hac tibi [ab varijs [unt bic defcripta figeuris, "Ut mage ftc no[cas, £ ue grauiora manent : eNam nec Praxireles fcelpat,nec pinzat c-Apelles "Penarum [pecies.E) uas locus ite tenet. DE RV ITO. A Lius hic eft "Puteus, T enebris oppletus eo igne, Q uil emurescruciat. Lucifer ora tenet, Hovribili a[pe£tu, ( unclos torquere paratus : e tá hicjatá illhic, fors "variataviget. In primo Fzretici. H Ic fant Fíerttici Q) ui (acra Volumina [cindunt &. 1 c/4ur pedibus calcant, Dogmata falfa ferunt. " In (ecundo Iudzi. H Ic natio Iudæa gemit, Cui ferrea ceruix: Kl Cuiclau[us Mo[es,luminayvelat egunt. Intertio gradu iuxta Puteum Idololatrz F eAlforum hic confraGla iacent fimulachra "Deorum. X. Q uorum cultores v[tulat ignis edax. In quarto Hyppoctitx H Ic funt byppocrite, ficlapr obitate doloft, XJ Laruis depofitis,iam [ua Damna videm. In Pars prima. 14. in quinto Superbi. Hhos trabit,bos trudit,ora Leonis babens."wee À Vla fuperborum adDextram Plutonis .eórima; In fexto Auari. Ic curuos ceras "vacuosá, numi[mate auaros, H £) uos [ab fronte Lupi, [eua Megera quatit. dNaná, "vorax Lupus est,fic nec fatiatus auarus ; Vt Bulfo,defit,ne fibi terra,timens. Infíeptimo Luxuriofi. Oram Lucifero, Veneris quos fcda libido e Perdidit,Ignis inefl turpia membra creans, cAnguibus oratument colubris coma colla cerastis, ircorum effigie:quos lemures domitant. In octauo Iracundi. Cce bic irati lacerant fibi "Petlus, et exit b eNaribus,atq; oculis flammeus ccce uapor. En mordent fibi dente manus, pia numina carpunt, "Portenta bos vexant Lurida,more canum, In nono Gulofi. E Suriunt,fitiuntá, Dapes,abfintbia felle Et fecemisia Grues,P oculad, atra ferunt. Diues adeft epulo, guttam petit,€e* nequit cUnquam " P e4ccipere, b Ld. et Thefauri.memorix'àrtificiofz eAciptre, Unde ardet iugiter ille fiti. In decimo Inuidi. I 3 I1refident quos Hio. edit, qui i T abe matrefcunt, "Dum mala auent alijs, nec bona ferre qucunt y Hhs in (ublimi tractos fera pulfat Erymnis, F nde his ies U erbere térga fonant. In vodécitnio Accidiofi. H Ic " cgnes berent manibus pedibusd reuin&lis ) ; Rupibus in flygijs,ad P blegetontis aquas, 405 .$ Ma afinos mentiri, pulfi bus furgent, egi us Aleéo verberat "vs JV. Eia De du si inesqu od am bitin GPS s. Gniuomum obuallat cirtumfii tatartara flumen, TS ] 9 uod multis cAnimis caleat onujta R atis. €xonerant Claffes Loca dat [ua cui, C barontes, *Proqi (a uo Penas (rimine qud luunt. ^ 1n Purgatorij oftio.1 1 Ic z hài eft animis purgandis tempore certe: e Angelica, exter[as portat ad Mise uar Lyrnbus Patrum...: ^ «4 H Ic "vetus ille manet Lymbus, quem Chriflus adiuit. dd din occlufos extulit inde Patres. Lis jte Pars prinva. in 1j LymbusPuerorum. Y À ec Pueris eft dicla Domus, Q uibus ante perire H Contigit,ac labes prifca veuul[a foret."Dant penam "Damni, non [en[usynanq; videre Haud unquam po[Junt numina clara Dei. Idem ad Amicum fium F. Cof. Roffellu m. A (cipe T hefpiadum fubito deprompta furore. Proq; mco tantum redde Labore preces. Yt tantas Eereli nobis euadere penas; Det Deus,Co valeat mens meapace frui. De locis ampliffimis communibus fuperio ribus pre diétis:ded; corum diffini- tione parutione et numero. Ar « Oca communia amplif'ima es fuperiora illa 4 funt,que [uprà inferiora [unt pofita, eo [unt CÆ quatuor elementa: T erra: equa: c/4er: ea P mLLN Ignis. Eorum autem elementorum uni 'quod qut: in P ERUAN fecernitur partes:qua quidem partes in[Hituz o noflro perutiles erunt. ]Nullus tamen miretur, quid boz dum bomogentorum partes, qua fibi [imillima funt, pro loz cis bac in arte(qua locorum varietatem quantum poteflrez quirit)deféraiani Nam duo funt, qua diuifionibus ca nobis ! 4pta Thefauri memoriz artificiofze epta reddunt. Primo ves, qua diuerfis in partibus elementos rum vclimueniuntur: «vel inueniri po[Junt: «vel faciliter in eifdem imaginari valemus(ct infra uidebis.) fecundo eorum notabilis magnitudo, quam attendentes diwifr ones faci liter predicla eleméta recipere poffe cognocimus. uorum quidem notabiles portiones, à uobis aufugere nequeunt. T er ra enim [ecundum [e totam,a nobis def umpta (fi Alphagra no credimus)girat triginta millia;[upcr emille quingenta mil liariaqui numerus [ub aritbmeticorum figuris pofitus atque redactus, talis eft 315060. Groffities «vero eiu[dem atque diameter mille ej) viginti duobus miliaribus conslat.( um iuxta Archimedis fententiam diameter tertia fere pars fit circularis circumferentiareicuiufübet orbicularis figura.Se midiameter autem terre (qui noflro propofito maxime dez feruiet,cum bac fubeelefles J[pheras ic infra fub figuris Ca non integras fed medias duntaxat demonfirantibus ponaus, quod non. tantum nobis noflroà, negocio fufficit : fed clariorem plane noflram reddit doctrinam)erit quinq, millia co voxdecimmilliaria. ur autem de milliaribus loquimur. bic,eos infra deno Sis intelligimus. Ad noflra cnim milliaria recentiores, que veteres po[uerunt, laboriofa fupputatione reduxerunt. Az qua "verotamva[ta amplitudinz atq; magnitudine fuperz eminet terra. ac tam grandicam [ua excedit quantitate, quid iia decuplum pradiéius Alphagranus cateriq; (eidem ceu bac in re doctiffimo adberentes) terram ipfam excedat, autument. Eadera quantitatis proportione er A quam: et Jenis Pars prima. 16 Ignis c/feré excedit,eg: fuperat. Ita quód dotfiffimi c/A$lro nomimaxime cAlpbagranus, à Terza ad evsá, Lune cali numerent triginta €? duos terre [ernidiametros.qui,cut diximus, ex quinque mill ibus "undecim milliaribus conflat. Q uamobrem iuxta corum [upputationem, Lune celum à terracentum [exaginta millibus &z* quadringentis «viginti feptem milliaribus diflat.16o 41.7. bfonum ergo non erit, imó eg) quamplurimum con[onum atq; perutile inucniendis locis atq; figuris predicta elementa diuidere.Q uantltatum eiiam pradiczarum ifLorum elementorum, vt experientia di[ics, aliquando ia noflro negocio memimi[fe iuuabit. B d r& autem noftram redcuntes,ab[omum non erit,imo e9: «valde confonum extiterit atque perutile, inueniendás «o con[litué dis locis atá, figuris, predicta elementa in [uas(qua in jfra po nontur)diuidere partes. € uod crgo ad corum [Pectat parti tionem, ierra incipientes, in [ex portiones dicimus eam dis uidi pofJc. T'erra prima pars fit illa, aue prope ex immediate fuz pr^ lufernum efe, que pars pure clemétum e[l, cum miflioz nem aque non recipiat, neq; alterius vei, qua pars ficca exifit et frigida, colore etiam differens a ceteris terra partibus, fecunda pars et, ubi aquarum funi meatus,ubi aque mine rales [ulfuvee e calide etiam pertran[cunt,et bac pars [n perior e[fe pradicia exifl netur. Y ertia ct fuperior [ecida: in qua metalla ee mineralia omnia actione [olis ac flellarss maximeq, planetarum gianuntur influxu. Q uartaterrepartem affignancus co in loco, ubi Hie es T hefauri memoriz artificiofe Ies aque defluunt de[cenduntà in qua &o* maximarum avz. borum radices pertran[eunt: Vbi eo quedam mineralia,ut Gypfi us, T upbus,$axaymarmora. Q uinta pars ibi ef,yubi Serpentes excauant,eg» anima. lium latibula inueniuntur,cvt [erpentium,vt formicarum, Ut Soricum,ut rubetarum vel bufonum, «vt talparum,ce : zerorumé, fi milium. exta pars, qua, &) berbiseviret eo» floribus videt, calca tar ab bominibus, teriturà be[Lijs,in qua eeneratur germa, eo apparent arbores. Q ue percutitur grandine eo incbriaz £ur pluuia, eTluat S ole,albe[cit niue,conflringitur glacie eo f'igefcit ventis.Hec autemterre pars,que fuperficies eft,di uiditur in tres partes im Á fia, Africa, eo» Europam.V'el fic, in orientalem plagam, occidentalem, meridionalem ev [es prentrionalem; vvelfic inpartem qua eft "ubi nos [umus, eo in aliam oppofitam pedibus noftris, ubi antipodes; 'Uel frc, In Plauities e9x in montes. - Deminoribus autem eius partibus. regionibus e» pros sincijsinfra fumus dicturi. ! Partes uerb elementi aqua [unt [ecundum pra[enté [bez culationem.Profundum maris,in quo lutum,quodá, vapoz res fpirat flelarum lumine 5$ olisq,, qui "Uapores ebulliétes,in procellas erampunt ita vt efundo Saxa corum impetu [ur fem moueantur.ut docet Albertus illemagnus. AMedium aquarum pro altera parte affignamus, in qua beflie marine, ceta evcperambulant. à Tertia pars paterit accipi in ea parte aquarum, «ulivez e€. ta i ] Pars prima. r7 tia iaciuntur ad capiendos pi[es, inqua e» mintrespis fics dicimus p. s Q uarta p^'5 fupzrficies 4quarum eft, fvepra quam perz tran[cunt naMucs, que extera quatitur zempe[late 3 "uli Ius mentes flulus apparent, vli mirabiles videntur mari elationesyvbi venti maxime dominantur. - Quinta autem pars eius, fint naues ibi imaginata, qua contigua [ant cum aquis, ideod, quaft pro altero aquarum lo có qualibet earam baberi poteft ; 9Nauium autem portes fentina: medium-vbi «varie merces; ('amerula nauta, alie, manfiones: f'«perior pars,que est dif cooperta, rcbi inz fire métabellica.Q uinta cubi velum.funes, malus. exta corona ubi uexillum columen e Acris partes, [unt multa, ac notifime mobis que pro lo eis baberi po[Junt. In tres auteyn pracipue [ecatur partes. ^. fPrima pars eius:prima regio æris efl ;cov eft illa, que no. bó propior esl,et terre, co 4qua cvicina ez contigua, € ue calida co» illuminata est. ex radiorum folis eo» flellarum re flexione; (ed mon femper eodem modo fcfe babet, fed diuerft mode diuerfis anti. temporibus, propter. propinquitatem folis eec. Secundapars eft [ecunda regio, qu e» media dicitur, a terra e» ab igne femota, frigida ez tencbrofa, quia cft ab dgneremota, ad quam [lellarum vad/j à [uperficie terra ve flexi minime perueniunt. T'empefluofa etiam efl. tertia. pars, fuprema vegio $1, que prope ignem efl e ipfi contigua 631, ey à terra maxime diflans : tranquilla, quia in ea.nec E «vent us 'Thefauri menksoriz dttificiofz eventus efl nec pluuia « Calida ab igne ;eo Wellis vicinis ej) mota, Pura, (non cut prima) ex cuius fubeiliori parta generatur ignis. R dra; quia in [uà perfetlioneconfiflit..Lu cida, propter ignem : Mo ilis, quiacireunducitur ad moz. tum ignis, em bec pass eÆfhus, dici folet. qualibet autem. harum regionum in tres partes diuiditur. E PNE Prima,vbiyapparent "Uapores, aterra egredientes, qua attrabimus cg repiramus,qua vve[ cimur, quam peruolant apes, mu[cay ve[pes, feci gi aues quedamparuula: cobi apparct ignis fatuus fequens, coel antecedens bomines. Can, dela circa cemitcriacateraq, fimilia. dn . Secunda esl illa æris portio, qua peruolant quada aues magna. 'Ut c.4quile, AMilui,cornices turmatim, (igni It ordine volantes. austin "EM Tertiæf illa,robiros fecundum Commentatorem gi gnitur : non autem fecundum c-dlbertum magnum. à nhac etiam generatur pruina; fecundum ilis PO al T'res autem pradicla partes: portiones. prime regionis æris, fecundum pra[entem [peculationem ponantur, 2 uarta media regio tresetiam ipfa pofcidet partes fs cut ee prima. de quibus partibus, eg fi metbeorologici diz fincte eg figilatim mention minime faciant: de regione tamen tota fimul c9 in communi, deq; impreffionibus que ibidem fiunt fatis fuper, loquuntur..Quarum imprefGiones aliquas in prima con[lituemus parte buius regionis, que nobis quarta cfl. in ordine, € boc non immerito,vt ipfe teffa tur fenfus AMeteorologicorum doclor «s director. Sunt era go inibi » Pars prima. go inibi nubes; funt pluuia: Apparent fulywra, fulgoves,cor rufcationes ; Generantur fnlmina, atq; ab eain terra vi de[cendunt ; 4bi tonitrua fiunt. Et ex eoloco in terra evés torum de[cendumt turbines, iuxta c/driflot.[emtentiam fez cundo AMeteore qc. Q uinta.In fecunda parte buius regionis media, que eo in ordine quinta eft ez media,quo velis ordine.(. £) uoniam ab ignis fulgore € celi lumine distat, Et item à reflexione radiorum folis ac [lellarum terram percutientium «valde remota efL,unde tenebrofa exiflit): ponimus demones effe, quos hanc partem cueleirciter, babitare exploratiftimum eft ut eft videre apud A) T bom..4.6 A-Art. 4.€9* apud Jj. efug.[uper Gem. ad literam, Li dicitquid ær caliginoz fus eft quafi carcer damonibus,v[que ad tempus iudicij. ^i de etiam eumdem libr.8.de ciuit. cap. fecundo. Et libro de e/4gone Chrifliano ad Deogratias psbyterit. "Demoneser «go banc regionem inbabitantes in [ccunda € media buim fecunda co medie regionis ponamus. Sexta in tertia parte regionis pradicle,que [exta efl in erdine,reliquas impreffionese[fe dicamus, quas metheorolo gici in hac cadem constituunt regione, quauis diftintle non - dicant nec loquatur, nec tute affirmare poffint, eas ipfas im prefeiones hic fieri tantum, nec fupra nec infra, quonia boc difficilimum eft affignare. Reliquas ergo imprefGiones,quee hac in fexta parte vel prope ca inueniuntur, funt Halo, qd Jatine corona dicitur, qua corona in talis acris regione etia flens,nofiris oculis apparet taquam circulus circa folem soel SSTY 2 lunam Thefauti memorie artificiofx - lanam vcl aliam flellam infrsnam. Hic notatojquid fas lorum fpecies plures [ant,quadam fubnigra: quedam alba: quedam virides eec. Hic etia biatus; eo vvoragines, Hic diuerfi colores videntur,ob quos apparent a[lva. [ub «umo nunc colore, nunc fub alio. f. ubofcuro «vel rubeo «vel allo vvel viridi. Iris etiam hic appart. Item cviroa albe:lucide vvclnigre:aliquando virides: etiam punicee, Hac circa foz lem cffe apparent, In fuper *Paraylij.i.[Emilitudines «vel - effigies folis. Septima. Sequitur nunc de partibus tertia regionis, que ficut procedentes fe, im tres fecatur portiones ; Prima er&o pars buius vltima qj [upreme regionis ( qua in ordine feptima erit) illa e(l, in qua fecund' M etheorologicos ec. apparent [Hipule ardentes ; domus incen[ce, candele flam ma rutilantes, 1gnis perpendicularis, lanceaardens, Et fcintille tanquam qua a fornace egrediantur. Oclaua. JAMedia buius fuprema regionis pars,que oclas ua eft inordine illæfl, inqua videntur capra [altantes, "Draco tortuofus, volantia $ydeva .. Hic esiam fecundum c^ loer.mag, a. lib. trac primo,cap.tertio Meteor.ez)c.G ez neraturros: edt fecandum Commentatorem fit infra. Nona. Suprema pars buius fupreme regionis, qua nona eft inordine, ignis [Dherz contigua eft, Et inifla apparent Comct&barbat e Crinite : Caudate diuer[orum colorg: (olumna piramidales: Candeal accen[: Columne arden t6 : Et titio, qui arabice dicitur Afub : Hac de Æris partibus. ja 60s dus war Suprá Parsprima. "E. 19 ur Supra ederet Regio eff ignis, quam in tres f[ecernimus portiones. In bac ergo regione notato, quid [eeundwum profpettiua c tutborem lib. vltimo,propofitione vltima,cum fuo (Lommentatore recipitur galaxia, qua fecundi vutrosd, «via latfea efl lucidarum eo albarum concurfu nubium fà la. 9 ui quidem author duas a[ferit Galaxias, ficut in[icientibus nocle celo fereno patere pote[E 5 Quarum vna, («vt ipfe ait ) intercifa e$t, e fuperior : Altera continua eov inferior. - SNosergo noftro negocio attendentes, eo regionem pras "diclam diuidentes, dicimus, quid A . Prima eg inferior pars ignis illæfl, qua ipft contigua eft co ex qua ignis defcendit, a[cenfos vapores incenden:. 2. Secunda pars, qua co mediæ[t, in ipfa Galaxiam recipi nunc concedimus. T'ertia,qua orbi lune contigua efl mobilis valde pre diclis purior rarior [ubiilior, in qua Galaxiam alteram.i. interci[am recipi dicimus, [eceundum c/Authorem profpettiue,non ilum bac in. ve fequentes (nam in o&laua [hera fccundum Albertum mag. case[fe ponimus) fed noflro atten dentes negocio : Ignis enim partes talibus infignite impre[3 Jionibus occurrent celerius, memorandarum, quamverum magis receptibiles erunt. Alio autem modo tum breuiori tum faciliori ac memo: rabiliori, æris partes aff ignamus. ' Primam ergo æris partem dicimus eam, qua re[iraz mus, quaue aues paruule peruolant qg)c. vt fupra. Secundam: Thesauri memoriz ártificiofe Secundam: Ubi aues magna pertranfeunt, de quibus fuperius. Tertiam immediate [ub nubibus conflituimus, [ub quiz bu: fluit aqua, que in grandinem aliquando congelatur in grandenulam eo niuem Ubi pruina gre. Q uartam "vbi nubes [un: fulgores: fulgura € cetera alia,de quibus [upradiximus. Quinta fit, bi demones manent. Sexta, vobi impreffiones ignee vt plurimum apparent. Jgnis partes eo modo, quo [upradiximus,diftinguantur. Predicforum elementorum f(céliones fub figura ferm circus lari difpofitas hic infra reperies. E D CONTINVAAPPARETIY J $ x- SCEND ad AS fce E coils: e AO eec DRACO CADENTIA svpE PA ENTESACANDEE Acc CR EUR à SERES NA AN : SV. j Y AND. «S 0L [aS ANSA «92 CE. VESPES "AUS e r .» x MS BNSENT-INOS EOULEY e US 74 ESI VREIMINO, OE SN bg NATA ON Je NE FU d QUO CUERS a NON v5 APA E AMA BEES ANENENCN VS ADÆ LANG El : ESO Bil ARAS dislal WA an er$ m (Ee., ; Y 4 ; : ^i n cei T EM æp t y pP, [Mean "C5? tá CTEOU YE OXFÆN IT 84 Es At us » m q^ TET hi, ; æl OY ed Á& Mt i ET Ther PU, [4 zd f. ( d » ag 56D i e nra 1 Lf P. D d / m » onnaitivero i í F9 4 - E 2 " zr x Ey e IN R à wisi U 2t. MESE icis EN , ive, 1 ji - ài * ur v jiu a. y 1 i * 85 1 :] ; vá udo e. y he (d 321451. V ^9 n airo": 1 1 i UE viri Passi r ; xis f a (M Ls AL "De 4C, DIACUS E Eu WU : d m CLHBIRSICENIETURU TUE NOCLOHDIN UNIS cai ELA aiino m ARESGUR RSS ONUR ri D RERD ER de - LP HN RPM 4 NICOLAI ALEXII x E: JA e M S. At. AN be ORDINIS:PRÆD, CO MMISS, »:Snquifitionis, "Catmina.. ek Rai yr DE, EBEMENE OTOERRR e a ET ei fas ] Se fuper Tellus pe TN b « aue dirempta, ^ Partibus. £t t d et eit, pur té,Paxá, i. cAlicra] parar minus JUcnas tenth, p M meatus; RÀ P nde Minerales A qnadi lira n mit tit aquas. " Y» ! Tertia producit n nobis g qenus o omne : Mtetalli, Latages cese. turum, ! E agentium. : martiaé, arma perit. ONE 9r eART cA, Domum prabet Buffonibus, atá, ceraftis, AMuribus d alpis; UN at iflalatent.. "m In fumma «vero facie, 8 ofa a, Lilia. herba. M Vexà Medea Planie ora iid, e arua uirtnt. x Bit T, L ^ 250 89^ Hqua Thefauri memorix artificiofze Aqua. D Elluri [uccedit À qua, et quatuor quod partibus ambi, Et circundat eam limite cintla (uo. Prima profunda, paritá, fole trabente «vapores. Vnde fluunt nubes, lympha, procella,miues. . Altera. fert pi[ces.eov mon[tra [ub E quore multa, Hic Balena natat, cetus, tz orca, Boues. $N'on ita Pars grandes, Pelagi dat tertia, ifces, Hic Anguilla, Lupus, T incha, Locufla, Lepus. Q UARTA velit claffes,tumidas quoq; fugit 3 vndas. depius in preces, "Naufraga puppis abit. Æreo DR D Ebhinc cer f[uccedit à que, Repionea trina, In totidem fed pars, Queq, re[ecla manet. Jnde rouem [urgunt, Qua viuimus,infima pars eft, Qua F uci '?* Mu[ca,quaue agitantur Apes. Portio Pbanices Aquilas, Miluosq fecunda, Prouebit, bic etiam per iuga tranfit olor, T'ertia progenerat Rores, tenuesá, pruinas Frigore concretas, qua*vaga terra madet e Quarta gerit nubes pluuias largitur e imbres Fulninat,eo fufa grandine vo aflat &gros. AMurmurat bic celum fonitu,tonitrud, remugit, €t "Notus to» Boreas bella cruenta cient. Efl data demonibus Pars quinta, cubi pralia mifcent, ANoffrad, Pars prima; 2 eNoftraá, follicitant pectora mille mods. d'exta nitet varijs formis, bic gignitur balo, Iris, hiatus adeft,rvirga,rvorago,color. d'eptimapars [lHipulas, candelas edit eo» baflas, Ignem pendentem, flammea tela, Domos. Saltante: gignit capreas octaua, Dracones, Labentes fTellas cernere epe licet. *N'ona faces affert torres, rutilasd, cometas. Pyramis co flammis feta columna nitet. Ignis : Era flat fupra vulcanus,concaua lune T'angens, gp) com[l at partibus ille tribus, €t furfum raptos accendir prima vapores c/Altera laclentem, T ertiad, ipa viam. Cap. 4. delocis communibus ampliffimis coeleftibus, et eorum diffinitione et numero. Oca communia ampliféima celeflia, funt ils Jaque [upra predicla omnia fita [unt: vns decim.f-celorum [here. In primisá feptem planctars celi: videlicet celum lune, quod eft primum cteli ab. inferioribus incipiendo: Celum Merz eurij, quod eft fecundum. Tertium celum cfl "veneris: Q uartum e(l Solis, co efl medium inter fepté planetarum celos: T hefauri memoriz artificiofze celos: Q uintwes Martis: Sextum Iouis: Septimum Saturz nici: Oclaua feheraque fixas continet flellgs: SNonum celum: Primum wobile;Celum empyreum. Q uo ad partitionems, (Jelorur feptem planetarum par tes non afrignamusi quoniam frmillima [unit (quod memorie officit). et uodhbet ergo celum pro vro loco erit :pro altero planeta eiu[dé accipi poterit : pro tertio loco imago rei illius (a quo planeta 'boc vel illud nomen accepit) [upra ipfum di fpofíta,deferaiet. Velcerte pro tertio loco, motorispradicliceliimaginas ta figura in[eruire poterit. Verum, *vt eorundem remini[camur facilius, vnum quoda, [éptemplanetarum celum, ex illorum metalli maz teria con[Lare fngamus, [upra quam vel quod boc planeta «velillud dominium babet eo: virtutem influit 'Tafis enim diuerfitas noftra conducit memorie,ne in id pluries incidaz mus,fi fimiles fi biinuicem illos e(fe crederezmus. $unt autem feptem JMetallorum genera principalia, feptem planetis ee planetarum calis corrcfpondentia tanquam effecius can fis: Quequidem metalla (quibus planete fauent e incres menta pr&ftant,eóuiuoce corum virtutem párticipant,ac «vim corum [ufcipiunt. Celum lune in argétum [olidum influit. Colum Mercurij in argentum "viuum. Ceelum vveneri in Æs. (elum Solis virtute operatur in Aurum, (clum var tis imprimit in ferro. ('elum Iouis fauet flanno.Celum $a turni dominatur plumbi metallo. vi da g., uods Quodlibet igitur celum imaginenur illius conflare me tallo,cui vim imprimit. C lum ergo lune crit. ex argento folido: Mercurij ex argento viuo: 'eneris ex ære: $ olis «tu reum: Marti ferreum: louis flanneum: Saturni plumber. "Unumquodá, autem corum conum tibi tantum locum daz Lit. Et quoniam cuilibet predictorum celorum affixum eft Planeta "vnii, quodlibet corum planctarum pro altero erit loco. Iterum fupra quodlibet planeta «vel alatere imagis pem runam ponimus tali planete talis Celi conueniens, vt fupra pralibauimus : Planeta luna, pulcherrime mulieris imago refideat, qua luna pulchritudine tibi "Dianam dewotet,quam [upra lune partem latere [eius [edentcm,eo» argenteis cveflibus rutilantem finges,quomiamargéteum cfl celum, cui illa ?nfidet: "Planete Mercurij infideat ipfe Mercurius alatis pedibus [labit,cur[orisá, figuram. ve[tiz bui coveffigie prafeferet;cuius quidem we[les quoad fub[/ tiam eg colorem lucide fint argento "viuo fimiles. Super Planetam voeneris,cveuus ipa erecla apparcet erine [ubtili [Farfo, ef oie pulcherrima;cultu muliebri mii o ornata modo, «ve[libus talibus circumamitia, qualibus nimpha circumamiciuntur. Supra S olem «'eleius cælum, *Pbhalbus æl e4pollo curri igneoad currédum difpofito, ap pareat, ot apud poetas inuenies. /A latere planeta Martis, Mays armati ardenti infi deàt equo. Iuxta planetam 1oz nis, fedes eburnea poftta fit; fupra qua Iouem Deorum ma aimum ("vt falfo erat apad Gentiles) locato, vel fupra pra dictam federn Iouis imhaginern flanneam [latuas.9) ui Tup py. pier "Thefauri memorix attificiofz piter planetam fuum pedibus tangat, ipfo, pro [cabello «vtatur.Saturniplanete, ftatua Saturni plumbea, fcné calz uum canum eo tardum prefeferens refi dcat. Celum otlauum diuerfis coloribus rutilanté confinges, quandoquidem ipfum celum eg ineo contenta [ydera va rís co penz infinitis rebus corporeis(que diuer[orum colori exilunt) in cas influendo corre]pondeant : Philofophorum enimnon nulli dixere nil pene efe in terris, quod inochaua fphera maxime ficllam fiti dominantem c7 influentem non babeat. Olaus aute. [here partes multa [unt ; Q uoniz quod E liber fignorum duodecim poteft [altem provo loco feruire. Signa autem pradicla, [unt ifla. c/dries, T'aurus y Gemini, (acer, Leo, irgo, Libra, Scorpius, Sagittarius, Capricor nus,crdquarius, Pifces.Q uelibet etiam reliquarum 4$. fgnrarum ceeleftium, qua omnes inoclaua [hera fixe perz manent. Et quil ibet aliarum [lellarum Globus et qualibet infignis flella,pro tot locis haberi poffunt. Siquis ergo erranz tium [')derà aliarumq, ft ellarum notitia baberet, ac earune dem cogno[ceret difinétionem et differentiam,multos fiti acquireret locos. eMetrodorus namá, fe in duodecim Signis, per que fol incat;tricenos eg» [exagenos inueni[Je iactauit. Supra Celum hoc Angelum cius motorem imaginalez ri effe, flola indutum aurca, [tells qua pluribus diflincia micantibus, Q ui tibi pro altero loco poterit effe. eNone [pher&, noni fcilicet (/eli partes non ponimus, ob gimiam Parsprinma. 057 13 pimiamintra fc inuicem [imilitudint. fit tibi evgo tale Cæ ]um pro uno duntaxat loco. uod quidem C alum quod aqueum dicitur, quaft ets darum fimilitudimes babens finges.S upra boc ( elu: quod aqucum cflyimaginemur c^fngelum efe cvefle cerulea ira cumami£lum,vcl aqueum colorem babent. Et. quemads modum cum 'vndi aqua pinguntur, ita ft illa veflis,ndis per totum depicla « &) wid, c^fngelus motu eius (ali, qd mouct, moueatur [it ergo ibi quaft qui in [umimitate currus triumphalis pofiuus eft. Ertalis cdngelus "n tibi pn alio loco. Decime itidem partes non damus.camdem ob. caufam fphera ifta primum mobile dicitur, moueturá motu diurno. qui motis motus raptus dicitur,refpectu inferiorum orbium ab ipfo motorum,cotitra cuiu[libet orbis particularem matuz valemá, motum. € ue [bhera cerulei ('eleftisé, coloris fir, "velcerte imaginetur ex chryflallo conflaretur, qua pro "Uno loco baberi potest. TS DÀ Decimo buic celo infideat c/4ngelus motor eiu[dé', qu£ maiorem exiflimabimus duobus [upraditlis, € vve[libus difcoloratis indutum, uel chryflalli [bendorem pra[efeventibus.er) ft tibi pro altero loco a Célo ciu dem. RUNG "Undecime autem [phare partes.i.C eli empyreimon po nimus; propter carundem inter [e inuicem fr militudincm. fit engo tibi pro vno loco tantum. e S uoniam c&le[libus iflis corporibus [apemumera diuerfa eccafione qj) tempore bac in arte «ti cogimur, non tantum I"? Thefauri memorix artificiofze pr loci:, fed eo pro multiplicibus memorandorum- figuris (rut infra videbis) idcirco de eismulta [cire admodum uti le erit: quandoquidem qui circæa diucr[a nouerit, pro diz werfis ea ipfa fibi in[eruire experietur. 1d enim cui multa atq, diuer[a ine[e vel conuenire nouerimus: boc dubio pros S Hai diuer(a à nobisinuenta,intelle£la eo confide rata:diuer(a (prout voluerimus gg) figno notauerimus) vez prafentabir,atá, ita figuras nobis quidem perautiles pro mes miorandis multiplicabit.'De bis infra. Hac autem funt, qua in bis corporibus cele[Tibus principaliora,in[igniora, notiora eo noflra arti magis conducens tia inueniuntur, e9* de eifdem dicuntur SNomina: Motus : Colores: Magnitudines:charatferes, quibus Planete atque duodecim Caleflis Lodiaici fi na motantur:z-Prafidentia; Fauor in fabcaleftia caterad, fimilia. YXESCUEA De nominibus coelorum atque planetatum, V Ltræaq upra cripfimus celorum atd, *Planetavis, V. vulgatanomina, Mercurius Stelbon dicitur: Ienus, Hhe[perus: Lucifer, wve[per:quamauis de veneris flelle atá planeta nomine diuev(a diuerfi [entiant e? affwrment:qu& noftro negocio baud officiunt - Mars P byrioma eo Pyrois. Tappiter Phatonta. Saturnus P baton «vel. Pbanum. De multiplicibus. quadraginta. ev o&lo figuris firmamenti infra [ecundaparte capit. quinto, fub alphabeti ordine ad lungurn fceipfrmus "De oir , «ccnconm 24. ^7 "Deeelorum motibus. 47v clum Empyven baud mouetur pct infra ex S.T bo. C uirium Primum mobile, quod abaliquibus aqueum €) chryflallinum dicitur; viginti quatuor horarurn [Dacio fuum pficit motum. Percurrit auté [upra mundi polos ab Oriente in Occidentem declinan:yac [ecu inferiores orbes vvniuer[os circulariter trahit... MS *Nrona [hbaraé comuerfo ab Occidente in Orientem ab A ugelo mota, gradum:vix vnum in centum amnis percurs rit,qua omneseo ip[a subi inferiores celos [uo rapit tHotti. - Qólaua:atque etiam inferiores onmes € fingula ab Oc «eidente in Orientem mouentur.. Flac atitem obfaua [pbara, qua co firmamentum dicitur, trepidat e7 trepidando iux ta cAllphagrani € cdlbuma[far. affertionem centum. az norum [bacio ac tempore gradum unum et ipfa folummoz «do cornplet y «t4, ita in tributatinorum. millibus unum f gnum percurrit: 'umá, duodecim fint figuasquorum quod'libet eviginta continet gradus, ex gradus quilibet fexagins tà minuta patere omnibus pote[l quid in triginta [ex milli bus annis, motum [aum complere po[Jet. Hic autem eft mas gnus ille annus, de quo multa qe «vana (ne[cientes eo» [lul tif apictes eo naniloqui P hilofophi:) dixerunt,e infipide a[[cruerunt:2Ne te moueat leclor, quüd notiætiam viia oclaua quidem maior longioris, eircunferentia(iuxta proa batosautbores incétium Beluact[em Alexadrum Pics colomincum aliosá complures ) moueri dicatur (fi tamen oes Deus à T. ns. ud "hefaunri memorisz artificiofx "Deus opt.max.hoc fineret) quafi eodem temporis interuallo,quo mouetur ociana:Cum ipfaotCfaua [phera cétum atis nis gradum perficiat «onum: nona «unum. eos ipfa syadum, fedvix compleat. SNam caleftiumorbium moles magnitu do atq; circunferentia baud cst velocioris vel tardioris mo tus vadix € caua. Alioquin Primum mobile omnes infez riores molis magnitudine ce longifima circuitus quantitaec [aperans, morofiori,imo co» tardiffmo motu,C9* non fpa cio viginti quatuor borarum moueri debuerat. ES Saturni calum triginta annis, [uum circulum complet. Juppiter duodecim annis ad fui circuli punclum, à quo ince pit moueri,reuertitur. Mars duobus annis.Sol trecentis fes xaginta quinque diebus atque fex boris.evezus trecentis eo quadrraginta ocfo diebus... Mercurius trecentis triginta nouem diebus Luna viginti feptem diebus, €» quaft. decem boris. ! i «odit Omnes uere ifl feptem inferiores Orbes ab Occidente in Orientem circulariter girant. Fforumetia celorum nullum fibiinferiores orbes [uo girat motu : quamuis illis cibus fus periores fphera fcilicet oclaua nona (9) decima omnes infez riores fecum moueat. in De coloribus feptem Plonetarum.. I "Une color blandus efl: Mercurij radians: "veneris can et dens refulgens:Solis ardens ; Martis igneus : Iouis clarut faturni candidus, E.x lfido. Mutant aut£' colores non infe fad refpecluno[lri propter variam æris difpofitionem (4 qua Dars prima, 1j eo qualitatem: ficutide Halo € flellis rubicundis eo ni gri, ceteris, fimilibus docli "IMeteorologici affeuerant. De eorundem Planetarum magnitudine. Olomnium celeflium luminum maximus, Terra mas b jor exiflit cetwn [2x aginta fex uicibus. Saturnus nonafinta eg quinque vicibus. luppiter nonaginta c2 "vna. Mars fere duabus vicibus eam [ua excedit magnitudine. Venus Ü'erra ipfa minor c[E, «2s in quantitate [ua vna efl triginta feptem T erra partium. L una «vna feré eft trigina ta nouem T'errepartium eMercurij *P laneta omnium minimum [ua im quantitate "Una fere efl trium millium. cens tum quadraginta trium terre partium. Deduodecim coeleftium fignorum Zodiaci fupra citatorum nominum interpretatione et eorundem fignificationibus, qua fumuntur à varijs effe &ibus Solis, cum in ifto aut illo figno curfum peragens fuum pertranfic. : Rietis [renum fic appellatum eft, quonia fol ad. inflar Arietis, quod animal tota c^fe[late dextro in laterc cubat ; ita e fol. fub illo tranfiens fígno dexteram cali partem percurrit. T'aurus celestis fic diclus efi quia fol fub illo difcurrens, G eeu Thefauri memoriz art iciofe ceu tatrus, corna in igneum calorem eigié,ac terram aras bile veddit.Gemini fic [unt «vocitati,eüqd. [ub illis aradies fol diem geminat. [ub illis namq, ducbis amplius dicbus, quà fab alijs moratur .('ancer frc diclus,co quid in ipfo,-vel melius dixerim,fub ip[o fol curfum peragems veluti cancer retrocedit. ! i pu Leo fic appellatus. *N am [ol fub eiu principio ardentes emittit radios fub fine quafi friget quoáii. A uaufto contin git: Leo enimin anteriori parte calidus i pofleyiori autem frigiduseft. : U'irgo propterea appellatus, quia foi fub boc piraf és ft gno, "velut virgo, quafi Hferiliscst : nam eo tépore, fcilicet Septembri nil fere gignit. Libra fic dicitur, quoniam fol librando equinoclium faz €it in Oclobri. Scorpius ita evocatus, quia fub co fol pluribus in locis srandines multas progignit:quod QNouembris menfe euenire folet. Sagittarius boc nomine appellatus e[t, quia fol fagittas ideft fulminum i&fus excitare folet-9) uod mez fc "Decembri quibu[dam in locis folet euenire. Capricornus boc nomine dignas efl, quia fol tanquá Capra, alta petens a[cendit : definit -oero in Pi[ces, quia finis pliaialis eft. ed anarius ita nominatur, quoniam fub eo fol folutis muLibus imbres emittit. i Pifces,quia fub ipfis (ole percurrente, tempus pluuiale fo let effe Hic potato,qu)d alij aliter ifla interpretatur nomi na,vt infra dicemus. Horum fignorum prima fex foptenz trionalid: Pars prima. ig 16 erionalia.Catera non fant feptemtrietalia. Dequadam eorum prx fidentia.. Vi, elementotriafigna refpondet igni cries: Leo:Sa e gittarius.T'erre, T'aurus: V irgo Capricornus :DoeVftri Gemini: Libra:c Aquarius. 4que Cancer Scorpio: P ifces. . Luna argento præft : £Mercurius argento rUiuo. lentus eri : Sol auro. Mars ferro .. Iuppiter Slanno. Saturnus pluméo. Le numero ftellarum à nobis cognitarum. ! Xceptis, planetis, qua erratica flele nuncupantur,milz E le c2» viginti duarum diuer[ magnitudimis flellarum tam "veteres quam noui recentesq, A ftrologi cognitionem habuere. His autem figurauerunt eo [ua formauerunt ima ginatione, quadraginta e oclo figuras cele[les in oclaua fp hera: tN'on tamen bac rationeyvt putarunt quidam, quia earum in fremamento frtuatio e difbofitio predicias ima gines eff ngerent eo fugurarent cum earum fituatio eg: di fpofttioetiamres alias figurare videatur : ficut apud Afro "logie gnaros exploratifimum e[t:[ed wvelnec quia carum fu pra fubealeflia profidentiaatq, dominium [imilitudinem quandam peculiarm babeat. prediclis cum animalibus : tum quia nec omnes if! e caleftes figura animalium nomine vvocitentur:tum quoniam nec longa ab A firologis obferuatione : cautum fit arum, qu& animalium nomine appellaz t funt, dominium pr«dicis animalibus corref/ponderve non GG. ergo T hefauri memoriz artificiofe ergo predictis rationibus vvelpotius imaginationibus A fl ro logi permotitalibus eftes figura animalium nomine vvocitentur:tum quoniam nec longa ab A firologis obferuatione : cautum fit arum, qu& animalium nomine appellaz t funt, dominium pr«dicis animalibus corref/ponderve non GG. ergo T hefauri memoriz artificiofe ergo predictis rationibus vvelpotius imaginationibus A fl ro logi permotitalibuseas nominil vs uuncupauerc: [ed ideo t4 tum, "vt aliquos ilaffres bomines nominibus iflis [empiters nis flellis aftignatis qz) commédatis, immortales(-ot ipfi pu garant) redderent: e» corum ab ei[dem egregie factorum memoriam fere fempitermam facerent, e» eam [eculis fua peruenientibus relinquerent. Ef c efl verior de celeflium figurarum nominibus addutia fententia, non tantum cAlexandro *Piccolomineo, bac in re diligentiféimo fcrutatori:cverum et alijs compluribus admodum arridet,e placet. "De diuer[a magnitudine flellarum pradiclarum mille uiginti duarum in firmamento fixarum. In fex ordines iuxta fex diuer[os quantitatis gradus in predictis [lellis ob(eruatos:eas omnes, quas ob[eruaueritt, €? quarum cognitione babuerunt, diuiferunt. cAflvologi, maxime cAlbuma/[ar caterid, : Reliquarum autem in firz snaméto [lellarij minorum pdiclis métioné A fTrologi non fe ccrant, tum quia difficile admodum erat ey* laboriofam, flellas alias minoris quantitatis ob[eruare: tum quia carum influxum parum in bac inferiora agere iudicauere : quauis pallatenus fit a[ferendum [uperfluuma quid, uel diminutum aliquid in "Dei operibus (nift natura defecluyut in inferioz ribus islis corporibus pala eft videre ) euenire po[Je. telle ev £o fuprema quantitatis, eo prime magnitudinis, funt ille, qu& l'erram continent cvicibus u$. Secunda quantitatis flelle vicibus 86. T ertit Patéprinidsii.cixo 5175 der Tertie quantitatis «vicibus. 71. Q uarte magnitudinis vicibus. go. 9 uinta magnitudinis «vicibus.46. Sexi& eg vltima vicibus 10.terram continent. De caracteribus feptem Planetarü et duodecim fignorum infra fuo loco dum de figuris loquimur in fecundo tra&atu capit. nono,füb eiufdem fine capituli ponuntur atque fignantur. H Orum ergo calefli corporum ( quibus pro amplifeimis A. 3 focis evtimur) cognitio ee fuper eifdem «varia ee dis uer[a meditatio ee confideratio memorie artificio[z, fatis fuperá, conducere poteftquamobrem breuiter praditia de eis perflvinximus. Iflorum autem. amplifsimorum eg caleflium locorum, quamdam figuram ponere curauimusque et fi non omnia nobis [cripta repre[entet: principaliora tamen o[lendet, ac itæ, qua [uperius diximus, leGlores intelligent facilius, co eorum remini[centur celerius, Figura coeleftium omnium fpherarum. R- p. M NICOLAI ALEXII PERVYSINA ORDINIS .P.RÆD. COMMISS. S. Inquifitionis Carmina.baden COELIS5. Luna.. SPHÆRÆ COELESTES. XE Roximus iic mox" Luna argenteus M orbis. ^ 2,4 (m Argento f Je celitus illa fauet. EA Mercurij Addio i Qui tegmiM ne miuum m ROS ez prafidet In enio, M Venus veflita nitet quia »^af T» &rí, Illius é caflo fodere [irat amor. e/dureus eft autem Pbabuinand, 4 incubat e Auro, Curribus auratis, aurea feeptra tenens. Ferreus eb Mauors, ibi cui cura Metalli eft, cBilem T hefauti memoriz artificiofx Jilem faccendens,ore manud, minax. Srannca flella louis,cui f anni credita cura cAtá, ^ nimis no[tris effe benigna [olet.' "P lymbeus es demum $ A TV REN'U S,trilis Co» aber 4AMorofusá, fenex tergora curua gerens. Octaua fphzra. Pberacfl innumeris oClaua coloribus vt que Innumeris A ftris hec redimita micet, Hic Aquila, bic C ignus manet ^ f'ianacta Bootes, Delphinus,C biron, Cimba, 7M edu[a.chelis. Angelus hanc propria Spheram virtute reuoluit, Lodiaciq, amplus circulus ambit cam. Li bi funt c Arics, Taurus, Gemini, (acer, Leo,V'irgo, - Libra Nepa, ^ reitenens, T ifcis to» curna, Caper. Eoc trepidare folet, dum paruo "voluitur orbe. E t [éptem annorum millibus explet eum. LH LANC G lobus efl [Nonus circum, cui eNomé. aquarum "Ponitur, curfu tardior effe (olet. AMillibus ^ nnorum tricenis,atá, nouenis l'urriculum peragit fi Deus boc fineret. Sphara fubit decima,bac motu exagitata volucri, Secum retror[um,fydera cuncta rapit. Alger hanc "vertens numquam la[Jatur, €7 hoc eft Adobile, quod primum iam [cbola docta vocat. At Globus Empyreus cuncris [opereminet : «des lfta Beatorum eft, dalcis,amena Domus, O felix, Pars prima, 19 Ofelix,o faufta "Domus/Domus-vndi plena Delitifs,opibus, gaudia plena ferens. fec (ammi celebranda modisyvrb; optima abun dans (nibus, bac [ummis pollet vbique bon is. Fertilis in msdio € vernans attollitur Aybor U'iuificans omnes,cfurea poma ger ens. Fons liquidis emanat aquis: binc flumen inundat, 9 uod vitreis riuis Atria latarigat. Fons de monte venit,media 9 wi furgit in P'vbe, Q uet tu bic fub Regis fede manere "vides. Arboris in [ummo magnus Sol-vertice feet, Cui triplex facies, lumine cuncla fouens. Jtant circum Seraphim, precincti vefte rubenti, (um [enis alis, Carmina leta canunt. M REX fedet in folio CHR IST'U $,cui fubditur orbis, Cuius ad Imperium nutat "uterá, Polu. Zfunc circum Cherubinus ouat, (acer ordo colore (elefli prope quos flat pia 'U'irgo parens. Hec Regina,caput Liffenis [Mendicat afhris, Sceptra manu-vibrat, f. oled amiécía nitet. Ecce thronoscernis flabiles, cernisa fequentes, Hos quibus Imperium, feu Dominatus adeft. "Virtutes [abeunt edant qua mira,mouentá, Calorum celeri corpora vasta manu. Inde Poteflatum gradus emicat.be quibus omnes Subduntur lemures, "verbera, acta pauent. Principibus datur ordo alius. Q uibus addita cura efl, A. Prbibus Thefauri memotix artificiofze Vibibusrotpvefint,nofl vag, Regna regant. AMagnarum e[l eerum interpres A rchangelusata; olesrthana in Mundo nunciat alta Dei; 0 Anzelicus c borus extremus, cuflodia mofira, 07 Et fuus à-vitie limine cuid, datur. (rne beatorum [edes miroordine.*P atres, Abs Co forti milite caftra Dei. Partbeazos, caflidy thori connubia, faclo,. €t qui fe abdcntes;terga dedere malo. En 3aprisla foris,comes cft buic Angelus, vrlcm Cui calaini certo limite, dextra meat. ; Parte alia Exechicl, filo metitur candem, Ad valias oenint agmina magna-virum, AMiificis exculta capat, titulisá coronis, He: qj 3b Anzelicis [unt comitata choris. is dfe A as de locis ampliffimis fupercoelcitibus, difpofitioneque co- rum ac partitione. CI Uprà. celum empyreum multa loca babez masque fuperceleflia nominamus.Hec au ten loca [unt imaginat« [ituationes eg diz Parsprima, ze ons gp) Arbor vite: Muri Porte Plates Co'c.que omnia quaft celo pradicto affixa, Co in eo immobilia erunt exifíi manda,ne noflra in recen[endo vacillet memoria. Ad intelligédum autem loca pradicia, imaginare,quüd in medio immen[z plate« celi empyrei murus quidam ft rotundus, ac circularis figure ad modum rotunda mola az pidibus pulcherrimis preciofis fulgétibusg, intextus,aureoz que conglutinatus cemento; cuius diameter vigintiquinque brachiorum frt in latitudine:ex uero cubitis à praditia pla tca in altumextendatur, ej confurgat : ita vt "vniuer[ predicte platee, ac inea habitantibus promineat, ac fus pev eos cleuetur. Medium autem pradicli circuitus, non vacuum, fed plenum, e lapide pario. fardonico ceterisque flatum exiflimetur. : - dupra bunc locum fic difbofitum co» eleuatum ceu fupra montem T hbronus C HRASTJ con[lituatur, ct abomni bus faciliter contempletur. Retro 7] bronum Arbor vite maxima pulcherrimaue in altum [upra 7 bronii CRISTI "Utgintiquinque brachijs eleuetur, vvirideso fresdos fd, ramos pomis innumerabilibus oneratos proteudat. ^ d radices arboris 1 parte oppofita CHRIST 4 7 brono fons vite limpidifimus; undis argenteis rutilans, con[urgat ct ebulliat: T hronum C HR AS T JHcircumiens onnesq pas radifi portiones ("vt infra per figmam di]]unemus) quef. per canales co» aquedutius, dicoopertos tarnen, tranfeat.[otnéosá, letificet. £Q uoniam apud te efl fons vite figuraliter Zu dicit 'Thefauri memoriz artificiofx dicit fcriptura. Et alibi de effeélu [anclarum aquarum fcri bitur.F luminis impetus letificat ciuiatem Dei. Et orrente «voluptatis tue potabis £05. e^4t fupra arborem T rinitatis $ anclifsima folium col. loca Solis lucentifSimi fpeciem baben:. Q ui Sol magne acroti d« exiflat figura (ficut [phare atque tres pulcherrima reuerédaq, facies fic in pdiclo igneo globo ac [plendidiffimo .$ ole, e in qualibet eius parte appa reant:quid à cunclis [anis omni ex parte paradifi Solem diclum cernentibus con[bici queat. 9 uamquam enim figu rabilis in fe fit "Deus ac T rinitas:tamen vt facilius di[caz mus, banc illi figuram effingimus.(rca autempradicum Solem multitudint Seraphim difponas,que quidem quaft [ertum circa ipfum faciant,coz ronamque conficiant : ita tamen, quod mec Seraphin non totum ambiant Solem, ne illum nobit occultent :'Sed [n pra Solem, ac [ub codem, «o» ab "vtroque duntaxat latere dextro [cilicet gg fimiflro: appareant ficut in [uppofita figu ra patebit. i De boc folio E[aias fexto cap.vidi dominum fedenz tem fuper folium excelfum co eleuatum,e7 plena erat do mus à maie[late eius : e&* qua fub ipfo erant replebant tem plum: Seraphin labant fuper illud; [ex ala «vni, et fex ale alteri:duabus velabant faciem eius: e duabus -velabant pedem cius:eo duabus volabat.Et clamabant alter ad alz terum,eo dicebant. San&lus. Sanclus. Sanéius. "Dominus Deus exercituum, plea eft omnia terra gloria eius Cg c.Et » AU Pars prima. il s Regni capitulo Adicheas propb.-vidi dominum [edens tem [uper folium [uum,eg omnem exercitum celi afciftenz tem ci,à dextris gj à finisris. (berubin autem CHRIST 1H bumanati ambiant tbros num à dexaris fcilicet et finifiris eius, eo» fuper ipfiuscaput fertum aliud,oblongum tamen circum ipfum conficiant.vt infra in figura patcbir. De throno autem CHRIST I multa imaginari po[fuz mus eo debemus,rot rnagis fenum moueat, eo: memoriam excitet. Fingamus igitur tbronummaterialem in "Paradifo, vbirefidcat Chriftus ad instar T broni Salomonis, de quo fancta [irptura 3. Reg. x. fecit rex Salomon T hronum de ebore grandem, e "vesliuit eum auro fuluo nimis, qui babebat [2x gradus,eo [ummitas throni rotunda erat in pars tc pofleriori: Et due manus hinc,atq, inde tenétes fedile, et duo Leones labant iuxta manus fingulas : «9 duodecim leunculi flantes fuper fex gradus, binc atq; inde. Non cfl factum tale opus in vvniuer[ts regnis eec. 2. .Par.9.c Addit. fecit etiam [cabellum aureum. Varia autem eo pulcherris ma [chemata in biblis facris eg) figuratis inuenies. Hic animaduertito, quód ebur primo: Aurum: Rotunditas: Due Manus bincees inde: Duo principales Lcones: Duo ordines leunculorum: fcx gradus: [cabellum aureum, eum [int throni partes(quando fuerit opus)tot nobis loca da re poterunt. In ip[othbrono CHRIST VS fpeciofus pfilijs bominum refideat,, cuins facies Solis fuper ey [plendorem: cuius utes niuis candoré excedant. Et in f amore fcriptum babeat, Rex regum c9 dominus dominatium. In manu vei gale f[ceptrum gemmis corru[cans:e9 in capite coronam auz ream preciofis in[culptam lapidibus babeat. Sub thronoplanum quoddam fit, à platea eleuatum, quaft mola quedam,[iratum lapidibus preciofts, «vt dixis emus, «o in bac montis planitie ante prediclum thronum 0H5 "Viutts emanet. Defcenfo autem bac quaft monte, ad eius radices in anz. te Chrifli eo fub pedibus eius Beate 7Marie [em per vvirz ginis "Dei Matris Sancti[ sime [edes con[picua fit ipft monz ti contigua ba«ens eg appodiata. At circa ipfum montcm binc cox inde à latere dextro eo: frnifivo, irginis M arie fedes multas, e& bas quidem infignes eo nobiles per circuiz tum pradicli montis difponimus,culi throni fedentes ( Qui fpiritus fedes Dei dicuntur ) collocamus : 1ta temen, quid virginis fedes, qua in boc circuitu, qui montis radices cir cuit,eo ante ( hrifli pedes fita esl, alijs excelftor pulchrior infignior fit, cubi celorum regina, ornatu regio fulgens, coronam [lellarum 11 .in capite babens, Lumamq, pedibus comprimens, folis, vestita [plendore ponatur. Æliatos autem [ex Angelorum ordines in reliquo buius plate diro nimus. . S uamplateam,ceuro[am fingimus: quam fic diuif «m affignabimus, quafi fit ro[a quedam im ocio diuifa folia.I1a. quod rof medium fit locus ille. eleuatus,obi CER 1T I thronum exifl it, Co circa quem vvirgo.&) [piritus, qui diz cuniur, Pars prima. 3L cutitur tbroni;difpofiti (unt. Odo aatem predicta folia: per plateam. extendantur ad modum eorum, qua a voa fluunt foliorum.£) urit prin cipium co coniunctio cum rofaà pedibus T bronorum inz eipiat. cPrimum eo vltimum folium «vtrique partium renun Chrifli directe correfondeant .In primo erit: innocentium martiram multitudo [anguine rübricata. In vltimo folio quod dextro renum Chrisli corre[pondet: paruulorum cirz cunciforum eg) baptizatorum vel fub lege natura per aliud à Deo ablutorum ab original ipeccato cetus confiflat «2Mul torura autem iflorum pazuulorum capita vvix videri pote runt, eg: ab imaginatione inuc[ligari t quia retro thronum fant. at aliquos videre fat erit noftro negocio. Secundum folium dextro corref[bondeat humero Chriz fli boc tamen modo, quid retro humerum cius aliquantuli extendatur, £o «U[quea latere pradicti bumeri perucniat. In boc "Dominationes fint, qui reliquis angelorum agmini bus downinatur : € uorum facilis erit memoria, quia eas in loco digniori,e in Chrifli dextro conftituti, co eo in loco in quo corporalium «virium noflrarum [edes a natura confts tuta eft. Uirtutes in [equenti folio, quod Chriflicox« correfFonz lir ponantur:[upra quam regni (ui virgam appodiat. Hoc €rgo verbam.[-virga, «vbi [int virtutes erit in ditium:proz pier trorum, vverbor * [fimile principium. Pote[lates in «quarto eruat folio, quod [ura ( hrifti dextre corre[Pondet: fura autem quia. P figuram conficit: ideo ea; poteflates [as tis ignari po[funt. "Principatus in gue quod finiflra correfpondet ure: cuius fure figura alterum * P. dabit. quo fce gno [atis commotus eorum recordaberis. c/Arcbangelos in [exto ponimus, quod iviflre cox« corre[pondet, upra quem brachium finiflrum retortum ad modumarcus,c"Afrchangelos demonstrabit. edngelos in feptimo folio, quod yumero fimiflro correa f[pondet,locamus. Hac de fitu omnium Angelorum. verum, «0t memorie fenfus vehementius excitetur,de ge[lis ornatu eft vestibus eorundem multa loquemur: quibus illorum officia eo de eis qu&dam archana nobis aperientur. Dum dc -veilibus dicemus, de geslu e ornatu eorunz dem multa fubnetlere volumus: De vve[libus ergo [anctoz rum [pirituum principaliter et primo dicedo, dicimus, quid vunu[auifque ordinum Angelorum veflibus illis bunc vel illum colorem habentibus, eft induendus: qualem colorem lapis ille preciofus babet, qui talem defignat ordinem: aut certe "ve[libus unuqui[que cooperiatur, gemmis lapidibusQ, illis contextis, que cuid, ordini afsignantur.De his lapidibus preciofis, uniuer[os Angelos fignantes, extat vaticinium É/ai.. 8. omnis lapispreciofus operimentum tuum. Sardius Topatius co Lafbis. (bryfolitusonix eo berillus. Saphirus carbunculus ee Smaragdus. € ui nouem lapides, nouem choros ^ ngelorum demon[lrant ideft 5 eraphin, Cherubin, T bronos, Dominationcs,/ irtutes, Pote[lates, Principatus, Archanz Pars P rima. 33 efrchangelos, Ancelos. Primusergo ordo [pirituum beatorum, efl Sanclorum Seraphin: Primum ergo preciofum lapidem eifdem affigna mus.i.Sardium T'opation Cherubinis, ac [ic de ceteris.Ses vaphin igitur qua circa T rinitatis S acliftime folium funt, accéfis vultibus, (ficut et pinguntur) propter feruoré chari tatis imaginentur, alisq, rubentibus : (cuius coloris eft lapis fardius) vel certe fardis contextis eg ornatis, aut depi£tis eonfingütur :ore itidem aperto,ac diuina laude repleto, an us; Sancius Sancius proclamantia. Alarum autem numerus earum, geflus: extenfro eo: ue latio:color:eo* clamor; Seraphinorum eorum declarant offi ea eo dignitates. Be dena - Cherubin, qui T hromum ((hriffi, eo quo fuptadiximus ordine, ab «vno latere Chrisli afcendendo [upra caput eius; eo ad aliud latus de[cendendo ambiunt: duas alas babere; ficut eo piclores fingunt, imaginentur. que ale virore auz ri pulcherrimo, ad vviriditatem tendente re[blendeant:cvel iopatijsornatæ et intexta exifimentur:ac fub cuiusQ, C bez yubin facie ac mento libellum apertum C7: minimis caratíe dibus infcriptum e[fe confinge: qua eorum [ubtilis &2* acris denotetur [Gientia, aut certe eorundem pennas fingulas in inferiori parte literis in[criptas effe exifiimato. à T hroni qui fub throno Chrifli eg) ad ipfius montis radit ces in girum, [uper [edes difbo[iti unt, ve[libusexiflimenz tur indati rübeiset albis lineis diflin&lis: ac guttulis refpers [is fimilibus, [icut im diuevfi generis Iafpidicus eft «videre. F. Ed Thefauri memoria attificiofz Vel veflibus isli fpiritus imaginentur ex la[pidibus con textis indati. "Dominationes fequuntur., qua in folio qucd dextrum ve[picit bumerum Chrifli locanimus: veflibus chryfolitis in textis indate ponantur: vel f*lgentibus ardentibus, [civil lis auroq. fimilibus: talisevenim coloris eft chryfolitus. Ef et coronas aure. chry[oliris flgentesin capite babeant: et in manibus in/lrumenta d.uer(a, que per[onent.v.g. iram: Spadicen: P [alterium.C ymbalum, T impanum : Chara: T esludineum in'rumentum, quod «vocat l iuto. Cortilos: Epigeneum c7 illud. quod FTarpe dicitur. Virtutes in equentifolio locata vestibus induantur oni cibus intextis: cvel[ubcandidum colorem habentibus. talis eft enim onix. edtquia ifli [piritus celi [pheras mouent: €a propter fub manu dextra vel [imiflva, vel ambabus cuz iu/libet corum:orbes effe magnos piclos in charta aut certe pi las qua[dam infignes ex. marmore vvelalabaflro «vel ferpentino vel porpbyrite, celos reprafentanics ima ginaberis, Pote[lates in altero folio predicto contiquo eve[l ita fimt indumitis berillis intextis,vel pallorem in auri colorem de clinantem habentibus: T alis efl enim Berillus.G eft ibus iftà Jic di ponantur, qud demones ab energumenis e ab arrez piitijs (quos inter ipfos ponimus)expellere cvideantur, ficut fupra diximus. Ob poteslaté quam aduer[us demones exz ercent fecundum D.Greg. pradicli [piriwus potestates nut £upntur, i; "Principatus in fequenti folio, "vestes $ apphiris ornatas babeant, Pars prima. 24. babeat,rvel ceruleo colore depictas. Ifli fDiritus in manibus babeant regiones && regna cec. in charta depicía vvelin pe trayvel marmore vel quauis materia [culpta:nam genti diuzr[arum regnorum nationumq, rvariarum moderatores €) gubernatores exiflunt, vt facri "Doclores affirmant. Archangeli in alio no[lre rofa folio, prediéfo proximo, eo contiguo:cve[les carbunculis micantes babeant vel ignis f'lgorem babentes, qualis eft carbunculus. £) ui(vt praliba umus ) "Ducibus, Principibus E Regibus j Imperatoribus, Prælatis, E pif copis, ( ardinalibus eecinter ipfos exiflenti bus,in auvibus loquantur:atq, ex eis aliqui:quo/dam ex diz élis [uperioribus manducant: alij, viam digito "vel manu demo[lrent. Inter iflos]biritus, Michælarmis coopertus appareat: G. abriel cum lilio: Raphæl cum "unguenti alaba flro fingatur: Et ex predicto Choro Aliqui buccinis ad ors pofitis confingantur. Archagelus enim «voce e» tuba dei ca net eo mortuirefargent. Angeli in penultimo folio, quod Jinistro humero Chrifli re[bondet vt fupra diximus, pofiti veflibus induantur ex fmaragdis contextis -vel notulis diuer[orum colorum conz Jperfis, qualiseft [maragdus : quorum diuerfitate colorum, quia diuerfis rerum [peciebus con[eruandis praponuntur tt di. f hom.docet,admonemur.Yflorum Sanélorum Spirituis aliqui fimplices priuatosq, viros manu ducant:alij alios am plexentur : alij obices et [axa tollant e abijciant,ue forte. offendant bominesad lapidem pedes fuos. Incvltimo folio, quod vetro renes (brifli eiat, fint,vot 3 I 4 diximus, Thefaurimemorrx artificiofx diximus, Sautli circuncifione uel [cro fignati leptifmate, *velfubloge natura conflitati ab originali noxa, alio Dco placatimodoyabluti, albisindwftjs circumamitii,firtisque, Albis ex floribus lilijsd confeclis, vedimiti. Hi fimiles ^ nge lis fuereytum propter inocentiam,tum ob corum virgin ilg munditiam: ea 0b cau[am prope angelos non incongrue co[demiocamus. Inter hoc vltimum folium,quod ab «vno late re.contiguum eft primo.fons [uperius ante Chrifli tbrenum, pofitus pes alueum binc de[cendens trancat per difcoopertis aquaduclumyv[aue ad extremitatem «vtriu[que folij- ea inde tanquam torrens cuel flumen circularviter extendatur. ipaque extremitatibus foliorum moflre rof propinquus, ima unb contiguus exiftimetur. Torrente enim vvoluptatis potas Lis. Sanclos [uos Deus .&2s, Q uoniam apud te c[ fons uita; cdit propheta. wy E Finitisautem folijs nostravofz. eo pradiclorum c/nge. lorum [an&lorumq, infantium vepletis agminibus, eo* predi &o tórréte vel flumine reclufisco quaft munitisextra torz rentem bunc, quem per canalem fluere finxcimus, [ex circus los fex intermedijs noftra rofa folijs corre[bondentes imagiz naberis. In hovum primo;qui refpondet fua fituatione folio fecun do,vbipo[uimus dominationes fint p a[lent c 4postoli: In fecundo Patriarcha: In tertio* P ropheta:In quarto Marz tires: In quinto Confe[[ores: In [exto I/irgines. "erum los: €u5,qui contra primum eo vltimum folium, qu& retro thro. wu funt, inuenitur y hebreorum illa roultitudine repletus Ma SIN exiflat, Parsprima. . 35 exiftat, de qua. fcriptum cfl, Et erat multitudo corum. 144. millia [ignats ex omni tribufiliorum 1/ræl. Hac de fria Numc de veflibusegveorum infiguibus, ut magis memoriam exeitent, dicemus... : zx Sancti à pojtoli et Euangelifla: difcipulia. domini, ui in prinio circulo [unt, Eo amicti ndo, quo eo pingsmury imaginentur, cum eorum inf nibus : Jdcirco.S. Petruscum clauions aftet. Paulus cum euaginato enfe, co» libro.e dns drcas cum cruce. Iacobus cum pilco,eo peregrinantium bacu lo.Iohznnes cum calamo atramentario, libro, &?* aquila fex: cus pedes fuos commorante.T homas, qui manum digitum, protendatzBartholomeus cum gladio e corio proprio fuper bumerum finisirum reiecto: «AM. attheus cum libro c9 4n gelovvelbomine: Simon TAaddeus cumvretibus: Lucas cum libro eg) boue. : Marcus cum libro £o Leone. $int autem animalia bec quepropé Euangeliftas difonimus, £uangeli&karumque omnium veflimenta oculis vndiá, plena. co «unumquodá, corum [enas babeat alas. In [ecundo ('irculo, «vbi funt * Patriarcha et Sancti Pa tres veteris teflamenti: Abraam [it cum magno gladio. Ifaac cum fa[ ce lignorum e ariete.Iacob cum [cala,quam vviderat,eo lapide fuper quo dormiuit,g9 baculo quo "Utez batur.SN'oc cwm archa lignea. Iofeph cum corona [ceptrod : Moyfes cum lapideis tabulis eg* cornuis fulgentibus cum virga pc.e bel cum baculoyeo* agno. Iob cum cicatricibus filsétibus.lofuue loricatus cum enfe: Bhinees cum gladio uel. mucron-eSan['on cum columnis:el'afimi maxilla, ucl val : uis:et 'Thefíauri memorixz artificio(c uis:et cum Leone mortuo. fNaboth cum lapidibus. Gedcon cum "vellere buccina ados pofita,lagena, &) Fiydriacum lumine in ea abfcondito. Iepbte, Caleb, Eleazar, T obias, Baracb,alij 4, cum torum ivfignibus. In tertio (Circulo, vbi funt Vrophete.Dauid aflet cultu regio fplendens cum cithara -velp[alterio: Heligs Zona indutus pellicea,cum igneo curru. Helifeus caluus cum. Helie pallio,baculod .Samuelgrandeuus cum olei cornus gemensa, fingatur.1[2ias cum erra. bacuc cum Angelo, qui eum in. capillo capitis in Babilonem a[portauit. fieremias cum laz pidibusDaniel cum pila evel ma[Ja quam fecit ex. pice adi pe «v pilis,eg coctam in os draconis proiecit, ac fic interfez cit. Dan. 1 4.cAfmos cum vecte, qua ab Oziaper tempora transfixus efl.Ionascum cete, ac hederevamo.Hi omnes in manibus ramos babeat oliuarum,quibus Victoria, quam de mundo per[equente adepti [unt, fignificetur. In quarto Circulo Martires Sanctirubeis fericeisá, «vez fHiantur indumentis, manuq, palmarum ramos tenentes:et cam infrgnibus imaginentur.ru.g. Stephanus cum lapidibus: Laurentius cum crate ferrea: Clemens cum anchora: Sela $lianus cum telis eo fagittis : Cofmas eg: "Damianus cum aureis ua[culis. Ignatius cum corde in[cripto. * anctus Pez trus mart.cum. gladio fupra bumerum .Blafius cum pectitibus.G eorgius armatus. In ilis autem principaliores cicatrices (quibus aloriofum pro "Domino fanguinem fuderunt) fplendentes appareant. In quinto, Sanctorum ConfeJforum catus, viridibus ins duti Pars prima. 36 dui fint ve[libus ; fericeisq, eo cum eorum infignibus exis ynentur .Idco.S. SN'icolaus cum tribus pilis vel fpharulis evel mafsis aureis afciflat Martinus cum gladio [cindente clamidis partem. Gregorius cum regno eg celumla ad au. res. lofeph cum virga florente. Ludouicus cum corona egj feaptro.S. Hieromymus rubeis vestibus indutus, et pileo, nuz dopeclore,[axumq, manu tenens,et cum Lcone.5. Domini cus fuo indutus Palin cum lilio: Stella in frontesmundo fub edibus: cane aculam accen[am ore tenente JT boraas nofier cum cappa stellis vndique plena.V'incentius cum manu digito, ad modum concionantis minantisá, protenfis.S.Fra cif cus cum [ligmatibus. S. Bernardinus cum nomine YESV. in libro depicto. Inter C onfe[fores: Epifcopi Mitra ornentur: à rchicpiz fpi Arce: Patriarcha cum arce [upra pectus tran[uer[a: Pontifices maximi regno C7 pluuiali,cvel cappa fericea.£ b bates curn difciplina fingantur. In fexto irculo ; qui finiftrum CHRIST! Jbuneriz re[Picic, proximus inuenitur foiio, in tton e^ ngc iy5 ir gines [ant,qua albis induta fint veflibus,liliaá manibus te pentes imaginentur: Interqs pedes corum [ibtusq,Z erra ui re[Gat fronde[cat. c floreat. Ibi. ( baterina A arüir ca rotis appareat: ^ gnes cum agno: Cecilia cumorganis Lucia cum oculis c9 pugione in gula: Margarita cum dracone: Do rotb. a cum Jportula fiorumm: Barbara cum turri: à gatha cit forpicibus. c be omnes cum palmis. $. € 'atherina de Sc nis cum libro: cracifucoQ uin manibus. etera[que V. irgiues et Am '] hefauri memoria artificiofze etiam non martires,bocin loco difbonimus. etro thronum in magno circulo illa bebreorum maxis ma multitudo ab ce » de qua [upradiximus : vve[tibus fit induta viridibus : nam fide «7 gratia pleni ffe futori Meffia [alui facti funt. Hos omnes [peciales circulos, in quibus diuer[os [an&los repo[uimus : ('irculus quidam eos omnes ab extra ambiens eo includens imaginetur latitudinis decem «vel viginti cus bitorum:perquam circuli latitudinem,"vclut per a'ueum et di[coopertum aquedutium aqua fuperius pofita, eo per canalem ibi de[cendens, per totum circulum perfluat ej) diz fcurrat : ot qui fuperius [unt Sancli: e qui infra ponenz tur à facris vnda quafi letificari pofcint prout figuraliter dictum efl, Fluminis impetus lætificat ciuitatem Dei. Extra bunc circulum,in quo aqua di[currés,omnes alios ambit eo circuit: extra inquam circulum,co: circa omuem fuipartem, omnium Sanélorum innumerabilis multitudo appareat: uirorum fac mulierum, paruulorum,Iuuenum, fenum oc. de qua [criptum eft ^ pocalypfis. Vidi turbam magná, quam dinumerare nemo poterat, ex omnibus gentibus ez) tribubus co populis et linguis flam: tes ante thronum: [n quorum copioftfc imamultitudine,aliz. qui fimt auratis induti veflibus Adulti indumentis glauco. colore depictis: e/lij croceo achanto: Á lij dif coloratis vefli bus: eo ali alijs eoc. Ætro bos [anélos, [pacio quinquaginta vel potius cena 8n ! tum pez Pars prima. um tum pedum, murus quidam omnem circuiems clauden[aue plateam, imaginetnr.qui lapidibus expolitis eryflallinifque compactus eo contratius oxislimetur. bc eo in loco, qui dis recle contra thronum ve[pondet : ideft in throni faciem rcfpicitampliffima porta:pulcherrimad, imaginetur, plena in troeuntibus viris ee mulieribus, qui omnes albis veftibus: fertisq, in capite pofitis,credantur introire. T'urres auters inprediclo muro Paradi[um circundana té;quodam interuallo interpofitoue bacio difpofite lapidia bus pr«eciofts edificate imaginentur. Hec de ampliffimis locis di&fa fint, quibus addere «vel eninuere quifque fue arbitrio poterit. 0E a iai ? H Ib l " VM TAI U. à : 3 i A iens mm ih $7 ON e ) drmSNx f ! M Ne Mm NZ zi all Y N S "A 3 a ( eu p 4 V d x SN 4; ato nig Es inr i ZA Jun - P, r m Dassprima. - v ADDITIONES QVÆDAM AB eodem. F.Cof.Roff.in vberiorem Ce-. :r li empyrei declarationem,.7e Icut [uperius, de inferno agentes, quedam «ROI addidimus, ratione ibidem addulia:fic eo A de Paradi[b [cribentes,qua ad eius amplioa, xi rem notitiam pertinent C que eruditione nostram ad augeant, bic infra addere eo [ubneclere-volu mur: evt non dumtaxat leclori memoria artificioe notitias detur: verum gy) eorum, q eius gratia ponuntur, inferatur declaratio,e** conferatur notitia: €) uod eg ab[onum mini ve erit: cum eorundem plenior intelligentia &7 copioftor de "laratio (que alias nobis perutiles funt) noftre ctiam memo rie multum prode[fe pofint .. Sic etenim artificiofius fubtilius atque celerius pro locis atque verum commini[cendarum imaginibus eis vti poterimus:Q uod fiquis amplius contens dat: afferens illud Hhratij Flacci dicti :SNon erat biclocus: audacter illi repondemus: Prater cam,quam diximus uti litatem,etia m bisque nunc addimus, ft confiderare uelint, inueniri multa non fuperius pofita, qu& noflra arti defer:Wwiat.Ceterum 2 quibu[dam amicis (quibus bac negare nez cefitudinis gratia baud potuimus, fed nec debuimus ) ue idum impulfi:(ed eo pene coacti fuimus, R eplicare auté qua «dam fuperius dictanos ip[c rerum ordo coegit.In[erere vez -rohéec egxea inter illa difbonere,qua de eodemcelo Espy «rto fuperius diximus, qi fuo proprio ponere loco,ip[a teme xax ; ES pors 6 Theíaurimemoris artificiofix poris breuitate eo inflantis negocij occupatione: a aua iam im profiioni intendimus prohibiti fumus. Diligés autem lector, qua ad pxopius mernoria avtificio[e attinent incrementum, extraher 6,7 reliqua. linqucre,que alio tempore: alio coma modo atjue occafi one legere poterit, De Caclo Émpyseo Péndiógde Beatorum, .: quem bic.à latere: pingere fecimus: deá ;xdiftinétione partium, manfionumq; Sur ac de Sanctotum omnium in eo ditpofito rüm, », diuerfis ordinibus. 3: 19^ "3 3 M Oclum E Mbyéuh fupremum e eft:cUt pott fu per omnes alios celos,in ipfa creatione con ditos pofitum eg) conflitutum:quod Ph5lo wwe) [o phii ignorauere. IN et fi naturale quodda 'exiflar: materiamá, "vt cetera alia (licet excellétifimam) babeat, ct concernat, quia tamen fenfui à à quo noflra orar «cognitio (vut Arifl. ait ) nec directe vel indirecte [ubieélis Worunt : idcirco id non intellexere.e[l ergo hac de caufa: ot *D.T bo.placet: 9 uid intelleciuale, quod bumana ratione dnuefligari non poteft cum non [ubijciatur vifui.[ed "Diui ^nus ille Plato in Pbedone à átq; quaplurimi ex academicis ip fum Platonem [zquentes,tam pro male,quàm pro bene me wentibus : alias alibi iflis terre[lribus manfionibus vel in[rs quiores cv excellentiores, veletiam deteriores «9 vilioz 1 » y^ res pif Pars prima. : 39 ret: pijs elimpijs praparatas e[fe € viquad.m veritatis occulta commoti) fateantur. Mercurius quoq; T vif megiflus, dum moreretur hac derc(aliquid veritatis eo ipfc pvo cul olfaciens) ad optimam illam beatamá, Ciuitatem vez gredi ee ingredi [e po[Je (Calcidio referente) ex iflimauit, €) a[[crit. Pytbagore infuper fententia ad metrum reduz a, boc ipfum re[onat et demon[irat. Corpore (inquit) depo fito,cum liber ad etbera perges, €uades bominem, fatlus "Deus ætheris almi. (um quo Platoeadem difciplina imbuz tus in P bedone dixerat. € ui pie pra cateris vixilfe inuez miuntur, biex bis terrenis locisitanquam 6 carcere foluti ad «ltiora tran[cédunt, puramá, fupra terram babitant regioz nem, cvLi premium pulchrum eft, ce fpes ingens. De hoc ergo noftri Theologi, facris difciplinis imbuti,fe curius latius e. expre[fius differentes co pertra&lantes, id J'upremum celum, ficut c9 nos fupra diximus. ee in loco dumtaxat per accidens, ac per partes: eg beatorum bominum magis, quam c/fngelorum locum e[fe;ad congruitatem contemplationis, non nece[sitatem e[[e a[ferunt :concreatum an[aper materie informi Immobile maxime : formale: 1n -«orruptibile : Lucidum,quamuis radios vifibiles nobis non emittat: Influens in inferiores: eg» in ipío influxu ad ordine [ubflatiarum pertingens,cum [ine motu influat,ut D.T ba. in quolib. afferit. V'irtuefiffimumque et maximum corpos rum e[fe affeuerant. X Et boc: in loco corpora beatorum futura. e[fe dicunt. ^ uod cm iam olim illico creatum Angelis, iuxta Strabon TA e pes "l'hefauri memóritz attiAciofte eo Bedam, repletum fuiffe dixerunt. Ffoc éro celum in facra fcriptura eo à [acris doctoribus diuerfis ominibus ob diuer[a myfleria nuncupatur. ]NL'am locus [anlus dicitur, quia vere fantla [actorum exiflit:in quo [an&li omues, fan élum [anctorum perpetuo facie ad facicm intuentur Qo» con templantur. Mons domini, monscoagulatus, nons pinguis dicitur. Mons inqua, quia à terra maxime eleuatur;et a terra terz renisd, as exemptos recipit. Domus eterni patris,quia ibidem omnes e/Angeli e) bo wines fw "Uno et fupremo patrefamilias *Unius Ynoris €xz iflentes,recepti funt,recipiuntur, c in futurum recipiétur, «t ait Diuinus P(altes,Q wi habitare facit vnius moris in domo.et lili: In domii domini ibimus. Et Seruator nofler, Andomopatris mei manfiones multa [unt. Kierufalem propter eternam claramá, pacis fuprema *vifionem et fruitionem.'De qua D. Paulus:illa que furz fum eft. ferufalem Ciuitas [ancta. Ciuitas "Dei dicitur, propter oniuer[orum, fupernorum Ciuium "vnitatem.Glo riofa, ait "Propheta, dicta [unt de te ('iuitas Dei. De qua (imitate Excechiel atque Iobannes Euangelifla., mira los quuntur,et "vndiq; plenamyflerijsque fere omnia, bacinpi &turaponere enixe curaumus. Terra in[uper viuentium appellatur : quia illorum eft, qui Aqua "viua, gratia.[.CHR1ST lin vitam eternam falieate,in bacuita mortali de gentes potati et repleti fuere. Quia in ('elacviuentes dicuntur, quiarvita naturale que zd qynione Pars prima. Wr 4 «nione anima ad corpus conurgit, fed tamen reformata et. fpirituali feliciffima c7: beata perpetuo viuent. € ui ue inz : faper uita gloriofa on folum corpus, [ed amimam beante in. eiernum viuent. Q ui demum deo viuo omnium "vita bea. tifima:cviuunt et perfruumtur. T'erraitem promifionis dicitur quia fanctis bominibus. repromilJa, et ab ip[a mundi conflitutione preparata, ab ip fà Saluatore afferitur. Beati inquit Mies, quonia ipfi po frdebunt terram. Regnum celefle,in quo Rex Regit, et Dominus domis nantium, [uam fuis gloriam regni perpetuo donat. € uo in: ANeguo reges omnes illos confliruet, quos benedicit, dicendo. V'enite benedicti patris mei, percipite regnum eec. De hoe. autem pluribusin locis facra [cripture mentiofit.t ibi, Re gnum meum non eft de boc mundo. Memento meidum ve neris in regnum tuum. Ego dilbono «vobis ficut difbofuit mi. bi pater meus regnum,cc. Coelum celi ctia vocatur, vt ibizCelum celi domino. (e licelorum te capere non poterunt. uet Caluns Empyreum.i igneum à T beologis dicitur, nom propter ardorem ignis, fed propter corporale lumen in co diffs[um. "Paradifus uoluptatis, vt in Cæchiel. Im Paradifo Dei mei fuifliet in delirijs paradifi dei-et Chriftus: Elodie mez e; eris in Paradi[o.*Na et fi de Lymbo [anctorum Patrik dixerit VE S V S, obi Dei gloria reuclata eft [anctis,mulzo magis de carla empyreo hoc nomen conuenit : cum ibidem [upra Thefauri memorix attificiofe fs pra perpetuo fint Dei maie[latem contemplatusi. ; Hortus delitiarum prafiguratus in [acro Genefcos lis bro. De quo Iocl.1.a-quafi hortus uoluptatis.e7 cant.s.a.cve ui in bortum meum [oror mea, [bon[us [bon[« dicebat. In boc autem (slo [unt cAltaria illa,de quibus, c/Altaz: ria tua domine coirtutum funt Manfiones diuev(e. [anélis c^fngelis &o bominibus date vel dade [unt e illa felicifz: fima tabernacula, ad 2 [u[pirans Dauid, aiebat, Q uam de. lila tabernacula tua domine virtutum »concupi[cit eo dez. ficit anima mea.Esl eo men[a, de qua, [edebitis fuper méz fans meam in regno.-meo. &* fuper qua cibus €» potus inu: wifibiles, qui ab bominibus "videri non po[Junt, exiflunt funt et ibi [edes et throni, vbi [edebimus,et difctumbemnu:, pracincfo domino et tran[eunte, et miniflrante vt ipfemet clariffime a[[eruit, dicens : Amen dico vobis, quid pracinz get,fe et faciet eos difcumbere et tranfiens miniflraLit illis. Hoc ergo Celum pingttes, et in cius figura, et in bisque ia co gontinetur ea [equentes, que a [acra [criptura, maxi sne Ezechiele, et Iobanne Cuangelifla de eo, nb nomine Ci uitatis Sancte et Hieru[alem nous, defcripta funt:in quatuor partes dinidimus iuxta quatuor T urres,quas proportio. nabiliter et eque diflantes,in circuitu ('iwitatis, diuerfts in locis diflinximus Nam ct fi B. Iobannes dicat in quadro initatem pofitam e[fe nonin civculojmos pifure atque pis Gori confentientes, circularis figura, "ut pote,capacioris ea finsimus,et pingere fecimus : fed tamen. eius circuitum in quatuor difinximus partes,iuxtà quatuor turres,u t dixi APR us vt Pars prima. 41 must [faltim boc viodo ciuitatem in quadro pofrtam effe: fgnificemm. à In eiufdem autem ciuitatis [uprema parte, fupraarbos. rem vita ameniffimam:qua fupra monté in "Paradifi mez dio,vt E sangelifta Iohannes docet locauimus [olium fans £e Trinitatis eleuatum et excel[um,iuxta E [aie *vaticis nium : quod multis [erapbinorum [ertis circundatum poniz mus. Quod folium inaccefüibile gloriam dicimus, qua Deus inbabitat,iuxta D.Pauli fententiam. uilucern inbabiz tat inaccefsibilem.De bac autem luce eo lumine, dominum amiclum dixerat Dauid: Amitfus lumine, [icut uefliméto. Flac ergo in lucem, eo in igneo, ut ita dicam, globo (nam "Deuswoster eft ignis ardens) e in boc fupra mundano Sole,à quo lumen omne. creatum emanat, tres [eciofiffimas facies, tres per[omas in*vna deitatis fabflantia: perfonali. dumtaxat. differentia, diuer[as finximus non quid T'riniz. tas peronarum effingi pofsit, fed vt ex hoc aliquid maxiz, mé noftro negocio de[eruiés addi[camus. Ab hoc aut& fupra celefti fole ceumundus à noftro: ita ( fed faliciori m odo): vvniuerf a fanéla noua cox [uperna illa. Ciuitas illuftratur. Quod nempe lumen diuina gloria nobilifeimi illi ciues fus perne (Ciuitatis perpetui babitatores po[fe[Jores ac comprehé fores, indefelJe ac perpetuo contemplatur, fub boc folio arbe rem vite prediclam, fraclibus duodecim exuberantem, videbis. E CHEM (s x Dein montem, domini montem coagulatum et pingue, montem in quo beneplacitum efl Deo babitare in co, confi 4L derato: Thefauri memoriz artificiofe derato:[upra montem CHRTSTH, T bronum iride pul cherrimo.ot lobanni [ancliffimo placet, circundatum pin ximus:in quo [cdere Ecclefia confbexit,quem adorat mlt tudo c Angelorum. Hunc etiam ad inflar illius,quem $ aloa. mon fecit,ob multa myfleria difpo[uimus. Atcirca CHRIST 0H 7 hbronum,in terra,ut ita dica.i. circa locum illum, in quo predicta fedes pofita efl, quatuor illa animalia Euangeliflas fignificantia, oculis vndis, ples n4, fenas alas babentia cernes. e/Ante vero T bronum, e fecus e/dgni "Dei pedes, fons «viuus emanat. ui fons in torrentem totius voluptatis pro E lapfus, per omnes Celi Empyrei partes,ad electorum omz nimodam [ocietatem, [obriamá, ebrietatem difcurrit. Sub fonte, nec non (9) [ub monte, qui vniuer[ celefli prominet urbi, eo in medio T bronorum quos binc c2: inde fedentes diflinximus l'irginem Dei param,duodecim fulgentium flellarum ornatam. corona, amitfam Sole [ub pedibus Lunam habentem,rofarum falcitam floribus; fli patam malis.vite florente, [uauitatem odoris fruélificante, candidisá lilijs circundatam. Palma €) Cedriiucundifüiyia wnbra prote£lam. Cinamomo ce Balfamo mirum odo vem fragrantibus obfitam,multa ob myfteria confiderato... ub monte, in quo refidet Chriflus:ac ipfius montis cir cuita, T bronos locauimus, En[em et lances tenentes quibus duflitiam Dei [uper illos [edentis e Jua iudicia deceruétis, prefeforant er) fignificent. Jub T bronis,quos ad radicesin circuitu fedentesfinxiz mus Parts prinia. 4 ymus [ese veliquos ordines conflitutos "videbis in fex artificio fisfolijs quaft cuin[dam vof? C HRAS T Ly Thronum eo» montem in anteriori parte dumtaxat ambientibus. cl dextris autem CH R I S T l incipientes et inantez riorem partem paulatim c [ucceffine procedentes, fecuna da Hierarchie Angelos ponimus,loca vero finiflr is Saluaz toris corre[Pondentia vltima Hierarchia [Diritibus repleta pro[picies. Uerum bic animaduertito diuerfitatem fitus e loci varietatem geftuum e infignium "ve[liumá,, diuerfos colores eorundem diner[os ordimes : propria ac principaliora officia (prout in piclura fieri potuit) declarare. Illorum ergo Angelorum ordines, qui ad fuprema pertis nent Hierarchiam, quoniam in Deo primo ez: vniuer[ali principio,rerum cau[as immediate contemplatur, idcirco in fublinsioribus locis in tres ordines diflinclos, c2 Deo viciniores pofuimus. Nam et Seraphin Dei folium ambientes, *vvt E[aias dixerat, fignauimus: ( berubin vero T bronum Chrifli à [ummo vv[que deor[um ambientes finximus. eJ demum T bronos monti Chriflum Dei ee bominem exciz picnti proximiores,immo co contiguos con[Hituimus. Secundam Hierarchiam, qua rerum cau[as vationesi, tanquam ab vniuer[alibus caufis dependentes intelligit in inferiori frtu.i. ad (brifli dextram locanimus. T'ertiam,quavationesrerum tanquam à proprijs caufis dependentes, &» quatinus ad particularia applicaz tu, in tuenturyad eius fi niflram fi 'gnauimus. : Colores autem vvellium pradiclorum Angelorur, a: ge 1 fu; L Thefauri memori áttificiofze flus corum diuerfi 1 quadam ipf orum Leatorum [firituum offic ia Arc an44 multa nobis referant atqi declarant. Nam (o curauimius "ot ve[Lium colores quilus diuerfos e-4ngelo rum: induimus choros ignitis illiscorre[bonderent lapidibus, qui bunc vel ilum chorum defignare po[Jent. Nouem autem praciofi lapides funt, ut im Ezechiele legimus, qui noz uem. Angelorum ordines: Gregorio fancloexponente figuz rant,eg fignant. "De quibus ipfe vates 28. capitulolóqués aiebat: Omnis lapis pracio[us operimentum tuum: Sardius T'opatius, gj Iafpis: Cryfolitus Onix ev Berillus : Sapbirus Carbunculus cé» $maragdus: N [upremo igitur pracioz fà lapide incipiétes cvnicuid, ordinum vnum affignauimus, quem e in [erto cuiu[libet [iritus in ipfo frontis medio. ful gentem anneximus, co in[eruimus. Florum vverolapidum colores diligenter exquirentes veftes cuniu[cuiusa ordimum ei[dem coloribus tinximus, quibus ipfi lapides emicant e refalgent Sed ne de coloribus prædiorum lapidum oriatur pagnasmexe ta ipfe fallaris,memento quid fere omnium lapidum ignitorum atq, fulgentium non una tantum, fed diuer[z funt [pecies eo colores.) uorum lapidum colores illos elegimus, qui vel varietatem ponerent, vel myflerium f gnificarent .c/4t cuius coloris vnufqui[que illorum exiftat; in libro noflro de avtificiofa memoria. diffufe traclauimus. ibidem ergo pradictos calores qui voluerit requirere. eg lez gerepoterit. Hic autem [at erit incAngelerum vveflibus eos micantes pro[picere. C oloribus ergo pradictorum lapidi, qui tam facile ab infpectoribus conbiciuntur, ad eo Pats prima. 43 ad eorum fignificationes proprietates effectus, properates: quo my[Lerio lapides ifli preciofi Angelorum ordinibus conueniant, paululum infiunare, cg breuiter libare in aniz "De Seraphin loguentes,quos circum dei folium in [arti modum difbof uimus,islis Sardius myslerio conuenit. Hos autem finximus omnium pulcherrimos,ac rubeo colore ful gentes:quo colore itarum ceele[Hium métium feliciféimos av dores, eg» ignitum amore gratia Dei bonitate fignificarez mus.Seraphin enim ardentes vel incendentes dicuntur. In corde [axi praditli fardij lapis imenitur: Et gaudium act" dit: T'imorem repellit: Reddit audaces: E xacuat mentem: € [ anguinis fluxum re[lvingit: At per fimilitudinem Sera phicus ordo in (/briflo petra, per quem ipfi c omnia «9 in qua principio vt cfurelius Aug. exponit, creata fant. flabi le funtlamentum habet: eo tanto ceteris cdngelorum ordi nibus excellentius, quanto pra illis in natura, c gratia ] uülz limiorem obtinuit gradum:In corde autem deicateris omni bus pre magnitudine amoris "viciniores inueniuntur. Q uid, [Diritus ficut pre cateris A ngelorum agminibus in dei amoz rem feruntur ardentius: ita €» pre cateris letantur iocutiz dius.Ceterum pradictas [ardij proprietates effectus perfez «&lionesq, [upereminenter tamen ita continent poffident et con[eruant:rut non tantum illas perfecliffimo modo(rvt poz tefupereminentia) illi d fed occulta quadam cvi vniz uer[as illas ab inaflimabili ea qua ardent charitate ( à qua denominantur ) fi per[Picaciter confideraueris, liquido noueris "I hefauri memoris& artificiofíx noueris emanare. Q uod longum effet edicere Fla auté favdij proprietates preditle co clarius $ eraphbin incffe a noflro materiali intellectu(cot Dyon-*vtar vverbis)eor[picicntur:fs bominum illorum, qui boc feraphico per participationem arz dent amore; perfectiones confiderétur. ui cnim feraphico c7 diuino ardet ainore : gaudet in domino femper:nec unz quam tristi [uccumbit cogitatui: €) uia non contriflabit iuSlam quicquid acciderit ei. qN'on timet quia charitas foras amittit timorem.cfudax velmelius fortis redditur, quo arz daa pracipue pro dei amore aggrediatur. ]N à operatur maz gna, fi amor eft dixir.S.G1eg. Acumé poffidet mentis:quia unctio eg [piritus paracletus,quo dei amor, e charitas in cordibus noftris diffunditur:omnem edocet "virtute, eo: oma nia.(uggerit [anuinem,velut [ardius amor ifle, fi in corde geftetur,reslringit:immo e7- voluptatem omne reftringit: nam omnia [peruit, eg ceu ffercora carnem €) [anguincm cov vniuerfatemporalia arbitratur. Predicta Seraphin fenas alas babentia, vt £faias.6. edocet, pinximus. ]N' dua ale, qua extédantur in altum, diuinorum contemplationemyqua corum naturam tran[cen dant fignificant: qua "vero circa eorum corpora : cognitione propriam ac naturalem defignant.Postremo ale ille, que in inferius protenduntur, e profluunt inferiorum rerum coz gnitionem denotant. ( berubin (quos a fummo "v[que deor[um: ab vtraque parte T bromi e fedis ('hrifli quaft deflu£tes fignauimus. ) J'opation datar. Ergo colore etbereo ata, in auri pakorcm declinante, Pars prima. uT 44 declinante,refulgeant.T alis efl .m.T'opation. Hunc autége minis coloré illam non tantum corum,'vt ita dica, Etberca fcicntiam naturalem, ep propriam, qua «9 pra cateris,in férioribus firitibus egregius potiuntur, defignare. dicimus, Jed principaliter [uper celeflem eo» [uper naturalem. bea tá atq, diuinam,'ot pote charitate fulcitam,qua adepti illi o fuere,cum primum ad beatitudinis gloriam peruenerunt. Hanc autem [icut co priorem pra inferioribus fhiritibus frm. gularius eg) egregius pofsident.Jflam vero geminam [cientiam: qua pre ceteris excels. lentius pleni funt, cum-vicinius quam cateri inferiores Dci. claritatem contemplentar: non folum gemino colore: fed et duabus alis in ei[dem depiclis : ac infuper pennis alphabeti. caraclevióus infcriptis : a demum libro aperto fub mento difpofito, legentibus «9« in[picientibus demon[lrare coacti, fmmms. c n yis d "Pradicla autem gemma T'opation dicla,quam C he-. rubinis afsignauimus,omnium gemmarum. amplifima cl, ee "velut [peculum circunflantia, atq, pra[entia recipit eg» reprefcntat: qua co Lunaticam pa[éionem amouct. Tiff iz tiam ambigit. Iram fedat.Dominatur libidini. ('outra moz xios motus, frenefim,e fubitanea mortem «valet. Vndas etiam feruentes compe[cit,ee ebullire probibet. In borum enim e^Zngelorum egregia [cientia,qua eclut clarifiimum,necnon e puriftimis Jpeculum fulget,pre[cnz. tia omuia,nec dicam multa futura:tum inferiora : tum [uz periora; (que tamen ad illorum pertinent gloriam)emicant. Q ue ue Thefauri memoriz artificiofx 9 ueue fcientia amplifima quidem cfl, nam eo naturas lia ifle celeftes effentia norunt: eo fuper celeflia pra cetez ris inferioribus per[picacius intelligunt : eo contemplantur. Verum qnia pa[fionibus quibu[dam, vt pote concupi[cé tie vel fimilium: nec tenetur, nec propter [piritalem natus ram teneripo[Junt : ideo ille que T opation attribuuntur per fééliones, qua buiu[cemodi paffiones [upereminenter tàtum iftis [piritibus conuenire credantur. Eorum enim [cientia auro charitatis decora excellentiffimi gaudij in eis cumulii generat. Letatus [um, quoniam antecedebat me isla [apietia Dixit qui ciuft dem aliquantulum particeps erat. Mun: disfimos etiam eos atque purisfimos reddit, non contra libidiné,a qualonge aliena eft eorum natura, fed contra ignora tiam.) uod eorum nomen defignat. [Nam C berub. Plenitudo fcientie dicitur. ing Nec nobis obflat qd Iob.v.dicitur. (Celi non [unt mun di in con]peálu ciuset alibi.2 s.capituloflelle non funt m&d« in con[peclueius immo nec lucent. co illud quarto cap. In cAngelis [uis reperit prauitatem.Cum eiu[modi nom per realem pofitionem,fcd per comparationem dumtaxat intel tellisi debeant .[Nameelorum at, Stellarum.. c mgeloz rum munditia eo puritas : Lum eg: [plendor f Gientie:bonitas eo anclitas eorundem; ad Dei ineffabilem mundie tiam, puritatem, claritatem lucem inacce[sibilem, fcientia eminente bonitate, fanétitudinemq, relata immunditia et impuritas, tenebra et ipnor&tia, atque prauitas pene appaz: rent etreputantur. Hanc autem munditiam et puritatem, 5 qua Pars prima, 43 uA ifle preciofus lapis operari dicitur, quifquis noftrum k [oa (herubice fcientia particeps fuerit nanci[ci poterit. namo: de diuina fapientia dicitur. "Primi ej puriféimi frutlus illius.pro.3. €7 attigit vvubiá propter [uam mundis tiam. 9) ua ce mundos ca praditos conflituere poterit. Re liqua in[uper perfectiones attribute T opatio.per quandam excellétiam ei[ dem cngelis attribui debent. erum enim evero in bominibus buius [cientie participibus e& omnes et fingula apparent manife[Hus et intelliguntur, faciliu: ficug ev quilibet ex [(z deducere, eo intelligere poterit. T hronis,quas ad radices montis ipfum circumdantes los canimus, Iafpis conuenit. Hi cve[libus gattulis vubeis atque fanguineis re[berfis veflHiuntur. uo colore ipa diuina iu[1i tia, cuius ipft [unt [edes, fignificatur.Q) ue etiam in gladio eg lance: qua in eorum po[uimus manibus apparere poteft: ifli enim [untycvt 'D.Greg.ait;in quibus,-vel per quos iudiz cia [ua decernit "Deus. Hos autem [edentesfinximus,ut ta li L tu ac poft tione nominis corum ratio eg interpretatio ba beatur.]Nam Y bronus fedes,cvel folium dicitur. A ttendiz te que[o qualis fit [edentis iudicantisq, dignitas : cum fedes eum excipientes nobilifima inueniantur. Iajpis autem febres propul[at: FIydrapem fugat:fanta[mata pellit T utum bominem reddit -Infirmitateso, dicerz nere facit. Index ergo ille,qui [uper thronos iudicas iuslitit refidet, laj]ide boc [piritus ornans, cvniuer[os infiruit iudi ces:vt ab anima fecbribus,ab Ef ydropi maxime:que auari tia efl alieni : timore "ullo pauidi: nec ullo agitati exiftant A amore: Thefauti memorix artificiofx amore:eos domum vt infirmitatum iudicandorum diuerz fas fpecies grauitatemq, diligenter exquirant:deinde petptz dant,di[cernant,ee» iudicent. Iu JFerum,ne in longum hec nostra protrabatur oratio, eo declaratio, ne3e acri ingenio preditis inferre mle[lia, nec non co defi dibus «2 cra[J Minerua bominibus nimis f? uere videamur: de inferioribus ordinibus ad mcdiam et po firemam Hierarchiam pertinentibus traclaturi, methodo "Uti in animo eft. Dominationesad C HR I1 $T I dextra difbofite, q alijs dominantur [piritibus, qued, alijs imperam e impe rio dirigunt, auro e) gemmis ornatas e cveftibus vetinétes fimilitudinem auri atque marini coloris: quibus cbryfoliti colores imitentur,pinximus. In borum Angelorum proprio! nomine dominium, quo alijs pre[unt liquido intcl'igitur. 9 uod ee [upercelefle effe. qp) charitate perfufum a[Jerit iphus cbryfolitbi marinus ee celeftis color,in auri pallorem declinans. 065, SURAN Vna autem (hbryfolithi-virtus, vt de cateris tacea, efl contra no£lurnos valere timores, co: tanquam ignis fcintilz lare, radiosá, [plendentes emittere. Ergo [pendere virtutis bus:eo contra timores cvniuer[os etiam maximos : per noz &lurnos pauores fignatos conf lanti animo qui alijs domina tur exiflant,co intelligant predicto chry[oliti colore celes fli quomodo à celorum domino data eft illis omnis regnandi pote[las: Per me reges regnant. F'irtutes, qua celorum mouent C agitant ide ob ; id it Par$phONA oU! ^ 46 id in eorum manilus vides effe depiclos. Q ud, virtutes miracula faciunt : vt D.Greg placet,ve[l ibus circuman is ciuntur,buman& ronguis fimilitudinem retinentiLus. «7: oz nicis colere micantibus. Hoc autem colore pene bumano ofué ditur:quia predica officijs in bominum bonum funguntur, cum il!a virtutes bumanis tum internis: cum exteruis(licet diucrfi mode )faueant viribus atque virtutibus. € uisncz [ciat eas fuere. corporibus cum celos moutant,atque cof dé animabus fuccurrere noslris, cum miracula faciunt? Onix autem triflitiam excitat: T imorem ee pall'orcm incutit: fentafr mata generat: Rixas ev lites accendit. Eia "Vero virtutes effeciusq i&i f«lices [Diritus, per quada wm ez thaphoram in rebus illis,quibus [e applicant, vt [uis pradiz is fungantur officiis, demonslrat,et operatur N à quia di uer[a illa naturalia, quibus vt miracula fiat, Deo primo et principaliter fautte et operate paguntur, [ecer bic ordo ]bi rituum [c[e applicat: cum commotionem imitatione,cvcl alterationem ab ei[dem patiantur fpiritibus, dum ab illis vvel trabuntur &) extenduntur: vel comprimuntur, e pri uantur ;"vel faltim ordinantur ee diriguntur, præparatur c7 difbonuntur:commotionem, vel immutationem vel al terationem co quidem maximam extracvel[upra uel ccn tranaturam patiatur:quafi f[ubmurmurari €grixári: tri[Lari "vel pallere:in litem accendi,vel in timorem à pr«diis [piritibus induci dicuntur. "Demum in malis bominibus dum harum vvirtutum mi - tilllerio miracula fiunt; Lis cox difcordia : Pal'or e T is. JM mor: Thefauri memori artificiofz ynor:e diuerfa a[folent oriri phantafrnata:ficut cum (bri flus miracula operaretur diuer[a, varia in prauis bominis bus oricbantur phanta[mata eo opiniones, di[cordia et liz 1es:dum alij dicebant, quia bonus: al;j non, ed [educit turbas:alij cumoculos caci nati aperiret, dicebat,non efl bic bo mo à Deo'et fchifma erat inter illos. A [jj timore malopau£ tes dicebat,quid facimus, quia hic bomo multa figna facit. In bonis autem [anélus oriebatur timor: nam cum 'U idue filium [ufcitafet, fcriptura [ubiunxit:c/Accepit aut£ omnes timor,et glorificabar Deum dicétes, quia propheta magnus furrexit innobis. Pote[latesyBerillo,qui oleo vel aquis marinis f; milis uio laceic colorisexiflit, ornantur. c/4t [i de praciofis lapidibus tra&lantibus credimus, contra capitis dolorem, fu[piria,et contra boslium pericula "valet Berillus: quaobrem perqua optime Pote[latibus Anglicis contra demones dimicantiz bus, affignari debet. SNam et fi potestatum officium [it ordi nare, ficut ex "D. P au.Doclor nofler deducit: ad eos ét per tinet demonum audaciam refrenaresin[ultws probibere:uir ratem corum reprimere : et nobis aduer[arum poteflatum nequitiam et dolum pertimefcentibus et pra dolore fu[piras tibus, fubuenire:et fu[piria tollere.Capiti etia et noftro corz di, videlicet perturbatione commoto, adhibere medelam. Principatibus [aphirus refpondet. Hic autem ordo veffi bus collucet ceruleo, cum purpura admixto colore:fulgentiz bus, aureos, pulueres [par[os habentibus. Ffi autem prouin.. cias, regiouts et regna in chartis depitla demonflrant:nam nationibus Pars prima. 47 pationibus diuerfis prefunt;ac regnis. US aphirus contra fraudem, inuidiam,terroresá, que omnia ip[a regnaconturbant, valere dicitur,et ad pacem gratiofus exi[tit. Heec auté omnia egregius ac clarius in regna fibicommi[fa operantur ifle diuine Mentes. Archangeli, intelligentia [unt,qui [umma nunciant [rz ent de fancto Gabriele proditum efl. Pralatos ac [uperioz res quofque gubernant: ea propter Pontifices, Cardinales, A eges, Principes, "Dominos, caterosá, alijs prafcálos inter' €o5 locauimus. His afsignatur carbunculus [emper ardens, qui nocle minime «vincitur, fcd quaft noctis vigilias cufloz diens, [emper ardet. ui etfguram [ui ipfius omni lapidi imprimere poteft, et e comuer[e:et lapidum figillum dicitur. Horum enim. hrchangelorum cuftodia fuper prafidentes maxime Pralatos,nec nocle tacet. De quibus intelligi pfet illud Ef2.62. [uper muros tuos hierufalem conflitui cuftos des,tota die et tota mo&le mon tacebunt: cum fere femp Pre latos illuminent: et erudiant: et eorum Lux et illuminatio tenebris non occultetur. 9 ui et qu& bona norunt nofiris im primenda mentibus non dedignantur imprimere, et [igillis. no[trum exislerc. ! c/Angeli, Smaragdi colore refuloent : Quo circa viridiz bus "ve[libus, Smara di «videlicet colorem imitantibus, circumamitti con[piciuntur: qui poflremus ordo,bumano ge neri à (ummo conditore conceditur. Ita quód cuilibet boz minum vnus ex boc ordine efngelus, ad illum cu[lodiens dum deputatus fit:ut talibus ducibus atque magislris:tuto ribus, Thefauri memoriz artificiofe ribus eo» focijs,quibus quilibet ad vitam perducig of it eter nam, ea propter inter illos diuer[arum condition: bomines di[pofuimus.D'e borum cu[lodia dicitur: ? ngclis [uis man-dauit de te, vt cuflodiant te in o3bus vijs tuis. e q [equi zur. Et Saluator nofler:c/Zmen dico uobis, qu.d ^ ngeli eos vum in celis, [emper vident faciem patris mei, qui incez li eil. "De [maragdis Solinus loquens dicit: fmaragdis nil iocun. dius, nil-vtilius vident oculi, nam defatigatos reficiunt ocu los: in umbra fulgent : longius nitent.e7 fecundum Diofcoz ridem, .Morbum caducum, eo: bemitritheum curat .: vis fum debilem confortat: ill'efumá, con[eruat:lafciuos motus compe[citzmemoriam reddit: T'empeflatem auertit: fertur (47N diuitias augere: gratum bominem in verbis facere: perz fnafionem in omni negocio operari: dentes firmare: prode[fe parturientibus. eost c/driflo.placet,ft [uper arteriam poz natur,temperare calorem. In(uper contra demcniacas vaz lere illufiones affirmant. Hic [uperfluum puto ha: virtutes e[fectusd, predictis [Piritibus applicare :cum mon [olum tales effeclus (ed co alij tum fimiles, tum diuerfi namero ac noli litate memoratos longe excedentes, e [uperantes in molis eorum operari minijlerio vtilitate fentiamus ; €? mtchntc f evelimus intelligamus. . AManfionibus c/4ngelis diffributis ad [an&lor? boninit ordines tranfcamus:quos ideo ab e-4ngelis [aparatos ponis pmus,tion "Ut "D. Greg. qui [an&los pro meritis diuerfis, diuer fis edngelorum agminibus coniungit,contra dicerc uelirmus: ed ftd,t diflin£lins(quo ad nos inquam) procedétes, tum oculo fatisfacere,tum memorie prode[fe pofimus. ( «terum c7 Ecclefia in omnium [an&lorum festo, Angelos prius quam c^Apoflolos caterosq, [anélos commemorat. edd CHRISTI dextram locauimus noui teflamé ti Patres: principes populorum à Deo con[litutos : Ecclefie fundamentum:lucem mundi: fal terra: Indices [eculi: Dei amicos ac dome[Hicos ab ipfo nimis bonoratos.i.duodecim di feipulos, qus GHRISTVSAÀ po[lolos nominauit. Ffoj aute prefignarit duodecim filij Iacob. 2! fontes aquarum in Heli.2.dariffimi lapides ex medio Iordanis à luco feles Bio Terra [anéda ex ploratoves.vy prafetfioperum à a3 lomone conflituti. 2, leunculi flantes in T broni yalomonis 'radibus.ti. boues mare tépli Dei tenétes.2 Prophetarum o[fa pullultia As: bore uere dici-i.(brisli.Y2. Cophini fragz mentorum2, Margarite € preciofi lapides ciuitatis [an la. ficut D. T bo.defcribit. AUN; In borum medio "vitem pulcherrimam floribus fuauita tem odoris [Dirantem, fructus ferentem voberrimos, "Uiris desq palmites [aper illos protendentem, &) obumbrantem, conytitwimus. Hoc autem figno commonemus in[Dicientes lez gentesQ, Apoftolos palmites fuiffe, co» viti, Chrifto videlis cet inbafiffe, ej) exinde multum frutlificantes, ficut olim predixerat illis Saluator nofler. Patriarchas fecus A postolos pofuimus,rUt patres evete-. ris teflamenti,velut [anctifimi, ac Deo chariftimi Patriz bus nouitefLamenti pene coniungantur. "Patriarche autem A pofLolos "T hefauri memoria artificiofz e/fpoftolos tempore prace[Jerunt ."Uerantamen ab ei[dem A postolis,officio && dignitate pcelluntur..Fios Patriarchaa «ve[tibus celeftem colorem prafeferentibus induimusquibus eorum in terris celeslis conuer[atio «2» vita figmarentur.. Inter P atriarchas Micem pofuimus. )Nam ad Micem eMambre Abraam Patriarcha Deo dilecfiimus tres An gelos vidit, &o*vnum adorauit, ac myflerium Trinitatis agnouit. illos bofbitio recepit, ez» de A4 efeia fa liciftima proz mifsionem accepit. Fiuius ergo Ilicis depitía [pecies, tot nos bis myfleriapandit : bac bo[bitalitate Patriarchas infignes tile commemorat : nosá, admonet talibus bofTjs promereri Deus.Item lici tberebintum adiunximus:propterca quia e^dbraa [anctiffimus nepos Patriarcha lacob,idola [ubter T herebintum infodit, «vt Dei ad fc loquentis imperium ad impleret:quod fidei finceriftime Patriarcharum,eg: maxiz me lacob inditium extitit.que arbor (ua extentione ampliz radinem meritorum" Patriarcharum oft enait 4 [ub quaruto combra,per imitationem degentes ab oniuer(a buius munz di æris intemperie protegentur. In tertio coetu. €? loco anctos illos bomines, ad uetuste flamentum pertinentes, locauimus:quos prophetie doni decorauit, ac excelfoscon[lituit.Q) ui propter iuflitiam perfez cutionem pafsi, eg) propter cveritatem corum multi mortem fmslinentes : E xcellentis victoria vel certe martirij corona adepti funt. "De his autem Protbomartir Stepbanus dixez rat, Indorum exprobrando duritiam,atá, [ euitiam. €) w€ prophetarum non funt pere cuti patres ucsiri? Et Jeruator illis Pars prima. UD Y illis comminando, dicebat. Hieru[alexm, Hieru[alem, qua occidis prophetas, e lapidas eos, qui ad te mifi [umt. Hhos tanquam "viéloresin tribulationibus pro Deo € "veritate equanimiter toleratis, e&« eorum multos bijfz dem de caufis, morte etiam "violenta percuf[os, f ub oliuo des gentes po[uimus. - eMartires rubro ve[flimento circumtecli eo quaft proz prio [anguine rubricati [ub palma euidentiffimo victoris f gno ponuntur. SN'am clarius celeriu(q, calum intuentes, et viclorie premia propius pro[picientes, poft mortem,ad celi lucidiffimas [edes euolaueve. Palma ergo qua infigne ac noz bili Firmum eft «vittoria figuum, Martirum noui tefl amen ti excellentis viclorie [Mendorem, glorie coronam, Martiz ri aureolam,eo certaminum *uniuer[orum premia proxis miora demon[lrat:nam pro Deo occifi "Propheta ad Lym bum Sanctorum de[cenderunt. eat: martires noflri agone felicis mortis expleto;illico a[Jumuntur in celum , vt ibid gloria perfruantur eterna. fequuntur Sancti Confe[Jores, quorum. multi doGlores extiterunt. € ui doctrinæt vita celefli communiti: quaft Cipreffus exaltati [unt fupra Dei populum : quem Viren ti pabulopa[centes, eternam docuerunt [perave [alutem-".F'irgines Deo dicata, lilijs fragrantes eg vofis,fub malo granato:cuius [rmilitudinem tanquam C H RAS T fpon [e retinuerunt.cut (ant. fienificatur: choreas ducétes con fidera. Ft arum aliquas indumentis albis virginitatern fignantibus, ve[liuimus: reliquas ob fanguinem ob.C HR Íyet eND o S T I amorem efufum,rubricatis induimu:. Sancli, qui in veteri teflamento floruere, in fronte T. hau fignati : poftti funt in fexto circulo, (ub viridi uro. (Nam boc in mundo «velut fpe longa concertanz tes, egvevita fublati : itidem fub fpe in fima cabraba id efl Sanclorum. Lymbo reclufi perfeueranere. - Ætrodextrum CHRISTI armum, funt. Innocenies, qui pro €o occifi ab Eferode fuerunt. Reiro aute Slat quoniam velut virgines vivginem C HR1STVM fequuntur non [olum. munditia. decorati, fed. proprio etiam rabricati [anguine. Hi rubeis floribus ornati funt. Retro finiflrum armum, illos po[uimus infantes, qui circuncifione in "veteri, ee baptifmate, in nouo. teilamento fignati funt. bos floribus. albis lilijsqueredimitos. cernes. In "vltimo circuitu [cecus Ciuitatis fuperna excelfa maz via, turbam innumerabilem con[hice ; de qua : *Uidi turbam magnam, quam dinumerave nemo poterat:, ex omz gibus gentibus eo tribubus € populis, ev linguis flantes ante T hbronum. Demi murorit Ciuitatis pradicla Ieru(ale, latitudine altitudiné atq; longitudinem equales e[fe confi derato. Fios rum murorum firuclura ex. la]bide conflat. fundamenta eiufdem "vrbis, ex duodecim preciofis lapidilus, videliz cet Lafpide : Saphiro : ((alcedonio : .5 maragdo : .$ ardoz nio : Sardio : Chry[olite : erillo: T'opatio : (y[opafvo: Hyacinto : edmetbi[lo.in qua ein murorum flru£tura Ine 12.port& Pars prima. [^ 12.portde funt, quas ff ngulas fingule exormant Margarita. "Platza (Ciuitatisex auro mundo fimile «vitro perlucido. Hac autem omnia, dum in altum "volat Aquila caleflis et vidit ce teftificata cst. VHS US Schalam,quam ante Paradift fores pofuimus,illam effe confiderato, quam lacob raptus [omno vvidit.buius fcha Le gradus: diuer[2 [unt immundo creatura, pecie e pera féeélione diuev[s. Efos creaturarum gradus diuer[os, ^ ngez lici Diritus afcendentes gg) de[cendentes gubernant, atque custodiunt. quibus creaturarum gradibus intelleclis, ad "Dei fuprema cau[& cognitionem, qui in celis habitat, peruenimus,ui dixit "D. Paul. inuifivilia enim ipfis à crea tura mundi per eaqua facla [unt intellecta con[biciuntur, eo cetera. Hac autem cognitio, fi fide augeatur c illuflre tur, Charitateque ornetur, eg perficiatur, celeflis nos regni baredes conflituet, eo diuine con[ortes glorie efficiet.Uerum.n.uero quoniam quatuor elementa, eo ndez cin celi totius orbis cum c/dngelis tamen principales partes exiflunt: ideo. prediéía buius noflra [chale gradus exis Want: fupra quos gradus [Diritualis profe&fus nostri pedem ponimus,cum fupra illos, per quodda donum, "vel per quadam [ocietatem, (ut cam Angelorum gradum pertingimus )a[cendimus, vt "Deo in vita coniungamur «terna: Supra terram, que primus noflra fchala gradus exiflit, a[cendimus,dum corpus ieiuniis, vigiliis ev ceteris fimilibusterimus. Tu per catevos pradicle fchale gradus, fimili modo difcurras. v, MEO Ad T hefauri memoriz artificiofx Ad hanc. Cinitatem nos dignetur perducere ille à quo omnis nofira [alus dependet. uico mirabilis efl in maz ieflate [ua, terribilis atque laudabilis ce faciens prodigia, eo in [an&lis fuis admirandu exiflit. eo bac in Ciuitate magnus €) laudabiliá ritnis inuenitur, Deus fcilicet, per . omnia benedictus. d'equitur Figura (nitatis Sancl«. mg -GGÀ edd 2 134 4 MY "S D- LO 7 AC ] - ; NT nu rj Sce SSULTED AS : TAPPA ZA c3 Thefauri memoriz artificiofz c/Armina boc in loco inter[erenda: quia iterum pofita C funt, pofl carmina de ocfaua f[phara, pagina 28.-vLi incipit, c^t globus empyreus ec.v[que ad finem : con[ulto dimifimus, ne cadem [epiusrepetamus. de vfu ampliffimorum locorum. e Timur locis predictis, modo infra dicédo. Lo ER] camus enim rem primo recen[endam «vltiz r9 VA « mo loco,verbi gratia,in vltima inferni p^ rev Qi te in puteo. f: ee deinde alias in locis fuperio ribus [uccfeiue ponimus: "U[que dum ad "Dei [nlium peruez niamus, prapo[tero etiam ordine procedere po[Jumus, vt [incipiamus à fuperiori loco, e ab illo in inferiores ordina te de[cendamus: *vel alio modo.[. à loco medio a[cendendo: "v[que ad [upremumyvel de[cendédo v[q; ad infimum:pro ut locande figura, ac memorandarum fpecies exigunt : vcl etiam commini[cédarum rerum ratio expo[Lulare «videtur. Sienim in [ermonis tui principio, pro memoranda vei figno, locandus fit c Angelussin Cælo potius qua in inferno et. eius imago ponenda. A lia deinde alijs in locis unt [ucceffiue e ordinate, conslituenda. Et quamuis locis quibu[libet non omna memoranda, nec vniuer[ c memorandorum figura, (quas locare evolucz ris )conueniant:arte tamen qz) exercitio, e cyebeméti ima ginatione ita id poterimus comparare, *ut cuilibet loco rem omnem cuius memini[[e volumus, eiusq, propriam figuram inuenire Pars prima. Td es inuenire eo accommodare. [ciamsus. €). uod fieri et experti. fiunt, manifc[le fatentur. Cuius autem imagines conrra naturam eg e[fe rerum aut artem vel vfum, ab imaz ginatione locata funt, frequentius oportcbit rcbetere, vut exercitio a[Jequamur, quod longe à naturali ordine rerum con[picimus à nobis e[Je locatum. Vr autem locis fugure ponenda conueniant (quoad fieri pote[) 'atagere oportetvt fr figure quinto loco ponéde fex ro potius loco comueniant, magis ibidem in fexto ponantur. Et qua in fexto alias reponi debuerat, in quinto collocttur. Zfoc autem dixerim, fi permutatione banc repetendaz vum verum ratio patiatur:ficuti in aliquarum rerum di[cur fà fieri contingit. Siquis enim duodecim iciunij fruclus dicez re propo[ uerit, vefert nihil fi quintum Sexto preponat, vcl poft ponat abfolute loquendo: A b[olute inquam, quonia aliz quando(quamwuis ravo)in coni milibus ordinem dicendorum cogimur ob[eruare. In vfu ctia pradiclorum ampliftimorum locorum, illud oportet animaduertere:nece(Jum nequaqua e[[e, vt in una eadem, oratione vo el concione uel leélione,vel alia rerum recitatione prediclis omnibus, e fingulis utamur locis.T'ot enim loca fumenda dicimus,quot pro figuris ponendis [uffiz cere pojJunt aliad, linquenda. Si enim paucorum meminiffe «volueris : fat tibi erit aliquando folum principalia [umere loca ab(que corum partibus. verbi gratia [umere infernum pro *ouo loco tantum, Purgatorium pro alio ec. "el poteris [umere locum «oni principalem, verbi gratia infernum, cum fais partibus pro tot locis, ee alia linquere, qua for(an vvice alia, (cum multa in diclis locis reponere "volueris)mas ximo commodo erunt-Q ue autem figna fint bis locis ponen da acil dicemus. Cap.7. Delocisamplioribus diffinitione, numeto, partitione et vfu. 5 Y Oca communia ampliora illa funt, qu& inam 4 DmRM plif(imis continentur,et ipa [uis in partitus, «B XE y ampla loca, Mediocria, Minora,e9: AMiniz LÍ BE AX oma queque continere poffunt. Loca autem talia;[ant bac. Regiones ez prouinc ie: fecundo * Paradi[us terre[Iris: tertio Itinera ab-vna in aliam Preuinciam «vel (juitatem:quarto Montes ej omnes colles: quinto Planiz ties'fexto * Poffeféiones:Septimo Lille: OClauo Fluminum decur[us : nono Stagna cum corum circuitu. uo ad partitionem borum locorum in partes: que partes pro tot dez feruient locis, quod quilibet corum diuiditur, a[Jerimus. Et quo ad primum Regionum ee: Prouinciarum partes potez tunt e[fe Flumina: .$ tagna: Silue: T vactus, €7 [hacia terz. rarum slerilia:culta quoque pinguia atque fertilia loca:C iuitates: Caflella: P agi : vel vici: P o[feféiones infrgnes:doz, minia diuer[orum Principum : Montes THAN, nomina. ti.Vie celebres:Balnea: P lanities. fParadifi Terreflris spartes,illa poterunt ef quas fucra. fep in codem effe commemorát. Ut multitudo lignoz; ) rum Pars prima. MA WÀ run fractiferorum, palchrorum vifu, eo ad ue[cendum. fuauium. 1. Lignum vita in medio Paradifi. 5$. Lignum infuper [centia boni cz mali. ^ dg M 4-Fluuius,qui inde diuiditur in quatuor capita. N'ome vni Phifon: SNomen fecun di Gion: SNomen terti] D'igris: uartus Eufrates.ex Gen.[ecunao. if Malta praterea. ineo loca poteris imaginari, nec incons ueniéter,ut letiftima nemora,vt ameniffimos montes, flos ventes agros, ridentia prata, pulcherrima planities, cetez ra fimilia. pan RN v 03. Ommnt iter ac via ab "vna Prouincia, "vel (Ciuitate in aliam [nas partes baber, ee funt" Po[feffiones celebres: (muitates (Caflella:vilLo: P agi: c edificia infignia: H'o[bi talia:eccle[ie:montes: planities:fluuij:Biuit: triuiziS tabla diuerfa: Q uelibet caupona. Q uelibet officina co apothez tha; Quéque aliaa nobis euntibus per illam vel redeuntiz bus obujant zo occurruntyvt lapidum acerui [upra depras datos peregrinos comportati: Pontes:Silus : illeq, maxime, que infidiantibus latronibus latibula funt loca infuper fle trilia: Fertiliætiam eg fruclibus accommodata. 77 7o 4 Montisui collium, fecliones ab eor inferioribus par tibu; incipiendo, funt flumina «vel omnes ad coru vidfz ces: T 'orrentes ex ipfi $1n m4 fluentes. Etiam ea,que in c0rum a[cen[u-vel defcenfu oceurrunt,cvt "Domus,P alatia, Ecclefte: Monafteria:aliaue edificia. Infuper po[fefriones, hor. t,pomeria,namora Jftlua, Supercilium montis: ciui catu i n O men Thefauri memoris artificiofx m. Infupcr. Jantes putei aquarum: "Decipule co fóuea ad "capienda animalia. Loca laqueorum tuenanri aMGÉ memorabile, quod occurrit in COCWRIMBODU 1 $- Plaviticipartes, Domus, «dcs hui Lacw: Lafter lunii, fend lios 6. PofJeffiones habent p» partes; apud 'Agrós: vineas: V ilias: :Oliueta: Frutleta., 'e-fucuparia. vel MARIÆ laco, Semitas fontes, torrentes.eo«.. « 2. Fluminum decur[us partes [unt: rh m A silia, Jéapuluf as de[céfus, AM olendina,Pifcineectrbores drcums quaque: oca Pifcantium. ,.. RStagnorum partes po[[unt'e[fe tot, quot maris, de quo fagradiximus praterea Portus: sinus: Ciuitates : C aftella; mirteta: Oliucta. einen, ca pi[cantium » m n ád E777 9 4.0c4 autem Bi cn omnia, qué elt ss Leonie oKamaus,ndis notifftima e[fe debent; qua lcaseg locorum par tes ft minæ nouifli vel vidi f fimilia. ijs confingere lie «dit, ct CICERONE (vedasi) dicit,. Ufus autem taliseft, vot hisin UE auia figuras (que ibidem funt vel e[[c, de ABE Jut plurimum pes [ludeamus, / cut ie C Midi locis dic XÜHMS ou De locis communibus ampliff. et par titione, & víu,& difinitione,& numero. id () Oca communia ampla funt, que in ampliféía mis continentur, et ipfætiam continent in p fuispartibus alia loca.[-minora co:minima. Y NI Hofpitalia, locus officinarum,cArcus infignes,T efludines &dificiorum,cAfrcts, ^vieres, Propusmænla. ^0 00s o x, Locaautem. iflasxtea: ('inirates,mon debent effe vont, Thefaurt memoria attificiofz gnis ciuitatibuscUti(quoniam tibi faltem mote [unt, qui f: paruarum notitiam minime babes) [ume in illis vias prinz cipaliores : eov infigniora edificia : Forum aliasq partes et loca notiora, dimifsis alijs. uo ad-v[um.. Hac loca ficut [uperiora omnia congrua funt reponendis figuris omnibus naturalibus, qua ibidem funt, vel po[[unt ibi effe:zNaturalibus autem figuris, que ibid? non funt, nec naturaliter effe po[Junt: Infuper &j artificialibus, eg ima. ginarijs,non ita, (ed minus conuenientia funt. Attamen inz duflrius bomo, c& ad imaginandas figuras locis conuenienges idoneus,omuibus quibullibet locis ad quecunque memoz randa poterit vti: ut apud expertes: exploratifsimum cit. Ád quacunque ergo memoranda commini[cendasd, res om nes, figuris mediantibus aptiffima [unt loca pradicía, ficut precedentia omuia co fab[equentia. De locis communibus mediocribus, et ^sdeeorum diffinitione, numero; partitione et vfu. . PEU] Oca commutiia mediocria [unt,qua in [upra ERU :diilisaut continenturyaut contineri po[unt; SA que «7 alialoca.[.minima poffunt continez M eA] reset funt Cenobia; Ecclefie; Palatia, Doz mus mediocres Ædificia alia, P latee, Diuerforia, Diuer ticula, Pie. oo lows - c Canobiorumy inferiores partes [amt : Clauffra, ave ds p um: tc 4 v Parsprimas $$ Ium: Schola. Officina: RefeClorium : Cella uinaria: Et ora, TED he partes fuas babent. 2 tielibet enim manf o di uiditur in quatuor angulos : cg omne etiam infigne in tali bus manfionibus pofitum poteft [eruire pro loco,cot porticus, vt [l'atuayut [cala cec. Cenobia habent partes [speriores, € [unt dormitoria,Bibliorbecam,eo alias manfiones prz. ter cellulas fratrum,qua ob nimiam mfra [c ip[as frmilituz dinem difficillime pro locis deferunt; fimilitudo enim men. tem errare facit:eo» ex boc loco in alium fibi fimilem tranf meare:quod experientia millies comprobatum e[t. c^4t ft quifpiam eis vti "voluerit, in ofl io cuiuflibet illas rum fignum aliquod ponat,quo una ab alia differre caideus tur.Signa autem bac imaginariæruntyer) inibi babitantiz. bus (quoad fieri pote[]) conuenientia, «vt memoriam ma-. gis excitent o[lium, vuerbi gratia, Sacrifl a boc modo poterit. obfignari.c/4ppendam per imaginationem in eius oflio claz nium multitudinem in catenula ferrea infixam : qua catez. nula etiamper foramen alicuius Spherule lignea vel marz more« tran[eat,rvt meliustot [igna memoriam excitent.In. oft io indici pones librum rationum mathematicarum, vel rátiocinationum prouétuum conuentus vel ('enobij. Et fic de cateriscellulis officialium. A ljs autem cellulis priuato rum fratrum vti, cg eorum o[lia fignare, difficile aliquanulum erit Uerum enimuero ipfis etiam uti co eas frgnaz ve poterimus.In "vno enim o[lio immaginare, qui d [it in[criz prus numerus talis cella.In altero, quid fit nomen fratrisindabitantis: In alio, quid aliquis [anclus fit depictus, eo ca^ m £erá The(íauri memoriz attificiofx tera fimilia in illis ponere «vales,qua ibi aliquando funt,vel f«cile effe po(funt. ^ cidunt f'epe [pius multa in boc vel il loloco,qua pro fignis tibi poterunt de[eruire, Ut patet. Sis gnum etiam memorabile erit:quia aliquardo«vidifli in iflo. «velillo ii qa in terra cecidi[Je, "vel uas vupiffe, vel eleunm effadiffe:-vel fimilia eo in loco contigiffe. mW Ne Ecclefiarum partes funt gradus ante porta introitum, "Porticus et vesisbulumyfi adfint. Porte,Va[cula lapidea «el marmorta aque Sancie, qui introeunt ibus primooccur. runt.c/frguli principales: Sacella fingula: aliaue, qu& diuer frtatemin fua figura eo diffofitione ey) magnitudine prz feferant. 1n quoliber autem (acello babes quatuor A ngulos ord inate:ee c/dlrare e medium [acelli, qu& omnia pro tot deferuient locis: Spaciaitidem inter pradicla Sacella tot los €à dabunt: 'olumues Sepulchra. in[igniora: que in pariete exislentia,foris [apereminent. Sepultura erce uel marmo rt21 terra ceteris infigniores. Sculpture: Pictura:feneflre principales: Poflica. Gradus presbyteri dlrare maius.cho vus cum angulis cos-ombone:Orcana:" Prefepealiaque inz fignia, que Di extiterimt partes funt Ecclefiarum. io "Palatiorum gj Domuum partes, oflia principalia ex onmes manfroncs cum angulis fuis, vo«omnibus vebnainfis qnibus in ipfis existentibus, verbi gratia, columnis;imagim i bu, Seulpturis, Mis, fedilibus, Menf r: difbenfatoria, (.a nino, Ofliolis, Ælutorio, Strath, eo fimilibus aljs : feneJis: Armaris, ("apfis eot. ym Wer urtease s oat ^ CPlatearam pagórumue partes f^ nnt plare: officine tuel t contigu Patsprima. .;^-07D 56 eontigue "vel (eparata, "Putei, fontes, exitué Uiatum., Satlla Ecclefiarum: co P alatiorumzez Domuum; aliorum, ædificiorum facies extrinfeca : Columna : Statue, qua ibi funt; cc. utt 3? De à; TUM - G uoad v[um,loca ba inter omnia alia fuperius dicla, eptima [unt ad omnia locanda. Hic animaduertas qua fuz pra de ciuitatibus loquendo notauimus, ne.[.in cadem loca particularia bis incidas,circumeundo manfiones,e ne slatuendo vária loca in "vna cademq, manfione vel domo,mi ?is appropries locis iam à te pof. tis vel confi itutis, Co tuis iam replendis figuris (e imaginibus ; ne confufioncm ingez Tani inenti loca iàm fibi propinqua, (y) ne imagines ibi à te reponenda [ecomprimant. ' 000 00 007 : Cap. ro. Délocis communibus minoribus, "^7. "difiniuonejnumero et víu. Y Oca communia minora. : minima, de quibus : ler 4 infra CMMSREUR cel nie pn. cel 1 le a pls realiter vel [ecundum imaginationem. Fac Der X9 autem poterunt e[Je owines officime diuerfoz rumartificum: quarum multas infra ponimus fecundum c dIpbabeti ordinem plures Íab qualibet if tus litera, t "ex ei /ymamus quas co quot fuerint nobis nece[faria." D of fmmus autem fumere 7 iginti officinas, f. ul qualibet litera "Unam quarum «ona queque loca quinque dabit, ct infra "dicengus.ex quibus centur oca pro memorandis, figurisque OWBaW reponendis "I hefauri memoris artificiofze reponendis babebimus que fat erunt noftro negocio. Plura autem bis babere nece[e mon efl neq tutum:ne locor muls titudine nimis grauetur memoria. L Oca auté bac [epe mente inuifere,et imaginatione pers currere opus ef1, cut familiaria nobis fi at,quo ad ficri po tefl, con eis faciliter vti po[[umus, ibiq, noflras collocare fis £uras,prorebui memorandis quatiaocunque «voluerimus. Sequuntur diuerforum artificum denominationes, fecundum Alphabeti ordinem; quorum officinis pro locis minoribus vti mur.Suntauteminfrafcripu. iRehitetlores, WÆe Aromatarij. SN jJ Alutarij.i.(7o Æn ÆS riarij. Aurifiz ces,acupictores, uocatur Phry giones, qui aurum e colores «vefl ibus intertexunt. Braclearij, qui bracicas faciunt, quiq; aurum,rnalleis raum, ej) ad quauistenuita tem daclile, rebus inauradis reducitBalneatoresyBalnca ramminiflratores. la Stwfa. Chirurgi Medici uulnerarij. (eroplafte : Cereas rum imaginis Artifices. (inerarij cg C iniflones dicun tur, T on[orcs, Calceolarij qui calceos con[uunt et con ficiunt, Coriarij, Crepidarij, Fabrilignarij, qui Carpe taconficiant.. 0 Duliarij. Piflcres.Plaz centarij. "Darda nartj dicup tur propole, qui omnia prz emunt., "vt charius poslea vendant. l'ars prima. vendant. E (fc darij dic cuntur f^ li effedorum ehiculorum. Fartlores,qui farcimina faciunt, ex in [echa carne et adipe " Ferramentarij: Ferraz mentorum Faclores : F urz hio eG angaba ', qui SH otiera portant : Gemmarij : Gemmarum venditorcs. orrearij, (wflodes bor reorum dicuntur. In itores,rerum delicaz tarum -venditores,Ce* nego ciatores. : Librarij, Lanarij qui la "as curat. AMen[arij, Trapezite, AMolirores,qui vulgo, Mo lendinarij; Macheropij gla: diorum fabri. N'ouacularij, qui fti0uaz culas;feuraforios cultros con ficiunt. t Odorarij, qui odores con^ Sas EI 7 fíciamt eo cvédunt, Cencos poe qui taberna vin: expo nunt, C rganici Organorum au ifices. "Pigmentarij,qui pigme tacvendunt aut conficit. *P iflores, feu in[ores dia cuntur Furnari, Pharmaz copole -Ollicacitét um ue ditores. "P lumarij, qui acu pingunt feu polynita rij. Ratiari] ; amgréitorer, qu ex ipfa rate qrajium f^ ciunt. Sal/ametarij, alfarij.a "d ditores ciborum, [ale dre rum,eo Sellularij fedentas rij,qui opus aliq uod ad fcdé um conficiunt ..$ tatuarify qui Slatuas fingunt. T helonarij,ct T lelines, dici po[Junt tributorum colle éores. : - Uulnerarij, qui (o (bis. rurgij."veteramélari,qui ue teres ueiles calceosque refiz ciunt, P Si -. Thefauri memoriz artificio (ze » autem:alicui placuerit oficinas diuerfa "fecundum eundem Alphabcti otdinem. ^vernaculo habere fermone, vt occurrant facilius, ex intrafcriptisquas et quot vo-, lüerit fü mere pone It. * Rmarulo 5 eMgguindo t4, ccauis gliah eg Arrotatore, AL- : ba: 03: jsAguchiatore. Santo, Bartiloro /Berret. tai, Barbiere)Beccaio, Bic dhieraio, orta, Bande: ran. à AC. Cappellaio., : io, Cinzia. - Dipintore, Dogana. * Fabhro, Fornaio. Forlis ! ciaio, Filaioio, F atidaco, Formyiaio, Giielliere. - Hole, Horiolaio, » M .. latore di fe - Cartolaio, P alzolaio,/ eraiuolo, ('ialda. baio, C alderaio, Colrellina Ld * PAIR negli. tore. - Lana, Lanaiuolo, Li ina ies 3 Latternaio, Lanz: ciaia. : acManiseleo ddaniéus, e Merciaio, Muratore, Mi : i niatore, Mugnaio, Aatera[faio. (o EAT à 55 SN'otaio, SNotatore.: i», -Qrafo,Oliendolo;Ottoz t4io, Ochialaio ; Qrtolaza no, xProfiniari: qi lieder, lo; Pelliccinia y Pollsiualo, Pe[cheria, -.- s E c uoiaio., Aicanatore ipei Riuendilor C. Asa Sculptorty fcarpellino, eta iuole Pavsprirt: ;8 iolo,Sarto, Spetial, Spada T'reccone; l'o rbidto; Tira io, Sellaio, Segaiuolo; Sar ^ telo, P'iraferro, T'iraloro. giaio,yeggiodlaio. ^ Ueletalo, P'afaio ; T'e[fitor dipapi;di drap . 'aiaio. Num pi d'efracarie » Tine: os Zeccolaio,Lecea.. T dex] Uoad vfum vtimur locis predictis frequen VI tius alijs f'apra pofrtis, cum pro memorandis : ^e / Jj] occurrentibus aptiftima inutniantur.proptez REN e rea, quia in cás babemus locafamiliaria, e not ifsima nobis,eo que fenfum excitent y ez fatitafiaimoG04At E872 propier diuerfitatem inflrumcentorum €o* "vas rietatem -vendililium, 4 inibi [unt,ti propter operationes, q 4b cMrtificibus exercétur in ipfis.Q ue locætiam adfis: guras inacfHisandas eov fimulachra inuenienda pro diners fis memorandis commodiffima [unt; eo quXd "varijs natura ' libus rebus alique iflarum apothecarum artificialibus ms. nes-rutrisque fimul multe plene inueniantur; quibus amnis bus,prout fuerit opus; pro notis atque figuris optime poterant ^ eferaire. (33 POS tA ji - Ordo autem in eorum v[u eft, ot prius affumas offici nam,cuius nomen incipit à prima liteva.[.c/4. [cundo offici. nam [ub [ecunda literæ fic deinzeps.o.g. ^ E^: Prius pro locis particularibus comparandis fura ; banc officinam Armaiolo,"vel aliam, proutevolueris, fub eadem ^ litera incipientem.pofl banc aliam Barbieve, «vel aliam ut" uolueris ciu[ dem littera : et fic deiuceps [umas, tot quot tb? a d ud fuerint : LJ 9. Thefauri memoriz artificiofx f«crint Æce[faria; M^q- TANT d) ue fi noninueniantur in. Ciuitate vel Terra boc or dine digefla,eo* boc fitu difpofita v f'abrefatta: pofJumus €as noflro marte di[bonere &&* ordiare: eg earum multis modis pradictam. difpofitionem, ordinem cAlphabeti, reminifci. o Primo ; [i literarum c/Alpbabeti ordinem fic mente vez tineamus,ut pofl. talem literam,verbi gratia.cA [ciamus, que [equaturyverbi gratia, B.eo* fic deinceps-quarum fi ve Gle ac celeriter remini[ camur, fubito officine quorum nomi na [ub ipfis literis incipiétoccurrét,exépli.g.recordor litere. cd. (ubito occurret officinaillius litere, que eft in tali Ciuis " tatis locoyputa platea:cvelforo, vel via. "Deinde pofl. A. [cia quid fequitur. B. tunc occurrit officina alia,litera pdiz Gs. B. qua for[an in alio loco Ciuitatis erit, qua ft forte con. tigua c[[ent melius, gg) velocius remini[ceremur carum, et fic de alijs omnibus... - Arf alique prediclarum c/Apothecarit, diuer[orum ta. men artificum [iviul e» contigue in rei veritate, in Ciui tate aliqua extiterint: "velocius carum recordaberis,ab[que boc, quid pro ipfis inuenicridis ad literas carum cogaris on fugere; quibus ad officinas mann ducaris. ! Secundo. predicto ordine c/Alpbabetico Officinarum di uer(aram. recordabimur, fi per imaginem veletiampitta ram in vna magna manfione vel duabus, wvel etiampluri bus ordinate et [uccefiue plures artifices diuer[arum artis fib qualibet litera num,- quos nouifie oportebit, ponas. mit « Pars prínra. ET $9 muss. efrtilices autem in duas proprijs cellibu z7 Labinbus: iffi aliquod, «vcl aliqu. ; fua artis inlrumenta in manis Lus ye Q uorum omnium artificum quolibet corum ui fà ab imaginatione ad ciu[dem officinam [latim animus po terit éuolare ibique [ua laca e ni T277, imagines perdus firare. - Tertioreminifcemur officinarum odisii ia ditio.f. eAl phaleei fi earum nomina ucl principia diclorum nominum, fcilicez literas,à quibus ipa nomina incipiunt in parietibus "vnius cel plurium man[iomum literis,eo: caratferibus na- gnis fcrip[erimus vel atramento,cvelrubeo colore;«vel aliox 4ui ctiam opere celatorio Jculpferimus, uel cereis literis,vel alteriss rei. caracleribus in 4ngulis manfionum, wel certe interfHirjs parietum inter angalum, ej angulum alicuias manfiopis impre[ferimus. Vel faltem fi talia nomina wel ea rum principia [cripta vel [culpta. efe inpradiclis manftom bus imaginati fuerimus. Q) wolibet autem «vifo nomine «vel litera,adl eiu(dem nominis vel litere officinam in tali ciuis tatis loco pofi itam. protinus tranfire poterimus. Q warroviam mente confingere po[umus,im qua cogita tus nostri opere viginti fabricemum officinas, [ub qualibet Alphabeti litera, "vnam quam «voluerimus ordine aped tico. €) wod faciuntmulti, quos nouimus. : - Rterum, f has officinas aliquoi in loco,et quidem optime malam memorabili fingere «velis : duo fratrum claustra: fumes,in quibus casomnes locare poteris. qN'am quodlibet" UM tredecim officinas, cvel[altem decem continere poterit: Thefauri memoriz ártifi cio fc poterit: In quolibet; fcilicet angulo duas e ininterflitio fci dicet inter angulum £g) angulum,unam (excepto intcrflitio llo, inquo porta vel quedam apertura fingenda eff, «val per quam intra in meditullium clauflri ; mente ingrédi 9 egredi poffit.) Et iterum umama fimiflrisyalteram a dextris pdi&te porta uel apertura, boc infrafcripto ordine localis. 4ngredicsido uim predicium meditullium à finifiris prope porta locabiscunamofficinam,cuerbi gratiayofficinam aros watarij: infequenti angulo ponam aliam, verbi gratia, ofs ficinam Traclearij : ineodem angulo fed corre[bondenti az teri parti claufivi aliam, puta (Coriarij: in medio aliam : frc. deinceps: v[que dum deuetias ád partem dextramporta, per quam mente ingve[Jus espradiélum meditullium ;et inz termedium clauflri,quod.(ub dio eft ... ev c^t tiotato; quód amnes bas officinas intra cdlauft H9 ;. quod coopertum efl, ponimus, (ed tamen earum aperturas «verfus meditullium di]bonimus, quod tanquam plateam, «vel forum negociantium imaginato.. sss Wh es Q uinto nomina veleorum principia, elementa fcilicet literarum;a quibus incipiunt in digitorum noflrorum articu lis effe depicla vel [cripta imagineris : evelcerte ca calamo iidem defcribas bore vnius (bacio perman[ura, quo ad vu[que videlicet corum runiu[cuiusq, in tali articulo cffe, vbi illud [cripfifhi cosaddifcas facillime vemini[ci.£ia au tem modas optimus $1, fi diclarii memini[fe velis officina.. rum, [ecundum pradiclum A lphaberiordinem. : - QNotandum.tamen, qud ft plures nouisli officinas &uf- em » Parsprima3. 077 6o dem artis,verbi gratiasplures aromataviorum officinas sn udrijs ciuitatislocis pofitas,derelihis alis cogitatum tuum, ) mentem in "vna tantum obfirmes, a ramen opibus alijs infigmior tibi fit eg morior... S0 ED c Diéxbpus ob[eruandum, quód vnam tamcn apad vel officinas habeas cox teneaneiufc dem artis, e litevs;et non plurcs. puta.fs / fub. A. litera babes officinam. aromatus rj ;nàn [umas;nec queras aliam (ub eadem litera imcipienz kem,verbi gratia officinam et lutartj. Et adiecimus, quód ordo A lphabeticusobferuetur, vt post apetheca incipient ab a, [amas aliam incipiertem.. A Begin 1ron. incipientem 4 litera. f. vel D. Hoc autem ad eos pertiner, qu/d-utvez cordentur talis: apatheta. pua Caupone. C-tantura litérafrá pfi uerunt. € ui enim po[uit integrum nom£ "vel. ipfum. r tificem vel inflramentum illius artis, alteram eriam eiu[dem litera;puta Apotheca Co oríarij poterit [umere e alias etiam quot. "voluerit. eiuíd dem littere. Item esiam post Apothecam littera, p Jumere poterit aliam, littere «videlicet. Se T. eo. quia ratio [ui ordinis nom [unt ^ lphaleti líera: fid Artifices: E in frumenta corum hic vei ibi dis : [of MATS IA pA "fi quis enim vighiti P cina disci 14. 1n "Una eadem 1 eia vel duabus nofceret e]fe [ecas, nn oporteret imo offi ^ ceret, ordinem alphabeti retinere, e fitum earum verum, coxrealem relinquere. ^ nimaduertendum efl, quod in v14'Uia, vbi [unt multa officine ein[dem artis, po[u"may dibemus,vna [umpta, alias linquere, ct ad d.uers [as Thefaurt memortz artificiofz fas fequentes apothecas tran[mearc. 4n vu eiiam eorum [cire deberrus, centum loca particu laria fufficere nobis, pro occurrentibus memorandis, T ot aw tem loca. 100. videlicet in. vo. officinis babere pojjumus et ualibet officina quatuor ^ ngulos babet (jj medium: qui anguli c? medium quinque luca dant.cviginti ergo dir boc modo. ioo-loca dabunt... IE Omnes officinas in una Ciuitate vel opido ec patueris, babeas,ne magna diflantia oblivionem inducat vel faltim tot barum habeas, quot pro uva lectione,veloratio: nc,cvel recitatione occurrentis diei deferuire poterunt. De locis communibus minimis,& diffinitio ne eorum, que &€ quot fintin numeto et ^ víueorundem. La 1I. ER d 'Ocacommunia minima funt, que in omnibus 51€ alijs locis [upradiclis contineri poffunt. Sunt. i jn li auté multa : uolumus "vero ponere plwa eoz 9 9 rum, que notiora [unt nobisalijs pretermi[r 5, € (ab c dlphabeti ordine claudere, vet quado €: il (P quibas voluerimus vti poffimus. Pars primá. 61 Hxc autem loca (unt homines, Anímalia et Arbores. Omines autem (unt aut ma[culini [exus, co [ic omnes et «iri, aut feminini,ut mulieres. 1. 9 uidam eiu[demna tionis Co rcgionis, vt Hiz fpani-eoc. 2. eli eiu[dem Pros uincie,ot T'a[cis qoe. 5. Aj ciufæm Patri£, zvt Florentia. 4c Alij eiu(dem ("omma -tonis. 5 Alij eiu(dem Patris. Multi eorumdem vel 4i Pad diuitiarum. 7. Multi fimilis 2Nobiitatis: -. 8 Alij fimilis Domi ] : vog. Alrj frwnilis pulchriz tudini. 10. fimiles Ingenij. 1. Einfdem religionis; 1:. Eiu(dem affeclionis eo factionis. TC Ewfdem dbi. tionis. I4. PACTIS profe "fion nis Co arti s mechanicz. 15. Eiufdem artis libez ralis. 16. Eiu[dem fele: 17. Eiu(dem «virtutis, 18. Ciu(dem vits. 19. iuf dem babitus. . £0. Eiu(dem Infortus nj "vel Ewufortunij. ednimaz 2 t Thefaurimemoriz artificiofz SW EE AN U 2t^ M BUZZ eNimaduertendum, quid fecundum quam.Is 3 Get condition bomiwum, potevis formare zc feEANS)E fcribere Alphabetum nominum eorum bomi IBN] mum eandem conditionem babentinn, verz bigratia bominum alphabetum, in quo fiut nomina bomiz an, qui babuerunt talem vel talem conditionem,nobilita tem, "vel diuitias g)e. Hortamur autem buius. artis cupis dosis nhoditoordinationes bominum diuer[arum éonditionum formare co pre manibus habere.£) uosautem fuz vélus, qua ve. commoda [int percepturi, qui. coordinatiomibus pradictis aliquantulum inuigilauerint, tacere uolumus. Fyrastuum eum borum effc præcones eos dumtaxat vvoluz maus, qui buius non [unt atis expertes,cvel infuturum moz nar eos;qai eiuf dem.artis exercitio nauavint operam. AIn coordinationibus autem preditlis folum bomines ili feribantar $ quorum notitiam babes ; vel quia éos "vidisti, «vel quia plura de illis audifli, aut quia multa. de ipfislegiz fli aur certe quia erum imagines pluries con[pexifli. Proz pterea cotilifimum erit. dita fcripta. gesla, vitamq, pradi &orum bominum. apud varios authores videre,maxime apud Diogenem Lærtium. Cum enim corum dicla «vel fac la cognoneris erit baud difficile de eis aliquam figuram: fimilitudinem vel fimulachrum cuiu[libet conueniens men te concipere eo excogitare. Coordination auté iflarit alique infigniores, «vtiliores, et notiores bic infra à nobis ponetur, ptermiffis alijs quaplus vimis: Leilores enim noftros ad Ioanis Rauifij textoris o cinam gm Pars prima. » 6, cinam romittimus, in qua diuer[arum conditionum Lbomis num -vberem copiam eft videre. Philofophi Alphabetico ordine. SESS Rrifloteles, »M Anaxagoz: ras, Anaxi: mander, Az naximenes, cfrchelaus Ariflippus,' Arcefilaus, cntillenes, Alemo, ez nAXAYCHÁ. Bias,Dio. Chilo, ("leobol", iub Cebes, Crates, Crantor,Car neades, (C litomacus,leanz tes, Crifrppus, Clearcus. Diodorus, "Demetrius, Diogenes (inicus, "Dionyfius, Democritus, Dioz genes. Epimenides, E [chines, Euclides, Erillus, Empe docles, Epicarmus, Eudoz ' Xus,Cpicurus. Q341 Ferecides, Fedo, Filoz laus. Glauco. H'iparchus, Hippafus, Hes racletus, Efevaclites. L acides, Leucippus. AMifo, Menedemus, Moz nimus, Menippus ; mt trocles. - Ontficritus ; Onedjres. Periander, Plato, Pols 220, "Pythagoras, Protagoz ras, Parmenides, Pittacus. Solon, Socrates, Stilpo, Simo, Simonides, Simia, Speufs ppus, Strato. Tales, T'heophraflus j Y dno. Zenophon, Lenocrates, Ze. BOCILEACUS CHO. PRN iri m Thefaurimemoriz artificiof:e c Mirrdoái& literam amantifz fs eodem ordine.. F5 xi Leibiadei , Lx NS cufonius, Eye -ehriflides : eV grat Bularchus, Burfas, Bef f Arion. (Claudianus, Cicero, Cy dias, Cyrus poeta, CATONE (vedasi) nep.. E wipides Homerus, Hf ppoerates frxss «5 soigne " muapgndne Jfocrates, Iulius Cæfar. Ouidius. "Pindaras,. Plinius Ius nior, Petravcha, P bilo. Quintilianus. 4 opbocles, Statius. 7 ucidides, T bemiftos cles: - Tertullianus. Terentius "U'ayro. VIRGILIO (vedasi) VARRONE (vedasi) LA Ueptfianus ila ot æe epe bland ocHise Alphabetico. SU e Pollo, eJefculaWC pius,c/fefclepia : A des, Arab, Anci vanus, Auicenna. 7] tius, Berofus. iron, Cornelius (els fnis, ('rifippus, Cofreas eo Damianus Sancli. - Diofcorides, "Dexips pus, Diodes. Epiclamus, Erafifiraz mus Enforbius; Galenus FH ermogene:. Lucas. $. €uangclifia. Lyeus SNcapolitanus, epud Pünium. eMenecrates. SNicas medicus.P yrri. Oribafius Sardianus y qui [cripfi 7t 7idibros mez dicine Ocularius in c 4egi pto pra antiffimus: À utboz MD so PE ET E rec 14vcrüaugíQ., 63 Pacon, P etriclius, spud Plin.libro fecundo, Pródis cus Medicus, E [culapijid fepulus, t bili ift ion, de quo Gellius lib.v7.cap. x j. Poda briusflius Ef. culapi. 7 bemifon,de quo Plin. €o Iuuenalis, T beombroz tus, de quoidem.T be[jalusy de quo idem, F. eft ius. i Poetz ordine Alphabcetico. S1 Lceus, Aratus, Architas, Arz chilocus, * bius, 5 vul Aurelius Praude tius, a Miflophanes. SB acchilides,Battus. ( berillus, Callias, ( als liznacus. "Disdóraus, Dioxippus, "Discles Democlus Euripides, upbronius, Rie. arl Qin Ennius, Vudoxius, Eumenides, Fabius Frfinus, Fausfius Galbus. Germanus Brixius. . Homerus, Hippomax. E phefrus, 1 deus Rhodius.. I. ycophron. - eMo/lcus Siracufanus, AMenader..ielitus. * 2Neflor, Nicollratus, *Nicandrus colophonius. Oppianus, 'Thefaurt memortz artificiofze Oppianus, Orpbeus cro toniata, Olympius, Ouiz dius. Phocilides, Phormius, PAilocdes, Pindarus, Proper tius, Politianus, Pontaz nus. 9 nintus Catullus. €. *Nonius.Q. Atta.Q.Corni ficius. . Horatius. Flac Cus. I NEED Sappho, Steficorus, Simo nides, Sophocles, Sillinas. . T'riphiodorus, T'imocles; Thales, T be[pis, Tibullus, "Virgilius, Voconius, Iis &lór Roma floruit, Adriano Imperante, Venantius. Xenarcus. Zenodotus. Fortiffimi fortitudine corporea. Gat bo, Ariflomenes, Atbanatus, Attilius, Amelongus. Jiitbon. Cleomedes,Caccus, (Ci neyius, Carolus magnus, Corbulo florentinus. Dioxippus. £utbymius. . Firmius, Fuluius Sal. uius, Freficus. : Gratianus Glaucus. Ærcules,. . 0. AMilo,eMonicus, Maximinus eM. Seruilius. - SNe[lor. Odenatus. Peleus, Periclimenus. A boetus. Scinis latro, Szfon, Sabi nus ;Syrus,Scillis, Sonerdis, Seleuchus.Siodus. T he[eus, itormus, Tau rea lubellius,'Yritanus, Ti deus, Telamon. Ufo. Alphabetum Y Alphabetum, Diuitum.Esopus Antiochus Crefus, Cacilius, Claudius, Calliz Tfus, Camertes, Cyrus, Cez far: (Antonius. C. Gal'igu . Ja, Cifamis, Callicrates Dorilas, Dion, Dauid, Darius. £ufobopes Gale[us Herodes, Helio gabalus, . Iob. Licinius, Lentulus, L. t Lucius, Lucrius: Aruera nus. eMidas, M. Cra[fus, AMurena, Mamurra, Minyas, Menander. "Narcilfus, SNicamor. Pallas, Ptolomeus, Pys thius, Bithiniu perfeus. s *P. Claudius, PLINIO (vedasi) Junior. Í Abampfinitus, Sycheus, T lla, Seneca, Æfoffris, Semiramis alos »on. Tariusrufus, Tantalus. Volunx. E Hiftorias T hefauri memoriz àrtificiofx Hiftoriesautem przdictorum hominum in Alphabeto,;& fuperioribus ordinibus po fitorum videre poterisapud Ioán. textorcm infua oficina;Et apud Plin Etino cabulario Ambrofij Calepini : et ed Vincentium Bcluacenfem... ] Etc periran[eat amice lector alia A Iphales ta bominum a te cognitorum, formare rhjje» qua quidem "maiori commodo erunt, quim pracedetia: propterea quia tibi familiariora erani» sz wart hortamur,*vt [cribas. Alphabetum. bomiz num diuitum, quos tu nofi i aliud [apiétium: À lind talium: militum eec. ceterarama, conditionum, vut cum [uerit opus, adl ip(a recurras, uo ad partitiongeoris in partes ^ "AS : Y 7 partes jn. fot locis inferuiét: € uod uniufcuiufa; conditionis bómo in TM pertes diuidatur,dicimus. Ejus autem partes, ba infrafcri pre ez fimiles poterunt e[fe. Manibra ev partes dextij lateris adi ibet bominis, M abimo dextri. latetis [pnt Prima pars. Caltangwn ; Secunda cauum inferius. Lm tia digiti, Q uaria tütaparsfuperior ufque ad collum imi i pedis, eo talos, et litt m eiu[dem. 1. Cris. dextrum e7 eius partes,que funt .Prima,col dao pes; à talis vel ligatura, "U[que ad [uram exclufiue. Secunda, X2 (9 e LL. Secunda, tibia, que eft os cruris. T'ertia Sura,qua ell caro eius po[lerior. 3. Coxendix «velcoxa dextra, cuius prima pars, à genu "v[a; ad femur, fecunda femur, qua [uperior pars efl cox, à quo enfis dependet, qua vv [aue ad cincluram procedit. 4. Latus, quepars à cinclura "U[que ad inferiorem par tem, [ub brachio,qua proprie c/Axilla vocatur.c4xilla ergo altera pars fit, aliusq, locus. 5. Scapularum una -velarmorum alterum.i.bumerus, eneri aptus. 6-Brachium e partes eius. Prima pars, qu& ab humero fluit víaue. ad iunfluram inbrachij medio. c/4lia pars 4 pradicla iunélura v [que ad Aliam, qua ci coniungitur manus. i; o qMan alia pars efl, Cuius portiones, Vola «vel pals ma,qua efl media pars manus, eo digiti, vel fimulomnes "vel diuifim eorum finguli. 8.Genarum altera dextra fcilicet. Tempus dextrum. 9.c duris dextra. 10.24embra [iniftri lateris tot erunt, quot in dextero numerauimus, fcilicet decem. Et primo auris fmiftra eo: cetera membra defcendendo. "v [quc ad pedem imum [inilrum incluftue inuev[o ordine, € numerando frillatim 'unumquodque;ficut afcendendo ecimus. o1 - Pofl ifla locain bomine, que particularia pominamus, quia partes [unt bominis, [amer alia in codem po[[urcs in NECS ECT acipien do ab ambolits poplitibus 1 que funt partes genibus oppojt t que cursantur:fi c dici quàd poft plicentur. i 1:54 -Poplites ergo pro aliolocoi bomine. ^ s 23-Natessqua Junt conglobataváro «uerfus os facrum 4d [effionem apiifsimaa. "Sus dst nad Sh pn^ 2.4. Lunnbi,qui à natibus, « que ad cincluram a 'fcenz dunt, co» à cincluraad nates profluumi. 2 5. (Cinctura ipfa. Aaol d A6 Remphudines velvenes, que à cinclura vv[que ad fumimitatem earum fub collo, afcédunt,que diuiduntur in olas c [binam. a7. Collum vbi nerui. ! bh, vus 8.Ocaiput; vel occipitium, quod ef? poflerior pars capi tisin qua memoria. PSUM :. 23. Vértex velcorona vel [ummitas eiufdem capitis. 30 Frons anterior capitis pars occipitio oppofita EN 31.7terque oculus 52. eNa[ us, 9 S$N'ayes. 33. Oscum partibus dentibus,palato lingua, fandibu.epc. Mentum eoxbarba.ss. Guttur, Gula.56. Peclus, quod ex coflis con[Lat cum mammillis. 37.Stomacus,qui immediate ft ub pe&lore in cauo f ub cofis innenitur. WB 3 * (Corpus cum umbilico pro vno loco. 39. Ima pars corporis. 40-Gremium.i.coxendicum partes anteriores. 4n.Genua,que [unt commifsiones ee coniunctiones fez morum ac crurum. yequantur alie (echionet, e? diuiftones M rum 3 membrorum Pars prim membrorum (cu partium, eo» portionum bominks, incipiens do à partibus,que foris apparent, et procedendo vfque ad interiora. 1. (apilli capitis, Pili aliorum membrorum. ». Pellis cutis.3 .(Caro.4 V ena.s.eo fanguis. 6. Muftuli,qui [unt mollia.7.INerui,qui dusa funt liga menta.8.lacerti o[fa,et corum medulla. 10. Arteria.1i.Pinguedo. 12. Panniculi. 5. Cerebrum. fequuntur intetina quedam. 14. Lien,velSplen.i s. Fela6. Iecur,vel bepar. 17."Uenter,'vel ceterusA8.Pulmonesi9.Cor,à quo cfr teris. Lo.Rete.21.vejtca. Sequuntur alie partes[biritualiores. axsSen[us commuhis.13.F atajta. 2 4-cogitatiua. a s. Me moria. NIS »6.Intelletlus et potentie eius.[intelle&fus pofübilis,in telleiusasens. E norum ! 27.Foluntas,qua efl appetitus rationalis 28.4 nima tota "vniuer[aliter confiderata. Inpauciores e principaliores portes diuiderc poteri bo minem pro "ut tibi pro occurrentibus memorandis neceffe fuerit-2N'on enim tot bominis dimenfiones, eo portiunculas pofiimus,ot ijf dem omnibus et fimgulis [emper debeas uti: fed ad boctantumut necefitatzs tépore, quando multorum recordari volueris, locis abundes,cubi figuras multas vepoz perepofis, 707 : s As De Thefíauri memoriz artificiofze De alis: locis mitimis.i.de Animalibus et x. arboribus, Alialoca minima funt ani malia et arbores. Cap.X] (3 gl Onimus autem fub qualibet litera multa anima lia,eo« Arbores, A Ipbabetico Ordine, vt ex mul «l ris fub qualibet. litera pofitis [(umamus «vnum keen] evel Arboreim quamcunque voluerimus notiorem. nobis, ce propofito nofiro aptiorem. iisrnn Animalium ; và bed "s Eg gonoceros.. Ug 3Bos Bubalus, Jionacon, Boza[us. 3.Camelus, Capi Ces : uns, (l'anis, ('aniculus, ('atz tue, aper, Centaurus, Ca. melopardus, Cercipitecus (tor. 4. Dromedarius, Damz mula, Dromeda, "Duran. s. Equus, Elephas Eriz uacius, Eale, Euchires, qud T auro eff h mile. 6.F. alena, F iber,qui co? caflor. dicitur. Furo, Fu runculus. .. . g.Gali, tui 8. ]5 d$be Hadas, H;- l;flrix, Eryena, Hippolaz pss, Efinnulus.. t E 9. Ibis Innulus ; kinus quod idem eft quod eripaz cius. Inachlin. 10. Leo,- Leopardus, Linx, Lupus, Lutfira; La pus, Lamia, Leuiatam. ii. Malus ificiofze i menori« art T hefaur BM ! / n j ju BA E eH 4 / 7 AAT Á z () iA e, "d (;)7 / [P ETT VuT 7 p i 1) «c ih 1 / (^ t f 1 Q7 72 D . 11. Mulus, Mula, 2M ticora, e Monoceros, ZMus quilibet, 4 quo mu[cus gene ratur. 12. Quis, Oricentaurus, Orix,Ora[ius, Onager,Ono centaurus. z1 3.Pardus, Panthera, Por:us, Pocphagus, Pæanz 67 L4. Pinoceros, R binoce phalus. Aansiuer, Rofurelz la. 15 Simia, Sus,Storco. (bi nca, Sciurus, Sphinx. 16.7 aurus,T igris, T ava drus, T Axus, T'efludo. 17/Urfus,'U acca, CU itu lusyU'eruex, I1 ulpis, rus der. ! Bol agreflis in Germania. "Nimauda utem pradaicla e [imilia bis, diuidaniur A; fnas partes, quas eo ordine quo eas hic ponimus (uel alio, vt tibi libuerit,conuenienti tamen ex memorabili mo do) (quando fuerit opus) mente inuifere c perluflrare debest ibi vel figuras à te pofitas cernas, eo» ves, quas figu ris illis commendasli,tuo cogitatu éxtrabendo recipias. AB 'ANTERÍORIBVS PARTIBVS ANIMNELIS IINGIPIENTES Uterq; pes imus, eg» crura cum genibus funt. 2 Peílus 7 Aures 12 T'ergus 3 Guttar 8 Cornua ft afint. 13.Pofleriora tergoris 4 0: 9 Caput 14. Cauda $Nafus 1o (Collum 1$. Pedes pofleriores. 6 Oculi Ii "Dorfi prima pars uli offa. Ul incipe apilis ficat fpra de bomine diximus. Quo clarius bominis portiones ceterorumque animas lium corporum mole. [pectabilium nente percipiantur, hic infra [upra depicto: bomines e) animalia [cripto e? lineis diflinélas inuenies : In[uper ibidem cernes quo ordine quas rundam grandium auium (fi "velimus ) affignari debeant partes. edrborum etiam partes per anticipationem antea quam enumerentur ipf-e arbores,po[uimus impre[Jorum eg imprimentium commodo conde[cendentes. Sequuntur figura. Sequitur Alphabetum arborum,quz pro locis et ipfx defcruient, et optime quide. NN ANANAS LEUTE zl 4 1 21d ha un 2. ; [ü*we. idis Ric DEVE me cn ÓQ n! Ó€ MÀ vlt nhu N Padi PNCAR S ETt /) Un M d í j i j E] i4 i DL) SBuxtis,Bdellium, Bac« Cus. Cedrus, Cipreffus vel Cupre[Jus, aut. C ipari[Jus, Caflanea, Cera[us, Cidoz »ia, Cedrus, Cornus. Dipítws, Dalilus. €bamus, Efculus. Fagms, Fraxinus, Fi» Cus. Genesa, Geneflula, ZLfedlera, Flarundo. Ilex, Inniper. Lenti[cus, Laurus, Liz . cios. Lotibos, Larix. eAMirtus, M alungrana 69 tii, Malus cotoniut, MeJpilus, Mirabolanua. Nux, Nux mu[cata, pinea. Olea, Oleafter, Olcoz sella. *Palma,Populus, Pirus, Pinus,Platanus, Perficus, Prunus. E uercus. Aofmarinus, Ramnus, Kubus, Robur. falix, Sicomorus, Senz tix, Sorbus, Suber vvelSuz beries fecundum fidorum Spina alba. s Tamarix, vvel'Tamarifceus, Taxus, Tilia, Tarbitb. Ulmus Vimen, itis Alphabetum Arborum aromaticarum. Loes, Amomum. Bal/amus. Calamus, afia, (inanomum.Cyperus. AFiflula. X sgLibatus. $ 6.24atir, E ' I hefauri memoria artificiofze 6. Adatir, 14 óreba. 7Nar dus. 8.Piper, Piflacius, iz C4, 4 quà pix emanat. Storax. Thus, Therebintus. Vulgari idiomate placet nobis ponere arborum multitudine fub eodem ordine, vt fa cilius et promptius nobis (qui vernacuas lo fermone fxpius de eis mentionem facerefolemus) occurrunt. A AS Peto, Alloro, I Arancio, Arz MA Licocco, Arbo D bSeuen r0, ACETO. uff, 2 dellio. Cipre[fo, Cedro, Ciriez gio ( orguolo, C érbezolo, (a agno. Dattilo. - €bano. Frafino, Fagpgio, Fic. Gelfo, Ginepro, Griugz giuolo, Ginestra, - Helera. Leccio, Limone,Lazza ruolo, Lentifco. AMor tine, «Mandorlo, Melagrano, Melangolo Miliaco Melo Meloco tognoy ZMelappio. SN'efpolo, 2Noce, SNocciuolo. Oldmo,Ontano, "Palma, Pino, Poppio, Pero,Pi[lachio. uercia. Temite : Runiflico, Ro^ore. Salcio Sicomoro, Sorbo Sufino,S enti Sent T bamerigo, d im The rebintho. «U'etrice,I liuo, vpe Vinco. HÀ RVAM HARVMAVTEMPART TES HOC ordine poni debent et recenferi. Primo Radices. 6.F olia. 2. T rancus. 7.Fruclus. 3. A amus. 8. Vertex e apex, vbiniA-Surculi e ramu[culi. dificant aues. Figuram y.Gemma. fuperius pofuimus. psoome gum e l ! ux] E vu omnium prediclorum locorum miniz NIENS SAM morum dicimus, quid omnibus pro locis vti J po[Jumus e2* eos affigere. (nam loca nimis ES i] ( (o NI mobilia funt ) ee dilbonere pluribus in locis, «verbi gratia,in officinis,in ecclefi js,in foro mari et fimilibus in locis: we loca, ad qualibet memoranda aptifii mayip[a comprobabis experientia De animalibus autem et arboribus dlicimus,quid ifla in agro : "vel borto uelnemore fimili funt ordine di[bonenda, quo c apothecas diflinximus."veruntamen [cito, qud admodum facilis memorabilisq, modus radica difbonendi erit, fi aliqua fratrum clau fira [umas eo intro fub dio ingrediens tu per aliquam porz tam "vel aperturam quam finges in medio vnius quatuor partium. clauflri a finiflris locaueris una arboré prima litte r& alphabeti fi co ordine procedere "velis) wverbi gratia, Abietem co [ub abiete vnum animal eiu[dem littere,ver bi gratia afinum. Et [upra auem eiuf dem litera, verbi gra 237.2 ti4 Thefauri memorizx artificiofz tia cq ula v Sed notato, quod animal tibiyprimo cccurrat memori deinde arbor e$ tam animali quam arbore(cum fuis dwifionibus,de quibus fupra ) vti poteris. In angulo propinquo. aliud animal verbi gratia, QSubaz lum:eo [ecus eum arborem, verbi gratia,buxum : icq, in intermedio inter angulum € angulum, donec veuertaris, apertum, ubi intrafli. Inmedio autem aliud animal, e aliam arborem ponas. Verum [cito, qu d hic aptiffime «vti poteris multis locis amplifcimis. nam [ub arbore c/Abietis in imo «venas auri et argenti conflitues,qua per a littera incipiunt.fic reliqua mi neralia, qu& infra inuenies difboft ta ordine alphabetico : Et [arfum procedendo [ub radicibus arboris pones quedam fubterranca animalia eodem alphabeti ordine, ficut infrà babes.1d f2ntias de reliquis arboribus, [ub quibus reliqua mi neralia alpbabeti ordine pones. At fub arbore qua in medio efl loca ampliftima infcrioz ra co infernalia recenfere poteris. Reliquas arbores qua ex alphabeto tibi abundant, in alijs reponas claufiris. Missi De animaduerfionibus circa prxdicta loca. Vlta circa locos animaduerficne fant digna, quorum quadam iam fuis proprus locis futt dicla,quadam hic infra ponenda [un:. In primis animaduertedum, quod entia omnia tum vcalia tum etia imaginaria (dummodo partes habeant infignes) eo magnas "vel mediocres (altem,ita ut aliquarum fi nt receptiue figurarum) pro locis babere po[juz mns, quapropter formice caput, vel os veletiam ipfa to1& pro locis inferuire non poterit nobis, alioquin ft utamur illa evel eius partibus, difcrimini magno ipfi nos ponimus,na par HA res e memoria noftra faciliter effugere poteft. 2 Etfi omnibus fere memorandis loca omnia apta fint (ot infra dicemus cum de figurispertraclabimus ) attame i/His velillis memorandis, e? mediantibus figuris reponédis in locis, quedam loca aptiora, quadam ineptiora €: minus idonea inueniuntur. 5i quis enim cvefHimentorum f(acerdotalium memini[fe «velit, acrarium vel facrifliam e2» eius partes, ej) non Coz quinam bonoris caufa [umere debet. 5i quis impre[Sionum ignitarum "vel aquearam ant etia ærearum «voluerit recor dari,melius evit vt ærem cum fuis partibus,"vhinaturaz liter isle flunt,eo generantur, quam domum ucl plateam, C? [ic de ceteris. 3 Propterea elaborandum,vt multa baleamus loca di utr[A uer[a,eo variat diuerfis, (prout occurrerit;) memorandis,diuer[a loca correfpondeant,quo ad fieri poteft. Eifdem locispro diuerfis memoradis, ee pro alijs fi guris ponendis eodem die vel (equenti non vtimur, [ed tri bus vel quatuor tran[actis diebus vel pluribus, quou[4, «ve terum fimulacrorum ibidé pofitorum penitus obliuifcamur. Loca cadem iam figuris impleta ad alia reponenda non vez fumimus,ne forte in eifdem locis diuer[e pofita note [e inui cem prepedientes y) prauenientes, menti noflra ultro [cfe obijciant,ac fimul omnes occurrant memoria, e confufioz nem ingerant non mediocrem,dum e? præteritorum, quoz rum pro nanc recordari: € illorum,que pro tunc meminiffe volumus imagines, figüra indifferenter occurrunt. 5 Siergo babeas cétum loca vel plura, e te oporteat fin gulis dicbus aliquibus corum vti pro occurrentibus quotidie memorandis,in tres evel quatuor partes numerum locorum diuidas, e locis primi numeri primo «vtaris.[ecunda «vice fecundi, tertia tertij numeri locis qc. Deinde reuertaris ad primos locos, boc dixerim, quia talis vel fimilis diflanz tia téporb: quatuor.[. dierum antequa eifdem locis iterum «vti cogaris,ad obliui[cendum priorum imaginum fufficere poterit, eg ad alias figuras ponendas idonea reddere loca valet. 6 Contigit autem,quüd figurarum aliquarum, qua conuenientis[imo artificio boc «vel illo leco pofita crant pro memorandis difficile obliuifcamur, vt eorum loca longo tem pore ami[Ja, «o» pro alijs reponendis inepta cen[eamus, c.t ou non Pars prima. 75 aon ita ef], quoniam frequens eXercit atio, fortis imaginatio «ox à memoria facía, freqaies repetitio,nouarum fgurarum nuper fabrefactavum, ey) talibus in locis pofitarum-veteres figuras ita diflurbat, eo delet.-vt vbi erant ille maneant ifle. 4t de delendis fsguris infra traéiabimus. DEMICA, qua pro his, quorum [emper memorari "vola mus,eg* babere pre manibus con[lituimus,ad alia reponen da, non erunt idonea, ea qua fuperius dicam, eo vatione. 8.9 uidam pro locis particularibus ubi immediate (rut in pluribus) figura ponuntur angulos babent mafionum: qui da «vero intermedia inter angulos ipfos, quod vltimum won [aiis approbo, p'opierea quia iam didicimus in una ma Jtone (maxime fi parua fit) imagines pofte in intermedijs € interftitijs predictis nimás illam replere, et propterea ali quando confujionem non paruam generare: Q we autem in angulis [unt pofita figure duplicem nobis pra[lant "utilitas tem. primo quoniam nón ita vt prime manfionem repleue vveloccupant, aut offufcant, immo eam expedita reddunt, et latam effe demonfirant-[ecundo quia fixius angulis pre diclis inberere figura nobis "viditur, quam in intcrmedijs. &) uod tenacem ac firma veddit memoriam. Verum [fi ma gna fit in longitudine ce latitudine manfio, non [olumangulis, [ed e interflitijs ipfis prolocis uti poterimus. 9 Platcayvie, Itinera,et reliqua buiu[modiminus apta loca dicimus ecclefi js: domibus fimilibusue locis, propterea quia nimio[dbendore refalgent,eo: immoderata [unt magni tudine,quod "Vtrum imaginationi nocet. eNeé Thefauri memoriz artificiofz *Nec propterea dicimus ita inepta effe loca, ut illis alis uando utinon debeamus, quod contra Ciceronem e alio: e[fet:fed vt raro cvtamur ifia docemur amimaduerfrone. De conditionibus locorum. V Itas effe locorum conditiones ip(a experiétia do JB V cuit, fine quibus multos buius artis cupidos errafi2 M fe circa locæligenda, quam plures buius artis ex pertes nouerunt, cox confefi funt. De conditionibus ergo locorum, quas noflro experimento didicimus pertratlantes, di cimus rk criptas, e hifce fimiles effe videlicet primo: In uariabilitatem:[ecundo Immutabilitaté; fiue firmitatéiterz t10 ANumerum:quarto proportionem:quinto continuitatem: fexto diuerfitatem: [eptimo Q uantitatem continuam mo deratam:otlauo Claritatem mediocrem:nouo Succeffioné, Ordinem, diflantiam notabilem, folitudinem, Poffeffionem, de quibus figillatim. 1 Circa primam conditionem, qua efl inuariabilitas [ci to,quia multum memorie officit, fs locum nunc fub vna frs gura e[Je videas, verbi gratia, triangulari : munc [ub alia, «verbi gratia, quadrangulari: «vel quomodolibet notabiliter evaratum. ficutie[[et,ft nunc inillo angálo tali uel talis pla re&;,officinam fabri carpentarij, paulopo[l "vnguentarij ape thecam e[Jé videres: quam ft [emel "vel bis videas ita imz mutatam e[[e, dubio procul prioris tátum recordaberis,vls la ab(que difficultate : nec tibi talis variatio confufionem ingerere Pars prima. 73 ingerere poterit. unde fic ca poteris vti, quafi immutata non fit. e/At fi epe [epis eam te «videre oporteat, "vnum € duobus f«cito, vel multiplici repetitione mente priorem res cen[eas (ut eius non obliuifcaris) [ed fixe priorem retinea:: «vel certe, (quod potius [uadeo tibi ) prioris forme loci illius obliuifcens, mentem fige in posleriori forma pradiéli iam vvariati loci. Et fi talis loci puta officine cav pentarij partes dam figuris imple[li, perpetuo man[uris, propter quada que femper pra manibus te oportet babere:commuta figuras, et memoranda nowis fieuris comménda, qua in poslerioris offe cine partibus [unt, vvel e[fe poffunt. SN am im diuerfis officin tis diner[ a [unt ajJumende fygure pro memoradis que locis copueniant,ut infra dicemus. € uod fr loco illo non perpetuo memorandis, [ed prooccurrentibus tantum quotidie uteris, nullatenus priorem loci modum vel figuram re[erues, [ed ta li modo predicli loci dimiffo,locum iam "variatum oculis, ac mente inuifere, eo«in illo mentem figere: «7 firmare memo riam debes. ! 2 Circa immutabilitaté, que [ecunda conditio ef, anis maduertito loca immobilia, uel faltem firma e[[c debere jte im ipfis recen[endis mensnoflra. poft illa-vagetur : Et dez mum rvagando ab eius memoria excidant cum figuris et memoeradis. Idcirco, fi qua loca habeas, que molilia [int ffe cuti ef] bomo, Leo, Arbor eo. ( cum cis pro locis non pro figuris vteris) im immobilibus locis uerbi gratia, angulis pla tarum vel domuum caterisá fimilibus locis ea ponendo e figendo.fir mitatem dones. SNauim etiam f [ro loco acciz jd pi^fi^". veleamfirma [upradiélo modo fngevco eam intali "angulo effe, vel ponendo ibidem eius depiciam imaginem, «vel certe in portu tali,ubi aliquando haue vidifi aliga «tam ejJe arbitrcris, evel denique anchora fundatam et obfiv matam ibidem in portu,aut alibiin mari immobilem exifle rc imagineris fi enm loca flua nt figure in eis locate à mez moria labi nece[Je eft. : 34 Numerum vero locorum babeas talem,ne laboret ni mium mens in ei[dem retinendis e recen[endis,numero[a nimium locorum multitudine pregrauata, co maxime fie tem non dum fueris expertus:quapropter Cicero dixit cenz twm loca fufficere po[Je.quem numerum prestare cuna etia mediocris ecclefia cum aliquibus manfionibus circum ea exi flentibus verbi gratia [acri[!ia, Capitulo, ( laufiro,nos ipz Jf experti [umus.Centum autem loca [ufficere poffe pro ocz currentibus memorandis tantum, etiam experimento fatemur. ct [i quis non [olum occurrentium rerum memoriam babere uelit uerbi gratia concionum,[ermonum, le£tionum, collationum, qu& omnia quot idie occurrunt fed multa preter occurrentia illa cupit memoria mandare: 9N ece[fe erit il li ce alia babere multa. ficut qui multa fcribere "voluerit, plucima-vellongiori indiget cartba. Petrus. R auennas, in bac arte exercitatiffmus, dece fee millia babuit loca;aliaz que prater illa fe fabricare dicebat.quod mea ententia pro. fit iTi, quia memoria infigni vigebat.quod co fi memoria &lariscon(alendum e[fe, eo nos ipft dicimus: attameé his qui Ao Lantum mediocri, verum etia infirma funt donatimez "oria, i: Pars primo 55x 74. moria, ne dum dicam prodeffet "verum officeret nimium Jf «uitra mille locos baberent. 4 De quarta conditione dicius, proportionem: locorum cum memorandis(cum fieri commode poterit) feruada e[fe ; vt ip/æligantur loca,que memorandis pro bac vel illa ma teria fernanda conuenientia ['nt: "vt eiusrecordemur facis lias,cu»m proprijs "utimur locis.æ qua conditione «vide in fc cunda animaduer[ione. Continua aut contigua aut faltem vicina et proxima fibi inuicem debent e[Je loca illa, tum communia,tum parti eularía, quibus «uteris pro conferuanda «vna atque eadcm concione [eu lermone aut collatione eg»c.me erret mens recen fendo memor da,qua fub figuris in locis remotifimis et et prioribus valde diflantibus po[uifli. Itaque impleta vna apotheca uel domo aut ecclefia aut alio quolibet fimili locos figuris eo femulacris verum, quarum recordari "veli: ad alium locum vicinum eo proximum qj) collateralem, ft fie ri pote/!, procedas,co* mon ad remota loca,ni for/an concios nem,vellectimem in partes diuidas, eo primam partem in taliloco repmas:eo« aliam in alio à priore,remotifimo lo: co. Poterit enim mens aliqua facla paufa ad-remotiftima etiam loca: tranfmeare. €-uod fi inteydum aliqua ex cau[^ti remotifmis locis cóncedismus, (puta quia cosiuenicttiora [unt talibus memorandis,loca veémota proximis eo ui cinis "vel quiaimplefli vicina loca, eex adbuc funt ej) alia memoranda : -oel quia remota melius no[li quati; vicima, qua [equantur) attamen quod raro. facias intadem ates hi9 £52 ria lo vialocanda, «9 commini[iendà dicimus &o« hortamur. - 6 Loca communia, diuev[a e diffimilia fintalioquin dun fueris in primo loco,cverbi gratia,tali manftone vel ec clefia eec.ad aliam illi fimilem facile mens tua tran[uolazre poterit,quod omnes experiuntur.'Unde apud omnes con fnltifimum e[l neminem cellulis fratrum aut fimilibus loxcis vti debere, propter nimiam inter [c ip[as fimilitadin. Cellularum oflia, aliqui fignis notant quibu[dam vt [upra diximus, At tutum e[Je illo modo «vti dei exiflimamu. Ni ergo defint tibi loca, ea dimi[fa facias. as 7 Ecdefie co domuum manfiones, ez) quelibet alia los ca.comimunia, oportet; quid in. quantitate continua medios. critatem babeant : nam ficut in amplis locis res ibi exiflenz^ t£ 5 ab oculis nostris aufugiunt,ft milimodo à mentis oculo iw ipfis elabuntur imaginate figura c Ampla emim loca vagasreddunt imagines, ca occultant Necnimis arcla delent efa fe loca, tiam imaginum collocationem angu[la loca c idene tar capere non po[[e.loci ergo mediocres [int. x ..8 Claritatem, (cd mediocrem, babeant loca omnia, ne aut occultentur tcnebris imagines ponenda, aut blendore prafulgeant nimis.-Ut enim corporis oculus, ita c9» mentis, nimio luminis [plendore offufcavi videtur bancob cau[an, Jilicet [blendorem nimium: P lateayvig. Itinera,eo eiufz. mo lireliqua loca minus idonea [unt ecclefris, domibus ; e». of cinis eic que lumé moderatum [ufcipiunt et Petinent:: "Unde gg clara monflrant pofita fimulacra claritate mon opprimene intellectus nofiri vi[um, [ed excitante mentis : nofir& uni c E nofira [énfum v aciem. 9 Sicut in.locis communibus comtintitas;et propinquitas obfernanda efl, ita in particularibus locis. [uccefcio locorum: tenenda eft. ! "nga Loca communia funt Ecclefia Domus Cc.particularia autempartespradiclorum eg«[nmilium locorum; vut czilta ria, dnguli, Columna erc. tlle ergolocus.qui tibi introtum ti,uerbi grat !4, ecclefiam, primo occurrerit pro primo baben. das efl. ille autevo,qui primo fuccedit,eo poft ium fequi tur, quia, collateralis efl ili y pro [ecundo locoiqui tertio ter tius, €g frc de alijs.Sic autem procedens circum eas totà eca cteftam, cx omniaparticularia loca sotabis,et qualibet fa cella, et raria, Portas,callaterales;presbiteria ez/c.donec cin cumeundo reuertaris ad prioré locum, à quo recefcifri-) uod f Ecclefia tot quot*volueris loca non dederit, dum eam cir. cais, particularia loca notando, f facilem ingre[fum báa beasyintra facrarium,Camiterium, Clauf rum, €7 ceteras collaterales e&& propinquas, ac contiguas man[iones, co» nes tatis particularibus locis corum ordinate e [uccef'iue reuer tere in Ecclefiam,et figna reliquæ parteseiu[dem ecclefia, quou/que circumeundorewertaris prope primum locum; «vt diximus. uod de ecclefia diximus, de alis etiam fimilis bus locis intelligas. ! : "s 10. Cum intras loca communia «t in éifdem notes parti cularia, bic ordo tibi [eruandus ; t.f.à latere frniflro mme rare incipias particularia loca, víque dum tircumeundo de acnias ad "ulumpun [igiflri lazeris, cumdbunc ordinem com wHI muniter I hefauri memoria attificiofe muniter [cribentes obferuent, quosvoslibentevin bze arte, fequimur,cum locare figuras fere differat nibiiab avte fcis bendiyvt ait Cic.confuetudo emim talimodo c2» ordine [cri bendi,eo in collocandis figuris promptos e faciles nos veda det: à finiflro incipere lateremaxime cum aliqua in parieti bus [cribere ip(a nos cogat nece[sitas, ut dicemus.5N'e ergo in. uer[o ordine cogitatu noflro fcribere, ey) fcripta repetere coz gamur;à fimiflro incipiamus..5i quis autem bebreos [criptoz res [equens,à dextro incipiat, in finiflrum procedédo, quod omniex parte erret non dicimus, motus cnim et dextro inci pit;ait c/Avifloteles.Q wolibet modo procedas, "vel à finiflvo incipiens,vel à dextro, illum [equere [emper, ne dimittas pifi maxima -vrgente cau[a,netalimutatione oriatur con ffo eo furrepat obliuio. s n "Diflantia locorum particularium ab inuiccm paulo plus aut minus pedi trigenum fit. nà. ut afpacius,ita cogita tio minus "valet : Siab uno loco ad aliii nimisremotum per tranfire debeat: quod fi vvehementer prope admoueris, id quod videri, velcuius recordari "volucris, «9 locum loco quafi coniunxeris: propinquitate conturbaberis .pyediéiem autem difl antiam à Cicerone traditam ob[eruandam: dici mus,quandoloca [unt ampla.Diflantia enim quindecim,et «etiam vundecim pedum at erit,cum apotbecii uel aliquibus mediocribus manftonibus evtimur,cvt [ape probawin us. Similiter probamus frequenter, quod fi cna e? eadem mafione plura fint loca particularia. ab inuicem differétia, vt femdfire edblutorium manuum, ( aminus,osiium Tas à tua Parsprima, .- 76 tua zo talibus rebus infr gnita loca, quzuir propinqua conz fionem non ingerunt, fcd memoriam [ua excitant varies "tate. si autem in man[ionibus aliquibus mon e[fet aliquid in figno, fed parietes tantum, profecto anguli folum,*veletia intermedia,fi oportuerit, € ft loca amp!a fuerint pro locis inferuient. €) uod fi in eif dem alia particularia componere loca vvellemus,ce laboriofum opus c periculofum a[Jumez remus. Cum loca communia intras,non tantum loca particu Maria in eif dem con[ideres notes, tov ob[erues [ed eo: qua in - illis [unt ob(ernato.contingit enim («pe [pius loca. fi expoli 14 non [unt, [ed rebus aliquibus referta, non [olum locandi figuras facultatem praberc, (ed figuras multas vealiter no bis offerre ut armaria, fedilia,[canna,[lrata ceteraq, [imi lia,quibus pn figuris quorumlibet memorandorum uti omni diligentia c9 arte nitimur: relictis imaginaris figuris,quas p memorandis querere, inuenire, e per imaginationem in pradiclis locis nos ponere, eg) frngere oporteret, non nift cum magno labore Duo auté commoda,nobis proueniunt, ft furis in locisinuentis "Utamur.primo enim non tenemus no uas qu&rere, e locare:feciido quia facilius recordamur fiz gurarum realiter pofitarum,quàm fi Clitiarum.N erum non negamus, quód memoradis rebus multoties confingé da ima gines magis conueniat quam ibidem inuenta figura: [ed fa temur etiam indu[lrium bominem,eo in bac arte aliquan tisper expertum. feré figuras omnes [uis memorandis adaz piare po[Je. quod fi aliquando non valeat quis, ad libirum conj.ngat Thefauri memoriz artificiofz consingat De bis autem diffuftus infra dicemus. 15 Solitaria debent effe loca.Solitudo cnim locorum cogi tatwn noflrum aggregat e» ecollizit. at loca bominum fe quentia occupata confufionem faciunt memoranti, cox men tem diflurbant. 1d circo commmnes platea, ej) fora pro los eis tibi raro deferuiant. Verum experti [ant aliqui,vt Petrus Rauennas.[ufficere aliquando talia loca-vidi[fe vacua, quod e7:nos tez flamur. Loca quibus vticvolumus,antequa ipfiscotamur,oporz tet [epe [.epius oculis inui[ere,eox cogitatione percurrere rut féciliora nobis reddatur,ne cum figuras ponere uoluerimus, - tunc primo ea familiariter pofsidere fludeamus. Prudens fcriptor chartas [emper praparatas babet eo tenet. E xplicit prima pars tra&latus de Memoria artificiali. PE d TRACTATVS DE MEMORIA ARTUEICIOSA PRÆPHATIVNCVLA ON folum locis, verum etiam fiz guris(cut diximus) artificiofa COfi-Sat memoria. £) uapropter cum in faperioribus delocis.[atis fuperq, di Glum fucrit, de figuris ordine infra pofito dicluri [umus. P1imo enim f guras,non omnes Jed notiores nobis, e» psum qua noflra memoria pr ode[fe p ofcint,porez re cvolumus, ee» exinde illarum applicationé ad diuer[a me moranda gene ralibus quibu[dam regulis trademus. U af ecundo, Thefauri memoriz art 'ficioíz Secundo, de applicatione figurarum: in communi, ad res xenoraudas,eo e conuer[o. fA T'ertio,de animaducrfionibus circa figuras, eo conditios nibus earandem. y ^ EM ) vh. Q uarto, de v[u quorumdam locorum eo figurarum, in particulari, [ub.cxemplis, quibus intelleHlis quilibet locis vti e? figuris ad quecunque memoranda, idoneas inuenire po[fit De quibus omnibus ordinaté tratlabimus;ut in primo bu ius fecunda partis capitulo patere poteft. Secundi tra&atus de diffinitione figurarum.. "oco tali "ponam. ^ In diffinitione nota ly Immediate: quod ponite ad dif ferentiam Pats fecunda.. VEN A ferentiam locorum qui non nifi mediantibus figuris memos randaretinent ej conferuant.atque ex inde, nobis feruata pra[entant, quaudo fcilicet pradiclarum figurarum recore dati fuerimus ) uo ad [ecundum,id efl fisurarum multiplices denonci pationes, evt fequentium intelligentiam habere pofsimus, «oportet nofcere, quod ba [upradicla figura, buic noflra arti in[eruientes multiplici appellatione, ab buius artis peritis, denominantur. Dicuntur enim etiam imagincs:Simulacra, -€9* Idola:.$ igha quodi, fimilitudines, ac J[pecies, Not ctia evacitantur,eg« memorandorum vvmbr a. j £ uo ad diifionem figurarum, (ciendum, quod illarum - quadam (unt naturales, quadam artificiales, €» quadam . BRAgIBATIA. o ss VOTE CRISIS MEOLGE 1 Naturalium quedam maxima,quadam minores. AMaximarum quedam inferiores, vt Infernus, Purga - torium 9 vuterq, Limbis. 9 uedam fuperiores,vt elementa omnia. - £uedam Celeflescvt Celi,eo eAdslra. Q9) uedam [uper Celefles, «vt ea qua [upra Empyreum ' clum e[fe iam [upradiximus, quorum omnium partcs inz ter figuras computari poterunt. De quibus vide in prima parte, cum de locis tra£tauimui ^N mireris, quod qua pro locis fupra pofuimusypro figu vriánunc Apta e[fe dicamus. Locænim pradicía pro figuris, (fecundum diuerv[os ve/Pecius) [eruire poterunt. ( quamuis minu fint apta [équétibus, cum fi pro figuris ca babere tec Q limus limus,vix locus aliquis ilnueniatur, qui tales figuras capere, pofiit) Dicimus enim nos, extra Celum embyreum, omnia locata e[fe, co eapropter pro figuris etiam pradiéla baberi po[eimmoe illud po[Je pro figura vvelfiguris deferuire,st infra dicemus. reos i03 bi mass n oy 3 ^ SNaturalium autem figurarum minorum. * 9 uedam inferiores cut infernaler.-vt Diaboli. Dame nati,eorumq, varia tormenta egc. MS Q uedam [unt [uperiores praditlis, fub terram tamen, . quarum alique funt inanimate;ut eMetalla, et Mineraa lia:alique animata,ut animantia [ub terra commorantia, "eer [erpenteseo. tV UY X 5: hs on T voc Quedam materieterra brüiniores eo fimiliores, evt qua fapra terram [unt,cvelqua inprima terre [uperficie commorantur,'ót Lapides pretiofr." hy] "u^ Quedam etiam [unt terre adberétes, gp) ipfa impenez trantes, eg: tamen ab ea exeuntes, eo procedentes, eo fw praipíam furgentes, vt Arbores fru£lices ev berba .. 9 uedam terreftres, e fuper terram ambulantes, vt ' animalia,quorum aliqua funt magna aliqua parua. £ uedam quee vel aquatiles,cut qua in mari inucni ri po[Junt vt *Pifces,conchilia ev. i Quadam autem æree, quarum alique animata (ibidem pertran[euntes,non tanquam in proprio loce flantes)ut aues omnes cz "volucres parue vel magna. clique inanimata ibi generate tanquam in proprio loco,ee ibidem aliquantulun perimanentes,vt imprefsiones varia, qua ibidem funt ignea, Pars (ecunda., 79 ignt&,vtl aduea ec. 225 01 Quedam C eleftes,"ut Stella. Q uada [upercele[les, vt an&li et corum ordines ec. -; x1eZfrtificiales autem figure funt, qua humano inuenz tu con[urgunt eg» fiunt, eo proizunc funt! "varia «dificia "varia apotheca. Insflrumenta artificum diuer(a. 9 uaz zum omnium verum, que pro figuris babere po[Junt, le gentibus copiam dare in animo cfl, nc negligentia inquirendie difficultate inueniendi prapediti multi,ab buius ope E ftudio auertantur eiusQ, optata careant vvtilitate. Pra oculisenim omnia quodamodo ponere volumus,ut cuilibet huius artis cupido diuer[& et multiplices imagines, occurrere pofsint,quas pro memorádis rebus, ponere valeat, . prout fibi placuerit. «0 wofatlo, ip[arum applicationem ad memoráda, me fiori, quo poterit modofieri fub aliquibus regulis co inslituz tis,tradere volumus. Nuncautem frgillatim de [upradiclis figuris dicendam eB, em omijfis hguris maximis, naturalibus, de quibus in, primo traclatu differuimus, [ub nomine locorum de minoribus loqui in [zquentibus capitulis intendimus. Thefauri memoriz artificiofx De ffigutis naturalibus minoribus. Et primo de his,qua inferiores vel naturales dicuntur. Secundo de figuris terreis. Tertio de fubterraneis i inanimatis.C uarto fubterra " pmeisanimatis "^ (Qap" TE lgure infernales funt diuer[a "Dæmonum [pe S Ln imaginesd, ; eorundem "varie t [ub diuerfis animalium gj befliarum figuris danatis ap' E e parentibus. V ide in [uperiori parte tratlatus in Pe " locis inferioribus, diuer[as eorum imagines, e deformiores et turpiores illis, tu confingere poteris,prout pro memorandis occurrentibus, tibi vifum fuerit oportunum. (Ex fcriptura autem [acra figuras conuenientiores dea . mon imaginaberis. P't quid aliqui demones fint [miles lu pis. Secundum iZud, quod de damonibus, ait Abac primo: "velociores lupis vve[pertinis. c Aliqui Leonibus, Secundum illud: "Togun Leo "uqiens rime Petri quinto. A liqui À quilis. Secundum illud :-velociores fuerunt prr fecutores nostri, dquilis Celi*Tbrenorum quarto: cliqui fimiles [erpentibus. tertio G'enc.ed ferpés erat callidior cunclis animantibus. Ali; jin forma Draconum, c9: ^ [pidum, co Bafilifcoz run E^ 9o.Super Afbidem eo Bafilifcum.zo c. - 4nfguris etiam Coruorum apparent. G enc. 8. Capitulo, post Parsfecunda.. 8o pol diluui decrementum [cribitur: Aperiens Noe feneftra, dimifit coruum. c/dAdde ctiam,quo et ipfi "Damones fint iu forma Stra kbionyn, fecundum il'nd Deuteronomi quartodecimo Capitub. "Na firuthioi inter aues immundas computatur : Et in ibo alijs borrend's formis eos conf ngas. "Damnati etiam varijs penis(prout ia predicto loco pri mi tracfatus pofuimus) pro figuris deferuir e eco femi liaá, his fingere poterimme. - "Supplicia etiam diuer[a, rot ignis calidifimus VANS Tnt xtinguibilis, fons borribilis,odor peflilens, ob[curitas borrida, gelidiféima aqua fletus, flridor détium, Voces flebi Jés, Chaos magnum, V ociferationes altiffime,Coniortio ocn lorum, Faciei deprefsio, totius corporis cruciatus. 2M altituz do etiam damnatorum, eo corum confu[a congeries. T wmultus,&) «varia tormenta pro figuris baberi poffunt. In Purgatorio bomines «vultu maflifsimo, fed patienLiffimo animo cruciati tormentis varijs, et igne,promeritis, £A ngeli eos confortantes, pro ima cinibus defcruiett. In Lymbo infantes svarij, diucrfis vninbéi; c? coloriz bus,prout bicvidemus. SUE DE TERREIÍS IM AGINIBVS. T'errez veroimagines, fum: [axorum et petrarum cvaria genera, lapides etiam pretiofi quorum nminum aliquos i» 1gniores ordine Alphabetica ponimus: T t reliquos in lapi . dario-viderepoteris, Et in [Fecalo naturali Vincentij A Iphabcrum 'Thefauri memoriz artificiofz Ed aod lapidum fimul et Gemmarunr. Www] Ænacius laMEN pis fiu libus b. s i E xS contritus eft maris. Alabafrites. Achaz tes, Adamas, Ametiflus. Al lecorius. 2, Berillus, Borax lapis, qui &j) Nofe, Carbunculus, Chryfolitus, Corallus, Cryftallus, Celidonia, Coz tis qui lapis [eciidum fido. [ic diclus, eo quid ferrum ad incidendum acuat : cotis enim grace inciftoest: Cari fieus lapis, qui viridis eft, "unaque esi marmoris [pes cies. 3 D«emenius, "Draconti des, Daicodos, Daymantiz ««o5, Dionyfia, Drofelitus. 4 Ebanus, qui lapis al Rs efl, Emathites lapis ruboris fanguinei, Etbites pez tra aquilina eft, Elo pro lapide ft placet, £matbites, Enidros, Efcflis. $ Falcanus, Filaterus, F longites, F luuiatilis,Edift tjs aptus lapis e 6 Galiclites lp alius est, qui attritus [fuccum red dit,faporem lactis babente, Galacies lapis ad fimilitudi nem grandinis, et frigidifis "mus. 7 Hiena lapis, qui in Lie na beflie oculi inuenitur, HhYyeratites. 8 Ja[pis, lacintus,I acinz tizonta. 9 Kacabre, JOE NM Kamam. ro Lapis Lazuli, Liz [chinis, Lapis efl refulgens, "Ut lucerna ardens. 11 eAMarmor, 7Molaris Lapis, ex quo fiunt mola. eMargarita ^ -Parsfecunda;i Margarita lapis,qui ex ma vinis colligitur conchis, AMelotbites. 12 "Nitrum,. lapis est fabalbidus eo perfpicuus. eNofe, qui «9 Borax [upra [ub itera B. 13 Onix,Opalus, Optallius,Orithes,Oflratites. 14 Pumex, Pipirinus, Porfidus, Pantberus. ig 44 Jrmilitudinem P anthez ra, Paragont, quo "verum probatur aurum afalfo.. . 1) Q wirinu lapis, ua nidros..Ramnivel vali, id quod bolus armenicus, Raz daym, qui donatides etia di citur, inuenitur in. capite-. Galli ez. . Y Serpentinum,mvelOz phitis. Serpentium enim,ma., gulis con[ber(us efl, unde et á "vülgo etiam ferpentinum dicitur, ilex, Spongia,Spez 81 cularis lapis, faphyrus, Sara dius, Sardonicus, Smaraga dus, Succinum, vel fnccis nus,"uulgariter dicitur Am bra. 18 T ilurtinus lzpis, To phus, T'opation, T urchois, T beogolitus. ty "Uarabc. feu fanguis draconis. [ecundum. Arift, lapis efl, Venix valet cona tra mieiancholiam, egeta naitalica gemma e[, "nio, efl quidam lapis. 10 7 ris, Iridi fimilis. 21 Zimeniellazuri-vales contra melacholiam, €t con tra quartanam ej) Sincoz pim. idem esl cum lapis laa guli. too im 21 Zignites lapis ell «vi treicoloris, ee fanguinem fringit eg) mentis alienatio. ncm depellit : flamam ignis extinguit. : X: Ub-vna eadéa littera plures lapides vel faxa mo etiam aliquando po wimtus, «vt eifdem indigeat AA nemo.es ad boc,vt quifque quem «voluerit, € quem [uo propofito viderit, accommodatum [fe e deferz uire, eligat, eo tollat, ceteris pro illa vice dimiféis. Eorum autem ez fequentium quorum c/4lpbabetum ponimus,cver bi gratia, animantium crborum tum f. guras,tumnatuz vas, tum commoda ex ipfis [i nouerimus optimo,e7 eficaz ciféimo adiumento nobis in bac arte eas e[fe probabimus. 1dcirco "vtile admodum erit in naturalium eo Phificorum libris eorundem naturas perquirere, vt pro figuris ocurren tium niemorandorum audacler ea ponere, €2* locare po[fim. Inter figuras terreflres e terreas placet nolis feces et excrementa rerum diuer[arum ponere : tamquam cateris compofitis. infra ponendis minus [uperiorum elementorum «virtutem retinentia:immo illis omnibus terre materiei proz "seimiora:"vel certe tanquam indigna obtutibus noslris praz fentari: vel [altem minus bumano*v (ui apta:(ed penc diz gna dumtaxat terraip[a recondi. [unt autem bac c7 fimiz lia bis. ! c4 cAmurca,que fæx est olei: Analecla,qua ciborum funt purgamenta: Apluda, que purgamentum ea. Milli: Panicieo fi[ame:cA[[ule,quas "vitruuius vocat fragmen ta, qua ex operibus deijciunt Marmorarij. 93 "Bolytus-cvel'BolytonBubulum flercus eft. F Fufur farina cfl purgamentum, Floces purgamenz £4'vuarum Pars fecunda... $2 ta vuarum eos vini: Flaces purgamenta [unt oliuarum. G Gra[um fignificat lanarum [ardes in ouibus. E Helcifma;[coria efl ex argento. I Ipeleuthrum, fuis flercus. M. Magmata,vnguenti fæces dicuntur. eMuccus, narium fordesefl. Mu[cerda. Murium flercus eft. M etys, purgamentum esf cæra. O Onida gg Onthon, eAfiniretrimenta (Celius dicit. Oiptoten ouium fLercus eft. P. Prefegmina c? Re[cgmina, que ex "onguibus pras fecantur. i; SScoria, Spurcitia omnis meialii. Sparyle,flercus bos minis.Spyrada e& Spyrathia caprarum. Sciri, Sordes e fpurcitie cafei. Schidia fragmenta lignorum, que veijciuns tur ab abictarijs. T Tartarum :Fæx vini eft. j -DE SVBTERRANEIS NON tamen penitus terreis figuris. MIS FERE. U bterrance autern figure inanimate que minus - "rediclis terree matericiproximiora [unt ac ces ANSA gri terorum elementorum naturam excellentius par "uot metalla uniuer[a: vt aurum ec. eo que cx r ^ 1 f. mE Q ticipant,iu ipfis arte fiunt, ut auricalcum: Et mineralia cuncla, vt Sulphur. de quibus omnibus vide aliqua, qua ivfra po puntur. c eMctalla principalia funt. Aggentum folidum, &sgenz Pl tum Thefíauri memoriz art' ficiofx tun viuum. As, Aurum, Ferrum, S tannum, P luyibusn: Q uaaatem ex ipfis arte fiunt, funt [equétia, ien: Æs,quod "vulgo dicitur Bronzo. Extra [eptem metalla -( que inter mineralia primum obtinent locum) bac ue infra ordine alphabetico di s anus,ab. Alberto .ZMagso eo» Mi numerantur aut bai Ads Alphabetum Miselatíum ; ex, Alberto Magno. nare pani Alidena WC feri fpecies i inoz N riepte, Aurum ui Aum, quod e ex argento nimis incenfo fit, Auricalcum, Ar fenicum, quod co Auri piga mentum dicitur, eo colligi : tur ex auraria materia, in "Ponto, Atramétu quod Plinio tefle fit vel arte hama. a, vel terra fulpburea, An qimonium, quod fecundisa plumbi mortui e[t, Arena, Æs quod Bronzp. Bitumen, quod c faxo profluit. eun 3 oem; quod valgo ' Rn e Peltro dicitur Chal, Cre t4;C eru(a,quod flos plumbi eft, Chalcites, Calcantum, Cernfa. 4 Difriges, quod. ect - eotloeremanet: ^^ v -s Electrum feu [nccint/, Fu Bituminis genus cfi € faxo profluens: non arboris n lacryma, vt peo "Ucteres. 6 H. alitis, qe lapis e, de quo ipfum «s coquitur,, Hidrargirum. 7 Lytargirium, quod ji ex argento eg) ploibo quod - nos argenti JL Hocamue. $.A4etala Pars fecunda. $ Atetallii, quod mixtu væfl,ex qud conflántur ca ca pana: Minium. 9 "Nitrum. YO Ocrea, n AnA,yvis eri genus et. u Pomex, Porph igo e 3 IL Sulphur, Salnilifüss, quod ee Salpeftre FW "Nritro differens, de quo ali qui opinantur (beciem e[Je ni tri,Sandaracha. 15 Tupbus, Tubal, quod eris coria. 14 U'itrum.* "Aimate autem C MA »s r7 Men funt Sors . Y, peter 0mnes,co- quadam alia animalia paruula, edlphaberic dicemus. Alphabetum, fcrpentiun,. i UA Es pisc atmphilofes naycfnger, Amps. dites. 2 Bafilifcus,'Boa, Becmot. 3 Cotrodilus, Cecula, Cenchris,C Ws C erasies, Cantarides. 4 Draco, Dipfas, Tra gocompides. s Enydris, Emorrois, Exidaa. qu& fub terra me de quibu; Rgilitim ordine 6 Fetnatrix. «4 7 Glandofa. v BS ermorrois, Ffydrts, £r ydra. 9 laculus, Ichneumon. 10 Lacertus, Leuiatam. ^ mNea,Natrix.12 Olites. 13 Pharias, *Prefler, Porphyrus. 14 Rutila, R egulus. 1 Salpinga, .$ rellio, Sæ lamaudras "I hefauri memoriz artificiofx lamandra, Syrena,qua Ser pers eft in Arabia, i 16 Taranta, Tyrus, Tortuca. 17 Vipera. Alphabetum paruorum animalium fub terra degentium. : f Neuilla. Bufones, Dorax, ! Sotracha. . s ((unicula, Caflio, Clo-. chea, Cancer, Cuniculus. AFormice. s Glires fi placet, Gama lcon,G urgulio. 6 Herinacins. 7 Locusle nigra;que in «vere nocle canunt, Lums bricus. 8 Muflella, Mufaraz neus, lv ures, e7Martires. o Rane, Ruletz. to ftellio,Sciurus, Salamandra,Sorex. 1 Talpa, Tefludo. 12 J/ermces etiam omz pes, qui [ub terra condunz HT. Pe Pars fecunda... 94. De figuris terre(tribusaniimatis tantum, qua funt vegctabilia, et de figuris verreítri bus animatis fenfibilibus, qux funtanimalia. Cap. ELE : Me. 3 Rbores m herbe: Animalia etiam omz 3 aia, eo magna, e? parua pro figuris, et.notis N u erunt in bac arte nobis perutilia: d'ímodo coz e: de^ y rum naturas,eo proprietates [ciamusyvt f ieiiimlbon dicendorum facilius in eis inuenire poffimus, tex pro memorandorum Tismulaceis in locis dfbonere.: 1dco2 que nos inordinem Alpbabeticum difponimu &g). vedigiz mus ea folum "vel TE Bor, "vel qua de facili nofcere pol[umus. c drborum autem eo: animalium magnorum bic c ALphabeta non ponimus cum [upra in primo tra&latu, ea viz dere liceat. Frué£ficum ergo 7 herbarum ac paruorum «ni malium terresirium coordinat;ones fub Alphabeto bicss f^ redigimus. Alphabetum fru&icum. Dfintbium, quod briofa,que vulgo canapac ee ponticum dicis cia, Artemifia mmor,il mas tur, Altea, que co ciale, ^ rundo. enaluafilueflris, Artemis ^ i Brofia. fia wel Ambria,"velàmz : 3 Canabum. h 4 Dipfeua Thefauri memoriz artificio 4 Dipfcu:. E. s Feniculum. 6 Gine[la,vel gue € g ineftula. yi Liquiritia, que co Glicoria, c9 Glicoritia diz citur. 8 Malua. " 9 Rubus, PB m quod e ali lithos vocant. Ao[a, Rannus. 1C Jentix, -Sambucu. Saluia, Symapis. uU itis, Vepres. E T inter frutlices predi£la numerantur à naturalibus, «vt apud co: pa[eim el «videre,ex quorum e et alia extrahere poteris. Alphabetum herbarum vulgarium et plantarum. CHMMiÉ: Pyos AS Allium, Az pium, A[paragus, efuena, Atruneolus, Amaz ranthi.i.[ciamitini. 2 Bleta, Beta, Borago, Bulbus, Buglo[Ja, 'Battis tula... 3 Camonilla, C. pilus eUeneris, Capparis, Cepa ^ Crocus, Cucumer, Carz [TU l b [ duus, (enti foeni, Corono pus Calendula. (ichorim. .4 Dracontea, T argone, $ Endiuia, E linee, qe intybu: dicitur eruca. 6 Filix, Fumus terre, Faba, Far, Fafcolum;Fra go; Fabecula,.F arpnota dium. hes "T 7 Gragmé, Gáfifliná d Ælitrapium, Elexbn pireris Pars fecunda.. piperis, Hf fonus. 9 (uncus, Intybus i. Endiuia, Intybum erraticum.i. cichorium. 10 Lappa, Lacíuca, l ilium, Linum, Lens, Lupiz num; Lanceola, Langenia; Lupoli. . n cMaiorana, Meli ifa ipa efi Citraria berba, aMeiba,«Milium, Marra biun,M elomes. I 2 /Nepa, vel nepita, eNaflurcium. 13 Ordewm, Origanum, Ocymum. 8; 14. "Plantago, Pauper, Pepo, P astinaca, Pidrofeliz non.Porrus, Pifum, Paniz cum, Pulegium, "Portulaca. 15 Radix, Raphanum, Rapa, Ruta, Rubia ; Aiz fum, R obelia. 16 Semper viua berba, ipfæ[l Louisbarba, S cirpus, Satureia, Serpillum, Saxiz fragia, Siligo, Sanfucus. oiz Tuifolion, Yirimaiz lus, Trina Triticum. 18 Vifcus, Viola, 'Urti€4,V acia, vicinia. 1 19 Fus /[opus. E "iila fermone quilibet fili poterit herbarum nota V rum abundantiimum Alphabetum formare,quod et fuademus, 0nusq, hoc leuiffimum le&lori relinquimus, tum quia herbarum nomina apud. diuexfa loca permaxime uaz riantur ("vt fere omnibus compertum efl) tum ne tractatus lus nosler optata a nobis breuitate priuetur. "E Alphabetum T hefauti memorisz artificiofx Alphabetum Gummarunmb. AMoniacus cf a2 fetid«. L DBernix, Borax, diidella. ; Campbora, Cedria, Colofonia. 4 Dragantum. y Eaforbium. 6 Gummiarabicum. 7 Karabe vulgo. Labra. $ Laíla, Licium. 9 AMaflix Myrrha : 1o Opobal[amum, Bal [ami fuccus eft. n Pinca reina : t? Refina lacrima cft arboris cuiufcunque vel fru ticis (uccum. fudantis c exhalantis. Jarcocolla,Stacte, ft rax,Sanguis draconis. 14. Thus, T berebentinz.. 15 P'ifcus. : 16. Zuccharum, quod infra cannam generatur in Hyfbania. Similes autem guttas co lacrimas in arboribus fcife ris,"ut in cerafio, pruna qe-requiras. Alphabetum (eminum fegetum vel leguminum,vel &c. "Doreum, quod eft tritici genus, Aniz fum, ^ uena. 2 Bromos,Branx, genus Farris. ('andreos,genus tritici: ^.. e * (minum, Coriadram, Cicer. 4 Daucus, [umen banz ci&. $ Eurus, Pars fecunda. 3 Curus, Erifmui 6 Faba, Far, Farrago, Fafcolus,F eniculum, F az Aum H4 r&cum. 7 Gith.genus leguminis: cimino fimilis. 8 €rbum fiue Orobum, uod "vicia dicitur. 9 Lens,Lupinus, Lolium.l ini [emen. 10 Milium. i Ocynuri, Ordeuni, Ocymum, quod bafilicum 96 vocant. 11 Panicum, Pifo, Paz poser. 13 Risum, Rubelia Sefema ex Indiaaz [portatur Siligo, cenus tritici: Siliqua genus leguminis, Sifamum,Synapis. 15 Triticum. 16 Vela, icia. 17 Zea, Lizania, quod fecundum S. E'iero.Lo lium eft. Lphaletum florum eo frutluum ab berbis eo arbori A bus [upra pf tis quilibet ex fe formare poterit. Alphabetzum animantium terreftrium paruorum. Rantus;c Afcaris A des. 2 Bufo » Borax, drucus,Bratla, Bupre[tis. 3 Cimex,Culex,Cama leon, Centipeda-vermis pis lofus eft, Cryfalis, Coffus, Cicidile,( ofli, (nips.qui in ligno vvermiculus eft, Cips frumenta corrodig, («ree lio. A4 Eruca, Emigraneus. Viidr s Gura Thefauri memoriz artificiofze s Gurgulio, qui in faba efi.Gryllus, Galba. 6 Hepacontinus, Herz: pes lps "vermis eff, Idibis. 8 Lita, Locu[la, Lumbricus, Londes, Tier Leoneephos. 9 AMelolantha, Milipe da, Milochos, Mida, qui in fan me. AMirz smicoleon. 10 Opimacus, Olobygon, it Pulex,Pediculus. 12 Ricizus, « qui canum: auribus inberet. 15 Scerpius,Sanguifuga. u4 Tarmus, Teredo, Tinea. ^ 15 Vfía, qui vermis est porcorum y eos urens, viz: werd. H À ec dicía fint de pu qua e quomodolibe adterra pertinent:nunc de aquatilibus.ezc. Defigurisaquatilibus Æreis et igneis, qux in aquis, in Igne et ære inueniuntur pro figuris nobisiníeruient.Primo igitur hzc inueniuntur In aquis. x $) guilla, Aras NE nea, Allec, mS Ariens, Arni. ? i Barchorá, Talena, Cap. III. *Borbotha, Botha, Brenta. 3 Caab, (anis, ( ancer, (etus : de quo. 5. Ambrof. qu d [i quando [upernatet fluclibus, ambulare infulas putes Pars fecunda; putes, Coruus, Conger, (n che . 4 "Draco, "Delphinus, : "Dentrix,Dies,qui Una tà: tum die viuit. 15 Equus, Echinus, Effi mieron, Eccola, concha efl margaritifcra. et Felco,Foca, Faflaz leon, F icis, Faflen. 7 Galata, G ammacus,Go bio, Granus, Gladius. ^8 Hirundo, Hircus, Haz ig. 9 Karabo, Kilon, Kolchi. 5óf^" 1 Lacíus; Lupus, Lepus, ro Iricius, Icinus mari 97 Leo, Locuffa. iz Mulus, Muflella, AM ugilis, Miluus, M «na. 5 Narcor, Nubes, Nau tilos. 14 Offrea, Orca, Orbis. : 15 Porcus, Purpura, * "Pinna, Plais, Perna, Pi rix. 16 Rombus, Raba, Raz na marina. ; 1 7 Stella, Scorpio, Stuz: rio, Salmo,Scolependra. 1$ T'orpedo Irucía, T hinnus, T enca, Trcbio. 19 Vulpis, P itulus mari nus.Uentb..- 20 Zedrofus, Zefio. Et plura alia qua breuitatis caufa omittuntur. Q ua in ære inueniuntur in duplici differentia, quedam ibi generantur, cz per aliquod tempus ilidem mant, €) apparent quadam [olum ibipertran[cunt. Qus ibi generatur [unt impreffiones c/Ærea uel A quorum omnium Alphabetum ponimus, "vt eorum facilius: rimini[camur, et eis cum "voluerimus, pro figuris memorat. dorum vti fuo loco pofei dora i [o loco po[simus, A fub, Thefauri memoriz artificiofz A) ub,c/fqua. 2 Barbata [lella, qu& ex cometarum genere cf Bruma. 3 Crinitaflella, qua ex cometarum genere eft. Coz lumna ardens, Capra (alta tes, l'orru/cationes. 4 Domus ardens, Draz ca volans. $ Fatuus ignis, Fulgura, Fotamina cali. 6. Grando, Gradenula. .3 ZHalo.i.corona circa Solem. Lunam vel alis quam sellam. 8 Ignis cadens, Iris. 9 Lancea ardés. o Manna, Mellis que dam [pecics, qui "'vulro dici tur melata. ! 1 Nimbus ventorum, *Nix,SNubes varia. 12. Perpendicularis ignis "Pruina,Paraylij. 13 Aos. 14 sintille tanquam à fornace. egredientes, Stella cadentes. 15 Turbines ventorum. 16 "U'irge rubea, c Alba, VU'irides aliorumque caloriz. enti vartj,'U apores "uavij a[cendentes. Extra bac diaboliibidem [unt,tanqua incarcere, vut upra dixiz mus, quibus pro figuris( eo f finc inuifibiles ) vti poteri mus. V2 aute tibi per æreyn [-pertran[cunt, fimt «voluQ"' cres pennate eo "volatilia cetera, que optime pro furis vti poterimus. [ecatur autcm animalia bac in: animalia Adaiora (o minora: de utrique autem. A Iphabeta ponimus tum voulgariter,tum latino fermone. Alpbabeto Parsfecunda.. Alphabeto de vcelli, Lodola, e"fccegs gia, Ánitra, Ajfloz re, Allocho, Accerz tello o. ^ ffiolo, A uoltoio. Bubbola, Barbagianni, Buzago, Brauieri, che e picz colo, :Bonicola fimile alla flarna, Bechafico. ^ Cicorna,Cigni, Colomz Lelle,Cuculio, [ ecero Cors bo, Cornacchia, Capinera, Cingallegra, Calézuolo, Cal derino,Cutretala. Formicone, Folagbe, Fagiano, Fringuello,F orci. glione, Fioralifo, Frufone; Fanello. Germani, Gru, Gallo, Grifone,G azza, Gaza marina, Ghiandaia : Geppio, ufo. Lucherini, Lufignoli. aM origlioni Mozzetti : «vccelli d'acque tutti duoi : Merle,Mergoni,o Mugnaij, Montanelli. Nibbio. Ocha. P a[fzre de diuerfe fhecir, Pagone, Papagallo,Pi/ p Pettiroffo. $ uaplia. AR ivogoli, R aperini, Ron 011. Smerizlo, Jtarne, Stors nello, Struzolo, $1erlo, che piglia le allodole, Scricz ciülo, : "Terzuolo, Tordo, T ortole. Zigoli. Alpbaletun "Thefauri memorisz artificiofe Alphabetum Auium latino fermore,. 9 uila, Ardea, Ac cipiter, Anas, A lau da, Achantis, qui et iur fecundum 1[id. Á criophilon, Alcedo, Az Sar, ^ pos, ^ egoncephalus 2. 'Bubo,Botaurus, qui in genere eft accipitrum,Biflar da,Beno[a,Berencha. 3 Ciconia, Cuculus, (Co chilus, qui € rex auium di citur, Coruus, Cornix,Capo Cygnus, que eft. olor, Colum ba, Coturnix ; Calandriw, C ypfellus. n PU Diomedis,que eo hes rodius. S Egythus, Emeria, Er cinia,C rythacus.. Falco-velherodius, vel Girifalco vel Diomedis,Fi cedula, Fringilla, Faftanus. Grues,Gallus, Gracuz los, Grippes, 1Lis auis Nili fluminis. - Harpia, auisrapax in Arabia, fere [emper in[atia bilis, H'irundo, nee br. c an X bin epe cornix, iden e[t. Linachos, Lucinia, La gus, Laro, Leucon.. Ad co A Mos sedula, Merula. : Niclicorax, Nifus. :Onocrotalus, O:hus,aff olo Oft ifiaga, Opimachus, Oriolus,Ofina,Otis, €Palumbus, T auo, Pelli catus, Perdix; Penix, Piz C4, "Picus, Pf tt4Cus, T4 [er$ uerquedula. Regulus, R iparia, Ru fica. Strutbio, Sturnus,Selen tidis,Strophilus. T'ur dus, Pars fecunda. 39 Turdus, T urtur, T ar2 da, Tragompan, T'erraa ncola. "Upupa, "Uultur Velia, "'efpertilio, U anclius, V lu lay'U ipio. Alphabetum paruorum volatilium.. Pes, À filus. A Jibio. Canthbaris, Cinis fex, Cinomia, Culex,Cicaz da,Conops, Cicindula, qua e) nitedsla. 4 Engula. $ Fucus, Formicoleon. 6 Grillus. 7 Ibcneumon,vefpa ma ior. 8 Lampyrides, ex genes ve [unt [carabaorum. 9 AMuf[ca. 10 IN Gitedula, e) *Nocli luca. 1 Papilio,Pbalena, Far f^lla. 12 Scaraleus, Jcabro, Sphalangio. 13 Tabanus. 14. U/efpis. F Igure autem, que injgne inueniuntur [unt. Galaxia intercifa, eo Galaxia continua, qu in ignis regione, fes eundum Autborem profpecliue veficiunturton autem fes cundum Albertun eMagnum. Thefauri memotizx artificio(z De figuris coeleftibus Qe fupra ceeleftibus; "Cap. V. ^ SUN Ocli omnes extra Empireum non folum pro SZ] locis,cverum-etiam profiguris eruient: Imn: o e Empireum.ft extra illud c fupra,aliud sere quid (ipfum continens)imaginaberis. Celi aw tem [unt. xj. Q worum primi feptem planetis [eptem infigniti funt;à quibus cg denominantur. Celum enim «Li Luna ell, Celum dicitur Luna: eo fic de ceteris : Os auz tem celi eo fepté errantia )dira, 9 uadraginta € octo figura firmaméti,et easquas fupra in prima parte cap.4 fe guras [upra celum quodlibet finximus,pro tot noflra artis figurisinferuient. MOM TO queas q EY 2, S Quadraginta autem et octo figuris o&auz Spherz fub ordinc alphabeti, ca hic infra di gcffimus, ratione quà fuperius adduximus. ^ À Rie, À quarius : Artbofilax, quod : et Arclurum, eo. Jiootes dicitur, Anguis, An dromeda, Anguis ophiuchi, . Aquila, equus alatus, quod pega[us, Avgo, quod eo . tuis dicitur, Ara. 2 Bootes, quod c7 arciu Caffiopea, Caput Medu[u, crum vtdiximus. 3. Conofura, quod e? *Planice, c2 vr[a maior, Cygnus, quod cox EHolor, Circulus Iunonius, Cepheus, Canicula,quod eft canis ma ior, quod procion, Cancer, ( apricornus, Cetus, quod Parsfecunda.. eo Piftrix, Chiron, quod phillyrides, Ciphus, Coruus. 4 Draco, Delphin, Dels toton, quod ez triangulus. y Elice, quod «o "vría minor,Cngona[is, quod Gez nunixus, Eridanus, E goceros, quod ee Capricornus, Ericthonius, quod co Hec niochus,e9* c/duriga. 6 Fidicula,quod €? Ly 74. 7 Gemini, Genunixus fu pra En gonafis. 8 Ffolor, quod e» Cygnus. E niochos, de quibus fu pro; Hydra. 9 Lyra, [upra fub nomine fidicule, Lepus, Lugule, «eliugula, quod € Orion, 9o Leo, Libra. 10 SN'auis fupra Argo, Notius pifcis. I Ophiuchus, A nguifer, Orion de quo.f. Lugule. 12 IPer[eus, Pega[us .;. equus alatus, Pici, Pbanice, quod «e ur[a minor, &) cynofura; vt fupra diCum est, Piflrix, quod eo (etus, Procyon,quod ee ca nis minor, vr (upra, P hillyrides,quod qz) chiron, P i[cis MotiusyUt[upra. 13 Sagitta, Sagittarius, Sinus, Scorpius. 14. T aurus. 15 Vr[amaior, Vr[ami nor,I'irgo. Vper celefles autem figure [unt,c.4ngelici fpiritus fan 2 Cli homines eo «Mulieres, cox qua ibidem difbo[i tiones, ordines, co Gradus inter illos Junt, cut fupra diximus.Item platea ex auro purifimo: fons arbor "vita: Porte: Comiuis qp men[«: T'urres 'c.de quibus fupra. 2 o£ 'De 'Thefauri memoriz artificiofz De Artificialibus heuris. SS Rtficialesfigure funt que arte, non natura PM con[urgutt, ca autem ab artificibus facta in QE nofiram-vtilitatem a(Jumimus. funt autem esos eæ Palatia, Domus, Manfiones,e 4pothece ee fingula bis [srailia, que fupra pro locis enumerauimus. Nec dedecet inbac arte(ut iam fupra diximus)quod illud, quod pro loco aliquando babuimus, pro figura altera vice babeaz mus:dummodo, quod pro loco antea babuimus, fr aliquado pro figura babere velimus, loco alicui affigatur, qui tamen locus ita fit capax, quod continere ee» capere pofit figuram. (Cuius medi autem loca, que pro figuris "volueris, (fcilicet &dificia diner[a coc.) vel ibidem, vbi funt, pro figuris dez féruient, "veletiam per imaginationem alicubi transferre poteris,ft tibi opus fuerit. Q uod raro vel nunqua fieri conz fultiffimum erit. Inter figuras artificiales computantur etiam voniuer[a, que in praditlis enumeratis, aut fimilibus enumeradh adi ficijs conduntur e referantur, V t puta qua in palatijs, in monaflerijs,in domibus,in apothbecis eec. inueniuntur.quaz uis illorum multa naturalia fint, ficuti funt frumentum, vi num, Panni: Et domus, aut palatij [upelleclilia queque. Inter pradi/Las artificiales figuras connumerantur inflrumista omnia cuinfuis artificis, eut ferra,ut malleus e. Hac autem inflrumenta procomperto babeas in bac arte valere Pars fecunda: ! 9t «valere quamplurimum, e) ea tibipermaximeprofutura e[Je pollitcimur : qua propter buius artis cupidum, monitum e([e volumus,vt multorum artificum inflrumenta pernos fcat y c in fcriptoea ardisie alphabetico redigat Co confer et, quou[q; familiaria fibi reddantur, vt cum fuerit oporzunum aliquod vel aliqua illorum infirumentorum producate eo vel eb profiguris valeat vuti : "Diximus autem, quod multarum artium inslrumenta in alpbabetiordinem vedigenda [unt,cuius dicti ratio praflo eft. Si quis enim fabrilignarij infirumenta cognofcat alpba betico ordine. facilius eorum cum "voluerit eminifci poterit (cwm ordo memoriam adiuuet,tefle Ariflo.eo (cerone)ac in[uper eis pro literis vti velit (vut infra dicimus) ea magis in promptu babere poterit, que [uo [erwire poffint bropofito. Figuras ctiam artificiales appellamus, e/Alphabeti €lementa-[unt auté tria principalia alphabeta notifsima muls tis. latinum, quod constat notis Vigintitribus. ABCDEFGHIKLMNOPQRSTVXY L Grzcum, quod conftat literis infrafcriptis. ABRyS$en6Óix^ uvriompeTuxqQdLs 'Thefauri rnemoriz artificiofz Alphabetum Hebraicum. Virinint" : ar. HEBRA* Parsfecunda.::5.0527 92 Alphabetum,;Períaru m, Turcarum omniumqQ; Arabum. : dJIT3WN^1l HD 4865 jJ Hav5 Jar] wv] RIW (25 nn Cz veru» 33 EA i em m NE) Rs i4 i2] Alphabetum Caldaicum.) Ocin loco ne te pertran[cat alia. plura alphaleta r H naturalibus rebus nos accipere po[Je : Ctenim ab animaz: libus alphabetum «unum accipimus boc mod o. P ro litera. A. Sumimus animalcuius nom ab eadem incipiat littera,ver: Li 2ratia, e dgnum-pro B.bouem, pro C.C apram esc. - € uod fane alphabetum voberrimum efl, dum in eo que libet littera nobis multiplicatur : quoniam fi ub cade littera y: plurium animalium nomina incipere no[cimus, verbi gras. ti, fub a.littera [cimus effe bac Nomina animalium. [. A2 gni,c Arietis, ^ fini boc autem esl. nobis commodo gj) nece[-. frati mam [i plurium litterarum fpecies e figuras volu mts :eis abundamus. Eodem autem modo à cateris fimilis: bus naturalium rerum ordinibus alphabeta accipere. pofus. mus. Q uapropter bic te meminif[e oportet naturalium illaz. rum rerum, cg mineralium ee lapidum, eo animalium. eo berbarum,eo arborum, eo volucrum,ee Celestium fi furarum, eo ceterorum omnium, quorum fupra mentione fecimus, 7 alphabeta pofuimus, in prima: € in fecunda: bac parte:qua ibidem ipfa-videre pots. ^ bæ wer . eft for[an tibi illa minime [ufficiunt yel in promptu (tibi inquam non [unt,cveletiam [emper eis*uti mon liber) a4 diuer[orum artificum mercimonia confugias, €) cuiu[li bet artifi cis mercimonia in alphabeti ordinem digesta baz beas, quibus pro litteris vti poteris, fi corum nominum quibus. a nobis appellantur principia [umas : vt de Animalibus, co e diboribus, alijsq, rebus fupra diximus. CuinllibetetPam artificisinflrumenta, fab alphabeti 0f« ] cda dine Y T hefauri mémoriz artificiofx dine congrégabis,qua eo modo quo fupra de alijs rebus dixiz pus,pro literis inferuient. .' Alio autem modo, ee quidem optimo, prater alphal.eta pradiclaalterii formare e habere poterimus, fi videlicet. figuram talis littere, vverbi gratia. C-diligenter confiderez mus,eo ad naturalia feu avtificialia confugientes, ac figuram tantum illorum attendentes, quod eiu(dem figura,vel. faltem fimilis efe iudicabimus, pro tali littera, cuius [imis litudinem restalis babet, [umamus uerbi gratia, pro.C.litz tera [emicirculum:cuius.(". littera fimilitudinem babet. Verum experti fumus inter cetera alphabeta iflius moz dialphabetum pro maiori parte [ui ab. artificialibus [ums pi? inflrumentis, maiore quà alia aphabeta nobis "vtilitaté" praflare.quod euenit,tum quia inflrumenta artificum,"Ut. in pluribus familiariora [unt nobis, eorum, multa [ape [ec pius c7 pra manibus c7 pra oculis babere contingit: "Tum demum, quia à [z inuicem figura diuerfificantur: quod pluri snum noftre conducit memorie.e?* propterca hic infra id uo lumus ordinare, € illud quidem «vernaculo idiomate poz sere, ne corum aliquod circum[cribere cogamur, quod clare aliquis babere, c9 aperto "vocabulo imelligere vellet. I eAlphabetum Parsíecunda.. 24 Alphabetum fümptum à fimilibus figuris rerum artificialium,vel etiam aliquando naturalium.. $quadra de mura- tori, Archipendo lo de medefimi (ompaffo c efle, grande di legno. da legnaiuoli. Vna Feala in tre hie che f uf; 49^ à potare e cogliere frutti. 3B. Acciaiuolo, Ceppi di ferro ritti da vnabada: fe ro da finefIre, doue ft tengonoe pannelli.ezc. C. Corno : mezo cerchio : ferro da cauallo: Luna quan do c piccola. D. Meza luna,Bigoncisolo,co' manichi diflefo. Ma náia, Ceftone bocconi, cioe rimboccato in terra. E.'Unamezaruota una. c^dncora p il trauer(o vitta, [ga col legno dalla parte del lacorda, Capellinaio, Raz flrello, Pettini: Forcone,tut te quattro queste cofe vitz te per canto, ti vapprefente ranno la lettera E. volte all'ingiula lettera. 2M. Av chetto da fonare la lira anChor potrà [eruir pr£. € F. Fnafalce fenaia col ferro volto all'infu, una [ci mitarra fitta interra. G.'Una chiocciola, V na cornamu[a, Una Gucchia ra da muratori i. Cazuola, ó me[lola «volta all'infu, "Una [ega da fegar grano col piede all'ingiu, fiafchets to XIrozato. Hf. vna botte sbarrata. "Dua colonne legate com una fune nel mezg. c4 1 1.Vno ) Thefauri memoria art'ficiofx 1. Vno oncino da corre i futi, «na Colonna, "Un Pe[ce attaccato, rvnabacs chettaritta, Vno fbontone. da' Peregrini, na Torre, Vncampanile.. L. Scura,o acetta col fer ro alli ingiu, 5 quadra da fear. pellin ino d oitonc c ritta, Alareo Capo fuoco. M. Vn. T repic da cals daie, Defchetto, Corona uol ta all'ingin, ^ quila che voz li alTinfuytutte q[le co[e che feruano per E volte all inz [2 feruiranno per M. N.Vna fum legata à due "Colonne à ) pali, "n paio. di forche, "vn paio di Molle. O. Cerchio da botte, V n popone mela pe[cas à fimili frais, ai i fi milfigura rotonz da, yonaglio, Mondo di ipinto,e molte altre cofe. p."Paflorale Bandiera mezaripicgata, Meza forbicia da farto col ma: nico al l'infu, 0 da cimatori an hora.. DO. Q. Vnaparte di fuis cia da cimatori, con tutto quel torto,che ba da lato do ue [1 ticne 1n mano,eg quefla fta wolta per il trauer[o. R. Vn'paio ditanaglie, Vs freno torte da. vno de picdi, e [lien "volte al'infa alquanto aperte. .. 9. SETPE, T romba tortá, (ada di porco. T. Martello, Martel lina, Beccaflrino da murato: riySucchiello, Anchudine. V. Ra[oio mezo apertoalT in[u, Vn paio di Sefle mez "c aperte. all infu: :ferettoio da libri : molle uolte all'in[a dua dita aperte ali in[u,c fimilia. T X. Vna Croce, 9Naue con la vela raccolta atrauer[o allo arboro. Y. Vitticcio di vite, Zuccba,eg« col quale fi As I5] Parsíecunda; ^ 95 pA, € Pattacahpali,che lingin, me[fa à. trauer[o, li fono dati per regimento. cioe à fliancio. ZL.Lappa col manico " Ecundum ordinem iflum pradiclis litterarum figuris, S alias addere poteris, e forf an conuenientiores, qua;tia bi [altem,magis fupradictis «tiles erunt. sN'otandum e[t autem circa pradiclas figuras, fitum il larum valere quamplurimum- Refert enim multum.fi i[lo «el illo modo ponantur. 4d alleus enim nunquam.T /ittez vam demonilrabit, nifi erectus ponatur alicubi, ficque de alijs. At fi iffarum multa figura tibi minime placeat, alias qu&tt, CP memineris diéli Ciceronis, quüd eade figura vez rum memorandarum, omnibus baud placent. Facile cnim erit inuentis addere. PRG equuttur F igura. ficio fie 1 mmemoriz arti q Mæ 2 cuyas Uus. ÆG P. Ner A hr PEE US IIR IRÆ Ce e - Te i e ep "ERAT Ww. 4 DLE - ; A ai: HGGKUAT. ARENFOSL AA Dr. tht Næ runs : x ip X. " COMI (4 eNWWSA h 1 Ttetum defigurisartificialibusa'is à pra diáis Cap. VII. Vnt quedam res naturales "vel artificiales, Q que literas Alphabeticas nobis reprefcniæ [pofitione, varias præferens literas erga te imagination£ videlicet tuam, bicuel ibilocatus fit: ita quod tu ipfc facie evel venes eius vel humerum rocl eo caterva prout opus fuerit afpicias. Situs enim varius diuer[aq, pofitiomultum nofiro negocio «vel prodest vel obefl. A. igitar: buius caracte ris dabit bomo ante [uam imaginationem locatus : feiunclis ab inuicem cruribussimisq, pedibus flans vel fedens. Item NK dabit cauum imi pedis cuiu[libet bominis. «. LH uius caratferis [i ligatis manibus ante pectus appaz reat: "vel brachijs fuper alterutrum diffofitis. e. Iterum [utor evel L'urca [edens pedibus in crucis moz Bb a dum T hefauri memoria arttficiofx dn collecfis. A .talis chara£leris flomaci donat figuta. 8. Dabit na[us aquilinus. b. Huius charatleris dabit bomoretortum fup bumerum [init rum brachium tenens. : C. In amplexum conico vel duobus brachiis ruens. d.$i dextrum brachium [upra dextrum humerum rea tortum teneat. o. Huius caracleris fi [iniftrum brachium [upra caput ve[lexerit.d. buius charatteris fi dextrum veflexerit [upra caput. D.buius figni:corpus hominis prominens. E.Simaxum velpedem nudum digitis a fe inuicem [e iunélis oftendet. T. Sidextrum in altum erexevit brachium ; finistro in eius medio in modum crucis tran[uer[o. Iterum ft finistro pede in terra defixo tran[uer[aliter fimiflrum [uper illum retorftrit.. G. 5i finiflrum ad petlus brachium veflexum tenuerit dextroin figura (J.proten[o. Item : qu&libet auricula eandem preJefert literam. H. $i inter gena dextri. fi nillrumq, baculum aut aliud quid ca quaft aperiens pof ueris. Li in altum protenderit brachium. j. uius figura fi extenfoin altum brachio manum paz rumper reflexerit. K.5i brachij finiftri cubitum cin&lura. laterió, contiguit tencat,rcliquo brachij à cubitu f. 7 fur[um in ante " um: Pars fecunda; : 99 fum: Item eodem modo coxa fuper coxam difbofita: Iterum membra qua «.. dant. L.Si extera fimiflro brachio:uel pede, ft in alto vel am bobus pedibus fi in terra [deat homo, dabit. AM. Sibrachium inter crura deflexerit. "vel fi in moz dum mifericordiam pofcentis deor[um «vtraque deflexerit brachia:uel fi manus "vel pedis digitos deorfum extenderit. n. Si in loco [ablimi [edenspedes pendentes teneat. NL. Fl'uins figura fi inter cos aliquid tran[uer[aliter poz f uerit. O.rachia circulum componétia: uel Caput: Os aperti. o.' Paruum-vterq; oculusumbilicus, cateraq id genus. P.'Utraque coxendicum propter conglobatam carné «ver fusos [acrum :. Iterum qualibet [ura cum tibia, qua eft os ruris. p.Paruum dabit cvterq; pollox. q.Huius charatleris ea membra dabunt, que [upra b.de dere:dummodo diuerfo di/ponamur fituseo dextris pro [iz niflris utamur. R. J) t ^ » Dabunt capilli retorti S.Iterit dabit bomo pede vetro veflexo, e in ante capite inclinans co pendens ficut qui reuerentiam alicui prabet, f«cese fola. T Manus [uper caput dilbofita dabit: vel bomo fedis, furamá, (upra genu tenens. Vtraqi brachia uel pedes in alti ereli et extéfi donat. ificiofze ü AC B :3i dye ' ! Pars fecunda. ic TEE Re leq j C^ Q7 3777 2-5 ^ Sa S S IN Ni en Pg Ll hos d] Thefauri memoriz artificio(ze E 7771/7, 11e 5 (4 ? 7 : (MÀ á * $ UA 775 dau eye pata air pn v A174, e a M " í W : wuET id ST itt L^ € X! S4 MJ /7 : p ut 162^ // ; À n ANC M, i ez B 47, : ES ; t -. RAS co - UC 5n jondese] -: es So 3 Qo e [es es Oo nh Me ? rn [s Ca . ; x! : Lis b Mecul UIT: mri [LM mpm : ds Alphabetum à varia digitorum difpofitione defüumptun, : a. Juins praccdentis characleris compones ; fi pollicem fupra indicem tran[uer[um aliquo in bomine confinxeris. A.Si indice ) minimo terram ver[us protenfis alios ad colam plizatos homo tenuerit: € uod in-vtraque manu fe ri facilimepoterit, a minorem habebis, fi pollicem dextre manus pradiclus bomo in terram extenderit indice tamen fub codem curuato. b.Si pollicem dextrum in figuram cuiu. dam arcus ad in dicem deflexerit. Ate conuer(oin finiflra eueniet manu, eNa in altum pollice exten[oindicem ad pollicem incuruare oportet.- (Si index et pollex cuius vis manus [e in femicirculi figuram retor[erint. d.Dabit index dexter, fi fe ad pollicis vetor[erit medint. D. autem huius figura dabit index i[dem ad «uertice pollicis deflexus. E.Si digitos trescvel e fimul oés extenderit bomo non in altum non in terra. nam 7M .daret:[ed erga te verterit. F. Si digito medio ad celum erecto,index (in predicto bomine ante te, vel imaginationem, pofito) tran[uerfus in. crucis modum confingatur. G.Dabit index aliquantulum retortus, e fub eo pollex curnatus, quafi ad c. figuram componendam:dummodo tamen plus in fe ip[um idem pollex retor[erit,quam ipn az Parsfecunda K.Eadem digitorum compofitio dabit:que A. talischa racleris dedit. boc tamen ob[eruato : quod index eq minia mus fur[um eleuentur, non deor(um incuruentur. 1.Q uilibet digitorum in altum proten[us. L.Figurabitur, fi index vel pollex in altum, in qualis bet manu fe eleuauerint,runo corum in latus exten[o AM.Sicut eo E componitur : [itu tamen manus varias tot [upra diximus. Nn. Index co medias vver[us terram extentivelme lius. «Pollex ee index «verus terram difbofiti, ab inuicem tamen [eiuncii. O.Si pollex cum indice in [ummitate (e. comiunxerit, in uauis manu. P.p.Si indici dextro bominis ad terram extenfo polle fe retorferit. q. Figurabitur ft é conuer(o pollex ad terram in eodem bomine difpofito, ad eum [e veflexerit index. Reliquas literas varia digitorum compofitione conficere poteris. Hic que[o notato, qu)d barum, quas fcripfimus literaz rum qua[dam in "vtraque manu bominis ante tuam imagi nationem pofiti,vel e in qualibet tuarum manuum ab[ai aliqua "variatione videre potes : qua[ dd tamé in vna ma nu non in alteracernes : € uod fitus diuerftate contingit : ficut [upra de b.litera notauimus.-verum eo animaduertis to quod bas literas, quas infra digitorum varia di[bofitios nt formatas inuenies, in manutua [iniflra vt plurimum Üc 2a difbofi uimus: 'Thefauri memoriz arttficiofz d fo fuimusyco tamen qua [cripfimus in manu dextra bos minis "velbomini ante te pofitorum formauimus: bac ratio ne permoti.ut illarum quas fcripfimus legendo,e in]Picien do,iflarum quas lineas formauimus infpicien do tantum evberem copiam babeas,et *otri[qs demum abundes : aba; nostri operis optata detrimento breuitatis. Sequuntur Figura. YA dh i ] o" MU yf mamme : bi at omar Pa Tars fecunda.. Thefauri memoriis artificiofze IO $ laletum Ab bd Pars fecunda.. Thefauri memoriz artificiofzx Alphabetum àvocibus hominis naturaliter fignificantibus:vel faltem non perfecte de articulatis extractum. A Dalit bominis quedam "Uox exprobrantis «el eriam minaztis: vel iterum bominis dignum inis mico [upplicium tion inuenientis, idcirco conquez entis. 9. dabit indignati bominis minantisq, vox: eandem. 4, li teram veplicantis, addita litera vocali.a.«vel e. C.Ft infra. TNrinfa. (1 "eras. E.Uox aliquem al incepto opere vel [euitia eoe pratextu milericordia retrabere cupientis:cvel-vox ad «oerez cundiam inaucentis. ut F.vox ventum vvalidum:-vel arcus bellici [onum exz primere tentantis:addita tamen vocali litera v. "vox tediam interius uel infirmitatem gemitu quoz dam demonflrantis. j Zt. vox citbaredum male pulfantem deridens : addita «vocali.o.vel a. Reliauas alphabeti literas eo duplicatas €) triplicaz tas: [upraditlasd, infuper ingeminatas: eg) «ct plurimum follabátas, quod maxinzo adiumento efl, exprimunt bomi nes diuer[as aues «9 animalia aduocando:expeliendo:oncz rando:[limulando:percutiendo cz «. Has Pars(ecunda.. 106 FEfas ergo bominum «voces diuer[as, e ft negocio tioflvo perutiles effe fateamur:attamen bic infra posere volumus: 9 uwilibetergo artis huius percupidus eas fibi profuturas ex cogitet :. [ciatq, hanc artem in [uo effeciu quidem egregiam nobilem defiderabilemq, existere: verumtamen in vfu ips fius cam quandoquidem in quibufdam «vilibus abie£lisd, rebus ej) prope deridendis valere multum:cvigere qua plus rimum cg [«pius confistere: Nec fime vatione autboritated, loquimur. SNam imagines, que admirationem e rifum) "utl aliquid buiu[modi («vt ('icero &&* Rauemas a[ferunt, excitarint, aliis meliores inueniuntur. : Alphabetum a quorundam animalium vocibus, et quibufdam rerum fonitibus ex. preffum:defumptum. i A ni Dabunte nates, culus frigulans: Gallus 7 . dum iretinunt, COUR edhnferes, dum curiens.eox G allina Jac il, JaPEA T S ONPM gratitant : Iterum Aféllus. / D. Campana paulatim rudens eo oncans. pul/ate fonus. B. Bos vel Taurus muz F. Fragor efrborum : iens: Ouis balan:.Canislas Felisvixans : ventus va» trans; "vulpis ganiens: Bubo bubans: "vpupa [uo cantu. '* Coruus crocitans.Gra4 lide proflans à G .Grus dum gruit Sues grunnientes : Grilli dum Qd 2 grillant. hs grillant. I.Equus Efinniens: L.'Uox cuiu[dam auicule. JM. eMiluus dum lips p^ P.P affer pipiens. Plaufus manuum: [onus exufflantis. -..Q. SNoGlua cucubans: (culus cuculans. R.Rana coaxans: Ruz beta conclamantes. S. Jtrix ve[pertilio Thefauri memoriz artificiofz Slridentes : ferpens fibillans; AMurium flridores. j p^ Clangor buccina: fonus cornu. T Sonus gutte [uper pes tram cadentis : vel faxi in terram. U. Vllula vel fecundi alios ulula vlulans. Z. edpes. bombilantes: Regulus (o merops zinzus lilantes:[carabei : ve[pes foz num [uum emittentes. A Lias pent infinit às figuras quilibet bis vifisexcogita (Xre poterit diuerfis [uis conceptibus commimcédis infer sientes: SNam figuris abundare diuerfis quilibet huius artis cupidus: quique quam plurima memoria mandare defides rat,nece[Jarium admodum e[fz perno[cet. o0 XXe Parsfecunda;i:0:57 7 107 De applicatione in communi figurarum pre di&arum ad memoranda: et € conuerío memorandorum adfiguras. Cap. V II. v7 Ofttis figuris, nunc confequenter quomodo ad 7a d) memoranda applicentur dicendum reflat.5imilitado autem in ve bac figurarum ad memo 2 randa ege conuer[o: tota eft ratio iftiufmodi applications. Ea propter quot modis ves aliqua alteri fit fi milis indicare conabimur.V erum enim vero antequam «vl tra progrediamur,, pratereundum non e1,quid [i aliquod, cuius memini[Je "uolo, pre manibus babeoyeius fimilitudin£ non queram, (ed ip[ummet, tali loco,vel angulo reponam: «ut puta fi repetenda e[Jent à me "vniuer(a, quein bac noz Slra man[ione eg cella, conduntur:omnia illa (uis locis ordi tate difbonere: e tempore fuo:ordine quo [unt difbofita, mente percurrerem fimul, ac memoriter retinere conarer. Caterum,quoniam «ut plurimum querum recordari-vo lumus copiam nou babemus:idcirco ad fimiles res debemus recurrere, qu& aliquo modo pradicla no[lre mentivepre[enz tare "valeant e per fimilitudinem,quam babent ad ea:il lorum imagines fieri: quibus uifis mens,corum(quorum [unt imagines, et fimilitudinem reprefentant) recordari ualeat. Similitudo ergo bac in arte, tota efl ratio mucniendi «p plicandi4 ; ad memorada figuras: Ea propter quom ado mul tisiodis, Aliqua. res alteri [it fimilis ratione (gj. apertis €X€in pus Thefauri memoriz artificiofz exemplis declarare tentabimus. Et boc expleto, quomodo ad literas, (etentias conceptusque commini/cendos, appliz centar figura: fubinde docebimus. i. Efl autemres aliqua alteri fimilis in fubfl antia velcor porali, vel ab[lratla: quamobrem vvnaw: pro alia fumere otero. «"Ponamus difcurfum aliquem e? fubneGlamusapplica tionem:quod nobis pro exemplo eripi ts 4 e "De excellentia bominis locuturus [um, de quamulta di cendo,ad bunc difcur(um deuenio, quod [cilicet. Homo creaturarum omnium corporalium 9» fubceles fiium maxima efl. F/omo eft enim praftatifimum animal, ait 4riflo. Q uid aio? qj) etiam corpora. celeftia fua dis gnitate e nobilitate pracellit : ip[osque attingit angelos, cum [it medius inter corporea, c7 pura intellectualia. Etéz nim bomo non immerito. dicitur eMicrocofmos. i paruus mundus, omniumq, creaturarum nexus pulcherrimus, qui omnium [ubcelefliura pfe&tiones miro in fe modo recludit. "Difcurrite, que[o,per fingula quaque /U'idete terram, ac inde noftras per[picite carnes, binc ee attendite illa, quo dam excellenti modo in noflra carné tecludi: T etro 6; im colore in fe ipfa terra. nigre[cit : at carnibusin noftris ipfa erlucet. Ages in ied da In oféibus lapides faluantur,et marmora: In carne, ifla: in terraillaconclufa. ENSE T'erra aqua perfunditur. Flegma; humores quoque om965 aque pre[eferunt clementum,ac multoties circumquaz que Parsfecundas; 57207 que abundanti (udore membra noflra madida efficiuntur, tanquam Ægyptus Nilo c. TS eferem rejbirat hbomo,ac in fe calorem retinet ignis. -Ceeloinfupex ip(o., in. (uo corpore excellétior! [i tamen ce lun ab[qua anima efe fateamur) inuenitur:proinde in ani ma [ue [ub[lantia angelis etia, qui [eparata dicuntur [ubs flantia, ac à materia prorfus abilracta, comparantur e fimilantur. - T'otum bunc di[cur[um locare poteris in locis, qui fupra: amplifimi "vocitantur: Ita-vt primo terram [umas.deinde elementa cetera: celum etiam, demum angelos,qui [upr celos fait so uma VENIT : T'erra ergo carnem: lapides offa, Aqua. bumeres,z Ær ba. litum: Ignis calorem:celum corpus: c4nge lus animaim hoz minis reprefentabit. Hinc per totum dilcur(wn vnam [ubzflantiam poni pro altera cernisseos vides utpote terram pro carne, aquamypro bumoribus eec. quod c9» clarius appavt in /apradiidis vltimis daabus collatienibus, pradicli cis fcurfus. ! MT Obiter autern [cias fimiles difcur(us. ("vtetiamtu ipfe experientia comprobabis) duo loca apriffima vbi locentur, babere. diner[. usd, higuras etenim difiurfus pradiciu alid Jivmles in bomine locari polfant, in cius carne terram : in ofsibus lax a:in anhelitu ærem - quorum omnium predicia fi militadinem babent, quamobrem co figura infuper ejje poffunt, Caro./ offa, anbelitus c9 cetera iam dicía: Ita ta«. men,qu d vbi prius terra Carnem mibi reprefentabat e €id$ * 'Thefauri memortz artificiofz eiuserat f. gura:eo. aqua humores, e fic de alijs:modocaro terram vepre[entat,bumores aquam ege. I ipid Nec mireris, quàd eedera res, qua pro lecis feruiunt in «uno cgxeodem difcur(u misime alterato,ac in codem tema pore, etiam pro figuris de[eruient. in con[imilibus enim diz fcurfibus eafdem ves eo» figuras effe € locanon dedecet; fatis eft enim tales illas ves, ab aliquo alio contineri, verbi gratia, in boc difcur[uprapoftto,[atis est bominem(in cuius. partibus locauimus, ce defignauimus carnem terram vepre fentantem:o[Ja lapides: «gc. )ponere et obfirmare in tali uel tali angulo. Forte dubitas in codem di[cur(uycum terra car nem reprfentat, 4qua humores cz. vt [upra:ubi ifiu[mo di elementa ee celos pro figuris babes, quis locus talesconti nere poft figuras, (atis efl inquam, ip[am-[-terram aquan& ærem egc.(cum f(umuntur mon pro locis, fed pro figuris) a fnis contineri co» ambiri partibus, que partes "vicem locoz rum gerunt. Et tamen in pdicfo difcur[u pofito,cverbi gra tia in terra ifliusclauttri velplatea, ea terga mibi fufficit proterra,qu carnem repre[entet, queque carnis comminifeenda exiflat figura: que profecto terra portio, ab alijs reli quis terre partibus, ("verbi gratiareliqua terra )continetur, €) circundatur tanquam à [uo loco ec. 4dem de alijs ele snentis fimilibus dicimus, eo» de celis eoc.te cadem [pius cogamur repetere. : 2 Similitudo etiam inuenitur in diuerfis rebus, fimilis autem quantitatis di[creta : fimilis inquam non eiu[dem y quando quidem q fi [ecumdum abstractionem "Æm " AMT inaria Pars fecunda. 109 binario minime [pecie differat, fed idenifceturtin concrea to tamen confideratum et [umptum, ficut et v os [um inzus) iflud binarium, quo numerantur dueiflg nuces,fim ile,non idem efl ifi, quo numerantur hec duo mala panica. € uapropter iffas res talis numeri poni poterunt pro dis uer[is rebus ciu[dem tamcn numeri. E xemplum ponamus. Eioc mane concioni adfui, atque concionator in [uo quoda propoft to,de facrorum mifleriorum numcro loquens, talem fecit difcurfum, dicens:SNouem [unt bominis fen[us,quinz: que exteriores, et interiores quatuor. S. T bo.p.q.78. Decem (unt pracepta legis,quatuor cardinales uirtutes: T'res E beologales.7. dona Spiritus.7.Sacramenta:quatuorz decim articuli fidei.duo caritatis pracepta:vmum ( aput Ec clefie Chriflus.omnium tamen istorum finis vnus.'Una có rona pro iu[litia de reliquo repo[ita ec Unum lumé Deus, Vna-vifio, Vnus denique omnium 5 anclorum bominum locus, (lum empyreum : N na cum [an£liset Angelis perz petua focietas ..F.ec autem omnia Concionator ampliauit vverbis:dilatauit circumlocutionibus:ornauit [ententijs Gen tilium, corroborauit c confirmauit [criptura,quorum e f non omnium tamen multorum recordabor:Si diclorum cas pita principalia, puncta, aliquo in loco reponam fs ub certis figuris, ipf areprefemantibus. Horum ergo dictorum talis erit memoria. Sratuo bominem (fupra quem omnia bac ponere "volo ) in talilocoputa apud parietem, qui alteratim nudos pedes agitet,atq; corum nobis [ammitates demonflret:ex qua diz Et giti Thefauri memorix artificiofx giti procedunt ex prominent. quinque ergo digiti finiflri pe dis (qui ignobilior ef? dextro)quinque [en[us cxteriores(qui interioribus ignobiliores funt)demonsirabunt: Digiti autem dextri pedisinteriores fenus : eo quod nobiliores a nobiliori. fianificari con[onA fit. At quoniam. [en[us imtevni quatuor funt:digiti quinque : ideo vnus corum, verbi gratia, mini "mus ab[ci[Jus exiflimetur. e4t fi tu paruam e[fe banc conuenientiam. inter figuras. eo figurata iudicabis: [citoquod non omniumrerum f, guras proprias, habere po[Jumus : in[uper fi auditor concionis immemor omnino non fuerit di£lorum à concionatore: etia minimo figno commotus, facillime recordabitur. Atque hic le&lor animaduertito artem banc ignaris verum omnium ez«vniuer[orum penitus obliui[centibus minime dari: Opor tet enim talibus, non vemini[cendi artem tribuere, [cd mesuorie potius fenfum prabere : "Pro decem praceptis pone iflum bominem vtráfc que f mulprotendentem manus,exa tendentemá, digitos omnes, quorum mumerus,praceptorum numerum emonf rabit, to maxime cum manibus co operationibus Dei precepta compleatur, fecundi illud, Leuaui sanus mcas ad mandata tua, qua dilexi."Duotum autem brachiorum partes,in quibus nofira corporales coirtutes:i.ui res apparent, quaque numerum conficiunt quaternarium, cvirtutes quatuor indicant cardinales. A fcendendo autem «venio ad faciem talis hominis, ibiq, in [ua inferiori parte confidero tres efe fen[us inferiores, et yuum fuperius, tres illi, tres tbeologales virtutes fignificæ im unt, Parsfecunda.. I10 bunt, Guflus charitatem, eod, dulcis fit Amor, e» fapida charitasodoraus fpem, etenim celi gaudia iufli;in "Domi no jperantes leuiter olfaciunt[: atiabuntur autem cum appa ruerit. Auditus fi dem demon[lrat,quia fides ex auditu. In ore autem muli bomines, quatuordecim dentes babent, in fuperiori parte, totidemá, in inferiori:in duos ergo feptenaz rios,uperiorempartem diuidentes, in una ponimus numez rum [eptem donorum [an£li (piritus : in altera [eptem Ecz clefie [acramentorum numerum. Inferiores autem dentes, 14-f/ant, qui numerus quatuordecim articulos demonflras bit. Aliam barum figurarum cum figuratis predictis conue nientiam preter numeralem (fi illa non [ufficit) ex [e quili bct excogitet. Sur[um procedendo, «vides illius bominis duos oculos ex cuna tantum manantes potentia, vvelcerte melius in vna Humtaxat potentiam concurrentes: qui duo charitatis pres cepta ab «vna manantia charitate motabunt: Oculibene fiz gnificant. duo precepta Amoris, fime quibus bomo manu tentat,eo: in tenebris efl,vt ait [criptura.[ur[um a[cenden do inuenitur iflius bominis caput, Caput autem noslrum (Chriftus efl. Evgo caput Chriflum ostendet. In capite autem fit. [acerdotalis corona, qua eternam fignificabit, l'apra caput bominis percutiat e ve[blendeat Sol.itle lust repre[entabit diuinum,in quo videbimus lu men eoc.[upra Solem celum empireum, locatum e[Je credi f?us nos omnes. In ip[o communio, et focietas [anclorum inuenitur, que EM: duo Thefauri memoriz artificiofz duo quoniam (unt illamet, quorum recordari voluxaus,fe fe - nobis offerent. lis d: Multa praterea funt in quantitate continua, fi milem - uel quafi fimilem quantitatem habentia. Recordaricvolo certaminis Dauidis cum G oliat cuius hiftoriam [cio : fufficit 4, mihi in communi eiu[dem certaminis vecordari:pono er qo vtrorumque imaginem rverifimilem congruamq "Vel f -moui bominem magnum, pono pro Golia t puerumaq rufum gro "Dauide ponam : illum armatum,Et galeam,e9 bafla imaginor:iflum funda munitum,eo baculo.N erum dubitas forfan, ac dicis, f bominem magnum [ine bala, eo puerum fine fanda, ponere, neutrius recordarer,vidédo coris [olumz modo quantitatem:Ca propter quantitas [ime babitu hoc in oco parum prodeffet: O0 id non diximus figuras bas, "vel Ji miles borum e fumilium occurrentium memorandorum;in quaititare tantum continua conuenire debere. Aliquando -enim eo fi non [emper:alia ctiam requiritur fimilitudo. Similitudo etiam e[l in vtroque correlatiuorum, runde illorum quodlibet alterum repra[entat. At quia relatiua in triplici [ant differentia, vel quia [unt equiparantie rvel [uz per pofitionis vel [uppofitionis: ideo cuiu[libet [beciei relatiz num pro altero poni,e& pro figura [ui correlæiui afJummi poz terit, cut in fuppofitis exemplis, etiam ignorantibus logicen manifestum e[t. : Hominem puta. Siluefl vum, Petro vicinum vel amiz cum aut inimicum, «vel collegam wel comuiuam,con[obvinu, Co mpatrem, ( lientemcou[ortem,velcondifcipslum, vel aliqui Darts fecunda. tH aliquid buiu[modi pro ipfo Petro reponam .. uod euenit propter [imilitudinem relatiozis alterius ad alterum,qua fiz ilitudine, alterum pro altero nobis offertur. In fecunda [pecie patrem profilio, Dominum pro feruo, vMagiflrum pro di[cipalo babere po[Jum. Ité pro-casfato cau[am,vt in artificialibuspermaxime fit quapropter in vna T'u[ciz ciuitate quandam numisma tis [beciem à quodam artifice tufam ej) impre[Jam, ipfius artificis nominc "vocitabant omes, quo in cafu caufatum procaufa (umebatur. xxl U'oniam Planeta gj frgna cele[lia et fi uniuersa 3p [ales caufe [rmt et equiuoce re[peéiu inferiorum Apes) eos fubceleftium corporum: quibuf: dam tamé bg mani; membris bominumá, partibus apblicátur (vnde eo inflaunt illis et fa uent) id circo boc in loco,ubi cau[a pro cau [ato ponitur, ex € conuer[o : mon incongrue eo ipfa pro cis ponentur, ee é conuerfo. Planetis ergo e» cele[libus [iz gnis atque figuris ; multis noflro negocio defernientibus noz dis,vutimur: Inter quos «unus efl, «vt planeta quodlibet, Et Jignorum cvnamquodque:aliquam noflri corporis parté cui faucet fua figura, demon[lret. Eficergo Planete eo figna;et quibus bominum faucant partes enumerentur. 1. Sol capiti cg: cordi conferre dicitur. à Mercurius lingua cg» ori. 3. Saturnus [Pleni. e 4-Tuppiter Epati. jd dars fanguini. Venus renibus co femini genitali. 7. Luna [lomacho. Ex Crin.lib.i2. Capa. "Duodecim figna que mébris bumanis fauere. dicuntur, eandem vtilitatem noflre memorie pre[lamt, quam co planeta donant. Le/drieti caput bumanum fube[fe autumant. 2.7 auro Ceruicem. 3.Geminis humores. 4-Cancro Cor. $. Leoni Peélus e$: flomachum. 6.U'irgim "ventrem. 7. Libro renes vertebrasQ. 8.Scorpioni genitalia. 9-Sagittario femoralia. 10. Capricorno genua. I1. A quario tibias. 1. Pi[cibus Pedes. Manilius &9 Crini.vbi [upra.i. lib. 12.Cap.*. Iterum,quia Authore eodem Crin.ubi fupra, 4€ quamz pluribus alijs. 1. Caro à terra prouenit. 2. Humor ab c^fqua. 3. Anbelitus ab c Ære. 4. Feruor ab igne. $- Ingenium a "Deo: c/4 quo bona cuncía procedunt: Ideo ergo caro terram in bac arterepre[entat e e connerfo, ej f/« de ceteris. £ uoniam Pars fecun da.. It - Quoniam elemento cuilibet tria iuxta cAflvologos Zos diaci figna re[pondent eg) pre[unt, bac ergo de caufa Eles mentum quodlibet im bac arte pro quolibet trium fibiprafidentium fignorum figillatim atque diuifim : «velpro oibus tribus fimul [umptis poni potefl, e: € comuer[o. Igni præt Aries: Leo: Sagittarius : À eri Gemini: Libra : Aquarius: Aqua, Cancer: Scorpio:Pifces: T'erre, T aurus: V ingo: Caz pricornus. Iterum pro fordida, «vel pulchra figura, vel Jculptura, vvel [cripto, vel alia quauis ve artificio fabrefacta, ipfum eius artificem tuo loco repones. € conuer[o in tertia [pecie fit, quia pictura "velfculptura fium repra[znta: artificem. SNam [i à pidlura quis fibi nomen aliud à proprio aliz quando vendicat (^ut piclori illi contingit, qui à pingenz dis auibus miro mido, Magifler ucellosmuncupabatur)quaz re ctiam, ipf a pidlura, alicubi pofita per realem pofitionem vvelimaginariam, ip[um picloré non repre[entet:que quan oque fe pingentam prater proprium alio nomine donat : Amplius: diur[arum qualitatum [becies, l'ecund quas bomines "vel aliares, quales e(Je dicuntur € funt, faculta tem non mediocrem nobis inueniendi pro memorandàs figu ras conuenientes, prabent eo donat. LH abitum vel difpojrz tionem(qua in prima qualitatis [becie computantur ) baben tes,pro alijs, qui ciu[dem funt qualitatis, nom incomueniéter ponuntur. deo (im prima qualitatis [becic commorando ) edilronomum, pro altero eiu[dem babitus [ciétifici ponam, Thefauri memoriz artificiofz eo babcamyverbi gratia, A tblanté;cvel Prbolomeum (qui iam pridem in astronomica floruerunt [ciétia) pro tali astro nomoputa Iobanne babere poteris C7 e conucr[o.Sic idetiz dem inter omnes illos bomines, qui babitibus intelle£fualiz bus fiuc moralibus, fiue naturalibus, [eu diuinis refulgent,. evel reful[ere, fimilitudinem talem efl inuenirc,qua bic pro illo ponatur, € isle atium repr&fentet,in noflra artificiofa memoria. Similiter idem de "vitis, qua in hac reponuntur fpecie; fantiendum.*unde pro adultero Paridem ponas «vel Phocam Imperatorem vcl Ce[arem Buguflnum pro gulofo:. Claudium (Ce[arem, vel Holofernem, vel Cambyf[em. Pro crudeli: Eferodem: Diocletianum "Domitianum ; *vcl Neronem vel Madeam: vel Athilam.fíc de ceteriseo e conuer[o:nam rvitiofum quem nofii, pro quolibet fimili poz nere "vales. Improprie autem animalia quedam hifce e fimilibus paffiombus pradominata: diuer[os uitio[os repre[cntabunt. Uude vrfumpro bomine irofo, Leonem pro fuperbo : pro auaro [erpentem:pro luxuriofo,columba:pro «vanagloriofo, equum eg pauoné:pro gulofo,'voracem lupum «(J[umam. Hic te no[[e oportet, qualitates in abfiracto, fr 'gnificari po[]e per illa, qua in concreto nouimus aut etia (cn[u «videa mus co ca propter, fi qualitatum aliquarum recordari evelis,aliqua tales qualitates babentiaspro figuris ponere utis le admodum erit : Idcirco, ut [ub exéplis loquamur de qua litatibus dumtaxat fpiritualibus (idé aut£ erit iudicium de ceteris [eciebus qualitatis) diciumus, quod, M, Ed a Parsfecunda ; 15 Si multarum [cientiarum "vel artium nomina, vecenfere mos oporteat, ucl eiu[ dem callentes,cvelearum inuentores, aut etiam amatorts, non dedecet pro carum poni figuris. «Unde Laurentium V allam, vel Prifcianum,pro Grama tice pono: MT ull.pro Retborica : pro Dialeclica,e driflo. € pro Philefophia: Platoné;pro T beologia: Galenum vel Iippocratem, pro e edicina: Alchimedonem, pro fculptus ra: Pbyadam vel zeufim, propitiura : Democratem, pro Architettura: Atblantem, Zoroafte,rvel Ptholomeum pre e Aflrologia: Archimedem.pro Geometria: A ppollinem,Orz leum,vel Iopam, pro Muftca: Penelopem vel Lucretia vel Iudith procaflitate: Cacum vvel Neflorem,vel T hefeum, ucl H'erculem,vel Milonem, aut certe Sanfonem, «vel Goliat pr fortitudine etiam animi. "Pitbagoram, Zoos roaslé, Simonem, Samarcum pro Magia: T'raianum «vel Ca[arem, aut T itum, ey Vefpaftanum, aut Antoninum pium.pro Clementia £o humanitate. 'Themifloclem, Pomz peium pro modeflia,cvel-verecundia: Socratem, Zenonem, pr fobrietate, co temperantia. Item A ppollonium, lohannem Baptitlam, Heliam,c/fmos, pro auckoritate. Aliud bic infra exemplum ponere volumus, concionato vifor[an baud ingratum, &j) boc quidem materno. [ermoz ne ficut to concionaturus vti a[folet. Sicome un bel prato di wvagbi e diuerft ftori 'adorna; et come il corpo noflro di ricche e nobil vefli coperto, e) varie parte di quellocome corpo, collo,braccia,mane, eo dita di varij ornamenti. vi[blendenti danno gran confolatione Ff all ocs Thefauri memoriz artificiofz All occhio che li miras cofi il prato dell'anima noflra con tut 1 le fæ nobil parti, quando fi troua delli odoriferi fiori dclla «virtu coperto; &g* la noflra incorporea [uftanza quando ff tona delle nobile ricche «ve[li delle [pirituali perfettioni veslitayeo delli eterniornamentivifhlendente dona inesti mabile vtile al poffeffore » €2* à i vigmardanti con[olatione, eo infino quafi à gli Angeli marauiglia. Che "vago, €» odorifero fiore € l' bumiltà, ch'infino ne aggiugn: al Cielo. MORI 3 - SNardas mea berba bumile, e piccola, dedit fuauitatem odoris,dice la V ergine. T rouafi pia leggiadra rofa,cbe lapatientia,che alle tem pefte (empre € cvigorofayanzi quanto piu neuica,0 grandina, pin bella ne appari[ce,et fi trouaficut aur probari igne etc. "Vedete di to7. ( onftderate di Y obia. Haute mai inte[o vna conditione di vefte,piu maraui &lio/a di quella della pouertá, che quanto piu fei pouero;tan. £o meglio ti copra, anzi vve[le,che quafi infinitivicchi:fbrez. zate le loro,banno pre[a qfl1a per e[fer meglio coperti,come il Santiffimo Aleffio : dellaquale ancho il. R icchiffimio "Dio prendendo carne humana [& ne vvolfe ve[Hire. £) ui cum di ues e[fct, pro nobis egenus factus eft. Rare eo fignalate ve[li la elemoftna, e hofpitalità:la «vaghezza delle quali tir nol tabernacolo di Abraba itre Angeli. riceuerno nello ho[pitio d' Emaus - briflo, cg cifan no meritare Dio, T'alibus enim bo[hijs promeretur. Deus, die San P olo. Era Pars fecunda; 114 Era Giouabattifla nc] deferto non mollibus «ve[litus, ma della bonorata veste e da Chrifto lodata austerità,dal capo à piedi coperto : chi vorra.opporre à questa «ve[te loda ta da Chriflo? Q uid exiftis in de[cretii nidere bominé mol libus v elitum? uata ricca gioia € quella dell'anello della [anta fede, con la quale Dio [pofa l' anime nostre. "Defbon[abo te mibi in fide; (Come refplendeua di quella il Centurione, che vibe deua pev quella come di fplendidiftimo carboncolo trà tutto [' ifrælitico popolo: SN'on inueni tatam fidem in Mræl,diffe C/hriflo. At ual Corallo che in ornamento al collo fi tiene, che à chi loporta,[econdo i F ilofofr dona allegrezza, ft puo ag guagliare D, quello ornamento della [peranza,che et tiene in feflaSpe gaudentes: Eccoui "Dauid:l atatus fum e. *Pretiofiffimo metallo, e belliffimo ornamento, l'oro,che doue fi troua, ogni cofa ra[fetta : che i Signori intorno alle braccia, à al collo per collane tengono. ma dicattiuo conio ee di ba[[a lega fi troua à comparatione del. Celesle oro dellacharità, che perfettiffimamente adorna lamima:perche efl vinculum perfzclionis:onde,[nadco ribi à me emere aurum ignitum,probatumyt locuples fras.dile San Gioua. nel Apocalipft. Oxnium barum virtutum optime recordaberis.fi homi ncs illos,in eifdem florentes, quos dedita opera in predicto difcurfu pofuimus pro imaginibus talium «virtutum, babue ris: Malta preterea inueniuntur animalia: Aineralia,lepi F fF 2 des T hefauri memoria artificiofz des: Avbores,eo bis fimilia, que propter corum varios effez &us,virtutes, f apores,colores ceterad, fimilia, diuer[as vir tutes reprafentare poterunt. Quapropter Bal[amum Graa tiam: Aurum charitaté.fmaragdus [pem: ^vgétum cbariz tatem: Nardus bumilitatem: lilia virginitatem:Carbunz culus feruoré.£bur ca[litatemr. Mirra mortificationem c. repre[entat. 1d ip[um iudicium feras de vitijs. De habentibus etiam corporales babitus.[-[anitatem, robur, elegantiam, agilitatem, idem dicendum efl .[-quod "Unum pro altero pori pofiit. Hominem robuflum proSan* fone.polchbrum pro Dauide: Nifum,aut Eurialum pro agili, ac fic de cateris:eo- é conuer[o. Multa preterea f milia funt inter cayqua babent uctu talem potentiam, wvelimpotentiam,que [ecundæft [pecies qualitatis,qua aliquod potentiam habet *velinclinationem faciendi velpatiendi vel alicui refiflendi, qua propter pro altero [(umimus.I/nde (uem, ponimus,pro muliere multos gi gnente liberos, Ciconia promutriente patrem. Hac autem exempla impropria cg» nos fcimus in bac qualitatis [pecie ; fed etiam noflro apta negocio nouimus, propterea ponimus. Fungum "vel fruticem cito à terra profilientem pro ve. cito ere[cente: Lacertum, Mufcas pro obliuiofis, deficientibu: in bac naturali potentia : fed «ut aptioribus vtamur exemplis dicimus,quüd Cyneam: Mitridatem:T bemifloclem: Horz tenfium: pro aliquo vel aliquibw memoria claris: Meffala: qui ui nominis oblitus fuit,pro obliuiofo. Méte captum pro flulto:Cacum pro Tobia; (laudi pro Miphibofet : Durum ]'? Patsfecuhdaz ^ 75 ang po duro, quod reftfien di facultatem habet. Interca item, qua fi milem paffionem vel pafübile quas. litatem (qu&tertia [eciese[? eiufe dem pradlicámenti) obtiz nent :requirenda ell fimilitudo, vt «onum poffit pro altero poni. Hinc nigri coruum, pro c/fetiope earegie ponimus. C y. gnum,pro albo -velcano bomiæ .c-4marum ab[yntbium, pro aliave amara,ot puta agarico,c/Aloes ec. Pallidam,eco f"lzid ; auricalchum, quod forfan pra ma nibus habes, pro auri imagine (quod forte non babes) talilos co puta méfa, locabis: Mclpro manna (quod forte nunqua vvidifli (ee confequenter fguram difficaler fabricare poz te A wmor,Murmur, e Twnultas,pro defluentibus aquis, vel [onitu maris. Rofaredlolens,prove alia [nauem odorem fpirante d € comuerfo ec. Sicinter cetera qualitatibus buiufs modi qualificata.[. humido ficco, frigido grami leui, et alijs ef? fimilitudo rez quirenda,-ot exemplis imnentis ej datis, erit addere haud difficile. i: Iterum in tertia [pecie pafsione iracundia aliquis agita tus, pro alio poni poterit, vt pro aliquo iracundo Alexana drum "vel Herculem vel Æ[chinem ponam: fic e conuer[o faciam. Animalia etiam bis predominata pafionibus: Ut fupra de vitis diximus, nobis inferuient, ut homines ipfis fimiles fignent. €9 repre[entent: unde equus co mulus. pro fuz rio[o:Vr[uspro ira[cente ponatur.QQ uia timet lepus,pro ti mido erit. T riftis (7 melancolica eft felis,pro triftis hominis figura deferuiet., eo é contrario, T'imidum pro Lepore ponimás:egsfié de alijs...T Addere que figura cel forma (que quarta [pecies e[D)ft. bi fimilia fint; [uperfluum puto,cum bac omtiium notifcima Etiam in agere vel aclione inter ea qua diuerfa funt fpecie vel indiuiduo adeft fimilitudo,eo:-unum alterum ve pra[entare-valet. V nde in [uo ince[Ju,leo &) Inuis ales,eo« equus, ei in [na rota pauo [uperbum "vel [uperbiam vepraz fentabunt, Bufo ac ferpens deuorans terram, auarum terz. renisin[iflentem ac inbiantem lucris: Canis ad vomitum rediens, peccator em recidiuantem. Leana buc illucque diz. furrensiiracundum,velimpatientem. Homo manus frez quenter mouentem, fe in diuerfa «vertentem, et ora ad ( æ lum erigentem: iram patientem Nuda brachia protendens aliquis, lacertos, [uos acoffa fubinde demon[lrans, coin pugnos fuas manus refkring eus, fortitudinis eel fortis ima ginem tua offeret menti.Cancer, T'efludo,eo e/4finus, c9 3Bos lento incedentes gradu : vel Hotno manus [ub afcella reponens,pigri bominis nos admonet recordari. A d men[am per imaginationem poft tus bomo, parum bibens, eo» comez dens,vel aliud animalpaulatim aquam in vafe;velflumi ne bibens: parcum ac temperatum vvelparcitatem €? tem perantiam. j Antiquitus duodecim men[es anmi: duodecim bominum imaginibus (qui fere omnes «varijs geflibus e acl.onibus fe fe circa diuer[à occupabant officie )pingebantur, tt eX tva riarum UrsParfecunda. 5 116 riarum lelionum [ylua colligitur : e abalijs extrabitur «authoribus. Idcirco boc in pradicamento, prediclorum men fium imagines videntur(eo fi non omties ) pro maiori [als tim eorum parte ponendze: quarum qualibet ab imaginatio nc "vifa, menfis fibi ipfi correfbondentis recordabitur, «9 e comueríó. 7 0 1d gu EUM, r- Januarius fianificabatur per bosniné piclum ad men fam fplendidam opulemtamá, [edentem,ac auide comedenz tem : manumq, ad crateram mera plenam, tanquam quid bibere velit, extendsté: tlloenim in tempore cum feeundu Hippocratem [lomachi calidiffimi fint: faciliter cibos [um ptos digerunt, e ad alios [umendos frutluofe anhelant. 2. Februarius, perfenem igni fe calefacientem:Cuius ra tio freni, efl, "vel quia menfis bic reliqua frigoris ventorum ac int:periei,que Ianuario debebatur, fepe numerovetinet: vel quia iam in co vltima hyemis [enechus adueneritz- 7 3. Martius per bortulanamCuius ratio omnibus: pratipue ipfi hortos feréti plana e[V. Q uis ne[ciat hortos Martio operoftas coli, eg) tunc carlo fauente bolerum [ufcipere [eri n4: z) quantocyus herbas multas progignere? 4. 5 prilis.per iuuenem flores manu tenentem,cum tune temporis vniuer[:e fer? arbores ex herbe flores emittere fo lite, iam cosemifi[Je cernantur? $-Maius,per iuuenem equitantem mollibus veflitum, €o mann accipitrem tenentem :quo frenificabant il'ud tem pss vagandi [patiandi,equitandi,itinerandiue aptum:ccoluptatis inf: uper principium effe c2: a4 indulgendum uniuer "t cora Thefauri memori artificiofze fis corporis commoditatibus atis idoneum. ! 6. Iunius.per c gricolam falcem grandem, qua fenum fécatur, manibus arripientem «vel arreptam tenentem. 7- Iulius, per alium, minorem falcem, qua [ecatur f t/a menta,tenentem. Augufius,per bominem currui inf dentem:nam tcm pore illo frumenta equorum fuper illa difcurrentium terunz tur pedibus,rveliterum per bominem -ventilabrum tenenté ad purgandum aream e. c September, quo men[e iam vindemia tempw adest, per bominem «vuas legentern. 1o. OClober, per bominem (accum [uper bumerum reiez &Wum babentem,eg [emine plenum:nam eo tempore [emi"4 terra conduntur. x1. SNouember, per bominem glandes à. uercu baculo deijcientem:SNam co in tempore matura glandes inucniume tur,e7 [uibus impinguandis (olent offerri. December, per hominem [uem cccidentem et exenterantem: Pradiclarum imaginum [um in noflra memo ria [uperius diximus. Apes ab aluearibus gregatim currentes ad florea rura: Formica euntes «9 redeuntes onera, portantes, prudentis «velprudentia memini[]e nos excitant :in ceteris, vifa bac vvia,tu ipfe di[curras. 6. ue aliquando pa[Jus eft aliquis, (in fcflo predicaz »mento loquentes)alterum in boc fibi fimilem [ua demonflra bit imagine:pauper bomo fcabie plenus, 10b :vlcerofus, Las zari yotonbiar sfecundas 0: oT ] 17 zári erit figura-Obedientis vecórdaberis, fr bóminim capite demi[[o.«? v intlum manibus c9 ab alio duclum imagine. rispatientie,fi bominem percu[Jum, [capulas «vel genas ofa ferre confinis: vis sow won esi ctn ome 7. ue boc in tempore «velillo à natura gignuntur in terra, tempora*varia poterunt demon[lrare: Flores Maj men[em, Amigdala viridia: Cerafa Iunium: (iceves recen tes, Iulium: Pepones,sAugu[lum:V ua; Ficus, Septembrem: "Dira, Mala,Oclobrem:Sorbes, Mefbila, SNouembrem : Iterum-vetu[laves, vt Columna, lignum,fene[lra annos fa quercus, anno[ad, pinus, bominem longeuum,vel aliud " quid peruetustum cuius recordari ccolueris. --.,8.Locus locatum demonftrat: 1gitur (colaféolaves (ias: rus uinum, Menf[a epulas, C'aminus ignem, fuo abfle pofita: femulacro reprefentabunt. EL 9."Pofitione fua fimia, bominem demon[lrat: que feffio: si "velutbomo]e aptat. jet 10.Inbabitu multa funt digna confideratione .nam ve flitus bominum:ac ornatus mulierum, fpecies quam pluris mas, co imagines rerum commini[cendarum nolis alunz de miniflrant. "Uirgo niuis indumentis fidem : viris dibus [pem: Auratis j ier Cinereis cel pallidis bumi litatem;iN igris mortificationem: pannofis, Co refarc itis pau pertatem veprafentat. Regis etiam optime recordaboris. fr Coronam:€pi[copi,fi Mitram: Doctoris, [i "T unicam talas rem vel pratextam: Religioft fi habitum alicubi pofuerisz. [altem per imaginationem. quit UN er 9 uoniam cit. Thefauri memoriz artificiofze v uoniam Ægypti «vice literarum: (qua tumc teyporis inusnt& non erant )immo non.folum litevarum,everum etia C9 "vice nominum c conceptum anirnalibus alis rela maltis vtebantur, que arti nofira non mediocriter prodez? runtádcirco hicinfia ponentur,eo«iflarum notarum [imiles quilibet perquirere poteritzaliqua tamen ratione deductus. fiet e pafim boc i in noflro traélatu maxime in boc capitu lo e$) *rniuerfis in purtibus eins nos [pius feciffe omnis lez gens videre potefe - Flas autem notas idcirco infine. buius capituli [ubnectimus: quoniam barum notarum fimilitudo.. cwn rebusmemoradis:non un& tatum, [ed plura circuit pre dicamenta:cum illarum queda feipfis:quedam [ua actione: quadam naturali potentia: Alia paféione: cla f. d effigie. diuer(a. nobis offerunt. eg repre[cntant. Exempla igitur aliquot Hierogliphicarum notarum, qui, bus Ægyptij rütebantur, [unt infrafcripta, teftibus &pollonio, interprete Beroaldo, Crin. lib. 7.cap. 2 e Macrobio lib; 3- cap. v7. Celi. libiY6 capias. Diodiro alis "vt puta Stra vefibus bo fept. lib. «Plinio. aru (fignificat. Wen. derpéscauda fibi mordens: A: "nj; airs torii, difcur[us iiir ^ Ocul«s luflitie feruator et corporiscuflos i interpretatur. fuus ^ Auris memoria ['ignificat Aures leparis erecta : magna E owes igaraleonis; Furorem indicat... (memoriam. jo" ^ Amteriorespartes conis: Fortitudinem divoruón: Ine-. Mufca impudentem. Canis, quia blanditur e nren cA fpem:futurum tempus ez. denia. F ermica: C du c» prouidentia. y GS 4otsuPanfeeundal 02077 n8 ! Cáput leonis: «vigilantes aut Cuffodes : velfecundum vigi alios tempus pra[ens., ram - QCelum pictumrorem eijciens:Difciplinam evelartem. ig (d Pellicani forma: infidiantem. Infidiz. C ucuf. £ effigies: i ngratitudinem. S pn ( conia: parentum amatores defignat. dan or Columba: tngratitudinem: l upustempus prateritum, V7 quia caret memoria. 007 rib Vipera: Muliere m «viro infidiantem. "icm f yena picta: Incon[Lamem bominem. oen neos Pellis Hyens: Fortune co« calamitatis contemptorem. Capra figaraoptime audientem. oe. c efnguilla: omnibus inuifum, vel alijs inuidenté: 9 uia bomi. boc animal aliorum pifcium focietatem non babet. peus (amclus: Pigrum. Sw s Pigritis; Apiseffigies: Regem indicat. Cni Valtur. Genium et AMaieflatem, velnaturam.Amias *n0 Marcellino c Authore. *"Bouis figura: T'erram. Terra; Sceptrum cum oculi [becie: O syrim feu folem. Sol. Perdicescontumeliofos bomines. b (. ; f, at. * ippopotani "ungule deor[um ver/e; Impium Inia- lor hi fluma, [rgnificat: : ju. A ccipiter:rem denotat cito fatlam. dur. TO REMIT ow. Solicitu Dextera manus paffis digitis:libertatem fronificat. do. Sinistra comprefüs: T'enacitatem: Hec tamen Ultima ceaaquatuor,de Acthiopibus Diod.intelligit. "n Gg; i C pedis dI Thefauri inemoriz attificiofze Malum: "Cocodrilus Malum notat : Baptifta in annotatióiibus etia) prioribus. Literarum Ajieroglyphicarum nieminit Lucax soo ams libadis verfibus. SNon dum flumimeas Memphi conte xere biblos nouerat: Et faxis tátum-volucresi, ferzá: Scul pad, [ernabant magicas animalia linguas. E: Apul. libr. euliino Afini Aurei De opertis aditi profert quofdam liz bros literis ignorabilibus prenotatos: partim figuris huiu[cez modi animalium concepti fermonis compendiofa uerba [ug gerentes:partim nodis cain modum rote tortuofi capreolaz timq; conden/is ait curiofitate prophanorum leclione munita Et Gornelius T'acitus.Primi, inquit, ^ egyptij per K guras animalium [cenfus mentis effingebamt x €otamiquifima rio i numinta memoriz bümane faxisimpre[[a cernuntur. li - erárit inuentores perhibentur «.Pradicta litere potius note - fignad, conceptus mentis explicantia effent dicenidasct, aus : thoritatibus predictis patere pótefl: cveruntanien quia litez gis nomina Cos cvtrba [cripta componuntur, € ita nominibus eo verbis conceptus mentis explicantur : ideo quod . everbis vel nominibus attribuitur(quia mediantibus literis - boc fit. )etiam literis verba componentibus attribui poteft. Hac ergo vatione litere Ægyptiace dicla [unt pradicta animalia cateraq, rem aliquam ad rationem fpectantem, . ideft conceptum mentis explicantia: cum potius note «uel fr (2 gna conceptuum dici debui[femt. Q9) uiatrgo ad explicandos, . vel melius dixerim,ad [cribendos conceptus mentis c "vo «ees eos literas nou babebant Ægyptij,animalibus pradiclis que rebus co bis fimilibus vfi [unt,loco &g) vice literaruns »omind Passfedinda sS] 7 ^ 79 omina cz verbaque fcribi debeant componentium, atà que exinde conceptus mentis demenflrantium ...Hoc auté. dixerim, *vtnemo exiflimet buinfcemodi nota ^ egyptioz «um pro literis, [ed pro'conceptus mentis explicantibus, poni polfe-1deo ab illis non litera: [ed Hieroglyplice litere: ditla funtideft nota quorumdam animalium, uelaliarum vea rum £c-quibus vice literarum vtebantur. De fimilitudine,& confequenter de applica.. tionc figurarum ad memoranda fub alijs modisà przdicus. .Cap. IX. QE Ei ad rem fimilitudinem exquirentes in [uperiori capitulo diximus,rem aliquam altcri conius cg eiufdem pradicamenti fimilem ef tu WO SW] fe, eovconfequenter repra[entare pofJe :c.At nunc operofius ac [ubtilius rerum inter fc inuicem fimilituz dinem per[crutantes,alias infuper [imilitudines, quibus Yes fe nobis offerant., et altera [uo fimulacroreprefcntare po[fimi, indagare «volumus, «vt nobis vndequaque [uppetant menorandoramfigure. Res ergo primo quafi per fe ip[am twerepre[entarimez smorj« poterit, ficut fupra prelibauimus - Quod tunc audaz ler fecerés, cum ip[iuspra[entiam babes: fi ergo que tua in manfione "vel cella-velin tua [unt pote[late recen[ere figils latins debeas, fuo in loco ordinate cuncla difpones,viu perz : lastres The(auri memoriz ártificiofe luflves, deinde mente vecen[eas: "Non enim alie ab illis fum abfle tunc pro memorandis confingenda figura. Secundario per [peciem rel iam pridemabste vie, eg) in mtinoria fenfu feruatam,e per imaginationem in tali lozcataps angulo, vcrbi gratia Equi, quoniam eum multoties evidi memorabor. fi in tali loco, «vbi mili placuerit, eius fis mulacrum e[fo, imaginatus fuero. 3 Tertioper imaginem pilam vel [culptam. Vnde [i Vir ginis Marie recordari vvoluero,eius illic [uam ponam imaz ginem realiter vel per imaginationem. uarto per literam vnamyvt Dei recordabor fi D.se tam in tali loco reponam,In(uper per literas omnes illius no minis, quo resnominatur : quas oportet e[fe infignes : "Ut j^ uoluero T abule vecordari,in [cribam vel [culpam realiter, «ucl per imaginationem in pariete, literis aurcis,rvel nigris, evel rubis boc nomen, TABVLA. Li Q uinto per literas fíélas, ([umptas ab alphabeto anis maliam,velauiumyvel arborum,vel herbarum,vel lapis dun velaliarum rerum,de quibus [upradiximus)qua com ponant nomen illius rei, cuius memorari volueris:nderez &le adinodum recordabor buius nominis, ær.[i pro. A.pona A finum.pro €. Elefanté;pro. R. R inoceroté.N erum enim vero,rot melius alphabeta. tibi de[eruiant : cum aliquod eorum literis, nomen componere volueris, [ume primam li IerAm ab vno alphabetoyverbi gratia,animalium:alteram «vel duas (equentes ab alphabeto c/Arborum, pro ut tibi [ia buerit.nam experientia difces pro futuram tibi non prem, ! banc Parsfecundaz 065817 m0. banc abste literarum fiélarum diuerfitatem offampram. fi enim quod agant aliquid figura nece[fc fit,cvt diximus, e dicemus: eor a nobis, im ponendis figuris a[Jumpta diuerfi tas, quamplurimum no[lro negocio proderit. [i eim litere: JM eov C. vecordari «volueris, murem corrodentem ciceres. («o* bac acbione tuam excitantem memoriam faciliter) fin. ges.Quod fi pro JM milium, ej) pro C.Ciceres poneres,quid apere inter [2 ifla poterunt,quo tua excitetur memoria? Sexto reprefenzatur res nobis per aliquod [olo nomine fimile fibi,ut in equiuocis di[currentibus patere poteft jfi eteznim Canis Celeflis recordari voluero, ('anem auimal terz reflve,"vel pif cem pro cius afJuinain fcgura. - Hc tibi im equiuoco. laborare ne timeas : comextus. enim dictorum fuperius, dicendorumue inferius, te aberras renon finet - te ese ELSE CADÆNY Septimo per ironiam, quado fcilicet pro f apiente pono fa tuum. Et Pocte denfum nemus vocant Lucum;eo quod ng luceat.1tem bellum, eo quod minime bellum .Et Pifcinam dicimus,quibuf dam terminis,reulu[am aquam,pi[cibus cas. rentem. : Oclauo per (beciem impre[Jam aliquandoin aqua vel eculo "vel terra vel niue:-unde recordor T tij, eo quod in tali loco «ubi fbecalum efl vidi eum [e contemplantem: lus pisquia cius ip niue cernuntur impre[[a vvefligia. INono per aliam rem nominis eiu(dem, fed noneiu[dem pronuntiationis:ut pro porr), porrum ponam:pro «ver, 'U/crum, pro fane:[anum qgc-« € conuer [oye 6. ups wach Decimo 'Thefauri memortzartificiof ^ "Decimoper aliquam fimilitudinem, qua babet in prin. cipioynomen unius rei,cum alio nomine altevius-rei... Unde procAriflotele ponam Ariflam: ein vulgari Vna Avifla. e'arrofloo Rofla, e* é conuer[o.pro locetiam uerbo Aupus: ponam Asum.Per fi militudinem quam babet nomen, cura alio nomine,in medio uel fine,ut pro boc nomine ambo ipone tur a me N mbo, Hominem babentem faniem egc.pro fané. babeam. Ffic modus inuenitdi figuras primus efl omnium,. ce admodum facilis, quo ut plurimum ego utor: eiusd utilis tatem pernofco. aie Sum Undecimo per [imilitudinem uel identitatem, quam ba. bet cum [uo genere [pecies, e € conuer[o.V nde fi woluero ve. cordari huius nominis, e/4nimal, ponam Leopardum. ('onz fultum tamenerit,quod fi quando generis alicuius vecordari: uelis,multas [pecies in [imul uno in loco imagineris, V nde. Bos, eo Afinus e» Gallus eg* Cuniculi vc. in ftabulo poz fiti, melius tibi pro figura animalis in[evuicnt. SUPE Duodecimo, inflrumenti, quibus artifices tuntur, eof. dem artifices nobis pra[entant in [uper egs artem: vt Ruffi ci, eo Agriculture recordor, fiin angulo Ligonem ponam uel uideam.erjc. Mruteti-62130 8. "093 Qni Iterum infignia inanium Deorum ut feeptra, t tela efues, arbores ee fimiliayà Gentibus eo infidelibus eifdem dicat«,eos repra[entant, e € conuer[o: Yn[uper pradicta,ea. nobis repre[entaripo[Junt, ob que talia illis aktributa fuere. nde fingularitatem natura excellentis, [plendorisá, [oliss. Phenix nobis iufipuat,cum in mundo una [ila, fingularisq, orsias Xl "Phenix L Parsfecunda.. I2Í Dhenix inueniri dicatur [olidemtidem Phenicem indica. vt poteft. "Uitis, «o ex uite uinum, Bacchuns Liberumq, p4 trem: Et iterum Bacchus vinum indicat. ( iem enim pluries eiu/dem rei, vel nominis vel vtriusq, : diuer[is in locis «vs nius er) einsdem orationi «e concionis recordari, € confequenter pro talibus memorandis figuras poncve uoluerimus, ne pluries in idempenitus, c7 eodem modo propter eamdem in diuerfis locis difPofitam figuram incidas : &&* ex: boc loco in alium vel fuperius poft tum vel infra locatum abso, orz dine pertranfire cogarissoportet "Ut eiusdem vei vel nominis diuer[as figuras babeas,que diuerfis in locis difbofite,camz dem rem [ub alio conceptu, vel alio ordine recitandam fub miniftrent, Co porrigant. Hoc autem terminos intellieenti absa, alio exernplo clariffimum efc pote[l Ut evgo abunde mus figuris: bac funt, que Dij: prediclis attribuuntur. loui : c/fquila, [ceptrum e Fulmen : c/fefculus eo Quercus arbores eMarti: Picus eo* Framea Mercurio : Harpe, quod gladius e$t. falcatus : Q uod &) Oyllenides dicitur. foli: Pbenix eo» Currus. "Ueneri: Columba, Cycnus &) Mirtus Iunoni: Pauo. Plutoni: ('upre[fus. *Pano'Deonature : Venus, AMinerue "vel Palladii N ochua: Et afla quam "tibrat: oleum -veloliua: cox lana. Hb Neptuno: Thesauri memoriz artificiofx Neptuno: Fu[cina, que eo Tridens 500000004 *-. efpollini vel "Pbabo: Coruus €» Cyenus : Laurus e: Loto ee Palma arbores: Lyra: Gryaneum: Arcus Sagitta. €^ Clipeus. V IS ro qmeR ist : Herculi : Claua y Leonis pellis ac baculus : Et Populus arbor, : "Diomedi: Cataracle aues. €T hetidi: c4lciones. " "Baccho: Hedera,'U'itis e» Ferula tefle Plinio. T byrfuscetiam. à; - Palamedi: Grües, que eo dicuntur SNaupliada. (bel: Pinus data efl. 55 rerum infignia gentium ac eorundem T ela:vel uiua »modiillis aliqua attributarationeeamdem «vilitatem pra flant mam eafdem demonfirabunt gentes, €x é conuer[os Fulmen ergo Scythas demon[lvabit. G allos olim Buffone:, nunc Lilia: Romanos Aquila. [us Phrygios: Arcus t9 Pha retra Perfas : Anglos Leonesem Ro[e.Senas Lupa: Floren diam Leo:Lucam Panthera coc. Grypbos Perufiam: Framea Germanos. R omp bea T braces. Lacea Kifbanos: Pila Romanos: 16 'Boios.Sari[Te Macedones:Sibini Llliricos dez enon[lrant,e esonuerfo. 7 LEM Iterum Populive aliqua infignes, illam reprefcutant, ev é conuer[o. Populi ergo infra[criptiinfrapofitis rebus celebres extitere. Scytha equitatus gloria: Seresorientales populi noliles [ant "vellere.Itburei : Medi «9 "Parthi [agittis: T'u(ci falsi, c drufpicio infignes ab infidelibus diccbans Iur. Addis Pars fecunda. bur: Phoenices literarum in uentione: fnderurmn: e Nana liume ac bellicarum artium: Marfi-umbri : *Pylli venenis clari fuere Ægiptij fiftro: eg) iterum Nemptii 7 Babilogi e 4ffrologia: Lacones breuitate:Scytbe, Cretenfes eo» Geloy ifa gittis: Curetes ^ eve T yffaceta eo» Lyrce venatibus, quibus €? viuunt: Beotij palestra (o pymnych exercitationilus : e/ftbenien[es naualibus ej) Geometria: Lacederznones legis bus:Greci ingenio.c Alexandrini dolis. 4mazones pelti eos fecuri: (rotoniate medicina: Ægenire Atbletica:7 bel ani, Tibiarum modulis. eMitylenei arte citbaredica. Iterum caratiberes quibus apud ^ f!'rologos feptem plas netayam, ee daodecim [igna Zodiacinotantur: eadcm fis gna ég planetas demon[lrant:€o € conuer[o: ey: plurimun noftro de[eruiem negotio. vau robin 000€ Hb i (uas T hefauri memoriz artificiofz "CAR ACT TERES : PLANE TAG] ERTSOLIS. n zm zi RE LED inENET Xu &ua Pars fecunda... 113 T'ertiodecimo, organum alicuius fen[us,puta oculus tc. alicubi pofitus pilus uel imaginatus, admonet dc uifiua pos sentia,eo de aclu,qui e[] "videre. Q uartodecimo ( bimere quedam, à nofira imaginatione confecla, cut equus cum capite aureo,pedibus eburneis Cg. memoranda repre[entare po[[Junt. Harum autem machinationum (( himerarumque. coz piam dare baud decet. multitudinem enim talium figu rarum fi quis uoluerit in promptu babet, unde accipere ques at: Q uocirca mi[Ja bec facere volumus : admonentes intez rim predicfatunc ualere quam plurimum : cum alie tibi figure non f'uppetunt. De applicatione quorundam memorandorum ad figuras. Cap.X. - "Ptime recordaberis rei, ff. cam figuris quafi ] SW depinxeris:quod facile erit, fi ea ves [enfibus D NS «0 A exrerisemaxime uiui taclui £u! eiq, tempe P OS 23 re elapíoosqeipotuerit D uod inomnibus bis y 0677 : slorijs recen endis, fatis cà mode fieri affoiet. Eapropter f byfloriarum ueteris tell amc nti aut noui wel certe e ctbnis caruwn [ecalariumq, meminilfe velis : fimiles gura» in tuis locis repones: quarum attionibus seflisqi gre. ilarum facile ecord iberis. Exempla tamen lic ponere nol'amus auandoz quidem i4 omuibus artis bains cupidis facizima e[fe [ciamuse Senicna Sententiarum aut? [acre [oripture "vel fanclori dotTes run cum recordari voluerimus: e« im duas vel tres partés evelplures fecanda [unt. Et memineris, quód non quodlia bet verbum nece[[e cfl [na nos obfignare figura : (. exceptis quibu[dam, rt infra dicemus) [ed «vna figura pofita trius «vel quatuor "velplurium uerborum ad [c inuicem quadam chatena colligatorum,vt puta quia alind eft [ubflantiuum, aliud adiecliuum,aliud verbum eo: pronomen ; que omnia «verba cum nece[Jariam colligationem ad [e inuicem bas beant, memori faciliter eccurrent. eft inquibu(dam fententijs, quorum unum uerbum cum alio ligari baud apparet : multiplicare figuras, €» cuilibet. everbo fuum donare fimulacrum cogimur : fi enim illius pul cherrime [fententia Rom.1. Tradidit illosin reprobum fen fum," faciant ea, qua non conueniunt; R epletos omni ini quitate, malitia &7«. cuilibet verbo [uam affignabofrgus ram: qua eorum quodlibet repre[entetur. Et pro principio 7 fententieimaginabor deum bomines multos babitu philofoz phico, indutos (nam de philofophis eft [ermo. ) ex pellentem illos 2 (ua facie, impellemtemq; in rupem [entibus plenam, qui ibiobícena multa patrant: Ecce prima vcrba figuris do mata. [tradidit illos inveprobum fenfum:vt faciam ca,qu& son conueniunt. nam rupis : [entes ee facinora qua ibidem p nbi v regulas, [upra in oCLauo Capitulo pofitas præ dicla verba repra[entant. fequitur in [ententia : Repletos omni iniquitate : malitia. Provverbo Repletosomni iniqui tate y fecus illoscva[a plena, inequaliatamen: tamumdem: enim Pars fecunda. enim fignificat iniquitas.idefl nom æquitas, non «qualitas : Pro verbo malitia,quendam bominem huius nominis, qu£ noui,in aliquo loco dif[ponam, «vel inum malis repletum. "Pro. verbo nequitia,pigrum bominem ocio[umq;. nam nox quitia inertiam fignificat eo. Siillius fententia diui" Pauli 1.ad Corinthios.ij. ter vir giscafus [um:[emel lapidatus [um:ter naufragium feci coc. recordari velis, fingulis tantum dictionibus vna efl confiz gnanda figura, reliqua autemnaturali commendanda mez morie : "Unde uno in loco pro prima diclione pones bomiz. nes virgis hominem alium vverberantes : pro fecunda lapis dantes : pro tertia nauim periclitantem : "Nocle e? die [ub «una feneftra fila uel era, qua modo aperiatur, modo clau datur. pro in profundo maris fui:fub fcneflva ab intra maz gnum-o0as aqua fal[e,co in profundo funis pro fà ey)c. In itineribus [pe pro bac dictione innumeras formicas ad dis. uer[a loca procedentia confinges.vel mures: vol peregrinos: dammodo fui loci limites nullus tran[grediatur. At fcito buiufmodi [zntentie (upra bominem «vel anizmal,'vel arborem:vel edificium, vt puta turrim, pertesq, eorumdem ab imo incipiendo, ac in ei dem partibus multipli cándo,figuras poni co locari po[fe, €) perquam conueniens. terne loca absqs neceffitate multiplicentur.1dcirco prior fen tétia, Wepletos omui iniquitate: malitiæ 7c.imaginabor ba minem in pedum digitis [cabie repletum: qui digitiinequaz les funt pro hoc verbo. Malitia.pedis collum melle inanctit, Nequitia inter tibia e tibiam fuperius. fN. confinximus : idco T'hefaari memoriz artificiofx idco bac litera totius vverbi nequitia erit inditium ec. Nominum autem ( feu fint [ecierum,cut arborum, vut animalium diuer[orurm ec. (eu indiwiduorum,cvt elemenz torum,celorum, Stellarum,aliquorum angelorum : bominis ceterorumq, fimilium ) recordamur, [i primas eorum literas vel fyllabas, fub aliqua figura difbofue imus. verun tamen egregie [upra bominem talium nominum imagines lo care experientia comprobatum efl: € uod propter imnumez ras pene diuifiones ee figuras, qua inibi reperiuntur, vut fu pra diximus: a[Jolet euenire.Ver[us vergilij eu aliorum poetarum, i principia tans mum eorumdem figuris noflris exarauerimus:eof dem facili ter recen[ere poterimus : Nec elaborandum (*vt in pluribus loquor ) ut fingulis verbis fingula dentur figura, nc innume rabiliam figurarum congeflio, aut oneret [en[um nofiri vl tra quam oportet: aut naturalem memoriam «/tili [uo exer citio priact. Numeri "vero bis fequentibus fimilibusq: fignis figuram ti,occurrent memoria. Pro vvnitatis figura,omnia illa poni pofJunt,qu& fupra pro figuris litere coc. pofuimus : illisq; fimilia Pro numero binario vnitatis figura duplicato, € fic de reliquis. Pro codem binario figure arithmetica [ignatopis fern os aperiettem uel erpenteryel aliquid huiufmodi, co dabit duo quafi buius figura. Pro tersario tripadé ponas : vel aliud quid triangularis figure: REitide quadrangularé, pro quatuor [rc de cateris. Pro numero quaternario poni feretrum poteft, quo mortüi deferuntur : vel aliud quid : ot quedam [edium [pez cies, que quatuor pedibus con[lant : vel animal quadra pe ec. Pro quinario anguem : c? ea omnia, que [upra profigus ris litera. S. pofuimus. Iterum que pro bypfilon figura fupra pofuimus, ea quinarium dabunt buius figura.v. Pro fenario tripodem [upra tripodem pones. Pro feptena rio, ex quatuor boftij angulis unum eorum:quod fi quatuor ponas, eg obfignes,cviginti «e oclo dabunt :[t duo, quatuorz decim: fi tres,rviginti eg vnum. Iterum pro [eptenario vez ftis fab figura huius caratleris 7. confracta vel fciffa : Poz mum [upra pomum difpofitum .. O Clo dabit buius figure 8. Nouenarium dabit pomorum "vncinus. Denarium buius fgura.x .crux dabit: buius autem alte rius 10. malum velpepo vel aliud fimile [pherice figure, [e ens baculum ere&lumpofitum. Cateras numeri fpecies fub figuris huius artis quilizet ex fe reducere poteritcum figura eedem in ceteris [equentibus numeris veplicentur. - Jterum'vnitas per pollicem dextrum figura bominis an e te locati fignificabitur. Binarius per indicem erect, fica, de fingulis "Us, ad decem : boc tamen ordine, quod cum «ve neris ad pollicem alterius manus, qui pro [enario ponitur, ad volam manus plicerar, reliquiq; [equentes, vt bac pera motus differentia, tua non vacillet memoria: À liqui etiam codem ordine pedum digitos attendentes, v[q, ad «viginti, li mnanez Thefauti memoria artificio fze pumcrando perueniunt. Menfes bifce idolis reprefentabuntur.Nam Aaiw, foves repr&/cntant : vel bomo magna Slatura:cvel virgo flos ribus redimita. Iunium : Iuuenis[peciofus : evel [Lecies agri frages metendas continens. Iulium,talis Imperatoris imago,'vel cerafa, amig dala: aliac fimilia,que co tempore mature[cunt esc. Augufum, ein[dem Imperatoris figura, pepones.eec. Septembrem:vua ficus: Mala perfica ez«c.indicabunt. Oclobrem,mala cotlonea. punica eo. Nouembris atQ, "Decembris,mumerus proprius erit ins dicium. Ianuarium, lanus bifrons : vel pauper algens : vel nix reprafentant.Februarius,memoria occurret, ft roo bo minem "ventrem purgantem ponas : febri enim idem ef, quid purgo. Martium, infita,uel Romuli pater indicabgt. Dics fic occurrent. Pro die luna: Luna uel Dianam: ffc de cateris:de quibus [upra inprima parte tratlatus locuti fumus, capitulo quarto. i 1 INegociorum,qua quotidie nobis occurrunt, memoria: in - locis,puta ecclefits, apotbecis,manfionibus, ponitur. Infuper optimie in digitis manuum vel in digitorum articulis multi ponunt eorumdem [igna : ita quod cuiuslibet negocij momen per primam tantum literam geflu digitorum confecta expri mant:-velpropter quandam conuenientiam,quas multi ada inueniunt inter digitos,eorumq; articulos,ad (ua negocia:ut aliquibus iam diclum, e ab eifdem experientia pofimos dum comprobatum eft. Si multa argumenta abfte fuerint replicanda, fufficit, vut pro corum de memoria media tantum [ub figuris veponas,cetera faciliter occurrent : Q uid fi volueris utramq; extremitatem concluftonemq, locare : Primam extremitatem in capite bominis alicuius (ft [upra bominem difponere solueris,ficuti eg) confilium eft ) [ub aliqua reponas figura : fecundam in peclore : conclufionem (ub pedibus locato, wel éconuer[o. [. Maiorem inter pedes, JMinorem in pecore, Conclufionem in capite. Geflu autemcapitis evel manus fu prapecfus mota vvelpedis illius, quod affirmatum vel affirmandum fuerit, «vel negatum aut negandum recordaz beris. Scias autem prudens leGlor, argumenta multa fupra eidem hominem, qui in difputationibus contra te, vel coram te fitus efl vel in tali angulo tibiprefenti,vel alibi per ima ginationem abfle locatus vel locandusest,poni p^[fe - :Nam nilprobibet,ac nilobe[l immo eo quam plurimum prodefl, primum argumentum circa pedem imum [iniflri lateris pra dicli bominis, [ub aliqua uel aliquibus figuris reponere: [ecia dum [ub a[cella in eodem tamen latere.Tertium circa manü brachíjq dextri partes: € uartum fupra bumerum. Q uinz tum in capite vel fupra caput. Cum autem ib; perueneris, ne defcendas [uper finiti lateris partes, alia argumenta: (ft forte alia fuper[unt ) ibidem locando : ni forte tibi [appetat tempus, quo figuras, morofe eo conuenienter inuenire, e inuentas artificio eo audacter locare ac bene difboneve : e» d'ilpofitas bis vel ter ante quam alijs profundas, tu ipfe tez CET cum Thefauri memoriz artificiofz cum vecitare pofsis : Cur ergo fuper caput borniris quintum argumétum locauerisad faciem decendito, in qua [éxtum difbones. Im pe&lore obbauum,circa corpus nonum eec.Et f vvolueris non tantum medium argumenti, [ed eo maiorem £p) minorem diflincle locare,et [ub figuris veponere:quamz libet predi&larum partium in duas diuidito portianes:quaz rum prima-vbi maiorem extremitatem reponere debes illa fit qua prim) ab imo incipientibus &) [ur[um numerando a[cendentibus nobis occurrit: fit ergo prima extremitas pris mi argumentifub pede dextro pradicli bominis fecunda in ipfo pede vel circa ipfum fub vel [upra vel circatalos: Et frc deinceps de alijs argumentisxemplo autem,vt morem. geramus amicis petentibus, e lectoribus cupientibus, hac do Cina clare[cet. Sit ergo tale primum argumentum. Omne quod ex materia conslat,eft corruptibile. Cælum con[lat ex materia. Ergo ez. T'erre cumulus in pila uel fphere fieuravotundus imagiz pgatusmateriei figuram eo: imaginem gerere poterit : cum fb diuerfis formis plufquam catera elementa elementataqi uniuer[a [ape f apius appareat.eo feciidi d.T ba.q.66.ar.1. infra. Materia terra dicitur,quia informis eft. Intra rotun dà terra glebam, corruptos cvermes ex ip[a capofitos,exifle re imaginaberis:Ly autem omne. fignum vUniuer[ale adhaz rens [ubieclo, ipfumq; determinans per rotundam figuram pradicti terrei globi defignabitur. Ergo figura pradicta ly omne demonf[lvat .'Yerra materiam osten dit, intro corrupti "Vermts ly corruptibile, "Pes autem imus ( dexter yii : alicuius hominis [upra pradiclam terram aliquantulum i? arcum ve[lexus. C literam, € confequenter per regulas [i prapofitas celum demonf[irabit : quàd fi tibi bac litera pro celinon fufficit figno, flellis pedem e[fe depiclum, vt claré calum reprefzntet, imaginato. fi autem "Utramq, extremitatem probationibus munire cvelisquoniam ee etiam medio criingenio memoriaq praditis faciliter occurrent: ideo nai ralifunt commendanda memoria. 'U erum e fi pro probationibus memoratu difficilibus figuras babere, eg «ubi boe in exemplo ee fimilibus poni posfint, cire de[ideras: Nota t0 probationes cuiusqs extremitatis, prope diclas extremita tes,tamquam ad illas pertinentes poni debere. Probatio er goprime extremitatis predicli argumentistalis effe potest. Materia per cAriflo. [emper machinatur ad malum .'Uel,. "Materia efl in potentia,ergo fatis idoneis familiaribusq, ho rum ab c drift. diclorum figuris omifgis: ( quas ratione [atis digna exprimere nolumus:[ed oretenus [icut alia multarefe randa co explicanda feruamus ) dicimus, quid pradiclus terre cumulus materiam pre[eferens inflrumento quodam (quo moles aliqua impelli folet, que e2* machina dicitur) ta 4i agitari eg circum uolui credatur, quod inflrumentum a manu culuf dam bominis melle linita comprehendi fingatur. Sufficit ergo, cot buius uerbiymachinatur, aliquo frgno pmotus recorderis, vut totius fententia [emus occurrat: Manus autem eg 2d elbper ly Malum in propofitione predicta fygni ficabitur. fi autem pro probatione velis illud: Materia est in potétia cc. prope pradicium cumulum puteum fine oriz. cio, Thefauri memorie attificiofe ficio, quo faciliter ipfe cumulus intra eum impelli eo immit ti poffit imaginato. Probatio minoris.i.celum con[lat ex ma eeria.fi caufa exempli bac minor probari debeat, e) prope eam,vt diximus, probationem poni oporteat : prope digitos evel ad talos vel [upra pedem imum eft fub aliqua vedigen da figura. Poterit ergo talis e[fe probatio. Omne corpus con ^ flatex materia: Cel efl corpus.ergo, vut totius argumenti eistibioccurrat, (ufficere tibi poterit,ut recorderis, quód ce lum corpuseft .. "Partis ergo humani corporis ( qua vulgo corpus dicitur,quod [ub ftomacho fitum e[t,e& prominet eo turget ) [pecierm fimilitudinem figuramq; egregie gerit imi pedis fuperior parsqua cum comuexo 9 cauo pedis, quod pro celo po uimus,correfbondet :quod celum eft corpus indicat. Lficautem timeo,ne legens.perdifficilem, tedioplenam,eo numquam nifi magno cum labore e? longo exercitio fibi banc artem comparandam fore arbitretur propter infinitas feréfauras fimilitudinem memorandorum vetinentes,quas in bacarte inuenire eo uti compellimur.atq; itá poft longam pradicla artis le&lioné, animo deiectus ab incepto defiflat, opere eg optata ab illo vtilitate priuetur. [cito ergomi le&lor, qud poslquam fex menfium [bacio uel circiter operam buic artinauaueris, exercitiog; qua legifli a[fequi e comz plere conatus fueris, qud tam facile,tam celeriter, tam cos piofe tibi memorandorum occurrent figure: quam facile, di aliquid cribis, literarum alpbabeticarum tibi [upperumt no t&: Quod ideo dicimus,non vt cuiusq, minime rei femper guram ponere «uel vilitate debeas vel neceffitate cogaris: (nam pro vebusprincipalibus duntaxat funt neceffitate con fiugéda figura, atq; pro di[curfibus £f rerum multarum ve plicationibus pro reliquis dicendis e recitandis figuras pos nere non impellimur ) fed ut artis buius vim exercitiíjqi uti litatem perno[Cas. [ed ad vem noftram reuertamur. Fore fan memini[[c defideras fub qua figura &&* in quo figura modocompofita fit argumentatio facla. ft verbi gratia in pris ma figura cec. fi. in barbara vel darij ege. Eorum remis nifceris, fi tecum ip[e antequam in medium diffutationis de fcendas figurarum co: modorum : tales confinxeris imagiz nes, que illos repre[entent modos, qua prope argumenta pro fignis [unt difponenda figurarum atq; modorum. cft fi multiplicentur argumentavecen[enda: multipli centur bomines [upra quibus bac [ub figuris collocentur. «ve rum alio gestu diuer[oq; motu, moueri, aliaq; opera facere, fecundum bominemyvbi reliqualoca[H argumenta, confitz gasfic de ceteris. Q uoniam in difbutationibus: corum queneganda aut ntgata,C o corum que affirmanda-vel affirmata funt ano bis velab alijs,remini[ci uolumus: idcirco €» ea fignis quis bu[dam funt obfignanda.cverum quoniam fapenumero boc contingit ideo plures ( e» diuer[as multoties. ) affirmatios nis eg negationis figuras €) modos pramanibus nos oportet babere:Éapropter pro affirmationum ee negationum fignis atq; figuris,ea ft wolumusya[Jumere po[Jumus, quibus antiqui pro ab[oluendis «vel damnandis:pro fauore vel denegatios ne "vti [olebant: Fac autem erant buiu[cemodi. Calculus thesauri memorie attificiofe Calculus albus in. ab[oz lutione. Fabe albe in abfoluz tione. $ Litera c4 in abfolutione. Litera T.cumvesplaz ceret. Et nota ab[olutionis. 9 Pollex pra[Jus fauorisft gnum. Calculus nigerin dame natione. Fabanigra in damnaz tione. LiteraK in damnas tionc.Litera Thitadamnas tiohiserat. to Pollex «verus denegan tium esl fignum. ip Creta motarunt ruetez 1». Q ue viciffim fugiens rt5,qu& fequenda erant. da, carbone. "Perfius fatyra quinta.(Crindli.6 6.8. aler.de in[li.anti. Plut. Polit.eoc. Rebus.geflis eo fignis, quibus in ab[oluendo «vel fauenz do-vtebantur, pro affirmatione vel afhrmatis velaffir mandis a[Jumes: Eis autem qua in damnando "vel negando «ptebantur, pro negatione, vel nogandis vel negatis; tu ip fe tuisin di[putationibus vti poteris : ita vt ei[ dem «vti fim. gas: vel circæa aliquid agere imagineris figuras illas, bos mines.[.*vel animalia cetera,cvel alia que viua aliquo mo do dicuntur,cut ignem, «vt aquam : qua pro predictis affirz mationibus uel negatiomibus locandis a[Jumph li. Mille etia modis alijs, fisnamus qua affirmata «velnegata [unt, vt eo tu legens experientiadifces.Si entiz dientimemati recordaricvolueris,vel comfequentiaruns multarum, fimilifque generis avgumentationumypar erit eas rum fingulis fingulas donare figuras. Exempla autem ponere baud e[fet difficileveri regulis exemplifque [uperius datis noua apponere [uperfluum effc puto:co maxime, quia tedio non [olum acri ingenio le&lores praditos:everum eo mediocri pollentes 2M inerua nos 4fficere po[e, timemus : ea propter dimi[Jeis eifdem, ad finem tracfatuli properamus. Deanimaduerfionibus circa figu tas. Cum rebus paruulis pro figuris cuti cvoluerà: Ut puta formicis, apibus eoc.multiz tudinem copiofam a[[umas. Sicut locis non eodem die, nec fequenti "vtimur, ita nec hguris implemus : «vt fu pra de locis.. 3 Rem aliquam,qua beri v[us fuifli pro figura ne tam cis cito «v g.bodie pro alterius rei imagine loces, ne forte menti tue, quod prius illi dedifli, redonet. Sienim malum punici; pro cibo egroto conuenienti,collocafli,ne altera die ipfum ponas pro Kege pomorum omnium, eoqu! d Coronam babeat. Si quercus pro alicuius walidi[ simi ligni figura;pofita fit, poft tam parui temporis interuallum, non cfl pro figno cibum por corum repre[entante,ponenda. Kk. Ao Pros Thefauri memoriz attificiof:e 4 Priores figuras à fuis locis delere difficile nonerit, ali quo interit£lo tempore.Verum fi alijs poft paululum [imt ves plendafiguris:bominem man[ionem intrare, cuntiaque fiz mulacraad terram prosjcere, c7 inde foris emittere,cvel per feneftram protjcere fingas : eAMented, coneris fepius noua. uiferc fimulacra,cut memoria tenacius bareant. AMemoranda vesprius,quàm figura con[cruanti donetur: bis velter, diflincle legatur.[icut &&x Ciceroni placet. 6 Figuris naturalibus uel [alternm ab[(que intellectus neftri opere cz pra[entiimaginatione ex iflentibus: (vot [unt natu ralia omnia,co artificum manibus fabrefacta) quo ad fieri potefl uti nitaris: Et iterum ea qua tibi in loco, quem figuris implere conaris,occurrunt, [unt pro figuris a[Jumenda : nam femper imaginarijs vti figuris imaginationem nofiram nia mis laborare compellit. Fatigatur enim tam ipfas querenz do,quam inuentas conuenienter locando,cz locatas per ima ginationem recen[endo. et uod noflvo experimento didiciz mus, ej) fatemurycum pro figuris res, que in manfi onibus no flris vel locis vbi babiramus,occurrunt inquirimus, c9» los camus;parum velnibil nos laborare. 7 Figuris autem illis uti laborandum est que loco (quern implere volucris) apte conueniant. Q) uod exercitio cor paz ratur,z» admodum vtile reperies. 8 Cum igitur proloco Uteris terra,terreis figurissutaris, cit. aqua aquatilibus, cum Carlo celeflibus eg: Nu[qua aut r4 roin cdere edurum imaginandam erit, 9 *Natura docet locatum loco,e» é conuer[o, conuenire des bcrc. To bere.£t ea propter,nec in Cella aut Ecclefia afinusper imas ginationem ponendus. "Ni forfan depitium : «vel aufugiffe conn igA$. 10. //patantum litera vera vel fifa(. fab alpbabetis ani malium «vel fimilium verum [umpta) totam unam [enteuz tia vel-ver(um integrum repre[ent«t,quod fufficit multis. Ji quis.n.V'irgilij verfus quámplurimos repetere debeat,[at forte illi erit. primà lizera cuiullibet poneres uerfus uel carmi nis pro uer[u evgo,0 R egina nouam, cui condere Iuppiter etc, ponet onagrit ; [equitur, Iuflitiaq; dedit gentes frenare;pone ilice. T roes te miferi ec. pone taurii.Oramus prohibe etc po nc olearum montem.s Alium modum locandi, et confi ngedi fuguras pro [milibus infra ponimus fub codem exemplo. Cii figura defunt, cuius recordari velis, vocabulum fcribas, quod euenire facile efe, cum locare nos conuenit nomina fta cunda intentionis, vel res [pirituales: deprimoyvt cum vez mini[ci volumus buius wocabuli [ubieGlum pred catum con clufto eec. De fecundo, "vt cum recordari cupimus intclles lus rationis Mentis ec. 1c Aifigurarepre[cntare debeat vé, quam [ub [exu MASCULINO vel feminino nominamus, eiu[dem fit ipfa fexus: vn de fi paupertatis meminif]e volo, non pauperem bominem, fed paupercalam mulierem pro figura fuo loco veponam. 1L Si forte difcurfus aliquis cverbotenus ate fit memoria retinendus. V erbum quod primo occurrit, illud locato: fit i lud [ubieclum prædicatum, adietlinum nomen «vel fub. flantiuum:prepofitio:interietlio vel aliud quid: deinde ca. mi. Kk 2 tera Thefauri memorisz aitificiofze teractrba. 0 dus 13. eft notato,qu d fi locato "umo verbo. v.g. primo tui di[curfus eg)c.facile [equentis vel plurium [equentium vecordaris,neceffam non effe, qud pro illis, quorum facile recorda. ris,alias adinueuias figuras: [ed tran[cas ad alia, qua memo ratu [unt difficilia, eo illa tuis notis obfiena, «vt q fupra diximus. 14 emimaduertito nece[farium baud effe vut quilibet los cus na tantum impleatur figura: nam experientia difces in eodem angulo uel alio loco plures figuras memorandorum deberi, ee» po[Je reponi:ni fov[an iu dicendo aliquis notabilis tran[itus fiat:ot contingit in dicendorum principalibus punlis et capitibus:que vut plurimum fingularia expetunt loca. I$ dienim quidam diui Thome articulus ftt memoria icti. nendas-v.g.-vtrum Deum c[fe fit neceJarium: cA firmati. uam conclufionem e corpore a[umptam vno in loco fab fn ra reponam. E t ibidem (fi potuero) vel in loco fequenti figu Y45,142 quinque rationes ( quibus ea probatur concluft 0) reprelentantzordinate difponcre po[Jum. Ineadem leclione,feu concione, [iue oratione, feu quarum uis rerumrecitatione,caue ne bis candem a[[umas imaginem pro diuerfis, nec etiam pro eif dem memorandis e» rc. petendisyne forte contingat retrogradi propterea evgo pluris bus atque diuerfis abundare figuris : literarumque diuerfis e vvarijr affluere caracleribus eo fignis, quibus ip[a litere fignificentur, confultiféimum erit : De bis Juperius abunde locuti fumus. In bacarte nouitij pro principalibus punttis duntaxat figuras confingant : ne multip licibus figuris corum grauetur moeinoria.[at eximerit pro qualibet lectione «uel czcione etc. dccem «vel quindecim vveladplus viginti principalium me morandorum [pecies € imagines fnis locis ordinate di[pofaifi 17 Q uorum vt in pluribus euenire folet,cot memorari ve lis, corum longe antea [unt confingenda figura: bac ideo de caufa, "vt cum in tua fuerint condenda reponendaque memoria, tuis in locis, [uis [ub figuris quantocyus reponi ualeat. Etenim ft [nrifle terminos: vel fimplicium berbarum: feu diuer[orum bominum vel regionum "vel Stellarum nomina fimiliumque rerum [ciasste in breui auditurum, memoriaq, ca retinere ez) repetere uelis,vel cogaris, earundem rerum. figuras adinuenire debts, «vt tantummodo cum audieris non adinuenire figuras, (ed ordinate eas locare. e difponere pofGis. 18. (Cum in codem loco,puta ecclefia vel palatio e. diuer fa locara debeas,memento, «vt cum contingit de difcur[u in difcur[um tran[ire, cuel de materia, dicendorum in materia alia, in principio illius rei, uidelicet conceptus "vel difcur fs a primo diuerfi, talem figuram componas, qua conceptus variationé diuerfitatemq in[inuet. co.g fi de e[feclibus cha ritatis,quos D.Pau.enumerat dicés,C barita: patiens e[l, be pigna efL, charitas non emulatur, non agit perperam ec. t-afire velim paucis interiectis uerbis ad fructus fpiritus enu mcrandos:quos ipíe met. D.P aul. alibi ponit : tunc inter effecum Thefautimemoris artificiofze fec uus charitatis: fpiritusd, fructuum figuras : arborem pooeisoneratam ponam, qua fructuum omnium [4 ubfequenzer dicendorum erit figura: Deinde prope illam ponas figuram primi fructus, qui efl pax : duo uidelicet feofculantes, em fc deinceps: Etenim ft ab[as predicta arboris figura: dco fé tibi oculantes occurrant, quid tua quefo indicabunt mes morie? Nil ; uel fi aliquid concepti obtruncatum, aut cum fuperiore continuationem oflendent : quod exrore pleniffiz mum eft. 19. eAMulta alia. animadwerfione. digna. circa. figuras inueniendas [iue locandas fuis in locis [upra digeffimus. De conditionibus figuratum. a Maginaria, vel reales figure mediocris flature [umáturjmaxime fi loca, in quia bus figure [unt collocande, ampla non font, ne locamimisvepleta, confufionem p inducant memoria:ft autem loca fint am pla,magnas ibidem figuras locari nil vetat : immo 2: conuenit. z Ineoaltitudinisgradutua fimulacraponantur vt abf. 4 nimia oculorum cleuationeaut eorundé depre[fione,ea cuncta perluflrare "valeas. 5 "Nota &) imagines mediocri fint luce perfu[u, ficut [upra de locis a[feruimus. 4 Dillent ab. inuicem figure [patio decem cubitorum, ni forte locusnotiffimus fit tunc enim fsgura figurat propior pos terit e[[;. Ef oc autern dixerim nece[fe fore, cum fit tranfitus ab una in aliam rem:mamy,vt diximus, in codem loco n res fyguras ponere non deæcet. : $ Cera vel aliquo buiufmodi imagines conf ngere, quam plirimimultum prode[fe memoria experti funt. 6 (uwnfiguras locas,videas que[o,ne prima qua occurrit, fubito in loco ponaturymift frt tibi conuemientiféima nam poft quam cam locaueris (clariffimum e$t ) per difHicilem effe (fi occurrerit alia comuenientior,) primam 4 fuo loco proijcere. 4 7 Figura aliquid agere imaginentur, alioquin memoriam non excitant.fi equus ponendussungula terram fodiat; fi ln pus; deuovet:ft bomo, aliquo geflu capitis manus uel pedis uel corporis [e moueat. motus autem fit talis, quid fe a fuo loco. nequaquam remoueat. 8 Siplures figuras fimul ponere te oporteat (ficut contingit, cum mome:, aliquod litteris animalium «vel auium componé duin efl ) inter fe inuicem figure ordinate imaginentur, eo nain aliam aliquid agere confingatur:fi boc nomen, Deus,. componendus fit, pro*D. Draconem, pro.E Elefa ntem, pro V Uv[um,pro,S-Serpentem ponam. Draconem exten[um ponam in terra, Elefantem eum conculcantem pedibus anz terioribus, quem V r(us in po[leriora mordeat dentibus, eg: vvnguibus excarnificet, et Ur pedem ferpens «vel (uscorz rodere exiflimetur. 9 Poftisfiruris mel faltem, amequam alijs vepetere dez. beas,tuipfévecenfeas. Pe Thefauri memoriz ártificiofze De vía in particulari quorundam locorum ' &figurarum fub exemplis. Cito prudens lector, quid alphabetamulta 1 fupra pofuimus, ut pote flellarum, impre[Lonum ærcarum caterarumá ue anima« zeros) Igm,arborum, lapidum co cetera. 9 uorum (us efl ut omne illud, quod fub aliqua litterarum alphabeti vedegimus,ad compofitionem dictionis vel nominis deferuire poterit. "vnde [i componere «voluero. boc nomen etrium, pro a, [umam arietem vel abietem, vel egc. po. taurum vel ezc. 2 eZliquandoip[a nomina rerum, que fub. alpbabetis pofnimus,velin parte vel in toto «vel fecundum mmen dunz taxat eam rem cuius memini[[e uolo, repre[entant; ficut est in equiuocis videre;ficut fuperius diximus;idcirco, malum, quod pomum eft : malum quod morbus efl, velrem malam repre[entabit:eox canis terreflris:celeflem e. Tertio cffetius operationes natura, diuerfitas corum,que fub alphabetis pradiclis reduximus,de[eruicnt,ut frmilium rerum(in aliquo [altim fimilium)recordari pofSim, ficut [upra inotkauo capitulo [cripfimus. 4. Officinis diuer[orum artificum artificibusá ue eartdem animalibus, quadrupediLus, arboribus, auibus: deinde herbis: locique omnibus ampliffimis optime wvtimur:fi quodam orz dine in duobus fratrum claustris per imaginationem, omnia predicta di[pofuerimus. $À y; 4n $ 1n quolibet enim angulo deambulatorij claustri eo dua [unt ordinanda officine, quarum apertura co oflit platea, vliberba, claustrique meditullio centróque corres [pondeas Anter angulum deinde priorem, [equentemá, una tantum,e? fic deinceps 5 o boc fecundum alpbabetiordinem. itaque primo loco vnam officinam [ub nomine a: v.g. edbaco, cdritbmetici fcbolam, fecundo loco 'Barbiton[oris apothecam. e fic deinceps. : 6 Inmedioueloflio quarumlibet officinarum,cArtificem ipfum fub eadem litera difpones. e Ante uero quamlibet of ficinamyarborem,fub arbore animal, fupra arborem auem: qu& omnia ab eadem incipiant litera, collocato. Impleto fic clauftro,tum in parte interiori, tum exteriori, inmedio fautam imaginato,qualu[que ad infernum pertingere videatur:ex qua apertura infima eo: ampliféima cernes loca:quibus tuis obfignatis figuris,ad [uperiora perges;cu[aue ad fus perceleflia. inclufiue:ft opus tibi fucrit. eio nS 7 Jibocordine pradiclis locis utiuelismaximo tibi emolu méto e4, effe promittimus.c/Alioetiam modo, vt fapradis €um e[L:prediclis vrimur locis. Hk .. Omifsis con[ultó exemplis, que ad loca ampla pertinent, "Ut puta ciuitates, caslella eoc. "Uel ad loca mediocria, «vt puta eccleflassedificia:vel minora, vt officinas diuerz. fas(quoniam apud diner[os diuerfis inlocis diuerfrficantur ) de reliquis locis in prima. tra&latus parte citatis: qua loca epud omnes eodem [émper modo [e babent:eo exempla [uz pra dedimus, c» quedam infuper pro artis buius pleniore à : Ei declas Thefauri memorix artificiofx declaratione ampliori, intelligentia in pre[entiarum addi mus cox [ubneclimus: Q) uibus pofitis,quedam exempla de quarundam figurarum "vfu, vut amicis quibu[dam morem geramus,in medium adducemus. Dcampliffimorum locorum vfu tale nobis occurrtexem plum,quod Concionatoribus haud erit inutile. rius [imilitudiné [pecificam babeat: propterea quia. ! omnia.bumana corda fab «vna cademque, ficut eo ipfi bomines omne [Deciesreponuntur. V eruntamé in genere mori, diuer(a diuerfis hominibus ine[Je corda fateri cogia mur:e: ea diuerfis nominibus iuxta corum diuer[(as qualis tates conditione[que,nuncupari,e epitheta diuerfa [ortiris eAliquorum enim bominum propter [celefüifimos cogitatus e» obfcuri[fima defi deria,quibus agitátur, cor profundum «velut inferno fimile dicitur. veh qui profundi eflis corde. J/aie primo. cAliorum graue appellatur, Fili bomini v(q, quo graui corde. P [al.s. 4i enim terrena [ubfl antia. «vel inbiant irrationabiliter : uela celo cecleflibus «ve rebus abflracli atque feclufi in terram corde. fere [emper inueniuna tur deprefsi:diffolutum eft cor eorum Iofu.5. dicitur de illis, qui in multos atque. diuerfos [ape [pius cogitatu atque affactu dilabuntur errores : Q uicvelut [nperabundans aqua Yogiones multaá infundit, fi ctales fuis fluidis cogitatibur af L ids. Et si secundum naturam cor cuiu[libet bominis altes féGlionibusd, per diuerfa. quafi inumdantes aqua labuntur: Immo £g) velut amariffimum mare ebullive dicuntur. Cor. impij quafi mare fernens. E[a. 57. edliquorii corda vana gloria velut ære inflata vvefica diflenduntur:q ét ttao faci lius eleudtur in ære, quanto inani fubtili leuique re pleniora inueniuntur: De eorum quolibet Iudith. primo Cor eius eleuati efl. Q ueda vero corda fic inflatur fuperbia, quüd ad celum "v[que elata dicantur. Eleuatum efl cor eius t anteritum [uum:et indurabitur quafi lapis, tob. 4 .A lij diui[um cor babent: Diuifum efl cor eorum,O[e« decimo: bi fant, quiin duas claudicant partes: Quiue duobus dominis feruire ge[fliunt.Cor durum alij retinent : Cor eius induraz bitur quaft lapis, Iob. 41. eAlij [ptem peccatorum nequitia. impurum cor pofsident: feptem nequitia funt in corde illius, : "Pro. x6. A lij cecum,de quibus. Eph.a tenebris ob(curatum babentes intelle&Ium, alienati avita "Deiper ignoratiam, qua eft in illis;propter cecitatem cordis ipforum. Cor uanum. retinent multi, de quibus Pfal. 4. Corcorum vanum eit. evacuum, videlicet meditatione inarde[cente:eo» aL [aue bo ni affelione:quo fit,ne bona quidem loquatur, [ed t4quam fapulcrum patens cor corum exiflat, in[nauem exbalans odorem.Peruer[um etia cor inuenitur, quo && nature, deiq, ordinem difpofitionemque peruertere in [eip[o molitur : c rebus pene vniuerfis inuerfo vti nititur ordine.Veb autem pr omnibus eis, qui peféimum habuerint Cor :quo etiam contra Deum ipfum eleuantur eg eretlo callo,vt fcriptura dicit, contra dominum quaft procedant, dum aduerfus eum. Ex cogitas Thefauri memorisxe ártificiofze cogitationes pefimas machinantur: Hoc ergo cor Deo infenz f fimum exiftit, ficut eo [acra(Prou.6.)f criptura comme morat. Cor machinas cogitationes be[fimas.1a ergo audiflis cordium diuer[orum bominum variam malignitatem,imz probitatem atq; nequitia UVUCrUIm qui voluerit cti (os Deus annceritcontra bas omnes mali cordis pesfimas conditiones: 4 nalitatesq moliri bellum,dimicare:etia eo illas oppugnas rec expugnare poterit: ee "Deiroboratus munimine, vitiorum cvice totidé virtutibus id orare valebit. Eapropter. quiprofundi cordis erat,celeflibut repletus edulijs, (quee fur fim eleuant: mentem ) a/cen[iones im corde fuo difonat -wi graui diuina imbutus [cientia uel fapientia exaltabiz tur apad proximos fuos, qj) nomé bavcditabit aternit:Gra--. «i corde beside tale quid. D. * P[(altes [uadere wvoluir s: fabiungédo.Et fcitote quoniam mirificauit ec. Q) ui enim. gloriam [anclorum nouerit, gg quomodo deus eos in celo fit: honeflaturus à f acra [criptura cognouerit, graui cacitatis et dgnorantie onere in terra demiffo, celeriter rapietur incez: lum-CPer ceteras mali cordisconditiones qualitatesá,quas fupra citauimus, di[currens concionator, &» contrarias cx aduer[o cum predictis conferens:eas mon folum exaggerare: «verum eo audientium animis [uadere, et pene in[erere nititur: FLarum autem diuer(arum conditionum cordium ad inuicem ab cafaéta collatio,eundem concionatorem bis ex integro a fummo vv [ue deor[um("vel quo «voluerit ordine) pra litum difcur[um repetere cogit.c t predicti difcuvfus iterata vecitatio Cg» repetitio, [ub «vna cademá, vecladetur sii iX artificio artificiofa memoria, ac eif de in locis [ub eifdem figuris conferuabitur. SNam poflquam prima vice loca perluflzaueri oniuer[a, in quibus fub figuris bac predicta difhofuifti:aliquo [igno vltimo in loco difbofito,puta manu regref fum demon[lvante: vel bomine obfiflente ne vlterius pros grediaris, fed gefíu pedis vel alterius membri de vepetitioz ne co reuerfione admonéteseadem loca pertranfire, figuras inuifere ee» conceptus peneseas difpofitosextrabere poteris. Loca autem buius difcurfus [unt infra[cripti. Profundum inferni deferuict, pro corde prima conditionis: Elementum terra, quod inter cetera eleméta grauisfimum efl, pro corde fecunde conditionis. Pro tertio corde,ideft diffolutoe 4qua propter [ui diffuffonem. Pro quarto ær,quod elemétum primun eft, quod upra noseleuari con[picimus. Pro quinte ignis de[eruict, qui omnium [ubceleflium corporum primus esf eo loco catcris [ublimior. Pro (exto corde ideft diuifo, nobis de[eruiet celi Lime infima fuperficies terram ver[us difpoftta:qua e fubceleflia terminaris, eo ibidem cele ftia inchoare,co quafi "vtraque diuidere, «o ea ab inuicem feparari cogitato. Pro corde epté nequitiarum: Planeta ois, qui feptem fant,poni bac in arte conuenientiffimo poterunt..Pro corde excacato, celum fixarum slellarum, que cales fles oculi dici affolent, es per ezantip brafimcacum cor,tale celum demonfivat. ( lum nonit,cvanum cor indicabit:na, "vanum ac [uperflu) pofitum à quibua ee inuentum a[ferunt multi: Pro peruer[o primum mobile, quia peruer-Jo vel melius inuer[o vefpetu tamen inferiorum orbium, contra Thefauri memorixz attificiofz contrarioque motu mouetur. Cum id ab oriente inoccidenz téferatur : reliquis Jpheris ab occidente in orientalem plaga tendentibus. Celum empyrcum vbi Incifer eleuauit fe contra Deum,;pro pesfimo corde audacler reponitur. Exempla ponere quomodo fingulis ampliffimorum locorum partibus vti pofsimus [uper(luum,tedio plenum.graue nobis, lecfori grauisimum, co noflri tra&latuli breuitati (atis contraz rium exiflimo, ac ideo deditaopera ea dimittimus. €) uod €? de aliorum locorum infra dicendorum portionibus vvni uerfis,nos feciffe intelligas. Devíulocorum minimorum, qui homines funt, quzdam nunc exempla fubnecto. O Cto euagelice beatitudines,que funt «voluntaria pauM pras Mititas Luclus: E[uries.Mifericordia: ( ordis vunditiapacificatiosmalorum toleratia,et eorum voly.nta ria (f lata perpefsio,[upra bommem ( quem tamé noueris:) fic locato. Sicut apud [acros doclores capilli capitis, pro fus perfluis rebus, ac diuitijs(ft affluant)poni [olent:fic eorum uo l'itaria à nobis abrafío fa&la paupertatem indicare poterit: 1n capite ergo pradicli bom'nis capillis abra[o paupertatis fignum Atque Jfugura poterit apparere. Deor([um autem gradatim ac pedetentim à capite iam [epe dicli bominis in inz fériores partes defcendendo, Mititatis recordabimur:fi am borum [uperciliorum in arcus in. ipfrus medio deflexi figuram co: quaft charaélerem M figurantium co[pexerimus. Lucium oculi. Osexuriem, Brachia deor[um eni ubin Parsfecunda.. ^ m6 fbinde Manus aperta mi[ericordiam.e Atque fub ipf. Co intei ipfas cor locatum,atque ànatura in medio fere difpoz fitum pettore, eius munditiam demonslrat. Crarum utro3 ramque figura duplicem P.tali figno demon[lvantes pacifia. cationis Co per[ecutionis exi[tere po[Junt figura. Iterum decorundem minimorum locorum vfu. DE bonis, qua in terra viventium perfruuntur Leati, los quens concionator,multa,qua à [acræxtraxit fcripta va, populo deprompfit, dicens. ( um de veliquo repofita fit no bis corona Iulitie,qua in illa die reddet nobis iulus Iudex: 1dco post bac (in calo videlicet) corona aurea gemmis com, pluribus circum ornata micantibus,perpetuo coronati inuee piemur. In celo gaudium eternum cii angelis poffidebimus. Gaudent in celis anima [ancforum, canit ecclefia. In Paz radi[o Dei noflri, Leetitia inenarrabili perfruemur:nam [is eut la£fantium omnium babitatio eft in te, dixerat Dauid: Et alibi, Letamini in domino,co: exultate iusti. 9 ui les tabuntur in cubiculis fuis. Yerum ergo ibi magna erit beatorum exultatioin domino,dum exultabunt [ancli in gloria; Pf-149.In "Domo patris domini noftri, eli man[iones mul t [unt perfectiftima ( «vt pote beata) [ciem:ia decorati eris mus: et wando fcilicet Deus perfetle fcientiam [anctorum, dederit nobis, ex) boneflauerit in laboribus ee compleuerit labores noftros, ficut $ap. vo. fcriptum eft. V ifione infuper Dei,vvt clariori vtamur [ermone;ip[o,in loco [anto eius,. aperiiftima beatiféimad, ppete? pfruemur. ua co p maz xin Thefauri memoriz ártificiofze xime letificabimur: letificabis me in gaudio cii "vultu tuos eNam bac efl "vita eterna, vt aperta atque beata vifione, ze uerum Deum cognocant, «o quem mififli Lefum Chri fiumi oh.17. t Q uid inquam?Beatiqui babitant in domo tua domine, in fecula feculorum laudabunt te:Os nostrum ergo inferius exteriusQ laude diuina (dulciori quidem [vper mel e fauum )repletum erit.Inibi igitur laus in Deum refonabit ater na. Suauifcimietia cantus.dulciffimumque Melos,latifiz mumue.cAlleluia,eo« F/armonici concétus audiétur.Cibus. €? potus beatos uniuer[os in eterna uita con[eruanies inuiz fibiles erunt, [icut eo R apbæl c/4ngelus dixerat de (c. £go cibo ej potu, qui ab bominibus videri non pt, utor: qui cibus 7 potus "vniuerfis animabus conuenire credendi [unt. Nec exteriorapa[cua deficient, quà oniuerfi [en[us noslri vefecti permaneant : nam ingrediemur e9- egrediemur,D iz. uinitatem contemplantes eo perfrwentes:et egrediemur bu manitaté Chrifli [ublimé in gloria con[picientes, et pafcua inueniemus: [en[us. n. noflri Chrisli bumanitate maxime oblectabuntur.Cibus, frumenti adeps erit:cibabit eos ex az dipe frumenti: P[al.8o.Et alibi: adipe frumenti [atiat tte] qua autem [apientie [alutaris,potus erit. Et aqua faz pientie [alutaris potabit nos Deus. Ecclvg De [anctaauz && ac fobria ebrietate, qua inebriabuntur fancti ab ubertate domus Dci: «Ac de faturat:one, qua fatiabuntur cum apz parucrit gloriæius, uullus [atis,nerno digne loqui potefl .Infuper im monte boc [ancto Dei, fummus inerit ac perpetuus "x necp cord; Pars fecunda. 17 cordi Iubilus, quem apprime ac perfecliftime Dei populus im celo exiflens, uere inre folix dicipote[l. Beatus populus, qui [it iubilationem. P 21.88. IfHs,in ciuitatis [upernataz ernaculis omnimoda ab[(que fastidio inuenitur vepletio: "Nam replebimur in bonis domus tua : predixerat "Dauid Pfal.6 4.1llic in [apercelefti Hieru[alem.) uoniam confor tauit dominus [eras portarum [uarum.[ecuva [effio erit pulcherrimum pacis [ubfellium babens : fedebit. enim populus meus in pulchritudine pacis,ait [criptura.E[/aie 31. Pax au tem erit continua. wes noninterrupta, [omnus fuauiffis mus non interci(us : alienationem mentis non operans : nec intellectus (peculationem minuens uel interpellans: [ed viz gilem continuumque:quietum atq, [ecurum beatifima cons templationi animum con[lituens. Inibi merces magna nis mis, Deusin fecula benedictus : Ego ero merces magna ni. misipfz olim Fabræ loquens, promi[erat, Gen.14.. vide. te quefo coagitata eo» [uperfluenté meritis vestris menfura in finum veflrum dandam, ev A*vobis letanter fufcis piendam. Videte magnificam munificamue retributionem: Denarij fuperceleflis,in quoconueni[lis, praciofttatem attendite, eterna glorie pondus, quod modo operatur in noz bis: (leue quid ac momentaneum tribulationis noflra) quod quidem in aterma gloria posfidebitis,confiderate,Cocatera. CPrediélorum decem eo» nouem capitum buius difcur[us. memoriam [upra quendam bominem tibi notum e in talilocopofitum, hoc infra dicédi modo, locabis.Imaginata co. rona anro fulgens gémi[que maxime in [wiipfus [ummita-. eim te co- "T hefauri memoriz artificiofze ec coru[catis corona in celo perfruence, ac conditionis cif dem erit indicium. Galerum autem fipra «velcirca qsod predicta corona difbonimus, gaudij extiterit f. gnam prigu las in 9. cap. [ecund« buius partis traditas. G alerurn esté praditfum aurea gemmataque ornatum corowa [upcrpradicli bominis caput locatum imaginaleris. Per vegulas (uz pracitatas latitie figuram babebis fi morbicuiuf dam capiti aduenientis bumano gp) primas letitia fllabas vetinentis recordatus fueris, quo e predicti bominum caput languens imaginaberir. E xaltatio autem qua quis exultans vel admirans frontis in altum erigit ee eleuat rugas, exultatioz uem indicabit [anclorum. Interiorum [enfuum in capite locatorii, quorum primus communis dicisur fenfus circa frin tis partem interiorem refidés confideratio fcientia qualemcunque fimilitudinem dabit cur nil [dentiam, ni illud qd per illos ordine quodam pertranfierit: Circa ac intvoparzem interiorem frontis, cuius frontis in [uperiori capite difcur[us pre[entis mentionem fecifli ordinate € fuccefüiue difponuntur à fen[u communi incipiendo: Ordinem evzo tes nemus in noflra memoriadum exultationem in fronte, c^ féientiam immediate [ub fronte fub citatis figuris reponis mus. eA capite iflius bominis im anteriores partes eiufdem ordinate de[cendendo occurrunt oculi. Q ui beatifica viz fionis poterunt effe figura labia laudem demonfivant, tum quia in os lingua reuerberante laus exterius e[fonat : tum praterea, quia labia ca[dem «votriu[que nominis primas rez einent literas. fonus autem à labijs inguad repercu[sione COH. Pars fecunda confeclus, eo ab illis ad nos exiliens cantus exiftit fioura. Interiores autem ipfius oris partes, vbi, ac quibus nadinus cibum deglutimusd potis, cibi nos admen et potusá, celeflis.Thefauri memortz artificiofz Inore autem flomaci, quod pradictis fnccedit ac fubefl partium:in quo eo primi facillime (aturatio redundat, e digno[citur ebrietas : V'triufque "vocabuli veiq, indicium exi[lere poterit.Cor,'vt ita dicamyexterius, carneum [Gili cet,in pe£loris parte, [i fupra flomachumytamen [ub ipz fius ore, ab ip[o uulgo non incongrue penitus credito, pofitum : quodq, iuxta Ffippocratem, benigno affluens [anguino,letitie ctiam exterioris in carne redundantis caufa eft. Interioris iubiliin celo perfruendi erit imago.V'enter,qui in inferiori noftri corporis portione conslitutus eft, repletionem indicat ni forte fuperius dum [aturationis mentionem fez cifli,repletionis etiam recordatus fueris. Siautem [edeat homoprediclus:eius fc[fio fe[fionem illam fuperius citatam indicare poterit utraque fura cum utroq; tamen offe cruris propter figuram. P. [imilem:quam exprimunt; pacem in pra[entiarum demon[lrant. €) ua £t ratione pes imus à taz lis incipiens,e ad digitos u[qs profluens.Q -buiusfigure de monflrat,indicatá, quietem:cfnte buius bominis pedes interea effufa pecunia mercedem fignificabit: Modius autem fecus pecuniam ordinate, gj) [ucceffiue locatus men[uram: fupra ipfam denarium "vel multa denaria collocata: eÆternum denarium [ignificabunt; circa uidelicet os eius : Pro ponderis figura flatera deferuiet;fi [upra uel fecus pra diéía ordinate locetur. Quomodo Parsfecunda.. Quomodo humanis digitis noftra hac vtamur in arte. Q/amplures [acra fcriptura expofirores,ac catholici . declamatores, quinque afferunt impedimenta,qui bus "Damon,tanquam inimicus bomo, quinque digitis maz nus os peccatoris obfiruere foler ne Confeffario in [ui [alut£ fua pandat peccata: € uorum primum impedimentum, iuxta lob. Raulin : Impotentia efl, qua ipfe peccator, Dei mifericordiam non attédens,peccato [e credit non pof fe vefifleve. Secundum: Fidei fractio tépore elapfo pluries reiterata: Longioris-vite [pes fallax e$l flulta pra[umptio: edmor fii ipfius amicorum-ve."U erecundie moleflia, dum quis qua fecit, vel cogitauit obf tara ore confiteri compelli tur. Digitus,pollex dicitur;quia cateris potentior e[I:per anz tiphra[im impotentiam o endit.Index,quo celum verfus. erecto iuramus,codem figura fidei fra&tionem figurat. Me dius,qui ceteris longior eft longa -vite nos admonet.e 4nuz laris ( ad quem-v[que, iuxta M acrobium eo c Albertum magnum, cvena à corde procedens profluit co extenditur ; ob quod etiam anulo infignitur. ad matrimonij fidem amoremá, indicandum ): amorem: proprium peccatoris extez rumq,, quo amicos amat, demomflrat: AMinimus, qui oms nium de[pecii imus eb, eo auricularis dicitur, quia eo mundantur aures: P'erecundia caufas talemrve paffionem trobis oftendit. Iterum Thesauri memoriz attificiof Iterum de vfu eorundem digitorum exemplum aliud. .NL oclaua quatlione prima partis "DT bo. a[ferit omni] bus in rebus Deum tribus ine[Je modis: Per potentia prs fentiam eo e(fentiam : Poles evgo potentiam: Index quo pra[entia demonstrantur pre[entiam; Medius,qui ab alijs compre[[us vallatusà, pene occulituryvix 4, «videtur,e[fenz tiam,que "videri non potest,indicant. Iterum in bonis bominibus per gratiam ej) charitatem inbabitat Dew:. In fanélis per gloriam.cAAnularis, quia amoris,cvt diximus,in dicium e[l, gratiam e&* charitatemeAMinimus, qui poflrez mus eft, gloriam quam po[lremà dat Deus qualitercunque vepre[entare pote[? : per antiphrafim autem digitusinglorius, co ignobilis aloria fignum memorabile erit. De modo quo quibufdam hominis membris ac Ícctionibus eiufdem fupra in cap. xj. Secunda partis pofitis utimur. Embra diuer[a bumani corporis, diuer[a nobis indi M cant. Digiti pedum eorum, articuli velocem, e« evelocitatem nobis ofkendunt : Ofium crurum reclitudo furis oppofita ve&lum, veclitudinem. Genua timorem tresmorem vel bumilitatem. Gremium fouentem vel fauen tem cvelfauorem "vel verenda lca verecundiam : az Flitatem, pudicitiamyuel aliquos,tales conditiones pofidéz i te5: Parsfecundu: - i140 tes : Iteyum generationem «vel generatum: filium,patrem, matrem,egc E mbilicus centrá rei cuiuslibet, medium vel medictatem ; Omnem im communi virtutem,que confislit in medio: Stomachus fobrietatem «vel [obrium, ieiunium, uel iciunum eec P etluus conlantiam:iterum: Peclus di« fcoapertum [inceritatem : coopertum duplicitatem. Omnia autem membra interiora diuer[as fignificabunt ves noflro propofito deferuientes Nam cor amorem. Feliram. Puls enones animo deicélum,pufillanimitatem: 7d anus e» brachia binc eo inde deorum pendentes: petentem mi[ericorz diam, vel ipfam mi[ericordiam. Manus iniuncle eo elenate orationem: eXMamus cancellata, ideft digitis infertis compofite admirantem, admirationem .. Brachium in alzum extentum eo» inpugnum complicata manus pugnam, iram, fortitudinem Brachia nuda: virtutes, cutres. Ffumeripatientiam.:onus Charütatem ac Pietatem Collum, in quo neruorum omnium, qui dura (unt corporis ligamenta, Cg à capite in totum corpus defluunt : R ei alicuius vel revum colligantiam:coniunclionem, conuenientiam;atque fisilia defignant. Senfus oymnes ac eorundem organa preter atlus ipforum [en[uum, quos apertiftime demonflvant, alia etiam nobis indicant. Ociuli,qui iuxta e/dri[l.reiá, veritatem inucntioni deferuiunit,rem inuentam vel inuentorem fanificant: Iterum intellügentiam, intelleclum, fcientiam, curiofitatem,peiulantiam,luxuriam.fatuitatem, frmiliad, qua oculis facillime demom[trari folent. e4uris inflrumenz tum eg [abictfum auditus, Difcipline nos admonet;atque à Pa 'Thefauri memoriz artificiofz dolhrina: difc ipuli etiam atque do£lovis imago poterit esse: e/fuditus enim di[ciplinam à doclore traditam indicar: Iterum auris obedientiam bumilitatemue pra [e fert. Os, cuins in pártibus exercetur gustus, « obrietatem,parcitatem, abflinentiam.eo iterum,quia ore loquimur, locutione. atque filentium/Nafus odorum di[cretiuus, difcretionem, iuxta D.c/dntoninum .. Frons difcooperta, nulla notatuminfamia:cooperta infamem: Reneseo lumbi, caflitatem vel luxum. fNates igpauum defidemqa, : conglobata enim caro ad fcffionem apta buiu[cemodi bominem fignificare potez vit." Poplites,qui [ic dicti [unt,quid posl plicentur, duplici. tatem fraudemá pratendunt. Q ue membra "virtutes fi gnificare diximus, quia contraria debent fieri circa idem: idcirco vitia opposita demonstrare poterunt.Q) uadam auté »nembsa alia ratione contraria finificant;[cilicet per antis hrafim,ut intuéti patet. Hic tertio animaduertito, quid 3 in ab[lracto aliquid fignificare diximus, inconcreto eadem fignificare intelligas, eo € conuer(o: Pectus enim non tans tum con[lantem;fed gj con[lantiam fignificare potefl, e fe de c&teris. De quibufdam huiusartis fi guris. Et primo dehumanis digitis, ac co rundem nominibus, &., eorum víu in hacarte prafenti H Vmani digitiin qualibet manu funt quinque: Primus, A. A qui cateris breuior, [ed cunctis potentior, unde e: Pol lex Pars secunda.. lex dicitur:eAppellatur etiam ez) Ffallux quia fuper alios faltat «e [candit. Secundus Index efl, quem alio nomine veteres falutaré dixerunt. Ffoc digito filentium etiam anz tiquitus indicebatur ft ad os compre[Jus € [uppofitus oflenfus fuiffet, Martia. libro de Nup. *P bil. T ertius medius efl,qui ce alias uerpus à "verrendo podice diclusefl. nde eo terri) infamis vvelfamofus, vel impudicus diclus eft : $ uartus Medicus evel medicinalis e? anularis appellaz tur: uintus,qui minimus €? auricularis nominatur.Pollex ergo potentiam.faltum,[canftonem vel a[cenftonem fi gnificare potefl: Index [alutem:e falutare, falutiferà etc. filentium,iuramentum c7 fidem.ZMedius,quia medium te inet,bonorem uel bonoratum:regem:prafidentem:Q) uia lon Jor eg maior ceteris:maiorem vvelmaioritaté: longitudinem:excellentiam qualibet "Uel quia wverpus dicitur infaem, impudicumá, demon[lvat: MedicussZMedicii,mez dicina. €) wia anularis:matrimonium:amorem, fidelitate, obfignaturam eo obfignatum: M inimus bumilem atq, dez eCfum : cvel obedientem, quia auri deferuit:evelimmundum:*Nlec arti noflra officit, quod idem membrum diuer(a €» aliquando ctiam contraria fignificet : nam diuerfo bropofitodiuer[is in locis : tempore diuer[o: pro diuerfis eodem «uti membro,ac etiam qualibet artisno[lre figura res rez [cferente diuer(as nom dedecet, mon inconucnit, immo boc fapius ipfa nece[sitate compellimur. eN n Iterum: Thefauri memorrie artificiofx Itérum motus diueríi corporis. variarum rerum : nobisimagines donant. Eeuatum igitur caput [uperbiat indicat: Os apertum; E celum, blafphemiam, bla[phemantem eec. AManus complicata auaritiam: Malus aperta liberalitatem: Yterum dextra liberalitatemymunificentiam s finiftra auaritiam,cupiditatem;tenacitatom: Dextra iterum bonor em, profperitatem:finistra ignominiamjinfortunium. "Pes. dex ter affeilionem eo afectum bonum : finifler in malum accipi ur. "Pes defixus immobilitatem, firmitatem,con[lantiam.Oculus in terram depre[Jus, «verecundiam, honéftatem. Oculorumautem motus diuerfi plura interiora cordis oftendunt pafsionesq, multas bominis indicant nobis. Pedes: ad fugiendum compofiti, fugam, timorem:commordens fibi digitum, 'vindiclam vuelbla(bbemiam.Primi dextre maz nus digiti, quafi ad numerandum compofiti,&el ad [criben dum deflexi,numerorum vel [cripturarum: vel numeran ti vel [cribentis indicia [unt.fic de cateris De vfu alphabetorum omnium fiue characteribus. conftantium, vt füht alphabet grzcum:hebrai cum:Latinum ; ceteraque: vel ipfis naturalibus rebus: vt fun t alphabeta mineralium, lapidum; gemmarum, herbarüm,arborum; jummatü:pi Ícium,auiü,imprefsionü, ftellarum, horum &c. é: Vn qua locanda [unt, «vt memoriter teneantur:qua vel effe non babent prater opus intellectus, "vt intentionalia Pars fecunda. 141. riohalia omnia vel pure [piritalia funtzct gratiatvt virz tutes feré omnes, qua vix éxterius apparentyvixq, compre bendi po[Junt:. uorum omnium [imilitudo ac exterior figu ra excogitari eg inueniri baud occurrit: tunc ad alphabeta predicta fuperiusque ordinate difbofita confugiendum res flat; quibus prædictarum [piritualium rerum, eo fecunda intentionis nomina componas. fi cut fupra prelibauimus eo bic denuo tanquam memoratu necc[Jarium con[ulto vepetimus De vfa alphabetorum ex literis et caractheribus: compofitorum. y Rocuiuslibet rei figura, per regulas [uperius ditas in p nono capitulo omne illud poni pote[!, cuius nomen inis tium babet ab eadem litera, à quaves cuius memorari vvolueris, incipit: Quapropter apte recordor peffimorum ludi fi«iuum effe&tuumq,, fi infbiciam in manuum articulis uel Alibi difpofitas per imaginationem literas illas;à quibus pra diclorum frulunm nomina initium babét .'Unde quidam declamans,e ludi errores exaggerans co» commemoras fe cundum albbabeti literas viginti, tot enumerauit errores ; quot apud Gabri.Barl.eoj Paral. D.czaninuenies. N»e5 a Iterum Thefauri memortz artificio fz Iterum de eifdem alphabetis ex characteribus compofitis.. qox sIMnes litera: cuiuslibet fint alphabeti, numerum diÓ quem denotant : ed prima noflri alphabeti litera : e4lpha prima in greco: ac Aleph prima in bebraico,viitatem eg principium numeri denotant: B binarium : C.trnarium numerum, e fic de ceteris alphabetis ; C9 alpia. betorum literis.Uer enimuero figuris caracteribusq, qibus aritbmetici numeros fignant,cUti pofJumus: In[uper cia quibu[dam alijs modis, [icut [aperius prolixe [atis diximus, prædicti numeri notaripo[Junt. ez4t quia uarietas €g* duer fítas,qua diuer[os notamus numeros,conducit memorie go eam tenacem reddere valer:ideo dicimus, quód fi [piu di uer[orum numerorum. [pecies haurire memoria cvelis vel ea[dem pluries replicare, e ab[que tadio.«v fine ervrris nagationisque periculo eas &ud celerius occurrere menti defi deres, omifis quibus atitbmetici vtuntur figuris : vel ea[ dem pluries replicare fpecies, quibus non frequétius vvtimur, cum uon [atis memorabili figno ab inuicem. difinz guantur, ad predicla alphabeta vecurreré peteris, charaGeres atque figuras : eg quodlibet elementum ez liera numerum aliquem tibi donare poterit, prater primam, que prima vice in figuram defumpta, non numerum, [ed numeri principium co unitatem donalit. * Prima ergo e4lphaberi litera v. £. e]. nitatem: 9. Linarium numerum donat.ce [ic deinceps. cvniuerfis aiit literis prima «vice dez curfis, Párs fecünda,. 55) 343 curfis,ad eA iterum redeas, && duplicata figura pro vigez nario [upra "nitatem deferuiet numero: fic de reliquis lite ris alphabeti pradicli dicimus, In infinitum boc modo litez ras replicando procedere po[Jes,[ed tutum baud efl :nec arti noftra con[cntaneum; idcirco duplicatis characleribws litte raríjs, quibus nos cvtimur,per bebraicum atque gracum eos dem modo di[curras. De Alphabeti hebraici vtilitate,. A 9 Hebraico alpbabeto aliam vtilitatem noftro defer uiente negotio extrabere po[jumus:-nam quia my[Teris multis haud caret, et quoniam eiu[dem qualibet littera fiz gnificartionem ctiam duplicatam qj triplicatam babet: id circo tales charatleres ; diuer[arum verum per ipfos fignificatarum indicia ce [igna erunt, co é comuer[o: Harum aus tem litterarum eg» pradiclorum charatlerum nomina eo appellationes:e fi fuperius po[uimus cum bebraicos chavaz eres difboneremus : hic tamen eafdem replicamus litteras litterarumque nomina bac dum taxat de cau. 4, "Ut pene il las earumdem fignificationesponeremus, tum ad noflra ar tis pleniorem notitiam, tum ad legentium «vtilitatem e eorundem animi obleclamentum. eN n 3 Alpha t Thefauri memoriz artificiofz "Alphabetum, Hebraicam. z E Ames le Lo Q0 HÀ AVN SAMECH NVN vw v SADE ALPHABE-, TAV Tnterpretátio Hebraicarum litterarum Diui Ámbrofii Alepb. 2. Beth. 3. Giumel. Dalet. s. He. 6. Vau. fuper Psalmum dicitur Doctrina. interpretatur Confufio. dicitur Retributio. fignificat Timorem, feu natiuitatem. denotat effe vel viuere. Interpretatur vt ille;vel non eft. 7. Zain 22. 23* 24. $4. 26. 27 Int I. 2. 3 Teth..|. interpretatio est exclusio. Lameth.fiue Lamed. interpretatur Cor. vel Parsíecingdai. oir Zain. .. fiue Sæn fignificat Ducte, vel huc.. Heth. dicitur Pauor. ipd mech Ioth. significatione confeffio vel defolatio dicitür. Caph.. fignificat Curuati funt... 5 s Caph. iterum fiue fecüdum idem fignificare poteft. | rra quodeft verbum.i.íeruo,feruas. Mem. SIGNIFICAT ex intimis,velignis ex vltimis: Mem. fecundum.idem fignificat. Nun. Interpretatur vnicus.vel pafcua eorum. Nun. fecundum.vt fuperior littera. Samech. dicitur, Audi,fiue firmamentum. Ayn.. Oculus feu fons interpretatur. Pe. Interpretatur;erraui,fiue os aperui. Phe. Interpretatur forfan vtlittera fuperior. Zadich. dicitur Coníolatio. |... Zadich. fiueZade,vt præcedens interpretatur Coph. fiue Cuph.Interpretatur cóclufio,vel Afpice. Res. | Caput fiue primatus dicitur. Schin. feu fin. Interpretatur fuper vulnus. Téu.ss errauit;fiue confumauit. erpretatur Hebraicarum litterarum Iuxta Domini Vgonis Cardinalis expofitionem fupe Cap. X X X I Prouerbiorum. Aleph. interpretatur. Mille vel doctrina interpretattonum. E Beth. interpretatur domus vel habitaculum. Gimel. Interpretatur Retributio vel Plenitudo Daleth ND T" Thefauri memoriz attificiofe 4. Dalet. Interpretatur tabulz vcl tabulatum, aut Ta 5. He. 6. Vau. 7. Zain. ' | 8. Heth. 9. Teth. 16. Toth. 11. Caph. 12. Caph. nua. Interpretatur Ele vel viuere, vel üfci cipiens velfufceptio. Interpretatur Hec vel ipfa fiuc ipfe aut ille. Interpretatur Ducte.velhuc, fiue oliua;aut fornicatio;vel arma,fecuhdum quendam, Interpretatur vita vel pauor. Interpretatur fubter. vel infra fiue bonum. aut exclufio. Interpretatur fcientia vel dominatio. Interpretatur Inclinatio;fecundum alium vo la feu palma manus. iterum;interpretatur vt dictum est. Lamed. Interpretatur Doctrina difciplina. 14. Mem. 15. Mem. 16. Nun. 17. Nun. Interpretatur vifcera. iterum.interpretatur vt fupra. Tnterpretatur Pifcis vnicus aut fempiternus: Iterum; Interpretatur vt ante. Samech.Interpretatur erectio fiue fübftentatio. Ayn. 20. Pe. 31, Phe. 23. Zarils 23. Zade. 24. Coph. 25. Res. 26. Schin. 27. Tau.Interpretatur fons vel oculus. Interpretatüur.Eructatio velabore. Nihil fignificat nifi forfan quod de Pé dictum eft. velZade.Interpretatur venatio. iterum vt fupra Interpretatur. fiue Cuph. Interpretatur coriclufio feu exclu fio, vel fecundum quemdam fcimia. Interpretatur fapientia. fiue fih; Interpfecatur fuper vulnus; INTERPRETATVR SIGNVM Pradiz Parsíecunda P Radiclis exemplis de diuer[orum locorum atque figuz rarum v [u, eos ad "vtrorumá ad cà, qua memini[Je «uo luerivaus applicatione ad noflra artis: pleniorem. notitiam (^et in principio ecunda buius partis promi[eramus ) poft tis:ad finem [aue 1ralfatulus ifle nofler peruenit. E.a au tem exempla hoc in prafenti capitulo eo alibi bac in (ecunda adduximus parteiqua Concionatoribus de[eruiant, cum precipue iftis adiumento. e[fe defideremus. P hilofopbus : Lurifla: Medicus: Procurator ceterid, ipfi fibi conuenientes figuras excogitent. e confingant, atque [uis in locis ptodiueris memorandis ordinent eg) difhonaut. /ia etenim inz ueniendi locos atqua figuras y €» eas applicandi rebus illis,. quarum recordari "voluerimus, [atis [uperá, [upradiclis exemplis omnibw patefacta e[l. $i quis autern plus forté iu flo in dandis exemplis proceffiffe * e&x in applicandis locis atque figuris prolixius quam par erat nos extendi[Je [ermonem incu[et : meminerit ómnium legentium defiderijs nos baud occurrerepotuife. Flanc enim artem "'oebémenter cus pientibus, co* à nobis fepe ['epius eam cflagitantibus : eg uantocyus eamdem cape[Jere,eg ea vti po[Je defiderantils fatisfacere in animo érat. Exemplis enim datis, quilibet legens, quas in communi dedimus regulas, celerius fuo applicare propofito poterit. Q ue fi à nobis appofita proliz xius non fui[[ent multo cum t«dio, labore,exercitio, ac [atis longo temporisinteruallo, vix eam artem noltri lectores a[[equi potuiffent.F tilitati ergo legentium intendentes, bu- cusQ, traclatuli noflri artem protraximus. Hie autem [ub ifo (RC "'Thefauri memoriz artificiofe ipfo pre[entis operis fine con[lituti 1 «vniuer[os buius noflri operis admonemus le&lores,ot fi qua forte inuenerint à no. : h fcripta, qua "vel non illis [atis vel etiam minime plaz. ceant: quod Jf non opus laboresá, noftros confiderare velint: altem nimis auidum cunclis [atisfaciendi animum confi. derent, eo attendant : f qua autem boc in opere legerint ; qua cvtl (atis vtiliaexifliment vel delectabilia, vel aliz quo modo fibi grata perno[cant : in Deum ipfam referant «vniuer(a, à quo Lona cuncla protedunt : 1n cuius laudem prafens opu[culum laboresá, nostros 2 omnia tum interio- ratum exteriora noflra, gp) nos etiam ipfos veferimus,ac in pofterum veferre, ipfo anmuente;proponimus. ' Cui laus e bonor in fecula. voee Fitieaot wu 3j 6 Acta, Finis T'raclatus de memoria artificio[a editi &. R.*P. F. Co(ma RofJello Florentino Ordinis Predicatorum. ERRATA SIC CORRIGITO. Pagina r. . a. pag.1o.b. pag. 1 1.2. pag. 1 3. b. pag. t f. b. pag.ead. pag.23.2. pag.24.b. pag.5o.b. pag. 52.2. pag.ead. p32.3 4.4. pag.37.a. pag. 42.2. pag.43.a. pag.44.b. pag.45.b. pag.6o.a. pag.72.b. lin.7 lin.4. lin.4. lin.1o. lin.t1. lin. 17. libezh lin.10. Iin.i7. lin.18. lin.12. lin.8. liti. 14. lin.9. lin. f. lin. 1. lin. j. lin.2t. pag.68.poft fig. Equi, et Aquilz,locandz funt figure hominum ; que, quia per errorem pofitz funtad pag. rco.& ror.idcirco ibi delineabis, lege, lin. pen.lege, lege, lage, lege, lege, lege, lege, lege, lege, lege, lege, lege, lege, lege, lege, lege, lege, lege, et repones prout dixi. pag.of. et 96. ez duz pri in Titulo, lege Auttore F. Cofima R.offello. notitiam. claufus. perducantur. fculpat. 31500. decemmillia, conftare. moueant. infigurabilis, ad latus. quz reliquis.& lin.feq.lege, dominantur. nmanuducant circundantes Contemplantur gratiz dei. Tenentur et demum. Duximus uariatum quaz.n.eft prior,debet effe pofterior pag.rrr.a. lin.zr. lege, pag.irz.a. lin.rr. lege, pag.r18.a. lin.25. lege,, pag, 127.2. lin.vlt. lege, pag.156.a. lin.16. lege, lege, pag.ead. b, lin.6. partibus fuo loco fparfis digitis; fiue orificium latantium interius mz figurz funt przpoftero ordine pofita. o us qe nem e 5st Cil 1211 H i «Cididcli € i s i E wr Qr WO T T 4 p * E 1 . j - 1 -- i : . LU a f B 4 á et :Dotux eb | DO V E 0 0n LC E GETTY CENTER !IBRARY ios d vei mus -— z^ NACIME I SM SLDU em E. py e Ta ni iaxalis "iar «d Fir edasptt enisi o a aser ie cus S ap cp ^9 Jh gi "ao CNSSSERGAN PSU NR QN i ip rn. 2^ OE op nie. QE aC Pl e Ws (oda pedi d. « vom i iii 1 xd w Là t J ig i - Je» er. MEMORIA 'ARTIFICIOSA. Cosimo Rosselli. Keywords: mnenomico, personal identity and memory, chiave universale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rosselli.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rosselli: la filosofia italiana nel ventennio fascista – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Roma, Lazio. Diresse il mensile “Noi”. Discusse con SALVEMINI  la tesi di laurea su “MAZZINI (si veda) e il movimento operaio”. Pubblica saggi su riviste storiche italiane, tra’altri, “MAZZINI e Bakunin: XII anni di movimento operaio in Italia” (Torino, Einaudi), e  “PISCANE nel Risorgimento italiano” (Torino, Einaudi) -- raccolti in “Saggi sul Risorgimento italiano” (Torino, Einaudi). Inizia a far politica ed è col fratello R. (si veda) tra i fondatori del giornale "Noi". Col fratello e con Calamandrei, e col patrocinio di Salvemini, fonda un circolo di cultura -- chiuso dai fascisti. Fa parte dei fondatori del gruppo fiorentino di “Italia libera”, fra cui, oltr’al fratello, Bocci, Rochat, Vannucci, Traquandi. Adere alla fondazione dell'unione nazionale delle forze liberali e democratiche promossa d’Amendola, e partecipa alla fondazione del giornale anti-fascista clandestine, “Non Mollare”. Arrestato e condannato a V anni di confino a Ustica. Rilasciato, venne nuovamente arrestato e condannato a V anni di confino a Ustica e Ponza, dopo la fuga da Lipari del fratello. Ottenne, su intercessione di Volpe il passaporto, con una sollecitudine che ad alcuni amici, tra cui Calamandrei, parve sospetta e motivata dal fine di arrivare attraverso lui al rifugio del suo fratello. A Bagnoles-de-l'Orne è assassinato d’una squadra di miliziani della Cagoule, formazione eversiva di destra su mandato, forse, dei servizi segreti fascisti e di Ciano. Con un pretesto vengono fatti scendere dall'automobile, poi colpiti da raffiche di pistola. R. muore sul colpo, R., colpito per primo, viene finito con un'arma da taglio. I corpi vengono trovati due giorni dopo. I colpevoli, dopo numerosi processi, riusciranno quasi tutti ad essere prosciolti.  Commissione di Firenze, ordinanza contro R.  (“Attività antifascista”). Pont, L'Italia al confine: l’ordinanze d’assegnazione al confino emesse dalle commissioni provinciali, Milano (ANPPIA/La Pietra),  Ustica celebra la libertà dei R., profilo di Volpe, profile nel sistema informatico dell'archivio di stato di Firenze. Fiori, Casa R., Einaudi, Franzinelli, Il delitto R.: anatomia d’un omicidio politico” (Mondadori, Milano). Altri saggi: “ “Inghilterra e regno di Sardegna” (Torino, Einaudi); Ciuffoletti, “Un filosofo sotto il fascismo: lettere e scritti vari” (Firenze, Nuova Italia); Colombo, I colori della libertà fra storia, arte e politica” (Milano, Angeli);Belardelli (Catanzaro, Rubettino); Visciola, “La scuola di storia moderna e contemporanea. La prima fase della ricerca di storia diplomatica, in Politica, valori e idealità, Maestri dell'Italia civile, Rossi, Roma, Carocci, Visciola, “Soi "maestri". Il rinnovamento della storiografia italiana fra le due guerre, in i R.: eresia creativa eredità originale, Visciola e Limone, Guida, Napoli, Visciola, Uno filosofo salla ricerca della libertà in tempi difficili: appunti sparsi per una biografia complessiva ancora da scrivere, in I fratelli R.. L'antifascismo e l'esilio, Giacone e Vial, Roma, Carocci, Tramarollo, “Tra mazzinianesimo e socialismo”,  Belardelli, Un filosofo anti-fascista” (Passigli, Firenze); «Il filo rosso». Il carteggio di i R. con Silvestri, Gabrielli, Storia, Franzinelli, “Il delitto R.: anatomia d’un omicidio politico” (Mondadori, Milano). Treccani Dizionario di storia, Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Sabatino, R.. Nello Rosselli. Rosselli. Keywords: risorgimento, Mazzini, operaismo, movimento operaio, risorgimento italiano, Piscane. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rosselli” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rosselli: la ragione conversazionale dell’apologeticus, o implicature cucullate – la scuola di Gimiliano -- filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Gimiliano). Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Gimiliano, Catanzaro, Calabria. Far dobbiamo onorevole menzione di lui, letterato insigne del suo tempo e filosofo di grido, Cattedratico in Napoli ed in Salerno; il quale, a dir del Barrio, partitosi pel genio di visitare l'Africa, e ucciso dal proprio schiavo. Della famiglia di cui è stata la madre del celeberrimo Scorza, matematico distintissimo, istruttore, autore di merito, ed illustratore della scienza per metodi ed invenzioni, morto non ha guari in Napoli. Conchiudendo adunque, pare non dubbio essere stato Nifo calabrese di origine, ed avere avuto tra noi i primi rudimenti di letteratura, tali da avergli dato a vivere. Dal contesto di scrittori calabresi, contemporanei alcuni, e vivuti altri dopo breve tempo della morte di lui, a cui noto veniva per recente tradizione, chiaramente se ne rivela il vero. Discepolo del celebre NIFO (si veda), per la sua dottrina e prescelto a leggere filosofia per più anni a Salerno. Saggi: “Apologeticus adversus cucullatos philosophiae declamatio ad Leonem X Oratio habita Patavi in principio suarum disputationum; “De propositione de inesse secundum Aristotelis mentem libellu” --- LIZIO -- ; “Universalia Porphiriana”. Calabria, Le biografie degl’uomini illustri delle Calabrie, Accattatis, Di questo filosofo si occupano nei loro studi, tra gli altri, Zambelli e Franco. "Rosselli di Gimigliano. Dalle origini a noi" (O/esse) che ricostruisce la sua vita e le sue opera. Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. L'Apologeticus adversos cucullatos è un'opera del filosofo Tiberio Rosselli (1490 Gimigliano - 1560 Africa), pubblicata nel 1519 a Parma grazie a Girolamo Sanvitale che accoglie il filosofo calabrese presso la sua corte di Fontanellato.  Apologeticus adversos cucullatos Autore Tiberio Rosselli 1ª ed. originale 1519 Genere Apologia Lingua originale latino La prefazione dell'Apologeticus che consiste in una storia delle vicende che portano alla sua composizione, è dedicata al vescovo di Lodi, Ottaviano Sforza, figlio naturale di Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano. Alla fine dell'Apologeticus si legge una peroratio, che non è più rivolta allo Sforza, ma al Conte di Belforte, Gerolamo San Vitale di Parma, suo mecenate.   Dopo questa Peroratio, si legge la declamatio e infine sei brevi componimenti poetici in lode all'autore; chiude il foglio il seguente colofone: “Tiberii Russiliani Sexti Calabri Apologetici Finis ad laudem Individuae Trinitatis”.  L'esemplare parigino reca sul frontespizio, sotto i titoli, un breve “Ad librum Carmen”, composto da due distici elegiaci; mentre nell'ultimo foglio sotto il colofone presenta la seguente annotazione a mano: “Parmae MDXX”, e cioè il luogo e la data della stampa.   Che il libro sia stato stampato a Parma viene confermato da Girolamo Armellini, il quale, nel suo libro, intitolato Jesus vincit, scritto proprio contro l'Apologeticus, fornisce queste notizie:  «...dopo l'abiura sotto riportata, temendo tutti i luoghi sicuri, profugo delle varie scuole d'Italia, si portò a Parma...ivi di nascosto stampò l'opera sua velenosa; scoperto il suo inganno da me inquisitore, (come richiedeva il diritto) viene chiamato in giudizio, coperto dallo scudo della contumacia; viene condannato all'anatema, vengono requisiti i volumi stampati, vengono interdetti e bruciati. Dopo che in seguito venne scoperto fuggiasco a Pisa, e, cosa veramente impudente, nel mentre andava in cerca di una cattedra di filosofia, per mezzo della quale potesse infettare i giovani col veleno della sua perfidia, con la forza e l'aiuto dell'allora reverendissimo Cardinale Dè Medici ed ora Papa Clemente VII codannammo che fosse arrestato e che in tale posizione fosse rinchiuso nelle carceri di Firenze; da queste carceri tuttavia col favore di alcuni scappò libero prima che gli fosse fatto il processo.»  Tiberio scampa all'ira di Armellini, il quale non potendolo processare, compone contro di lui lo scritto già menzionato, il cui lungo titolo richiama tutti i capitoli dell'Apologeticus.Tiberio Russiliano-Sesto. Tiberio Rosselli. Rosselli. Keywords: apologeticus, adversus cucullatos philosophiae; de propositione de inesse, universalia porphiriana, Lizio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rosselli” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rossetti: la ragione conversazionale del fratello perduto – la scuola di Vasto -- filosofia aburzzese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Vasto). Filosofo abruzzese. Filosofo italiano. Vasto, Chieti, Abruzzo. Grice: “A philosopher can also discover an ‘antro di pipistrelle.”” Filosofo, illuminista poli-edrico, poeta estemporaneo, tragedio-grafo, archeologo e speleo-logo, da Martuscelli. Studia a Napoli e Roma. Si trasfere a Elba. Ceelbra la liberazione del gran ducato di Toscana con il canto estemporaneo“La superbia dei galli punita” (Firenze, Gio). Si sposta in Sardegna, sotto la protezione del vice-ré Carlo. A Sassari compose e rappresenta la tragedia “Morte di S. Gavino” (Oristano, Arborense). Si sposta in Provenza, a Nizza, dove scopre la piramide di Falicon, che gl’ispira un poema, “La grotta di Monte-Calvo” (Parma). In seguito, si trasfere a Torino, dove conosce Caluso, e si stabilisce a Parma. Inizia a dirigere “Il Taro”. Altri saggi: “Cantata in occasione d'essere l'augusto imperator de’francesi Napoleone I coronato re d'Italia” (Parma, Luigi); La note” (Parma, Paganino); “Alla tomba di Hoffsteder” (Parma, Luigi); “Ode saffica” (Parma, Giuseppe Paganino); “Le nozze d’Esculapio De Cinque” (Lanciano, Carabba); “Annibale in Capua (Napoli, Flautina); A. Lombardi, Storia della letteratura italiana” (Venezia);  Andreola, Biografia degl’uomini illustri del regno di Napoli’ Gervasi,  La famiglia Pietrocola di Vasto; Spadaccini, “R. e le sue battaglie per la libertà”; R. e quei versi ispirati dalla cacciata dei francesi, Catania, R. e la grotta del monte Calvo, Mugoni, “Il fratello perduto: R. e R.”, in Studi medievali e moderni. Nei panni dello speleo-logo ante litteram, si avventura in una cavità del monte Calvo, scoprendo nelle viscere della terra un antro, che ama definire fascinoso ed insieme orribile. Ne celebra la scoperta con la pubblicazione di “La grotta del monte Calvo”; dato alle stampe a Torino, per i tipi di Domenico Pane, Parma. A Pezzana sub-entra nella direzione. Si mostra più attento alle notizie scientifiche e contribue ad introdurre nel periodico notizie leggere, come favole e indovinelli che il più delle volte incensano il nome di Napoleone. Con la sua direzionei supplementi al periodico, da semplici elenchi riguardanti le vendite per espropriazioni forzate, si trasformamo in pagine che arricchiscono i contenuti culturali e di svago della testata. Marchesani, Storia di Vasto, Apruzzo Citeriore, Napoli, Torchi dell'Osservatore Medico, retro copertina di Spadaccini, “R. e la Grotta di Monte Calvo: tra mistero e leggenda” (Lanciano, Torcoliere); Martuscelli. Saggi: “Opere” (Parma, Paganino); “Ai liberatori dell'Italia: ode di Tavanti; Chiari nella Condotta, Anelli, Ricordi di storia vastese, Arte della stampa, Oliva, “Abum di famiglia: documenti, testimonianze, immagini” (Lanciano, Carabba); Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Domenico Rossetti. Rossetti. Keywords: il fratello perduto, la Dora, L’Emonia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rossetti” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rossi: la ragione conversazionale della volontà e della temperanza – la scuola d’Appignano del Tronto -- filosofia marchese -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Appignano del Tronto). Filosofo marchese. Filosofo italiano. Appignano del Tronto, Ascoli Piceno, Marche. Grice: “Rossi touches many Griciean points: universalia, strength of will, and etc. – he also commented, like I did, on Aristotle’s metaphysics.” Attivo filosofo fra Aureolo e Rimini, dalla parte di Occam e Cesena, e oppositore di Giovanni XXII, nelle dispute dei fraticelli, che portarono alla sua espulsione dall'ordine. Ha idee innovative e spesso influenti in teologia filosofica, filosofia naturale, metafisica e teoria politica.  Soprannominato come "doctor succinctus" e "doctor praefulgidus", come osservabile dalle iscrizioni su uno degli affreschi del convento di Bolzano, e studiato e commentato soprattutto per alcune tesi risalenti del suo commento alle sentenze, i Libri IV Sententiarum dichiarazioni autorevoli sui passi biblici che l'opera riune di LOMBARDO. Le sue vedute contribuiscono all'evoluzione della filosofia basso-medievale. Appignano del Tronto fa parte all'epoca della Marca di Anconada. Nacque da una famiglia con il nome di Rossi (Rubeus). Studia sotto Scoto. Insegna a Perugia. Sottoscrive la risoluzione con la quale viene dichiarata lecita la tesi secondo la quale Cristo e gl’apostoli non mai possedeno beni. Prende parte attiva alle lotte interne riguardanti la povertà che divide l'ordine. Insieme a Michele da CESENA, Occam e BONAGRAZIA di Bergamo, sostenne una regola di assoluta povertà per i successori di Cristo e per la chiesa. Si ribella a Giovanni XXII, sostenendo il suo avversario, l'imperatore Ludovico. I francescani che rifiutano la condanna della critica dei frati minori della bolla Cum inter nonnullos di Giovanni XXII sono accusati d’eresia. Questo avvicina l'ordine allo schieramento anti-papale rappresentato da Ludovico. Questi era divenuto ostile a Roma  dopo che Roma rifiuta la conferma e l'incoronazione come imperatore dopo l'elezione a re di Germania, preferendogli Federico I. Ludovico scomunicato, rispose con un Appello. Con esso Roma fra l'altro, viene accusato d’eresia, quindi delegittimato per la sua presa di posizione nella disputa sulla povertà. Lo scontro divenne acceso, la conciliazione di CESENA  al capitolo di Lione falle. Cesena venne convocato e trattenuto ad Avignone insieme a BONAGRAZIA da Bergamo ed Occam.  R. come lector nello studio generale dell'ordine, sottoscrive una protesta redatta da CESENA  contro l'operato di Giovanni XXII. Ludovico i giunge in Italia, prende la corona imperial. Dichiarato deposto Giovanni XXII. Nomina Pietro da Corbara, con il nome di Niccolò V.  Scomunicato da Giovanni XXII, R. decide di raggiungere, fuggendo, Ludovico a Pisa con i suoi con-fratelli prigionieri. Ancora una volta si ribella per protestare contro la sua scomunica. A Pisa i quattro pubblicano un documento, l'”Appellatio maior”, nel quale Giovanni XXII e dichiarato eretico per la sua posizione nella questione della povertà. Lui e i suoi compagni andano però perdendo le simpatie all'interno dell'ordine. Il tentativo di CESENA di impedire lo svolgimento del capitolo generale convocato a Parigi falle, mentre la riunione dell'ordine conferma la scomunica di CESENA ed elesse, quale nuovo ministro generale Guiral Ot, ovvero Geraldo di ODDONE, favorevole alla curia. Lui e i suoi compagni sono condannati ed e formalmente confermata la loro scomunica. R. ispira la protesta espressa nelle “Allegationes religiosorum virorum”, che dichiara invalida la deposizione di Cesena e l'elezione di Oddone, per l'esclusione di metà degl’aventi diritto alla partecipazione al capitolo. I quattro francescani, con Marsilio da Padova, entrano a far parte della curia di Ludovico. Con lui, raggiunsero Monaco di iera, ove si stabilirono nel convento. Perseguitato dalle autorità ecclesiastiche in Italia, fa una ritrattazione formale -- che dove servire da esempio per tutti i dissidenti successivi -- e si riconcilia con la chiesa e con l'ordine.  Nel Improbatio, si concentra sulla determinazione di quando e dove i diritti di proprietà hanno origine per sostenere la convinzione che Cristo vive in povertà assoluta. Distingue tra due tipi di proprietà: la proprietà prima della caduta di Adamo, e la proprietà dopo. La proprietà prima della caduta di Adamo, nota anche come la proprietà dello stato pre-lapsario, momento in cui tutte le creature del divisno si rallegrarono nella felicità, sono profondamente collegati tra loro, e condivisa nella creazione del divino. La proprietà dopo la caduta d’Adamo è stata causata dal primo peccato d’Adamo, rendendo la questione del diritto di proprietà distintamente umana. Giovanni XII nega che l'origine della proprietà è legato agl’esseri umani, sostenendo che e il peccato d’Adamo in sé ad esserne la causa. R. convene che, senza peccato non c’è il diritto di proprietà. Tuttavia, il peccato non porta immediatamente al concetto di diritto di proprietà. Sostenne che la legge umana è responsabile della formazione del concetto di diritto di proprietà, non la legge divina. Usa la storia di Caino e Abele, citando volontà corrotta di Caino per sostenere la sua convinzione. Fiorirono una serie di studi nel contesto della filosofia naturale in relazione alla dottrina del Lizio del movimento applicata al moto del proiettile. Per Aristotele un corpo inanimato si muove spontaneamente verso il loro luogo naturale. Un corpo in movimento deve alla presenza continua, e per contatto, di un motore che dirige il corpo verso un’altra direzione. Già Filopono mosso logiche obiezioni a questa dottrina.  Con la definizione di un “impeto”, la discussione prosegue, ripresa d’AQUINO.  Solo con R. si giunse a conclusione. La sua teoria sul moto del proiettile o moto para-bolico, indicato come virtus de-relicta (forza rimanente), è descritta nelle sezioni di suoi commenti sulle Sentenze che spiegano la consacrazione dell'Eucarestia, in una quaestio sull’efficacia dei sacramenti. Il moto di un corpo è causato da una forza lasciata dal corpo che agiva su di essa forza, quella forza residua impressa al proiettile durante il lancio. A differenza della teoria dell'inerzia che ha lo scopo di spiegare solo il fenomeno naturale, la sua teoria della virtu de-re-licta è una spiegazione che include i fenomeni naturali e sopra-naturali. Questa virtu derelicta spiega diversi tipi di moto perpetuo e finite ed è destinato a tener conto delle variazioni innaturali. Gli elementi chiave della de-re-licta virtu includono:  Un corpo viene messo in moto da un altro corpo, che lascia la forza rimanente in corpo in movimento. All'inizio di un dato movimento, la ‘de-re-licta’ virtu puo lavorare con o contro la naturale disposizione del corpo in movimento. Se funziona *contro* il corpo in movimento, la virtus derelicta si dissipa ed eventualmente lascia il corpo, cessando il moto. Se funziona *con* il corpo in movimento, la virtus derelicta rimane nel corpo, provocando il potenziale moto perpetuo. Ci sono stati diversi filosofi prima del suo tempo, come ad esempio Richard Rufus di Cornovaglia che sembrano disporre già di versioni della “virtus derelicta”. Quindi non è chiaro se questa teoria sia veramente originta autonomamente da lui. Tuttavia, filosofi come Buridano e Odonis utilizzano la teoria di R. per affinare i propri concetti di virtus derelicta, confermando che gioca un ruolo chiave nell'evoluzione della filosofia sulla fisica. Nel secondo libro dei Commentari sulle Sentenze, si focalizza su come la volontà potrebbe agire contro la ragione con conseguente colpevolezza morale. Se la volontà potrebbe o agire prima, o contro giudizio razionale. La volontà è la causa dell'azione. Dopo che l’agente elabora un giudizio, la sua volontà decide di agire sia in conformità con tale giudizio o *contro* di esso. La volontà e il termine medio tra giudizio e azione. Senza di volonta, il giudizio richiederebbe un'azione, negando il concetto di libero arbitrio e colpevolezza morale. Inoltre, la volontà dell’agente è sotto una legge che *obbliga* a compiere un atto buono. Senza questo impegno non ci sarebbe peccato, o colpevolezza morale. Per rispondere a come la volontà dell’agente puo andare contro tale obbligo, distingue tra l’atto apprensivo e l’atto gidicativio. L’atto apprensivo è necessario per far funzionare la volontà. L’atto apprensivo è frutto della cognizione intellettuali e del giudizio. L’atto giudicativo è formato dalla *conoscenza* più complessa in cui il ragionamento si applica giudiziosamente. La volontà non richiede un atto giudicativo da eseguire. Ciò spiega come gl’esseri umani sono in grado di peccare. La volontà non dipende da un giudizio *razionale*. Per evitare l'obiezione che il giudizio è necessario per il ragionamento e non può essere ignorato nel processo deliberativo, offre un'ulteriore distinzione tra *conoscenza* apprensiva e *conoscenza* giudicativa, e due tipi di giudizi riflettenti razionali. Queste distinzioni consentono un giudizio da selezionare su un'altra causa della forza che riceve da essere *selezionato* dalla volontà. Altri saggi: “Improbatio contra libellum Domini Johannis qui incipit Quia vir reprobus, una confutazione alla bolla papale di Giovanni XII. Quodlibet cum quaestionibus selectis ex commentario in librum Sententiarum. Affronta i principali temi: le relazioni delle persone divine all'interno della trinità e il rapporto tra il creatore e il mondo, la libertà di dio nel creare, la pre-scienza divina e la pre-destinazione alla salvezza. “Sententia et compilatio super libros Physicorum Aristotelis Quaestiones praeambulae et Prologus” -- Riflette sullo statuto scientifico della teologia e della metafisica. Distingue primi libri prima ad decimam Questes super metaphysicam. Repertorium biblicum Medii Aevi, IMatriti Visita triennale di O. Civelli, Picenum seraphicum, Ratisbona, Chronica de ducibus ariae, Leidinger, in Mon. Germ. Hist., M. Firenze, Compendium chronicarum fratrum minorum, in Arch. franc. hist., Emmen, in Lex. fA. Heysse, Descriptio codicis Bibliothecae Laurentianae Florentinae S. Crucis, Plut. A. Heysse, Duo documenta de polemica inter Gerardum Oddonem et Michaelem de Caesena, Perpiniani, Monachii,  in Arch. franc. hist., A. Pompei, Enciclopedia filosofica, Venezia, cfr. anche impeto, Possevino, Apparatus sacer, Venezia; A. Tabarroni, Paupertas Christi et apostolorum. L'ideale francescano in discussione Roma A. Teetaert, Deus et homo ad mentem I. Duns Scoti. Acta Congressus scotistici Vindobonae, Roma; C. Dolcini, “Crisi di poteri e politologia in crisi” (Bologna); “C. Dolcini, Il pensiero politico di Michele da Cesena,  Faenza, Roma, Schabel, Il determinismo, Picenum Seraphicum. C. Schabel, “La virtus derelicta e il contesto del suo sviluppo” in C. Schabel, “La dottrina sulla predestinazione di Rossi,” Picenum Seraphicum, F. Giambonini, Giovanni dalle Celle, L. Marsili, Lettere, Firenze, Repertorium Commentariorumin Sententias Petri Lombardi, F. Tinivella, Enciclopedia cattolica, Vaticano, Gonzaga, De origine seraphicae Religionis franciscanae, G. Cantalamessa Carboni, Memorie intorno i letterati e gli artisti della città di Ascoli nel Piceno, Ascoli, G. Mazzuchelli, Gli scrittori d'Italia, Brescia, G. Sbaraglia, Scrittori francescani piceni; G. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad Scriptores trium Ordinum S. Francisci, Roma; I.A. Fabricius, Bibliotheca Latina mediae et infimae aetatis, Firenze; L. Wadding, Annales minorum, Quaracchi, L. Wadding, Scriptores Ordinis Minorum quibus accessit syllabus illorum qui ex eodem Ordine pro fide Christi fortiter occubuerunt, priores atramento, posteriores sanguin. christianam religionem asseruerunt, recensuit Fr. Lucas Waddingus ejusdem Instituti Theologus, ex Typographia Francisci Alberti Tani, Roma,  Ludger Meier, De schola franciscana Erfordiensi. N. Glassberger, Chronica, in Analecta franciscana, II, Ad Claras Aquas; Schneider, Mariani, “Francisci de Marchia sive de Esculo, Quodlibet cum quaestionibus selectis ex commentario in librum Sententiarum, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N. Mariani, Francisci de Marchia sive de Esculo, Sententia et compilatio super libros Physicorum Aristotelis, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N. Mariani, Due Sermoni, Archivum Franciscanum Historicum Nazareno Mariani, Francesco di Appignano OFM, Contestazione, Appignano del Tronto, Nazareno Mariani, Francisci de Esculo, OFM, Improbatio contra libellum Domini Johannis qui incipit Quia vir reprobus, ed. (= Spicilegium Bonaventurianum) Grottaferrata; N. Mariani, Francisci de Marchia, “Quaestiones super Metaphysicam”; Spicilegium Bonaventurianum), Grottaferrata; N. Mariani, Francisci de Marchia sive de Esculo, “Commentarius in IV libros Sententiarum Petri Lombardi”; “Distinctiones primi libri a prima ad decimam”; Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N.  Mariani, Francisci de Marchia sive de Esculo, “Commentarius in IV libros Sententiarum Petri Lombardi; “Distinctiones primi libri a undecima ad vigesimam octavam, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata, N. Mariani, Francisci de Marchia sive de Esculo, Commentarius in IV libros Sententiarum Petri Lombardi. Distinctiones primi libri a vigesima noa ad quadragesimam octavam, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata); N. Mariani, Francisci de Marchia sive de Esculo, “Commentarius in IV libros Sententiarum Petri Lombardi”; “Quaestiones praeambulae et Prologus, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata); N. Mariani, Franciscus de Esculo, “Improbatio”, Grottaferrata); Mariani, “Questioni sulla metafisica”, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N. Minorita, Chronica. Cividali, Il beato G. dalle Celle, in Mem. dell'Accad. dei Lincei,   Gauchat, Cardinal Bertrand de Turre, Ord. min. conc.   "Quaestiones in Metaphysicam", Serino. Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, R. Lambertini, “La proprietà di Adamo”; “Stato d'innocenza ed origine del dominium nel Commento alle Sentenze e nell'”Improbatio” di F. d'Ascoli, in Bull. dell'Ist. stor. ital. per il Medio Evo, Bennett, Offler, Guillelmi de Ockham Opera politica, Mancunii S. Baluze Mansi, Miscellanea novo ordine digesta, Lucae, Cipriani, Dizionario ecclesiastico (Torino); Collectanea franciscana, Nani, Duba, Carron, Etzkorn, “Francisci de Marchia, “Quaestiones in secundum librum Sententiarum”, Reportatio, Quaestiones,  Leuven; Eckermann, Hugolini de Urbe Veteri Commentarius in quattuor libros Sententiarum.  Francesco d'Ascoli, Francesco della Marchia, Francesco d'Appignano, Francisco de Esculo, Franciscus Pignano, Franciscus Rubeus, Francesco Rossi, Schneider, A proposito della teoria dell'mpetus nella filosofia della natura. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad scriptores trium ordinum S. Francisci a Waddingo aliisve descriptos; cum adnotationibus ad Syllabum matyrum eorundem ordinum, S. Michaelis ad ripam apud Linum Contedini, Roma, Wadding, Scriptores Ordinis minorum, Roma, Napoli, Biblioteca Nazionale. Explicit fratris Francisci de Marchia super primum Sententiarum secundum reportationem factam sub eo tempore, quo legit Sententias Parisius anno Domini; Commento ai primi sette libri della “Metaphysica” di Aristotele, N. Minorita, Cronaca, G. Pamiers, Quodlibet  “Acta, gesta et facta fuerunt praedicta coram religiosis et honestis viris, fratribus Ordinis Minorum”, Francisco de Esculo, in sacra theologia doctore et lectore tunc in conventu Fratrum Minorum de Avenione. Lambert, Povertà francescana;  La dottrina dell'assoluta povertà di Cristo e degli apostoli nell'Ordine francescano, Biblioteca Francescana, Cf. MS Firenze, Biblioteca Laurenziana, Santa Croce, pluteo, sinistra,  Appellatio maior, N. Minorita, Chronica. Cui appellationi et provocationi incontinenti adhaeserunt et eam approerunt religiosi viri frater Franciscus de Esculo, doctor in sacra pagina. F. d'Ascoli, Occam, Enrico di Talheim e Bonagrazia da Bergamo, Allegationes religiosorum virorum, Baluze-Mansi in Miscellanea, Lucca e dallo Eubel in Bullarium Franciscanum, Roma,  Lambertini, “Rossi e Occam: alcuni aspetti di un rapporto non facile, Convegno su Francesco d'Appignano; Jesi, Terra dei Fioretti;  Lambertini, F. d'Appignano ed Occam: alcuni aspetti di un rapporto non facile in AConvegno su F. d'Appignano; Jesi, Edizione Terra dei Fioretti;  G. Filipono, Commentari alle opere di Aristotele, “Sulla generazione e corruzione”; “Sull'anima”; “Analitici primi”; “Analitici secondi”; “Le Categorie, Fisica, Meteorologia  Fabio Zanin, Francis of Marchia, Virtus Derelicta.   --  "How is Strength of the Will Possible? (cfr. H. P. Grice, “I’ll show Davidson how continentia and temperantia are POSSIBLE!”). Dopo la grande edizione critica di Mariani, Grottaferrata, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Centro Studi Francesco d'Appignano. Francesco Rossi della Marca. Rossi. Keywords: continentia, temperanza, giudizio, giudicazione, volonta, volere, atto apprensivo, appresione, atto giudicativo, conoscenza apprensiva, conoscenza giudicativa, decisione, libero arbitrio, colpavolezza morale, agire l’atto buono, possibilita della colpavolezza morale, la legge, la volonta sotto la legge, giudizio razionale, agire razionale, ragionamento, conclusione, sillogismo pratico, elezione, la caduta d’Adamo, la teoria dell’elezione e la deliberazione, i peripatetici, virtus de-re-licta, teoria del moto, moto perpetuo, virtus contro il corpo, virtus con il corpo, volonta con il giudizio, volonta contro il giudizio.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rossi” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rossi: l’implicatura di Lucrezio – la scuola di San Giorgio -- filosofia campanese -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (San Giorgio). Abstract. Keywords: Lucrezio, materialismo, psicologia filosofica, filosofia romana, lingua latina. Filosofo campanese. Filosofo italiano. San Giorgio, Campania. Il più grande e puro metafisico" nelle parole di VICO (si veda). Vive a Montefusco. Studia a Napoli. Scrive diverse saggi tra cui il più importante rimane “Della mente sovrana del mondo”. Altri aggi: Considerazioni di alcuni misteri divini, raccolti in tre dialoghi, Dell'animo dell'uomo, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. DISPUTAZ10NE UNICA DELL’ANIMO DELL’UOMO DEPUTAZIONE UNICA Nella quale fi fciolgono principalmente gli Argomenti di LUCREZIO (si veda) contro all’Immortalità. OPERA DI R., abate Infoiato di S. Giorgio ec. -J> fi D All’ Illustrissimo Signor Marchese D. LORENZO BRUNASSI VENEZIA. Con Licenza de' Superiori w>5' ! •yr&Si fftm/rbr Nil tam diffìcile eff, qtiiu qiuerendo inveffigari poffìet. Ter. Heautontim, A3, 4. Se. r. % 1 ILLUSTRISSIMA % 9 SIGNORE tv Ella dimora, che in questa nostra città di Montefufcolo per alcun tempo fatta avete, tanti argomenti di virtù, e nel riguardevole uffizio di Regio Uditore, e in_> tutti gli utti -cibila vita^ avete dati; che in ogni parte di quella ben ampia Provincia, la lode, e’1 nome vostro nelle bocche degli Uomini rifuona da per tutto. Per la qual cofa io non folamente ho dovuto rivolgermi verfo di V oi ad ammirarvi, ed amarvi con tutti gli altri; ma ancora ho potuto alla degniffima persona vostrà alcun particolare oflequio preftare : e fi il mio libro dell’immortalità dell’animo, che ora efee alla., pubblica luce, dedicare, e confecrare. Concioffiachè la V irtù fola di per fe, fenza dover altro cercare, fia potentiffima cagione, perché riveriamo, ed onoriamo colorò, che adorni ne fieno: e più quelli, che nel più alto feggio di lei collocati veggiamo. Nel che nondimeno, mentre l’af: ' • fe lezione dell’ animo rivelente, e divoto ho fegui ta; nel tempo medefìmo all’ opinione del libro, e I9ia?r ip cr e do a -baflanza a ver provveduto. Perciocché io non dubito, che v quella mia Opericciuola, (qualunque ella ha) oltre a’ confini dell’ Italia, ed • oltre al ter mi ne d ella prefenteEtà,inRegioni rimote, ed a futuri tempi coll’autorità del tifone volo, e chiaro nome voffro nom> abbia a trapaliate. Grande fermamente, e di gran laude degna è la Virtù voftra, che fin dalla prima giovanezza con perpetuo tenore, belle, e laudevoli opere ed alle private, pe rione, ed alle pubbliche cofe profittevoli arrecando, fi è dimoftrata. Nel ti lumi di Giurifprudenza, quanti ivi fono, ri luffe., ella con grande ammirazione di tutti : poiché appena varcati tre luftri, a prò di litiganti, e di rei, ' tifiti a dotte, ed eleganti, e fpiritofeOrazioni vi udirono recitare. Per la qual cosa di dì in dì Tempre più crefcendo l’ opinione del valor voftro, del pregevole ornamento della Toga di Giudice della Gran Corte maturamente fu il voftro merito onorato. E in * quel gra vidimo Miniftero con lucidezza di feienza, e con incredibile coftanza il dritto cammino del V ero Tempre tenendo, e in ogni affare la prudenza ufando; cosi bene avete adoperato, che l’approbazione, e l’amore di ognuno, e in quefti vicini ben avventu roti tempi il favore ancora della Maeftà del Gloriofiffimo Re noiìro avete meritato. Quin‘ di l’ alta di lei Regai provvidenza, il -primo onore confervandovi intero, a moderare i Tribunali delle Provincie, ed a tenerne gli errori, e le corruttele lontanila conofciuta V irtù voftra ha prefcelta. E a 2 ben la Città noftra innanzi ad ogni altra, e tutta la Provincia, delle diritte, fagge, e fcorte maniere-, voftre con comune ripofo, e comun contento copioii frutti han ricolti. Ne folamente nella nobili^ ma fcienza delleLeggi,ma in altre parti ancora dell’ umano fapere Voi avete molte fatiche, e vigilie, collocate: le quali e la noja adergono di quegli ftudj, e ne ajutano l’ intelligenza, e la cognizione dilatano, e compiono dell’ Uomo. Ne finalmente^, nelle pulitezze, e amenità delle Lingue più belle non avete ancora efercitato lo ’ngegno : poiché con elette Poefie tofcane e latine, della nobile Academia Cofentina, e della,, famofa Arcadiadi Roma, ove liete aferitto, avete fuperata l’ opinione. Ma la voftra loda più ricca, e adorna £ difeopre, e più chiara, e luminofa nelle dovizie, e negli fplendori del delle magnifiche, e memorande laudi del Signor Duca di San Filippo voftro degniffimo Padre. Le quali fe non diftintamente narrare, ne degnamente celebrare, che non è luogo, ne io con niuno ingegno potrei; perchè fon pur voihe, debbo almeno in alcun modo additare. E in particolare alcuna parte del veramente maravigliofo governo, che delle pubbliche cofe egli ha fatto, nel confiderabile. Ma Digitizéd t Magiftrato di Eletto del Popolo debbo rammentare in ogni modo. A quella importantiffima ammiri ideazione in tempi difficili, e pericolofì, con tutti i fuffragj più volte chiamato il Signor Duca, con mirabil fapienza, e con.» incredibile iludio, e fatica i pubblici affari ha condotr ti a felice fine. Egli la pubblica falvezza fempre meditando, e a quella ogni penfiero, ed ogni operai rivolgendo, una cofa affai difficile ha confeguita: che per tutto il tempo, che quell’ immenfo pefo ha_» foftenutó, giammai ne per colpa murray-rtc-per qualunque fortunofo evento, ne di fterilità, ne di guerre, ne di altro fimigliante, nella Città, e nel Regno la fcarfità, e la fame fiali potuto introdurre. Perciocché, oltre ad ogni altro ingegno di fcorto provvedimento, in ogni tempo da lontane Regioni per lunghi tratti di mare co- t « piofe annone fonofì fatte approdare ne’noflxi Porti. Nel che con raro efempio di carità verfo la Patria, di o/Iequio verfo il Principe, delle fue proprie fo~ ftanze molto oro ha profufo. Sopra tutto di eterna memoria degno è quello, cheneiravvicinamentodelle vittoriofe Infegne dell’invitto, pio, felice^. Re noftro, in tempi pieni di timori, e di fofpetti, premendo ancora il nolfro Suolo le armi nemit'àìf b che; s che; mercè de’fuoi alti configli, nella Città, e contorni ogni cofa videfi tranquilla, e quieta. Orche le rapine, le occifioni, i tumulti, che i trifti, e iediziofi Cittadini in foIniglianti tempi meditar fogliono, tenefiè dalla. Città lontani; Egli follecitamente le cofe alla vita neceflarie appreftando 5 e gli animi feroci della plebe mitigati, e addolciti co’ Signori conciliandola tranquillità, e la pace nella Città, e quindi in tutto il Regno fuori di ogni opinione ritenne. Onde potè dirti allora, che eglf il Signor Duca la Città faiva, falve le vite, e foflanze de’ Cittadini al Gloiiofo Re noflro avefle ' conferva te. Caro pei - tan„ * to al Re, alla Regai Cit„ tà, ed al Regno, a.fublinii. degnità fi è veduto meritevolmente afcefo. E prima il pregevoliffimo onore ottenne già di dover b 2 Egli Mf Egli colla fua Famiglia, in uno qual più voleffe de’ nobiliffimi Seggi, fra Patrizj effer annoverato, e delcritto-. Pe^qticfte vie, e con ifplendidiffime affinità la fua Cafa nel più alto luogo de’ Baroni, e Signori del Regno ha follevata. Oltre al le nobili Famiglie Spina della Sardegna, e Poliaftri della splendida nobiltà Cosentina, in donando a Voi in Isposa la Signora Marchefa D. Marianna Orenghi, Dama di rare doti, tutti i pregi di quella nobiliffima Famiglia nella fua propria Cala ha trasferiti.Per chiù- '. quella chiariffima Famiglia ella è nobile in Ventimiglia,Città principale pofla nel fuolo di Genova. Ella è altresì nobile in Roma, rocca dell’Eccleiiaftico Imperio. Ed ivi a > | quella Repubblica faggi,>, Togati » e prodi Capitani; equi Senatori in Cam- dere in brieve giro più cofe pidoglio, qual fu un Giovan Angelo Orenghi, e_> degniffimi Prelati, e Car-, dinali; tra quali il Cardinal Niccolò Orenghi di onorata memoria, alla-, Chiefa ha donati. In oltre alla Signoril Cafa Maffa degli antichi Baroni del Vaglio gli Orenghi Erettamente appartengono : ' della qual Cafa fu già l’Ava paterna della Signora Marchefa, che del lodatiffimo a memoria noftra Cardinal Girolamo Maffacafanatte, è degnifsima ma Pronipote. Quella picciola parte delle voftre_> amplissime lodi ho io qui potuto ricordare, molte,' e grandi cofe lafciate addietro. Dal che nondi. meno lì può vedere, che di fommo pregio è la mia fperanza, che ’l mio libro, che ora al volil o merito inchinato vi prefento, dedico, e confacro j ficcome 1’ accefo delìderiadel di voto animo mio contenta in parte; cosi fra molte genti, e pe r mol•. :. . " te. / . te età debba effe re .durevole memoria della ferviti! mia; della quale fopra ogni altra cofa del Mondo onorandomi--, -volentieri mi confermo f'- 1 Di U. S. Illuftriflima ma rno Divotifs ., eri Obbligatifs. Servitore - L' Abate Roflì di S. Giorgio. Oicbè può avvenire, che quefa mia Difputa capiti nelle mani di alcuni, che le vane fittilit'a, e, pregiudizj feguono ancora della vo/gar Ftlofofia; e' fa di me fieri, che io qui alcuna cofa ne dica, che mi pare dover dire per liberarla, fe è pnjjìbilc, dalle coloro accufe. Imperocché eglino cerfh mente bia finteranno leu maniera di filofofare, che io ho prefo a feguire : e le dottrine, che vi arreco t tutte, o parte come nuove, e frane rifiuteranno : e nelle ofeurità, nelle quali forza è che alcuna volta fi abbattano, e dove da' fienfi, e parlari loro i miei fi dipartono,come fogliono in sì fatte accu fe di leggieri trascorrere \ fufpicberanno ancora per avventura, che alcuna cofcu» vi fi a fionda, che colle verità della' nofra Santa Religione non ben confenftt, Or io innanzi ad ogni altra cofa /* Alti fi fimo Dio chiamo in tefliShnio, che con-, * c quefa + t quejla tuia fatica altro non ho io intefo, che quelle verità, quanto più per me fi è potuto, nell ’ ordine naturale ancora co * fumi della Filofofia avvalorare, e oi di quel torrente d’Eloquenza divina, con la quae vi avete fatta una fpezie di favellare tutta vo:lra propia ? perch è p ropia di co tal Jcienza ? Dela bellezza, e’ leggiadra de’ traf porti, che ufate_» tutti opporti, dome debbono eflere, a quelli, che ufa l'eloquenza Umana; perchè quefta debbe fare dello fpirito corpo, e voi in certo modo fate del corpo fpirito. Voi liete degno, Signor D. Tomma- \ fo, non già di Montefufcolo, ma della più famofa Univerfità dell’ Europa. Laonde poiché la voilra modedia, eguale alla voftra gran dottrina, e virtù ve ne fa contento, almeno giovate il Mondo di coterta fappfentiflìma Scritturai la quale l’aflìcuro, che recherà gloria, non che a Napoli, all’ Italia tutta, con merito grand irti rno inverfo della Pietà, che fi rifonda in utilità di tutte le Repubbliche, e molto più Criftiane: e vi fo divota riverenza. Uantunque negl* infelici tempi del Gentilefimo denfiflìme tenebre d’ ignoranza delle cofc Divine, (alvo il Popolo Ebreo, premettero tutta l’Umana generazione; pure per lo Covrano magillero della Mondana fabbrica, e per l’ordinato, e collante corfo de’ moti, e delle generazioni da una parte, e per la virtù dell’Umana intelligenza, c per 1’interna, e comun legge, e regola delle operazioni della vita,dall’ altra; delle quali cofe, quella è certa, ed illultre lignificazione, e quella è chiara, ed indubitata cognizione di Dio; aggiuntevi ancora te reliquie della tradizione de’ primi. Uomini; pec tutte quelle cagioni, era nondimeno nelle menti degli Uomini altamente infitta A Topi NI nz T opinione dell’ autorità, e del principatoDivino, edinfieme dell’ Immortalità degfi Animi umani, e del t fa patta inferno opinioni di' loro al futuro Secolo. E tra’Filofofi,i più gravi, e fublimi, purgata la Religione daldella Satura h ttolta moltiplicazione delle Deità, e divinale dei r dalFaltrc feoncezze, e fozzure della V olaumdeirvo- f U p Cr ttizione, vennero a conofcere, on folo Autore dover vi etterc, e un folo Arbitro di tutte le cofe:c la Divina origine, e l’immortal condizione degli Animi noftri, e le pene degli fcellerati, e i premji degl’innocenti ebbero per fermi, e più minuti, ed ofeuri, febbene ne la forma zionc dell’ Univerfo, per potere, ed ingegno di mente fovrana; ne l’informazione del corpo umano, per condizione di mente inferiore informante, comprendere potettero; tuttavia la più parte di loro, ne provvidenza di Mente Eterna, r ne realità di Animo Immortale in altro modo negarono, che, nel Mondo la rea4* lità del Divino cflere, e nell’ Uomo, la. verità del dovere onefto ritenendo. Il che i moderni Epicurei con tutta laco # pia de’ lumi de’ noftri avventurofi tempi non fanno; come quelli, che per eftrema malizia, ò cecità, non de l tut to convinti, per non potere concedere in Dio realità di Edere fenza verità di legge, e nell* Uomo verità di legge fenza realità di natura foffanziale; e per non volere l’una per l’altra in Dio, e nell’ Uomo rirenerc; fi gittan più tofto negli effremi dell'empietà del totale annullamento di ogni realità, e di ogni verità Divina, ed umana. Ora per forza di que’ naturai» lumi, e di quelle antiche origini, e’ non è da maravigliare, che Lucrezio, il più fiero nemico del culto, e dell' Immortalità, abbia nondimeno per vere, ed affermi alquante cofe, che l’infelicità de’fuoi tempi fol potè fare, che noi conduceflfero per diritto cammino al conofcimento del Y r cro. Le quali prima di ogni altra cofa convien notare, con alcune altre offervazioni, % che lafciate addietro, più intrigata, e malagcvole fenza dubbio rederebbono l’ intraprefa inveftigazione. E in prima quel Filofofo, dopo avere argomentato, che f/To Lucrezio i tre Volgari Elementi, l’Acqua, l’Aria, g^EicZnti e’I Fuoco doveflono l’Animo, e 1’Anima non vagliano dell’ Uomo poter comporre; .«g p°' LE3Èi2 con apertiflime parole, che quelle tre Na- gfUe. A 2 tu Jflfc. m v lì .aÉ Bt m S «fitti ftkjili Jfr ! 4 il fr 4 t f V',,4 4 É 4. r> j2^ W m Anìmofecon do LUCREZIO fon di altro genere, dcu que' dm ve gnono agli occb\ e agli al tri fenfi* chi; ma d’ altro genere più fublime, e più vigorofo, e più mobile di gran lunga. Nunc age, moveanf animum res accise : tir unde ^monl Qu >**'«» i > nilfimo, dove fuole ella rifuggire per trarne comuni (limi argomenti in tutte le ' piùofcure, e malagevoli quiftioni della Natura. Qnefto tcgttt*tnfinito, nel quacureineU c le truovano eflì e copia per ogni fuftanza, mafatuol 1 c d ingegno per ogni lavoro, c virtù, e r infinito. ' porere per ogni maniera di operazione. Sicché vergendo, non potere al fortunofoconcorfo degli atomi lagrande, e maeftrevole opera dell’ Uni verfo aflolutamentc affegnare;dicono f che per un tempo infinito, dopo infiniti varj accozzamenti, fien finalmente gli aromi potuto a quel termine pervenire, come nel. li‘ ' bro v: Nani certè neque confìtto primordi* rerum Ordine quoque fuo, atque fataci mente locar unt: Nec quo: quoque darent motu: pepigere profetici. Sed quia multa modi: multi: prìmordia rerum Ex infinito )*m tempore peretta plagi:-, Ponderi bufque fui : confuerunt concita ferri, Omnimditque coire, atque ormila ^er tentare, Qut rMa «v Qutcumque inter fe pqffent congrega crenrez Troptèrea Jìi, ufi magnum vulgata fer piane, e Semplici cogitazioni noflre. E, in fine è affai malagevole a ritrovar cotal Uyr.. .r’iVero a forza di fillogiftici ragionamenti; poiché l’una parte, e l’altra della contradizione, contradicenti fillogifmi quinci, e quindi fomminiflrano, e vie « più inviluppano la difficoltà. Onde i più _ fenfati, e collanti fon coflretti a fofpenderé i giudizj; ed i malavveduti, c leggieri fi rivolgono a difendere 1’ uno de’ due Conrradittorj, e fra loro di vili l’ un contro dell’ altro oftinatamente combattono. Il Vero minuto, c fcompigliato della foflanza materiale ùmilmente e’ non può ne forma fantallica dipingere, ne intellettuale, o ragionevole efprimere, nc conchiudere fillogifmo per una contraria ragione. 11 noflro intendimento, poiché dalla parte dell’ Animo è unirà, che aduna, c contiene il numero, che è la vera diffinizione dell’Intelligenza, ed è manifefla nel raccoglimento, che ella fa del numero della materia nej. fenfo, e de’ fenfi nella cognizione, e_,, ' delle varie cognizioni nell’ univerfale, cd 0 cd in fe medcfima, per quella cagione», non può raggiugnere, c diftinguere quello ccce/Iivo sminuzzamento, e dilfipamenro, ne può accozzarlo, e cederlo a comporne 1’ eftcnfione. E poi una affai ardua imprefa di pervenirvi con argomenti : perciocché la mente dell’Uomo nel fuo intendere, che è il Tuo edere, non avendo niuna abilità per quella maniera di Vero cotanto a lei dilfi migliaate, fenza feorta, e fenza lume fi svia-, qua, e là adirquctlo, o quello con mal fondati ragionamenti; ficcome è manifedo nelle molte, e varie fentenze, delle quali niuna ha niuno pofitivo argomento per fondare il proprio Vero; e tutte, e ciafcuna han molti, e forti argomenti per abbattere il Vero contrario delle contrarie. Quindi ficuramente, fe T amor delle parti non in rutto gli acciecafie, porrebbon giungere finalmente a conofccre, che il Vero non può trovarli nel dil’cioglimenro degli enimmi in uno de contradittorj, ma dee ricercarli nel temperamento, e nell’ accordo delle contradizioni, e nel viluppo degli enimmi, e nelle maraviglie. Stando così le cofe, i filosof antichi del giardino preoccupati da quel pregiudizio, e i Novelli fpaventati dall’ apparente^, contradizione, o affatto non han ricercato il vero maravigliofo, o leggiermente i ~ facendolo, tolto quelli alla preoccupa zione, e quelli allo fpavento cedendo,, ' fonofi late iati fedurre dalle vicende delle forme corporali ad aver per cert3 la mortalità degli Animi noflri, con ifconvolgiroento, c rovina della Naturale, e della, ' Morale feienza, e della Ci vile 3 e della Di vina altrelì.E qui lien terminati gli avvertimenti, dopoi quali è ormii tempo di fare quello, che gli Epicurei non han fatto, cioè di farci a confidcrare l’ inrendimentodeli’ Uomo, l’ effenza, la proprietà, e le operazioni lue : nc per tanto tutta la felva degli argomenti, che di là, o altronde trar fi poffono, penfiamo di allegare, che sì trapaleremmo i limiti di uua Difpura, eforfi alquanto ci difeofterem Sì arrecala mo dalla P ro P°H l foluzione, m t tanti, e teiere timo- tali ne feerremo, quanti, e quali credere ijlinzlonf mo P'ùf,ire al propolìto fenza rincrefcedelle idee del- Vole proliffltà. JtiU* ‘Iute ^ in primo luogo conviene allegare la ria, a,em diftinzione, e la dilucidazione dell’Idce della Mente, c della Materia, che ivi., altra guìfa propofta, che da’ Volgari non fi è fatto finora, e farà ella un gagliardiffìmo argomento dell’ immaterialità dell* Animo, ed agli altri argomenti maggior forza, e lume fomminillrcrà, che arrecheremo dappoi. Per non tacer nulla di quelle co fe, che lafciate addietro ofeurerebbono la dottrinajleldee dellaMateria, e della Mente, s’io non erro, elle in noi, e con noi nafeono a quello modo. Nell* Uomo di corpo, e di anima comporto, (cheunquefia l’Animo ) per erta coftituzione nafee certamente il fenfo del proprio corpo, il qual fenfo apprende la prima, ed ampia, e comune azion Tonificante della lortanza corporale : Similmente da quella cortituzione mcdefima rifulta la cognizione, o cogitazione del proprio animo, e del proprio intendimento, Ia^. quale comprende, ed esprime la prima, ed ampia, e comune significazione del1’Edere mentale. Quelle due Idee così dirtinte, con dirtinte significazioni, ed espressioni, sono ad ogni uno per la cofeienza della propria cognizione, e del proprio senso manifede jdccome è a tutti parimente manifeda la contenenza, o inclusone, e la lignificazione, o efpreffion loro. Cioè 1’Idea del corpo chiaramente contiene, ed include, e significa, ed efprime P eftenfionc; e 1’idea dell’ Animo, e dell’ Intendimento con pari lucidezza la cogitazione efprime, e include, e contiene. Orio non poffo acquetarmi a quello, che gli altri fanno, che da quelle fole idee della mente, £«. della materia, e da quelle fole contencnze, senza dir altro, traggon 1’ argomento della didinzione delle due Sudanze. A mio giudizio con troppa fretta coniar mqftra ìl chiudono, che 1’e de n za del corpo da F difetto dcll'ar- Sdendone, c non già l’Intelligenza, o de' cartellante Cogl fazione; e che 1 cuenza dell Aniin far quella mo la Cogitazione, o Intelligenza, e non fazione? 0 ' già 1’ Edenfionc. Ma credo in ogni modo doverd andare più oltra, e più a minuto olTervare lecofc, per poter su fondamentapiù falde, e più ampie fondare quella importantidìma confeguenza. Per modrar di padaggio il difetto, e la debolezza di quel corto ragionamento; P edenfione, che il corpo di fe apprefenta ad apprendere, certamente ella è quell'eder medefimo, che nella coftituzione dell’ Uomo, e per quella coftituzione può il corpo oggettare,e lignificare; e che l’intendimento noftro dall’altra parte può percepire, ed apprendere: ma non è già egli certo, che quella lignificazione cosi fatta arrechi il primo, e principal edere corporale, in cui è dovere che fi riponga laSuftanza, o Edenza ;o almeno none cofa delira, che il corpo con quel foloeffere tutta la fua edenza, o Suftanza appresemi all’Animo a comprendere. Oltre a ciò l’ eftenfìone, come è un edere uniforme, e univcrfale; così è il più tenue, e leggiero, ed è come nel frontifpizio della propria codituzione dell’ Edenza corporale locato; il quale perciò la proprietà, cioè la propria differenza, che è l’atto e la forma, onde fi termina, e compie V edenza, Secreto, e ripodo,non può discoprire, ed efporre al primo SenSo, ed alla prima percezione dell’Uomo. E quella^, uniformità, e comunità, di più per quella fteda ragione di edere uniforme, e», comune, è neceffariamente confuSa, e indiftinta: che pe r tanto certezza, e chiarezza niuna in niuna guifa può infondere nell’ idea.La qual cofa tanto più è da credere, che nella fofianza delCorpo del rutto di vifìbile è uopo, che una moltitudine di particularità infieme adunandofi, vegna a confonderfi in una uniforme, e comune percezione in quella prima Idea, eh c ancor effa dal fuo lato fottile, leggiera, cftrema, cojnune, uniforme, indiftmta. Or chi potrà dire, che in quella indiftinzione, e confufione, ed in quella leggerezza,ed eftremità di cofe, d’ idee, c di fignificazioni, ripor fi polla l’eftenza? Per dir tutto in poche parole, quella fignificazione elfendo come una produzzionc della foftanza corporale, che di là ft propaga nel fenfo dell’ (Jomojegli è fenza dubbio un manifcfto errore,il riporvi il primo, e principale, e ftante, e profondo e fiere, qual’ è, e qual efter dee l’effenziale delle cofe. Finalmente fe 1» Idea contiene, e comprende, ed efprime 1* efìenfione, fermamente ella 1* adegua ancora, e fi combacia con lei, che altrimenti come polla comprenderla, e contenerla, non fi può dire. Adunque l’idea, e 1’Animo, diciam così, ideante, fi vede per quella via, che coll* ellenfione che apprende, ed efprime, pofla eftenderfi ancor elfo, e sì P Animo nell’ idea dell’ ellenfione dal lato della potenza, e* pareeftenfo, quantunque nell’ideadella cognizione, dalla parte dell’ obbictto, tale non fi ravvili. Ed allo ’ncontro, perche l’idea della cogitazione non è dell’Animo solo; li perchè animo folitario non è nell’ Uomo, onde il corpo ancora nelle produzioni mentali dee in alcun.» modo concorrere; fi perchè nella cognizione de’ materiali obbietti, ne impreffione, uè efpreflione fenza corporale eftenfionefi può .concepire; per quella cagione il corpo dalla fu3 parre fi fa vedere in alcuna guifa cogitante dal lato della potenza; avvegnaché dalla parte dell’ obbietto, come tale non fi ravvili nell* idea deli’ ellenfione. Or come in quella ultima oppofizione si è fatto, così in tutte le altre, quanto fi è detto del corpo, per far vedere l’insufficienza dell’idea dell’ ellenfione a dimolìrare 1’ Eflenza corporale, tanto con altrettante parole fi può dir dell’ Animo, per fare intendere, che l’Idea della cogitazione none fufficiente a poter diffinire l’ effienza, o lultanza mentale, In fine non debbo falciar di dire, che il volere colle prime, c (empiici, c comuni idee dell’Animo il voler noftro diffinire l’ c (lenze delle cole, è per lenze deill_> Dio cola tanto pericolola, quanto e per' refe eolie fri- verfa maniera di filofofare. Alle quali ra"cìidee^è'co- g on quando io pongo mente, inrendo fei pericolofa, bene perchè quella celebre dimoftrazionc Cartefiana in quel modo propoda,fia (lata, e fia ancora da moiri con ogni argomento fieramente combattuta. Adunque per quelle due prime (empiici idee.., della Mente, e della Materia, e per quelle indiftinte, e comuni loro lignificazioni, non può giuftamente venirli a quella graviffima conchiufione;ma è neceffiario riguardare per tutta 1’ effienza corporale, e in tutte le fu e forme, e modi, e moti, ed operazioni;ed oltre ciò offiervare tutta Ledendone del fenfo, quanto egli c nel proprio corpo congiunto, o quanto da circolanti corporali obbietti riceve. Ed ancora in tutta l’ effienza mentale, ed in tutte le fue forme, e modi per tutta la capacità della coscienza, e della Scienza, quanto in fe medefima vede, o dall’altre cofe raccoglie, e ciò fatto, fe_ troverai!!, che nell’ Elfcnza del Corpo la fola Eftenfione fifeerne da per tutto fenza niun eflerc, o potere di cogitazione, o intelligenza; e nell’ £lfenza_, mentale, fé feorgeraflì folo intelligenza, o cogitazione in ogni ricetto fenza niun edere, o modo di ettenfione; allora, e non prima fi potrà conchiudere, che quefte fieno certamente due™. Elfenze, o foftanze, l’ una dall’ altra™, realmente didime. La ragione del dover negare alle fempliei idee quel che fi crede dover concedere all’intera, e compiuta cognizione della feienza, ella è, a chi ben v> attende, chiariflima. La significazione, ed espreflion particolare, e manchevole, qual’è quella delle fempliei idee, già ella molro, o poco laici il in tenebre una parte dell’ effenza, che non è in niun modo lignificata, ed efprelTa : onde volcndofi a_> quella elfenza donar qualche attributo, non fi può fare lenza gran temerità: conciottiachè ragionevolmente debbafi dubitare, fe nella parte non lignificata vi rimanga afeofa alcuna ragione efcludente quello attributo, che le fi vorrebbe concedere, e volendofi negare, non può niuno, falvo fe non è fconftgliato, e temerario, rifolverfiafarlo: perciocché fi dee poter fufpicare, che nella^ parte non lignificata alcuna ragion fi rimanga, che includa quel cotale attributo, che le rivorrebbe negare. Adunque l’ Idea del corpo, che contie nc l’cftenfione ( qualunque ella fia ) cfTcndo pur nondimeno particolare, forza è che ne lafci in dubbio, fe altro vi fia nell’ effenza corporale, che includa la cogitazione, o intelligenza; e fimilmcnte_, qualunque ella fia 1’ idea della cogitazione dell’ Animo, e quantunque didi nta, e chiara fi voglia, giacché ella è. particolare, ne fa per quella cagion fofpicare,che altro pofla efTervi nell’ Animo, che includa Fedendone. E pertanto per fi fatte idee non può giammai giugnerfi a tale, che quelle due Eflenze fi veggano in tanta luce, che chiaramente apparifea l* Animo efTer foftanza_» cogitante, o intelligente. Ma nel fatto di una intera, e perfetta lignificazione le cofe danno altrimenti; imperocché ogni elTenza col fuo mcdefimo edere lignificando, per modo che l’effere medefimo fia lignificare, e’1 lignificare altroché federe non fia,cdel tutto imponibile, che la lignificazione cotanto dall* efifere fi difcofti,e quello da quella cotanto fi diparta, che tutta intera una lignificazione niente affatto lignifichi, di un ampio elfere che fi c; e che un ampio intero elfere non fia nulla affatto di una perfetta lignificazione, che fi ha. Ora egli è, o agevolmente può elfere ad v ognuno manifefto, che in quanto colla., zioneficon Icorta’del fenfo, e col cammino della_, ^caadejbefeienza li olferva, o fi argomenta nella materia, di foftanze, forme, lavori,; • % movimenti, generazioni, e qualunque operazione, per tutta cotaf ampia, ed intera lignificazione niente affatto fi feorge, ne pur leggiermente adombrato, ne di effenza, ne di modi di effer della mente : ed è parimente, o può di leggieri efferc a tutti manifefto, che per tutta la fignificazione, ed efpreffion mentale, che ci viene o dalla feienza, o dalla cofcienza, nulla affatto di materia, ne cffenziale, ne modale, nc edere, ne operare vi fi (cerne. Adunque egli è imponibile, che la materia fia, o che abbia, o produca tutto il magnifico edere mentale, e che niente di quell’ edere dimoftri in niuna parte dell’ ampia, ed intera Tua lignificazione; e che la Mente fia, o che abbia tutto l* edere materiale, e niente di quello dimoftri in_» niuna parte dell’ ampia, ed intiera lignificazione Tua. Tanto era da fard, che non fi è fatto, per condurre quel; v Vi*’ la dimoftrazione ad una chiaridi ma chiarezza La ragione, che dalli materia dritdelP immorta- tamente efclude la cogitazione, per la mo Umano* 11 * ^ ^iare °S n ‘ circuizion di parole, ella 11 ° non è altro, che quella reai diftinzione, che per tutta la foftanza materiale per ogni parte s’interna, per modo che niuna parte c della materia, che o in altre parti da fe contenute ella non fia da dividere; o che niente contenendo, non fi debba ad una ftrema minutezza di ogni contenenza vuota ridurre. Per cotal ruinofa diftinzione, la foftanza della materia, o nell’un modo, * o nell’ altro, ella è tutta diftinta, e tutta divifibilc: tutte le Tue parti fon Fune fuori dell’ altre, foni’ une all’ altre avveniticcie,ed eftranee; non fi potendo a niun patto ritrovare parte della materia per nello di reale identità nell’ altra implicata. Anzi di vantaggio il tutto medcfimo fi può dire in certo modo, che e’ non fia, c non infida nelle», fue parti: inquanto che il tutto non è tale unità, che intera, ed indivifa nel numero delle parti fi eftenda. E le_* •parti allo ’ncontro in certa guifa pur puoffi affermare, che non fieno nel tutto, inquanto che elle non fono di quel numero, che fenza confufione_, benché indiflinte, nel tutto fi adunino. In sì fatta maniera di efTere, più fiate in più luoghi altrove efplicata, è cofa^ manifefta, che le parti non poffono infra di loro in guifa alcuna comunicare; ne 1* une nell’ altre per niuna via penetrare; ne può avvenire giammai, che elle in niun modofcambievolmente fi contengano, o comprendano, o inchiudano : Ne finalmente comunicazione, o penetrazione, o contenenza, comprendone,o inclufione alcuna può ef fere I L'imfenetrabVita della Materia, ovejh da ri fOì’re. «fere ne pur fra ’I tutto, e le parti ^ Or tutto quello novero di ragioni, che vicendevolmente l’une 1’altre implicando, fono ccrtiffime produzioni della reai diftinzionc, che noi fotto una ap. pellazion comprendiamo d’impenetrabilità, come le contrarie con un fol nome di penetrabilità nominiamo; quelle ragioni, dico, fon la (lefliilima cecità, O amenzia della materia. Siccome quella profonda, e difcorrevole diftinzion reale difperde ogni penetrazione, e comunicazione di elTenza, cosi fa ancora di ogni penetrazione, e comunicazione di fcienza. Conciofliachè la Scienza, o intelligenza, ed ogni cognizione, e cogitazione, altro che comunicazione, e penetrazione non fia: ficcome la fcomunicazione, e l’ impenetrabilità, altro non fono che cecità, o fconofcenza. Per Dio la facilità fola, e’1 chiarore di quella luminofa dimoftrazione potrebbe per avventura per un fol momento farne travvedere la fermezza, e la ficurezza. Imperocché come può la materia intendere quello, che non contiene ? E come contenere quello, che elTa non è ? Per qual via, e con qual potere fi effonderà la materia ad includere colla conofeenza quello, che efclude coll’ effenza?Come diftinta effondo dall’ altre cofe, ‘comunicherà con quelle medefìme per apprenderle ? Come dentro di fé, e quali da fé (leda diftinta, ed efclufa, potrà o a fé ri volger fi, o in fe il fuo edere raccòrrò, per intender fe, e le cofe fue ? In qual modo pofta fuori delle cofe, che ella non è, e fuori di fe niedelìma, che non contiene, potria 1* altrui, o’I fuo proprio edere dentro di fe conchiudere coll’ intelligenza ? Qual farà il fentimento di quel tanto deuro, quanto celebrato principio, che l’operare fiegue all’ edere, fe non quello; che federe è regola, e norma dell* operare : che quale, e quanta è Cedenza, tale, e tanta eder dee 1’ operazione: che l’operazione non può fuori eftenderd dell’edenza: che in dnc l* operare è una produzione dell’cderc, dechè l’effonzada operante; d’operare mededmo,el’ operazione da edftente, e da edo edere a rincontro. Per le quali certi (lime regole fedi maggior lume abbifognade, vie più lì dichiarerebbe ciò, che diciamo; che non fi può contenere, ne includer quello, che non fi è; come quello che non fi contiene, ne include, non fi può intendere. Adunque certifiimo argomento, e chiarifiìmo di cecità, ed infenfatezza, è ladiftinzion reale coll’ impenetrabilità, fcomunicazione, ed efclufion materiale. La diltinzione, che per varj divarie cofe, e diflacca 1’ eflenze, e proibifce le coriofcenze; nella coftituzione dcll’intutto divifibile material fotlanza giugneall’ ecceflo di diftinguere; per modo che affatto ogni comunione tronca di eden za, ed ogni via chiude d’ intelligenza. Laonde e’ non è da maravigliare, fe in tutte le Lingue più belici’ intelligenza colla penetrazione, comprenfione, contenenza, ed inclufione è lignificata; e con contrarie appellazioni è lignificata la fconofcenza. Ed è da ammirar molto, che i novelli Filofofi fien così ciechi, che la cecità della Materia per quella via non abbiano ravvifata, che fi prefenta nel primo afpetto delle cofe, non che nel procefio dell* invelligazione. Con dimoftrare la cecità della materia, abbiamo inficme dimoftrata 1’ immaterialità della mente; Imperocché fe la materia è cieca, perchè ella è di vilibile, la mente dee eflere indi vilibiie, perchè è intelligente. Pur nondimeno c uopo in efla intelligenza oflervar la di lei immaterialità, come in efla natura diviflbilc la cecità, c l’amenzia abbiam’ oflervata. Adunque fe la Mente cono- °V e f,a fce le fue cognizioni, come per la pri- trabiitàdeima, e più interna, più lucida notizia I* Mente. della colcienza è certiflimo, ella certamente le Tue cognizioni, e 1’ eflere di quelle, e ’i fuo medefimo dee in fc contenere : e con quelle Tue operazioni, e con tutto il fuo eflere, per pcnetrevole comunione, e per indiflolubil neflo d’ identità, efler dee una cofa medelima realmente indiflinta, ed indivifa. E poiché per mezzo delle cognizioni apprende tante cofe, quante ve n’ ha, in tutte l’Iflorie, e in tutte le Scienze, ed Arti; la Mente quell’ immenfa ampiezza, e quel novero infinito di forme memorabili, fcibili, ed agevoli conterrà tutte nel fuo intendere, e nel fuo eflere penetrando, e includendo : F con reai neffo tutte le cofe comprendendo, cd unificando nella Tua intelligenza; e la Tua intelligenza in tutte le cofe eftendendo, indiftinta, ed indi vita da quelle così, come è dal fuo efte-[ re medcfimo,e dalle fue medeGmc cogni. zioni.Dal che chiaramente fi feerne, cfter l’intelligenza, e per confequcnte 1’Eflcnza mentale con tutta quell’ ampiezza, e 4; con tutta quella dovizia, che accennata abbiamo efier, dico, nondimeno indiftinta, femplice, ed indivifibile.Concioflìachc comunione, penetrazione, e inclufione, Veneu-abi- fono co ip indiftinzione, o identità una hta, e rden- r ... tiù fono um cola, c per poco una ragione, o notizia c»fa medejì. medefima. Siccome la reai diftinzione fminuzzaper tutto la foftanza della ma* teriajondel’eflere materiale è impenetrabile^ incomunichevole; così la penetra-» zione, la comunione, e l’ inclufione per tutto realmente conduce, e connette l’in. telligenza; onde l’ intendere, e 1’ eflerementale efter dee indiftinto, femplice ed indivisibile, immateriale, e immortale. Certamente la fola eftre ma chiarezza di quefta dimoftrazione a non fani intelletti può per avventura far dubitare della fermezza per un momento. Imperocché come potrebbe la Mente, o non contenere quel, eh’ intende, o non eflerc quel, che contiene, o edere da. ciò che contiene realmente diftinta ? Come mai potrà efcludere, e (terminare coll’eft’enza quel, che include coll’intelligenza ? Come fopra di fe ritornando, o in fe il fuo effere raccogliendo A ) 0 ad intender fe, e le fu e cognizioni; trebbe poi cfler tutta in fe, e quafi fe realmente diftinta, ed efclufa ? E in fine il proprio, e 1* altrui edere, nell* intelligenza accogliendo, come può avvenire, eh’ ella fia pofta fuori delle cofe,che intende, e che efler dee, e fuori di ' fe medefima ancora, qual certamente larcbbe, fe fuflc divifibile, e materiale ? Non ci ha dcll’indivifibi!ità,c dell’immaterialità argomento più ficuro di quello, che eia penetrabilità, e della comunione, che è l’intelligenza. L’Identità, che per varj gradi di varie cofe fomminiftra 1* intelligenza, c connette l’edenza; nella coftituzion della mente giugnendo fino alla penetrabilità, ed infelfionc, che adduce ogni comunio : Fa ne di eflere, ed ogni lume d’intendere, viene in tanta chiarezza, che egli è una maraviglia, che alcun de* Filofofi abbia difperato di poter trovare (ufficiente ragione deli’ Immortalità dell* Animo dell* Uomo, la quale fenza fatica d’inveftigazione nel primo afpctto delle cofe ci fi apprefenta. Con quello argomento fenza fallo ^ffHré P, °mate- fino il fondo è fiato difcopcrto dell’ riale quale efienza materiale, che è la reai diftindeU^mmte 2 j one ^ e j a di vifibilità, onde la cecità, e 1’ infenfatezza immediatamente dipende. E infiemcmente il principio, e 1* origine dell’ efienza mentale abbiam ritrovato, che è la reale indiftinzione, e 1’ indivifibilità; onde l’immaterialità, e immortalità neccflariamente difcendono. Ora da quel primo fondamento del, - materiale eflere, molte altre proprietà procedon della materia: ciò fono mutabilità, e mobilita; novità, e contingenza; impotenza, ed inerzia; e in fine fug ^gezione, c dipendenza, che tutta l* effenza della materia adempiono per avventura. Come altresì da quel principi» ^ pio dell' Efler mentale molte proprietà provengono della mente : quali fono, coflanza, ed immobilità; neceffità, ed antichità; potenza, ed arte; e finalmente libertà, e independenza, che tutto 1 ’ effer mentale fi può credere, che adeguino. Le quali cofe fono altrettanti fermiflìmi argomenti, 1 * une della cecità della Materia, e l’ altre dell’ Immortalità della Mente. Ma alla difputa di fi fatte ragioni e’ fa di meftieri premettere una confiderazione, con utilità de novelli Epicurei, per fargli fin da ora argomentare la debolezza degli argomenti Lucrcziani : e di tutti gli altri, per agevolargli l’ inrelligerfza di quanto imprendiamo a dire di quelle ducEffenze.Io prefuppongo, che quelli novelli abbian già fatto quel, che gli antichi non penfarono di fare, o fecero leggiermente, e trafeuratamenre : cioè che abbiano afTai filofofato fopra la Natura immateriale; che nondimeno per la cagione, che dirò, fi fian rimafi nell’errore. Prendendo eglino la corpulenza, e la forza fenfibile della materia per falda, e chiara verità, e realità; e per la finezza, e fotti 4 tutto corporeo, e dirtolubile, e mortale apparifee; e dall’ altra, per gli altri argomenti fi feerne incorporeo, ed Immortale : non può niuno ne a quello, ne a quello, ne alla mortalità, ne all’ immortalità, non prima avendola va nità de’ contrari argomenti dimoftrata, fe non per temerità, e per capriccio attenerfi. E trovandoli per avventura amenduele parti inaceslibili, cd inoperabili, c dovere allora, che fi temperi, e fi mitighi la forza degli uni, e degli altri argomenti, affinchè o un qualche comune effetto infieme lor forza comunicando, arrechino; o lor forza dividendo, in diverfe foftanze, o modi, divedi effetti producano. Nel qual tem- pcramento,e mitigamento egli è fenza,e fallo riporto il Vero maravigliofo : come del Vero della Mente abbiamo già detto doverfi fare: e come a fuo luogo in quefta medefima Difputa, col favor di Dio, noi faremo in effetto. Frattanto fe lo feopo degli argomenti Lucrcziani è, che la Ragione, e l’Animo dell’ Uomo fia del tutto diffolubile, e mortale; che egli prende da diffipamenti, fucccffioni, vicende, e mutamenti, •che vi fi veggono : e per contrario i contrarj argomenti vanno a dimoftrare, che la fortanzial ragione, e I’ Animo egli è in fe medefimo indiffolubile, ed immortale; non c egli un giurto, e ragionevole temperamento, e mitigamen-to del contrarto degli argomenti, il dire, che l* Animo debba effere in fe, e verfo di fe immortale per forza de’ fe-tèéà condi argomenti; e che la forza de’ primi più oltra non vaglia a conchiudere, fe non che l’Animo lia dall’ Uomo diffolubile, e in quello fentimento, e in quello rifguardo mortale ancora? La fola Compofizione, che è nell’ Uomo, ella è fufficientiflima cagione di ogni variazione, la qual perciò a quella compolìzione fola puoflì attribuire : onde necelfità di dover dedurre, che-, elTd Natura ragionevole immediaramente patifca que’fvariamenti, ed ella debba clTer caduca e mortale, non vi li, fcorge niuna affatto. Gli fcadimenti, gli avanzi, i eominciamenti,e i lini fono varie guifc, evarj modidieffa compolizione.La compofizione è principio, ' ». 41 c radice di ogni variazione. La natura ^luziongeL ragionevole, quantunque ella in le da ti gli argomutamenti corporali immune, e libera; nienti ima* tuttavia congiunta colla variabile mareria, dee neceffariarnentfc non in altra guifa, che variando, difpiegar le fue« ragionevoli operazioni. Sarà quella Tempre una generai foluzione affai fondata, c forte di tutti gli argomenti di Lucrezio, che può offufear eziandio quella apparente evidenza, con che ha prefi i materiali intelletti de’ Cuoi feguaci: e’1 farà ella Tempre, finché eglino non auran dimoftrata 1’ impofiibilità della., natura immateriale, o 1* impoflibilità del concorso, ed unione della medesima colla materia, e che a natura immateriale fia ripugnante, il potere con quelle variazioni, che nell’ Uomo veggiamo, in niuna guifa operare. Il che ficcome finora non han fatto, così non éda credere, che fian per fare in avvenire. Ora ritorniamo al propofico, per dimofirare in oltre per la mutabilità, o mobilità cieca la Natura materiale; e per l* immutabilità, o immobilità, immortale l’intelligente: come già prima . nbbiam fatto, per la reale difiinzione, ed efclufione dell’ una, e per la reale_ indifiinzione, ed inclufione dell’ altra. Nell’ eftenfione, o efirapofizione, che - firZlonc' 1 ^- ne ^ a materia è manifcfta, noi feorgendo Ucecita della allora quella difiinzione, ed efclufione, de tornir* ne argomentammo la cecità, ed amenzia: e nell’ intelligenza, che è in noi, e nell* e (Ter noftro evidente, veggendol’indiftinzione,e P inclufione; quindi raccogliemmo, •*» • • tal ila de Hi Mente. . 51 mo dover la mente edere indivifibile, ed immortale. Ora nell’ eftrapofizione me- - 4 -v dcfima, di più la mutabilità, la mobilità, e’1 moto oflcrvando; e nell’ intelligen- r za, di più la immutabilità,e l’immobilità, e la quiete ritrovando; di nuovo 1* una, e l’altra conchiufione dell’ una, e dell’altra natura verremo a provare. V -. L’ Eftrapofizione, per cominciar dalla prima, c la radice di ogni variazione,. 1 mutazione, e moto; perciocché mancando alla materia unità reale, che_,. aduni,0 unifichi le parti, e 1’ edere dell’une nell’ altre implichi, e le Aringa, e fermi indillolubilmente; per necelfltà deonfi poter le parti 1* un e dall’ \ altre feparare, e fcambiarft infra di loro, e variare, c mutare, e muovere. Il reai numero delle parti, l’une dall’ altre in realtà diftinte, e 1’ une fuori dell’altre eftftenti, è il medcfimo etter mobile, e variabile della materia: c Ia_, fletta mutabilità, e mobilità: è il principio di ogni attuai variazione, c mutazione, e moto. Il difetto di quella reale unità, che contenga il numero a quel ^ Materia, modo, é il verace vuoto, col quale, e. . G 2 nel quale dee poter muoverli la materia: che gli Epicurei ad altra maniera di fallo vuoto trafportano; e i novelli Peripatetici, e i traviati de’ Cartcfiani n:egano a torto, quello vero vuoto con quel falfo degli Epicurei confondendo. V Annone delle parti, Fune all altre in ordine al luogo fuccedcnti, è come un fluflo, c una fuga delle medelime per Io fpazio: la quale di fua natura domanda I’ attuai variazione, c mutazione, e ’I moto attuale. Il moto allo ’ncontro egli è l’atto dell’ eflenfione, o efirapofizionc : ed è prefcnte,ed attuai efienfione, e fuccelfione. Nel moto di per fc conlìderato non folamenre e lubricità, e flufTo, e fuccelfione di parti in ordine al luogo; onde le parti fieno 1’ une fuori dell’ altre allogate : ma e altresì fluflo f e fuccelfione in ordine a tempo; onde le parti fieno I’ unc_, dopo dell’ altre nel tempo efifienti : dimodo che ognuna delle parti del moto • allora ella è, quando 1’ altre fue compagne o fono già preterite, o fono per efiere in futuro: che o più non fono, o ad elTere non fono ancora pervenute. II che vero cdendo, come infallantemente è; qual maggiore (Minzione può avervi dell’ edere, e del non edere ? qual più certa efclufione di quella, che Pelle r fa del nulla, ed il nulla fa del Ee Aere all* incontro ? come ciò, che c, può mai procedere egli a contenere, ed includere quello che non è, quantunque o fia dato da prima, o debba edere dappoi ? ficcome non vi ha maggior diftin* zione dell’ edere, e del nulla, ne più chiara efclufione; perciocché il nulla, che non è a niun patto, c ogni efclufione di ogni realità; e l’ edere che realmente è, è ogni efclufione di ogni nullità del non edere: così non ci ha modo più potente a diftinguere, ed cfcludere,cpcr confegucnte più certo, e più chiaro modo di efcluderc, ed eftingucre ogni intelligenza di quello, che è il moto, che perchè fia, 1’ edere, c’1 non edere congiunge inficine : le cui parti deono edere tali, che una edendo, T altre afFarto non fono, dovendo e(Fcre o preterite, o future. Non eie, ne può eflervi più chiaro argomento dice o nio cita, ed infenfatezza, della mutabilità, J' 30é-' UHP nn. 1 a \ "W" 2 •* Wa * >• ' le le parti non poflbn Pune dalPaltre fcevcrarfi, ne (cambiarli infra di loro, ne murarli, o muoverli in niuna guifa. J L’identità delle parti, l’unc nelP elTere " dell’ altre infiflenri, P unc nell’ altre penetranti^ deflfo elTere invariabile, ed immobile dell’ intelligenza, è elTa in va- #• riabilita, ed immobilità, e coftanza, e virtuofa quiete della mente. L’ inclusone è la virtù maravigliofa, che Urigne,e aduna, e contiene, econferma_.. -1 P clTcnza mentale ad eder libera, e immune dalle mutazioni, e da moti della materia, e ad elTere in quello riguardo invariabile, ed immobile, e quieta. Quella identità, ed inclulione è ella il Ver 5 verace pieno della Mente, che ne i voi- Tra magari Peripatetici, ne gli fciocchi de’ Car- ta!e ' tefiani, e tanto meno gli Epicurei intendere non han potuto finora. L.’infi- - ^ > Y' llenza, ed infeifione delle parti, che ne luoghi eftendono,ne difpergono tempi, è quello che ogni corporale lubricità, e fltilTo, e fuccelfione allontana^. • ** ì dall’ elTere intelligente. Ma di cotalin- fillenza,o penetrazione, o inclufione, egli è da fapere, che altra cofa non è, che (lane l’atro, che 1’ Idea, o percezione. L* intelligenza è principale, radicai percezione, ed Idea: e 1* Idea, o percezione, è prefente, ed attuale intelligenza; nella quale 1* immobilità, cd invariabilità del mentale edere, e 1* indivilibilità, e Immortalità in chiaridimo lume lì difeoprono. La prefente,cd attuai percezione dell’ Idea, niuna parte della potenza intelligente, e niuna parte dell’ intendevole obbierto preterendo, o in futuro rifervando, cioè ogni parte della cofa, che intende,infieme comprendendo tutto aduna in un atro, ed in una prefenza di un femplice edere indi vifibiìe. Poiché l’ intelligenza penetrando, ed includendo tende all’ influenza di ogni fuo clTere^ in una unità di eflenza: la percezione c, prefente, ed attuale inclusone, c penetrazione, ed influenza. Ella è l’atto di quella virtù, c la fermezza, c’1 ripofo, e la quiete della mente, nella.., pod'cdìone dell’ edere, c del fapere. Non vi ha maggiore indiftinzione, ed inclufione del’ogni edere, cioè di quella edenza, che tutto il fuo proprio esere poflìede, che di fé, e delle fue cofc ogni nullità efcludendo, include ogni fua realità: onde l’atto, e la prefenza, cioè il prefente edere attuale, che ogni realità a fe appartenente contiene, è nel colmo dell’ indidinzione, e dell’ inelulione, che ogni nullità, e vacuità, e lubricità, e fluflo, e mutamento efclude. Tal fermamente è la percezione, o idea, le cui parti sì elleno fono a fe prefenti, che una parte eflendo, tutte l’ altre con quella, ed in quella eder deono fenza edenfione di luoghi, e fenza fucccflìone di tempi; tutta prefente, ed in atto in fe, e con fcco tutto il fuo edere conchiudendo. Siccome il moto edende, e (minuzza, e difperge le parti della materia; ed è perciò eda variazione, e mutazione : così la percezione, o idea, diciam così, intende, e conclude tutto l’ edere della Mente : e per tanto è la dedìdima invariabilità, o immobilità, o permeglio dire, è edo ftabilimcnto, ed eda quiete della Mente. Non è nella natura, ne in Cielo, ne in Terra unione più dretta, ne piu intima, ne più falda, e indidblubile della percezione: non ci è della percezione più ficuro, ne più chiaro argomento d’invariabilità, ed immobilità, e di. . quiete. La Mente che nell’ inclufione, ttjftmo arco - e penetrazione deir intelligenza fi dimenio d' m- moftra femplice edere, ed indivifibile, faòlaìwia!' ^ cm P^ ce » penetrabile. La Materia per la compofizione, edeftenfione,o eftrapofizione è divifibilc, variabile, mobile : la Mente per la penetrazione, ed inclufione è immobile, ed invariabile. La Materia ha il fuo proprio atto della ;, propria edenza, che è il moto: la Men te, ella ancora ha il fuo proprio dei proprio edere,che è F Idea. Nell’ eden* dono, efcludone, variazione, e moto la Materia dimoftra da fua cecità, ed amenzia: e la Mente ndia'penetrazio& ne, inclufione, invariabilità, ed, immoti lì bilica biliti fi diicopre indiviiibiie, ed immortale. Non ci ha cofc più tra fe diverfc, della Materia, e della Mente: non re ci ha piu evidente contrarietà di quel- / ra U M/ela, che è tra l’Idea della Mente, e ’1 rìsela Mammolo della Materia. Ma affinchè niu no rivolgendoli alla materia, ed alla mente deli’ Uomo, ed a’ mori, ed alle idee del medefimo, non fi turbi, o eoa tacita oppofizionc non contratti quella nottra dimoftrazione; promettiamo in luogo più opportuno di quella Difputa far vedere, come nel congiungimento di quelle diverfe nature, e di que’ diverfi modi-, vie più venga adilluttrarfi, e confcrmarfi la prefente dottrina. Dall’eflerc indiftinto, penetrevole, ed inclufivo dell’ intelligenza, e fegue Quarta dìdi neceffirà, che l’ intelligenza eflcr deggià interminata, e univerfale : come-, tdfà-Atuu dall’ eflerc dillinto, impenetrabile, ed uc elclufivo della materia, necefli riamente avviene, che la materia debba efler terminata, e particolare. E benché la penetrazione, ed inclufione chiaramente voglia aver con beco infiniti, eduniverfalitir e l’ efclufionc, ed impenetrabilità pur con pari chiarezza arrechi terminazione, e particolarità, anzi più torto la penetrazione, ed inclufione-, paja eflere non altro, che erta infinità, cd univerfalità: e 1’efclufione, ed impenetrabilità colla particolarità, e-» terminazione pajano edere una medelima ragione; contuttociò quelle due ragioni fono due nuovi rilucenti (Timi lumi, co* quali nuovamente per nuove vie rinveniremo coll’ uno la cecità, ed infenfatezza delia materia, e coll’ altro l’ immaterialità, ed immortalità della Mente. Le quali cofee’ perciò conviene, quanto più c podibile, fpiegare,e dichiarare paratamente. Per ^Aeco- cominciar quindi, Univerfale c quello, che tutte le cofe, o quelle che gli appartengono, cioè tutto il numero, e tutta la varietà delle differenze, forme, e modi pienamente contiene, e sì contien egli ciò che e’ contener dee, che le forme,o le differenze per lungo ordine di cagioni l’ une dall’ altre procedenti, e tutte da una prima, e principale pendenti, effo Univerfale dee produrre-,, eziandio. Una principale unità per altri mezza. DELL’ UOMO. 6 1 mezzani principi inferiori, che indi provengono, ed ordinatamente gli uni agli altri fuccedono, con fucceffive produzioni fi eftende fino all* cflremiti degli ultimi particolari a contenergli, e produrgli. Or quella cflenza, o nozione, o ragion di univerfale, manifefta mente ella efler dee indivifibile,ed immateriale. Conciofliachè eflere immateriale, ed indivtfibile altro e* non fia, che eflere in tutti, e con tutti i particolari, e tutti comunicando, penetrando, includendo, adunare in una fempliee, indi viabile unità di efienza, o foftanza. Senza quella principale unità contenente, e unificante, ficura mente le diftinzioni, e le differenze de* particolari fminuzzerebbono, e difperderebbono ogni comunicazione, e contenenza: e fenza_» quel numero contenuto, fenza fallo T uhità rimarrebbe ruota di ogni pienezza, e ubertà. Or 1* intelligenza^ deir Uomo, che ella efprimendo, eraffojtiigliando, fi eftenda da per tutto> a imprendere,e conchiuder tutto il numero, e tutta la varietà dell’ Univerfo i* Iftorie, e le Scienze x eT Arti il roani fe y V.jt., nifdhno a chi che fia. Adunque l’Univerfale,chc non altro, che una ragione, o nozione, o Idea parendo elTere da fé nel primo afpetto non dimoftra realità; li Icorge pofcia, ed è reale», nell’intelligenza; la cui realità il chiaro lume della cofcienza a tutti dimoftra. E l’intelligenza, che è una realità, o reai natura, o foftanza; c pertanto nel primo afpetto non arreca univerfalità; fcernefi pofcia aver vera univerfalità nell’ idea,o nozione, o ragione dell’ Univerfalc; la cui immaterialità a tutti innanzi appretta 1* evidenza», della ragione. Cotal ritorno, e fcambievole fomminiftramento proprio dì qualunque più invitta, e piu illultre dimoftrazione non intendongli Epicurei: onde nell’ LJniverfale, che di per fe i {blamente nell’ idea della Mente, turtocche ben vi veggano indivifibilirà, ed immaterialità; credon pur nondimeno non più che ideale, e immaginario V ellere immateriale: e poi nell’ intelligenza, che è, e fi vede edere folo in nature particolari, febben ravvifano univerfalità; pur ii fanno a credere, che materiale, e divisibile efler debba quella natura univerfale; dovendo per forza»* di sillogiftica dimollrativa conneffione, all’ Univerfale, per l’ intelligenxi, conceder realità; cd all’ intelligenza, per l’ univerfale donare immaterialità. Ma egli è ben uopo quella univerfalità, che nell’Arte, nell’ litoria, e nella Scienza fi manifefta, deferivere più particolarmente : affinchè quello argomento non paja anzi un lavoro di fantafìa, che vero, e fermo, e fondato in Sicure, e indubitabili realità. La nollra intelligenza, come ognun vede, mifura tutti i modi dell’ eftenfionc, e diftingue, e diffinifee tutte le forme del numero; onde eHa è aritmetica, e geometrica : ed al medefimo modo tutte ancora le varie fpezie, e varie operazioni delle co* fe oflerva, e difeerne, ed eftima; onde ilìorica, e fisiologica può divenire. Non è adunque la Mente una particolar diterrainata dimenfione, ne c un»* certo, e particolar numero diterminato; ne finalmente è ella certa,e diterminata forma, o fpezie di quelle, O quelle nature; ma efler dee, ed è uni> 4 P» P verfal ftwrtl* I Univer fatiti deità Screma* del P Arte, e della Storia. (Séif 4/. ^4 V V, St>\ °S n ‘ cofa efplicando, e argomentando: che è Io tteflo che dire, che ella i numeri, e i peli, e le mifure, colla, univerfalità, dentro di.fc il molto nell’uno accogliendo, e il molto dall’ uno riproducendo, diftingue, ed efprime: ficcome con più ragioni nel noftro Volumetto Metafilico abbiam provato per ogni parte .Ora dalla univcrfalità, della quale abbartanza fi è favellato, trapaffiamo alla necertità, ed antichità per ricoglierne altri argomenti. Ma io non prendo ad ofiervare Peffere necertario, per trar quindi drittamente Immortalità nuovo, c contingente per argomentarne cecità, ed infenfatezza nella materia. Perciocché agevol cola è ad intendere, quanto nell’ indiftinzione la nec ertiti, ed antichità; tanto nella neceffità, ed antichità 1’ertere indivisìbile, ed immateriale: ed al primo afpctto, come /iella dirtinzione della materia fi ravvifa torto novità, e contingenza j così nella novità; c contingenza 1’efler cieco, ed infenfato fenza molto (lento fi riconofce. Onde il far quegli argomenti, farebbe più torto di ciò eh* è (lato detto, una riftucchevole ripetizione, che di nuovo ingegno, una dimoftrazione novella. Benché non porta negarli # argomenti d’ immaterialità, ed 1 salirà nella Mente : ne 1’erter m . ss» a negarti, che la ncccifità fopra la indicazione; e la contingenza fopra la diftinxione aggiungono una, come dicono, nuova formalità. Adunque nella neceffita. fi vuol notar folamenteil primato, .e’1 principato del proprio edere : che è*il più forte de’ nobililfimi argomenti Platonici, da più degli .Autori trattato con poca dcgnità.E nella contingenza deefi moftrare fol la fuggezionc, e la dipendenza, che meglio di ogni altra cofa ne conduce a quel Vero, che nella materia andiam ricercando. E vuolfi per tanto dcfcrivcrc prima la necclfirà, e_ poi la contingenza: avvenendo per fimiglianti acribologie, che mirabilmente e l’ idee fi dichiarino, e li fortifichino gli argomenti. Or la neceflità, che altro è Jìù*cbeelia fc non identità, o inclufione_ Jìa. dell’clferc in una fempliee unità; onde l’efienza con ogni fua parte, e con feco medefimaè infeparabilmente conneffa ? E poiché un cotal nello non può conccpirfi che fia, fe non infra più Ragioni, o elementi, o parti; 1’identità dell’uno col numero inclufo;e del numero coll’ uno includente; c delle parti if. tr del numero infra di loro in quell’uno» medefnno, e’ farà certamente il nello della uccelliti. E in fine non potendo» tutto ciò edere fenza intrinfeco producimento, e fenza intrinfeco procedo dell’ uno dall’ altro; nelj’ efienza necef» faria, necelfiria mente eflèr dee principio, mezzo, e fine:, così che il principio internamente produca il mezzo, c’I fine, e a quelli comparta tutto il fuo edere, e in tutto 1’eflere di quelli fi diffonda •e ’l mezzo, e ’l fine vicendevolmente tutto il loro edere nel principio rifondino, e in quello ritornino,, e fi ripolino. La necelfita è edenza., avente unità, e numero,. principio, mezzo, e fine per interne comunicazioni indivifibilmente congiunti. E adunque la necelfita in fc, e con feco,,eLda fe medefima, ed avendo in fc mer. ìzo, e fine prodotti da un principio,, che è ella medefima; viene con ciò avere il primato, e ’l principato del fua> proprio edere, da ogni altra edenza m? quello rifguardo libera, c indipendente. Dichiarate così quelle nozioni, di-' eiamo’ che la neceflirà, o non è ella_, MI». a fiat “nitiVarl l.,T> rx uX ' T ..V Vk K T' V • rV‘ te. -a -V ; u. e procaccievolc la fcien onde pròve' za • Quello è dedò ficuramente tutto il i ™. nerbo di quel famofo argomento platonico, che T Anima dell’ Uomo muova fe medelima: e perciò da fe dipartirli, ed abbandonare fe (leda a vcrun__» patto non poifa giammai. E di queiraltro pur di Platone, che nel primo è implicato, cioè che l’Anima dell’ Uomo,*' fia eda vita, onde il corpo fia, e li di? t ca vivente : e per tanto finir di vivere platonico del? per niuna contraria forza di natura non immortaliti. poflain niuna guifa. Perciocché qual’aitra cola è ella la vita, fe e* non è un«, atto perenne, e podcrofo nelP edere, e nell* operare? la vita è edcnza attuola, ed atto eflenziale, o foilanziale: è edere, ma perfetto, pieno, vigorofo operante : è ella altresì operare, ma faldo, tobufto, incettante. La qual cofa unicamente è polla nella generazione, comunicazione dell’ edere. Nella vita adunque è pofleflione dei proprio cfsere, e del proprio operare, che fi diftingue, e fpecifica nella pollone del vero, e del retto, e della fcienza, e della legge, col potere ad apprenderlo, e confeguirlo : e nella pofseflione del proprio potere, colla fcienza ad intenderlo, e a reggerlo colla regola. La vita perfetta è il fapere, volere, e potere della mente. Ma fonovi nondimeno certi gradi d’ imperfetto vivere, per gli quali a quella fommità della vita mentale, dall’imo d’ impcrfcttiflìme vite fi afccnde, che altrove forfè dilegueremo ., •divediamo ora della Novità, e Contingenza della materia, e del fuo eflere^ f. fpregcvole, fuggetro, e dipendente. Il v che, per quel che dell’ intelligenza detto abbiamo, come facile a comprendere, preftamente in pochi motti fpedireroo. Siccome nell’inclufione dell’ intelligenza è il vincolo della neccffità ma-. ' i mfcfio ;cosi nella efclufione della mate- \ • • 4 ria chiaramente feernefi l’ infragnimen- to, e ’1 difcioglimento della contingen- ebetekj La contingenza ella è sì fatta, che Z£ s l™. 1 • parti, 1 ’ une all’ altre fono rtra «• K 2 mere, ,la Materia fi fpopjia dì ogni prin CÌpGtO « nierc,avveniticcie,e nuove; ed al tutto ancora, che non in altra guifa, che l’une all’ altre avvenendo, e congregandoli infierae, compongono; e 1’ une dall’ altre dipartendoli, c fegregando- fi, agevolmente depongono. Come rincontro per le ragioni medefime, il tutto alle parti Tue, onde ora è coftrutto, ed ora diftrutto, egli è Uranio, nuovo, e avveniticcio. E giacche l’ indiftinzione decedere è il nodo infolubiie della necedità; ben egli è uopo, che nell’ogni diftinzione- tanta contingenza li ritrovi, quanta non può edere altrove. La Materia adunque per cotai difetti non può in fe edere, ne confetf co, ne da fe;ne può avere interni principi, mezzi, c fini per interne comunioni infcparabilmente infieme avvinti. Il perchè non potendo muovere, o reggere fe medefìma dentro di fe; ne_, fuori di fe altrove in altre cpfe penetrare a muovere, o reggere foftanze da fe diftinte; è forza che ella fi rimanga nuda d’ogni primato, e principato di edere, c di operare, fenza lume di faperc, fenza nume di volere, ., ZT. ' efenza fermezza di potere, di fcienza, di arte, e di regola fprovveduta, eie- v ca, infenfata, inerte, informe, ed im- a potente del tutto. Quel capo di foggezione, e di dipendenza, fecondo quella generai ragione del non edere, egli è come radice di tre più proprie, più fpeciali dipendenze: il primo di non intendere alcun edere, o vero; l’altro di non appetir retto, o bene niuno,c’l terzo, ed ultimo di non avfcre niun_» vigore verfo niun obbietto, di muovente fe medefima. E qui altresì è cofa degna di maraviglia, che in quel generai difetto, è manifefto lo fcioglimento, e’1 fluita della contingenza, quafi dei non edere; onde 1* edenza, o fuftanza ^ della materia è rifolubile, caduca, temporale. La qual contingenza fi diriva, e comparte ne’ tre capi fudeguenti: deche nel primo di quelli c la contingenza del non fapere; onde la Materia è cieca, ed infenfata :c nel fecondo è la contingenza del non volere ;, onde la Maceria è difinchinevole, ed indifferente : e nel terzo è quella del non potere, onde la Materia è pigra, e feioperata. Quello egli c tutto il fà yf reomento mofo argomento Ariftotelico di là preAnjtotelico rii r r • dciu Divini. *° » che qualunque corpo fi muova, e ta debba da altro corpo efler moflfo : onde per non procedere in infinito, abbia ad efTcrvi un primario principio, da fe movente il tutto. Conciofliachè, come il potere della Mente ritorna nel Capere, e nel volere, per gir colla cognizione verfo il vero, che fi conofce, e coll’amore verfo il rètto, che fi appetifee; così il non potere della materia fi ellende al non Capere, e al non volere il vero, che non s’ intende, e ’l buono, che non fi vuole. Adunque come nella coCcienn za dell’ Uomo,da que’ tre principi del»trìnci} j men - le tre poteftk mentali fi perviene, a co* **• noCcerel’ Immortalità della mente dclP Uomo; onde poi di più conoCcijmo la cecità, ed inCenCarezza della materia; così nella conoCcenza, che abbiamo della Materia, fimilmente da’ tre principi de vizj materiali, fi comprende la cecità di quella Coftanza, e 1* inerzia, e 1* indifferenza, ed impotenza:* onde poi vegniamo a conoCcere 1’infinito Capere, volere, e potere della mente del Mondo. Imperocché il primario generai capo viziofo, ci mette dinanzi agli occhi Come da tre il difettofo lubrico edere della Mare- ^{Tcomjce ria: onde argomentali infinita efl'enza, l’impotenza^ che l’abbia dovuta trarre dal nulla. Il primo fpczial vizio del non Capere, ne zadeltaMe * h fa intender chiaramente il difordinato, Um,c turbolento, ed informe edere della_, medefimajonde fi argomenta infinita lapienza, che coftanza, ed ordine, e—; .forma le abbia donato. Il fecondo, e’I terzo del non volerete del non potè- *>-, re, fa veder l’ edere materiale del tutto impotente, ed inetto: onde fi raccoglie dovervi edere Comma benevola po- vV tteda, ed onnipotente Nume, che dritti, e fruttiferi inchinamenti, e moti le abbia conceduti. L’ uno, e T altro è egli un ben triplicato argomento dell r Immortalità della Mente dell’ Uomo,e_ dell’ efidenza della Mente del Mondo • c della fuggezione, e dipendenza della Materia particolare dalla Mente particolare dell’Uomo; e della materia univerfale mondana dalla mente univerfale del Mondo. Il quale Aridotelico argomento nondimeno, menti tenebrofe, v altri 4W4 ' i A Vii T-' Cowf /* della Scienza, mento, quel Filofofo riftretto dentro de’ confini deli’ attività del fenfo dalle materiali origini, che in quelle ofeurttà, e in quelle anguftie poflono parere e’ prende, e così efprime ne’ feguenti ve rii. -m* j w* Tum cum gìgnimur, et viu cum limen humus : i&wrf ftu conveniebat, uti cum corfore, cìr «nà Caw membris videatur in ipfo fanguine creJTe; velut in cavea per fe Jìbi vivere folam Conventi, ut fenju corpus tamen affluat orane. Siccome contro all’efiftenza della». Mente univerfale, 1* argomento, che dalla fenfuale origine del Mondo traggo 1 più i novelli, che i prifehi Epicurei, cioè che nell’Uomo, e nel Mondo, altro che *1 corfo de’ penlìeri loro, ed altro che la mole, e i moti della materia non veggendo; nell’ Uomo alsfro che un fugace penfiero, e nel Mondo altro che mobile materia non elTere argomentano; quell’ argomento, dico, per quella fola dottrina delle due fpc-t 2,c di foftanze, c di origini, fenza far altro, rimane fviluppato,c fpianatoper ogni parte. Perciocché, fe niun di loro, non convinte prima di vanità le fpirituali follarne, e le fpirituali origini, che con chiari, ed invitti argomenti abbiam dimoflrate, crede di premerci ancora coll 'apparenze delle origini fendali; egli è Scuramente uno feempio. Con tutto ciò e’ fa di meftieri, che quelle inviabili origini in quello luogo in alcun modo almeno deferivamo. Adunque poiché 1* eflfer neceflario, e_ T efler eterno fono i primi, e più certi, e più fplendidi lumi dell’ umana cognizione; e poiché 1' infolubilc della.* neceflità, e 1’ antico dell’ eternità fon proprie doti dell’elTenza indillinta, penetrevole, e comunicante; e* non altrove, che nelle tre principali forme del fapere,del volere, e del potere indiftinzione, penetrazione, e comunicazio* ne può rinvenirle d’altra parte e* non ci ha cofa più fparuta, e vana, e fuggevole della contingenza, c della novità, le quali quanto dal vincolo della neceflità, e dal primato dell’ eternità li dipartono, altrettanto dall’ edere, e dal conofcere fi allontanano; e come la novità, e la contingenza fono proprie., dell’ cflenza tutta divilìbile, e impenetrabile della materia, così alla medeflma materia la neceflità, e antichità, o eternità fono improprie, e repugnanti; e finalmente poiché non altrove 1’ ogni diftinzione, colla divifibilità,e impene dell; uomo- sj trabilità ritrovali, che nella cecità, indifferenza, e impotenza materiale; Poiché, dico r tutte quelle cole per lucidilfime nozioni, e per certilTimi argomenti fon vere, e manifelle, e conte : egli è in ogni modo da dire, che la neceflità, e V eternità non già nel vuoto^ nel nulla, ma nel pieno, e neH’cffererne nell* edere della materia difttnta, divifibile, impenetrevoFe, e contingente, e nuovo; ma nell’ edere della mente, fndiflinto, indi vifibile, penetrevole, necelfario, ed eterno, lì debbano allogare. Anzi che la neceflità, ed eternit* fiano Ta fteflìflima mental natura primaria, e lovranare che FjLj M ente prima altro ella non ITa, cheeffa neceflità, cd eternità, di Capere, volere, e potere dotata. La quale per Letìfere necelfario, ed eterno, da unico, fupremo, libero, e indipendente principio' del fuo elfere, che è l r ogni eflfere fpiritnafe; e dell’ elfere della materia, che è l r ogni edere corporale, cut abbia ogni folhnza, ed ogni potere conceduto, ed apprettata ogni forma. Por, perchcogni particolare alfuouniverfale, come a Fonte rivolo fi dee riportare; Umilmente è da tener per fermo, che-* come la materia dell’ Uomo dall’ immenfa felva dell’ Univerfale materia ella è tratta; così la Mente particolare del medefimo,dall’ infinito potere della Mente univerfale è provenuta. Ma la Mente dell* Uomo, benché ella è in alcun modo di neceflità,e di antichità partecipe, e delle tre forme ornata; onde può fignoreggiare la Materia, e di -vita, moto, fenfo, c d’ideali forme fignificanti cogitative, e fenfitive fornirla; tuttavia perchè ella è finita, e particolare, non può dominar la Materia, ne con produzioni di foftanze, ne con introduzioni di reali forme. Dal che li raccoglie efler dritto della Mente univerfalc, che ella, come ha prodotta, e moda, e moderata la Materia univerfale per la formazione di tutte le fpezic delle cofe mondane, ad edere; così parimente abbia prodotto, e moda, e figurata la materia particolare per 1’informazione, onde fieno l’idee, e forme SIGNIFICANTI a fentire,e a conolccre. Nel qual noftro diviiamento è pure, a mio giudizio, memorevole un bel cambio di libertà, e di dipendenza tra la Mente particolare, e la particolar materia nella coftituzione dell’Uomo. Imperocché la Mente, comechè per le tre forme mentali aver deggia primato, libertà, ed indipendenza; con tutto ciò perchè è terminata, e particolare, non può ella da fé trarre la Materia al fuo consorzio, ed alla compofizionc dell’ Uomo: onde per la particolarità, e terminazione, ella è in quello ancora, e fuggett 3,e dipendente : e la materia, benché per le tre forme viziofe materiali, di Tua natura fia dipendente, e ferva; nulladimanco, perchè è ella con tan- ' to ingegno formata, che debba eflcrc informata al fenfo, ed alla cognizione; è libera, ed independente dalla materia univcrfale. Conciollìachè quella forma, che è magifterio di Sovrano Sapere, non Solamente la Sottragga alla debolezza, cd alla cecità della materia, ad ogni altra formazione di per Se impotente; ma oltre ciò la debba diftinguere, e Segregare dall* univerSal Seminario, e dalla formazione universale dell’ altre co •M Se. ' ¥ ri. 1 » Vera orìgine dell' Uomo rintracciata col lume della filofofia. Origini mafaiche eziandio all’ umano faPere chiare, efuminofe. Sicché per quelle vie vienfi a conofccre eziandio, che dalla mente univcrfale, non già la fola mente particolare per creazione; ma infieme la particolar materia deir Uomo, quanto alla formazione, immediatamente è dovuta procedere. Quella è ella 1* origine deir Uomo, che con quell’ altra del Mondo giunte infieme, fono il vero pieno, perfetto, armonico, e maravigliofo delle facre origini mofaiche, con ogni ragione,c con ogni legge, c regola concordi : quanto ofeure a’ baffi, e caliginofi intelletti, tanto a’ fublimi, e purgati eziandio dentro i confini dell* umano faperc Iuminofe. Laddove e», manchevoli, e difordinate, ed inette,e da ogni ragione, e regola difeordanti, le origini di Diodoro, e di LUCREZIO (vedasi), e d’ altri fenfuali Filofofanti, anche al lume del mondano fapere per falle fi riconofcono. Per fare come un Epilogo delle cofe della natura dell’ Animo finora deputate; prima abbiam provato, che*. 1* Animo è ineftenfo, e penetrevole. Secondo, che elTo è immobile, ed invariabile .Terzo, interminato, ed umverfale T abbiam dimoftrato; inquanto Tinimobilità, e T infinità fi oppongono alla mobilità, e finizione materiale. Quarto, che e’ debba avere dell’ edere neceffario, ed antico. Quinto, ed ultimo che egli abbia libertà, cd indipendenza, e primato, e principato del proprio efTere, e dell’ alrrui. Da tutte, e ciafcuna delle quali ragioni egli fi è conchiufo, dover T Animo in__. ogni modo edere immateriale, ed immortale. Di più colf ultimo argomento del primato, abbiamo feoperta la vanità di uno de’ principali argomenti dell’Avverfario. Ma quante ragioni abbiamo allegare, per convincerne della diverfità delle due nature dell* Animo, e del Corpo; e per conofcere T edere fpirituale,ed Immortale dell’ uno, e T eder cieco, ed infenfato dell’ altro; altrettanti oftacoli pare che dinanzi ci fiamo opporti, per non intendere il concorfo, e la congiunzion loro a coftituire un_i principio di edere, e di operare nelT Uomo. Imperocché quanta fra quelle^ due nature è diderenza nella foftanz# Mto* M 2 dell’ ci *» DELL’ ANIMO .deir edere, e nella maniera dell’ operare; altrettanta ripugnanza pare dovervi edere ad unirli infieme alla coftituzione di una natura. La qual diflicultà ella è tale, che come l’altra dell’unità dell’ edere, e dell’ operare dell’ Uomo, prima ha fofpinti gli Epicurei a credere che l’animo, e’l corpo fiano una medefima natura; così la difficoltà del potere edere due nature diverfe, gli ha», poi nell’ errore vie più confermati. Gonciodiachè prima fi prefentò loro innanzi quella unità, onde facilmente», ConcKiufero la dmiglianza delle due nature : e pofeia contro ad ogni più forte argomento, che l’animo di altra natura dover edere dimoftrade, han fatto riparo con quella ripugnanza : che nature cotanto diverfe non potelfono convenire infieme a comporre una medelima eflenza. Sicché tutti gli argomenti della mortalità da quelli due capi, che ora abbiamo additati, difendono. Ed ancora quella immaginata ripugnanza, cotanto ella ha potuto fopra lo fpirito di alcuni moderni Filofofanti; che per le loro vie, e giuda i loro principi, non potendo eglino unire infieme lanatura fpirituale, e la corporale a formar 1’Uomo, fonofi rivolti a voler riftringere, e rinferrare la foftanza dell’Ani- irrori di mo chi ìh una parte, e chi in un* al- t&StS. rra acl i^elabro,come già argomentato tomo alta Se. avea Lucrezio, che dovette farfi; T animo di fuori venitte a compor l’Uomo, e non gii col corpo da fimiglianti principi nafcefle. Or chi crederebbe che anzi quella diverfirà è ben ella la, cagione, onde la natura fpirituale, e la corporale fono inchinevoli, e prette a convenire infieme, o nel mondo alla formazione per lo produci mento di tutte le fpezie materiali, o nell’ Uomo a produr 1* Uomo, e le forme fenfitive, e lagionevoli all informazione? 1 cotanto egli è vero, che P inveftigazione, dal principio male avviata, per tutto il corfo, poi fino alla fine fa traviargli Uomini dalle verità, quantunque agevoli, e piane. E per difingannareognuno, noi dicemmo gii, che la Mente 7 per 1 inclufionc, o penetrazione è ella * i n S e et nj °fa f attuo fa y operante; e per la raedefima cagione è altresì invariabile w ^ «P f I, e per così dire,impallìbile, o impaziente: e che la Materia, per l’ efclufione, o impenetrabilità è infenfata, viziofa, fcioperata; e per tanto è oltre ciò mutabile, e per così dire, paflibile, o paziente: poiché immobilità, ed invariabilità, che della Mente c propria, egli c il medeiimo, che impaflibilità, o impazienza: e mobilità, o mutabilità, che della Materia efler propria dimoftrammo, è lo flelTo che pazienza, o paflibilità. In quella impaflibilità, per cui la Mente non può edere moda, mutata, o variata, e può parer vizio, o difetto, e nondimeno è virtù: e propriamente ella c l’atto pieno, perfetto, vigorofo, onde la Mente è, ed intende tutto ciò che eder dee, ed intendere: ed infieme produce ad edere, ed efprime a conofccre ogni foradiera edenza. E così la padibilità, o pazienza, per cui la materia non è immobile, e invariabile, può parere virtù; e tuttavia è vizio: e propriamente ella è la potenza vacua, imperfetta, inferma, onde Ia_# materia non ha proprie forme di edere, ne d’ intendere; ne di produrre, ne di efprimere realità, o idee nell’ altre cofe. E ficcome V atto mentale, cheper 1’immobilità fembra dover edere infertile, ed informe, dalla fua unitali conduce alla moltitudine, a produrre-, molte, e varie forme di edere, e da intendere nella variabil materia; così la potenza materiale, che per la mobilità par dover edere fertile, e formofa,da fe trafcorre ne’ difordini,e negli errori. Ma ben ella dalla moltitudine all* uno,, cioè ar conciglio, all* ordine, ed alla forma eder può condotta per forza, ed ingegno della Mente, LaMateria da fe non ha forma, ne atto ^nzTddl^L alcuno; ma per quello appunto ella è virtù della tutta capace, ed abile a ricevere ogni ^detuM^ forma, ed ogni atto. La fodanza eden- mia.. fa, rutta didinta, e di viflbile della materia, che in dividendo o non mai ad alcun termino perviene, o termina in indivifibili edremità: quanto per quedo ella apparifce mobile, e variabile; tanto s’ intende eder pieghevole, ed arrendevole, ed odequiofa a prendere tutte le forme, e i modi,, che *1 fapere, e volere mentale può ritrovare. Se la materia non forte tale qual’ è, eftenfa, impenetrabile, divifibile, e variabile in ogni modo; non potrebbe ella efler capace a ricevere forme, ne reali operanti nel Mondo, ne ideali lignificanti nell’ Uomo. Se la Mente non forte ineftenfa, indiftinta, immobile, ed invariabile; non avrebbe ella ne potere, ne ingegno di forme; ne potrebbe aver virtù, ne modo d’ informar la materia. La_. leggerezza, ed incortinila, e variabilità, ella è della abilità della materia ad erter formata, o informata. La fermezza, e cortanza, ed immobilità, ella è deffa virtù della Mente a formare, o informar la materia. La Mente per la virtù, che è il fuo atto, è principio delle cofe operante. La Materia per lo difetto, che è il fuo edere potenziale, è principio delle cofe, per così dire,paffivo. Quella è la più rimota attitudine, e capacità della materia per la produzione del Mondo, e per la cortiruzione dell’Uomo a concorrere, e a congiugnerfi colla Mente. Ma altro e* fa ben di meftieri, che polTa edere vicino apparecchio a sì grandi opere maravigliofc. La Materia, fecondo l’ opinione di coloro, che nell’inizio delle cofe vogliono il vuoto, dee edere fcompigliata, e fparfa in moti difordinati, e turbolenti : e fecondo 1* altra degli altri, che noi vogliono, dee darli immobile, e fcioperata: nell’uno, e nell’altro fiftcma ad ogni formazione inetta, ivi per lo fcompiglio,e difordine, che proibire ogni fruttuofa compofizione, equi per 1* immobilità, e fcioperaggine, che toglie affatto ogni sforzo ad ogni intraprefa. Il perchè gli uni, e gli altri per viediverfe s’ingegnan di adempier quei difetti della materia, e di apparecchiarla, e condurla alla formazione. Ma lafciato da parte dare il contrado di quelle rimotc origini, che qui non ha luogo; egli è certiflimo, che la materia di per fe impotente, ed infruttuofa, con due condizioni può pervenire a comporfi, e variarli, e a comporre, e produrre i var j frutti delle varie fpezie delle cofe. L’uno è il contatto, che aduna le parti; l’ altro è il confenfò, o concerto, che unifce infieme i movimenti. La Materia quando ha le parti N con Due condizioni necejpiriea comporre, e Variar la Materia; congiunte in un lol corpo, e i moti cofpiranti in un fol moto; allora è ella nel colmo dell’ eflere variabile, e pieghevole, e offequioSo. La Materia pria Sminuzzata, e raffinata, colle parti inficine accolte, e co* moti tutti in uno convegnenti, ha la maggiore Squisitezza dell* eflere paffibile, o paziente, che è,o a raflomigliar l’ idee mentali modali, o a congiugnersi con idea Softanziale, la più vicina, e più pronta diSpofizione. Imperocché in quello fiato, con quelle doti la materia in certa guiSa allora è con Seco, e da Se, ed in Se : ed ha il primato, e *1 principato del Suo proprio eflere, nel tutto le parti adunando; e ’l tutto alle parti eftendendo; e le parti fra loro, e col tutto infieme giungendo : ficchè ne moto in una parte può SuScitarfi, che per tutte V altre parti non diScorra, e per tutto in ogni lato non fi diffonda; ne modo, o forma può imprimerli in una parte, che», ad ogni altra infiememente da ogni banda non fi comunichi. Con che la materia tanto all* eflere mentale fi avvicina, che ben può tutte le idee della mente agevolmente cipri mere, e tutti i numi prontamente efeguire, c la fuftanziale idea fecondare, e con quella Erettamente collcgarfi acoftituir l’idea, e’1 nume dell’uomo. Colla copia, e col contatto delle parti, e col consenso, ed armonia de’moti, la materia ha tutta la felva, c tutto il potere, e tutta l’abilità per appreftare a Mente fuperiore tutte le forme delle cofe, colla produzione di tutte le fpezie mondane^ c per appreftare fe medefima a Mente conforte, per la coftiruzione dell’ Uomo, col producimento di tutte le forme ideali fenfirive, c ragionevoli. Ma per deferivere più particolarmente la maravigiiofa unione delia Mente, e della materia nell’Uomo, non già per hmfrabÙZ^, confermarla, che di già abbiam fatto; è uopo affifarci ad oflervare le opera- t^Materi zioni dell’ animo noftro : che giufta il nell'Uomo veriflimo volgar principio, quale 1’ effer delle cofe, tale ancora è l’operare: e vicendevolmente qual è quello, tale efter dee quello infallantemente. Quando l’Uomo apprende le forme fcnfibili della materia circoftante; e in appren. » N 2 dendo Sì prende ad adombrare .t i» f: Coro* Al-» . A lente apfrc r da le formai ì • de' fenjtbili obbietti li dendo quelle forme da* piccioli indizj -, c rudimenti negli organi de* fenfi introdotti, come altrove abbiam ricordato, le difpiega, e dilata; certamente allora la mente nodra, e raccoglie in uno i numeri, ed adegua le dimenfioni, ed efprime le modificazioni della materia. In quelle fcnfuali figurazioni la mente ha per fuo oggetto la materia formata; e in quell’ edere della materia, diciatti così, obbiettivo, la mente fi congiugne in alcun modo colla materia ;ficchè ornandoli delle di lei forme, dentro di fc nel fuo eflere eftende, fpiega, e figura la material fodanza. Similmente quando da’ geometrici elementi, e dalle-, combinazioni, e da’fillogifmi, la Mente dell’ Uomo da fc giugne a trovare forme artificiose, da trasmettere nella materia; quelle forme medefime, nel fuo medefimo edere codruifce; molti particolari in uno, cioè nell’ una* fua_. Semplice, e indivifi&ile edema, edenStoni, figure, e numeri effigiando. Adunque nelle mentali nodre operazioni, due cofe quanto certe, tanto memorevole intervengono* L’una è, che la Mente con Vf. V M VÙk' i, % dimento. Per quello novello fiflema.» coflrutto fopra faldilfime fondamenta, S’intende bene quali fieno i principi . ;. LHj dell* Uomo: e le maniere dell’ operare, utilità del come colle più interne, e più fecrete nuovo fijiema guife dell* eflere mirabilmente confentano : e la Mente dell’ Uomo, e dell’ Univerfore la materia dell’ uno, e dell' altro: e TofTequio di quella, e di quella materia :c la virtù di quella Mente, e di quella; dell’ una a formare, e dell'altra ad informare, con mille altre verità finora alla maggior parte degl’ ingegni nafcofte, vegnono a conofcerfi chiaramente. Sopra tutto per quefta_r> dottrina, 1’argomento di Lucrezio, che dal confenfo dell’animo, e del corpo, il contatto di quelle foftanze; e dal contatto l’uniforme natura di amendue*. Vucrezio. vuol concludere ;'nel quale tanto confìdanoi novelli Epicurei; fi difcopre-chc Secondo argomento di | / l 'egli è ufeito dal più cupole più renebrofo fondo dell’umana ignoranza. L’ar gomento è efpreflo in que’ verfq : - hit. Uh H, *tm e. L bt. enim propellere membra, f I.v Corpoream docet effe. Ubi. enim Corripere exjomno corpus, mutar eque vultum, Atque hominem tqtum regere, ac ver far e videturz {Quorum nil fieri fine ta8u pqffe videinus^ '1 J«M! r i t.*V.mentale, che è la penetrazione, e i’ in» elulione. E che 1’ eftenfione, la fucceffione, e ’l moto con quel contatto, e con quel contenta, fono il più pronto, c predo inchinamento, ed olTequiodella materia. E in fine, che P oflequio apprettato con quelle condizioni, e’1 pòcere efaltato con quelle doti, fono la maniera più adattata, e più conface vole di unire infìeme la Mente, c la Materia alla coftituiione dell’ Uomo. Ma fe Lucrezio colla feorta de’ tanfi non potè penetrare in quelle profondità; almeno dalla poteflà, e dall' imperio, che P Animo ha fopra il corpo, potea coll* efempio d* illullri Filotafi alcuna cofa argomentare di più pregevole, che non ha fatto. Tanto più, che quella prerogativa cosi bene efprirae in quelli verta : 0 Citerà pars arùieé per totum dljjìta corpus Paret, et ad numen mentiti momenque movetur : a \dque Jìbi Jolutn per fi fipit, cSr fibi goudeti Cum ncque res animami neque corpus commove t ulta • Concioflìachè lo fptendore di cotal prin ., tn« » wn io8 folo, ma tutti in un colpo avrem ricili i nervi di tutta 1’ argomentazione Lucreziana. E benché con dimoftrarc lo fcambievole inchinamento, c combaciamento di quelle nature, fi è in parte-, (pianata la difficultà; tuttavia ci c altro da dire ancora, per farne da prcflo ad offervare quella maravigliofa unità. Nel fenfo, e nella cognizione dell’ Uomo, o per la percezione delle efterne for-» me, o per la concezione dell’ interne idee; egli è da por mente ad una cola affai memorevole, che non fi è finora nelle bocche udita, ne su i libri letta delle novelle famiglie de’ Filofofanti : cioè, che quanto da noi, o concependo fi penfa, o con percezioni fi apprende, tutto dee effere in fé raccolto, acconcio, ordinato, e comunicante: e niente, che o diflìpato fia, o confufo, o difcordantc, può ne effere efpreffo dagli edemi obbietti, ne per interne idee figurato. L’ obbietto del noftro fenfo, e della noftra cogitazione, proporzionevolmente fecondo che più, o men-» vive, e chiare fono le fenfazioni, e le idee, egli de’ bene effere ordinarameu• j,. i * o te confetto, c congegnato: licchè le parti ciafcuna al fuo luogo adattate, etra loro congiunte compongano ciò che_ deono comporre: e poi per lo moto, il tutto colle parti, e le parti col tutto, . ed infra di loro, comunichino infieme vicendevolmente. Imperocché, come altrove è flato detto, qual’ è nella Mcn- OlfaV è la te la penetrazione, e 1’ inclufione; tal’ L///ES, è il moto nella materia: onde la pene- limato trazione, un moto della natura fpiri- ne ^ t,AaUr,a ' tuale fi può dire che fia; c ’l moto all’ incontro una penetrazione della corpo- ' ralc. Oltre a ciò la confettura, e’inumero, e le dimenfioni con arte voglion ettere difpofte: ed in numero, c mifura regolatamente vuole il moto per tutto da un capo all’ altro trascorrere :e di quindi nella fua origine ridondare: e-, tutto ciò variamente, fecondo il vario ingegno, c ’l vario modo delle cofe. Conci oflìac he, come nell’ efprelfione dell’ efterne fignificazioni, o azioni, tutto l’ ingegrio, e tutto il movimento vien da fuori, e fi riproduce nel fenfo dell’Uomo; così nelle figurazioni interne, a formar 1’opere dell’ arte, tutto r in V / I JT Luce, e lenebre che fiato elle. I,no T ingegno, e ’l movimento dall* interno fenfo dell* Uomo provenendo, nelle materie efteriori pofcia fi diffonde. Fermamente ove è diflipamento, tumulto, difordine, e difeordanza, quivi ci ha egli un chaos tenebrofo al fenfo, ed all’ intendimento dell’ Uomo : ed ove è adunamento, ordine, e concordia con vigore, ed attività; ivi èchiariflima luce. Sicché le tenebre non fi può dire, che altro elle fieno, fc noru» che difordine, e dilpergimento, e difeordanza di parti, e di movimenti: e la luce all’ incontro ben fi può credere, che altro ella non fia, che piena, vigorofa, ed ordinata comunicazione di modi, e di moti. Perchè la Mente dell’Uomo è ragione, ordine, regola, virtù, ed atto penetrevoleje le operazioni mentali, fono elleno o elementi, o congiungmmenti, o fillogifmi di feienze, e di arti; non può per tanto la». Mente altrimenti operare, che fimiglianti modi ordinati, e ragionevoli, ed attuofi, e penetrevoli, o per le formazioni producendo, o riproducendo per 1’efprelfioni. Cioè adire,ficcome ali in in intendimento noftro fon naturali, e proprj gli elementi, o generi, le combinazioni, e i fillogifmi dialettici, metafifici, geometrici, ed altri d’ altre Facoltà, e Scienze, che tutti dal copiofofon- ** te della foftanziale, ed univerfal ragione, eh’ è della Mente, produconfi; così folamente le acconcie,ed ordinate, e ragionevoli, e penetrevoli forme, modi, ancora dell’efterne significazioni, ed azioni fono al medefimo intendimento adattate, e proprie: e feonvenevoli, e fconcie, e difadatte, e per confeguente infenfibili, edifintendevoli fono le cofe difordinate, e feompigliate, e difeordanti. La qual cofa, per quello tante tolte da noi ricordato principio, che qual è delle cofe Federe, taf è l’operare, è affai chiara, e manifella. E come le Scienze, e 1* Arti fono ampliarne tele di ragioni, e di mo- ze te e /^ m di, e lavori con penetrevole comunio fino mfiìffine conteftej e le fignificazioni efterne, che figurano, c fiedono il fenfo, firnilmente con forme, e modi, e moti mifurati, e comunicanti compongono di cofe fatte, o nate la Storia; così è da tenere per fermo, che Cielo, Terra, Mare, e tutta la macchina mondana, di elementi, e di congiunzioni, e fillogifmi aritmetici, geometrici, e fiatici coftrutta; e di copiofe,e vigorofc forze, e moti fornita, da un principio per tutte le linee fino all* ultime eftremità, per continuata ferie gli uni dagli altri procedenti, tutra confcco medefim.'L, comunichi, e in fe medefima fotti Ita, e da fe a fe, da’ principj a mezzi, c fini, virtù, c vita fommimftri. I quali modi, e mori j maeftrcvoli ingegni di fovrana fapienza, ne’l fenfo noflro, ne 1* intendimento può diftinguere, e fccrnere a . V niun patto: e chi di proprio ingegno a s ^ fuo modo di fingergli ardifce, egli è \ certamente un infano. E per li quali modi, perchè ordinati, e ragionevoli, .la materia è, per così dire, fcibile; e è non per fe fletta : perchè d i fe flef f er onevor*' c ^ a ® inferma,ed informe, dal diviìntlol no Platone per tal cagione condannata duce la Men. a rimanerli in perpetue tenebre fe potrà. Ecco adunque del conofcimento dell* informazione un aliai notabile profitto. La Materia dell’ Uomo, per ordine, ed incatenamcnto de' principi, mezZl, e fini, tanto nella fabbrica dell' organo .quanto nell’ influenza del moto, ella e comporta con tale ingegno, che tutta m fe infittente, ed in fe raccolta, e per tutto operante, e rivolta ad apprendere le forme efterne degli obbietti elterni, e a produrre l’ interne degl’ interni : e fecondo querte, e quelle, che fanno un concerto di lumi a profittar nella icienza, a regolare la vita, c ad operare nell'arte. L’altre naturali compolizionl, e l’univerfo medefimo della Matura, non fono in altro modo, che per e fiere efpreflTe da idea nel fenfo, c ^ : ne i a n.°f; ta210ne: ma Ia magnifica opera dell umano comporto è tutta ordinata ad efprimere, ed apprenderle cole. Il corpo organico è un arrificiofifli P/ r ef P rimere, e raflbmigltare tutte le forme, e apprendere e fUn ca cor t° bile Tfl,e – azi de fpeciofi, ed attuofi obbietti circoflanti. La materia dell’ Uomo a quel modo coftrutta, e modificata è infine una mente materiale. Adunque la Men P te. : r unità diir Uon w. 1 ar ri4« tc, modificata fecondo quella ordina* fì fwV» ta » c ragionevole modificazione del corpo organico, in primo luogo fente, o avverte quella fua modificazione : e per tal cagione, e in oltre per 1’intima unione, avverte ancora, o fente la materia congiunta. Conciofliachè quanto quel modo V è apprettato dalla formai corporale; tanto ella da fe per naturai virtù lo produca : ficcome appunto avviene nelle minute, e variabili, e lievi informazioni de’ fenfi, e delle cogitazioni particolari. Comunque egli ciò fia, la Mente fenza fallo i universa» composizione delle parti, e V univerfo confenfo de* moti, che tutte le parti in uno, e tutti i moti in un fol moto congiunge, por P influenza de’ principi ne* mezzi, e ne* fini, e per lo ritorno di quelli in quelli ;Ia compofizione, dico, e’1 confenfo univerfale, prima conclude nell’ unità della ifua univerfal cogitazione; e poi, in quanto è modificata ne’ principi, fente quivi il ritorno de’mezzi, e de’ fini: ed in quelli allo’ncontro, fecondo i quali fimilmente è modificata, fente 1’ influHo de’ principi : onde viene a formarli un confenfo lucido, univerfale, con che più efpreflamente avverte, e fenre la Tua unione) p’I corpo organico congiunto, e tutte le parti, e tutte le azioni fra loro Team {fievolmente comunicanti. E in cotal modo, della materia con ferma, e (U* bile modificazion ragionevole, ordinata al fenfo,ed allo ’ntendimento; e deN la Meme, che è erta lòftanzial ragione, che per naturai producimento, e per P unione del corpo, nel corpo imprem de quella modificazione medefimaj dell’uno, e dell’altro ftretri infieme, ed uniti, in quello già deferitto intreccio di (labili, e fondamentali percezioni, •fa fic ne il fenfo ragionevole, e la cogi- dei fenfo tazion fenfuale, che è la Natura dell’ e della cog?Uomo. Ne è da lafciare addietro, che uz,one • de’ due modi di operare, l’uno della», diftribuzione dell’ univerfale ue* molti ^particolari, e l’altro del raccoglimento de’ molti particolari nell’ univerfale, -da Mente qui con quello fecondo mordo adopera; poiché di molte partile -di molti momenti, e movimenti forma un corpo folo,ed un folo movimento: ficcome fa delle forme aritmetiche, e geometriche, e dell* altre di lor natura eflenfe, e divifibili, che aduna nell’ineftenfa, e indi visìbile fua cogitazione; così nelle concezioni, quando ella da fe le inventa; come nelle percezioni r quando ella in quelle già inventate, e fatte s’ incontra. Laddove per contrario nelle percezioni degli obbietti eterni, nell’organo univerfale dell’ univerfal fenfo,e ne’ particolari de’ fcnfi particolari, la fua unità, ed univerfalità già piena, e feconda comparte ne’ minuti indizj, o immagini, all’ impresone, che ne riceve; tutte dall’intimo univerfal fenfo, e cogitazione riproducendole. E ormai, a mio credere, ritrovata già 1’unità dell’ effenza, e della operazione dell’ Uomo. Poiché ogni unità, o metafilica, o fifica,o etica, di arte, od altra come che fia, fe vi ’ ha di altro genere, certamente ella fi compie per unione di atto, e di potenza; così che, o per identità, o per naturai produzione, o per azion morale, o artificiofa, 1’ atto colla potenza, cquella con quello fi avviluppino infame, © fievole fi difeopre. Imperocché primamente il fenfo lucido ragionevole, che dalla coftituzione delle due nature rifulta.è quello, che nafce,e fi eltingue coll’Uomo : e che propriamente per gli varj gradi dell’ età quelle variazioni, e quelle vicende patifee: e non è già la pura, e lineerà intelligenza della parte pura, e lineerà fpirituale. Quel fenfo, che è univerfale, nella già cfplicata univerfal modificazione della materia congiunta, al variare della materia medefima, ne’ varj particolari modi, e moti, che al moto, e modo univerfale fopravvengono, o dentro dell’Uomo fufcitati, o di fuori tra fm e Hi, ancor elio dee elfcr variamente figurato, e mollò. E quando nel procedo dell’ età, al variare degli anni, o ancora per morbo, o per qualunque altra cagione i modi,e moti li pervertono, e turbano, o illanguidifcono, o celiano, o fi cancellano in parte, o in tutto; allora forza è che quel fenfo, di che parliamo, più, o meno, tutto, o parte pervertito, e difordinato, ofparuto, o deformato ne vegna. Ne’ quali cangiamenti, nella parte materiale, e non altrove, come defcrivonfi i modi, c fi miniftrano i moti; così i difordini, e » fopimenti, e i vuoti, ed ogni altro vizio principalmente addivengono. E da quel lato, onde eflo fenfo è di conditoli variabile, e mortale, a tutti quei cangiamenti, ed accidenti è fortopofto, falva, e intera, e illibata rimanendo la parte pura dell’intelligenza, che a quelle varietà la fola univcrfal cognizione, o cogitazione fomminiftra, c’ tutte-, quelle varietà lènza moltiplicazione, e fenza giunta riproduce. E qualunque fa la (ecreta guila della unione delle-, due nature, e cheunque ne rifiliti,!! Mente, ficcome nella reale, e (labile informazione del corpo organico, che è come foftanzial percezione, indiflinta, c indivifa, include, c penetra, ed adegua il vario lavoro di quella prima', e (labile modificazione; e come nelle percezioni, che fono ideali, e leggiere, e fugaci informazioni, fimilmente indiftinra, indivifa, e invariata, penetra, c include, ed efprime quei varj minuti modi particolari; c sì quella prima fo-. ftanzial modificazione, come quelle fecondane accidentali dall’ unità, e dall’ univerfalità della fua virtù, e natura», produce, o riproduce; così quando quei modi, c moti fi turbano, o cedano, o fi cancellano tutti, o parte; la v Mente allora, o in parte, o all’ intutto fofpende le lue produzioni, c depone quelle modificazioni fenza pervertimcn- gbi di 'modi to,e fenza detrimento della fua foftan- corporali. za, falva,ed intera prima nel fenfo univcrfale' raccogliendoli; e poi, fe elfo univerfal modo, e moto organico coffa, o fi cancella; nella fua propria unità, ed univerfalità della fua pura natura, e intelligenza raccolta, li rivolge ad altri obbietti, e di altre forme fi adorna, ad altro vivere, e ad altro fapere. ' 'f Quella nofira foluzione non lafcia», luogo a dubitare della vanità, ed infcrmezza dell’argomento Lucreziano. Imperocché nel noftro fillema tutti, dr cram J * vv rz8 ciani così, i fenomeni delle fenfuali,e ragionevoli operazioni deli’ Uomo, con quei crefcimenti, e fallimenti venendo pianamente efplicati: ficchè,dato che— È intelligenza dell* Uomo fia fodanziale, e la materia fia bruta, c cieca, come noi affermiamo, e niegano gli Epicurei; le operazioni della ragione, e— del fenfo pur nondimeno così darebbono elle, come ora danno; per certo che quell* argomento il più riputato, non vale a concluder nulla. Che fe poi fi pon mente, che gli Epicurei, con tut- « to l’ingegno loro, non han finora potuto da niun modo, o moto argomentare della materia niuna diffidenza, eabilità all’ opere fenfuali ragionevoli dell’Uomo; tantoché l’imprefa di fpiegare quei fenomeni difperando, hari— lafciata dare; allora certamente la no-, dra foluzione farà ancora dell’ ederefpirituale,e immortale dell’Animo una novella dimodrazione. E per ìfcorgere la convegnenza, eia bellezza della dottrina, tutto il penfamento è qui oratempo di rapportare. Noi adunque prima poniamo due tra fe lontaniffime-f;: cdre r av A eftremità, 1’ una del più e ccelfo flato di perfetta intelligenza, e l’ altra della più bada condizione della cecità della materia. Le quali Mente, e materia in quelle eftremità conflderiamo, che amendue per contrarie ragioni ugualmente da fe sbandifcono ogni docilità. L’ intelligenza perfetta da un lato, per 1 °& n’includono, e penetrazione dovrebbe ella certamente ogni lubricità, e fluflo,e fucceflione efcludere di dottrina: e si perfetta dottrina, e perfetta feienza in ogni tempo pofledere : e non mai in niun tempo docile poter effere; che fenza il lubrico, e ’l vicendevole di variate, e fugaci percezioni, e ragioni non può ftare.La Materia dall* altro lato, nell’ eftremo deli’ impotenza, e deformità, per la dimoftrata impenetrabilità, ed ogni efclufione, docile in niuna guifa non può ella eflèr giammai : fe la docilità con tutta la fua incoftanza.e lubricità, pur tuttavia includono, e penetrazione inftantemente domanda. Appreflo, quelle due nature da quell’eftremità argomentiamo poter ricede 4 R re zza* ' 4 *t X +W rM re a quello modo: Cioè, che Ueflfere mentale da quella fublimità, per varj gradini di varie foftanze giù dechinando, giunga finalmente a poter congiungerfi in uno colla materia, e a poter cfprimere modi, c mori materiali : e che T eifer della materia dall’ imo di fila imperfezione, per varj gradi di variate forme, e lavori innalzandoli fu pervenga al fine, fino a collogarfi, e ftrignerfi. colla Mente, e a poter railomigliare, e lignificare modi fpirituali, e mentali: e così nell’ Uomo, in cui,, in fine quell’ingegno medefimo,fe non altro, ci (copre l’origine dell’ errore. Perciocché la Mente piegando all’ imo dell edere mentale, c la materia ergendoli al lammo dell’ edere materiale a formar 1 Uomo; in quella natura, e propriamente nel fenfo lucido, la Mente per 1 edendoni, e variazioni materiali, e la materia per gl’ ingegni, e lumi mentali li tengono afcole : onde la Mente, materiale edere; e la materia poter edere mentale gli Epicurei han_» Cagiont-* creduto, alle fole lignificazioni fenfua li rivolti. Ma eglino avrebbon potuto w‘. penfare, che fe la Mente nella propria fua altezza non potria mentir la materia : e la materia nelle fue natie badezzc non può fimigliare la Mente; perche i \ i la Mente in chiara luce feernerebbefi immateriale; e qui la materia chiaramente infenfata,c cieca fi ravviferebbe; nell’Uomo, ove 1 ’ una fotto alle fembianze dell’ altra fi tiene afeofa, è una neeelfità, che ne 1* effer cieco della materia, ne 1’ immaterialità della mente, per altra via, che per quella^ degli argomenti col cammino della ragione non fi podano ritrovare. Quella è certamente una nuova dimoftrazione, che abbiam tratta dalP intelligenza, rifguardata nell’ idea di fovrana perfezione : laddove tutte le altre prima allegate fono (late tolte dall* intelligenza, confiderata nel fuo edere generale, e comune : avvegnaché dalla comunità de’ generi all’ idee perfette, e da quelle a quelle fiavi commerzio, e comunicazione vicendevole di cogni' zioni,e di feienze, come nel primo capitolo della noftra Metafilica abbiamo dimollrato. Colla dottrina della univerfal percezione, che fidamente 1* anima contri' buifee a* varj modi, e mori, che nella materia avvengono; e con quella dell’ univerfal fenfo dall* unione delle due.* nature rifultante, che c la proprietà dell* Uomo, e che propriamente per cagion della parte materiale, dee con_> quei moti, e modi efler modificato, e modo; con quella dottrina, dico, tutC te le altre difficoltà vegnono ancora a dillrigarfi degl’ impedimenti, e de’ turcibamenti, che cagiona l’ebbrezza; e de’ delirj, e de’fopimenri, edetarghi, che certi morbi arrecano; e in particolare il pericolofo diflipamcnto, che produce la velenofa forza dell’ Epilelfia, ed ogni altro fìmigliante accidente. Che come tutte convegnono in quell* uno argomento generale delle variazioni, che_ dalla materia nelle operazioni dell’animo trapalano a turbare, o interrompere, o abolire il fapcre; così tutte con quell’ una generai dottrina, ugualmente per ogni parte fviluppate rimangono. Cioè dire, che quegli accidenti, che*l vino, e’I veleno epilettico, come Lucrezio l’appella, e gli altri malori inducono nell’ Uomo, fono eglino folamente valevoli a difordinare, o interrompere, o affatto caffare le forme fenfitive, e cogitative ne moti, e modi corporali, e non altra cofa altrove. I quali lafcia allora la Mente di più avvivare, e illuftrare in tutto, o in parte, eoa-» fofpendere, come fu detto abbiamole fue produzioni, e con deporre le modificazioni: ed indi prima ne’ principali feggi corporali, e poi, fe più oltra è (dipinta, nella fua propria unità, ed univerfalità fi ritira da quello ffrazio. Ma è in alcun modo diftinto 1* argomento del timore, e del lutto, che LUCREZIO amareggiando, ed affannando l’animo, foventi volte conducon l’Uomo a morire. Imperocché in quel primiero capo di argomenti de’ varj gradi dell’età, e de’ varj accidenti de’ morbi, le variazioni immediatamenre, c principalmente il corpo immutano, ed offendono: le quali perchè nelle operazioni dell’animo ancora trasfondono i difetti, e i difordini; per quefto folo, fono a LUCREZIO argomento di mortalità. Ma il timo re, c ’l lutto fono morbi dell’ animo, e l’animo immediatamente, e propriamente conturbano, e affliggono : e quando • l’Uomo per quelle offefe viene a finire, nell’ animo è il principio, e V origine del danno, e dall’ animo al corpo . trapaffa; fìccomc per contrario ne’morbi corporali, dal corpo all’ animo Lucrezio argomenta, che debba la mor-, • te trapaffa re. Così ugualmente per gli morbi, che fono manifeffe cagioni della morte corporale, perchè varie paffioni nell’ animo inducono; e dalle passioni, doni, che fono manifede offcfc dell’animo, perchè c morbo, e morte al corpo arrecano; pare à Lucrezio dall’ima parte, e dall’ altri potere la mortalità dell’animo argomentare : c poi dclla, cu ragione dell’ uno, e dell’ altro propone come un nuovo argomento, foggiugnendo. Addere enimpartes, aut ordine trajicere &quume(l y Aut ali quid pr or funi de fummx detrabere illuni, Commutare animum quicumque adori tur, le cogitazioni, e tra le fen(azioni,e gli V affetti; così tra' le cogitazioni, e gli affetti c più ffretta appartenenza, e con r • neflìonerper modo che non mai, ne coa • gitazione fenza ogni fenfo di affetto, ne affetto fenza ogni lume di cogitazione fi può trovare. Da cotcfte cole Quii fiati (ì fa chiaro, che come il fapcre, cosi '1 volere dell’ Uomo non è la pura, e fincera parte dell’ animo; ma è quel vo- lece proprio dell’Uomo, di fenfo inficine, e di ragione commifto, che dall’ unione delle due nature dee rifultarc. Laonde i varj moti, e modi delle va- ' i r ie affezioni, o paffioni propriamente in quel volere, e non già nella parte pu ra dell’ animo le loro vicende ingerif’ m cono: e le anzie, e gli affanni, e i tedj ' del timore, e del lutto quella parte-, conturbano, e corrompono fino a condur 1’Uomo mi fero alla morte. E dell’ Animo avvien folo, come nc’ modi del Capere, che fofpenda le produzioni, e diponga le modificazióni del volere; e . intatto, e purgato, e puro fi ritiri nel • la fua univerfalità, per rivolgcrfi ad altri obbietti con altri amori più puri, e più e più finceri. Ma perchè noi nei prefente ragionamento del fa pere dell’uomo, di altro genere di operazioni 4 che delle fcnfuali,e fantastiche non abbiati! fatto menzione; non è per tanto, che dentro gli angufti confini del fenfo, e dell’ efpreilioni fensuali, debba efler ristretta la cogni'zion noftra. Da quelli univerfal cogitazione, o cognizione, ficcome perchè dalla parte corporale è ella fenfitiva, ne debbon nafeere Itu, fenfazioni, e l* efpreilioni di fenfibili obbietti; così perchè dalla parte immateriale, e ragionevole, ed intelligente, le ragionevoli cognizioni provenire ne debbono. Siccome nel fenfo univerfale, per fomma finezza, pieghevolezza,, c mobilità, e per uniformità di virtù, e di foftanza, onde è come un genere generaliifimo del fentire, fono i primi elementi, o principi, onde rutte le par*» ticolari fenfazioni, ed efpreilioni fenfibili formate ne vengono; così in efTa_, cogitazione, o cognizione, da ogni altra cofa fceverata, ed in fe r ccolta, fono tutti gli clementi, o principi delle ragionevoli produzioni, e delie Scienze, S a che cd elfa cognizione è infieme generale cflenza, e generai conofcenza : e i fuoi elementi, onde è coftituita, fono. inficmemente parti, o principi di quella eflenza ad edere; e fono prime nozioni, o ragioni di conofcere, o intendere alla Scienza. Cotefto è il bivio deh fapere dell’ Uomo, nel quale in oltre., è da notare, che TUomo nella via del fenfo è analitico, conducendofi da’ particolari a gli universali; e nella via. della Scienza è Sintetico, dagli universali ai particolari avviandosi. Ma gli elementi del SenSo, in quanto Sono minuti, imperfetti, informi, fon pure come altrettanti generi: e le nature fenfibili-y in quanto perfette, e compiute, fono anco in quel riguardo particolari. E le eflenze perfette ragionevoli, e intelligibili, perciocché quando vi fi perviene, illuminano tutta la Scienza, fono come univerSali: e i generi, perchè fono imperfetti, ed ofeuri, in quello riguardo fono come particolari da riputare. Similmente come il fapere, così il volere, o dalla parte impura fenfuale genera volontà, ed affetti foraiglian Bìvìodel jà ^cre delP ti, dietro a gl’incitamenti del fenfo; o dalla parte pura fpirituale produce», voleri, ed affezioni ragionevoli dietro alla guida della Ragione. E quello è il bivio della vita,in cui fcorgonli le origini delle due celebrate porzioni dell’Uomo, che il volgo de’Filofofi, quanto con magnifici parlari decantavamo con ofcuri fenfi intriga, ed ofeura. Adunque la Mente noftra, per la virtù tante fiate ricordata, e in tanti modi provata di muovere, e reggere fe fteffa, prima fopra le fenfazioni medefime. E ixti tiMnet certo : velut aurei, atque oculi funi, Atq\ aliifenfus, qui vitam cumque gubcriumt:. t Et Dilati mnust atque ‘ oculut t ntirefvs féorjltttv Secreta a ‘nobis nequeunt fentiret neque effe : Sed tamen in parvo linquuntur fenipore tali i Sic animus per fe non quii fine corpore, dr ip/ó ' Efse hominet illiut quafi quod va; efse videtur : .'o'F 1 .' Qs, t # Sive aliud quidvts potius coniunaius et i • .«li» > yjp r i M Etagere quondoquidem e #*, corpus, adixret. V.v. -tftbv* "o >s Tutto il nerbo di quello argomento egli è r a mio credere*!!) quella una sola cosa riporto; che 1* operare, fia^ del Tutto, di cui è ancora 1’edere : onde a niuna delle parti, che’1 compongono, quell’edere, e quell’ operare medefimo debba edere attribuito Il fentire adunque, e’1 ragionare dell’Uomo, che certamente è dell’ Uomo’, cioè del comporto, e del tutto, all’amo mo folitario non dee poter convenire : c per confeguente 1* animo folo, fenza il corpo, e senza 1’Uomo, non può fentire, ne ragionare, ne affatto edere : fcevero di fenfo,e di ragione, non potendo già avvenire, che l’animo da in niun modo. Si aggiunge a quefto, che P eder di Parte è fermamente effe- ^ t re di relazione, o di rapporto; onde», la parte al tutto appartenga, e col tutto da congiunta infeparabilmente. Egli T-V* è vero, che ci ha alcun genere di parte, che verfo di fe condderata, ella ancora è un tutto : quali fono le parti del .1 «à-J tutto cftenfo, e variabile, e quali in», ogni altra accidentale compodzione. Con tutto ciò cotali parti, quando elle * fono fegregate dal tutto, perdon quell’ eder di parte, con ogni altra cofa, che in quel rifguardo lor conveniva. E che Lucrezio a quefto ancora abbia rifguardato, dalla dottrina del medefimo intorno alla indivifibilità de’ primi corpi, è manifefto. Volendo egli indivifibilt quei primi elementi, e volendogli variamente figurati; acconfente bene, che quelli abbian parti, non già avveniticcie, ma natie; non quinci, e quindi raccolte a compor P elemento, ma in quello nate: il cui edere, tutto fia dell’ elemento, che le contiene; ed abbiano a quello necefTario rapporto ;on. de Pune dalP altre, e dal tutto non_, poffano per qualunque potere effer feparate giammai. Il luogo di Lucrezio ciUd^Lucre- è alquanto malagevole ad intendere j zio, non ’m - Picchè P acutezze de* più nobili Spofitor ‘ P oturo falciar delufe. Il qual jj>ojì on % nQ j ^ er j a p ua importanza abbiara voluto qui arrecare, ed mterpetrare ., I», Tum porri, quorum e/l exttmum quodque cacumen Corforìs ìll\us % quei noftri cerner* fenfitt Jam nequeunt : hi nimhrutn fine fartibuy extat >, \ Et minima cwtfat naturai nec fuit umquam ' Uh. U JL Ver . Ter fe fecretum, neque pofìbac effe v debiti Alterius quoniam ejìrpfum : frinì* quoque, fluire a/ùe fìmiles ex ordine parte: gmine condenfo naturavi eorforis explent. quoniam per fe nequeunt confi are ^neceffe ejl H*rere, ««c/e ?«e Hatura nitritale Jì truova la vera ragione di ejfer un tutto. t. domanda, che dentro di fe abbia a contenere tutte (e parti, onde è coftituito: e la parte allo Scontro vuol’ efler tale, che tutta quanta ella è, con ogni fuo eflere, (la, diciam così, incorporata nel tutto. Di modo che l* eflere del tutto in quello principalmente confida, che contenga le Tue parti in guifa,chc non pofla ne eflere, ne intenderli, lenza che lia,e s’intenda con quella contenenza : e 1’ edere di parte in quello lia unicamente riporto, che debba del tutto eflere, e nel tutto abbia ad edere contenuta; licchè non eflere giammai, ne pofla immaginarli lenza quel rapporto, e lenza quella, per così dire, partiva inclusone .Se quello è vero, come è appreflo di erto Lucrezio ancora; egli è da tenere per fermo, che la verace, e fincera, e perfetra condizione dell’ efler tutto, altrove, che nella natura fpirituale, c mentale non pofla_, rinvcnirfue che la natura corporale, e bruta non più, che di una imperfetta limiglianza di quell’ eflere lia capace ' Imperocché la natura mentale, per Io fenfo,e per l’ intelligenza di le, e dell'altre cofe che fente,ed intende; chiaramente dimoftra dover ella contener fé medefima, e 1’ altre eflcnze con ogni identità, e comunicazione: e fé medelima,e 1* altre eflenze dover penetrare da per tutto. Con che quella inclufione, e quella contenenza, che *1 tutto ha delle Tue parti, e quel paflivo incorporamento, con cui le parti fono nel tutto, dimoftra dover fola perfettamente pofledere. Nella qual cofa è principalmente riporto il reciproco rapporto, e la neccflaria conneflione, onde il tutto dalle parti, e quelle da quello, e», 1* unc dall* altre non portano fepararrt. Per contrario la natura corporale tutta per ogni vcrfo limitata, ed efclufa, c diftinta, di quella inclufione, e di quello incorporamento non è capevole:febbene, come qui, ed altrove abbiam dichiarato, può la Materia per finezza, e per fublimità, ed attività di foftanze, e per conneflione di parti, e confenfo di moti cotanto ingentilirli, che vegna tanto, quanto a Materia è poflibile, un tutto perfetto a raflomigliare. Oltre a ciò, contenenza, ed uni V vcrfalità fono una cofa medefima : Teflere un tutto, e l’ edere univerfale, fono una medefima elfenza. Donde fi può intendere, che alla perfezione del tutto, due cofe vi fi richieggono necef fariamenrc; l* una, chc’l tutto debba aver perfetta pienezza in ampia indivi» fibile unità; l’altra, che tutti i particolari, che gli appartengono, dentro quella pienezza fiano realmente comprefi. Benché quelle due condizioni ad una fola finalmente pofiono riferire : concioflìachè, ne perfetta contenenza., fenza palfiva inclufione, ne pafliva inclufione fcnza perfetta contenenza, poffa clfervi in alcun modo. Per cotclle_ leggi, primieramente ogni fpezie di tutto, generalmente confiderato quell’ effere, dee con tutte le fue cofe efl'erc-, • • in fe medefimo riftrcrto,e chìufo,e da •J t gegno, colla noftra principal dottrina potta fcioglierlo di leggieri; pure per produrnoi il frutto delle noftre fpecu- ’ \ {azioni, ci rifolviamo a parte trattarlo. Adunque quel che di tutti gli altri argomenti abbiam fatto, e faremo apprettò; di quello argomento ancora facciamo al prefcntc; ingegnandoci a più potere fortificarlo da ogni parte. La neceflità del dover 1* Anima fcparata effcr fornita de’ cinque fenfi, che Lucrezio fcmbra voler confermare colle immagini de’ Pittori, e de’ Poeti, che attedino l'antico comun fcntimento, ella è in fatti da quel Fiiofofo data appoggiata fopra quel fermidìmo principio; che ogni edenza, o natura comune», dee con alcuna delle fue differenze, o proprietà elfer diterminata neceffariamente : e che fenza ogni fua differenza, o proprietà non può ella dare in_» niuna guifa. Siccome allo’ncontro, proprietà,o differenza niuna e! può avervi mai fenza il fondamento, diciam così, della Natura, o edenza comune. Perciocché 1’Anima con generai fenfo, e percezione delie cofe, per ogni modo dover edere; anzi altro, che quel fenfo, e quella generai percezione non effere, egli è ad ognun che vi ponga»» mente, manifedo .Dal che fegue bene, che il fenfo, e la percezione generale, come con alcuna delle fue proprietà e particolari forme eder dee compiuto, e perfetto; così quelle proprietà, e particolarità medelime di necedità egli implica nell’Anima. Fermamente non può capirfi a niun patto, come l* Anima feparata poffa aver niun fenfo, o percezione, che nel tempo medefimo X ella m: m ^ Sottilità dì Lucrezio non inteja da gli Sfojìtori, ella nc veda, ne oda,nc per niuno degli altri fenfi particolari, niuna percezione abbia degli obbietti. Dall’altra parte, 1’ impoflibilità di avergli in quello flato, egli è per certo una gran fottilità, con che Lucrezio la compruova, che niuno degli Spofitori ha potuto penetrare finora .Onde, e nel variar Iniezioni, che ftanno bene, e nel fupplirvi i fcnfi,che non vi mancano, eglino fonofi affaticati in vano. Prende egli a conliderare i fenfl in idea, fecondo le loro, per così dire, formalità metafificamente,c gli rapporta all’Anima : e infieme gli confiderà nelle loro realità, e corpulenze filicamente, e gli riferifce al corpo: e poi argomenta, che come i fenfì, ne effere, ne operare pofTono feparatamente dall’ Anima; così allo fteffo modo non deono potere, ne edere, ne operare feparati dal corpo, e dall’uomo. Concioffiachè 1* anima ila l’uno Ideale, o formale, o metafilico, onde le proprietà, o differenze de’particolari fenfi debbano procedere; e 1’Uomo, e’I corpo fia V uno Reale, o materiale, o tìfico, nel quale quelle— proprietà, e differenze medcfime debbano eflere incorporate diverfamente, fecondo quei diverfi rifguardi, di diversi principi, e procefTi.Con ciò viene egli a conchiudere, che poiché l’Anima da una parte non può edere sforni- 7 ta de’ fenfije dall’ altra non può in niuna guifa efferne provveduta • che ella non può ne fentire, ne in altro qualunque modo operare, ne effere affatto dal corpo, e dail’Uomo feparata. Udiamo le parole fue proprie, e poi vegniamo alla Soluzione. Vr eterea fi immortali t natura animai efi, Et fentire poiefi fecreta a corpore nqfiro : QuinqueiMt opinor)eam/aciendum efifenfibus auHantt Ntc ratione alia nofmet proponet e nobis " i t Tofiumus infermi animai Acheronte vocari. riHores itaque, et f criptorum Stola priora Sic animai introduxerunt fenfibut cucì ai r L * At ne 1° natura ragionevole, ed intelligente, e’I Tuo operare efplichiarao, e la fenfibile non lafciamo addietro, deono difdire che nel più alto, e puro dell* intelligenza medcfima, quanto a Uomo è conceduto, poggiando, a quelle fublimità non afccndtamo ? Ma nulladimanco in cotali cofe, affai probabili ragioni, e dove di farlo ci è permelfo, giufte dimoftrazioni allegando, V affare condurremo a tale, che anzi da defiderio di più oltra conofcere accefi, che da difperazione di potervi altro edere, confufi rimanghiamo. Per rifecare ogni rincrefcevolc lunghezza, io dico fulla e lucidezza. Sicché il fenfo dell’ Uomo, ove egli è più virtuofo, e più lucido j quivi è in quefle, e quelle parti diflinto, c diviio : ed ove è unito, ed uno; ivi è torbido, confufo, ed ofuro. Ma nello fla r è w l’Anima, fepnrntn dee potere operare con piìi francbezza, e virtù. to della Separazione, fenza far violenza nc a ragione, ne a cofa alcuna, e’ ci convien credere, che l'Anima fottratta a quelle gro(Tezze,e da quelle angurie Sprigionata, a voler riguardare la natura di lei, e la fua virtù naturale, quel potere medefimo, che ella ha fopra la; materia penetrcvole, con più Sovranità^ più vigore efcrcitar polla; e maggior copia di maggior finezza, ed attività di quella materia dominare. E per confcguente non riftretta fra quei cancelli, ne in quelle nnnurczze fpartita; ma dilatata, e in fc raccolta, con uilfolo ampliamo fenfo universale, polla e più diftinramcntc (cernere, e più altamente penetrare, e più chiaramente apprendere tutte le forme,e tutte le«, azioni delle cofe materiali. Se l’Uomo per virtù dell’ Anima ha imperio, e poreftà Sopra la materia pcnetrevole in» terna; e dona a quella, e nc riceve a rincontro le modificazioni; e col minifierio della medefima produce il fenfo, e la cogitazione univerfale; e fecondo la divilata varietà in tante maniere il difiignuc, quante in noi le ne veggono;. i 1 pri,? cip > primi, e’1 temperamento loro, c l vaftarata. g j 0 ingegno de’lavori, e tutte le generazioni, e le fufianae, e gli ordinati procedimenti » e k virtuofe influenze v de* ikir de’ Celefti corpi, e tutto il concerto r e ’1 fiftema del Mondo, e la cottruzione dell’uomo può meglio efplorare r e penetrare, ciascuna fecondo la propria capacità r e virtù. Perciocché è da credere, che le menti finite emendo, abbiano le proprie fpirituali tnodi-i ficazioni; onde fieno dall’ infinito circoferitte, ed infra di loro diftinte.Ein particolare, che la menre dell’ Uomo, per una cotal proprietà di più fra ella propriamente inchinata, ed adattata a congiugnerfi colla materia per la cortituzione deli’ Uomo. Per quefti nottri divifamenti s’intende ciò, che dir vollero quei Filofofi,che di certi veli corporali, gli Spiriti puri diceano dover effere provveduti; e alcuni Padri, che le Anime e gli Angeli corporee foftanze riputarono. Cioè non altro eglino a-ver voluto infirmare da quello r che noi della maniera di operare dell’Animo feparara abbiam conchiufo, fi dee: tenere per fermo. Cosi fimilmente è da interpetrare quella Sentenza, che la_. Mente d’ un’ altra mezzana natura abbisogni, per potere attemperai alla materia * Finalmente, che la villa Tifacela non per inrromilfionc della luce». '. 1 efterna nell’occhio, ma per eftramillione della interna verfó gli obbietti; è fenza dubbio nata dalla cognizione dell* imperio, e potere della Mente fopra la materia penetrevole, e dal minifterio, ed oflequio di quella verfo di quella : onde è il vigore della virtù mentale alla produzione, o alla percezione delle cofe.E qui poffumo dire aver terminata la Dilpnra colla foluzione degli argomenti più principali, e più forti. Perchè dopo avere ben fondata la reai difìinzionc dell’ intelligenza : e dopo avere altri punti ftabiliri, così come fatto abbiamo delle più rilevanti verità; gli argomenti, che ci rimangono, così leggieri, e piani 1} difcoprono; che più per non parere, che nftuf aulente gli tralandiamo, che per necdfiti, che abbiano di particolar foluzione, gli dobbiam ricordare, a ciafcuno argomento adattando quelle generali dottrine : il che farem brevemente. E prima veggiamo di quello, che c in quei verfi efpreflo: Denìque cum corpus ncque at per far e mimai Dìjjìdium, quirt in tetro tabefcat odore r Quid dubitar quin ex imo y penitufque coorta Emanar iti uti fumus y diffufa anima vis 1 Atque ideo tanta mutatum fu tre ruina Conciderit corpus pcnitus I quia mota loco funt Fundamenta forar anima r manantque per artus, Terque viarum omnes fiexus y in corpore qui funt r Atque / or amina : multi modi s ut nofcere pojjìs Difpertitam anima naturavi exijje per artus 5 Et prius effe /ibi diflraclam corpore in ipfo, Quitm prolapfa forar enaret in aCris aurar 1 ' Dalla. dillofuzione, c putrefazione del corpo umano r che al dipartimento 1 dell’Anima fegue immantinente, vuol Lucrezio inferire r che L’ Anima debba eflere fparfa per tutto il corpo: che i di lei principj componenti fieno con_* quelli del corpo talmente intralciati T c intrigati; che quella eflcr 'debba la cagione, onde al dipartirti- dell’ Anima, una totale fovverfione al corpo ne avvenga : ficchè tutto fi cangi, e impu• m tridifca., c tramandi fuora 1’intollcrabil fetore - E poi ne’ feguenti verfi foggi tigne, che il folo deliquio, avvegnaché allora 1 ’ Anima non vada via, ma foi difiratta, o opprefla languifca; tanti cangiamenti nel volto, e negli occhi, e in tutto il corpo produce; quanti le grida, e le lagrime badino a rifvcgli3re ^riterfetri ^ e ’ circoftanti. De’più migliori Interno» ban capì- pcrri di Lucrezio, non bene han capila la forza ù t;1 la forza dell’ argomento. Eglino moMntO'. arS ° firan di credere, che quel Filofofo teglia, che F Animo, e l* Anima flano una medefuna cofa; e quanto qui dice dei doverfi in morte difperderc i componimenti dell’Anima, onde il corpo imputridifca; che tanto intenda di dire dell’ Animo, e dell’ Anima infieme, E una natura coll’ altra confondendo crvvéro prendendo efli 1* Anima per la fola parte incorporale; e quella idea t * e quell’ appellazione alla mafia degli umori, e degli fpiriti non concedendo, fecondo quefto lor proprio fentimcnto. prendono l’argomento Lucrcziano: fon contenti di rifponder folamentc, che la putrefazione, e ’l fetore del corpo morto, non è effetto della divifione, e del dilfipamento dell’ Anima; ma di altra cagione tutto diverfa. La qual. rifpofta, fe vuolfi comprendere la par- ..., te fenfuale, è certamente falfa : c fe, meffa da banda la fenfuale, come quella, cui V appellazione, e 1* idea d’anima non convegna, della sola parte incorporale si vuole intendere; e senza dubbio fcempia, ed inetta: perciocché corre a far difcfa, dove non bifogna e quella parte, ove è indrizzata 1’ oppofizione, fcoperta lafcia, e fenza diFefa. Si aggiugne a quello, che quando LUCREZIO (vedasi) dice, dover efTere dal profon- '• t *' do fcolfi i fondamenti dell’ Anima, e fuora difTipati, e difperfi; dicono eflì, che con ciò s’intenda elfer 1’ animo il, fondamento del corpo; il che è ancora vero: ma eglino non intendon già per fondamenti i primi componenti, il cui dilTipamenro cagioni quello effetto. :. ne’ corpi morti: che è per certo un non # - affatto intendere 1 * argomento. Ad un- cye f e “ c e re *j } 0 e que Lucrezio tratto dalla forza del ve- PAAimi^L* ro, tenne per fermo, che 1’Anima, c 1’Animo, cioè il principio intelligen- Mmrumt. Hmìz O' te tc, c la parte corporale miniera del fenfo, foflono due nature didinte : per modo che contro a quella opinione, che l’Animo altro e’ non fotte, che un* armonia, o concerto, o temperamento, con lunga fchiera d’ argomenti fieramente combatte; e vuole in ogni modo, che T Animo fia una fpezie,ed una fodanza. Con che viene a dire, che r Animo fia una fpezie, ed una fodanza didima dalla mafia, e modi, e moti animali. Poiché certo dell’ eflere dell’ Anima; dell* Animo folo, come di una cofa aflai ofcura, va ricercando che e* fia: e in quella ricerca dice,che e’ non fia già un’ armonia, o qualunque altro modo, ma una certa particolar foftanza. Appretto, comechè per l’Anima e’ dica efiere baftevole il calore, e l’aria e l’aurc; tuttavia a produr 1’ Animo, niuna di quelle cofe crede poter badare: ne altro e’rirrova nella felva delle corporali fpezie, cui pofla attribuire quella maravigliofa produzione. Onde conclude, che cotal natura producitrice dell’ Animo, fia del tutto nafcoda, ed ignota, e innominata: di che fin dal principio della Difputa nc abbiamo allegate le teftimonianzc di più luoghi .Finalmente c’diftingue bene gli utfizj dell' Animo, e dell’ Anima; e ’1 fupremo dell’ intelligenza, e del reggimento del corpo all’ Animo aflegnando; le parti dell’ ubbidire, e dell’ efeguire all’ Anima accomanda. Ed efpreflamente,che l’Animo, e l’Anima fono due foftanze tra loro diftinte, febbene {grettamente infieme congiunte: e per la {{retta congiunzione, quanto argomenta della natura dell’ Anima, vuol che dell’Animo ancora s’intenda. Sopra il qual fondamento buona parte degli argomenti di lui fono appoggiati. LUCREZIO (vedasi) adunque da quel fubito cangiamento de’ corpi morti, o languenti, non può, ne vuole egli inferire il difperdimento, ed annullamento dell’Animo; ma sì bene il difperdimento, e l’annullamento dell’anima; cioè della parte bruta, e fenfuale : e quindi per la {{retta unione, delle due nature, vuole che lo lìruggimento dell’ Animo infieme fc ne argomenti. La qual cofa, comechè e’ ben vedelTe non efler neceflaria conchiu Z 2 fione di neceflfario fillogifmo; perciocché di cofe diftinte, comunque infieme congiunte, mancando 1* identità dell’ edere, dall’ una all* altra cofani non può con certezza condurli l’argomento a conchiuder nulla; con tutto ciò, tra perchè l’Animo una fottiliflìma, e le vidima foftanza cder e* li avvifava; e perchè la robuftezza, e’1 potere dell’Animo nell’intendimento di lui, e degli altri Tuoi pari, fparuta, e debile cofa appariva; per quelle cagioni pensò egli, che come il totale disfacimento del corpo, non altronde, che da quello dell’ Anima proviene; cosi il diflìpamento dell’Anima fenza 1* ellinzion dell’ Animo, non potede avvenir*. Ed ecco come noi in efplicando il fenfodi Lucrezio, abbiamo infieme difciolto il fuo argomento. Imperocché abbiam fatto vedere, come edendol* Anima, e l’Animo, cioè la parte corporale minilira dclfenfo,e l’incorporale principio dell’ intelligenza, due nature dillinte, quali ad elfo LUCREZIO (vedasi) pajon d* edere, 1* argomento in buona Loica dal didìparaento dell’ Anima, quello :i dell’Animo non può conchiudere a ni. un patto. Ne dalla (fretta congiunzio •v-W, del senso sono stromenti, il cui consenso, e cospiramento, anima egli appella, ciò intefe di affermare; quantunque, che 1’animo ancora sia divisibile, vuol che da quella si fatta divifione fi argomenti. E dell' infermezza di tal conchiufione per la diftinzionc di quelle», due nature, che LUCREZIO (vedasi) appruova,e noi abbiam provata, con tutto quello, che al precedente argomento fi è fatto, non riman luogo a dubitare : e così tutti gli altri a quello finiiglianri, che dal confondere in uno il principio intelligente, c la parte fenfualc, tutta_, lor forza ritraggono. I quali tutti, non già col folo ribattere, o fchifare i colpi negando, come ufano di fare i Vol gari; ma la foftanza indi vifìbil e dell’Animo, e le fue maravigliofe operazioni, ed ogni altro dimoftrato pregio v^per tutto opponendo; e quindi da cer' ti, cd indubitati principj argomentando; fi fa chiaramente vedere, che’l varino e’ percuotono dell’ ària. Più larga '-via ne apre il feguente argomento a derivarvi i fonti della principal noftra dottrina, il quale con chiarezza è ne* .r : fe-. iSs fegucnti verfi efplicato :. Dtnifue cur animi numquam mens, confili umqu Gignitur in capite, aut fedi bus, manibufve ? fed unii . v Sedibus, «ir certi s regionibui omnibus bar et ? Si non certa loca ad nafcendum reddita cuique Sunti «ir ubi quicquam fojjit durare creai um; Atque ita multimodis prò totis artubus effe y Membrorum ut numquam exijlat prxpojìerus orda. Vfque adeo f equi tur ret rem : neque fiamma creavi Lib. tll. Nono argomento. Fluminibus /olita e/ly neque in igni gignier algor. Circa 1’origine dell’Anima, in prima e* ci oppolc Lucrezio, che ella nafeer debba infieme col corpo; perchè fi vegga col corpo, e con tutte le membra crcfcere inficine. E poi del feggio, dove l’Anima fia allogata, ftabilifce che certo, diflinto, particolare, e proprio e debba clfere. Finalmente, amendue quelle cofe giunte infieme, dal nafeere, c dall’ cficre 1’ Anima in certo, e ditcrminato luogo, egli argomenta, che fuori del corpo, e fuori del fuo proprio luogo non polfa folTiftere. Noi allo ’ncontro con bello intreccio di metafifi. A a che per altre opportunità; delle cogitazioni: c nel fecondo per la finezza, c vivacità del fenfo, e per lo fervore, e_. Copia de’ fluori più (pi ri rosi; degli affetti; ma ben ella è in tutti i luoghi, e ini. tutte le parti del corpo organico colla fortanz'a > come è in tutti per 1’ opera-. zione del fenfo, e della cogitazione. Or due foli argomenti di quelli, che wnfaìm !r- Cì ^ am proporti, rimangono a trattare: Sfotefuo^ de’ quali il primo più al platonico dogma della preefiltcnza dell’ Anime va a ' '.T colpire dirittamente, che nel punto .. f,"*; .- dell* immortalità : che per diletto de’* plausibili divifi di quella (cuoia, non_* abbiam voluto lafciare addietro, coti-, gli altri che contro a quella medefima opinione,o alla pitagorica Metemficosi, o ad altro, che alla principal noftra quiflione fono indirizzati: c’1 fecondo, il tedio, c 1 a /Fan no di coloro, che.,, muojono, ci oppone contra, di faciliffìma foluzione. Col quale, efpugnati prima di grado in grado i più robufti argomenti, convien conchiudere la prclentc difpurazione. Il primo adunque que’ vcrfi, che con leggiadria, ed acutezza è da LUCREZIO (vedasi) spiegato. Tr eterea fi Immortali s natura animai, L'I Conflati et in corpus najeentìbus infinuatur; cuì Juper cnteaElam atatem j neminijjf nequimus f Interi iffe, c ir qut nunc ejl, nane effe creatam. Nec vejìigia gejlarum rerum ulla tenemus l .-*• fi t-'Mope™ e Jl animi mutata potejlas, Omnrs ut aBarum exciderit retinentia rerum: No» ( ut opinor ) id ab Uto jam longius errai. Quapropter fateare neceffe ' eff, qu « fift ante, interìiffe,. co col dire, che fenza giufta cagione, la pura luce deli’ Anime da Cielo inTerra/i traeflono, a congiugnerti co’ tenebrofi corpi terreni. Per quelle medefimp ragioni Lucrezio e’ fi avvisò, che 1 * anticipata produzione dell’ Anime, e’I comun loro nafcimcnto co’corpi, bollono due ellremità, delle quali una vera, e 1’ altra falla ncccllariamente eflcr dovefie. Onde mcllolì a convincere di fallita il primo efiremo dell’ anticipato nafcimcnto, per quello che 1’ Anime congiunte, di andare cofe niuna memoria (eco arrechino al mondo; conchiufe,che’i fecondo diremo del comune, e promifeuo nalcimento dovefie cfler vero: e per confeguente, che l’Animc corporee doveflono edere; e come i corpi, elle ancora corruttibili, e mortali. Tutravia gli antichi Platonici co* loro profondi fenfi, c magnifici parlari, le minutezze, e le arguzie degli Epicurei, picciola allora nazione de’ Filofofanri, aveano per nulla: e col temperamento della reminifeenza-, che ne -viva, ed cfprclla memoria, nc c tota- 5 -' le oblivione; e col dimollrarc come-, l v ' l’antiche notizie, col conjugio de’ corpi porefiono effcrc ofcuratc; il prefente argomento deludevano di leggieri. Ma noi tra quelle eftremità il vero mezzo abbiamo apprefo, che 1’Anime non già co’ corpi, ne da’ corpi, ne per tanto innanzi a loro, ma bene in eflì nel punto medelimo da principio ideale, a mentale debbano effer create : e tutto ciò dalla natura dell’Animo, c da quella del corpo, e da una mirabile armo, nia di natura, e di legge, e da ogni parte del ragionevole umverfo comprovando; c’I vero del mirteto platonico difcoperro,e la difficoltà di quello argomento abbiamo fpianata Al fecondo argomento, che è l* ultimo di tutti; dato, e non conceduto, che ogni Uomo in morte fi dolga di morire; il che de’ vizioii Uomini, cui i vifibili obbietti, e l’idee ofeurare, e gli affetti rapir fuo!c r è egli vero, e non_» già de’ virtuofi, che colla meditazion della Morte ogni fpecie, ed ogni amore del prefente fecolo deporto, vivaci idee, e acccrt affetti nudrifeono dell’ invirtbile Mondo; dato dico, c noiu conceduto, che così dea la cofa, come canta Lucrezio; giuda i noftri principi rifpondiamo brevemente, che quel do* lore e* non è della pura intelligenza, ne dell’ Anima fola; ma bene è del fcnfo impuro dalla unione delle due nature rifultante: ed è dell’ Uomo per quella unione medefima codituito. Il qual fenfo, coll’ Uomo., eder mortale, fol viene a concludere 1’argomento. Al che Soluzione possiamo accomodare l’acutezza di Lattanzio col dire, che finche 1’ Uomo vi mrgonunto. ve, quando l’Anima è ancora nel corpo congiunta, c’ non è tempo di dover ella fentirc la fua liberazione; anzi più tolto i languori, e le corruzioni corporali di quegli ultimi momenti le convien fofFerirc: e quando I’Uomo è già, morto, e’ non è tempo allora di poter fignilicare il fuo fenlò. Sicché Lucrezio da ogni parte ingannato fi mife a dire: Db. Uh quod fi immortali nofira fcret mens, * Non lavi f e morlens dijjolvi conquereretur : Sed mogis ire f mas, vcfiemque relinquere, ut anguis, Gaudenti frtlonga fenrx aut ccrma cervus. fi 7 " : W Con quella ftiedefima riTpofta, la vanità deirargomenro, che a’recitati ver- Dtmde c ! mo. li immediatamente va innanzi, li dimo- fuafoivzione. {Ira ancora. Dove dice, che 1’Uomo in morendo, non lo fceveramento dell’Anima, ma il diftruggimento (ente, ed avverte :1* Anima non da un luogo all* altro del corpo intera trapalare, ma_, nel Tuo proprio luogo, come ogni altra parte infievolire, e mancar lente appoco, appoco. Perciocché è da dire, che l’uomo è quello che muore; e di quel- '' la vita, e di quei fenfo, che dalle due nature rilulta, e’puo efifer vero quel che e’ dice fentirfi, ed avvertirli in quel punto; donde il patimento, c ’l mancamento, c la mortalità dell’anima pura, e del fenfo, o intelligenza pura, che niente di quello foflFrono, e niente fentono,o avvertono, non dcefi a niun patto argomentare. Finché 1’ Uomo vive, e finche l’Anima è col corpo congiunta, il fenfo proprio dell’ Uomo, e la vita propria dell’ Uomo per legge di unione è fol operante. E quivi lono i mancamenti, e i profitti : e in quella parte, di quella fono i fenfi, e l’ avvertenze, -«4 C c che fi fentono, o avvertono. Se più rodo coll’ allegata acutezza di Lattanzio, che propriamente contro a quello argomento ritrovò quel nobile autore, non fi vuol far difefa; che ben_ può Ilare. Sciolti a quello modo tutti gli argomenti Lucreziani, perocché alcuni piti minuti, e leggieri, che o fono eftcnfioni,o particolareggiamenti de* più prinf en f° cipali; o in qualunque maniera a quelli JSf/. I* 1 rapportano; ed altri,che ad altro fc-, gno mirano, che al punto dell* Immortalità, inutile, e nojofa opera farebbe a volergli perseguire partita mente; fciolti, dico, gli argomenti, e fatte le dimollrazioni dell’ immortai natura dell’Anima dell’Uomo, niente rimane, perchè non Ita terminata la prò polla Di Sputa. Ma tuttavia del fenfo degli Animali bruti conviene foggiugnervi un brieve ragionamento, per placare ogni Sollecitudine, ed affanno degl* ingegni vacillanti, edubitoli. Imperocché dalla comune, c volgare openione nafeene-, pure un molefto argomento, o fofpicamento in contrario. Concioflìachè la cognizione, che nella via del hlofohco inveftigamento fola ne fa lume nel ricercare l’immaterialità, e 1* immortalità dell’ Anima umana; comunque, e qualunque a gli animali bruti li conceda; non pare, che in quel cammino poffa edere così ficura,e così fida feorta, come ella è in effetti. E adunque con ogni fludio da dimoftrare la fallita di quella ftolta openione:'il che altra via tenendo da quella, che finora han tenuta i moderni Fifiologi, con altri argomenti, *col favor di Dio, faremo fpeditamente. E’pare, che i difenfori dell’Immortalità dell’Anima ragionevole, ogni cognizione debbano difdire a’ Bruti; ovvero colla cognizione conceder loro i’immarerialità, e l’ immortalità parimente. Perciocché dal dover 1’Anima ragionevole», effere immateriale, ed immortale, perche è di cognizione dotata, tanto può conchiuderfi, che i bruti, perchè e’ non», fieno immateriali, debbano edere di cognizione privi; quanto che i bruti eziandio abbiano ad edere immateriali, perchè abbiano cognizione. Siccome gli C c 2 EpiL’ opinion volgare dit/ avori /’ Immortaliti dell’Anima-» delf Uomo Epicurei, i quali tcgnono,che l’Animo umano fi a materiale, non poflono, a mio giudizio, a’ bruti non donare alcuna Torta di cognizione: ne’ quali da una parte veggono ordinate operazioni; ed a* quali dall’ altra non fi può negare— qualunque più pregevole condizione, o fpezie di materia. Ma con tutto ciò, come potrebbe agli Epicurei venir voglia di negare ogni cognizione a’ bruti, con dividere dal fenfo cieco la cognizione -, c l’uno ad una fpezie di materia, e l’altro ad altra fpezie aflegnare; e lafciata l’inferior materia fenfuale a’ bruti, la miglior parte all’animo dell’uomo riferbarejcosì de’partiggiani dell’Immortalità, una parte fi fon voluti lafciar condurre a concedere a’bruti cognizione, con diftinguere più maniere di cognizioni: e quelle così diftinte, come loro è paruto,tra l’ immateriale, e la material natura, tra gli Uomini, e le beftie compartire. Onde non c da reftarfi in quel -folo argomento, il quale nondimeno noi tratteremo a fuo tempo; ma fa di meftieri di una intera deputazione. In così fconcia openione, e come farem vedere dcre dappoi, a gli Uomini, ed al fommo Dio ingiuriofa, più per forza di pregiudizi 1 che per niun valevole argomento fono eglino caduti. Nella qual preoccupazione nondimeno, c dalla quale», pofcia e’ fon giri raccogliendo degli argomenti : o più torto le preoccupazioni, o i pregiudizi mcdefimi han fatto contro al vero, arme di argomenti. Or per cominciare, ognun fa che 1* ingan-. no de Volgari e non e altro, che que- de'isolg* fto.Le operazioni animalefche fono elleno certamente diritte, e regolate cotanto, che il naturai diritto monaftico, quanto loro conviene, adempiono interamente: ed al focicvole domeftico,ed infino al politico ancora in alcune fpezie pervengono: lafciando ftarc mille», varj particolari ingegni di operazioni in quelli, e quelli animali, che fanno le maraviglie del volgo. Adunque per quel veriflimo principio, che ogni ragionevole azione dee da ragionevole principio provenire; tantofto fenza», niuna difamina, a quelle cotali operazioni interno principio di cognizione», hanno eglino attribuito. E ficcome que-fio lo pregiudizio è di fuori venuto dalle cofej così dall’altra banda, da eflo Uomo, e dalla di lui natura, e fua maniera di operare un’ altro n’ è Torto nientemeno del primiero faftidiofo. Giacché il fenfo a’ bruti in ogni modo fi deeconcedere, e’1 fenfo proprio dell’ Uomo nella cofcienza di ognuno fi dimoflra edere di cognizione illudrato jquin. di eglino, che’l fenfo altresì degli ani• mali di alcuna cognizione fornito etter debba, han creduto. Per parlar prima di quello fecondo pregiudizio, che hanno i Volgari in conto di gagliardo argomento, e che del primo può di leggieri più prettamente fpedirfi; batta ricordare, che alla coftituzione dell’Uomo due diverfe nature concorrono. Per la qual cagione, come delle due foftanze un folo ettere, che è 1 etter proprio dell’Uomo rifulta ;così parimente de’ due generi di operazioni, che a quei diverfi principi rifpondono, un folo operare, che è il proprio operar dell’ Uomo di amendue quelle proprietà dotato, dee provenire : ciò che in più luoghi di quella Difputa, e nella soluzione degli ultimi argomenti abbiamdimoflrato. Donde, che ’l fcnfo dell’uomo e’ non Ha Tempi ice, e puro Tento; e che la cognizion del medctìmo non pura, e Tcmplice cognizione ella ila; ma che quello con alcuna luce di cognizione, e quella con alcuno adombrameli. to di TenTo, efler debbano, argomentammo .Giuda quel noftro veriflimo diviTamento, Ticcomc chi dalla cognizio- B contórni ne dell’ Uomo inTcrir voletTe, che le jenfaiTf^fo cognizioni degli Tpiriti puri, Toflon elle furo jènzj^ altresì commifte di TenTo, per non po- f^orìtroije ter capire, che cognizione Tenia ogni TenTo Ti poffa ritrovare, egli in grande errore fi abbaglierebbe r così parimente va errato colui, che dal TenTo dell’uomo argomentando, il TenTo ancora delle bedie voglia credere, che fia con cognizione congiunto, per non potere intendere, come TenTo Tcevro di ogni cognizione rinvenire fi potTi. Se nell’ Uomo Tolo le due nature convcgnono infieme ad edere, ed operare: e ", fuori dell’ Uomo e’ non è altrove in altra Tpezie sì fatto mefcolamento :e per cotal cagione è nell’ Uomo il TeuTo mi do fio di cognizione, e la cognizione a_# rincontro è comporta di fenfo; e’ pare per Dio una chiariflima evidenza, che fuori dell’uomo, come cognizione non può efferc fe non pura, fenza niuna nebbia fenfuale; così fenfo non pof• fa avervi non del tutto cicco, fcnza ogni lucidezza di pognizione .Da tutto ciò chiaramente fi comprende, che.» quanto il fenfo limano agl’ inconfiderati c occafion di errare, e di credere-, che il fenfo de’ bruti è a quello dell’uomo fimigliante; tanto è chiaro argomento a’ più fenfati di tenere per fermo, che come la cognizione del genere puro fpirituale, perchè non è cognizion di Uomo, non dee erter fenfuale : così il fenfo del puro material genere, perchè non è fenfo d’Uomo, non può erter luminofo. Intorno a che egli è affai da maravigliare,che i Volgari Peripatetici, ed i Cartefiani, fono i g iriejìa- eglino da una medertma cagione ftari fofpinti in diverfe eftremità di erroiia vmcÀgton ri eftremamente contrarj. Imperocché medejìtna fi - gjj un j jC gjj a |tri fedotti dal fenfo urna trarfinorT. no, credendo non mai poterli fenfo da cognizion feparareji primi per non torre il fenfo a’bruti, la cognizione ancora 1’han conceduta : e i fecondi per non donare a’ bruti cognizione, il fenfo ancora P han tolto. Le quali eftremc openioni noi ugualmente falfe riputando, liam venuti a quello, di dover feparare quelle due facoltà, per lafciare a’bruti il fenfo folo, ed alle pure immateriali Portanze la fola cognizione. E tanto balli aver detto di quello fecondo pregiudizio, per torgli ogni forza, non folo di argomento per convincere, ma_. ancora ogn’ illulìone di pregiudizio per preoccupare. Ma quel primo ha egli per le menti degl’uomini fparfe tenebre più denfe, e più univerfali :che dicemmo già eflcr nato dal vedere gli Animali bruti, diritte, e regolate, ragionevoli operazioni produrre ogni ora. E intorno a quello, onde, come fopra abbiam notato, falli ancora il principale argomento loro, dee rutta la feguente Difputa aggirarli, in dimoftrando,che altra cagione vi lia del diritto, e ragionevole operare de’ bruti, che quella delP interna cognizione. B . D d pri no Epicurei Jo- bachè la Mente, e la Materia colle iomigliante. ft anzc>c co’modi loro nell’Uomo convenendo abbian gli Epicurei medi in confusone; per modo che eglino la_> Natura immateriale, che è il principio intelligente, annullando, han l’anima dell’uomo tra le pure materiali fpczie annoverata: e i modi mentali, e i modi, e foftanze della materia, negli animali bruti avvenendo, abbian confufi i Volgari; (ìcchè fpiritualizzata, diciam così, la materia, V Anima delle beftie nel ruolo han meflfa delle foltanze cognofeitive. Perchè nell’Uomo, da una parte la fola materia è al fenfo riguardevole; c dall’ altra le mentali operazioni,che ficemorrfi n'dta' cofciùiiza,Co’ modi, e moti materiali, e loro vicende, e variazioni procedono; i fenfuah Epicurei -han creduto, che la Materia a tanta finezza, e attività,e ingegno pervenga, che poffa ella efler principio dell’ umane cognizioni. B i Volgari, negli animali bruti, perchè la materia de’modi 4 prima è bello il vedere, che 1’inganno L 1 instino j c ’ volgari Peripatetici è a quello dede luefloVeJi gh Epicurei aliai fimigliante. Conciof 2ii modi dell’arte, e della feienza mentale ornata, cd ordinata, veggon produrre ragionevoli opere da una parte: e, dall’ altra al Colo uomo, come è dovere, concedono immatcrial principio intelligente: fono eglino perfuafi,che la materia porta in alcun modo e/Tcre principio di alcuna cognizione. Nella qual cofai Volgari per certo più bruttamente errano di coloro. Imperocché gli Epicurci, negata una volta la natura^ immateriale, che è tutto il loro errore, concordan poi con feco rteflì, e giuda i proprj principi da prima preferitti, profeguono a dire, quanto poi affermano appreso dell’Anima dell’Uomo. Ma i Volgari da’ loro principi ben lungi fi dipartono, c apertamente fi contradicono: quando, concedo che. vi fia natura immateriale, c nell’ crter principio di cognizione la colei eflTenza riporta; pure ne’bruti alcuna cognizione poi donano alla materiale per colorir Tinca danza, e mitigar la contradizione; nuove fpezie di nature immateriali, e nuove fpezie di cognizione a capriccio poi fingono. Dalla qual cola il comune aiv D d 2 gogomcnro è tratto di coloro, che niega-, no a’ bruti ogni qualunque cognizione: il quale argomento allegheremo noi pofcia, fé avremo tempo, e luogo opportuno di farlo. Ora alcune più rimote, e più geneil fenfo i ra jj confiderazioni ci deono condurre uniforme, a quelle f che piu vicine tono, e pra proprie del propofito noftro E in ogni modo in primo luogo fi dee efplicare, come il fenfo, o natura fenfuale è una, ed uniforme, che tutte le maniere, e, forme delie fenfazioni in quella unità, ed uniformità comprende : che medesimamente è il fuo edere ampio, ed universale, qual’ è, ed efler dee ogni altra natura comunella qual verità bene intefa, non fi può dire quanta luce fia per arrecare a quella ofcuriflima quiftione. •Adunque fiocone la cognizione, o ragione, o natura ragionevole tutte guife, e tutte le forme di ragionare 'in una uniforme unita, ed univerfalità contiene, infino a perfetta luminofa Scienza, arte, e legge ragionevole; così al termine di perfetta material feienzà, irte, e legge fenfuale*, da fimigliante • w « v principio uno, uniforme, e univerfaie il ienfo eziandio fi conduce. Alle quali due nature giacché con Peripatetici, e non già con L’ORTO ora deputiamo, dobbiamo aggiugnere la natura intelligente; quelle tre nature a quello modo ordinando. Che la pura Intelligente nella fua immobile uniforme s! unirà, tutte le intellezioni di tutti gl’uè intelligibili accolga fenza vicende, e Nature, /«lenza variazioni: c che l’impuro Senfo ^onroole^e tutte le fue proprie varietà di fentire, Scnfualt. in una mobile, e divifibile unità con moti, e modi con perpetuo flufio varianti, debba contenere : E la natura ragionevole polla in mezzo al fenfo, ed alla intelligenza, moti fenfibili, e lumi intelligenti inficmc congiugnendo tutte le fue particolarità Umilmente in fe aduni, fino al fine di perfetta feienza, legge, ed arte ragionevole. Sicché 1’Intelligenza fia ciò che ella è, fenza millura di fenfo ^ il Senfo fia il fuo proprio edere, fenza ogni luce d’ intelligenza : e la Ragione così abbia le fue proprietà, che mefcoli infieme col torbido fenfua le, il chiaro dell’ intelligenza. Due fonimi generi, P uno dell ’ effere terilene feltro dell' ejjer immagine reale, che non è propriamenove fi ritruo- f c quella, o quella fpezie particolare. v ’-> ed mela Così flando elleno quelle cofc, ad in- ' ìarila >. aiUC0 ' tcllerti metafifici cotanto chiare, quanto più non fi può dire, P Intelligenza (la Ragione, e ’l Senfo fono ciafcuna una unità uniforme, efprelfiva, e raflomi• gliativa di quell’ elfere, ed a quel modo, eh’ è a fe convenevole. L’ Intelligenza è un Siiiogifmo già perfetto,che con totale penetrazione, e con cccelfiva chiarezza comprende Puniverfo effere intelligente lenza ombre, e lenza vicende. La Ragione, o cognizione umana non è ella altro, che un argomcnto: cioè una poterti, o facilità, per così dire, di rtllogizzare, che tutto l’ertere ragionevole va a conchiudere con vicende, ed ombre. Secondo che noi nella noftra metafilica abbiamo rtabilito, la ragione dell* Uomo, ella non in altro modo giugne a conofcere gli obbietti, che argomentando dalle minute, e rozze loro fimilitudini; ed indi le intere, e più perfette immagini riproducendo, ed efplicando. Ella adunque ertendo coterto Colo crtere di argomento, che è erte-. Cfme r/tm re ideale, ed efprertivo, uno, unifor- e£?mto“ emme, penetrevole, uni verfale: viene con ten £ a tutt^ ciò a potere efprimer tutte le differenze, e forme ragionevoli, una rimanendo, ind irti nra, indivifa, con quell’ una unità efprefliva, argomentativa. La Ragione, tutto ciò che le rt apprefenta con argomento in fc raccogliendo, e fe medefima, c ’l fuo fenCo, e le fue percezioni, e cogitazioni penetrando, c includendo, tutto il novero apprende. delle forme, che T appartengono. Così il fcnfo,col contatto, e col conciglio, Comelffene confenfo della più fin 3,e più valente E e porzione della materia in quel modo r che noi già dichiarammo, divenuta penetrevole, le azioni, e le significazioni de’ fcnfibili obbietti, ed eziandio degl’ interni appetiti con incredibile agevolezza, e virtù raflbmiglia : ed iniicme per adattati canali, con abili dromenti produce operazioni ad ogn’ interna-, r ed edema lignificazione corrifpondenti. il Senfo è Egli è il fenfo come un materiale argoargomento* mento; cioè una elprelhone, e riproduzione, con che la più virtuofa parte della materia raccoglie in fé tutte le particolari, minute, ed imperfette lignificazioni, ed azioni materiali .. A llmiglianza della natura intelligente, e della ragionevole alTai più, il lenfo ancor efìfo è una efprefliva ideale unità materiale, uniforme, ed universale: e cotale ella effetido, le varie maniere dell’edere Tenibile dee tutte produrre, fino a poter pervenire a perfetta faenza, legge, ed arte fenfuale. L’intelligenza ella è purgata da ogni grettezza, e impurità^, ed c libera da ogni mutamento, di pure t e lucide notizie conteda in una amplif^ ->•*«* •; • - ima * S*V-'VT et ♦ {ima faenza deli’ ogni effere intelligibile. Il fenfo è impuro, variabile, tcnebrofoj e nondimeno con cieche idee, e combinazioni, e fillogifmi conchiude Tumverfa materiale erprclfione, e produzione d’ ogni fenfibile obbietto. La cognizione, o ragione di fenfo commifta, e di lume d’ intelligenza, per convenienti idee, e componimenti, e per fillogifmi fi raccoglie in una ben ampia fcienza lucida argomentativa. Siccome la fcienza ragionevole è penetrabile, e inclufiva per interne comunicazioni, e produzioni; così il fenfo egli è a fuo modo pur penetrevole, e inclusivo per finezza, ed agevolezza di materie, e moti. La fcienza ella è un* ampia forma univerlale del vero ragionevole, piena, e feconda delle ragionevoli forme, fino alle più particolari, ed eftreme : c’1 fenfo è umvcrfal forma del vero fcnfibile, con ferie di limili forme fubordinate, potente a produrre tutte le guife delle fenfibili ope- H && è razioni. Il femo e della corporal natu- cieca-. ra come una fcienza cieca : come la_- •frtowdcofcienza è della natura incorporale, per fumìmfo. E c 2 Così dire, un fenfo luminofo. Poflfono adunque i Volgari Filofofanti fé non-, credere, fofpicare almeno, chele infinite combinazioni, e fillogifmi ciechi de’ principi, o elementi, onde il fenfo è coftituito, vaglion di per se soli, senza niun lume di cognizione a produrre tutte l’ordinate azioni significative ed operative degl’animali. Cotefte-, '; r v tre Nature, ciascuna di per se separatamentc nel suo proprio regno, hanno elleno perfetti principi operanti. Ne all’intelligenza e* fa uopo ne de’procedi della ragione, ne delle macchinazioni del senso. Ne il senso, o degli {labili comprendimenti dell’intelligenza, o delle lucide argomentazioni della ragione abbisogna. Ma nell’uomo, nel qual solo due nature convengono, senfo, ed intelligenza e si mescolano insieme: e come le turbolenze sensuali ^rToffufeano la luce della cognizione; cofienìt la cali- sì i chiarori ragionevoli illustrano la«. frJIAZ caligine del senso. dell'intelii- Cosi dette quelle cose, più per afteretenza ger loro il malnato pregiudizio, che per convincergli del tutto j rivolgiamo ormai il sermone a quelle, che maggior forza d’argomento ne pare che debbano avere. Benché ne il pregiudizio e* v ’. V * •. si è potuto combatterete non in alcun modo argomentando; ne argomento niuno si potrebbe adoperare, sé non in qualche maniera contro al pregiudizio combattendo; ne altronde parmi po % ter meglio cominciar quella parte, che dalla famosa definizione del Lizio della natura, la quale i volgari di lui seguaci malamente interpetrando, discreditano; e i meno feorti moderni affatto non intendendo, deridono. Perciocché il secreto di quella misleriosa definizione difeoperto, tutta affatto dissiderà la nebbia del volgare abbacinamento. Lasciata Ilare ogni altra cosa, che dir si potrebbe, per esplicar quella definizione, che qui non è uopo; io \ à d'^nìziow porto ferma opinione, che quel filofo- Arìj tot elicne fo, quando e’ dice, la natura esser principio di moto e di quiete; che egli, allora intese insinuarne di più la comunicazione, e la definizione, che infic- mementc la natura ha colla scienza, e coll’arte. Sono certamente natura, Scierà scienza, ed are tre primarj principi, natura - j c h e ogni genere di forme compiono Jnejcnò t, e 1’univerlità delle cose. La natura mol?' n yù.i timi vendo, o producendo: che produzioL-nivirjo c moto £ C omc più giù dimostrere mo)fonó una medesima cosa. L’arte componendo, e formando; e la scienza penetrando, e intendendo. La scienza generalmente considerata, altro non è ella che principio di cognizione: siccorae 1’arte pur presa in generale, e non è che principio di formazione. La natura, ne di formazione come l’arte, ne di cognizione come la scienza; y mafol di moto e di quiete e principio. Quella definizione di quelli tre principj additar volle il filofofo in quella sua definizione con ifceverar l’idea, e ‘ l’essenza della natura dall’idee, ed ef viV'X fenze della scienza, e dell’arte; e con rillringerla alla lua determinata proprietà. Ma fono nulladimanco quei princiComunìone di pj tra loro inficme comunicanti, cofueì trefrìn* mG dalla defìnizion medefima è facile c ' iJ ' argomentare. Perciocché, nc l’Arte e’ può di niuna formazione elTer principio; nc la Scienza di cognizione senza virrìi di produrre, che e la Naturar e Icambicvolmente nella Natura è inficine Ja feienza, e 1* Arre; perchè a_, niun patto c’ porrebbe la Natura cfler principia di produzione senza idea, e regola, e modo di produrre; il che è cfler Scienza, ed Arte. Quanto è imponibile, che v’abbia alcun producimene di cognizioni foie n tifi che r e di forme artificiose senza potere di produrre: altrettanto potere, o virtù ninna e’non può eflervi senza modo, o regola di produzione. La scienza, l’arte senza virtù di produzione farebbono (lenii r ed infruttuose per impotenza, e si rimarrebbono in una ofeura, e tenue generalità di sapere. E la Natura senza via, e regola, farebbe, per tumulto, e difordine di parti, e di moti ancor ella infeconda, e rollerebbe in una sparuta, e informe comunità d’edere. Tanto la scienza, e 1’arte; quanto la natura, come è ben uopo t hann’elleno potenza, ed atto, de’quali come di due necessarj principj si compiono. La potenza dell’arte, e della scienza è la virtù producente; 1’idea T o for V i*. o forma, o regola è il di loro atto. Per contrario la forma, o regola, o idea è la potenza della natura; e’1 suo atto è la virtù produttiva, L’atto proprio 'QuùIJùl^ d e i| a scienza è la potenza della Natu f unita della K Natura qua- ra : e 1 atto proprio della natura e la le de ! i,i s I icn potenza della scienza, e dell’arte». ili /f | • r • con bel reciproco lovvenimcnto j soccorso. La regola, o idea ella è l’unità della natura; la qual fottratra, difturbafi l’adunamento, e’l consenso delle parti, e de’moti; onde la Natura in molte, e varie parti, e in molti, e difeordanti mori fi frange fi difperde, che nulla producono. L’unità della Scienza, e dell’Arte è egli il potere di Natura: il qual tolto, la comunicazione, o inclusone s’interrompe: dal che 1’Arte, e la Scienza in molte, e varie idee ^.cogitazioni fi fmhiuzza, che nulla conoscono, ne formano. Ma tuttavia. è da notare, che 1’edere, c’1 potere della Scienza,e dell’Arte, quantunque egli è foftanzievole, e naturale, cfler dee nondimeno inclusivo, penetrevole, e luminoso: che altrimcnte la scienza e l’arte con edere, e con po vi 'l 1 za. ‘:\v j xfcr ui, r*v.' V 1 ,jr * tv*gj NpJ V S •'i *#• La Scienti 'una N aura Aquella fcientifiche, c quella artificiofe, con edere, e con potere penetrevole, lucido, inclufivo.E la Scienza coll’Arte, non vuota, vana, fpoflata, fantaftica; ma è reale, vera, piena, collante, poderola, per edere, c per potere di reale follanzievole natura: nel che l’Eternità della Scienza, dell’ Arte, e della Legge è locata : la qual cola, dopo "lunghi contraili, e’ non han potuto nettamente difpiegare i Volgari. E la Natura non è ella informe, irregolare^* difordinata; ma è formofa, ordinata, diritta, per idee, e regole di verace, e falda Scienza, ed Arte : nel che la fempiternit'a dell’Universo è ripolla, che i filosofi del GIARDINO intendere giammai non-, han voluto. Quel che al prefente rileva è, che con quanto ho detto della.» • Natura, e degli àTtrf due principi, io fon venuto a dimollrare, che le ordinate, e ragionevoli operazioni della^ Natura particolare degli animali bruti, come quelle della Natura univerfale, deono poter provenire da principio interno di Scienza, ed Arte cicca. E perchè il maravigliofo potere delle idee cieche, che alla Natura abbiamo attribuite, finalmente tutti ricono- P!ìt fpezie lcano; egli è da notare, che oltre alle ^^ orme forme reali delle cofe, che già fono in eletto, e fono a’fenfi nortri manifefte, e vi ha altresì delle forme ideali, checosì appelliamo, divife in tre diftinte • Jpezie, o più torto in tre ufficj diverfi. Il primo egli è dell» ideali, come lor dicefi plaftiche, dalle quali generalmente a formarli, ed efplicarfi vegnono le reali. Quello genere è egli principalmente riporto, e chiufo nel feno degli elementi; onde nella prima origin loro, Erbe, e Piante, e Animali ufeiron « fuori alla lucè : ed al prefente ancora non di rado ne avvengono novelle produzioni. E in fecondo luogo le medelime ideali, nelle fortanze delle cofeper tutte le fpezie elle ferbanfi involte : donde ogni cofa può produrre il lìmile, e propaginar la fua fpezie. Il fe. condo genere è dell’ ideali, cui noi diciamo lignificati ve, che fpiccanfi dagli r&jt obbietti, e a rapprefentar vegnono a’ V Mainiiioltri lenii tante varietà di colori e di rettrici f ono forme, quanti già ne veggiamo. Il ter- tt Pi • Ffa zo, che fa al propofito, è dell’ ideali direttrici fopra tutte 1’altre di fommo valore, e pregio, che il fovrano uffizio hanno elle di reggere i moti, e le operazioni. La Natura di tutti e tre quei . ! generi d’ Idee eflfer dee fornita: del primo, e fovrano delle direttrici; affinchè i movimenti fieno regolati, profittevoli, e fruttuufi: del fecondo genere delle plaftiche; affinchè le forme, o fpezie delle cole fieno durevoli, utili, egradite : e in fine del terzo delle fignificative; per fomminiftrare al fenfo acconce lignificazioni, ed efpreflìo ni, onde fi promuovano le operazioni, e le comunicazioni delle particolari nature infra di loro fi compiano. E ritornando alle direttrici, è affai ragionevole penfamento,che cotali Idee ne’ corpi Celcfti, e ne’ loro fiti, ed afpetti, c movimenti fien ripofte. E non per altro, che per quelle tre Idee moderatrici è da credere, che il Mondo, magnimi-, KtlU Kd Animai fu da Platone appellato. Nella tuv sensuale particolar Natura del fenfo e’ ci ha ètuualapcr fut t; a perfezion della Natura Univer si 0 * natU " fale *. Oltre al fommo potere, ed al perfetta fetro concilio de’ principi coll’ idec_, plaftiche, e fignificative, avvi ancora la fovrana regola delle idee direttrici per Io governo della vira. La Natura fenfuale ella è (opra tutte le corporali nature perfetta, e Copra tutte lì avanza ad imitare la Natura Univerfale: ficcome l’uomo,’ nel quale tutto il filloma del fenfo, fornito d’ ogni maniera dMdee, egli è oltre ciò governato dall’ Idee lucide ragionevoli, Copra tutte le terreftri foftanze rafTomiglia, 1’Univerfo me de fimo illudrato dall’ intelligenza della Mente Unìverfale. Or poiché è neccflario, che negli Animali bruti vi fin (ufficiente provigione d’idee direttrici ben ordinate; per qual cagione e’ vi richieggono di vantaggio il reggimento delle cognizioni ? Non fono forfè l’ Idee cieche direttrici badevoli a moderare 1’ arruolo moto del feafo ; e fecondo i movimenti interni, o fecondo l’eftcrne significazioni, non sono elleno valevoli a produrre quelle, e quelle ditcrminate operazioni ? Come potranno- le plaftiche idee diftribuixc il chaos della Materia fcminale,, e-, reggerne i moti per generar erbe, ed alberi, ed artificiofiilìme forme di Animali ; e non varranno le direttrici a. moderar l’azioni, e i moti fcnfuali per confervare la vita^E egli per avvenrura il fatto della confervazione della vimerzio tra ta P*u ingcgnofo, e piu artihciolo deljiicbe ? 7 e f° rrnaz ' one medefima ? Egli non ci ideejìlnifi- ba tra quelle due fpezie d’ idee dieative. rettrici, e plaftiche, somiglianza, e comunicazione, e commerzio si fatto, che l’impreflìoni talora delle plaftiche ' pervengon fino al fovrano feggio delle lignificazioni, e direzioni, e quivi figni’• ficative, e direttive divegnono ; ed al lo’ncontro le figure delle direttrici, e lignificati ve difcendono giù al luogo delle generazioni, e per così dire, plaftico - w ingegno, e potere acquila no ? Siccome la mafia dellgk^a*e*i*,dà*i»m così, genetliaca, è egli un indigefto, e confufo chaos, e in certo modo indifferente, e indeterminato, che'' nondimeno l’idea plaftica diftingue, dirermina, e forma fino a perfetta generazione; così il moto fenluale è propriamente indeterminato, e indifferente, e come confufo, e indigesto chaos,che tuttavia l’idea direttrice dee poter diftinguere, e formare fino all* intero governo del vivere animalefco . Egli è fopra ogni altra cofa da por mente, che il moto del fenfo è della più preziofa.,e più agevole materia; ed c il più vigorofo, ed efficace tra tutti gli altri, Tempre pronto, e fpedito, ed operante: e che 1’ idee direttrici del medefimo fenfo fono vivaci, ed efprefle, e ben ordinate, e compiute; cioè per distinta, e lunga serie sono in sì fatto modo compartite, che da certe più ampie, e generali, che in una, prima, e principale, amplissima, ed universalissima idea sono accolte, tutte l’altre minori procedono; e queste medesime infra di loro 1’une dall’altre, da quella prima comuniffima idea fino all’eftreme, e particolari ordinatamente dipendono . Òr egli efleiido nell’animale, da una parte quel virruofo, e perpetuo, e univerfal movimento; e dall’altra quel ben fornito, ed ordinato reggimento di efficaci idee ; qual’ altra 'cofa fia uopo, perchè l’animale poffa^ agi’inrerni incitamenti del fuo corpo, w ed agli efterni de’ corpi circoftanti regolare le operazioni, di che la vita abbifogna ? Siccome fciocchiflìmo penfamento c* farebbe di chi alla virtù feniuale, altra forza d’ altra potenza aggiugner volctfe, per muovere l’animale; cosi ugualmente, a mio giudizio, vaneggiano coloro, che all* intera, perfetta regola fcnfuale, altra regola d’ altro ingegno vogliono fopra porre-. JtJèZjòT* P er governarlo . Il fenfo è vigorofa virtù motrice, per idee cieche direttrici, valevole a produrre ordinate, e profittevoli operazioni . Quindi raccogliefi bene effer dovere, che 1’animai bruto, che è indocile, nafea addottrinato di quanto ha a fare per fua difefa : e per contrario l’nimai ragionevole, che è docile, imperito, ed indotto de’ Tuoi f affari e’ convien chfc nafea al mondo, Poiché ridec del Bruto e’ sono corpoTer qual co- rali, e cieche ; deono elle con tutto rottone- 1’ apparecchio della materia, c con tutvnie rufea in- to il lavoro delle forme infiemementeT dotto, effer trafmefTe per via di generazione:, Siccome l’ idee genetliache, di fimil fat ta, tanto nell’Uomo quanto negli altri animali, non per difciplina fi apprendono, ma bene per naturale operazione fi fommimftrano . E poiché tutte.» ridee dell’ Uomo fono lucide, elle di neceflìtà colia luce delia cognizione, l’una dietro all’ altra, e dall’ altra l’una efplicandofi, crefcer deono a formare la feienza . Per rimontare ali’ altezza.» de’ primi principj, di che largamente nella fuperior Difputa fi è favellato, la. Mente è ella in fe, e con fe medefima, ed è in fe, e con feco operante : il perchè 1 ’ Uomo di Mente dotato, a quella guifa operando,- fe medefimo infegna o nella Mente univeraale, o nella universal materia, da’particolari a gli universali, e da quelli a quelli discorrendo; e in cotal modo arti inventando, ed esplicando scienze, ed iftorie teflendo . Ma il SenSo cicco materiale, da ogni altra coSa e in Se, e per poco da Se fieflo diviSo, e non può fermamente in Se, e con Se operando come fa la ragione dell’uomo, insegnare Se medefimo : e perciò con tutte 1’altre forme, ed operazioni, e lavori materiali, unicamente per gencrazio G gne efler dee formato, ed idrutto . Erme derano b cn dj m olto i Volgari, che voogc,u ' gliono l’animale addottrinato per quaErroredìal - lunque cognizione . Errano eziandio fan mcdefima debbono immediatamente procedere . Ed in ciò egli è ben latto éeU’Vom* avvcrtire » che la Mente deli’ Uomo la Materia da una parte; e la Materia univerfalejeZnoUtrfn- ^ a ^ l{ d rr3 > cileno amenduc affettano il creato . primato, e’1 principato dclfc cofe . La Mente dell’ Uomo per 1’ indifiolubil m ncflTo della penetrevole, e comuniche vole identità, per la quale in alcun modo ella da fé procede, c in fé ritorna, e in fé ripofa; avendo principio, mezzo, e fine infeparabilmente connetti in una indivifibile, reale unità; e per l a . quale è ancora a Tuo modo proporzionevolmenro ampia, ed univcrfalc: e la materia per la fua ampiezza, ed univerfaliti, onde ogni efifere del fuo genere abbraccia, c contiene ; cd onde in alcuna gnifa, una, penetrevole, e comunicante f! fa vedere . Perciocché a fondare il fourano primato, e principi- t to dell’ efifere, due cofe infieme concorrono ; Luna è I’identità, che invincibilmente unifee tutta l’ettenza, o foflanza, e tutta in ogni parte rendela a -fé medefima infittente, e prefente: l’altra c l’ampiezza, e contenenzjuwrit'er fale, che ogni eflerc dentro di le di ogni genere largamente comprendevi anzi primato, ed univerfalità e’ paioli di eflerc una medefima eflenza ; l’ univerfalità per efler prima, e (buratta, ella è uopo, che all’ampiezza aggiunga r identità de’ principi ; che il tutto alle parti, e quello a quello infeparabilmente connettendo, arrechi verace contenenza. E così eziandio identità, c primato pajono flmigliantemente una fola cola ; ma e fa di meftieri, che l’identità, col neflo infolubile dell’essenza abbia infleme la contenenza. ili ogni effere, per efler perfetta, prima, e poderofa, e con perfezione, pienezza, e potenza efler prima, e fourana . Orla Mente deli’ Uomo per I* identità de* principi, che feco adduce alcuna università : e la materia mondana per l’univerfalità, che pare aver fe.co alcuna comunicazione, elle ambiscono il principato delle cofe appreflo degli Uomini ftolti . Dal che begli nella fisiologia Torta l’opinione dell’ eternità del mondo, e quella dell’ autorità, e del potere della Fortuna, ed ogni altra Scempiaggine, che fa produzione delle forme ideali, e reali, umane, e mondane fottragge all’ Idea divina : ed indi altrefi nell’Etica c egli derivato il pregio del fallo, dell’ utilità, e del piacere, che colle frodi, e colle violenze introducono nelle Civili focietà la peftilenziofa Tirannide . Ma l’una, e l’altra nell* intelligenza de’ dotti da quelle alture nel più infimo luogo, ciafcuna del fuo genere fono fiate ritrai te ; conciolfiachc la Mente dell* Uomo fenza la vera, e piena univerfal contenenza c ella rifirctta, e circol’critta da ogni lato, minuta, angufta, povera,ed impotente, c di minute, c varianti, e caliginose cogitazioni, e idee fol preveduta : Sebbene ella per forza della r penetrevole identità, e lumi, e Segni della Mente uTTiVeffale, e dalla uni- . verfal materia ricevendo, può b.Z » t i ft BMv *“v ji. ! 2 •” Sfe: . yin. /S ' Ev* *> L^J 80KT9i fi.:- t- if ^ % Vi V,. ingegno mentale può ella, forma, ed ordine, e bellezza, e forza acquifere. Così la Mente dell’ Uomo, 1’universai eflere e sapere, che è 1» ogni eirere, c ogni fapere, fuori di fe avendo ; e di la fatta accorra di edcr ella piccioni porzione, e fottil produzione di quell ampia umverfalità ; e la Materia avendo fuori di fe ogn’ idea, che è ogni ingegno, e forma, ed arte ; ben ella lì dimoia e/Tere una partecipazione, ed un limuiacro delia verace prima univerfal torma. Con che elleno, non già il va- Doppio». no lantafima del loro fa4fo pnncimrn «omento del che creano nel fenfo degli ftolT; maj del vero principato della fovrana Mente divina, doppio, rubufto,e luminofo argomento fom mi ni Arano; quella colla cognizione, e quella colla significazione : quella col conokere, indiritta verso 1 ogni fapere, ed ogni elTere, onde procede; e quella col lignificare, additando il medelimo ogni elTere, ed o",w,r, a. flf-ft V K Ve : vacuità» e difordine e tumulto c deformità» e infermezza, cd ogni inutilità, e danno sbandifee » bontà » pienezza, potere, Capere, e con erti ogni frutto, ed ornamento Ceco arrecando da»# una parte ; e dall* altra fe nell’ erbe, e nelle piante, negli animali » ed in ogni altra corporale fpezie, cogli occhi della fronte e* fi. vede cotal perfetta cofpirazione, e comunione con tutte quelle virtù, e bellezze: e nell’ Uomo particolarmente tutto il corpo organico con ogni fila parte feorgefi ordinato all* inveftigazionc, ed al profeguimcnto del vero, c del bello» £ nell’ Univerfo altresì nel corfo regolato, e collante » negli fplendor» della luce » nel potere della formazione, c in quello della firnificazione, nell* infinità delle forme reali, che opefàn ò*7'c felle ideali, che lignificano, egli è apertiflima » e lucididima cofpirazione, e comunione con ogni bontà, e belleza,e utilità, e ubertà, e dilettamento; fe, dico, tutto ciò è vero, come fermamente è ; ficcome vedefi per quello dalle cofe difcacciata ogni vacuità di edere, che è il nulla; ed ogni difetto di configlio, che è il cafojcosì con indicibil chiarezza l’ogni comunione perfetta della mente fcer-nefi ancor chiaramente significata. Di cotali comunicazioni, e significazioni, onde è l’iomo d’ogn’ intorno cinto, e delle interne comunioni, e significazioni del proprio edere, e del proprio fapere, egli è ccrtiflima produzione V Idea di Dio,che il divagamento, e divi/ione de’ penfieri, e ’l tumulto, e lubricità degli affetti ofcurano, e cancellano fino all* infano Ateifmo, che come più fiate è per noi flato detto, è dpiù cupo.abbiL fo dell’umana ignoranza, Ora per rimetterci in cammino, quello danno ancora inferifcono alla fcienza quei, che per 1 * ordinate operazioni degli Ani- •' mali bruti, non contenti delle forme, fue cegni o idee materiali direttrici, di vantaggio ”£> pjcurala vi richieggono la cognizione : quella fffi^, az '° ne illuflre fignificazione divina della divina autorità ofeurando non poco ; come fa altresì chiunque T idee direttrici dell* Univcrfo non riconofce . Perciocché le forme direttrici, con più fretto, e più certo xommercio elleno fon ni H h 2 coll’• 4 * RJ *m._ l*E3 >, ^ « vP, sr &» l\r iSPIEjS &, feAfl ». vv. .^•’MI j»4 V >» .”-fc> v : \ I ¥ ' j fi Si- „• Sè?L"; i'r*:r'- fe V,*. .•Q©:ii"e'1 ri*»' • ® ! «r* 51anino a fvegliarvi le ufo, o cognizione ; ma più tolto, che da un capo all’altro, non in altra maniera qualunque modificazione fi diffonda, che per virtù della penetrevole materia, fuccelfivamente d’ una in un’ altra parte di fpiriti, onde tutto il corpo abbondi, moltiplicata, e propagata. Imperocché ficcome è il cielo di aere, e d* etere ripieno, e di luce, che da per tutto è in perpetuo atto, e moto ; così il corpo dell’animale della spiritosa sostanza è tutto in ogni fua parte irraggiato, e con perenne vigorofo atto-, e mo vimento operante. Il qual penfamento,(ee più acconcio a Spiegare la maravigliofa comunicazione delle cognizioni de’ lenii, e degli affetti; e in particolare il subito momentaneo contentò, con che l’imperio della volontà fecondano i movimenti de* membri; ed all 1 incontro jfilg» incoi a’ sensi nelle membra fufeitati rifpon- rjffondenzcu, dano i penfieri, e gli affetti: e fe è egli più atto a fpiegare la mirabil propagazione delle figure, de’ colori, e de’ tuoni in tante parti, e in tanta diftanzaje iu ifpczieltà 1’ incredibile velocità del- mfe le illuminazioni, e figurazioni della luce, che non fa la comun volgare ope- nione ; e* non dee già niuno offendere la novità delle cofe. A quella guifaor dimoslrata 1’origine, e la virtù, e le~, varie guise dell’operazioni ideali, noi fermamente abbiamo refa più accette- vole la fentenza, che per le fole idee direttrici, fenza niuna cognizione, si governi la vita degli animali bruti. Pure, come per l’ ingegno, e lume delle idee direttrici abbiam moflrato, poter la materia avvicinar^ al fapere della mente: così d T altra parte, alla potestà della mente medesima poter ella farfi dapprefTo col vigore del moto, conviene che dimoflriamo. E adunque uopo, che ritorniamo all* definizione lizia del moto: la quale interamente fpianancknp' vcrrenTo a conoscere da una parte 1’atto della mente, che c la cognizione; e dall’altro l’atto della materia, che è il moto: e ’l potere deli’ una natura, e dell’altra; dell’uno, e dell’altro atto, che dirittamente va a toccare il nodo di que* fla difficile Quifiione. II moto, dice-u jquel FILOSOFO, egli è atro di ente iiu. potenza, in quanto in potenza: diffìnizione dcrifa c da moderni Filici, ma che in più, e diverse maniere interpetrata, alti spro- fondi fenfi difeopre, che la coloro leggerenza, o feempiaggine ravvi farvi non ha potuto. Noi l’ altre cofe, che potremmo addurre, ad altro uoporiferva- te, due fole ne feerremo, che a fu pe- rare la malagevolezza, che abbiamo innanzi, crediamo più opportune . Pri- Prima /*. 1^3, il moto non è una particolare e r P e,raz 'mn* diterminata mutazione a produrre- #£!%£. quella, o quella diterminata cofa, che nizione * qualificando il subbietto, il termini, e ’l compia in alcun modo ; ma così ?gl.' £ ? tto » e c °sì ( diciam così) attua il subbietto; che altro movendo non li faccia, ed altro non fi polTa dire, fe^ non che quello fi muova, e fi muti ge- neralmente. Il moto e già non è di quella fatta di modi, o qualità, chc^ con qualificare, o modificare f compia in elTere il corpo movente ; ma egli avviene all’ente già perfetto, e com- piuto, ed attuato con ogni atto, e per- £ I i selezione, e compimento del Tuo eflerè': il qual eflere perciò e* non è in poten- za, che al moto foloy cioè a mutazio- ne, e variazion generale, che altroché mutazione, e variazione e* non fia.On- de avviene eziandio, che in qualunque modo, e quantunque muovali il corpo, Tempre e’ rimanga libero, e fpedito, e in potenza a muoverli più oltra in in- finito. La mobilità adunque ella non è certa, e diterminata potenza a quello, o quel certo, e diterminato atto . Il di lei atto non è tale, che così ne di- termini Tinfinità, c T indifferenza ; che in oltre altro atto, ed altra dttermina- zione, e perfezione e’ non li abbia a», ricevere . La mobilità non h potenza à produrre, o operare; non è a ricevere nulla, o patire ; non è ne attuofa, ne paziente mmi*— * tì iiffr» tua' bene ella è ima potenza generale, ordinata ad un generai atto, che attuandola; tuttavia nella fua capacità, o poffibilità ancor la (èrbf. Quello è egli effe re in potèn- za, in quanto potenza; onde Arinotele con profondo acume potè dire ciò che dille del moto in quella dWfinizio-' ne A* otete^tffa-cggn^ ìzrònKéT Bà r » l tW l IH 1 ! g medefima maravigliofe forze a conofce? re. Imperocché fa Mente puo^lla a fd medefima rivolta, fopra di fé ogni fu a azione adoperare : ficco me fopra noi còti 1 altrettanti argom enti abbia m dimostra.’ > coniQqj^iioMjfrt( l pf73^5TPa Ja yacjjj.' tà*#Plffipotenza della materia . Siccome la cognizione, non come il moto della' materia è atto di ente in potenzi, in guanto potenza . La cognizione non è* eftrinfcca, ma intrinfeca alla foftanza mentale, e intrinfecamente la termina, e compie ; eflfere, e forma, e perfezionò * in lei rifondendo. Da qucikTnfigne 4 differenza della mente, c della materia, della cognizione, e del moto e si viene con somma chiarezza a conoscere da una parte il sovrano edere della men- cognizione te pura; e dall’altro, l’infimo edere della Ù pura materia. Imperocché nella totale acuità, e impotenza della materia e’ben li ravvifa la suggezione, la dipendenza, e lestremo bisogno, che ella ha di ede- re moda, variata, e figurata: e per conseguente la Cua natura vuota di ogni potere, e d’ogni atto, e luce mentale. E nella virtù della mente, che ella ha di muovere, e for ma n e c ornare Ce fteC- fa, e’bene si riconosce la sovranltà, e l’indipcndcnza, e la pienezza, e’1 potere di defima differenza s’intende ancora, che è il proposto nostro, la natura del senso ragionevole dell’uomo, e la natura del senso cieco animalesco: quella nella congiunzione di mente sostanziale, colla materia formata; e quella nella comunicazione dell’ atto mentale alla materia ii forme. Ed ecco la natura sensuale, tutta con tutte le operazioni ragionevoli, espressa, ed effigiata nella sola materia. Quando per virtù della mente pura e paffa nella materia 1’atto mentale dell’ogni comunicazione arimmetica, geometrica, statica;-c-+ l arrcr tfelt ogni potere del moto nella materia più fina, agevole, ed attuosa con perpetue circolazioni, ed ordinate diftribuzioni,jcon principi, progressi, e ritorni; e quello in fine dell’ogni formazione coll’ideali plastiche, e della direzione, e jigiuficasioiie coll’ideali direttrici significative. Ecco allora un principio movente, ampio, pieno, perfetto, poderoso e fruttifero: onde nella materia mondana è la direzione, e significazione ne’ corpi celesti di giorni, mesi, e d’anni, e di ordinate stagioni, e di altri più ampii, e più perfetti periodi, ed è 1’ogni formazione, o produzioo^di er- 1 f - ff dell’uomo, be, di piante, e d’animali, e di ogni altra possibile spezie corporale . 11 qual principio è egli la natura universale. E nelle- u^'- matene particolari coslrutte, ed ordì- vt rjÀlc. nate con quegl’ingegni, e fornita di quelle virtù, e forme reali, ed ideali e’proviene, e la produzione, o formazione de simili, e la significazione e direzione di tutte le ordinate operazioni necessarie alla vita. 11 qual principio a suo modo capa- -^ rt * ce, e potente, ed ordinato, c egli lana- f0 / *¥ «• +*jàf ['•"'•a S*1 % 4 f# • ?• j* ! L.i « L J #- m^^Sr v%? j 1 5A 4 ° ?r SI 2 ‘ * r&Z. i 1 f P'^3pMWF ttèfe ••* lìi” „ c tp -i* 4 \ f SjJ f ~ A*'$ f* * # .^ "i ” « 12 IwNP %ìj *47 V«> tl ^4 M. Tommaso Rossi. Rossi. Keywords: implicature moderna, argumenti contro LUCREZIO (si veda), Lucrezio, De rerum natura, animi degl’uomini, anime degl’uomini, animo/anima, corpi degl’uomini, corpi degl’animali, degl’affetti degl’uomini, il senso, il moto, i corpuscoli, ossessione con Lucrezio come filosofo romano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rossi” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rossi: la ragione conversazionale di Romolo; o lo storicismo – la scuola di Torino. filosofia piemontese -- filosofia italiana – l’astuzia della ragione converszionale di Weber e Grice -- Luigi Speranza (Torino). Abstract. Grice: “Rossi writing about ‘storicismo tedesco’ reminds me of Warnock, an Irishman at Oxford, writing about English philosophy!” Keywords: metodo in psicologia filosofia. Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Torino, Piamonte. Studia  a Torino sotto ABBAGNANO, Napoli, e Milano. Insegna a Cagliari e Torino. Studia lo storicismo, l’illuminismo, e il positivismo. Saggi: Lo storicismo, Einaudi, Torino; “Storia e storicismo, Lerici, Milano; La storiografia Saggiatore, Milano; “Oltre lo storicismo, Saggiatore, Milano; “Storia della filosofia”, Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Cf. Grice, “Speranza e l’opera di Grice in Italia.” CLASSICI DELLA FILOSOFIA COLLEZIONE FONDATA D’ABBAGNANO DIRETTA DA GREGORY CLASSICI UTET, Tipografia ‘Toso, via Capelli, Torino. È difficile isolare, nell'àmbito della filosofia contemporanea, un indirizzo che possa essere caratterizzato in maniera univoca, e al tempo stesso esaustiva, con la designazione di storicismo ». Ciò dipende in primo luogo dal fatto che il termine storicismo » — così come si è venuto diffondendo a partire dagli anni ’20, dapprima in Germania e poi in Italia — è stato impiegato per indicare posizioni filosofiche (e anche non filosofiche) disparate, recando con sé quasi sempre una carica polemica o, al contrario, elogiativa che gli ha impedito per lungo tempo di essere assunto a contrassegno di un’impostazione di pensiero o di diventare una designazione storiografica comunemente accettata. Nella cultura tedesca lo storicismo è stato infatti identificato originariamente con una considerazione storica dei diversi campi della vita e della cultura fondata su un atteggiamento relativistico, che comportava quindi una relativizzazione dei valori alla particolare cultura o al particolare periodo storico nel quale si sono formati. Nella cultura italiana esso è invece servito a indicare soprattutto, almeno fino alla seconda guerra mondiale, una concezione della storia (di derivazione hegeliana) che affermava la fondamentale storicità di tutto il reale, e di conseguenza la riduzione di ogni conoscenza a conoscenza storica. In altri paesi, eccetto in quelli di lingua spagnola, il termine ha avuto scarso successo: nella cultura francese è rimasto sostanzialmente assente — tant'è vero che il primo studio organico del movimento storicistico tedesco, cioè il libro di Aron, è intitolato alla filosofia critica della storia anziché allo storicismo — mentre nella cultura anglosassone ha acquistato, in virtù della polemica di Karl Popper contro la miseria dello storicismo , un significato quasi sempre negativo. In epoca più recente, cioè nel corso degli anni ’60, è subentrata una tendenza piuttosto diffusa a identificare lo storicismo con la concezione marxistica della storia, vale a dire con il materialismo storico: tendenza chiaramente connessa con il processo di rinnovamento del marxismo contemporaneo, operato attraverso il recupero di autori come il Lukdcs di Geschichte und Klassenbewusstsein e il Gramsci dei Quaderni del carcere, nonché attraverso l’incontro con altri orientamenti del pensiero contemporaneo, in primo luogo con l'’esistenzialismo. AI di lì di queste considerazioni relative al significato del termine, e ben più importanti di esse, vi sono però altri due ordini di motivi i quali spiegano la difficoltà di cui si diceva. Il primo ordine di motivi consiste in una caratteristica intrinseca allo storicismo, ossia nel fatto che esso non è soltanto, né principalmente, una dottrina o un complesso di dottrine filosofiche, ma è pure un movimento che ha avuto larga influenza sulla ricerca storica e sulle scienze sociali, e che presenta connessioni tutt'altro che irrilevanti con le vicende politiche europee del secolo xx. Le formulazioni più propriamente teoriche dello storicismo contemporaneo come la teoria della conoscenza storica e l’analisi della struttura storica del mondo umano e della relazione dell'uomo con i valori sono quindi aspetti di un fenomeno più vasto, al quale continuamente rimandano. Il secondo ordine di motivi risiede invece nel legame ricorrente dello storicismo con altri indirizzi della filosofia contemporanea: per un verso con l’idealismo in tutte le versioni che si richiamano, direttamente o indirettamente, alla concezione hegeliana della storia e per l’altro verso con il neocriticismo o con l’esistenzialismo o con il marxismo o con il pragmatismo, magari (in qualche caso) perfino con il neopositivismo. Risulta così impossibile determinare un nucleo dottrinale al quale siano riconducibili le diverse manifestazioni dello storicismo contemporaneo, e che sia più o meno presente in tutte: al contrario, le varie forme di storicismo divergono anche su questioni d'importanza fondamentale. La possibilità di individuare lo, storicismo come un indirizzo a sé stante della filosofia contemporanea appare perciò problematica sia per quanto concerne i rapporti tra pensiero filosofico e altri campi culturali, sia all’interno dello stesso pensiero fiosofico. Sarà opportuno soffermarci più da vicino su questi nessi. Già dal punto di vista biografico gli esponenti dello storicismo contemporaneo che siano filosofi di professione, e nient'altro che filosofi, sono assai rari, e non certamente i più importanti. Dilthey, pur insegnando filosofia, è stato però insieme studioso di psicologia e di pedagogia, e ha soprattutto dedicato gran parte della propria attività all’analisi e alla ricostruzione storica di alcuni momenti centrali di sviluppo della cultura moderna, dal Rinascimento alla Riforma, dall’Illuminismo al mondo romantico. Georg Simmel e Max Weber occupano un posto di grande rilievo nella sociologia contemporanea; inoltre, mentre il primo è autore di numerosi saggi di argomento artistico, letterario ed estetico, e ha ripetutamente affrontato i problemi concernenti la fisionomia e il significato della cultura moderna, il secondo è pervenuto all'analisi metodologica delle scienze sociali muovendo da studi sulle società commerciali del Medioevo, sul diritto agrario romano, sulle condizioni dei contadini nella Germania e, infine, sulla scuola storica di economia. Ernst Troeltsch è stato in primo luogo un teologo, e tutta la prima fase della sua attività speculativa è ispirata da preoccupazioni tipicamente teologiche: la sua successiva riflessione sulla storia e sulla conoscenza storica è anch’essa radicata in una problematica religiosa, e prende le mosse dalla consapevolezza dell’urto della coscienza storica moderna sulla validità della fede cristiana. Friedrich Meinecke è giunto ai problemi dello storicismo attraverso l’analisi del processo di formazione dello stato nazionale tedesco e della struttura della ragion di stato nell'età moderna; anche professionalmente, egli è stato uno storico, e solo in secondo luogo un filosofo, In quanto a Benedetto Croce, anch'egli è stato all'inizio com'è noto soprattutto studioso di storia e di critica letteraria, e il suo sforzo di elaborazione filosofica è proceduto di pari passo con l’approfondimento di temi di storia etico-politica, dî estetica e di linguistica. E l’esemplificazione potrebbe agevolmente continuare. Ma la connessione con altri campi culturali non è soltanto un dato biografico; essa è pure una dimensione intrinseca dello storicismo contemporaneo. Da un lato, infatti, la consapevolezza del fondamentale carattere storico dell’uomo e della realtà sociale ha condotto all’analisi dei momenti decisivi della storia culturale europea, nel duplice intento di delineare secondo il programma indicato da Dilthey la vicenda dello spirito europeo e di porre in luce le relazioni reciproche tra settori diversi del processo storico, c contemporaneamente ha promosso il ricorso alle prospettive concettuali che erano offerte dalle scienze sociali, in particolare dalla sociologia. Dall'altro lato il riconoscimento della storicità della filosofia, del suo legame con le altre manifestazioni culturali di un’epoca, della sua dipendenza dai risultati della ricerca condotta dalle scienze particolari, ha mostrato l'impossibilità di una filosofia che pretenda di configurarsi come una forma autosufficiente di sapere, fornita di validità incondizionata. Non meno arduo è discriminare lo storicismo dai diversi indirizzi della filosofia contemporanea con i quali è quasi sempre intrecciato. Ciò vale sia per il legame con l’idealismo, che risulta essenziale al pensiero di Croce (o del suo discepolo inglese R. G. Collingwood), sia per il nesso con l’esistenzialismo o con il marxismo o ancora con il pragmatismo, allorché la problematica storicistica s’innesta su una piattaforma dottrinale diversa e rispondente ad altri interessi. È vero che Croce si è proposto fin dal saggio Ciò che è vivo e ciò che è morto nella filosofia di Hegel (1906) e dalla Logica come scienza del concetto puro (1909) di differenziare la propria impostazione filosofica da quella di Hegel, eliminando la distinzione hegeliana tra idea, natura e spirito e risolvendo quindi i primi due momenti nel terzo, che viene così fatto coincidere con la realtà intera, in maniera da identificare il processo di realizzazione dello spirito con lo sviluppo storico e da interpretare ogni fatto come fatto storico. Cionondimeno il crociano storicismo assoluto si configura come una ripresa intenzionale della concezione della storia formulata dall’idealismo del primo Ottocento e soprattutto da Hegel, dal quale deriva il postulato fondamentale della razionalità dello sviluppo storico e l'affermazione del suo carattere progressivo. Del resto, la stessa qualificazione di storicismo è stata adottata da Croce molto tardi, nel corso degli anni ’30, durante il trapasso dal sistema della filosofia dello spirito alla posizione de La storia come pensiero e come azione e degli scritti successivi: il saggio /! concetto della filosofia come storicismo assoluto è, difatti, del 1939. Nel pensiero di Croce lo storicismo sorge quindi sulla base di un’impostazione chiaramente idealistica, ed è inseparabile da questa. La stessa definizione della filosofia come metodologia della storiografia ha ben poco in comune con una concezione metodologica della filosofia (quale si è sviluppata partendo da una prospettiva neocriticistica), ma poggia su una concezione idealistica anzi,neoidealistica del sapere la quale nega il carattere conoscitivo delle scienze naturali, interpretandole come prodotto della forma economica dello spirito, e perciò riduce la conoscenza a conoscenza storica, vale a dire a conoscenza dello sviluppo dello spirito nella serie infinita delle sue manifestazioni finite. Anche in vari altri autori lo storicismo si presenta come un approccio ai problemi della storia e della conoscenza storica condizionato dall’assunzione di presupposti propri di orientamenti di pensiero eterogenei, ed è lungi dal configurarsi in modo autonomo. Per esempio, la concezione heideggeriana della storicità dell’esserci è strettamente dipendente dalla teoria diltheyana della storicità; ma questa viene ricondotta a un quadro ontologico del tutto estraneo alla filosofia di Dilthey, risolvendosi in un elemento dell’analitica esistenziale di Sein und Zeit. Analogamente, se è vero che Karl Jaspers si è richiamato con insistenza a Max Weber (fino ad asserire che egli non ha insegnato una filosofia, ma era una filosofia , anzi la filosofia per eccellenza del suo tempo), la problematica storicistica occupa un posto del tutto secondario nell’esistenzialismo jaspersiano. Né le cose stanno in maniera diversa nel caso del marxismo. Molte delle categorie interpretative di Geschichte und Klassenbewusstsein, in primo luogo quella di possibilità oggettiva , sono di origine weberiana; ma il rinnovamento del marxismo intrapreso da Lukdcs poggia non già su un’accettazione dell’impostazione metodologica di Weber, bensì su uno sforzo di replica a Weber, cioè sullosforzo di sottrarre il materialismo storico alla critica a cui egli lo aveva sottoposto. Anche la recezione di posizioni storicistiche nel clima filosofico-culturale francese degli anni ’60, caratterizzato in misura prevalente dall'incontro tra esistenzialismo e marxismo basti pensare alla Critigue de la raison dialectigue di Jean-Paul Sartre, apparsa nel 1960 non può certo essere scambiata per una forma vera e propria di storicismo. Al di fuori della cultura europea, poi, l'affermazione dell'identità tra esperienza e storia e del carattere problematico dell’esperienza in quanto sequenza di eventi storici, formulata da John Dewey in Experience and Nature (1925), sviluppa in modo originale temi propri del pragmatismo americano, € può caso mai essere ricondotta a una matrice hegeliana filtrata attraverso un’interpretazione naturalistica, non già a una piattaforma storicistica. In tutti questi casi ci troviamo di fronte a forme d'incontro tra storicismo e altri indirizzi filosofici (se non addirittura, come nell’ultimo, a un'affinità piuttosto remota), in cui esso perde inevitabilmente qualsiasi specificità. Se si vuole individuare, nell’ìmbito della filosofia contemporanea, un movimento storicistico che abbia proprie caratteristiche distintive, e che non sia subordinato ad altre impostazioni teoriche, occorre cercarlo nella cultura tedesca degli ultimi due decenni del secolo xix e dei primi decenni di questo secolo, fino alla vigilia della seconda guerra mondiale. Soltanto entro tale contesto si può legittimamente parlare di uno storicismo contemporaneo, cioè di uno storicismo che non sia la ripresa o la rielaborazione di una concezione della storia formulata nel primo Ottocento (quale quella hegeliana), e che d'altra parte non costituisca un semplice elemento di una costruzione filosofica fondata su presupposti eterogenei. Con ciò non si vuol dire affatto che esso esaurisca il panorama dello storicismo nella filosofia contemporanea, in cui rientrano a buon diritto anche le altre forme a cui si è accennato; si vuol piuttosto affermare che è la sola forma di storicismo che possegga una sua caratterizzazione autonoma rispetto ad altri indirizzi filosofici, che cioè sia sorto fin dall’inizio come un movimento indipendente. Anche se lo storicismo tedesco appare legato, soprattutto nella sua fase iniziale di sviluppo, con il neocriticismo sviluppatosi a partire dal 1860 sulla base del programma di ritorno a Kant avanzato da Kuno Fischer, da Otto Liebmann e da Hermann von Helmbholtz, il suo rapporto con questo è un rapporto non tanto di derivazione o di dipendenza, quanto di differenziazione, che comporta quindi un crescente distacco dai presupposti e dall'impostazione gnoseologica del neocriticismo. E in seguito, già a partire dal primo decennio di questo secolo, tale legame appare come un'eredità del passato, che sopravvive soltanto in figure piuttosto marginali del movimento storicistico (per esempio nel vecchio Rickert). Perciò la scelta presentata in questo volume si limita ai principali esponenti dello storicismo tedesco, lasciando da parte autori che trovano la loro collocazione primaria in altri orientamenti della filosofia contemporanea. II. Lo storicismo tedesco contemporaneo prende le mosse dal dibattito metodologico sulla conoscenza storica, cioè dalla discussione sul carattere peculiare, sul metodo e sull’oggetto delle discipline che studiano l’uomo e la realtà sociale nella loro dimensione storica. Alla base di tale dibattito c'è chiaramente un'esigenza critica in senso kantiano, vale a dire l'esigenza di determinare le condizioni che rendono possibile la conoscenza e che ne garantiscono la validità. Se quest’esigenza è comune pure al movimento neocriticistico nelle sue varie manifestazioni, è invece caratteristico dello storicismo il proposito di estendere l’ìmbito dell’indagine critica a un campo del sapere che era rimasto estraneo sia alla considerazione di Kant sia agli interessi propri del neocriticismo, Agli occhi di Dilthey, ma anche di Windelband o di Rickert o di Simmel, il limite della critica kantiana consiste nel fatto che essa si riferisca esclusivamente alle scienze naturali, alla conoscenza fisico-matematica nella sistemazione datane da Newton, senza rendersi ancora conto che un analogo problema di fondazione critica si pone pure per la conoscenza scientifica dell’uomo e del mondo umano, considerato nel suo sviluppo storico. Questo limite trova certamente una base di giustificazione nella situazione del sapere all’epoca di Kant, cioè in un’epoca in cui le scienze storico-sociali facevano appena i primi passi. Ma a distanza di un secolo il primo (e unico) volume dell’Einleitung in die Geisteswissenschaften di Dilthey compare nel 1883, poco più di cent'anni dopo la pubblicazione della Kritik der reinen Vernunft e cioè dopo i progressi decisivi che queste discipline hanno compiuto nella prima metà dell’Ottocento, soprattutto ad opera della scuola storica, esso risulta ormai privo di fondamento. Dilthey si trova dinanzi a un edificio concettuale nuovo, che si è venuto in larga misura costituendo dopo Kant, e che non trova posto nel quadro categoriale della critica della ragion pura ; perciò si propone di affiancare ad essa una critica della ragione storica , vale a dire un'indagine concernente le condizioni di possibilità della conoscenza storica. Al problema kantiano della possibilità della natura (e della conoscenza scientifica della natura) fa riscontro il problema della possibilità della storia (e delle scienze storico-sociali). Questa è l'ispirazione comune, pur nella diversità di formulazioni e anche di presupposti, alla prima fase di sviluppo del movimento storicistico. Su tale base Io storicismo prende posizione contemporaneamente nei confronti del positivismo e del neocriticismo. Sorto in un periodo in cui il positivismo veniva diffondendosi anche nella cultura tedesca, soprattutto nell’àmbito degli studi psicologici e psico-sociologici particolarmente importante è, a questo proposito, l’opera di Wilhelm Wundt esso accoglie l’esigenza positivistica di un’analisi scientifica dei fenomeni del mondo umano, e quindi il rifiuto di una considerazione metafisica dell’uomo e della storia. Da ciò la sua diffidenza, se non l'ostilità, nei confronti della concezione idealistica della storia; da ciò la polemica sotterranea ma non meno accentuata verso Hegel e la visione hegeliana del processo storico come realizzazione progressiva dello spirito del mondo , che soltanto molto più tardi cederà il posto a un tentativo di recupero dell'eredità dell’idealismo condotto da Dilthey sul terreno storiografico attraverso lo studio degli scritti giovanili di Hegel, e da Windelband piuttosto sul piano teorico, attraverso la proclamazione della necessità di un rinnovamento dell’hegelismo (come suona il titolo di un saggio del 1910). Ma lo storicismo respinge, al tempo stesso, la riduzione dello spirito a natura che gli sembra implicita nel positivismo classico; e soprattutto respinge il tentativo di ricondurre la conoscenza dell’uomo e del mondo umano a un modello di spiegazione comune a tutto il sapere, che comportava l’assimilazione delle scienze storico-sociali al procedimento delle scienze naturali. Il distacco dal positivismo — nella versione che ne avevano dato Auguste Comte nel Cours de philosophie positive o John Stuart Mill nel System of Logic, Ratiocinative and Inductive — si esprime proprio nella rivendicazione dell'autonomia metodologica della conoscenza storica, nell’affermazione della sua irriducibilità alla conoscenza della natura, e quindi nella tesi di una fondamentale dicotomia del sapere: scienze della natura e scienze dello spirito in Dilthey, scienze nomotetiche e scienze idiografiche in Windelband, conoscenza naturale e scienze storiche della cultura in Rickert. Il modello milliano di spiegazione causale è valido, secondo Dilthey, per le scienze della natura: così per Windelband e per Rickert la conoscenza è, e dev'essere, orientata in vista della determinazione di leggi generali organizzate in un sistema di leggi, a cui possano venir ricondotti i fenomeni. Ma quel modello non è applicabile alla conoscenza dell’uomo e della realtà, che ha per Dilthey un diverso fondamento e si serve di altre categorie; e le leggi non trovano diritto di cittadinanza nelle scienze storico-sociali, o per lo meno non possono costituirne il fine ultimo. Ma attraverso la critica al positivismo si compiva anche un netto distacco dalle prospettive neocriticistiche. Come nella Kritik der retnen Vernunft, così nelle opere dei neocriticisti della fine dell’Ottocento in particolare in quelle della scuola di Marburg, rappresentata soprattutto da Hermann Cohen e da Paul Natorp non trovava posto la dicotomia del sapere che il nascente movimento storicistico sosteneva: nella permanente identificazione della conoscenza con la conoscenza fisico-matematica questo non poteva non scorgere una sostanziale incapacità di adeguazione al mutamento di orizzonte scientifico intervenuto dopo Kant. Anche in Windelband e in Rickert, che rimangono più legati all’impostazione gnoseologica generale del neocriticismo, questa divergenza è esplicita: a un secolo di distanza dalla critica kantiana il compito della teoria della conoscenza è quello di estendere il proprio ambito alla conoscenza storica, determinando anche per questa il fondamento che ne garantisce la validità. Ben più nettamente, nell’Einleitung in die Geisteswissenschaften Dilthey si propone di fare per le scienze storico-sociali ciò che Kant aveva fatto per le scienze della natura; e, al pari di Kant, muove dal riconoscimento dell’esistenza di un complesso di discipline organizzate, dinanzi alle quali non ha senso chiedersi se siano valide oppure no, ma occorre invece andare alla ricerca del fondamento della loro validità, cioè chiedersi come siano possibili e di quali princìpi si avvalgono nell’organizzare concettualmente il dato empirico. È un decennio dopo, in Die Probleme der Geschichtsphilosophie (1892), Simmel affronterà il compito di determinare le categorie della conoscenza storica e i suoi rapporti con le scienze sociali. Tuttavia l'allargamento o se si vuole il completamento della teoria della conoscenza formulata da Kant costituisce soltanto un aspetto, e forse neppure il più importante, del distacco dal neocriticismo. L'altro aspetto, diversamente presente nei singoli autori, riguarda la stessa impostazione gnoseologica del neocriticismo, vale a dire il tipo e i presupposti dell'indagine critica. Come si è accennato, Windelband e Rickert rimangono sostanzialmente fedeli a questa impostazione: nei primi saggi teorici windelbandiani a partire da Was ist Philosophie? e da Normen und Naturgesetze (entrambi del 1882) e dagli altri scritti che compongono la prima edizione dei Pràludien (apparsa l’anno successivo) il distacco dal neocriticismo avviene nella direzione di una teoria dei valori che attribuisce alla filosofia il compito di individuare i princìpi a priori dell'attività umana in tutti i campi, e quindi anche nell’ambito conoscitivo, e che li interpreta appunto come valori forniti di una loro intrinseca validità indipendente dall’esperienza, sulla base della distinzione tra essere e dover essere, tra la necessità empirica (propria delle leggi naturali, oggetto della scienza) e la validità ideale delle norme (di esclusiva pertinenza della filosofia). Il soggetto del conoscere rimane quindi il soggetto trascendentale, capace di pervenire a una verità incondizionata sulla base della conformità alle norme proprie dell’attività conoscitiva; rimane il soggetto trascendentale sottratto come Rickert ribadisce in Die Grenzen der naturwissenschaftlichen Begriffsbildung (1896-1902) a ogni determinazione empirica. La conoscenza storica trova il fondamento della propria validità, di una validità altrettanto universale e necessaria di quella della conoscenza naturale, nella presenza di valori incondizionati che costituiscono i princìpi della sua elaborazione concettuale. Le cose stanno ben diversamente per Dilthey, e anche per Simmel. Entrambi respingono infatti il postulato di un soggetto trascendentale per rivendicare il carattere empirico dell'io che indaga la storia; perciò respingono anche l’attribuzione alla conoscenza storica di una validità indipendente dall'esperienza. Per Dilthey la conoscenza quella delle scienze dello spirito ancor più di quella delle scienze della natura è inseparabile dal complesso della vita umana, è cioè una funzione dell’esistenza concreta dell’uomo in quanto individuo empirico e della situazione storico-culturale in cui egli vive: di conseguenza la validità di ogni sapere è condizionata dalla struttura complessiva della coscienza, dal suo radicarsi nell’esperienza vissuta. Perciò negli anni ’go, e ancora nei suoi ultimi scritti, Dilthey sarà condotto ad affrontare appunto l’analisi di questa struttura, nell'intento di mostrare come da essa scaturisca il procedimento conoscitivo proprio delle scienze storico-sociali e come in essa siano presenti le condizioni che ne fanno una forma oggettivamente valida di sapere. Nello stesso periodo Simmel opera una netta riduzione della conoscenza storica alla comprensione psicologica, assumendo così un punto di vista radicalmente opposto a quello del neocriticismo: dal momento che i fenomeni a cui si riferisce tale conoscenza hanno la loro radice nella vita psichica degli individui, essa deve sempre risalire da certi dati esterni, oggetto di osservazione empirica, all’interiorità spirituale degli individui che in questi si manifesta. La conoscenza storica si riassume quindi nell'atto psicologico dell’intendere, cioè in un atto che comporta la proiezione di un processo psichico vissuto dal soggetto conoscente a un'altra personalità, alla quale esso viene attribuito. E le categorie di cui si avvale nell'organizzare concettualmente il dato empirico non sono princìpi 4 priori, eterogenei a questo dato, ma sono semplici presupposti psicologici, forniti di una validità puramente ipotetica: anch’esse derivano, seppure in maniera indiretta, dall'esperienza. AI di là del limite rappresentato dall’esclusiva considerazione delle scienze naturali, l'impostazione gnoseologica del neocriticismo appariva perciò scarsamente idonea al compito di fondazione della conoscenza storica, che il movimento storicistico si proponeva. Il mutamento di àmbito dell’indagine critica trascinava con sé anche un mutamento dei presupposti di quest’'indagine. E qui entra in gioco un’altra componente, non meno essenziale, dello storicismo tedesco: il richiamo all’opera della scuola storica, alla quale viene attribuito secondo le parole di Dilthey il merito di una definitiva costituzione della scienza storica e, mediante questa, delle scienze dello spirito . Si può anzi rilevare una correlazione precisa tra tale richiamo e il distacco dal neocriticismo. In Windelband e in Rickert, che accolgono l'impostazione gnoseologica del neocriticismo, l'eredità della scuola storica è sostanzialmente assente: anche quando, nel primo decennio del Novecento, essi cercheranno nelpassato le premesse di una concezione della storia coerente con la teoria dei valori, queste saranno rintracciate piuttosto nell’orientamento storico dell’idealismo post-kantiano, nella visione storica della realtà presente nei successori di Kant e particolarmente in Hegel. In Dilthey, invece, l’abbandono dei presupposti neocriticistici si accompagna alla consapevole recezione dei risultati e della stessa impostazione di ricerca della scuola storica. Tra questa e il programma di una critica della ragione storica non esiste, per Dilthey, una soluzione di continuità: lo storicismo accoglie il lavoro compiuto dalla scuola storica e il suo edificio concettuale per indagarne criticamente le condizioni di possibilità, in maniera analoga a quella in cui Kant si era rifatto alla sistemazione newtoniana. Dilthey compie così una scelta esplicita tra le due grandi direzioni di sviluppo della concezione della storia che si possono individuare nella cultura tedesca della prima metà del secolo quella rappresentata dall’idealismo post-kantiano, che era culminata nella filosofia della storia di Hegel, e quella rappresentata dalla scuola storica, che trova il suo approdo nella Weltgeschichte di Leopold von Ranke; ed è una scelta in favore della seconda, cioè opposta alla scelta di Windelband e di Rickert. Tuttavia il richiamo all'opera della scuola storica non va disgiunto da uno sforzo diretto a metterne tra parentesi i presupposti più tipicamente romantici. Nello stesso modo in cui recupererà in seguito il concetto hegeliano di spirito oggettivo, ma interpretandolo come il prodotto dell’oggettivazione della vita, cioè come il complesso delle manifestazioni dell’attività umana nel mondo sensibile, fin dagli scritti precedenti all’Einleitung in die Geisteswissenschaften Dilthey lascia cadere la nozione di spirito del popolo di cui Savigny e altri esponenti della scuola storica si erano serviti per indicare il principio creativo unitario della vita di un popolo, considerata nel suo sviluppo storico. E anche l’individualità di ogni epoca storica, lungi dall’esprimere come per Ranke il suo rapporto diretto con Dio, verrà a designare, nella fase conclusiva del pensiero diltheyano, il suo carattere di autocentralità, vale a dire l'orizzonte entro il quale si collocano tutte le manifestazioni culturali, politiche, sociali di un’epoca, derivando da esso il loro significato specifico. Polemica contro il positivismo e contro il riduzionismo metodologico implicito nell’assunzione di un modello unitario di spiegazione dei fenomeni; distacco dal neocriticismo e dalla sua stessa impostazione gnoseologica; richiamo all’opera della scuola storica, ma contemporaneo abbandono dei suoi presupposti romantici queste sono le coordinate del movimento storicistico nella sua prima fase di sviluppo. E in relazione ad esse si determina la posizione che i principali esponenti dello storicismo assumono nel tentativo di pervenire a una fondazione critica della conoscenza storica. La stessa polemica tra Dilthey e Windelband, che ha inizio nel 1894, dev’essere collocata su questo sfondo. La rivendicazione dell’autonomia della conoscenza storica si configura, in Dilthey, nella forma di una distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito. Fin dal 1875, nel saggio Uber das Studium der Geschichte der Wissenschaften vom Menschen, der Gesellschaft und dem Staat, Dilthey aveva sostenuto il carattere peculiare di queste discipline e l’inapplicabilità al loro sviluppo della legge di progresso scientifico enunciata da Comte nel Cours de philosophie positive. Da tale punto di vista le scienze dello spirito costituiscono una totalità caratterizzata in contrapposizione alle scienze della natura dall’appartenenza del soggetto conoscente allo stesso mondo, cioè al mondo umano, che è oggetto della loro indagine. La distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito è quindi fondata, in ultima analisi, su un diverso rapporto del soggetto conoscente con il loro oggetto: un rapporto di estraneità nel primo caso, un rapporto dall’interno e quindi di fondamentale identità nel secondo caso. Da questa differenza derivano le varie antitesi mediante le quali Dilthey ha cercato, nell’Einleitung in die Geisteswissenschaften, di definire la fisionomia rispettiva delle scienze della natura e delle scienze dello spirito. Dal punto di vista dell’oggetto, le prime studiano una realtà esterna all’uomo, mentre le seconde si riferiscono al mondo umano considerato nella sua dimensione storica. Dal punto di vista della fonte da cui proviene il dato empirico, le prime muovono dall’esperienza esterna, cioè dall’osservazione sensibile, mentre le seconde si radicano nell’esperienza vissuta che l’uomo ha di sé, della propria vita interiore e dei propri rapporti con gli altri. Dal punto di vista del procedimento, le prime tendono a fornire una spiegazione causale dei fenomeni, mentre le seconde si propongono di intenderli , avvalendosi di categorie eterogenee a quelle della conoscenza naturale. Così caratterizzato, l’edificio delle scienze dello spirito si presenta come un complesso di discipline che abbracciano lo studio dell’individuo al pari di quello della società, l’analisi delle strutture del mondo umano (sistemi di cultura e sistemi di organizzazione esterna della società) al pari dell’analisi del suo sviluppo storico, cioè delle sue varie epoche. Universale e particolare , studio comparativo delle uniformità presenti nella struttura psichica o nella struttura del mondo umano e studio delle sue manifestazioni singole, considerate nella loro individualità, costituiscono perciò i due scopi conoscitivi, tra loro inscindibili, delle scienze dello spirito. Proprio contro questa conclusione si rivolge la polemica di Wildelband, allorché egli affronta, undici anni dopo nel saggio Geschichte und Naturwissenschaft (1894) il problema della conoscenza storica. Anche Windelband intende garantire l’autonomia della conoscenza storica rispetto alla scienza naturale, ma il criterio di distinzione tra di esse viene cercato sul terreno puramente metolologico, vale a dire nella diversità del loro orientamento. Da un lato vi sono scienze che mirano alla costruzione di leggi generali (le scienze nomotetiche), dall’altro vi sono invece scienze che mirano alla determinazione della fisionomia di un fenomeno nella sua individualità (le scienze idiografiche). Le prime costituiscono, nel loro insieme, la conoscenza naturale; le seconde costituiscono la conoscenza storica. Una distinzione siffatta risulta perciò indifferente al carattere naturale o spirituale dei fenomeni studiati, su cui aveva insistito Dilthey; anzi, la distinzione diltheyana tra scienze della natura e scienze dello spirito non poteva non apparire, agli occhi di Windelband, come l’eredità di un’antitesi metafisica. Le scienze naturali sono tali non già in quanto studino fenomeni ontologicamente distinti da quelli spirituali, ma in quanto sono orientate verso la conoscenza di rapporti generali, esprimibili sotto forma di leggi; e la conoscenza storica si differenzia da esse in quanto cerca in ogni fenomeno ciò che gli è proprio, vale a dire la sua individualità. Quando Windelband criticava il criterio di distinzione formulato da Dilthey, questi era ormai impegnato in uno sforzo di approfondimento della posizione dell’Einleitung in die Geisteswissenschaften. In un saggio apparso nello stesso anno, cioè nelle Ideen dider cine beschreibende und zergliedernde Psychologie (1894), egli muoveva dal rapporto tra scienze dello spirito ed esperienza vissuta per affrontare l’analisi della struttura della vita psichica: se il compito di queste discipline è un compito non già di spiegazione, ma di comprensione dei fenomeni, e se la comprensione riposa sulla conoscenza che l’uomo ha di sé, ossia sull’introspezione, allora lo studio di tale struttura assume un'importanza centrale per la fondazione delle scienze dello spirito. L'analisi della struttura della vita psichica, condotta dalla psicologia, viene perciò a coincidere con l’indagine critica delle condizioni di possibilità delle scienze dello spirito. Dilthey perviene così in significativa consonanza con le tesi espresse due anni prima da Simmel a privilegiare la psicologia come scienza fondamentale , facendone la base e il punto di partenza di ogni conoscenza dell’uomo e del mondo umano. Ma la psicologia capace di assolvere questa funzione non è la psicologia associazionistica della tradizione herbartiana, diffusa nella cultura tedesca di fine Ottocento, che Dilthey respinge in quanto esplicativa e costruttiva: è una nuova psicologia descrittiva e analitica che deve porre in luce la struttura della vita psichica, analizzarne i diversi elementi e i loro rapporti, senza pretendere di offrirne una spiegazione che avrebbe inevitabilmente carattere naturalistico. L'attribuzione alla psicologia di un compito di fondazione critica era esposta alle obiezioni di Windelband in misura ancora maggiore di quanto non lo fossero le formulazioni dell’Einleitung in die Geisteswissenschaften. Di ciò Dilthey era consapevole: e difatti egli abbandonerà ben presto tale strada, per affrontare direttamente la polemica con Wildelband nei Beitràge zum Studium der Individualitit (1895-96). Nel respingere la distinzione windelbandiana tra scienze nomotetiche e scienze idiografiche Dilthey è condotto non soltanto a lasciar cadere la pretesa di assegnare alle scienze dello spirito un fondamento psicologico, ma anche ad approfondire l'analisi del loro procedimento di ricerca. Se nell’Einlestung in die Geisteswissenschaften uniformità e individualità rappresentavano due aspetti distinti della struttura del mondo umano, ai quali corrispondevano due scopi conoscitivi diversi delle scienze dello spirito, ora il secondo termine acquista un’importanza preminente. Il problema centrale dell'analisi metodologica diltheyana diventa quello del sorgere dell’individuazione sulla base dell’uniformità, vale a dire del configurarsi in forma singolare di fenomeni che pur presentano caratteristiche analoghe. Dilthey lo risolve inserendo tra uniformità e individuazione un termine medio, il tipo, che costituisce al tempo stesso l’elemento comune a una molteplicità di fenomeni e la loro norma intrinseca. L’uniformità deriva dal legame con la realtà naturale, con il mondo fisico e biologico che condiziona il sorgere dei fenomeni spirituali; sulla sua base si realizza l'individuazione, resa possibile da un insieme di forme fondamentali che sono appunto i vari tipi di questi fenomeni. Il compito delle scienze dello spirito viene riposto non più nello studio separato dell’uniformità e dell’individuazione, ma nello studio del loro rapporto: ma in tal modo il tipo diventa il termine di riferimento del processo dell’intendere, il quale cessa di identificarsi con l’introspezione o di essere riconducibile ad essa per configurarsi soprattutto come comprensione degli altri individui e delle loro manifestazioni di vita. Il procedimento delle scienze dello spirito viene quindi a coincidere con la comprensione, vale a dire con la riproduzione di stati interiori altrui, i quali vengono rivissuti dall’individuo sulla base della propria esperienza. Alla distinzione tra conoscenza delle leggi e conoscenza dell’individuale, formulata da Windelband, Dilthey contrappone pertanto l’antitesi tra spiegazione causale e comprensione; ma all’interno di questa impostazione confluisce una nuova esigenza, quella di affermare il carattere individuale in ultima analisi del mondo umano. Spetterà però a un allievo di Windelband, Heinrich Rickert, concludere, per quanto provvisoriamente, questo dibattito in Die 24 INTRODUZIONE Grenzen der naturwissenschaftlichen Begriffsbildung e nella contemporanea, più breve trattazione di Kulturwissenschaft und Naturwissenschaft (1899): due opere scolastiche che avranno però larga fortuna, e che saranno più volte ripubblicate con modifiche e ampliamenti (di particolare rilievo saranno, per i Grenzen, la seconda edizione del 1913 e la terza del ’21). Rickert riprende la distinzione windelbandiana, cercando di ricondurla a un quadro sistematico. Il procedimento della conoscenza storica e la sua autonomia vengono dedotti attraverso un'analisi dei limiti propri della scienza naturale, cioè mostrando che l’ideale di quest’ultima l'ideale di un’integrale spiegazione meccanica della realtà, da conseguire mediante la costruzione di un sistema di leggi di sempre maggiore generalità si lascia sfuggire l’individualità di ogni fenomeno nella sua immediatezza empirica. Da ciò la necessità di un’altra forma di conoscenza che si riferisca proprio a questa individualità, e che risulta irriducibile alla scienza naturale e al suo tipo di elaborazione concettuale del dato. In questa prospettiva la distinzione tra le due forme di conoscenza scienza naturale e conoscenza storica rimane fondata su una differenza di metodo: la medesima realtà può essere oggetto di entrambe, indipendentemente dall’eventuale determinazione ontologica dei fenomeni, ed anzi si presenta come natura quando è considerata in riferimento a leggi generali e come storia quando è considerata in riferimento al particolare. Ma l’individualità storica non coincide con l'immediatezza empirica del dato; anch’essa è infatti il risultato di un procedimento di elaborazione concettuale, sebbene differente da quello della scienza naturale. Rickert indica la base di tale procedimento nella relazione ai valori, vale a dire nel rapporto con valori forniti di validità incondizionata, i quali presiedono alla scelta del dato empirico e alla costruzione un individuo storico. L’individualità di un oggetto risulta così fondata sul suo riferimento ai valori, che ne costituisce il significato. In tal modo la conoscenza storica viene a differenziarsi dalla scienza naturale anche ‘per quanto riguarda il campo di ricerca; e questo è identificato con la cultura, cioè con una realtà che abbraccia tutti i possibili fenomeni a cui viene attribuito un significato in virtù della relazione a qualche valore. Il dibattito metodologico degli ultimi due decenni dell’Ottocento mette perciò capo a un approfondimento di rilievo delle posizioni iniziali degli studiosi che vi hanno preso parte. Dinanzi alla critica INTRODUZIONE 25 di Windelband, Dilthey è condotto ad accentuare l’importanza dell'individualità e a riformulare la distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito nei termini di un’antitesi tra spiegazione e comprensione, dalla quale prenderà le mosse l’elaborazione conclusiva del suo pensiero, contenuta negli scritti del periodo 1905-1911. D'altra parte la distinzione enunciata da Windelband nel °94 trova in Rickert uno sviluppo sistematico nell’ambito della teoria filosofica dei valori; e in questo quadro Rickert è costretto a riconoscere all’antitesi tra scienza naturale e conoscenza storica anche una dimensione oggettiva, che il suo maestro aveva inteso escludere. Anzi, la conoscenza storica risulta nient'altro che il complesso delle scienze della cultura , cioè il complesso delle discipline che hanno per oggetto fenomeni forniti di significato, di un significato che può essere stabilito com’egli dirà nel 1913, richiamandosi esplicitamente a Dilthey mediante l’intendere . Erano così poste le premesse perché venisse messa in disparte la questione se l’autonomia della conoscenza storica abbia un fondamento oggettivo oppure una base puramente metodologica, mentre d’altra parte nuovi problemi, suscitati dal costituirsi di nuove discipline e dall'incontro con altri indirizzi di pensiero, si affacciavano ormai all'orizzonte dello storicismo tedesco. III. Quando Dilthey scriveva l’Einleitung in die Geisteswissenschaften, la sociologia era ancora una scienza estranea all'ambiente culturale tedesco. In un capitolo di quell’opera egli conduce una critica radicale dell’impostazione sociologica comtiana, coinvolgendo la sociologia nella medesima condanna della filosofia della storia. Filosofia della storia e sociologia rappresentano, ai suoi occhi, due espressioni di un medesimo atteggiamento metafisico nei confronti del processo storico, cioè di un atteggiamento che pretende di fare a meno del paziente lavoro delle discipline particolari per attingere di colpo la totalità della storia, per determinarne le leggi costitutive, le fasi e la direzione di sviluppo. È vero che alla base della filosofia della storia c'è una prospettiva teologico-religiosa, esplicita da Agostino a Bossuet e poi implicita da Vico e da Lessing fino a Hegel, mentre la sociologia poggia su una concezione naturalistica; ma anch'essa non è altro che una forma di metafisica, e precisamen26 INTRODUZIONE te una metafisica naturalistica della storia che presuppone la subordinazione dei fenomeni spirituali all'insieme della conoscenza della natura . Contro la sociologia nella formulazione datane da Comte ma la critica vale, in fondo, per tutta la sociologia positivistica Dilthey fa valere la tesi che il processo storico può essere conosciuto soltanto attraverso l’analisi dei suoi diversi aspetti, compiuta da una pluralità di discipline particolari, non già attraverso la pretesa illusoria di abbracciarlo nella sua totalità. Anche in seguito lo storicismo tedesco manterrà la posizione critica verso la sociologia positivistica, enunciata da Dilthey. Ma pochi anni dopo, nel 1887, un giovane studioso di formazione filosofica, Ferdinand Ténnies, pubblicava un libro destinato a inaugurare un tipo di sociologia svincolato dai presupposti del positivismo, dal titolo Gemeinschaft und Gesellschaft. Esso si proponeva di mostrare l’esistenza di due diverse forme di organizzazione, designate appunto la prima come comunità e la seconda come società , e fondate rispettivamente su rapporti di carattere organico e su rapporti di carattere meccanico tra gli individui che ne fanno parte. Attraverso l’analisi comparativa delle due forme di organizzazione Tonnies perveniva a delineare due modelli differenti di relazioni tra gli uomini e, al tempo stesso, due momenti storicamente successivi nello sviluppo dell'umanità. Il modello della comunità è quello di una relazione organica tra i membri del corpo sociale, la quale riposa su un’unità fondamentale delle volontà individuali e si esprime dapprima nell’ambito della parentela, del vicinato e dell’amicizia: è la forma originaria di organizzazione, che comporta il possesso e il godimento in comune dei beni, nonché l’azione solidale del gruppo nella difesa come nell’offesa. Il modello della società è invece quello di una relazione meccanica, e quindi arbitraria , la quale riposa sull'incontro e sulla somma di volontà individuali separate e sulla stipulazione di un contratto che le vincola all’osservanza di determinate norme: è una forma derivata di organizzazione, che si esprime soprattutto nei rapporti di scambio. La comunità è universalmente diffusa, e caratterizza in modo esclusivo ogni tipo di associazione primitiva: è propria del villaggio, ma si ritrova anche nella città antica e in quella medievale, organizzata sulla base di un'economia corporativa. La società è, al contrario, la forma specificamente capitalistica di associazione tra gli individui: essa è definita dalla divisione del lavoro, dall’equivalenza tra lavoro e merce, dalla proprietà privata, dal sorgere di un’economia monetaria, dallo sviluppo del capitalismo e dall’allargamento del mercato fino a dimensioni mondiali. In quest’analisi Tònnies proseguiva indubbiamente lo sforzo della sociologia positivistica di individuare le caratteristiche strutturali della società industriale moderna, distinguendola dalle precedenti forme di organizzazione sociale: sotto tale profilo il suo rapporto con Comte (e in qualche misura anche con Spencer) è esplicito, ancorché non privo di sostanziali riserve. Ma egli si richiamava soprattutto ad altri due filoni culturali, dai quali desumeva gli elementi per determinare la fisionomia rispettiva della comunità e della società. Nel caratterizzare la comunità egli si rifaceva infatti per il tramite di Otto von Gierke e della sua opera Das deutsche Genossenschaftsrecht, apparsa tra il 1868 e il 1881 alla scuola storica: la comunità tònnesiana non è altro, in fondo, che la trasposizione in termini analitici dell'ideale romantico di una società organica, fondata sull’unità dello spirito del popolo . Ma in tal modo questo ideale veniva per così dire storicizzato, e le categorie di cui la scuola storica si era servita per costruire la propria concezione della società venivano utilizzate per definire una forma specifica di organizzazione sociale. Nel caratterizzare la società Ténnies si rifaceva, assai più che alla sociologia positivistica, per un verso a Hobbes e per l’altro verso a Marx. Dal primo egli derivava la visione di un’organizzazione su base contrattuale, a cui gli individui partecipano in quanto individui, mossi dalla duplice aspirazione alla potenza e al guadagno; dal secondo traeva gli strumenti per individuare il contenuto economico della società moderna e per identificarla quindi con il capitalismo. Sul rapporto con la scuola storica che tanta importanza riveste in Dilthey si innestava così il riferimento a Marx e alla sua interpretazione della società moderna come società capitalistica. Bisognerà tuttavia attendere l’ultimo decennio del secolo perché il materialismo storico, fin allora rimasto un indirizzo eterodosso ed emarginato dagli ambienti accademici, entri nella cultura tedesca. Nel 1894, annunciando la pubblicazione del terzo e ultimo volume di Das Kapital (a cura di Engels), Werner Sombart richiamava gli studiosi tedeschi a una diversa considerazione dell’opera di Marx, e insisteva sulla necessità di tener conto dell’analisi che questa offriva del processo capitalistico di produzione. E proprio sul terreno dell'interpretazione del capitalismo e della sua struttura economica doveva compiersi l’incontro tra il pensiero marxistico e la storiografia economica ufficiale, rappresentata soprattutto dalla suola di Gustav von Schmoller. In un paese che, seppur parecchi decenni dopo l’Inghilterra e anche dopo altre nazioni continentali come il Belgio c la Francia, aveva conosciuto un rapido e fiorente sviluppo capitalistico fino a diventare ormai una delle potenze dominatrici del mercato mondiale il problema delle origini del capitalismo e dei suoi caratteri distintivi rispetto ad altre forme di economia, nonché dei rapporti tra l'economia capitalistica e gli altri aspetti fondamentali della società moderna, acquistava un rilievo preminente. Ed esso costituirà, all’inizio del nuovo secolo, il terna centrale delle maggiori opere di Sombart, a partire da Der moderne Kapitalismus (1902), e delle contemporanee ricerche di Max Weber sul condizionamento reciproco tra religione e sviluppo economico. Nell'ultimo decennio dell’Ottocento lo storicismo tedesco si trova perciò inserito in un panorama culturale in rapida trasformazione. Esso non deve più fare i conti soltanto con l’eredità della scuola storica e con l’edificio concettuale che essa aveva costruito, ma ha davanti a sé una sociologia che sta sorgendo sulla base di presupposti diversi da quelli della sociologia positivistica, ha davanti a sé altre scienze sociali che si propongono di sviluppare un’analisi empirica di particolari settori della società; e sullo sfondo comincia a profilarsi l'ombra scomoda del materialismo storico. Nuovi problemi si impongono quindi alla sua riflessione: non più quello dell’autonomia della conoscenza storica e della sua distinzione dalle scienze della natura che appaiono ormai cosa acquisita ma i problemi dei rapporti tra la sociologia e le altre discipline, tra le scienze sociali e la ricerca storica, tra l’interpretazione economica della storia e altre direzioni di analisi. Ad essi rivolge la propria attenzione Georg Simmel, dal saggio Uber soziale Differenzierung (1890) al volume Die Probleme der Geschichtsphilosophie (1892) e alla contemporanea, ampia E:nleitung in die Moralwissenschaft (1892-93), dalla Philosophie des Geldes (1900) alla Soziologie (1908). Simmel muove dal presupposto del compito descrittivo delle scienze sociali. In esso si manifesta il suo atteggiamento ambivalente verso il positivismo, dal quale accoglie il postulato della possibilità di una descrizione empirica dei fenomeni sociali ma di cui respinge, al tempo stesso, l’assunzione di una struttura legale della INTRODUZIONE 209 realtà alla quale la conoscenza scientifica debba, in ultima analisi, riferirsi. Con ciò Simmel non giunge a negare l’esistenza di una struttura del genere, ma la considera inattingibile alla conoscenza, e quindi irrilevante. Le leggi dei fenomeni sociali questa tesi è formulata fin dal 1890 sono leggi non macroscopiche ma microscopiche, e regolano non già il comportamento e il processo evolutivo delle varie forme di associazione e di organizzazione, bensì i rapporti tra gli individui che ne costituiscono gli elementi ultimi. Non esistono quindi o, se anche esistono, non si possono determinare il che è la medesima cosa leggi di sviluppo della società in quanto tale, considerata nella sua totalità: al massimo, esistono leggi psicologiche a cui si conforma l’azione degli individui. All’antitesi diltheyana tra spiegazione e comprensione Simmel sostituisce così la distinzione tra un procedimento esplicativo, fondato su leggi generali, e un procedimento rivolto alla descrizione dei fenomeni; e questo gli appare l’unico legittimo nell’ambito delle scienze sociali come nella ricerca storica. Tuttavia la descrizione non costituisce la semplice riproduzione di una realtà oggettivamente sussistente: essa comporta un’elaborazione del dato empirico che può avvenire solo sulla base di categorie. Queste rappresentano l’elemento formale della conoscenza, distinto dal contenuto: la loro funzione è di organizzare il dato, e quindi di determinare la direzione di ricerca delle varie discipline. Ma l’apriorità delle categorie, la loro differenza rispetto al contenuto della conoscenza, non significa affatto che esse siano forme universali e necessarie dell’intelletto: al contrario, anch'esse derivano dall'esperienza e sono diverse da una disciplina all’altra. Compito dell'indagine critica è perciò quella di individuare tali categorie, di stabilirne la funzione, di accertare il modo in cui operano nelle varie scienze sociali, attraverso un’analisi del procedimento concreto € del campo di ricerca di ogni disciplina. Simmel ha condotto quest'analisi non tanto in termini generali, quanto in riferimento a problemi specifici; né è possibile rintracciare nelle sue varie opere una linea coerente e unitaria di sviluppo. In Die Probleme der Geschichtsphilosophie egli affronta l'esame dei rapporti tra psicologia e ricerca storica, cercando di determinare i presupposti psicologici sui quali poggia il procedimento di comprensione di quest’ultima, per giungere infine alla negazione del carattere scientifico delle leggi storiche a cui viene riconosciuto un valore puramente ipotetico e anticipatorio e al rifiuto dei vari tentativi di scoprire un senso della storia scientificamente valido. Nell’Einleitung in die Moralwissenschaft egli si propone di dimostrare la possibilità di una conoscenza scientifica della vita morale e di individuarne il campo di ricerca, ai confini tra psicologia, scienze sociali e ricerca storica. Nella Philosophie des Geldes egli prende in considerazione un concetto economico fondamentale, quello di denaro, per analizzare il processo attraverso il quale il valore economico diventa un'entità misurabile e trova quindi la propria unità di misura appunto nel denaro. Più tardi, nel 1908, Simmel perverrà ad affrontare il problema dell'autonomia della sociologia nei confronti delle altre scienze sociali, proponendone una concezione svincolata sia dai presupposti positivistici sia dall’impostazione storico-tipologica ch’essa aveva trovato nell’opera di Tònnies, La concezione simmeliana è fondata sull’affermazione del carattere puramente formale della sociologia. Dal punto di vista del contenuto non è possibile differenziare la sociologia dalle altre scienze sociali: i fenomeni che esse studiano sono pur sempre i medesimi, e sono riconducibili a processi psichici individuali. Ma la sociologia rappresenta un nuovo tipo di considerazione di questi fenomeni, in quanto essa li studia non già come fenomeni morali o economici o politici, e via dicendo, bensì nei modi di relazione in certa misura permanenti tra gli individui, da cui hanno origine i processi di associazione . La sociologia prescinde dal contenuto dei fenomeni sociali, che sono sempre variabili, per limitarsi all'analisi delle forme di associazione; essa è la dottrina dell’essere-società dell'umanità . In altri termini, mentre le singole scienze sociali studiano i fenomeni sociali in quanto qualificati nel loro contenuto, la sociologia indaga i processi in cui i rapporti reciproci tra gli uomini dànno luogo alle strutture della società. Il suo oggetto specifico consiste perciò nelle forme di associazione, che costituiscono l’elemento formale onnipresente nella vita sociale e che, pur essendo anch'esse sottoposte a un mutamento e a una trasformazione, posseggono tuttavia un grado di permanenza superiore al ritmo della vita individuale. Quando Simmel pubblicherà la Soziologie, questa disciplina avrà ormai trovato una piena legittimazione nella cultura tedesca; e lo stesso Dilthey in contrasto soltanto apparente con la posizione assunta nell’Einl/eitung in die Geisteswissenschaften avrà parole di apprezzamento per la prospettiva simmeliana. Nel corso degli INTRODUZIONE 3I anni ’90 e nei primi anni del nuovo secolo la sociologia aveva cercato non soltanto di definire teoricamente il proprio compito e i propri metodi, ma si era impegnata in uno sforzo di analisi empirica di diversi aspetti della realtà tedesca contemporanea, Molto tempo era trascorso da quando Heinrich von Treitschke aveva sbrigativamente asserito che la conoscenza della società si esaurisce nella scienza politica, in quanto ogni aspetto della vita sociale è riconducibile allo stato: i problemi della struttura economico-sociale della Germania post-bismarckiana richiedevano un altro tipo di considerazione, che era appunto offerto dalla nuova scienza. In questo contesto si viene compiendo la formazione di una delle più importanti personalità del movimento storicistico, cioè di Max Weber. Partito da studi a cavallo tra storia del diritto e storia economica, il giovane Weber prende ben presto parte a un'inchiesta sulla situazione del lavoro agricolo in Germania, promossa dal Verein fir Sozialpolitik , analizzando nel volume Die Verhaltnisse der Landarbeiter im ostelbischen Deutschland (1892) il processo di trasformazione dell’agricoltura tedesca nelle regioni orientali e i problemi, anche politici, che ne derivavano; in seguito altri aspetti dell’economia capitalistica contemporanea attraggono la sua attenzione, finché nel ’97 una grave crisi nervosa non lo costringe a interrompere per vari anni ogni attività. Ma già in questo primo, intenso periodo di lavoro intellettuale viene a delinearsi il posto centrale che, negli studi successivi di Weber, assumerà il problema del capitalismo moderno e della sua individualità storica, cioè della sua specificità rispetto alle altre forme di economia. Nel medesimo tempo l’emergere di sempre più marcati interessi metodologici lo spinge a seguire da vicino la discussione sul materialismo storico, che proprio verso la metà degli anni ’go si estende dalla Germania verso altri paesi europei, e ad avvertire l’esigenza di definire il procedimento delle scienze sociali. Così egli si accosta alla problematica dello storicismo, al cui sviluppo offrirà poi un contributo decisivo agli inizi del nuovo secolo. IV. Nel 1905, dopo quasi un decennio dedicato prevalentemente all'analisi dei principali momenti di sviluppo della cultura moderna, Dilthey riprendeva il progetto di una critica della ragione storica , formulato nell’Einleitung in die Geisteswissenschaften. Egli si rendeva certamente conto ne sono prova i tentativi piuttosto disparati di prosecuzione, compiuti negli anni ’90 di non essere riuscito a realizzare quella fondazione delle scienze dello spirito che si era proposto. Anzi, si rendeva anche conto che la soluzione prospettata nel 1883 rischiava di vanificare la validità oggettiva di tali discipline, riducendole all’immediatezza dell’esperienza vissuta. Infatti, se le scienze dello spirito hanno la propria base nell’esperienza vissuta che l’uomo ha di sé e degli altri, e se la comprensione degli altri poggia sulla capacità di rivivere gli stati interiori altrui com'era asserito nei Beitràge zum Studium der Individualitit è chiaro che la validità della conoscenza storica e delle discipline che la costituiscono rimane confinata al piano psicologico. Per dare alle scienze dello spirito un fondamento conoscitivo adeguato era necessario abbandonare questo piano, e garantire in qualche modo l’oggettività dell’intendere, la partecipabilità dei suoi risultati. Ancora una volta il punto di partenza era offerto dall'analisi della struttura della vita psichica, alla quale sono dedicate in massima parte le tre Studien zur Grundlegung der Geisteswissenschaften (1905-10). Ma in quest’analisi Dilthey non soggiace più, come nelle Ideen tiber eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, alla tentazione di risolvere il compito di fondazione critica delle scienze dello spirito in una descrizione psicologica del loro procedimento. Un’impostazione del genere non poteva ormai non apparirgli inficiata di psicologismo, cioè di una confusione arbitraria tra determinazione delle condizioni di validità del conoscere e analisi delle sue condizioni psichiche; e proprio lo psicologismo era stato sottoposto pochi anni prima a una critica spietata da parte di Edmund Husserl nelle Logische Untersuchungen (1900-1901), l’opera che segna l'inizio del movimento fenomenologico. Come aveva rilevato Husserl, la psicologia è una scienza sperimentale, che non può avanzare alcuna pretesa di fondazione; anzi, essa stessa richiede di esser fondata nella sua validità, Dilthey, che aveva letto attentamente le Logische Untersuchungen, recepisce questa critica: se il punto di partenza della fondazione delle scienze dello spirito consiste nell’analisi della struttura della vita psichica, essa non è tuttavia riducibile a quest’analisi. L'indagine critica concerne la validità delle scienze dello spirito: al di là della descrizione delle varie operazioni conoscitive, sulla cui base si costituiscono le singole discipline, si pone appunto un altro problema, quello della fondazione del loro metodo e dei loro risultati. In questo contesto anche l’esperienza vissuta viene in qualche modo ridimensionata nella sua importanza. Certamente, ogni manifestazione della vita psichica ha la sua radice in essa, cioè nel corso ininterrotto dell’ErleZer, nella successione di stati interiori da cui questo è formato. Ma l’Erleben possiede una sua struttura, rappresentata dalla relazione tra atto e contenuto; e dai diversi modi di questa relazione sorgono le varie forme di atteggiamento della vita psichica, i suoi sistemi» cioè l'apprendimento oggettivo, il sentimento e la volontà. La conoscenza coincide appunto col primo di questi sistemi, nel quale è presente una tendenza verso l’oggetto, verso un oggetto concepito e qui è evidente la suggestione di Husserl come parzialmente trascendente » rispetto all’esperienza vissuta. Perciò essa si sviluppa su un piano ulteriore rispetto all’Erleben: su questo piano sorgono le operazioni comuni a ogni specie di apprendimento oggettivo, da quelle elementari (come la comparazione, la distinzione, la relazione) a quelle proprie del pensiero discorsivo (come la riproduzione memorativa di uno stato passato, il rapporto tra espressione e ciò che è espresso, il giudizio, il concetto, il sillogismo), e si compie altresì la differenziazione tra i metodi delle varie discipline, in particolare tra scienze della natura e scienze dello spirito. In tale prospettiva Dilthey affronta, nell’ultima delle Studier zur Grundlegung der Geisteswissenschaften e, più ampiamente, in Der Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften (1910), il duplice problema della delimitazione delle scienze dello spirito e della loro fondazione critica, Esso viene impostato individuando il fondamento di queste discipline non più nell’esperienza vissuta, ma nel nesso tra esperienza vissuta, espressione e intendere comune sia all’introspezione sia alla comprensione storica, vale a dire sia alla conoscenza di sé sia alla conoscenza degli altri. Ogni elemento del mondo umano è infatti, per Dilthey, l’espressione di un'esperienza vissuta, l’espressione della vita di un individuo. Ma questa espressione, la quale comporta la realizzazione dell’esperienza vissuta all’esterno, in forme sensibili, è una realtà oggettiva e osservabile: a questa realtà, non alla vita psichica nella sua immediatezza, si rivolge il processo dell'intendere. L’intendere non si riduce quindi a un atto di penetrazione simpatetica , al rivivere un certo stato interiore proprio o di un altro individuo; tanto meno si riduce all’introspezione, poiché come Dilthey afferma esplicitamente l’uomo si conosce soltanto nella storia, mai mediante l’introspezione . Tuttavia intendere un elemento della realtà spirituale vuol dire pur sempre riportarlo all’esperienza vissuta da cui è scaturito, ossia considerarlo come espressione della vita: l’intendere non è altro che un ritrovamento dell’io nel tu, la scoperta, in tutte le manifestazioni storiche, della vita psichica dalla quale procedono. Il nesso tra esperienza vissuta, espressione e intendere viene quindi a configurarsi come un nesso circolare: come l’espressione deriva dall’esperienza vissuta e l’intendere si riferisce all’espressione, così l’intendere deve anche risalire per il tramite dell’espressione all’esperienza vissuta. Essendo fondate su tale nesso, le scienze dello spirito risultano caratterizzate da un riferimento retrospettivo all’esperienza vissuta. Come già nell’Ein/eitung in die Geisteswissenschaften, così anche nell'ultima fase del pensiero diltheyano esse poggiano dunque sul presupposto di un’identità fondamentale tra soggetto e oggetto, e la loro possibilità deriva appunto dal fatto che la vita coglie qui la vita. La loro certezza non è più immediata ma mediata, in quanto trova una garanzia nel rapporto tra esperienza vissuta, espressione e intendere; tuttavia anche questa garanzia trae origine, in ultima analisi, dall’appartenenza dell’uomo allo stesso mondo studiato dalle scienze dello spirito, vale a dire dalla struttura dell’uomo come essere storico. Perciò le categorie della ragione storica, i modi di apprendimento del mondo umano, coincidono con le forme strutturali di tale mondo: esse ne costituiscono la semplice traduzione concettuale. Dilthey rimaneva così legato, anche nell’ultima fase del suo pensiero, all’eredità metodologica della scuola storica. L’insistenza sull’esperienza vissuta come radice di tutta la vita psichica, sul costante riferimento retrospettivo ad essa delle scienze dello spirito, e nel medesimo tempo il privilegiamento della vita considerata come la dimensione fondamentale del mondo umano che ha fornito lo spunto a un’interpretazione metafisica della filosofia di Dilthey, senza dubbio arbitraria ma tuttavia sintomatica ne sono una chiara dimostrazione. Non del tutto a torto Husserl estendeva allo storicismo diltheyano, nel saggio Philosophie als strenge Wissenschaft (1910), la critica rivolta allo psicologismo. La costruzione INTRODUZIONE 35 del mondo storico delineata negli scritti del periodo 1905-11 rimane sempre in un difficile, precario equilibrio tra lo sforzo di svincolarsi dal piano dell’immediatezza, dalla tendenziale riduzione della conoscenza storica all’esperienza vissuta, e il permanente legame con la scuola storica e con i suoi presupposti metodologici. Ma nei medesimi anni in cui il vecchio Dilthey esponeva all'Accademia delle Scienze di Berlino i risultati conclusivi della sua analisi delle scienze dello spirito, quei presupposti subivano una critica radicale e definitiva da parte di Max Weber di trent'anni più giovane sulle colonne prima dello Schmollers Jahrbuch e poi del rinnovato Archiv fir Sozialwissenschaft und Sozialpolitik . Se per Dilthey la conoscenza storica coincideva pur sempre con l’edificio concettuale della scuola storica, per Weber s’identificava ormai con un complesso di discipline che si erano costituite la sociologia in primo luogo, ma anche la scienza economica nella versione marginalistica distaccandosi da tale edificio e respingendone sia l’impostazione generale sia la pretesa di onnicomprensività. A queste discipline, al loro procedimento concreto e ai loro rapporti si riferisce l’analisi metodologica di Weber, che non a caso prende le mosse dalla polemica contro la scuola storica di economia. Quando Weber ritorna agli studi nel 1901, il suo interesse è attratto soprattutto dal problema largamente dibattuto in quel periodo del metodo della scienza economica; e a questo è dedicato il suo primo saggio metodologico, Roscher und Knies und die logischen Probleme der historischen Nationalbkonomie (1903-06). Da circa mezzo secolo la scuola storica dominava gli studi di economia negli ambienti accademici tedeschi: essa si proponeva, in opposizione all'economia classica di Smith o di Ricardo, di indagare i fenomeni economici nel loro sviluppo, come parte integrante della totalità della vita di un popolo. Ciò facendo Roscher, Hildebrand, Knies avevano in realtà trasferito all'ambito economico l’impostazione organicistica della scuola storica, la visione del processo storico come prodotto di uno spirito del popolo che garantisce, in ogni momento di sviluppo, la connessione dei diversi aspetti della realtà sociale. Questa impostazione era stata criticata fin dal 1883 da Karl Menger nelle Untersuchungen ùiber die Methode der Sozialwissenschaften und der politischen Oekonomie insbesondere, un’opera che aveva dato inizio a una celebre disputa. Weber riprende le obiezioni di Menger, respingendo la pretesa di determinare 36 INTRODUZIONE leggi di sviluppo economico, cioè tendenze evolutive dei fenomeni economici fornite di significato legale. Ma la sua critica si estende subito all’intera eredità metodologica della scuola storica, all’edificio concettuale che essa aveva costruito. E a tal fine egli si richiama a un’altra opera apparsa da poco, ai Grenzen di Rickert, accogliendo la distinzione che egli aveva formulato tra scienze naturali e scienze della cultura, Rickert gli offriva infatti gli strumenti per condurre una duplice polemica: da un lato contro l’oggettivismo storico, cioè contro la dottrina che ripone il fondamento dell’autonomia della conoscenza storica in una determinazione oggettiva del campo di ricerca, cioè in una presunta specificità ontologica dei fenomeni storici, dall’altro contro l’intuizionismo storico, cioè contro la dottrina che cerca tale fondamento in qualche forma di comprensione intesa come intuizione immediata. Se Dilthey non è nominato, cadono invece sotto i colpi della polemica di Weber autori come Wundt, Miinsterberg, Lipps, come il Simmel dei Probleme der Geschichtsphilosophie e il Croce dell’Estetica. Il richiamo a Rickert aveva però anche una portata positiva. Accogliendo un criterio puramente metodologico di distinzione tra scienze naturali e scienze storico-sociali Weber lasciava da parte l’antitesi di origine diltheyana tra spiegazione e comprensione, e poteva rivendicare anche alla conoscenza storica un compito di spiegazione causale. Soltanto che questa assumeva una connotazione particolare. Nelle scienze naturali, infatti, la spiegazione consiste nel riportare un fenomeno a leggi generali, di cui esso costituisce un semplice caso particolare: tra l'avvenimento da spiegare e le leggi vi è un rapporto di sussunzione . Nelle scienze storico-sociali la spiegazione riveste invece un carattere individuale: essa è rivolta alla determinazione del rapporto causale specifico che intercorre tra due o più fenomeni individuali, ossia tra momenti successivi di uno stesso processo individuale di sviluppo. Sulla strada indicata da Rickert era quindi possibile attribuire un compito esplicativo anche alle scienze storico-sociali, ma asserirne al tempo stesso la diversità da quello delle scienze naturali. La metodologia storiografica di origine romantica e al pari di essa anche il positivismo avevano identificato la causalità con la legalità; rifiutando tale identificazione Weber affermava, al contrario, la specificità della spiegazione causale-individuale e la sua compatibilità con il processo dell’intendere. Egli perveniva così a recuperare un elemento centrale dell'impostazione diltheyana: la conoscenza storica deve, a differenza delle scienze naturali, comprendere il proprio oggetto. Ma questa comprensione è inseparabile dalla spiegazione causale. Più precisamente, la comprensione consiste nella formulazione di ipotesi interpretative concernenti il senso degli avvenimenti, che occorre poi verificare attraverso il ricorso alla spiegazione causale. Si compie in tal modo l’incontro tra due orientamenti di analisi metodologica, che nel corso degli anni ’90 erano apparsi inconciliabili: da una parte la spiegazione causale viene svincolata dal riferimento esclusivo a leggi generali, e si riconosce la possibilità di un tipo di spiegazione proprio della conoscenza storica, orientato in senso individualizzante; dall’altra l’intendere acquista una propria autonomia metodologica nei confronti dell'esperienza vissuta, e il suo procedimento viene ricondotto a regole oggettive. Su questa base Weber affronta, nel saggio Uber die Objektivitàt sozialwissenschaftlicher und sozialpolitischer Erkenntis (1904) e nelle Kritische Studien auf dem Gebiet der kulturwissenschaftlichen Logik (1906), il problema dell’oggettività delle scienze storico-sociali che rimarrà centrale nella sua riflessione metodologica. Le condizioni di tale oggettività vengono determinate per un verso nell’esclusione dei giudizi di valore, per l’altro verso nel ricorso alla spiegazione causale. Weber accoglie infatti la distinzione rickertiana tra giudizio di valore e relazione ai valori, per affermare l’estraneità del primo a ogni forma di conoscenza e per individuare nella presenza o nell’assenza di quest’ultima la differenza principale tra conoscenza storica e scienze naturali. Le scienze storico-sociali poggiano su una relazione ai valori che designa il riferimento a certi criteri di scelta del dato rilevante per la loro indagine, i quali presiedono quindi alla sua elaborazione concettuale. Ma nell’analisi di questa relazione Weber si distacca nettamente da Rickert, lasciando cadere il presupposto della validità incondizionata dei valori. Egli muove, al contrario, dall’affermazione della relatività dei criteri di scelta impiegati dalle scienze storico-sociali, e perciò dalla constatazione del carattere inevitabilmente soggettivo delle loro premesse, cioè del loro condizionamento culturale. Si pone così il problema di stabilire come, date queste premesse soggettive, le scienze storico-sociali possano tuttavia pervenire a risultati validi oggettivamente. La garanzia di tale validità è rintracciata nel principio di causalità, che vale seppure in forma diversa sia nelle 38 INTRODUZIONE scienze naturali sia nelle scienze storico-sociali. Ma la relatività dei criteri di scelta incide, in realtà, sullo stesso procedimento di spiegazione causale. Essa rende impossibile in linea di principio, e non solamente di fatto, determinare tutti gli elementi del processo causale da cui scaturisce un certo evento: ogni spiegazione è sempre parziale, in quanto individua una particolare serie di antecedenti e mai la totalità degli antecedenti di un fenomeno. Ciò implica che il rapporto tra una certa condizione o un certo complesso di condizioni (considerate come cause del fenomeno) e il fenomeno da spiegare non è esprimibile in un giudizio di necessità, cioè in un giudizio il quale asserisca che, data quella condizione o quel complesso di condizioni, ne deriva immancabilmente come suo effetto quel fenomeno; esso deve venir formulato su una diversa base categoriale, cioè in un giudizio di possibilità oggettiva, La spiegazione di un avvenimento consiste perciò nella determinazione delle condizioni che lo hanno reso oggettivamente possibile, nonché del grado di rilevanza di ognuna di queste condizioni; tant'è vero che i giudizi di possibili tà oggettiva si dispongono lungo una scala i cui estremi sono costituiti dalla causazione adeguata e dalla causazione accidentale , cioè dalla determinazione rispettivamente dell’indispensabilità o della non-indispensabilità di una certa condizione per il verificarsi del fenomeno da spiegare. Un oggetto storico, considerato nella sua individualità, non è soltanto come si è visto indeducibile da un sistema di leggi generali, ma non è neppure suscettibile di una spiegazione esaustiva. Le scienze storico-sociali possono spiegarlo sempre in maniera parziale, riportandolo a una o più serie particolari di condizioni; e i giudizi che enunciano tale rapporto sono appunto giudizi di possibilità oggettiva. Affermando l’orientamento individualizzante della spiegazione storica Weber non ha però inteso escludere il riferimento a leggi generali, o per lo meno a uniformità di comportamento dei fenomeni sociali : il sapere nomologico è anzi presupposto indispensabile per la stessa formulazione di giudizi di possibilità oggettiva. Ma esso ha una funzione puramente strumentale, nel senso che quelle che Weber chiama regole generali dell’esperienza intervengono nel procedimento esplicativo soltanto come supporto per la costruzione di processi tipico-ideali con i quali comparare il processo reale, e sono impiegate in vista della determinazione di un nesso causale tra fenomeni individuali. La relazione tra generale e individuale si INTRODUZIONE 39 presenta così in maniera inversa nelle scienze naturali e nelle scienze storico-sociali. Nelle prime il fenomeno viene ridotto a caso particolare di una legge, e anche il rapporto di causa ed effetto tra due fenomeni viene considerato come una semplice specificazione di un rapporto esprimibile in forma generale, cioè in forma di legge. Nelle seconde il riferimento a regole empiriche generali serve invece come mezzo: il sapere nomologico di cui la conoscenza storica si avvale è costituito del resto da tipi ideali, cioè da concetti formati attraverso un processo di astrazione dalla realtà empirica e di accentuazione unilaterale di alcuni suoi elementi. Weber non si è però limitato a fornire una caratterizzazione del procedimento esplicativo delle scienze storico-sociali in termini individualizzanti, sulla linea tracciata da Rickert; gli ha anche dato una struttura categoriale diversa da quello delle scienze naturali. Lo schema di spiegazione della conoscenza storica, definito in termini di giudizi di possibilità oggettiva, si presenta infatti come uno schema condizionale . Sotto questo profilo che è probabilmente il più importante la teoria weberiana della spiegazione rappresenta un radicale rifiuto del postulato di una struttura legale della realtà sociale, che il positivismo ottocentesco aveva sovente associato al modello di spiegazione su base deduttiva formulato da John Stuart Mill. Per Weber la realtà sociale non è il dominio di leggi necessarie: in esse si possono ritrovare soltanto uniformità di comportamento verificabili empiricamente, la cui elaborazione concettuale dà luogo alle leggi che costituiscono l'apparato teorico delle scienze storico-sociali. Perciò il procedimento esplicativo di queste discipline poggia non già su relazioni invariabili, bensì su possibilità oggettive; e i rapporti che esso pone in luce sono rapporti di condizionamento i quali esprimono il grado maggiore o minore di probabilità del verificarsi, sulla base di condizioni date, di un determinato fenomeno. Mentre Dilthey concludeva una fase del dibattito metodologico dello storicismo tedesco, Weber ne apriva contemporaneamente un’altra. Ci troviamo qui di fronte a una svolta decisiva nello sviluppo del movimento storicistico, a una svolta caratterizzata non soltanto dalla consapevole rottura con l'eredità della scuola storica, ma anche dallo sforzo di risolvere l'indagine critica nell’analisi metodologica del procedimento concreto delle scienze storico-sociali e del loro tipo di spiegazione, abbandonando le ambizioni di una loro fondazione filosofica. L'impostazione weberiana avrà conseguenze durature, e di ampia portata, sullo sviluppo di queste discipline, in primo luogo della sociologia. Del resto lo stesso Weber simpegnerà in seguito, sulla linea tracciata nei suoi primi saggi metodologici, nella definizione del compito e delle categorie della sociologia comprendente , indicando il suo oggetto specifico nelle uniformità dell'agire umano dotate di senso e affermandone l’autonomia, anzi l’antitesi relativa, nei confronti della ricerca storica. Su questa base egli giungerà a fornire, in quella che è rimasta fino ad oggi l’opera più importante della sociologia novecentesca cioè in Wirtschaft und Gesellschaft, pubblicata postuma nel 1921 una sistemazione organica della teoria sociologica e dei principali campi d’indagine della nuova scienza. V. La problematica dello storicismo tedesco non si esaurisce tuttavia nel dibattito metodologico al quale abbiamo finora limitato la nostra attenzione. Al contrario, alla discussione sul metodo della conoscenza storica, sulla sua autonomia rispetto alle scienze naturali e sui suoi rapporti con le scienze sociali si affianca, fin dall’inizio, la consapevolezza che lo sviluppo di questo nuovo tipo di sapere non può non incidere sull'immagine dell’uomo e della realtà, la consapevolezza che la dimensione storica deve in qualche modo trovare diritto di cittadinanza in una concezione filosofica generale. Molti anni prima dell’Etz/eitung in die Geisteswissenschaften, in una lettera che risale al 1860, Dilthey aveva individuato la caratteristica fondamentale di questa nuova concezione filosofica nello sforzo di comprendere l’uomo come un essere essenzialmente storico, la cui esistenza si realizza soltanto nella comunità. E in base a questo egli assumeva fin da allora una duplice posizione critica: da una parte nei confronti di ogni metafisica la quale pretenda di cogliere il significato della storia ancorandolo a un piano provvidenziale divino, dall’altra nei confronti di qualsiasi tentativo di ricondurre il processo storico a un principio assoluto ad esso immanente, Il rifiuto dell’interpretazione teologica della storia diventerà esplicito nell’Einleitung in die Geisteswissenschaften, in cui il sorgere delle scienze dello spirito viene collegato al processo di liberazione del sapere dalla metafisica tradizionale; ma era già implicito negli scritti precedenti, nella stessa adesione del giovane Dilthey ai presupposti metodologici della scuola storica. Ad esso si accompagna però l'atteggiamento polemico verso Hegel, il rifiuto del postulato della razionalità della storia e di una visione del processo storico come successione razionalmente ordinata di incarnazioni dello spirito del mondo . Fin dal 1864, affrontando il problema dell’essenza della storia, Dilthey la identificava con il puro e semplice movimento storico , inteso come il lavorare di una generazione per la successiva, il concretarsi dell'individuo in rapporti sociali ricchi di contenuto, per cui egli lavora . Questa presa di posizione anti-metafisica, sorretta dal richiamo alle prospettive neocriticistiche, verrà poi chiaramente in luce nell’Einleitung in die Geisteswissenschaften, in cui è asserita in modo esplicito la storicità dell’individuo e del mondo umano nel suo complesso, e in cui viene compiuto il tentativo di dare una definizione della storia che prescinda dal riferimento a princìpi speculativi. La vita dell’uomo si risolve nel processo storico, nell’instaurazione di rapporti con gli altri individui e nella costruzione dei sistemi di cultura e dei sistemi di organizzazione esterna della società; e ogni stato sociale è inserito in questo processo, per cui risulta uno stato storico . La storicità viene in tale maniera assunta a dimensione costitutiva non soltanto dell’uomo in quanto individuo, ma dello stesso mondo umano che è oggetto delle scienze dello spirito. Dilthey ritornerà più tardi, nell’ultima fase del suo pensiero, su queste implicazioni più generali della propria filosofia, cercando di darne una sistemazione organica. Ma già prima esse erano ben percepibili. Che lo storicismo avesse conseguenze di ampia portata e soprattutto conseguenze negative sulla considerazione di tutti gli aspetti della vita umana, che non soltanto richiedesse nuove prospettive di analisi ma mettesse contemporaneamente in crisi credenze e sistemi tradizionali, appariva chiaro già pochi anni dopo la pubblicazione dell’Einleitung in die Geisteswissenschaften. Ed era quasi inevitabile che il primo terreno a venirne investito dovesse essere quello religioso. La consapevolezza delle implicazioni filosofiche dello storicismo poneva infatti in questione il postulato del valore assoluto della fede cristiana e, insieme ad esso, la possibilità di una teologia. Dalla coscienza di questa crisi prende le mosse la speculazione di Ernst Troeltsch. Erede della teologia liberale, allievo di Albrecht Ritschl, Troeltsch avverte il carattere antinomico del rapporto tra storia e religione: se ogni forma di vita religiosa è storicamente condizionata, se può esser compresa soltanto in relazione ai diversi aspetti di una certa cultura o di una certa epoca, nessuna religione può aspirare a una validità incondizionata. E quindi anche il Cristianesimo diventa una religione come le altre, ossia un prodotto dello sviluppo storico, privo perciò di quel fondamento soprannaturale che doveva distinguerlo dalle religioni non cristiane. In questa prospettiva Troeltsch affronta a partire dal saggio Christentum und Religionsgeschichte (1897) il problema della specificità e della validità del Cristianesimo. Di questo problema Troeltsch ha dato soluzioni oscillanti e non sempre coerenti, dapprima indicando nel Cristianesimo non già la religione assoluta ma la religione più alta alla quale l’umanità sia pervenuta nel suo sviluppo storico, e recuperando così un quadro storico-evolutivo che aveva respinto nella sua polemica contro il tentativo di conciliazione tra storia e religione compiuto dalla concezione romantica, poi andando in cerca di un @ priori proprio della vita religiosa che ne garantisca l’irriducibilità alle altre forme di attività umana e affermando la presenza di valori assoluti all’interno del processo storico. Pur nel variare delle soluzioni, l'orientamento del suo pensiero rimane abbastanza determinato. Esso muove infatti dal riconoscimento che, con il sorgere della coscienza storica moderna, anche la considerazione della religione e quindi la costruzione di una teologia devono collocarsi sul terreno della storia. Che cosa sia il Cristianesimo, quale sia la sua origine, se sia giustificata la sua pretesa di validità universale, se abbia ancora senso una teologia tutte queste sono questioni da affrontare sulla base di una prospettiva storica, facendo rientrare il Cristianesimo nell’ambito di una storia generale della religione. Nel volume Die Absolutheit des Christentums und die Religionsgeschichte (1902) Troeltsch lascia cadere il tentativo di ricondurre tutte le religioni a un nucleo comune o a una linea unitaria di sviluppo, per guardare invece al Cristianesimo come a un fenomeno storico individuale, nel quale si realizza non già il possesso — impossibile in linea di principio — ma il grado più elevato di partecipazione alla verità religiosa. Il Cristianesimo è interpretato quindi come una religione storicamente condizionata, da indagare nel suo sviluppo e nelle sue diverse manifestazioni: qualsiasi fondazione della fede cristiana deve procedere ormai da questo riconoscimento, senza di cui essa è destinata a naufragare di fronte alla coscienza storica. Tuttavia la storia non costituisce, per Troeltsch, una realtà autosufficiente e chiusa in se stessa: al contrario, può riferirsi a valori assoluti, a una realtà trascendente che si colloca al di fuori del processo storico e che è accessibile soltanto in maniera parziale e in forme differenti. Troeltsch trova così nella teoria dei valori il punto di partenza di una giustificazione della vita religiosa. Fin dal saggio Die Selbstdindigkeit der Religion (1895) egli si era richiamato al neocriticismo; cercando il fondamento della religione e della sua autonomia in un principio trascendentale distinto da quelli che presiedono alla conoscenza o alla moralità o all'arte: ma un fondamento del genere rimaneva puramente formale, e non garantiva affatto la validità oggettiva delle credenze religiose, tanto meno quella di una determinata forma storica di religione. Anche in seguito il compito della filosofia della religione è additato nella determinazione della possibilità della vita religiosa come sfera a sé stante dell’attività umana; ma questa viene individuata non tanto nella struttura della vita psichica — come farà Dilthey nei saggi dedicati alla teoria dell’intuizione del mondo e, in particolare, nel breve saggio Das Wesen der Religion (1911) — quanto nella relazione con valori trascendenti. In tal modo il rapporto tra coscienza religiosa e valori si configura come un caso specifico di un rapporto più generale, cioè del rapporto tra l’uomo nella sua esistenza storica e un mondo al di là della storia, dal quale egli deve trarre i propri criteri normativi. La posizione assunta da ’Troeltsch negli scritti di filosofia della religione degli anni ’90 e dei primi anni del nuovo secolo era, per molti aspetti, emblematica. Nell’intento di salvaguardare la vita religiosa dall’urto della coscienza storica e dalle conseguenze relativizzanti che essa sembrava comportare, Troeltsch iniziava un processo di recupero di prospettive metafisiche all’insegna della teoria dei valori, che sarebbe stato ripreso con maggior coerenza dall'ultimo Windelband e dal Rickert del dopoguerra (oltre che da lui stesso, nei successivi scritti di filosofia della storia). Egli si rendeva ben conto che il riconoscimento della storicità dell’uomo e del mondo umano era un'acquisizione definitiva, e che per ritrovare nuove certezze occorreva pur sempre muovere da tale base. Il tentativo idealistico di conciliare storia e religione — comune a Schleiermacher e allo Hegel delle Vorlesungen tiber die Philosophie der Religion — gli appariva una sostanziale mistificazione della vita religiosa e della 44 INTRODUZIONE sua storia, arbitrariamente interpretata come la manifestazione progressiva di un’ipotetica essenza della religione. Agli occhi di Troeltsch la realtà storica era una realtà finita, distinta dal mondo trascendente dei valori e in un rapporto problematico con questi; di conseguenza, il divino gli si presentava come qualcosa di lontano, di accessibile soltanto parzialmente e con fatica, in una dimensione diversa da quella del sapere scientifico. La concezione romantica della storia, la concezione del processo storico come sede di realizzazione di un piano provvidenziale, era così respinta esplicitamente: tanto la filosofia hegeliana della storia, che nella successione dei singoli spiriti dei popoli scorgeva la marcia incessante dello spirito del mondo , quanto la visione rankiana che in ogni epoca ritrovava un rapporto immediato con la divinità, appartenevano per lui a un passato ormai concluso. Il nuovo storicismo veniva perciò a differenziarsi nettamente, nella sua concezione della storia, da quello della prima metà del secolo XIX; e questa eterogeneità traspariva con chiarezza dalla presa di posizione nei confronti di Hegel, Esso era così destinato a incontrarsi in un dialogo che non cesserà mai di essere più o meno polemico con il materialismo storico, il quale pure aveva preso le mosse dalla crisi della filosofia idealistica della storia e dalla critica dei suoi presupposti. Negli anni in cui l'emergere del problema del capitalismo moderno, della sua origine e delle sue caratteristiche distintive costringeva la cultura accademica tedesca a fare i conti con l’analisi marxiana (ed engelsiana) del sistema capitalistico e del suo sviluppo, il materialismo storico si trovava da parte sua impegnato in un difficile compito di revisione delle proprie prospettive. Il crollo del capitalismo, che nel 1848 era potuto sembrare imminente, si allontanava sempre più nel tempo, trasformandosi in un obiettivo di lungo periodo; il sistema capitalistico si rivelava in grado di assorbire le spinte del movimento operaio e di sopravvivere ai periodi di depressione economica; la previsione di un progressivo accentuarsi della divisione della società in due classi contrapposte appariva priva di fondamento. Lo stesso Engels era costretto a riconoscere, nel 1895, la discrepanza tra teoria e realtà, tra le aspettative rivoluzionarie e il consolidamento del capitalismo. In questa situazione uno dei maggiori esponenti della socialdemocrazia tedesca, Eduard Bernstein, avviava tra il 1896 e il 99 un processo di revisione dei princìpi dottrinali del marxismo, i cui risultati pubblicati dapprima sulla rivista Neue Zeit confluiranno in seguito nel volume Die Voraussetzungen des Sozialismus und die Aufgaben der Sozialdemokratie (1889). La polemica di Bernstein si rivolge contro le interpretazioni del materialismo storico in chiave deterministica, contro la trasformazione della teoria materialistica della storia in una dottrina della necessità storica, esprimibile in presunte leggi di sviluppo. A tale polemica si accompagna lo sforzo di sottrarre il materialismo storico al postulato della riconducibilità di ogni fenomeno a cause (in ultima analisi) economiche, di cui gli altri aspetti della vita sociale sarebbero semplici manifestazioni sovra-strutturali, Contro la distinzione tra struttura economica e sovrastruttura Bernstein fa valere infatti la tesi della molteplicità dei fattori del processo storico, rivendicando quindi l’autonomia della sfera politica e soprattutto della sfera ideologica rispetto ai processi economici. Ogni fenomeno dev'essere spiegato come il risultato dell'incontro e della cooperazione di cause diverse, tra cui quelle economiche rivestono certamente un’importanza essenziale, ma in nessun modo esclusiva e determinante. Questa riformulazione del materialismo storico, che tendeva chiaramente a presentarlo non più come una concezione generale ma come una teoria scientifica della storia, era destinata ad avere larga risonanza fin dai primi anni del nuovo secolo anche nell’ambito del movimento storicistico. Certo non in Dilthey, concentrato nella realizzazione del programma di una critica della ragione storica , e neppure in Windelband o in Rickert, che si proponevano di sviluppare una filosofia della storia sulla base della teoria dei valori; ma piuttosto nei suoi esponenti più giovani, da Max Weber allo stesso Troeltsch. E ancora una volta la religione diventava il terreno principale di questa discussione, il terreno sul quale lo storicismo, impegnato in un’interpretazione storica dei fenomeni religiosi, doveva però evitare al tempo stesso la loro riduzione a processi puramente economici e assicurarne in qualche modo l'autonomia. Fin dal 1904 Max Weber, ritornato al lavoro dopo una parentesi di alcuni anni, affrontava il problema dell’origine del capitalismo e dello spirito capitalistico , e formulava la celebre tesi della derivazione di quest’ultimo dalla ricerca calvinistica di una conferma della salvezza individuale attraverso il successo conseguito nell’agire mondano, in particolare nell’attività professionale. In questa prospettiva il rapporto tra fenomeni economici e fenomeni religiosi risultava rovesciato: lungi dal determinare lo sviluppo della religione, il capitalismo è esso stesso condizionato all’origine in uno dei suoi elementi costitutivi da un fenomeno religioso qual è l’etica calvinistica. Tuttavia Weber era ben lontano da una concezione spiritualistica della storia, del tipo di quella enunciata da Rudolf Stammler in Wirtschaft und Recht nach der materialistischen Geschichtsauffassung (1896) nei cui confronti egli assumerà anzi una posizione aspramente critica in un saggio del 1907. Weber concepiva piuttosto la relazione tra economia e religione (al pari di quella tra l’economia e qualsiasi altra sfera della realtà sociale) come un nesso di condizionamento reciproco, del quale si deve di volta in volta indagare la direzione e la portata. Riconducendo l’origine non già del capitalismo ma di una sua particolare componente, cioè dello spirito capitalistico, all’etica calvinistica, Weber respingeva il materialismo storico come concezione generale della storia, ma riconosceva la sua validità (e fecondità) in quanto principio euristico, in quanto ipotesi interpretativa. In una sostanziale convergenza con Bernstein anche se muovendo da una posizione di critica al materialismo storico, non già di revisione interna egli rifiutava di ammettere un condizionamento univoco dei processi storici, e quindi anche di quelli religiosi, da parte di una presunta struttura economica della storia, e affermava l’impossibilità di ricondurre qualsiasi fenomeno a cause solamente economiche; ma rivendicava l’importanza di un’indagine diretta ad accertare il peso del condizionamento economico sulle diverse sfere della vita sociale. L’unilateralità del materialismo storico gli appariva nient’altro che un caso specifico della unilateralità di ogni criterio di interpretazione: non la sua limitatezza, ma la sua assolutizzazione è da respingere. E difatti nei successivi saggi sull’etica economica delle religioni universali che confluiranno nei Gesammelte Aufsitze zur Religionssoziologie (1920) Weber allargherà il proprio ambito di considerazione, affrontando lo studio sia delle influenze che la situazione economica e i rapporti di classe e di ceto esercitano sulla formazione e sullo sviluppo delle dottrine religiose, sia del modo in cui queste orientano l’attività economica di determinati gruppi sociali, il loro atteggiamento tradizionalistico o razionalistico nei confronti del guadagno e del lavoro professionale. In quei medesimi anni anche Troeltsch si accingeva a un’analisi storica delle dottrine economico-sociali sorte sul terreno del Cristianesimo. Lo separava da Weber non soltanto un’originaria diversità di interessi, ma anche una differente valutazione della Riforma protestante, che questi considerava un elemento decisivo per la formazione dello spirito capitalistico e quindi della civiltà moderna, mentre Troeltsch vi scorgeva piuttosto nel volume Die Bedeutung des Protestantismus fiir die Entstehung der modernen Welt (1906) la continuazione di una cultura su base teologica quale quella medievale. Ma la lunga consuetudine degli anni di Heidelberg, dove Troeltsch insegnò dal 1894 al 1915, lo portò ad attenuare questo giudizio e a riconoscere le possibilità di sviluppo in senso liberale e democratico del Calvinismo, contrapposto al Luteranesimo conservatore. Così, mentre Weber estendeva la propria analisi alle religioni della Cina e dell’India, oltre che alla religiosità ebraica, Troeltsch dedicava alla sociologia del Cristianesimo un’opera di ampio respiro, Die Soziallehren der christlichen Kirchen und Gruppen (1908-12). Anch’egli si proponeva di indagare lo sviluppo del Cristianesimo, dall’epoca primitiva al Cattolicesimo medievale e poi alla Riforma, nei suoi mutevoli rapporti con la vita economica e con l’organizzazione della società, ponendo in luce il trapasso dall’originario atteggiamento di indifferenza rispetto al mondo a uno sforzo sistematico di subordinarlo a fini religiosi. E in quest’impresa si trovava a dover fare i conti con il materialismo storico, a rivendicare nei suoi confronti quell’autonomia della religione che costituiva la preoccupazione dominante degli scritti degli anni '90. Ma la posizione di Troeltsch veniva a divergere in maniera significativa al di là delle dichiarazioni di principio da quella di Weber, in quanto egli postulava l’esistenza di una causalità autonoma della vita religiosa e concepiva così il condizionamento reciproco tra i vari tipi di fenomeni storici come incontro di serie causali indipendenti. Se la critica di Weber si collocava sullo stesso versante metodologico di Bernstein, quella di 'Troeltsch era piuttosto assimilabile alla concezione spiritualistica di uno Stammler, in quanto si richiamava a una definizione ontologica della struttura del processo storico. Questa divergenza, ancora celata negli anni fino al 1915, verrà chiaramente in luce più tardi, condizionando l’elaborazione della filosofia della storia di Troeltsch e orientandola verso un esito assai diverso da quello a cui era pervenuto Weber.  VI. Allargando la propria considerazione dal metodo della conoscenza storica alla struttura oggettiva della realtà studiata dalle scienze storico-sociali, il movimento storicistico si trovava impegnato nella critica delle concezioni della storia prodotte dalla cultura filosofica della seconda metà del Settecento e della prima metà dell’Ottocento, In tale maniera si compiva, da un lato attraverso il rifiuto della visione del processo storico come manifestazione o realizzazione di un principio assoluto, dall’altro attraverso la riduzione del materialismo storico in termini metodologici, la dissoluzione della storia universale . Il processo storico tendeva ad articolarsi in una molteplicità di processi particolari, in una molteplicità di rapporti e di direzioni di sviluppo non riconducibili a una matrice unitaria sia essa il cammino dello spirito del mondo o la presenza della divinità o anche soltanto l’azione determinante della struttura economica. Non più la storia come totalità, ma la storicità dell’uomo e del mondo umano nelle sue dimensioni concrete diventava il centro di riferimento di una considerazione filosofica della storia. Il problema del senso della storia, di un senso inerente al processo storico in quanto tale ed esprimibile in una direzione di sviluppo o in un termine ultimo, lasciava perciò posto alla ricerca del significato dei singoli avvenimenti, delle singole epoche e dei loro rapporti reciproci. Questo mutamento di impostazione non rivestiva soltanto un carattere negativo: al contrario, esso dava luogo a un'analisi strutturale del mondo umano e della sua storicità, alla determinazione dei modi concreti in cui questa permea la vita degli individui e della società. Tale sforzo speculativo accomuna, al di là delle differenze, autori come Dilthey o Simmel o lo stesso Weber, e costituisce accanto al dibattito sul metodo della conoscenza storica il secondo nucleo problematico dello storicismo tedesco.L'analisi strutturale dell’uomo e del mondo umano viene condotta lungo tre direttrici principali. La prima è rappresentata da Dilthey, il quale tende sempre più chiaramente dopo l’Einleitung in die Geisteswissenschaften a trasformare la critica della ragione storica in una filosofia dell’uomo come essere storico, riportando le categorie delle scienze dello spirito alla struttura del mondo umano che costituisce il loro oggetto complessivo. La seconda è rappresentata da Simmel che, dopo il 1910, compie il trapasso dalla prospettiva relativistica formulata nel periodo precedente a una metafisica di tipo immanentistico, la quale individua nel rapporto tra la vita e le sue forme la struttura fondamentale dell’esistenza. La terza è rappresentata da Weber, il quale muove dall’analisi della relazione ai valori per definire su tale base l’esistenza dell’uomo, e con essa il significato da un lato della scienza e dall’altro della politica. Le tre direttrici di analisi si distinguono, già a prima vista, per il diverso atteggiamento che assumono nei confronti del relativismo. Dilthey afferma la relatività di ogni fenomeno storico e l'immanenza dei valori alla storia; ma il suo relativismo è enunciato soprattutto in chiave negativa, e viene a coincidere con il riconoscimento della finitudine dell’uomo e del mondo umano in sostanza, esso non è altro che il rifiuto di una concezione metafisica della storia la quale pretenda di determinarne il senso attraverso il riferimento a qualche principio assoluto. In Simmel lo storicismo viene invece identificato col relativismo, e la conseguenza di ciò è che l’affermazione della relatività della vita si trasforma nella sua assunzione a fondamento di ogni realtà: dal relativismo, teorizzato in forma positiva, si sviluppa così una filosofia della vita di stampo chiaramente romantico. Un esplicito atteggiamento anti-relativistico caratterizza invece il pensiero di Weber: ai suoi occhi il relativismo poggia su una teoria organicistica, che egli respinge per sostenere l’irriducibilità dei valori al processo storico e per qualificare il rapporto dell’uomo con i valori come una presa di posizione che comporta una scelta tra i diversi valori e le diverse sfere di valori. Il riferimento ai valori perde quindi quella funzione di garanzia della validità incondizionata della conoscenza e dell’agire umano, che Windelband e Rickert gli avevano attribuito. Fin dall’Einleitung in die Geisteswissenschaften Dilthey si è proposto di determinare, sia pure in maniera sommaria, la struttura del mondo umano come realtà storica. Questa struttura è caratterizzata dalla polarità tra l'individuo e i sistemi costituiti in virtù delle relazioni che si instaurano tra gli individui. L'individuo è il nucleo fondamentale, il Grundkòrper del mondo umano, e quindi della storia. Ma l’individuo assume un’esistenza storica soltanto nella misura in cui entra in rapporto con altri individui, cercando di soddisfare i propri bisogni attraverso la divisione del lavoro e nel corso delle generazioni. Da quest’azione reciproca, da queste relazioni che acquistano una loro consistenza autonoma rispetto ai singoli uomini, sorgono due tipi di sistemi, i sistemi di cultura e i sistemi di organizzazione esterna della società. I sistemi di cultura vale a dire l’arte, la religione, la filosofia, la scienza e così via nascono da una comunanza di scopi presenti in una molteplicità di individui, che vi trovano la base della loro cooperazione. I sistemi di organizzazione sociale cioè le varie istituzioni, dalla famiglia allo stato e alla chiesa si reggono invece non soltanto su interessi comuni, ma anche su rapporti di dominio e di subordinazione, e hanno quindi sempre un carattere più o meno coercitivo. Gli uni e gli altri si sviluppano nel corso temporale della vita, hanno cioè una dimensione storica: anche se il grado della loro permanenza nel tempo è assai superiore a quello dell’esistenza individuale, non per questo acquistano un’esistenza metastorica. Questa struttura del mondo umano si riflette nell’edificio delle scienze dello spirito, il quale comprende da un lato due discipline la psicologia e l’antropologia che studiano in modo specifico l’individuo, dall’altro la ricerca storica e le scienze dei vari sistemi di cultura e di organizzazione sociale. In seguito, negli scritti del periodo 1905-1911, Dilthey è pervenuto a concepire le categorie delle scienze dello spirito come la traduzione delle forme strutturali del mondo umano. La vita, la temporalità, l'essenza e lo sviluppo, il valore, lo scopo, il significato non sono categorie astratte, applicabili a un oggetto qualsiasi; esse sono radicate nella struttura stessa del mondo umano, la quale condiziona perciò il procedimento conoscitivo delle scienze dello spirito. Su questa base il mondo umano viene inteso come il prodotto del processo di oggettivazione della vita, vale a dire come spirito oggettivo anche se in senso del tutto differente da quello hegeliano, ossia come il complesso delle manifestazioni storiche dell’attività umana e la sua struttura è definita facendo ricorso alla nozione di connessione dinamica . Questa nozione, introdotta dapprima per caratterizzare la struttura della vita psichica e in seguito estesa a ogni espressione della vita, designa un insieme organizzato di elementi che ha il proprio centro in se stesso, che si prefigge scopi suoi propri e che produce valori peculiari. È quindi una connessione dinamica sia il mondo umano nel suo complesso sia ogni suo elemento singolo, dall’individuo ai sistemi di cultura e ai sistemi di organizzazione sociale; anzi, il mondo umano è una connessione dinamica la quale si articola, al suo interno, in una molteplicità di connessioni che ne ripetono i caratteri strutturali. Non soltanto la vita storica è orientata in vista di determinati scopi e crea valori, ma ogni connessione dinamica è contraddistinta da scopi e valori particolari, che la differenziano da tutte le altre. Riprendendo i risultati dell'analisi strutturale condotta nell’Ein/eitung in die Geisteswissenschaften, Dilthey riconduce i vari elementi del mondo umano al concetto unificante di connessione dinamica. Ma accanto ai sistemi di cultura e ai sistemi di organizzazione sociale si collocano ora anche le epoche storiche, che vengono a costituire la struttura diacronica del mondo umano: se i due tipi di sistemi rappresentano le forme permanenti di relazione tra gli individui, le epoche storiche dànno alla loro attività una fisionomia diversa nel tempo. E difatti ogni epoca, pur essendo collegata da molteplici rapporti sia con quelle precedenti sia con quella che la segue come Dilthey pone in luce analizzando l’esempio dell’Illuminismo è caratterizzata da un proprio orizzonte, nel quale rientrano tutte le sue manifestazioni. Di conseguenza, queste traggono il loro significato dall’appartenenza a una data epoca, e possono essere comprese soltanto in relazione ai suoi scopi e ai suoi valori peculiari. La tesi dell’autocentralità delle epoche storiche sfocia quindi nell’affermazione della relatività di ogni fenomeno storico. Questa conclusione vale anche per il sapere, e più specificamente per la filosofia. Negli ultimi anni di vita Dilthey ha cercato di porre in luce le implicazioni che il riconoscimento della fondamentale storicità dell’uomo e del mondo umano comporta per la filosofia e per la sua tradizionale aspirazione a una validità universale. Dapprima nel saggio Das Wesen der Philosophie (1905), in seguito in Das geschichtliche Bewusstsein und die Weltanschauungen e in Die Typen der Weltanschauung und ihre Ausbildung in den metaphysischen Systemen (entrambi del rgri), Dilthey ha tracciato le linee di una filosofia della filosofia impostata sulla considerazione della filosofia come una forma non già di sapere scientifico, bensì di intuizione del mondo. La filosofia, infatti, non è in grado di offrire alcuna conoscenza oggettiva: il suo sforzo di affrontare il mistero del mondo e della vita è accostabile più a quello dell’arte e della religione che non al procedimento d'indagine delle scienze della natura o delle scienze dello spirito. Arte, religione e filosofia trovano così la loro unità non nello spirito assoluto a cui Hegel le aveva ricondotte, bensì nell’intuizione del mondo, cioè in un atteggiamento di fronte alla vita che è caratterizzato da un complesso di conoscenze, di modi di sentire e di princìpi di condotta. Tutte e tre sorgono su questa base, proponendosi di dare per vie diverse unarisposta al mistero del mondo e della vita: l’arte lo fa in forma intuitiva, la religione andando in cerca di un rapporto con l’invisibile, la filosofia formulando soluzioni che aspirano a una validità universale. Perciò la filosofia risulta anch’essa condizionata dal tipo di intuizione del mondo che esprime, e la sua pretesa di dare una soluzione del problema della realtà che valga per sempre è contraddetta dalla stessa molteplicità delle dottrine filosofiche. Questo condizionamento è però duplice, in quanto procede per un verso dalla struttura della vita psichica e per l’altro verso dal processo storico. In quanto esprime concettualmente un'intuizione del mondo, ogni dottrina filosofica rientra in un tipo particolare di visione della realtà, caratterizzata dall’importanza preminente accordata a un certo aspetto della struttura psichica; rientra cioè nell’ambito o del naturalismo o dell'idealismo oggettivo o dell'idealismo della libertà, che corrispondono alle tre possibili forme di atteggiamento dell’uomo nei confronti del mondo. Nel medesimo tempo ogni dottrina filosofica, appartenendo a una data epoca storica, ne riflette i problemi e le caratteristiche peculiari. La storia della filosofia viene perciò a configurarsi come lo sviluppo e la lotta reciproca di tre tipi fondamentali di metafisica, che ricorrono in veste nuova nelle varie epoche. Da quest’analisi Dilthey trae la conclusione che la filosofia deve abbandonare la pretesa metafisica di determinare un principio incondizionato della realtà. Anch’essa deve, in altri termini, riconoscere la propria storicità, accogliendo i risultati della coscienza storica moderna. Dilthey riprende così, a proposito della filosofia, le considerazioni che Troeltsch aveva formulato in riferimento alla religione. Ma, a differenza di Troeltsch, egli si guarda bene dal proporsi una fondazione della filosofia che ne ristabilisca la validità universale, rivelatasi ormai illusoria: egli intende piuttosto costruire una filosofia della filosofia intesa come l’autoriflessione storica della filosofia sopra di sé, che si sviluppa in primo luogo attraverso l’approfondimento del significato storico delle diverse dottrine filosofiche. In questa prospettiva si inquadrano i molteplici studi che Dilthey è venuto conducendo, soprattutto dopo il 1890, sulla concezione dell’uomo nel Rinascimento e nella Riforma, sull’età di Leibniz e sulla cultura illuministica tedesca, e infine sulla concezione INTRODUZIONE 53 filosofica romantica e sull’influenza che questa ha esercitato sulla formazione di Hegel. La relatività della filosofia è considerata non già come la conseguenza negativa della coscienza storica moderna, come una conclusione paralizzante a cui ci si debba sottrarre, ma come la condizione indispensabile di una nuova impostazione di ricerca filosofica. Nei medesimi anni a partire dalla Philosophie des Geldes (1900) fino agli Hauptprobleme der Philosophie (1910) e alla raccolta di saggi PAilosophische Kultur (1911) anche Simmel era impegnato nel delineare una prospettiva rigorosamente relativistica. Ma il relativismo di Simmel aveva una base più psicologica che storica, ed era alimentato dal richiamo ad autori di matrice romantica come Goethe, Schopenhauer e soprattutto Nietzsche. Il suo punto di partenza era infatti rappresentato da un’interpretazione psicologica delle categorie: anche se le forme del conoscere assolvono una funzione distinta dal contenuto, e servono anzi a organizzarlo, non per questo sono eterogenee rispetto ad esso. Le categorie derivano dall’esperienza, e hanno quindi un'origine psicologica, non già un carattere trascendentale. Questa impostazione che comportava un netto distacco dal neocriticismo e dal suo sforzo di distinguere il piano della validità del conoscere da quello del procedimento psicologico con cui lo si attinge conduceva Simmel ad affermare la relatività non soltanto della conoscenza, ma di ogni attività umana. La verità scientifica è relativa all'assunzione di determinati presupposti, i quali rivestono carattere psicologico e non posseggono alcuna validità universale; analogamente, il valore di un'azione morale o di un atto economico dev'essere commisurato a criteri che sono anch'essi sempre relativi. La stessa filosofia può pervenire a una verità soltanto relativa, la quale consiste nella capacità di esprimere l'elemento tipico di una certa persona e di renderlo comunicabile ad altri individui. In questo relativismo Simmel individuava l’essenza della civiltà moderna, il risultato di un secolare processo di distacco dalla fede in una verità universale e in valori incondizionati. Lo stesso rovesciamento dei valori proclamato da Nietzsche era interpretato in maniera storicamente discutibile come l’affermazione della relatività di ogni criterio di condotta etica. Ma il relativismo simmeliano del primo decennio del secolo era pur sempre definito in modo prevalentemente negativo; e in ciò stava la sua genericità e insieme la sua ambiguità. Infatti il riconoscimento della relatività di tutti gli aspetti della vita umana tendeva a trasformarsi in un principio assoluto, ed esprimeva né più né meno che l’impossibilità di trascendere la vita, considerata come l’orizzonte onnicomprensivo di ogni attività umana. Erano così poste le premesse per il passaggio da una prospettiva relativistica a una metafisica della vita, che Simmel compie negli anni successivi al 1910 e che si manifesta soprattutto nei saggi apparsi su Logos, nel volume Kan: und Goethe (1916) e infine nella Lebensanschuung (1918). Di questa metafisica egli rintraccia i presupposti remoti nella concezione romantica della realtà, in particolare nell’organicismo di Goethe; e da Goethe, l’antitesi del razionalismo kantiano, trae la visione della vita come un processo continuo che si realizza in una molteplicità di forme, le quali si distaccano dal divenire per acquistare una propria autonoma consistenza. La dialettica tra la vita e le forme diventa così il tema centrale dell'ultima fase del pensiero simmeliano. La vita è intesa come un corso infinito e ininterrotto, che produce forme finite e che, dopo averle create, tende a distruggerle. Le forme nascono così dal divenire della vita ma nel medesimo tempo gli si contrappongono, e devono quindi resistere allo sforzo incessante che la vita fa per riassorbirle in sé e per produrre altre forme. La vita è per Simmel contemporaneamente più-vita (Me4rLeben) e più-che-vita (Me4r-als-Leben): è più-vita nel senso che è continuo superamento di ogni limite che essa stessa pone; è più-che-vita nel senso che si auto-trascende producendo una molteplicità di forme finite le quali diventano indipendenti da essa. Da questa dialettica emergono i mondi ideali , prodotto dell’organizzazione sistematica delle forme, che nel loro insieme costituiscono lo spirito: ognuno di questi mondi è trascendente rispetto al puro e semplice divenire della vita, e ha la propria base in un principio fondamentale comune a tutte le sue forme, Tra questi mondi ideali vi è anche il mondo della storia, nel cui ambito gli avvenimenti acquistano un proprio significato elevandosi al di sopra del divenire della vita. In tal modo la storicità, lungi dall'essere un attributo o una dimensione della vita, viene a qualificare un piano di realtà trascendente rispetto ad essa, in cui la temporalità del divenire non dissimile dalla durata reale di Bergson, un filosofo verso il quale Simmel nutriva una non casuale simpatia lascia posto al tempo propriamente storico. Ben diverso è l’esito a cui perviene Weber riprendendo in esame, durante e dopo la guerra, il problema del rapporto con i valori, e dando ad esso una portata più generale. Dopo i grandi saggi metodologici degli anni 1903-06 Weber aveva concentrato i suoi interessi da un lato sull’analisi dell'etica economica delle religioni universali, in riferimento al problema dell'individualità del capitalismo moderno, dall’altro sulla determinazione delle categorie sociologiche (alla quale è dedicato il saggio Uber einige Kategorien der verstehenden Soziologie del *13). Lo scoppio del conflitto aveva poi accentuato come vedremo il suo impegno politico, che farà di lui, fino alla morte, uno dei maggiori protagonisti del dibattito post-bellico in Germania. Sollecitato da questo impegno, egli ritorna nel 1917, in un saggio dal titolo Der Sinn der Wertfreiheit der soziologischen und òkonomischen Wissenschaften, sul tema della avalutatività delle scienze storico-sociali, per ribadire la differenza di principio tra il compito di queste discipline e la funzione dei giudizi di valore. Ma il discorso si allarga ben presto a un tentativo di enucleare le implicazioni filosofiche della propria impostazione metodologica, che Weber sviluppa sia in quel saggio sia in due conferenze tenute a Monaco nel 1919 sulla scienza come professione e sulla politica come professione . Diversamente da Dilthey (c anche da Simmel), Weber non si propone di fornire un'analisi strutturale del mondo umano muovendo dall’analisi del procedimento delle scienze storico-sociali: il campo di ricerca di queste discipline non può essere per lui oggetto di un tipo di considerazione distinto da quella metodologica, ma può essere individuato nelle sue relazioni interne soltanto nell’ambito di questa, In altri termini, non esiste una struttura oggettiva del mondo umano o della realtà storica a cui la filosofia possa riferirsi prescindendo dal o pretendendo di andare oltre il lavoro delle varie discipline, in un tentativo di unificarne i molteplici (e anche variabili) punti di vista. Tuttavia la relazione di valore inerente al procedimento conoscitivo delle scienze storico-sociali offre la base per un discorso più ampio, che assume il rapporto con i valori come fondamento di un’analisi dell’esistenza umana e della sua stessa storicità. Come si è visto, Weber si era avvalso della nozione rickertiana di relazione ai valori per distinguere le scienze storico-sociali per un verso dalle scienze naturali, per l’altro verso dalla presa di posizione pratica che è costitutiva della politica e dai giudizi di valore in 56 INTRODUZIONE cui questa si esprime. Le scienze storico-sociali si differenziano dalle scienze naturali in quanto hanno a loro fondamento una relazione con certi valori i quali presiedono alla selezione del dato empirico, orientando la ricerca in una determinata direzione; si differenziano dall’agire politico in quanto sono neutrali nei confronti dei fenomeni che esse studiano. L’oggettività delle scienze storico-sociali è perciò garantita, in primo luogo, dal fatto che il loro rapporto con i valori è eterogeneo rispetto a quello implicito nei giudizi di valore. Ne deriva una duplice conseguenza, e cioè che prescindendo dalle scienze naturali, a proposito delle quali Weber accoglie acriticamente l’interpretazione che ne aveva dato il positivismo ottocentesco l’attività umana è qualificata, in generale, da un rapporto con i valori, ma che questo rapporto assume una configurazione diversa nelle sue varie sfere. Si pone così a Weber il problema, fin allora rimasto in ombra, di determinare le forme di tale relazione e di ricondurle eventualmente a una comune modalità. La risposta a questo problema segna il distacco definitivo di Weber dalla teoria dei valori qual era stata elaborata da Windelband e da Rickert, e soprattutto dal suo sviluppo in senso metafisico, verso cui Rickert si avviava in quello stesso periodo, Per Weber il rapporto con i valori non rappresenta più in alcun modo un fondamento assoluto, capace di garantire la validità incondizionata del sapere o dell’agire umano: al contrario, in ogni momento della propria esistenza l’uomo si trova a dover compiere una scelta tra valori e tra sfere di valori in conflitto reciproco. I valori cessano infatti di apparire come un mondo organizzato sistematicamente, fornito di una propria coerenza interna: le sfere di valori sono molteplici e non riconducibili a un ordine gerarchico, così come i valori che appartengono a ogni sfera possono essere non soltanto diversi, ma addirittura inconciliabili tra loro. Nel suo rapporto con i valori l’uomo è obbligato a una scelta incessante, poiché l'assunzione di determinati valori come criterio di orientamento del processo conoscitivo o dell’agire politico comporta nel medesimo tempo la negazione o il rifiuto di altri. La relazione tra l’uomo e i valori viene perciò a configurarsi sempre come una relazione problematica, definita in termini di scelta da parte dell’uomo. Su questa base Weber ha cercato di individuare il senso della scienza e, parallelamente ad esso, il senso della politica. La scienza riveste ovviamente un'importanza tecnica, in quanto consente l’elaborazione di determinati strumenti suscettibili di uso pratico. Ma il suo significato non si esaurisce in questo; anzi, la stessa funzione tecnica della scienza si tratti di scienze naturali oppure di scienze storico-sociali rimanda alla questione se si debba o no dominare tecnicamente la vita, e in vista di quali scopi. Muovendo da quest’analisi Weber ha indicato, nel saggio Wissenschaft als Beruf (1919), il senso della scienza nella sua capacità di fornire all’uomo la chiarezza , vale a dire la consapevolezza del proprio agire e soprattutto del rapporto tra gli scopi che si prefigge e i mezzi dei quali si serve per conseguirli, In tal modo la scienza, pur non potendo formulare giudizi di valore, assolve una funzione critica nei confronti dei valori, in quanto pone in luce le condizioni e le conseguenze della loro realizzazione: se non la validità, almeno la realizzabilità dei valori cade quindi sotto la sua considerazione. Ma anche il senso della politica risulta definito in base a un rapporto con i valori, seppure di diverso genere. Nel saggio Politik als Beruf (anch’esso del ’19) Weber muove dalla constatazione che la politica consiste sempre in rapporti di forza, in quanto ogni agire politico è diretto all’acquisizione o al mantenimento di un potere garantito coercitivamente; ma perviene a riconoscerne il senso nella dedizione a una causa, a un compito che dev'essere assolto appunto attraverso la conquista e l’esercizio del potere. Il semplice dominio sugli altri non costituisce lo scopo ultimo dell’agire politico più di quanto l’utilizzazione tecnica di certi strumenti non costituisca il fine principale della scienza: anch'esso acquista significato soltanto se vien posto in rapporto con i valori. E infatti la dedizione a una causa , che dà all’agire politico la sua coerenza interna, coincide sempre con una presa di posizione in favore di determinati valori e contro altri. Così stando le cose, l’agire politico non può non entrare in una relazione positiva o negativa con l’etica. E infatti il rapporto tra etica e politica diventa un tema centrale nell'ultima fase della riflessione filosofica di Weber fin dall'articolo Zwischen zwei Gesetzen del 1916 intrecciandosi strettamente con l’analisi del rapporto dell’uomo con i valori. Weber muove dalla distinzione tra due forme fondamentali di etica, che obbediscono a criteri del tutto differenti: l’etica della coscienza o dell’intenzione e l’etica della responsabilità, La prima è caratterizzata dall'assunzione di un certo valore come scopo assoluto, da perseguire sempre e in ogni caso, senza tener conto dei mezzi che occorrono per la sua realizzazione; la seconda è caratterizzata invece dalla considerazione del rapporto tra il valore assunto come fine e le sue condizioni o, una volta che sia realizzato, con le sue conseguenze. L'etica dell’intenzione si esprime in norme incondizionate, le quali prescrivono un determinato comportamento prescindendo dalla possibilità di attuarlo di fatto: la sua manifestazione più elevata è indicata da Weber nel Sermone della montagna, nell’etica evangelica indifferente alle condizioni del mondo . Essa è un'etica irrelativa, che non tiene conto dell’esistenza di altre sfere di valori o, al massimo, pretende di subordinarle tutte al proprio imperativo assoluto: come tale, è indifferente anche alla politica, se non addirittura ostile ad essa. Al contrario, l’etica della responsabilità si esprime in norme le quali tengono presenti sia le condizioni di realizzazione dei valori a cui l'agire si riferisce, sia le conseguenze che questa comporta: il suo interesse è rivolto non soltanto al perseguimento, ma anche all’attuazione effettiva di tali valori. Essa riconosce quindi l’esistenza di altre sfere di valori, e in particolare l'importanza dell’agire politico. Tra queste due forme di etica non c'è possibilità di conciliazione e neppure d’incontro, ma c’è piuttosto un contrasto permanente. Non diversamente dalle altre sfere di valori, anche quella etica contiene in sé una scissione che le impedisce di offrire agli individui delle regole univoche e incontrovertibili di comportamento. Così l’uomo risulta sempre coinvolto nel conflitto tra i valori, e questi vengono a loro volta a dipendere dall’assunzione o dal rifiuto che di essi compiono, in una situazione concreta, i singoli individui. La stessa storicità dell’esistenza umana viene a coincidere con questa presa di posizione di fronte ai valori, mediante la quale l’uomo è impegnato a dare un senso al mondo. D’altra parte la validità dei valori è definita dal loro rapporto con la storicità, in quanto lo sviluppo storico è il terreno della loro possibile realizzazione. In tale maniera i valori perdono quella trascendenza ontologica che aveva loro attribuito Rickert, ma mantengono una trascendenza che si può dire normativa, nel senso che assolvono una funzione di orientamento e di guida per l'agire umano. La loro validità, se da un lato non è certo incondizionata, dall’altro non è neppure circoscritta a una singola epoca o a un particolare ambito culturale. Ciò spiega perché Weber abbia sempre respinto il relativismo, scorgendo in esso il prodotto di una concezione organicistica che conduce a eliminare la relazione problematica dell’uomo con i valori. Se la filosofia dei valori ne postulava arbitrariamente la validità per tutte le epoche e per tutte le culture, il relativismo presuppone non meno arbitrariamente un legame necessario tra i valori e l'orizzonte storico di una singola epoca o di una singola cultura: in entrambi i casi i valori cessano di essere il termine di riferimento di una scelta da parte dell’uomo, per configurarsi come una struttura determinante della sua esistenza. Coerentemente, perciò, il distacco definitivo da un’interpretazione metafisica dei valori si accompagnava negli ultimi saggi filosofici di Weber con la polemica anti-relativistica, e con l’esplicito richiamo alla dottrina platonica secondo cui l’anima sceglie il suo proprio destino e cioè il senso del suo agire e del suo essere . VII. Nel corso del conflitto mondiale il panorama dello storicismo tedesco si trasforma rapidamente. Scompaiono intanto, in breve volger di tempo, i maggiori rappresentanti della sua prima generazione. Nel 1grr era morto Dilthey, dopo aver dedicato la sua lunga esistenza al tentativo sempre rinnovato di costruire una critica della ragione storica e dopo averne dato negli ultimi anni la formulazione più compiuta. Nell'ottobre 1915 moriva Windelband e tre anni dopo, nel settembre 1918, lo seguiva Simmel. Weber e Troeltsch, che appartenevano ormai a una generazione successiva in quanto erano nati rispettivamente nel 1864 e nel 1865 sopravviveranno ancora per qualche anno, il primo fino al 1gzo e il secondo fino al 1923; e saranno per entrambi anni di intensa attività intellettuale e di impegno politico. Rickert vivrà invece più a lungo, fino al 1936; ma le sue opere, a partire da Die Philosophie des Lebens del ’20, sono sempre più caratterizzate dallo sforzo di affermare l’autonomia ontologica dei valori e di fornirne un’elaborazione sistematica, e si collocano ormai al di fuori del movimento storicistico. Accanto a questi elementi biografici, un altro fattore interviene a modificare in maniera profonda il panorama dello storicismo tedesco: l’importanza decisiva che la politica e i suoi problemi assumono nel dibattito filosofico. Dilthey, Windelband, Rickert, in fondo lo stesso Simmel (pur così attento allo sviluppo delle scienze sociali) avevano prestato scarsa attenzione alle vicende della Germania bismarckiana e post-bismarckiana, o per lo meno i loro interessi politici non si erano mai tradotti in uno sforzo di formulazione teorica. La stessa esaltazione del passato tedesco, che si può trovare nel lavoro di ricostruzione storica di Dilthey, e il risalto da lui dato alle peculiarità della tradizione culturale tedesca rispetto a quella francese o inglese esprimevano assai più il richiamo retrospettivo al mondo romantico anziché un'adesione al processo di unificazione politica della Germania, Del resto, la formazione di Dilthey si era compiuta prima dell'avvento di Bismarck al potere, in un ambiente ancora permeato di motivi liberali su cui aleggiava il recente ricordo dell'assemblea di Francoforte. Più in generale, il prevalere del problema dell’autonomia e delle condizioni di validità della conoscenza storica e la connessione tra analisi metodologica e analisi strutturale avevano contribuito a dare allo storicismo tedesco un’impronta sostanzialmente apolitica; e i suoi esponenti erano stati difatti filosofi accademici, inseriti nella vita universitaria tedesca ma scarsamente partecipi a ciò che avveniva al di fuori. Questo stato di cose cambia del tutto con la prima guerra mondiale: anche Windelband, poco prima di morire, dedica il suo ultimo scritto, la lezione di guerra sulla Geschicktsphilosophie (apparsa postuma nel 1916), alla ricerca di un senso razionale della storia, impostandola in riferimento allo scoppio del conflitto e alla rottura della solidarietà morale tra i popoli che esso comporta. Il richiamo all’idea di umanità, intesa come principio regolativo del processo storico, rappresenta la sua risposta al venir meno della fiducia in uno sviluppo ordinato e pacifico del genere umano, che la guerra aveva drammaticamente messo in questione. Sarebbe tuttavia errato far coincidere l'emergere degli interessi politici in seno al movimento storicistico con la crisi del 1914-18. Già prima, infatti, il processo di unificazione politica della Germania e la soluzione bismarckiana erano stati oggetto della riflessione sia di Weber che di uno storico a lui quasi coetaneo, Friedrich Meinecke. Figlio di un deputato liberale, Weber aveva esordito sulla scena politica tedesca da posizioni nazionalistico-conservatrici, ma ben presto se ne era distaccato per avvicinarsi al gruppo dei socialisti della cattedra . Nei saggi del periodo 1893-95, che traevano le conclusioni dell'inchiesta condotta sulla situazione del lavoro agricolo nella Germania orientale, egli poneva in rilievo il decadere dell’aristocrazia fondiaria prussiana in un ceto di imprenditori capitalistici, ormai incapace di assolvere la funzione politica di un tempo. Negli anni successivi la sua opposizione al regime personale di Guglielmo II e alla politica imperialistica divenne sempre più aperta; e con essa maturava anche una valutazione più positiva del sistema parlamentare, favorita dallo studio e dall’esperienza diretta della democrazia americana. Meinecke muove anch'egli da una sostanziale adesione a posizioni conservatrici, condividendo il giudizio della scuola storica prussiana sul modo in cui la monarchia degli Hohenzollern e Bismarck avevano realizzato l’unità politica della Germania. Allievo di Droysen, di Sybel, di Treitschke, egli è il continuatore della loro impostazione storiografica e al tempo stessso l’erede della loro visione politica; anzi, le sue indagini si ispirano a un preciso obiettivo di giustificazione storico-politica del processo di formazione dello stato nazionale tedesco. Fin dalla biografia dedicata a uno degli eroi delle guerre anti-napoleoniche, il maresciallo Hermann von Boyen (pubblicata nel 1886-99), l’analisi di questo processo è diretta a mostrare il carattere positivo, e storicamente inevitabile, della soluzione prussiana, in contrapposizione alla vanità dei tentativi compiuti dal liberalismo riformatore del ’48. Non soltanto l’edificio politico bismarckiano, ma in generale il concretarsi delle aspirazioni nazionali tedesche in un’organica struttura statale diventa dal volume Das Zeitalter der deutschen Erhebung (1906) ai saggi raccolti sotto il titolo Von Stein zu Bismarck (1909) e a Radowitz und die deutsche Revolution (1913) il centro di riferimento delle successive ricerche di Meinecke. Bisognerà attendere la guerra e la sconfitta tedesca perché egli avverta finalmente i limiti della costruzione di Bisrmarck e si impegni in una sostanziale revisione delle prospettive della scuola storica prussiana. La prima grande opera di Meinecke, Weltbirgertum und Nationalstaat (1908), costituisce infatti il tentativo più compiuto di giustificare l’edificio politico bismarckiano, considerato come il punto di confluenza e d’incontro tra la nazione culturale tedesca e la nazione territoriale prussiana. Meinecke si propone qui di mostrare come da una parte le aspirazioni della cultura tedesca al conseguimento dell'unità nazionale si siano gradualmente svincolate dalle idee universalistiche di origine settecentesca, e come dall'altra lo stato prussiano sia diventato, dopo il 1848, l’interprete di tali aspirazioni e abbia saputo realizzarle concretamente. Da Wilhelm von Humboldt a Novalis, a Friedrich Schlegel, a Fichte, a Miiller, a Savigny, e infine a Ranke momento conclusivo di questo processo la nazione culturale tedesca acquista coscienza della propria individualità e del proprio diritto di costituirsi in una struttura statale unitaria; e tale coscienza comporta appunto il progressivo abbandono della visione cosmopolitica dell'Illuminismo e del suo astratto ideale di umanità. Contemporaneamente la Prussia subordina i propri interessi particolari a quelli della causa nazionale tedesca, assumendo l’egemonia del processo di unificazione politica della Germania. Dopo il fallimento del ’48 Bismarck dà così esistenza storica all’ideale nazionale che la cultura romantica aveva proclamato, innestandolo sulla struttura dello stato prussiano. Questa giustificazione dell’edificio politico bismarckiano era però destinata a rivelare la sua intrinseca debolezza al momento della sconfitta tedesca. Già prima e durante il conflitto Weber aveva denunciato i limiti della costruzione di Bismarck, imputando ad essa la mancanza di una classe politica in grado di dirigere il paese e di controllare il potere della burocrazia. In numerosi saggi scritti nel corso della guerra, e soprattutto nel volume Parlament und Regierung im neugeordneten Deutschland (1917), egli insisteva sulla necessità di tener distinti i compiti del funzionario e del politico, ossia di non ridurre la vita politica ad amministrazione; e ciò lo conduceva a sottolineare la funzione dei partiti e del parlamento come sede di formazione di una classe politica. La situazione della Germania guglielmina, con la sua dipendenza diretta della burocrazia dal potere monarchico, gli appariva caratterizzata da uno pseudo-costituzionalismo che sottraeva al parlamento la direzione e il controllo dell'amministrazione pubblica. Se in Weber la critica a Bismarck e all’eredità politica bismarckiana si innestava su una linea di sviluppo che risaliva all’ultimo decennio dell'Ottocento, in Meinecke la sconfitta tedesca aveva invece un effetto traumatico, e lo costringeva a un profondo processo autocritico. Il suo originario conservatorismo lasciava posto alla rivendicazione del regime democratico, la quale si accompagnava alla denuncia del militarismo prussiano e del fallimento dei suoi sogni imperialistici. Venivano così in luce i difetti insanabili, già indicati da Weber, di una costruzione che non era riuscita a modificare il vecchio ordinamento economico-sociale di origine feudale né a rendere le masse popolari partecipi alla vita politica. Quella che un decennio prima era potuta sembrare una felice sintesi tra nazione culturale e nazione territoriale , tra le aspirazioni della cultura romantica all’unità nazionale e gli interessi della monarchia prussiana, si rivelava ora a Meinecke come una soluzione debole, come un compromesso instabile realizzato all’insegna di una politica di potenza che avrebbe condotto al fallimento del 1918. Avanzata per la prima volta nel saggio Kultur, Machtpolitik und Militarismus (1915), sviluppata più ampiamente nei saggi di Nach der Revolution (1919), questa critica sfocierà in seguito in Das preussisch-deutsche Problem im Jahre 1921 — nella revisione del quadro storiografico tracciato in Weltbiirgertum und Nationalstaat. Più tardi ancora, nel 1924, Meinecke ne trarrà spunto per affrontare il problema dell’antitesi tra potenza e spirito, considerati come i momenti antinomici della vita politica. Mentre Weber e Meinecke si portavano (al pari di Troeltsch) su posizioni apertamente democratiche, appoggiando la repubblica di Weimar e prendendo parte alla sua travagliata esistenza, la coscienza della sconfitta tedesca trovava un'espressione emblematica in un’opera destinata ad avere larghissima fortuna — in Der Untergang des Abendlandes di Oswald Spengler, apparsa tra il '18 e il ’22. A differenza degli altri esponenti del movimento storicistico, Spengler viveva ai margini della cultura accademica: dopo aver conseguito il dottorato aveva dapprima insegnato in liceo, e si era quindi dedicato all'attività pubblicistica. La sua stessa formazione filosofica non era priva di aspetti dilettanteschi: i suoi autori prediletti erano Goethe e Nietzsche, ma l’uno e l’altro subivano nell’opera spengleriana un sostanziale travisamento. Accanto alla loro presenza non è difficile cogliere alcuni temi caratteristici dell’ultimo Dilthey e di Simmel: anzi, i presupposti fondamentali di Der Untergang des Abendlandes mostrano chiaramente la loro derivazione da Dilthey, anche se si tratta di un Dilthey interpretato (e il più delle volte frainteso) in senso relativistico. Spengler accoglie infatti la distinzione diltheyana tra scienze della natura e scienze dello spirito, trasformandola nell’antitesi tra il mondo come natura e il mondo come storia e affermando l’irriducibilità della conoscenza storica al metodo della scienza naturale; analogamente, egli fa propria la tesi dell’autocentralità delle epoche storiche, traducendola nel postulato della radicale eterogeneità delle culture e della loro reciproca incomunicabilità. Su questa piattaforma s'innesta il richiamo alla 64 INTRODUZIONE prospettiva organicistica di Goethe, in virtù del quale ogni cultura viene interpretata come un organismo biologico che deve necessariamente percorrere il ciclo vitale proprio della specie alla quale appartiene. Dalla visione della storia come sviluppo di una molteplicità di culture chiuse in se stesse, destinate a morire dopo aver esaurito il complesso di possibilità che le caratterizza al momento della nascita, deriva la profezia spengleriana dell’imminente tramonto dell'Occidente , nella quale il crollo della potenza della Germania si trasfigura nell’inevitabile destino di morte di un'intera civiltà. L’impianto dottrinale di Der Untergang des Abendlandes si regge in primo luogo, come si è accennato, sull’antitesi tra il mondo come natura e il mondo come storia ; e questa vien fatta coincidere con la contrapposizione goethiana tra divenuto e divenire. Il mondo come natura è infatti il mondo del divenire, caratterizzato dall’estensione spaziale e dalla necessità causale, che trova la propria formulazione nella legge matematica; il mondo come storia è il mondo del divenire, caratterizzato dalla direzione del corso temporale e dalla necessità organica, che si esprime nella forma vivente. La loro conoscenza comporta perciò due specie differenti di logica: la natura può essere appresa avvalendosi di una logica meccanica, che si regge sul principio di causalità e sulla determinazione di rapporti matematici, mentre la storia può essere colta soltanto attraverso la logica organica, che si regge sull’intuizione della forma vivente. Spengler riprende quindi da Dilthey la distinzione tra spiegazione e comprensione, ma riduce al tempo stesso quest’ultima procedendo in senso opposto a Weber a un atto intuitivo, all’immediatezza dello sguardo storico . Il rifiuto del metodo naturalistico e della spiegazione causale mette così capo all’antitesi tra due tipi di conoscenza, che vengono rispettivamente designati come sistematica e come fisiognomica. C'è però ancora un’altra differenza, non meno importante. I due tipi di conoscenza non si pongono più sullo stesso piano, come avveniva in Dilthey: dal momento che ogni divenuto procede dal divenire, il mondo come storia acquista una preminenza ontologica rispetto al mondo come natura , e l’immagine della natura viene a dipendere dalla concezione del mondo, storicamente condizionata, delle singole culture. Su questa base Spengler si propone di realizzare una morfologia della storia universale , concepita come studio delle forme viventi del divenire storico. Ma la storia universale si articola, ai suoi occhi, in una molteplicità di forme non riconducibili a una superiore unità. Il divenire storico non è il progressivo dispiegamento di un principio unitario, ma coincide con la ripetizione necessaria di una medesima vicenda, che è poi il ciclo biologico delle culture. La struttura portante del mondo come storia è perciò non il singolo individuo e neppure l'umanità nel suo complesso, ma la singola cultura, nel suo sorgere attraverso il distacco dall’umanità primitiva astorica per definizione e nel suo successivo sviluppo fino alla morte inevitabile, a una morte cui non può sottrarsi come non può sottrarvisi nessun altro organismo. La storia è quindi storia di culture, e l’esistenza storica dell’individuo è definita dalla sua appartenenza a una cultura e al suo particolare mondo simbolico. Infatti, se è vero che tutte le culture percorrono uno stesso ciclo, esse si differenziano d’altra parte tra loro per quanto riguarda la concezione del mondo. Ogni cultura è infatti caratterizzata, fin dalla nascita, da un complesso di possibilità, da una propria eredità biologica che è diversa da quella delle altre culture. La visione organicistica della storia e l'affermazione della relatività delle culture e dei loro rispettivi mondi simbolici rappresentano così i due aspetti strettamente connessi dell’impostazione di Der Untergang des Abendlandes. "Tra le varie manifestazioni delle culture vi è sì una corrispondenza formale, che consente di stabilire analogie e di dar luogo a uno studio comparativo, ma c’è anche una radicale eterogeneità di contenuto: la matematica occidentale e la matematica indiana, tanto per fare un esempio, non hanno alcun rapporto tra loro. Non soltanto non esiste alcuna verità assoluta, ma ogni prodotto storico e quindi anche ogni teoria scientifica, ogni dottrina filosofica o religiosa, ogni norma etica non è altro che l’espressione di una data cultura in un particolare momento del suo sviluppo. Di conseguenza, la sua validità è circoscritta all'ambito della cultura che l’ha prodotta, ed è ulteriormente limitata a una certa fase del suo processo evolutivo. Ogni cultura ha un proprio orizzonte che abbraccia tutte le sue manifestazioni, e che le rende perfino incomunicabili alle altre culture. Spengler perviene in tal modo a preannunciare l'imminente tramonto dell’Occidente. L'analisi del processo evolutivo della cultura occidentale rivela infatti che essa non soltanto ha da tempo concluso la sua fase creativa, ma è ormai prossima alla fine. Anzi, essa non è pro3. STORICISMO TEDESCO. 66 INTRODUZIONE priamente più una cultura, ma è una cultura meccanizzata e divenuta, una cultura-in-declino (Zivilisation): ne è prova il rovesciamento dei valori che caratterizza l’epoca moderna, al pari di qualsiasi epoca di declino di una cultura. Spengler accoglie così la diagnosi che della civiltà contemporanea avevano dato i critici aristocratici della seconda metà dell'Ottocento, da Burckhardt a Nietzsche, i quali avevano guardato con timore e preoccupazione all’avvento della democrazia e del socialismo, all’irrompere delle masse sulla scena storica, all’importanza crescente del sapere scientifico e della tecnica. La stessa contrapposizione tra Kultur e Zivilisation esprime per un verso la predilezione, tipicamente romantica, per i valori originari e primitivi della cultura, per l’altro verso la valutazione negativa dell’azione uniformante della civiltà industriale moderna e delle tendenze egualitarie che tendono a eliminare le differenze di ceto. Anche per Spengler la dissoluzione del vecchio ordine sociale, il mutamento dei rapporti tra le classi, il declino dell’aristocrazia e l’ascesa della borghesia, la preminenza dell’economia sulla politica, l’onnipotenza del denaro sono aspetti di una crisi che investe non soltanto la Germania, ma l’intero Occidente. A questa crisi è impossibile sottrarsi, in quanto essa è il portato inevitabile del ciclo biologico delle culture e si colloca quindi sotto il segno del destino. L'individuo può soltanto riconoscerne la necessità, e cercare di disporsi nella direzione del processo storico anziché pretendere vanamente di opporglisi. L’opera di Spengler esprimeva la crisi politico-culturale della Germania sconfitta, ma rivelava altresì l'incapacità di analizzarne i motivi storici concreti e la tendenza a trasporla su un piano metafisico. Attraverso la polemica contro la democrazia e il socialismo, attraverso l’esaltazione degli aspetti primitivi della storia e il rifiuto della civiltà industriale moderna, Spengler forniva elementi preziosi all'elaborazione dell’ideologia nazista. In una serie di volumi di più immediato intento politico da Preussentum und Sozialismus (1919) a Der Mensch und die Technik e a Jahre der Entscheidung (1933) egli avanzava infatti la proposta di un socialismo prussiano capace di restaurare l’autorità dello stato, e concepito come la continuazione dell’ideale germanico della subordinazione dell'individuo alla volontà collettiva del corpo sociale. Anche se Spengler guarderà sempre con diffidenza a Hitler, rifiutando di riconoscersi nel movimento che andava al potere nel °33, non per questo si può negare l’affinità profonda tra la sua posizione anti-democratica (e anti-marxista) e l’ideologia del nazismo. La stessa affermazione del dovere etico di accettare il destino poteva facilmente tradursi in un atteggiamento di convinta adesione al nuovo regime, esaltato come il segno dei tempi nuovi e lo strumento della riscossa tedesca. Su un versante diverso, le conclusioni relativistiche di Der Untergang des Abendlandes ponevano in luce un’altra crisi, quella dello storicismo; ponevano cioè in luce il pericolo di una vanificazione dei valori a cui questo era esposto. Non a caso lo stesso Weber, e con lui Troeltsch e Meinecke, si affrettarono a prendere le distanze da Spengler e a denunciare le aporie della sua opera. Dopo di allora l'ombra del relativismo graverà sempre minacciosa sulla cultura filosofica tedesca, spingendola verso una restaurazione dei valori che ne salvaguardasse, in qualche modo, la validità oltre l'ambito della singola cultura o della singola epoca storica. VIII. Toccherà a ‘Troeltsch e a Meinecke tentare una risposta alla crisi dello storicismo. Partiti da interessi e da esperienze culturali differenti, essi si trovano alla fine del conflitto impegnati in una comune battaglia contro le conseguenze relativistiche dello storicismo e contro l’ anarchia dei valori che questo sembra comportare. Lasciata Heidelberg, Troeltsch si era trasferito a Berlino passando contemporaneamente dall’insegnamento della teologia sistematica a una cattedra di filosofia; e qui egli incontrava Meinecke, che era approdato alla capitale l'anno precedente. S’inizia così tra loro un periodo d’intensa collaborazione filosofica a cui porrà termine, nel febbraio 1923, la morte di Troeltschj; e la piattaforma dottrinale definita in questi anni continuerà a ispirare per lungo tempo l’elaborazione teorica di Meinecke, ancora sotto il regime nazista e negli anni successivi alla seconda guerra mondiale. Comune a entrambi è la consapevolezza della crisi dello storicismo, intesa secondo la formulazione di Troeltsch, che Meinecke sostanzialmente condivide non già come una crisi della ricerca storica ma come una crisi del pensiero storico , e cioè del significato che la storia riveste per la concezione del mondo. Lo storicismo si configura ai loro occhi come una concezione generale della realtà, che procede dalla fondamentale storicizzazione del nostro sapere e del nostro pensiero: non tanto uno sforzo di analisi metodologica delle scienze storico-sociali o di analisi strutturale del mondo umano, quanto una visione complessiva del mondo e della vita. Comune a Troeltsch e a Meinecke è pure l’intento di sottrarsi alla crisi dello storicismo attraverso una restaurazione dei valori che ne recuperi l’assolutezza un’assolutezza senza la quale l’uomo rimane privo di criteri di orientamento per il proprio agire. La riduzione dei valori a prodotto storico, nella quale Dilthey aveva visto una conquista positiva dello storicismo, appare invece una sua conseguenza negativa, che mette in pericolo la stessa possibilità di norme etiche. Perciò essi cercano nella teoria dei valori un punto di appoggio per opporsi all’esito relativistico dello storicismo, che l’opera di Spengler esprimeva in modo emblematico. Già nel 1904, al suo primo approccio ai problemi della filosofia della storia, Troeltsch si era richiamato alla definizione rickertiana dell’oggetto storico, indicandone il fondamento nella relazione ai valori. Anche nel periodo berlinese in Der Historismus und seine Probleme (1922) e poi nei saggi postumi raccolti sotto il titolo Der Historismus und seine Uberwindung (1924) la teoria dei valori costituisce lo sfondo dell’elaborazione filosofica di Troeltsch. Il punto di partenza del suo tentativo di restaurazione dei valori è rappresentato infatti dalla caratterizzazione dell'oggetto storico come una totalità individuale , a cui è inerente una connessione di senso che la distingue in maniera radicale dall'oggetto della conoscenza naturale. A differenza dei processi naturali, l’oggetto storico è costituito da un rapporto con i valori che ne garantisce l’unità, anzi un'unità di significato la quale abbraccia i molteplici elementi che lo compongono. Troeltsch afferma così la presenza nell’oggetto storico di un senso immanente, il quale viene identificato con il valore (individuale) di tale oggetto. Ciò comporta un mutamento rilevante, ancorché non esplicito, rispetto alla posizione di Rickert. Mentre per quest'ultimo il senso dell’oggetto storico consisteva nel riferimento a valori incondizionati che si realizzano storicamente ma che sussistono indipendentemente dalla storia, per Troeltsch senso e valore coincidono: il mondo dei valori non è più un mondo fornito di autonomia ontologica, ma diventa la connessione significativa inerente allo sviluppo storico. Al pari del singolo oggetto storico nella sua individualità, anche lo sviluppo storico nel suo complesso risulta costituito dalla presenza immanente dei valori. Questi diventano perciò la struttura assiologica della storia, la sua struttura per così dire assoluta . Il recupero dell’assolutezza dei valori avviene postulandone non più la trascendenza metafisica ma l'immanenza, e quindi ‘attraverso il ritorno alla nozione romantica di individualità. In questa impostazione Meinecke poteva trovare una sostanziale continuità rispetto al punto di vista espresso in Welrbirgertum und Nationalstaat. Quando nel 1918, nel saggio Persònlichkeit und geschichiliche Welt, egli affronta per la prima volta il problema del rapporto tra storia e valori, è proprio la nozione romantica di individualità che gli permette di riconoscere da un lato l’autonomia della singola persona e dall’altro la presenza nella storia di forze sovra-personali che s'intrecciano dando vita ai fenomeni storici. Lo sviluppo storico gli appare un processo nel quale l'uomo, pur essendo inserito in una molteplicità di serie causali, produce tuttavia un mondo di valori spirituali che, collocandosi oltre il livello dell’esistenza naturale, si contrappongono alla causalità della natura. Si ripropone così, sul terreno della storia, il problema kantiano del rapporto tra necessità e libertà, concepito in termini per un verso di antitesi e per l’altro verso di connessione. Per Meinecke lo sviluppo storico è infatti un intreccio indissolubile di necessità e di libertà, dove il primo termine è identificato con l’azione causale delle condizioni naturali e il secondo con la capacità di creare valori culturali. Ma quest’intreccio è tutt'altro che una coesistenza armonica: al contrario, la realizzazione dei valori comporta una lotta costante contro le condizioni naturali e quindi lo sforzo di rompere il quadro della loro causalità. La drammaticità di questo rapporto è stata posta in luce da Meinecke soprattutto a proposito del mondo della politica e, in particolare, dell’esistenza dello stato. Nella sua seconda grande opera storica, Die Idee der Staatsrison in der neueren Geschichte (iniziata durante la guerra ma pubblicata soltanto nel ’24), egli ha additato nell’antitesi tra potenza e spirito la struttura fondamentale della politica e l’essenza stessa della ragion di stato . Ma quest’antitesi non è altro che una manifestazione del contrasto tra necessità e libertà. Da una parte la politica è legata a condizioni naturali: al pari di ogni organismo, lo stato tende all’autoconservazione e, per conservarsi, deve affermare la propria potenza nei confronti degli altri stati e, occorrendo, in conflitto con essi, Dall'altra parte la 70 INTRODUZIONE politica è in rapporto con i valori: anche lo stato si propone di produrre o quanto meno di salvaguardare i valori culturali, procedendo oltre la propria base naturale e abbracciando in sé la vita etica, giuridica, religiosa, artistica di un popolo. Lo stato ha così un'essenza in qualche modo duplice: esso è insieme necessità e libertà, natura e spirito, o più precisamente krdtos e é:h05 vale a dire aspirazione alla potenza e aspirazione alla realizzazione di valori culturali. La sua esistenza si svolge tra due poli, tra il polo della naturalità da cui prende le mosse e il polo della spiritualità verso cui si eleva. Questo contrasto intrinseco al mondo della politica costituisce l’antinomia della ragion di stato , nel suo sempre rinnovato tentativo di conciliare due termini tra loro inconciliabili. Che questo tentativo sia aleatorio, e dia luogo soltanto a sintesi provvisorie, è dimostrato soprattutto dalla tendenza del primo termine a prevalere sul primo, cioè dalla tendenza dell'impulso alla potenza a subordinare a sé i valori culturali. La potenza è infatti indifferente ai valori culturali e alla loro realizzazione, è indifferente rispetto al bene e al male. Ma quest'amoralità della potenza trapassa di continuo come dimostra la storia dell'idea di ragion di stato , da Machiavelli fino a Treitschke nell’immoralità, ossia nel rifiuto o nella soppressione dei valori culturali, Il diritto dello stato alla propria conservazione e al proprio accrescimento lo spinge verso una politica di potenza di stampo bismarckiano, nella quale l'autonomia dei valori va inevitabilmente perduta. L’antinomia tra &rdtos e éthos appare quindi, in sostanza, un aspetto particolare dell’antitesi tra il fondamento naturale della storia e l’aspirazione a valori culturali; e l'esigenza di garantire l’autonomia di questi ultimi nei confronti dell’opposta aspirazione alla potenza coincide con l’esigenza di salvaguardarne l’assolutezza che, essa sola, può evitare che la relatività dei valori degeneri in un relativismo dei valori . In Der Historismus und seine Probleme (apparso due anni prima di Die Idee der Staatsrison) Troeltsch si proponeva di offrire una via di uscita da questa difficoltà attraverso la formulazione di una filosofia materiale della storia. Compito della filosofia della storia è, in generale, quello di elaborare una sintesi culturale adeguata a una certa situazione storica, e capace perciò di indicare agli individui la direzione di sviluppo da percorrere in riferimento ad essa. Anche per l’epoca contemporanea si pone un problema del genere: non diversamente dal passato, la filosofia deve oggi proporre agli uomini un ideale di civiltà costruito attraverso una critica immanente del processo evolutivo della cultura occidentale e la determinazione delle sue possibilità di sviluppo. Perciò la sintesi culturale contemporanea non può non essere condizionata dai valori specifici di un certo ambito di civiltà, ed anzi esprimere questi valori assumendoli a criterio direttivo per il futuro. Ancora una volta, quindi, i valori rivelano la loro intrinseca relatività; e il rapporto con l'assoluto, lungi dal configurarsi come un dato incontrovertibile, si presenta piuttosto come un compito da realizzare. Il divenire storico, con la molteplicità e la variabilità delle sue forme, si incontra e si scontra con il bisogno insopprimibile di trovare delle norme in grado di fornire un orientamento sicuro all’agire umano. Ma allora come risulta chiaramente dai saggi postumi di Der Historismus und seine Uberwindung la conciliazione tra relatività storica e assolutezza rimane sempre problematica. Essa è fondata, in ultima analisi, su una convinzione personale, su un atto di fede. Una posizione del genere era senza dubbio assai debole; né i tentativi di approfondimento compiuti in quegli stessi anni da Meinecke nei saggi Ernst Troeltsch und das Problem des Historismus (1923) e Kausalitàten und Werte in der Geschichte (1924) riuscivano a darle una base più solida. La stessa distinzione tra causalità naturale e causalità etico-spirituale, che riposava sull’identificazione di quest'ultima con lo sforzo umano di realizzazione dei valori culturali, si richiamava sempre alla nozione romantica di individualità, mettendo capo all’affermazione dell’individualità del valore e della sua inerenza al processo storico. Non a caso, un decennio più tardi, l’adesione allo storicismo e lo sforzo di sottrarlo alle spire mortali del relativismo si compongono non tanto sul terreno teorico, quanto in un nostalgico quadro retrospettivo delle origini dello storicismo. In Die Entstehung des Historismus (1936) Meinecke muove dalla convinzione che lo storicismo costituisca la maggiore rivoluzione culturale dell’età moderna, in virtù della quale la fede giusnaturalistica in una ragione eterna e atemporale ha lasciato il posto al duplice riconoscimento dell’individualità dei singoli momenti del mondo umano e della loro appartenenza a un processo di sviluppo che tutti li comprende. Il diritto naturale elemento costante della tradizione filosofica occidentale, dal pensiero antico al Cristianesimo, dal Rinascimento all'Illuminismo è considerato da Meinecke il grande antagonista dello storicismo, e al tempo stesso il suo immediato antecedente storico. Sorto attraverso un secolare distacco dall’impostazione giusnaturalistica, che ha avuto inizio con il trapasso dal razionalismo seicentesco alla cultura illuministica, lo storicismo è giunto alla sua piena maturità nel pensiero tedesco di fine Settecento con Herder, con Mîser, con Goethe. In questa prospettiva il rapporto tra Illuminismo e storicismo si presenta come un rapporto di opposizione, ma anche di continuità: la cultura illuministica ha messo in crisi, dall’interno, la fiducia nell’esistenza di norme razionali immutabili, creando così le premesse di un nuovo senso della storia. Perciò lo storicismo di cui Meinecke delinea il processo genetico è pur sempre identificato con la concezione romantica della storia e con l’elaborazione dottrinale che questa ha subìto da parte della scuola storica tedesca, in particolare ad opera di Ranke. E nel richiamo a Ranke, il quale concepisce Dio al di sopra del mondo, il mondo creato da lui, ma anche percorso dal suo spirito, e perciò affine a Dio e al tempo stesso anche sempre imperfetto in quanto terreno , Meinecke cerca il modo di sottrarre lo storicismo al suo esito relativistico. Contro l’idealismo post-kantiano e contro la filosofia della storia di Hegel egli ribadisce in polemica con Croce, che aveva sostenuto l’ascendenza hegeliana dello storicismo e la sua identità col razionalismo concreto l'impossibilità di ricondurre il processo storico a un principio razionale; contemporaneamente egli rivendica nei confronti del movimento storicistico degli ultimi decenni l’assolutezza dei valori, un’assolutezza operante nell’ambito della storia che designa (rankianamente) la presenza di Dio in ogni epoca storica. Questa impostazione, esplicitamente formulata in una serie di saggi poi raccolti in Vom geschichtlichen Sinn und vom Sinn der Geschichte (1939) e negli Aphorismen und Skizzen zur Geschichte (1942), segnava la conclusione dello sforzo speculativo dello storicismo tedesco contemporaneo. Ma ne segnava anche, in larga misura, il fallimento. L'ombra del relativismo dava luogo a un tentativo di restaurazione dei valori che si risolveva, in fondo, nel ritorno alla visione romantica della storia, a quella visione da cui il movimento storicistico aveva cercato a partire da Dilthey di svincolarsi. E significativamente l’affermazione della presenza dell’assoluto in ogni momento del processo storico veniva a coincidere proprio con quella relativizzazione dei valori che Troeltsch e Meinecke si erano proposti di evitare. La via di uscita dal relativismo era trovata in un vago e generico rinvio al senso ignoto della storia, alla possibilità di conciliare immanenza e trascendenza su un piano inaccessibile alla logica umana. Caratteristico prodotto di un’epoca che aveva guardato alla storia con fiducia, di un’epoca che aveva visto il consolidarsi del capitalismo industriale e l’affermazione della potenza del nuovo stato nazionale tedesco, di un’epoca che aspirava a penetrare scientificamente i processi storici senza però ridurli naturalisticamente a processi biologici o psicologici, il movimento storicistico non ha retto al trauma della guerra e della sconfitta. Anche se i rapporti tra la crisi politico-culturale della Germania post-bellica e la crisi dello storicismo tedesco sono tutt'altro che diretti, e sfuggono in ogni caso a troppo facili semplificazioni del tipo di quelle predilette dal Luk&cs della Zerstorung der Vernunft non si può negarne né la sostanziale contemporaneità né la correlazione. Intorno al 1920 il movimento storicistico ha ormai esaurito la sua carica produttiva; e la morte di Weber può essere assunta come data emblematica di questa svolta. Da allora esso guarda al futuro con timore, con il timore che il processo storico porti non già all’accrescimento ma alla perdita del patrimonio culturale che la storia precedente ha trasmesso. Da ciò il ripiegamento sul passato che spinge Troeltsch e Meinecke a idealizzare l’eredità del pensiero romantico e a cercarvi un rifugio. Il grandioso quadro storiografico di Die Enzstehung des Historismus è sì un esame di coscienza dello storicismo, ma ne costituisce anche quasi inconsapevolmente l’elogio funebre. In una Germania dominata dal nazismo, la quale si apprestava a tentare una rivincita che avrebbe condotto a un nuovo più grave disastro, in unclima culturale ormai caratterizzato dalla presenza di altri orientamenti filosofici in primo luogo la fenomenologia e l’esistenzialismo non c’era più posto per lo sforzo di analisi metodologica e di analisi strutturale che lo storicismo aveva perseguito. Il ritorno alla concezione romantica, al senso di uno sviluppo pervaso da forze irrazionali mai completamente eliminabili, rappresentava la resa dinanzi al presente, e insieme un tentativo di fuga dalla sua opprimente e disperata realtà. Non per questo, tuttavia, l’eredità del movimento storicistico 74 INTRODUZIONE andava perduta. Nella breve e travagliata stagione della repubblica di Weimar esso aveva fecondato per vie diverse il sorgere dell’esistenzialismo, il rinnovamento del pensiero marxistico, lo sviluppo lella sociologia del sapere. Dalla Psychologie der Weltanschauungen (1919) di Jaspers a Sein und Zeit (1927) di Heidegger, da Geschichte und Klassenbewusstsein (1923) di Luk&cs a Ideologie und Utopie (1929) di Mannheim, esso ha contribuito in maniera decisiva al delinearsi di nuove prospettive filosofiche e di nuove direzioni d'indagine storico-sociologica. Anche più tardi, quando il nazismo sarà pervenuto al potere, il movimento storicistico continuerà ad agire soprattutto fuori dei confini tedeschi, e un'intera generazione di studiosi più giovani educati nell'immediato dopoguerra e costretti all'esilio all’inizio degli anni ’30 recherà all’estero l'insegnamento di Dilthey, di Simmel e soprattutto di Weber, Così lo storicismo tedesco è sopravvissuto in forme molteplici alla propria crisi, mostrando la sua non ancora cessata capacità di trasfigurazione. NOTA BIBLIOGRAFICA Vengono qui indicate soltanto opere di carattere generale, che si riferiscono in tutto o in parte allo storicismo tedesco contemporaneo e ai suoi rapporti con la cultura filosofica otto-novecentesca. Le monografie dedicate a singoli autori sono menzionate nelle rispettive note bibliografiche. R. Aron, Essai sur la théorie de l'histoire dans l’ Allemagne contemporaine (La philosophie critique de l’histoire), Paris, 1938, 19502. M. ManpeLsaum, The Problem of Historical Knowledge, New York, 1938, parte I. C. Antoni, Dallo storicismo alla sociologia, Firenze. H. R. von SrBik, Geist und Geschichte vom deutschen Humanismus bis zur Gegenewart, Miinchen, 1950-51. G. Luracs, Die Zerstorung der Vernunft, Berlin, 1953; tr. it. Torino, 1959. P. Rossi, Lo storicismo tedesco contemporaneo, Torino, 1956, 1971?. H. Stuart HucHes, Consciousness and Society (The Reorientation of European Social Thought), New York, 1958; tr. it. Torino, 1967. P. 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RorHacger, Historismus, Schmollers Jahrbuch , LXII, 1938, pp. 388-99. D. E. Lee e R. N. Beck, The Meaning of Historicism , American Historical Review , LIX, 1953-54, pp. 568-77. C. G. Ranp, Two Meanings of Historicism in the Writings of Dilthey, Troeltsch and Meinecke, Journal of the History of Ideas, XXV, 1964, pp. 503-18. P. Rosst, Storicismo, nella Enciclopedia Feltrinelli-Fischer, vol. XIV : Filosofia, Milano, 1966, pp. 446-72. M. ManpeLBAUM, Historicism, in The Encyclopedia of Philosophy, New York, 1967, vol. IV, pp. 22-25. G. G. Iccers, Historicism, nel Dictionary of the History of Ideas, New York, 1973, vol. II, pp. 456-64. La presente edizione I testi compresi in questo volume sono stati tradotti ex mzovo anche quando ne esisteva un'altra traduzione italiana. Si è fatta eccezione soltanto per gli scritti filosofici di Dilthey e per i saggi metodologici di Weber, a suo tempo tradotti dal curatore in due volumi della Biblioteca di cultura filosofica di Einaudi, nonché per il primo capitolo della Soziologie di Simmel, del quale si è utilizzata la traduzione (non ancora pubblicata) di Giorgio Giordano per i Classici della sociologia delle Edizioni di Comunità, e per l’altro saggio weberiano Wissenschaft als Beruf, del quale si è utilizzata l'ottima traduzione di Antonio Giolitti. Anche in questi casi, però, la traduzione è stata sottoposta a una revisione accurata, e in diversi passi modificata a scopo di uniformità terminologica. Il curatore desidera ringraziare pubblicamente Sandro Barbera, che ha prestato la sua valida opera di traduttore, nonché Claudio Magris, Massimo Mori ed Enzo Randone, che lo hanno aiutato a rintracciare alcune citazioni. Un particolare ringraziamento va a Massimo Mori, che ha contribuito alla correzione delle bozze. DILTHEY nasce a Biebrich am Rhein, nel ducato di Nassau, figlio di un pastore calvinista. Dopo aver compiuto gli studi liceali a Wiesbaden, si iscrive a Heidelberg e quindi a quella di Berlino. A Heidelberg è allievo dello storico della filosofia Fischer, a Berlino di alcuni dei maggiori maestri della scuola storica come il filologo classico Boeckh, lo storico Ranke, il geografo Ritter, nonché di un altro illustre storico della filosofia, Trendelenburg. In virtù del loro insegnamento la partecipazione di Dilthey al mondo della cultura romantica, soprattutto alla poesia e alla musica da un lato e alla religiosità dall’altro partecipazione di cui è testimonianza il diario, pubblicato dalla figlia Clara Misch Dilthey col titolo Dilthey (Leipzig-Berlin; Gottingen) si traduce nell’interesse storico per la concezione del mondo e per le manifestazioni artisticoletterarie, religiose, filosofiche del Romanticismo tedesco. Da questo interesse prese le mosse una serie di studi su Hamann e su Schleiermacher, che metteranno capo dietro suggerimento di Trendelenburg prima alla dissertazione di dottorato De principiis ethices Schleiermacheri (Berlin, 1964; tr. it. Napoli, 1974) e poi al primo volume di un'ampia biografia rimasta incompiuta, il Leben Schleiermachers (Berlin, 1867-70; 2° ed. a cura di H. Mulert, Berlin-Leipzig, 1922; 3* ed. a cura di M. Redeker, Berlin, 1970). Dopo aver ottenuto l'abilitazione a Berlino, Dilthey diventa professore di filosofia a Basilea nel 1867, per poi trasferirsi a Kiel nel 1868 e a Breslau nel 1871. In quest'ultima città egli stringe amicizia col conte Paul Yorck von Wartenburg, con il quale egli avrà un intenso e fecondo scambio intellettuale fino alla morte di lui: testimonianza di questo scambio sono le lettere pubblicate postume (nel Briefwechsel zwischen Wilhelm Dilthey und dem Grafen Paul Yorck von Wartenburg, Halle, 1923). Nel 1882, infine, Dilthey fu chiamato a succedere a Hermann Lotze all’Università di Berlino, dove insegnò fino al 1906. Priva di avvenimenti esteriori di rilievo (Dilthey non partecipò mai alla vita politica tedesca), la vita di Dilthey coincide sostanzialmente con la sua carriera accademica e con la sua attività intellettuale. Morì a Siusi (Bolzano) il 1° ottobre 1911. Negli anni dal 1864 (in cui scrive il VersucA einer Analyse der moralischen Bewusstsein, presentato come lavoro di dissertazione) al 1875 (in cui pubblica il saggio Uber das Studium der Geschichte der Wissenschaften vom Menschen, der Gesellschaft und dem Staat) Dilthey ha elaborato i presupposti della propria impostazione filosofica, staccandosi gradualmente dalle posizioni romantiche della sua gioventù e avvicinandosi al movimento neoccriticistico. L'Habilitationsschrift del 1864, dedicata a un'analisi della coscienza morale che riflette da vicino l'insegnamento di Trendelenburg, vuol rivendicare nei confronti dell'etica kantiana il carattere storico delle prescrizioni in cui si esprime l’imperativo categorico, e quindi la variabilità del contenuto della morale. In seguito, la prolusione con la quale Dilthey dà inizio nel 1867 al suo insegnamento a Basilea (Die dichterische und philosophische Bewegung in Deutschland 1770-1800), se da un lato pone in rilievo l’importanza del contributo che la cultura tedesca di fine Settecento, da Lessing a Hegel, ha dato alla comprensione delle manifestazioni storiche del mondo umano, dall’altro fa valere l'esigenza di estendere l’indagine critica alle scienze che studiano la realtà storico-sociale. Il saggio del 1875 riprende questi temi impostando per la prima volta in termini espliciti il problema della fondazione critica di queste discipline, ossia delle scienze dello spirito . Questo problema costituisce il punto di partenza di tutta la successiva produzione filosofica diltheyana del periodo berlinese. Nel 1883 compare il primo (e anche unico) volume dell’Ein/eitung in die Gersteswissenschaften (tr. it. Firenze, 1974), in cui Dilthey si propone di rivendicare l'autonomia delle scienze storico-sociali nei confronti delle scienze naturali, determinandone le caratteristiche specifiche e quindi le condizioni che ne garantiscono la validità. Le scienze della natura e le scienze dello spirito si differenziano secondo l'analisi diltheyana in primo luogo per il loro oggetto, in quanto le prime studiano un complesso di fenomeni esterni all'uomo, mentre le seconde studiano invece un dominio di cui l’uomo è parte integrante e di cui possiede una coscienza immediata. A questa differenza di oggetto si accompagna perciò una differenza di carattere gnoscologico, dal momento che i dati delle scienze della natura provengono dall'osservazione esterna e i dati delle scienze dello spirito derivano, in primo luogo, dall'esperienza interna, dall'esperienza vissuta (Er/ebnis) che l'uomo ha di sé e dalla comprensione che può avere degli altri uomini; inoltre, mentre le prime si propongono di fornire una spiegazione causale, le seconde si avvalgono di categorie peculiari come quelle di significato, di scopo, di valore ecc. Entrambi questi criteri di distinzione riconducono però a una differenza di rapporto tra soggetto e oggetto: nelle scienze della natura i due termini sono eterogenei tra loro, mentre nelle scienze dello spirito il soggetto conoscente appartiene allo stesso mondo umano che costituisce l'oggetto dell'indagine. Ma non soltanto il rapporto tra soggetto e oggetto, bensì la stessa struttura del mondo umano presenta un proprio carattere specifico. Il mondo umano ha il suo nucleo elementare, il suo Grundkéòrper (come Dilthey lo chiama), nell’individuo, e appare costitui to da un complesso di rapporti storicamente condizionati, dai quali sorgono i sistemi di cultura e i sistemi di organizzazione sociale. Gli uni e gli altri devono essere compresi nella loro esistenza storica, in quanto la struttura del mondo umano è appunto storica. Da ciò deriva l’articolazione sistematica dell’edificio delle scienze dello spirito. Da una parte la ricerca storica indaga le manifestazioni del mondo umano nella loro individualità; dall’altra le discipline di tipo generalizzante cercano di scoprire le uniformità del mondo umano. E di queste fanno parte sia la psicologia e l’antropologia, che hanno per oggetto l'individuo, sia le scienze dei sistemi di cultura e le scienze dell’organizzazione esterna della società, le quali studiano rispettivamente le forme culturali (arte, religione, filosofia, scienza ecc.) e le istituzioni politiche, economiche, giuridiche in cui si strutturano i rapporti tra gli uomini. L'Einleitung in die Geisteswissenschaften segna così la data d'inizio, per così dire, del movimento storicistico tedesco. Le due direzioni di ricerca che in essa si intrecciano, cioè l’analisi metodologica delle scienze dello spirito e l’analisi della struttura del mondo umano come mondo storico-sociale, vengono riprese da Dilthey in una serie di saggi successivi, particolarmente nelle /deen tiber eine beschreibende und zergliedernde Psychologie (1804) e nei Beitrige zum Studium der Individualitit (1895-96). Nel primo, partendo dalla determinazione della struttura della vita psichica, Dilthey formula il programma di una psicologia descrittiva e analitica che si contrappone alla psicologia esplicativa e costruttiva di impostazione positivistica, e attribuisce ad essa un compito di fondazione rispetto alle altre scienze dello spirito compito che verrà in seguito messo in disparte. Nel secondo egli addita nella spiegazione e nella comprensione i procedimenti caratteristici propri rispettivamente delle scienze della natura e delle scienze dello spirito e, respingendo la distinzione tra scienze nomotetiche e scienze idiografiche che Windelband aveva formulato (come vedremo) nel 1894, determina il compito delle scienze dello spirito nello studio dell’individuazione storica, quale essa sorge sulla base dell'uniformità attraverso la mediazione del tipo. Negli scritti del periodo 1905-1911 (cioè, all'incirca, del periodo successivo alla conclusione dell’insegnamento berlinese) il problema della fondazione delle scienze dello spirito trova la sua più matura formulazio 6. STORICISMO TEDESCO. DILTHEY ne. Soprattutto nelle Studien zur Grundlegung der Geisteswissenchaften (1905-10), in Der Aufbau der geschichilichen Welt in den Geisteswissenschaften (1910) e negli appunti manoscritti che ne costituiscono il Plan der Fortsetzung (1910-11) Dilthey realizza nella sua forma definiti va il progetto, perseguito fin dalla gioventù, di una critica della ragione storica (tr. it. Torino, 1954). Attraverso l’analisi delle scienze dello spirito egli perviene a individuare il fondamento della loro validità nel nesso tra l’Erleben (ossia il divenire della vita, di cui il soggetto è immediatamente consapevole), l’espressione della vita e l’intendere: la vita si realizza in un complesso di manifestazioni oggettive o di oggettivazioni che devono essere intese, cioè che devono costituire il termine di riferimento dello sforzo umano di comprensione. La conoscenza del mondo umano, fornita dalle scienze dello spirito, si configura pertanto come una conoscenza dall’interno, che è opera dell’uomo stesso; però questa conoscenza non è data immediatamente nell’introspezione, ma può essere ottenuta soltanto attraverso lo studio dei prodotti storici dell'attività umana. L’intendere implica un riferimento retrospettivo all’Erleben, il quale è mediato dall'espressione; esso esprime la consapevolezza dello scaturire di tutte le manifestazioni storiche dal processo produttivo della vita. D'altra parte il mondo umano si configura come l’oggettivazione dello spirito, cioè come spirito oggettivo anche se in senso ben diverso da quello hegeliano. E l’analisi di questa struttura pone in luce che ogni fenomeno del mondo umano è una connessione dinamica, la quale produce valori e realizza scopi, avendo il proprio centro in se stessa. Di tale specie sono non soltanto i sistemi di cultura e i sistemi di organizzazione sociale, ma anche le epoche storiche, le quali si differenziano per i loro valori e fini particolari e sono caratterizzate ognuna da un proprio orizzonte; cosicché ogni epoca deve essere compresa in base al suo sistema di valori, il quale costituisce il criterio di valutazione di ogni sua manifestazione. Attraverso quest'analisi della struttura del mondo umano Dilthey perviene, negli scritti del periodo 1905-1911, a riconoscerne la fondamentale storicità: già l'individuo in quanto tale è un essere storico, e storicamente condizionati sono tutti i fenomeni del mondo umano. La critica della ragione storica sfocia così in una critica storica della ragione, vale a dire in una filosofia dell’uomo come essere storico. La storicità del mondo umano coinvolge la stessa filosofia, che risulta qualificata come una forma particolare di intuizione del mondo. Nel saggio Das Wesen der Philosophie (1907; tr. it. Torino, 1954) e negli altri due saggi dedicati al medesimo tema, Das geschichtliche Bewusstscin und die Weltanschauungen e Dice Typen der Weltanschauung und ihre Ausbildung in den metaphysischen Systemen, Dilthey ha definito il rapporto tra filosofia e intuizione del mondo. Arte, religione e filosofia sono tutti e tre modi di esprimere un'’intuizione del mondo che non è soltanto una forma di conoscenza della realtà, ma anche un complesso di valori, di fini e di regole di condotta, ossia un atteggiamento di fronte alla vita; e la filosofia si distinguedall’artee dalla religione per la sua aspirazione a una validità incondizionata un’aspirazione che è però contraddetta dalla coscienza storica, la quale pone in luce il condizionamento storico di tutte le dottrine filosofiche. Su questa base Dilthey individua le forme tipiche di intuizione del mondo (e quindi anche di filosofia) nel naturalismo, nell’idealismo oggettivo e nell’idealismo della libertà, e interpreta la storia della filosofia come una lotta tra questi tre tipi ricorrenti. Tra la pretesa di validità incondizionata della filosofia e la coscienza storica si determina quindi un’antinomia, la quale trova la propria soluzione in una filosofia della filosofia intesa come indagine critica sulla possibilità e sui limiti della filosofia. Essa deve porre in luce il carattere illegittimo della pretesa metafisica di offrire una spiegazione globale della realtà, e richiamare la ricerca filosofica alla consapevolezza della propria relatività storica. Questa concezione della filosofia e della sua storia ispira anche le numerose opere di storiografia filosofica a cui Dilthey ha dedicato gran parte della sua attività. Dai primi studi su alcune figure del mondo culturale romantico e dalla biografia di Schleiermacher egli è venuto allargando il proprio campo di ricerca al Rinascimento, alla Riforma, all’Illuminismo, per poi ritornare all’analisi del Romanticismo tedesco e dell’idealismo post-kantiano. Un primo gruppo di saggi, pubblicati per la maggior parte negli anni 1891-94 e quindi raccolti sotto il titolo generale Weltanschauung und Analyse des Menschen seit Renaissance und Reformation (tr. it. Firenze, 1927), è dedicato al Rinascimento e alla Riforma, nonché al processo di fondazione del sistema naturale delle scienze dello spirito nel secolo xvi. Un secondo gruppo concerne invece la cultura filosofica del Settecento, con particolare riguardo a Leibniz e a Federico Il: particolarmente importante tra di essi è quello dedicato alla concezione illuministica della storia, Das achtzehnte Jahr hundert und die geschichiliche Welt (1901; tr. it. Milano, 1967). Un terzo gruppo riguarda invece gli aspetti poetici e musicali della cultura romantica tedesca, considerati nel loro rapporto con l'intuizione del mondo propria del Romanticismo: essi sono raccolti in Das Erlebnis und die Dichtung (Leipzig, 1906; tr. it. Milano, 1947) e nel volume postumo Von deutscher Dichtung und Musik (Leipzig, 1933). A questo filone di studi si collega l’ultimo dei lavori storici di Dilthey, cioè l'ampia biografia del giovane Hegel tracciata in Die Jugendgeschichte Hegels (1905-6), nella quale la formazione del pensiero hegeliano viene studiata nei suoi 84 WILHELM DILTHEY legami con l’ambiente culturale del Romanticismo tedesco e indagata nei suoi motivi teologici . Al centro di tutti questi scritti sta la connessione tra la filosofia e l'intuizione del mondo propria delle varie epoche, analizzata nel ripresentarsi di certe posizioni fondamentali corrispondenti ai vari tipi di intuizione del mondo che fanno della successione delle diverse dottrine un processo storico unitario. Le opere di Dilthey sono state raccolte nelle Gesammelte Schriften, edite dalla casa editrice Teubner in undici volumi (vol. IIX e XI-XII) dal 1914 al 1936. Dopo la guerra, la casa Vandenhoeck und Ruprecht di Géttingen ha ristampato più volte le opere di Dilthey, aggiungendovi nuovi volumi: la raccolta è tuttora da completare. Il primo volume (a cura di B. Groethuysen) comprende l'Einlcitung in die Geisteswissenschaften; il secondo (a cura di G. Misch) racchiude gli studi sul Rinascimento e sulla Riforma, sotto il titolo Weltanschauung und Analyse des Menschen seit Renaissance und Reformation; il terzo (a cura di P. Ritter) raccoglie gli studi sull’età di Leibniz, sull'età di Federico il Grande e il saggio Das achtzehnte Jahrhundert und die geschichtliche Welt, sotto il titolo Studien zur Geschichte des deutschen Geistes; il quarto (a cura di H. Nohl) comprende la Jugendgeschichte HRegels und andere Abhandlungen zur Geschichte des deutschen Idealismus; il quinto e il sesto (a cura di G. Misch, che vi ha premesso un ampio e importante Vorbericht) raccolgono, sotto il titolo complessivo Die geistige Welt: Einleitung in die Philosophie des Lebens, alcuni saggi fondamentali tra cui Uber das Studium der Geschichte der Wissenschaften vom Menschen, der Gesellschaft und dem Staat, i Beitrige zur Lòsung der Frage vom Ursprung unseres Glaubens an die Realitàt der Aussenwelt und seinem Recht, le Ideen iiber eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, i Beitrige zum Studium der Individualitit, Das Wesen der Philosophie, nonché diversi altri saggi di poetica e di estetica; il settimo (a cura di B. Groethuysen) racchiude, sotto il titolo Der Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften, le tre Studien zur Grundlegung der Geisteswissenschaften, l'ampio saggio che dà il titolo al volume e il relativo Plan der Fortsetzung; l'ottavo (a cura di B. Groethuysen) comprende i saggi dedicati alla Weltanschauungslehre, e cioè Das geschichtliche Bewusstsein und die Weltanschauungen e Die Typen der Weltanschauung und ihre Ausbildung in den metaphysischen Systemen; il nono (a cura di O. F. Bollnow) è dedicato alla Pidagogik; il decimo (a cura di H. Nohl, e apparso nel 1958) racchiude il System der Ethik; l'undicesimo (a cura di E. Weniger) raccoglie, sotto il titolo complessivo Vom Ausgang des geschichtlichen Bewusst86 WILHELM DILTHEY sein, numerosi saggi giovanili su storici tedeschi dell'Ottocento; il dodicesimo (a cura di E. Weniger) comprende vari saggi Zur politischen Geschichte, a cui fa seguito l'elenco completo degli scritti di Dilthey fino al 1883 (pp. 208-12); il quattordicesimo (a cura di M. Redeker, e apparso nel 1966, su licenza dell’editore de Gruyter) contiene il vol. II del Leben Schleiermachers; il sedicesimo (a cura di U. Herrmann, e apparso nel 1972) raccoglie, sotto il titolo complessivo Zur Geistesgeschichte des 19. Jahrhunderts, una serie di articoli e di recensioni del periodo 1859-74. Rimangono al di fuori delle Gesammelte Schriften i seguenti volumi, già menzionati nella nota biografica: Der junge Dilthey. Ein Lebensbild in Briefen und Tagebiichern (1852-1870), Leipzig-Berlin, 1933, e Gòttingen, 1960?; Das Erlebnis und die Dichtung, Leipzig-Berlin, 1906, 1907”, 1g1o3, e Géttingen, 1965 4; Von deutscher Dichtung und Musik, Leipzig-Berlin, 1933, e Gòttingen, 19572. Il Leben Schleiermachers è stato completato con la pubblicazione del secondo volume, Schleiermachers System als Philosophie und Theologie (a cura di M. Redeker), Berlin, 1966; lo stesso Redeker ha in seguito dato una nuova edizione critica del primo volume, Berlin, 1970? Rimangono inoltre al di fuori delle Gesammelte Schriften varie raccolte di lettere, e precisamente: il Briefwechsel zwischen Wilhelm Dilthey und dem Grafen Paul Yorck von Wartenburg (1877-1897), Halle, 1923; i Briefe Wilhelm Diltheys an Beyrnhardt und Luise Scholz (1859-1864), Sitzungsberichte der Preussischen Akademie der Wissenschaften , Philosophisch-historische Klasse, 1933, n. 10, pp. 416-71; i Briefe Wilhelm Diltheys an Rudolf Haym (1861-1873), Abhandlungen der Preussischen Akademie der Wissenschaften , Berlin, 1936. Si veda inoltre W. Biemel, Einleitende Bemerkung zum Briefwvechsel Dilthey-Husserl, Man-World , I, 1968, pp. 428-46. Tra l'ormai vasta letteratura critica dedicata all'opera e al pensiero di Dilthey segnaliamo gli studi seguenti: B. GroetHursen, Wilhelm Dilthey, Deutsche Rundschau , CLIV, n. 4, 1913, pp. 69-92, € n. 5, 1913, pp. 24970. A. Stern, Der Begriff des Geistes bei Dilthey, Tùbingen, 1913, 2° ed. col titolo Der Begriff des Verstehen bei Dilthey, Tiibingen, 1926. B. ScHarpnact, Diltheys Verhdltnis zur Geschichte, Berlin, 1927. L. Lanporese, Wilhelm Diltheys Theorie der Geisteswissenchaften, Halle, 1928. G. MiscH, Lebensphilosophie und Phinomenologie. Eine Auscinandersetzung der Diltheyschen Richtung mit Heidegger und Husserl, Bonn, 1930, e Leipzig-Berlin, 1931, infine Stuttgart, 1967?. WILHELM DILTHEY 87 K. Karsuse, Wilhelm Diltheys Methode der Lebensphilosophie, Hiroshima, 193I. A. Decener, Dilthey und das Problem der Metaphysik, Bonn-Kéln, 1933. A. Liesert, Wilhelm Dilthey, Berlin, 1933. C. Cuppers, Die erkenntnistheoretischen Grundgedanken Wilhelm Diltheys, Leipzig-Berlin, 1934. J. Hennic, Lebensbegriff und Lebenskategorie. Studien zur Geschichte und Theorie der geisteswissenschaftlichen Begriffsbildung mit besonderer Beriicksichtigung Wilhelm Diltheys, Aachen, 1934. J. 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Dilthey y el problema del mundo histérico, cit., pp. xrx-Lv. Del medesimo autore si veda però ora il saggio Bibliografia de W. Dilthey, Pensamiento , XXIV, 1968, pp. 195-258. Ma il lavoro più completo è quello di U. Herrmann, Bibliographie Wilhelm Diltheys: Quellen und Literatur, Wernheim/Bergstr.-Berlin-Basel, . SCIENZE DELLO SPIRITO E SCIENZE DELLA NATURA * I. LE SCIENZE DELLO SPIRITO: UN COMPLESSO AUTONOMO ACCANTO ALLE SCIENZE DELLA NATURA Il complesso delle scienze che hanno come loro oggetto la realtà storico-sociale viene qui compreso sotto la designazione di scienze dello spirito. Il concetto di queste scienze, in virtù del quale esse costituiscono un complesso unitario, e la delimitazione di tale complesso nei confronti delle scienze della natura potranno essere spiegati e fondati in maniera definitiva soltanto nel corso dell’analisi; all'inizio ci limitiamo a stabilire il significato in cui impiegheremo l’espressione e a indicare provvisoriamente l'insieme dei fatti sul quale si fonda la delimitazione di tale complesso unitario delle scienze dello spirito nei confronti delle scienze della natura. L’uso linguistico comprende sotto il nome di scienza un insieme di proposizioni i cui elementi sono concetti, cioè perfettamente determinati, costanti in tutta la connessione di pensiero e forniti di validità universale, i cui legami sono fondati, in cui infine le parti sono reciprocamente connesse in una totalità allo scopo di poter comunicare, cosicché un elemento della realtà può essere concepito nella sua compiutezza in virtù di questa connessione di proposizione oppure un ramo dell'attività umana può esser regolato in base ad essa. Indichiamo perciò * Einleitung in die Geisteswissenschaften, libro I: Ubersicht tiber den Zusammenhang der Einzelwissenschaften des Geistes, Leipzig, Duncker und Humblot, 1883, capitoli u-vir, pp. 5-35, ora in Gesammelte Schriften, Leipzig und Berlin, vol. I, 1914, PP. 4-28 (traduzione di Sandro Barbera e Pietro Rossi). qui col termine scienza ogni insieme di fatti spirituali in cui si ritrovano le caratteristiche sopra indicate e a cui dunque generalmente viene applicato il nome di scienza: in modo corrispondente presentiamo provvisoriamente il nostro compito. Questi fatti spirituali, quali si sono storicamente sviluppati nell’umanità, e ai quali è stata tramandata secondo un comune uso linguistico la denominazione di scienze dell’uomo, della storia, della società, costituiscono realtà che noi non vogliamo dominare, ma anzitutto comprendere. Il metodo empirico esige che anche in questo settore delle scienze venga determinato in modo storico-critico il valore dei singoli procedimenti di cui il pensiero qui si serve per la soluzione dei suoi compiti, e che venga chiarita, nell’intuizione di questo grande processo che ha per soggetto l’umanità stessa, la natura del sapere e del conoscere relativi a questo campo. Un tale metodo sta in antitesi a quell'altro di recente troppo di frequente praticato dai cosiddetti positivisti che deriva il contenuto del concetto di scienza da una determinazione concettuale del sapere sorta per lo più sul terreno delle attività proprie delle scienze della natura, e che in base ad essa decide quali siano le attività intellettuali a cui spetta il nome e il rango di scienza. In tal modo alcuni, prendendo le mosse da un concetto arbitrario di sapere, hanno con miopia e presunzione negato alla storiografia, qual è stata praticata da grandi maestri, il rango di scienza; altri hanno creduto di dover trasformare in conoscenza della realtà quelle scienze che hanno a loro fondamento imperativi, e non già giudizi sulla realtà. L'insieme dei fatti spirituali che ricadono sotto questo concetto di scienza viene di solito suddiviso in due rami. L’uno è designato col nome di scienza naturale ; per quanto riguarda l’altro non si dispone, abbastanza stranamente, di una designazione universalmente riconosciuta. Aderisco qui all’uso linguistico di quegli studiosi che indicano quest'altra metà del globus intellectualis con l’espressione di scienze dello spirito. Da una parte questa designazione è diventata e non poco lo deve all’ampia diffusione del System of Logic di John Stuart Mill! abituale e universalmente intelligibile. D’al1. Il System of Logic, Ratiocinative and Inductive di Mill tra parte, confrontata con tutte le altre designazioni inadeguate tra cui è possibile scegliere, essa appare la meno impropria. ‘È pur vero che essa esprime molto incompiutamente l’oggetto di questo studio, giacché in esso i fatti della vita spirituale non sono separati dalla vivente unità psico-fisica della natura umana. Una teoria che voglia descrivere e analizzare i fatti storico-sociali non può prescindere da questa totalità della natura umana e limitarsi all'elemento spirituale. Ma l’espressione ha in comune questo difetto con tutte le altre che si sono applicate: scienza della società (sociologia), scienze morali, scienze storiche, scienze della cultura tutte queste designazioni soffrono del medesimo errore, di essere cioè troppo ristrette in rapporto all’oggetto che devono esprimere. Il nome che qui si è scelto ha per lo meno il vantaggio di designare adeguatamente l'ambito centrale di fatti a partire dal quale è stata vista in realtà l’unità di queste scienze, abbozzato il loro ambito, compiuta benché ancora in maniera assai incompleta la loro delimitazione rispetto alle scienze della natura. Il motivo di cui è derivata l’abitudine di delimitare queste scienze rispetto a quelle della natura, intendendole come una unità, è radicato nella profondità e nella totalità dell’autocoscienza umana. Ancor prima di procedere a indagini sull’origine del mondo spirituale, l’uomo trova in questa autocoscienza una sovranità del volere, una responsabilità delle sue azioni, una capacità di sottoporre tutto al pensiero e di opporsi a tutto nella libertà della sua persona, mediante cui si distingue da tutta la natura. Egli si ritrova infatti, in questa natura per impiegare un'espressione spinoziana come un Imperium in imperio®. E poiché per lui esiste solamente ciò che è fata. Pascal esprime in modo molto geniale questo sentimento della vita nelle Pensées: Tutte queste miserie provano la sua grandezza: sono miserie da gran signore, miserie di un re spodestato (I, 3). Noi abbiamo fu pubblicato a Londra nel 1843 e tradotto in tedesco da I. Schiel nel 1849. Questa traduzione utilizza appunto il termine Geistessvissenschaften per rendere l'espressione milliana moral sciences: così, per esempio, il titolo del sesto libro (On the Logic of Moral Sciences) risulta tradotto Logik der Geisteswissenschaften. Dilthcy fa ricorso per la prima volta al termine Geistestvissenschaften proprio in riferimento a Mill, nel saggio Uber das Studium der Geschichte der Wissenschaften vom Menschen, der Gesellschaft und dem Staat (1875), ora raccolto in Gesammelte Schriften, vol. V, pp. 31-73. 94 WILHELM DILTHEY to della sua coscienza, ogni valore e ogni scopo della vita risiede in questo mondo spirituale che agisce in lui in maniera autonoma, e ogni fine delle sue azioni risiede nella costruzione di fatti spirituali. Così egli distingue dal regno della natura un regno della storia, nel quale in mezzo alla connessione di una necessità oggettiva, che costituisce la natura la libertà emerge in innumerevoli punti. In antitesi al corso meccanico dei mutamenti naturali, il quale già contiene fin dall’inizio tutto ciò che in esso ha luogo, i fatti della volontà producono realmente qualcosa in virtù del loro impiego di forza e dei loro sacrifici, del cui significato l'individuo è consapevole nella propria esperienza; essi suscitano lo sviluppo, sia nella persona sia nell’umanità attraverso e oltre la vuota e desolata ripetizione del corso della natura nella coscienza, della cui rappresentazione come ideale di progresso storico si compiacciono gli adoratori dello sviluppo intellettuale. Invano l’epoca metafisica, per la quale questa differenza nelle basi di spiegazione si configurava immediatamente come una differenza sostanziale inerente alla struttura dell’universo, ha lottato per stabilire e giustificare formule in vista della fondazione di questa differenza dei fatti della vita spirituale da quelli del corso naturale. Tra tutte le trasformazioni che la metafisica antica ha conosciuto presso i pensatori medievali, nulla è stato più ricco di conseguenze del fatto che in questo periodo, in connessione con tutti i movimenti religiosi e teologici dominanti in cui erano inseriti questi pensatori, s’introdusse nel nucleo centrale del sistema la determinazione della differenza tra mondo degli spiriti e mondo dei corpi, e quindi la relazione di entrambi questi mondi con la divinità. La principale opera metafisica del Medioevo, la Summa de veritate catholicae fidei di Tommaso, abbozzaa partire dal secondo libro una struttura del mondo creato in cui l’essenza (essentia quidditas) è distinta dall’essere (esse), mentre in Dio i due momenti sono una sola cosa*. Essa dimostra che nella gerarchia del un'idea così grande dell'anima umana che non possiamo sopportare di esserne disprezzati, di non esserne stimati (I, 5) (Oeuvres complètes, Paris, 1866, vol. I, pp. 248-49). a. Summa contra Gentiles, libro I, cap. xxt1; cfr. pure libro II, cap. LIV. DILTHEY 95 creato c'è un elemento necessario superiore, costituito dalle sostanze spirituali che non risultano dall’unione di forma e materia ma sono incorporee per sé gli angeli e dalle quali si distinguono le sostanze intellettuali o forme incorporee che, per il completamento della loro specie (cioè della specie uomo ), abbisognano dei corpi. Su tale base essa elabora in polemica con la filosofia araba una metafisica dello spirito umano la cui influenza può venir seguita fino agli ultimi scrittori metafisici nei giorni nostri*; da questo mondo di sostanze imperiture si distingue la parte del creato che ha la propria essenza nell’unione di forma e materia. Questa metafisica dello spirito (psicologia razionale) fu posta poi da altri eminenti metafisici in relazione con la concezione meccanicistica della natura e con la filosofia corpuscolare, non appena queste ultime diventarono dominanti. Ma ogni tentativo di elaborare sul fondamento di questa dottrina delle sostanze, e con i mezzi della nuova concezione della natura, una rappresentazione sostenibile dei rapporti tra spirito e corpo naufragò. Quando Descartes sviluppò sulla base delle proprietà chiare e distinte dei corpi in quanto grandezze spaziali la sua rappresentazione della natura come un immenso meccanismo, considerando costanti le grandezze di movimento presenti in questo complesso, si introdusse nel sistema insieme con l’ipotesi che una sola anima imprime dall’esterno un movimento in questo sistema materiale la contraddizione. L’impossibilità di rappresentare un'influenza da parte di sostanze non-spaziali su questo sistema esteso non veniva certo diminuita dal fatto che Descartes raccolse in un punto il luogo spaziale di tale azione reciproca come se potesse con ciò far scomparire la difficoltà. L’avventurosità della concezione secondo cui la divinità sorreggerebbe con ripetuti interventi questo gioco di azioni reciproche, oppure di quell’altra, secondo cui invece Dio avrebbe, come il più abile degli artefici, predisposto fin dall’inizio i due orologi del sistema materiale e del mondo degli spiriti in modo tale che un avvenimento naturale produca una sensazione e un atto di volontà realizzi una trasformazione del mondo esterno, dimostrano nel modo più chiaro l’inconciliabilità della nuova metafisica della natura con a. Summa contra Gentiles, libro II, cap. xvi. la precedente metafisica delle sostanze spirituali. Cosicché tale problema operò come pungolo sempre stimolante, favorendo la dissoluzione del punto di vista metafisico in generale. Questa dissoluzione si completerà nella conoscenza che si svilupperà più tardi che l’Erlebnis dell’autocoscienza è il punto di partenza del concetto di sostanza, che questo concetto sorge dall’adattamento di tale Erlebris alle esperienze esterne prodotto dal conoscere che procede secondo il principio di ragion sufficiente e che in tal modo questa dottrina delle sostanze spirituali altro non è che un riportare il concetto, formatosi in tale metamorfosi, all’ErleBnis entro cui era originariamente dato il suo presupposto. In luogo dell’antitesi tra sostanze materiali e sostanze spirituali subentrò quella tra il mondo esterno dato nella percezione esterna (sensation) mediante i sensi, e mondo interiore, dato primariamente in virtù dell’apprendimento interno degli eventi e delle attività psichiche (reffection)?. Il problema assume in tal modo un aspetto più modesto, che implica però la possibilità di un'impostazione empirica. Di fronte al nuovo e migliore metodo si fanno ora valere gli Erlebrisse che avevano trovato un'espressione scientificamente insostenibile nella dottrina delle sostanze propria della psicologia razionale. Per la costituzione in forma autonoma delle scienze dello spirito occorre anzitutto che in base a questo punto di vista critico da quei processi i quali sono formati mediante un collegamento concettuale sulla base del dato sensibile, e soltanto di questo, si distinguano, come un ambito particolare di fatti, quegli altri processi che sono invece dati primariamente nell’esperienza interna, cioè senza alcuna cooperazione dei sensi, e sono quindi formati sulla base del materiale dell’esperienza interna, dato in modo primario, in occasione di processi naturali esterni, per esser sottoposti a questi mediante un procedimento equivalente, per la sua funzione, al ragionamento analogico. Nasce così un particolare dominio di esperienze che ha la sua origine autonoma e il suo materiale nell’Erlebnis interiore, e che diventa quindi spontaneamente oggetto di una partico2. Dilthey si riferisce qui alla distinzione tra sensazione e riflessione formulata da Locke. DILTHEY 97 lare scienza di esperienza. E finché qualcuno non asserirà di essere in grado di derivare dalla struttura del cervello di Goethe e dalle qualità del suo corpo e di rendere così meglio conoscibile l'insieme di passioni, di figure poetiche e di invenzione concettuale che noi indichiamo come la vita di Goethe, non sarà neppure contestata la posizione autonoma di una scienza siffatta. Orbene, ciò che per noi qui esiste, ed esiste in virtù di questa esperienza interna, ciò che per noi ha valore o costituisce uno scopo ci è dato soltanto nell’Er/ebnis del nostro sentimento e della nostra volontà: in questa scienza sono così contenuti i princìpi del nostro conoscere, che determinano in quale misura la natura può esistere per noi, e i princìpi del nostro agire, che spiegano l’esistenza di scopi, di beni, di valori su cui è fondato ogni commercio pratico con la natura. Una fondazione più approfondita della posizione autonoma delle scienze dello spirito accanto alle scienze della natura, che costituisce qui il nucleo della costruzione delle scienze dello spirito, sarà compiuta più avanti, gradualmente, nella misura in cui si procederà nell’analisi dell’Erlebnis complessivo del mondo spirituale nella sua incomparabilità con ogni esperienza sensibile concernente la natura. Mi limito qui a chiarire il problema, facendo cenno al duplice senso in cui si può asserire l’incompatibilità dei due ambiti di fatti: corrispondentemente, anche il concetto dei limiti della conoscenza della natura acquista un duplice significato. Uno dei nostri maggiori scienziati ha intrapreso la determinazione di questi limiti in un trattato assai discusso, e ha di recente illustrato questa determinazione dei limiti della sua scienza®. Supponiamo di aver tutte le trasformazioni del mondo corporeo in movimenti di atomi, causati dalle loro forze centrali costanti: in questo caso la totalità del mondo sarebbe conosciuta in base alle scienze della natura. Uno spirito a. E. Du Bors-ReyMonp, Uber die Grenzen des Naturerkennens, Leipzig, 4° ed. 1872: dello stesso autore si veda pure Die sieben Weltritsel, Berlin, 18813. 3. Emil Du Bois-Reymond (1818-1896), fisiologo positivista, autore delle due opere citate da Dilthey, sostenne l'impossibilità per l’uomo di risolvere gli enigmi trascendenti e la necessità di attenersi al principio dell’ignorabimus. egli prende le mosse da quest'immagine di Laplace che per un dato istante conoscesse tutte le forze operanti della natura, e la reciproca posizione degli esseri di cui essa consta, € che inoltre fosse anche abbastanza sapiente da sottomettere ad analisi questi dati, sarebbe in grado di comprendere in una medesima formula i movimenti dei massimi corpi celesti come dell’atomo più leggero ®. Siccome l'intelligenza umana nella scienza astronomica è una debole copia di uno spirito di tal fatta, Du Bois-Reymond indica la conoscenza di un sistema materiale prospettata da Laplace come conoscenza astronomica. Partendo da tale immagine si approda di fatto a una concezione assai chiara dei limiti entro cui è racchiusa la tendenza dello spirito proprio delle scienze naturali. Ci sia ora concesso di introdurre in questa considerazione del problema una distinzione relativa al concetto di limite della conoscenza naturale. Dal momento che la realtà, in quanto correlato dell’esperienza, ci è data nella cooperazione della struttura dei nostri sensi con l’esperienza interna, dalla differenza di provenienza dei suoi elementi costitutivi che ne deriva scaturisce un'incomparabilità tra gli elementi del nostro calcolo scientifico, la quale esclude la derivazione dei fatti di una determinata provenienza da quelli di provenienza diversa. Dalle qualità dell'elemento spaziale perveniamo così attraverso la fatticità del senso del tatto nel quale viene esperita la resistenza alla rappresentazione della materia; ogni senso è racchiuso entro il suo specifico ambito di qualità; e se dobbiamo apprendere uno stato della coscienza in un momento determinato, siamo costretti a passare dalla sensibilità alla percezione degli stati interni. Pertanto noi possiamo soltanto accogliere i dati nell’incomparabilità in cui essi si presentano a seguito dela. P. S. LarLace, Essai philosophique sur les probabilités, Paris, 1814, p. 3°. 4. Pierre-Simon Laplace (1749-1827), matematico e astronomo francese, autore dell'Exposition du système du monde (1796), del Traité de mécanique céleste (1798-1825), della TAéorie analytique des probabilités (1812) e del saggio citato da Dilthey, diede un contributo decisivo alla formulazione della teoria già enunciata da Kant dell'origine del sistema solare da una massa gassosa. L'Essai sviluppa le implicazioni filosofiche del calcolo delle probabilità. la loro diversa provenienza; la loro esistenza di fatto rimane per noi priva di giustificazione; ogni nostro conoscere è limitato alla constatazione di uniformità nella successione e nella contemporaneità, secondo le quali esse sono in relazioni reciproche nella nostra esperienza. Si tratta di limiti inerenti alle condizioni stesse del nostro esperire, cioè di limiti che sussistono in ogni punto della scienza della natura, non già di barriere esterne in cui urti la conoscenza della natura, bensì di condizioni immanenti allo stesso esperire. La presenza di questi confini immanenti della conoscenza non costituisce però impedimento alcuno per la funzione del conoscere. Se col termine comprendere si designa una completa trasparenza nell’apprendimento di una connessione, allora ci troviamo di fronte a barriere contro cui urta il comprendere. Ma, sia che la scienza sottometta al suo calcolo, riconducendo i mutamenti della realtà a movimenti di atomi, delle qualità oppure dei fatti della coscienza sempre che questi si lascino sottomettere l’inderivabilità non costituisce impedimento alcuno alle sue operazioni. È tanto poco possibile trovare un passaggio da una determinatezza meramente matematica o da una grandezza di movimento a un colore o a un suono, quanto a un evento della coscienza: non posso spiegare la luce azzurra mediante il corrispondente numero di oscillazioni più di quel che possa spiegare il giudizio negativo mediante un processo che accade nel cervello. Come la fisica cede alla fisiologia il compito di spiegare la qualità sensibile dell’ azzurro , così la fisiologia che nel movimento di parti materiali non possiede neppur essa un mezzo per far apparire d’incanto l'azzurro trasmette alla psicologia il suo compito, che rimane in definitiva, come in un gioco di specchi magici, affidato alla psicologia. Ma l’ipotesi che le qualità sorgano dal processo della sensazione è di per sé solamente un mezzo ausiliario di calcolo, che riconduce le trasformazioni della realtà quali si dànno nella mia esperienza a una certa classe di trasformazioni al suo interno che costituisce un contenuto parziale della mia esperienza, per poterle collocare in certo modo su uno stesso piano a scopo di conoscenza. Se fosse possibile sostituire a fatti definiti in maniera determinata, che nel contesto della considerazione meccanicistica della natura occupano un posto stabilito, fatti di coscienza definiti in modo costante e determinato, e con ciò stabilire conformemente al sistema di uniformità in cui si trovano i primi il presentarsi dei processi della coscienza in un accordo completo con l’esperienza, allora questi fatti di coscienza sarebbero inseriti nella connessione della conoscenza naturale allo stesso modo di un qualsiasi suono o colore. Ma proprio a questo punto l’incomparabilità tra processi materiali e processi spirituali assume un diverso senso, e pone alla conoscenza naturale limiti di tutt'altro genere. L’impossibilità di derivare i fatti spirituali da quelli dell'ordine meccanico della natura, che si fonda sulla diversità della loro provenienza, non impedirebbe l’inserimento dei primi nel sistema dei secondi. Soltanto quando le relazioni tra i fatti del mondo spirituale si presentano incomparabili nella loro specie con le uniformità della natura, viene esclusa una subordinazione dei fatti spirituali a quelli accertati dalla conoscenza meccanica della natura: infatti qui non ci si trova di fronte a confini immanenti al conoscere empirico, bensì a limiti in cui la conoscenza naturale finisce e ha invece inizio un’autonoma scienza dello spirito, che si costituisce intorno a un proprio centro. Il problema fondamentale consiste pertanto nello stabilire quella data specie di incomparabilità tra le relazioni dei fatti spirituali e le uniformità dei processi materiali che esclude la subordinazione dei primi e una loro interpretazione come qualità e aspetti della materia, e che dev'essere di tutt’altro genere della differenza sussistente tra i diversi ambiti particolari di leggi della materia così come queste si presentano nella matematica, nella fisica, nella chimica e nella fisiologia, sotto forma di un rapporto di subordinazione che si sviluppa in modo coerente. L’esclusione dei fatti spirituali dalla connessione della materia, delle sue qualità e delle sue leggi presupporrà sempre un contrasto che si manifesta, in qualsiasi tentativo di subordinazione siffatta, tra le relazioni dei fatti di un campo e quelle di un altro. E ciò appare chiaro quando l'incomparabilità della realtà spirituale viene ricondotta ai fatti dell’autocoscienza e dell’unità della coscienza ad essa inerente, alla libertà e ai fatti della vita normale ad essa collegati, in antitesi all’organizzazione spaziale e alla divisibilità della materia nonché alla necessità meccanica a cui soggiace il comportamento di ogni sua parte. Vecchi WILHELM DILTHEY IOI quasi quanto la riflessione rigorosa sulla posizione dello spirito rispetto alla natura sono i tentativi di formulare questo tipo di incomparabilità dell’elemento spirituale con qualsiasi ordine naturale, sulla base dei fatti dell’unità della coscienza e della spontaneità del volere. Nella misura in cui nell'esposizione di questo illustre scienziato viene introdotta la distinzione tra i confini immanenti dell’esperire e i limiti della subordinazione dei fatti alla connessione della conoscenza naturale, i concetti di limite e di inesplicabilità acquistano un senso esattamente definibile, e scompaiono quindi difficoltà che si sono fatte ampiamente rilevare nella polemica intorno ai limiti della conoscenza naturale provocata da questo scritto. L'esistenza di confini immanenti all’esperienza non è affatto decisiva rispetto alla questione riguardante la subordinazione di fatti spirituali alla connessione della conoscenza della materia. Se ci si propone come nel caso di Haeckel5 e di altri scienziati di inserire i fatti spirituali nella connessione della natura, assumendo l’esistenza di una vita psichica negli elementi in base ai quali si costituisce l'organismo, tra un tentativo del genere e la conoscenza dei confini immanenti di ogni esperienza non sussiste assolutamente alcun rapporto di esclusione; su di esso decide soltanto il secondo tipo di indagine sui limiti del conoscere naturale. Per questo anche Du Bois-Reymond ha proseguito nel secondo tipo di indagine, e nella sua dimostrazione si è servito dell’argomento dell’unità della coscienza così come dell’argomento della spontaneità del volere. La dimostrazione della tesi che gli elementi spirituali non possono mai essere compresi sulla base delle Ioro condizioni materiali ° viene condotta come segue. Anche nel caso di una conoscenza compiuta di tutte le parti del sistema materiale, della loro reciproca posizione e del loro movimento, a. E. Du Bors-RexMonD, op. cit., p. 28. 5. Ernest Heinrich Hacckel (1834-1919), biologo e filosofo positivista, autore di numerose opere di argomento zoologico e di una Generelle Morphologie der Organismen (1866), nonché di vari volumi sulla teoria dell'evoluzione, fu uno dei maggiori esponenti del darwinismo in Germania. Il libro Die Welrétse! (1899), scritto in polemica con Du Bois-Reymond, rappresenterà un tentativo di risposta in chiave positivistica a quelli che Du Bois-Reymond aveva indicato come gli enigmi insolubili del mondo. rimane però del tutto incomprensibile perché a un certo numero di atomi di carbonio, d’idrogeno, di azoto, di ossigeno, non dovrebbe essere indifferente in qual modo essi sono collocati e si muovono. L'impossibilità di spiegare l'elemento spirituale rimane tuttavia immutata anche se ognuno di questi elementi è corredato di coscienza al pari delle monadi; in base a quest’ipotesi non si può spiegare la coscienza unitaria dell’individuo*. a. E. Du Bois-RerMonD, op. cit., pp. 29-30; cfr. anche Die sieben Weltritsel cit., p. 7. Quest'argomentazione ha del resto valore conclusivo soltanto se alla meccanica atomistica si attribuisce una validità per così dire metafisica. Alla sua storia, accennata da Du Bois-Reymond, si può avvicinare anche la formulazione che troviamo nel classico della psicologia razionale, Moses Mendelssohn? Leggiamo per esempio in Schriften, Leipzig, 1880, vol. I, p. 277: 1) Tutto quanto distingue il corpo umano da un blocco di marmo può essere ricondotto a movimento. Ma il movimento non è altro che il mutamento del luogo o della posizione. È evidente che tutti i mutamenti di luogo possibili al mondo, per quanto possano essere raccolti insieme, non comportano affatto la percezione di questi mutamenti di luogo. 2) Tutta la materia è costituita da più parti. Se le singole rappresentazioni fossero isolate nelle parti dell'anima così come gli oggetti lo sono nella natura, non si incontrerebbe mai la totalità. Noi non potremmo paragonare tra loro le impressioni dei vari sensi, confrontare le rappresentazioni, percepire rapporti, riconoscere relazioni. Ne deriva chiaramente che non soltanto nel pensiero, ma anche nella sensazione la molteplicità deve convergere nell'unità. Dal momento però che la materia non è mai un soggetto singolo ecc. . Kant sviluppa questo tallone d'Achille di ogni conclusione dialettica della dottrina pura dell’anima come il secondo paralogismo della psicologia trascendentale. In Lotze? questi atti del sapere relazionante sono stati svilupppati in vari scritti (da ultimo nella Metaphysik, Leipzig, 1841, p. 476) come il fondamento insuperabile, su cui può riposare con sicurezza la convinzione dell'autonomia dell'anima , e costituiscono la base di questa parte del suo sistema metafisico. 6. Moses Mendelssohn (1729-1786), autore dei P/ilosophische Gespriche, dei Briefe tiber die Empfindungen (1755), del Phédon (1767), delle Morgenstunden (1785) c di varie altre opere, fu uno dei maggiori esponenti della filosofia popolare di ispitazione illuministica; amico di Lessing, lo difese dall'attribuzione di spinozismo sostcnuta da Jacobi. Dilthey si riferisce qui al tentativo di dimostrazione dell'immortalità dell’anima, criticato da Kant nella Critica della ragion pura. Lotze, autore della MetapAysik, della Logi%, del Mikrokosnus, del System der Philosophie e di numerose altre opere, alcune delle quali pubblicate postume, fu il maggiore rappresentante dello spiritualismo ottocentesco tedesco: il suo pensiero ebbe larga diffusione, influenzando la cultura filosofica della seconda metà del sccolo in senso anti-positivistico c antipsicologistico. Già la sua tesi contiene in quel non possono mai essere compresi un doppio senso che ha come conseguenza l'emergere, nella dimostrazione stessa, di due argomenti di portata ben differente. Da un lato egli afferma che il tentativo di derivare fatti spirituali da trasformazioni materiali (attualmente caduto in oblio in quanto rozzo materialismo, e compiuto ancora soltanto attraverso l’ipotesi dell’esistenza di proprietà psichiche negli elementi) non può eliminare i confini immanenti di ogni esperienza: il che è certo, ma non decisivo contro la subordinazione dello spirito alla conoscenza naturale. Egli afferma allora che tale tentativo deve naufragare davanti alla contraddizione tra la nostra rappresentazione della materia e il carattere di unità che è proprio della nostra coscienza. Nella sua posteriore polemica con Haeckel, a quest'argomento aggiunge quell’altro che, se si mantiene tale ipotesi, si ha un’ulteriore contraddizione tra il modo in cui un elemento materiale è meccanicamente condizionato nella connessione naturale e l’Er/ebnis della spontaneità del volere; una volontà presente negli elementi della materia che deve volere, voglia o non voglia, e ciò in rapporto diretto al prodotto delle masse e in rapporto inverso al quadrato delle distanze è una contradictio in adiecto. In un ambito più ampio, però, le scienze dello spirito comprendono in sé fatti naturali, hanno a fondamento la conoscenza della natura. Se si concepissero esseri puramente spirituali in un regno di persone costituito soltanto da essi, il loro venire alla luce, la loro conservazione e il loro sviluppo, al pari della loro scomparsa (in qualsiasi modo ci si rappresenti lo sfondo da cui provengono e a cui sono destinati a fare ritorno), sarebbero legati a condizioni di tipo spirituale; il loro benessere sarebbe fondato sulla loro posizione rispetto al mondo spirituale; la loro connessione reciproca, le loro origini si compirebbero con mezzi puraa. E. Dv Bois-Revmonp, Die sieben Weltritsel. mente spirituali e gli effetti durevoli di tali azioni sarebbero anch'essi di tipo puramente spirituale; lo stesso loro ritrarsi dal regno delle persone avrebbe il suo fondamento nell’elemento spirituale. Un sistema composto da individui siffatti potrebbe venir conosciuto da pure scienze dello spirito. In realtà un individuo nasce, si conserva e si sviluppa sulla base delle funzioni dell’organismo animale e delle sue relazioni col corso naturale dell'ambiente; il suo sentimento vitale è, almeno in parte, fondato su queste funzioni; le sue impressioni sono condizionate dagli organi di senso e dalle influenze del mondo esterno; la ricchezza e la mobilità delle sue rappresentazioni, la forza e la direzione dei suoi atti di volontà dipendono sovente dalle modificazioni del suo sistema nervoso. L'impulso della sua volontà comporta un accorciamento delle fibre muscolari, cosicché l’agire verso l’esterno è connesso ai mutamenti di posizione delle particelle dell’organismo, e le conseguenze durevoli delle sue azioni volontarie esistono soltanto nella forma di trasformazioni all’interno del mondo materiale. La vita spirituale di un uomo è perciò una parte separabile solo in virtù di un’astrazione della vivente unità psico-fisica in cui si manifesta un'esistenza e una vita umana, Il sistema di queste unità viventi è la realtà che costituisce l’oggetto delle scienze storicosociali. In virtù del duplice punto di vista del nostro apprendimento, l'uomo come unità vivente è per noi (quale che sia il suo stato metafisico) una connessione di fatti spirituali fin dove giunge la consapevolezza interiore, ed è invece un complesso corporeo nella misura in cui apprendiamo per mezzo dei sensi. La consapevolezza interiore e l'apprendimento esterno non si compiranno mai nello stesso atto, e quindi il fatto della vita spirituale non ci è mai dato contemporancamente a quello del corpo. Ne derivano necessariamente per la coscienza scientifica che voglia cogliere i i fatti spirituali e il mondo corporeo nella loro connessione, di cui è espressione la vivente unità psico-fisidue punti di vista differenti, e tra loro irriducibili. Se procedo dall’esperienza interna, troverò l’intero mondo esterno dato nella mia coscienza: le leggi di questo complesso naturale sottostanno alle condizioni della mia coscienza e dipendono quindi da esse. Questo è il punto di vista che la filosofia tedesca a cavallo tra il secolo xvi e il nostro designava come filosofia trascendentale. Se invece assumo la connessione della natura quale essa mi si offre come realtà nel mio apprendimento naturale, e percepisco i fatti psichici come inseriti nella successione temporale di questo mondo esterno nonché nella sua suddivisione spaziale, troverò che le trasformazioni della vita spirituale dipendono dall’intervento della natura o dell’esperimento, consistente in trasformazioni materiali provocate agendo sul sistema nervoso: un'osservazione dello sviluppo della vita e degli stati morbosi allarga queste esperienze in un quadro complessivo del condizionamento dell’elemento spirituale da parte dell’elemento corporeo. Sorge allora il modo di concepire proprio dello scienziato che procede dall’esterno ver-so l’interno, dalle trasformazioni materiali alle trasformazioni spirituali. Così l’antagonismo tra il filosofo e lo scienziato è condizionato dall’antitesi dei loro rispettivi punti di partenza. ‘Procediamo ora dal tipo di considerazione proprio della scienza naturale. Finché questo tipo di considerazione rimane consapevole dei propri limiti, i suoi risultati sono incontestabili. Essi ricevono una più precisa determinazione del loro valore conoscitivo soltanto dal punto di vista dell'esperienza interna. La scienza della natura analizza la connessione causale del corso naturale. Laddove quest’analisi ha raggiunto il punto in cui una situazione o una trasformazione materiale è legata in maniera regolare con una situazione o una trasformazione psichica, senza che sia possibile rinvenire tra loro un ulteriore elemento intermedio, allora si può soltanto constatare questa relazione regolare, ma non si può applicare a tale relazione il rapporto di causa ed effetto. Noi scopriamo che le uniformità di un ambito di vita sono regolarmente collegate con uniformità dell’altro, e l’espressione di questo rapporto è dato dal concetto matematico di funzione. Una concezione di tale rapporto, che consenta di paragonare il corso delle trasformazioni spirituali e di quelle corporee alla marcia di due orologi caricati in modo identico, è in accordo con l’esperienza tanto quanto una concezione che assuma come base esplicativa uno solo dei due orologi, considerando entrambi gli ambiti di esperienza come manifestazioni diverse di uno stesso fondamento. La dipendenDI za dell’elemento spirituale dalla connessione della natura è quindi il rapporto secondo il quale la connessione universale della natura condiziona causalmente quelle situazioni e trasformazioni materiali che sono per noi collegate regolarmente, e senza un’ulteriore mediazione, con situazioni e trasformazioni spirituali. In tal modo la conoscenza naturale vede la concatenazione delle cause spingere i suoi effetti fino alla vita psico-fisica; qui sorge una trasformazione in cui la relazione tra materiale e psichico si sottrae alla concezione causale, e questa trasformazione ne richiama a sua volta una nel mondo materiale. In questo contesto l’importanza della struttura del sistema nervoso si rivela all’esperimento del fisiologo. I confusi fenomeni della vita vengono dipanati in una chiara rappresentazione dei rapporti di dipendenza, nella cui successione il corso naturale spinge le sue trasformazioni fino all’uomo; queste poi penetrano, attraverso le porte degli organi di senso, nel sistema nervoso: sorgono la sensazione, la rappresentazione, il sentimento e il desiderio, che hanno poi un’azione retroattiva sul corso della natura. La stessa unità vivente, che ci riempie col sentimento immediato della nostra inscindibile esistenza, viene risolta in un sistema di relazioni tra i fatti della nostra coscienza e la struttura e le funzioni del sistema nervoso che possono essere empiricamente accertate: infatti ogni azione psichica si mostra collegata con una trasformazione all’interno del nostro corpo soltanto attraverso il sistema nervoso, e da parte sua la trasformazione corporea è accompagnata da un mutamento del nostro stato psichico soltanto attraverso l’effetto che ha sul sistema nervoso. Da quest’analisi delle viventi unità psico-fisiche sorge ora una più chiara rappresentazione della loro dipendenza dalla connessione complessiva della natura, all’interno della quale esse compaiono e operano, e dalla quale nuovamente si ritraggono, nonché dalla dipendenza dello studio della realtà storico-sociale dalla conoscenza della natura. Su questa base si può stabilire il grado di attendibilità delle teorie di Comte e di Spencer in merito alla posizione di queste scienze all’interno della gerarchia della scienza nel suo insieme, da essi formulata. Poiché questo scritto si propone di fondare la relativa autonomia delle scienze dello spirito, esso deve pure sviluppare in quanto aspetto complementare della loro posizione nel complesso delle WILHELM DILTHEY 107 scienze il sistema delle dipendenze in virtù del quale esse sono condizionate dalla conoscenza naturale e costituiscono quindi il momento ultimo e supremo della costruzione che ha inizio con la fondazione matematica. I fatti dello spirito sono i limiti superiori dei fatti della natura; i fatti della natura costituiscono le condizioni inferiori della vita spirituale. Proprio perché il regno delle persone, cioè la società umana, è la manifestazione suprema del mondo dell’esperienza terrena, la sua conoscenza ha bisogno in innumerevoli punti della conoscenza del sistema di presupposti che risiedono, per il suo sviluppo, nella natura. E invero l’uomo, in virtù della sua posizione entro la connessione causale della natura, è condizionato da questa secondo una duplice relazione. Come abbiamo visto, l’unità psico-fisica riceve continuamente influenze, per il tramite del sistema nervoso, dal corso universale della natura, e a sua volta agisce su di esso. È tuttavia proprio della sua natura che le influenze che da essa procedono assumano principalmente la forma di un agire diretto da scopi. Per questa unità psico-fisica il corso della natura e la sua qualità da un lato determina la formazione degli scopi, dall'altro contribuisce al raggiungimento di questi scopi come un sistema di mezzi. E perciò noi stessi esistiamo là dove vogliamo, dove operiamo sulla natura, appunto perché non siamo forze cieche, bensì volontà che stabiliscono riflessivamente i loro scopi indipendenti dalla connessione della natura. Pertanto le unità psico-fisiche si trovano in una duplice dipendenza rispetto al corso naturale. Da una parte questo condiziona, in quanto sistema di cause a partire dal posto della terra nell'insieme del cosmo la realtà storico-sociale, e il grande problema del rapporto tra connessione naturale e libertà all'interno di tale realtà si scompone, per lo scienziato empirico, in innumerevoli questioni particolari riguardanti il rapporto tra fatti dello spirito e influenze della natura. D'altra parte, dagli scopi di questo regno di persone scaturiscono effetti retroattivi sulla matura, sulla terra che l’uomo considera in questo senso come propria abitazione, e in cui agisce per accomodarvisi; anche questi effetti retroattivi sono legati all’utilizzazione della connessione legale della natura. Tutti gli scopi si presentano in definitiva all'uomo soltanto all’interno del processo spirituale, giacché solo in esso esiste qualcosa per lui; ma lo scopo cerca i suoi mezzi nella connessione della natura. Quanto poco percepibile è spesso la trasformazione prodotta nel mondo esterno dalla potenza creatrice dello spirito! E tuttavia soltanto su di essa poggia la mediazione in virtù della quale il valore così creato esiste anche per gli altri. I pochi fogli che, come residuo materiale di un più profondo lavoro intellettuale degli antichi nella direzione dell’ipotesi di un movimento della terra, pervennero nelle mani di Copernico, sono diventati il punto di partenza di una rivoluzione nella nostra visione del mondo. A questo punto si può intuire quanto sia relativa la reciproca delimitazione di queste due classi di scienze. Polemiche come quelle condotte a proposito della posizione della linguistica generale sono infruttuose. In entrambi i luoghi di trapasso che conducono dallo studio della natura a quello dello spirito, nei punti in cui la connessione della natura influenza lo sviluppo dell’elemento spirituale e negli altri in cui invece riceve l’influenza dell'elemento spirituale oppure costituisce il luogo di passaggio per l’influenza su un altro elemento spirituale, le conoscenze relative alle due classi di scienze si mescolano sempre. Le conoscenze delle scienze naturali si mescolano con quelle delle scienze dello spirito. E infatti in questa connessione in conformità alla duplice relazione con cui il corso naturale condiziona la vita dello spirito la conoscenza dell'influenza formativa della natura si intreccia spesso con la constatazione dell’influenza che essa esercita come materiale dell’agire. Così dalla conoscenza delle leggi naturali di formazione dei suoni deriva una parte importante della grammatica e della teoria musicale, e il genio del linguaggio o della musica è a sua volta legato a queste leggi naturali: lo studio delle sue funzioni è quindi condizionato dalla comprensione di tale dipendenza. A questo punto si può inoltre intuire che la conoscenza delle condizioni presenti nella natura, e formulate dalla scienza naturale, costituisce in larga misura il fondamento dello studio dei fatti spirituali. Come lo sviluppo ‘dell’uomo singolo, così anche la diffusione del genere umano sulla terra e la formazione dei suoi destini nella storia sono condizionate dall’intera connessione cosmica. Per esempio, le guerre costituiscono un elemento fondamentale di ogni storia: in quanto storia politica, essa ha a che fare con la volontà di stati, ma questa si presenta in armi e si impone per mezzo loro. La teoria della guerra dipende però in primo luogo dalla conoscenza dell’elemento fisico, che offre terreno e mezzi alle volontà in conflitto: la guerra persegue infatti lo scopo di imporre al nemico la nostra volontà con i mezzi della violenza fisica. Ciò implica che l’avversario dev'essere costretto, fino a essere privo di difesa che è lo scopo teorico di quell’atto di violenza designato come guerra cioè fino al punto in cui la sua situazione diventa più svantaggiosa del sacrificio che gli si richiede, e può essere scambiata soltanto con una situazione ancor più svantaggiosa. In questo grande calcolo, dunque, i numeri che risultano più importanti per la scienza, e di cui essa si occupa in primo luogo, sono le condizioni e i mezzi fisici, mentre c'è assai poco da dire circa i fattori psichici. Le scienze dell’uomo, della società e della storia hanno dunque a loro fondamento le scienze della natura, anzitutto perché le stesse unità psico-fisiche possono essere studiate soltanto con l’aiuto della biologia, e inoltre perché il mezzo in cui ha luogo il loro sviluppo e la loro attività teleologica, e al cui dominio tale attività si riferisce in gran parte, è la natura. Sotto il primo aspetto, il loro fondamento è costituito dalle scienze dell’organismo, sotto il secondo prevalentemente da quelle della natura inorganica. La connessione che si deve spiegare in questi termini poggia da una parte sul fatto che queste condizioni naturali determinano lo sviluppo e la distribuzione della vita spirituale sulla superficie terrestre, dall'altra sul fatto che l’attività teologica dell’uomo è legata alle leggi della natura e quindi condizionata dalla loro conoscenza e utilizzazione. Il primo rapporto indica pertanto solo una dipendenza dell’uomo dalla natura, mentre il secondo contiene questa dipendenza soltanto come aspetto complementare della storia del suo crescente dominio sulla terra. Quella parte del primo rapporto che racchiude in sé le relazioni dell’uomo con la natura circostante è stata sottoposta da Ritter al metodo comparativo. Brillanti intuizioni, e in particolare la sua valutazione comparativa dei continenti in base alla struttura dei loro contorni, lasciavano intravvedere una predestinazione della storia universale fissata II10 nei rapporti spaziali della terra. I lavori successivi non hanno però confermato quest’intuizione, concepita da Ritter" come una teleologia della storia universale, e poi posta da Buckle® al servizio del naturalismo: al posto della rappresentazione di una dipendenza uniforme dell’uomo dalle condizioni naturali è subentrata la rappresentazione più prudente secondo cui la lotta delle forze etico-spirituali contro le condizioni della morta spazialità ha continuamente diminuito nei popoli storici a differenza dai popoli privi di storia il rapporto di dipendenza. Anche qui si è affermata una scienza autonoma della realtà storico-sociale, che utilizza a scopo di spiegazione le condizioni naturali. L’altro rapporto mostra invece con la dipendenza inerente all’adattamento alle condizioni naturali che il dominio della spazialità è così legato al pensiero scientifico e alla tecnica che l'umanità nella sua storia riesce a prevalere proprio in virtù della subordinazione. Natura enim non nisi parendo vincitur®. Il problema del rapporto delle scienze dello spirito con la conoscenza della natura può quindi esser considerato risolto soltanto se si risolve l’antitesi, dalla quale siamo partiti, tra il punto di vista trascendentale, secondo cui la natura è sottoposta alle condizioni della coscienza, e il punto di vista oggettivo-empirico, secondo cui lo sviluppo dell’elemento spirituale è sottoposto alle condizioni della totalità della natura. Questo compito costituisce un aspetto del problema della conoscenza. Se si isola questo problema per le scienze dello spirito, non appare impossibile una soluzione convincente per tutti. Le sue condizioni sarebbero la dimostrazione della realtà oggettiva dell’esperienza interna e la comprova dell’esistenza di un mondo esterno; pera. Bacone, De interpretatione naturae et regno hominis, aforisma 3. 8. Karl Ritter (1779-1859) fu uno dei maggiori gcografi tedeschi della prima metà dell'Ottocento: la sua opera principale è Die ErdAunde im Verhiltnis zur Natur und Geschichte des Menschen (1817-18, 2° cd. 1822-58), che offre una descrizione sistematica del Vecchio Mondo, ispirata al presupposto (di origine herderiana) dell’individualità dei continenti e alla considerazione dell'azione trasformatrice dell'ambiente da parte dell’uomo. 9. Henry Thomas Buckle (1821-1862), storico inglese, autore di una History of Civilization in England (1857-61) di ispirazione positivistica. tanto in questo mondo esterno fatti ed esseri spirituali esistono in virtù di un processo di trasposizione della nostra interiorità in essi. Come l'occhio accecato dal sole ne ripete in modo variopinto l’immagine nei luoghi più vari dello spazio, così il nostro apprendimento moltiplica l’immagine della nostra vita interiore e la colloca in svariate maniere nei più diversi luoghi della natura circostante: questo processo può essere però esposto e giustificato logicamente come un’inferenza analogica da questa vita interiore originaliter data in modo immediato soltanto a noi, attraverso le rappresentazioni delle manifestazioni ad essa concatenate, a qualcosa di affine corrispondente a manifestazioni affini del mondo esterno, che sta a loro fondamento. Qualunque cosa sia la natura in se stessa, lo studio delle cause della realtà spirituale può accontentarsi del fatto che in ogni caso i suoi fenomeni possono venir concepiti e utilizzati come segni del reale, e le uniformità presenti nei suoi rapporti di coesistenza e di successione possono venir concepite come segni di uniformità presenti nel reale. Se però ci si introduce nel mondo dello spirito e si indaga la natura o in quanto contenuto dello spirito o in quanto scopo o mezzo intessuto nelle volontà, per lo spirito la natura è appunto ciò che essa è in lui, e qui è del tutto indifferente quale possa essere in sé. È sufficiente che lo spirito possa far conto nel suo agire, comunque la natura gli sia data, sulla sua legalità, e possa gustare la bella apparenza della sua esistenza. III. PROSPETTIVE SULLE SCIENZE DELLO SPIRITO Le scienze dello spirito non si sono ancora costituite a complesso unitario; esse non sono ancora in grado di stabilire una connessione in cui le singole verità siano ordinate secondo i loro rapporti di dipendenza da altre verità e dall'esperienza. Queste scienze sono cresciute nella prassi stessa della vita, sviluppandosi in base alle esigenze della formazione professionale, e la sistematicità delle facoltà al servizio di tale formazione è quindi la forma spontanea della loro connessione. I loro primi concetti e le loro prime regole sono state quindi trovate per lo più nell’esercizio delle funzioni sociali. Jhering!® ha dimostrato che il pensiero giuridico ha prodotto i concetti fondamentali del diritto romano mediante un cosciente lavoro spirituale compiutosi nella stessa vita del diritto. Anche l’analisi delle più antiche costituzioni greche indica in esse i precipitati dell’ammirevole forza di un pensiero politico consapevole fondato su concetti e princìpi chiari. L'idea fondamentale in base alla quale la libertà dell’individuo viene riposta nella sua partecipazione al potere politico, ma questa è regolata dall’ordinamento statale in conformità alla funzione che l’individuo assolve per il tutto, è stata dapprima decisiva per l’arte politica, e soltanto in seguito è stata elaborata in forma scientifica dai grandi teorici della scuola socratica. Il progredire verso teorie scientifiche comprensive si appoggiava quindi prevalentemente sul bisogno di una formazione professionale dei ceti dirigenti. Così già nella Grecia, dai compiti di un insegnamento politico superiore sorsero, nell’età dei Sofisti, la retorica e la politica; e la storia della maggior parte delle scienze dello spirito nei popoli moderni mostra l’influenza dominante del medesimo rapporto fondamentale. La letteratura dei Romani riguardo alla loro comunità ricevette la sua struttura più antica dal fatto di essersi sviluppata in forma di istruzioni per i sacerdoti e per i singoli magistrati®. Perciò la sistematica di quelle scienze dello spirito che contengono la base per la formazione professionale degli organi dirigenti della società, come anche l’esposizione di tale sistematica in veste enciclopedica, è emersa in definitiva dal bisogno di un compendio su quanto occorre a tale propedeutica; e la forma più naturale delle enciclopedie sarà sempre come Schleiermacher ha magistralmente mostrato a proposito della teologia quella che si articola con la coscienza di tale scopo. Con queste condizioni limitative, chi penetri nelle a. Cir. T. Mommsen, Romisches Staatsrecht, Leipzig, vol. I, 1871, p. 3 SBg10. Rudolph von Jhering (1818-1892), giurista c filosofo del diritto tedesco, autore di Der Geist des ròmischen Rechts (1852-65), di Der Kampf ums Recht (1872), di Der Zweck im Recht (1877-84) c di numerose altre opere, alcune delle quali pubblicate postume, diede un contributo fondamentale alla considerazione storico-istituzionale del diritto c, in particolare, all'analisi del diritto romano. scienze dello spirito troverà nelle opere enciclopediche uno sguardo d’insieme sui singoli gruppi importanti di queste scienze?. Vari tentativi che vanno al di là di queste funzioni di scoprire la struttura complessiva delle scienze che hanno per oggetto la realtà storico-sociale hanno preso le mosse dalla filosofia. In quanto cercavano di derivare questa connessione da princìpi metafisici, essi sono ricaduti nel destino che tocca a ogni metafisica. Già Bacone si servì di un metodo migliore, ponendo le scienze dello spirito allora esistenti in relazione con il problema di una conoscenza della realtà sulla base dell’esperienza, e commisurò a questo compito le loro funzioni e i loro difetti. Comenio" si propose, con la sua pansofia, di derivare dal rapporto di reciproca dipendenza interna delle verità la successione di gradi in cui esse devono presentarsi nell’insegnamento; e poiché in tal modo, opponendosi al falso concetto di una istruzione formale, scoprì il principio fondamentale di un’educazione futura (purtroppo al di là da venire ancor oggi), con il principio della dipendenza reciproca delle verità preparò anche una struttura appropriata delle scienze. Comte, sottoponendo a indagine la relazione tra questo rapporto logico di dipendenza in cui stanno tra loro le verità e il rapporto storico di successione in cui esse compaiono, creò il fondamento per un'autentica filosofia delle scienze. Egli consia. Per uno sguardo d'insieme di questo tipo su particolari campi delle scienze dello spirito, si rimanda alle seguenti enciclopedie: R. von MoHI, Enzyklopidie der Staatswissenschaften, Tubingen, 1859, 2° ed. non riveduta 1873; 3* ed. 1881 (si veda inoltre la panoramica e la valutazione di altre enciclopedie nella sua Geschichte und Literatur der Staatswissenschaften in Monographien dargestellt, Erlangen, vol. I, 1855, pp. 111-46); L. A. WarNnKONIG, /uristische EnzyKlopéidie oder organische Darstellung der Rechtswissenschaft, Erlangen, 1853; F. E. D. ScHLErERMAcHER, Kurze Darstellung des theologischen Studiums, Berlin, 1810, 2° ed. riveduta 1830; A. Bòcgn, Enzyklopidie und Methodologie der philologischen Wissenschaften (a cura di E. Bratuschek), Leipzig, 1877. 11. Jan Amos Komensky, lat. Comenius (1592-1670), filosofo e pedagogista moravo, autore della Didactica magna (1631) e di varie altre opere, appartenne alla comunità dei Fratelli Boemi e fu coinvolto nelle guerre di religione, che lo costrinsero all'esilio. Il suo pensiero, ispirato all'ideale della pansofia , ha ispirato un largo movimento di riforma educativa, in Germania e fuori. derò la costituzione delle scienze delle realtà storico-sociali come il fine del suo grande lavoro, e di fatto la sua opera diede luogo a un forte movimento in questa direzione: John Stuart Mill, Littré!”, Herbert Spencer hanno ripreso il problema della connessione delle scienze storico-sociali®. Questi lavori assicurano a colui che si introduca nelle scienze dello spirito uno sguardo d'insieme di tipo completamente diverso da quello che offre la sistematica degli studi professionali. Essi collocano le scienze dello spirito nella connessione della conoscenza, ne colgono il problema nel suo ambito complessivo e ne intraprendono la soluzione entro una costruzione scientifica che comprende tutta la realtà storico-sociale. Però, pieni della smania temeraria di costruzione scientifica oggi dominante in Inghilterra e in Francia, privi dell’intimo sentimento della realtà storica che si forma solamente in base a una consuetudine pluriena. Uno sguardo d'insieme sui problemi delle scienze dello spirito, secondo la connessione interna in cui stanno tra loro in rapporto sotto il profilo metodologico e in cui si può quindi ottenerne una coerente soluzione, si trova abbozzata in A. Comte, Cours de philosophie positive, Paris, 182042 (nei volumi IV-VI). Le sue opere successive, che contengono un punto di vista modificato, non possono servire a questo scopo. Il più importante abbozzo di sistema delle scienze ad esso opposto è quello di Herbert Spencer. Al primo attacco a Comte (in Essays, prima serie, London, 1858) Spencer faceva seguire un'esposizione più precisa in The Classification of the Sciences, London, 1864 (cfr. la difesa di Comte in E. Lirtré, Auguste Comte et la philosophie positive, Paris, 1863). Ma la più compiuta esposizione del complesso delle scienze dello spirito è ora offerta dal suo System of Synthetic Philosophy, del quale sono apparsi per primi, nel 1855, i Principles of Psychology, e poi a partire dal ’76 i Principles of Sociology (in relazione all'opera Descriptive Sociology); la parte conclusiva, i Principles of Ethics e Spencer stesso dichiara di ritenerli quelli per cui tutti i precedenti costituiscono soltanto il fondamento tratta nel primo volume, apparso nel 1879, i fatti dell'etica [The Data of Ethics, London, 1879]. Accanto a questo tentativo di delineare una teoria della realtà storico-sociale, merita ancora di essere menzionato quello di John Stuart Mill, contenuto nel sesto libro di A System of Logic, Ratiocinative and Inductive, London, 1851 (che tratta della logica delle scienze dello spirito o scienze morali), e nello scritto August Comte and Positivism, London, 1866. 12. Maximilien-Paul-Emile Littré (1801-1881), scienziato e filosofo francese, fu allievo e divulgatore del pensiero di Comte, a cui dedicò vari scritti; si distaccò tuttavia dal maestro, rifiutando l'esito religioso della filosofia comtiana,  nale con questa realtà nella ricerca particolare, i positivisti non hanno trovato quel punto di partenza per i loro lavori che avrebbe dovuto corrispondere al loro principio della connessione delle scienze particolari. Essi avrebbero dovuto cominciare il loro lavoro studiando l’architettonica dell'immenso edificio delle scienze positive, continuamente ampliato da aggiunte, sempre trasformato dall'interno, sorto a poco a poco attraverso i millenni, renderlo comprensibile attraverso l’approfondimento del suo piano di costruzione e così render giustizia — con un’intuizione feconda per la ragione della storia alla molteplicità di aspetti con cui si sono effettivamente sviluppate queste scienze. Essi hanno invece innalzato un edificio provvisorio che non è sostenibile più di quanto lo siano le temerarie speculazioni di Schelling o di un Oken” sulla natura. È così accaduto che le filosofie dello spirito tedesche sviluppate sulla base di un principio metafisico di Hegel, di Schleiermacher e del tardo Schelling impieghino l’acquisizione delle scienze positive dello spirito con una penetrazione più profonda dei lavori di questi filosofi positivi. Dall’approfondimento dei compiti delle scienze dello stato hanno preso le mosse in Germania altri tentativi di fornire una struttura comprensiva nel campo delle scienze dello spirito, provocando però ovviamente un'unilateralità del punto di vista ?. Le scienze dello spirito non costituiscono un complesso fornito di una costituzione logica analoga alla struttura della conoa. Il punto di partenza è rappresentato dalle discussioni sul concetto di società e sul compito delle scienze sociali, nelle quali si è cercata un'integrazione alle scienze dello stato. La spinta è stata data da L. von STEIN, Der Sozialismus und Communismus des heutigen Frankreichs, Leipzig, 2° ed. 1848, e da R. von Mont, Gesellschafts-Wissenschaften und Staats-Wissenschaften, Zeitschrift fr die gesamte Staatswissenschaft , VII, 1851, PP. 3-71, ripreso nella sua Geschichte und Literatur der Staatswissenschaften, Erlangen, vol. I, 1855, pp. 67-110. Indichiamo come particolarmente rilevanti due tentativi di articolazione, cioè quelli di L. von STEIN, System der Staatswissenschaft, Stuttgart, 1852-56, e di A. ScHarrLe, Bau und Leben des sozialen Kòrpers, Tùbingen, 1875-78. 13. Lorenz Oken, naturalista, autore di numerose opere di filosofia della natura che si ispirano all’organicismo schellinghiano. scenza naturale. La loro connessione si è sviluppata diversamente e deve quindi essere considerata ora così come è storicamente cresciuta. IV. IL MATERIALE DELLE SCIENZE DELLO SPIRITO Il materiale di queste scienze è costituito dalla realtà storico-' sociale in quanto essa è conservata nella coscienza dell’umanità come un insieme di conoscenze storiche, ed è stata resa accessibile alla scienza sotto forma di una conoscenza sociale che va al di là della situazione attuale. Per quanto sterminato sia questo materiale, salta tuttavia agli occhi la sua incompiutezza. Interessi in nessun modo corrispondenti all'esigenza della scienza e condizionati dalla tradizione pure privi di qualsiasi relazione con quest’esigenza hanno determinato lo stato della nostra conoscenza storica. Fin dall'epoca in cui, raccolti intorno al fuoco dell’accampamento, i compagni di tribù e d’arme narravano le gesta dei loro eroi e l’origine divina della loro stirpe, il forte interesse della vita in comune ha salvato e conservato alcuni fatti dall’oscuro fluire della vita umana abituale. L'interesse dell’epoca successiva e la vicenda storica hanno deciso che cosa di questi fatti dovesse giungere fino a noi. La storiografia come libera arte espositiva accoglie una parte di questo sterminato complesso, cioè quella che appare fornita di interesse da un qualche punto vista. Ne consegue che la società odierna vive, per così dire, sugli strati e sulle rovine del passato; i precipitati del lavoro culturale presenti nel linguaggio e nella superstizione, nel costume e nel diritto, come pure nelle trasformazioni materiali che vanno oltre le testimonianze, contengono tutti una tradizione che sorregge le testimonianze in modo inestimabile. Anche per la loro conservazione ha deciso la mano della vicenda storica. Soltanto in due punti si trova uno stato del materiale che corrisponde alle esigenze della scienza. Il corso dei movimenti spirituali nell'Europa moderna è conservato con sufficiente compiutezza negli scritti che ne sono parte costitutiva. Così pure i lavori della statistica consentono per il breve periodo e il ristretto ambito di paesi DILTHEY II7 in cui sono stati applicati di gettare uno sguardo numericamente fondato nei fatti della società che quei lavori accolgono: essi permettono di fornire alla conoscenza dello stato attuale della società un fondamento esatto. L’impossibilità di penetrare nella connessione di questo materiale sterminato conduce a tale lacunosità; anzi ha contribuito non poco a rafforzarla. Non appena lo spirito umano cominciò a sottoporre la realtà ai suoi principi, esso si rivolse anzitutto, preso dallo stupore, al cielo; questa vòlta al di sopra di noi, che sembra poggiare sul cerchio dell’orizzonte, lo occupò tutto: una totalità spaziale in sé conclusa che sempre e dovunque avvolge gli uomini. Così l’orientamento nell'edificio del mondo fu il punto di partenza della ricerca scientifica, nei paesi orientali come in Europa. Il cosmo dei fatti spirituali non si offre invece alla vista nella sua immensità, ma si offre soltanto allo spirito raccoglitore del ricercatore; esso emerge in alcune parti singole, dove uno studioso collega dei fatti, li esamina e li accerta: allora esso si costituisce nell’interiorità dell'animo. Un vaglio critico delle tradizioni, l'accertamento dei fatti e la loro raccolta costituiscono quindi un primo lavoro comprensivo delle scienze dello spirito. Dopo che la filologia elaborò una tecnica esemplare sulla materia più difficile e bella della storia, l’antichità, questo lavoro in parte viene condotto in innumerevoli ricerche particolari, in parte viene a costituire un elemento di indagini ulteriori. La connessione di questa pura descrizione della realtà storico-sociale in quanto si propone, sulla base della fisica della terra, con l'ausilio della geografia, di descrivere la distribuzione dell’elemento spirituale e delle sue differenze sulla terra, nel tempo e nello spazio può acquistare la sua capacità di penetrazione sempre soltanto se la riconduce a chiare misure spaziali, a rapporti numerici, a determinazioni temporali, con strumenti di rappresentazione grafica. La semplice raccolta e il semplice vaglio del materiale si trasformano qui gradualmente in una sua elaborazione e articolazione concettuale. Le scienze dello spirito, così come esse sono e operano, in virtù della ragione immanente che agisce nella loro storia non già nel modo che desiderano alcuni architetti temerari, i quali vorrebbero costruirle su nuova base congiungono in sé tre distinte classi di asserzioni. Le asserzioni della prima classe esprimono un reale che è dato nella percezione: esse contengono l’elemento storico della conoscenza. Le asserzioni della seconda classe enunciano il comportamento uniforme delle parti di questa realtà, isolate mediante un’astrazione: esse formano l'elemento teorico di essa. Le asserzioni dell’ultima classe esprimono giudizi di valore e prescrivono regole: in esse è racchiuso l'elemento pratico delle scienze dello spirito. Fatti, teoremi, giudizi di valore e regole da queste tre classi di proposizioni sono costituite le scienze dello spirito. E la relazione tra orientamento storico, orientamento teorico astratto e orientamento pratico si presenta come un rapporto fondamentalmente comune a tutte queste discipline. La comprensione del singolare, dell’individuale rappresenta in esse uno scopo ultimo e in ciò esse sono la costante confutazione del principio spinoziano omnis determinatio est negatio al pari della formulazione di uniformità astratte. Dalla sua prima radice nella coscienza fino alla vetta suprema, la connessione dei giudizi di valore e degli imperativi è indipendente dalla connessione delle prime due classi. La relazione reciproca di questi tre compiti nella scienza pensante può essere sviluppata soltanto nel corso di un'analisi di teoria della conoscenza (o, in senso più ampio, dell’auto-riflessione). In ogni caso le osservazioni concernenti la realtà rimangono separate dai giudizi di valore e dagli imperativi anche alla radice: sorgono così due tipi di proposizioni, che sono distinte in linea di principio. Al tempo stesso si deve riconoscere che questa distinzione all’interno delle scienze dello spirito ha come conseguenza una loro duplice connessione. Una volta sviluppate, le scienze dello spirito contengono, accanto alla conoscenza di ciò che è, la coscienza della connessione dei giudizi di valore e degli imperativi, nella quale si congiungono DILTHEY 119 valori, ideali, regole, nonché la tendenza alla formazione del futuro. Un giudizio politico che respinge un'istituzione non è né vero né falso, ma è giusto o ingiusto, in quanto se ne valuta la tendenza, il fine; vero o falso può essere invece un giudizio politico che illustri le relazioni di questa istituzione con altre istituzioni. Soltanto se si assume questa prospettiva per interpretare la proposizione, l’asserzione, il giudizio, si può fondare una teoria della conoscenza che non comprima la realtà oggettiva delle scienze dello spirito nei limiti ristretti di una conoscenza di uniformità, secondo l’analogia con le scienze della natura, venendo pertanto a mutilarle, ma che le comprenda e dia loro un fondamento così com’esse si sono sviluppate. Gli scopi delle scienze dello spirito cogliere l’aspetto singolare e individuale delle realtà storico-sociale, conoscere le uniformità operanti della sua formazione, determinare fini e regole per il suo ulteriore sviluppo possono essere conseguiti soltanto mediante gli strumenti del pensiero, cioè mediante l’analisi e l’astrazione. L'espressione astratta in cui si prescinde da determinati aspetti della situazione, mentre se ne sviluppano altri, non è il fine ultimo esclusivo di queste scienze, ma è il loro mezzo indispensabile. Come il conoscere che procede per astrazione non può risolvere in sé l’autonomia degli altri scopi di queste scienze, così né la conoscenza storica né quella teorica né lo sviluppo delle regole che dirigono di fatto la società possono far a meno di tale conoscere. La disputa tra la scuola storica e la scuola astratta è sorta in quanto la scuola astratta ha commesso il primo di questi errori, e la scuola storica l’altro. Ogni scienza particolare sorge soltanto mediante l’artificio dell'isolamento di una parte dall’insieme della realtà storico-sociale. La storia prescinde da quei caratteri della vita di un particolare uomo o di una particolare società che si presentano identici, nell’epoca da essa indagata, con quelli di tutte le altre epoche; il suo sguardo è diretto a quel che c’è di distintivo e di singolare. In ciò il singolo storico può ingannarsi, in quanto da tale direzione del suo sguardo già deriva la selezione di certi aspetti nelle sue fonti; ma chi mette a confronto il procedimento effettivo dello storico con il complesso della realtà storico-sociale, dovrà ben riconoscerlo. Da ciò deriva l'importante principio che ogni scienza particolare dello spirito conosce la realtà storico-sociale solo relativamente, in quanto ha coscienza della propria relazione con le altre scienze dello spirito. L’organizzazione di queste scienze e il loro corretto sviluppo nella loro particolarità dipendono pertanto dalla capacità di tener presente la relazione di ognuna delle loro verità con il complesso della realtà della quale fanno parte, nonché della costante consapevolezza dell’astrazione in virtù della quale queste verità sussistono e del limitato valore conoscitivo che ad esse spetta a causa di questo loro carattere astratto. Tre diversi compiti deve assolvere la fondazione delle scienze dello spirito. Essa determina il carattere generale della connessione in cui, sulla base del dato, sorge in questo campo un sapere universalmente valido: si tratta qui della struttura logica generale delle scienze dello spirito. Occorre poi illustrare la costruzione del mondo spirituale nei suoi campi particolari, quale avviene nelle scienze dello spirito attraverso l’intreccio delle loro operazioni. Questo è il secondo compito, e nel corso della sua soluzione verrà gradualmente in luce, per astrazione dal loro stesso procedimento, la dottrina del metodo delle scienze dello spirito. Infine si cercherà quale sia il valore conoscitivo di queste operazioni delle scienze dello spirito e in quale misura sia possibile, mediante la loro cooperazione, un sapere oggettivo intorno ai fenomeni spirituali. Tra questi due ultimi compiti c'è una stretta connessione interna. La distinzione delle varie operazioni rende possibile provarne il valore conoscitivo, e questo esame mostra in quale misura sia possibile, in virtù di esse, tradurre in sapere la realtà che è oggetto delle scienze dello spirito e la connessione reale in essa sussistente: in tale maniera si otterrà un fondamento autonomo della conoscenza per il nostro campo, mentre * Der Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften, parte III: Allgemeine Sitze fiber den Zusammenhang der Geisteswissenschaften, Abhandlungen der kSniglich Preussischen Akademie der Wissenschaften (Philosophisch-historische Classe), 1910, pp. 49-123, ora in Gesammelte Schriften, Leipzig und Berlin, vol. VII, 1927, pp. 120-188 (La costruzione del mondo storico nelle scienze dello spirito, tr. it. di Pietro Rossi, in Critica della ragione storica, Torino, Einaudi, 1954, pp. 200-289). si apre la possibilità di una connessione generale della teoria della conoscenza, il cui punto di partenza risieda nelle scienze dello spirito. Il carattere generale della connessione nelle scienze dello spirito è dunque il nostro prossimo problema. Il punto di partenza è la dottrina della struttura dell’apprendimento oggettivo in genere. Essa mostra in ogni apprendimento una linea progressiva dal dato ai rapporti fondamentali della realtà, che al di lù di quello si rivelano al pensiero concettuale. Le medesime forme di pensiero e le medesime classi di operazioni di pensiero, ad esse subordinate, rendono possibile la connessione scientifica nelle scienze della natura e nelle scienze dello spirito. Su questa base sorgono poi, nell’applicazione di quelle forme e di quelle operazioni di pensiero ai compiti particolari e sotto le condizioni particolari delle scienze dello spirito, i metodi specifici di queste. E poiché i compiti delle scienze producono i metodi di soluzione, i singoli procedimenti costituiscono una connessione interna, condizionata dallo scopo del sapere. L'apprendimento oggettivo costituisce un sistema di relazioni, nel quale sono contenuti percezioni ed Er/ebnisse, rappresentazioni della memoria, giudizi, concetti, deduzioni, insieme alle loro forme composte. A tutte queste operazioni nel sistema dell'apprendimento oggettivo è comune la presenza in esse soltanto di relazioni di fatto: così nel sillogismo sono presenti soltanto i contenuti e le loro relazioni senza che lo accompagni alcuna coscienza di operazioni di pensiero. Il procedimento che suppone al di sotto del dato, come sue condizioni di coscienza, singoli atti che vengono concepiti come corrispondenti alle relazioni di fatto, derivando dalla loro cooperazione la realtà dell'apprendimento oggettivo, contiene un'ipotesi che non può mai essere verificata. I vari Erlebnisse entro questo apprendimento oggettivo sono elementi di una totalità determinata dalla connessione psichica. In questa connessione psichica la conoscenza oggettiva della realtà è la condizione per l’esatta constatazione dei valori e per l’agire conforme allo scopo. Così il percepire, il rappresentare, il giudicare, il dedurre sono operazioni che collaborano nella teleologia della connessione dell’apprendimento, la quale assume quindi il suo posto nella connessione della vita. 1. La prima operazione dell’apprendimento oggettivo sul dato eleva a coscienza distinta ciò che in esso è contenuto, senza far subire un mutamento alla forma della datità. Io chiamo primaria questa operazione, in quanto l’analisi che muove dal pensiero discorsivo non ritrova nessuna operazione più semplice. Essa sta al di là del pensiero discorsivo, il quale è legato al linguaggio e si svolge nei giudizi; poiché gli oggetti, su cui si giudica, presuppongono già operazioni di pensiero. Comincio qui con l’operazione della comparazione. Io trovo il simile e il dissimile, concepisco gradi di distinzione. Davanti a me stanno due foglioline di diverso colore grigio: si osserva la diversità e il grado di diversità nel colore non in base a una riflessione sul dato ma come un elemento di fatto, poiché il colore stesso è uno stato di fatto. Del pari distinguo, nella mia esperienza immediata, gradi di piacere, quando passo dal tocco di un tono determinato e della sua ottava a una completa armonia. Questa operazione di pensiero, con cui soltanto la logica ha che fare, è semplice. E il suo risultato, in rapporto al suo valore di verità, non è diverso dall’osservare un colore o un suono; qualcosa che esiste diventa osservabile. Identità e differenza non sono qualità delle cose come l’estensione o il colore: esse sorgono in quanto l’unità psichica reca a coscienza rapporti che sono contenuti nel dato. E poiché l’affermazione dell’identità e l'affermazione della differenza trovano soltanto ciò che è dato, così come sono dati l'estensione e il colore, esse costituiscono un analogo della percezione stessa; ma in quanto creano concetti di rapporti logici come quelli di identità, di differenza, di grado, di affinità, contenuti nella percezione ma non dati in questa, esse appartengono al pensiero. Sulla base della comparazione sorge un’altra operazione. Quando separo due stati di fatto siamo di fronte, dal punto di vista logico e non si tratta affatto di processi psicologici a un'operazione di pensiero diversa dalla distinzione. Nel dato sono contenuti separatamente due stati di fatto, e viene colta la loro estraneità. Così in un bosco una voce umana, il rumore del vento, il canto di un uccello vengono colti non solo come distinti tra di loro, ma anche come una pluralità. Quando un suono della stessa qualità, cioè della stessa altezza, dello stesso timbro, della stessa intensità e della stessa durata, ritorna una seconda volta in un altro punto del corso temporale, in questa seconda operazione di pensiero sorge la coscienza che il secondo suono è altro dal primo. Un ulteriore rapporto è concepito in un secondo caso di separazione. In una foglia verde posso separare tra loro colore e forma, e allora ciò che coerisce nell’unità dell’oggetto, e che non può venir realmente separato, diventa tuttavia separabile idealmente. Anche quando le condizioni preliminari di quest'operazione di separazione sono molto complesse, l'operazione stessa è tuttavia semplice. Essa è determinata, al pari della comparazione, dal contenuto di fatto che reca a conoscenza. E qui si apre la prospettiva sul processo di astrazione, così importante per la costruzione della logica. La distinzione delle membra di un corpo inerisce alla realtà concreta del corpo; in ognuna delle sue parti è mantenuta questa realtà concreta, ma quando estensione e colore vengono tra loro separati, e il pensiero si rivolge al colore, allora da tale distinzione sorge l’operazione dell’astrazione: di ciò che è stato idealmente separato viene posto in evidenza un aspetto. L'unione di vari elementi distinti si può compiere solo sulla base di una relazione tra questi vari elementi. Noi cogliamo il rapporto spaziale tra stati di fatto distinti,o gli intervalli in cui i processi si susseguono temporalmente. Anche questo collegare e questo unire portano soltanto a coscienza rapporti che già sussistono; ma ciò avviene mediante operazioni di pensiero che hanno a base relazioni, come quelle di spazio e di tempo, di fare e subire. Questo prendere insieme è la condizione perché si costituisca l'intuizione del tempo. Quando il battito di un orologio si succede varie volte, davanti a me sta soltanto il susseguirsi di tali impressioni, ma solo prendendole insieme diventa possibile comprendere questa successione. Questo prendere insieme dà luogo al rapporto logico di una totalità con le sue parti. Sulla base dei rapporti di separazione e della graduale differenza delle relazioni contenute nel sistema di suoni sorge, in questo collegamento, un complesso così condizionato che viene però in luce soltanto nel collegamento stesso, e cioè l'accordo o la melodia. Qui appare particolarmente chiaro come il prendere insieme avviene entro ciò che è contenuto nell’Erlebnis di percezione o di ricordo, e come tuttavia sorge in esso qualcosa che non esisteva senza quel prendere insieme. Noi ci troviamo qui ai limiti che conducono al di sopra della constatazione di ciò che è contenuto in tali rapporti, nella regione della libera fantasia. Questi esempi e non si tratta di nulla di più dimostrano che le operazioni elementari del pensiero spiegazo il dato. Precedendo il pensiero discorsivo, esse ne contengono le premesse, in quanto nella comparazione si preparano la formazione dei giudizi e dei concetti generali e il procedimento comparativo, nella separazione le astrazioni e il procedimento analitico, e infine nelle relazioni ogni specie di operazioni sintetiche. Così un’interna connessione fondante va dalle operazioni elementari di pensiero al pensiero discorsivo, dall’apprendimento del contenuto di fatto degli oggetti ai giudizi su di essi. Ciò che è percepito sensibilmente o immediatamente vissuto trapassa, a un ulteriore grado di coscienza, nella rappresentazione della memoria. In essa si compie un'ulteriore operazione dell'apprendimento oggettivo, a cui corrisponde un particolare rapporto della nuova formazione con il suo fondamento. Questo rapporto della rappresentazione della memoria con il contenuto dell’apprendimento sensibile e dell’Erlebnis è un rapporto di riproduzione. Infatti la libera mobilità delle rappresentazioni è, nel campo dell’apprendimento oggettivo, limitata dall’intenzione di adeguarsi alla realtà e tutti i modi di formazione delle rappresentazioni sono determinati da questo orientamento verso la realtà. In esso sorgono rappresentazioni totali e rappresentazioni generali, preparando un nuovo grado della coscienza. Questo nuovo grado viene alla luce nel pensiero discorsivo: il rapporto di riproduzione cede qui il posto a un’altra relazione entro l'apprendimento oggettivo.Il pensiero discorsivo è legato all’espressione, in primo luogo al linguaggio. In ciò consiste la relazione dell’espressione con ciò che è espresso, mediante la quale sorgono forme linguistiche sulla base dei movimenti degli organi linguistici e delle rappresentazioni dei loro prodotti. La relazione con ciò che in esse viene espresso costituisce la loro funzione: esse hanno un significato come elementi della proposizione, mentre la proposizione medesima ha un senso. La direzione dell’apprendimento va dalla parola e dalla proposizione all'oggetto che esse esprimono: in tal modo sorge la relazione tra Gi proposizione grammaticale, o l’espressione effettuata mediante altri segni, e il giudizio che produce tutte le parti del pensiero discorsivo. Qual è ora il rapporto tra il dato o il contenuto rappresentativo, condizionato dalle precedenti operazioni degli Erlebnisse di apprendimento, e il giudizio? In questo uno stato di fatto viene predicato di un oggetto: da ciò deriva che non si può qui parlare di una riproduzione del dato o del contenuto rappresentativo. Dalla connessione di pensiero procedo alla determinazione positiva del rapporto. Ogni giudizio è analiticamente contenuto in essa, e viene inteso come suo elemento. Nella connessione dell’apprendimento oggettivo ogni sua parte si riferisce, per il tramite della connessione in cui è inserito, al fatto di essere contenuto nella realtà. Questa è infatti la regola suprema a cui sottostà ogni giudizio: esso deve essere contenuto nel dato secondo le leggi formali del pensiero e secondo le forme del pensiero. Anche giudizi che esprimono qualità o azioni di Zeus o di Amleto sono riferiti nella connessione del pensiero a un dato. Così tra il giudizio e le forme finora illustrate dell’apprendimento oggettivo sorge un nuovo rapporto, il quale mostra due aspetti. Questa duplicità è determinata dal fatto che il giudizio da una parte è fondato nel dato, ma dall'altra rende esplicito ciò che in questo è contenuto solo implicitamente, ma in forma esplicitabile. Nella prima relazione sorge il rapporto di rappresentazione: il giudizio rappresenta per mezzo di contenuti di fatto, racchiusi nel dato, elementi del pensiero che soddisfano le esigenze di costanza, chiarezza, distinzione, legame stabile con i segni verbali che sono inerenti al sapere. D'altro lato, i giudizi realizzano l’intenzione dell’apprendimento oggettivo di avvicinarsi dal condizionato, dal particolare e dal mutevole ai rapporti fondamentali della realtà. Il rapporto di rappresentazione si estende all’intera connessione del pensiero discorsivo entro l'apprendimento oggettivo, in quanto questo si compie mediante il giudicare. Il dato nella sua concreta intuitività e il mondo di rappresentazioni che lo riproduce sono in ogni forma del pensiero discorsivo rappresentati da un sistema di relazioni tra elementi stabili del pensiero. E a ciò corrisponde, nella direzione inversa, che quando si ritorna all’oggetto questo conferma e verifica, nella pienezza della sua esistenza intuitiva, il giudizio o il concetto. Proprio per le scienze dello spirito è particolarmente importante che l’intera freschezza e l’intera forza dell’Er/ebris ritornino poi direttamente, o nella direzione dall’intendere all'Erleden. Il rapporto di rappresentazione implica che, in determinati limiti, il dato e il pensato discorsivo siano scambiabili. Se si sottopone ad analisi la connessione del pensiero discorsivo, si presentano in questa dei modi di relazione, i quali ritornano regolarmente prescindendo dal mutamento dei contenuti del pensiero e sussistono al tempo stesso in ogni luogo della connessione del pensiero, nonché in rapporto interno tra di loro; tali forme del pensiero sono il giudizio, il concetto e il sillogismo, che si presentano in ogni parte della connessione del pensiero discorsivo e formano la sua intelaiatura. Ma anche le classi di operazioni del pensiero discorsivo, subordinate a queste forme elementari la comparazione, l'analogia, l’induzione, la partizione, la definizione, e infine la connessione fondante sono indipendenti dalla delimitazione dei singoli campi del pensiero, in particolare dalla reciproca delimitazione delle scienze della natura e delle scienze dello spirito. Esse si distinguono secondo i compiti dell’intera connessione del pensiero, che la realtà pone secondo i suoi rapporti generali, mentre sono le forme particolari del metodo a esser condizionate dalle qualità dei singoli campi. Alla regolarità di queste forme corrisponde la validità del loro lavoro concettuale, e di questa acquistiamo certezza mediante la coscienza dell’evidenza. E le qualità più generali a cui è legata la validità di queste diverse forme, indipendente dal mutare degli oggetti e costante nel venire e nell’andare degli Erlebnisse di pensiero e dei loro soggetti, si esprimono nelle leggi del pensiero. Noi non abbiamo bisogno di superare il rapporto di rappresentazione, quando passiamo dai giudizi di realtà ai giudizi necessari. Un assioma di geometria è necessario in quanto esso esprime i rapporti fondamentali ovunque constatabili con l’analisi dell’intuizione spaziale, e del pari il carattere di necessità delle leggi del pensiero è abbastanza spiegato dal fatto che esse sono ovunque contenute analiticamente nella connessione del pensiero. Un metodo scientifico sorge in quanto le forme e le operazione generali del pensiero vengono collegate in un tutto composto mediante lo scopo racchiuso nella soluzione di un determinato compito scientifico. Se si presentano problemi simili a questo compito, allora il metodo applicato a un campo limitato si rivelerà fecondo anche per un campo più ampio. Spesso un metodo, nello spirito del suo scopritore, non è ancora legato alla coscienza del carattere logico e della portata che lo caratterizzano: questa coscienza sorge soltanto in seguito. Essendosi il concetto di metodo sviluppato per secoli particolarmente nell’uso linguistico dello studioso della natura, anche il procedimento che tratta una questione di dettaglio, ed è quindi assai più complesso, può venir designato come metodo. Quando si aprono differenti vie per la soluzione dello stesso problema, esse vengono differenziate come metodi diversi. Dove le forme di procedere di uno spirito mostrano qualità comuni, la storia delle scienze parla di un metodo di Cuvier! nella paleontologia o di un metodo di Niebuhr? nella critica storica. Con la dottrina del metodo entriamo nel campo in cui comincia a farsi valere il carattere particolare delle scienze dello spirito. 1. Gcorges-Léopold-Chrétien-Frédéric Dagobert barone di Cuvier, naturalista frapcese, autore del Tableau élfmentaire de l'histoire naturelle (1798), delle Legons d’anatomie comparée (1800), delle Recherches sur les ossements fossiles des quadrupèdes (1812), de Le règne animal distribué après son organisation (1817) e di numerose altre opere, si dedicò a studi di zoologia, con particolare riguardo all'analisi della struttura dci molluschi e dei pesci, e di paleontologia. Le sue indagini hanno aperto la strada all'esplorazione degli animali fossili. 2. Barthold Georg Niebuhr (1776-1831), storico tedesco, autore di una fondamentale Rémische Geschichte (1811-32), impostò la propria analisi del mondo antico sulla base di una critica sistematica delle fonti; il suo scetticismo mise capo a una radicale svalutazione delle testimonianze antiche sulla storia romana. Tutti gli Erlebnisse dell’apprendimento oggettivo sono, entro la sua connessione teleologica, diretti alla penetrazione di ciò che è, vale a dire della realtà. Il sapere forma una gradualità di operazioni: il dato è spiegato nelle operazioni elementari del pensiero, riprodotto nelle rappresentazioni, tradotto nel pensiero discorsivo e così rappresentato in differenti modi. Perciò la spiegazione del dato mediante le operazioni elementari del pensiero, la riproduzione nella rappresentazione rammemorata e la traduzione nel pensiero discorsivo possono venir racchiuse entro il più ampio concetto di rappresentazione. Tempo e ricordo liberano l'apprendimento della dipendenza dal dato e compiono una scelta di ciò che è significativo per l’apprendimento; il particolare viene sottoposto agli scopi dell’apprendimento della realtà mediante la relazione col tutto e mediante la subordinazione sotto il generale; la mutabilità del dato intuitivo viene elevata a rappresentazione universalmente valida in una relazione concettuale; mediante l’astrazione e il procedimento analitico il concreto viene inserito in serie uniformi che consentono asserzioni di regolarità, oppure penetrato nella sua articolazione attraverso un’opera di suddivisione. L’apprendimento tende così a esaurire sempre di più ciò che ci è accessibile nel dato. 2. In due direzioni sono logicamente collegati gli Er/ebnisse che appartengono all’apprendimento oggettivo: nell’una gli Erlebnisse sono in rapporto tra loro in quanto, come gradi nell’apprendimento del medesimo oggetto, cercano di esaurire mediante esso ciò che è contenuto nell’Erlebez o nell’intuire, e nell'altra l'apprendimento collega un elemento di fatto con l’altro mediante le relazioni reciproche che vengono colte. Là si ha un approfondimento nell’oggetto particolare e qui un’estensione universale: approfondimento ed estensione che sono in dipendenza reciproca. Intuizione, ricordo, rappresentazione totale, denominazione, giudizio, subordinazione del particolare all’universale, collegamento delle parti in un tutto queste sono forme dell’apprendimento: senza che l’oggetto debba mutare, cambia il modo e la forma di coscienza in cui esso esiste per noi, quando si passa dall'intuizione al ricordo o al giudizio. La direzione verso lo stesso oggetto, che è loro comune, le collega in una connessione teleologica, in cui hanno posto solo quegli Erlebnisse che compiono qualche operazione nella tendenza a cogliere questo determinato elemento oggettivo. Questo carattere teleologico della connessione, che qui si presenta, condiziona il passaggio da un elemento all’altro entro di essa. E finché l’Erlebnis non è pienamente esaurito, o l’oggettività data parzialmente e unilateralmente nelle intuizioni particolari non è ancora pervenuta a pieno apprendimento e a compiuta espressione, vi è sempre un clemento di insoddisfazione, e questo esige che si proceda oltre. Le percezioni che riguardano lo stesso oggetto sono tra loro legate in una connessione teleologica, in quanto procedono riferendosi al medesimo oggetto. Così una particolare osservazione sensibile ne richiede sempre più altre, che vengono a completare l'apprendimento dell’oggetto; e in questo processo di completamento si esige già il ricordo, come ulteriore forma di apprendimento. Esso sta, entro la connessione dell'apprendimento oggettivo, in un saldo rapporto con il fondamento intuitivo, in maniera che ha la funzione di riprodurre, ricordare e mantenere così utilizzabile questo fondamento per l'apprendimento oggettivo. Qui appare assai chiaramente la distinzione tra l'apprendimento dell’Erlebris della memoria che studia il processo che sta a base di esso nelle sue uniformità, e la nostra considerazione della memoria secondo la sua funzione nella connessione dell’apprendimento, per cui esso riproduce ciò che è immediatamente vissuto o appreso. La memoria può accogliere in sé, sotto un’impressione o sotto l'influenza di uno stato d'animo, molteplici contenuti distinti dal loro fondamento, e proprio qui hanno la loro origine le immagini estetiche della fantasia: ma la memoria presente in tale connessione teleologica, basata sulla penetrazione dell’oggetto, possiede la tendenza verso l’identità con il contenuto intuitivo o vissuto dell’apprendimento oggettivo. E che la memoria abbia compiuto la sua funzione nell’apprendimento oggettivo risulta dalla possibilità di constatare la sua somiglianza con il fondamento percettivo dell’apprendimento. In questa tendenza degli Erlebnisse conoscitivi verso un oggetto particolare è già presente il procedere verso qualcosa di sempre nuovo. I mutamenti nell’oggetto mostrano la connessione dinamica in cui esso si trova, e, in quanto il contenuto di fatto può venir spiegato solo mediante nomi, concetti, giudizi, è richiesto un ulteriore passaggio dall’intuizione particolare all’universale. A questa tendenza verso la totalità, l’elemento attivo, l’universale, corrisponde il procedere delle relazioni rintracciabili nel singolo oggetto a quelle che hanno luogo in più grandi connessioni oggettive. In tal modo la prima tendenza delle relazioni conduce alla seconda. Nella prima tendenza erano tra loro collegati quegli Erlebnisse di apprendimento che tendono a cogliere in maniera sempre più adeguata lo stesso oggetto mediante diverse forme di rappresentazione. Nella seconda sono invece collegati gli Er/ebnisse che si estendono a sempre nuovi oggetti e penetrano leloro relazioni reciproche, sia nella stessa forma di apprendimento sia attraverso l’unione di diverse sue forme. Sorgono così rapporti complessi, i quali risultano particolarmente chiari nei sistemi omogenei, che rappresentano cioè rapporti di spazio, di suono o di numero ®. Ogni scienza si riferisce a un’oggettività suscettibile di delimitazione, in cui risiede la sua unità, e la connessione del campo scientifico dà ai principi che esso racchiude la loro coerenza reciproca. Il completamento di tutte le relazioni contenute in ciò che è immediatamente vissuto o intuito costituirebbe il concetto di mondo: in esso è racchiusa la pretesa di esprimere tutto ciò che può venir immediatamente vissuto o intuito mediante la connessione delle relazioni di fatto in esso racchiuse. Questo concetto di mondo è l’esplicazione che è data anzitutto nell'orizzonte spaziale. Spiegazione, riproduzione e rappresentazione sono gradi della relazione col dato, in cui l’apprendimento oggettivo si approssima al concetto di mondo. Essi sono gradi, poiché in ognuna di queste posizioni dell’apprendimento oggettivo quella precedente costituisce la base di quella successiva. a. Ideen tiber eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, Sitzungsberichte der kòniglich Preussischen Akademie der Wissenschaften , 1894, p. 1352 (ora in Gesammelte Schriften, vol. V, p. 132]. b. Qui lo sguardo si dirige anche al compito logico di riduzione delle forme del pensiero discorsivo a forme di espressione dei rapporti presenti nel dato, così come vengono posti in luce dalle operazioni elementari del pensiero. Dai fatti contenuti nel campo dell’apprendimento sensibile noi Allorché questa connessione dell’apprendimento oggettivo sottostà alle condizioni contenute nelle scienze dello spirito, viene a delinearsi la particolare struttura di tali discipline. Sulla base delle forme e delle operazioni generali del pensiero si fanno qui valere compiti specifici, che trovano la loro soluzione nell’intreccio di metodi propri. Nell’elaborazione di queste forme di procedimento le scienze dello spirito sono state ovunque influenzate dalle scienze della natura; e poiché queste hanno elaborato prima i loro metodi, si è avuto in larga misura un adattamento di essi ai compiti delle scienze dello spirito. In due punti ciò risulta particolarmente evidente: nella biologia sono stati scoperti per siamo condotti a considerare l’immanenza dell'ordine entro la materia della nostra esperienza sensibile, e la distinzione della materia delle impressioni dalle forme di collegamento si rivela un mero strumento di astrazione. Il principio di identità dice che ogni proposizione vale indipendentemente dal posto mutevole che essa occupa entro la connessione del pensiero e dal mutamento che avviene nei soggetti delle asserzioni; e il principio di contraddizione ha a suo fondamento quello di identità. In questo al principio di identità si aggiunge la negazione, che è soltanto il rifiuto di un'assunzione che si presenta in noi o al di fuori di noi, e si riferisce sempre a un’asserzione già formulata, sia questa contenuta in un atto cosciente del pensiero o in un'altra forma. Il principio di identità esige per la proposizione una validità costante; e perciò viene esclusa l'eliminazione di tale proposizione. Noi non possiamo al tempo stesso affermarla e negarla, in quanto viene alla coscienza il rapporto di contraddizione. E quando dichiaro falso il giudizio negativo, io rifiuto di eliminare la proposizione, e ne risulta confermata l’'asserzione affermativa: il principio del terzo escluso esprime questo fatto. Così le leggi del pensiero non designano alcuna condizione aprioristica per il nostro pensiero; e i rapporti racchiusi nella comparazione, nella separazione, nell’astrazione, nella relazione, si ritrovano poi nelle operazioni del pensiero discorsivo e nelle categorie formali, di cui si parlerà poi. Non è necessario ritenere che il giudizio presupponga il subentrare del rapporto categoriale tra cosa e qualità, poiché questo può venir inteso in base alla relazione tra l'oggetto e ciò che da esso è predicato. la prima volta i metodi comparativi poi sempre maggiormente applicati alle scienze sistematiche dello spirito, e i metodi sperimentali elaborati dall’astronomia e dalla fisiologia sono stati trasferiti alla psicologia, all'estetica e alla pedagogia. Anche oggi, nello sforzo di soluzione di compiti particolari, lo studioso di psicologia di pedagogia, di linguistica o di estetica si chiederà spesso se i mezzi e i metodi scoperti nelle scienze della natura per la soluzione di problemi analoghi possano venir sfruttati nel proprio campo. Ma, nonostante tali punti particolari di contatto, la connessione delle forme di procedimento delle scienze dello spirito è, fin dal suo inizio, diversa dalla connessione delle scienze della natura. Qui vengono considerati soltanto i principi generali necessari per la penetrazione della connessione delle scienze dello spirito, mentre la trattazione dei metodi appartiene allo studio della costruzione delle scienze dello spirito. Due spiegazioni terminologiche devono essere qui anticipate: per unità della vita psichica intendo gli elementi del mondo storico-sociale, e con struttura psichica designo la connessione in cui, nelle unità della Vita psichica, sono tra loro legate diverse operazioni. 1. La vita. Le scienze dello spirito poggiano sul rapporto di Erledn:s, espressione e intendere. Così il loro sviluppo dipende sia dall’approfondimento degli Erlebnisse sia dalla crescente tendenza all'esaurimento del loro contenuto, ed è nel medesimo tempo condizionato dall’estensione dell’intendere all'intera oggettiva zione dello spirito e dalla capacità di cogliere in modo sempre più compiuto e metodico il contenuto spirituale delle diverse manifestazioni della vita. Il complesso di ciò che ci si rivela nell’Erleden e nell’intendere è la vita come connessione che comprende il genere umano. E quando per la prima volta ci troviamo di fronte a que134 WILHELM DILTHEY sto grande fatto, che per noi è il punto di partenza non soltanto delle scienze dello spirito ma anche della filosofia, occorre andar oltre la sua elaborazione scientifica e penetrare il fatto stesso nella sua costituzione grezza. Infatti, dove la vita ci si presenta come uno stato di fatto proprio del mondo umano, noi incontriamo le sue determinazioni nelle varie unità della vita; incontriamo rapporti vitali, presa di posizione, l’atteggiamento, la creazione effettuata sulle cose e sugli uomini e la sofferenza che ne deriva. Nello sfondo permanente da cui emergono le operazioni differenziate, non c'è nulla che non contenga un rapporto vitale dell'io. Come tutto ha qui una posizione di fronte ad esso, altrettanto viene però a mutare la situazione dell’io secondo il rapporto che le cose e gli uomini hanno con esso: non esistono nessun uomo e nessuna cosa che siano soltanto oggetti per me, e che non racchiudano una pressione o un vantaggio, il fine di una tendenza o un’obbligazione del volere, un'importanza, una pretesa di esser preso in considerazione, una vicinanza interna o una resistenza, una distanza e una estraneità. Il rapporto vitale, sia esso limitato a un dato momento o duraturo, fa sì che tali uomini e tali oggetti mi rechino felicità, estendano la mia esistenza, accrescano la mia forza, oppure vengano a limitare in questo rapporto lo spazio della mia esistenza, a esercitare una pressione su di me, a diminuire la mia forza. E ai predicati che le cose acquistano soltanto nel rapporto vitale con me corrisponde il mutare degli stati in me stesso che ne scaturisce. Su questo sfondo della vita emergono poi l'apprendimento oggettivo, la valutazione, la posizione di scopi, come tipi di atteggiamento che hanno luogo in innumerevoli sfumature che passano l’una nell'altra: essi sono legati nel corso della vita in interne connessioni, le quali comprendono e determinano ogni occupazione e ogni sviluppo. Se illustriamo ciò con il modo in cui il poeta lirico reca a espressione l’Erlebnis, si vede che egli muove da una situazione e raffigura uomini e cose nel rapporto vitale con un io ideale, in cui la sua esistenza e entro di essa il corso della sua esperienza vengono accentuate nella fantasia; questo rapporto di vita determina ciò che il vero lirico vede ed esprime degli uomini e delle cose e di se stesso. Anche il poeta epico può dire soltanto ciò che emerge in un rapporto di vita da lui raffigurato. Oppure, quando lo storico descrive situazioni e persone storiche, egli desterà un'impressione della vita reale, tanto più forte quanto meglio raffigura tali rapporti di vita. Egli deve porre in luce le qualità degli uomini e delle cose che scaturiscono e operano in tali rapporti di vita e, si potrebbe dire, dare alle persone, alle cose, ai processi, la forma e il colore in cui essi hanno dato forma, dal punto di vista del rapporto di vita, a percezioni e a immagini di memoria nella vita stessa. 2. L'esperienza della vita. L'apprendimento oggettivo scorre nel tempo, e così in esso sono già contenute immagini di memoria. E in quanto ciò che è immediatamente vissuto cresce continuamente e sempre più svanisce con il progredire del tempo, sorge il ricordo del corso della propria vita. Parimenti, sulla base della comprensione di altre persone, si formano i ricordi dei loro stati e le immagini esistenziali delle diverse situazioni; e certo in tutti questi ricordi la situazione è sempre legata con il suo ambiente di contenuti di fatto, di avvenimenti e di persone. Dalla generalizzazione di ciò che in tal modo si presenta insieme sorge l’esperienza di vita dell’individuo. Essa sorge in forme di procedimento equivalenti a quelle dell’induzione. Il numero dei casi, in base ai quali questa induzione decide, cresce di continuo nel corso della vita; e le generalizzazioni che si formano vengono sempre corrette. La sicurezza che spetta all'esperienza personale della vita è distinta dalla validità universale di tipo scientifico: infatti queste generalizzazioni non sono compiute metodicamente e non possono venir racchiuse in formule rigorose. Il punto di vista individuale, inerente all’esperienza personale della vita, si corregge e si amplia nell’esperienza generale della vita: con questa io intendo i princìpi che si formano in qualsiasi ambito di persone in rapporto reciproco e che sono comuni ad esse. Si tratta di asserzioni sul corso della vita, di giudizi di valore, di regole della condotta di vita, di determinazioni di scopi e di beni: il loro contrassegno sta nel fatto che esse sono creazioni della vita collettiva, le quali riguardano tanto la vita dell’uomo singolo quanto la vita delle comunità. 136 WILHELM DILTHEY Sotto il primo aspetto, in quanto costume, abitudine e, in riferimento alla persona individuale, come opinione pubblica, esse esercitano, per il prevalere del numero e per il sopravvivere della comunità alla persona singola, un potere su di questa e sulla sua esperienza o forza di vita, che sovrasta di solito la volontà di vita dell’individuo. La sicurezza di questa esperienza generale della vita rispetto a quella personale è maggiore, in quanto i punti di vista individuali pervengono in essa a un equilibrio e cresce il numero dei casi che stanno a base dell’induzione. D'altra parte in questa esperienza generale si rivela, in modo ancor più forte che in quella individuale, l’incontrollabilità dell'origine del suo sapere dalla vita. 3. La distinzione delle forme di atteggiamento nella vita e le classi di asserzioni nell'esperienza della vita. Nell’esperienza della vita si presentano ora diverse classi di asserzioni, le quali si rifanno alla distinzione di atteggiamento nella vita. Infatti la vita non è solo la fonte del sapere, considerata nel suo contenuto d'esperienza; le tipiche forme di atteggiamento dell’uomo condizionano pure le diverse classi di asserzioni. Qui si deve soltanto constatare per adesso il fatto di questa relazione tra la diversità di atteggiamento della vita e le asserzioni dell’esperienza della vita. Nei singoli rapporti di fatto della vita, che si presentano tra l'io da un lato e le cose e gli uomini dall’altro, sorgono i diversi stati della vita: situazioni differenziate dell’io, sentimenti di pressione o di accrescimento dell’esistenza, desiderio di un oggetto, timore o speranza. E come cose o uomini esercitanti una pretesa sull'io assumono uno spazio nella sua esistenza, come sono portatori di vantaggi o di impedimenti, come sono oggetti di desiderio, di aspirazione, di distacco, così da questi rapporti vitali derivano le determinazioni a essi relative, che si aggiungono all’apprendimento oggettivo di uomini e di cose. Tutte queste determinazioni dell’io e degli oggetti o delle persone, quali scaturiscono dai rapporti della vita, vengono elevate a riflessione ed espresse nel linguaggio: così nascono in esso di-stinzioni come asserzioni di realtà, desiderio, esclamazione, im DILTHEY 137 erativo. Se si prendono ora in esame le espressioni che si riferiscono alle forme di atteggiamento, cioè alle varie prese di posizione dell'io di fronte agli uomini e alle cose, risulta che esse rientrano in certe classi supreme. Esse constatano una realtà, valutano, designano una posizione di scopo, formulano una regola, esprimono il significato di un fatto in base alla più ampia connessione in cui esso è inserito. Inoltre vengono in luce Je relazioni tra queste forme di asserzione contenute nell’esperienza della vita: gli atti di penetrazione della realtà formano uno strato sul quale poggiano le valutazioni, e questo strato è a sua volta la base per le posizioni di scopo. Le forme di atteggiamento contenute nei rapporti vitali e i loro prodotti vengono oggettivati nelle asserzioni che constatano tali forme in quanto stati di fatto; analogamente vengono rese indipendenti le predicazioni di uomini e di cose, che scaturiscono dai rapporti vitali. Questi stati di fatto sono nell’esperienza della vita elevati a sapere universale mediante un procedimento equivalente all’induzione: così sorgono le molteplici proposizioni, poste in luce nella saggezza generalizzante del popolo e nella letteratura sotto forma di proverbi, di regole di vita, di riflessioni sulle passioni, sui caratteri e sui valori della vita. Anche in queste ritornano le differenze che si sono osservate nell’espressione delle nostre prese di posizione o delle nostre forme di atteggiamento. Ancora nuove distinzioni si fanno valere nelle asserzioni dell’esperienza della vita. Già nella vita medesima la conoscenza della realtà, la valutazione, l’elaborazione di regole, la posizione di scopi si sviluppano in differenti gradi, di cui ognuno è il presupposto del successivo. Essi sono stati indicati per l’apprendimento oggettivo; ma sussistono del pari nelle altre forme di atteggiamento. Così la stima dei valori dinamici di cose o di uomini presuppone che siano state constatate le possibilità di recar utile o danno racchiuse negli oggetti, e una decisione diventa possibile solo mediante la ponderazione del rapporto delle rappresentazioni di fine con la realtà e i mezzi, in essa dati, di realizzare tali rappresentazioni. Le unità ideali come sostegni della vita e dell'esperienza della vita. Un’infinita ricchezza di vita si sviluppa nell’esistenza indivi duale delle varie persone, attraverso i loro rapporti con l’ambiente, gli altri uomini e le cose. Ma ogni singolo individuo è nel medesimo tempo un punto di incrocio di connessioni che pervadono gli individui e sussistono in essi, ma sovrastano la loro vita e posseggono un'esistenza autonoma e un proprio sviluppo per il contenuto, il valore, lo scopo che vi si realizza. Sono cioè soggetti di tipo ideale: a essi è intrinseco qualche sapere intorno alla realtà; in essi si sviluppano punti di vista di valutazione; in essi si realizzano scopi; per cui acquistano e mantengono un significato nella connessione del mondo spirituale. Ciò avviene già in alcuni sistemi di cultura nei quali non c'è un’organizzazione che racchiuda i suoi elementi, come in generale nell'arte e nella filosofia. Altrove sorgono però unioni organizzate. Così la vita economica crea le sue associazioni, e nella scienza nascono centri per la realizzazione dei suoi compiti, e le religioni dànno vita alle organizzazioni più salde tra tutti i sistemi di cultura. Nella famiglia, nelle varie forme intermedie tra questa e lo stato, nello stato medesimo si trova poi la suprema elaborazione di un’unitaria posizione di scopi entro una comunità. Ogni unità organizzata di uno stato sviluppa una conoscenza di se stesso e delle regole, a cui è legata la sua sussistenza, così come della sua situazione di fronte al tutto. Essa gode dei valori sviluppatisi nel suo grembo; essa attua gli scopi che riposano sul suo essere e che servono alla conservazione e alla promozione della sua esistenza. Essa stessa è un bene dell’umanità, realizza beni e acquista un significato specifico entro la connessione dell'umanità. Arriva ora il punto in cui si presentano al nostro sguardo la società e la storia. Sarebbe però erroneo voler limitare la storia al cooperare degli uomini in vista di scopi comuni. L'uomo singolo, nella sua esistenza individuale che poggia su se stessa, è un essere storico. Egli è determinato dalla sua posizione nella linea del tempo, dal suo luogo nello spazio, dalla sua situazioWILHELM DILTHEY 139 ne nell’azione reciproca dei sistemi di cultura e delle comunità. Lo storico deve quindi intendere l’intera vita degli individui com’essa si manifesta in un determinato tempo e in un determinato luogo. Proprio l’intera connessione che va dagli individui, in quanto orientati verso lo sviluppo della propria esistenza, ai sistemi di cultura e alle comunità, e infine all’umanità, costituisce la natura della società e della storia. I soggetti logici, a cui ci si riferisce nella storia, sono tanto gli individui particolari quanto le comunità e le connessioni. 5. Lo scaturire delle scienze dello spirito dalla vita degli individui e delle comunità. La vita, l’esperienza della vita e le scienze dello spirito stanno dunque in una costante connessione interna e in un costante scambio reciproco. Non un procedimento concettuale costituisce il fondamento delle scienze dello spirito, ma la consapevolezza di uno stato psichico nella sua totalità e il suo ritrovamento nel rivivere. La vita coglie qui la vita, e la forza con cui vengono compiute le due operazioni elementari delle scienze dello spirito è la condizione preliminare della loro compiutezza in ogni parte di esse. Così anche in questo punto si nota una differenza decisiva tra le scienze della natura e le scienze dello spirito. In quelle la distinzione del nostro rapporto con il mondo esterno avviene sulla base del pensiero naturalistico, le cui operazioni produttive hanno un riferimento esterno, mentre in queste si mantiene una connessione tra vita e scienza, per cui il lavoro della vita nell’elaborazione del pensiero costituisce la base per la creazione scientifica. L’approfondimento in se stesso perviene nella vita, sotto certe circostanze, a una perfezione a cui neppure Carlyle? è pervenuto, e la comprensione degli altri viene qui condotta a un livello di virtuosismo che neppur Ran3. Thomas Carlyle (1795-1881), storico e filosofo romantico inglese, autore del Sartor Resartus (1833-34), della History of the French Revolution (1838), di On Heroes, Hero-Worship, and the Heroic in History (1841) c di varie altre opere, contribuì in misura rilevante all’introduzione dell'idealismo tedesco, in particolare del pensiero di Schelling, nella cultura inglese. La sua concezione della storia mette in risalto l’importanza decisiva degli eroi . DILTHEY ke' ha raggiunto. Da una parte le grandi nature religiose, come Agostino e Pascal, sono gli eterni modelli per l’esperienza che si nutre del proprio Erlebnis, e dall’altra, nella comprensione delle altre persone, la corte e la politica educano a un'arte che guarda al di là di ogni apparenza; un uomo di azione come Bismarck, al quale sono sempre presenti per natura i suoi fini in ogni lettera che scrive e in ogni colloquio, non può venir eguagliato da nessun interprete di atti politici e da nessun critico di narrazioni storiche per ciò che riguarda l’arte di leggere le intenzioni che stanno al di là dell’espressione. Tra la penetrazione di un dramma da parte di un ascoltatore di forte sensibilità poetica e la più eccellente analisi di storia letteraria non c’è, in parecchi casi, alcuna distanza. E anche l’elaborazione concettuale è continuamente determinata, nelle scienze storico-sociali, dalla vita medesima: mi riferisco alla connessione che conduce continuamente dalla vita, dall’elaborazione concettuale intorno al destino, ai caratteri, alle passioni, ai valori e agli scopi dell’esistenza, fino alla storia come disciplina scientifica. Nell’epoca in cui, in Francia, l’azione politica era fondata più sulla conoscenza degli uomini e delle personalità eminenti che su uno studio scientifico del diritto, dell'economia e dello stato, e la posizione nella vita di corte poggiava su tale arte, anche la forma letteraria delle memorie e degli scritti sui caratteri e sulle passioni è pervenuta a un’altezza non più raggiunta in seguito, ed è stata coltivata da persone poco influenzate dallo studio scientifico della psicologia e della storia. Una connessione interna unisce qui l'osservazione della società illustre, i letterati e i poeti che da essa imparano, i filosofi sistematici o gli storici scientifici che si formano sulla base della poesia e della letteratura. Si è visto, agli inizi della scienza politica in Grecia, che lo sviluppo dei concetti relativi alle costituzioni e alle funzioni politiche ha preso le mosse dallo stesso 4. Leopold von Ranke, storico tedesco, autore della Geschichte der romanischen und germanischen Vélker von 1494 bis 1535 (1824) seguita dalla celebre dissertazione Zur Kritik neuerer Geschichtsschreiber, di Die ròmischen Pùpste, ihre Kirche und ihr Staat im 16. und 17. Jahrhundert (1834-36), della Deutsche Geschichte im Zeitalter der Reformation (1839-47) e di numerose altre opere, è la principale figura della scuola storica tedesca. La sua attività storiografica culmina nelle conferenze dedicate alle Epochen der neueren Geschichte (1854) e nella Weltgeschichte (1881-1885), rimasta incompleta. sviluppo della vita statale, e che muove creazioni in questa hanno poi condotto a nuove teorie. Questo rapporto risulta quanto mai evidente nei più antichi stadi della scienza giuridica tanto romana quanto germanica. 6. La connessione delle scienze dello spirito con la vita e il loro compito di validità universale. Così il sorgere dalla vita e la perdurante connessione con essa costituisce il primo tratto fondamentale della struttura delle scienze dello spirito; esse poggiano infatti sull’Er/eden, sull’intendere e sull’esperienza della vita. Questo rapporto immediato, in cui stanno tra loro la vita e le scienze dello spirito, conduce in tali discipline a un’antitesi tra le tendenze della vita e il loro fine scientifico. Dal momento che gli storici, gli economisti, i teorici del diritto pubblico, gli studiosi della religione sono inseriti nella vita, vogliono anche influire su di essa. Essi sottopongono al loro giudizio persone storiche, movimenti di massa, tendenze, ma tale giudizio è condizionato dalla loro individualità, dalla nazione a cui appartengono, dal tempo in cui vivono. Anche quando credono di procedere senza presupposti, essi sono determinati da questo loro orizzonte: ogni analisi intrapresa sui concetti di una generazione passata mostra che in questi sono contenuti elementi, i quali derivano dai presupposti dell’epoca. Però nel medesimo tempo in ogni scienza come tale è contenuta l'esigenza della validità universale. Se debbono esserci scienze dello spirito nel significato ristretto del termine, esse debbono porsi questo fine in maniera sempre più cosciente e più critica. Sull’antitesi di queste due tendenze si basa gran parte dei contrasti scientifici che si sono manifestati, negli ultimi tempi, nella logica delle scienze dello spirito. Tale antitesi si esprime nella maniera più forte entro la scienza storica, che è diventata il punto centrale in questa discussione. La soluzione di questa antitesi si compie soltanto nella costruzione delle scienze dello spirito; gli ulteriori principi generali sulla connessione delle scienze dello spirito già contengono il principio di tale soluzione. Il risultato finora da noi conseguito permane. La vita e l’esperienza della vita sono le fonti sempre nuove della comprensione del mondo storico-sociale; la comprensione procede dalla vita verso sempre maggiori profondità; e soltanto nella reazione sulla vita e sulla società le scienze dello spirito pervengono al loro più alto significato, che è in continuo accrescimento. Ma la strada verso questa azione deve passare attraverso l’oggettività della conoscenza scientifica. La coscienza di ciò era già operante nella grande epoca creatrice delle scienze dello spirito. In seguito a vari disturbi che si possono riscontrare nel corso del nostro sviluppo nazionale, ma anche nell’applicazione di un ideale culturale unilaterale dopo Burckhardt®, noi cerchiamo ora di elaborare questa oggettività delle scienze dello spirito in maniera sempre più priva di presupposti, più critica, più rigorosa. Io trovo il principio per la soluzione dell’antitesi che si presenta in queste scienze nella comprensione del mondo storico come una connessione dinamica, la quale è centrata in se stessa, in quanto ogni connessione dinamica particolare in essa contenuta ha in sé, in virtù della posizione e della realizzazione di valori, il proprio centro, ma tutte sono strutturalmente unite in una totalità nella quale il senso della connessione del mondo storico-sociale deriva dalla significatività delle singole parti; cosicché ogni giudizio di valore e ogni posizione di scopi diretta verso il futuro, devono essere fondati esclusivamente su questa connessione strutturale. A questo principio ideale ci avviciniamo ora nei seguenti princìpi generali sulla connessione delle scienze dello spirito. La connessione delle scienze dello spirito è determinata dal suo fondamento nell’Erlebden e nell’intendere, e tanto nell’uno 5. Jacob Burckhardt (1818-1897), storico svizzero, autore di Die Zeit Constantins des Grossen (1853), di Die Cultur der Renaissance in Italien (1860) e di una postuma Griechische Kulturgeschichte (1898-1902), nonché di varie altre opere, è uno dei maggiori esponenti della storiografia post-romantica; il suo libro sulla civiltà del Rinascimento ha rinnovato l'interpretazione di questo periodo storico. Le sue idee sulla storia sono esposte nel corso di lezioni Uber das Studium der Geschichte, pubblicato postumo col titolo Weltgeschichiliche Betrachtungen (1905). quanto nell’altro si fanno subito valere importanti differenze rispetto alle scienze della natura, le quali dànno un carattere proprio alla costruzione di tali discipline. 1. La linca delle rappresentazioni che procede dall’Erlebnis. Ogni immagine ottica è diversa da un’altra, che si riferisca al medesimo oggetto, per il punto di vista e le condizioni dell’apprendimento: queste immagini sono legate in un sistema di relazioni interne in virtù dei vari modi di apprendimento oggettivo. La rappresentazione totale, che così sorge dalla serie delle immagini secondo i rapporti fondamentali racchiusi nel contenuto di fatto, è qualcosa di rappresentato e di pensato in aggiunta. Gli Erlebrisse sono invece legati tra loro in un’unità di vita entro il corso temporale; e ognuno di essi ha così il suo posto in un corso i cui elementi sono uniti reciprocamente nella memoria. Non parlo qui ancora del problema della realtà di questi Er/ebrisse, e tanto meno delle difficoltà inerenti all’apprendimento di un Er/ebnis: basta che il modo in cui l’Erlebnis esiste per me sia del tutto diverso dal modo in cui stanno davanti a me le immagini. La coscienza di un Erlebnis e della sua qualità, il suo esistere-per-me e ciò che in esso esiste per me, sono la stessa cosa: l’Er/ebrnis non si contrappone a chi lo apprende come un oggetto, ma la sua esistenza per me non è distinta da ciò che in esso esiste per me. Non vi sono diverse posizioni spaziali da cui possa venir visto ciò che in esso esiste; e differenti punti di vista, da cui esso può venir appreso, possono sorgere soltanto in seguito, mediante la riflessione, e non incidono sul suo carattere di Erlebris. Esso è sottratto alla relatività di ciò che è dato sensibilmente, per cui le immagini si riferiscono all'elemento oggettivo soltanto nella relazione con il soggetto conoscente, con la sua posizione nello spazio e con ciò che sta in mezzo tra lui e gli oggetti. Dall’Erlebris una linea diretta di rappresentazioni procede fino all’ordine dei concetti in cui esso viene appreso pensando. Esso viene anzitutto spiegato mediante le operazioni elementari del pensiero; e qui trovano il loro significato specifico i ricordi, in cui esso viene poi appreso. E che cosa accade quando l’Erlebnis diviene oggetto della mia riflessione? Io sto sveglio di notte, mi preoccupo DILTHEY della possibilità di terminare nella mia vecchiaia i lavori iniziati, rifletto su ciò che vi è da fare. In questo Erlebris c'è una connessione strutturale di coscienza: l’apprendimento oggettivo costituisce il suo fondamento, su questo poggia una presa di posizione come preoccupazione e come sofferenza provocata dall'elemento soggettivamente appreso, e come tendenza a andare oltre di esso. E tutto ciò esiste per me in questa sua connessione strutturale. Io reco a coscienza distinta un certo stato, pongo in luce ciò che in esso è strutturalmente collegato, lo isolo: ma tutto ciò che vengo in tal modo a trarne fuori è contenuto nell’Erlebris stesso e viene in tal modo solo spiegato. Il mio apprendimento dell’Erlebris stesso viene però sviluppato, sulla base dei momenti in esso contenuti, in Er/ebrisse che, sebbene separati da un lungo spazio di tempo, sono legati strutturalmente nel corso della vita con tali momenti: io ho coscienza dei miei lavori in virtù di un esame precedente, e con questo stanno in relazione, in un passato ancor più lontano, i processi da cui sono sorti tali lavori. Un altro momento si dirige verso il futuro; ciò che ora sussiste richiederà ancora un lavoro incalcolabile da parte mia; io ne sono preoccupato e mi oriento internamente a tale operazione. Tutto questo s, di e a, tutte queste relazioni di ciò che è immediatamente vissuto con ciò che è ricordato e anche con il futuro, mi spinge indietro e avanti. Essere trascinato in questa serie poggia sull’esigenza di sempre nuovi elementi, richiesti, dall’Erleden; a ciò può cooperare pure un interesse che deriva dalla forza emotiva di questo. È un essere trascinato, non una volizione, tanto meno quell’astratta volontà di sapere a cui si è fatto ricorso dopo la dialettica di Schleiermacher. Nella serie, che in tal modo sorge, tanto il passato quanto il futuro o il possibile sono trascendenti rispetto al momento riempito dall'Erlebnis: ma entrambi, il passato e il futuro, sono legati all’Er/ebris in una serie che si articola mediante tali relazioni in una totalità. Ogni passato è legato strutturalmente come riproduzione a un Er/ebnis trascorso, in quanto il suo ricordo implica un riconoscimento. Anche il possibile da venire è legato a tale serie mediante l’ambito di possibilità da essa determinate. Così in questo processo sorge l’intuizione della connessione psichica nel tempo, la quale costituisce il corso della vita, in cui ogni singolo Erlebnis è legato a una totalità. E tale connessione della vita non è una somma o un complesso di momenti successivi, ma un’unità costituita da relazioni che uniscono tutte le parti. Muovendo dal presente noi percorriamo indietro una serie di ricordi fin dove il nostro piccolo, debole e informe io si perde nel crepuscolo, e ci spingiamo innanzi, da questo presente, verso possibilità in esso racchiuse, che assumono vaghe ed ampie dimensioni. Da ciò deriva un risultato importante per la connessione delle scienze dello spirito. Gli elementi, le regolarità, le relazioni che costituiscono l’intuizione del corso della vita, sono insieme contenuti nel corso della vita; e al sapere relativo al corso della vita spetta quindi lo stesso carattere di realtà proprio dell’Er/ebnis. 2. Il rapporto di reciproca dipendenza nell’intendere. Se negli Erlebnisse cogliamo la realtà della vita nella molteplicità dei suoi rapporti, quel che ci appare, in questa prospettiva, è sempre soltanto qualcosa di singolare, cioè la nostra propria vita di cui siamo coscienti nell’Erleden. Tale sapere resta un sapere relativo a qualcosa di irripetibile, e nessun strumento logico può superare la limitazione alla singolarità contenuta nella forma di esperienza dell’Erleden. Soltanto l’intendere elimina tale limitazione dell’Erlebnis individuale, come d’altro lato conferisce agli Erlebnisse della persona il carattere di esperienza della vita. Estendendosi a più uomini, a varie creazioni spirituali e a varie comunità, esso amplia l’orizzonte della vita individuale e apre nelle scienze dello spirito la via che reca, attraverso ciò che è comune, al generale. L’intendersi reciproco ci assicura del rapporto di comunazza che sussiste tra gli individui: questi sono infatti tra loro legati da una comunanza in cui sono intrecciate appartenenza reciproca o connessione, uniformità o affinità. La stessa relazione di connessione e di uniformità pervade tutte le cerchie del mondo umano. Questa comunanza si esprime nell’identità della ragione, nella simpatia presente nella vita affettiva, nell’obbligazione reciproca del dovere e del diritto, accompagnata dalla coscienza di ciò che deve essere. La comunanza delle unità viventi è il punto di partenza per tutte le relazioni tra particolare e universale nelle scienze dello spirito. L'esperienza fondamentale della comunanza pervade l’intero apprendimento del mondo spirituale, collegando la coscienza dell’io unitario e la coscienza dell’uniformità con gli altri, l'identità della natura umana e l’individualità. Essa costituisce il presupposto dell’intendere. Dall’interpretazione elementare, che richiede soltanto Ia conoscenza del significato delle parole e delle regolarità con cui esse sono legate in proposizio-ni dotate di senso, cioè la comunanza del linguaggio e del pensare, l'ambito di ciò che è comune si estende di continuo, rendendo possibile il processo di comprensione nella misura in cui il suo oggetto è costituito da nessi superiori di manifestazioni della vita. Dall'analisi dell’intendere risulta però un secondo rapporto fondamentale, che è determinante per la struttura della connessione delle scienze dello spirito. Noi abbiamo visto come le verità delle scienze dello spirito poggiano sull’Erlede e sull’intendere: ma l’intendere presuppone d'altra parte l’utilizzazione delle verità delle scienze dello spirito. Per illustrare ciò con un esempio si prenda il compito di comprendere Bismarck: una straordinaria quantità di lettere, di documenti, di narrazioni e di racconti su di lui costituisce il materiale che si riferisce al corso della sua vita. Lo storico deve ampliare il confine di questo materiale, per cogliere ciò che ha influito sul grande uomo di stato e ciò che egli ha prodotto. Fin quando dura il processo dell’intendere, la delimitazione del materiale non è ancora conclusa. Già per conoscere uomini, avvenimenti, situazioni come appartenenti a questa connessione dinamica, egli ha bisogno di princìpi generali, i quali stanno anche a base della sua comprensione di Bismarck, estendendosi dalle qualità comuni dell’uomo alle qualità di classi particolari. Lo storico darà a Bismarck un posto tra gli uomini d’azione in base alla psicologia individuale, seguendo in lui la specifica combinazione dei tratti che sono loro comuni. Da un altro punto di vista si ritroveranno nella sovranità del suo essere, nell’abitudine a comandare e a dirigere, nell’inflessibilità del volere, le qualità fondamentali del nobile prussiano latifondista. E, in quanto la sua lunga vita ha occupato un posto determinato nel corso WILHELM DILTHEY 147 della storia prussiana, ecco di nuovo un altro gruppo di princìpi generali da cui sono determinati i tratti comuni agli uomini di questo tempo. L'enorme pressione che si esercitava, secondo la situazione dello stato, sulla consapevolezza politica produceva naturalmente le più diverse forme di reazione. La comprensione di queste esige princìpi generali sulla pressione che una certa situazione esercita su una totalità politica e sui suoi elementi, nonché sulle sue ripercussioni. I gradi di sicurezza metodica nella comprensione dipendono dallo sviluppo delle verità generali mediante cui tale rapporto consegue il suo fondamento. Risulta ora chiaramente che questo grande uomo di azione, il quale ha avuto le sue radici completamente nella Prussia c nel suo regno, dovrà sentire in modo particolare la pressione che si esercita su di essa dall’esterno. Egli dovrà pure valutare le questioni interne della costituzione di questo stato principalmente dal punto di vista del potere statale. In quanto poi è il punto di incontro di comunità quali lo stato, la religione, l'ordine giuridico, e in quanto ha pure, come personalità storica, determinato e mosso în modo eminente una di queste comunità, e nel medesimo tempo opera in esse, egli richiede da parte dello storico una conoscenza generale intorno a queste comunità. In breve, il suo intendimento giungerà a compimento solo in virtù della relazione col complesso di tutte le scienze dello spirito. Ogni relazione, che deve essere elaborata nella rappresentazione di questa personalità storica, acquista la massima sicurezza e distinzione solo attraverso la sua determinazione mediante i concetti scientifici relativi ai vari campi. E il rapporto reciproco di questi campi è fondato infine su una intuizione totale del mondo storico. Così il nostro esempio ci illustra la duplice relazione insita nell’intendere: l’intendere presuppone l’Erleben, e l’Erlebnis si eleva a esperienza della vita solo in quanto l’intendere conduce al di fuori della ristrettezza e della soggettività dell’Erleben, nella regione della totalità e dell’universale. Inoltre, la comprensione della personalità singola esige per la sua compiutezza il sapere sistematico, come d'altra parte il sapere sistematico dipende dalla viva penetrazione della singola unità vitale. La conoscenza della natura inorganica si compie in una costru148 WILHELM DILTHEY zione scientifica nella quale il grado sottostante è sempre indipendente da quello che esso fonda: invece nelle scienze dello spirito tutto, a partire dal processo dell’intendere, è determinato dal rapporto di reciproca dipendenza. A ciò corrisponde il corso storico di queste discipline. La storiografia è in ogni punto condizionata dalla conoscenza delle connessioni sistematiche che si intrecciano nel corso storico, e la cui profonda investigazione determina il progredire dell’intendere storico. Tucidide si fondava sul sapere politico sorto nella prassi dei liberi stati greci, e sulle dottrine intorno allo stato sviluppatesi nel periodo sofistico. Polibio ha riunito in sé l'intera saggezza politica dell’aristocrazia romana, che in questo tempo era al culmine del suo sviluppo sociale e spirituale, con lo studio delle opere politiche greche da Platone fino allo Stoicismo. L’unione della saggezza politica fiorentina e veneziana, sviluppatasi in una élite assai evoluta e piena di vivaci dibattiti politici, con il rinnovamento e la prosecuzione delle dottrine antiche ha reso possibile la storiografia di Machiavelli e di Guicciardini. La storiografia ecclesiastica di Eusebio”, dei sostenitori e degli avversari della Riforma, come Neander” e Ritschl*, è piena di concetti sistematici riguardanti il processo religioso e il diritto ecclesiastico. E infine la fondazione della storiografia moderna nella scuola storica e in Hegel aveva dietro di sé da un lato il legame della scienza giuridica moderna con le esperienze dell’età rivoluzionaria e dall’altro l’intera sistematica delle scienze dello spirito sorte da poco. Quando Ranke sembra avvicinarsi alle cose con ingenua gioia di narra6. Eusebio di Cesarca (265-339), padre della Chiesa ispirato dal neoplatonismo, autore del Chronicon, della Historia ecclesiastica, della Praeparatio evangelica, della Demonstratio evangelica, del De ecclesiastica theologia e di vari altri scritti, è una delle fonti principali per la storia del Cristianesimo primitivo. Scrisse parecchi pampAlets di polemica anti-pagana, e prese parte alla controversia tra Ario e Alessandro sull’interpretazione della trinità. 7. Johann August Wilhelm Neander (1789-1850), storico della chiesa e teologo tedesco, autore di diversi volumi sull’imperatore Giuliano, su Bernardo di Chiaravalle, su Giovanni Crisostomo, su Tertulliano, nonché di una Allgemeine Geschichte der christlichen Religion und Kirche (1825-45) rimasta incompiuta. 8. Albrecht Ritschl (1822-1889), teologo protestante tedesco, autore di Die Ent stehung der altkatholischen Kirche (1850), di Die christliche Lehre von Rechifertigung und Versohnung (1870-74), della Geschichte des Pietismus (1880-86), di Theologie und Metaphysik (1881) e di varie altre opere. WILHELM DILTHEY 149 tore, la sua storiografia può venir tuttavia intesa solo se si ripercorrono le molteplici fonti di pensiero sistematico, che si sono incontrate nella sua formazione. E questa reciproca dipendenza dell’elemento storico e dell’elemento sistematico cresce sempre di più avvicinandoci al presente. Proprio la critica storica, nei suoi lavori fondamentali, ha mostrato la sua dipendenza non solo dallo sviluppo formale dei metodi ma anche dalla più profonda penetrazione delle connessioni sistematiche, dai progressi della grammatica, dallo studio della connessione del discorso, quale si è sviluppato dapprima nella retorica, e inoltre dalla nuova concezione della poesia come ci appare sempre più chiaramente nel caso dei precursori di Wolf° che hanno derivato le loro conclusioni su Omero da una nuova poetica e dalla nuova cultura estetica nel medesimo F. A. Wolf, dalle considerazioni economiche, giuridiche e politiche in Niebuhr, dalla nuova filosofia congeniale con Platone in Schleiermacher, e in Baur!° dalla comprensione del processo in cui si sono formati i dogmi, come l’avevano sviluppata Schleiermacher e Hegel. E, viceversa, il progresso nelle scienze sistematiche dello spirito è stato sempre condizionato dal movimento dell’Er/ebez verso nuove profondità, dall’allargarsi dell’intendere in un maggiore ambito di manifestazioni della vita storica, dalla scoperta di fonti storiche fin allora ignote o dall’emergere di grandi masse di esperienze in nuove situazioni storiche. Ciò è già dimostrato dalla formazione delle prime linee di una scienza politica nell’età dei Sofisti, di Platone e di Aristotele, così 9. Friedrich August Wolf (1759-1824), pedagogista e filologo tedesco, autore della Geschichte der ròmischen Literatur, dei Prolecomena ad Homerum (1794), di una Enzyklopidie der Philologie pubblicata postuma (1830), nonché di diversi altri volumi di argomento classicistico 0 pedagogico, occupa un posto importante nella storia della critica omerica. 1o. Ferdinand Christian Baur (1792-1860), storico e teologo tedesco, autore di Das manichdische Religionssystem (1831), di Die christliche Gnosis oder die christliche Religionsphilosophie in ihrer geschichtlichen Entwicklune (1835), del LeArbuch der christlichen Dogmengeschichte (1837), di Paulus der Apostel Jesu Christi (1845), di Die Epochen der kirchlichen Geschichtsschreibung (1852-55) e di numerose altre opere, tra cui le postume Vorlesungen ùber die christliche Dogmengeschichte (1865-67), è il maggiore esponente dell'atteggiamento razionalistico nella storiografia religiosa della prima metà dell'Ottocento, La sua concezione della religione e della storia della religione si ispira in larga misura a Hegel. come dall’origine di una retorica e di una poetica in quanto teoria della creazione spirituale nella medesima epoca. Sempre tale intreccio dell’Erleben con la comprensione di persone singole o di comunità come soggetti sovra-individuali è stata determinante nei grandi progressi delle scienze dello spirito. I geni dell’arte narrativa come Tucidide, Guicciardini, Gibbon, Macaulay ", Ranke producono anche nella loro limitazione opere storiche non soggette al tempo; e nella totalità delle scienze dello spirito vi è dunque un progresso, in quanto viene gradualmente conquistata alla coscienza storica la penetrazione delle connessioni che cooperano nella storia, la storiografia si immerge nelle loro relazioni che costituiscono una nazione, un'epoca, una linea di sviluppo storico, e di qui si dischiudono poi profondità della vita, quali sono esistite nelle varie situazioni storiche, che vanno al di Îà di ogni intendere precedente. Come potrebbe venir comparata quella passata con la comprensione che uno storico odierno ha di artisti, poeti, scrittori? 3. La spiegazione graduale delle manifestazioni della vita attraverso la costante azione reciproca deî due orientamenti scientifici. Il rapporto di condizionamento reciproco ci appare dunque come rapporto fondamentale tra l’Erleden e l’intendere. Più da vicino, esso viene a determinarsi come rapporto di spiegazione graduale nella costante azione reciproca tra le due classi di verità. L’oscurità dell’Erlebris viene chiarita, gli errori derivanti dalla ristretta comprensione del soggetto vengono corretti, l’Erlebnis medesimo è ampliato e completato nell’intendimento di altre persone, come d’altra parte le altre persone sono intese mediante i propri Erlebnisse. L'intendere allarga sempre più l'ambito del sapere storico mediante la più intensa utilizzazione delle fonti, mediante il ritorno indietro nel passato finora non compreso, e infine mediante il progredire della storia medesima, che produce sempre nuovi avvenimenti estendendo così 11. Thomas Babington Macaulay (1800-1859), uomo politico e storico inglese, autore della History of England from the Accession of James II (1849-61), nonché di numerosi Essays e Biographical Essays, recò nella sua storiografia un'impostazione liberale: Dilthey si riferisce qui soprattutto alle suc grandi qualità narrative. WILHELM DILTHEY ISI l'oggetto dell’intendere. In tale procedere l'ampliamento di ambito richiede sempre nuove verità generali per la penetrazione di questo mondo della singolarità; e l’estensione dell’orizzonte storico rende nel medesimo tempo possibile l'elaborazione di concetti sempre più generali e sempre più fecondi. Così in ogni punto e in ogni tempo si presenta, nel lavoro delle scienze dello spirito, una circolarità di Erleden, di intendere e di rappresentazione del mondo spirituale in concetti generali. E ogni grado di questo lavoro possiede un’unità interna nel suo apprendimento del mondo spirituale, poiché la conoscenza storica del singolare e le verità generali si sviluppano in un'azione reciproca e quindi appartengono alla stessa unità dell’apprendimento. A ogni grado l’intendimento del mondo spirituale è qualcosa di omogeneo e unitario, dalla concezione del mondo spirituale ai metodi di critica e di indagine particolare. Qui possiamo rivolgere ancora uno sguardo all’epoca in cui è sorta la moderna coscienza storica. Essa è stata realizzata quando l'elaborazione concettuale delle scienze sistematiche si è coscientemente fondata sullo studio della vita storica, e la conoscenza del singolare è stata coscientemente fecondata dalle discipline sistematiche dell'economia politica, del diritto, dello stato, della religione. A questo punto poteva sorgere la comprensione metodica della connessione delle scienze dello spirito: il medesimo mondo spirituale diventa, secondo la diversità del punto di vista da cui è considerato, oggetto di due classi di discipline. La storia universale come connessione singolare, il cui oggetto è l’umanità, e il sistema di scienze dello spirito indipendenti che si riferiscono all’uomo, al linguaggio, all’economia, allo stato, al diritto, alla religione e all’arte, si completano reciprocamente. Esse sono distinte dal fine e dai metodi che questo determina, ma al tempo stesso cooperano nel loro costante legame alla costruzione del sapere relativo al mondo spirituale: Erleben, rivivere e verità generali sono legati dall’operazione fondamentale dell’intendere. L'elaborazione concettuale non è fondata su norme o valori che si presentano al di lì dell’apprendimento oggettivo, ma sorge dal carattere dominante di ogni pensiero concettuale, cioè dalla tendenza a porre in luce ciò che è stabile e duraturo entro il corso del divenire, Il metodo si muove così in una duplice direzione: nella tendenza verso il singolare procede dalla parte al tutto e da questo di nuovo alla parte, e nella tendenza verso il generale tra questo e il particolare ha luogo la medesima azione reciproca. L’OGGETTIVAZIONE DELLA VITA 1. Se abbracciamo l’insieme di tutte le operazioni dell’intendere, allora appare in esso, di fronte alla soggettività dell'Er/ednis, l’oggettivazione della vita. Accanto all’Erlebris l’intuizione dell’oggettività della vita, e del suo manifestarsi in molteplici connessioni strutturali, diventa il fondamento delle scienze dello spirito. L'individuo, le comunità e le opere in cui si sono trasposti la vita e lo spirito, costituiscono il dominio esterno dello spirito. Queste manifestazioni della vita, quali si presentano nel mondo esterno alla comprensione, sono per così dire inserite nella connessione della natura. Questa grande realtà esterna dello spirito ci circonda sempre: essa è una realizzazione dello spirito nel mondo sensibile, a partire dall’espressione fuggevole fino al dominio secolare di una costituzione o di un testo giuridico. Ogni manifestazione particolare della vita rappresenta, nel campo di tale spirito oggettivo, ur elemento comune. Ogni parola, ogni proposizione, ogni gesto e ogni formula di cortesia, ogni opera d’arte e ogni impresa storica sono comprensibili solamente in quanto un rapporto di comunanza unisce chi in essi si esprime con chi li intende; l’individuo vive, pensa e agisce di continuo in una sfera di comunanza, e solo in questa può intendere. Tutto ciò che viene inteso reca, per così dire, il marchio della sua conoscibilità in base a questa comunanza: noi viviamo in questa atmosfera, che ci circonda costantemente, e siamo immersi in essa. Noi siamo ovunque a casa in questo mondo storico che intendiamo, ne penetriamo il senso e il significato, siamo coinvolti in questi rapporti di comunanza. Il mutare delle manifestazioni della vita, che agiscono su di Noi, ci spinge di continuo a una nuova comprensione; ma nel medesimo tempo anche nell’intendere si ha, poiché ogni manifestazione della vita e la sua comprensione sono legate ad altre, un movimento che progredisce secondo i rapporti di WILHELM DILTHEY 153 affinità dal singolo individuo dato verso il tutto. E, crescendo le relazioni tra ciò che è affine, aumentano nel medesimo tempo le possibilità di generalizzazione già racchiuse nella comunanza come determinazione di ciò che è inteso. Nell’intendere si fa valere anche un'ulteriore qualità dell’oggettivazione della vita, che determina tanto l'articolazione secondo affinità quanto la tendenza della generalizzazione. L’oggettivazione della vita contiene in sé una molteplicità di ordini articolati. Dalla distinzione delle razze fino alla diversità delle forme di espressione e dei costumi in una stirpe, in una città, vi è un'articolazione di differenze spirituali condizionata su base naturale. Differenze di altro tipo si presentano nei sistemi di cultura, altre separano tra loro le epoche in breve, molte linee che delimitano da qualche punto di vista ambiti di vita affine attraversano il mondo dello spirito oggettivo e si incrociano in esso. La pienezza della vita si manifesta in innumerevoli sfumature e viene compresa mediante il ricorrere di tali differenze. Mediante l’idea dell’oggettivazione della vita noi perveniamo per la prima volta a gettare uno sguardo sull’essenza di ciò che è storico. Tutto è qui sorto dall’attività spirituale e reca quindi il carattere della storicità: perfino nel mondo sensibile esso si inserisce come prodotto della storia. Dalla distribuzione degli alberi in un parco, dalla disposizione delle case in una strada, dallo strumento appropriato di un artigiano fino alla sentenza del tribunale, tutto è intorno a noi, a ogni ora, storicamente divenuto. Ciò che lo spirito immette oggi del proprio carattere nella sua manifestazione di vita, è domani, quando ci sta dinanzi, storia. Col procedere del tempo noi siamo attorniati dalle rovine di Roma, da cattedrali, dai castelli della monarchia assoluta. La storia non è nulla di separato dalla vita, nulla di staccato dal presente a causa della sua distanza nel tempo. Guardiamo il risultato: le scienze dello spirito hanno, come loro datità complessiva, l’oggettivazione della vita. Ma in quanto l’oggettivazione della vita diventa per noi qualcosa di inteso, essa racchiude sempre, in quanto tale, la relazione dell’esterno all’interno. Perciò tale oggettivazione è ovunque legata nell’intendere all’Er/eben, in cui all'unità della vita si dischiude 154 WILHELM DILTHEY il suo contenuto, permettendo così ad essa di interpretare quello di tutte le altre. Dal momento che qui stanno i dati delle scienze dello spirito, risulta pure che tutto ciò che è stabile ed estraneo, in quanto proprio alle immagini del mondo fisico, deve venir eliminato dal concetto del dato proprio di questo campo. Tutto il dato è qui venuto alla luce, e quindi è storico; è inteso, e quindi contiene in sé un elemento comune; è noto in quanto è inteso, e contiene in sé un raggruppamento del molteplice, poiché già l’interpretazione del manifestarsi della vita nell’intendere superiore poggia su un raggruppamento. Anche il procedimento di classificazione di tali manifestazioni è quindi già presente nei dati delle scienze dello spirito. E qui viene a completarsi il concetto delle scienze dello spirito. Il loro ambito si estende quanto l’intendere, e l’intendere ha il suo oggetto unitario nell’oggettivazione della vita. Così il concetto di scienza dello spirito è determinato, in base all’ambito dei fenomeni che rientrano in essa, mediante l’oggettivazione della vita nel mondo esterno. Lo spirito intende soltanto ciò che esso stesso ha creato. La natura, cioè l’oggetto della scienza naturale, comprende la realtà prodotta indipendentemente dall’opera dello spirito. Tutto ciò in cui l'uomo ha impresso, operando, la sua impronta, costituisce l’oggetto delle scienze dello spirito. E anche l’espressione scienza dello spirito riceve a questo punto la sua giustificazione. Si è nel passato discorso dello spirito delle leggi, del diritto, della costituzione: ora possiamo dire che tutto ciò in cui lo spirito si è oggettivato, rientra nell’ambito delle scienze dello spirito. 2. Io ho finora designato questa oggettivazione della vita anche con il nome di spirito oggettivo: tale termine è stato profondamente e felicemente coniato da Hegel. Debbo però indicare anche con precisione il senso in cui lo uso, distinguendolo da quello che Hegel gli attribuisce. Tale distinzione riguarda tanto il posto sistematico del concetto quanto la sua finalità e il suo ambito. Nel sistema hegeliano il termine designa un grado nello sviluppo dello spirito, un grado posto tra lo spirito soggettivo e lo spirito assoluto. Il concetto di spirito oggettivo ha pertanto presso di lui il suo posto nella costruzione ideale dello sviluppo dello spirito, la quale trova il suo substrato reale nella realtà storica e nelle relazioni che in essa sussistono e si propone di comprenderla speculativamente, lasciando così alle sue spalle le relazioni temporali, empiriche, storiche. L'idea, la quale nella natura si manifesta nel suo essere altro, estraniandosi da sé, ritorna in se stessa nello spirito, sul fondamento di tale natura. Lo spirito del mondo ritorna alla sua pura idealità, realizzando la sua libertà nel suo sviluppo. Come spirito soggettivo esso è la molteplicità degli spiriti individuali; e poiché in questa il volere si realizza sulla base della conoscenza dello scopo razionale attuantesi nel mondo, nello spirito individuale si compie il passaggio alla libertà. In tal modo è dato il fondamento per la filosofia dello spirito oggettivo. Questa mostra come la volontà libera razionale, e quindi in sé universale, viene a oggettivarsi in un mondo etico: questa libertà, che ha il contenuto e lo scopo della libertà, è anzitutto soltanto concetto, principio dello spirito e del cuore, ed è destinata a svilupparsi come oggettività, come realtà giuridica, etica e religiosa e come realtà scientifica *. In tal modo è posto lo sviluppo dallo spirito oggettivo allo spirito assoluto: lo spirito oggettivo è l’idea assoluta, ma solo come idea che è in sé; e in quanto esso è sul terreno della finitudine, la sua razionalità reale conserva in sé l’aspetto dell’apparenza esterna È. L'oggettivazione dello spirito si compie nel diritto, nella moralità e nell’eticità. L’eticità realizza la volontà razionale universale nella famiglia, nella società civile e nello stato; e lo stato realizza nella storia universale la sua essenza, in quanto realtà esterna dell'idea etica. In tal modo la costruzione ideale del mondo storico ha raggiunto il punto in cui i due gradi dello spirito, la volontà razionale universale del soggetto singolo e la sua oggettivazione nel mondo etico come sua superiore unità, rendono possibile a. Hecet, Werke, vol. VII, parte II (1845), p. 375 [EnzyK/opadie der philosophischen Wissenschaften, parte III, $ 482]. b. Op. cit., p. 376 [EnzyKWopidie der philosophischen Wissenschaften, parte III, $ 483]. l’ultimo e massimo grado: il sapere che lo spirito ha di se stesso come forza creatrice di ogni realtà nell’arte, nella religione e nella filosofia. Lo spirito soggettivo e oggettivo devono esser considerati il cammino su cui si costituisce la suprema realtà dello spirito, lo spirito assoluto. Qual è stata la posizione e l’importanza storica di questo concetto dello spirito oggettivo, scoperto da Hegel? L’Illuminismo tedesco, troppo spesso disconosciuto, aveva posto in luce il significato dello stato come il più ampio ente collettivo che realizza l’eticità intrinseca degli individui. Mai dopo i giorni dei Greci e dei Romani la comprensione dello stato e del diritto è stata più fortemente e profondamente espressa come in Carmen, Svarez, Klein, Zedlitz, Herzberg, i massimi funzionari dello stato federiciano!. Questa intuizione dell’essenza e del valore dello stato si è unita in Hegel con le idee antiche di eticità e di stato, e con la penetrazione della realtà di queste idee nel mondo antico: egli ha fatto così valere il significato dei rapporti di comunanza nella storia. La scuola storica perveniva nello stesso tempo, sulla strada della ricerca storica, alla scoperta dello spirito collettivo, a cui Hegel era giunto mediante una propria specie di intuizione storico-metafisica. Anch'essa perveniva a una comprensione, che andava oltre i filosofi idealistici greci, dell’essenza della comunità, quale si manifesta nel costume, nello stato, nel diritto e nella fede, e che non può venir derivata dal cooperare degli individui. In tal modo sorgeva in Germania la coscienza storica. Hegel ha raccolto il risultato di tutto questo movimento in un solo concetto nel concetto di spirito oggettivo. Ma i 12. Johann Heinrich Casimir barone von Carmer (1720-1801), fu dal 1779 al 1795 gran cancelliere e presidente della Commissione Icgislativa dello stato prussiano; sotto la sua direzione fu pubblicato, nel 1780-81, il primo volume del Corpus iuris Friedericianum. Karl Gottlieb Svarez (1746-1798), collaborò alla redazione del codice prussiano, Ernst Ferdinand Klein (1744-1810), anch'egli collaboratore di Carmer nella redazione del codicc prussiano, autore dei Grundsùtze des gemeinen deutschen peinlichen Rechts (1799) e di mumerose altre opere giuridiche, soprattutto di carattere penalistico. Karl Abraham barone von Zedlitz, ministro di Federico II, ebbe gran parte nella riforma del sistema scolastico prussiano. Ewald Herzberg (17251795), anch'egli ministro sotto il regno di Federico II, autore del Mémoire raisonné con cui il sovrano cercò di giustificare nel 1756 l'invasione della Sassonia, che diede inizio alla Guerra dei sette anni. presupposti sui quali Hegel ha fondato questo concetto non possono più venir mantenuti. Egli ha costruito le comunità sulla base della volontà universale della ragione: noi dobbiamo oggi muovere dalla realtà della vita, poiché nella vita opera la totalità della connessione psichica. Hegel ha costruito metafisicamente; noi analizziamo il dato. E l’analisi attuale dell’esistenza umana suscita in tutti noi la coscienza della fragilità, della forza dell'impulso oscuro, della sofferenza derivante dalle tenebre e dalle illusioni, della finitudine presente in tutto ciò che è vita, anche dove da essa derivano le supreme forme della vita della comunità. Non possiamo quindi intendere lo spirito oggettivo sulla base della ragione, ma dobbiamo rifarci alla connessione strutturale delle unità viventi che si continua nelle comunità. E non possiamo costringere lo spirito oggettivo entro una costruzione ideale, ma dobbiamo piuttosto porre a base la sua realtà nella storia. Noi cerchiamo di intendere e di rappresentare con concetti adeguati questa realtà. E in quanto lo spirito oggettivo viene così liberato dalla sua fondazione unilaterale in una ragione universale, che esprimeva l’essenza dello spirito del mondo, e liberato anche dalla costruzione ideale, diventa allora possibile un nuovo concetto di esso, il quale comprende il linguaggio, il costume, ogni specie di forma della vita e di stile di vita al pari della famiglia, della società civile, dello stato e del diritto. Così cade anche quello che Hegel ha distinto, rispetto allo spirito oggettivo, come spirito assoluto: arte, religione e filosofia rientrano in questo concetto, poiché proprio in esse l'individuo creatore si mostra nel medesimo tempo come rappresentante della comunanza spirituale, e lo spirito si oggettiva proprio in tali forme vigorose, e può esservi riconosciuto. Questo spirito oggettivo contiene certo in sé un’articolazione, che va dall’umanità fino ai tipi di minore estensione: in esso agisce questa articolazione, cioè il principio di individuazione. E quando l’individuale viene appreso nell’intendere, in base a ciò che è universalmente umano e attraverso la sua mediazione, si ha un rivivere della connessione interna che conduce da ciò che è universalmente umano alla sua individuazione. Questo movimento viene appreso nella riflessione, e la psicologia individuale abbozza la teoria che fonda la possibilità dell’individuazione *. A base delle scienze sistematiche dello spirito sta pertanto lo stesso rapporto tra le uniformità, che stanno a fondamento, e l'individuazione che sorge sulla loro base cioè il rapporto tra teorie generali e procedimenti comparativi. Le verità generali, quali possono esservi accertate a proposito della vita etica o della poesia, diventano così il fondamento per la penetrazione delle differenze dell’ideale morale o dell’attività poetica. E in questo spirito oggettivo tutte le realtà del passato, in cui si sono formate le grandi forze totali della storia, sono diventate presente. L'individuo, come portatore e rappresentante dei rapporti di comunanza che in lui sono intrecciati, gode e penetra la storia in cui essi sono sorti. Esso intende la storia perché è un essere storico. In un ultimo punto il concetto qui formulato di spirito oggettivo si distingue da quello di Hegel. Sostituendo alla ragione universale di Hegel la vita nella sua totalità, l’Er/ebnis, l’intendere, la connessione della vita storica, la forza dell’irrazionale in essa presente, sorge il problema della possibilità della scienza storica. Per Hegel questo problema non esisteva: la sua metafisica, nella quale lo spirito del mondo, la natura come sua alienazione, lo spirito oggettivo come sua realizzazione e lo spirito assoluto fino alla filosofia come attuazione della sua autocoscienza interiore sono identici, lascia alle sue spalle questo problema. Ma oggi occorre viceversa riconoscere il dato delle manifestazioni storiche della vita come il vero fondamento del sapere storico, e trovare un metodo per affrontare la questione della possibilità di un sapere universalmente valido intorno al mondo storico sulla base di questo dato. IV. IL MonDo SPIRITUALE COME CONNESSIONE DINAMICA Così nell’Erleben e nell’intendere attraverso l’oggettivazione della vita si apre dinanzi a noi il mondo spirituale. E a. Cfr. il mio saggio Beitrige zum Studium der Individualitàt, Sitzungsberichte der koniglich Preussischen Akademie der Wissenschaften , 1896, pp. 295-335 [ora in Ges. Schr., vol. V, pp. 241-316]. DILTHEY 159 il nostro compito è ora quello di determinare più da vicino nella sua essenza questo mondo dello spirito, questo mondo storico e sociale, in quanto oggetto delle scienze dello spirito. Riprendiamo anzitutto i risultati delle indagini precedenti in rapporto alla connessione delle scienze dello spirito. Questa connessione poggia sul rapporto tra Erleben e intendere, e da ciò derivano tre princìpi fondamentali. L'ampliamento del nostro sapere intorno a ciò che è dato nell’Erleder si compie mediante l’interpretazione delle oggettivazioni della vita, e questa interpretazione è a sua volta possibile soltanto sulla base della profondità soggettiva dell’Erledez. Così pure la comprensione del singolare è possibile soltanto mediante la presenza in esso del sapere generale, e questo ha a sua volta il proprio presupposto nell’intendere. Infine, la comprensione di una parte del corso storico si compie pienamente solo mediante la relazione della parte col tutto, e l’analisi storico-universale della totalità presuppone la comprensione delle parti che sono in essa unite. In tal modo viene in luce la reciproca dipendenza in cui stanno tra loro l'apprendimento di ogni particolare elemento oggettivo delle scienze dello spirito nella totalità storico-sociale di cui l'elemento fa parte, e la rappresentazione concettuale di questa totalità nelle scienze sistematiche dello spirito. Così nel progresso delle scienze dello spirito, in ogni punto del loro corso, si rivelano l’azione reciproca dell’Erleben e dell'intendere nell’apprendimento del mondo spirituale, la dipendenza reciproca del sapere generale e del sapere singolare, e infine la graduale spiegazione del mondo spirituale. Perciò noi li ritroviamo in tutte le operazioni delle scienze dello spirito, in quanto formano in generale il substrato della loro struttura. Così noi dovremo riconoscere la dipendenza reciproca di interpretazione, critica, collegamento delle fonti, sintesi di una connessione storica: un rapporto simile sussiste nella formazione dei concetti di soggetti quali l'economia, il diritto, la filosofia, l’arte, la religione, che designano le connessioni dinamiche di diverse persone in una operazione comune. Ogni volta che il pensiero scientifico cerca di compiere un’elaborazione concettuale, la determinazione dei segni distintivi costituenti il concetto presuppone pure la constatazione degli stati di fatto che devono 160 WILHELM DILTHEY esser compresi nel concetto; e la constatazione e la scelta di questi stati di fatto esige segni distintivi, sulla base dei quali poter decidere sulla loro appartenenza all'ambito del concetto. Per determinare il concetto di poesia, io debbo trarlo da quegli stati di fatto che costituiscono l’ambito di tale concetto, e per constatare quali opere appartengano alla poesia debbo già possedere un segno distintivo sulla base del quale l’opera può venir riconosciuta come poetica. Questo rapporto è quindi il carattere più generale della struttura delle scienze dello spirito. 1. Carattere generale della connessione dinamica del mondo spirituale. Da ciò deriva il compito di concepire il mondo spirituale come una connessione dinamica, cioè come una connessione contenuta nei suoi prodozti duraturi. Le scienze dello spirito hanno il loro oggetto in questa connessione dinamica e nelle sue creazioni. Esse analizzano sia tale connessione sia quella logica, estetica, religiosa, che si manifesta in solide formazioni e che caratterizza i vari tipi di queste, sia la connessione presente in una costituzione o in un libro giuridico, che si riferisce poi appunto alla connessione dinamica da cui è sorta. Questa connessione dinamica si distingue dalla connessione causale della natura in quanto, conformemente alla struttura della vita psichica, essa produce valori e realizza scopi. E invero non è un fatto occasionale, ma dipende dalla struttura stessa dello spirito che questo produca valori e realizzi scopi nella propria connessione dinamica, sulla base dell’apprendimento: tale carattere può venir definito il carattere teleologico immanente delle connessioni dinamiche dello spirito. Con ciò intendo una connessione di operazioni, che è fondata nella struttura di una connessione dinamica. La vita storica crea; essa è continuamente attiva nella produzione di beni e di valori, e tutti i concetti relativi sono soltanto riflessi di questa sua attività. I portatori di questa costante creazione di valori e di beni nel mondo spirituale sono individui, comunità e sistemi di cultura in cui gli individui agiscono insieme. La cooperazione tra gli individui è determinata dal fatto che essi si sottopongoWilhelm Dilthey intorno al DILTHEY 16I no a regole per la realizzazione dei valori e si prefiggono degli scopi. Così in ogni specie di questa cooperazione c’è un rapporto vitale, che inerisce all’essenza dell’uomo e lega tra loro gli individui quasi come un nucleo che non si può afferrare psicologicamente, ma che si manifesta in ogni sistema di relazioni tra uomini. L’azione entro di esso è condizionata dalla connessione strutturale tra l'apprendimento, gli stati psichici che si esprimono nella scelta di valori e quelli che consistono nella posizione di scopi, di beni e di norme. Questa connessione dinamica si rivela in primo luogo negli individui. In quanto poi essi sono punti di incrocio tra sistemi di relazioni, di cui ognuno costituisce un centro permanente di attività, entro tali sistemi vengono a svilupparsi beni comuni e forme di attuazione di tali beni secondo regole, a cui viene attribuita una specie di validità incondizionata. Ogni relazione permanente tra individui racchiude perciò in sé uno sviluppo nel quale valori, regole e scopi vengono prodotti, elevati a coscienza e consolidati nel corso dei processi del pensiero. Questa creazione che si compie in individui, comunità, sistemi di cultura, nazioni, sotto le condizioni naturali che sempre offrono a essa il suo materiale e la sua spinta, perviene nelle scienze dello spirito alla riflessione su se stessa. Da tale connessione strutturale deriva poi che ogni unità spirituale 4a il suo centro in se stessa. Come l’individuo, così anche ogni sistema di cultura e ogni comunità ha il suo centro entro di sé; in virtù di esso l’apprendimento della realtà, la valutazione e la produzione di beni sono collegati in un complesso unitario. Ora si presenta un nuovo rapporto fondamentale nella connessione dinamica che costituisce l'oggetto delle scienze dello spirito. I diversi soggetti creativi sono intrecciati in più ampie connessioni storico-sociali, come le nazioni, le età, i periodi storici. Così sorgono forme più complicate di connessione storica. I valori, gli scopi, i nessi che in esse si presentano, portati da individui, comunità, sistemi di relazioni, debbono essere compenetrati dallo storico. Essi debbono venir comparati, ponendo in luce l'elemento comune che è in essi e raccogliendo le diverse connessioni dinamiche in sintesi. E qui dall’autocentralità, intrinseca a ogni unità storica, deriva un’altra forma di 11. STORICISMO TEDESCO. DILTHEY unità. Ciò che opera nel medesimo tempo in un nesso reciproco, come individui e sistemi di cultura e comunità, vive in un continuo scambio spirituale e completa anzitutto la sua vita psichica con quella altrui: già le nazioni vivono più sovente in una forte chiusura reciproca e hanno perciò il loro orizzonte proprio; se però considero un periodo come quello medievale, il suo ambito visuale è separato da quello dei periodi precedenti. Anche quando i risultati di tali periodi mantengono la loro influenza, essi vengono tuttavia assimilati nel sistema del mondo medievale. Questo ha così un orizzonte chiuso. E un'epoca è così incentrata in se stessa în un muovo senso. Le varie persone dell’epoca hanno il criterio di misura del loro operare in un elemento comune. Il nesso delle connessioni dinamiche nella società dell’epoca ha tratti simili. Le relazioni dell’apprendimento oggettivo mostrano in essa una interna affinità; il modo di sentire, la vita dell'animo, gli impulsi che ne derivano sono affini tra loro. E così anche il volere si sceglie scopi uniformi, mira agli stessi beni e si trova vincolato in maniera simile. È compito dell’analisi storica ritrovare negli scopi, nei valori, nei modi di pensare concreti la concordanza in un elemento comune che domina l’epoca. Proprio da questo elemento comune sono determinate anche le antitesi che qui si presentano. Così ogni azione, ogni pensiero, ogni creazione comune, in breve ogni parte di questa totalità storica acquista la propria significatività in virtù del suo rapporto con la totalità dell’epoca o dell’età. E quando lo storico giudica, egli constata ciò che l'individuo ha compiuto in tale connessione, e anche in quale misura il suo sguardo e il suo operare sono andati già oltre di essa. Il mondo storico come una totalità, questa totalità come una connessione dinamica, questa connessione dinamica come produttrice di valori e di scopi, cioè creatrice, quindi la comprensione di questa totalità in base a se stessa, infine l’autocentralità dei valori e degli scopi nelle età, nelle epoche, nella storia universale questi sono i punti di vista da cui deve essere concepita la connessione, a cui dobbiamo pervenire, delle scienze dello spirito. Così il rapporto immediato della vita, dei suoi valori e dei suoi scopi con l’oggetto storico viene gradualmente sostituito nella scienza, in base alla sua tendenza alla validità universale, dall'esperienza delle relazioni immanenti che sussistono nella connessione dinamica del mondo storico tra la forza attiva, i valori, gli scopi, il significato e il senso. Soltanto su questo terreno della storia oggettiva può sorgere il problema se e come siano possibili le previsioni sul futuro e sulla subordinazione della nostra vita a fini comuni dell’umanità. L’apprendimento della connessione dinamica si forma in primo luogo in chi ne ha coscienza immediata, per il quale la successione del divenire interiore si sviluppa in relazioni strutturali. E tale connessione è poi ritrovata, mediante l’intendere, in altri individui. La forma fondamentale della connessione sorge così nell’individuo, riunendo il presente, il passato e le possibilità del futuro in un corso vitale: questo corso si riproduce poi nel corso storico, in cui sono inserite le unità della vita. In quanto lo spettatore di un avvenimento vede connessioni più ampie o una narrazione le racconta, sorge l'apprendimento dei fatti storici. E in quanto questi assumono un posto nel corso temporale, presupponendo in ogni punto l’azione del passato e spingendo le loro conseguenze fin nel futuro, ogni avvenimento implica un movimento ulteriore e il presente conduce avanti verso il futuro. Altri modi di connessione sussistono in opere che, scisse dai loro autori, recano in sé la propria vita e la propria legge. Prima di spingerci entro la connessione dinamica da cui esse sono sorte, noi cogliamo le connessioni sussistenti nell’opera compiuta. Nell’intendere sorge la connessione logica in cui sono legati tra di loro i princìpi giuridici che formano un libro di diritto. Se leggiamo una commedia di Shakespeare, troviamo che gli elementi di un accadimento, legati secondo i rapporti di tempo e di azione, sono qui elevati secondo le leggi della composizione poetica a un’unità che li solleva, all’inizio e alla fine, al di fuori del corso dinamico collegando le loro parti in una totalità. 2. La connessione dinamica come concetto fondamentale delle scienze dello spirito. Nelle scienze dello spirito noi cogliamo il mondo spirituale sotto forma di connessioni che si formano nel corso temporale.  Operare, energia, corso temporale, accadere sono quindi i momenti che caratterizzano l’elaborazione concettuale delle scienze dello spirito. Da queste determinazioni di contenuto non dipende però la funzione generale del concetto nella connessione delle scienze dello spirito, la quale richiede determinatezza e costanza in tutti i giudizi. I caratteri di un concetto, il cui nesso ne forma il contenuto, debbono soddisfare tali esigenze; e le asserzioni, in cui i concetti sono collegati, non debbono contenere contraddizioni né entro di sé né tra di loro. Questa validità indipendente dal corso temporale, che sussiste in tal modo nella connessione del pensiero e determina la forma dei concetti, non ha alcun rapporto con il fatto che il contenuto dei concetti propri delle scienze dello spirito può rappresentare il corso temporale, l’operare, l'energia e l’accadere. Noi vediamo operante nella struttura dell'individuo una tendenza o una forza impulsiva che si partecipa a tutte le forme più complesse del mondo spirituale. In questo mondo si presentano forze collettive che si fanno valere in una determinata direzione nella connessione storica. Tutti i concetti delle scienze dello spirito, in quanto rappresentano qualche elemento della connessione dinamica, contengono in sé questo carattere di processo, di corso, di accadere o di agire. E quando le oggettivazioni della vita spirituale vengono analizzate come qualcosa di compiuto, quasi di fisso, resta sempre il compito ulteriore di penetrare la connessione dinamica in cui tali oggettivazioni sono sorte. In un ambito più vasto i concetti delle scienze dellospirito sono rappresentazioni fissate di un procedere, e costituiscono la solidificazione nel pensiero di ciò che è corso o direzione di movimento. Pure le scienze sistematiche dello spirito racchiudono il compito di un'elaborazione concettuale, che esprime la tendenza insita nella vita, la sua mutabilità e la sua mobilità, ma soprattutto la finalità che vi si realizza. E nelle scienze dello spirito, sia storiche sia sistematiche, si presenta il compito ulteriore di dare alle relazioni una corrispondente elaborazione concettuale. È stato merito di Hegel aver cercato di esprimere nella sua logica l'incessante corrente dell’accadere. Ma è stato suo errore ritenere che tale esigenza fosse inconciliabile con il principio di contraddizione: contraddizioni non risolubili sorgono soltanto se si vuol spiegare il fatto del fluire della vita. E altrettanto erroneo è stato, ed è, giungere da tale presupposto al rifiuto dell’elaborazione concettuale sistematica nel campo storico. Così nel metodo dialettico di Hegel la varietà della vita storica è venuta a irrigidirsi, mentre gli avversari dell’elaborazione concettuale sistematica nel campo storico lasciano sprofondare in una profondità irrappresentabile della vita la molteplicità dell’esistenza. A questo punto si può comprendere la più profonda intenzione di Fichte. Nel faticoso approfondirsi dell’io in se medesimo, esso si ritrova non come sostanza, essere, datità, ma come vita, attività, energia. In tale modo egli aveva già elaborato i concetti che esprimono l’energia del mondo storico. 3. Il procedimento di determinazione delle connessioni dinamiche particolari. La connessione dinamica è in sé sempre complessa. Il punto di partenza è un’azione particolare, per la quale cerchiamo procedendo indietro i momenti causanti. Tra i molti fattori, ne è determinabile soltanto un numero limitato che abbia importanza per questa azione. Quando ricerchiamo l'intreccio delle cause del mutamento della nostra letteratura, in virtù del quale è stato superato l’Illuminismo, distinguiamo allora gruppi di cause, ci sforziamo di misurarne l'influenza, e delimitiamo in qualche modo lo sconfinato contesto causale secondo il significato dei momenti e secondo i nostri scopi. Così poniamo in luce una connessione dinamica per spiegare il mutamento in questione. D'altra parte noi distinguiamo, in un'analisi metodica condotta da diversi punti di vista, le connessioni particolari presenti nella concreta connessione dinamica; e su questa analisi poggia precisamente il progresso che ha luogo sia nelle scienze sistematiche dello spirito sia nella storia. L’induzione, che constata i fatti e i nessi causali, la sintesi che lega tra loro con l’aiuto dell’induzione le connessioni causali, l’analisi che distingue tra loro singole connessioni dinamiche, la comparazione questi, o equivalenti, sono i modi in cui si costituisce in prevalenza la nostra conoscenza della connessione dinamica. E noi applichiamo gli stessi metodi quando indaghiamo le creazioni durature scaturite da questa connessione dinamica quadri, statue, drammi, sistemi filosofici, scritti religiosi, libri giuridici. La connessione in essi presente è diversa secondo il loro carattere, ma anche qui l’analisi dell’insieme dell’opera su base induttiva e la ricostruzione sintetica della totalità in base alla relazione delle sue parti, sempre su base induttiva, si intrecciano tra loro con la costante presenza di verità generali. A questa tendenza del pensiero verso la connessione è legata nelle scienze dello spirito un’altra tendenza che, procedendo dal particolare al generale e viceversa, indaga le regolarità presenti nelle connessioni dinamiche. Qui si manifesta il più ampio rapporto di reciproca dipendenza tra le forme di procedimento. Le generalizzazioni servono a formare delle connessioni, e l’analisi della concreta connessione universale in connessioni particolari è la strada più feconda per la scoperta di verità generali. Se si tiene presente il procedimento di constatazione delle connessioni dinamiche nelle scienze dello spirito, viene in luce la grande differenza che lo separa da quello che ha reso possibili gli enormi successi delle scienze della natura. Le scienze della natura hanno a proprio fondamento la connessione spaziale dei fenomeni: la numerabilità e la misurabilità di ciò che si estende spazialmente o si muove nello spazio rendono in esse possibile la scoperta di leggi generali esatte. Ma l’interna connessione dinamica è solo aggiunta dal pensiero, e i suoi elementi ultimi non possono venir indicati. Invece, come abbiamo visto, le unità ultime del mondo storico sono date nell’Erleden e nell’intendere. Il loro carattere di unità è fondato nella connessione strutturale in cui sono collegati l'apprendimento oggettivo, i valori e la posizione di scopi. Noi abbiamo un’esperienza vissuta di questo carattere dell'unità vivente anche per il fatto che può costituire uno scopo soltanto ciò che è posto nel suo volere, che è vero soltanto ciò che trova conferma di fronte al suo pensiero, e che possiede valore per essa soltanto ciò che ha un rapporto positivo con il suo sentire. Il correlato di questa unità vivente è il corpo che si muove e opera in base a un impulso interno. Il mondo storico-sociale dell’uomo è costituito da queste viventi unità psico-fisiche: tale è il risultato sicuro dell’analisi. E anche la connessione dinamica di queste unità mostra poi qualità particolari che non sono esaurite dai rapporti di unità e di pluralità, di tutto e di parte, di composizione e di azione reciproca. Procedendo, l’unità vivente risulta una connessione dinamica che si pone al di là della natura in quanto viene immediatamente vissuta, ma le cui parti attive non possono venir misurate secondo la loro intensità bensì solo valutate, e la cui individualità non può venir scissa dall’elemento umano comune, di modo che l’umanità è soltanto un tipo indeterminato. Pertanto ogni stato particolare nella vita psichica è una nuova posizione dell’intera unità vivente, un rapporto della sua totalità con le cose e con gli uomini; e, in quanto ogni manifestazione della vita procedente da una comunità o appartenente alla connessione dinamica di un sistema di cultura è il prodotto del cooperare di varie unità viventi, gli elementi di queste forme composte rivestono un carattere corrispondente. Per quanto ogni processo psichico appartenente a tale totalità possa dipendere dall'intenzione della connessione dinamica, tuttavia questo processo non è mai determinato da essa in maniera esclusiva. L'individuo, in cui esso si compie, si inserisce come unità vivente nella connessione dinamica; e nella sua manifestazione esso opera come totalità. La natura, per la differenziazione dei sensi di cui ognuno racchiude un ambito di qualità sensibili omogenee, è distinta in diversi sistemi ognuno dei quali è internamente omogeneo. Lo stesso oggetto, una campana ad esempio, è duro, bronzeo, capace di produrre al rintocco una serie di suoni; e ognuna delle sue proprietà occupa un posto in uno dei sistemi dell’apprendimento sensibile, senza che ci sia data una connessione interna tra queste qualità. Nell’Erlebder io esisto a me stesso come connessione. Ogni situazione mutata produce una nuova posizione della vita intera. Del pari in ogni manifestazione della vita, che appare dinanzi alla nostra comprensione, opera sempre tutta la vita. Perciò né nell’Erleden né nell’intendere ci sono dati sistemi omogenei, che ci consentano scoprire leggi di mutamento. Comunanza e affinità si presentano a noi nell’intendere, e questo ci porta d’altro lato a cogliere innumerevoli sfumature di differenziazione, dalle grandi distinzioni tra razze, stirpi e popoli, fino all’infinita molteplicità degli individui. Perciò nelle scienze della natura domina la legge dei mutamenti, mentre nel mondo spirituale domina la comprensione dell’individualità, dalla persona singola all'umanità intera, nonché il procedimento comparativo, che cerca di ordinare concettualmente questa molteplicità individuale. Da questi rapporti derivano i limiti della conoscenza spirituale in rapporto sia allo studio della psicologia sia alle discipline sistematiche, che dovranno essere illustrati più da vicino nella dottrina del metodo. Da un punto di vista generale è evidente che sia la psicologia sia le singole discipline sistematiche avranno un prevalente carattere descrittivo e analitico; e qui possono servire le mie precedenti considerazioni sul procedimento analitico nella psicologia e nelle scienze sistematiche dello spirito, a cui mi rifaccio nell’insieme *. 4. La storia e la sua comprensione per mezzo delle scienze sistematiche dello spirito: il sapere storico. La conoscenza spirituale si compie, come si è visto, attraverso la reciproca dipendenza della storia e delle discipline sistematiche; e poiché l'intenzione dell’intendere precede in ogni caso l'elaborazione concettuale, noi cominciamo con le proprietà generali del sapere storico. L'apprendimento della connessione dinamica, costituita dalla storia, sorge anzitutto in base a punti particolari, in cui i resti raccolti del passato vengono tra loro collegati nell’intendere mediante la relazione con l’esperienza della vita; ciò che ci circonda da vicino diventa mezzo per comprendere ciò che sta lontano ed è passato. La condizione di questa interpretazione dei resti storici risiede nel carattere di persistenza nel tempo e di universale validità umana di ciò che noi vi rechiamo dentro. Così noi vi trasponiamo la nostra conoscenza dei costumi, delle abitudini, delle connessioni politiche, dei processi religiosi; e il a. Cfr. Ideen tiber eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, Sitzungsberichte der kòniglich Preussischen Akademie der Wissenschaften , 1894, pp. 1309-1407 [ora in Gesammelte Schriften, vol. V, pp. 139237]. Si vedano inoltre le Studien zur Grundlegung der Geisteswissenschaften: Erste Studie, Sitzungsberichte cit., 1905, vol. II, pp. 322-43 [ora in Gesammelte Schriften, vol. VII, pp. 3-23], l’Eiz/eitung in die Geistewissenschaften, e C. Siwart, Logik, Tubingen, vol. II, 3° ed. 1904, p. 633 sgg. presupposto ultimo di questa trasposizione è costituito sempre dalle connessioni che lo storico ha vissuto in sé. La cellula originaria del mondo storico è l’Erlebnis, nel quale il soggetto si trova in rapporto al suo ambiente nella connessione dinamica della vita. Questo ambiente opera sul soggetto e ne subisce l'influenza: esso è composto dall'ambiente fisico e spirituale. In ogni parte del mondo storico vi è quindi la medesima connessione del corso di un accadere psichico in rapporto dinamico con il suo ambiente. Qui sorge il problema di valutare le influenze naturali sull'uomo e di constatare pure l’azione che su di lui esercita l’ambiente spirituale. Come la materia prima viene nell’industria sottoposta a diversi modi di lavorazione, così anche i resti del passato vengono elevati a piena comprensione storica mediante diverse procedure. La critica, l’interpretazione e il procedimento che reca unità nella comprensione di un processo storico si collegano tra di loro. L'aspetto caratteristico sta però anche qui nel fatto che non si ha una semplice fondazione di un’operazione sull’altra: la critica, l’interpretazione e il collegamento concettuale hanno compiti diversi; ma la soluzione di ogni compito richiede continuamente cognizioni ottenute per altre vie. Proprio questo rapporto ha però come conseguenza che la fondazione della connessione storica dipende sempre da un intreccio di operazioni che non può venir illustrato logicamente in modo completo, e che mai può giustificarsi di fronte allo scetticismo storico mediante prove incontestabili. Si pensi alle grandi scoperte di Niebuhr sull’antica storia romana. La sua critica è in ogni punto inseparabile dalla sua ricostruzione del corso effettivo. Egli ha dovuto constatare come sia sorta la tradizione della più antica storia romana e quali conclusioni si possano trarre sul suo valore storico in base a tale origine. Egli ha dovuto nel medesimo tempo cercar di trarre da un’argomentazione oggettiva i lineamenti fondamentali della storia reale. Senza dubbio questo procedimento metodico si muove in un circolo, se si applicano le regole di una dimostrazione rigorosa. E quando Niebuhr si è contemporaneamente servito della conclusione analogica da processi di sviluppo affini, la conoscenza di tali processi sottostà allo stesso circolo, e la conclusione analogica qui impiegata non dà nessuna certezza rigorosa. DILTHEY Anche le narrazioni contemporanee debbono prima venir esaminate in riferimento alla concezione dell’autore, alla sua attendibilità e al suo rapporto con il processo in questione. E quanto più le narrazioni vengono a distare temporalmente dall'avvenimento, tanto più diminuisce la loro credibilità, se il loro valore non può venir accertato mediante una riduzione ad altre più antiche e contemporanee all’avvenimento stesso. La storia politica del mondo antico ha una base sicura dove esistono dei documenti, e così pure la storia politica del mondo moderno dove sono conservati gli atti che fanno parte del corso di un avvenimento storico. Con le raccolte critico-metodiche dei documenti e il libero accesso degli storici agli archivi è cominciata per la prima volta una conoscenza sicura della storia politica. Questo può arrestare completamente lo scetticismo storico di fronte ai fatti, di modo che su tali fondamenti sicuri viene a costruirsi, con l’aiuto dell’analisi delle narrazioni in rapporto alle loro fonti, e dell'esame dei punti di vista dei narratori, una ricostruzione che possiede probabilità storica e la cui utilità può venir negata soltanto da menti spiritose ma non scientifiche. Questa ricostruzione non perviene certo a un sapere sicuro intorno ai motivi delle persone che agiscono, ma vi perviene intorno alle azioni e agli avvenimenti, e gli errori a cui sempre rimaniamo esposti per i fatti particolari non mettono in dubbio l'insieme. In posizione assai più favorevole che nella comprensione del corso politico la storiografia si trova di fronte ai fenomeni di massa, ma soprattutto quando si tratta di opere artistiche o scientifiche che si possono sottoporre ad analisi. 5. I gradi della comprensione storica. Il graduale assoggettamento del materiale storico si compie per diversi gradi, che sono sempre più immersi nelle profondità della storia. Molteplici interessi spingono anzitutto alla narrazione di ciò che è accaduto. Qui viene in primo luogo soddisfatto il bisogno originario di curiosità per le cose umane, in particolare per quelle della propria patria; e si fa pure valere la consapevolezza della nazione e dello stato. In tal modo sorge l’arte narrativa, il cui modello per ogni tempo resta Erodoto. Ma poi viene in primo piano la tendenza alla spiegazione. La cultura ateniese nell’età di Tucidide ha per la prima volta offerto le condizioni indispensabili per tale spiegazione. Le azioni sono state derivate, mediante un’acuta osservazione, da motivi psicologici; le lotte tra gli stati, il loro corso e il loro esito sono stati spiegati in base alle forze militari e politiche, e sono stati studiati gli effetti delle costituzioni statali. E quando un grande pensatore politico come Tucidide spiega il passato mediante il sobrio studio della connessione dinamica in esso presente, ne deriva contemporaneamente che la storia ammaestra anche intorno al futuro. Per conclusione analogica, quando si è riconosciuto un corso dinamico antecedente e si è mostrata l'affinità con esso dei primi stadi di un processo, si può prevedere il ripresentarsi di un simile corso in seguito. Questa conclusione, sulla quale Tucidide ha fondato la capacità della storia di ammaestrare sul futuro, è infatti di decisiva importanza per il pensiero politico. Come nelle scienze naturali, così anche nella storia una regolarità entro la connessione dinamica consente di effettuare asserzioni € di svolgere un’azione fondata sul sapere. Se già il contemporaneo dei Sofisti aveva studiato le costituzioni come forze politiche, in Polibio ci si presenta una storiografia in cui la trasposizione metodica delle scienze sistematiche dello spirito nella spiegazione della connessione dinamica della storia consente di introdurre nel procedimento esplicativo l’azione di forze permanenti, come la costituzione e l’organizzazione militare o le finanze. L'oggetto di Polibio è stata l’azione reciproca degli stati che, dall’inizio della lotta tra Roma e Cartagine fino alla distruzione di Cartagine e di Corinto, costituirono per lo spirito europeo il mondo storico; egli ha quindi cercato di derivare dallo studio delle forze permanenti in essi operanti i singoli processi politici. Il suo punto di vista diventa storico-universale, in quanto egli riunisce in sé la cultura teoretica greca, lo studio della raffinata politica e della condotta militare della sua patria, con una conoscenza di Roma che era resa possibile soltanto dal contatto con i maggiori uomini di stato della nuova potenza mondiale. E numerose forze spirituali operano nel tempo da Polibio fino a Machiavelli e a Guicciardini, in primo luogo l’approfondirsi senza fine del soggetto in se medesimo e DILTHEY nello stesso tempo l'estensione dell’orizzonte storico; ma i due grandi storici italiani restano affini a Polibio nel loro procedimento. Un nuovo livello è stato raggiunto dalla storiografia soltanto nel secolo xvitr. Allora sono stati introdotti due grandi princìpi, in quanto la connessione dinamica concreta, estratta come oggetto storico dal grande fluire della storia, è stata 424 lizzata in connessioni particolari, come quelle del diritto, della religione, della poesia, comprese nell’unità di un’epoca. Ciò presupponeva che lo sguardo dello storico mirasse, al di là della storia politica, alla storia della civiltà, che per ogni suo campo fosse già conosciuta, mediante le scienze sistematiche dello spirito, la funzione che esso esercita, e che si fosse già formata una comprensione del cooperare di tali sistemi di cultura. La storiografia moderna ha avuto inizio nell'età di Voltaire. E in seguito è stato introdotto un nuovo principio, quello di sviluppo, a opera di Winckelmann”, di Justus Méser" e di Herder: esso afferma che in una connessione dinamica storica è racchiusa, come nuova qualità fondamentale che essa percorra in virtù della sua essenza una serie di mutamenti di cui ognuno è possibile soltanto sulla base dei precedenti. Questi diversi gradi designano momenti che, una volta conquistati, sono rimasti vitali nella storiografia. L'arte narrativa di intrattenimento, la spiegazione acuta, l’applicazione ad essa del sapere sistematico, l’analisi in connessioni dinamiche particolari e il principio dello sviluppo questi momenti sono venuti a sommarsi e a rafforzarsi reciprocamente. 13. Johann. Joachim Winckelmann (1717-1768), archeologo e storico dell’arte tedesco, autore della Geschichte der Kunst des Altertums (1764) e di varie altre opere, fu il maggior teorico del classicismo settecentesco: la sua dottrina del bello ebbe larga influenza sull'estetica di fine Settecento c della prima metà dell'Ottocento. 14. Justus Mser (1720-1794), storico tedesco, autore della Osnabriickische Geschichte (1768-1824) e di altre opere, fu un rappresentante della reazione anti-illuministica del pensiero tedesco della seconda metà del Settecento: la sua impostazione storiografica, fondata suli’csaltazione della struttura feudale e patrimoniale della vecchia Germania c quindi orientata in senso fortemente conservatore, è stata considerata un importante momento preparatorio dello storicismo romantico. L’isolamento di una connessione dinamica dal punto di vista dell'oggetto storico. Sempre più chiaro ci appare il significato dell’analisi della concreta connessione dinamica e della sintesi scientifica delle singole connessioni dinamiche in essa contenute. Lo storico non segue all’infinito, partendo da un punto, il nesso degli avvenimenti in tutte le direzioni; piuttosto nell’unità di un oggetto, che costituisce il suo tema, risiede un principio di selezione che è dato proprio insieme al compito dell’apprendimento di tale oggetto. Infatti la trattazione dell’oggetto storico non richiede soltanto il suo isolamento dalla vastità della concreta connessione dinamica, ma l’oggetto contiene al tempo stesso un principio di selezione. La caduta di Roma, la liberazione dell'Olanda, la Rivoluzione francese richiedono la selezione di processi e di connessioni che racchiudano le cause tanto particolari quanto generali, cioè le forze operanti in tutte le loro trasformazioni, per la rovina dell’Impero romano o per la liberazione dell'Olanda o per il compiersi della rivoluzione. Lo storico che lavora con connessioni dinamiche deve distinguerle e collegarle in maniera che nessun dettaglio vada smarrito, poiché ogni particolare viene rappresentato nei forti tratti della connessione dinamica complessiva. In ciò non consiste soltanto la sua capacità rappresentativa, ma questa è piuttosto il risultato di un determinato modo di vedere. Quando si indagano queste salde e profonde connessioni, risulta anche qui che la loro comprensione deriva dal nesso tra il progredire dell’intendere storico delle fonti con una sempre più profonda penetrazione delle connessioni della vita psichica. Se ci si avvicina poi alla specie di connessione dinamica che sì presenta nei maggiori avvenimenti storici, le origini del Cristianesimo o la Riforma o la Rivoluzione francese o le guerre di liberazione nazionale, la si può concepire come opera di una forza totale che supera, nella sua tendenza unitaria, tutti gli ostacoli. E si troverà sempre che in essa operano due specie di forze. L'una è costituita da tensioni che risiedono nel sentimento di bisogni imperiosi e non soddisfatti dalla situazione presente, in nostalgie di ogni specie, nell’accrescersi degli attriti e delle lotte, e anche nella coscienza di un'insufficienza delle capacità di difendere ciò che esiste. L’altra è costituita dalle energie che spingono in avanti, da un volere e un potere e un credere di carattere positivo. Esse riposano sugli istinti vigorosi di molti, ma sono manifestati e rafforzati da Erlebnisse di personalità importanti. In quanto tali tendenze positive derivano dal passato per dirigersi verso il futuro, esse sono creatrici: racchiudono in sé degli ideali, la loro forma è l’entusiasmo, e in questo è insita una forma peculiare di parteciparsi e di estendersi. Da ciò deriviamo il principio generale che nella connessione dinamica di grandi avvenimenti storici i rapporti tra pressione, tensione, sentimento di insufficienza dello stato di fatto cioè sentimenti con segni negativi e con forme di rifiuto costituiscono il fondamento per l’azione, sorretta da sentimenti positivi di valore, da fini da raggiungere e da determinazioni di scopo. Quando entrambi gli elementi cooperano, si verificano i grandi mutamenti del mondo. Nella connessione dinamica l’agente peculiare è perciò costituito dagli stati psichici che si esprimono nel valore, nel bene e nello scopo, e tra i quali non si debbono considerare come forze operanti soltanto le tendenze verso i beni di cultura, ma anche la volontà di potenza, anche l’inclinazione a opprimere gli altri. 7. I sistemi di cultura. Da ciò risulta che già la determinazione dell’oggetto di un’opera storica implica una selezione degli avvenimenti e delle connessioni. Ma la storia racchiude un sistema coerente per cui la sua concreta connessione dinamica riposa su campi particolari isolabili, in cui sono compiute operazioni separate, di modo che i processi svolgentisi negli individui in rapporto a un’operazione comune costituiscono una connessione dinamica unitaria e omogenea. Tale relazione è già stata illustrata da me in precedenza ®: su di essa poggia l'elaborazione concettuale mediante cui diventano conoscibili, nell’indagine storica, connessioni di carattere generale. L’analisi e l'isolamento mediante cui vengono poste in luce tali connessioni dinamiche è quindi il a. Einleitung in die Geistestissenschaften, p. 52 sgg. [ora in Gesammelte Schriften, vol. I, p. 42 sgg.]. procedimento decisivo che l’analisi logica delle scienze dello spirito deve prendere in esame. Appare subito evidente l’affinità di tale analisi con quella in cui viene scoperta la connessione strutturale dell’unità della vita psichica. Le più semplici e omogenee connessioni dinamiche, che compiono una funzione culturale, sono l’educazione, la vita economica, il diritto, le funzioni politiche, le religioni, la socialità, l’arte, la filosofia, la scienza. Io prendo ora in esame le qualità di un sistema siffatto. In esso viene compiuta un’operazione. Così il diritto realizza le condizioni coercitive per l’attuazione dei rapporti della vita. La poesia ha la sua essenza nell’espressione di ciò che è immediatamente vissuto e nella rappresentazione dell’oggettivazione della vita, in maniera tale che l'avvenimento isolato dal poeta si presenta, nel suo significato per la totalità della vita, ricco di conseguenze. In questa operazione gli individui sono legati tra di loro. I processi particolari, che in essi hanno luogo, si riferiscono alla connessione dinamica costituita da tale operazione e le appartengono: così essi sono membri di una connessione che realizza l'operazione. Le regole giuridiche del testo legislativo, il processo in cui le parti avverse discutono, dinanzi a un tribunale, intorno a un'eredità, secondo le regole del testo legislativo, la decisione del tribunale e la sua esecuzione costituiscono una lunga serie di processi psichici particolari, che si distribuiscono e si intrecciano in diverse persone, per risolvere infine il compito inerente al diritto relativamente a un determinato rapporto della vita. Il compimento della funzione poetica è, in grado assai maggiore, legato al processo unitario che avviene nell’animo del poeta; ma nessun poeta è il creatore esclusivo della sua opera, in quanto egli trae un avvenimento dalla saga, si trova davanti la forma epica in cui lo eleva a poesia, studia l’efficacia di scene particolari nei suoi predecessori, impiega una misura metrica, deriva la sua concezione del significato della vita dalla coscienza popolare o da individui eminenti, ha bisogno di ascoltatori che godano nell’accogliere in sé l'impressione dei suoi versi e nell’attuare così il suo sogno di influenza. Così la funzione del diritto, della poesia o di un altro sistema di scopi della cultura si realizza in una connessione dinamica che riposa su determinati processi, legati da tale operazione, i quali hanna luogo in certi individui. Nella connessione dinamica di un sistema di cultura si fa valere anche una seconda qualità. Il giudice, oltre a esplicare la sua funzione nell’ordine giuridico, è inserito anche in varie altre connessioni dinamiche; agisce nell’interesse della sua famiglia, deve realizzare una funzione economica, esercita la sua finzione politica, forse scrive pure dei versi. Perciò gli individui non sono legati nella loro totalità a tale connessione dinamica, ma nella molteplicità dei rapporti dinamici sono uniti tra loro soltanto quei processi che appartengono a un determinato sistema, e l’individuo è inserito in diverse connessioni dinamiche. La connessione dinamica di un tale sistema di cultura si realizza mediante una posizione differenziata dei suoi membri. La solida impalcatura di ognuno di essi è formata da persone in cui i processi, che servono a tale funzione, costituiscono l’occupazione principale della loro vita, sia per inclinazione sia per motivo professionale. Tra di esse emergono poi le persone che incorporano in sé, per così dire, l'intenzione verso tale funzione, e che per la loro unione di talento e di professione diventano i rappresentanti di questo sistema di cultura. E infine i portatori veri e propri della creazione che ha luogo in tale campo sono le nature produttive i fondatori delle religioni, gli scopritori di una nuova intuizione filosofica del mondo, gli scopritori scientifici. Così in una connessione dinamica siffatta ha luogo un intreccio: le tensioni, accumulate in un vasto ambito, spingono al soddisfacimeno del bisogno; l'energia produttiva trova la strada per la quale si compie tale soddisfacimento o suscita l’idea creatrice che spinge in avanti la società; infine si aggiungono i collaboratori e poi i molti che l’accolgono. Procedendo nell’analisi, ognuno di tali sistemi di cultura, che realizza un’operazione, attua un valore comune a tutti coloro che sono ad essa indirizzati. Ciò di cui l’individuo ha bisogno, e che non può mai realizzare, gli proviene dall’ agire della totalità: un valore creato in comune, a cui egli può partecipare. L'individuo ha bisogno delia sicurezza della sua vita, della sua proprietà, dell'insieme della sua famiglia; ma soltanto una forza indipendente della comunità soddisfa il suo bisogno mediante il mantenimento di regole coercitive della vita comune, che rendono possibile la protezione di questi beni. L'individuo soffre, nei tempi primitivi, sotto la pressione di forze indomabili intorno a lui, di forze cioè che stanno al di là dell’ambito ristretto di attività della sua stirpe o del suo popolo; ma una diminuzione di tale pressione è ottenuta solo mediante la creazione della fede da parte dello spirito collettivo. In ognuno di tali sistemi di cultura, dall'operazione a cui mira la connessione dinamica deriva un ordine dei valori; questo viene creato nel lavoro comune compiuto in vista di essa; sorgono oggettivazioni della vita in cui il lavoro si è condensato; e sorgono pure organizzazioni che servono alla realizzazione delle varie operazioni nei sistemi di cultura libri giuridici, opere filosofiche, poesie. Il bene, che la funzione doveva realizzare, è ora creato e sarà sempre più perfezionato. Le parti di tale connessione dinamica acquistano una significatività nel loro rapporto con la totalità quale portatrice di valori e di scopi. Anzitutto le parti del corso della vita hanno un significato in base al loro rapporto con la vita, con i suoi valori e con i suoi scopi, con lo spazio che qualcosa occupa in essa. E quindi gli avvenimenti storici diventano significativi in quanto sono elementi di una connessione dinamica, cooperando alla realizzazione di valori e di scopi della totalità insieme ad altre parti. Mentre noi ci troviamo perplessi di fronte alla complessa connessione dell’accadere storico, senza percepire in esso né una struttura né delle regolarità né uno sviluppo, ogni connessione dinamica, che realizza una funzione culturale, ha una propria struttura. Se concepiamo la filosofia come connessione dinamica, essa si presenta anzitutto come una molteplicità di operazioni: elevazione delle intuizioni del mondo a validità universale, riflessione del sapere su se stesso, relazione della nostra attività conforme a uno scopo e del sapere pratico con la connessione della conoscenza, spirito critico sempre presente nell’intera cultura, opera di collegamento e di fondazione. L’indagine storica mostra però che abbiamo qui da fare ovunque con specifiche funzioni che si presentano sotto certe condizioni storiche, ma che sono alla fine fondate su una funzione unitaria propria della filosofia. Essa è riflessione universale che procede continuamente verso le più alte generalizzazioni e le fondazioni ultime. La struttura della filosofia sta quindi nel rapporto di questo suo carattere fondamentale con le funzioni particolari, in base alle condizioni temporali. Così la metafisica si sviluppa sempre nell’interna connessione della vita, dell’esperienza della vita e dell’intuizione del mondo. In quanto la tendenza a un saldo fondamento, che in noi lotta continuamente contro l’accidentalità della nostra esistenza, non trova alcuna soddisfazione duratura nelle forme religiose e poetiche di intuizione del mondo, sorge allora il tentativo di elevare l'intuizione del mondo a sapere universalmente valido. Inoltre nella connessione dinamica di un sistema di cultura si può ogni volta rintracciare un’articolazione in forme particolari. Ogni sistema di cultura ha uno sviluppo che si compie sulla base della sua funzione, della sua struttura, delle sue regolarità. Mentre nel concreto corso dell’accadere non si può trovare nessuna legge di sviluppo, la sua analisi in connessioni dinamiche particolari e omogenee rivela la successione di stati determinati dall’interno, che si presuppongono l’un l’altro in maniera che dallo strato sottostante ne emerge ogni volta uno superiore, e che procedono a una crescente differenziazione e a un crescente collegamento. 8. Le organizzazioni esterne e l'insieme politico: le nazioni organizzate politicamente. a) Sulla base dell’articolazione naturale dell'umanità e dei processi storici si sviluppano gli stati del mondo civile, ognuno dei quali riunisce in sé connessioni dinamiche di sistemi di cultura, e soprattutto le nazioni organizzate in forma statale. L'analisi si limita qui a questa forma tipica dell’attuale organizzazione politica. Ognuno di questi stati è un’organizzazione composta da varie comunità: la coesione delle comunità in esso racchiuse è quindi il potere sovrano dello stato, al di sopra del quale non esiste nessun'altra istanza. E chi potrebbe negare che il senso della storia, fondato nella vita, venga a esplicarsi tanto nella volontà di potenza che riempie questi stati, nel bisogno di dominio verso l’interno e verso l’esterno, quanto nei sistemi di cultura? E a tutto questo aspetto di brutalità, di temibilità, di distruzione, che è contenuto nella volontà di potenza, a tutta la pressione e a tutta la coercizione intrinseche al rapporto di dominio e di obbedienza, non è forse legata la coscienza della comunità, dell’appartenenza reciproca, la gioiosa partecipazione al potere dell'insieme politico, tutti Erlebrisse propri dei supremi valori umani? Il lamento sulla brutalità del potere dello stato è fuori luogo poiché, come Kant ha visto, il più difficile compito del genere umano sta proprio nel riuscire a contenere il volere individuale e la sua tendenza a estendere la propria sfera di potenza e di godimento mediante la volontà collettiva e la coercizione che essa esercita, e inoltre perché per tale volontà, in caso di conflitto, la decisione risiede soltanto nella guerra, e anche all’interno la coercizione resta l’ultima istanza. Sul terreno di questa volontà di potenza, intrinseca all’organizzazione politica, sorgono le condizioni che rendono possibili i sistemi di cultura. Così si presenta qui una struttura complessa, nella quale i rapporti di forza e le relazioni dei sistemi di scopo sono legati in un’unità superiore, e la comunanza sorge anzitutto dall’azione reciproca dei sistemi di cultura. Io cerco ora di illustrare tutto questo rifacendomi alla più antica società germanica a noi nota, quale ce la descrivono Cesare e Tacito. Qui la vita economica, lo stato e il diritto si trovano legati alla lingua, al mito, alla religiosità e alla poesia proprio come in ogni epoca successiva: tra le qualità dei singoli campi della vita c'è un’azione reciproca che pervade in un dato tempo la totalità. Così, nella Germania di Tacito, dallo spirito guerriero è sorta la poesia eroica che già magnificava Arminio"! nei suoi canti, e questa poesia a sua volta rafforzava lo spirito guerriero. Da questo spirito guerriero è derivata pure l’inumanità presente nella sfera religiosa, come mostrano il sacrificio dei prigionieri e l’impiccagione dei loro cadaveri in luoghi sacri. Proprio tale spirito influiva sulla posizione del dio della guerra 15. Arminio (17 a. C.-21 d. C.), principe dei Cherusci, sconfisse le legioni romane, guidate da Quintilio Varo, nella Foresta di Teutoburgo nel 9 d. C., e in seguito guidò la resistenza germanica contro l'invasore, costringendo i Romani ad abbandonare la frontiera dell'Elba per ritirarsi sul Reno. La sua figura fu esaltata come quella di un eroe nazionale tedesco. entro il mondo divino, e da ciò risultava di nuovo una ripercussione sul sentimento bellico. Così viene a costituirsi una concordanza tra i diversi campi della vita, la quale è così forte che dallo stato di uno di essi possiamo compiere un’illazione sullo stato di un altro. Ma quest’azione reciproca non spiega compiutamente i rapporti di comunanza che collegano tra loro le diverse operazioni di una nazione. Che tra economia, guerra, costituzione, diritto, linguaggio, mito, religiosità e poesia vi sia in questa età una straordinaria concordanza e una straordinaria armonia, non deriva dal fatto che una funzione fondamentale qualsiasi, sia essa anche la vita economica o l’attività bellica, abbia condizionato le altre. Il fatto non può venir considerato neppure come prodotto dell’azione reciproca dei diversi campi nella loro situazione in quel dato periodo. In termini generali, quali che siano le influenze derivanti dalla forza € dalle proprietà di certe operazioni, tuttavia l’affinità che lega tra loro i diversi campi della vita entro una nazione deriva da una profondità comune che nessuna descrizione può esaurire. Essa esiste per noi soltanto nelle manifestazioni della vita che scaturiscono da tale profondità e che la esprimono. È l’uomo, facente parte di una certa nazione in un dato tempo, che inserisce in ogni manifestazione della vita entro un determinato campo della civiltà qualcosa della sua particolare essenza; poiché i momenti della vita degli individui, legati nella connessione delle operazioni, non procedono da essa esclusivamente come abbiamo visto, ma l’uomo intero è sempre operante in ognuna di queste attività e partecipa loro le proprie qualità peculiari. E poiché l’organizzazione statale racchiude in sé diverse comunità fin giù alla famiglia, l'ambito più vasto della vita nazionale racchiude pure piccole connessioni e comunità che hanno propri movimenti, e tutte queste connessioni dinamiche si incrociano nei singoli individui. Più ancora lo stato attrae l’attività che ha luogo nei sistemi di cultura; e la Prussia di Federico è l'esempio tipico di tale estremo aumento di intensità e di estensione dell’influenza statale. Accanto alle forze indipendenti, che collaborano nei sistemi di cultura, agiscono in essi anche le attività che procedono dallo stato; e nei processi appartenenti a tale totalità statale, l’attività autonoma e il condizionamento da parte della totalità sono sempre legati tra loro. DILTHEY 181 5) Il movimento proprio di ogni cerchia particolare in questa grande connessione dinamica è determinato dalla tendenza a compiere la propria funzione. Questa forza attiva ha in sé la duplicità della tensione e di un’energia positiva volta alla posizione di scopi: tutte le connessioni dinamiche concordano in ciò, ma ognuna ha pure la sua peculiare struttura, dipendente dall’operazione che compie. Molto differente è infatti la struttura di un sistema di cultura, in cui si realizza una connessione articolata di operazioni, in cui i processi individuali vengono mossi da tale connessione, in cui lo sviluppo dei valori, dei beni, delle regole, degli scopi è determinato dall’essenza immanente di questa funzione, da quella propria della connessione dinamica di un’organizzazione politica, poiché in questa non esiste tale legge di sviluppo immanente in una funzione, i fini mutano in genere secondo la natura delle organizzazioni, la macchina è per così dire impiegata per attuare un altro compito, mentre vengono risolti compiti del tutto eterogenei e realizzati valori di classe totalmente differente. Da tale articolazione del mondo storico in connessioni dinamiche particolari risulta una conclusione, che ci fornisce l’indicazione per l'ulteriore soluzione del problema contenuto nel mondo storico. La conoscenza del significato e del senso del mondo storico è stata spesso ottenuta, per esempio da Hegel o da Comte, mediante la determinazione di una direzione generale del movimento della storia universale; questa operazione riunisce il cooperare di diversi momenti in un'intuizione indeterminata. In realtà risulta che il movimento storico si compie nelle connessioni dinamiche particolari; e inoltre appare chiaro che l’intera problematica diretta a porre in luce un fine della storia è del tutto unilaterale. Il senso manifesto della storia deve essere cercato anzitutto in ciò che sussiste sempre, in ciò che ricorre nelle relazioni strutturali, nelle connessioni dinamiche, nella formazione di valori e di scopi entro di esse, nell'ordine interno in cui stanno tra loro dalla struttura della vita individuale fino all’ultima più vasta unità: questo è il senso che la storia ha sempre e ovunque, che poggia sulla struttura dell’esistenza individuale e che si manifesta nella struttura delle connessioni dinamiche più complesse entro l’oggettivazio ne della vita. Tale regolarità ha determinato anche lo sviluppo DILTHEY passato e ad essa è sottoposto il futuro. L'analisi della costruzione del mondo spirituale avrà soprattutto il compito di mostrare tali uniformità nella struttura del mondo storico. In tal modo viene pure eliminata la concezione che ha visto il compito della storia nel progresso da valori, obbligazioni, norme, beni relativi ad altri incondizionati: con essa ci trasferiremmo dal campo delle scienze empiriche al campo della speculazione. Infatti la storia assiste pure alla posizione di un elemento incondizionato, sotto forma di valore, di norma o di bene. Elementi del genere si presentano sempre in essa sia come dati nella volontà divina, sia come dati in un concetto razionale di perfezione, in una connessione teleologica del mondo, in una norma universalmente valida del nostro agire, fondata su base trascendentale. Ma l’esperienza storica ha conoscenza soltanto dei processi, per essa così importanti, in virtù dei quali questi elementi vengono posti: essa non sa nulla, di per sé, in merito a una loro validità universale. Seguendo il corso in cui si elaborano tali valori, beni o norme incondizionate, essa osserva per diversi di essi il modo in cui la vita li ha prodotti; la posizione incondizionata è stata possibile solo in virtù della limitazione dell’orizzonte temporale. Essa guarda di qui alla totalità della vita nella pienezza delle sue manifestazioni storiche, e osserva la disputa mai appianata che si svolge tra queste posizioni incondizionate. La questione se la subordinazione a tale elemento incondizionato, che è appunto un fatto storico, debba essere ricondotta in maniera logicamente necessaria a una condizione generale, non limitata temporalmente, insita nell'uomo, o se sia da considerare come prodotto della storia, conduce alle estreme profondità della filosofia trascendentale, che stanno al di là dall’ambito dell’esperienza storica e a cui neppur la filosofia è in grado di fornire una risposta sicura. E se anche tale questione fosse decisa nel primo, ciò non potrebbe servire allo storico per la selezione, la comprensione, la scoperta di qualche connessione, qualora non potesse venir determinato il contenuto di tale elemento incondizionato: così l'intervento della speculazione nel campo di esperienza dello storico difficilmente potrà avere successo. Lo storico non può rinunciare al tentativo di intendere la storia in base a se stessa, in base all’analisi delle varie connessioni dinamiche. Così una nazione organizzata in forma statale può venir concepita come un’unità strutturale individualmente determinata di connessioni dinamiche. Il carattere comune delle nazioni organizzate in forma statale poggia su regolarità che consistono nella forma di movimento delle connessioni dinamiche, nelle loro relazioni reciproche e, poiché esse sono creatrici di valori e di scopi, nel rapporto tra connessione dinamica, determinazione di valori, posizione di scopi e connessione di significato entro un’organizzazione politica. Ognuna di queste connessioni dinamiche è incentrata in se stessa in un modo particolare, e su ciò è fondata la regola interna del suo sviluppo. Sulla base di tali regolarità, che pervadono tutte le nazioni organizzate statalmente, si elevano le loro forme individuali, lottando e cooperando nella storia per la loro vita e la loro validità. In ogni nazione organizzata in forma statale l’analisi e soltanto questa, non già la storia dell'origine delle nazioni interviene in tale connessione distingue vari momenti. Tra gli individui in essa racchiusi, che stanno tra loro in un rapporto di azione reciproca, esistono uniformità di carattere e di manifestazioni della vita; essi hanno coscienza di queste uniformità e dell’appartenenza reciproca che su queste riposa; in essi vive perciò una tendenza a rafforzare tale appartenenza reciproca. Queste uniformità possono venir constatate negli individui singoli, ma pervadono e caratterizzano anche tutte le connessioni esistenti entro la nazione. L'analisi mostra inoltre in ogni nazione un nesso di connessioni dinamiche particolari. Il potere esterno e interno dello stato fa della nazione un'unità che opera in forma autonoma. Entro questa unità si sovrappongono vari gruppi sociali, e ognuno costituisce una connessione dinamica relativamente indipendente. I sistemi strutturali, che procedono al di là della singola nazione, si presentano qui in rapporto con altre connessioni dinamiche, e sono modificati dalle uniformità che pervadono l’intero popolo; e la forza della loro azione è accresciuta dai gruppi che si costituiscono in base alla loro tendenza a una determinata funzione. Così sorge la complessa struttura di una nazione organizzata in forma statale: ad essa corrisponde una nuova interna disposizione di questa totalità. In essa viene vissuto un valore per tutti; l’agire degli individui ha in essa un fine comune. La sua unità si oggettiva nella letteratu184 WILHELM DILTHEY ra, nei costumi, nell'ordinamento giuridico e negli organi della volontà collettiva, manifestandosi pure nella connessione dello sviluppo nazionale. Voglio ora illustrare in alcuni punti fondamentali la cooperazione dei diversi momenti che fanno parte di una totalità statale organizzata, così come sono stati determinati, nella vita nazionale di una certa epoca. A tale scopo mi rifaccio ai Germani dell’età di Tacito. Quando Tacito scriveva, il fondamento della vita germanica era sempre l'unione della guerra con lo sfruttamento del terreno, della caccia con l’allevamento del bestiame e con l’agricoltura. L’'arrestarsi della diffusione delle stirpi germaniche ha accelerato il corso naturale verso la fissazione del domicilio, e la Germania è divenuta un paese agricolo. Da questo rapporto con il suolo e il terreno nella caccia, nell'allevamento del bestiame e nell’agricoltura, è derivato il legame dei Germani di allora con la terra e con ciò che su di essa-cresce e vive: tale legame è il primo momento decisivo per la vita spirituale dei Germani in questa epoca, Altrettanto chiara è l’influenza dell’altro fattore sociale, prima accennato, di questa età, cioè dello spirito guerriero delle stirpi germaniche nella vita politica, negli ordinamenti sociali e nella cultura intellettuale del tempo. I compiti della guerra pervadevano tutti i settori della vita; si facevano valere nel rapporto delle famiglie con l’ordinamento militare, cioè nelle centurie; incidevano sulla posizione dei capi e dei prìncipi. Dallo spirito guerriero è sorto poi anche il sistema del seguito, di importanza decisiva per lo sviluppo militare e politico. Il principe è circondato da un seguito composto da gente libera, che costituisce la sua corte militare: soltanto la guerra poteva nutrire tale seguito. Esso era legato quindi al principe dal più saldo rapporto di fedeltà, da un rapporto che a noi si rivela nel canto eroico e nell’epica popolare con la sua bellezza propriamente germanica. Dalla guerra scaturisce poi il regno militare di un Marbod". A questi fattori si aggiunge l’individualità dello spirito nazionale. Le sue uniformità si fanno valere nel risultato delle connessioni dinamiche. Lo spirito guerriero, che le stirpi germa16. Marbod, principe dei Marcomanni, contemporanco e avversario di Arminio. niche di quest'epoca hanno in comune con gli stadi primitivi di altri popoli, mostra tuttavia presso di esse una forza e un carattere particolare. Il valore della vita di una persona singola è riposto nelle sue qualità belliche. Da Tacito appare che i migliori di essi vivevano in modo completo soltanto in guerra; la cura della casa, del focolare e del campo era lasciata alle donne e agli individui inadatti alla guerra. Un carattere peculiare spinge questi Germani a operare nella pienezza del loro essere e ad abbandonarsi senza riserve alla lotta. Il loro agire non è determinato e limitato da una posizione razionale di scopi; in esso c'è una sovrabbondanza di energia che li spinge al di là dello scopo, c'è qualcosa di irrazionale. Nella loro passione inconsumabile e indomabile essi mettono in gioco con i dadi la loro persona e la loro libertà. Nella battaglia si rallegrano del pericolo; dopo la lotta cadono in una pigra quiete. Il loro mito e Ia loro saga eroica sono totalmente pervasi da questo carattere ingenuo e inconscio che ripone il valore e il piacere maggiore dell’esistenza non già nella serena intuizione del mondo propria dei Greci, non già nella razionale determinazione di scopi propria dei Romani, ma nella manifestazione illimitata della forza in quanto tale, nella scossa e nell’estensione e nell’elevazione che ne deriva per la personalità. Questo aspetto, che trova la sua suprema espressione nella gioia della lotta, esercita la sua influenza sull'intero sviluppo dei nostri ordinamenti politici e della nostra vita spirituale. L’ultimo tra i momenti contenuti in una totalità nazionale, e che determinano il suo sviluppo, risiede nella subordinazione dei gruppi minori alla totalità politica, quale essa sorge in virtù dei rapporti di dominio e di obbedienza e dei rapporti di comunità compresi in una volontà statale sovrana. Così in Germania vengono a susseguirsi il regno popolare in piccole comunità di struttura imperfettamente differenziata, poi, sulla base della crescente divisione del lavoro, l’articolazione professio nale e la distinzione dei ceti in una totalità nazionale poco solida, la formazione della signoria indipendente con la sua intensiva ed estesa attività statale negli stati territoriali, che gradualmente stritola, in mezzo ai diritti individuali e alla volontà di potenza dei prìncipi, l’ordinamento fondato sulle professioni e sui ceti, e infine lo sviluppo di tali stati verso un continuo ampliamento dei diritti individuali, dei diritti della comunità popolare nel sistema rappresentativo, conforme a ordinamenti democratici, e d’altra parte la subordinazione dei diritti principeschi all’impero nazionale. Se si guarda a tale sviluppo, esso appare ovunque condizionato in duplice modo: da un lato esso dipende dal rapporto mutevole delle forze entro il sistema statale, e dall’altro è condizionato dai fattori dello sviluppo interno, propri dello stato particolare, che noi abbiamo seguito. Così risulta chiara la possibilità di sottoporre ad analisi la connessione dinamica che condiziona i momenti particolari dello sviluppo di una nazione e lo sviluppo totale di essa, distinguendola nei suoi fattori. Le regolarità presenti nella struttura della totalità politica determinano le situazioni della totalità c i suoi mutamenti. Vi sono quasi degli strati successivi nell’ordinamento di vita di questa totalità, di cui il posteriore presuppone il precedente, come abbiamo visto dai mutamenti dell’organizzazione politica. Ognuno mostra un ordine interno in cui, a partire dall’individuo, le connessioni dinamiche formano valori, realizzano scopi, raccolgono beni, sviluppano regole di condotta. I portatori e i fini di tali operazioni sono però differenti. Così sorge il problema dell’interna relazione reciproca tra tutte queste operazioni, dalla quale esse traggono il loro significato. Pertanto l’analisi della connessione logica delle scienze dello spirito ci conduce di fronte a un compito ulteriore, sulla cui soluzione getterà luce la costruzione delle scienze dello spirito in virtù del collegamento dei loro vari metodi. 9. Età ed epoche. In un determinato periodo di tempo si possono quindi porre in luce analiticamente singole connessioni dinamiche e mostrare i momenti di sviluppo in esse contenuti, determinando inoltre le relazioni che uniscono tali connessioni in una totalità strutturale e le uniformità presenti nelle parti di un insieme politico: così noi possiamo pure intendere l’altro aspetto del mondo storico, la linea del corso temporale e dei mutamenti che esso racchiude in riferimento alle connessioni dinamiche, come una totalità continua e tuttavia separabile in sezioni temporali. Ciò che caratterizza anzitutto le generazioni, le età, le epoche *, sono tendenze dominanti di profonda incidenza. Ciò che le caratterizza è la concentrazione dell’intera cultura di un periodo in se stessa, cosicché nella determinazione di valori, nella posizione di scopi, nelle regole di vita dell’epoca risiede il criterio di giudizio, di valutazione e di stima delle persone e degli orientamenti che attribuisce a una determinata epoca il suo carattere. Un individuo, una tendenza, una comunità acquistano il proprio significato in questa totalità in base al loro rapporto interno con lo spirito del tempo. E in quanto ogni individuo è inserito in tale periodo, ne deriva pure che il suo significato per la storia consiste in questo suo rapporto con l'età. Quelle persone che procedono vigorosamente innanzi in un certo periodo sono gli esponenti dell’età, i suoi rappresentanti. In questo senso si parla di spirito di un’epoca, per esempio dello spirito del Medioevo o dell’Illuminismo. Da ciò risulta pure che ognuna di tali epoche trova una limitazione in un orizzonte di vita: con questo intendo la limitazione per cui gli uomini di un'età vivono in rapporto al suo pensiero, al suo modo di sentire, alla sua volontà. In essa c'è una relazione di vita, rapporti vitali, esperienza della vita e formazione intellettuale, che mantiene e lega gli individui in un determinato ambito di modificazioni dell’apprendimento, della formazione di valori e della posizione di scopi. Elementi inevitabili sovrastano qui gli individui particolari. Accanto alla grande tendenza che domina e pervade un'intera età, dando a quel periodo il suo carattere, ve ne sono altre che si contrappongono a essa. Esse mirano a conservare l’antico, osservano le conseguenze dannose dell’unilateralità dello spia. Già nel 1865, nel saggio su Novalis [ora in Er/ebnis und Dichtung] ho illustrato e impiegato il concetto storico di generazione, usandolo più ampiamente nel primo volume del Leben Schleiermachers e poi, nel 1875, nel saggio Uber das Studium der Geschichte der Wissenschaften vom Menschen, der Gesellschaft und dem Staat [ora in Gesammelte Schriften, vol. V, pp. 31-73], sviluppandolo insieme ai concetti ad esso collegati. L’ulteriore determinazione dei concetti di continuità storica , movimento sto rico , generazione , età , epoca è possibile soltanto nell’illustrazione della costruzione delle scienze dello spirito. rito dell’epoca e si rivolgono contro di questo; se invece si presenta qualcosa di creativo e di nuovo, che sorge da un altro sentimento della vita, allora comincia entro questo periodo il movimento indirizzato a produrre una nuova età. Ogni contrapposizione resta quindi sul terreno dell’età o dell’epoca; ciò che in essa si oppone ha nel medesimo tempo la struttura di quell'età. In questo elemento creativo ha allora inizio un nuovo rapporto di vita, di relazioni vitali, di esperienza della vita e di formazione intellettuale. Così i rapporti di significato che esistono in un periodo tra le forze storiche sono fondati in quella relazione reciproca delle uniformità e delle connessioni dinamiche, che si possono designare come tendenze, correnti, movimenti. Da esse si perviene per la prima volta al problema più complicato di determinare analiticamente la connessione strutturale di un’età o di un periodo. Tale problema può venire illustrato considerando l’Illuminismo tedesco dal punto di vista di questa interna connessione: compiendo l’analisi di un’età anzitutto in una nazione particolare, si viene infatti a semplificare il compito. La scienza si era costituita nel secolo xvi. Dalla scoperta di un ordine legale della natura e dall’applicazione di questa conoscenza causale al dominio sulla natura era sorta la fiducia dello spirito in un regolare progresso della conoscenza. In questo lavoro di indagine le varie nazioni civili erano unite tra loro: così è sorta l’idea di un’umanità unita nel progresso. Si formò l’ideale di un dominio della ragione sulla società; esso ispirò le forze migliori; così queste si unirono in uno scopo comune, lavorando in base agli stessi metodi e attendendo dal progresso del sapere il miglioramento dell’intero ordinamento sociale. L'antico edificio alla cui costruzione avevano cooperato il dominio della chiesa, i rapporti feudali, il dispotismo illimitato, i capricci dei principi, l'inganno pretesco edificio sempre trasformato dai tempi e sempre bisognoso di nuovi restauri doveva venir mutato in una costruzione razionale chiara e simmetrica. Questa è l’unità interna in cui sono legate in una totalità la vita spirituale degli individui, la scienza, la religione, la filosofia e l’arte nella connessione europea dell’Illuminismo. Questa unità si compì in modo differente nei vari paesi, atteggiandosi in maniera particolarmente felice e solida in Germania. Qui una tendenza generale si fece valere nella sua più alta vita spirituale. Se ci si rifà indietro in Germania si può trovare, a partire da Freidank”, la tendenza a subordinare coscientemente la vita a salde regole; e se si volesse designarle come morali, il fatto sarebbe rappresentato da un punto di vista unilaterale e determinato entro un ambito troppo ristretto. La serietà dei popoli nordici è qui legata a un bisogno di riflessione, che deriva da un orientamento verso l’interiorità della vita ed è senza dubbio connesso con le situazioni politiche. Come nell’immobilità della vita statale le clausole giuridiche, i privilegi, gli accordi ostacolano il libero movimento della vita, così anche nell’individuo il sentimento dell’obbligazione sovrasta la libera posizione di scopi: nel godimento della vita si scorge sempre qualcosa di illecito. I potenti lo arraffano per sé, ma in esso c'è qualcosa che mette in crisi la loro coscienza. Così nella filosofia tedesca del secolo xviti vi è un tratto fondamentale che unisce tra loro Leibniz, Thomasius *, Wolff”, Lessing, Federico il Grande, Kant e innumerevoli altri minori. Tale tendenza all’obbligazione e al dovere era stata promossa dallo sviluppo del Luteranesimo e della sua morale fin da Melantone. Essa era favorita dall’articolazione della so17, Freidank, nome o (più probabilmente) pseudonimo di un poeta didattico tedesco della prima metà del secolo x1tr, che seguì Federico II in Palestina: il suo poema Bescheidenheit (pubblicato nel 1508) ebbc larga fortuna. 18. Christian Thomasius (1655-1728), giurista e filosofo tedesco, autore di tre libri Institutionum iurisprudentiue divinae (1688), della Introductio in philosophiam ratio. nalem (1701), dei Fundamenta iuris naturae et gentium (1705) e di numerose altre opere soprattutto di etica, fu uno dei maggiori esponenti della scuola del diritto naturale alla fine del Seicento: la sua opera si ispira in larga misura all'insegnamento di Pufendorf. 19. Christian Wolff (1679-1754), filosofo tedesco, è il principale rappresentante dell'Illuminismo di derivazione Icibniziana: fu autore di numerosi manuali scientifici e di opere filosofiche come la Philosophia rationalis, sive logica methodo scientifico pertractata (1728), la Philosophia prima sive Ontologia (1729), la Cosmologia generalis (1731), la Psychologia empirica (1732), la Psychologia rationalis (1734), la Theologia naturalis (1736-37), la Plilosophia practica universalis (1738-39), lo Jus naturae methodo scientifico pertractatum (1740-48), lo Ius gentium (1749), le Institutiones suris naturae (1750), la Philosophia moralis sive Ethica (1750-53) e l'Oeconomica (1750). Il suo lavoro di sistemazione del sapere filosofico ebbe larga influenza nella cultura tedesca del Settecento, e ad esso si richiamerà anche Kant. 190 WILHELM DILTHEY cietà in base al concetto di professione e di ufficio, che Lutero aveva introdotto nell’età moderna. E nella misura in cui la tendenza all’autonomia della persona progrediva nell’Illuminismo, la perfezione diventava dovere: nella ragione vi è una legge naturale dello spirito, che richiede dall’individuo la realizzazione della perfezione in sé e negli altri. Questa esigenza è dovere: un dovere che non è imposto dalla divinità, ma che deriva dalla legge della nostra propria natura e può venir stabilito su basi razionali. Soltanto in seguito la regola razionale può venir riferita al fondamento delle cose: questa è la dottrina di Wolff, che si rifà indietro a Pufendorf ”, Leibniz, Thomasius, e che procede in avanti fino a Kant, riempiendo tutta la letteratura dell’Illuminismo tedesco. In questa dottrina risiede il legame che unisce i Tedeschi dell’Illuminismo con i Tedeschi del secolo xvi, producendo uno spirito unitario in quest’epoca, un qualcosa di imponderabile che, ovunque modificato e pur sempre il medesimo, pervade l’intera nazione: una determinazione del valore della vita, che sta a base della connessione vitale dell’Illuminismo tedesco. Il nuovo schema di movimento dell’anima verso il suo valore supremo è fondato nel carattere razionale dell’uomo. La persona individuale realizza il suo scopo in quanto divenuta maggiorenne in virtù delle sue capacità razionali, realizza in sé il dominio della ragione sulle passioni, e questo della ragione si manifesta come perfezione. In quanto la ragione è poi universalmente valida e a tutti comune, e la perfezione della totalità mediante la ragione è superiore alla perfezione dell'individuo nel senso che la perfezione di tutti ha un valore superiore a quella di una persona sola e sorge qui l'obbligazione suprema in virtù della quale l’individuo è legato al bene della totalità, ne deriva la più precisa determinazione di questo principio come principio di perfezione di tutti gli individui, da raggiungersi mediante il progresso della totalità. Questo principio dell'Illuminismo non ha la sua base nel puro pensiero, e il suo dominio non poggia su questo, ma in 20. Samuel von Pufendorf (1632-1694), giurista e filosofo tedesco, autore dei De iure naturae ei gentium libri octo (1672), dei De officio hominis et civis iuxta legem natttralem libri duo c di Eris scandica (1686), nonché di varie altre opere di argomento storico e giuridico, è la maggiore figura del giusnaturalismo seicentesco. esso pervengono a un'espressione astratta tutti i valori della vita di cui hanno esperienza gli uomini dell’Illuminismo. Per queste menti, Wolff soprattutto, la perfezione diventa quindi, in modo abbastanza strano, un dovere, la tendenza verso di essa diventa una legge vincolante per l'individuo, e infine la divinità diventa per Wolff e i suoi scolari oggetto di doveri i quali hanno il loro centro di riferimento nella tendenza alla perfezione. La stessa esperienza della vita, in cui sono fondate queste idee, può venir studiata in Leibniz nel modo migliore. Essa poggia sull’Erlebnis della felicità dello sviluppo. E il grande pensatore, come poi anche Lessing, ripone nel progredire medesimo la suprema felicità dell’uomo, in quanto essa non può mai essergli offerta dal contenuto del momento. E che tale progredire non si riferisca a questo o a quello scopo particolare, ma allo sviluppo della persona individuale, comprendendo e legando tutto ciò che vi è in essa, Leibniz per primo lo esprime mediante il suo Er/eden. Questo Erlebnis è stato ovunque preparato dal fatto che l’individuo nell’infelicità della vita nazionale veniva spinto sempre verso se stesso, e indirizzato ai compiti culturali comuni. E così come Leibniz lo aveva enunciato, esso agì dappertutto. Con i concetti di valore derivanti dalla vita stessa, che Leibniz accoglieva, è determinato anche il compito che egli poneva alla sua filosofia, cioè quello di derivare il significato della vita e il senso del mondo dalla connessione dei valori individuali dell’esistenza. Così nell’età dell’Illuminismo una connessione unitaria conduce dalla forma della vita all'esperienza della vita, dagli Erlebnisse in essa contenuti alla loro rappresentazione in concetti di valore, in imperativi del dovere, in determinazioni di scopo, nella coscienza del significato della vita e del senso del mondo. In questa connessione cresce la coscienza che tale epoca ha di sé, e nel passaggio a formule astratte queste pervengono, mediante la dimostrazione razionale, a un carattere assoluto; vengono formulati valori, obbligazioni, doveri, beni incondizionati, mentre proprio qui lo storico percepisce chiaramente la loro origine dalla vita medesima. Se nella riflessione dell'individuo sulla vita troviamo in Germania una tendenza alla sua formazione razionale, una tendenza analoga si sviluppa nel medesimo tempo nella vita statale, sulla base delle condizioni particolari della connessione dinamica della vita politica. Sempre più invadente diventava l’attività statale nello sviluppo europeo dell’età moderna, in tutti i vari campi della cultura: nella burocrazia, nella classe militare, nelle istituzioni finanziarie risiede il centro di organizzazione di tutti i rapporti di forza, e l’attività dello stato diventa una forza propulsiva del movimento culturale. Su questo processo influiscono ovunque la lotta reciproca dei grandi stati per la potenza e per l'ampliamento, e il bisogno interno di trasformare in una totalità unitaria le parti messe insieme attraverso le guerre e le successioni ereditarie. L'unità degli stati moderni si concentra nel monarca, nella sua burocrazia e nel suo esercito. Ma essi debbono pervenire a una più salda articolazione dei loro organi e a un impiego più intensivo delle loro forze. Ciò diventa possibile soltanto con una più razionale condotta degli affari; il progresso politico non avviene spontaneamente ma viene prodotto. Ogni attività dell’insieme è determinata da una razionale posizione di scopi. Questo insieme include sempre in sé vari compiti culturali la scuola, la scienza, anche la vita ecclesiastica, ove essa può venir raggiunta. I prìncipi rappresentano in sé non solo l’unità, ma anche l’orientamento culturale di tutto lo stato. Le libere forze irrazionali della fedeltà della persona alla persona vengono sostituite da altre operanti in modo più calcolabile e più sicuro. Così anche nella vita statale si attua la relazione di forze che dà all’età illuministica la sua unità. All’ordine razionale della vita e all’utilizzazione razionale della natura, di cui lo stato ha bisogno, viene incontro il movimento scientifico fondato nel secolo xvII, e questo trova a sua volta nello stato l'organo necessario per sottoporre tutti i settori della vita a una regolamentazione razionale, dall'impresa economica alle regole del buon gusto nelle arti. Nessun paese era politicamente preparato come la Germania a questa interna relazione, nella quale risiedeva l’essenza dell’Illuminismo. I suoi piccoli stati dipendevano dallo sviluppo della cultura, e la Prussia anche dal progredire delle forze spirituali necessarie alla lotta per il potere. La circolazione delle forze religiose e scientifiche, dalla vita delle comunità protestanti al sistema scolastico e alle università, da queste allo sviluppo del pensiero religioso presso il clero e alle teorie giuridiche presso i giuristi, e poi di nuovo giù giù fino al popolo, non fu mai in alcun paese sviluppata come in esso. Nell’Illuminismo tedesco cooperano forze di origine assai diversa, e connessioni dinamiche colte in stati assai differenti del loro sviluppo. Mentre l’unità dello spirito dell’Illuminismo si realizza nella scienza e nella riflessione filosofica come nella vita sociale, essa viene ad attuarsi pure mediante l’efficacia di questo spirito in tutti i singoli campi della vita spirituale. Nello sviluppo del diritto troviamo in Germania un interessante esempio di tale fenomeno nell’origine della più compiuta legislazione dell’epoca, il diritto territoriale. A Halle, dallo spirito dello stato prussiano si forma un indirizzo autonomo del diritto naturale e della giurisprudenza che su esso si fonda. Thomasius, Wolff, B6hmer? e vari seguaci diffondono dappertutto, con i loro scritti, la concezione giuridica di tale scuola. Essi formano i funzionari adatti, per l’unità e il carattere nazionale del loro orientamento spirituale, a compiere l’opera legislativa, a lungo bloccata, della Prussia. Sotto l’influenza di questo diritto naturale stanno il re, che promuove tale opera, e i ministri e i consiglieri che la eseguono. La stessa connessione interna si trova nel movimento religioso dell’età illuministica: anch'esso mostra la duplicità peculiare dell’Illuminismo tedesco, in quanto è a un tempo polemico e costruttivo. La storia ecclesiastica, il diritto naturale e il diritto ecclesiastico cooperano nel Protestantesimo tedesco a formare una visione del Cristianesimo primitivo che in Bòhmer, Semler ”, Lessing, Pfaff” diventa la forza produtti21. Johann Samuel Friedrich von Bòhmer (1704-1772), giurista tedesco, autore degli Elementa iurisprudentiae criminalis (1733), delle Observationes selectae ad B. Carpzovii Practicam novam rerum criminalium (1759) e di Meditationes sulle recenti leggi penali (1770), fu uno dei più importanti studiosi di diritto penale del Settecento. 22. Johann Salomon Semler (1725-1791), teologo protestante tedesco, autore delle Vorbereitungen zur theologischen Hermeneutik (1760-69), della /nstiturio brevior ad liberalem eruditionem theologicam (1765-66), dell'Apparatus ad liberalem Novi Testamenti interpretationem (1769), delle Asketische Vorlesungen zur Beforderung einer verniinftiger Anwendung der christlichen Religion (1722) e di altre operc, sostenne in polemica col Pietismo una teologia liberale, fondata sulla distinzione della parola divina dalla parola della Bibbia. 23. Christoph Matthàus Pfaff (1686-1760), teologo protestante tedesco, autore delle Institutiones theologiae dogmaticae et moralis (1719), del De origine iuris ecclesiastici 13. STORICISMO TEDESCO. DILTHEY va di un nuovo ideale della religiosità e dell'ordinamento della chiesa. E anche qui si ha la medesima circolazione delle idee che dall’insoddisfazione per lo stato presente e dalla forza positiva delle nuove idee universali, attraverso le scuole e le università che sono indipendenti dal potere dell'ortodossia ecclesiastica e che stanno in connessione con lo spirito scientifico, conduce alla formazione del singolo sacerdote che fa valere nella città o nella campagna un Cristianesimo illuminato, affine allo spirito dell’epoca. La religiosità cristiana non ha mai esercitato in nessun altro tempo all’infuori dell’Illuminismo tedesco un’influenza così schietta, così coerente, così orientata verso le supreme idee morali e religiose, e nel medesimo tempo così concorde con il teismo cristiano. Nuovi valori religiosi di grande portata si sono allora formati nella vita ecclesiastica e religiosa. Anche la poesia tedesca dell’epoca è determinata dalla trasformazione dei valori e degli scopi che si compie nell’età dell’Illuminismo. Negli stati indipendenti tedeschi l’Illuminismo incide sulla creazione poetica. Muovendo dalla Francia, anche in Germania viene elaborata la prosa moderna in rapporto con la società colta. Vengono assegnati ai generi poetici le loro regole, e queste disciplinano la forma superiore di arte fantastica di Shakespeare e di Cervantes in componimenti poetici articolati in maniera strettamente logica. L'ideale di questa poesia diventa l’uomo determinato dall’idea della perfezione e dell’Illuminismo; e la sua intuizione del mondo è la fede nell’ordine teleologico del mondo a partire dalla natura. La diretta espressione diquesto ideale e di questa intuizione del mondo diviene la poesia didattica; ad essa seguono l’idillio e l’elegia. Non viene afferrato il carattere tragico della vita: la commedia, il dramma e soprattutto il romanzo diventano la suprema espressione poetica dell’epoca, e acquistano una struttura corrispondente: un realismo guidato da idee ottimistiche pervade ogni opera poetica. Questa connessione unitaria, nella quale si esprime nei diversi campi della vita l'orientamento dominante dell’Illuminismo tedesco, non determina però tutti gli uomini che apparten(1719), delle Institutiones iuris ecclesiastici (1727) e di varie altre opere, fu uno dei maggiori rappresentanti della dottrina teologica della prima metà del Settecento. gono a tale età; e anche là dove essa influisce, trova accanto a sé altre forze. Si fanno valere le opposizioni delle età precedenti: particolarmente efficaci si mostrano le forze che si riallacciano a situazioni e a idee antiche, cercando però di dare loro una nuova forma. Nella sfera religiosa si è presentato così il Pietismo. Esso è stato la più robusta tra le forze in cui l’antico ha assunto forme nuove. Esso è affine all’Illuminismo nella crescente indifferenza per tutte le forme ecclesiastiche esteriori e nell’esigenza di tolleranza, ma soprattutto nel fatto che, al di là della tradizione e dell’autorità distrutte dalla critica, cerca un semplice e chiaro fondamento di legittimità per la fede. Tale fondamento risiede nel contatto con Dio e nell’esperienza religiosa che ne deriva. Soltanto il convertito intende la Bibbia; a lui si rivela la parola divina che gli è partecipata in essa; egli è in grado di fare delle scoperte, per così dire, nel campo del Cristianesimo. La tolleranza del Pietismo sta nel riconoscimento di ogni fede cristiana fondata sulla conversione: il Pietista risvegliato da essa deve completare la propria esperienza religiosa mediante la storia di conversioni altrui. E così vediamo che il Pietismo appartiene al grande movimento individualistico, poiché esso procede oltre il Luteranesimo escludendo la chiesa dal processo interiore della persona. Ma nel medesimo tempo si contrappone all’Illuminismo per la sua adesione alla fiducia di Lutero nell’esperienza religiosa derivante dal contatto con Dio. Il Pietismo si ritrova poi in un rapporto interno con la compiutezza raggiunta dalla nostra musica religiosa in J. S. Bach. Certo, Bach non era pietista, ma i canti dell'anima cristiana, che accompagnano la rappresentazione della vita di Cristo, mostrano già di per sé abbastanza chiaramente la sua connessione con la soggettiva interiorità religiosa, che era venuta in luce nel movimento pietistico. La medesima tendenza verso lo stato di cose esistente si manifesta di fronte alle tendenze politiche del governo illuminato. Essa è diretta al mantenimento del regno e dei privilegi di ceto nei singoli stati, e alla conservazione degli antichi diritti. Ma anche queste tendenze raggiungono la loro più alta coscienza e la loro fondazione mediante lo studio della letteratura illuministica di teoria dello stato, e Ie proposte di Schlosser e di Méser cercano anche di soddisfare i nuovi bisogni e lo spirito dell'Illuminismo. Le idee politiche dell'Illuminismo dovevano circondare Méser quando egli, in base alla situazione presente, sviluppava la sua comprensione di essa e le sue tendenze pratiche. Dall’esempio dell’Illuminismo tedesco si comprende quindi la relazione interna delle tendenze che hanno determinato le antitesi c la mutabilità in tale periodo, allorquando si constatano i momenti che, entro il suo orientamento fondamentale, rendono possibile rivolgersi verso il futuro. Proprio la tendenza illuministica verso ciò che è regolare ha prodotto in diversi campi una penetrazione degli avvenimenti storici, in cui sembrava essersi realizzata la regola. Così nel Cristianesimo primitivo si trovava il tipo di una religiosità più libera e questa rafforzava la tendenza al suo studio in Thomasius, in B6hmer e in Semler. Le regole, che la critica contemporanea stabiliva nell’arte, erano rafforzate dall’analisi approfondita del tipo dell’arte antica, e da questo punto di vista Winckelmann e Lessing illustravano l’arte antica e le leggi della creazione artistica, spiegando l’un termine con l’altro. Un altro momento dell’orientamento verso i compiti del futuro stava nel fatto che la comprensione della persona singola conduceva a porre l’accento sull'individualità della creazione e del genio. Se ci chiediamo poi come, in mezzo al corso degli eventi che trascina la Germania e procede dando luogo a ininterrotti, continui mutamenti, possa venir delimitata tale unità, la risposta è anzitutto questa: che ogni connessione dinamica reca in sé la sua legge, e le sue epoche sono del tutto diverse da quelle delle altre in virtù di tale legge. Così la musica ha un movimento peculiare, secondo cui lo stile religioso che scaturiva dalla massima forza dell’ErleBnis cristiano raggiungeva il suo culmine nella stessa età con Bach e con Hiindel, quando l’Illuminismo era già la tendenza dominante in Germania. E nella stessa epoca in cui sorgono le più importanti opere di Lessing 24. Johann Georg Schlosser (1739-1799), giurista c uomo politico tedesco, autore del Kasechismus der Sittenlehre fiirs Landvolk (1771), dell’Anti-Pope, oder Versuch tiber den natiirlichen Menschen (1776), dei Politische Fragmente (1777), del saggio Uber Scelenwanderung (1781), fu esponente dell'Illuminismo tedesco; polemizzò contro la filosofia kantiana, nasce il nuovo movimento creatore dello Sturm nd Drang, che segna l’inizio di un'epoca successiva nella letteratura. E se ci chiediamo quali siano i legami che creano un’unità tra le diverse connessioni dinamiche, la risposta è questa: essa non è un’unità esprimibile in un pensiero fondamentale, ma piuttosto una connessione tra le tendenze della vita medesima, che si costituisce nel suo corso. Nel corso storico si possono delimitare periodi nei quali, dalla costituzione della vita fino alle idee supreme, un'unità spirituale si forma, raggiunge il suo culmine e di nuovo si dissolve. In ognuno di tali periodi vi è una struttura interna che esso ha in comune con gli altri, e che determina la connessione delle parti del tutto, il corso e le modificazioni nelle tendenze: noi vedremo in seguito a che cosa può servire il metodo di comparazione per l'apprendimento della struttura. Nell’efficacia costante dei rapporti strutturali generali ci si rivela anzitutto il significato e il senso della storia. Nel modo in cui questi dominano in ogni punto e in ogni età, determinando la vita dell’uomo, risiede in primo luogo il senso del mondo spirituale. Il compito è ora quello di studiare sistematicamente le regolarità che costituiscono la struttura della connessione dinamica nei suoi portatori, a partire dall’individuo. In qual modo queste leggi strutturali consentano di formulare asserzioni sul futuro, può venir determinato solo se è posto tale fondamento. L'aspetto immutabile e regolare dei processi storici è il primo oggetto di studio, e da ciò dipende la risposta a tutte le questioni sul progresso nella storia, e sulla direzione in cui si muove l'umanità. La struttura di una certa età si mostra quindi come una connessione delle connessioni e dei movimenti particolari entro il grande complesso dinamico di tale età. In base a momenti quanto mai molteplici e mutevoli viene a costituirsi una totalità più complicata; e questa determina il significato che riveste tutto ciò che agisce nell’epoca. Quando lo spirito di tale età è nato da dolori e dissonanze, allora ogni individuo ha in esso e mediante esso il suo significato. Da questa connessione sono in primo luogo determinati i grandi uomini storici: la loro creazione non si muove a distanza storica, ma assume i suoi fini dai valori e dalla connessione di significato dell'età medesima. L'energia produttiva di una nazione in un dato tempo riceve la sua forza maggiore proprio in quanto gli uomini di tale età sono limitati entro il suo orizzonte; il loro lavoro serve alla realizzazione di ciò che costituisce la tendenza fondamentale dell’ epoca. Così essi diventano i loro rappresentanti. Tutto in un'età acquista il suo significato dalla relazione con l’energia che dà ad essa il suo orientamento fondamentale. Essa si esprime nella pietra, sulla tela, nelle azioni o nelle parole; e si oggettiva nella costituzione e nella legislazione delle nazioni. Pieno di essa, lo storico penetra le epoche passate, e il filosofo cerca in base ad essa di interpretare il senso del mondo. Tutte le manifestazioni dell'energia che determina l’epoca sono imparentate tra di loro. Qui si presenta il compito dell’analisi, cioè il compito di riconoscere nelle diverse manifestazioni della vita l’unità della determinazione di valore e della tendenza verso uno scopo. E in quanto le manifestazioni di vita di questa tendenza spingono verso valori e scopi assoluti, si chiude il cerchio in cui sono racchiusi gli uomini di questa età; poiché in esso sono contenute pure le tendenze che vi si contrappongono. Si è visto come il tempo imprime anche su di esse la propria impronta e come la tendenza dominante ostacola il loro libero sviluppo. Così l’intera connessione dinamica dell’epoca è determinata in forma immanente dal nesso della vita, del mondo affettivo, della formazione di valori e delle relative idee di scopo. È storico ogni agire che si inserisca in questa connessione: essa costituisce l'orizzonte dell’età, e da essa è determinato infine il significato di ogni parte in questo sistema dell’epoca. Tale è l’autocentralità delle età e delle epoche, in cui si risolve il problema del significato e del senso che sì possono trovare nella storia. Ogni età contiene il riferimento retrospettivo a quella precedente e continua le forze sviluppatesi in quella, ma nel medesimo tempo è già presente in essa la tendenza creativa che prepara l’età successiva. Come essa è sorta dall’insufficienza dell'età che la precede, così reca con sé i limiti, le tensioni e la sofferenza che preparano l’età posteriore. E poiché ogni forma della vita storica è finita, deve esservi contenuta una mescolanza di forza gioiosa e di pressione, di estensione dell’esistenza e di ristrettezza della vita, di soddisfacimento e di bisogno. Il culmine degli effetti della sua tendenza fondamentale è breve; e da un'età all’altra Ia fame passa attraverso tutti i modi di soddisfacimento, senza mai poter essere saziata. Qualsiasi cosa ci risulti in merito al rapporto delle età e dei periodi storici tra loro, in relazione alla crescente complessità della struttura della vita storica, è proprio della natura finita di tutte le forme della storia che esse siano accompagnate dall’atrofia e dalla schiavitù, cioè da una brama insoddisfatta: e questo soprattutto in quanto i rapporti di potere non possono venir eliminati dalla vita comune degli esseri psico-fisici. Come lo stato sovrano dell’età illuministica produceva pure le guerre di gabinetto e lo sfruttamento dei sudditi per il godimento della corte, al pari della tendenza allo sviluppo razionale delle forze, così ogni altro ordinamento dei rapporti di potere racchiude pure una siffatta duplicità di effetti. E il senso della storia può venir cercato soltanto nel rapporto di significato di tutte le forze legate nella connessione delle varie età. 10. L'elaborazione sistematica delle connessioni dinamiche e dei rapporti di comunanza. In quanto la comprensione della storia avviene mediante l'applicazione ad essa delle scienze sistematiche dello spirito, l’illustrazione precedente della connessione logica della storia ha già rivelato i caratteri generali della sistematica delle scienze dello spirito. Infatti l'elaborazione sistematica delle connessioni dinamiche, poste in luce entro la storia, ha come proprio fine la scoperta dell’essenza di tali connessioni dinamiche. Per ora mi limito a stabilire solo i seguenti tre punti di vista per l'elaborazione sistematica. Lo studio della società poggia sull’analisi delle connessioni dinamiche contenute nella storia. Quest’analisi procede dal concreto all’astratto, dallo studio scientifico dell’articolazione naturale dell'umanità e dei popoli verso la distinzione delle singole scienze della cultura e la separazione dei campi dell’organizzazione esterna della società *. Ogni sistema di cultura forma una connessione dinamica a. Ciò è trattato più ampiamente nell’Einleitung in die Geisteswissenschaften, p. 44 sgg. [ora in Gesammelte Schriften, vol. I, p. 35 sgg.]che poggia su rapporti di comunanza; poiché la connessione compie un'operazione, essa ha un carattere teleologico. Ma qui si presenta una difficoltà riguardante l’elaborazione concettuale che avviene in queste scienze. Gli individui, che cooperano in tale operazione, appartengono alla connessione soltanto nei processi in cui collaborano a realizzare l’operazione stessa, ma tuttavia agiscono con tutto il loro essere, e quindi un campo siffatto non si può mai costruire in base allo scopo dell’operazione, poiché accanto all’energia orientata verso tale operazione stanno sempre anche gli altri aspetti della matura umana; e si fa valere la sua mutabilità storica. Qui risiede il problema logico fondamentale della scienza dei sistemi di cultura; e vedremo come per la sua soluzione si sono formati e combattuti metodi differenti. A questa difficoltà si aggiunge un limite che riguarda l’elaborazione concettuale delle scienze dello spirito: esso deriva dal fatto che le connessioni dinamiche realizzano operazioni e hanno un carattere teleologico. L'elaborazione concettuale non è pertanto qui una semplice generalizzazione che ricavi l’elemento comune dalla serie dei casi particolari. Il concetto esprime un tipo, e sorge nel procedimento comparativo. Ad esempio, io cerco di precisare il concetto di scienza, comprendendo sotto di essa ogni connessione diretta a ottenere una conoscenza. Tuttavia entro i libri dedicati a lavori scientifici vi è molto di infruttuoso e di illogico, cioè di erroneo: ciò contraddice all’intenzione orientata verso la loro funzione. L'elaborazione concettuale pone in luce quei tratti in cui è realizzata la funzione di tale connessione: questo è il compito della dottrina della scienza. Oppure, se voglio precisare il concetto di poesia, anche qui ha luogo una costruzione concettuale a cui non tutti i versi possono venir subordinati. La molteplicità dei fenomeni in un campo siffatto si raggruppa intorno a un punto centrale, costituito dal caso ideale in cui l'operazione è realizzata in modo compiuto. La discussione intorno alla connessione generale delle scienze dello spirito è pertanto conclusa. L'analisi seguente della costruzione delle scienze dello spirito illustrerà i metodi particolari in cui si realizza la connessione logica generale. IL MONDO STORICO * 1. L'uomo storico!. Il mondo storico esiste sempre, e l’individuo non lo considera soltanto dall’esterno, ma è intrecciato in esso; né è possibile scindere queste relazioni. Ciò che rimarrebbe sarebbe soltanto la condizione inafferrabile dalla quale si dovrebbero derivare, astratte dal corso storico, le condizioni necessarie di questo corso in tutte le età insieme con il dato: problema insolubile al pari di quello della possibilità della conoscenza prima o indipendentemente dal conoscere stesso. Noi siamo esseri storici prima di considerare la storia, e soltanto perché siamo quelli diveniamo questi. Tutte le scienze dello spirito poggiano sullo studio della storia trascorsa fino a ciò che sussiste nel presente, in quanto questo è il limite di ciò che rientra nella nostra esperienza relativa all'oggetto costituito dall’umanità. Quello che può venir immediatamente vissuto, inteso e tratto fuori dal passato nella coscienza, viene qui compreso: in tutto questo noi cerchiamo l’uomo, e anche la psicologia è soltanto una ricerca dell’uo* Plan der Fortsetzung zum Aufbau der geschichilichen Welt in den Geisteswissenschaften: Zweîtes Projekt einer Fortsetzung, in Gesammelte Schriften, Leipzig und Berlin, vol. VII, 1927, pp. 277-282, 287-291 (Secondo progetto: il problema della storia, tr. it. di Pietro Rossi, in Critica della ragione storica, Torino, Einaudi, 1954, PP. 372-384). Non sono stati tradotti alcuni paragrafi che, per il loro carattere di puri e semplici appunti, nonché per le frequenti interruzioni del discorso, sarebbero risultati di troppo difficile lettura. I passi omessi vengono indicati di volta in volta nelle note. 1. Non è stata tradotta la parte iniziale del paragrafo (Gesammelte Schriften. mo in ciò che viene immediatamente vissuto e inteso, nelle espressioni e negli effetti che ne derivano. Perciò ho indicato come compito fondamentale di ogni riflessione sulle scienze dello spirito quello di una critica della ragione storica. Occorre che la ragione storica risolva il compito rimasto fuori dall’ambito visuale della critica della ragione di Kant, il cui problema è stato determinato in riferimento ad Aristotele, secondo cui la conoscenza avviene nel giudizio. Noi dobbiamo uscire dall’aria pura e raffinata della critica della ragione kantiana per adeguarci alla natura del tutto differente degli oggetti storici. Qui si presentano le questioni seguenti: io ho esperienza immediata delle mie situazioni e sono intrecciato nelle azioni reciproche della società come punto di incrocio dei suoi diversi sistemi, i quali sono sorti dalla stessa natura umana che io vivo in me e intendo negli altri. La lingua in cui penso è sorta nel tempo, i miei concetti si sono formati in esso: io sono, fino alla profondità non più penetrabile del mio io, un essere storico. In tal modo si presenta il primo importante momento per la soluzione del problema conoscitivo della storia: la prima condizione di possibilità della scienza storica risiede nel fatto che io stesso sono un essere storico, € che colui che indaga la storia è il medesimo che fa la storia. Così sono possibili giudizi storici sintetici e universalmente validi. Ma i princìpi della scienza storica non possono essere formulati in princìpi astratti che esprimano equivalenze, poiché, in conformità alla natura del loro oggetto, debbono poggiare su rapporti fondati nell’Erleden. Nell'Erleben vi è la totalità del nostro essere, che riproduciamo poi nell’intendere: qui è dato il principio della reciproca affinità tra gli individui. 2. Il concetto storico.L’uomo si conosce soltanto nella storia, mai mediante l’introspezione. In fondo noi tutti lo cerchiamo nella storia, anzi vi cerchiamo anche l’elemento umano quale si manifesta nella religione, ecc.: noi vogliamo sapere che cosa esso sia. Se vi fosse una scienza dell’uomo, questa sarebbe un’antropologia capace di intendere la totalità degli Erlebnisse secondo la loro connessione strutturale. L’uomo singolo realizza sempre una DILTHEY 203 sola possibilità del suo sviluppo, che poteva sempre assumere un’altra direzione in base all'orientamento del suo volere. L’uomo in generale esiste per noi solo sotto la condizione di certe possibilità realizzate. Anche nei sistemi di cultura noi cerchiamo una struttura antropologicamente determinata, nella quale si attua un x; e noi lo diciamo essenza, ma questa è soltanto una parola per designare un procedimento spirituale che costituisce una connessione concettuale in questo campo. Anche qui le possibilità di tale campo non vengono esaurite. L'orizzonte si allarga. Infatti, anche quando lo storico ha dinanzi a sé un materiale limitato, mille fili lo conducono sempre più avanti nell’illimitatezza di tutti i ricordi del genere umano. La storiografia comincia in quanto, muovendo dal presente e dal proprio stato, si rappresenta ciò che ancora quasi vive nella memoria della generazione presente; ciò costituisce un ricordo ancora in senso proprio. Oppure vengono stesi degli annali in cui si registra, procedendo negli anni, ciò che è accaduto. Col procedere della storia lo sguardo si allarga al di là del proprio stato, e una sezione sempre più vasta del passato entra nel regno dei morti della memoria. Di tutto ciò è rimasta l’espressione dopo che la vita stessa è trascorsa, sia sotto forma di espressione diretta, con la quale certe anime hanno manifestato ciò che sono state, sia sotto forma di narrazioni relative ad azioni e a situazioni di individui, di comunità e di stati. E lo storico sta in mezzo a tutti questi resti di cose passate, e di manifestazioni di anime racchiuse in fatti, parole, suoni, immagini di anime che da tempo non sono più. Come deve egli evocarle? Tutto il suo lavoro diretto a tal fine poggia sull’interpretazione dei resti conservati. Si pensi a un uomo che non abbia alcun ricordo del suo passato, ma che pensi o agisca soltanto in base a ciò che questo passato ha prodotto in lui, senza esser cosciente di alcuna sua parte: tale sarebbe anche la situazione delle nazioni, delle comunità, dell'umanità medesima se essa non riuscisse a completare i resti, a interpretare le espressioni, a ricondurre la narrazione dei fatti dal loro isolamento alla connessione in cui sono sorti. Tutto questo è interpretazione, ossia un’arte ermeneutica. Il problema è ora di vedere quale forma questa assuma quando essa è completamente staccata dall’esistenza individua DILTHEY le, e si debbono formulare asserzioni su soggetti che costituiscono in qualche senso delle connessioni di persone, cioè su sistemi di cultura, nazioni o stati. Anzitutto occorre qui un metodo per ritrovare, in questa illimitata azione reciproca tra esistenze individuali, delle rigorose delimitazioni, quando queste mancano invece nell’unità vivente della persona. È come se si dovessero tirare linee e disegnare figure che rimangono ferme nella corrente continua di un fiume. Tra questa realtà e l’intelletto non sembra possibile alcun rapporto conoscitivo, poiché il concetto separa ciò che è legato nel fluire della vita e rappresenta qualcosa di valido universalmente e per sempre, indipendentemente dalla mente che lo ha formulato, mentre il fluire della vita è ovunque soltanto singolare, e ogni onda va e viene entro di esso. Questa difficoltà, dopo che Hegel contrappose per primo la conoscenza intellettuale, caratteristica dell’Illuminismo, all'essenza del mondo storico € umano, costituisce il problema proprio del metodo storico. Ma questo problema può venir risolto: non abbiamo bisogno di rifugiarci nell’intuizione e di rinunciare ai concetti, ma dobbiamo invece rielaborare i concetti storici e psicologici. È stato merito geniale di Fichte aver formulato tali concetti adatti alla vita psichica e in generale allo spirito, mettendo l'energia al posto della sostanza, e ponendo le attività spirituali in relazione con le precedenti e in antitesi con quelle contemporanee, in modo che venga a delinearsi un progredire che diventa possibile in virtù del tempo, dell’energia che in questo opera e dell’unità che si differenzia. Tuttavia egli si è limitato a formulare questo schema di dinamica psichica, ma la sua realizzazione si richiama ai concetti kantiani anziché alla realtà. Herbart e Hegel non sono pervenuti neppur essi all'aria aperta del mondo storico reale. Tuttavia ciò è stato l’inizio di uno sconvolgimento di tutto il pensiero relativo al mondo storico, in una connessione interna che scaturisce nella maniera più chiara nel Romanticismo, prima con Niebuhr e poi con Hegel e con Ranke, conducendo così alla moderna storiografia. Noi possiamo liberarci dalla confusione concettuale in cui quest’antitesi tra realtà storica e conoscenza intellettuale si esprimeva allora mediante concetti ispirati al principio di identità, in quanto guardiamo alla natura stessa dei concetti storici. Il loro carattere logico è l'indipendenza dell’asserzione dal soggetto in cui si presentano e dal momento in cui essa ha luogo: la loro validità è indipendente dal luogo e dal tempo in senso psicologico. Il loro contenuto è invece l’accadere, il corso di qualsiasi specie; l’asserzione è indipendente dal tempo, mentre ciò che viene espresso è il corso temporale. Anzi, non tutti i concetti storici risultano correttamente formulati da questo punto di vista; ma, soltanto in quanto lo sono, possono occupare un posto nell’apprendimento del mondo storico. Nel medesimo tempo i concetti esistenti debbono spesso venir rielaborati in modo che possa esprimersi in essi ciò che è mutevole e dinamico. In fondo il problema appare simile a quello della matematica superiore, che cerca di dominare i mutamenti della natura. Ogni parte della storia, ad esempio un'età, non può venir colta mediante concetti che esprimano qualcosa di stabile in essa, cioè in un sistema di relazioni tra qualità definite, quali sarebbero state per l’età illuministica l'autonomia nello stato o l’Illuminismo nella vita spirituale. In tal modo non si coglie la natura specifica del tempo, ma si tratta piuttosto di un sistema di relazioni le cui parti sono dinamiche e inoltre mostrano continui mutamenti qualitativi nell'azione reciproca. Infatti le relazioni medesime, poggiando sull’azione reciproca tra forze, sono mutevoli, cioè ognuna di esse racchiude in sé una regola di mutamento. Applicando questo al periodo illuministico risulta che l’'ordine sociale che era esistito fino al termine del secolo xvi e all’inizio del xvi diventa impossibile poiché i contrasti tra gli interessi particolari della nobiltà, dei ceti e del governo, e quelli tra gli interessi delle province tra di loro e in rapporto all'insieme, non consentono in Germania il sorgere di una volontà statale unitaria, una cura comune per il tutto e un continuo perseguimento degli scopi statali. Diverse sono invece le epoche nelle quali, in Inghilterra, in Francia e in Italia, si fa valere la medesima insufficienza dell’esistenza politica. Essa diventava insopportabile verso l’esterno, poiché l'aspirazione alla potenza in questi stati concorrenti si manifestava assai diversamente che in qualsiasi epoca precedente. Essi erano sorti l’uno accanto all’altro, condizionati nella loro forma soprattutto dall’eredità e dalla guerra, senza ancora esser legati da nessuna letteratura unitaria e da nessuna lingua comune sviluppatasi entro di questa. Tale letteratura, e tale lingua, fu creata per la prima volta per gli Italiani da Dante. In tal modo sorse la tendenza all’unità nazionale, che però non trovò alcuna possibilità di attuazione per la politica contrastante dei tiranni e delle repubbliche, secondo la situazione delle forze. Tale sviluppo ha avuto luogo altrimenti sia in Inghilterra sia in Francia; mentre per la Germania il momento decisivo è stata la terribile pressione che grandi stati quali la monarchia universale spagnola e la potenza francese hanno esercitato su un paese che è stato in tal modo costretto a cercare la sua unità nazionale. Sorge però ora la questione del modo in cui può formarsi nello storico una connessione che non è prodotta da una mente né è immediatamente vissuta, e neppure può venir ricondotta all’Erlebnis di una persona, in base alle sue espressioni e alle asserzioni relative ad esse. Ciò ha come presupposto la possibilità di formare soggetti logici, e non psicologici. Devono quindi esserci strumenti per delimitarli e un fondamento di legittimità per apprenderli come unità o connessione. Noi cerchiamo l’anima: questo è l’ultimo punto a cui siamo pervenuti nel lungo sviluppo della storiografia. Ma qui si pone il problema: certamente ogni azione reciproca avviene tra unità psichiche, ma per quale via noi troviamo un’anima dove non c'è anima individuale? La base più profonda è offerta dalla vita e da ciò che da essa procede, dal raggiungimento della vitalità e, per così dire, dalla melodia della vita psichica nell’eliminazione di ogni regola rigida”. 3. Il progresso. Quando si parla della storia, il presupposto dell’intendere storico sta nel fatto che vi sia un significato dei momenti storici e un senso del corso storico. Secondo questo presupposto, anche se lo scopo della sua esistenza è posto nell’individuo stesso, nella storia dovrebbe tuttavia esserci un progredire della 2. Non sono stati tradotti i paragrafi sulle nazioni e sullc ctà (Gesammelte Schriften, vol, VII, p. 282-87). DILTHEY 207 felicità individuale e un estendersi della felicità a molti: questa è insomma la concezione dei moderni storici inglesi. Ma tale concezione procede al di là di se stessa: anche se qui il progresso della vita individuale di generazione in generazione è concepito come un’azione quasi meccanica di accumulazione di valori, viene in tal modo presupposto un modo di azione nella cui natura è insito un progresso. Proprio in questa maniera agisce nella storia un rapporto in virtù del quale il suo corso ha un senso; infatti questo termine designa soltanto il presupposto in base al quale può venir inteso il corso storico, ma non un’affermazione su qualche forza distinguibile dal modo di agire medesimo, la quale possa conferire alle varie parti del corso il loro significato core un'essenza immanente a questo corso. In ciò risiede soltanto la condizione sotto cui può venir intesa la storia, e il prodotto e il risultato di questa è la storia universale. Ma anche qui non c’è alcun presupposto ulteriore su qualsiasi agente unitario nella storia, sia esso un agente immanente o una condizione reale, il quale possa venir considerato nella filosofia della storia come provvidenza o come scopo immanente o come forza di svolgimento storico. 4. La connessione storica universale: dalla fatticità all’ideale. Le epoche sono differenti tra loro per struttura. Ad esempio, il Medioevo contiene una connessione di idee affini che dominano nei suoi vari campi, quali le idee di fedeltà nel feudalesimo, la successione di Cristo come principio di obbedienza, il cui contenuto è costituito dalla trascendenza dello spirito rispetto alla natura in virtù dell’abnegazione, la successione teleologica di gradi nella scienza. Ma si deve riconoscere che lo sfondo di queste idee è la violenza, che questo mondo più alto non può superare. E ovunque è così: la fatticità della razza, dello spazio e dei rapporti di violenza costituisce la base che non può mai venir elevata spiritualmente. È stato un sogno di Hegel credere che queste età costituiscano un grado dello sviluppo della ragione: rappresentare un’età implica sempre un chiaro sguardo su tale fatticità, Ma c’è tuttavia una connessione interna, la quale conduce dai rapporti condizionanti, dalla fatticità, dalla lotta delle forze allo sviluppo degli ideali. Ogni situazione data in questa serie senza fine condiziona un mutamento, poiché i bisogni, che trasformano le energie esistenti în attività, non possono mai venir soddisfatti, e il desiderio di ogni specie di soddisfacimento non può mai venir saziato. Ogni forma della vita storica è finita, e contiene perciò un insieme di forza gioiosa e di pressione, di estensione dell’esistenza e di ristrettezza della vita, di soddisfazione e di penuria, provocando così le tensioni di forza e una nuova distribuzione da cui derivano di continuo altre azioni. Inoltre, soltanto in pochi punti della vita storica vi è un temporaneo stato di quiete, le cui cause sono diverse equilibrio, forze opposte, ecc.: ma la storia è movimento. Anche nello stesso procedere c’è una felicità, poiché in esso si risolve la tensione e si realizza l’ideale. Tra la morta necessità di fatto e Ja più alta vita spirituale sta il continuo sviluppo dell’organizzazione, dell’istituzione, dell'impiego regolato della forza: l'intelletto crea, per così dire, meccanismi che servono al soddisfacimento dei bisogni, perfezionandoli di continuo. Lo scopo, che l’intelletto pone, dà luogo a tali meccanismi, che possono essere tanto ferrovie quanto armate, tanto fabbriche quanto miglioramenti costituzionali: essi costituiscono il campo proprio dell'intelletto, che cerca mezzi per certi scopi e calcola le azioni come cause. Qui appare una combinazione, la quale rivela propriamente l’essenza della storia. La sua base è la fatticità irrazionale, da cui deriva da un lato il parteciparsi della tensione fino ai meccanismi e dall’altro la differenziazione in nazioni, in costumi, in forme di pensiero, fino all’individualità su cui riposa la vera e propria storia dello spirito. 5. Realtà, valori, cultura. Gli avvenimenti diventano significativi in quanto si riferisco no a una connessione per la quale essi lo sono. Se mi formo un concetto di connessione di valore fondata sovra-individualmente e trascendentalmente poiché trascendentale è ogni determinazione avente la sua base nel sovra-individuale allora sorge la DILTHEY 209 questione se tale procedimento sia possibile, anche se si intendessero soltanto punti di riferimento formali, dotati di carattere incondizionato, per ciò che è empirico. Ma se si lascia da parte tale fondazione mediante la filosofia trascendentale, non c’è più alcun metodo per stabilire norme, valori o scopi incondizionati: ve ne sono soltanto di quelli che avanzano la pretesa a una validità incondizionata, ma che, per la loro origine, sono inficiati di relatività. Noi attribuiamo invece un significato effettivo a qualsiasi connessione di tipo reale o ideale, in rapporto a cui un uomo o un avvenimento acquisti questo carattere. Quando considero nella connessione dinamica un luogo in quanto tale, come fa Meyer?, e lo valuto in conformità al presente, dovrei però avere prima un criterio che serva a determinare ciò che è significativo nel presente, perché altrimenti sarebbe significativo tutto ciò che ha agito sull’infinita serie delle situazioni presenti. E una cosa è chiara: che io trovo significativo nel presente ciò che è fecondo per il futuro, per la mia azione in esso, per il progredire della società verso tale futuro. E qui vedo in maniera assai chiara, nella mia posizione pratica, che, se voglio regolare il futuro, io parto da giudizi universalmente validi su ciò che deve essere realizzato. Il presente non contiene situazioni, ma processi e connessioni dinamiche, che racchiudono anche il procedere verso il futuro di qualcosa che può venir prodotto. La frase di Bismarck, secondo cui egli sarebbe stato collocato dalla sua religione e dal suo stato in una posizione nella quale il servizio di tale stato era più importante di ogni altro compito culturale, aveva per lui una validità universale in virtù del suo fondamento religioso. Da ciò deriva che noi dobbiamo ammettere tale rapporto anche per il passato. In un’età si sviluppano norme, valori, scopi universali, in rapporto ai quali deve esser anzitutto compreso il significato delle azioni. Se questi debbano venir determinati solo in una limitazione o incondizionatamente, è una questione ulteriore. Sembra 3. Eduard Meyer (1855-1930), storico tedesco autore di una monumentale Geschichte des Altertums (1884-1902), nonché di altri importanti volumi sulla cronologia dell'antico Egitto, su Cesare e Pompeo, sulle origini del Cristianesimo. Dilchey si riferisce qui alla tesi sostenuta in Zur TAcorie und Methodik der Geschichte, Halle. che anche in una nazione abbia luogo un antagonismo a proposito dei valori. In questa maniera si perviene al principio che lo svilu po di tali idee si muove entro contrapposizioni (Kant, Hegel) che sono contenute entro il corso dello svolgimento delle istituzioni, di modo che il loro rapporto reciproco rende sempre possibile un’altra posizione più ampia e più libera. Anzitutto non vi sono valori che valgano per tutte le nazioni. Nell'Impero romano si è sviluppata una concezione aristocratica dell’umanità come sostegno dell’humanitas; nel Cristianesimo l’umanità è divenuta soggetto di valore; tale concezione si è poi trasformata nell’Illuminismo. La storia è essa medesima la forza produttiva delle determinazioni di valore, degli ideali e degli scopi, in base a cui viene commisurato il significato di uomini e di avvenimenti. In tale processo questo rapporto mostra una duplice direzione, verso le epoche e verso il progresso dell'umanità. 6. Il problema del valore nella storia. Si dice che in tal modo sorga soltanto la coscienza della relatività storica. Senza dubbio la relatività è propria di ogni fenomeno storico per fatto che esso è finito... Si pone però il problema seguente: ciò che viene espresso nelle categorie storiche sussiste soltanto come momento del movimento storico? in altri termini, nella storia è contenuto qualcosa che ha valore solamente in quanto sorge, agisce e tramonta in questa connessione? ed è possibile per caso una determinazione di valori separata da questo corso? L’ultimo problema di una critica della ragione storica su questa direzione è il seguente. Ovunque nella storia c’è formulazione e selezione nella ricerca della connessione interna, ovunque c'è un progresso secondo i rapporti di finitudine, dolore, forza, antitesi, accumulazione, che lega una parte della storia con le altre, e la forza, il valore, il significato e lo scopo sono ovunque gli elementi a cui è legata la connessione storica: ma la connessione, il valore, il significato, lo scopo, quali essi vengono colti nell’esperienza, costituiscono l’ultima parola dello storico? La strada che imbocco è determinata dai seguenti princìpi: il concetto di valore deriva dalla vita, e il criterio per ogni giudizio è offerto da concetti relativi di valore, di significato e di scopo, propri di certe nazioni e di certe epoche. Occorre perciò illustrare come questi si siano ampliati in qualcosa di assoluto: ciò vuol dire, insomma, il pieno riconoscimento dell’immanenza dei valori e delle norme, anche presentantisi come incondizionati, nella coscienza storica. 7. Conclusione. La coscienza storica della finitudine di ogni fenomeno storico, di ogni situazione umana o sociale, la coscienza della relatività di ogni specie di fede è l’ultimo passo verso la liberazione dell’uomo. Con esso l’uomo perviene alla sovranità di trovare in ogni Erlebnis il suo contenuto e di darsi a questo completamente, senza il vincolo di nessun sistema filosofico o religioso. La vita si libera dalla conoscenza concettuale; lo spirito diventa sovrano rispetto a tutte le ragnatele del pensiero dogmatico. Ogni bellezza, ogni santità, ogni sacrificio, rivissuti e interpretati, schiudono delle prospettive che rivelano una realtà. E così pure accogliamo in noi tutto ciò che c’è di malvagio, di terribile, di brutto, riconoscendo che occupa un posto nel mondo e che racchiude in sé una realtà, la quale dev'essere giustificata nella connessione del mondo: qualcosa su cui non ci si può illudere. E di fronte alla relatività si fa valere, come il fatto storico essenziale, la continuità della forza creatrice. Così dall’Erleden, dall’intendere, dalla poesia e dalla storia deriva un'intuizione della vita, la quale esiste sempre in e con questa. La riflessione la eleva a distinzione e a chiarezza concettuale. La considerazione teleologica del mondo e della vita viene riconosciuta come una metafisica che poggia su una visione unilaterale, non arbitraria cioè ma parziale, della vita, e la dottrina di un valore oggettivo della vita come una metafisica che va oltre ogni possibile esperienza. Ma noi abbiamo esperienza di una connessione della vita e della storia, in cui ogni parte ha un significato. Come le lettere di una parola, la vita e la storia hanno un senso, e come una particella o una coniugazione, nella vita e nella storia vi sono momenti sintattici che hanno un significato. Ogni uomo procede alla sua ricerca. Nel passato si è cercato di penetrare la vita in base al mondo; ma c'è solo la via che procede dall’interpretazione della vita al mondo, e la vita esiste solo nell’Erleben, nell’intendere e nella comprensione storica. Noi non rechiamo nella vita nessun senso del mondo. Noi siamo aperti alla possibilità che senso e significato sorgano soltanto nell’uomo e nella sua storia. Ma non nell’uomo singolo, bensì nell’uomo storico, poiché l’uomo è un essere Storico. Tra i motivi che sempre dànno nuovo alimento allo scetticismo, l’anarchia dei sistemi filosofici è uno dei più potenti. Tra la coscienza storica della loro illimitata molteplicità e la pretesa di ognuno di essi a una validità universale sussiste una contraddizione che sostiene lo spirito scettico in misura maggiore di qualsiasi dimostrazione sistematica. Illimitata, caotica, la molteplicità dei sistemi filosofici sta alle nostre spalle e si estende intorno a noi: in ogni tempo, fin da quando esistono, essi si sono esclusi e combattuti a vicenda. E non si intravvede alcuna speranza che si possa giungere a una decisione tra di essi. La storia della filosofia conferma questo effetto che l’antitesi dei sistemi filosofici, delle intuizioni religiose e dei princìpi etici ha sull’incremento della scepsi. La lotta tra le spiegazioni del mondo del pensiero greco più antico produsse la filosofia del dubbio all’epoca dell’illuminismo greco. Quando le campagne di Alessandro e l’unione di differenti popoli in regni più grandi misero davanti agli occhi dei Greci le diversità dei costumi, delle religioni, delle visioni della vita e del mondo, si * Die Typen der Weltanschauung und ihre Ausbildung in den metaphysischen Systemen, nella raccolta Weltanschauung, Philosophie und Religion in Darstellungen (a cura di M. Frischeisen-Kéhler), Berlin, Verlag Reichl und Co., 1911, pp. 1-51, ora in Gesammelte Schriften, Leipzig und Berlin, vol. VIII, 1931, pp. 75-118 (traduzione di Sandro Barbera e Pietro Rossi). DILTHEY formarono le scuole scettiche, le quali estesero le loro operazioni corrosive anche ai problemi della teologia il male e la teodicea, il conflitto tra la personalità divina e la sua infinitezza e perfezione e alle assunzioni concernenti il fine etico dell'uomo. Anche il sistema di credenze dei popoli europei moderni e la loro dogmatica filosofica vennero seriamente scossi, nella loro universale validità, dal momento in cui alla corte di Federico II Hohenstaufen Maomettani e Cristiani pervennero a un raffronto reciproco delle loro convinzioni e nell'orizzonte del pensiero scolastico penetrò la filosofia di Averroè e di Aristotele. E quando l’antichità risorse, quando gli scrittori greci e romani furono compresi nei loro autentici motivi e l'epoca delle scoperte geografiche pervenne a conoscere in misura crescente la varietà dei climi, dei popoli e dei loro modi di pensare presenti sul nostro pianeta, scomparve del tutto la fiducia degli uomini nelle credenze fin allora saldamente delimitate. Oggi i viaggiatori accertano e annotano con cura i più diversi tipi di fede; noi registriamo e analizziamo i potenti, grandi fenomeni delle convinzioni religiose e metafisiche che si trovano presso i ceti sacerdotali dell'Oriente, nelle città-stato greche, nella cultura araba. Noi guardiamo indietro alla sconfinata distesa di rovine delle tradizioni religiose, delle affermazioni metafisiche, dei sistemi dimostrati: lo spirito umano ha tentato e saggiato, nel corso di molti secoli, possibilità di ogni tipo per fondare scientificamente la connessione delle cose, per rappresentarla poeticamente o per annunciarla religiosamente; e la ricerca storica condotta con metodo critico indaga ogni frammento, ogni residuo di questo lungo lavoro compiuto dalla nostra specie. Ogni sistema esclude l’altro, lo confuta; e nessuno riesce a dimostrare se stesso. Nelle fonti storiche non ci è dato trovare nulla di analogo al sereno dialogo che caratterizza la Scuola d’Atene dipinta da Raffaello, espressione della tendenza eclettica di quel tempo. In tal modo la contraddizione tra la crescente coscienza storica e la pretesa delle filosofie a una validità universale è diventata sempre più aspra, e sempre più generale la disposizione alla curiosità dilettevole nei confronti di nuovi sistemi filosofici, quale che sia il pubblico che possono raccogliere intorno a sé e il tempo per cui possono trattenerlo. DILTHEY 215 2. Assai più in profondo delle conclusioni scettiche che muovono dal carattere antitetico delle opinioni umane giungono però i dubbi cresciuti sul terreno della progressiva formazione della coscienza storica. Era un tipo d’uomo compiuto, dotato di un contenuto spirituale determinato, che costituiva il presupposto dominante del pensiero storico dei Greci e dei Romani. Questo stesso tipo stava alla base della dottrina cristiana del primo e del secondo Adamo, del figlio dell'uomo. Il sistema naturale del secolo xvi era sorretto dal medesimo presupposto. Il sistema naturale scoprì nel Cristianesimo un paradigma astratto e durevole di religione — la teologia naturale; dalla giurisprudenza romana astrasse la dottrina del diritto naturale e dalla produzione artistica greca un modello di gusto. Secondo questo sistema naturale, in ogni diversità storica erano quindi contenute forme fondamentali, costanti e universali, di ordinamenti sociali e giuridici, di fede religiosa e di eticità. II metodo di derivare dalla comparazione delle forme di vita storica un elemento comune, di estrarre dalla molteplicità dei costumi, delle proposizioni giuridiche e delle teologie, attraverso il concetto di un tipo supremo, un diritto naturale, una teologia naturale e una morale razionale — secondo un procedimento che, a partire da Ippia!, si era sviluppato attraverso lo Stoicismo e il pensiero romano — dominava ancora il secolo della filosofia costruttiva. La dissoluzione del sistema naturale ebbe inizio con lo spirito analitico del secolo xvi. Esso prese l’avvìo dall'Inghilterra, dove la più libera prospettiva su forme di vita, costumi e modi di pensare barbari e stranieri si incontrerà con le teorie empiristiche e con l'applicazione del metodo analitico alla teoria della conoscenza, alla morale, all'estetica. Con Voltaire e Montesquieu questo spirito passò poi in Francia. Hume e d’Alembert, Condillac e Destutt de Tracy? videro nel fascio I. Ippia di Elide, sofista vissuto tra la seconda metà del secolo v e la prima del secolo Iv a. C., si occupò di problemi matematici e astronomici, nonché di grammatica, di retorica e di dialettica. Dilthey si riferisce qui alla distinzione tra leggi scritte , proprie delle singole città, e le leggi non scritte , comuni a tutti gli uomini e aventi il loro fondamento nella natura. 2. Antoine-Louis-Claude Destutt de Tracy (1754-1836), sviluppò la teoria della conoscenza di Condillac nell' ideologia , concepita come analisi delle facoltà e del pro216 WILHELM DILTHEY di impulsi e di associazioni — così concepirono l’uomo — illimitate possibilità di far emergere le forme più svariate tra la diversità di clima, di costumi e di educazione. L'espressione classica di questo modo di considerazione storica furono la Natural History of Religion e i Dialogues concerning Natural Religion di Hume. E dai lavori di questo secolo xvi scaturì già l’idea dello sviluppo, che doveva poi dominare il secolo xix. Da Buffon? fino a Kant e a Lamarck* viene acquisita la conoscenza dello sviluppo della terra, del succedersi su di essa di differenti forme di vita. D'altra parte si formava, in lavori di importanza decisiva, lo studio dei popoli civili: a partire da Winckelman, Lessing e Herder, questi lavori applicarono ovunque l’idea di sviluppo. Da ultimo, nello studio dei popoli primitivi si trovò l’elemento intermedio tra la dottrina scientifica dello sviluppo e le conoscenze storico-evolutive fondate sulla vita statale, sulla religione, sul diritto, sui costumi, sul linguaggio, sulla poesia e sulla letteratura dei popoli. In tal modo il punto di vista storico-evolutivo poteva venir realizzato nello studio dell’intero sviluppo naturale e storico dell’uomo, e il tipo uomo si risolveva in questo processo di sviluppo. La dottrina dello sviluppo così formatasi è necessariamente legata alla conoscenza della relatività di ogni forma di vita storica. Di fronte allo sguardo che abbraccia la terra e tutto il passato scompare la validità assoluta di qualsiasi singola forma di vita, costituzione, religione o filosofia. Così la formazione della coscienza storica distrugge, ancora più radicalmente della disputa tra i vari sistemi, la fede nella validità universale di qualsiasi filosofia che abbia voluto esprimere in modo rigoroso la connessione del mondo mediante una connessione concettuacesso di formazione e di combinazione delle idec. La sua opera principale è rappresentata dagli E/4ments d'idéologie (1801-17). 3. Gcorges-Louis Leclerc conte di Buffon (1707-1788), grande naturalista autore di una monumentale Histoire naturelle, générale et particuliòre, intraprese per primo un tentativo di classificazione sisternatica delle specie viventi affermando la loro continuità nell’ambito della catena degli esseri. 4. Jcan-Baptiste-Pierre-Antoine de Monet de Lamarck, naturalista autore di numerose opere tra cui la Philosophie zoologique (1809) e la Histoire naturelle des animaux sans vertèbres, fu tra i fondatori della teoria evoluzionistica: egli affermò la capacità di trasformazione delle specie biologiche in conseguenza del rapporto con l'ambiente, nonché la trasmissibilità dei caratteri acquisiti nel corso della trasformazione. DILTHEY 217 le. La filosofia deve cercare non già nel mondo ma nell’uomo la connessione interna delle proprie conoscenze. Intendere la vita vissuta dell’uomo questa è l’aspirazione dell’uomo moderno. La molteplicità dei sistemi, che hanno cercato di cogliere la connessione del mondo, è in connessione manifesta con la vita; essa è una delle sue creazioni più importanti e più istruttive, per cui la stessa formazione della coscienza storica, che ha esercitato una funzione così distruttiva rispetto ai grandi sistemi, dovrà fornirci gli strumenti per eliminare l’aspra contraddizione esistente tra la pretesa di validità universale di ogni sistema filosofico e l'anarchia storica di questi sistemi. I. VITA E INTUIZIONE DEL MONDO 1. La vita. La radice ultima dell’intuizione del mondo è la vita. Diffusa sulla terra in innumerevoli corsi di vita particolari, rivissuta in ogni individuo, saldamente assicurata nella risonanza del ricordo dal momento che, in quanto mero attimo del presente, si sottrae all’osservazione e d’altra parte afferrabile più compiutamente in tutta la sua profondità, così come essa si è oggettivata nelle sue manifestazioni, da parte dell’intendere e dell’interpretazione che non in qualsiasi percezione interiore e in qualsiasi apprendimento del proprio Er/ebris, la vita ci è presente nel nostro sapere in innumerevoli forme, e mostra tuttavia ovunque gli stessi tratti comuni. Tra le sue diverse forme ne metto in rilievo 24. Non spiego, non separo in parti; mi limito a descrivere lo stato che ognuno può osservare in se stesso. Ogni pensiero, ogni azione interna o esterna emerge come una punta raccolta e penetra avanti. Mi è però anche possibile rivivere uno stato di quiete interiore; esso è sogno, gioco, distrazione, sguardo all’intorno e lieve agilità come sostrato della vita. In esso comprendo altri uomini e altre cose non soltanto come realtà che stanno con me e tra di loro in una connessione causale: da me si dipartono in ogni direzione relazioni vitali, io mi rapporto a uomini e cose, prendo posizione nei loro confronti, soddisfo le loro esigenze verso di me e mi attendo da essi qualcosa. Le une mi rendono felice, ampliano la mia esistenza, accrescono la mia forza; le altre esercitano su di me una pressione e mi limitano, E dove la determinatezza della singola tendenza che spinge in avanti lascia spazio all’uomo, egli nota e sente queste relazioni. L'amico è per lui una forza che innalza la sua esistenza, ogni membro della famiglia ha un posto determinato nella sua vita, e tutto quanto lo circonda viene da lui inteso come vita e come spirito che si sono oggettivati. La panca davanti alla porta di casa, l’albero ombroso, la casa e il giardino hanno in questa oggettivazione la loro essenza e il loro significato. È in questo modo che la vita di ogni individuo crea da sé il proprio mondo. 2. L'esperienza della vita. Dalla riflessione sulla vita sorge l’esperienza della vita. I singoli eventi, che il fascio di impulsi e di sentimenti richiama in noi all'atto dell’incontro con il mondo circostante e col destino, vengono in essa raccolti in un sapere oggettivo e universale. Nello stesso modo in cui la natura umana è sempre la medesima, sono comuni a tutti anche i tratti fondamentali dell'esperienza della vita: la transitorietà delle cose umane e la nostra forza di godere l’attimo; la tendenza delle nature forti o anche limitate a superare questa transitorietà con la costruzione di una solida impalcatura della loro esistenza; l’insoddisfazione delle nature meno resistenti o più pensierose di fronte ad essa e la nostalgia per un elemento realmente duraturo in un mondo invisibile; la penetrante potenza delle passioni che, come un sogno, creano immagini fantastiche finché in esse si smarrisce l'illusione. Così l’esperienza della vita si forma in maniera differente nei singoli individui. Il loro substrato comune in tutti è formato dalle intuizioni della potenza del caso, della corruttibilità di tutto ciò che possediamo, amiamo o anche odiamo e temiamo, della costante presenza della morte, che determina onnipotente per ciascuno di noi il significato e il senso della vita. Nella catena degli individui sorge l’esperienza universale della vita. Sulla base della ripetizione regolare delle singole esperienze si forma nella coesistenza e nella successione deWILHELM DILTHEY 219 gli uomini una tradizione di espressioni, che col trascorrere del tempo acquistano una precisione e sicurezza sempre maggiore. La loro sicurezza poggia sul numero sempre crescente dei casi da cui perveniamo a una conclusione, sulla loro subordinazione a generalizzazioni precedenti e su una continua verifica. Anche dove, in un singolo caso, i princìpi dell’esperienza della vita non vengono recati a coscienza, essi agiscono su di noi. Tutto quanto ci domina sotto forma di costume, di consuetudine, di tradizione, è fondato su tali esperienze della vita. Ma sempre, nelle esperienze particolari come in quelle universali, il tipo di certezza e il carattere della formulazione è assolutamente diverso dalla validità universale propria della scienza. Il pensiero scientifico può controllare il procedimento sul quale poggia la sua sicurezza, può formulare esattamente e fondare le sue proposizioni: la nascita del nostro sapere dalla vita non può essere controllato nello stesso modo, e non possiamo progettare formule fisse per esprimerla. A queste esperienze della vita appartiene anche il saldo sistema di relazioni entro cui l’identità dell'io è collegata con le altre persone e con gli oggetti esterni. La realtà di se stesso, delle persone estranee, delle cose intorno a noi, e le loro relazioni regolari formano l’impalcatura dell’esperienza della vita e della coscienza empirica che in essa si forma. L’io, le persone, le cose circostanti possono essere designati come fattori della coscienza empirica, che ha la sua consistenza nelle relazioni reciproche di questi fattori. E quali che siano le procedure del pensiero filosofico mediante cui esso astrae dai singoli fattori o dalle loro relazioni, questi rimangono i presupposti determinanti della vita stessa, indistruttibili al pari di essa e non modificabili da alcun pensiero, in quanto sono fondati nell'esperienza della vita di innumerevoli generazioni. Tra queste esperienze della vita le più importanti sono quelle che fondano la realtà del mondo esterno e le mie relazioni con esso, poiché limitano la mia esistenza, esercitano su di essa una pressione che non posso eliminare e ostacolano le mie intenzioni in una maniera inattesa e non modificabile. L’insieme delle mie induzioni, la somma del mio sapere riposa su questi presupposti fondati nella coscienza empirica. 220 WILHELM DILTHEY 3. Il mistero della vita. Dalle mutevoli esperienze della vita emerge, di fronte all’apprendimento orientato verso la totalità, il volto della vita: volto contraddittorio, vitalità e al tempo stesso legge, ragione e arbitrio, volto che offre aspetti sempre nuovi, e quindi chiaro forse nei particolari ma completamente misterioso nell’insieme. L’anima cerca di raccogliere in un complesso le relazioni della vita e le esperienze in esse fondate, ma non vi riesce. Al centro di tutte le cose incomprensibili stanno la procreazione, la nascita, lo sviluppo e la morte. Il vivente sa della morte, e non è tuttavia in grado di intenderla. Già dal primo sguardo a un morto, la morte risulta incomprensibile alla vita: su ciò poggia anzitutto la nostra posizione di fronte al mondo come a qualcosa di altro, di estraneo e di terribile. Nel fatto della morte vi è quindi una forza che costringe a rappresentazioni fantastiche che hanno il compito di rendere intelligibile questo fatto; fede nei morti, culto degli antenati, culto dei trapassati generano le rappresentazioni fondamentali della fede religiosa e della metafisica. E l’estraneità della vita si accresce nella misura in cui l’uomo sperimenta nella società e nella natura una lotta permanente, l’annientamento continuo di una creatura da parte di un’altra, la spietatezza di ciò che opera nella natura. Emergono strane contraddizioni che nell'esperienza della vita vengono sempre più forti alla coscienza e non sono mai risolte: tra l’universale transitorietà e la volontà in noi presente verso qualcosa di saldo, tra la potenza della natura e l'autonomia del nostro volere, tra la limitatezza di ogni cosa nello spazio e nel tempo e la nostra facoltà di oltrepassare ogni limite. Questi misteri hanno impegnato i sacerdoti egizi e babilonesi al pari della predicazione cristiana, Eraclito al pari di Hegel, il Prometeo eschileo al pari del Faust di Goethe. 4. La legge di formazione delle intuizioni del mondo. Ogni grande impressione mostra all'uomo la vita in un aspetto particolare; il mondo appare in una luce diversa; dal momento che queste esperienze si repetono e si connettono, sorgono le nostre disposizioni interiori nei confronti della vita. WILHELM DILTHEY 221 Da una relazione vitale la vita intera riceve una colorazione e un’interpretazione nelle anime affettive o pensierose così sorgono le disposizioni universali. Esse cambiano man mano che la vita mostra all'uomo aspetti sempre nuovi; ma nei diversi individui predominano, secondo la loro essenza, determinate disposizioni di vita. Gli uni si attaccano alle cose concrete, sensibili, e vivono nel godimento immediato; altri perseguono, attraverso il caso e il destino, grandi scopi che dànno durata alla loro esistenza; vi sono nature gravi che non sopportano la transitorietà di ciò che amano e posseggono, e alle quali la vita appare quindi priva di valore e quasi intessuta da vanità e da sogni, oppure che cercano qualcosa di permanente al di là di questa terra. Le più universali tra le grandi disposizioni di vita sono l’ottimismo e il pessimismo. Essi si differenziano però in svariate sfumature. A chi lo contempla in qualità di spettatore, il mondo estraneo appare come uno spettacolo variopinto e fuggevole; a chi governa ordinatamente la propria vita secondo un progetto, lo stesso mondo appare invece familiare, di casa: egli sta nel mondo a pie’ fermo e appartiene ad esso. Queste disposizioni di vita, le innumerevoli sfumature della posizione di fronte al mondo, costituiscono il terreno per laformazione delle intuizioni del mondo. In queste si compiono, sulla base delle esperienze di vita in cui sono operanti le molteplici relazioni vitali degli individui nei confronti del mondo, i tentativi per risolvere il mistero della vita. E proprio nelle loro forme superiori si fa valere in modo particolare un procedimento: la comprensione di un dato incomprensibile mediante uno più chiaro. Ciò che è chiaro diventa mezzo di comprensione o fondamento di spiegazione di ciò che è incomprensibile. La scienza analizza, e quindi sviluppa relazioni generali dalle situazioni omogenee così isolate; religione, poesia e metafisica originaria esprimono il significato e il senso della totalità. Quella conosce, queste intendono. Una tale interpretazione del mondo, che rende trasparente la sua essenza molteplice attraverso un'essenza più semplice, comincia già col linguaggio, per svilupparsi poi nella metafora in quanto sostituzione di un'intuizione mediante un’altra affine che la rende in qualche senso più chiara, nella personificazione che avvicina e rende comprensibile umanizzando, oppure attraverso ragionamenti analogici, che determinano il meno noto a partire dal più noto sulla base dell’affinità e così si accostano ormai al pensiero scientifico. Ovunque la religione, il mito, la poesia e la metafisica originaria cercano di rendere qualcosa intelligibile e capace di suscitare impressione, ciò avviene mediante il medesimo procedimento. |, 5. La struttura dell’intuizione del mondo. Tutte le intuizioni del mondo, quando si propongono di fornire una soluzione compiuta del mistero della vita, contengono di regola la stessa struttura. Questa struttura è sempre una connessione in cui, sulla base di un'immagine del mondo, vengono decise le questioni relative al significato e al senso del mondo, e da essa vengono derivati l’ideale, il sommo bene, i princìpi supremi della condotta della vita. Essa è determinata dalla legalità psichica in virtù della quale l'apprendimento della realtà nel corso della vita costituisce la base per la valutazione delle situazioni e degli oggetti secondo i criteri di piacere e di dispiacere, di gradevole e di sgradevole, di approvazione e di disapprovazione; e questa valutazione della vita forma quindi a sua volta il substrato delle determinazioni del volere. Il nostro comportamento attraversa regolarmente queste tre posizioni della coscienza, e la natura peculiare della vita psichica si fa valere nel fatto che in tale connessione dinamica persiste lo strato sottostante: le relazioni presenti negli atteggiamenti in base a cui io giudico gli oggetti, provo piacere di fronte ad essi e sono indirizzato alla realizzazione di qualcosa in essi, determinano la costruzione di questi diversi strati e costituiscono in tal modo la struttura delle formazioni in cui la connessione dinamica della vita psichica. trova la propria espressione. La lirica mostra nella forma più semplice questa connessione una situazione, una successione di sentimenti da cui spesso scaturisce un desiderio, una tensione, un'azione. Ogni rapporto vitale si sviluppa verso una connessione in cui le medesime forme di atteggiamento sono legate strutturalmente. Così anche le intuizioni del mondo sono formazioni regolari in cui si esprime questa struttura della vita psichica. Il loro substrato è sempre un'immagine del mondo; essa sorge dall’atteggiamento dell’apprendere quale si presenta nella successione regolare dei gradi del conoscere. Noi osserviamo processi interiori e oggetti esterni. Noi spieghiamo le percezioni che in questo modo sorgono rendendo in esse trasparenti, mediante le funzioni clementari del pensiero, i rapporti fondamentali del reale; quando le percezioni svaniscono, esse vengono tuttavia riprodotte e ordinate nel nostro universo di rappresentazioni, che ci solleva al di sopra dell’accidentalità delle percezioni; la saldezza e la libertà che lo spirito acquisisce a questo livello, il suo dominio sulla realtà giungono poi a compimento nella regione dei giudizi e dei concetti, dove la connessione e l’essenza del reale vengono colte come fornite di validità universale. Quando un’intuizione del mondo giunge al suo pieno sviluppo, ciò avviene di regola a questi gradi di conoscenza della realtà. A questo punto su di essa si costruisce un altro atteggiamento tipico, in un’analoga regolare successione di livelli. Nel sentimento di noi stessi assaporiamo il valore della nostra esistenza, attribuiamo a persone e a oggetti che ci circondano una capacità di influenza sulla nostra esistenza, in quanto la elevano e la estendono: quindi determiniamo questi valori secondo le possibilità di recar giovamento 0 danno che sono contenute negli oggetti, valutiamo tali possibilità e cerchiamo per questa valutazione una misura incondizionata. In tal modo situazioni, persone e cose acquistano un significato in rapporto al complesso della realtà, e questo ne riceve un senso. Percorrendo questi gradi nell’ atteggiamento del sentire si forma per così dire, nella struttura dell’intuizione del mondo, un secondo strato; l’immagine del mondo diventa fondamento della vita e della comprensione del mondo. Secondo la medesima legalità della vita psichica, dall’apprezzamento della vita e dalla comprensione del mondo emerge uno stato supremo della coscienza: gli ideali, il sommo bene e i princìpi supremi in cui l'intuizione del mondo ottiene la sua energia pratica come dire, la punta con cui essa si apre un varco nella vita umana, nel mondo esterno e nella profondità dell'anima. L’intuizione del mondo si fa ora formatrice, plasmatrice. riformatrice! E anche questo stato supremo dell’intuizione del mondo si sviluppa attraverso gradi differenti. Dall’intenzione, dalla tensione, dalla tendenza si sviluppano le posizioni di scopo durevoli indirizzate alla realizzazione di una rappresentazione, il rapporto tra scopi e mezzi, la scelta tra gli scopi, la selezione dei mezzi e infine la connessione delle posizioni di scopo in un ordinamento supremo del nostro comportamento pratico in un progetto complessivo di vita, in un sommo bene, in norme supreme dell’agire, in un ideale di formazione della vita personale e della società. Questa è la struttura dell’intuizione del mondo. Ciò che è confusamente contenuto come un fascio di compiti nel mistero della vita, viene qui elevato a una connessione consapevole e necessaria di problemi e di soluzioni. Questa progressione si svolge secondo gradi determinati in maniera regolare dall’interno: ne consegue che ogni intuizione del mondo ha uno sviluppo e nel corso di questo perviene all’esplicazione del suo contenuto; essa ottiene così gradualmente durata, saldezza e potenza, nel corso del tempo: essa è un prodotto della storia. 6. La molteplicità delle intuizioni del mondo. Le intuizioni del mondo si sviluppano in condizioni differenti. Il clima, le razze, le nazioni determinate attraverso la storia e la formazione degli stati, le delimitazioni temporalmente condizionate secondo epoche ed età in cui le nazioni cooperano, si collegano alle condizioni specifiche che producono la molteplicità delle intuizioni del mondo. La vita, che nasce in queste condizioni specificate, ha moltissimi aspetti; lo stesso vale per l’uomo che apprende la vita. A queste differenze tipiche si aggiungono quelle delle singole individualità, del loro ambiente e della loro esperienza di vita. Nello stesso modo in cui la terra è ricoperta di innumerevoli forme viventi, tra le quali ha luogo una lotta continua per la sopravvivenza e per lo spazio vitale, nel mondo umano si sviluppano le forme di intuizione del mondo, contendendosi tra loro il potere sull’anima. Si fa così valere un rapporto regolare per cui l’anima, spinta dall’incessante mutamento delle impressioni e dei destini, nonché dalla potenza del mondo esterno, deve tendere a una saldezza interiore per potersi contrapporre a tutto ciò: essa viene condotta dal mutamento, dalla discontinuità, dallo scivolare e dal fluire della sua costituzione, delle sue intuizioni della vita, a una valutazione durevole della vita e a fini ben definiti. Le intuizioni del mondo che promuovono la comprensione della vita e conducono a fini utili, si conservano e soppiantano quelle che meno rispondono a queste esigenze. Si compie così una selezione tra di esse. E nella successione delle generazioni le intuizioni del mondo più vitali si sviluppano verso una forma sempre più compiuta. E come nella molteplicità della vita organica opera la stessa struttura, così anche le intuizioni del mondo sono formate secondo un medesimo schema. Il profondo mistero della loro specificazione ha la sua base nella regolarità che la connessione teleologica della vita psichica imprime alla particolare struttura delle formazioni di intuizione del mondo. i AI centro dell’apparente accidentalità di queste formazioni vi è, in ognuna di esse, una connessione teleologica che scaturisce dalla reciproca dipendenza delle questioni contenute nel mistero della vita, e in modo particolare dal rapporto costante tra immagine del mondo, apprezzamento della vita e fini della volontà. Una comune natura umana e un ordine dell’individuazione stanno in salde relazioni vitali con la realtà; e quest'ultima è sempre e dovunque la stessa, la vita mostra sempre gli stessi aspetti. In questa regolarità della struttura dell’intuizione del mondo e del suo differenziarsi in forme particolari si presenta un momento impercettibile: le variazioni della vita, il mutamento delle epoche, le trasformazioni della situazione scientifica, il genio delle nazioni e degli individui. In virtù di ciò cambia incessantemente l’interesse ai problemi, la potenza di determinate idee che sorgono dalla vita storica e che la dominano; nelle intuizioni del mondo si fanno valere, secondo il luogo storico che occupano, combinazioni sempre nuove dell’esperienza della vita, disposizioni interiori e pensieri sempre nuovi: esse sono irregolari in conformità ai loro elementi, alla forza e al significato che questi ultimi assumono nel complesso. Tuttavia, a causa della legalità che opera nel profondo della struttura e della regolarità logica, esse non sono aggregati ma formazioni. A questo punto, sottoponendo queste formazioni a un procedimento comparativo, risulta inoltre che esse si ordinano in gruppi all’interno dei quali sussiste una certa affinità. Come le lingue, le religioni, gli stati rivelano in virtù del metodo comparativo certi tipi, certe linee di sviluppo e regole di trasformazione, la stessa cosa si può mostrare anche nelle intuizioni del mondo. Questi tipi attraversano la singolarità storica delle formazioni particolari. Essi sono sempre condizionati dalla particolarità propria del campo in cui sorgono. Ma volerli derivare da tale particolarità è stato un grave errore, proprio del metodo costruttivo. Soltanto il procedimento storico comparativo può accostarsi alla determinazione di questi tipi, delle loro variazioni, dei loro sviluppi e incroci. La ricerca deve pertanto tener sempre aperta, nei confronti dei suoi risultati, ogni possibilità di prosecuzione. Qualsiasi analisi è solamente provvisoria. Essa è e rimane nient’altro che uno strumento per vedere in modo storicamente più profondo. E al procedimento storico comparativo si collega sempre la sua preparazione mediante l’osservazione sistematica e l’interpretazione dell’elemento storico che ne scaturisce. Anche quest’interpretazione psicologica e storico-sistematica della realtà storica è esposta all'errore del pensiero costruttivo, che in ogni campo dell’ordinamento vuol porre alla base un rapporto semplice, come se fosse un impulso formativo in esso presente. Riassumiamo ora quanto è stato fin qui posto in luce in un principio, che la considerazione storica comparativa conferma in ogni punto. Le intuizioni del mondo non sono prodotti del pensiero; esse non nascono dalla mera volontà di conoscenza. L'apprendimento della realtà è certo un momento importante, ma è soltanto un momento. Esse scaturiscono dall’atteggiamento di vita, dall'esperienza della vita, dalla struttura della nostra totalità psichica. L’elevazione della vita a coscienza nella conoscenza della realtà, nella valutazione della vita e nell'operazione della volontà è il lungo e difficile lavoro che l'umanità ha compiuto nello sviluppo delle intuizioni della vita. Questo principio della dottrina delle intuizioni del mondo riceve conferma se poniamo mente al corso della storia nel suo insieme: mediante tale corso risulta confermata una conseguenza importante del nostro principio, che ci riporta al punto di partenza di questo saggio. La formazione delle intuizioni del mondo è determinata dalla volontà rivolta alla stabilità dell’immagine del mondo, della valutazione della vita, dell’azione della volontà, derivante dal carattere fondamentale sopra descritto della successione di gradi dello sviluppo psichico. Sia la religione sia la filosofia cercano la stabilità, l’efficacia, il dominio, la validità universale. Ma su questa via l'umanità non ha fatto un solo passo avanti. La lotta reciproca tra le intuizioni del mondo non è pervenuta ad alcuna decisione in nessuno dei suoi punti nodali. Certamente la storia compie una selezione tra di esse, ma i grandi tipi permangono autosufficienti, indimostrabili e indistruttibili, gli uni accanto agli altri. Essi non devono la loro origine ad alcuna dimostrazione, perché non possono essere risolti da alcuna dimostrazione. I singoli gradi e le formazioni specifiche di un tipo vengono sì confutate, ma la loro radice nella vita perdura, continua ad agire e produce sempre nuove formazioni. II. I TIPI DI INTUIZIONE DEL MONDO NELLA RELIGIONE, NELLA POESIA E NELLA METAFISICA Prendo le mosse da una distinzione tra le intuizioni del mondo che è condizionata dai campi della cultura in cui esse compaiono. Il fondamento della cultura è formato dall’economia, dalla vita sociale, dal diritto e dallo stato. In ciascun campo domina una divisione del lavoro in virtù della quale la singola persona assolve, in un determinato luogo storico del suo operare, una funzione determinata. Qui la volontà è inquadrata in compiti delimitati che vengono ad essa assegnati dalla connessione teleologica propria di un dato campo. La scienza introduce in questa connessione pratica della vita, mediante la conoscenza, una regolamentazione razionale del lavoro; in questo modo sta in connessione strettissima con la prassi e, poiché anch'essa sottostà alla legge della divisione del lavoro, ogni scienziato si prefigge, in un determinato campo e in un determinato punto del lavoro conoscitivo, un compito limitato. La stessa filosofia è sottomessa, in una parte dalle sue funzioni, a questa divisione del lavoro. Invece il genio religioso, poetico o metafisico vive in una regione in cui è sottratto al vincolo sociale, al lavoro racchiuso in compiti delimitati, alla subordinazione a ciò che 228 WILHELM DILTHEY può venir raggiunto nei limiti del tempo e della situazione storica. Ogni riguardo a tale vincolo falsifica anzi la sua comprensione della vita, che deve porsi di fronte a ciò che è dato in piena spontaneità e sovranità. Essa diventa non vera già a causa della limitazione della prospettiva, del riferimento a una situazione temporale a causa di una qualsiasi tendenza. In questa regione della libertà sorgono e si formano le intuizioni del mondo più valide e più potenti. Le intuizioni del mondo sono però distinte nel genio religioso, in quello artistico e in quello metafisico secondo la loro legge di formazione, la loro struttura e i loro tipi. 1. L'intutzione religiosa del mondo. Le intuizioni religiose del mondo scaturiscono da un particolare rapporto di vita dell’uomo. Al di là della realtà dominabile in cui l’uomo primitivo in quanto guerriero, cacciatore, lavoratore e fruitore del suolo produce trasformazioni nel mondo esterno, mediante il suo agire fisico, in una razionale posizione di scopi, il campo di tale operare si estende fino all’inaccessibile, a ciò che non è attingibile da parte della conoscenza. E in quanto di qui gli sembrano procedere effetti che gli procurano fortuna nella caccia, successo nella guerra, mentre nella malattia, nella follia, nella vecchiaia, nella morte, nella perdita della moglie, dei figli, del gregge, si scopre dipendente da qualcosa di sconosciuto, nasce allora la tecnica diretta a influenzare questa realtà incomprensibile che non si lascia dominare dall’attività fisica con le proprie preghiere, con le proprie offerte, con la propria subordinazione. Egli vuole accogliere in sé le forze di esseri superiori, stabilire un buon rapporto con essi, unirsi ad essi. Le azioni dirette a questo fine costituiscono il culto originario. Nasce la professione dello stregone, del guaritore o del sacerdote; man mano che questo ceto si organizza sempre più saldamente, in esso si concentrano abilità, esperienza, sapere, e vi si forma un modo di vita particolare che lo separa dagli altri membri della società. In questo modo nelle piccole comunità chiuse dell’orda e della tribù nasce una tradizione di esperienza religiosa della vita, che si è sviluppata nel rapporto con gli esseri superiori, e di ordinamento spirituale di vita; e dalle pratiche del culto magico lo sviluppo di questa religiosità superstiziosa perviene a poco a poco fino al processo religioso, nel quale l'animo e la volontà dell’uomo vengono assoggettate mediante una disciplina interiore al volere divino. II momento decisivo risiede nel modo in cui le idee religiose primitive si sviluppano sulla base degli Er/ebnisse, sempre e dovunque ricorrenti, della nascita, della morte, della malattia, dei sogni, della follia, sulla base di interventi malvagi o benefici dell'elemento demoniaco sul corso della vita, sulla base di strane commistioni di ordine nella natura che comporta sempre un rapporto teleologico di colui che apprende nei confronti di essa e infine sulla base del caso, della forza distruttiva e del conflitto. Il secondo io presente nell’uomo, le forze divine del cielo, nel sole e nelle stelle, il demoniaco nella foresta, nella palude e nelle acque queste rappresentazioni fondamentali determinate da rapporti vitali costituiscono i punti di partenza di una vita fantastica condizionata affettivamente, che viene alimentata da esperienze religiose sempre nuove. L'influenza dell’invisibile è la categoria fondamentale della vita religiosa elementare. Il pensiero analogico combina poi le idee religiose fino a tradurle in dottrine concernenti l’origine del mondo, dell’uomo e dell’anima. L'influenza del soprasensibile, presente nelle cose e negli uomini, conferisce loro un significato religioso. Queste cose e questi uomini sono sensibili, visibili, distruttibili, limitati, e tuttavia sono una sede di influenze divine o demoniache. Il mondo è pervaso da un rapporto religioso di cose e persone singole, concrete e finite, con l’invisibile, in virtù del quale il loro significato religioso risiede nell'influenza dell’invisibile celata in esse. Luoghi e persone sacri, immagini della divinità, simboli, sacramenti sono tutti casi particolari di questo rapporto: nella religione esso ha lo stesso significato che possiede il simbolico nell'arte e il concettuale nella metafisica. E la traduzione diventa, all’interno del rapporto religioso proprio a causa dell’oscurità della sua origine una potenza di eccezionale efficacia. Questa è la base di tutto l’ulteriore sviluppo religioso. Mentre negli stadi primitivi opera in prevalenza lo spirito della comunità, il passaggio verso gradi superiori si compie in virtù del genio religioso nei misteri, nella vita dell’eremita, nel profetismo. A influenze particolari tra l'uomo e gli esseri superiori subentra, nel genio religioso, un rapporto dell’uomo nella sua totalità nei confronti di essi. Questa esperienza religiosa concentrata raccoglie quindi le idee religiose elementari per tradurle in intuizioni religiose del mondo, le quali hanno la loro essenza nel fatto che qui l’interpretazione della realtà, l'apprezzamento della vita e l'ideale pratico scaturiscono dal rapporto con l’invisibile. Esse sono contenute nel discorso metafisico e nelle dottrine della fede; poggiano su una costituzione della vita; si sviluppano nella preghiera e nella meditazione. Tutte le formazioni tipiche di queste intuizioni religiose del mondo comportano, fin dal loro inizio, l’antitesi tra esseri benefici ed esseri malvagi, tra esistenza sensibile e mondo superiore. L’immanenza della religione universale negli ordinamenti della vita e nel corso naturale, l’Uno-Tutto spirituale che costituisce la verità, la connessione e il valore di tutte le cose particolari e a cui l’esistenza particolare deve quindi fare ritorno, la volontà divina creatrice che produce il mondo e che crea gli uomini secondo la sua immagine o che sta in opposizione a un regno del male e per combatterlo prende al suo servizio gli uomini pii questi sono i tipi principali delle varie intuizioni religiose del mondo. E come fin dall'inizio il rapporto con l'invisibile è separato dal lavoro e dal godimento inerenti all’esistenza sociale terrena, così queste intuizioni religiose del mondo sono in contrasto permanente con la concezione mondana della vita: in questa si fa spesso valere, all’interno di tale antitesi, un naturalismo originario che trae la sua energia e la sua potenza proprio dall’antitesi nei confronti delle intuizioni religiose del mondo. Nelle epoche religiose troviamo quindi la lotta tra tipi diversi che mostrano una chiara affinità con quelli della metafisica. Il monoteismo giudaico-cristiano, la forma cinese e indiana di panenteismo e per contro la posizione e il modo di pensare naturalistici sono i gradi preliminari e i punti di partenza per l'ulteriore sviluppo della metafisica. Ma il rapporto religioso, con la sua magia, con le sue forze, le sue figure e i suoi luoghi di culto religiosi, con le immagini del simbolismo religioso, costituisce sempre il substrato delle intuizioni religiose del mondo, nello stesso modo in cui il popolo costituisce l'ampio strato inferiore della vita comunitaria della chiesa. In queste intuizioni del mondo si conserva sempre un nucleo oscuro, specificamente religioso, che il lavoro concettuale dei teologi non è mai in grado di spiegare e di giustificare. Mai può essere superata l’unilateralità di un’esperienza che scaturisce dal rapporto di preghiera, di sollecitazione, di sacrificio di sé con esseri superiori e che dalle relazioni dell'anima con essi perviene a coglierne i predicati. Di qui nasce un rapporto per cui l’intuizione religiosa del mondo è sì la preparazione di quella metafisica, ma non può mai risolversi completamente in quest’ultima. La dottrina giudaico-cristiana del dio puramente spirituale, che crea liberamente, e delle anime formate a sua immagine si è trasformata nell’idealismo monoteistico della libertà; le differenti forme della dottrina religiosa dell’Uno-Tutto hanno preparato il panenteismo metafisico; nella speculazione indiana, nei misteri e nella Gnosi si è sviluppato lo schema dell’emanazione della molteplicità del mondo dall’Uno e del ritorno in esso, qual è stato elaborato dai neoplatonici, da Bruno, da Spinoza e da Schopenhauer. Altrettanto chiara è la connessione che dal monoteismo conduce alla teologia scolastica dei pensatori giudaici, arabi e cristiani, e da essa a Descartes, a Wolff, a Kant e ai filosofi dell'età della Restaurazione nel secolo xrx. Ma per quanto il lavoro concettuale che la teologia compie nelle intuizioni religiose del mondo possa accostarle alla metafisica, la loro legge di formazione e la loro struttura le separano pur sempre dal pensiero metafisico. Il punto di vista unilaterale della costituzione religiosa della vita e dell’intuizione religiosa del mondo costituisce il loro limite. L’animo religioso è sempre, con le sue esperienze, nel giusto. Lo spirito progressivo riconosce che il fissarsi dell'anima al mondo sopra-sensibile questo prodotto storico della tecnica sacerdotale manteneva in piedi l’idealismo, sia pure in virtù di una trasposizione artificiosa, e imponeva un disciplinamento della vita, sia pure con ascetica rigidità, ma anche che il procedere dello spirito nella storia deve cercare posizioni più libere nei confronti della vita e del mondo, le quali non devono essere legate a tradizioni che scaturiscono da discutibili origini misteriose. Le posizioni dell’intuizione del mondo nella poesia. Nella religione cose e uomini acquistavano la loro significatività in virtà della fede nella presenza in essi di un forma soprasensibile. La significatività dell’opera d’arte consiste nel fatto che un elemento singolare, un dato sensibile viene separato dal nesso dei rapporti di causa ed effetto ed elevato a espressione ideale delle relazioni vitali così come esse ci parlano con il colore e la forma, la simmetria e la proporzione, gli accordi dei suoni e il ritmo, il processo psichico e l’accadimento. C'è in tutto questo una tendenza a formare un’intuizione del mondo? In sé, la produzione artistica non ha niente in comune con l’intuizione del mondo; ma il rapporto della costituzione vitale dell’artista con la sua opera ha qui tuttavia dato luogo a una relazione secondaria tra opera d’arte e intuizione del mondo. L’arte si è sviluppata, in un primo momento, sotto l’influenza della religione. L'ambito delle cose sacre è il suo oggetto più prossimo; gli scopi della comunità religiosa si fanno valere nell’architettura e nella musica; in questa connessione l’arte ha elevato il contenuto della religiosità all’eternità in cui scompaiono i dogmi transitori, e da questo contenuto è scaturita la forma interna dell’arte più alta come mostrano l’epica religiosa di Giotto nella pittura, la grande architettura ecclesiastica e la musica di Bach e di Handel. Ciò che costituisce quindi l'andamento storico del rapporto dell’arte con le intuizioni del mondo è il fatto che la costituzione vitale dell’artista è pervenuta a una libera espressione sulla base di questo approfondimento religioso dell’arte. Questo non dev'essere cercato nell’introduzione di un’intuizione della vita nell’opera d’arte, bensì nella forma interna delle formazioni artistiche. È stato compiuto uno sforzo considerevole per comprovare la presenza di tale elemento nella pittura e per mostrare l’influenza delle tipiche costituzioni vitali da cui scaturiscono l’intuizione naturalistica del mondo, quella eroica e quella panenteistica sulla forma delle opere pittoriche. Un analogo rapporto si potrebbe mostrare anche nella creazione musicale. E quando artisti della potenza spirituale di un Michelangelo, di Becthoven, di Richard Wagner arrivano, in virtù di un impulso interiore, a formare un'intuizione del mondo, questa contribuirà a rafforWILHELM DILTHEY 233 zare l’espressione della loro costituzione vitale nella forma artistica. Tra le arti, però, la poesia ha un rapporto particolare con l'intuizione del mondo. Infatti il mezzo in cui essa opera, il linguaggio, le consente un'espressione lirica o una rappresentazione epica o drammatica di tutto ciò che può venir visto, udito, vissuto. Io non voglio qui tentare di definire l'essenza e la funzione della poesia. Svincolando un avvenimento dal nesso delle relazioni della volontà, e trasformando la sua rappresentazione in questo mondo dell’apparenza in un’espressione della natura della vita, la poesia libera l’anima dal peso della realtà e nel medesimo tempo ne rivela ad essa il significato. Soddisfacendo la segreta aspirazione dell’uomo, imprigionato dal destino e dalle proprie decisioni nei confini di una vita determinata, ad attuare nella fantasia quelle possibilità di vita che non ha potuto realizzare, essa amplia l’io dell'uomo e l'orizzonte delle sue esperienze di vita. Essa gli apre lo sguardo verso un mondo più alto e più forte. In tutto questo si esprime però il rapporto fondamentale su cui poggia la poesia: la vita costituisce il suo punto di partenza; i rapporti vitali con gli uomini, le cose, la natura diventano il suo nucleo; nel bisogno di raccogliere le esperienze che scaturiscono dai rapporti di vita sorgono così le disposizioni universali della vita, e la connessione di ciò che si è esperito nei singoli rapporti di vita è la coscienza poetica del significato della vita. Queste disposizioni universali stanno alla base del libro di Giobbe e dei Salmi, dei cori della tragedia attica, dei sonetti di Dante e di Shakespeare, della grandiosa conclusione della Divina Commedia, della grande lirica di Goethe, di Schiller e dei romantici, nonché del Faust di Goethe, dei Nibelunghi di Wagner e dell'’Empedocle di Hòlderlin. La poesia non vuole quindi conoscere la realtà così come fa la scienza, ma vuol mostrare la significatività dell’accadimento, degli uomini e delle cose, presente nelle relazioni vitali; così il mistero della vita si concentra qui in una connessione interna di tali relazioni, intessuta di uomini, di destini, di circostanze. In ogni grande epoca poetica si compie di nuovo, secondo una successione regolare, il passaggio dalla fede e dai costumi ad essa relativi, che si formano sulla base dell’universale esperienza di vita della comunità, DILTHEY al compito di rendere nuovamente intelligibile la vita in base ad essa stessa. Questa fu la via che ha condotto da Omero ai tragici attici, dalla fede cattolica alla lirica cavalleresca e all’epica, dalla vita moderna a Schiller, Balzac, Ibsen. A questo passaggio corrisponde la successione delle forme poetiche nella quale dapprima si forma l’epica e quindi il dramma realizza la massima concentrazione, elaborando in una concezione della vita la connessione dei rapporti di azione, di carattere e di destino creati dalla vita, mentre il romanzo dispiega infine l’illimitata pienezza della vita ed esprime una coscienza del significato della vita. Concludiamo. L’emergere della poesia dalla vita la porta direttamente a esprimere nell’accadimento un'intuizione della vita stessa, concepita sulla base della sua particolare costituzione. Essa si sviluppa poi nella storia della poesia, in cui questa si accosta gradualmente al suo fine di intendere la vita in base a essa stessa, esponendosi con piena libertà alle grandi impressioni vitali. Pertanto la vita mostra alla poesia aspetti sempre nuovi. La poesia indica in tal modo le possibilità illimitate di vedere la vita, di valutarla, di dare ad essa una nuova forma. L'accadimento diventa così simbolo, ma non di un pensiero, bensì di una connessione osservata nella vita osservata a partire dall’esperienza di vita del poeta. È così che Stendhal e Balzac vedono nella vita un tessuto creato senza finalità dalla natura stessa, in virtù di un oscuro impulso di illusioni, di passioni, di bellezza e di corruzione, in cui la volontà forte si acquista la vittoria; Goethe vi scorge invece una forza formatrice che riunisce in una connessione dotata di valore le forme organiche, lo sviluppo umano e gli ordinamenti sociali; Corneille e Schiller vedono in essa il teatro di azioni eroiche. Ognuna di queste costituzioni vitali corrisponde a una forma interna della poesia. Di qui ai grandi tipi di intuizione del mondo non c’è che un passo, e il legame della letteratura con i movimenti filosofici conduce un Balzac, un Goethe, uno Schiller a questa perfezione suprema della comprensione della vita. In tal modo i tipi dell’intuizione poetica del mondo preparano quelli della metafisica, oppure trasmettono la loro influenza a tutta la società. DILTHEY 235 3. 1 tipi di intuizione del mondo nella metafisica. Tutti i fili del discorso si intrecciano nella dottrina della struttura, dei tipi e dello sviluppo delle intuizioni del mondo nella metafisica. Riassumo i rapporti che sono qui decisivi. I. Il processo complessivo del sorgere e del consolidamento delle intuizioni del mondo spinge all’esigenza di elevarle a un sapere universalmente valido. Anche nei poeti di maggiore capacità di pensiero le grandi impressioni sembrano illuminare sempre la vita sotto nuovi aspetti: la tendenza al consolidamento conduce al di là di esse. Nel nucleo delle religioni universali rimane qualcosa di bizzarro e di estremo, che scaturisce dai più accentuati degli Erlebnisse religiosi, dalla fissazione dell'anima nell’invisibile propria della tecnica sacerdotale, e che è inaccessibile alla religione. L’ortodossia si irrigidisce su questo; la mistica e lo spiritualismo tentano di riportarlo all’Erleben; il razionalismo vuole afferrarlo concettualmente e si vede costretto a dissolverlo: così la volontà di dominio presente nelle religioni universali che si era appoggiata all'esperienza interiore dei credenti, alla tradizione e all’autorità viene sostituita dall’esigenza della ragione di trasformare in conformità a se stessa le intuizioni del mondo e di fondare razionalmente la propria validità. Quando l’intuizione del mondo viene così elevata a una connessione concettuale, e quando questa viene fondata scientificamente, presentandosi così con la pretesa di validità universale, allora nasce la metafisica. La storia mostra che, dovunque essa compaia, lo sviluppo religioso l’ha preparata, che la poesia la influenza e che la costituzione vitale delle nazioni, il loro apprezzamento della vita e i loro ideali agiscono su di essa. L’aspirazione a un sapere universalmente valido dà a questa nuova forma di intuizione del mondo la sua struttura propria. Chi è in grado di dire quali siano i punti in cui la tendenza al conoscere, che opera in tutte le connessioni teleologiche della società, diventa scienza? Il sapere matematico e astronomico dei Babilonesi e degli Egizi si è svincolato dai compiti pratici e dal legame con la casta sacerdotale, ed è così diventato autonomo, soltanto nelle colonie ioniche. E quando la ricerca prese a suo oggetto la totalità del mondo, la nascente filosofia e le scienze entrarono in una relazione strettissima. Matematica, astronomia, geografia diventarono mezzi di conoscenza del mondo. L'antico problema della soluzione del mistero della vita impegnò i Pitagorici o Eraclito così come aveva impegnato i sacerdoti dell'Oriente. E se la potenza avanzante delle scienze naturali fece del problema della spiegazione della natura il centro della filosofia nelle colonie, nel suo sviluppo ulteriore tutte le grandi questioni inerenti al mistero del mondo vennero discusse nelle scuole filosofiche, le quali erano appunto orientate verso la relazione interna tra conoscenza della realtà, direzione della vita e volontà negli individui e nella società, ossia verso la formazione di un’intuizione del mondo. La struttura delle intuizioni del mondo nella metafisica è stata determinata anzitutto dalla loro connessione con la scienza. L'immagine sensibile del mondo si trasformò in immagine astronomica; il mondo del sentimento e delle azioni della volontà fu oggettivato in concetti di valori, di beni, di scopi e di regole; l'esigenza di forma concettuale e di fondazione portò gli indagatori del mistero del mondo a fare della logica e della teoria della conoscenza la loro base: lo stesso sforzo di soluzione condusse dai dati condizionati e limitati a un essere universale, a una causa prima, a un sommo bene, a uno scopo ultimo; la metafisica diventò sistema e quest’ultimo procedette, attraverso l'elaborazione di rappresentazioni e concetti insufficienti che si erano formati nella vita e nella scienza, a formare concetti ausiliari che oltrepassavano qualsiasi esperienza. Al rapporto della metafisica con la scienza si aggiunse quello con la cultura mondana. In quanto la filosofia si trasmette allo spirito di ogni connessione teleologica presente nella cultura, essa ne riceve nuove forze e al tempo stesso partecipa a questa l’energia della sua idea fondamentale. La filosofia consolida i procedimenti e il valore conoscitivo delle scienze; elabora le esperienze non metodiche della vita e la letteratura che le riguarda, traducendole in un apprezzamento generale della vita; eleva a una connessione unitaria i concetti fondamentali del diritto, scaturiti dalla prassi del negozio giuridico; pone i princìpi relativi alle funzioni dello stato, alle forme di costituzione e alla loro successione, sorti dalla tecnica della vita politi DILTHEY 237 ca, in rapporto con i compiti supremi della società umana; intraprende a dimostrare i dogmi oppure, quando il loro nucleo oscuro risulta inaccessibile al pensiero concettuale, esercita su di esso la sua opera universale di distruzione; razionalizza le forme e le regole della pratica artistica sulla base di uno scopo proprio all’arte: ovunque essa vuol imporre la direzione della società da parte del pensiero. Infine, un’ultima cosa. Oguno di questi sistemi metafisici è condizionato dal posto che occupa nella storia della filosofia; esso dipende da un certo stato del problema ed è condizionato dai concetti che ne scaturiscono. Così nasce la struttura di questi sistemi metafisici la connessione logica in essi presente e nel medesimo tempo la loro irregolarità condizionata in varie maniere, l'elemento rappresentativo che esprime in determinati sistemi un determinato stato del pensiero scientifico, e nel medesimo tempo l'elemento della singolarità. Pertanto ogni grande sistema metafisico diventa un complesso che irradia in molteplici direzioni, che illumina ogni parte della vita a cui appartiene. Un unico sistema metafisico universalmente valido tale è la tendenza di tutto questo grande movimento. Il differenziarsi della metafisica che scaturisce dalla profondità della vita appare a questi pensatori come un’aggiunta accidentale e soggettiva, che dev'essere eliminata. Il lavoro sterminato rivolto alla creazione di una connessione concettuale dimostrabile in maniera concorde nella quale sarebbe quindi possibile risolvere metodicamente il mistero della vita acquista un significato autonomo; nello sviluppo verso questo fine ogni sistema trova il suo posto in base allo stato del lavoro concettuale. Il corso di questo lavoro si compie nei paesi civili dell'Europa, dapprima negli stati mediterranei e poi, a partire dal Rinascimento, negli stati romano-germanici in uno strato superiore che soltanto di tempo in tempo viene influenzato dalla religiosità prevalente al di sotto di esso, e che cerca sempre più di sottrarsi a tale influenza. 2. In questa connessione compaiono distinzioni tra i sistemi che sono fondate sul carattere razionale del lavoro metafisico. Alcune indicano certi stadi del suo sviluppo, come quella tra DILTHEY dogmatismo e criticismo. Altre percorrono l’intero processo: esse scaturiscono dallo sforzo che la metafisica compie di rappresentare in una connessione unitaria quanto è contenuto nell'apprendimento della realtà, nell’apprezzamento della vita e nella posizione di scopi; e il loro oggetto è costituito dalle possibilità di risolvere questi problemi fondamentali. Se poniamo mente alle fondazioni della metafisica, ci si presentano le antitesi tra empirismo e razionalismo, tra realismo e ideali smo. L'elaborazione della realtà data viene compiuta sulla base degli opposti concetti dell’uno e dei molti, del divenire e dell’essere, della causalità e della teleologia, e a tutto ciò corrispondono differenze tra i sistemi. I differenti punti di vista a partire dai quali viene concepito il rapporto tra il fondamento del mondo e il mondo, tra l’anima e il corpo, si esprimono nelle prospettive del deismo e del panteismo, del materialismo e dello spiritualismo. E in base ai problemi della filosofia pratica si producono altre differenze, tra cui si deve sottolineare quella tra l’eudemonismo e la sua prosecuzione nell’utilitarismo e la dottrina di una regola incondizionata del mondo morale. Tutte queste differenze trovano il loro posto nei campi particolari della metafisica e designano le varie possibilità di sottoporre questi campi sulla base di concetti opposti al pensiero razionale. Tutte quante possono essere considerate, nel contesto di tale lavoro sistematico, come ipotesi in virtù delle quali lo spirito metafisico si avvicina a un sistema universamente valido. Sono così sorti infine i tentativi di classificare i sistemi metafisici da questo punto di vista. Alle prevalenti contrapposizioni dei concetti nella riflessione, fondata sulla natura della stessa elaborazione concettuale della metafisica, corrisponde perciò nel migliore dei casi una duplicazione dei sistemi, con l’antitesi tra punto di vista realistico e idealistico, o un’altra analoga. A chi potrebbe sfuggire il significato che il lavoro concettuale della filosofia ha compiuto nei campi più diversi? Esso prepara le scienze indipendenti; essa le abbraccia. Di questo punto ho già detto prima in maniera dettagliata. Ma ciò che distingue l’attività metafisica dal lavoro delle scienze positive è la volontà di sottomettere ai metodi scientifici che si sono formati per i singoli campi del sapere la connessione dell’universo e della vita stessa. Questi metodi superano i limiti dei procedimenti delle scienze particolari mirando all’incondizionato. 3. A questo punto è possibile chiarire l’idea fondamentale da cui ha preso le mosse in generale il nostro tentativo di una dottrina dell’intuizione del mondo, e che definisce anche questo lavoro. La coscienza storica ci riporta al di qua della tendenza dei metafisici a un sistema unitario universalmente valido, al di qua delle differenze da essa derivanti che dividono i pensatori, e infine al di qua del collegamento di queste differenze in forma di classificazioni. La coscienza storica assume a proprio oggetto l’antitesi effettivamente esistente tra i sistemi nella loro costituzione complessiva. Essa vede queste costituzioni complessive nella loro connessione con il corso delle religioni e della poesia. Essa mostra inoltre come tutto il lavoro concettuale della metafisica non abbia fatto un solo passo in direzione di un sistema unitario. In tal modo essa considera l’antitesi tra i sistemi metafisici come fondata sulla vita stessa, sull'esperienza della vita, sulle posizioni nei confronti del problema della vita. Su tali posizioni poggia la molteplicità dei sistemi e al tempo stesso la possibilità di distinguere al loro interno determinati tipi. Ognuno di questi tipi abbraccia la conoscenza della realtà, l'apprezzamento della vita e la posizione di scopi. Essi sono indipendenti dalla forma dell’antitesi in cui, in base a punti di vista contrapposti, vengono risolti i problemi fondamentali. L'essenza di questi tipi si manifesta chiaramente se si guarda ai grandi geni metafisici che hanno espresso la loro costituzione personale in sistemi concettuali con pretesa di validità. La loro tipica costituzione vitale è tutt'uno con il loro carattere: essa si esprime nel loro ordinamento della vita; riempie ogni loro azione; si manifesta nel loro stile. E se i loro sistemi sono ovviamente condizionati dallo stato dei concetti in cui vengono alla luce, tuttavia i loro concetti storicamente considerati sono soltanto strumenti ausiliari per la costruzione e la dimostrazione della loro intuizione del mondo. Spinoza comincia il suo trattato sulla via per arrivare alla conoscenza perfetta con l’esperienza vitale della nullità dei dolori e delle gioie, della paura e della speranza della vita quotidiana; prende la decisione di cercare il vero bene, che garantisce 240 WILHELM DILTHEY una gioia eterna, e risolve quindi questo compito nella sua Ethica attraverso il superamento della schiavitù verso le passioni nella conoscenza di Dio come fondamento immanente della molteplicità delle cose transeunti, e attraverso l’amore intellettuale infinito di Dio che procede da questa conoscenza, e in virtù del quale Dio, l’infinito, ama se stesso nei limitati spiriti umani. L'intero sviluppo di Fichte è l’espressione di una tipica costituzione dell'anima dell’autonomia morale della persona di fronte alla natura e a tutto il corso del mondo; e così la sua parola ultima, con cui si chiude la grande azione di volontà di questa vita tempestosa, è l'ideale dell'uomo eroico, in cui la funzione suprema della natura umana che si compie nella storia in quanto teatro della vita morale è legata all'ordine sopra-terreno delle cose. E l'enorme influenza storica di Epicuro che pure dal punto di vista intellettuale rimase molto al di sotto dei massimi pensatori sta nella pura chiarezza con cui egli ha espresso una tipica costituzione dell’anima. Essa consiste nella serena subordinazione dell’uomo alla connessione regolare della natura e nel godimento sensibilmente gioioso, e tuttavia riflessivo, dei suoi doni. Così intesa, ogni genuina intuizione del mondo è un’intuizione che nasce dallo stare entro la vita stessa. Le giovanili annotazioni di Hegel, sorte dal contatto delle sue esperienze metafisico-religiose con l’interpretazione dei documenti del Cristianesimo primitivo, costituiscono un esempio di siffatte intuizioni. Questo stare dentro la vita si compie nelle prese di posizione nei suoi confronti, nelle relazioni vitali. È questo, del resto, il significato profondo del detto ardito, secondo cui il poeta sarebbe il vero uomo. A queste prese di posizione si rivelano dunque certi aspetti del mondo. Non ci azzardiamo qui a continuare. Noi non conosciamo la legge di formazione in base a cui dalla vita scaturisce il differenziarsi dei sistemi metafisici. Se vogliamo accostarci alla comprensione dei tipi di intuizione del mondo dobbiamo rivolgerci alla storia. E ciò che di essenziale la storia ha qui da insegnarci è la possibilità di cogliere la connessione tra vita e metafisica, il collocarsi nella vita come centro di questi sistemi, la coscienza delle grandi connessioni dei sistemi che percorrono la storia e in cui esiste un atteggiamento tipico per quanto si voglia poi limitarli o frammentarli. Si tratta cioè di vedere in profondità sulla base della vita, di seguire le grandi intenzioni della metafisica. È questo il senso nel quale proponiamo una distinzione di tre tipi principali. Per tale distinzione non c’è altro strumento che la comparazione storica. Il suo punto di partenza è che ogni mente metafisica si pone di fronte al mistero della vita da un determinato punto di vista, quasi dovesse dipanarne l’intrico: questo punto è condizionato dalla posizione rispetto alla vita, e a partire da esso si forma la struttura specifica del suo sistema. Possiamo quindi ordinare i sistemi in gruppi secondo il loro rapporto di dipendenza, di affinità, di attrazione e di repulsione reciproca. Ma qui si presenta una difficoltà propria di ogni comparazione storica. La comparazione, infatti, deve presupporre un criterio di selezione delle caratteristiche presenti in ciò che si compara, e questo criterio determina poi l’ulteriore procedimento. Pertanto ciò che qui propongo ha un carattere del tutto provvisorio. Il nucleo di questo può essere soltanto l’intuizione che è scaturita da una lunga consuetudine con i sistemi metafisici. La loro stessa comprensione in una formula storica può avere un carattere solamente soggettivo. Rimane aperta la possibilità di disporre logicamente la cosa in modo diverso, unificando per esempio le due forme di idealismo oppure legando l’idealismo al naturalismo, oppure procedendo in altre maniere. Questa distinzione di tipi deve servire soltanto a vedere più profondamente nella storia, e ciò a partire dalla vita. L’uomo si trova determinato dalla natura. Essa comprende il suo corpo non meno del mondo esterno. E proprio la situazione oggettiva del corpo, i potenti impulsi animali che lo scuotono, determinano il suo sentimento della vita. Quella visione e quella considerazione della vita che ne esauriscono il corso nel soddisfacimento degli impulsi animali e nella subordinazione al mondo esterno, da cui traggono il loro nutrimento, sono vecchie come l’umanità stessa. Nella fame, nell’impulso sessuale, nella vecchiaia e nella morte l’uomo si vede sottoposto alle potenze demoniache della vita della natura. Egli stesso è natura. Eraclito e l’apostolo Paolo la descrivono entrambi, con analoghe parole piene di disprezzo, come la concezione della vita propria della massa legata ai sensi. Essa è permanente; non c’è periodo in cui non abbia dominato una parte degli uomini. Anche al tempo del più rigido dominio della casta sacerdotale orientale esisteva questa filosofia della vita dell’uomo sensibile; e anche quando il Cattolicesimo reprimeva ogni espressione teorica di questo punto di vista si parlava molto di Epicurei ; ciò che non era consentito di esprimere in princìpi filosofici risuonava tuttavia nelle canzoni dei Provenzali, in alcune poesie di corte tedesche, nelle epopee francesi e tedesche di Tristano. E proprio ciò che Platone dipingeva come la vita di piacere e la dottrina edonistica dei proprietari e dei commercianti, si ripresenta ai nostri occhi come la filosofia della vita della gente di mondo del secolo xvii. Al soddisfacimento dell’animalità si aggiunge un elemento nel quale l’uomo è mmaggiormente dipendente dal suo ambiente: la gioia del proprio rango e del proprio onore. Alla base di questa concezione del mondo sta sempre lo stesso atteggiamento: la subordinazione della volontà alla vita animale dell’impulso che domina il corpo e alle sue relazioni con il mondo esterno. Il pensiero e l’attività teleologica da esso diretta sono qui al servizio di quest’animalità, si realizzano nel suo soddisfacimento. Questa costituzione della vita trova la sua espressione anzitutto in una parte considerevole della letteratura di tutti i popoli a volte come forza intatta dell’animalità, più spesso in lotta con l'intuizione religiosa del mondo. Il suo grido di battaglia è l'emancipazione della carne. In quest’antitesi contro il necessario ma tremendo disciplinamento dell'umanità da parte della religione consiste il diritto storico, relativo, della reazione di un' affermazione sempre risorgente e operante nella vita naturale. Quando questa costituzione della vita diventa filosofia, allora sorge il naturalismo. Questo afferma teoricamente ciò che in essa è vita: il processo della natura è la realtà unica e intera; fuori di esso non esiste nulla; la vita spirituale è distinta soltanto formalmente, in quanto coscienza, dalla natura fisica, secondo le qualità contenute in questa, e tale determinatezza della coscienza, vuota di contenuto, deriva dalla realtà fisica secondo la causalità naturale. La struttura del naturalismo da Democrito a Hobbes e da questo al Sistème de la natureS è uniforme: il sensismo come teoria della conoscenza, il materialismo come metafisica e un duplice atteggiamento pratico da un lato la volontà di godimento, dall’altro la conciliazione con il corso prepotente ed estraneo del mondo, attuata sottomettendosi ad esso nell’osservazione. La legittimità filosofica del naturalismo poggia su due proprietà fondamentali del mondo fisico. Come sono preponderanti all’interno della realtà data nella nostra esperienza l’estensione e la forza delle masse fisiche! Esse circondano come qualcosa di smisurato e continuamente più esteso le rare manifestazioni spirituali; così considerate, queste appaiono come interpolazioni nel grande testo dell’ordine fisico. Perciò l’uomo naturale, nella considerazione teorica di tali rapporti, deve trovarsi totalmente soggetto a quest'ordine. Al tempo stesso la natura è la sede originaria di ogni conoscenza delle uniformità. Già le esperienze della vita quotidiana insegnano a constatare queste uniformità e a contare su di esse; le scienze positive del mondo fisico si accostano, attraverso lo studio di queste uniformità, alla conoscenza della loro connessione regolare. Così esse realizzano un ideale di conoscenza irraggiungibile per le scienze dello spirito, fondate sull’Er/edez e sull’intendere. A questo punto, però, le difficoltà inerenti a questo punto di vista spingono il naturalismo, in una dialettica incessante, verso formulazioni sempre nuove della sua posizione nei confronti del mondo e della vita. La materia da cui il naturalismo procede è un fenomeno della coscienza; in tal modo esso cade nel circolo vizioso di voler derivare da ciò che è dato solamente come fenomeno per la coscienza la coscienza stessa. È impossibile derivare dal movimento, che ci è dato come fenomeno della coscienza, la sensibilità e il pensiero. L’incomparabilità di questi due fatti conduce dopo che il problema si è rivelato insolubile nei più disparati tentativi compiuti dal mate5. È il titolo dell'opera principale di Paul Heinrich Dietrich barone d’Holbach (1723-1789), pubblicata nel 1770, in cui sono sistematicamente esposti i princìpi del materialismo illuministico. rialismo antico fino al Sistème de la nature alla tesi positivistica della corrispondenza tra fisico e spirituale. Anche questa è esposta a forti obiezioni. Infine, la morale del naturalismo originario si mostra incapace di spiegare lo sviluppo della società. 2. Cominciamo con l'aspetto gnoseologico del naturalismo. Il naturalismo ha il suo fondamento gnoseologico nel sensismo. Col termine sensismo intendo il riconducimento del processo della coscienza o delle funzioni all'esperienza sensibile esterna, delle determinazioni di valore e di scopo al criterio del piacere e del dispiacere sensibile. Il sensismo costituisce l’espressione filosofica diretta della costituzione naturalistica dell’anima. È qui dato, fin dal suo porsi, il problema psico-genetico del naturalismo, quello di derivare dalle singole impressioni l’unità della vita psichica come una unitas composttionis. Il sensista non rifiuta né il fatto dell’esperienza interna né l’elaborazione concettuale del dato, ma trova nell’ordine fisico la base di ogni conoscenza della connessione regolare del reale, e le proprietà del pensiero diventano per lui, in maniera immediata o per il tramite di una teoria, una parte dell’esperienza sensibile. La prima teoria sensistica è stata formulata da Protagora*. Nella metafisica precedente la forza universale della ragione operante nel pensiero umano non era stata ancora separata dalle proprietà fisiche dell’uomo, dal processo di respirazione e dalle immagini dei sensi concepite come corporee. Protagora insegnò che la percezione nasce dalla cooperazione di due movimenti, l'uno esterno e l’altro organico, che ha luogo nell’uomo; dato che per lui la percezione e il pensiero erano inseparabili, egli derivò dalle percezioni sorte in tal modo l’intera vita dell'anima. Egli spiegò anche il piacere, il dispiacere e l’impulso sulla base della cooperazione dei due movimenti. Era dunque senza dubbio un sensista. Egli scoprì inoltre fin da allora, muovendo da questo punto di vista, le conseguenze fenomenistiche e relativistiche in esso implicite. La dottrina relativistica di 6. Protagora di Abdera, il maggiore rappresentante della Sofistica, vissuto nella seconda metà del secolo v a. C., elaborò una teoria sensistica della conoscenza e formulò il principio secondo cui l’uomo è misura di tutte le cose , tradizionalmente interpretato come anche qui da Dilthey in senso relativistico. Protagora considera ogni conoscenza, ogni posizione di valore e ogni determinazione di scopo determinato dall'elemento puramente empirico dell’organizzazione umana; essa esclude quindi che sia possibile comparare queste funzioni con i processi esterni a cui esse si riferiscono. In tale maniera la conoscenza, la determinazione di valore e la posizione di scopo posseggono una validità soltanto relativa, cioè nella correlazione con questa organizzazione. È qui eliminato il legame tra il soggetto e il suo oggetto, presente nell’assunzione di un’identica ragione universale che agisce nell’universo, e che in quanto simile riconosce il simile. L'organizzazione sensibile mostra nel regno dell’animalità che giunge fino all'uomo le forme più diverse, e da ognuna di esse deve sorgere un mondo totalmente differente. La fattualità meramente empirica dell’organizzazione sensibile, il fatto che ogni pensiero è vincolato ad essa e l'inserimento di tale organizzazione nella connessione fisica costituiscono il fondamento di tutte le dottrine relativistiche dell'antichità. Com'è possibile, sulla base di questi presupposti, un’esperienza e una scienza empirica? Questo era il problema successivo. Matematica, astronomia, geografia, biologia si sviluppavano continuamente, e la scepsi sensistica doveva rendere comprensibile la loro possibilità. Già il probabilismo di Carneade” conteneva in sé la tendenza a istituire un equilibrio positivo tra i presupposti sensistici e le scienze empiriche. Nella sua scepsi la validità della coscienza viene riposta, anziché nei rapporti (così conformi allo spirito greco) di riproduzione di una realtà esterna oggettiva da parte delle rappresentazioni, nell’accordo interno delle percezioni tra di loro e con i concetti, in una connessione priva di contraddizioni. Nell’ideale della massima probabilità raggiungibile, nella distinzione dei suoi livelli, si otteneva un punto di vista in base al quale si poteva contemporaneamente combattere la metafisica e assicurare al sapere empirico una misura, anche se modesta, di validità. Ma soltanto quando la grande epoca della fondazione della scienza matematica della natura riconobbe, nel secolo xvi, l’esistenza di un ordine della natura secondo leggi, il sensismo 7. Carneade, filosofo della Media Accademia. entrò nel suo ultimo e decisivo periodo. La scienza naturale si era costituita come sapere empirico inattaccabile; il sensismo era costretto a riconoscere questo fatto, a collegarsi ad esso e a superare le conseguenze scettiche dell'epoca antecedente. Fu questa la grande impresa di David Hume. Egli stesso ha considerato la sua filosofia come una prosecuzione della scepsi accademica. E infatti in lui ricorrono i caratteri principali di questa scepsi: la fattualità meramente empirica della nostra organizzazione sensibile e del pensiero ad essa connesso; di qui l’eliminazione di qualsiasi rapporto di riproduzione tra lo spirito che apprende e il mondo oggettivo, e quindi lo spostamento della conoscenza nel mero accordo interno delle percezioni tra di loro e con i concetti. Ma questi princìpi acquistano nella sua analisi il loro sviluppo più fecondo: dalle regolarità dell’accadere nascono le abitudini di determinate associazioni; nella capacità di associazione ad esse inerenti risiede il fondamento esclusivo dei concetti di sostanza e di causalità. Ne derivano conseguenze che avrebbero costituito i fondamenti del positivismo. La connessione del mondo diventa, in virtù dei legami di sostanza e di causalità, un effetto secondario dei fatti animali dell’abitudine e dell’associazione; la scienza empirica viene limitata alle uniformità di coesistenza e di successione dei fenomeni, escludendo ogni sapere concernente le relazioni interne, l’essenza, la sostanza o la causalità; queste uniformità costituiscono l'oggetto del nostro sapere riguardo ai fatti spirituali e fisici: tutte le‘parti del mondo sono legate in un’unica legalità. Il sensismo è l’intimo spirito del sistema di David Hume; ma i suoi grandi risultati si sono svincolati dai presupposti metafisici nella teoria positivistica della conoscenza di D’Alembert. Il positivismo diventò un metodo, e nei confronti di questo punto di vista fenomenistico il naturalismo stesso fece valere con Feuerbach, Moleschott*, Biichner? la solare evidenza del sensibile , e con Comte la reciproca connessione Moleschott, biologo e fisiologo, autore della Physiologie des Stoffwechsels in Pflanzen und Tieren (1857) e di Der Kreislaut des Lebens (1852), è uno dei più noti esponenti del positivismo materialistico tedesco. 9. Ludwig Biichner (1824-1899), medico e filosofo, autore di Kraft nad Stoff (1855), di Natur und Geist, di Die Stellung des Menschen in der Natur, è un altro importante esponente del positivismo materialistico tedesco. dei fatti fisici e la dipendenza da essi di quelli psichici, così come insegnava la nuova fisiologia del cervello. La metafisica del naturalismo trovò il suo fondamento meccanicistico nell’età successiva a Protagora. La spiegazione meccanicistica è, in sé e per sé, un procedimento proprio delle scienze positive, e quindi è compatibile con diverse visioni del mondo: la metafisica meccanicistica sorge soltanto quando nella realtà non si vede altro che il meccanismo, quando certi concetti che, per la conoscenza della natura, sono strumenti del suo procedimento vengono considerati come entità. Le cause dei movimenti vengono riposte nei singoli elementi materiali dell'universo, e a questi elementi vengono ricondotti, secondo un metodo qualsiasi, i fatti spirituali. Dalla natura viene espulsa quell’interiorità che la religione, il mito e la poesia vi avevano collocata: ora la natura è diventata senza anima, e da nessuna parte una connessione unitaria pone limite alla sua interpretazione tecnica. Soltanto questo punto di vista permette di dare al naturalismo una forma rigorosamente scientifica. Il suo problema diventa ora quello di derivare il mondo spirituale dalla disposizione meccanica delle parti corporee ordinate secondo leggi. Una letteratura sterminata si è proposta di risolvere questo compito. I suoi culmini sono il sistema epicureo e la splendida esposizione datane da Lucrezio; il tenebroso e possente sistema di Hobbes, che concepì in modo coerente l’intero mondo spirituale dal punto di vista dell’impulso da cui scaturisce la lotta per il potere degli individui, dei ceti e degli stati; nella Francia del secolo xvrri il sistema della natura, che espresse nelle sue fredde formule il mistero degli uomini più miscredenti e dei libertini di tutti i tempi; infine la fanatica dottrina materialistica di Feuerbach, Biichner, Moleschott e compagni. La potenza di queste dottrine poggiava sul fatto che esse erano state costruite sul terreno della realtà esterna spaziale che cade sotto i sensi, accessibile al pensiero esatto delle scienze della natura. In nessun luogo esse contenevano un oscuro residuo di forze impenetrabili. Non c’era angolo in cui potesse celarsi un elemento spirituale autonomo o un elemento trascendente. Tutto era razionale e naturale. Infatti l’anima di questa metafisica materialistica è la lotta contro la potenza della religiosità e della metafisica spiritualistica con le loro oscurità. E la sua legittimità storica risiedeva nello sforzo di superare l’alleanza della chiesa con il dispostismo all’interno della società. In un tale ordinamento delle cose non c'è spazio alcuno per la considerazione del mondo dal punto di vista del valore e dello scopo. Valori e scopi sono qui ciechi prodotti del corso della natura, i quali hanno un interesse particolare soltanto per l’uomo, poiché l’uomo è per se stesso, in virtù della sua vita interiore, centro del mondo e tutto misura in conformità ai suoi sentimenti, alle sue aspirazioni, ai suoi fini. di L’ideale di vita del naturalismo doveva essere duplice, in base al suo doppio rapporto con il corso della natura. A causa della sua passione l’uomo è schiavo del corso della natura ma uno schiavo accorto e calcolatore che si pone al di sopra di esso in virtù della potenza del pensiero. Già l’antichità sviluppò entrambi gli aspetti dell’ideale naturalistico. Il sensismo di Protagora aveva già in sé le condizioni dell’edonismo di Aristippo! Per quest’ultimo, infatti, tanto le percezioni sensibili quanto i sentimenti e i desideri sorgono nei contatti dell'organizzazione sensibile con il mondo esterno; essi non possono quindi esprimere i valori oggettivi contenuti nella realtà ma soltanto il rapporto in cui il soggetto, con il suo sentimento, si pone nei loro confronti. Da ciò Aristippo concludeva che nel piacere inteso come il movimento migliore che abbia luogo nella nostra organizzazione sensibile risiede il criterio e il fine del giusto agire. Nella connessione fisica della nostra animalità con la natura esterna, quale si palesa nei movimenti sensibili, dev'essere ricercato il criterio e il fine dell’arte di vivere. La riflessione socratica diventa qui gioco sovrano del pensiero formale che calcola i valori del 10. Aristippo di Cirene (435-366 a. C.), filosofo socratico, fu il maggiore rappresentante dell’edonismo nel pensiero greco. piacere e che si eleva al di sopra delle convenzioni, cioè sopra gli ordinamenti oggettivi della vita. Ma nell’apprendimento ottico e nel godimento estetico che tanta importanza rivestiva per lo spirito greco c'era un altro ideale, e anche questo si collocava nell’ambito di quella metafisica naturalistica che ha i suoi rappresentanti in Democrito, in Epicuro, in Lucrezio. Ad esso condussero le esperienze dell'impulso vitale. Si tratta della tranquillità d'animo che nasce in colui che accoglie in sé la connessione sempre salda e duratura dell’universo. Tale costituzione dell'anima trovò la sua espressione nel poema didattico di Lucrezio. Egli riviveva in sé la potenza liberatrice della grande visione cosmica, astronomica e geografica del mondo creata dalla scienza greca. L'universo smisurato e le sue leggi eterne, la nascita dei sistemi del mondo, la storia della terra che si copre di piante e di animali e che infine produce l’uomo questa concezione gli consentì di osservare molto al di sotto di sé gli intrighi politici e le povere marionette divine adorate dal suo popolo. Anzi la stessa vita dell'individuo, con la sua sete di godimento e di potere, la lotta delle esistenze particolari sul teatro dell’Impero romano si rimpiccioliva da questo punto di vista cosmico: pio è chi guarda all’universo con spirito sereno . Già nell’antichità l’esperienza che, nel corso del mondo, compie l’uomo che desidera la felicità dei sensi aveva dissolto la rigidità della dottrina del piacere sensibile come fine della vita. Accanto a quello sensibile si era affermato il durevole piacere spirituale. Già allora la scuola epicurea si era proposta di risolvere mediante l’assunzione di uno sviluppo progressi vo il compito decisivo di derivare la cultura, in tutta la sua ricchezza e grandezza, dai sentimenti del piacere e del dispiacere sensibile. Ma solamente l’epoca moderna approntò strumenti scientificamente validi per la spiegazione naturalistica dello sviluppo spirituale: la comprensione della vita spirituale in base all'ambiente, la derivazione della vita economica dagli interessi dell'individuo, la derivazione della cultura intellettuale dal progresso economico e infine la teoria dell'evoluzione, che consentì di porre a fondamento delle caratteristiche intellettuali e morali degli uomini l’accumularsi di trasformazioni minime avvenute nel corso di smisurati spazi di tempo. L'ideale naturalistico quale fu enunciato, al termine di un lungo sviluppo culturale, da Ludwig Feuerbach l’idea dell’uomo libero che in Dio, nell’immortalità e nell’ordine invisibile delle cose riconosce i fantasmi delle sue aspirazioni ha esercitato un'influenza potente sulle idee politiche, sulla letteratura e sulla poesia. Prendiamo nuovamente le mosse dal fatto dell’affinità tra un gran numero di sistemi che, essendo fondata su una costituzione vitale e su una posizione nei confronti del mondo, racchiude in sé la soluzione dei problemi inerenti al mistero della vita secondo una determinata tendenza, e in tal modo riunisce questi sistemi in un secondo tipo di intuizione del mondo. L’idealismo della libertà è una creazione dello spirito ateniese. L'energia formatrice, plasmatrice, sovrana in esso presente diventa con Anassagora !, Socrate, Platone e Aristotele principio di comprensione del mondo. Cicerone ha espresso con vigore il suo accordo, il suo sentimento di affinità con Socrate e tutta la scuola socratica della storia greca successiva. I grandi apologisti e padri della Chiesa cristiana si trovano in un consapevole accordo sia con lo spirito socratico sia con la filosofia romana. La scuola scozzese poggia completamente sull’orientamento di pensiero di Cicerone ed è al tempo stesso consapevole della propria comunanza con gli antichi scrittori cristiani. E proprio la coscienza di tale affinità collega a questi scrittori precedenti Kant e Jacobi !, Maine de Biran" e i filosofi francesi a lui imparentati fino a Bergson. rt. Anassagora di Clazomene (500 circa-428 a. C.), filosofo ionico, elaborò la teoria del nous, ossia dell'intelletto divino che regola la mescolanza degli clementi i quali costituiscono la realtà fisica, inserendo in essa un principio ordinatore: a questa dottrina si riferisce esplicitamente Socrate, nel Fedone platonico. 12. Friedrich Heinrich Jacobi (1743-1819), autore di una seric di lettere polemiche contro Moses Mendelssohn Uber die Lehre des Spinoza (1785), traduttore di Bruno, claborò una filosofia dell'identità criticando sia Kant sia l’idcalismo post-kantiano. È una figura centrale nel dibattito sullo spinozismo che caratterizza il pensiero tedesco verso la fine del secolo xvi. 13. Frangois-Pierre Maine de Biran (1766-1824), autore dell’Essui sur les fondeLa coscienza di tale affinità è accompagnata da un'aspra polemica dei rappresentanti di questo indirizzo contro il sistema naturalistico. La coscienza della completa diversità dal naturalismo nella concezione della vita, nell’intuizione del mondo e nell’ideale ispira ognuno di questi pensatori, e si afferma con la massima intensità nei più profondi. Ma anche l’opposizione al panteismo fu resa sempre più consapevole da questo idealismo della personalità. Se il panteismo greco più antico si era distaccato dalla personificazione religiosa della divinità e dal rapporto personale con essa, Socrate si oppose a questo panteismo, e la filosofia romana dominante insistette sull’affinità con Socrate. Anche la più antica filosofia cristiana si sente unita ai rappresentanti dell’idealismo della libertà e della personalità in antitesi sia al naturalismo sia al panteismo. La stessa posizione emerge nella polemica della più tarda filosofia cristiana contro l’idealismo oggettivo di Averroè. Essa si manifesta poi durante il Rinascimento nella lotta di Giordano Bruno contro ogni forma di filosofia cristiana e di quest’ultima contro il nuovo panteismo bruniano. A partire da questo periodo essa prosegue poi nel conflitto tra Spinoza e tutte le dottrine della personalità o della libertà, o tra Leibniz e numerosi esponenti della dottrina della libertà, infine nelle lotte tra Kant, Fichte, Jacobi, Fries e Herbart da un lato, Schelling, Hegel e Schleiermacher dall'altro. Tutte le grandi polemiche filosofiche degli ultimi secoli acquistavano un carattere appassionato in virtù del legame in cui le varie soluzioni autentiche di un problema stanno con le diverse intuizioni del mondo. Il conflitto di Bayle! con Spinoza ha alla radice un’esigenza di libertà nei confronti del determinismo. Il conflitto di Voltaire con Leibniz ments de la psychologie (1812), del saggio Des rapports des sciences naturelles avec la psycologie (1813) e di numerosi altri scritti tra cui il Journal intime, pubblicato postumo è il capostipite dello spiritualismo francese dell'Ottocento: la sua posizione esercitò una larga influenza sul pensicro spiritualistico, fin verso gli inizi del nuovo secolo. 14. Jakob Friedrich Fries (1773-1843), autore di una Neue Kntik der Vernunfe (1807) e di numerose altre opere, in cui è formulata un'interpretazione in chiave psicologica della filosofia kantiana. 15. Pierre Bayle (1647-1706), autore delle Pensées diverses sur la comète (1682) e soprattutto del celebre Dictionnaire historique et critique (1695-97, 2° ed. 1702), fu una delle grandi fonti di ispirazione della cultura illuministica francese, che da lui derivò il suo atteggiamento critico nei confronti della tradizione e il ricorso all'analisi erudita si richiama a una presa di posizione pratica della coscienza che muove dall'uomo e che tende quindi in un primo luogo a garantire la libertà contro la metafisica contemplativa fondata sull’intuizione dell'universo. Rousseau contrappone con enorme successo alle forme più diverse di naturalismo o di monismo una filosofia della personalità e della libertà. La discussione tra Jacobi e Schelling tocca i principali problemi che separano idealismo oggetttivo e filosofia della personalità; e nessuna disputa è stata mai condotta con tanta passionalità. Anche la polemica di Herbart contro la filosofia monistica deriva la propria veemenza dalla convinzione che il monismo poneva in questione le grandi verità del sistema teistico, mentre egli si ergeva a difensore della visione cristiana del mondo, che nelle sue radici più profonde è teistica. L’asprezza con cui Fries e Apelt'‘ conducono la loro battaglia contro la speculazione monistica è condizionata in egual misura dall’odio verso la deformazione delle scienze sperimentali della natura compiuta da Schelling e da Hegel e dall’odio verso la dissoluzione del teismo cristiano sotto il manto di una difesa del Cristianesimo. De A questa coscienza di comunanza reciproca e di antitesi, che rispettivamente unisce tra loro i rappresentanti dell’idealismo della libertà e li separa sia dall’idealismo oggettivo sia dal naturalismo, corrisponde l’effettiva affinità tra i diversi sistemi di questo tipo. Il legame che in questi sistemi tiene insieme l'intuizione del mondo, il metodo e la metafisica consiste nel fatto che l’atteggiamento, che con sovrana autosufficienza si contrappone a ogni datità, contiene in sé l'indipendenza dello spirituale da tale datità: lo spirito è consapevole della sua essenza come distinta da ogni causalità fisica. Con profonda penetrazione etica Fichte ha colto la connessione tra il carattere di un certo gruppo di pensatori e l’idealismo della libertà, in antitesi a ogni sistema della natura. Questa libera potenza dell'io si come strumento critico. Dilthey si riferisce qui alla polemica con Spinoza, condotta nella voce Spinoza del Dictionnaire. 16. Apelt (1812-1859), allievo c continuatore di Frics, del cui pensiero diede un'esposizione nella Mezaphysik (1857). trova quindi legata nel rapporto con altre persone non già fisicamente, bensì nella forma e nell’obbligazione morale; nasce così il concetto di un regno di persone in cui gli individui sono vincolati da norme e tuttavia interiormente liberi. A queste premesse è poi sempre connessa la relazione degli individui liberi, responsabili e interiormente legati in virtù della legge, nonché del regno delle persone, con una causa originaria personale e libera. In base alla costituzione vitale ciò è fondato sul fatto che la spontanea e libera vitalità si scopre come una forza che determina altre persone secondo la loro libertà, ma nel medesimo tempo avverte che in essa stessa altre persone sono divenute una forza da cui essa viene determinata in modo corrispondente alla propria spontaneità. Così questa vivente forma di determinazione attiva e passiva diventa lo schema della connessione universale in generale: essa viene per così dire proiettata nella stessa connessione universale, la si ritrova in ogni rapporto in cui sta il soggetto del pensiero sistematico, fino al più comprensivo. In tal modo la divinità viene sottratta alla connessione della causalità fisica e concepita come qualcosa che la governa come una proiezione della ragione che pone scopi, fornita di potenza autonoma nei confronti della datità. Anassagora e Aristotele hanno determinato filosoficamente ed espresso con precisione questo concetto di divinità mediante il rapporto della divinità con la materia. Quest'idea di un dio personale acquista la sua formulazione metafisica più radicale nel concetto cristiano della creazione del mondo dal nulla, dal non-esistente; essa esprime infatti la trascendenza della divinità rispetto alla legge causale, che regna nel mondo naturale secondo la regola ex ni/tilo nihil. La trascendenza di Dio rispetto alla coscienza del mondo, la quale connette le sue verità in base al principio di ragion sufficiente, viene poi giustificata criticamente da Kant: Dio è presente soltanto alla volontà, che lo richiede in virtù della sua libertà. Sorge così la struttura comune a tutti i sistemi che rientrano in questo tipo di intuizione del mondo. Dal punto di vista gnoseologico questo tipo si fonderà, non appena diventa filosoficamente consapevole del suo presupposto, sui fatti della coscienza. Nella metafisica questa intuizione del mondo passa attraverso diverse forme. Essa compare dapprima nella filosofia attica come concezione della ragione formatrice, che plasma il mondo della materia. La grande scoperta di un pensiero concettuale e di una volontà morale indipendenti dalla connessione naturale, e della loro connessione con un ordine spirituale, costituisce in Platone il punto di partenza di tale concezione, e anche in Aristotele ne rimane il fondamento. Preparata dalla nozione romana di volontà e dall’intuizione, anch'essa romana, di un rapporto di governo di Dio nei confronti del mondo, si forma nel Cristianesimo la seconda concezione, cioè la dottrina della creazione. Essa costruisce un mondo trascendente sulla base delle relazioni esperite nell’atteggiamento del valore. I concetti di Dio propri della coscienza cristiana sono il rapporto del padre con i suoi figli, il contatto con Dio, la provvidenza come simbolo del governo del mondo, la giustizia, la misericordia. Un lungo cammino è stato poi percorso da qui fino al supremo raffinamento a cui tale coscienza di Dio perviene nella filosofia trascendentale tedesca. In un’asciutta ed eroica grandezza l’idealismo della libertà costruisce qui come appare nel mondo più compiuto in Schiller il mondo soprasensibile che esiste soltanto per la volontà, poiché è posto dal suo ideale di un’aspirazione infinita. Questa intuizione del mondo possiede un fondamento universalmente valido nei fatti della coscienza. In quanto coscienza metafisica dell’uomo eroico, essa è indistruttibile: si rinnoverà sempre in ogni grande natura attiva. Essa non può tuttavia definire e fondare il suo principio in maniera scientificamente valida. Anche qui si mette però in moto una dialettica incessante che procede di possibilità in possibilità, ma che è incapace di pervenire a una soluzione del suo problema. La volontà operante consapevolmente nella famiglia, nel diritto e nello stato fu sviluppata dal pensiero romano in concetti di vita, e questi vennero alla fine ricondotti a un’innata predisposizione verso la condotta della vita. In tal modo la sicurezza della condotta della vita poggiava su un elemento irraggiungibile e indimostrabile. La regolarità dell’ordinamento della vita fu fondata su presupposti innatistici, che tuttavia potevano essere provati soltanto sulla base degli ordinamenti della vita, sulla base del reciproco accordo dei popoli. In questo modo la filosofia romana della vita fondò il suo idealismo della personalità. Su di esso la coscienza cristiana determinò come principio di tale punto di vista la trascendenza dello spirito, la sua indipendenza da qualsiasi ordine naturale. Ma la trascendenza è soltanto un'espressione simbolica della volontà nel sacrificio, nel procedere oltre il nesso naturale della motivazione attraverso l’abbandono della vita, ossia della forza di vivere in vista della realizzazione di un ordine di vita soprasensibile. L'ideale del sacro vale come prova di se stesso, ma nessuna formula consente di elevarlo a coscienza logica. Kant e la filosofia trascendentale si proposero quindi di determinare e di fondare in maniera universalmente valida questa volontà ideale. Si fece valere, rispetto al corso del mondo, un elemento indeterminato come norma suprema e supremo valore. Il tentativo falli. Ma esso si rinnovò nell’idealismo personalistico francese, da Maine de Biran a Bergson, e nella forma idealistica del pragmatismo quale si presentò in James e nei pensatori a lui affini, nonché nella grande corrente della filosofia trascendentale tedesca. La sua potenza è indistruttibile; cambiano solamente le sue forme e i modi di dimostrazione. Questa potenza poggia su una costituzione vitale che prende le mosse dall’uomo che agisce ed esige una regola salda per la posizione di scopi. Schiller è il poeta di questo idealismo della libertà, così come Carlyle è il suo storico: Umiliato a servire un vile, Alcide viveva un tempo un'aspra dura vita in un’eterna guerra: contro l'Idra ebbe a lottare ed abbatté il leone, per liberar gli amici si gettò vivo dentro la barca del nocchiero dei morti. Ogni gravame, ogni tormento getta l'inganno della Dea implacata sulle docili spalle dell’odiato, finché finisce il suo cammino finché, spogliato il suo terreno involucro, il Dio fiammante sciogliesi dall'uomo e beve le sottili aure dell'etere. Lieto del nuovo, insolito aleggiare si leva in alto, e la visione cupa della vita terrena, cade e cade!?, Legati da una connessione reciproca si presentano poi altri sistemi che divergono dai due tipi finora descritti. Essi formano la massa principale di ogni metafisica, si estendono per l’intera storia della filosofia, e il loro stretto legame con i grandi fenomeni affini della fede e dell’arte rimanda a un'intuizione del mondo che attraversa la religione, la concezione artistica, e il pensiero metafisico. I. Intendiamo determinare l'ambito in cui questo tipo si presenta all’interno della metafisica. La massa centrale dei sistemi filosofici non può venir assegnata né al naturalismo né all’idealismo della libertà. Senofane!, Eraclito, Parmenide e i loro continuatori, il sistema stoico, Giordano Bruno, Spinoza, Shaftesbury ', Herder, Goethe, Schelling, Hegel, Schopenhauer e Schleiermacher tutti questi sistemi rivelano un tipo chiara 17. Scuuter, Gedichte, Das Ideal und das Leben, vv. 131-46 (tr. it. di Alfero). e 18. Scnofane di Colofone, filosofo ionico vissuto tra la scconda metà del secolo vi e l’inizio del secolo v a. C., critico della concezione antropomorfica della divinità: alcune testimonianze, molto discusse, ne fanno il maestro di Parmenide e il fondatore della scuola eleatica. 19. Anthony Ashley Cooper conte di Shaftesbury, filosofo inglese, autore dell'Inquiry Concerning Virtue or Merit, della Letter Concerning Enthusiasm, della Characteristics of Men, Manners, Opinions, and Times e di numerosi altri scritti, fu uno dei principali rappresentanti del deismo; elaborò la teoria del senso morale come base e criterio di valutazione del comportamento umano. mente comune, che diverge completamente dagli altri che abbiamo già esposti. Essi sono reciprocamente legati da un rapporto di dipendenza e dalla più definita coscienza della loro affinità. Lo stoicismo era consapevole della propria dipendenza da Eraclito. Giordano Bruno ha utilizzato in un ambito più vasto i concetti fondamentali degli Stoici; Spinoza è condizionato dallo Stoicismo e dal complesso di idee filosofiche che aveva come centro Giordano Bruno. In Leibniz la grande prospettiva spirituale del Rinascimento trova la sua espressione più compiuta, in antitesi al rigido monismo spinoziano. Dopo la dissoluzione delle forme sostanziali, nel Rinascimento non viene più riconosciuta alcuna realtà in mezzo tra la connessione divina e le cose particolari: il mondo è l’esplicazione di Dio, che si è scomposto in esso nella forma di una molteplicità illimitata; ogni cosa particolare rispecchia in sé l’universo. Questa è anche la prospettiva di Leibniz. Se la sua dipendenza dalla situazione intellettuale del tempo gli consente di concepire la divinità come individuo, la dipendenza dalla sua cultura teologica lo ha indotto a mettere in primo piano le relazioni con la teologia: il panenteismo rimane la sua intuizione fondamentale, e la nuova grande idea del suo sistema è la concezione dell'universo come una totalità singolare in cui ogni parte è determinata dalla connessione ideale di significato del tutto. Tale sistema è interamente determinato dalla questione del senso e del significato del mondo. Il suo parente più prossimo è Shaftesbury, influenzato sia dallo Stoicismo sia da Giordano Bruno. I grandi idealisti oggettivi tedeschi vivono nella sfera di influenza di Leibniz, sono condizionati da Shaftesbury attraverso il movimento poetico tedesco, in modo particolare per il tramite di Goethe e di Herder; e la loro dipendenza da Spinoza, in parte diretta, in parte mediata dal precedente movimento letterario, è provata e può esser dimostrata in un ambito ancor più ampio. Questi sistemi costituiscono così una connessione storica non meno saldamente conclusa di quella del naturalismo e dell’idealismo della libertà. Essi hanno sempre espresso nel modo più deciso anche la loro antitesi verso gli altri due tipi di intuizione del mondo. Con quanta durezza Eraclito giudica il materialismo della plebel In quale netta opposizione lo Stoicismo si pone nei confronti del sensismo epicureol Esso è però al tempo stesso consapevole, in quanto rinnova l’ilozoismo, del proprio distacco da Platone e Aristotele. Giordano Bruno ha condotto, con una passione senza pari, la lotta contro ogni forma di visione cristiana del mondo e di ideale di vita cristiano. La stessa passionalità irrompe in Spinoza, tra le catene delle dimostrazioni, in quelle appendici stilisticamente libere che erano state originariamente composte in forma autonoma, come manifestazioni della sua disposizione di vita. Schelling e Hegel indirizzano manifesti e pamphlets contro l’idealismo della libertà e in particolare contro Kant, Fichte e Jacobi, in quanto filosofi della riflessione. Prescindendo dall’invettiva di Schopenhauer, la critica di Schleiermacher alla dottrina etica è fondamentalmente un unico grande scritto polemico contro l’etica sensistica e contro la limitativa etica dualistica di Kant e di Fichte, in favore dell’idealismo oggettivo. Se il procedimento comparativo segue questi indizi, esso è in grado di riconoscere l'affinità dei membri di questo gruppo, reciprocamente così legati, e la struttura ad essi comune in virtù della quale sono riuniti a formare un medesimo tipo di intuizione del mondo. La connessione di princìpi che costituisce la struttura di questo tipo comprende una posizione gnoseologico-metodologica della coscienza, una formula metafisica che contiene varie possibilità di formazione di sistemi metafisici, e infine un principio di formazione della vita. La posizione gnoseologica-metodologica della coscienza nei confronti del mistero del mondo consisteva, nella prima delle tre intuizioni, nel passaggio dalla conoscenza delle uniformità presenti nel mondo fisico a generalizzazioni che permettevano di subordinare anche i fatti spirituali a questa legalità meccanica esterna. Per contro l’idealismo della libertà ha trovato nei fatti della coscienza il punto saldo per una risoluzione universalmente valida del mistero del mondo; esso richiedeva l’esistenza e la possibilità di constatare determinazioni universali della coscienza, non ulteriormente risolvibili, che con forza spontanea producono la formazione della vita e dell’intuizione del mondo nella materia della realtà esterna. Il terzo tipo di atteggiamento gnoseologico-metodologico è completamente distinto dagli altri due. Esso può venir rintracciato in egual misura in Fraclito come nello Stoicismo, in Giordano Bruno come in Spinoza e Shaftesbury, in Schelling, Hegel, Schopenhauer e Schleiermacher. Esso è fondato infatti sulla costituzione vitale di questi pensatori. Diciamo che un atteggiamento è di tipo contemplativo, estetico o artistico quando in esso il soggetto si riposa, per così dire, dal lavoro conoscitivo delle scienze naturali e dall’agire in riferimento ai nostri bisogni, agli scopi che ne derivano e alla loro realizzazione nel mondo esterno. In questo atteggiamento contemplativo la vita del sentire, in cui la ricchezza della vita, il valore e la felicità dell’esistenza vengono avvertiti anzitutto in modo personale, si allarga in una specie di simpatia universale. In virtù di tale ampliamento del nostro io nella simpatia universale noi riempiamo e animiamo la realtà intera con i valori che sentiamo, con l’operare in cui realizziamo la nostra vita, con le idee supreme del bello, del bene e del vero. Le disposizioni che la realtà suscita in noi, le ritroviamo nuovamente in essa. E nella misura in cui allarghiamo il nostro sentimento particolare della vita nella partecipazione alla totalità del mondo e avvertiamo la nostra affinità con tutte le manifestazioni del reale, la gioia della vita si rinsalda e cresce la coscienza della propria forza. È questa la costituzione dell’anima in cui l’individuo si sente tutt'uno con la connessione divina delle cose e in tal modo affine a qualsiasi altro membro di questa connessione. Nessuno ha espresso questa costituzione dell'anima in modo più bello di Goethe. Egli loda la fortuna di poter sentire e godere la natura. Né tu m’accordi appena il freddo stupore d'un ospite ma, come nel cuore a un amico, mi dai di fissare nel fondo del suo essere. Guidi davanti a me la schiera dei viventi e a riconoscere m'insegni i miei fratelli fra piante mute, in aria c in acqua 2. 20. GoetHE, Fasst (tr. it. di F. Fortini). Questa costituzione dell'animo trova la soluzione di tutte le dissonanze della vita nell’armonia universale delle cose. Il sentimento tragico delle contraddizioni dell’esistenza, la disposizione pessimistica, l'umorismo che coglie realisticamente la limitatezza e l’angustia opprimente dei fenomeni, ma nella loro profondità scopre l’idealità vittoriosa del reale, sono soltanto gradini che conducono alla percezione di una connessione universale di esistenza e di valore. La forma di apprendimento è nell’idealismo oggettivo sempre la medesima: non già l’ordinamento dei casi secondo rapporti di affinità o di uniformità, ma l’intuizione complessiva delle parti in un tutto, l'elevazione della connessione della vita a connessione del mondo. Il primo tra questi pensatori a riflettere sul suo procedimento filosofico fu a quanto ne sappiamo Eraclito. Egli ha avuto una profonda coscienza dell’atteggiamento contemplativo e ha espresso la sua antitesi nei confronti del pensiero personificante della fede, nei confronti della percezione sensibile che, presa da sola, egli tiene in scarso conto e nei confronti della cosmologia scientifica. Il filosofo fa oggetto della sua riflessione ciò che lo circonda da vicino, costantemente, giorno per giorno, dove egli ritrova dunque sempre le medesime cose. Essere presente a ciò che ci accade: con questa espressione viene genialmente raffigurata la profonda saggezza in virtù della quale i fenomeni del corso del mondo, evidenti agli occhi della massa, diventano invece per il filosofo autentico oggetto di stupore e di meditazione. In base a questo atteggiamento contemplativo Eraclito concepiva il corso del mondo come sempre identico come il continuo fluire e la corruttibilità di ogni cosa, ma anche come un ordine concettuale presente in ogni suo punto. In tal modo il sentimento tragico del trascorrere incessante del tempo, in cui il presente è sempre e non è più, si risolve ai suoi occhi nella coscienza di una regolarità nell'universo che permane in mezzo a tale fuga. Nello Stoicismo domina la stessa intuizione dell’universo come un tutto di cui le cose particolari sono parti, c in cui esse vengono tenute insieme da una forza unitaria. Esso ha eliminato il rapporto di subordinazione dei fatti a unità concettuali astratte, che prevaleva in Platone e Aristotele; in luogo della relazione logica del particolare con l’universale subentra, nel suo sistema, il rapporto organico di un tutto con i suoi elementi cioè quella forma di apprendimento che Kant ha posto in stretta relazione, come intuizione del finalismo immanente della realtà organica, con la forma dell’intuizione estetica. E dopo che erano scomparse la sillogistica e la sisternatica scolastica che avevano impiegato le forme sostanziali al servizio della teologia cristiana, per fondare un mondo trascendentale le medesime categorie di intuizione del mondo si presentano nel periodo di transizione dal Medioevo all’età moderna: l’intero e le sue parti, l’individualità di queste parti fino alle più piccole. Già in Nicola Cusano compare quella finissima concezione estetica dell’universo secondo cui la cosa particolare, in quanto contrazione del tutto, rispecchia in sé l'universo. Spinoza è il rappresentante di questa dottrina dell’universo come uzità, e anche l’intuizione leibniziana del mondo è scaturita nonostante il suo concetto di Dio, fondato sulla monadologia e connesso con la sua tendenza teologica da questa costituzione dell’anima. La piena consapevolezza gnoseologica di tale atteggiamento contemplativo si ha in Schelling, Schopenhauer e Schleiermacher. L’intuizione intellettuale di Schelling, l'atteggiamento estetico contemplativo, libero dal volere, di Schopenhauer in cui il soggetto non segue più le relazioni reciproche delle cose in base al principio di ragion sufficiente, ma coglie nei fenomeni ciò che ne costituisce l'essenza e infine la religione come intuizione e sentimento dell’universo nei Discorsi di Schleiermacher: queste sono le diverse forme nelle quali si esprimono i vari aspetti del medesimo atteggiamento, che è proprio di questo tipo di intuizione del mondo. Da tale atteggiamento deriva la formula metafisica comune a tutta questa classe di sistemi. Tutti i fenomeni dell’universo sono duplici: da un lato, cioè nella percezione esterna, essi sono dati come oggetti sensibili e stanno, in quanto tali, in una connessione fisica; d’altro lato recano in sé, considerati per così dire dall'interno, una connessione vitale che può essere rivissuta nella nostra interiorità. Questo principio può essere quindi espresso anche come affinità di tutte le parti dell’universo con il fondamento divino e tra di loro. Esso corrisponde alla concezione di una simpatia universale che nel reale, in ciò che si manifesta nello spazio, avverte ovunque la presenza della divinità. La coscienza di quest’affinità è il carattere metafisico fondamentale comune alla religiosità degli Indiani, dei Greci e dei Germani; e da essa deriva, nella metafisica, l’immanenza di tutte le cose come parti di un tutto in un fondamento universale e di tutti i valori in una connessione di significato che costituisce il senso del mondo. La contemplazione, l’intuizione, che nella propria vita rivive quella del tutto in qualsiasi modo possa interpretarla coglie nei fenomeni dati esternamente un’interna connessione divina. Da questo medesimo atteggiamento sorge infine di regola la concezione deterministica; qui il singolo si scopre determinato dal tutto, e la connessione dei fenomeni viene concepita come caratteristica interna, quali che siano le determinazioni che vengono ad essa attribute. Ciò che è contenuto in questa formula dell’idealismo oggettivo come costituzione della connessione del mondo, la religiosità, la poesia e la metafisica lo esprimono tutte soltanto in modo simbolico. Esso è assolutamente inconoscibile. La metafisica separa soltanto aspetti particolari dalla vitalità del soggetto, dalla connessione vitale della persona, proiettandoli nell’immensità come connessione del mondo. Ne scaturisce una nuova incessante dialettica che conduce di sistema in sistema finché, esaurite tutte le possibilità, viene riconosciuta l’insolubilità del problema. È questo fondamento del mondo volontà oppure ragione? Se lo determiniamo come pensiero, occorre però una volontà perché qualcosa nasca. Se lo si concepisce invece come volontà, essa presuppone un pensiero che ne determini lo scopo. Volontà e pensiero non si lasciano però ridurre l’uno all’altro. A questo punto la possibilità di pensare logicamente il fondamento del mondo si arresta, e ciò che rimane è soltanto il rispecchiamento in esso della vita mediante la mistica. Se si concepisce il fondamento del mondo in maniera personale, questa metafora esige tuttavia di essere delimitata da determinazioni concrete. Se invece si applica ad essa l’idea dell’infinito, scompaiono di nuovo tutte le sue determinazioni, e anche qui rimane soltanto l’impenetrabile, l’inconcepibile, l’oscurità e la mistica. Se è fornito di coscienza, esso ricade sotto l’antitesi di soggetto e oggetto; d° altra parte non possiamo comprendere come qualcosa di inconscio possa produrre la coscienza che gli è superiore; siamo nuovamente di fronte a qualcosa di inafferrabile. Non ci è possibile pensare come dall’unità del mondo possa nascere una molteplicità, dall’eterno qualcosa di mutevole: ciò è logicamente inconcepibile. Il rapporto di essere e pensare, di estensione e pensiero non viene reso comprensibile dalla parola magica dell’ identità . Così, anche di questi sistemi metafisici ciò che rimane è soltanto una costituzione dell’anima e un’intuizione del mondo. Goethe ha dato l’espressione più alta di questa intuizione del mondo. Che sarebbe un Dio che agisse soltanto dall'esterno, facesse rotare intorno al dito l'universo! A Lui s’addice di muovere il mondo dall’interno, di albergare la Natura in Sé, Sé nella Natura, così che il mondo, che in Lui vive, vibra ed è, mai senta mancanza della Sua forza, del suo spirito %!. 21. GoetHE, Gort und IVelt, procmio, vv. 1-6 (tr. it. di F. Amoroso). WINDELBAND nasce a Potsdam. Frequenta dapprima l’Università di Jena, poi quelle di Berlino e di Gòttingen, dedicandosi inizialmente a studi storici e sviluppando in seguito i suoi interessi sotto la duplice influenza di Fischer e Lotze in direzione della filosofia. Dopo aver conseguito il dottorato a Gòttingen con la dissertazione Die Lehren vom Zufall (Berlin), Windelband ottiene l’abilitazione a Lipsia con Über die Gewissheit der Erkenntnis (Berlin), nel quale emerge chiaramente la sua adesione al movimento neo-criticistico e, in particolare, all'interpretazione della filosofia in chiave di teoria della conoscenza. Divienne professore a Zurigo, da dove si trasferisce a Friburgo e dopo a Strasburgo. Viene chiamato a Heidelberg quale successore di Fischer. La parte più cospicua della produzione di Windelband è costituita da numerose opere di storia della filosofia, che hanno avuto larga diffusione e risonanza anche al di fuori dei paesi di lingua tedesca. La prima di queste opere, Die Geschichte der neueren Philosophie in ihrem Zusammenhange mit der allgemeinen Kultur und den besonderen Wissenschaften (Leipzig, 1878-80; tr. it. Firenze, 1925), rappresenta un modello di interpretazione neocriticistica della storia della filosofia moderna, considerata come avente il proprio centro nello sviluppo della teoria della conoscenza. Il carattere specifico del pensiero moderno rispetto a quello antico e medievale viene individuato nel distacco dalla metafisica e nello sforzo di pervenire a un'indagine critica; cosicché l'opera di Kant viene presentata come il punto di confluenza dei suoi principali indirizzi, ossia come la sintesi tra razionalismo ed empirismo. Nella successiva Geschichte der Philosophie (1889-92), poi ripubblicata con il titolo di LeArbuch der Geschichte der Philosophie (Freiburg i.B., 1903; tr. it, Firenze, 1910-12), si riflette invece il passaggio dall’originaria prospettiva neocriticistica alla teoria dei valori: il presupposto della centralità del problema gnoseologico viene messo in disparte, e la filosofia si allarga ad abbracciare una molteplicità di problemi teoretici e pratici, studiati nel loro rapporto con la vita culturale e con la vita politico-sociale. Lo stesso vale per la Geschichte der alten Philosophie (Miinchen, 1883) e per la monografia P/aton (Stuttgart, 1900; tr. it. Palermo, 1914). Negli anni successivi al 1880 Windelband è pervenuto a elaborare, sulla base del richiamo a Kant, i presupposti di quell’impostazione filosofica che sarà indicata come teoria dei valori. Attribuendo alla filosofia il compito di determinare i princìpi 4 priori che garantiscono la validità del conoscere, egli li interpreta come valori forniti del duplice carattere dell'universalità e della necessità, ossia come valori incondizio nati: in riferimento alla conoscenza, la filosofia si configura come teoria critica in quanto si pone il problema della validità del conoscere e individua i valori su cui essa si fonda. Ma tale tipo di considerazione non è limitato al campo della conoscenza, bensì si estende anche alla moralità e all'arte. In una serie di saggi raccolti col titolo di Préludien (Freiburg i.B.-Tiibingen, 1883) e via via arricchita nelle successive edizioni (Tiibingen, 19027, 1907°, 1911*, 1914%; tr. it. Milano, 1947) Windelband delinea una concezione della filosofia come ricerca e individuazione dei valori che costituiscono la norma intrinseca dell'attività umana nei suoi diversi campi, distinguendo così la validità normativa dei valori dalla validità empirica delle leggi naturali. Ciò che è proprio dei valori non è l’esistenza di fatto, bensì il dover essere ; anche se non trovano una realizzazione empirica, non per questo i valori cessano di valere incondizionatamente. Essi fanno parte di una coscienza normale che si colloca su un piano trascendente rispetto alla realtà empirica, e sul quale questa non può incidere. Il compito della filosofia diventa perciò quello di stabilire i valori che stanno a base rispettivamente del conoscere, dell'agire e del sentire secondo la tripartizione kantiana delle facoltà umane. In questa prospettiva Windelband ha affrontato, nel discorso rettorale di Strasburgo Geschichte und Naturwissenschaft (1894), il problema della conoscenza storica; e l’ha affrontato in aperta polemica con Dilthey. Egli respinge infatti la distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito a causa del suo fondamento oggetti vo, e vi sostituisce una distinzione puramente metodologica tra due gruppi di discipline differenziate in base al loro orientamento conoscitivo: le scienze nomotetiche, dirette alla determinazione di leggi generali, e le scienze idiografiche, rivolte alla comprensione dell’individuale. In quanto insieme delle scienze idiografiche, la conoscenza storica appare quindi caratterizzata dallo sforzo di determinare la fisionomia individuale di ogni avvenimento, poco importa che esso appartenga alla natura o all'ambito dei fenomeni spirituali. Nell'ultimo periodo della sua vita Windelband ha sviluppato le implicazioni metafisiche della teoria dei valori, affiancando all'esigenza del ritorno a Kant il richiamo alla visione storica del mondo elaborata dall'idealismo post-kantiano. Nel volume Die Philosophie im deutschen Geistesleben des 19. Jahrhunderts (Tiibingen, 1909) e in alcuni saggi del 1908-10, poi raccolti nei Pràludien, egli addita nell’orientamento storico dell'idealismo post-kantiano l’eredità principale della filosofia dell'Ottocento, riprendendo su tale base la polemica contro il naturalismo e contro il tentativo di ridurre la storia a natura. Nell’Ein/eitung in die Philosophie (Tiibingen, 1914) egli formula la distinzione tra scienza naturale e conoscenza storica da un altro punto di vista, cioè in riferimento al rapporto tra realtà empirica e valori: la scienza naturale si presenta come una conoscenza priva di rapporto con i valori, mentre la conoscenza storica diventa una conoscenza in relazione ai valori, dal momento che la realtà storica è il terreno della realizzazione empirica dei valori. Nella postuma e incompiuta lezione di guerra sulla Geschicktsphilosophie (Berlin, 1916), infine, il senso della storia viene definito in base all'idea di umanità, kantianamente intesa come principio regolativo e quindi come postulato che deve consentire la valutazione dei singoli avvenimenti. Non esiste alcuna raccolta delle opere filosofiche di Windelband, né esse sono state ristampate in epoca recente. Si dispone invece di ristampe aggiornate dei manuali di storia della filosofia: il Lehrbuch der Geschichte der Philosophie (completato da H. Heimsoeth fin dalla 13? ed., del 1935), è stato ancora pubblicato dalla casa editrice Mohr, Tiibingen, 1957!, e così pure la Geschichte der abendlindischen Philosophie im Altertum (a cura A. Goedeckenmeyer), Miinchen, 1963. Limitata è anche la letteratura critica sulla filosofia di Windelband, spesso considerata insieme con quella di Rickert. Tra gli studi in proposito segnaliamo i più importanti: H. Ricxert, Wilhelm Windelband, Tiibingen, 1915. A. Ruce, Wilhelm Windelband, Zeitschrift fir Philosophie und philosophische Kritik , CLXII, 1916-17, pp. 54-71 e 188-221. K. WieperHoLt, Wertbegriff und Wertphilosophie, Erginzungshefte alle Kantstudien , Berlin, 1920. B. W. ScHescHicHs, Die Kategorienlehre der Badischen philosophischen Schule, Berlin, 1938. B. JarowenKgo, Wilhelm Windelband: ein Nachruf, Prag, 1941. C. Rosso, Figure e dottrine della filosofia dei valori, Torino, 1949, e Napoli. I nomi hanno un loro destino di rado, però, strano come quello del termine filosofia . Se ci rivolgiamo alla storia chiedendo che cosa propriamente sia la filosofia, e ci guardiamo intorno tra quelli che sono stati definiti, e ancora vengono definiti, filosofi , per sapere come concepiscono ciò che hanno fatto e fanno, ne otteniamo risposte così diverse e divergenti tra loro che sarebbe un'impresa disperata voler ricondurre questa variopinta e cangiante molteplicità a un’espressione semplice, e costringere la pienezza di tali mutevoli fenomeni sotto un concetto unitario ". Certamente un tentativo di questo genere è stato compiuto abbastanza spesso dagli storici della filosofia. Si è voluto prescindere dalle particolari determinazioni di contenuto con cui ogni filosofo è solito porre già nell’esposizione del compito che si prefigge la quintessenza dei punti di vista che ha acquisito. Si pensava di poter così pervenire a una definizione puramente formale, indipendente sia dal mutare delle intuizioni temporali e nazionali, sia dall’unilateralità delle convinzioni personali, e quindi adatta a comprendere tutto quanto è stato chiamato filosofia . Ma sia che s’intenda designare la filoso a. Sulle definizioni della filosofia si veda più particolarmente W. WinDELBAND, Lehrbuch der Geschichte der Philosophie, Tibingen und Leipzig, 4° ed. 1907, $$ 1€2. * Was ist Philosophie? Uber Begriff und Geschichte der Philosophie (1882), in Pràludien, Freiburg i.B. und Tibingen, Akademische Verlag von ]. C. B. Mohr, 1884, Pp. 1-53 (traduzione di Sandro Barbera e Pietro Rossi). fia come saggezza, o come scienza dei princìpi, o come dottrina dell’assoluto, o come auto-conoscenza dello spirito umano, o in qualsiasi altra maniera, la definizione rimarrà pur sempre troppo ampia o troppo ristretta: sempre ci saranno formazioni storiche che, indicate col nome di filosofia, non si lasceranno subordinare all’una o all’altra di quelle determinazioni formali. Sarebbe inutile ripetere cose spesso dette ed esibire le istanze negative (che è facile far emergere dalla storia) contro simili tentativi. Vale invece la pena indagare con un po’ più di precisione i motivi di questo fenomeno. È noto che, per ottenere una definizione valida, la logica pretende l’indicazione del concetto di genere prossimo superiore e dell’attributo specifico: entrambe le esigenze non possono però venir soddisfatte in questo caso. Anzitutto si affermerà subito che il concetto superiore nel quale rientra la filosofia è quello di scienza. Sarebbe un’obiezione ben debole dire che nel nostro caso la specie coincide talora completamente col genere: così per esempio alle origini del pensiero greco, dove appunto ancora non c’è che una scienza indivisa, o più tardi, in certi periodi, quando la tendenza universalistica di un Descartes o di uno Hegel riconosce le altre scienze soltanto nella misura in cui si lasciano ridurre a parti della filosofia. Ciò dimostra soltanto che il rapporto tra questa specie e il genere non è costante; ma lascia inalterato il carattere della filosofia come scienza. Tantomeno sarebbe possibile confutare la subordinazione della filosofia al concetto di scienza con la dimostrazione che nella maggior parte delle dottrine filosofiche sono sempre presenti elementi e procedimenti non scientifici. Anche quest’obiezione dimostrerebbe solo quanto poco la filosofia reale abbia finora assolto il suo compito. Del .resto la storia delle altre scienze offre fenomeni paralleli a questo, come l’epoca fabulatoria della storia, la fanciullezza alchimistica della chimica o il fanatico periodo astrologico dell'astronomia. Nonostante ogni imperfezione, quindi, la filosofia meriterebbe la qualifica di scienza a patto di poter stabilire che tutto quanto si definisce come filosofia vuole essere scienza, e può anche con una corretta esecuzione esserlo. Ma non accade così. Una simile subordinazione sarebbe già problematica se si mostrasse ed è possibile, anzi è stato mostrato che i compiti che i filosofi si sono imposti non soltanto occasionalmente, ma che hanno indicato come loro autentico fine, mai e poi mai possono essere risolti per via di conoscenza scientifica. Se la dimostrazione introdotta per la prima volta da Kant, e da allora ripetuta in mille varianti dell’impossibilità di una fondazione scientifica della metafisica è giusta, tutte le filosofie di tendenza essenzialmente metafisica escono dall’ambito della scienza ; e ciò colpisce seriamente non fenomeni subordinati, ma proprio quelle vette della storia della filosofia i cui nomi sono sulla bocca di tutti. I loro poemi concettuali non possono quindi venir sussunti sotto il concetto di scienza in senso oggettivo, ma soltanto in senso soggettivo: essi si proponevano di compiere, e credevano di aver compiuto scientificamente ciò che non si può affatto compiere scientificamente. Ma neppure è possibile trovare tra i rappresentanti della filosofia l'universalità di questa pretesa soggettiva, che cioè la filosofia debba essere scienza. Per non pochi tra di essi, intanto, l'elemento scientifico vale al massimo come mezzo, più o meno inevitabile, per lo scopo vero e proprio della filosofia. Chi vede in quest’ultima un’arte della vita come i filosofi dell’epoca ellenistica e romana non cerca più il sapere per il sapere, come invece conviene a una scienza. Se poi al sapere scientifico si chiede soltanto un prestito, è del tutto indifferente dal punto di vista della scientificità che lo si faccia per scopi politici, tecnici, morali, religiosi o di qualsiasi altro tipo. Anche tra quelli che intendono la filosofia come conoscenza, molti sono chiaramente consapevoli che non possono acquisire tale conoscenza mediante la ricerca scientifica: senza pensare ai mistici (per i quali tutta la filosofia è illuminazione), quanto spesso si ripete nella storia la confessione che le radici ultime di una convinzione filosofica non devono essere ricercate in un procedimento dimostrativo di tipo scientifico! Come ancoraggio a cui la filosofia deve tenersi stretta, sopra le onde del movimento scientifico, viene indicata a volte la coscienza con i suoi postulati, a volte la ragione come percezione di un’insondabile profondità vitale, talora l’arte come organo della filosofia, talora una comprensione di tipo geniale, un’ intuizione originaria, talora una rivelazione divina: Schopenhauer, l’uomo in cui molti contemporanei onorano il filosofo par excellence, confessa più volte che la sua dottrina non è stata acquisita, né può essere dimostrata, mediante un lavoro metodico, ma prende forma soltanto davanti allo sguardo d'insieme che solo riesce a dare un’interpretazione complessiva ai risultati conoscitivi della scienza. La filosofia è quindi ben lungi dal poter essere semplicemente subordinata al concetto di scienza, come spesso ci si immagina, sviati da tendenze posteriori e definizioni consuete. Certamente il singolo può ben costruirsi un concetto di filosofia che consenta tale subordinazione: ciò è accaduto, accadrà sempre, e noi stessi vogliamo tentarlo. Ma quando si considera la filosofia come una formazione storica reale, quando si confronta tutto quanto è stato indicato come filosofia nei movimenti spirituali dei popoli europei, una sussunzione del genere non è consentita. La consapevolezza di questo fatto si manifesta in varie forme. Nella storia della filosofia essa assume la forma per cui, di tempo in tempo, riappaiono aspirazioni a elevare a scienza, finalmente, la filosofia. A ciò si connette il fatto che, anche laddove vi sia sempre conflitto tra indirizzi filosofici, ognuno di essi mostra la tendenza a pretendere per sé solo il carattere della scientificità, negandolo alla prospettiva avversa. La distinzione tra filosofia scientifica e filosofia non scientifica è un'espressione di battaglia di cui da sempre ci si compiace. Platone e Aristotele hanno contrapposto la loro filosofia, in quanto scienza (èriotiUn), alla Sofistica come opinione (865x) ascientifica e piena di pregiudizi; e con un capovolgimento che si potrebbe quasi dire uno scherzo della storia, oggi i rinnovatori positivistici e relativistici della Sofistica tentano di contrapporre la loro dottrina, in quanto filosofia scientifica , a quelli che ancora accreditano la grande conquista della scienza greca. Tra chi sta al di fuori della mischia, non considerano scienza la filosofia coloro che nella sua storia non vedono altro che la storia degli errori umani . Infine colui al quale la superficiale presunzione del moderno enciclopedismo non ha ancora fatto perdere il rispetto per la storia, chi sta ancora pieno di stupore di fronte alle grandi formazioni concettuali della filosofia, dovrà diventare consapevole che non è sempre il significato scientifico della filosofia ciò a cui rende il suo tributo, bensì qui l'energia di una più nobile intuizione della vita, là l’artistica armonizzazione di idee contrastanti qui l'ampiezza di rappresentazioni di portata universale, là Ia forza ordinatrice del lavoro combinatorio del pensiero. In realtà i fatti storici esigono di prendere le distanze da una subordinazione così incondizionata della filosofia al concetto di scienza, quale viene quasi ovunque ammessa. L’aperto sguardo dello storico sarà piuttosto costretto a vedere in essa un fenomeno culturale ramificato e proteiforme che non si lascia schematizzare o rubricare con semplicità. Egli comprenderà che con quella usuale sussunzione si fa torto alla scienza non meno che alla filosofia: alla filosofia in quanto si costringe in un ambito troppo stretto la sua aspirazione verso un ambito sempre più vasto, e alla scienza in quanto la si rende così responsabile di tutto quanto confluisce da molte altre fonti nella filosofia. Anche ammesso che si possa sussumere il fenomeno storico della filosofia sotto il concetto di scienza e attribuire tutto quanto vi si oppone all’imperfezione delle singole filosofie, sorge la questione non meno ardua di come si debba distinguere, all’interno di questo genere, la filosofia, in quanto specie particolare, dalle altre scienze. Anche a questa seconda questione la storia e soltanto di questa stiamo in definitiva parlando non dà nessuna risposta universalmente valida. Le scienze possono distinguersi in parte secondo i loro oggetti, in parte secondo i loro metodi; ma in nessuna di queste due prospettive è possibile rintracciare un segno distintivo permanente per tutte le manifestazioni storiche della filosofia. Per quanto riguarda gli oggetti, accanto a sistemi filosofici che fanno oggetto della loro indagine tutto quanto esiste o perfino tutto quanto è possibile, ve ne sono altri, altrettanto significativi, che delimitano strettamente il loro campo d'indagine, per esempio ai fondamenti ultimi dell’essere e del pensiero, o alla dottrina dello spirito, o alla teoria della scienza, e così via. Interi campi del sapere che per l’uno sono, se non l’unico, almeno il terreno principale dell’elaborazione filosofica, vengono invece dall’altro espressamente esclusi dal dominio della filosofia. Vi sono sistemi che non vogliono esser altro che etica; ve ne sono altri che, delimitando la filosofia alla teoria della conoscenza, si propongono di lasciare l’indagine dei problemi morali ed estetici alla storia dell’evoluzione psicologica e biologica. Vi sono sistemi in cui la filosofia viene totalmente risolta in psicologia; ve ne sono altri che tracciano uno scrupoloso confine rispetto alla psicologia, considerata come una scienza empirica. Di molti filosofi presocratici non conosciamo che alcune osservazioni e teorie, che al giorno d’oggi releghiamo nella fisica, nell’astronomia, nella metereologia ecc., ma che nessuno designerebbe mai come filosofiche: nei sistemi successivi compare talora come elemento integrante una propria visione della natura: talora, invece, vien fatta una rinuncia di principio ad essa. In ogni filosofia del Medioevo il centro di gravità dell'interesse sta in problemi che sono oggi oggetto della teologia; lo sviluppo della filosofia moderna allontana sempre più da sé, di secolo in secolo, tali questioni. I problemi del diritto o dell’arte rappresentano qui gli oggetti più importanti della filosofia; là si negava invece la possibilità di una loro trattazione filosofica. Tutta l’antichità, e anche la maggior parte dei sistemi metafisici anteriori a Kant, non ha avuto sentore di una filosofia della storia: oggi essa è diventata una delle discipline più importanti. Da questa diversità degli oggetti della filosofia risulta ora per lo storico una difficoltà non irrilevante, e finora quasi mai trattata in linea di principio®: con quale estensione e in quali limiti, cioè, egli debba assumere nella storia della filosofia le dottrine e i punti di vista formulati da un filosofo, prescindendo dal significato biografico che possono avere per la caratterizzazione della sua personalità. Qui sembrano aprirsi soltanto due vie pienamente coerenti: o si segue la storia in tutte le stranezze delle sue denominazioni e si lascia che l'esposizione storica vaghi, allo stesso modo dell’interesse filosofico, da un oggetto all’altro, oppure si pone a fondamento una determinata definizione della filosofia e in base ad essa si compie la scelta e la distinzione delle singole dottrine. Nel primo caso si paga l’ oggettività storica con una molteplicità sconcertante e a. Cfr. il mio saggio Geschichte der Philosophie, in Die Philosophie im Beginn des zwanzigsten Jahrhunderts (Festschrift fiv Kuno Fischer), Heidelberg. con la mancanza di connessione tra gli oggetti; nel secondo caso l’unitarietà e la capacità di penetrazione così acquisite poggiano sull’unilateralità con cui si impone come schema un presupposto, determinato personalmente, nel movimento storico. La maggior parte degli storici della filosofia hanno imboccato, senza rendersene conto (o anche senza poterlo fare), una via di mezzo, sviluppando le teorie di quei filosofi che si addentrano nel dettaglio delle scienze particolari soltanto nella loro connessione di principio con il complesso della dottrina e rinunciando in misura maggiore o minore (secondo l'estensione del loro lavoro) a riprodurre la realizzazione specifica. Siccome non esiste per questo un criterio determinato, e nemmeno può esistere in una maniera che possegga una validità universale di per sé evidente, al posto di esso sono subentrati per lo più l’arbitrio dell’interesse personale o l’accidentalità di una certa sensibilità. Di fatto, per il modo con cui si configurano i rapporti storici, questa difficoltà non può essere superata in linea di principio; essa viene rammentata qui soltanto come conseguenza necessaria del fatto che non è possibile stabilire in modo universalmente valido l’oggetto della filosofia in base alla comparazione storica. La storia dimostra piuttosto che nell’ambito in cui si può indirizzare la conoscenza non vi è nulla che non sia già stato incluso una volta nella filosofia, e così pure nulla che non ne sia stato una volta escluso. Tanto più comprensibile appare allora la tendenza a cercare il carattere specifico della filosofia non già nell'oggetto ma nel metodo, e a ritenere che la filosofia tratti bensì gli stessi oggetti delle altre scienze, ma con un metodo suo proprio: di qui il fatto che essa respinge da sé determinati oggetti inaccessibili al suo metodo, mentre deve esercitare una pretesa permanente di possesso su altri, particolarmente appropriati al suo modo di procedere. Un tentativo di tal genere compiuto su larga scala da Wolff, che per ogni gruppo di oggetti della conoscenza scientifica accostava una disciplina filosofica a una disciplina storica (come si diceva allora: oggi si direbbe empirica) può essere teoricamente formulato molto bene come progetto. Ma anch'esso non basta a una determinazione storica del concetto di filosofia per il semplice motivo che anche tra i filosofi che assumono per la loro scienza un metodo particolare (e sono una piccola parte) non c'è il minimo accordo riguardo a questo metodo filosofico . Non è quindi possibile parla re con validità storica universale di un particolare modo di trattazione scientifica il cui impiego costituisca l'essenza della filosofia, né si può sostenere che tale essenza possa trovarsi nell’aspirazione, anche incompiuta, a questo metodo. Giacché da un lato tutti quelli secondo cui la filosofia oltrepassa il lavoro scientifico non vogliono, conseguentemente, saperne di un metodo filosofico; d’altra parte proprio coloro che vogliono elevare a scienza la filosofia cedono molto spesso al desiderio di comprimerla entro metodi di altre scienze sperimentati in campi particolari, per esempio entro i metodi della matematica o dello studio induttivo della natura. Infine, laddove si è imposto un metodo specifico della filosofia, quanto esso è lontano dall’essere universalmente riconosciuto! Il metodo dialettico della filosofia tedesca appare ai più un capriccio stravagante e stupido; e se Kant credeva di aver stabilito per la filosofia il metodo critico , gli storici non si sono messi ancor oggi d’accordo su ciò che voleva dire. Queste osservazioni potrebbero essere tirate in lungo con un'infinità di esempi. Ma per quanto riguarda il significato logico inerente a un'istanza negativa, anche quando essa abbia un'estensione minima, i casi qui menzionati bastano a dimostrare che è impossibile qualunque sia la via imboccata trovare mediante l’induzione storica un concetto universale di filosofia che comprenda se non altro tutti i fenomeni storici che vengono chiamati filosofia. Se non è possibile sussumere senza residui la filosofia sotto il concetto generico di scienza, tanto meno è possibile farlo rispetto ad altri concetti generici di attività culturali come l’arte o la poesia: bisogna perciò rinunciare alla possibilità di trovare per via storica il concetto superiore prossimo comprensivo della filosofia. Nessuno metterà in dubbio che ogni filosofia è un prodotto spirituale, una formazione della rappresentazione; ma nessuno vorrà considerarlo come un punto di vista in qualche modo utilizzabile. Sembra che ai filosofi accada come a tutti gli individui umani che si chiamano Paolo, e nei quali non è assolutamente possibile indicare un segno comune ir virtà del quale essi recano tutti questo nome. Ogni denominazione si fonda sull’arbitrio storico e può quindi rimanere più o meno indipendente e distante dall’essenza di ciò che deve denominare: così sembra valere, se si considera l’intero corso temporale, anche per il termine filosofia , poiché la comunanza della parola non corrisponde a un’unitarietà dell'essenza da determinare concettualmente. Se ci si limita a brevi periodi e a singoli ambiti culturali, si potrà forse trovare al loro interno un significato costante connesso col nome di filosofia: ma esso cessa di valere non appena si segue il termine nella sua applicazione attraverso tutta la storia. Certamente, questo risultato della considerazione storica appare quanto mai preoccupante: se esso rimanesse privo di integrazione, una storia universale della filosofia risulterebbe priva di senso. Avrebbe, appunto, lo stesso valore per tornare al paragone di prima del tentativo di scrivere la storia di tutti gli uomini che si chiamano Paolo. È chiaro allora che proprio a quei pensatori autonomi che hanno costruito un loro concetto di filosofia rigidamente determinato, come Kant e Herbart, la consueta storia della filosofia che doveva offrire loro elementi così poco affini è rimasta estranea e antipatica, mentre le epoche di eclettismo (che non sanno mai che cosa si debba propriamente denominare filosofia) sono state anche quelle in cui più si è occupati storicamente di filosofia. Se però la riflessione storica deve mantenere un senso razionale, essa presuppone (anche se non è in grado di mostrare un concetto universale di filosofia) che il mutamento sperimentato nel corso dei secoli dal termine filosofia non significhi mero arbitrio e accidentalità, ma anzi abbia un senso razionale e un valore specifico. Se nonostante le stranezze delle digressioni individuali la storia del termine filosofia è l’espressione di uno sviluppo profondamente significativo nella connessione della vita culturale dell'umanità europea, allora la storia di questo e dei fenomeni particolari in esso compresi acquisisce un senso autonomo e fornito di valore non già malgrado, ma proprio in virtù di questo mutamento di significato. Del resto le cose non stanno, di fatto, diversamente; e solo quando si è chiarita la storia del termine filosofia si è anche in grado di determinare ciò che nel futuro, aspirando a una validità più che individuale, possa essere legittimato a portare questo nome. Dobbiamo ai Greci sia il termine sia il primo significato di qriocepla. Divenuto denominazione tecnica pare ai tempi di Platone, il termine significa esattamente ciò che oggi noi Tedeschi designamo col termine scienza * che, per fortuna, è molto più comprensiva di quanto non lo sia la science dei Francesi e degli Inglesi. È il nome che assume un bambino appena nato. Saggezza, che si tramanda di generazione in generazione nella forma di antichissime narrazioni mitiche; dottrina morale, espressione riflessa dell'anima popolare; intelligenza pratica che, accostando esperienza a esperienza, agevola alla nuova generazione il cammino della vita; conoscenze pratiche acquisite nella lotta per l’esistenza in singoli compiti e nella loro soluzione, e accumulate col trascorrere dei tempi in un potere e in un sapere imponente tutto ciò è esistito da sempre in tutti i tempi. Ma la curiosità dello spirito di cultura liberato dalla necessità della vita, che nella nobiltà dell’ozio comincia a indagare per possedere il sapere soltanto di per se stesso, senza alcun scopo pratico, senza guardare all’edificazione religiosa o alla nobilitazione morale, per trovare godimento in esso come valore assoluto e completamente indipendente questo puro impulso al sapere è stato sviluppato per la prima volta dai Greci, che sono così diventati i creatori della scienza. Analogamente all’impulso al gioco , essi hano no tratto fuori dagli intrecci delle rappresentazioni mitiche, a. Non bisognerebbe mai dimenticare che nelle traduzioni sorgono parecchi fraintendimenti quando si rende piXogopfa con filosofia , incorrendo così nel pericolo che il lettore moderno intenda il termine nel senso attuale, assai più ristretto. Basterà un esempio tra i molti. Un noto passo di Platone viene facilmente tradotto nel modo seguente: La sventura dell'umanità non avrà termine finché i governanti non filosoferanno o i filosofi non governeranno, ossia finché potere politico e filosofia non coincideranno . È comodo sorridere sc per filosofia si pensa alle fantasticherie metafisiche e per filosofi ai professori sprovvisti di senso pratico e ai dotti solitari! Ma si traduca correttamente; e quando allora si trova che Platone non ha preteso altro se non che il governo stia nelle mani della cultura scientifica, si vedrà forse come egli abbia profeticamente precorso, con quella massima, lo sviluppo della vita europea. dalla dipendenza a bisogni etici e quotidiani l'impulso al sapere, trasformando così la scienza, al pari dell’arte, in organi autonomi della vita culturale. Nella nebulosità fantastica della natura orientale gli esordi dell’impulso artistico e scientifico si rdono nel tessuto di una vita complessiva indistinta: i Greci, come guide dell’occidentalismo, cominciano a distinguere l’indistinto, a differenziare quanto è ancora embrionalmente non dispiegato e a introdurre, per le supreme attività dell’uomo civile, la divisione del lavoro. La storia della filosofia greca è così la storia della nascita della scienza: tale è il suo senso più profondo e il suo significato intramontabile. Lentamente l’impulso scientifico si svincola dai fondamenti generali in cui è originariamente incapsulato; allora esso si comprende, si esprime con fierezza e petulanza e infine giunge a compimento producendo, in completa chiarezza e in tutta la sua estensione, il concetto di scienza. Dalla ricerca di Talete! sul fondamento primo delle cose fino alla logica di Aristotele, è tutto un grande sviluppo tipico il cui tema è la scienza. Questa scienza si indirizza perciò a tutto quanto può diventare oggetto del sapere, o sembra poterlo diventare: abbraccia il Tutto, l’intero mondo della rappresentazione. Ciò che l’impulso al sapere divenuto autonomo trova davanti a sé come materiale per la propria attività nei racconti mitici del passato, nelle regole di vita dei saggi e dei poeti, nelle conoscenze pratiche di un popolo di commercianti impegnato in svariate attività tutto ciò è ancora così poca cosa che può essere agevolmente riunito in una sola testa ed elaborato con pochi concetti fondamentali. Così, in Grecia la filosofia è scienza unica e indivisa. Ma il processo di differenziazione già avviato deve necessariamente procedere. Il materiale cresce, e di fronte allo spirito conoscente e ordinatore si articola in diversi gruppi di oggetti, che appunto perciò esigono una trattazione differenziata. La filosofia comincia a dividersi: le singole filosofie si separano e ognuna di esse pretende ora per sé sola il lavoro di una vita di un ricercatore. Lo spirito greco entra nell'età delle scien 1. Talete di Mileto, filosofo ionico vissuto tra il secolo vil e il secolo vi a. C., è tradizionalmente considerato il punto di partenza della speculazione filosofica greca. ze specialistiche. Se ora ogni disciplina assume il nome del proprio oggetto, dove rimane il nome di filosofia? In un primo tempo esso si lega all’universale. Il possente spirito sistematizzatore di Aristotele, in cui quel processo di differenziazione ha trovato il suo compimento, creò tra le altre anche una filosofia prima , cioè una scienza fondamentale che detta anche, più tardi, metafisica trattava della connessione suprema e ultima di tutte le conoscenze. Qui tutti i concetti prodotti nei singoli compiti della scienza si unificavano in un quadro complessivo dell’universo, e per questa suprema funzione onnicomprensiva fu quindi mantenuto il nome originario della scienza complessiva. Soltanto che, nello stesso tempo, comparve un altro elemento che aveva la sua base non in un movimento puramente scientifico, ma in un movimento culturale generale. Quella divisione del lavoro scientifico avvenne nell'epoca di decadenza della Grecità. Alle culture nazionali subentrò una cultura universale in cui la scienza greca costituiva sì un vincolo essenziale, ma retrocedeva rispetto ad altre esigenze, oppure si poneva al loro servizio. Dalla Grecità si passò all’Ellenismo, dall’Ellenismo all’Impero romano. Si andava istituendo un enorme meccanismo sociale, che divorava la vita nazionale con i suoi interessi particolari, che contrapponeva l’individuo, come atomo effimero, a una totalità impenetrabile ed estranea, che con l’acurizzarsi della lotta sociale costringeva infine il singolo a rendersi il più possibile indipendente, e a preservare per sé il massimo di felicità e di serenità, sottraendolo al grande strepito, nella quiete dell’esistenza individuale. Dove i destini del mondo esterno passavano annientando interi popoli e potenti imperi, la felicità e il godimento sembravano rifugiarsi nell’interiorità della persona, e così per tutti i migliori la questione della giusta direzione da dare alla vita personale divenne la più importante e scottante. Di fronte alla vivacità di questo interesse si indeboliva il puro impulso al sapere: la scienza veniva ancora apprezzata soltanto nella misura in cui poteva servire a questo interesse, e quella filosofia prima sembrava offrire la sua immagine scientifica del mondo solo allo scopo di comprendere quale posizione spetta all’uomo nella connessione universale, e come egli possa di conseguenza indirizzare la propria vita. L’esempio tipico di questo movimento lo vediamo nello Stoicismo. La subordinazione del sapere alla vita è il carattere universale dell’epoca: per essa la filosofia è quindi arte di vivere ed esercizio di virtù. La scienza non è più uno scopo in sé; essa è il più nobile strumento di felicità. Il nuovo organo dello spirito umano sviluppato dai Greci entra in uno stato di dipendenza destinato a durare a lungo. Col trascorrere dei secoli esso cambia padrone. Mentre le scienze particolari entrano al servizio dei singoli bisogni sociali tecnica, insegnamento, medicina, legislazione ecc. la filosofia è anzitutto quella scienza complessiva che deve insegnare come l’uomo possa diventare al tempo stesso virtuoso e felice. Ma quanto più il mondo perdura in questa situazione, quanto più una sfrenata ricerca del godimento e la mancanza di convinzione invadono la società, tanto più si frantuma l’orgoglio della virtù, tanto più il desiderio di felicità dell'individuo appare privo di prospettive. Con tutto il suo splendore e con tutto il suo desiderio di piacere il mondo esterno si spopola, e sempre più l’ideale si sposta dalla regione mondana in una regione trascendente, più alta, più pura. L'idea etica si trasforma in idea religiosa, e ora filosofia significa conoscenza di Dio. L’intero apparato della scienza greca, il suo schema logico, il suo sistema di concetti metafisici sembra ora destinato soltanto a fornire un’espressione conoscitiva adeguata all’aspirazione religiosa e a una convinzione piena di fede. Nella teosofia e nella teurgia che si trasmettono dagli agonizzanti secoli di transizione alla mistica del Medioevo questo nuovo carattere della filosofia emerge non meno di quanto emerga nel duro lavoro concettuale con cui tre grandi religioni tentarono di assimilare a sé la scienza greca. In questa forma, come ancella della fede, la filosofia si manifesta nei lunghi e difficili secoli di apprendistato dei popoli germanici: l'impulso al sapere sì è fuso nell’impulso religioso e non ha, accanto ad esso, un suo autonomo diritto. La filosofia è il tentativo di sviluppo scientifico e di fondazione delle convinzioni religiose. Nell’emancipazione dal dominio esclusivo della coscienza religiosa risiedono le radici del pensiero moderno, che affondano profondamente nel cosiddetto Medioevo. Anche l'impulso al sapere si rifà libero, riconosce e afferma il proprio valore specifico. Mentre le scienze specialistiche seguono, con compiti e metodi in parte nuovi, la loro strada, la filosofia ritrova negli ideali della Grecia il puro sapere fine a se stesso. Essa si scrolla di dosso la finalità etica e religiosa diventando di nuovo la scienza complessiva della totalità del mondo, di cui vuole acquisire la conoscenza per proprio conto e per se stessa, senza appoggio estraneo. La filosofia diventa metafisica in senso stretto, sia che riproduca i sistemi dei grandi filosofi Greci, sia che intenda poetizzare in una combinazione fantastica le nuove intuizioni offerte dalle scoperte dell’epoca, sia che vada alla rigorosa scuola di una matematica fornita di antica dignità eppure ancor giovane, sia che voglia cautamente costituirsi con le conoscenze della nuova indagine della natura. In tutti i casi essa vuole fornire, indipendentemente dal conflitto delle opinioni religiose, una conoscenza autonoma del mondo fondata sulla ragione naturale , e si contrappone così alla fede in qualità di sapienza mondana . Ma accanto a questo interesse metafisico ne compare fin dall'inizio un altro, che prende gradualmente il sopravvento. Sorta in opposizione alla scienza tutelata dalla Chiesa, questa nuova filosofia deve anzitutto mostrare come intenda produrre il suo nuovo sapere. Essa procede da indagini sull’essenza della scienza, sul processo del conoscere, sull’adattamento del pensiero ai suoi oggetti. Se questa tendenza è inizialmente metodologica, assume però sempre di più il carattere di teoria della conoscenza. Non indaga più soltanto sulle vie, ma sui limiti della conoscenza. E proprio l’antitesi, che ora si ripete e si approfondisce, tra i sistemi metafisici suscita la questione se sia in generale possibile la metafisica, cioè se la filosofia abbia un proprio oggetto, se abbia diritto a esistere accanto alle scienze particolari. E alla questione si dà risposta negativa! Il secolo che nella sua suprema fiducia nel sapere pensava di padroneggiare la storia con la sua filosofia il secolo xvi è quello che riconosce e confessa che la forza conoscitiva dell’uomo non basta per abbracciare la totalità del mondo e per penetrare i fondamenti ultimi delle cose. Non esiste metafisica: la filosofia ha distrutto se stessa. Che cosa può ancora significare il suo vuoto nome? Tutti i singoli oggetti sono divisi tra le scienze particolari; la filosofia è come il poeta, giunto troppo tardi alla spartizione del mondo. Infatti l’attività di ricucitura dei risultati ultimi delle scienze specialistiche è ben lungi dal costituire la scienza dell’universo: essa è compito di una diligente compilazione o di una combinazione artistica, non della scienza. La filosofia è come il re Lear, che ha suddiviso tutto il suo tra i figli e ora è costretto a subire di farsi gettare sulla strada come un mendicante. Però dove massimo è il pericolo, l’aiuto è vicinissimo. Se è stato possibile dimostrare che la filosofia che voleva essere metafisica è impossibile, con queste indagini è sorto un nuovo ramo del sapere, il quale ha bisogno di un nome. Anche se tutti gli altri oggetti sono stati divisi senza residuo tra le scienze specialistiche e si è dovuto definitivamente rinunciare a una scienza dell’intuizione del mondo, quelle stesse scienze sono però un “forse uno dei più significativi, e pretendono di essere oggetto di una scienza specifica che stia con esse nello stesso rapporto in cui queste stanno con le cose. Accanto alle altre scienze compare come disciplina particolare e chiaramente determinata una zeoria della scienza. Se non è una conoscenza del mondo che riunisce tutti gli altri punti di vista, ora è però l’auto-conoscenza della scienza, l'indagine centrale in cui tutte le altre scienze trovano la loro fondazione. A questa dottrina della scienza si trasmette il nome, divenuto privo di oggetto, di filosofia: essa non è più la dottrina della totalità del mondo o della condotta della vita, ma è la dottrina del sapere non è più una metafisica delle cose, ma è una metafisica del sapere . Se si fa attenzione al mutamento che si è così compiuto attraverso due millenni nel significato del termine, appare chiaro che la filosofia anche se non è mai stata completamente scienza e, quando pur voleva essere scienza, non si è costantemente rivolta al medesimo oggetto si è tuttavia mantenuta in una determinata relazione con la conoscenza scientifica; e che questa è la cosa più importante il mutare di tale relazione dipende dal cambiamento di valutazione, avvenuto nello sviluppo della cultura europea, nei riguardi della conoscenza scientifica. La storia del termine filosofia è la storia del significato culturale della scienza. Non appena il pensiero scientifico si rende autonomo come impulso del conoscere in vista soltanto del sapere, esso assume il nome di filosofia; quando poi la scienza unitaria si divide nei suoi rami, la filosofia diventa conoscenza del mondo connettiva, conclusiva, universale. Non appena poi il pensiero scientifico viene di nuovo ridotto a strumento della riflessione etica e della contemplazione religiosa, la filosofia si trasforma in arte di vita o in formulazione di convinzioni religiose. Quando la vita scientifica ridiventa libera, anche la filosofia ritrova il carattere di conoscenza autonoma del mondo, e quando comincia a rinunciare alla soluzione di questo compito si trasforma in una teoria della scienza. All’inizio scienza complessiva e indifferenziata, nella differenziazione delle scienze particolari la filosofia diventa in parte quell’organo che connette le operazioni di tutte le altre scienze in conoscenza complessiva, in parte uno strumento al servizio di una condotta di vita etica o religiosa, in parte infine l'organo nervoso centrale in cui deve pervenire alla coscienza il processo vitale degli altri organi. Dapprima identica con la scienza, la filosofia è in seguito il risultato di tutte le scienze particolari o la dottrina di ciò in vista di cui la scienza esiste, o infine la teoria della scienza medesima. Sempre la concezione di ciò che vien chiamato filosofia è caratterizzante rispetto alla posizione che la conoscenza scientifica assume nella valutazione dei beni culturali di ogni epoca. Sia che la si consideri come un bene assoluto oppure soltanto come un mezzo in vista di scopi superiori, sia che la si ritenga o no in grado di comprendere il fondamento vitale ultimo delle cose, ciò si manifesta nel senso che di volta in volta si collega col termine filosofia . La filosofia di un'epoca è il termometro del valore che questa attribuisce alla scienza: proprio perciò la filosofia appare ora essa stessa come scienza, ora come qualcosa che procede al di là di questa, e quando viene considerata come scienza, essa abbraccia la totalità del mondo, oppure è l'indagine sull’essenza della conoscenza scientifica. Quanto diversa è la posizione che la scienza assume nella connessione della vita culturale, altrettanto equivoca e multiforme è la filosofia; e da ciò si comprende che dalla storia non si può ottenere nessun concetto unitario di essa. S'intende che questo sguardo d'insieme alla storia del termine filosofia è una considerazione di massima che si concentra sull’interesse principale delle diverse epoche e che non vuol negare né dimenticare il fatto che le quattro tendenze particolari qui distinte scorrono parallele in tutti i periodi per ognuno dei quali è stato abbozzato uno specifico significato complessivo di filosofia . Già nella filosofia greca si fanno valere certe tendenze a trasformare la filosofia in arte di vita o in critica della conoscenza; e d’altra parte l'ideale di una conoscenza fine a se stessa non è mai scomparso completamente dall’orizzonte dell'umanità europea. Ma le inclinazioni dei singoli cedono il passo al predominio della coscienza complessiva: perciò è soltanto possibile proporre una tale considerazione di massima. Quanto però gli individui procedano tuttavia per la loro strada, risulta particolarmente chiaro se si tiene presente che nella nostra epoca si sono ancor sempre rinnovate quelle quattro concezioni della filosofia, dopo che erano state messe in ombra da quella più importante. Infatti non si è ancora presa in esame la trasformazione più importante che la filosofia ha subìto, ossia quella che si ricollega al nome di Kant. Essa si colloca immediatamente dopo quella quarta fase, in cui la filosofia si è configurata come teoria della scienza. Che cosa vuol dire teoria della scienza?Rispetto ad altri oggetti teoria vuol dire la spiegazione di dati fenomeni in base alle loro cause e la determinazione delle leggi secondo cui si compiono i processi causali del gruppo di fenomeni in questione. Nel medesimo senso si concepiva prima di Kant anche il compito della filosofia: essa doveva comprendere la scienza. Essa doveva cioè spiegare l'origine delle rappresentazioni e mostrare le leggi secondo cui esse si trasformano in prospettive scientifiche, in concetti generali e in relazioni tra concetti fondate su giudizi. È del tutto evidente che, se la filosofia viene così intesa come una scienza che deve spiegare geneticamente il pensiero scientifico, si risolve completamente in indagini sulle leggi di sviluppo dello spirito: essa è allora per metà psicologia individuale, per metà storia della cultura vale a dire quello che i Francesi chiamano ideologia”. Essa 2. Il termine, coniato da Destutt de Tracy negli El4ments d’idbologie (1801-4), designa quella corrente filosofica che, richiamandosi a Condillac, ne sviluppa l’impostazione gnoscologica nel senso di un'analisi del processo di formazione delle idee, dei loro rapporti e della loro combinazione. mostra in base a quali leggi generali viene a formarsi, secondo una necessità naturale, la certezza dell’individuo e il modo di rappresentazione dei popoli civili. Da ciò si comprende la tendenza psicologica che caratterizza tutte le manifestazioni significative della filosofia nel secolo precedente Kant. Questa filosofia è quindi essenzialmente un'applicazione di conoscenze psicologiche e storiche al concetto della scienza: essa si propone di spiegarla nello stesso modo degli altri fatti spirituali. È però facile trovare che tale trattazione, fondata sul procedimento delle altre scienze, non soddisfa affatto lo scopo per cui si andava alla ricerca di quella teoria della scienza . Infatti il compito di una teoria del genere dovrebbe appunto essere non soltanto quello di distinguere e di descrivere, tra l’intera massa delle rappresentazioni e dei nessi delle rappresentazioni, quelle che sono di solito designate come scientifiche, ma di mostrare perché proprio a queste competa un valore di verità, in modo che non solo vengano generalmente riconosciute di fatto come scientifiche, ma meritino di essere riconosciute come tali. Si voleva appunto sapere da che cosa dipende il fatto che le conoscenze acquisite dalla scienza posseggono un valore necessario che oltrepassa la loro origine accidentale, e in quale modo la scienza debba procedere per assicurare ai suoi risultati tale valore. Questo problema non può essere risolto indicando il processo conforme alle leggi naturali attraverso cui viene prodotto, negli individui o nella specie, ciò che pretende al titolo di scienza. Tale necessità naturale di origine psicologica si ritrova infatti senza eccezione in tutte le rappresentazioni e i rapporti tra rappresentazioni; in essa non c'è mai un criterio per decidere sulla questione del valore. Se la filosofia prekantiana trattava quindi sempre il problema gnoseologico nel senso di cercare l’origine delle rappresentazioni, e portava avanti il dibattito sulla questione se le nostre conoscenze siano fondate, per quanto riguarda la loro origine, sull’esperienza o su concetti innati, o su entrambi (e secondo quali rapporti tra i due termini), sul terreno di questa impostazione psicologica il problema non poteva mai essere deciso. Per la psicologia può essere interessante stabilire se una rappresentazione è sorta per l'una o per l’altra via: ma per la teoria della conoscenza la questione è soltanto se le rappresentazioni siano valide, cioè se possano essere riconosciute come vere. La grandezza di Kant risiede proprio nel fatto che, con un lavoro intellettuale indicibilmente arduo e complicato, si è elevato al di sopra dei pregiudizi della filosofia della sua epoca fino al punto di vista secondo cui per il valore di verità di una rappresentazione è del tutto indifferente il processo naturale del suo pervenire alla coscienza. Il modo e la maniera in cui, sulla base di leggi psicologiche, perveniamo come individui, come popoli, come genere umano alla produzione di determinate rappresentazioni e alla fede nella loro correttezza, non decidono per nulla del loro valore assoluto di verità. Il processo naturale del corso della rappresentazione può, nell’individuo come in tutti, condurre egualmente all’errore come alla verità; esso domina dovunque, e perciò la sua indicazione non costituisce una prova della validità di certe rappresentazioni in antitesi ad altre. Se in definitiva anche Kant si è visto quindi costretto, nella sua rinuncia alla precedente metafisica, a definire la filosofia come metafisica non delle cose ma del sapere, per lui questa teoria della conoscenza non era una storia dello sviluppo individuale o storico-culturale, e neppure una teoria genetico-psicologica, bensì un’indagine critica. Poco importa come, per quali motivi e secondo quali leggi sono pervenuti alla coscienza, nell’individuo o nel genere umano, quei giudizi per i quali si pretende una validità universale e necessaria la filosofia non indaga la loro causalità, bensì la loro fondazione: essa non è spiegazione, ma critica. Non è qui il luogo* di approfondire con quali mezzi e in a. A. questo proposito l’autore rimanda all’esposizione della filosofia kantiana, condotta dal punto di vista sopra sviluppato, che è contenuta nella sua Geschichte der neueren Philosophie, Leipzig, 4° ed. 1907, vol. II. Per coloro che si occupano più da vicino di questa difficile questione, aggiungo esplicitamente che la soluzione del problema, i suoi presupposti e il suo metodo devono essere tratti unicamente dalla Critica della ragion pura, mentre i Prolegomeni espongono soltanto la storia della scoperta kantiana, cioè il processo psicologico attraverso cui egli è stato condotto alla comprensione di questa verità . Cfr. anche la mia Geschichte der Philosophie. quale modo Kant abbia compiuto questa critica, o mostrare come abbia faticosamente elaborato il nuovo principio per sottrarlo agli intrecci di una considerazione psicologistica. Qui è sufficiente far risalire in piena chiarezza il concetto assolutamente nuovo di filosofia che la critica kantiana ha inaugurato. In quanto filosofia teoretica, essa vuol essere soltanto un’indagine sulla legittimità con cui si attribuisce a certe rappresentazioni e rapporti tra rappresentazioni il carattere di una superiore necessità e validità universale, che oltrepassano la necessità dell’origine empirica. Le rappresentazioni vanno e vengono; come ciò avvenga, può spiegarlo la psicologia: la filosofia indaga quale sia il valore che ad esse spetta dal punto di vista critico della verità. Questo principio, sviluppato dapprima per la teoria della conoscenza e nell’elaborazione del suo compito specifico, viene da Kant esteso con grande consequenzialità. La conoscenza scientifica non è l’unico campo della vita psichica in cui noi distinguiamo tra i fenomeni condizionati per quanto riguarda il loro processo causale in modo conforme a leggi naturali quelli a cui si attribuisce un valore necessario e universalmente valido e quelli in cui ciò non avviene. Nel campo morale assumiamo lo stesso valore, completamente indipendente dal modo di origine psicologica, per valutare la bontà o la cattiveria delle azioni, dei sentimenti e dei caratteri; nel campo estetico lo assumiamo per valutare quei sentimenti particolari che, senza alcun riferimento a scopi consapevoli o a interessi di qualsiasi specie, caratterizzano il loro oggetto come gradevole o sgradevole. In entrambi questi campi spetta quindi alla filosofia il compito, del tutto parallelo al compito della teoria della conoscenza, di indagare la legittimità di tali pretese. Anche qui non si tratta di una quaestio facti, ma di quaestio iuris. In questa generalizzazione la filosofia critica si manifesta come la scienza delle determinazioni di valore necessario e universalmente validi. Essa indaga se esista una scienza, cioè un pensiero che possegga con validità universale e necessaria il valore della verità; indaga se esista una morale, cioè un volere e un agire che posseggano con validità universale e necessaria il valore del bene; indaga se esista un'arte, cioè un intuire e un sentire che posseggano con validità universale e necessaria il valore della bellezza. In tutte queste tre parti la filosofia sta dinanzi al suo oggetto e quindi nella prima parte, quella teoretica, anche dinanzi alla scienza non come le altre scienze stanno di fronte ai loro oggetti particolari, bensì criticamente, cioè in modo da sottoporre a esame il materiale effettivo del pensare, del volere, del sentire in base allo scopo della validità universale e necessaria, e in modo da escludere e da respingere tutto quanto non regge a questo esame. In tal modo per citare soltanto l’esempio più eminente e più noto Kant dimostra che la metafisica nel vecchio senso di scienza dell’intuizione del mondo non può essere stabilita con validità universale, per quanto necessariamente l'impulso psicologico del sapere possa condurre a ciò. È facile capire in quale rapporto specifico, di comprensività e tuttavia di completa trasformazione, questa nuova determinazione concettuale della filosofia stia con quelle precedenti. Questa filosofia lascia cadere completamente la pretesa di costituire tutta la scienza; ma in quanto indaga nella sua parte teoretica i fondamenti su cui poggia la validità universale di ogni pensiero scientifico, assume l’intero ambito delle scienze come proprio oggetto. Essa lascia però a una scienza particolare alla psicologia il compito di comprendere la storia evolutiva e la conformità alle leggi di questo suo oggetto, per indagare da parte sua su che cosa si fonda il valore di verità delle rappresentazioni, quale che ne sia l’origine. In quanto però estende questa sua critica a tutte le determinazioni di valore universalmente valide dello spirito razionale, essa appare come indagine generale sui valori supremi; e se la trasformazione successiva del senso del termine filosofia era caratterizzante del signiftcato attribuito nelle varie epoche alla conoscenza scientifica, nella risposta complessiva alle questioni critiche fornita con le sue tre grandi opere Kant diede anche una formulazione totalmente nuova di questo interesse, cioè una formulazione adeguata alle condizioni della cultura contemporanea *?. Come si è già ricordato, molto tempo doveva trascorrere prima che il principio kantiano fosse inteso e pervenisse a un a. Si veda, in questo stesso volume, il discorso su Kant [Immanuel Kant: zur Sikularfeser seiner Philosophie, in Praludien. predominio esclusivo. Tra i suoi successori Herbart è stato quello che vi si è maggiormente attenuto dal punto di vista formale. Altri hanno immediatamente tradotto i suoi risultati in una metafisica o in una scienza filosofica universale, le cui determinazioni ultime essi dovevano poi, per esplicita ammissione, cercare in postulati etici o in intuizioni estetiche. Molti hanno pensato di limitare nuovamente la filosofia a una teoria della conoscenza, e la maggior parte di questi sono ricaduti, o con indagini autonome o riproducendo teorie del secolo xvni, nella tendenza psicologica. Non sono mancate neppure le richieste di ricondurre la filosofia a un’indagine esclusiva di ciò che ha significato per gli scopi pratici della vita umana. Tutti questi tentativi sottostanno all’uno o all’altro pericolo: essi negano il carattere specifico della filosofia facendone o una scienza in generale o una scienza delimitata in modo preciso rispetto alle altre. Nel primo caso fanno della filosofia un romanzo di concetti, nell’altro un ragù composto di rifiuti provenienti dalla psicologia e dalla storia della cultura. La filosofia può rimanere o diventare scienza autonoma soltanto se porta alle estreme conseguenze, con pienezza e rigore, il principio kantiano. Senza quindi disconoscere la mutevolezza storica del significato del termine filosofia , senza rifiutare a nessuno il diritto di chiamare filosofia ciò che gli aggrada, faccio per l'appunto uso di questo diritto derivante dalla mancanza di un saldo significato storico sulla base dell’analisi storica sviluppata intendendo per filosofia in senso sistematico, e non storico, la scienza critica dei valori universalmente validi. La scienza dei valori universalmente validi designa gli oggetti; la scienza critica designa il metodo della filosofia. Sono convinto che tale concezione non è che Ja realizzazione compiuta dell'idea fondamentale di Kant. Ma non mi sarei mai permesso di pretendere per questa definizione il nome di filosofia se non potessi dimostrare in modo convincente indipendentemente dallo sviluppo storico, e senza fare uso delle formule della dottrina kantiana la necessità di una scienza particolare del genere, in cui il nome svolazzante di filosofia possa trovare un solido appiglio. Da quando Kant ha fatto stare in piedi l’uovo di Colombo, non è difficile ripetere il trucco. WILHELM WINDELBAND 293 Tutte le proposizioni in cui esprimiamo i nostri punti di vista si distinguono, nonostante l'apparente identità grammaticale, in due classi che devono essere esattamente separate l’una dall’altra: i giudizi e le valutazioni. Nei primi viene espressa la connessione tra due contenuti rappresentativi, nelle seconde è espresso un rapporto della coscienza giudicante con l'oggetto rappresentato. Vi è una fondamentale differenza tra le due proposizioni questa cosa è bianca e questa cosa è buona , nonostante che la loro forma grammaticale sia del tutto identica. In entrambi i casi al soggetto (secondo la forma grammaticale) viene attribuito un predicato; ma questo predicato è in un caso in quanto predicato del giudizio una determinazione compiuta in sé, ricavata dal contenuto di ciò che è oggettivamente rappresentato, nell'altro è in quanto predicato della valutazione una relazione che rimanda a una coscienza la quale pone uno scopo. In un giudizio si esprime ogni volta il fatto che una determinata rappresentazione (il soggetto del giudizio) viene pensata in una relazione, diversa secondo le diverse forme di giudizio, con un’altra determinata rappresentazione (predicato del giudizio). In una valutazione, invece, a un oggetto rappresentato nella sua completezza, e quindi presupposto come conosciuto (il soggetto della proposizione valutativa), viene aggiunto il predicato della valutazione, mediante il quale non si accresce affatto la conoscenza del soggetto in questione, ma si esprime il sentimento di approvazione o di disapprovazione con cui la coscienza valutante sta in rapporto con l’oggetto rappresentato. Tutti i predicati del giudizio sono quindi rappresentazioni positive, le quali si riferiscono al mondo rappresentato come concetti di genere, come qualità, attività, stati, rapporti ecc. Una cosa è il corpo, che è grande, duro, dolce ecc., che si muove, urta, si arresta, ne trascina altri ecc. Tutti i predicati della valutazione sono invece espressioni dell'accordo o disaccordo da parte della coscienza rappresentante: una cosa è gradevole o sgradevole, un concetto è vero o falso, un'azione è buona o cattiva, un paesaggio è bello o brutto ecc. È chiaro che una valutazione non contribuisce affatto alla comprensione dell'essenza dell’oggetto valutato. La cosa deve anzi essere presupposta come nota, cioè come compiutamente rappresentata, prima che abbia un senso dire di essa che è gradevole, buona, bella ecc. E tutti questi modi di predicare della valutazione hanno senso soltanto nella misura in cui si prende in esame se l'oggetto rappresentato corrisponda o no a uno scopo in base al quale la coscienza valutante lo concepisce. Ogni valutazione presuppone, come sua misura, uno scopo determinato, e ha senso e significato soltanto per chi riconosce tale scopo. Ogni valutazione compare quindi nella forma alternativa dell’approvazione o della disapprovazione. Il soggetto rappresentato della proposizione corrisponde o non corrisponde allo scopo, e per quanto diversi siano i gradi di corrispondenza o di non corrispondenza (cioè di contraddizione), e altrettanto diversi siano quindi i gradi di approvazione e di disapprovazione, dev’esserci o accordo o disaccordo se si vuol parlare in generale di una valutazione conseguente. Questa distinzione tra giudizi e valutazioni sarebbe meglio compresa nel suo significato fondamentale e di ampia portata se non effettuassimo sempre una particolare combinazione tra i due elementi. I giudizi, cioè le connessioni puramente teoretiche tra rappresentazioni, che si compiono in forme diverse, vengono formulati nel processo della rappresentazione comune come nella vita scientifica solamente in quanto viene ad essi accordato o negato un valore che supera la necessità dell’associazione, conforme alle leggi naturali, cioè in quanto vengono dichiarati veri o falsi, affermati o negati. Nella misura in cui il nostro pensiero è orientato verso la conoscenza, cioè verso la verità, tutti i nostri giudizi sottostanno subito a una valutazione che esprime la validità o non validità della connessione tra rappresentazioni compiuta nel giudizio. Il giudizio puramente teoretico è dato propriamente soltanto nella domanda o nel cosiddetto giudizio problematico, nei quali si compie solamente un certo collegamento tra rappresentazioni, ma non ci si esprime sul loro valore di verità. Non appena un giudizio viene affermato o negato, insieme con la funzione teoretica si è compiuta anche quella di una valutazione dal punto di vista della verità. A questa valutazione che si aggiunge al giudizio non diamo nessuna espressione linguistica quando la valutazione è affermativa, poiché la tendenza al valore di verità dei giudizi viene presupposta come ovvia nella comunicazione, mentre la disapprovazione si esprime mediante la negazione. Ogni asserzione cosiddetta affermativa (A è B) implica quindi l’opinione che il giudizio, il quale connette le rappresentazioni A e B nel modo espresso, deve valere come vero; e ogni asserzione negativa (4 non è B) implica l’opinione che quel giudizio già espresso, o di cui si teme la formulazione, dev'essere ritenuto falso. Tutte le proposizioni conoscitive contengono quindi immediatamente una combinazione di giudizio e di valutazione: sono connessioni tra rappresentazioni del cui valore di verità si decide affermando o negando?*. La distinzione tra giudizio e valutazione è quindi della massima importanza, poiché su di essa si fonda l’unica possibilità che ci è rimasta di determinare la filosofia come scienza particolare, profondamente distinta dalle altre già in virtù dell’oggetto. Tutte le altre scienze devono infatti stabilire un giudizio teoretico: l'oggetto della filosofia è costituito invece dalle valutazioni. Le scienze particolari devono, in quanto scienze storiche o descrittive, formare giudizi che attribuiscano a determinati oggetti, dati all’interno dell'esperienza, determinati predicati in parte singolari e in parte costanti di qualità, di stati, di attività, di rapporti con altri oggetti; oppure, in quanto scienze esplicative, devono ricercare quei giudizi generali da cui è possibile derivare, come casi specifici, tutte le qualità, gli stati, le attività e le relazioni delle cose particolari. Una scienza naturale descrittiva constata che a una determinata cosa per esem a. Questa distinzione estremamente importante, anzi fondamentale per la logica tra i due elementi del giudizio , appena sfiorata da Descartes nella quarta Meditazione e trattata di sfuggita da J. F. Fries (Neue Kritik, Heidelberg, 1807, vol. I, p. 208 sgg.), è stata recata a una precisa comprensione soltanto nella logica moderna in virtù delle indagini sul giudizio negativo di C. Stowart (Logik, Tiibingen, 1873-78, vol. I, $ 20), di R. H. Lotze (Logik, Leipzig, 1874, p. 61) e specialmente di J. BercMann (Reine Logik, Berlin, 1879, vol. I, p. 177 sgg.). Dal punto di vista psicologico ha richiamato l’attenzione su di essa, anche se in forma barocca, F. Brentano (Psychologie, Wien, 1874, vol. I, p. 266 sgg.). Sull'argomento si vedano i mici Beitràge zur Lehre vom negativen Urteil, nelle Strassburger Abhandlungen zur Philosophie: Eduard Zeller zu seinem stebenzigsten Geburstage, Freiburg i.B. Tiibingen, 1884, pp. 165-95, e il saggio Vom System der Kategorien, nelle Philosophische Abhandlungen, C. Sigwart zu seinem siebzigsten Geburtstage, Tibingen. pio a una pianta o a un organismo psichico spettano questi o quei predicati, o in modo costante o subordinatamente a certe condizioni; una scienza storica deve accertare che singoli uomini o popoli si sono trovati in questi o quei rapporti, hanno compiuto queste 0 quelle azioni, hanno vissuto questi o quei destini. Una scienza esplicativa stabilisce col nome di leggi quei giudizi generali dai quali, nella loro qualità di premesse maggiori, deriva come conseguenza necessaria il corso dei mutamenti in cui le cose reali e le loro situazioni stanno in rapporto reciproco di causa o effetto. Le scienze matematiche, infine, formulano indipendentemente da qualsiasi evento temporale giudizi generali sulla necessità intuitiva con cui le forme spaziali e numeriche stanno tra loro in relazioni determinate. Tutti questi giudizi, per quanto siano particolari in un caso e generali nell’altro, per quanto variamente e diversamente si configuri il loro significato gnoseologico, contengono connessioni tra rappresentazioni, cioè connessioni tra un soggetto rappresentato e un predicato rappresentato, il cui valore di verità deve venir determinato dalla scienza. In base al presupposto che ad alcuni dei giudizi possibili si attribuisce la verità e ad altri no, le scienze cercano di stabilire l'ambito complessivo di quanto dev'essere oggetto di affermazione, e a tale scopo di negare con una motivazione esplicita ciò che rischia di essere affermato erroneamente. Esse compiono quindi nel campo del conoscere affermazioni e negazioni, approvazioni e disapprovazioni, e nella loro articolazione estendono tale attività a tutti gli oggetti accessibili in generale alla comprensione umana. Da questo punto di vista alla filosofia non rimane più niente da fare. Essa non può voler essere né una scienza descrittiva, né una scienza esplicativa, né una scienza matematica: trova tutti i gruppi di oggetti già occupati dalle scienze particolari, che si riferiscono ad essi in una di queste tre maniere, e consisterebbe soltanto di prestiti se volesse, con scelta arbitraria, abbracciarne qualcuno. Il compito della filosofia non può consistere nell’affermare o nel negare, come fanno le altre scienze, giudizi in cui devono venir riconosciuti, descritti o spiegati determinati oggetti. L'oggetto che ad essa rimane è costituito dalle valutazioni. Ma anche nei loro confronti deve, se vuol essere autonoma, porsi in un rapporto totalmente diverso da quello che le altre scienze hanno con i loro oggetti. La filosofia non deve né descrivere né spiegare le valutazioni: questo è compito della psicologia e della storia della cultura. Ogni valutazione è la reazione di un individuo che vuole e sente di fronte a un determinato contenuto rappresentativo. È un processo della vita psichica che risulta necessariamente per un verso dallo stato di bisogno, per l’altro dal contenuto della rappresentazione. Ma sia il contenuto della rappresentazione sia lo stato di bisogno sono a loro volta prodotti necessari del movimento complessivo della vita, Come tali essi devono venir compresi; e dal momento che non basta a spiegarli la psicologia individuale poiché gli scopi e i bisogni in base a cui l'individuo sottopone a esame il proprio contenuto rappresentativo per approvarlo o disapprovarlo sono per molti versi comprensibili soltanto in base al movimento della società bisogna far intervenire la storia dello sviluppo della cultura umana per comprendere in tutta la sua estensione l’origine conforme a leggi delle valutazioni e per riconoscere le leggi secondo cui procedono tali valutazioni. La trattazione psicologica e storico-evolutiva delle valutazioni e della loro conformità a leggi costituisce quindi di per sé un problema del tutto legittimo della scienza esplicativa dello spirito. La scienza esplicativa assolverebbe il suo compito soltanto in modo incompleto se si arrestasse di fronte a questi fatti. In base alle leggi psicologiche e ai movimenti dello spirito sociale è necessario spiegare in quale modo le forme di valutazione riconosciute nella nostra coscienza comune siano sorte attraverso il suo sviluppo naturale, come noi abbiamo imparato a distinguere il vero, il bene, il bello dai loro contrari, e come il modo e la maniera particolare in cui effettuiamo tali valutazioni, cioè la configurazione specifica che abbiamo assegnato a questi scopi supremi che determinano la misura e il valore, siano condizionati dalla necessità della nostra storia. Queste indagini corrispondono perciò a un compito incontestabile della scienza: non costituiscono una disciplina autonoma, ma devono essere messe insieme da vari capitoli della psicologia e della storia della cultura. Chi voglia chiamare filosofia queste combinazioni quanto mai interessanti come fanno fin dall’e 298 WILHELM WINDELBAND tà illuministica i filosofi inglesi e francesi e come, imitandoli, è accaduto qua e là anche da noi /adeat sibi: non intendiamo discutere sui nomi. Però dobbiamo protestare in nome della filosofia tedesca inaugurata da Kant se con tale denominazione si vuol importare anche da noi l’opinione superficiale che non esista, al di là di questa storia dello sviluppo psicologico e storico-culturale, nessun compito scientifico superiore. La filosofia, quale noi la intendiamo, ha un punto di partenza del tutto diverso. Tutte le valutazioni che si compiono negli individui e nella società sono prodotti necessari della vita psichica. Da questo punto di vista esse sono tutte egualmente legittime: comunque siano apparse, hanno tutte una volta apparse una causa sufficiente. Senza di queste, infatti, non sarebbero apparse. Come fatti empirici, quali vengono spiegati dalla psicologia e dalla storia evolutiva, esse semplicemente esistono alla stessa stregua. Appartengono alla realtà empirica e, come oggi ogni altra cosa, hanno cause sufficienti di esistenza e le loro leggi di origine e di movimento; sottostanno a tali leggi come gli oggetti a cui le valutazioni si riferiscono e che, in quanto fatti empirici, sono sottoposti alla stessa necessità naturale conforme a leggi. Le sensazioni e le rappresentazioni con i sentimenti di piacere e dispiacere che esse suscitano; le connessioni tra rappresentazioni insieme alla certezza con cui vengono dichiarate vere o false; le determinazioni della volontà e le azioni, come le valutazioni in virtù delle quali vengono caratterizzate come buone o cattive; le intuizioni e i sentimenti che le valutano come belle o brutte tutto questo è, come fatto empirico dello spirito umano individuale o generale, prodotto necessario di condizioni e leggi date. Tuttavia e questo è il fatto fondamentale della filosofia siamo incrollabilmente convinti che, accanto a questa necessità naturale che coinvolge tutte le valutazioni e i loro oggetti senza eccezione, vi sono certe valutazioni le quali valgono in modo assoluto anche se di fatto non pervengono a un riconoscimento 0 per lo meno non pervengono a un riconoscimento generale. Certamente ognuno pensa necessariamente così come pensa, e ritiene vere le rappresentazioni sue o di altri perché tali deve necessariamente ritenerle: tuttavia siamo convinti che di fronte a questa necessità del ritenere vero, che si compie secondo una legalità naturale, vi è wna determinazione di valore assoluta in base a cui si deve decidere del vero o del falso, non importa che ciò accada o no di fatto. Noi tutti abbiamo questa convinzione: infatti nella misura in cui dichiariamo vera una qualsiasi rappresentazione in base al corso necessario del nostro rappresentare, questa dichiarazione non significa altro se non la pretesa che ciò debba valere non soltanto per noi, ma per tutti gli altri. Non importa se tale pretesa venga soddisfatta nel caso singolo, se sia giustificata nel caso singolo: ma è chiaro che la valutazione delle rappresentazioni dal punto di vista della verità presuppone un criterio assoluto di questo genere, che deve valere per tutti. La stessa cosa vale per i campi dell'etica e dell’estetica. Certamente ciò che uno giudica buono o cattivo da un lato, bello o brutto dall’altro, è condizionato secondo leggi dalla situazione culturale e dal corso della vita personale di ciascuno; ma in entrambi i casi le predicazioni in tal modo espresse implicano la pretesa di valere per tutti e di essere necessariamente riconosciute da ognuno nello stesso modo. Per quanto queste valutazioni si configurino in modo relativo nella loro realtà empirica, si elevano pur sempre alla pretesa di una validità assoluta, e trovano il loro senso nel presupporre la possibilità di una valutazione assoluta. Sono questa pretesa e questo presupposto a distinguere le tre forme caratteristiche di valutazione che possiamo chiamare di valutazione logica, etica ed estetica da tutte le mille forme di valutazione in cui si esprime soltanto il sentimento individuale di piacere o dispiacere per un oggetto rappresentato. A chi prova piacere per un colore, a chi gusta una cosa *, a chi prova gioia in un oggetto perché ne trae un qualche vantaggio non capiterà mai, purché sia provvisto di buon senso, di pretendere che tutti gli altri facciano propria la sua valutazione. La conformità alle leggi delle funzioni psicologiche comporta certamente il fatto che in esseri organizzati in modo eguale o analogo tendano a comparire le stesse sensazioni, e con la stessa intensi a. Il modo di esprimersi abituale parla, con la fluidità delle sue designazioni, anche di un gustare e di un odorare buono o bello . È auspicabile che nell’espresssione scientifica si eviti sempre questa negligenza. tà di sentimento. Ma se, in virtù di qualche disturbo abituale o di una disposizione momentanea, questo o quell’individuo diverge da questa maniera generale di sentire, in ciò non vediamo una cosa degna di particolare attenzione e non ce ne stupiamo affatto. Quanto più però risaliamo da queste tonalità elementari del sentire ai sentimenti molto più vari e complessi di piacere e dispiacere, che sono connessi a rappresentazioni composte di cose e di rapporti tra cose, tanto più si restringe senza che ciò ci meravigli o ci colpisca l’accordo tra gli individui. La molteplicità delle combinazioni non consente, nonostante l’identità conforme a leggi dei processi fondamentali, un'identità di risultati. Nessuno presuppone una validità universale per i propri sentimenti di piacere o di dispiacere; nessuno pensa neppure che vi sia un criterio assoluto con cui determinare per chiunque la valutazione del carattere gradevole delle cose. Una pretesa siffatta non ha senso, e un’edonistica, cioè una dottrina del piacere, può essere soltanto un capitolo della psicologia e della storia evolutiva, mai una disciplina filosofica. Chi addossa quindi alla filosofia Ia responsabilità di decidere nella polemica tra ottimismo e pessimismo, chi esige da essa che pronunci un verdetto assoluto sulla questione se il mondo sia più adatto alla produzione di piacere che di dispiacere o viceversa, costui lavora supposto che proceda a un livello superiore al dilettantismo in base all’illusione di trovare una determinazione assoluta per un campo in cui nessun uomo ragionevole l’ha mai cercata. Di una valutazione dell’universo dal punto di vista edonistico si potrebbe infatti parlare soltanto se esistesse un metro di legittimazione per i sentimenti soggettivi di piacere e dispiacere. Ma siccome questo manca, agli ottimisti e ai pessimisti non rimane che mettersi a fare un calcolo approssimativo dei singoli sentimenti empirici di piacere e di dispiacere e una valutazione dei loro rapporti di quantità e di intensità, che è priva di qualsiasi base solida. Se qualcuno vuol chiamare tutto ciò filosofia, fabeat sibi; io lo considero una scarica dell'impulso al piacere, che appartiene alla storia della patologia del pensiero umano?. a. Cfr. il mio Der Pessimnismus und die Wissenschaft, Der Salon. Una volta esclusa l’edonistica rimangono soltanto tre forme di valutazione in cui la pretesa di universalità si impone come elemento essenziale cioè le forme caratterizzate dalle tre coppie di concetti del vero e del falso, del bene e del male, del bello e del brutto. Vi sono dunque soltanto tre scienze fondamentali propriamente filosofiche: la logica, l’etica e l'estetica. La psicologia * è una scienza empirica in parte descrittiva e in parte esplicativa; la metafisica nel vecchio senso di un sapere dogmatico concernente i fondamenti ultimi di tutta la realtà è un’assurdità: invece la teoria della conoscenza, la filosofia della natura, la filosofia della società e della storia, la filosofia dell’arte e la filosofia della religione sono legittimate solamente in quanto vengano trattate non in senso metafisico ma in senso critico, dal punto di vista di quelle tre scienze filosofiche fondamentali, come loro ramificazioni, applicazioni o integrazioni. In tutte e tre occorre quindi prendere in esame la pretesa della valutazione logica, etica ed estetica a una validità universale. Bisogna osservare subito che a un’identica impostazione problematica corrisponde un’indagine metodologicamente identica e sistematicamente parallela per le tre discipline; ma non per questo viene minimamente condizionata o pregiudicata un'identità del risultato e della risposta. Si potrebbe per esempio pensare che la filosofia critica confermi il diritto della valutazione logica a una validità universale, e che invece si veda costretta o a respingere del tutto o a riconoscere soltanto con limitazioni assai rilevanti la pretesa corrispondente in uno degli altri due campi. In questo caso il campo in questione sarebbe totalmente abbandonato, proprio a causa della mancanza di un criterio assoluto, alla trattazione psicologica e storico-evolutiva. Ma poiché è presente la pretesa a una validità universale, e poiché tale pretesa non può venir presa in esame né dalla scienza descrittiva né dalla scienza esplicativa, dev’esserci assolutamente un'indagine filosofica, anche se questa dovesse portare a risultati semplicemente negativi. Anche chi dovesse dunque pervenire con indagini critiche o anche mediante una prevenzio a. Ho già difeso la causa della completa separazione della psicologia dalla filosofia nella mia prolusione zurighese Uber den gegenivàrtigen Stand der psychologischen Forschung, Leipzig. ne più o meno chiara alla convinzione che nell’uno o nell’altro di questi campi o anche in tutti e tre sono possibili sempre e soltanto valutazioni relative (come avviene nel campo dell’edonistica) e mai valutazioni assolute, sarebbe tuttavia costretto ad ammettere il fatto della pretesa a quest'ultime, e pertanto a concedere la legittimità dell’impostazione filosofica. E solo di questo qui si tratta: non si debbono anticipare i risultati della filosofia. Se l’oggetto della filosofia è così determinato, ci si domanda in che cosa consista la critica a cui esso deve venir sottoposto, e quale sia il procedimento scientifico che la rende possibile. Se qui si è sempre parlato anzitutto della pretesa alla validità universale e alla necessità delle valutazioni logiche, etiche ed estetiche, occorre indicare con maggiore esattezza che questa validità universale non è una validità di fatto e che la necessità non è necessità causale. Chi è convinto della verità di un giudizio è di solito ben lontano dal credere che questo giudizio sia riconosciuto, o anche soltanto possa venir riconosciuto, da tutti. Nella nostra lotta per la verità, l’universalità effettiva del riconoscimento è una prospettiva del tutto esclusa. D'altra parte, per situazioni culturali inferiori c'è senza dubbio una validità universale effettiva di rappresentazioni e di modi di valutazione che sono manifestamente erronee e sbagliate. L'importante non è quindi che tutti gli esemplari della specie Homo sapiens siano unanimi nel riconoscimento di un giudizio; e neppure è possibile trovare, attraverso un’induzione comparativa delle valutazioni reali, una validità universale in senso filosofico. Poiché cause identiche hanno effetti identici è possibile e accade di fatto in mille modi che gli stessi motivi provochino ovunque lo stesso errore. Per la verità o la falsità di una rappresentazione è del tutto indifferente il numero degli uomini che la riconoscono o la respingono. La validità universale di cui qui si tratta non è una validità di fatto, bensì ideale; non è una validità reale, ma una validità che dovrebbe essere. Lo stesso discorso vale per la necessità di queste valutazioni. Causalmente necessarie sono sia la pazzia sia la saggezza, sia il peccato sia la virtù, sia il sentimento della bellezza sia il suo contrario. Il sole della necessità naturale splende sui giusti come sugli ingiusti. La necessità con cui sentiamo la validità delle determinazioni logiche, etiche ed estetiche è anch'essa una necessità ideale: non è una necessità dell’essere costretti e del non poter altrimenti, ma del dover essere e del non dover fare altrimenti. È quella necessità superiore che non si esaurisce completamente nella necessità naturale a cui sono sottoposti il nostro rappresentare, il nostro volere e il nostro sentire; è la necessità del dover essere. Nessuna legge naturale costringe l’uomo a pensare, a volere e a sentire nel modo in cui dovrebbe sempre pensare, volere e sentire secondo la necessità logica, etica ed estetical Se quindi la filosofia deve stabilire i princìpi della valutazione logica, etica ed estetica, non può limitarsi a chiedersi quali determinazioni abbiano in questi campi una validità universale, oppure a indagare quali si facciano valere o si siano fatte valere con una necessità psicologica e storico-evolutiva. In nessuna di queste due direzioni si può trovare un criterio di ciò che deve avere validità. La massa, o anche soltanto la maggioranza, non è il tribunale di fronte a cui si decide il valore assoluto, e la dimostrazione delle cause del suo comportamento non è una fondazione della sua legittimità. D'altra parte nell’energia con cui il singolo si attiene, contro un mondo che lo contraddice, a ciò che ha riconosciuto per vero, buono o bello, non si manifesta l’ostinazione dell’arbitrio individuale ma un impulso della convinzione che in lui si è fatto strada qualcosa che dovrebbe valere per tutti e di cui non può fare a meno. Entro la necessità naturale del movimento della storia umana, certamente, la difesa di questa convinzione può sembrare disperatamente analoga all’illusione personale: lo scopritore di una nuova verità, il riformatore della vita etica, il creatore di una nuova arte appare ai suoi contemporanei e forse anche a molte generazioni di posteri come un infatuato. Ma per quanto sia difficile, anzi impossibile decidere nel singolo caso quale dei due fenomeni sia presente in un dato momento, tuttavia noi tutti crediamo nella possibilità di distinguere, noi tutti siamo convinti che anche se non sempre lo comprendiamo, e soprattutto se non lo comprendiamo subito esiste un diritto del necessario in senso superiore che dovrebbe valere per tutti. Noi crediamo in una legge superiore a quella dell'origine naturale di tutte le nostre valutazioni: crediamo a un diritto che ne determina il valore. Ho detto che tutti ci crediamo. Non dimentico così quei teorici del relativismo che in tutte queste determinazioni e convinzioni non vedono altro che prodotti necessari della società umana? Ma essi non intendono presentare la loro teoria soltanto come si trattasse di una semplice opinione; vogliono anzi provarla e dimostrarla. E che cosa significa dimostrare? Significa presupporre che al di sopra della necessità del movimento delle rappresentazioni c'è una necessità superiore che tutti dovrebbero riconoscere. Chi dimostra il relativismo, lo annienta. Il relativismo è una teoria in cui nessuno ha ancora veramente creduto, in cui nessuno potrebbe credere: è una fable convenue?. Perciò ovunque la coscienza empirica scopre in sé questa necessità ideale di ciò che deve valere universalmente, si imbatte in una coscienza normale, la cui essenza consiste per no: nel fatto che noi siamo convinti che essa debba essere reale, del tutto indipendentemente dalla realtà che riveste nel dispiegarsi della coscienza empirica, sottoposto alla necessità naturale. Per quanto ristretto sia il grado e l’ambito in cui questa coscienza normale penetra quella empirica e si fa valere all’interno di essa, ciononostante tutte le valutazioni logiche, etiche ed estetiche sono costruite in base alla convinzione che esista una coscienza normale a cui dobbiamo elevarci se le nostre valutazioni debbono pretendere una validità universale necessaria: una coscienza normale che non vale nel senso del riconoscimento fattuale, ma che dovrebbe valere e che perciò costituisce non già una realtà empirica, ma un ideale in base a cui dev'essere commisurato il valore di ogni realtà empirica. Le leggi di questa coscienza in generale secondo l’espressione kantiana non sono più leggi naturali, che valgono in ogni circostanza e secondo cui devono configurarsi i singoli fatti, ma sono invece norme, che devono appunto valere e la cui realizzazione determina il valore di ciò che è empirico. a. Su questo, come su ciò che segue, si veda più particolarmente il saggio Kritische oder genetische Methode?, raccolto in questo stesso volume [Préludien. La filosofia non è quindi altro che la riflessione su questa coscienza normale, l'indagine scientifica intorno a quelle, tra le determinazioni di contenuto e le forme della coscienza empirica, che rivestono valore di coscienza normale. Nella coscienza empirica di un individuo, dei popoli, dell’umanità esse sorgono necessariamente così come sorgono stupidità, abiezioni, mancanza di gusto: compito della filosofia è di rintracciare, entro il caos dei valori individuali o effettivamente universali, quelli a cui inerisce la necessità della coscienza normale. In nessun caso è possibile derivare tale necessità da qualcosa: la si può soltanto indicare; essa non viene prodotta, ma solo recata alla coscienza. L'unica cosa che la filosofia può fare è di lasciar scaturire questa coscienza normale dai movimenti della coscienza empirica e di confidare nell’evidenza immediata con cui la sua normalità, non appena giunta a chiara coscienza, si mostra operante e valida in ogni individuo, così come essa deve valere. Un principio come il principio logico di non contraddizione, o un principio come il principio morale della coscienza del dovere, non sono dimostrabili. Nella vita reale delle rappresentazioni e della volontà si può soltanto recarli alla coscienza, a una chiara formulazione, e occorre confidare che in ognuno, purché si rifletta seriamente, la coscienza normale si faccia valere e riconoscere con evidenza immediata. Non potremmo più avere alcun rapporto logico e scientifico con chi rifiutasse la validità delle leggi del pensiero; non potremmo intenderci moralmente con chi rifiutasse qualsiasi dovere. Il riconoscimento della coscienza normale è il presupposto della filosofia: è, in astratto, il medesimo presupposto che sta in concreto a fondamento di tutta la vita scientifica, etica ed estetica. Ogni intesa su qualcosa che gli individui debbono riconoscere al di sopra di sé come norma valida, presuppone questa coscienza normale. La filosofia è quindi la scienza della coscienza normale. Essa penetra la coscienza empirica per stabilire in quali punti emerga in questa tale validità universale normativa. È essa stessa un prodotto della coscienza empirica, e non si contrappone a questa come qualcosa di proveniente dall’esterno; ma poggia sulla convinzione costitutiva di ogni valore della vita umana che in mezzo ai movimenti naturali della coscienza empirica abbia una necessità superiore, e indaga i punti in cui questa viene alla luce. Questa coscienza in generale è quindi un sistema di norme che, come valgono oggettivamente, così devono pure valere soggettivamente, e tuttavia soltanto in parte valgono nella realtà empirica della vita spirituale dell’uomo. Solamente in base ad essa si determina il valore del reale. Queste norme rendono pertanto possibile formulare valutazioni universalmente valide per la totalità degli oggetti che vengono conosciuti, descritti e spiegati nei giudizi delle altre scienze. La filosofia è la scienza dei princìpi della valutazione assoluta. Non si incorrerebbe in contraddizione se si sostenesse che questa coscienza normale è ciò che il linguaggio popolare intende propriamente col termine ragione , cioè l'elemento sovraindividuale che deve valere universalmente, e perciò si potrebbe chiamare la filosofia scienza della ragione. Ma preferisco rinunciare a questa denominazione perché il termine ragione è stato usato dai filosofi tedeschi con significati così diversi che il suo impiego in una definizione sarebbe equivoco e darebbe luogo a vari malintesi. La filosofia come scienza della coscienza normale è essa stessa un concetto ideale che non è realizzato e la cui realizzazione come risulterà anche in seguito è possibile solo entro certi limiti: le fondamenta per la sua costruzione sono state poste dalla filosofia kantiana. Ma dal punto di vista di questo concetto anche ciò che si chiama storia della filosofia, e che dev'essere trattato come tale, acquista subito un altro aspetto ben definito. La validità della coscienza normale come misura assoluta di valutazione logica, etica ed estetica sta sì, come presupposto imprescindibile, a base di tutte le funzioni superiori dell’uomo e soprattutto di quelle che, in quanto prodotti della cultura sociale, hanno come contenuto la creazione e la conservazione di ciò che sta al di sopra dell’arbitrio degli individui; ma si manifesta in primo luogo come impregiudicata e ovvia subordinazione a una coscienza complessiva prodotta dal processo necessario dell'anima del popolo. Soltanto in seguito alla scossa che questo subisce subentra la riflessione su una misura ideale a cui tutti dovrebbero piegarsi, e da tale riflessione si sviluppa la tendenza a elevarsi a questa coscienza normale, a farla valere nella coscienza empirica. Ma lo spirito umano non si identifica con questa coscienza ideale: esso sottostà alle leggi del suo movimento naturale, e soltanto a tratti conduce a un risultato in cui si afferma l’evidenza immediata della validità normativa. Il processo storico dello spirito umano può quindi essere considerato dal punto di vista secondo cui si è gradualmente manifestata in esso in mezzo al lavoro sui singoli problemi, al mutare dei suoi interessi, all’intreccio dei suoi fili particolari la coscienza delle norme, e secondo cui esso rappresenta, nel suo movimento progressivo, una penetrazione sempre più profonda e comprensiva della coscienza normale. Nulla impedisce di concepire, in base a questa determinazione del concetto di filosofia, la progressiva consapevolezza delle norme come il senso autentico della storia della filosofia. Questa è appunto una delle linee che, muovendo da un saldo concetto della filosofia, si può ricostruire all’interno della storia, senza però pretendere di abbracciare in tal modo tutto il suo contenuto così ramificato. Questa linea corre lungo le vette che, sull’ampio sfondo delle altre rappresentazioni, hanno raggiunto l’etere della coscienza normale, e designa anche le più alte frastagliature dello sviluppo storico-culturale. Infatti la riflessione sulle norme assolute è semplicemente il prodotto di ogni attività culturale, e alla filosofia rivendichiamo soltanto il compito di recarle alla coscienza nella loro connessione e nella loro articolazione necessaria, attraverso una indagine scientifica. Una storia della filosofia di questo genere sarebbe quindi una scelta che dovrebbe mostrare il progresso graduale in cui lo spirito scientifico ha lavorato alla soluzione del compito che abbiamo qui formulato. Perciò essa non cessa affatto di essere una scienza empirica, come dev'essere appunto ogni disciplina storica. Se si considera la storia dal punto di vista di un compito da risolvere, allora si ha soprattutto il dovere di indicare il processo causale attraverso cui essa ha proceduto per fasi successive alla sua soluzione. I compiti non si realizzano da soli; essi vengono realizzati. Anche le determinazioni della coscienza normale a cui il pensiero filosofico si innalza sono venute alla luce nel processo naturale del movimento storico del pensiero, come determinazioni di contenuto della coscienza empirica. La storia della filosofia deve cogliere questa loro origine empirica, senza pregiudizio del valore che ad esse spetta quando sono penetrate nella coscienza empirica in virtù della loro evidenza normativa ?. Perciò questa concezione non dev'essere interpretata nel senso che essa statuisca per esempio secondo la ricetta hegeliana una misteriosa auto-realizzazione delle idee , in virtù della quale le mediazioni empiriche appaiano come un accessorio non necessario. Nella conoscenza empirica non abbiamo altro luogo in cui trasportare le idee all’infuori delle teste degli uomini pensanti, e soltanto in queste esse sono, se pervenute alla coscienza, forze determinanti e operanti. La storia della filosofia non deve considerarle come fattori, ma deve spiegarle come prodotti. Il principio che il filosofo trova diventa una forza operante nel movimento empirico dello spirito solamente per il fatto che egli lo reca alla coscienza come risultato del suo lavoro. Oppure il filosofo è forse qualcosa di diverso che un uomo tra uomini? In realtà non gli è concessa una forza di pensiero di tipo differente da tutti gli altri; ed egli stesso lo dimostra nel modo migliore quando, con la pubblicazione delle sue opere, esprime il desiderio di far pensare gli altri come lui e procede pertanto nonostante l’intuizione intellettuale e simili doti mistiche dall’assunzione che gli altri debbano compie re, sotto la sua guida, lo stesso suo movimento di pensiero. Ma le sue idee non sono sorte in modo diverso da quelle degli altri. Come tutti quanti, egli passa da una fanciullezza senza idee a una lenta maturazione; dall'ambiente in cui è nato ed è stato educato assorbe conoscenze e punti di vista che si fissano in lui come un tesoro di verità originario, ed egli le arricchisce con la propria ricerca e il proprio giudizio. Ma l’orizzonte di pensiero e la direzione d'interesse che gli pongono le questio a. L'autore ha cercato di trattare la storia della filosofia da questo punto di vista, abbozzato nel 1884, nel suo LeArbuch der Geschichte der Philosophie. Si vedano, nella quarta edizione (Tibingen und Leipzig, 1907), l'introduzione e i paragrafi conclusivi, e inoltre il saggio Geschichte der Philosophie, sopra citato. ni rimangono pur sempre tracciati in modo inevitabile dalla somma complessiva di ciò che ha fino a quel momento pensato e vissuto. Così dai lati più diversi, dalle premesse più remote si forma come avviene in ogni uomo una massa di rappresentazioni spesso eterogenea ma fusa in tutte le direzioni, un sistema psichico che tende, come sempre, all’unificazione. Ma invece di accontentarsi, come avviene nella maggior parte degli uomini, del compromesso superficiale tra le rappresentazioni più visibilmente contrastanti, e invece di lasciarsi imporre da una delle opinioni dominanti le linee più generali della concezione del mondo, il quadro delle singole prospettive, l'individuo la cui attività designamo come filosofia è in grado di cercare mediante il proprio sforzo di riflessione in virtù della situazione personale, delle doti spirituali e dell’energia del carattere una connessione unitaria delle sue rappresentazioni. Non si deve però mai dimenticare che quest'attività di ricerca è completamente condizionata in tutta la sua direzione e in tutta l’estensione del contenuto rappresentativo, e quindi naturalmente anche nel suo risultato, dall'intera massa del materiale di pensiero già esistente. Nessun principio filosofico cade dal cielo o piove in grembo al filosofo, ma è il risultato conclusivo della sua molteplice attività di pensiero. Che nella realizzazione definitiva di uno stato di equilibrio certe rappresentazioni si dimostrino più potenti e significative di altre, è cosa ovvia; ma questa forza e questa significatività competono ad esse 12 primo luogo anche soltanto nelle condizioni statiche di questo sistema individuale di rappresentazioni. Se al filosofo è capitato di trovare, con uno sforzo maggiore o minore, un principio unitario per disporre tutto il suo materiale ideale, le varie parti di questo materiale staranno però chiaramente in un rapporto assai diverso con esso. Alcune e soprattutto quelle che sono determinanti per cogliere tale principio si connettono facilmente e quasi per proprio conto all'immagine del mondo così costituita; altre si dimostrano invece più o meno refrattarie. Infatti altre opinioni, che provengono da regioni completamente diverse e hanno un aspetto del tutto indifferente, devono a volte accettare di essere spostate e trasformate a profitto di quel principio fondamentale; questo apre ora anche nuovi ambiti di rappresentazione e nuove conoscenze; di fronte ad esse le vecchie idee vengono relegate sullo sfondo e, se non soppiantate del tutto, almeno parzialmente trasformate, continuando però a costituire il materiale su cui soltanto può farsi 0 l’attività assimilatrice e trasformatrice della nuova fora. Ma di rado vedremo un filosofo nella felice situazione di mr disporre tutto il suo materiale rappresentativo in un’intima relazione uniforme con il principio da lui scoperto; e tra le idee contrastanti ve ne saranno sempre alcune che non cedono al nuovo principio, ma sono talmente radicate nell’anima con la loro forza originaria che ad onta della loro mancanza di relazione, o addirittura della loro contraddizione rispetto a quel principio si conservano accanto ad esso e pretendono, con non minore forza, un posto spesso assai significativo nell’intuizione umana del mondo. Ne derivano smagliature e spaccature nel sistema, ma esse sono superate e nascoste nella certezza soggettiva del filosofo. E quanto più energicamente egli cerca di mantenere insieme le sue diverse convinzioni, tanto più lo vedremo incline a cedere all’illusione di considerarle in accordo laddove in realtà non lo sono affatto né possono diventarlo, oppure a ipotizzare tra di esse una connessione che mai, per la loro stessa natura, possono acquisire. Si spiega così l’eterogeneità degli elementi che, in numero più o meno grande, si trovano in ogni sistema filosofico in un’antitesi altrimenti incomprensibile rispetto al cosiddetto principio fondamentale. Anche la caratteristica circostanza che proprio in questi punti i filosofi siano soliti insistere nel modo più rigido sulla necessaria omogeneità di concezioni disparate, risulterà comprensibile se riflettiamo che soltanto le convinzioni intimamente legate con la personalità del filosofo possono mantenersi indipendenti dal principio appena scoperto, e che un sentimento di certezza altrettanto salda fonde ora insieme rappresentazioni altrimenti diverse, di modo che ne viene straordinariamente rafforzata la capacità di scoprire, sotto la spinta di questo interesse, passaggi e connessioni apparenti. Ma tutte queste mancanze di connessione e queste contraddizioni con i loro artificiosi intrecci non potrebbero esistere se un sistema filosofico crescesse in modo organico fin dall’inizio completamente indipendente, in base all'impulso del suo principio fondamentale. Esse sono invece del tutto comprensibili se abbiamo chiaro il fatto che il molteplice materiale ideale, prodotto e trasmesso dai lati più diversi, deve raccogliersi e fissarsi nella testa del filosofo molto tempo prima che questi abbia anche soltanto pensato alla ricerca del suo principio; e che quindi tale principio deve compiere più tardi, nell’assoggettare a sé il materiale preesistente, un lavoro di difficoltà assai diversa e talora completamente insolubile. La concezione teleologica della storia della filosofia dal punto di vista della soluzione successiva di un compito espresso in un saldo concetto di filosofia è quindi una considerazione che è giustificata in quanto tale, ed è forse necessaria e auspicabile nell’interesse della filosofia così determinata. Ma essa non costituisce di per sé sola tutta la storia della filosofia. La storia è constatazione empirica e spiegazione empirica. Se anche nei confronti di tale oggetto questo compito deve mantenere la sua purezza, esso richiede una trattazione psicologica e storico-culturale. D'altra parte, però occorre metterlo ancor più in risalto di fronte alle inclinazioni e alle tendenze attuali la filosofia ha l’interesse più vivo a saper conosciuto e riconosciuto il fatto che questo processo naturale ha condotto, in virtù della riflessione sulla coscienza normale, a convinzioni che non esistono semplicemente come ne esistono anche altre e che non sono pervenute a validità soltanto perché tale è stato il risultato del corso delle rappresentazioni, ma che posseggono l’assoluto valore di dover avere validità. Non bisogna dimenticare che questo prodotto della necessità naturale si identifica con una necessità superiore, quella normativa. Il movimento empirico del pensiero umano conquista alla coscienza normale, l’una dopo l’altra, le sue determinazioni. Noi non sappiamo se esso arriverà a un termine; ancor meno sappiamo se la successione storica, in cui ci appropriamo di alcune di queste determinazioni, abbia un significato che indichi una loro connessione interna. Per la nostra conoscenza, la coscienza normale rimane un ideale di cui riusciamo a cogliere soltanto il margine. Il pensiero umano può soltanto o, come scienza empirica, comprendere il singolo dato nella sua connessione causale e nella sua determinatezza fornita di valore, oppure, come filosofia, riflettere, con l’aiuto dell’esperienza, sui princìpi evidenti di una valutazione assoluta. Una comprensione completa della totalità della coscienza normale da un punto di vista scientifico ci è negata. Nell’ambito della nostra esperienza traluce a tratti l’ideale; e se dobbiamo essere convinti della realtà di una coscienza normale assoluta, ciò riguarda la fede personale, non più la conoscenza scientifica. È un prezioso privilegio del rettore quello di poter intrattenere gli ospiti e i colleghi nell’anniversario della fondazione dell’università, su un oggetto tratto dall’ambito della disciplina di cui egli si occupa: ma il dovere che corrisponde a tale privilegio crea particolari preoccupazioni al filosofo. Certamente, gli è relativamente facile trovare un tema che possa contare con sicurezza su un interesse generale. Ma su questo vantaggio prevalgono di gran lunga le difficoltà che comporta il modo specifico di indagine della filosofia. Ogni lavoro scientifico è rivolto a collocare il suo oggetto particolare in un ambito più vasto e a decidere le singole questioni sulla base di prospettive più generali. E fin qui la filosofia si comporta come le altre scienze; ma, mentre queste possono considerare, con una sicurezza sufficiente per l'indagine specialistica, tali principi come saldi e dati, alla filosofia è essenziale il fatto che il suo specifico oggetto di ricerca è costituito appunto dai princìpi stessi e che quindi non può derivare le sue decisioni da qualcosa di più generale, ma deve di volta in volta determinarsi nel modo più generale. Per la filosofia in senso stretto non esiste alcuna indagine specialistica: ogni suo problema particolare estende spontaneamente le sue direttrici fino alle questioni ultime e supreme. Chi vuol parlare filosoficamente di cose filosofiche deve avere sempre il coraggio di prendere posizione in modo complessivo, e deve anche avere il coraggio, difficile da conser * Geschichte und Naturwissenschaft (discorso rettorale tenuto all'Università di Strasburgo, 1894), in Pràludien, Tiibingen, Verlag von J. C. B. Mohr, 3° cd. 1907, PP. 355-379 (traduzione di Sandro Barbera e Pietro Rossi). vare, di condurre i suoi uditori nell’alto mare delle riflessioni più generali, dove la terraferma minaccia di scomparire alla vista. Da tali riserve il rappresentante della filosofia potrebbe sentirsi tentato o a tracciare soltanto un quadro storico della sua disciplina o a trovare rifugio nella particolare scienza empirica che gli indirizzi e le consuetudini accademiche ancora gli assegnano la psicologia. Anch’essa offre una quantità di oggetti che toccano chiunque e la cui trattazione promette un bottino tanto più sicuro quanto più vari sono i punti di vista metodologici e oggettivi che il vivace movimento di questa disciplina ha recato in luce negli ultimi decenni. Ma rinuncio a entrambe le vie d’uscita: non voglio né sostenere l’idea che non esiste più filosofia ma soltanto storia della filosofia, né quell’altra secondo cui la filosofia come Kant l’ha nuovamente fondata potrebbe restringersi nell’angusta cornice della scienza specialistica il cui valore conoscitivo è quello che Kant stesso stimava di meno tra le discipline teoretiche. In un'occasione come l'odierna mi sembra invece doveroso testimoniare che, anche nella sua forma attuale di rifiuto di ogni pretesa metafisica, la filosofia si sente all’altezza di quelle grandi questioni a cui deve non soltanto il contenuto significativo della sua storia, ma anche il suo valore nella letteratura e la sua posizione nell’insegnamento accademico. Così il rischio insito nel compito mi stimola a illustrare con un esempio quell’impulso dell'indagine filosofica per cui ogni problema specifico si allarga fino agli enigmi ultimi della visione umana del mondo e della vita, e a mostrare qui la necessità con cui ogni tentativo di recare a intelligenza piena quanto è apparentemente noto con chiarezza € semplicità ci spinge, rapidamente e inarrestabilmente, fino ai confini estremi della nostra facoltà conoscitiva, circondati di oscuri misteri. Se a questo scopo scelgo un tema tratto dalla logica, e in particolare dalla metodologia, dalla teoria della scienza, è perché penso che in questo modo possa venire in luce in modo particolarmente chiaro e comprensibile l’intima connessione tra il lavoro filosofico e il lavoro delle altre scienze. La filosofia non è mai stata né vive estranea alla scienza in un mondo inventato col pensiero, ma è esistita e sussiste in un ricco scambio reciproco con ogni conoscenza vitale della realtà e con tutti i contenuti di valore della vita reale dello spirito. Se la sua storia è stata la storia degli errori umani, il motivo risiede nel fatto che essa assumeva in buona fede come compiute e certe, dalle teorie delle scienze particolari, ciò che anche all’interno della scienza poteva valere al massimo come verità in divenire. Questa connessione vitale tra la filosofia e le altre discipline appare nel modo più chiaro proprio nello sviluppo della logica, che non è mai stata altro se non la riflessione critica sulle forme di conoscenza reale ad essa preesistenti. Mai un metodo fecondo si è sviluppato sulla base di una costruzione astratta o di riflessioni meramente formali dei logici: ad essi spetta soltanto il compito di recare alla sua forma universale ciò che è stato eseguito con successo nelle singole scienze e di determinare in tal modo il suo significato, il suo valore conoscitivo e i limiti della sua applicazione. Da dove la logica moderna ha preso per menzionare l'esempio più eminente in antitesi con la sua progenitrice greca, la rappresentazione matura dell’essenza dell’induzione? Non dall’enfasi programmatica con cui l’ha raccomandata e scolasticamente descritta Bacone, bensì dalla riflessione sull’efficace applicazione che questa forma di pensiero ha ottenuto dai tempi di Keplero e di Galilei nel lavoro specifico della ricerca naturale, raffinandosi e rafforzandosi da un problema particolare all’altro. Sulle medesime connessioni riposano però ovviamente anche i tentativi della logica moderna di tracciare, nel dominio del sapere umano sviluppatosi in modo così vario, linee concettualmente determinate al fine di delimitarne le singole province. Il mutevole predominio esercitato negli interessi scientifici dell'età moderna dalla filologia, dalla matematica, dalla scienza naturale, dalla psicologia, dalla storia, si rispecchia nei diversi abbozzi di un sistema delle scienze, come si diceva una volta, o di una classificazione delle scienze , come viene chiamata oggi. Gran parte di responsabilità spetta alla tendenza universalistica che, disconoscendo l’autonomia dei singoli campi del sapere, voleva sottoporre tutti gli oggetti alla costrizione di un unico metodo, di modo che per l’articolazione delle scienze restavano soltanto punti di vista oggettivi, cioè metafisici. L’uno dopo l’altro il metodo meccanicistico, il metodo geometrico, il metodo psicologico, il metodo dialettico, e da ultimo il metodo storico-evolutivo hanno preteso di ampliare il loro dominio, dallo stretto campo della loro feconda applicazione originaria, possibilmente a tutto l’ambito della conoscenza umana. Quanto più grande appare il contrasto di queste diverse tendenze, tanto più cresce per la riflessione della teoria logica il vasto compito di realizzare una giusta ponderazione di quelle pretese e una separazione equilibrata dei loro ambiti di validità attraverso le determinazioni universali della dottrina della conoscenza. Grazie a Kant si è compiuta la differenziazione metodologica della filosofia dalla matematica e, nelle linee generali, anche dalla psicologia. Da allora il secolo xix ha sperimentato accanto a una certa paralisi dell’impulso filosofico, all’inizio sovraeccitato, una più varia molteplicità di tendenze e di movimenti nelle scienze particolari: nell’appropriarsi di numerosi problemi di specie nuova l’apparato metodologico si è modificato da tutte le parti, estendendosi e raffinandosi in misura prima sconosciuta. Intanto i diversi procedimenti si sono variamente intrecciati tra di loro, e nel momento in cui ognuno di essi pretendeva una posizione dominante nella visione del mondo e della vita dei nostri giorni, per la filosofia teoretica sorgevano nuove questioni. Su tali questioni, senza pretendere affatto di esaurirle, intendo attirare la vostra attenzione. Non occorre quasi menzionare il fatto che le divisioni alle quali qui miro non possono riflettere l’articolazione che Ie scienze trovano nella separazione delle facoltà universitarie. Questa è infatti sorta dai compiti pratici delle università e dal loro sviluppo storico. Lo scopo pratico ha spesso unificato ciò che da un punto di vista puramente teoretico doveva essere separato, e ha staccato ciò che doveva essere strettamente unificato: lo stesso motivo ha mescolato per vari versi le discipline propriamente scientifiche con quelle pratiche e tecniche. Non si deve però pensare che ciò sia andato a tutto detrimento dell’attività scientifica. Piuttosto, le relazioni pratiche hanno anche qui avuto la conseguenza di provocare uno scambio tra i diversi campi del sapere più ricco e vitale di quello prodotto nel caso delle più astratte combinazioni di un materiale omogeneo, quali avvengono nelle accademie. Tuttavia i mutamenti che gli ordinamenti delle facoltà delle università tedesche hanno subito negli ultimi decenni, in modo particolare per quanto riguarda quella che una volta era la facultas artium, indicano una certa tendenza ad attribuire un'importanza maggiore ai motivi metodologici di articolazione. Se si seguono questi motivi con un interesse soltanto teoretico, si può anzitutto assumere come valido il fatto di contrapporre la filosofia e quindi, come sempre, anche la matematica alle scienze empiriche. Le prime due possono essere raccolte sotto il vecchio nome di scienze razionali , anche se in un significato del termine assai differente e che non si può qui discutere più da vicino. Basti per ora esprimere il loro carattere comune in forma negativa, dicendo che non sono indirizzate immediatamente alla conoscenza di qualcosa che è dato nell’esperienza, anche se le prospettive da esse acquisite possono e debbono essere impiegate a tale scopo nelle altre scienze. A questo momento oggettivo corrisponde, dal lato formale, un comune carattere logico, in quanto entrambe la filosofia come la matematica non poggiano mai le loro affermazioni su singole percezioni o su masse di percezioni, anche se l’occasione di fatto, psico-genetica, delle loro indagini e delle loro scoperte può risiedere in motivi empirici. Per scienze empiriche intendiamo invece quelle che hanno il compito di conoscere una realtà comunque data e accessibile alla percezione: la loro caratteristica formale consiste quindi nel fatto che per la fondazione dei loro risultati hanno in ogni caso bisogno, accanto ai presupposti assiomatici universali e alla correttezza del normale procedimento di pensiero parimenti richiesta per ogni tipo di conoscenze, di una constatazione dei fatti attraverso la percezione. Per la divisione di queste discipline dirette alla conoscenza del reale è attualmente corrente la distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito: io la considero però, in questa forma, poco felice. Quella tra natura e spirito è un’antitesi oggettiva che è pervenuta a una posizione predominante al tramonto del pensiero antico e agli inizi di quello medievale, e che nella metafisica moderna si è fatta valere, con la massima decisione, da Descartes e da Spinoza fino a Schelling e a Hegel. Se giudico correttamente la disposizione della filosofia più recente e le conseguenze della critica gnoseologica, questa separazione rimasta aderente al modo generale di rappresentazione e di espressione non può più ora venir ritenuta così sicura e ovvia da diventare senza riesame il fondamento di una classificazione. A ciò si aggiunga il fatto che a quest’antitesi tra oggetti non corrisponde un’antitesi tra modi di conoscenza. Se Locke tradusse il dualismo cartesiano in una formula soggettiva, contrapponendo percezione esterna a percezione interna (sensation e reffection) come organi distinti di conoscenza da un lato del mondo corporeo esterno, della natura, dall'altro del mondo spirituale interno, la critica della conoscenza dell’epoca più recente ha fatto sempre più vacillare questa concezione e ha per lo meno posto fortemente in dubbio la legittimità dell’assunzione di una percezione interna come modo particolare di conoscenza. Non è neppure ormai possibile ammettere che i fatti delle cosiddette scienze dello spirito siano fondati semplicemente sulla percezione interna. Ma l’incongruenza tra un principio oggettivo e un principio formale di divisione si manifesta soprattutto nel fatto che tra la scienza della natura e la scienza dello spirito non è possibile inserire una disciplina empirica di tanta importanza come la psicologia, la quale dev'essere caratterizzata in base all'oggetto solo come scienza dello spirito e, in certo senso, come il fondamento di tutte le altre scienze, mentre il suo intero procedimento, il suo comportamento metodologico, è dall’inizio alla fine quello delle scienze della natura. Perciò essa ha dovuto accettare talvolta la designazione di scienza naturale del senso interno o anche quella di scienza della natura spirituale . Una divisione che mostri difficoltà di tal genere non ha alcuna consistenza dal punto di vista sistematico: ma per ottenerla ha forse bisogno soltanto di piccole trasformazioni nella sua formulazione concettuale. In che cosa consiste l'affinità metodologica della psicologia con le scienze naturali? Evidentemente nel fatto che anch'essa, al pari di queste, constata, raccoglie ed elabora i fatti soltanto dal punto di vista e allo scopo di intendere la conformità a leggi generali a cui questi fatti sono sottoposti. Certamente la diversità degli oggetti comporta che i metodi particolari di accertamento dei fatti, nonché il modo della loro utilizzazione induttiva e la formulazione alla quale possono venir ricondotte le leggi scoperte, siano molto differenti; e sotto questo aspetto la distanza della psicologia, per esempio, dalla chimica è di poco maggiore a quella che intercorre tra la meccanica e la biologia. Ma ed è questo che qui importa tutte queste differenze di carattere oggettivo stanno in secondo piano rispetto all'identità logica che tali discipline posseggono per quanto riguarda il carattere formale dei loro fini conoscitivi: esse cercano sempre leggi dell’accadere sia che si tratti di un movimento di corpi, di una trasformazione di materia, di uno sviluppo della vita organica o di un processo del rappresentare, del sentire e del volere. Viceversa, la maggior parte delle discipline empiriche, che sono state da parte di altri designate come scienze dello spirito, è decisamente diretta a rappresentare nel modo più compiuto ed esauriente un evento singolo, più o meno esteso, con una sua realtà singolare e limitata nel tempo. Anche da questo lato gli oggetti e gli strumenti tecnici particolari con cui è assicurata la loro comprensione sono quanto mai diversi. Si può infatti trattare di un singolo avvenimento o di una serie complessiva di azioni e di vicende, dell'essenza e della vita di un singolo uomo o di un intero popolo, del carattere specifico e dello sviluppo di una lingua, di una religione, di un ordinamento giuridico, oppure di un prodotto letterario, artistico, scientifico e ognuno di questi oggetti richiede una trattazione adeguata alla sua particolare fisionomia. Ma sempre lo scopo conoscitivo rimane quello di riprodurre e di intendere nella sua realtà di fatto una formazione della vita umana, che si è presentata nella sua configurazione singolare. È chiaro che con ciò si designa l’intero ambito delle discipline storiche. Noi ci troviamo quindi di fronte a una divisione puramente metodologica delle scienze empiriche, che deve essere fondata su concetti logici sicuri. Il principio di divisione è costituito dal carattere formale dei loro fini conoscitivi. Le une cercano leggi generali, le altre fatti storici particolari: per esprimerci nel linguaggio della logica formale, il fine delle une è il giudizio generale, apodittico, mentre quello delle altre è la proposizione singolare, assertoria. Questa distinzione si ricollega così a quell’importantissimo e decisivo rapporto presente nell’intelletto umano, che fu riconosciuto da Socrate come la relazione fondamentale di ogni pensiero scientifico: il rapporto dell’universale con il particolare. A partire da questo punto si è divisa la metafisica antica, in quanto Platone cercava la realtà negli immutabili concetti di genere, mentre Aristotele la cercava nell’essere singolo che si sviluppa secondo uno scopo. La moderna scienza della natura ci ha insegnato a definire ciò che è in base alle necessità durevoli dell’accadere che in esso sì compie; ha messo la legge naturale al posto dell’idea platonica. Perciò possiamo dire che nella conoscenza del reale le scienze empiriche cercano o il generale nella forma di legge di natura o il singolare nella forma storicamente determinata; esse considerano da un parte la forma sempre permanente, dall’altra il contenuto singolare, in sé determinato, dell’accadere reale. Le prime sono scienze di leggi e le seconde sono scienze di avvenimenti; quelle insegnano ciò che è sempre, e queste ciò che è stato una volta. Il pensiero scientifico se è consentito elaborare nuove espressioni è nel primo caso n0motetico, nel secondo idiografico. Se vogliamo attenerci alle vecchie espressioni, possiamo pure parlare in questo senso di un’antitesi tra discipline naturali e discipline storiche, fermo restando che in questo senso metodologico lo psicologia dev’essere senz’altro compresa tra le scienze naturali. In generale, rimane da considerare che quest’antitesi metodologica classifica solo il modo di trattazione e non il contenuto del sapere. Resta possibile ed è di fatto vero che gli stessi oggetti possono essere sottoposti a un'indagine nomotetica e al tempo stesso a un'indagine idiografica. Ciò dipende dal fatto che l’antitesi tra il sempre eguale e il singolare è, per un certo verso, relativa. Ciò che all’interno di periodi di tempo assai grandi non subisce nessun mutamento immediatamente percepibile e può quindi venir considerato nomoteticamente in base alle sue forme immutabili, può tuttavia risultare da una prospettiva ulteriore valido per un periodo di tempo pur sempre limitato, cioè qualcosa di singolare. Così una lingua è dominata, in tutte le applicazioni particolari, dalle sue leggi formali, che rimangono le medesime in ogni mutamento dell’espressione; ma d’altra parte questa stessa lingua particolare, con le sue specifiche leggi formali, è soltanto una manifestazione singolare e transitoria nella vita linguistica dell’uomo. Lo stesso vale per la fisiologia del corpo, per la geologia e in un certo senso perfino per l'astronomia: con ciò il principio storico viene trasferito nel campo delle scienze naturali. L’esempio classico a questo proposito è costituito dalla scienza della natura organica. Come sistematica, essa riveste carattere nomotetico in quanto, nel paio di millenni per cui è stata finora condotta l’osservazione umana, può considerare i tipi identici dell'essere vivente come la loro forma conforme a leggi. In quanto storia dello sviluppo, che rappresenta l’intera successione degli organismi terrestri come un processo di discendenza o di trasformazione che si compie gradualmente nel corso del tempo e la cui ripetizione su qualche altro pianeta non soltanto non possiede nessuna garanzia di certezza, ma neppure qualche probabilità, essa è invece una disciplina idiografica, cioè storica. Già Kant, anticipando il concetto della moderna teoria della discendenza, chiamava colui che avesse osato affrontare quest’ avventura della ragione col nome di futuro archeologo della natura . Se ci chiediamo come la teoria logica si sia finora atteggiata nei confronti di quest’antitesi decisiva tra le scienze particolari, ci imbattiamo esattamente nel punto in cui questa è rimasta più che altrove bisognosa di riforma. Il suo intero sviluppo mostra la più decisa predilezione per le forme di pensiero nomotetico. Certamente si tratta di un fatto ben spiegabile. Dal momento che ogni ricerca e dimostrazione scientifica si svolge nella forma del concetto, l’indagine sull’essenza, sulla fondazione e sull’applicazione di ciò che è generale rimane l'interesse più prossimo e più importante della logica. A ciò si aggiunga l'influenza del corso storico. La filosofia si è sviluppata muovendo da ricerche di scienza naturale, dalla questione della pbsic, cioè dalla permanenza dell'essere nel mutare dei fenomeni; e seguendo un corso parallelo che non mancava neppure della mediazione causale rappresentata dalla tradizione storica del Rinascimento la filosofia moderna è pervenuta alla propria autonomia con l’aiuto della scienza della natura. Perciò non poteva accadere se non che la riflessione logica si rivolgesse in primo luogo alle forme di pensiero nomotetico, facendo dipendere durevolmente da queste le sue teorie generali. Ciò vale ancor sempre: tutta la nostra dottrina tradizionale del concetto, del giudizio e del sillogismo è ancor sempre ritagliata sul presupposto aristotelico che il principio generale sta al centro dell'indagine logica. Basta aprire un qualsiasi manuale di logica per convincersi che non soltanto la grande maggioranza degli esempi viene scelta dalle discipline matematiche e dalle scienze naturali, ma che anche i logici che si mostrano pienamente sensibili al carattere specifico della ricerca storica cercano pur sempre i punti di riferimento ultimi delle loro teorie sul versante del pensiero nomotetico. Sarebbe auspicabile ma le premesse in questo senso sono ancora troppo scarse che la riflessione logica rendesse giustizia alla grande realtà presente nel pensiero storico, nella stessa misura in cui ha inteso cogliere le forme dell'indagine naturale fin nei suoi particolari. Concedetemi per ora di considerare un po’ da vicino il rapporto tra sapere nomotetico e sapere idiografico. Come si è detto, all’indagine naturale e alla conoscenza storica è comune il carattere di scienza empirica: entrambe hanno cioè come punto di partenza o, in termini logici, come premesse delle loro dimostrazioni delle esperienze, dei fatti della percezione. Esse coincidono inoltre nel fatto che né l’una né l’altra possono appagarsi di ciò che l’uomo ingenuo pensa solitamente di esperire. Entrambe hanno bisogno, come loro fondamento, di un'esperienza scientificamente purificata, criticamente vagliata e sottoposta a esame nel lavoro concettuale. Nella stessa misura in cui bisogna disciplinare accuratamente i propri sensi per stabilire le sottili distinzioni presenti nella conformazione di esseri strettamente imparentati, per vedere con successo attraverso un microscopio, per cogliere con sicurezza Îa sincronia dell’oscillazione di un pendolo e della posizione di una lancetta, nello stesso modo occorre fatica per determinare il carattere specifico di una scrittura, per osservare lo stile di uno scrittore o per cogliere l'orizzonte spirituale e l'ambito di interessi di una fonte storica. Per natura l’una e l’altra cosa possono essere fatte soltanto in maniera imperfetta. Se quindi la tradizione del lavoro scientifico ha fatto sorgere, in entrambe le direzioni, una quantità di strumenti tecnici sempre più raffinati di cui il discepolo della scienza si appropria nella pratica ogni metodo specifico poggia da un lato su punti di vista oggettivi già acquisiti o per lo meno accolti in via ipotetica, dall’altro su connessioni logiche spesso assai complicate. Qui occorre osservare di nuovo che finora l’interesse della logica si è rivolto molto di più alla tendenza nomotetica che alla tendenza idiografica. Sul significato metodologico degli strumenti di precisione, sulla teoria dell’esperimento, sulla determinazione della probabilità in base a molteplici osservazioni di un medesimo oggetto, e su questioni analoghe, si hanno indagini logiche approfondite; ma i problemi paralleli della metodologia storica non hanno trovato eguale attenzione da parte della filosofia. Ciò è connesso con il fatto che com'è nella natura stessa della cosa, e come conferma la storia l’ingegno e l’opera della filosofia e della scienza naturale si sono incontrati molto più spesso di quanto non sia avvenuto tra la filosofia e la storia. Eppure sarebbe di estremo interesse per la dottrina generale della conoscenza portare alla luce le forme logiche in base alle quali si compie, nella ricerca storica, la critica reciproca delle percezioni, formulare le massime di interpolazione delle ipotesi e determinare così anche qui quale parte assumono nell’edificio della conoscenza del mondo, che si sorregge reciprocamente con tutti i suoi elementi, da una parte i fatti e dall’altra i presupposti generali con cui li interpretiamo. Tutte le scienze empiriche coincidono in definitiva però nel principio ultimo, che consiste nell’accordo senza contraddizione di tutti gli elementi della rappresentazione relativi al medesimo oggetto: la distinzione tra indagine naturale e storia ha inizio soltanto dove si tratta di utilizzare i fatti a scopo conoscitivo. Qui vediamo che l’una cerca leggi, l’altra forme. Nella prima il pensiero conduce dall’accertamento del particolare all'apprendimento di relazioni generali, mentre nella seconda esso si arresta alla caratterizzazione accurata del particolare. Per lo scienziato naturale il singolo oggetto dato alla sua osservazione non possiede mai, in quanto tale, valore scientifico; esso gli serve solo in quanto si ritiene giustificato a considerarlo come un tipo, come un caso specifico di un concetto di genere, e a trarne fuori questo concetto: in ciò egli riflette soltanto su quei caratteri che sono appropriati alla comprensione di una generalità conforme a leggi. Allo storico si pone invece il compito di far rivivere una formazione del passato nella sua intera configurazione individuale, rendendola idealmente presente. Egli deve compiere nei confronti di ciò che è realmente esistito un’opera analoga a quella dell’artista nei confronti di ciò che è nella sua fantasia. Qui ha le sue radici l’affinità della creazione storica con quella estetica, delle discipline storiche con le Belles lettres. Da ciò consegue che nel pensiero naturalistico predomina la tendenza all’astrazione, nel pensiero storico quella all’intuitività. Quest’affermazione risulterà inattesa soltanto a chi si è abituato a limitare materialisticamente il concetto di intuizione alla recezione psichica di ciò che è presente in modo sensibile, e ha dimenticato che c’è intuitività cioè vitalità individuale di ciò che è presente idealmente tanto per l’occhio dello spirito quanto per l'occhio del corpo. Certamente quella concezione materialistica è al giorno d’oggi molto diffusa, ma suscita serie riserve. Quanto più ci si abitua, ovunque si presentano delle rappresentazioni, a mettere in evidenza il più possibile quel che vi è da toccare e da vedere, tanto più si espone la spontanea facoltà dell’intuizione a causa del prevalere dell’intuizione ricettiva al pericolo di rattrappirla per mancanza di esercizio, e poi ci si meraviglia quando la fantasia sensibile diventa pigra e incapace di funzionare non appena non può più toccare e vedere in modo corporeo. Per la pedagogia vale infatti lo stesso che per l’arte, e in particolare per l’arte drammatica, dove oggi ci si dà ogni pena per tenere impegnati gli occhi, sicché non rimane più nulla per l’intuizione interiore delle forme poetiche. Che però la forza dell’indagine naturale consista nell’astrazione e invece quella della storia nell’intuitività, risalta ancor più chiaramente se si comparano i risultati della loro ricerca. Per quanto intricato possa essere il lavoro concettuale di cui la critica storica ha bisogno per elaborare i dati della tradizione, il suo fine ultimo è tuttavia quello di trarre fuori dalla massa del materiale la vera forma del passato per tradurlo in chiarezZa piena di vita; ciò che essa fornisce sono immagini di uomini e di vita umana, con tutta la ricchezza delle loro configurazioni singolari, conservate nella loro piena vitalità individuale. Così per bocca della storia ci parlano lingue e popoli passati, sollevati dalla dimenticanza a nuova vita, e così pure la loro fede e le loro figure, la loro lotta per il potere e per la libertà, la loro poesia e il loro pensiero. Quanto diverso è il mondo che l'indagine naturale costruisce davanti ai nostri occhi! Per quanto intuitivi possano essere i suoi punti di partenza, i suoi scopi conoscitivi sono le teorie, sono le formulazioni in ultima istanza matematiche delle leggi del movimento: essa lascia dietro di sé in modo autenticamente platonico la singola cosa sensibile che nasce e perisce, in un’apparenza priva di realtà, e aspira alla conoscenza della necessità legale che domina, in un'immutabilità atemporale, ogni accadere. Dal variopinto mondo dei sensi essa estrae un sistema di concetti costruttivi entro cui vuol cogliere la vera essenza delle cose che sta dietro i fenomeni, un mondo di atomi, incolore e muto, senza la terrestre fragranza delle qualità sensibili il trionfo del pensiero sulla percezione. Indifferente a ciò che è transitorio, essa getta la sua àncora in ciò che rimane eternamente eguale a se stesso. Non cerca il mutevole in quanto tale, ma la forma immutabile del mutamento. Ma se l’antitesi tra i due tipi di scienze empiriche è così profonda, si comprende perché tra di esse deve scoppiare, ed è di fatto scoppiata, la battaglia per esercitare un'influenza decisiva sulla visione generale del mondo e della vita. Ci si domanda che cosa sia più prezioso per lo scopo complessivo della nostra conoscenza, se il sapere concernente le leggi o quello riguardante gli eventi, se la comprensione dell’universale essenza atemporale o quella dei singoli fenomeni temporali. È chiaro fin dall’inizio che questa questione può venir decisa soltanto in base a una riflessione sui fini ultimi del lavoro scientifico. Mi limito ad accennare di sfuggita alla valutazione che si fonda sull’utilità. Di fronte ad essa entrambe le direzioni di pensiero sono in egual misura legittime. Il sapere riguardante leggi generali ha sempre il valore pratico di rendere possibile la previsione di situazioni future e l’intervento in vista di scopi dell’uomo nel corso delle cose. Ciò vale sia per i movimenti del mondo interno sia per quelli del mondo materiale esterno: nell’ultimo, in particolare, la conoscenza acquisita in virtù del pensiero nomotetico consente la produzione degli strumenti con cui si amplia in misura sempre crescente il dominio dell’'uomo sulla natura. Ma l’attività diretta a scopi nella vita comune dell’uomo dipende in grado non minore dalle esperienze del sapere storico. L'uomo è per variare un antico detto l’animale che ha una storia. La sua vita culturale è una connessione storica che diventa più spessa di generazione in generazione: chi vuole entrare in questa per cooperarvi in modo attivo deve possedere la comprensione del suo sviluppo. Una volta spezzatosi questo filo bisogna poi lo ha mostrato la storia stessa rintracciarlo e riannodarlo di nuovo con fatica. Se la cultura contemporanea dovesse essere sepolta a causa di un evento elementare o nella configurazione esterna del nostro pianeta o nella configurazione interna del mondo umano possiamo star certi che le generazioni successive ne scaveranno con diligenza le vestigia così come noi facciamo con quelle dell’antichità. Già per questi motivi l'umanità deve portare il suo grande fardello storico, e se col trascorrere del tempo esso minaccia di diventare sempre più pesante, al futuro non mancheranno i mezzi per alleggerirlo con cautela e senza danno. Ma non è questo l’utile in questione: qui si tratta infatti del valore intimo del sapere, non certamente della soddisfazione personale che il ricercatore ha nel suo conoscere, e soltanto in virtù di esso. Questo godimento soggettivo che proviene dalla scoperta e dall’accertamento è in definitiva presente in egual modo in ogni tipo di sapere. La sua misura viene determinata molto meno dall’importanza dell’oggetto che dalla difficoltà dell'indagine. Senza dubbio vi sono accanto a ciò distinzioni oggettive, c quindi puramente teoretiche, nel valore conoscitivo degli oggetti: ma la loro misura non è altro che il grado in cui essi contribuiscono alla conoscenza complessiva. L’elemento singolo rimane oggetto di curiosità oziosa se non diventa pietra di costruzione in una struttura più generale. In senso scientifico il fatto è così già un concetto teleologico. Non una qualsiasi realtà costituisce un fatto per la scienza, ma soltanto ciò da cui per dirla in breve essa può apprendere qualcosa. Questo vale soprattutto per la storia. Accadono molte cose che non sono fatti storici. Che nel 1780 Goethe si sia fatto costruire una campana di casa e una chiave, e il 22 febbraio una cassetta per le lettere, è documentato dal conto di un fabbro tramandato in modo assolutamente autentico: ciò è quindi accaduto del tutto realmente e con certezza, ma non per questo è un fatto storico né storico-letterario, né biografico. Si deve d’altra parte obiettare che è impossibile, entro certi limiti, decidere in anticipo se al singolo elemento, a ciò che si offre all’osservazione o alla tradizione, spetti o no questo valore di fatto. Perciò la scienza deve fare come Goethe in tarda età: fare provvista, raccogliere ciò di cui può impadronirsi, paga dell’idea di non trascurare nulla di ciò che potrebbe utilizzare in seguito, e della fiducia che il lavoro delle generazioni future nella misura in cui non ne sarà impedito dalle vicende esteriori della tradizione conserverà, come un grande setaccio, quanto è utilizzabile e lascierà cadere ciò che è inutile. Ma questo scopo essenziale di ogni sapere particolare, cioè lo scopo di inserirsi in un grande complesso unitario, non è affatto limitato alla subordinazione induttiva del particolare al concetto di genere o al giudizio universale: esso si realizza in egual misura dove la caratteristica singola diventa elemento significativo di un’intuizione complessiva. Quell’attenersi a ciò che è conforme al genere è una unilateralità del pensiero greco, diffusasi dagli Eleati fino a Platone, che trovava il vero essere, come la vera conoscenza, soltanto nell’universale. Da lui si è poi trasmessa fino ai giorni nostri, in cui Schopenhauer si è fatto portavoce di questo pregiudizio rifiutando alla storia il valore di scienza autentica perché essa coglierebbe sempre il particolare, e mai l’universale. È certamente esatto che l'intelletto umano può rappresentarsi il molteplice soltanto perché coglie il contenuto comune dei singoli elementi dispersi; ma quanto più aspira al concetto e alla legge, tanto più deve lasciare dietro di sé il singolare in quanto tale, dimenticarlo e abbandonarlo. È ciò che vediamo laddove si tenta, in modo specificamente moderno, di fare della storia una scienza naturale , come si è proposta la cosiddetta filosofia della storia del positivismo. Che cosa rimane in definitiva, in una simile induzione di leggi, della vita dei popoli? Un paio di banali generalità, che si fanno scusare soltanto se accompagnate da un’accurata analisi delle loro numerose eccezioni. Di fronte a ciò occorre tener fermo il fatto che ogni interesse e ogni valutazione, ogni determinazione di valore dell’uomo si riferiscono al singolo e a ciò che è singolare. Pensiamo soltanto come si indebolisce presto il nostro sentimento non appena il suo oggetto si moltiplica o si mostra come un caso eguale tra mille. Non è la prima così suona uno dei passi più crudeli del Faust!. Nella singolarità e nell’incomparabilitàdell'oggetto si radicano tutti i nostri sentimenti di valore. Su ciò poggia la dottrina spinoziana del superamento dei moti dell’animo attraverso la conoscenza: per essa la conoscenza è infatti un tuffarsi del particolare nell’universale, del singolare nell'eterno. Ma che ogni valutazione vitale dell’uomo dipenda dall’unicità dell’oggetto, risulta anzitutto dalla nostra relazione con le personalità. Non è forse un'idea insopportabile che un essere caro e amato possa esistere tal quale anche soltanto una seconda volta? Non è pauroso e impensabile che debba esistere nella realtà un secondo esemplare di noi stessi, con questa nostra peculiarità individuale? Di qui l’orrore, la spettralità inerente alla rappresentazione del sosia anche se a una distanza temporale molto grande. È sempre stato per me penoso il fatto che un popolo pieno di gusto e di sentimenti raffinati come quello greco si sia abbandonato alla dottrina, che attraversa tutta la sua filosofia, secondo cui nel ricordo periodico di tutte le cose deve ritornare anche la personalità, con tutto il suo agire e il suo patire. Come è svalutata la vita se si conosce con esattezza quante volte è già esistita e quante volte si ripeterà! com'è spaventosa l’idea che già una volta io sono vissuto e ho sofferto, ho desiderato e lottato, amato e odiato, pensato e voluto, e che quando il grande anno cosmico è trascorso e il tempo ritorna, devo recitare sempre di nuovo lo stesso ruolo sulla stessa scenal E ciò che vale per la vita individuale dell’uomo vale ancor più per l’insieme del processo storico: esso ha valore soltanto se è singolare. Questo è il principio che la filosofia cristiana ha vittoriosamente affermato nella Patristica contro l’Ellenismo. Al centro della visione del mondo erano in primo piano la caduta e la redenzione del genere umano come fatti singolari. Si trattava della prima grande e forte percezione dell’inalienabile diritto metafisico della conoscenza storica, ossia del diritto di mantenere il passato, in questa sua realtà singolare, per il ricordo dell’umanità. 1. GoerHE, parte I, scena Giornata cupa campagna (è la scena in prosa, immediatamente successiva al Sogno della notte di Valpurga ). D'altra parte le scienze idiografiche hanno però bisogno a ogni passo di princìpi generali, che possono prendere a prestito in una fondazione completamente corretta soltanto dalle discipline nomotetiche. Ogni spiegazione causale di un processo storico presuppone rappresentazioni generali del corso delle cose; e se si vuol ricondurre le dimostrazioni storiche alla loro pura forma logica, esse conservano sempre come premesse supreme le leggi naturali dell’accadere, in particolare dell’accadere psichico. Chi non avesse alcuna notizia del modo in cui gli uomini pensano, sentono e vogliono, non naufragherebbe soltanto nell’abbracciare insieme i singoli eventi per giungere alla conoscenza degli avvenimenti, ma già nell’accertamento critico dei fatti. È certamente assai strano con quanta indulgenza siano state in fondo accolte le pretese della scienza dello spirito nel campo della psicologia. Il grado notoriamente molto imperfetto con cui sono state finora formulate le leggi della vita psichica non è mai stato di impedimento agli storici: in virtù di una conoscenza naturale dell’uomo, in virtù della sensibilità e dell’intuizione geniale essi sapevano quel che basta a intendere gli eroi e le loro azioni storiche. Ciò dà molto da pensare e mette seriamente in dubbio se la concezione dei processi psichici elementari, impostata dai moderni secondo uno schema matematico-naturale, possa fornire un contributo apprezzabile alla nostra comprensione della vita reale dell’uomo. Nonostante tali insufficienze di realizzazione nel caso singolo appare chiaramente che nella conoscenza complessiva, in cui ogni lavoro scientifico deve in definitiva unificarsi, questi due momenti rimangono l’uno accanto all’altro nella loro particolare posizione metodologica. Quella conformità delle cose a leggi generali offre il saldo quadro della nostra immagine del mondo esprimendo, al di sopra di ogni mutamento, l'essenza eternamente eguale del reale; e all’interno di questo quadro si dispiega alla memoria della specie la connessione vivente di tutte le singole configurazioni fornite di valore per l'umanità. Questi due momenti del sapere umano non possono essere ricondotti a una fonte comune. Certamente la spiegazione cau-sale del singolo accadimento con la sua riduzione a leggi generali induce a ritenere che dovrebbe essere possibile, in ultima istanza, comprendere in base alla conformità delle cose a leggi naturali anche la particolare configurazione storica dell’evento reale. Così Leibniz riteneva che tutte le vérités de fai: abbiano le loro cause sufficienti nelle vérizés eternelles. Ma egli poteva postularlo soltanto per il pensiero divino, non realizzarlo per quello umano. È possibile illustrare questo punto con un semplice schema logico. Nella considerazione causale qualsiasi evento particolare assume la forma di un sillogismo in cui la premessa maggiore è una legge naturale, ossia un certo numero di necessità legali, la premessa minore è una condizione data nel tempo o un complesso unitario di condizioni del genere, e infine la conclusione è il singolo avvenimento reale. Nello stesso modo in cui la conclusione presuppone dal punto di vista logico le due premesse, l’accadere presuppone due specie di cause: da un lato la necessità atemporale in cui si esprime l’essenza durevole delle cose, dall’altro la condizione particolare che si presenta in un determinato momento del tempo. La causa di un'esplosione è nel primo significato quello nomotetico la natura del materiale esplosivo che esprimiamo in forma di leggi fisico-chimiche, mentre nell’altro significato quello idiografico è un movimento singolo, cioè una scintilla, una vibrazione o qualcosa di simile. Soltanto i due elementi presi insieme causano e spiegano l'avvenimento, ma nessuno è una conseguenza dell’altro: la loro connessione non appare fondata in essi stessi. Quanto poco la premessa minore presente nella sussunzione sillogistica è una conseguenza di quella maggiore, altrettanto poco nel corso dell’accadere la condizione che si aggiunge all’essenza universale della cosa può essere derivata da questa essenza legale. Occorre piuttosto ricondurre a sua volta questa condizione, in quanto evento temporale, a un’altra condizione temporale da cui essa è derivata secondo una necessità legale; e così via 17 infinitum. Non si può pensare concettualmente un termine iniziale di questa serie infinita; e anche quando si tenti di rappresentarlo, la situazione iniziale risulterà pur sempre qualcosa di nuovo che si aggiunge all’essenza universale delle cose, senza derivare da essa. Spinoza ha espresso questo punto attraverso la distinzione tra due forme di causalità, quella infinita e quella finita, e ha così eliminato con geniale semplicità molte obiezioni su cui i logici moderni si sono affannati 2 proposito del problema della pluralità delle cause. Nel linguaggio della scienza odierna si potrebbe dire che lo stato presente del mondo consegue dalle leggi generali della natura soltanto presupponendo lo stato immediatamente precedente, e questo a sua volta presupponendo il suo precedente, e così via; ma una particolare determinata disposizione degli atomi non deriva mai dalle leggi generali del movimento. Da nessuna formula universale si può pervenire immediatamente alla particolarità di un singolo punto temporale: a questo scopo occorrerebbe ancor sempre la subordinazione alla legge dello stato precedente. Dal momento che non esiste alcun termine fondato su leggi generali al quale si possa pervenire seguendo a ritroso la catena causale delle condizioni, nessuna sussunzione sotto quelle leggi può aiutarci ad analizzare il dato temporale fino ai suoi fondamenti ultimi. In ogni esperienza storica e individuale rimane quindi per noi un residuo di incomprensibilità qualcosa che non può essere espresso né definito. In tal modo l'essenza ultima e intima della personalità resiste all’analisi condotta con categorie generali; e questo elemento impenetrabile si manifesta alla nostra coscienza come il sentimento dell’irriducibilità causale del nostro essere, cioè come il sentimento della libertà individuale. A questo punto è già venuta fuori una quantità di concetti e di problemi metafisici. Per quanto quelli possano essere infelici e questi mal posti, ne sussiste pur sempre il motivo. L'insieme del dato temporale si manifesta nella sua indeducibile autonomia accanto alla conformità a leggi generali in base alle quali esso pure si realizza. Il contenuto dell’accadere del mondo non può essere compreso in base alla sua forma. Su questo scoglio sono naufragati tutti i tentativi di derivare concettualmente il particolare dal generale, i molti dall’uno, il finito dall’ infinito , l’esistenza dall’ essenza . Si tratta di una frattura che i grandi sistemi di spiegazione filosofica del mondo sono soltanto riusciti a nascondere, ma non a riempire. Ciò è quanto vide Leibniz allorché indicò l’origine delle vérités eternelles nell’intelletto divino e l'origine delle vérités de fait nella volontà divina. Ciò è quanto vide Kant allorché trovò nel felice ma inafferrabile fatto che tutto quanto è dato nella percezione può essere ricondotto sotto le forme dell’intelletto, e quindi ordinato e compreso, un indizio di connessioni teleologiche divine che va molto al di là del nostro sapere teoretico. Di fatto nessun pensiero può fornire risposte conclusive a tali questioni. La filosofia può mostrare fin dove giunge la forza conoscitiva delle singole discipline; ma al di là di queste, neppure essa può conquistare un punto di vista oggettivo. La legge e l'avvenimento rimangono l’una accanto all’altro come le grandezze ultime e incommensurabili della nostra rappresentazione del mondo. Qui sta uno dei punti-limite in cui il pensiero scientifico può soltanto determinare il compito e porre la questione, con la chiara coscienza che non sarà mai in grado di risolverli. RICKERT nasce a Danzica. Frequenta dapprima l’Università di Berlino e poi quella di Strasburgo, dove consegue il dottorato sotto la guida di Windelband con la dissertazione Zur Lehre von der Definition (Freiburg i.B.). Dopo aver ottenuto l’abilitazione a Heidelberg, con il volume Der Gegenstand der Erkenntnis (Tibingen), divienne professore a Friburgo, dove succede al filosofo positivista Riehl. In questo periodo egli pubblica le sue opere più significative, da Die Grenzen der naturwissenschafilichen Begriffsbildung (Tiibingen) a Kulturwissenschaft und Naturwissenschaft (Tibingen), dal saggio Geschichisphilosophie (Heidelberg) ad alcuni importanti articoli sulla teoria dei valori apparsi nella rivista Logos . Nel 1916, dopo la morte di Windelband, gli succede sulla cattedra di Heidelberg, dove continuerà a insegnare fino alla morte, avvenuta il 28 luglio 1936. Anche Rickert muove da un’impostazione neocriticistica, e in questa prospettiva egli affronta, in Der Gegenstand der Erkenntnis, il proble ma del rapporto tra soggetto e oggetto. Ma già in questo libro la garanzia della validità della conoscenza viene individuata in un dover essere che appare indipendente dalle condizioni psicologiche del conoscere, cosicché l’analisi gnoseologica risulta ricondotta ai presupposti della teoria dei valori. Successivamente, in Die Grenzen der naturtwissenschaftlichen Begriffsbildung e in Kulturwissenschaft und Naturivissenschaft, Rickert riprende la distinzione windelbandiana tra scienze nomotetiche e scienze idiografiche cercando di recuperare, al tempo stesso, una distinzione oggettiva tra la natura e il mondo storico-sociale, identificato con la cultura. Egli cerca infatti di derivare dalla distinzione tra i due gruppi di discipline, e dalla diversità del loro orientamento conoscitivo, le caratteristiche differenzianti della natura e della cultura. La medesima realtà si presenta come natura oppure come cultura secondo il punto di vista dal quale essa è considerata: perciò la natura è la realtà considerata in riferimento al generale, cioè determinata nella sua struttura di leggi, mentre la cultura è la realtà considerata in riferimento all’individuale, cioè costituita da un complesso di fatti e di rapporti particolari. Ma l’individualità dell'oggetto storico non è altro, per Rickert, che la sua relazione con determinati valori culturali, i quali presiedono all’elaborazione concettuale della conoscenza storica e valgono come suoi criteri di scelta. Scienza naturale e conoscenza storica si differenziano quindi non soltanto per il loro diverso orientamento conoscitivo e per il diverso modo di configurarsi della realtà che costituisce il loro oggetto, ma anche per la presenza o l’assenza di un riferimento ai valori: mentre la conoscenza della natura prescinde da qualsiasi relazione di valore, cosicché la natura si presenta come un sistema di rapporti regolati da leggi generali, la conoscenza storica seleziona il dato empirico in base a criteri di valore. La cultura oggetto della conoscenza storica è perciò la realizzazione storica dei valori, di valori incondizionati che sussistono di per sé, indipendentemente dall’eventuale riconoscimento che' possono ricevere da parte degli uomini. Questo rapporto con i valori costituisce il senso della cultura, e dà perciò significato all’azione storica degli individui e alle varie forme storiche di cultura. Negli anni successivi al 1g1o Rickert appare sempre più impegnato nel tentativo di dare una formulazione sistematica della teoria dei valori, alla quale fa riscontro un’interpretazione metafisica del processo storico. E questo tentativo appare accompagnato, soprattutto in Die Philosophie des Lebens (Tibingen, 1920), dalla presa di posizione polemica contro i più svariati indirizzi della filosofia del Novecento, responsabili ai suoi occhi di negare la trascendenza e l’assolutezza dei valori e ricondotti all’etichetta della filosofia della vita una designazione che serve per qualificare tanto Nietzsche, Dilthey, Simmel, Spengler, quanto James e Bergson, e che verrà in seguito estesa anche a Weber e a Jaspers. Nel primo volume, il solo pubblicato, del System der Philosophie (Tibingen, 1921), Rickert cerca di elaborare un sistema dei valori fondato sulla distinzione di sei sfere di valori: tre sfere di carattere contemplativo, che sono quelle della scienza, dell’arte e della religiosità, e tre sfere di carattere pratico, che sono quelle della comunità etica, della comunità erotica e della comunità religiosa con la divinità. In questo quadro la storia viene interpretata come l'organo di riconoscimento dei valori, in quanto questi, pur avendo una loro autonoma esistenza su un piano trascendente rispetto alla realtà empirica, possono essere individuati soltanto sulla base di determinati beni culturali storicamente realizzati. L'ultima fase del pensiero di Rickert da Die Logik des Pridikats und das Problem der Ontologie (Heidelberg, 1930) a Grundprobleme der Philosophie (Tibingen, 1934) e ai saggi raccolti nel volume postumo Unmittelbarkeit und Sinndeutung (Tibingen, 1939) è caratterizzato dall'accentuazione del carattere ontologico della teoria dei valori e dal duplice richiamo a Hartmann e a Heidegger. I! problema del rapporto tra cultura e mondo dei valori viene a configurarsi come il problema del posto dell’uomo nel mondo; e l’analisi antropologica appare fondata sulla determinazione del legame dell’uomo con i diversi modi dell’essere. L'uomo nasce e cresce come essere naturale, e diventa uomo culturale ponendosi in relazione con i valori, cioè con una realtà trascendente che stabilisce il senso della sua esistenza e del suo sforzo di realizzazione storica dei valori. Ricordiamo qui le altre opere di Rickert: Psycho-physische Kausalitàt und psycho-physischer Parallelismus, Tibingen, 1900; Das Eine, die Einheit und die Eins: Bemerkungen zur Logik des Zahlbegriffs, Heidelberg, 1911, 1924?; Kant als Philosoph der modernen Kultur, Tiibingen, 1924; Die Heidelberger Tradition und Kants Kritizismus, Berlin, 1934. Numerosi sono gli articoli apparsi in Logos , nelle Kantstudien e in varie altre riviste, dei quali indichiamo qui soltanto i principali: Uber die Aufgabe einer Logik der Geschichte, Archiv fir systematische Philosophie , VIII, 1902, pp. 137-63; Zwei Wege der Erkenninistheorie, Kantstudien , XIV, 1909, pp. 169-228; Vom Begriff der Philosophie, Logos , I, I9I0, pp. 1-34; Lebenswerte und Kulturwerte, Logos , II, 191I1912, pp. 131-142; Vom System der Werte, Logos , IV, 1913, pp. 295-327; Uber logische und ethische Geltung, Kantstudien , XIX, 1914, pp. 182221; Psychologie der Weltanschauungen und Philosophie der Werte, Logos , IX, 1920-21, pp. 1-42 (in polemica con Jaspers); Die Methode der Philosophie und das Unmittelbare, Logos, XII, 1923-24, pp. 235-80; Vom Anfang der Philosophie, Logos , XVI, 1925, pp. 121-62; Die Erkenninis der intelligibeln Welt und das Problem der Metaphysik, Logos , XVI, 1927, pp. 162-203, e XVIII, 1929, pp. 36-82; Geschichte und System der Philosophie, Archiv fiir Geschichte der Philosophie , XL, 1931, pp. 7-46 e 403-48; Wissenschaftliche Philosophie und Weltanschauung, Logos , XXII, 1933, pp. 37-57. Le opere di Rickert non sono state più ristampate in epoca recente, né di esse esistono traduzioni italiane. Tra gli studi dedicati alla filosofia di Rickert segnaliamo i seguenti: O. ScHLunke, Die Lehre vom Bewusstsein bei Heinrich Rickert, Leipzig, IQII. A. Faust, Heinrich Rickert und seine Stellung innerhalb der deutschen Philosophie der Gegenwart, Tibingen, 1927. F. FepeRIcI, La filosofia dei valori di Heinrich Rickert, Firenze, 1933. G. GurvitcH, La théorie des valeurs de H. Rickert, Revue philosophique de la France et de l’étranger , CKXIV, 1937, pp. 80-88. ScHescHics, Die Kategorienlehre der Badischen philosophischen Schule, Berlin, 1938. E. Pact, Pensiero esistenza e valore, Milano, 1940, pp. 47-53. G. Rammino, Karl Jaspers und Heinrich Rickert. Existentialismus und Wertphilosophie, Bern, 1948. C. Rosso, Figure e dottrine della fiosofia dei valori, Torino, 1949, e Napoli, 1973”, cap. IX. A. Mitter-Rostowsra, Das individuelle als Gegenstand der Erkenninis: eine Studie zur Geschichtsmethodologie Heinrich Rickerts, Winterthur, 1955. H. Sere, Wert und Wirklichkeit in der Philosophie Heinrich Rickerts, Bonn, 1968. Una bibliografia ormai invecchiata, ma che fornisce molte indicazioni sugli scritti di Rickert e su Rickert nei primi decenni del secolo, si trova in F. FeperIci, La filosofia dei valori di Heinrich Rickert. All’inizio del secolo xx le scienze filosofiche si trovano ancora, in gran parte, sotto il segno della restaurazione. La loro ultima fioritura è dipesa dal ridestarsi dell’interesse per Kant, e anche le idee con cui la filosofia di orientamento kantiano deve oggi combattere non sono sorte nella nostra epoca, ma derivano da un periodo ancora precedente dello sviluppo filosofico. Si tratta per lo più di respingere di nuovo il naturalismo illuministico, su cui l’idealismo di Kant non è riuscito a riportare una vittoria definitiva. Nello stesso modo, se qualcuno volesse sostenere che anche Kant è almeno in parte superato, non si potrebbe dire che ciò sia avvenuto ad opera di idee elaborate di recente: quasi tutti i progressi reali compiuti rispetto a Kant risiedono essenzialmente nella direzione imboccata dai suoi immediati successori, a cui oggi ci si comincia a rifare. Per questo motivo lo studio della storia della filosofia riveste oggi un grosso significato, e per questo motivo festeggiamo un uomo come Kuno Fischer, che non soltanto ha molto contribuito a rianimare la comprensione di Kant, ma ha anche riavvicinato alla nostra epoca le idee dei suoi grandi discepoli. Non bisogna temere di dover ripercorrere il processo di sviluppo che * Geschichtsphilosophie, in Die Philosophie im Beginn des zwanzigsten Jahrhunderts: Festschrife fiir Kuno Fischer (a cura di W. Windelband), Heidelberg, Carl Winter*s Universitàtsbuchhandlung, 1904-5, vol. II, pp. 51-133 (traduzione di Sandro Barbera e Pietro Rossi). 1. Kuno Fischer (1824-1907), storico della filosofia di orientamento hegeliano, autore di un'importante Geschichte der neueren Philosophie (1854-77) e della monografia Hegels Leben, Werke und Lehre (1901): la sua opera ha largamente ispirato l'interpretazione in senso idealistico dello sviluppo del pensiero filosofico moderno. RICKERT ha condotto da Kanta Fichte, da questi a Schelling o a Schopenhauer, e poi fino a Hegel. La nuova epoca comporta nuove questioni, che esigono risposte nuove: nulla si è mai ripetuto nella vita storica. Ma non si deve chiudere gli occhi dinanzi alla prospettiva che l’idealismo kantiano e post-kantiano contiene un tesoro di idee che è ancora lungi dall’esser stato utilizzato completamente e dal quale possiamo trarre, se dobbiamo misurarci con i problemi filosofici della nostra epoca, una quantità di idee preziose. Ciò vale per nessun'altra disciplina filosofica più che per la filosofia della storia. Benché negli ultimi tempi l’interesse per essa sia straordinariamente aumentato, la filosofia della storia non può, almeno per quanto riguarda i suoi concetti fondamentali, avanzare la pretesa di insegnare qualcosa di mai udito, di nuovo. Proprio le speculazioni che vengono considerate particolarmente moderne vivono quasi esclusivamente di idee che hanno trovato la loro formulazione nell’Illuminismo; e anche la tendenza che combatte questi indirizzi illuministici è costretta a riconoscere con gratitudine che alcune delle sue armi migliori sono state forgiate in parte da Kant, e in parte ancora maggiore dagli idealisti post-kantiani, in particolare da Fichte e da Hegel. Chi volesse quindi avere un quadro della situazione attuale della filosofia della storia e dei suoi movimenti, dei suoi problemi principali e delle diverse direzioni che Ja loro soluzione assume, potrebbe tentare per acquisire i concetti fondamentali di seguire all’indietro i fili che portano all'idealismo tedesco e più in là, procedendo verso il passato, fino all’Illuminismo. Ma anche nell’ambito della filosofia della storia non si tratterà di una mera restaurazione dei precedenti. Per rendersene conto basta pensare allo sviluppo della scienza storica nel secolo xx; e in ogni caso nei sistemi del passato dobbiamo distinguere ciò che è valido in modo durevole da ciò che è storicamente divenuto. Per la filosofia della storia ciò è stato fatto soltanto in parte. Occorreranno ancora varie indagini, del tipo di quelle condotte da Lask? sull’idealismo di 2. Emil Lask (1875-1915), filosofo tedesco allievo di Windelband, autore di Die Logik der Philosophie und die Kategorienlehre e di Die Lehre vom Urteil. Rickert si riferisce qui al volume Fichtes Idealismus und die Geschichte, Tibingen. Fichte e la storia, perché emerga il significato durevole di queste idee. Già per questo motivo l’orientamento storico non si presta a un rapido sguardo sul presente. E anche a prescindere da ciò, qui non è consigliabile procedere in modo esclusivamente storico. Nonostante tutta la gratitudine che proviamo per il nostro passato filosofico, nonostante il riconoscimento della sua superiorità di originalità creativa, occorre augurarsi di venir fuori della nostra situazione di epigoni, di non procedere soltanto dall’epoca dell’Illuminismo all’epoca di Kant, ma di tentare di percorrere la nostra via; e proprio la filosofia della storia ha forse più occasioni per porre in rilievo che il filosofo non può mai essere soltanto uno storico, che la filosofia non può mai arrestarsi alla storia. Lasciamo quindi da parte il passato e tentiamo di sviluppare un orientamento sistematico. Ma anche su questa via ci imbattiamo in difficoltà. L’intensa familiarità con la storia ha recato con sé non soltanto una grande ricchezza di idee filosofiche, ma anche una confusione considerevole e quindi un’insicurezza che si estende ai concetti più elementari del nostro lavoro. Alla questione di che cosa sia in generale la filosofa non esiste alcuna risposta che goda di riconoscimento generale, e ciò che vale per la totalità varrà per le sue parti. Se vogliamo procedere senza arbitrio, dobbiamo anzitutto richiamare i diversi significati che si connettono all’espressione filosofia della storia e giustificare il nostro concetto di tale scienza. Anzitutto tre concetti emergono chiaramente. Della filosofia in generale si dice che sarebbe la scienza dell’universale, in antitesi alle scienze particolari. Filosofare vorrebbe quindi dire cercare una conoscenza complessiva della realtà, fornire l’insieme di ogni conoscenza scientifica. Se su questa base si determinano i compiti di una filosofia della storia, essa deve raccogliere mentre le scienze storiche particolari hanno a che fare con i campi particolari della vita storica ciò che quelle singole discipline hanno scoperto in un quadro complessivo unitario, in uno sguardo d’insieme sulla totalità, in breve, in una storia universale. Filosofia della storia in questo primo significato del termine equivarrebbe quindi a storia universale. Ma la generalità di un’esposizione può essere intesa in modi diversi. Se, per richiamarci nuovamente al concetto della filosofia in generale, si pone ad essa il compito di fornire una conoscenza complessiva della realtà, allora non si può ritenere che essa possa accogliere in sé tutta la pienezza di contenuto del materiale conosciuto dalle discipline particolari. La sua generalità deve piuttosto essere sempre connessa con una generalizzazione nel senso che il contenuto del sapere specialistico va perduto in grado maggiore o minore, e in definitiva tale generalizzazione può spingersi al punto che soltanto i principi generali diventano oggetto di indagine. Di qui deriva anche un nuovo concetto della filosofia della storia. In questo modo tale disciplina deve lasciar da parte il contenuto particolare della vita storica, per indagare sul suo senso universale o sulle sue leggi universali. Anche senza un’ulteriore determinazione dei concetti di senso e di legge, sorge così il concetto di una scienza dei princìpi storici, che si distingue nettamente dal concetto di storia universale. E infine, se storia non significa ciò che è accaduto, bensì rappresentazione di ciò che è accaduto o scienza della storia, si perviene a un terzo concetto. In ogni caso, quest’ultimo concetto si accorda con un punto di vista, variamente rappresentato, in merito ai compiti della filosofia in generale, per cui essa specialmente nella sua parte teoretica deve avere per oggetto non tanto le cose stesse, quanto il sapere relativo alle cose. La filosofia della storia può quindi essere considerata anche come scienza del conoscere storico o come una parte della logica nel senso più ampio del termine. Forse si sentirà ancora la mancanza di una disciplina che si occupi del significato del pensiero storico per la trattazione dei problemi generali dell’intuizione del mondo e della concezione della vita. Ma a tali questioni sarà facile rispondere se il lavoro finora solo indicato è stato compiuto e non c'è quindi motivo di elencare un quarto tipo di filosofia della storia. Certamente la storia universale, la dottrina dei princìpi della vita storica e la logica della scienza storica sembrano essere, di fatto, tre scienze egualmente legittime, ognuna delle quali ha i suoi problemi particolari, e che hanno però tutte diritto al nome di filosofia della storia. Ma se si guarda con maggior precisione, si presenta subito un quadro diverso. Come la storia universale deve sussistere accanto alle singole discipline storiche? Dev’essere concepita come una mera somma delle scoperte di quelle? Certamente no. Da essa si esigerà al minimo che esponga in modo unitario la totalità storica. Ma che cos’è questa totalità, in cui consiste il principio della sua unità e della sua articolazione? Attraverso questioni di questo genere il primo tipo di filosofia della storia conduce, nella trattazione dei suoi concetti fondamentali, al secondo tipo. Ma anche i concetti di cui la scienza dei princìpi ha bisogno per determinare il suo compito non possono venir presupposti come ovvi, sia che si pensi a leggi universali a cui dev'essere sottoposta ogni vita storica, sia che si voglia porre a fondamento della totalità dello sviluppo storico un senso unitario. In questi concetti vi sono dei problemi. Mentre ognuno ritiene ovvio cercare le leggi naturali, si contesta però decisamente la possibilità di indicare leggi storiche; prescindendo da questo, perché nel campo delle scienze naturali le leggi vengono ricercate dalle stesse discipline particolari, mentre per la storia questo compito spetta a una disciplina filosofica? Con quale diritto, inoltre, ipotizziamo un senso del corso storico, e quali strumenti abbiamo per riconoscerlo? La filosofia della storia come scienza dei princìpi non può cominciare il suo lavoro senza affrontare questioni di tal genere; né potrà rispondere ad esse se non ha chiara l’essenza del conoscere storico in generale, cioè se non possiede nozioni logiche. Vediamo così la seconda delle tre discipline condurre alla terza, nello stesso modo in cui la prima conduceva alla seconda. Da ciò deriva pertanto tra i diversi tipi di filosofia della storia che a prima vista sembravano costituire tre scienze indipendenti, ognuna con problemi differenti una connessione tale che la logica della storia deve costituire il punto di partenza e il fondamento di tutte le indagini di filosofia della storia. Fino a quale punto, poi, i problemi della scienza dei princìpi e della storia universale debbano trasformarsi in problemi logici, se devono poter essere risolti in generale, è cosa che soltanto l’indagine concreta può stabilire. Ma già da ora è certo che non è arbitrio, ma necessità, se prendiamo qui le mosse da uno sguardo d'insieme sui problemi e sui dibattiti più importanti della logica della storia. Anteponendo questa parte entriamo immediatamente nel campo della filosofia della storia, in cui la nostra epoca può maggiormente pretendere una certa originalità. Per la formulazione e la trattazione logica dei problemi si trovano nella filosofia dell’idealismo tedesco osservazioni sì molto valide, ma isolate e asistematiche; e nella filosofia pre-kantiana del passato e del presente non si è fatto nulla per rispondere a tali questioni. Nonostante l’evidente connessione tra logica della storia e filosofia della storia in senso lato, i primi tentativi di comprendere a fondo, nel suo carattere specifico, l’essenza logica della scienza storica non risalgono molto all’indietro di Paul*, di Naville‘, di Simmel e soprattutto di Windelband. Anche sulle questioni più elementari, infatti, domina finora in questo campo il più violento contrasto di opinioni; anzi, una logica della storia che meriti questo nome deve ancora combattere per la giustificazione della sua esistenza. Non soltanto si crede come fa per esempio Lindner® di poter trattare scientificamente i problemi della filosofia della storia senza una fondazione logica, ma si è addirittura contestato il diritto di esporre un concetto puramente logico della storia e del metodo storico. I motivi non consistono soltanto nel fatto che in tali questioni sono intervenuti molti ai quali fa difetto la preparazione necessaria per trattare problemi del genere. E neppure derivano soltanto dalle difficoltà che si presentano in questo campo: solo che si imbocchi la via giusta, l'essenza logica della storia non è più difficile da comprendere di quella di altre scienze. Ma proprio su questa strada non esiste, stranamente, alcuna concordia. Sembrerebbe ovvio che chi va alla ricerca di chiarezza in questo campo cerchi un orientamento, almeno preliminare, nel3. Hermann Paul (1846-1921), glottologo tedesco, autore dei Prinzipien der Sprachgeschichte (1880), fu un rappresentante del metodo storico nello studio della linguistica. 4. Adrien Naville (1845-1930), filosofo svizzero di origine positivistica, autore del volume De la classification des sciences, Paris, 1888 al quale si riferisce qui Rickert e di altri scritti di teoria della conoscenza. 5. Theodor Lindner (1843-1919), filosofo e storico tedesco, autore della Geschichtsphilosophie: das Wesen der geschichtlichen Entwicklung (1901), e di una Weltgeschichte scit der Volkerivanderung (1901-16). le opere dei grandi storici universalmente riconosciuti, e stabilisca anzitutto ciò che distingue il pensiero storico da quello delle altre scienze. Sembrerebbe poi ovvio che debba essere anzitutto compresa la struttura logica della scienza storica quale essa esiste, prima di pronunciare un giudizio sul suo valore scientifico. Ma in questo caso l’ovvio non coincide con ciò che avviene di solito. Talvolta il riferimento alle opere dei grandi storici viene piuttosto respinto per esempio da Lamprecht* e da Tònnies” come non scientifico: queste esposizioni non conterrebbero vera scienza. In particolare, proprio coloro che per tutto il resto non si stancano di celebrare l’esperienza come unico fondamento di ogni sapere, nell’indagine logica delle scienze empiriche si mettono al lavoro utilizzando un concetto di scienza storica fissato in precedenza e mai realizzato; e poiché non trovano mai gli storici sulla via che conduce al loro ideale, pensano che sia anzitutto necessario elevare a scienza la storia. In teste di questo genere si è così fissata l’idea di un’antitesi tra scienza e storia, e proprio questi pensatori si sentono stranamente chiamati a istruire la scienza storica sui suoi veri fini. Non ci si deve meravigliare del fatto che la maggior parte degli storici non vuole saperne di simili speculazioni estranee alla storia. Così avviene che storia e filosofia spesso non si comprendono più, ed entrambe soffrono di questa situazione. L’astorica filosofia della storia che un tempo aveva avuto larga risonanza soprattutto nella forma delle teorie (non della prassi) di un Taine® e di un Buckle e che oggi viene rinnovata, 6. Karl Lamprecht (1856-1915), storico tedesco, autore di importanti saggi metodologici come Alte und neue Richtungen in der Geschichtswissenschaft (1896), Was ist Kulturgeschichte? (1896-97), Die kulturhistorische Methode (1900) e della Einf@zhrung in das historische Denken (1912), nonché di una monumentale Deutsche Geschichte in dodici volumi (1891-1904), è il maggiore rappresentante dell’orientamento positivi. stico nella storiografia tedesca dî fine Ottocento. 7. Ferdinand Tònnies (1855-1936), sociologo tedesco, autore di Gemeinschaft und Gesellschaft (1887), di Die Sitte (1909), della Kritik der òffentlichen Meinung (1922), della Einfiihrung in die Soziologie (1931), nonché di una nota monografia su Hobbes (1896) e di vari scritto sul marxismo. 8. Hippolyte-Adolphe Taine (1828-1893), storico e filosofo positivista francese, autore della Philosophie de l'art (1865), del libro De l'intelligence (1870), di numerosi saggi di critica e di storia letteraria, nonché di un'ampia opera, rimasta incompiuta, su Les origines de la France contemporaine (1876-93), fu il maggiore rappresentante dell'impostazione positivistica nell’ambito dell'estetica. più con passione che con chiarezza, per esempio da Lamprecht, è stata abbastanza respinta, per gli scopi della scienza storica empirica, da Droysen’, Bernheim”, von Below", Eduard Meyer e altri. Ma in questo dibattito metodologico tra storici in cui sono state introdotte anche questioni come quelle della libertà e della necessità, della conformità alle leggi e dell’accidentalità, della teleologia e del meccanicismo molto è rimasto non chiarito da un punto di vista filosofico, nonostante alcuni preziosi risultati: perciò anche gli storici si mostrano talvolta assai perplessi quando, seguendo la caratteristica dell’epoca che torna a farsi più filosofica, passano dalle loro indagini specialistiche a considerazioni più generali. Ma di questa situazione soffre molto di più la filosofia. A causa della incomprensione del pensiero storico, che proprio nella nostra epoca è quanto mai importante, la filosofia è condannata a una profonda mancanza di influenza; e fino a qual punto tale mancanza d’influenza sia connessa alla separazione dalla storia risulta in modo particolarmente chiaro dal fatto che, se oggi si manifesta talora un interesse filosofico nei rappresentanti delle cosiddette scienze dello spirito, esso è per lo più mediato dal legame con indagini di metodologia della storia. Ai nostri giorni l’incomprensione dell’essenza del lavoro storico viene naturalmente in luce con la massima chiarezza nei rappresentanti dei dogmi naturalistici, oggi nuovamente di moda; e non fa una differenza essenziale se questo naturalismo si presenta come materialismo o come psicologismo. In entrambi i casi il riconoscimento della storia come scienza significherebbe uno scuotimento dei concetti naturalistici fondamentali. Infatti dove si identifica la realtà con la natura, vi è tanto meno spazio per la storia quanto più si pensa in modo coerente. Ma l’estraneità della nostra filosofia alla storia ha motivi ancor più 9Johann Gustav Droysen (1808-1884), storico tedesco, autore della Geschichte des Hellenismus (1836-43) e della Geschichte der preussischen Politik (1855-86), nonché di un Grundriss der Historik (1868) che espone in forma sistematica i principi del metodo storico. ro. Ernst Bernhcim (1850-1942), metodologo della storia tedesco, autore di un fortunato Le/lrbuch der historischen Methode und der Geschichtsphilosophie (1889). rt. Georg von Below, storico tedesco, autore di Der deutsche Staat des Mittelalters (1914), di Die deutsche Geschichtsschreibung von den Befreiungskriegen an bis zu unseren Tagen (1916), nonché di altri studi di storia costituzionale ed economica. profondi. Per quanto il naturalismo come intuizione del mondo sia stato in linea di principio completamente superato per merito di Kant, nella sostanza tale superamento non procede in direzione del pensiero storico. Nel seguace di Newton vi sono al massimo le premesse per una comprensione di questo pensiero, e la metodologia di Kant è ancora dominata quasi del tutto e proprio nella sua più importante opera teoretica dall’interesse per la matematica e per la scienza naturale. Dfatto, quindi, ci si può richiamare a Kant come fa per esempio Max Adler! con una certa parvenza di legittimità se si ricusa al lavoro storico un vero e proprio carattere scientifico. Si aggiunga infine che tra le scienze della natura nella misura in cui sono scienze sistematiche e la filosofia che anch'essa aspira a un sistema c’è un’affinità formale maggiore di quella che esiste tra la filosofia e la storia, la quale non può mai diventare una scienza sistematica. Si deve anzi parlare di un antagonismo tra pensiero storico e pensiero filosofico, che nessuno può anche soltanto desiderare di accantonare: la filosofia dovrà sempre combattere lo storicismo come intuizione del mondo. Ma tutto ciò fa apparire ancor più urgenti i compiti di una logica della storia. Il naturalismo viene respinto non meno dello storicismo, e la filosofia può sperare di aver ragione dello storicismo soltanto se ha compreso a fondo l’essenza e il significato del pensiero storico. Da tutto ciò deriva per la logica il compito di superare completamente nella sua unilateralità il naturalismo metodologico, ancora rappresentato pure da Kant, e di pervenire così a una comprensione di ogri lavoro scientifico. L'affermazione che finora poco si è fatto per la soluzione di questo compito incontrerà forse opposizioni se si tengono presenti le molte indagini sull’essenza delle scienze dello spirito intraprese da Mill in poi; e certamente non si può dire che 12. Max Adler (1873-1937), sociologo e filosofo austriaco, autore di Marx als Denker (1908), di Marxistische Probleme, di Kant und der Marxismus, di Das Soziologische in Kants Erkenntniskritik (1925), del Lehrbuch der materialistischen Geschichtsauffassung (1930) e di varie altre opere, fu uno dei maggiori esponenti del cosiddetto austro-marxismo, orientato verso un’interpretazione in chiave kantiana di Marx, Rickert si riferisce qui al volume Kausalitàt und Teleologie im Streite um die Wissenschaft, Wien. tutti questi lavori siano privi di valore. Ma nelle indagini (per altro verso estremamente preziose) condotte per esempio da Dilthey, Wundt!, Miinsterberg! e da altri, il punto decisivo, che rende possibile una reale comprensione logica della storia, non è stato affatto toccato (come da parte di Wundt e di Miinsterberg) oppure (come in Dilthey) non è stato elaborato in modo preciso e posto al centro, in modo da diventare realmente fecondo in una logica della storia. Ciò trova già espressione nella terminologia consueta, che contrappone le scienze dello spirito alle scienze della natura. L’antitesi tra natura e spirito è oggi tutt'altro che univoca. I pensatori che si sono occupati dell'essenza delle scienze dello spirito determinano in modo assai diverso anche il concetto fondamentale di spirito, e sono d'accordo soltanto su un punto, cioè che esistono in generale due gruppi diversi di scienze empiriche. E nemmeno si può sperare che dal concetto di spirito si pervenga a un accordo sull’essenza del pensiero storico. Questi tentativi contengono alla loro base troppi presupposti per lo più di carattere metafisico, che offrono soltanto degli appigli a un naturalismo estraneo alla storia. L'unico concetto di spirito con cui oggi si può lavorare senza bisogno di una fondazione più precisa è quello di realtà psichica in antitesi a quella fisica: che ciò che chiamiamo piacere o ricordo o volontà non sia un corpo, è infatti ammesso da tutti i pensatori che meritano di essere presi in considerazione. Ma quest’unico concetto di spirito, senz’altro utilizzabile, è del tutto inadeguato per una delimitazione delle diverse scienze e per la comprensione dell’essenza della 13. Wundt, psicologo e filosofo tedesco, autore dei Beitrige zur Theorie der Sinneswahrnehmung (1858-62), delle Vorlesungen fiber die Menschenund Tierseele (1863-64), dei Grundziige der physiologischen Psychologie (1874), della Logik (1880-83), della Eekik (1886), del Systera der Philosophie (1889), della Einleitung in° die Philosophie (1901), della Volkerpsychologie e di varic altre opere, fu il maggiore esponente del positivismo in Germania: è considerato il fondatore della moderna psicologia scientifica, basata sul metodo sperimentale. Rickert si riferisce qui alla terza parte della Logik, che reca il titolo Logi der Geisteswissenschaften (vol. Il-2, 2° cd. Stuttgart, 1895). 14. Hugo Miinsterberg (1863-1916), psicologo c filosofo tedesco, autore dei Grundzige der Psychologie, della Philosophie der Werte (1908), di Psychologie und Wirtschaftsleben (1912), dei Grundzige der Psychotechnik (1914) e di varie altre opere, si ispirò da una parte all'insegnamento di Wundt e dall'altra alla filosofia dei valori. storia. Il naturalismo può a buon diritto sostenere che, se l’elemento spirituale nel senso sopra indicato non è certamente corpo, appartiene però del tutto alla natura, e dev'essere quindi indagato scientificamente allo stesso modo di tutti gli altri oggetti naturali. Esso può sostenere che non si tratta soltanto di una teoria, ma che la prassi della psicologia moderna eleva questa certezza al di sopra del conflitto tra le diverse prospettive metodologiche. Di fronte a queste affermazioni i sostenitori dell’antitesi tra scienze della natura e scienze dello spirito saranno disarmati finché non avranno determinato il loro concetto fondamentale in modo incontestabile, e nel caso del concetto di spirito ciò non sarà mai possibile con mezzi logici, o in ogni caso lo sarà soltanto qualora si sia già acquisito il concetto logico della storia. La dottrina del metodo non ha alcun bisogno di impegnarsi dapprima in tutte queste questioni controverse, se rivolge la sua attenzione soltanto a ciò che vuol porre in chiaro, cioè al metodo. Il metodo consiste nelle forme utilizzate dalla scienza nell’elaborazione del suo materiale. Con ciò non si vuol negare che il metodo sia variamente condizionato dal carattere specifico del materiale. Anche un’indagine che rifletta sulla diversità di contenuto delle singole scienze può condurre quindi a questo o a quel risultato, prezioso dal punto di vista logico. Ma questi risultati si presenteranno in modo più o meno accidentale, e una logica che vuol raggiungere il suo fine con sicurezza e per la via più breve prescinde pertanto da tutte le distinzioni di contenuto delle singole scienze, per poter meglio comprendere le distinzioni metodologiche di carattere formale. Essa deve soltanto riflettere sul fatto che nelle scienze empiriche agli oggetti si contrappone sempre un soggetto conoscente che siano essi oggetti spirituali o corporei, processi naturali o prodotti culturali li assume come dati , e che il soggetto si prefigge il fine di conoscere questa o quella parte, o anche la totalità del mondo dato. Si riconoscerà allora facilmente che la conoscenza non consiste in una riproduzione o in una copia, ma in una comprensione trasformatrice degli oggetti. A dimostrarlo già basta, prescindendo da tutti gli altri motivi, la semplice riflessione che la realtà data da cui muove ogni scienza empirica si presenta, nella totalità come in ogni sua parte, come una molteplicità sterminata che nessuno è in grado di riprodurre. Il contenuto di ogni giudizio che asserisca qualcosa sulla realtà è necessariamente, in confronto alla realtà stessa, una grossa semplificazione. La scienza può perciò anche essere considerata come una trasposizione del materiale dato intuitivamente in immagini di pensiero, per le quali si preferisce usare il nome di concetto per distinguerle dall’intuizione. In questo processo di trasformazione concettuale consiste il metodo della scienza. Inoltre ed è questa la cosa principale le forme del lavoro scientifico, in quanto strumenti per il conseguimento del fine scientifico, devono dipendere nel loro carattere specifico dalla specificità formale dei fini a cui il soggetto tende nel conoscere. La logica deve quindi indagare i compiti, formalmente diversi tra loro, che le diverse scienze si pongono e cercare di comprendere i metodi scientifici nella loro diversità come gli strumenti, necessariamente differenti, per il conseguimento di questi diversi fini o come i modi, anch'essi necessariamente differenti, della trasformazione e dell’elaborazione concettuale del materiale intuitivamente dato. Ovviamente, le distinzioni metodologiche che ne risultano sono, al pari delle distinzioni dei fini, puramente formali; ma proprio in virtù di questo loro carattere puramente formale esse devono valere come elementi fondamentali e decisivi per la comprensione dell’essenza logica di un metodo scientifico. La logica ha a che fare sempre e soltanto con le forme del pensiero. Se da queste determinazioni generali del compito di una logica delle scienze particolari ci volgiamo ai concetti fondamentali che la logica della scienza storica deve sviluppare in modo particolare, sarà necessario in primo luogo recare alla coscienza la massima antitesi formale presente nella nostra concezione della realtà empirica, cioè chiedersi che cosa significhi logicamente quest’antitesi e indicare quale termine dell’antitesi sia determinante per la rappresentazione storica della realtà. Che vi siano due tipi sostanzialmente diversi di apprendimento della realtà, si può forse comprenderlo nel modo migliore guardando alle conoscenze pre-scientifiche che possediamo di una parte più o meno grande del mondo. Sarebbe illusorio credere di avere qui una copia della realtà quale essa è. Prima che la scienza si accinga al suo lavoro è sorta già sempre qualche specie di elaborazione concettuale, e la scienza trova come proprio materiale i prodotti di questa elaborazione concettuale prescientifica, non la realtà libera da interpretazioni. La massima distinzione formale in questa elaborazione concettuale pre-scientifica è però quella seguente. La maggior parte delle cose e degli eventi ci interessano solamente per quello che hanno in comune con altri; e quindi noi facciamo attenzione a questo elemento comune, anche se di fatto ogni parte della realtà è individualmente diversa da ogni altra e nulla nel mondo si ripete esattamente. Poiché l’individualità della maggior parte degli oggetti ci è del tutto indifferente, noi non la conosciamo; per noi questi oggetti non sono che esemplari di un concetto di genere, che possono essere sostituiti da altri esemplari dello stesso concetto: anche se non sono mai identici, noi li vediamo come tali e quindi li designamo soltanto con nomi di genere. Questa delimitazione, a tutti nota, dell’interesse a ciò che è generale (nel senso di ciò che è comune a un gruppo di oggetti), o apprendimento generalizzante, sulla cui base riteniamo a torto che nel mondo esista qualcosa come l’identità e la ripetizione, è per noi al tempo stesso di grande valore pratico. Esso articola in un modo determinato la molteplicità e la policromia della realtà, e ci rende possibile di orientarci in essa. D'altra parte l'apprendimento generalizzante non esaurisce affatto ciò che ci interessa nel nostro ambiente, e che quindi conosciamo di esso. Questo o quell’oggetto viene piuttosto preso in considerazione proprio per quello che è ad esso peculiare, e che lo distingue da tutti gli altri oggetti. Il nostro interesse e la nostra conoscenza si riferiscono quindi proprio alla sua individualità, a ciò che lo rende insostituibile; e se anche sappiamo che esso si lascia cogliere, al pari degli altri oggetti, come esemplare di un concetto di genere, tuttavia non vogliamo considerarlo identico ad altre cose, ma vogliamo estrarlo espressamente dal suo gruppo: ciò trova la sua espressione linguistica nella designazione con un nome proprio anziché con un sostantivo di genere. Anche questo tipo di articolazione, o apprendimento individualizzante della realtà, è così corrente che non richiede una ulteriore analisi. Ma una cosa è importante e dev'essere sottolineata: la conoscenza dell’individualità di un oggetto non costituisce neppur essa una copia nel senso che noi conosciamo l’intera molteplicità del suo contenuto, ma anche qui si compie una determinata scelta e trasformazione, cioè si estrae un complesso di elementi che, in questa particolare composizione, appartiene soltanto a quell’urico oggetto determinato. Dobbiamo quindi distinguere l’individualità che spetta a qualsiasi cosa o evento il cui contenuto coincide con la sua realtà, e la cui conoscenza non può essere raggiunta né merita di essere oggetto di aspirazione dall’individualità per noi significativa, e consistente di elementi determinati; e dobbiamo aver chiaro che questa individualità in senso stretto (la sola a cui di solito si allude) non costituisce una realtà, al pari del concetto di genere, ma è soltanto un prodotto del nostro apprendimento della realtà, della nostra elaborazione concettuale pre-scientifica. La distinzione qui illustrata deve suscitare in alto grado l'interesse della logica. In primo luogo, non soltanto ogni lavoro scientifico si richiama a processi pre-scientifici e ai loro risultati, ma dev'essere in larga misura inteso come elaborazione sistematica di ciò che è stato cominciato in modo non arbitrario. Inoltre tale distinzione è particolarmente significativa sia perché è puramente formale in quanto qualsiasi oggetto può essere appreso in modo generalizzante e in modo individualizzante sia perché, come antitesi tra generale e particolare, rappresenta la massima distinzione che si possa pensare da un punto di vista logico. Se deve avere un significato per i metodi delle singole scienze, la logica deve anche fare di esse il punto di partenza delle proprie indagini. Per quanto riguarda la considerazione generalizzante degli oggetti, non c'è alcun dubbio non soltanto sulla sua importanZa pratica, ma anche sulla sua importanza teoretica per la scienza. Il metodo di molte scienze consiste in una subordinazione del particolare al generale, che coincide con la formazione di concetti di genere e con la considerazione degli oggetti come esemplari di questi. Conoscere significa allora comprendere ciò che non è conosciuto come caso particolare di ciò che è noto, in modo da eliminare l’individuale, il singolare, e da accogliere nella scienza soltanto l'elemento comune. Il fine supremo di questa conoscenza è di ricondurre la realtà da conoscere sotto concetti universali in modo che questi ultimi si uniscano, mediante rapporti di sovra-ordinazione e di subordinazione, in un sistema unitario, e che si tenda dove è possibile a concetti il cui contenuto valga ir modo incondizionatamente universale per gli oggetti da indagare. Dove si perviene a questo tipo di conoscenza, si è colto ciò che chiamiamo le leggi della realtà. Del tutto legittimo è poi anche il tentativo di applicare questo metodo di comprensione a tutti i campi della realtà e di andare quindi ovunque alla ricerca di leggi, sia nella realtà spirituale o in quella corporea, sia nei processi naturali o nella vita culturale. Ciò può essere certamente più difficile in un campo che in un altro, e anzi qualche volta i concetti incondizionatamente universali sono inconoscibili all'uomo; ma la considerazione generalizzante non è mai esclusa in linea di principio, e da ciò sembra risultare una conseguenza metodologica fondamentale. Si può cioè concludere che il pensiero scientifico coincide con la formazione di concetti generali e che quindi, da un punto di vista puramente formale, esiste soltanto “r metodo scientifico. L’antitesi tra apprendimento generalizzante e apprendimento individualizzante avrebbe allora significato per la logica soltanto nella misura in cui la scienza elimina ovunque l’individuale mediante concetti generali; e proprio perché nella nostra analisi non si è tenuto alcun conto della peculiarità del materiale delle diverse scienze, la divisione consueta in scienze della natura e scienze dello spirito sembra svanire, almeno nel suo significato metodologico formale. Piuttosto, la vita spirituale dev'essere trattata in modo generalizzante al pari del mondo corporeo: perciò anche la scienza storica è naturalmente costretta ad applicare il metodo generalizzante. Di fatto, sono questi i motivi migliori su cui poggiare la proclamazione di un metodo universale, perché si tratta di motivi puramente formali e, nella misura in cui l’apprendimento generalizzante celebra i suoi massimi trionfi nelle scienze della natura, qui abbiamo nel medesimo tempo il miglior fondamento del naturalismo metodologico. Ma una logica che voglia comprendere le scienze così come realmente esistono non si accontenterà di questo. Dal giusto principio che ogni realtà può essere sottomessa a una considerazione generalizzante essa non concluderà che la formazione di concetti generali è senz'altro identica con il procedimento scientifico. Essa si chiederà piuttosto se tutte le scienze applicano effettivamente questo procedimento e dovrà rispondere negativamente osservando il lavoro scientifico che è presente nelle opere di tutti gli storici. Questo fatto è così evidente che anche i sostenitori di un metodo universale di tipo generalizzante o del naturalismo metodologico non possono negarlo. Essi cercano di aiutarsi dicendo che la scienza storica è oggi ancora imperfetta e per questo motivo non si adegua al sistema sopra indicato, ma che quanto più progredirà, tanto più si servirà anch'essa dell’unico metodo scientifico, cioè del metodo generalizzante. Questo punto di vista è però insostenibile, e non soltanto come si deve sempre sottolineare nel modo più energico per il fatto che la realtà di cui la storia tratta non può essere ricondotta sotto concetti generali e infatti questa è un’affermazione indimostrabile per la logica che procede in modo formale ma semplicemente perché rientra nell’essenza della scienza storica che, non appena comprende se stessa, essa non vole compiere un'elaborazione della realtà in riferimento a ciò che vi è di comune negli oggetti, e non vuole compierla perché su questa via non è mai possibile conseguire i fini che essa si pone in quanto storia. Ma quali sono questi fini, nel loro carattere formale? Se l'oggetto storico si tratti di una personalità, di un popolo, di un’epoca, di un movimento economico o politico, religioso o artistico dev'essere rappresentato come una totalità, occorre in ogni caso coglierlo nella sua singolarità e nella sua individualità irripetibile, e assumerlo nella rappresentazione come se non potesse essere sostituito da nessun'altra realtà. Perciò la storia non può servirsi, se si prende in considerazione il suo fine ultimo, ossia la rappresentazione dell’oggetto nella sua totalità, del procedimento generalizzante, poiché questo coincide con un’esclusione dell’individuale e conduce così al contrario logico di ciò a cui la storia aspira. È quindi ancora una volta del tutto indifferente che l’oggetto storico sia un oggetto corporeo o spirituale, un prodotto culturale o un processo naturale; importa solo che, dove è presente in generale un interesse storico per una qualsiasi realtà, si tende a una rappresentazione con un contenuto individuale, perché questa soltanto si presta alla soluzione del compito proprio della scienza storica. Ciò non deve significare che la storia cerchi di fornire una copia dell’individualità del suo oggetto: tanto poco essa potrebbe infatti ottenerla, quanto poco nelle conoscenze pre-scientifiche possediamo copie degli oggetti designati con nomi propri. Né deve significare che la storia rappresenti il suo oggetto individualizzandolo in tutte le sue parti, ma vuol dire che viene anzitutto presa in considerazione soltanto l’individualità del tutto e che questa non coincide affatto, se prescindiamo dall’idea di una copia, con la somma delle individualità delle sue parti. Infine, non si può negare che per raggiungere il suo fine la storia ha bisogno di concetti generali e procede in modo generalizzante, così come, all’inverso, nelle scienze generalizzanti non si può fare a meno della rappresentazione dell’individuale come punto di partenza per la formazione di concetti generali. Si deve provvisoriamente rendere consapevole il carattere logico del fize ultimo di ogni rappresentazione storica, e la struttura logica del risultato che necessariamente corrisponde a questo fine. Se si va alla ricerca di esempi, è naturalmente del tutto indifferente l’indirizzo a cui appartiene l’opera storica che si prende in considerazione. Prendiamo la Weltgeschichte di Ranke o Les origines de la France contemporaine di Taine, la Deutsche Geschichte im 19. Jahrhundert di Treitschke! o la History of Civilisatton in England di Buckle, la Begrindung des Deutschen Reiches durch Wilhelm I di Sybel! o la Caltur 15. Heinrich von Treitschke (1834-1896), storico tedesco, autore del volume Die Gesellschaftswissenschaft, ein kritischer Versuch (1858), della Deutsche Geschichte im 19. Jahrkundert (1879-95), degli Historische und politische Aufsitze (1886-97), delle Vorlesungen iiber Politi (pubblicate postume nel 1897-98) e di numerosi altri scritti, fu il maggiore rappresentante della storiografia ottocentesca tedesca di ispirazione nazionalistica. Egli si richiama a Hegel per formulare una concezione dello stato come fine supremo della società, polemizzando contro il liberalismo e negando \la possibilità di una scienza sociale autonoma nei confronti della scienza politica. 16. Heinrich von Sybel (1817-1895), storico tedesco, autore della Geschichte des ersten Kreuzzuges (1841), di Die Entstchung des deutschen Konigtums (1844), della Geschichte der Revolutionszeit, di Die Begriindung des deutschen Reiches durch Wilhelm I (1889-94) e di varie altre opere, fu uno dei principali rappresentanti del punto di vista nazionale-liberale nella storiografia tedesca dell'Ottocento; nel 1856 fondò la Historische Zeitschrift . Sotto il profilo der Renaissance in Italien di Burckhardt, lo Scharnhorst di Max Lehmann" o la Deutsche Geschichte di Karl Lamprecht: ovunque, in corrispondenza ai titoli delle opere, che indicano la totalità storica, troviamo una serie di avvenimenti trattati così come si sono svolti una sola volta nel mondo e quale che sia il modo in cui li ha plasmati lo storico rappresentati nella loro particolarità e individualità. Forse che la Deutsche Geschichte di Lamprecht (il quale crede di lavorare con un metodo nuovo) contiene come elemento costitutivo soltanto ciò che è dato trovare in altri esemplari del concetto generico di nazione, vale a dire nello sviluppo del popolo francese, inglese o russo, e ciò che si è ripetuto spesso e si ripeterà in tempi diversi e in luoghi diversi? Basta porre questa domanda per vedere che anche uno storico che rifiuta in teoria la concezione individualistica , nella prassi tratta sempre il suo oggetto in modo individualizzante. Ma tale procedimento, che appartiene all'essenza di ogni rappresentazione storica, non è applicato in nessun'opera di discipline non storiche sia che si occupino di corpi o della vita spirituale. La Lehre von den Tonempfindungen di Helmbholtz ! o il Keimplasma di Weismann", la Medizimetodologico è importante il suo saggio Uber den Stand der neueren deutschen Geschichtsschreibung (1856). 17. Max Lehmann (1845-1929), storico tedesco, fu allievo di Droysen e soprattutto di Ranke; insegnò a Marburg e poi a Gòttingen. Le sue opere principali sono Ja biografia di Scharnhorst (Leipzig, 1886-87) alla quale si riferisce Rickert nel testo e un'altra importante biografia di Stein. 18. Hermann Ludwig Ferdinand von Helmholtz (1821-1894), fisico, anatomista e fisiologo tedesco, autore del volume Uber die Erhaltung der Kraft (1847), dello Handbuch der physiologischen Optik (1856-67), di Die Lehre von den Tonempfindungen als physiologische Grundlage fiir die Theorie der Musik (1863), dei Populàre wissenschafiliche Vortrige (1865-76), delle Wissenschafiliche Abhandiungen (1882-95), e di numerosi altri scritti, fu uno dei maggiori scienziati della scconda metà dell’Ottocento. I suoi contributi vanno dalla fisica (scoprì la legge della conservazione dell'energia) all'elettrologia, dalla geometria all'ottica geometrica, dall'anatomia alla fisiologia del sistema nervoso. 19. August Weismann (1834-1914), zoologo e biologo tedesco, autore di Uber die Berechtigung der Darwinschen Theorie (1868), di Uber den Einfluss der Isolierung auf die Artbildung (1872), delle Studien zur Deszendenztheorie (1875-76), di Die Kontinuiràt des Keimplasmas als Grundlage einer Theorie der Vererbung (1885), di Uber den Riickschritt in der Natur (1886), degli Aufsitze tiber Vererbung (1892), di Das Keimplasma (1892), di Die Allmacht der Naturziichtung (1893), di Uber Germinalselektion (1896), dci Vortrige tiber Deszendenziheorie (1902) e di varie altre opere, si richiamò a Darwin, di cui riprese e sviluppò la teoria della selezione naturale. È considerato uno dei fondatori della genetica moderna. nische Psychologie di Lotze”® o la Entwicklungsgeschichte der Tiere di von Baer”, il Treatise on Electricity and Magnetism di Maxwell? o Gemeinschaft und Gesellschaft di Tonnies nell’esposizione definitiva tutte queste opere considerano nei loro oggetti come risulta già dai titoli soltanto ciò che consente di ritenerli eguali ad altri esemplari dello stesso concetto di genere, e di cui si può quindi dire che si ripete a piacimento. Che vi siano non soltanto scienze generalizzanti dello spirito, ma anche scienze individualizzanti dei corpi, non ha alcuna importanza in questo contesto. Noi non ci occupiamo della differenza tra spirito e corpo, ma soltanto della differenza formale dei fini e dei metodi scientifici; e anche ai fanatici del metodo scientifico sarà difficile rifiutare la differenza che abbiamo indicato. È quasi inconcepibile che si possa ancora discuterne. Stabiliamo quindi come punto di partenza di una logica della storia che non soltanto nelle nostre conoscenze pre-scientifiche vi sono due modi di apprendimento della realtà distinti in linea di principio, quello generalizzante e quello individualizzante, ma che ad essi corrispondono due modi di elaborazione scientifica della realtà differenti nei loro fini ultimi e così pure nei loro risultati ultimi. Ciò non vuol dire ovviamente che si debbano separare tra loro due gruppi di scienze, in modo che ne risulti al tempo stesso il principio di una divisione del lavoro scientifico. Distinzione logica non significa divisione reale, e l’antitesi formale non deve né può servire alla divisione reale, poiché quest’ultima si collega a differenze oggettive del materiale, non già a differenze logiche. È quindi del tutto erroneo combattere il valore logico dell’antitesi dicendo che essa frantumerebbe il lavoro scientifico in modo contraddittorio rispetto ai fatti e che vorrebbe separare ciò che di fatto è 20. Rickert si riferisce qui alla Medizinische Psychologie oder Physiologie der Scele, Leipzig, 1852. 21. Karl Ernst von Bacr (1792-1876), zoologo c biologo tedesco, autore di Uber Entwicklungsgeschichte der Tiere (1828-37), delle Reden und kleine Aufsàtze (1864-76), del volume Zum Streit îîber den Darwinismus (1873), delle Studien auf dem Gebiete der Naturwissenschaften (1874). 22. James Clerk Maxwell (1831-1879), fisico inglese, autore del Treatise on Electricity and Magnetism (1873), di Matter and Motion (1876) c di varie altre opere, diede un contributo decisivo alla formulazione della teoria elettromagnetica della luce. ovunque in un rapporto di cooperazione. Si tratta soltanto della distinzione concettuale di due diverse tendenze di apprendimento nelle scienze, che possono molto spesso, e fors’anche sempre, cooperare di fatto; e questa distinzione concettuale sarebbe necessaria anche se non si potessero separare due tipi di scienze neppure in riferimento ai loro fini ultimi. Se si cerca ora di determinare in modo più preciso l'essenza del procedimento individualizzante, occorre anzitutto porre in rilievo che il metodo della scienza non coincide con quell’apprendimento individualizzante della realtà che possediamo nelle nostre conoscenze pre-scientifiche. Anche nel caso dell’apprendimento generalizzante noi parliamo di metodo soltanto dove l'elaborazione concettuale viene compiuta sistematicamente. Che cosa corrisponde nella storia a quella connessione sistematica di concetti più o meno generali? Nell’indicazione di questi elementi che costituiscono la scientificità del metodo individualizzante la logica della storia dovrà scorgere una volta che abbia trovato il suo punto di partenza il suo ulteriore compito. Qui si potranno naturalmente porre in luce soltanto alcuni punti che in tempi recenti hanno dato occasione a questioni controverse, e che sono particolarmente adatti a chiarire la differenza del procedimento individualizzante da quello generalizzante. Cominciamo con un'ulteriore analisi del concetto che abbiamo posto in risalto fin dall’inizio: il concetto di totalità storica. L'individualizzazione pre-scientifica estrae spesso gli oggetti dal loro ambiente in modo da separarli l’un l’altro e quindi da isolarli. Ma l'elemento isolato in quanto tale non è oggetto di interesse scientifico, e nulla è più sbagliato che identificare il metodo individualizzante con il mettere insieme fatti isolati così come fanno i suoi avversari. Piuttosto la storia, al pari delle scienze generalizzanti, deve cogliere tutto in una connessione. Ma in che cosa consiste la connessione storica? A partire da ogni oggetto storico essa si estende in certo modo lungo due dimensioni, che si potrebbero designare come la dimensione della larghezza e quella della lunghezza; occorre cioè anzitutto stabilire le relazioni che uniscono l'oggetto con il suo a1biente e poi seguire nel loro legame reciproco i diversi stadi che percorre dall'inizio alla fine, ossia, come si usa dire, imparare a conoscerne lo sviluppo. Certamente, un oggetto così rappresentato è poi, a sua volta, parte di un ambiente più grande e di uno sviluppo anteriore, e lo stesso vale poi per questa connessione più comprensiva, di modo che scorge una serie a due dimensioni che conduce fino ai limiti della totalità storica ultima. Dove stia questo limite, non è ancora possibile chiarirlo con i concetti finora acquisiti. In una specifica ricerca storica il punto dove si cessa di perseguire la connessione storica dipende dalla scelta del tema. Qui si tratta provvisoriamente soltanto di fissare il concetto di una connessione storica in generale come connessione di una serie evolutiva di stadi diversi reciprocamente connessi, concepita nel legame col proprio ambiente. Ciò è tanto più necessario quanto più sono derivati di qui errori largamente diffusi sull'essenza del metodo storico. La connessione può essere definita, in antitesi ai singoli oggetti, come l’elemento generale della storia; e da ciò è poi sorto il punto di vista secondo cui anche la scienza storica procederebbe in modo generalizzante. L'inserimento di un oggetto nel suo ambiente così come lo storico lo compie è un processo estraneo al procedimento delle scienze generalizzanti. Il milieu è sempre individuale, e viene preso in considerazione dallo storico nella sua individualità. Esso è generale soltanto nel senso che i singoli individui in esso inseriti ne costituiscono le parti. Ma che il rapporto della parte con il tutto non sia identico al rapporto tra l'esemplare e il concetto di genere ad esso sovra-ordinato, è cosa che non dovrebbe richiedere discussione. Proprio perché la storia deve sempre considerare il particolare nel generale, cioè considerarlo come elemento di un tutto, essa deve venir assegnata (in riferimento ai suoi fini ultimi) alle scienze individualizzanti: lo stesso risultato si ricava da una considerazione dello sviluppo storico. Anche lo sviluppo è generale soltanto nel senso che costituisce una totalità la quale comprende le sue parti. Nella storia lo sviluppo significa sempre il sorgere di qualcosa di nuovo, di qualcosa non mai esistito finora; e poiché nei concetti di legge entra soltanto ciò che può essere considerato come qualcosa che si ripete a piacimento, i concetti di sviluppo storico e di legge si escludono a vicenda. Soltanto l’equivocità del termine sviluppo rende possibile unificare un procedimento storico-evolutivo con un procedimento scientifico fondato su leggi e parlare di leggi dello sviluppo ; per esempio dove come nell’embriologia storico-evolutiva si guarda alle serie evolutive per quel che hanno di comune, e dove quindi z07 si deve prendere in considerazione il divenire storico del nuovo nel suo carattere specifico. In breve, gli sviluppi storici non sono altro che individualità storiche concepite nel loro divenire e nel loro crescere, e pertanto la loro rappresentazione è possibile, analogamente a quella della connessione con l’ambiente storico, soltanto con un metodo individualizzante. Anzi, la connessione storica generale non è che la totalità storica stessa, non già un sistema di concetti universali: la storia considera appunto sempre questa totalità nella sua particolarità, nella sua singolarità e nella sua individualità. Se poi indaghiamo anche sul ruolo che i concetti generali hanno nella scienza storica, ci imbattiamo anzitutto nel fatto che tutti gli elementi dei giudizi e dei concetti storici sono generali. E tali devono essere già perché li si indica con parole generalmente comprensibili, e perché le parole debbono la loro comprensibilità soltanto al fatto di possedere un significato generale, cioè comune a più oggetti. La storia lavorerà quindi sempre con concetti generali di realtà, che costituiscono gli elementi ultimi dei propri concetti individuali, e perverrà alla loro rappresentazione individualizzante solo mediante una determinata combinazione di questi elementi generali. Ma ciò non esaurisce ancora il significato dei concetti generali nella storia. Essi risultano indispensabili proprio anche per istituire la connessione storica. Il nesso reciproco dei diversi stadi di una serie storico-evolutiva o di un oggetto storico con il suo ambiente è sempre un legame causale, e la scienza storica deve rappresentare questi rapporti di causa ed effetto per esprimere il legame delle parti con la totalità. Certamente non di rado si afferma che gli oggetti dell'indagine storica o una parte di essi sono esseri liberi e che perciò lo storico non dovrebbe indagarne le connessioni causali. Tuttavia, anche prescindendo dalla questione se il concetto di libertà sia da identificare in genere con quello di assenza di causa, e se il problema della libertà non debba essere trasferito dalla filosofia teoretica all’etica, in ogni caso il concetto di assenza di causa non ha alcun senso per una scienza empirica. Anche la storia deve presupporre che ogni suo oggetto sia l’effetto necessario di avvenimenti precedenti, e deve quindi indagare anche la connessione causale. Ancora una volta ci imbattiamo in un punto che può suscitare molte questioni controverse. Si è cioè proclamata l’esistenza di un metodo causale della storia che dovrebbe essere analogo al metodo delle scienze generalizzanti. Ciò può essere ritenuto esatto soltanto se si identifica il concetto di causalità con il concetto di conformità a leggi. Se si fa questo, certamente ogni scienza che indaghi connessioni causali e quindi anche la storia è una scienza di leggi; ma questa identificazione non ha alcuna legittimità. Per possedere realtà empirica, i legami causali devono piuttosto essere realtà individuali, poiché non vi sono altre realtà al di fuori di quelle empiriche individuali. Invece le leggi sono sempre generali e possono perciò valere, se devono essere più che concetti, soltanto come realtà metafisiche. Ma la dottrina del metodo deve mantenersi libera da presupposti metafisici; essa può quindi parlare soltanto di legami causali individuali in quanto realtà empiriche e di leggi in quanto concetti generali. L'espressione metodo causale che è particolarmente usata come antitesi al procedimento teleologico — è perciò un'espressione polemica che non dice nulla, proprio perché ogni scienza empirica ha a che fare con connessioni causali, e le connessioni causali in quanto tali sono ancora indifferenti rispetto alle differenze di metodo: esse permettono, al pari di ogni altra realtà empirica e individuale, sia un apprendimento generalizzante sia un apprendimento individualizzante. Ma — e con ciò ritorniamo al significato dei concetti generali — anche se ogni connessione causale storica tra due stadi di una serie storico-evolutiva è un processo in cui la causa produce qualcosa che non esisteva prima, la rappresentazione di questi nessi causali storici è possibile, al pari di ogni rappresentazione dell’individuale, soltanto utilizzando elementi concettuali che abbiano ognuno per sé un contenuto generale e che solo nella loro composizione particolare esprimono l’individualità del reale; nella rappresentazione di legami causali individuali si aggiunge invece qualcosa che richiede di fatto l’uso di concetti generali in un senso particolare. Lo storico non vuole cioè indicare soltanto la successione temporale di causa ed effetto, ma anche acquisire uno sguardo sulla recessità con cui da questa causa individuale e irripetibile scaturisce quest’effetto individuale e irripetibile; e qui non si può evitare una deviazione attraverso concetti generali di rapporti causali ed eventualmente attraverso leggi causali. Per quanto il legame causale non possa essere generalmente designato come realtà empirica, per esprimere scientificamente la sua necessità noi possediamo soltanto lo schema spaziale e temporale del dovunque e del sempre , e perciò alla rappresentazione scientifica anche della necessità causale individuale si collega sempre la formazione di un concetto generale o (dove si può pervenire ad essa) di una legge causale generale — circostanza che spiega al tempo stesso il consueto scambio tra legge e causalità. Ciò costringe anche la storia, se vuol gettare un ponte tra una causa individuale e il suo effetto individuale in modo che la connessione causale si lasci cogliere come necessaria, a impiegare concetti generali di connessioni causali. Essa raggiunge il proprio fine scomponendo il concetto dell’oggetto individuale — che dev'essere colto come effetto necessario — nei suoi elementi sempre generali e poi connettendo questi elementi, egualmente generali, del concetto della causa individuale, in modo che ognuno di questi legami tra elementi concettuali generali esprima la connessione causale necessaria delle realtà ad essi sottoposte. Fatto questo, la storia ricompone gli elementi generali del concetto di causa, considerati di per sé, in un concetto che rappresenta l'individualità di questa causa: essa ottiene in tal modo, mediante una deviazione attraverso concetti causali generali, una prospettiva scientifica sul legame necessario della causa storica individuale con l’effetto storico individuale. Ovviamente, in questo modo è stato indicato soltanto un ideale logico la cui realizzaziorie può essere raggiunta solo parzialmente dove non si riesce a collegare causalmente tutti gli elementi del concetto di effetto a elementi del concetto di causa; e quindi soltanto di rado potrà scomparire dalle rappresentazioni storiche un residuo causalmente non derivabile. In casi del genere si parla anche di libertà, perché manca la possibilità di scorgere la necessità causale. Non sì può in questa sede discutere più da vicino quali mezzi la storia possegga per cogliere nel modo più compiuto possibile la necessità di un nesso causale storico, e in quale rapporto stia quindi con le scienze generalizzanti. Ma è fin d’ora chiaro che anche per lo storico è importante la conoscenza di leggi causali circostanza che spiega perché si vuol fare della storia una scienza di leggi. Altrettanto chiaro è però che con questa importanza dei concetti di legge non cambiano per nulla i fini della storia. I prodotti del pensiero generalizzante sono per essa sempre soltanto deviazioni o strumenti e servono, al pari degli elementi generali dei concetti storici, a una rappresentazione che vuol cogliere la totalità storica in modo individualizzante. Neppure mediante un'esposizione di tutti i casi in cui il procedimento generalizzante è soltanto mezzo di una rappresentazione individualizzante si potrebbe esaurire il significato che i concetti generali hanno nella storia. Ciò che si prende in considerazione nella sua singolarità e individualità è sempre e soltanto la totalità storica, non già tutte le sue parti. Molte di esse non vengono rappresentate dalla storia qualora non abbiano alcun significato per l’individualità del tutto, e anche la maggioranza delle parti rappresentate viene raccolta sotto concetti generali di gruppo. Anzi, si può sostenere che in una rappresentazione storica non c'è bisogno che siano presenti concetti di oggetti parziali, i quali contengano soltanto ciò che è singolare e individuale, e che in essa si formano esclusivamente concetti di gruppo che contengono ciò che è comune a una pluralità di oggetti. Tali concetti di gruppo sorgono necessariamente quando lo storico non sa abbastanza degli avvenimenti che rappresenta per poter penetrare nella loro individualità, ed è perciò costretto ad accontentarsi di un concetto generale. Ma in moltissimi casi, e forse anche in tutti, lo storico vuole formare di fatto un unico concetto di gruppo, e allora sembra procedere, anche riguardo al suo fine, in modo generalizzante. In relazione a ciò si può meglio comprendere anche una questione assai dibattuta. Si è ritenuto che la vecchia tendenza della storiografia sia individualistica , ma soltanto perché attribuisce troppo valore ad avvenimenti politici o di altro genere, e quindi a singole persone. La nuova tendenza dovrebbe, per non rimanere in superficie, occuparsi di meno delle azioni politiche di singole personalità e di più dei movimenti di massa, penetrando così l'essenza autentica dello sviluppo culturale. AI vecchio metodo individualistico si contrappone pertanto un nuovo metodo collettivistico , e questo viene valutato, proprio perché forma soltanto concetti generali, come il nuovo metodo della storia, l’unico veramente scientifico e da tempo in uso nelle scienze naturali. Ammettiamo pure, per comprendere il significato logico di questo punto di vista, che sia vero che lo storico operi soltanto con concetti di gruppo infatti questa proposizione è logicamente assurda come quella secondo cui la storia dovrebbe formare un sistema di concetti generali e immaginiamoci per esempio una rappresentazione della Rivoluzione francese che tenga conto soltanto dei movimenti di massa, perché ciò che le singole persone hanno compiuto appare inessenziale. Si potrebbe allora dire che la storia procede realmente, in base al nuovo metodo, in maniera non soltanto collettivistica ma anche generalizzante, come una scienza naturale? Tanto ovvia quest'idea appare ai rappresentanti del nuovo metodo, altrettanto essa è falsa, perché e questo motivo è sempre determinante soltanto le parti della totalità possono essere ricondotte a concetti generali. Anche una storia che proceda in maniera collettivistica considera sempre la totalità nella sua individualità, e anche i concetti generali di gruppo devono venir formati in modo da essere adatti alla rappresentazione dell’individualità del tutto. Di metodo generalizzante si potrebbe parlare soltanto nel caso che si dovesse rappresentare una rivoluzione qualsiasi e non già come presupponiamo e come dobbiamo presupporre finché la rappresentazione ha carattere di storia questa determinata Rivoluzione francese, che ha avuto inizio nel 1789 e così via. La contrapposizione tra metodo individualistico e metodo collettivistico è quindi fuorviante. Tutti gli storici procedono in modo più o meno collettivistico, e lo hanno sempre fatto. La circostanza che oggi qualcuno lavora il più possibile con espressioni generali come quelle di epoche e di movimenti di massa, parlando soltanto di fattori psico-sociologici e dichiarando inutilizzabile ogni psicologia individuale (che del resto soltanto i dilettanti possono porre in relazione con la concezione individualistica della storia), per dare a intendere a sé e agli altri di procedere al modo della scienza naturale, può forse dar luogo a una storia vaga e indeterminata oppure condurre, trascurando le personalità essenziali, a una falsificazione diretta dei fatti, ma non può cambiare per nulla il carattere individualizzante del metodo storico. Dobbiamo anzi fare un passo più in là. Anche i concetti generali di gruppo impiegati dalla storia non sono pur contenendo soltanto ciò che è comune a una pluralità di oggetti concetti generali nel senso di quelli che forma una scienza generalizzante procedente in modo sistematico. Lo storico può cioè ritenersi soddisfatto di un concetto di gruppo soltanto se in esso è già contenuta nel medesimo tempo l’individualità di tutti gli elementi di tale gruppo, per lui significativa nella connessione storica. Perciò il fine in riferimento al quale sono formati i concetti storici di gruppo non costituisce una generalizzazione del tipo di quella compiuta dalle scienze generalizzanti, bensì una rappresentazione dell’individualità di gruppo. Anche questi concetti generali sono sempre prodotti di un procedimento individualizzante, nella misura in cui il principio che determina i loro elementi può essere compreso soltanto in base ai fini della storia individualizzante. Si può anche designarli come concetti collettivi individualizzanti, per distinguerli sia dai concetti collettivi ai quali si tende nelle scienze generalizzanti, sia dai concetti generali impiegati strumentalmente nella storia. Questa distinzione può forse suonare un po’ sofistica finché non si sarà trattato di un altro aspetto del metodo storico. Occorre cioè richiamare ora l’attenzione sulla circostanza, già rammentata, che l'apprendimento individualizzante non considera tutta la molteplicità individuale di una realtà, ma comporta una scelta trasformatrice. Alla base di questa scelta e di questa trasformazione dev'esserci nella scienza storica un principio, e soltanto il suo chiarimento esplicito completerà la comprensione dell’essenza logica del metodo storico. Per pervenire a un tale principio riflettiamo nuovamente sulle nostre conoscenze pre-scientifiche. Esse dipendono dall’interesse che il nostro ambiente suscita in noi. Ma che cosa vuol dire avere interesse per gli oggetti? Vuol dire che non ci limitiamo a rappresentarceli, ma che li riferiamo al tempo stesso alla nostra volontà e li poniamo in relazione con le nostre valutazioni. Dove apprendiamo qualcosa in modo individualizzante, la particolarità dell'oggetto deve in qualche modo essere collegata con valori che non sono collegati a loro volta con nessun altro oggetto; se ci arrestiamo a un apprendimento generalizzante, il collegamento con il valore dipende soltanto da ciò che è allo stesso modo presente in altri oggetti e che può quindi essere sostituito da altri esemplari del medesimo concetto di genere. Questo è l’aspetto non ancora illustrato della differenza tra apprendimento generalizzante e apprendimento individualizzante: anche in riferimento ad esso i due metodi scientifici mostrano un’antitesi di principio. Se dalla generalizzazione pre-scientifica si procede a subordinare scientificamente gli oggetti a un sistema di concetti generali, non soltanto si astrae dall’interesse per ciò che è singolare e individuale, ma si allenta sempre più, con il progredire del processo di formazione del sistema, il legame dell’elemento comune a più oggetti con i valori. Se cioè ogni concetto generale è subordinato a un concetto ancor più generale, e se alla fine tutti i concetti sono ricondotti al concetto generalissimo verso cui tende l’indagine, allora anche gli oggetti per i quali il sistema deve valere possono essere considerati come egualmente forniti di valore o egualmente privi di valore: infatti il principio che determina ciò che è essenziale in un oggetto non può più essere ora l'interesse originario, ma può essere soltanto la posizione che l’oggetto assume nel sistema di concetti generali. La divisione tra essenziale e inessenziale, originariamente compiuta sempre in base a punti di vista valutativi, viene così respinta da una scienza generalizzante, e al tempo stesso sostituita dal fatto che l'elemento generale o comune coincide ora, in quanto tale, con l’essenziale. Lo svincolarsi degli oggetti da tutte le relazioni di valore costituisce perciò l’altro aspetto, non ancora considerato, del metodo generalizzante, e ci indica contemporaneamente l’altro aspetto, non ancora considerato, dell’individualizzazione scientifica. Può quest’ultima egualmente distinguersi dall’individualizzazione pre-scientifica per il fatto di svincolare gli oggetti da tutti i valori? Non si scorge in virtù di quale principio diverso dalla relazione di valore debba sorgere l'apprendimento individualizzante. Se sciogliamo un oggetto da tutte le connessioni con i nostri interessi, esso potrà venir considerato semplicemente come esemplare di un concetto generale. L’individuale può diventare essenziale soltanto in riferimento a un valore, e quindi eliminando ogni relazione di valore si eliminerebbe anche l’interesse storico e la storia stessa. Viene così alla luce non soltanto una connessione necessaria tra considerazione generalizzante e considerazione avalutativa, ma anche una connessione altrettanto necessaria tra apprendimento individualizzante e apprendimento legato ai valori: per cogliere la struttura logica della storia anche sotto questo aspetto, occorre perciò conoscere più da vicino il tipo dei valori e del loro legame con gli oggetti storici. Anche qui è necessario, naturalmente, una volta accertato l’elemento comune presente nella relazione di valore pre-scientifica e scientifica, separarle nettamente tra loro. Che i valori abbiano nella scienza un ruolo determinante, anzi debbano essere princìpi dell’elaborazione concettuale, sembra contraddire l’essenza della scienza. A buon diritto proprio dallo storico si esige che rappresenti le cose il più oggettivamente possibile, e per quanto questo fine non possa essere raggiunto completamente da nessuno, si può però in ogni caso indicarlo come ideale logico. Come si accorda con tutto ciò l’affermazione che le relazioni di valore appartengono all’essenza del metodo storico? Per comprendere questo fatto occorre chiarire che c’è un tipo di relazione di valore che non coincide con una presa di posizione e con una valutazione pratica, e che gli oggetti possono essere riferiti ai valori anche in maniera puramente teoretica. Certamente, se dalla molteplicità del reale si trae fuori questo elemento come essenziale, e si lascia in disparte quell’ altro come inessenziale, si può sempre designare tutto ciò come una presa di posizione nei confronti della realtà, nella misura in cui l’essenziale è ciò che è fornito di valore per la conoscenza scientifica. Ma questo tipo di valutazione non manca in nessuna elaborazione concettuale della scienza sia essa generalizzante o storica perché il fine della scienza deve sempre valere come valore per conferire un senso al lavoro scientifico. Se si vuol comprendere nella sua particolarità l’essenza della relazione di valore nella scienza storica si deve perciò prescindere totalmente da questa valutazione, per quanto importante la sua presenza possa essere per la trattazione di altri problemi filosofici. Qui importa soltanto stabilire se, per il fatto che l’individualità di un oggetto diventa essenziale in virtù del riferimento a un valore, ne derivi necessariamente anche una valutazione positiva o negativa dell'oggetto; e a tale domanda occorre rispondere in modo decisamente negativo. La rappresentazione storica implica una relazione di valore soltanto nella misura in cui l'oggetto, appreso in modo individualizzante, ha un qualche significato per un valore; ma non ha bisogno di pronunciarsi sul fatto se esso possegga un valore positivo o negativo e può quindi prescindere del tutto da ogni valutazione, che dev'essere sempre positiva o negativa. Noi dobbiamo distinguere con precisione la valuta zione pratica e la relazione puramente teoretica di valore. Anzi, se pensiamo che non conosciamo mai la realtà così com’era, ma che ogni conoscenza è già una trasformazione della realtà, diventa chiaro che non si può disputare del valore positivo o negativo di un’individualità se tra coloro che disputano non c’è già un comune apprendimento individualizzante della realtà, sorto da una relazione di valore puramente teoretica e indipendente dalla diversità delle loro valutazioni pratiche; altrimenti non si disputerebbe affatto della stesse individualità. Perciò, quanto il conoscere teoretico e la valutazione positiva o negativa sono due processi distinti in linea di principio, tanto poco la relazione puramente teoretica di valore è in contraddizione con la conoscenza scientifica. Lo storico non valuta i suoi oggetti in quanto storici, ma trova di fronte a sé dei valori come quelli dello stato, delle organizzazioni economiche, dell’arte, della religione ecc.; e in virtù della relazione teoretica degli oggetti con questi valori, vale a dire in riferimento al fatto se e come la loro individualità significhi qualcosa per questi valori, la realtà si articola ai suoi occhi in elementi essenziali e inessenziali, senza ch’egli debba pronunciare un giudizio di valore diretto, positivo o negativo, sugli oggetti. L'essenza della relazione di valore storica diventa del tutto chiara se fissiamo ancora un secondo punto, in virtù del quale l’individualizzazione scientifica si distingue da quella pre-scientifica; e già i concetti di valore prima utilizzati come esempi vi alludono. La relazione teoretica di valore nella storia non è soltanto indipendente da una valutazione positiva o negativa, ma deve anche essere 207 arbitraria sotto un altro punto di vista, cioè in riferimento ai valori con cui gli oggetti vengono posti in relazione. Ciò si consegue però solamente in quanto lo storico articola la realtà in elementi essenziali e inessenziali in relazione a valori universali, ossia a valori quali quelli incorporati negli esempi sopra indicati dello stato, dell’arte, della religione ecc. Per quanto ciò sia in fondo semplice, anche di qui sono sorte molte contese e molte incomprensioni. In particolare, si è ancora una volta ritenuto che il metodo della storia sia un metodo generalizzante a causa dell’universalità dei valori. Certamente così si può giustificare questo punto di vista lo stato è per esempio un concetto generale, e se gli eventi storici vengono rappresentati come eventi politici, l’elemento politico in essi presente, in virtù del quale sono storicamente essenziali, è pur sempre l'elemento comune. Così essi vengono ricondotti sotto il concetto generale di politico nello stesso modo in cui nelle scienze generalizzanti gli oggetti vengono appresi come esemplari di un concetto di genere. È veramente giusto questo? È esatto che valori universali sono nel medesimo tempo concetti generali. Ma, in primo luogo, la storia non si prefigge mai di formare o anche soltanto di ordinare sistematicamente questi concetti universali di valore, come dovrebbe fare se fosse una scienza generalizzante; essa si trova già di fronte concetti universali di valore, e solamente la filosofia della storia, non già la scienza storica empirica può come vedremo avanti porsi il compito di pervenire a un sistema di concetti universali di valore. Inoltre e questa è la cosa principale l’universalità del valore non ha per la storia il significato di contenere ciò che è comune a più valori particolari: importa soltanto il fatto che la storia riferisce i suoi oggetti a valori i quali valgono come valori per tutti coloro a cui si rivolge, o per lo meno vengono da tutti intesi come valori. Del resto, il riferirsi degli oggetti ai valori conduce a un apprendimento individualizzante, poco importa che i valori siano puramente individuali oppure universali nel senso indicato: questa differenza riguarda infatti soltanto la validità dei valori, non già la struttura logica della relazione di valore. In breve, che per giungere a risultati universalmente validi la scienza storica abbia bisogno di valori universali non incide affatto sull’antitesi tra il metodo storico individualizzante riferito ai valori e il metodo generalizzante avalutativo delle scienze di leggi. Volendo, si può anzi dire che ogni scienza, per avere validità universale, deve sempre subordinare il particolare all’universale. Ma questa frase è, per la sua indeterminatezza, molto equivoca e in ogni caso non dice nulla. Se si vuole adoperarla nella dottrina del metodo occorre distinguere rigorosamente una subordinazione generalizzante a concetti avalutativi di genere o di legge da una subordinazione individualizzante a concetti universali di valore; e la cosa migliore sarà di impiegare il termine subordinazione soltanto per designare il rapporto reciproco dei concetti generali e il rapporto dell’esemplare con il concetto di genere ad esso superiore, altrimenti possono sorgere soltanto errori. Se con questa prospettiva più esatta sull’essenza del procedimento individualizzante ritorniamo ancora una volta ai concetti storici che sembravano costituire, per la generalità del loro contenuto, un’istanza negativa contro la caratterizzazione della storia come scienza individualizzante, è possibile comprendere meglio i concetti storici di gruppo nella loro differenza dai concetti storici di gruppo generalizzanti. Essi non hanno soltanto come tutti i concetti relativi a parti storiche lo scopo di esprimere l’individualità del tutto storica a cui appartengono; ma anche la scelta di ciò che è essenziale è determinata, nella loro formazione, dal valore universale dominante. In altri termini, non già l'elemento comune in quanto tale costituisce di per sé l’essenziale, ma la circostanza che il suo contenuto consiste dell’elemento comune a una pluralità di oggetti ha per unico fondamento il fatto che soltanto l’individualità del gruppo, e non l’individualità delle singole parti, riveste significato per il valore universale, e che quindi già il concetto di gruppo contiene individualità sufficiente a esprimere ciò che è essenziale per la rappresentazione individualizzante riferita ai valori. Il principio di elaborazione concettuale dei concetti storici collettivi è quindi esattamente lo stesso che per tutti gli altri concetti storici: ancora una volta risulta quanto poco senso abbia definire collettivistico il procedimento della storia, in riferimento al suo carattere /ogico. La polemica tra il cosiddetto metodo collettivistico e il cosiddetto metodo individualistico è una polemica sul contenuto della scienza storica, e non ha nulla a che fare con i problemi logici del metodo. Anche una rappresentazione che proceda in modo puramente collettivistico non soltanto sarebbe come si è già visto individualizzante, ma sarebbe anche guidata, al pari di qualsiasi rappresentazione storica, da punti di vista valutativi. Il grosso ruolo che i punti di vista valutativi hanno nella storia viene del resto sempre più riconosciuto e meglio compreso nei tempi recenti, anche se non sempre l’attenzione è rivolta ai due punti più importanti, cioè alla distinzione della relazione teoretica di valore dalla valutazione pratica e all’universalità dei valori. Naturalmente qui non è possibile trattare in modo esaustivo tutte le questioni connesse con i valori; ci limiteremo però a porre in rilievo almeno due punti. Un'indagine logica non potrà mai proibire allo storico di oltrepassare la relazione teoretica di valore per assumere una posizione valutativa nei confronti dei suoi oggetti; e forse nessuna rappresentazione storica è mai del tutto libera da valutazioni positive o negative. Si deve però anche stabilire che, dove sembra essere presente un giudizio di valore, non sempre si intendeva realmente formularlo. In ogni rappresentazione storica si troveranno cioè proposizioni che accompagnano soprattutto le azioni umane con un predicato di lode o di biasimo, che constatano qui un atto di bontà o di coraggio, là un delitto; e proprio questo sembra distinguere la storia dalle scienze di leggi, per le quali il vizio e la virtù sono prodotti quanto lo sono il vetriolo o lo zucchero. È anche chiaro che lo storico può prendere posizione con proposizioni del genere. Ma in moltissimi casi i predicati di valore servono soltanto all’accertamento di fatti e alla caratterizzazione puramente teoretica degli avvenimenti. Quando per esempio un’azione viene designata come criminale, ciò può anche voler dire che le fonti costringono ad assumere che siamo di fronte a un atto che generalmente si definisce delitto; e se un altro storico accompagna quest’azione con un altro predicato, ciò non significa necessariamente che egli valuti altrimenti lo stesso stato di fatto, ma che egli può anche assumere un altro stato di fatto che poi deve, naturalmente, designare in modo diverso. Nella trattazione dei fattori valutativi presenti nella storia ci si dovrebbe porre in ogni caso la domanda se il predicato di valore ha realmente l’intenzione di valutare, o se non serva piuttosto soltanto allo scopo di utilizzare il significato terminologico ad esso generalmente connesso per stabilire un fatto, nello stesso modo in cui ciò avviene con significati che non possono essere impiegati a scopo di valutazione. Se quindi la comparsa di valutazioni può sembrare in parecchi casi più frequente di quanto non sia in realtà, occorre d’altra parte porre in rilievo che in certo senso anche le valutazioni sono un elemento indispensabile della scienza storica. Se è certo che la relazione teoretica di valore non è una presa di posizione pratica e che perciò lo storico può sempre astenersi da qualsiasi valutazione dei suoi oggetti, altrettanto certo è che nell’ambito dei valori a cui riferisce i suoi oggetti egli dev’essere in qualche modo, anche come storico, un uomo che compie valutazioni. Nessuno che non ponga i valori politici in relazione alle proprie valutazioni positive o negative, che non abbia cioè un qualche rapporto valutativo nei confronti di questioni politiche, scriverà o leggerà di storia politica: senza essere egli stesso un uomo che compie valutazioni in questo campo, non comprenderebbe infatti i valori che guidano la selezione del materiale storico, e non avrebbe quindi il minimo interesse storico per esso. Ma ciò che vale per la storia politica deve parimenti valere per la storia dell’arte, della religione, dell’economia ecc. Spesso ciò non viene neppur osservato, come certe cose evidenti: vi sono anzi molti storici i quali credono non soltanto di stare con i loro oggetti in un rapporto semplicemente conoscitivo, ma anche di essere, in quanto storici, puri spettatori. Di fatto lo storico si distingue dal ricercatore che procede in modo generalizzante anche perché nel suo lavoro non soltanto deve riconoscere come valore il fine scientifico ch'egli persegue, ma prende anche posizione se non verso gli oggetti storici, almeno nei confronti dei valori universali a cui riferisce in modo individualizzante i suoi oggetti. Quale significato abbia per l’ oggettività delle scienze storiche il fatto che c’è storia soltanto per esseri capaci di valutazione, in quale rapporto questa oggettività stia con l’oggettività delle scienze generalizzanti o scienze di leggi, le quali non hanno bisogno di riconoscere altro valore se non quello stesso della scienza generalizzante, non può venir discusso in questa sede. Qui si deve soltanto comprendere la struttura logica della scienza storica quale esiste di fatto, e in particolare descrivere l’essenza del suo metodo riferito ai valori e individualizzante, così come viene realmente esercitato, e penetrare questo metodo nella sua necessità logica che risulta dai fini della storia. In base ai fondamenti indicati non si è finora parlato del carattere specifico del materiale storico, e non si è quindi neppure potuto rispondere alla questione del modo in cui perveniamo a rappresentare non soltanto in modo generalizzante, ma anche in modo individualizzante, il materiale di cui trattano le scienze storiche. Il motivo di ciò dev'essere finalmente indicato per rendere comprensibile l’essenza della scienza storica, e ciò in quanto lo specifico carattere materiale degli oggetti storici può essere inteso in base all’essenza logica del metodo storico. Decisiva è qui, ancora una volta, la connessione dell’apprendimento individualizzante con l'apprendimento riferito ai valori. La rappresentazione individualizzante costituisce cioè un bisogno soprattutto dove più stretto è il nesso degli oggetti con i valori. Se ripensiamo all’elaborazione concettuale prescientifica, vediamo che essa è sempre caratterizzata dal fatto che sono in prevalenza uomini quelli che vengono considerati come individui, e che in questi uomini è particolarmente significativo in virtù della sua individualità ciò che è espressione della loro vita psichica. Anzi, il nostro apprendimento individualizzante è talmente dominato dall’interesse per la vita psichica degli uomini che equipara addirittura il concetto di individuo con quello di personalità, e si è costretti a riflettere esplicitamente sul fatto che un qualsiasi oggetto mostra parimenti un’impronta assolutamente individuale. Se e fino a qual punto la storia in quanto scienza che riferisce i suoi oggetti non a valori individuali puramente personali, ma a valori universali, debba rappresentare le personalità, dipende soltanto da ciò che le personalità significano nella loro singolarità per i valori universali; perciò l’individualizzazione scientifica può allontanarsi di molto da quella pre-scientifica. Dal momento però che ogni storia viene fatta da uomini, anche la rappresentazione scientifica del singolare e del particolare dev'essere prevalentemente rivolta alla vita psichica degli uomini; e questo è il motivo per cui le scienze storiche sono sempre state inserite tra le scienze dello spirito. Comprendiamo ora con tutta chiarezza perché questa designazione esprime una caratteristica secondaria dal punto di vista logico e non è neppure adatta, anche prescindendo da ciò, a caratterizzare in modo compiuto il materiale della scienza storica. Infatti non è soltanto la vita spirituale, ma è in misura prevalente Ja vita spirituale che interessa lo storico nella connessione con i processi corporei; inoltre non tutta la vita spirituale, e neppure tutta la vita psichica dell’uomo, ma soltanto una determinata e relativamente piccola parte della vita psichica degli uomini viene presa in considerazione come materiale da parte della scienza storica. Anche volendo limitare questa parte per conseguire una caratterizzazione ancor più esatta del materiale storico, ciò può avvenire ancora una volta soltanto in base alla comprensione che abbiamo realizzato dell’essenza del metodo storico, e cioè appunto in riferimento alla particolarità dei punti di vista valutativi che nell’elaborazione concettuale individualizzante sono determinanti per la selezione di ciò che è essenziale. Il fatto che si tratti sempre di valori umani universali può venir espresso anche dicendo che diventano storicamente essenziali soltanto gli oggetti che posseggono un significato in relazione a interessi sociali. Perciò, in virtù della connessione storica delle parti con la totalità storica o con la società, l’oggetto principale della ricerca storica non è l’uomo in genere, concepito come svincolato da essa, ma è l’uomo come essere sociale e ciò soprattutto perché partecipa alla realizzazione dei valori sociali. Certamente, il concetto di societas dev'essere qui preso in senso tanto ampio da comprendere anche comunità come quelle degli scienziati o degli artisti. Se chiamiamo con il nome di cultura il processo con cui i valori sociali universali si realizzano nel corso dello sviluppo storico, l’oggetto principale della storia dev'essere la rappresentazione delle parti o della totalità della vita culturale umana, e ogni materiale storicamente importante deve avere un qualche legame con la vita culturale umana, poiché soltanto allora vi è un motivo per riferirla ai valori universali e indagarla nella sua particolarità e individualità. I valori che guidano la selezione di ciò che è essenziale nella storia devono perciò essere designati anche come valori culturali universali così come li abbiamo incontrati, per esempio, nei concetti di valore dello stato, del diritto, dell’arte, della religione, dell’organizzazione economica. S'intende che lo storico non può dire che cosa sia progresso culturale o regresso culturale, poiché in tal caso passerebbe dalla relazione teoretica di valore alla valutazione pratica. Non c'è bisogno che i suoi ideali culturali assumano un'importanza determinante per l'elaborazione del suo materiale; ma egli dev'esserein grado di comprendere i valori culturali universali degli uomini e dei popoli che rappresenta, per poter separare l’essenziale dall’inessenziale in virtù di una relazione puramente teoretica di valore. Inoltre l'indagine storica non è limitata ai processi culturali. Particolarmente quando occorre conoscere le cause degli avvenimenti storici, possono risultare significativi anche oggetti che appartengono semplicemente alla natura , e che diventano importanti proprio con riguardo alla loro individualità: per esempio la particolarità del clima di una determinata regione, la posizione geografica di un paese, e così via. Ma per trovare posto in una rappresentazione storica questi oggetti devono sempre sia connettersi causalmente con processi culturali sia essere considerati nel loro significato per i valori culturali; e al centro di una scienza individualizzante resterà sempre una qualche parte dello sviluppo singolare della vita culturale. Che con ciò non sì intenda affatto vantare un particolare metodo storico-culturale, come oggi sovente vien fatto in antitesi al metodo della storia politica, non richiede un’esplicita assicurazione. La logica non può decidere la questione del campo di lavoro specifico della storia, e neppure perviene alla questione dell'essenza del metodo storico. Se si vuol parlare di un’antitesi tra storia politica e storia culturale in genere, l’una e l’altra devono però applicare il medesimo procedimento individualizzante; può soltanto darsi che la storia culturale, nel senso più ristretto in cui oggi talvolta la si intende, applichi concetti di gruppo in misura più ampia di quanto non faccia la storia dei processi politici. Noi sappiamo però che un numero maggiore o minore di concetti di gruppo non cambia per nulla l’essenza del metodo storico. A prescindere da ciò, non è affatto stabilito che la storia culturale sia configurata in modo più collettivistico della storia politica. Tali questioni hanno a che fare con la dottrina del metodo soltanto nella misura in cui devono essere tenute scrupolosamente lontane dalle indagini logiche. Il dilettantismo logico dei giorni nostri ha anche qui prodotto disorientamento, ma non possiede ancora un'importanza tale da giustificare un esame più ravvicinato in questa sede. Il termine cultura viene qui usato nel senso che la vita politica è una parte della vita culturale in genere. Esso non designa altro che l’insieme degli oggetti che hanno un significato diretto per la realizzazione dei valori universali e che, a causa di questa relazione di valore, non possono mai essere rappresentati in modo esaustivo da una scienza generalizzante, ma richiedono invece di essere appresi da una scienza individualizzante. Con ciò è subito chiaro in qual senso la scienza storica sia una necessità per gli uomini civili. L'uomo civile riferirà sempre la realtà ai valori culturali universali, cosicché deve sorgere la domanda relativa al modo in cui si è compiuta la realizzazione della cultura nel suo sviluppo singolare: a tale questione può dare risposta soltanto la storia individualizzante, mai una scienza generalizzante. Se guardiamo ancora una volta indietro, utilizzando i concetti che abbiamo fornito si può delineare un sistema delle scienze empiriche in cui alla storia è assegnato in riferimento sia al suo metodo che al suo materiale un posto stabile; sulla base di questa prospettiva si possono comprendere e affrontare gli altri gruppi di problemi di filosofia della storia. Dal punto di vista del metodo le scienze particolari procedono o in modo generalizzante e sistematico o in modo individualizzante e quindi non sistematico. Il loro materiale consiste o di oggetti naturali, svincolati dai valori, o di processi culturali, che sono invece riferiti a valori. Questo è soltanto uno schema generalissimo: non si deve quindi dire si dovrà sempre sottolinearlo che le diverse discipline lavorano in modo esclusivamente generalizzante o esclusivamente individualizzante, che trattano soltanto di oggetti naturali o soltanto di processi culturali, e che gli oggetti naturali devono essere rappresentati soltanto in forma generalizzante e i processi culturali soltanto in forma individualizzante. Al contrario, i diversi metodi sono strettamente congiunti nella trattazione dei diversi materiali, e i princìpi di divisione qui forniti possono collegarsi in maniera differente. Il procedimento generalizzante parte da fatti individuali, mentre quello individualizzante ha bisogno di concetti generali come strumenti di rappresentazione e di connessione. Accanto alle scienze naturali generalizzanti vi sono discipline che trattano dei processi naturali in modo individualizzante e quindi, anche se mediatamente e indirettamente, in riferimento ai valori, come per esempio la storia dell'evoluzione degli organismi; e viceversa la vita culturale può, nonostante la relazione di valore, essere sottoposta a una rappresentazione generalizzante. Anzi, anche prescindendo del tutto dalla psicologia, molte delle cosiddette scienze dello spirito come per esempio almeno in parte la linguistica, la giurisprudenza, l'economia sono scienze culturali non certo storiche, ma sistematiche; il loro metodo non coincide necessariamente con quello delle scienze naturali generalizzanti, e la loro struttura logica costituisce quindi uno dei problemi più difficili e interessanti della dottrina del metodo. Ma per quanto grande possa essere la varietà delle aspirazioni scientifiche che la logica non deve criticare, ma semplicemente riconoscere come fatti, e per quanto i princìpi logici di divisione debbano quindi limitarsi a distinguere concettualmente ciò che è strettamente connesso nella realtà, la storia la quale tratta degli uomini, delle loro istituzioni e delle loro imprese può essere solamente designata, con riguardo ai suoi fini ultimi, come scienza individualizzante della cultura. Il suo scopo è sempre la rappresentazione di una serie di sviluppo singolare, più o meno comprensiva; e i suoi oggetti sono essi stessi” processi culturali oppure stanno in relazione con valori culturali. In tal modo questa scienza risulta in linea di principio distinta per il suo contenuto da tutte le scienze naturali, procedano esse in modo generalizzante o individualizzante, e metodologicamente distinta anche da tutte le scienze culturali che trattano i loro oggetti in modo sistematico. La logica della storia deve muoversi entro questo quadro. Soltanto allora essa può penetrare che cosa è realmente la storia, e soltanto così può essere utile a una filosofia che voglia comprendere il significato della storia reale per la soluzione dei suoi problemi. La costruzione di scienze del futuro, oggi particolarmente cara alla logica della storia, non ha invece alcun valore né per la ricerca particolare né per la filosofia, se non quello di un esempio scoraggiante. Anche la questione d ei princìpi dell’accadere storico, che prendiamo ora in esame, può trovare risposta soltanto se ci si appoggia sul concetto di ciò che viene di fatto rappresentato come storia dalle scienze storiche. Già sappiamo che questi princìpi vengono cercati o in leggi generali o nel senso generale della vita storica. Se si vuole pervenire a chiarezza sui compiti della filosofia della storia come dottrina dei princìpi, occorre determinare che cosa si può intendere quando si parla di legge oppure di storia, e chiedersi che cosa meriti il nome di principio della storia. Ne risulterà che l’alternativa tra legge e senso della storia, al pari della lotta tra metodo generalizzante e metodo individualizzante, investe le due tendenze principali contrapposte della filosofia della storia contemporanea, e che la decisione in questo scontro dipende essenzialmente, ancora una volta, dalla comprensione dell'essenza logica della scienza storica empirica. Il termine legge appartiene a quelle espressioni la cui equivocità ha dato occasione a molteplici oscurità e fraintendimenti. Mentre nell’identificazione tra legge e causalità la causa lità viene unilateralmente considerata come forma dell’apprendimento generalizzante, esiste d’altra parte un uso linguistico secondo cui conforme a legge equivale senz'altro a necessario . Il termine può allora designare la necessità di ciò che è singolare e particolare, e anche la necessità di un imperativo o di un valore. Pretendere di vietare in ogni caso quest’uso sarebbe pedantesco, e non avrebbe successo. Nella filosofia, però, bisognerebbe evitarlo almeno nei punti decisivi; e in ogni caso, se alla filosofia della storia viene posto il compito di cercare le leggi della storia, ciò ha un senso chiaro soltanto se per legge si intende la legge naturale. La necessità della legge non significa allora la necessità di una realtà individuale, ma universalità incondizionata di un concetto, e più precisamente il nesso necessario di almeno due concetti generali e il nesso necessario delle realtà corrispondenti soltanto nella misura in cui la legge dice che, quando un oggetto individuale mostra tra le altre caratteristiche anche quelle che costituiscono gli elementi di un concetto generale, con esso è dovunque e sempre connesso realmente un altro oggetto che, tra le altre caratteristiche, possiede anche quelle che costituiscono gli elementi dell’altro concetto generale. In breve, la conoscenza della legge è la forma di apprendimento della realtà a cui tende, come ideale supremo, ogni scienza generalizzante della natura. Che la scienza storica empirica non si ponga mai il fine ultimo di trovare leggi in quest’accezione, già lo sappiamo. Lo storico che fa questo cessa di essere storico e di volere una rappresentazione storica del suo oggetto. Perciò, dal momento che scienza storica empirica e scienza di leggi si escludono concettualmente tra loro, si può dire che il concetto di legge storica contiene una contradictio in adiecto dove ovviamente il termine storico ha soltanto il senso formale o logico già indicato, e questo principio riveste carattere logico anche nella misura in cui è indipendente non soltanto da ogni idea sul materiale della storia, ma anche da ogni visione sull’essenza della realtà in genere. Esso vale tanto presupponendo il materialismo o il parallelismo psico-fisico quanto presupponendo una metafisica spiritualistica o una dottrina metafisica della libertà. Anche la storia di un oggetto le cui leggi ci fossero note senza alcun residuo non consisterebbe mai di queste leggi, ma le utilizzerebbe soltanto come mezzi. Ma ciò che vale per la scienza storica empirica non vale necessariamente per la filosofia della storia. Poiché è logicamente legittimo rivestire ogni realtà con un sistema di concetti generali, e poiché non occorre essere seguaci del materialismo o del parallelismo psico-fisico per ritenere possibile che ogni essere accessibile alle scienze empiriche possa venir ricondotto a leggi generali, sembra che si possa senz'altro ritenere che il filosofo della storia il quale, in quanto filosofo, non è uno storico, ma ha sempre a che fare con l’universale scopra leggi valide per lo stesso materiale che le scienze storiche empiriche tendono ad apprendere in modo individualizzante. Dal momento che tale materiale è costituito principalmente dalla vita sociale degli uomini, da ciò sorge l’idea di una sociologia come filosofia della storia che ricerca leggi un'idea che è più vecchia della terminologia di Comte, ma che trova molti seguaci anche ai giorni nostri. Per tale via, questi sociologi cercano una conoscenza che conduca al di là delle singole rappresentazioni storiche, con la loro aderenza al particolare, e penetri l'essenza universale di tutto lo sviluppo storico. Evidentemente così ritengono almeno i più cauti rappresentanti di questo punto di vista la conoscenza storica di ciò che è singolare e individuale non è priva di valore, ma costituisce, al contrario, l'indispensabile fondamento di una considerazione ulteriore ossia costituisce, dal punto di vista della filosofia della storia, soltanto il fondamento, il lavoro preparatorio. Su questa base si deve poi innalzare l’edificio di una filosofia della storia comprensiva, che abbracci nelle sue leggi il ritmo e quindi i princìpi di tutta la vita storica. Se passiamo a valutare questo punto di vista, vediamo infatti che, se il termine storico designa non già il metodo, ma il materiale della storia, il concetto di legge storica non contiene per lo meno nessuna contraddizione logica; e in ogni caso è un'impresa del tutto legittima ricercare le leggi della vita sociale degli uomini. Del tutto diverso è però chiedersi se abbia un senso designare come princìpi dell’accadere storico le leggi eventualmente trovate attraverso la considerazione generalizzante del materiale che la storia rappresenta in modo individualizzante, e se sia quindi corretto chiamare la sociologia col nome di filosofia della storia. Questa è qualcosa di più che una questione terminologica; e se ad essa si risponde affermativamente in base al principio che si possono trovare leggi per ogni realtà, quindi anche per gli oggetti delle scienze storiche, si trascurano due punti d'importanza decisiva. I princìpi storici devono cioè essere in primo luogo princìpi della cultura e in secondo luogo princìpi dell'universo storico. Sono appropriate a tale scopo le leggi nel senso di leggi naturali? Ciò che soprattutto importa può venir chiarito nel modo migliore se si ripensa al fatto che né la conoscenza pre-scientifica, né una qualsiasi conoscenza scientifica della realtà empirica riproduce questa realtà quale esiste indipendentemente dalla nostra elaborazione concettuale, ma che ogni conoscenza si costituisce soltanto in virtù di un apprendimento che trasforma la realtà. Nel suo processo di formazione la scienza può essere guidata soltanto dai fini che si è posta come scienza generalizzante o individualizzante, e una scienza generalizzante potrà quindi sperare di pervenire a leggi soltanto se si libera da tutti gli interessi per la realtà che non siano quelli indirizzati a determinare concetti incondizionatamente generali per il proprio campo. Essa deve poter separare ciò che ad altri modi di apprendimento appare connesso, e deve comprendere sotto un concetto ciò che in rapporto ad altri interessi non sembra avere assolutamente nulla in comune. Quanto essa si allontani così dall’apprendimento pre-scientifico risulta particolarmente chiaro allorché si determinano le leggi più comprensive. Basta considerare che le scienze di leggi conducono a una separazione di principio dell’elemento fisico spaziale dall’elemento psichico inesteso, e quindi alla rappresentazione di due mondi tra i quali non è più possibile istituire alcuna connessione reale, mentre per il nostro apprendimento pre-scientifico e anche per il nostro apprendimento storico i due campi sono inscindibilmente legati tra loro. Oppure si pensi come il trattamento imposto dalle scienze di leggi faccia sempre più scomparire il carattere di cosalità della nostra immagine del mondo e introduca al suo posto, in misura crescente, concetti di relazione. Una scienza della vita sociale degli uomini richiederà evidentemente, in linea di principio, la medesima libertà di trasformare la realtà mediante l’elaborazione concettuale generalizzante; se ciò viene applicato al suo rapporto con la vita storica, ne risulta che la sociologia nel caso che voglia essere al tempo stesso filosofia della storia non possiede questa libertà di distruggere ogni forma di apprendimento della realtà diversa da quella determinata dal suo fine di una conoscenza di leggi. Se della sociologia si deve realmente poter dire che tratta il medesimo materiale della storia, essa dovrà per lo meno cercare le leggi della vita culturale, in quanto ogni scienza storica ha a che fare o con processi culturali o con realtà che sono in relazione con questi. Ma la cultura non è affatto una realtà libera da interpretazioni, che possa venir sottomessa a una qualsiasi elaborazione e trasformazione concettuale; da una parte la cultura è una sezione determinata della realtà, di cui non si sa se per essa, e soltanto per essa, valgano concetti di legge, dall’altra tale sezione è una realtà già articolata e trasformata in modo ben determinato da valori culturali. Chi può dire se questa articolazione, dalla cui consistenza dipende se designamo una realtà come cultura, si conserva allorché cerca di farsi valere l'apprendimento generalizzante? Se però questo non avviene, allora la sociologia in quanto scienza di leggi rappresenta insieme con l’altra vita sociale non storica anche la medesima realtà trattata dalla storia, ma non l’apprende come la medesima realtà, ossia non la rappresenta come cultura; e quanto poco importi da questo punto di vista la comunanza del materiale, appare chiaro non appena si pensi che l'oggetto comune non è che una parte di quella sterminata molteplicità che, in quanto tale, non soltanto non può confluire in nessuna scienza, ma di cui possiamo parlare solo in generale, mai in particolare, perché non la conosciamo libera da interpretazioni. C'è perciò non soltanto un’inconciliabilità tra metodo generalizzante e metodo individualizzante nelle scienze particolari, ma manca pure ogni garanzia di conciliabilità tra la considerazione delle scienze di leggi e la considerazione delle scienze della cultura; anzi a causa della stretta relazione tra pensiero individualizzante e pensiero riferito ai valori è, se non logicamente impossibile, almeno molto improbabile che i concetti di legge possano sempre coincidere nel loro contenuto con i concetti culturali generali. Con ciò è tolto il terreno, già in linea di principio, al programma di una sociologia intesa come filosofia della storia, la quale poggi sul principio che dev'essere possibile trovare leggi per una qualsiasi realtà. Il tentativo di determinare leggi della vita sociale mantiene ovviamente il suo buon diritto, ma nulla ci autorizza a considerare queste leggi come princìpi della vita culturale, semplicemente perché sono leggi della medesima realtà libera da interpretazioni di cui tratta la storia. A ciò si può credere soltanto se, indulgendo a un ingenuo realismo concettuale, si scambia il nostro apprendimento pre-scientifico e scientifico della realtà con la realtà stessa. Poiché in un certo senso qui non andiamo al di là delle possibilità logiche e almeno secondo quanto si è detto finora soltanto un caso miracoloso potrebbe far sì che i concetti di legge e i concetti culturali coincidano sempre, per giungere a chiarezza occorre ancora mostrare esplicitamente in quale caso ogni ricerca di leggi della vita culturale è priva di senso. Il punto decisivo sta nuovamente nel concetto del rapporto che la totalità ha con le sue parti. Anzitutto, in quali casi l’apprendimento della realtà come cultura può accompagnarsi con l’apprendimento generalizzante? Dal momento che i valori culturali sono sempre, in quanto valori universali, anche concetti di contenuto generale, gli avvenimenti storici i quali diventano essenziali in virtù della loro individualità in riferimento a un valore culturale universale possono essere considerati come esemplari di questo concetto generale. Infatti, anche se il procedimento individualizzante è sempre riferito a valori, questo principio non può essere rovesciato in modo da affermare che ogni valore universale rende individualizzante la rappresentazione. Anche quei processi che vengono in luce, per esempio, in una storia dell’arte o del diritto possono essere visti come esemplari del concetto generale di arte o di diritto; e se in tal modo si deve sciogliere anche la relazione di valore che le cose hanno, in virtù della loro individualità, con il valore culturale di arte o di diritto, una rappresentazione generalizzante di questo tipo rimane tuttavia rappresentazione di processi culturali anche nel senso che essa considera gli oggetti come cultura; infatti il concetto culturale di arte o di diritto è ciò che delimita il campo e determina quali oggetti diventano esemplari di tale sistema di concetti generali. Ciò che vale per questi valori culturali può naturalmente valere anche per tutti gli altri: si può quindi pensare che quelle grandi unità della vita storica che chiamiamo popoli civili vengano tutte concepite come esemplari di un sistema di concetti generali in cui poi si esprimono le leggi che valgono per lo sviluppo sempre ricorrente d’un qualsiasi popolo civile. Certamente, per i motivi prima addotti, non si può mai chiamare tutto questo col nome di storia; inoltre, se tale compito viene indicato come possibile, si deve pensare soltanto alla possibilità logica, lasciando da parte le difficoltà di fatto che si oppongono a una siffatta impresa. Infatti qui importa solamente concedere al programma di una scienza della vita culturale fondata su leggi tutto quanto è pensabile per poi, fatto questo, poter decidere con maggiore sicurezza se la scienza di leggi a cui si aspira, concepita nella sua perfezione, sia in grado di soddisfare le pretese di una filosofia della storia come dottrina dei princìpi della vita storica. Se si vuol rispondere a questa domanda occorre tener presente che la filosofia della storia, comunque si possa altrimenti determinare il suo compito, non dev'essere filosofia dell’oggetto di un'indagine storica particolare, bensì filosofia dell’oggetto di una storia universale, e deve al tempo stesso stabilire i princìpi dell’universo storico. Per universo storico si deve però in ogni caso intendere per quanto indeterminato possa essere questo concetto la totalità storica più comprensiva possibile, e quindi qualcosa di singolare e di individuale nel suo concetto, a cui ogni oggetto considerato da una scienza storica particolare appartiene come elemento individuale; inoltre, dai princìpi della storia pretendiamo che siano i princìpi dell’unità di questo universo. Già da questo risulta che una scienza di leggi, in quanto dottrina dei princìpi storici, non soltanto incontra difficoltà più o meno grandi, ma è anche logicamente impossibile. Non si obietti che anche la totalità dell’universo è, in base al suo concetto, qualcosa di singolare e che quindi, se quest’argomentazione fosse giusta, non dovrebbero esserci leggi che valgono come assumiamo per esempio nel caso della legge di gravità per la totalità dell’universo. Le scienze generalizzanti non hanno mai a che fare con la totalità dell’universo nello stesso modo in cui la filosofia della storia ha a che fare con l'universo storico. Esse vanno alla ricerca di leggi soltanto nel senso che vogliono stabilire ciò che vale per tutte le sue parti. Mai però pensiamo di considerare queste parti come elementi della totalità, e le leggi generali non possono affatto essere princìpi dell’unità di questo tutto. Quanto più esse sono generali, tanto più ogni parte è soltanto esemplare di un genere, ed è quindi sciolta da tutte le determinazioni che la rendono un elemento della totalità. Se assumiamo quindi che la sociologia abbia raggiunto il suo fine supremo e abbia trovato leggi per tutte le parti dell’universo storico, ad esempio per lo sviluppo di tutti i popoli civili, allora questi sarebbero diventati per essa esemplari di un genere, e in quanto esemplari concettualmente isolati l’uno dall’altro. Essi non potrebbero venir ricondotti all'unità dell’universo storico individuale, poiché come elementi di una connessione storica dovrebbero sempre essere individui, e le leggi trovate dalla sociologia non potrebbero venir utilizzate come princìpi dell’unità degli elementi individuali dell’universo individuale. Il concetto di legge come principio dell'universo storico è quindi per la filosofia della storia logicamente assurdo, tanto quanto lo è il concetto di legge storica inteso come fine di una scienza storica empirica. Certamente la filosofia della storia guarda al generale , ma soltanto nella misura in cui essa ha a che fare con l'universo storico, e proprio perciò il suo oggetto rimane sempre uno sviluppo singolare e individuale, che ha come suoi elementi degli individui. La sociologia come scienza di leggi può quindi, per quanto possa essere fornita di valore sotto altri aspetti, offrire alla storia concetti ausiliari per l’analisi di connessioni causali, ma non può mai prendere il posto della filosofia della storia. Da questo punto di vista devono essere valutati anche tutti i tentativi di riconoscere fattori o forze generali della vita storica. Dal momento che ogni storia tratta di uomini, e in ogni uomo si possono distinguere un aspetto corporeo e un aspetto spirituale, è evidentemente possibile effettuare una divisione di tali forze in fisiche e psichiche, e si potrà fors’anche dare con successo uno sguardo d’insieme ancor più specializzato a quei fattori che agiscono nell’accadere storico. Ma, quale che sia il giudizio che si può dare nel singolo caso sul valore di tali sforzi, non soltanto è necessaria, a causa della separazione tra apprendimento naturale e apprendimento culturale della realtà, la massima precauzione nell'impiego di tali teorie generalizzanti, ma soprattutto non ci si deve mai illudere che queste forze e questi fattori generali siano e neppure determinino ciò che è storicamente essenziale. Si tratta piuttosto soltanto di condizioni senza le quali non possono esserci avvenimenti storici; ma proprio perché sono condizioni assolutamente generali, non hanno interesse né per lo storico empirico né per il filosofo della storia. Così, per esempio, il calore del sole è un fattore che non possiamo eliminare da nessun avvenimento storico; e tutta la storia avrebbe avuto un corso diverso anzi non ci sarebbe stata nessuna cultura se gli uomini non si fossero potuti capire con il linguaggio. Ma il calore del sole e il linguaggio non sono certamente princìpi storici . È proprio il carattere di incondizionata generalità che toglie ad essi interesse storico. Anzi, prescindendo del tutto dal fatto che una scienza delle forze e dei fattori generali della vita sociale possa essere chiamata filosofia della storia, si può ben dubitare che le molteplici conoscenze naturali, psicologiche e culturali che vengono qui prese in considerazione possano congiungersi in una scienza unitaria. Almeno finora questa scienza non esiste affatto, né ci sarà in futuro; e se lo storico sente il bisogno di una visione delle forze generali che agiscono nel campo di cui egli tratta, si rivolge alle scienze particolari generalizzanti, cioè all’antropologia, alla psicologia, alla sociologia e così via, che lo informeranno nel modo più preciso. Non recheremmo un contributo essenziale al chiarimento del principio generale a cui dobbiamo qui limitarci se pretendessimo di approfondire nei particolari i diversi gruppi di problemi considerati; si deve soltanto sottolineare ancora che lo storico può cercare insegnamento presso le scienze particolari generalizzanti solamente per quanto riguarda i fattori più o meno costanti della vita storica, mentre non deve attendersi dalle scienze generalizzanti alcuna risposta per parecchie questioni che si riferiscono all'essenza generale della vita storica e in particolare per le questioni che vengono qualificate come problemi di filosofia della storia. Qui ci limitiamo a un esempio sul quale le più diverse tendenze della scienza storica empirica e della filosofia della storia cadono in errore. Si tratta della questione concernente il ruolo che hanno nella storia gli individui abitualmente designati in modo eminente come individuo, cioè le singole personalità. Qui proprio la concezione che rifiuta sia la trattazione empirica sia la trattazione filosofica della storia in favore di una scienza di leggi ha interesse a sottolineare che questo problema non è suscettibile di una soluzione generale in senso cosiddetto individualistico ; e ciò risulta ancora una volta da una prospettiva logica. Certamente è del tutto sbagliato dire che nella storia non interessano affatto le singole personalità, e che determinante è solamente la vita generale delle masse; ma altrettanto falso è cercare sempre i fattori decisivi nelle imprese di singole personalità e spiegare la storia seguendo Carlyle come una somma di biografie. Purtroppo, l’alternativa che qui viene in luce è molto spesso posta in connessione con la questione dell’essenza logica della storia, cosicché i rappresentanti del punto di vista secondo cui la storia procede in modo individualizzante (nel senso da noi indicato) vengono al tempo stesso ritenuti seguaci di una storia di personalità; e invece il metodo individualizzante non ha il minimo rapporto con il culto degli eroi. Al contrario, proprio perché la storia è la scienza dell’individuale, la filosofia della storia non può decidere in favore dei grandi uomini la questione del significato che posseggono le singole personalità. Il motivo è lo stesso che vieta di cadere nell’estremo opposto e di fare dell’elaborazione di concetti collettivi un principio di metodo. L'affermazione che importano sempre le personalità sarebbe anzi prodotto di un’elaborazione concettuale generalizzante, ossia una legge storica. Per ogni aspetto particolare dell’accadere storico si deve indagare quali movimenti di massa e quali imprese meramente personali abbiano avuto un’importanza decisiva per i valori culturali dominanti: soltanto allora è possibile rispondere alla questione del significato dei singoli uomini per tutti gli aspetti particolari della storia. Di fatto, né le affermazioni generali sull’importanza decisiva delle masse, né quelle sul ruolo delle singole personalità devono la loro popolarità a un'elaborazione concettuale generalizzante; esse devono venir ricondotte a un’arbitraria unilateralità nel privilegiamento di questi o quei valori culturali, e quindi a una scelta arbitraria del materiale storicamente essenziale come risulterà ancor più chiaramente rispondendo alla domanda sui princìpi della vita storica. Per quanto riguarda la questione del significato delle leggi storiche, concludiamo accennando ancora a un punto che ha dato parimenti occasione a dispute. Si tratta cioè ancora di mostrare che non soltanto certi problemi largamente trattati di filosofia della storia non ammettono nessuna decisione generale, ma che anche dove uno storico afferma un principio valido per ogni vita storica, non è affatto detto che si tratti sempre di un prodotto dell’apprendimento generalizzante. Prendiamo come esempio una tesi di Ranke che ha avuto una parte rilevante nella polemica sulle leggi storiche. Essa contiene come dice von Below una verità universale: la nozione che la vita interna degli stati dipende in larga misura dai rapporti reciproci tra gli stati, dai rapporti mondiali , e viene al tempo stesso designata come una scoperta scientifica di prim’ordine. Ci si può chiedere se questa verità universale non sia una legge storica, anche se soltanto nel senso, logicamente privo di contraddizione, di una legge valida per il materiale rappresentato in modo individualizzante dalla storia. Chi conosce la concezione storica di Ranke, risponderà negativamente a tale domanda. Per questo grande storico i rapporti mondiali costituiscono un complesso determinato di stati civili in connessione reciproca, e Ranke considera come facenti parte del suo mondo storico soltanto gli stati che sono in connessione con questi stati civili, e che quindi ne sono anche influenzati. Nel principio sopra menzionato se esso deve valere in modo assolutamente generale ed essere quindi libero da ogni contenuto propriamente storico abbiamo di fronte non già un prodotto della scienza generalizzante e una scoperta scientifica, ma soltanto la formulazione di un presupposto metodologico con cui Ranke si accosta, e deve accostarsi se vuole trattare tutto in termini di storia universale, nel senso da lui inteso alla rappresentazione individualizzante dei singoli stati. Lo stesso vale per altre affermazioni generali, come per esempio quella che ogni individuo, per quanto grande, è rinchiuso entro confini dati dalla situazione culturale del suo popolo. Ciò è assolutamente evidente, poiché anche qui non si afferma altro che la connessione reale di ogni parte storica con la totalità storica. Un sistema di princìpi generali siffatti non potrebbe mai servire come scienza ausiliaria generalizzante della storia nella ricerca di connessioni causali, ma può soltanto contenere i presupposti che dobbiamo assumere se dev'essere in generale possibile la storia in quanto rappresentazione scientifica di connessioni storiche. Così si mostra nuovamente che non ha alcun senso cercare nelle leggi i princìpi dell’accadere storico. Ma proprio perché il rifiuto di una filosofia della storia come scienza di leggi è risultato come conseguenza necessaria della comprensione dell’essenza logica della storia, sembra con ciò di essere andati troppo in là nella dimostrazione. Infatti, per quanto false siano nel loro contenuto tutte le teorie sociologiche che pretendono di essere filosofia della storia, esistono di fatto dei tentativi di determinare leggi valide per la totalità singolare dello sviluppo storico, e questi sarebbero senz’altro impossibili se il concetto di una scienza di leggi come filosofia della storia contenesse una contraddizione logica. Ciò è certamente esatto, e pertanto occorre ancora mostrare che, laddove i princìpi dell’accadere storico sembrano determinati in forma di leggi, essi non sono mai enunciati, da un punto di vista formale, come leggi nel senso delle leggi naturali. E dal fatto che intendiamo ciò che qui è realmente presente deriva al tempo stesso una risposta alla questione di ciò che può essere designato come principio della vita storica. È caratteristico di quasi tutti i tentativi di trovare la legge naturale dell’universo storico il fatto che tale legge debba contenere contemporaneamente la formula del progresso della storia: con ciò è subito posto in chiaro l’elemento essenziale. Si capisce quanto debba essere allettante abbracciare d’un solo colpo legge naturale, legge di sviluppo e legge di progresso, come credeva di aver fatto Comte con la sua legge dei tre stati teologico, metafisico e positivo e quanta popolarità goda quindi ancor oggi questo tipo di sociologia, che promette di rendere tanto. Ma si capisce anche, non appena si sia ottenuta chiarezza sull’essenza logica della storia, che tali promesse non potranno mai essere mantenute. In primo luogo, progresso o regresso sono concetti di valore, più esattamente concetti che esprimono un incremento o una diminuzione di valore; e di progresso si può parlare soltanto se si possiede un criterio di valore. In secondo luogo, il progresso indica il sorgere di qualcosa di nuovo, che non è mai esistito nella sua individualità. Ma il concetto di un criterio di valore, come concetto di ciò che dev'essere, non può mai coincidere con un concetto di legge, che contiene sempre ciò che è o deve necessariamente essere, e che non ha quindi alcun senso esigere. Dover essere ed essere necessariamente si escludono l’un l’altro sotto il proftlo concettuale, e solamente a causa della già menzionata equivocità del termine legge si può parlare di una legge di progres Inoltre il sorgere di qualcosa di nuovo, di non ancora esistito, non rientra in alcuna legge, poiché una legge contiene soltanto ciò che ricorre ripetutamente. Se per progresso si intende quindi in primo luogo il sorgere di qualcosa di nuovo e in secondo luogo un incremento di valore, e per legge una legge naturale, allora il concetto di legge di progresso è due volte logicamente assurdo. Quando l’universo storico è unificato in virtù di una legge, articolato in riferimento al sorgere di qualcosa di nuovo e designato come progresso, la legge non può mai essere una legge naturale. Perciò la legge di Comte è anche di fatto una formula valutativa. Per lui il positivo vale come dover essere, come ideale assoluto. In base a questo egli considera lo sviluppo dell’umanità e stabilisce ciò che i suoi diversi stadi rappresentano di nuovo e di valido per la realizzazione del suo ideale. Una scienza di leggi, che deve sciogliere i propri oggetti da ogni vincolo valutativo e considerarli come esemplari indifferenti di un genere, non può fare nulla di simile. Qui non è possibile — e neppure necessario per il chiarimento del principio — illustrare criticamente i vari tentativi compiuti per porre in luce presunte leggi come princìpi dell’accadere storico e per dimostrare che queste leggi contengono, più o meno celati, concetti di valore, e quindi non sono leggi. Basti ricordare esplicitamente quello che è legato al nome di Darwin e che può essere definito come il tentativo di dare al concetto di sviluppo storico un carattere puramente naturalistico in virtù della dimostrazione che proprio la legge naturale dello sviluppo garantisce il suo necessario incremento di valore. Ogni progresso da un livello inferiore a uno superiore è condizionato — così si sostiene — dalla legge universalmente valida della selezione, che sempre più elimina ciò che è cattivo e aiuta ciò che è buono a riportare la vittoria. Perciò tale legge deve nel medesimo tempo essere il principio dello sviluppo storico e del progresso. A parecchi ciò suona assai plausibile, ma non occorre pervenire a un'illustrazione più ravvicinata delle idee sulla cui base si sono ottenuti i più diversi concetti di progresso per mostrare che siamo qui dinanzi a un fraintendimento totale della biologia di Darwin. Se questa teoria deve fornire una spiegazione puramente naturalistica, essa deve rinunciare a qualsiasi teleologia dei valori, e quindi anche evitare completamente l'impiego di concetti valutativi come superiore e inferiore. La selezione naturale non elimina affatto ciò che è cattivo conservando il buono, ma aiuta semplicemente a far vincere il più adatto alla vita in determinate condizioni; e questo processo può essere chiamato progresso soltanto se si fa della vita in quanto tale, in qualsiasi forma si manifesti, un valore assoluto. Ma ciò sarebbe del tutto privo di senso, perché ogni vita ha dimostrato capacità vitale per il fatto stesso di esistere, e quindi da questo punto di vista cade ogni differenza di valore. Sulla base dei concetti darwiniani non si può valutare la vita umana superiore a quella animale, e quindi designare come un progresso lo sviluppo che conduce all'uomo. Perciò è del tutto impossibile formulare u na qualsiasi distinzione di valore all’interno della vita umana in base a punti di vista propri della scienza naturale. Soltanto quando si è già presupposta come fornita di valore sulla base di un criterio di valore una determinata formazione, si può definire come progresso lo sviluppo che conduce ad essa. Ma non sarà mai possibile derivare dalle leggi naturali del processo di sviluppo che devono essere le medesime per ogni stadio, se devono essere leggi generali il principio del progresso. La circostanza che certe formazioni naturali, come per esempio gli uomini, vengono valutate come evidentemente » superiori rispetto ad altre forme ci spiega sì la possibilità di una storia evolutiva individualizzante degli organismi e conduce i rappresentanti di una filosofia naturalistica della storia a ingannarsi sull’uso che continuamente fanno di princìpi di valore, ma non cambia nulla al fatto che dai concetti propri della scienza naturale non si può derivare alcun valore. Da quest’illusione sono infine dominati anche coloro che vogliono costruire una filosofia della storia sul concetto di razza per lo più ispirati dalla nozione darwiniana di razze favorite nella lotta per l’esistenza ». Essi trascurano il fatto che, per edificare una qualsiasi filosofia della storia, sono costretti a utilizzare questo concetto in modo del tutto acritico e infondato, come concetto di valore; e tale procedimento è tanto più sospetto in quanto con ciò discreditiamo il concetto estremamente importante per la filosofia della storia di nazione, che è un concetto culturale e designa l’individualità di un popolo. Il concetto di nazione civile non ha nulla in comune con il concetto naturalistico di razza tutt'altro che esente da obiezioni, del resto, anche dal punto di vista della scienza naturale di cui si fa oggi un abuso così dilettantesco. La germanità non risiede nel sangue ma nell'animo ha detto Lagarde”, un uomo non sospettabile di apprezzare poco l’ele 23. Paul Anton de Lagarde, orientalista c filosofo tedesco, autore mento nazionale; e alla base di questa espressione sta la stessa idea che proibisce di elevare concetti naturali, come quello di razza, a princìpi di filosofia della storia. La dimostrazione che le presunte leggi storiche sono formule di valore ci ha al tempo stesso indicato la strada attraverso cui devono essere effettivamente cercati i princìpi dell’accadere storico: ancora una volta è qui decisiva la comprensione dell’essenza logica della scienza storica. L'universo storico non è nient'altro che la totalità storica più ampia possibile, concepita in modo individualizzante, e poiché la relazione di valore è la conditio sine qua non dell’apprendimento individualizzante in genere, possono essere solo concetti di valore quelli che costituiscono il concetto dell’universo storico. Ma soltanto ciò che esegue questo lavoro e rende possibile connettere in unità come elementi individuali le diverse parti dell’universo storico, merita il nome di principio storico; perciò la filosofia della storia in quanto scienza dei princìpi è, se deve avere un compito, la dottrina dei valori da cui dipende l’unità e l’articolazione dell’universo storico. In riferimento a questi valori si può anche interpretare il senso unitario dell’intero sviluppo. L'’interpretazione di tale senso ha sempre rappresentato di fatto l'aspirazione della filosofia della storia, anche quando si credeva di dover cercare leggi perché non si distingueva tra legge e valore, tra essere necessariamente e dover essere, tra essere e senso, e non si era consapevoli che ciò che non si può riferire a valori è assolutamente privo di senso. Neppure il naturalismo ha voluto rinunciare a interpretare il senso della storia, né del resto sarebbe facile rinunciarvi. Tutta la vita culturale è vita storica e gli uomini civili a cui appartengono anche i naturalisti non possono in quanto tali tralasciare di rendersi conto del senso della cultura, e quindi del senso della storia. Sorge qui un compito che non può essere assolto né dal naturalismo, che scioglie la realtà da ogni relazione di valore, né dalla scienza storica empirica, che rappresenta il corso storico in base di Uber das Verhdltnis des deutschen Staates zu Theologie, Kirche und Religion {1873), dei Politische Aufsitze (1874), di Uber die gegenwirtige Lage des deutschen Reiches (1876) e di vari altri scritti, cditore di Giordano Bruno, formulò una filosofia della storia di ispirazione teologica. a una relazione di valore puramente teoretica; perciò ci si attende dalla filosofia della storia, come dottrina dei princìpi dell’accadere storico, la soluzione di questo compito necessario e inevitabile . Meno semplice della questione dell'oggetto di questa filosofia della storia è affrontare il problema del modo di trattazione. Qui è possibile prospettare soltanto #2 compito, contro la cui possibilità di soluzione non vengono avanzate obiezioni di rilievo. Esso si riallaccia alle operazioni effettive degli storici e dei filosofi della storia, cercando di mostrarvi la funzione dei valori culturali come princìpi della rappresentazione. Per qualche lavoro questo compito è, almeno in parte, di così facile soluzione da non aver affatto bisogno di un’indagine particolare. In una storia dell’arte o della religione devono in ogni caso esserci dei valori artistici e religiosi, ai quali vengono riferiti gli oggetti da rappresentare. Ma non sempre le cose vanno nel senso che un determinato punto di vista valutativo emerge subito come elemento dominante. Soprattutto nelle opere più comprensive, le quali hanno per oggetto lo sviluppo di interi popoli o intere epoche, si incontrano i punti di vista più diversi, ed è un’occupazione assai attraente quella di chiarire perché lo storico tratti estesamente certi avvenimenti e soltanto brevemente altri, e non tratti per nulla di processi altrettanto reali. Gli storici stessi non sempre sono consapevoli dei motivi di questo fatto. Non possono esserlo perché spesso non sanno nulla della struttura logica della loro attività e credono di non stabilire relazioni di valore in genere. Tanto più importante è allora chiarire esplicitamente i loro presupposti e mostrare da che cosa essi dipendano nell’elaborazione del loro materiale. Occorre perciò mostrare che ogni storico, specialmente quando non si limita a indagini particolari, possiede una specie di filosofia della storia che è decisiva per ciò che egli ritiene importante e non importante; ed è certamente un compito che vale la pena affrontare quello di porre in luce la filosofia della storia presente soprattutto nei grandi storici. Anche in uno storico così oggettivo , com'è per esempio Ranke, agiscono presupposti filosofici ben determinati intorno al senso della storia, e così dev'essere per il fatto stesso che egli voleva trattare tutto dal punto di vista della storia universale. Giustamente Dove ha osservato che Ranke si è opposto alla partecipazione unilaterale non già mediante la neutralità, ma mediante l'universalità del sentimento simpatetico, riconoscendo in tal modo implicitamente la relazione ai valori. Ma se le cose stanno così, non ci si può limitare a questo. In che cosa consiste l'universo dei sentimenti simpatetici in questo grande storico? Un’indagine orientata in vista di tale scopo recherebbe forse maggiore luce sulla questione riguardante le tanto discusse idee di Ranke. Si potrebbe mostrare che la filosofia della storia di Ranke è stata soggetta a trasformazioni, ma che tra i fattori di cui si compongono queste idee tutt'altro che semplici hanno sempre avuto un ruolo essenziale i punti di vista valutativi dominanti della concezione della storia di Ranke. In tali indagini, e in altre analoghe, storia e filosofia devono avere uno stretto contatto. Ancor più importante tra i punti di vista filosofici è però l’analisi dei tentativi che procedono oltre la scienza storica empirica in quanto stabiliscono esplicitamente princìpi della vita storica, e cioè princìpi che servono alla comprensione dell’intero sviluppo umano e all’interpretazione del suo senso. Qui occorre quindi non soltanto l’analisi, ma anche la critica; occorre cioè dopo aver determinato fino a qual punto i principi della vita storica siano valori, e in che cosa essi consistano indagare con quale diritto questi punti di vista valutativi vengano considerati decisivi per il senso generale dello sviluppo universale. Naturalmente anche qui possiamo di nuovo indicare soltanto qualche esempio. Si prenda, come esempio particolarmente caratteristico, la cosiddetta concezione materialistica della storia, proprio nella forma originaria del Manifesto comunista e nella misura in cui si limita del tutto indipendentemente dal materialismo teoretico o metafisico a un’interpretazione della vita storica empirica. Già il fatto che essa sia sorta come elemento di un programma politico indica dove devono Dove, storico tedesco, autore della Deutsche Geschichte im Zeitalter Friedrichs des Grossen und Joseph l (1883), della Kaiser Wilhelms geschichtliche Gestalt (1888), di Grossherzog Friedrich von Baden als Landesherr und deutscher Fiirst (1902) e di varie altre opere, editore delle opere complete di Ranke. essere cercati i punti di vista valutativi che la ispirano. Essa può venir compresa soltanto se si considera che gli interessi dei suoi fondatori si rivolgevano alla lotta del proletariato contro la borghesia e che la vittoria del proletariato ne costituiva il valore centrale, assoluto. Poiché la cosa essenziale in riferimento a questo valore è oggi la lotta tra le due classi, si cerca di comprendere l’intera storia come storia di lotte di classe e di ricondurla in tal modo a unità. I nomi dei partiti in lotta cambiano: liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, artigiani e garzoni si contrappongono tra loro. Ma ogni volta è essenziale, in riferimento al punto di vista valutativo dominante, il fatto che si tratta di oppressori e oppressi, di sfruttatori e sfruttati i quali lottano tra loro ai diversi gradi dello sviluppo storico. Così si ottengono i princìpi generali dell’accadere storico, e anche la formazione futura viene parimenti determinata dal valore assoluto, dall’auspicata vittoria del proletariato sulla borghesia. Nella fase attuale di lotta la cosa principale, l'elemento decisivo, è la lotta per i beni economici. Perciò nella storia la vita economica dev'essere sempre la cosa principale, e le epoche della storia devono articolarsi in base alle diverse formazioni economiche: da ciò deriva la concezione materialistica , cioè economica. Quanto tutta questa concezione dipenda da punti di vista valutativi, è cosa che non richiede un’ulteriore dimostrazione. Che poi non si accontenti di considerare come elemento essenziale ciò che è riferito al suo valore assoluto, ma faccia coincidere l'essenziale secondo un realismo concettuale ingenuo a cui si aggiunge qui ancora il realismo concettuale nient’affatto ingenuo degli hegeliani con ciò che è propriamente reale , e conceda a tutta la restante vita culturale soltanto un'esistenza di grado inferiore, non cambia in nulla il quadro che abbiamo delineato. Questo errore è tipico delle costruzioni di filosofia della storia che non sono consapevoli di utilizzare come punti di vista dominanti dei valori, e al tempo stesso serve a mantenere l'oscurità sul principio direttivo perché, una volta compiuta la separazione tra due diversi tipi di reale e trovata nella vita economica in conseguenza di un platonismo con segno rovesciato la causa vera e propria di tutti gli altri avvenimenti storici, deve poi necessariamente sorgere la parvenza che la concezione materialistica della storia constati semplicemente dei fatti, partendo sempre dalla vita economica intesa come fondamento. Queste ipostatizzazioni metafisiche dell’elemento economico sono però soltanto esagerazioni, e possono essere eliminate senza intaccare il nucleo filosofico del materialismo storico. In ogni caso, uno sguardo ai princìpi di valore di questa filosofia della storia fornisce anche il punto di vista da cui deve prendere le mosse la critica. La questione decisiva consiste nel sapere se sia legittimo scorgere il valore assoluto nella vittoria del proletariato in campo economico, e quindi in un bene economico. Naturalmente la questione non dev'essere decisa in questa sede. Si potrà al massimo ritenere fin d’ora poco probabile il fatto che princìpi di valore ottenuti in base a punti di vista politici di partito siano adatti anche all’interpretazione del senso della storia universale. Infatti una quantità sterminata di aspirazioni e di imprese umane di tutti i secoli appare, da questo punto di vista, del tutto priva di senso. Non ci si può tuttavia limitare a queste supposizioni. Proprio l’idea che la filosofia della storia non soltanto deve chiarificare analiticamente i principi delle opere di storia empirica e delle costruzioni di filosofia della storia, ma deve anche assumere criticamente posizione nei loro confronti non appena questi princìpi avanzano una pretesa di validità universale, indica che il compito principale di una scienza dei princìpi storici si colloca in una direzione del tutto diversa. La critica è possibile sempre soltanto sulla base di un criterio di valore; inoltre, per poter definire unilaterale una concezione della storia, si deve in qualche modo disporre di una concezione onnilaterale. La dottrina dei princìpi dell’accadere storico si svilupperà quindi in una scienza autonoma soltanto se nella determinazione dei princìpi storici aspira tanto alla completezza sistematica quanto a. una fondazione critica. Essa deve cioè porsi come fine la determinazione di un sistema di valori; inoltre essa prende in considerazione non soltanto la valutazione di fatto, ma anc he la questione della validità dei valori culturali, e per questo ha bisogno di un valore assoluto a cui poter commisurare le valutazioni effettive. Questo valore fornirà al tempo stesso anche il punto di vista decisivo per la determinazione di un sistema di valori, cosicché il problema della sistematizzazione e quello della validità dei valori culturali si connettono strettamente tra loro. Ma come la filosofia della storia deve pervenire a un sistema di valori che renda ad essa possibile interpretare il senso dell'intero corso storico? Con questa domanda perveniamo all'ultima e più importante questione della dottrina dei princìpi storici. Si affaccia qui l’idea di attribuire questo compito a un tipo particolare di indagine psicologica: certamente non alla psicologia esplicativa sia che si tratti di psicologia individuale della vita psichica in generale oppure di psicologia della vita sociale, condotta secondo un metodo naturalistico ma soltanto a una psicologia dei valori culturali. Tutta la storia non solo tratta essenzialmente di uomini civili, ma è scritta esclusivamente da uomini civili. I valori generalmente riconosciuti dall’uomo civile devono a quanto sembra essere nel medesimo tempo i princìpi di una storia universale dell'umanità civile. È così possibile concepire una psicologia della cultura che indaghi il complesso dei valori culturali universali e li rappresenti sistematicamente, fornendo contemporaneamente un sistema dei princìpi dell’accadere storico in cui trovino il loro posto tutti i sistemi di valore ottenuti analizzando le opere storiche e di filosofia della storia, e a cui essi debbano essere commisurati. È questo in ogni caso il senso più profondo, anzi l’unico, che si può attribuire all’affermazione che la psicologia dev'essere la base della filosofia della storia: esso sta anche alla radice dello sforzo di Dilthey, totalmente incompreso dagli psicologi, per delineare il programma di una psicologia descrittiva e analitica da affiancare alla psicologia esplicativa. Per quanto suggestiva possa apparire l’idea di procurare in questo modo alla filosofia della storia un fondamento puramente empirico, e quindi sicuro, la sua realizzazione incontra una difficoltà insuperabile. Questa psicologia della cultura non può limitarsi all’indagine dell’uomo civile nel senso di accertare e sistematizzare le valutazioni comuni a tutti gli uomini civili, poiché da questo procedimento generalizzante deriverebbe un sistema di valori estremamente povero, in cui potrebbero essere contenuti soltanto pochi dei princìpi di una storia dell’universo storico. La psicologia della cultura dovrebbe piuttosto rivolgersi alla vita storica stessa in tutta la sua pienezza e molteplicità, per conoscere tutti i valori culturali; e come potrebbe pervenire in questo modo a punti di vista che rendano possibile un’articolazione e un dominio di questo materiale? Per separare entro la molteplicità della valutazione l’essenziale dall’inessenziale, essa dovrebbe già possedere ciò che deve invece cercare: la conoscenza dei valori che sono princìpi di una storia universale e princìpi dello stesso universo storico. Così la psicologia della cultura come filosofia della storia entra in un circolo da cui non può sfuggire. Non è possibile avvicinarsi al fine di una rappresentazione e fondazione sistematica dei princìpi storici per via puramente empirica, attraverso la mera analisi delle valutazioni effettive. Occorre piuttosto in primo luogo riflettere, prescindendo del tutto dalla molteplicità del materiale storico, su ciò che vale assolutamente ed è presupposto di ogni giudizio di valore, ossia che pretende a una validità più che individuale. Soltanto quando si siano trovati valori validi atemporalmente si può riferire ad essi tutti quanti i valori culturali empiricamente constatabili, che si sono sviluppati nel corso della storia, e tentare così una disposizione sistematica e al tempo stesso una presa di posizione critica. Solamente se è possibile ottenere valori soprastorici, si può allora realizzare una filosofia della storia come scienza particolare dei princìpi dell’universo storico e interpretare il senso della storia dell’universo. Ma la riflessione sui valori sopra-storici non appartiene più al campo della filosofia della storia come disciplina filosofica particolare; essa può venir intrapresa soltanto in connessione con la determinazione di un sistema filosofico in generale. La filosofia della storia come dottrina dei principi viene così a dipendere dal complesso delle indagini filosofiche, in particolare dalla dottrina del senso del mondo o nel caso che tale questione non sia una questione scientifica dalla dottrina del senso della vita umana. I fondamenti della filosofia della storia coincidono pertanto con i fondamenti di una filosofia come scienza dei valori in generale. L'indagine volta a determinare il concetto della filosofia della storia come dottrina dei princìpi storici in generale può essere condotta soltanto fino a questo punto. Non si può qui rispondere alla questione se la determinazione di valori assoluti possa ancora rientrare nei compiti della scienza, poiché essa è identica alla questione riguardante il concetto di filosofia scientifica in generale. Qui importava solamente mostrare che le leggi non possono essere princìpi della storia, e quindi mostrare che, se possono ancora esserci problemi di filosofia della storia al di fuori della logica della storia, questi devono riassumersi nella questione del senso della storia, e inoltre che l’interpretazione di questo senso richiede ancora un criterio di valore fornito di validità sopra-storica. Si deve ancora aggiungere che la filosofia come scienza critica e sistematica dei valori non ha bisogno di presupporre come criterio nessun valore assoluto determinato dal punto di vista del contenuto. Anche se si riesce soltanto a ottenere un valore incondizionato puramente formale, si può tuttavia trarre l’intero contenuto del sistema dei valori dalla vita storica, per quanto questa sia asistematica per definizione. Anzi, la filosofia della storia che ricerca il senso della storia dovrà servirsi di princìpi di valore puramente formali, proprio perché questi devono essere tali da valere per tutta la vita storica. Certamente, in base a questo presupposto si può concepire un sistema di valori che possegga completezza sistematica soltanto sotto il profilo formale, mentre riguardo al contenuto non può mai essere concluso perché la vita storica continua a svilupparsi e quindi sorgono valori culturali sempre nuovi, determinati nel contenuto, i quali devono trovare la loro collocazione nel sistema. Perciò il sistema di valori può essere definito sistematico in riferimento al suo contenuto soltanto nella misura in cui la conclusione sistematica ci si presenta come un compito altrettanto necessario quanto insolubile, e l'oggetto della filosofia come scienza dei princìpi risulta pertanto un’ idea nel senso kantiano come sempre avviene quando l'oggetto è l’incondizionato nella pienezza del suo contenuto. Alla realizzazione dell'idea di un siffatto sistema di valori dovrebbero quindi contribuire tutte le epoche, con la coscienza che esse non potranno mai condurlo a termine. Ciò non cancella però il significato di questo lavoro. Al contrario, chi si decide a compierlo trarrà coraggio tanto da uno sguardo sul passato quanto da uno sguardo verso il futuro. Se prescindiamo dai problemi che nel corso dei secoli si sono svincolati dalla filosofia e sono stati attribuiti alle scienze particolari, ne risulta che tutti i filosofi importanti hanno cercato di lavorare in vista di un sistema di valori nel senso sopra indicato, poiché tutti hanno indagato sul senso della vita, e già questa domanda presuppone un criterio assoluto di valore. Essi devono quindi venir considerati tutti come precursori. Ma il fatto che a tale questione fondamentale per ogni filosofia non soltanto non si è ancora risposto, ma non si potrà neppure mai rispondere con una completezza di contenuto, finché sorgerà nuova vita storica, costituisce appunto soltanto un motivo che accresce l’importanza del lavoro diretto a risolverlo: infatti la coscienza tanto della grande necessità quanto dell’insolubilità di un compito ci dà la sicurezza della sua eternità , e quindi il conforto fichtiano che coloro i quali collaborano alla soluzione della questione diventano, in virtù del loro lavoro, eterni come lo è il compito stesso. Ora possiamo finalmente rivolgerci ai problemi della terza disciplina che pretende il nome di filosofia della storia. Essa vuol fornire, in antitesi alle scienze storiche particolari, una storia universale, cioè rappresentare il mondo storico o l’universo storico. Come può conseguire il suo fine? Il suo compito consiste forse nell’abbracciare in una totalità le rappresentazioni delle scienze particolari e se per questa via non è possibile ottenere una totalità realmente conclusa nel riempire con costruzioni più o meno ipotetiche le lacune che la ricerca delle scienze particolari lascia ancora nella storia universale? Un semplice riassunto non può avere valore come lavoro scientifico autonomo, e il tentativo di formulare supposizioni laddove lo sguardo dello specialista non perviene a ipotesi realmente fondate susciterebbe lo scherno di tutti gli storici. Una filosofia della storia del genere è superflua se non altro per il fatto che la storia universale viene scritta dagli storici stessi. Come la filosofia in generale non ha più, in quanto scienza dell'essere, compiti autonomi che si riferiscano alla realtà empirica da quando su ogni campo specifico della realtà ha avanzato le sue pretese una scienza particolare, così una conoscenza complessiva della totalità storica, la quale si distingua dalle indagini scientifiche particolari soltanto per il fatto di non limitarsi a una parte, non può certamente essere più compito della filosofia della storia. Non soltanto la rappresentazione di ambiti storici particolari, ma anche la storia universale dev'essere come scienza storica lasciata esclusivamente agli storici, che ne sono i soli competenti, nello stesso modo in cui soltanto gli addetti alla ricerca empirica possono accertare scientificamente qualcosa in merito all’essere della natura, in generale come in particolare. La filosofia si renderebbe ridicola se credesse di poter fare in questo campo più delle scienze. Ma con ciò il problema di una trattazione filosofica del materiale rappresentato dal complesso delle scienze storiche empiriche è tutt'altro che deciso. Anche se considera non soltanto le forme ma altresì il contenuto della totalità storica, la filosofia ha nei confronti di essa un compito che non può essere affrontato da nessuna scienza storica empirica; e proprio la circostanza che la storia universale viene scritta in modo puramente storico da storici può servire alla determinazione di questo compito filosofico. Cerchiamo quindi, in base alla comprensione dell'essenza logica della scienza storica, di chiarire anzitutto il concetto di una rappresentazione empirica della storia universale, e poi di vedere quali questioni, a cui gli storici non possono in quanto tali dare una risposta, rimangano ancora alla filosofia. La storia universale così come l’ha scritta per esempio Ranke non si distingue affatto nel modo dalla rappresentazione di oggetti particolari; e così ha voluto, del resto, il suo autore. Egli era anzi convinto come riferisce Dove? che in ultima analisi non si può scrivere nient'altro che storia universale ; e in ogni caso la storia universale è scaturita in Ranke dal lavoro scientifico particolare, senza l’aggiunta di un principio nuovo. Per noi è qui soprattutto importante considerare che cosa Ranke, come storico, intenda per mondo storico, cioè per la totalità di cui egli tratta. In un passo egli dice che l'impulso alla conoscenza viene trascinato 25. La frase citata da Rickert si trova negli Aufsétze und Veròffentlichungen zur Kenntnis Ranke, in Ausgewihlte Schriften vornelimlich historischen Inhalts, Leipzig. ad abbracciare l’intero ambito dei secoli e degli imperi dalla convinzione che nulla di umano gli è distante ed estraneo. Ma, di fatto, Ranke è ben lungi dal trattare nella sua storia universale di tutti i secoli e di tutti gli imperi, e non l’avrebbe fatto neppure se gli fosse stato concesso di portare a termine la sua opera. Egli stesso lo osserva quando dice che, se la vocazione di Alessandro non fosse stata quella di attraversare l’India e di scoprire la parte orientale dell'Asia, questa regione per secoli ancora non sarebbe entrata a far parte dell'ambito della storia universale . L’ universo di Ranke può essere determinato soltanto come una parte della storia dell'umanità a noi nota, e non come l’ultima più comprensiva totalità storica in senso logico; anzi, la sua esigenza di una trattazione storico-universale del materiale storico consiste essenzialmente solo nel fatto che egli non vuole limitarsi a un popolo singolo, ma seguire le connessioni che i diversi popoli appartenenti a un determinato ambito culturale stringono tra di loro. Non soltanto Ranke non ha mai tentato di fatto di stabilire concettualmente l’universo storico, ma neppure poteva tentarlo, se voleva restare uno storico. In primo luogo, un compito di questo genere può essere risolto soltanto con l’ausilio di un sistema di valori culturali nel senso già indicato, dalla cui determinazione lo storico è quanto mai lontano; in secondo luogo il senso storico deve fare resistenza non soltanto alle leggi storiche, ma a ogni altra specie di sistematica, poiché questa lo priverebbe della libertà e dell’ampiezza di considerazione di cui ha bisogno per un apprendimento impregiudicato di ogni avvenimento storico nel suo carattere specifico. Perciò tutti gli storici, anche quando scrivono di storia universale rimanendo tuttavia storici, non procederanno in linea di principio in maniera diversa da Ranke. Tale supposto difetto è stato di recente sottolineato decisamente in una storia universale su base etno-geografica . Ma questo tentativo di trattare storicamente suite le parti della terra ha realmente cambiato qualcosa da un punto di vista di principio? Esso non può valere, in ogni caso, come delimitazione sistematica dell’universo storico. Anzi, ciò che la storia guadagna in generalità esteriore e quantitativa, va necessariamente perduto come unità interna, perché il principio direttivo non è un concetto culturale. L’inevitabile difetto di ogni rappresentazione puramente storica della storia universale ci indica al tempo stesso i compiti di una trattazione filosofica dell’universo storico. In antitesi alla storia, la filosofia non rinuncerà mai alla tendenza alla sistematizzazione. Ovviamente, finché si tratta di fatti storici essa deve sempre appoggiarsi alla scienza storica empirica e sottomettersi senza condizioni alla sua autorità. Ma per il resto può vedere in tutte le rappresentazioni puramente storiche, incluse le più ampie, soltanto del materiale che essa elabora sistematicamente a modo suo. Certamente, essa può farlo solo se ha risolto in misura maggiore o minore il suo compito di scienza dei princìpi. Ma se è pervenuta anche soltanto all’inizio di un sistema criticamente fondato dei valori culturali, nel senso prima indicato, la filosofia può apprendere anche il contenuto della storia in modo tale che non ne derivi un sistema di concetti generali come in una scienza generalizzante, ma una delimitazione e articolazione sistematica dell’universo storico. Per quanto riguarda la delimitazione, nel concetto di totalità storica ultima rientra così tutto ciò che è essenziale, per la sua individualità, in riferimento ai valori culturali universali suscettibili di venir fondati criticamente, e quindi più che empirici. Certamente, l’universo storico che sorge in questo modo può essere soltanto un’ idea in senso kantiano, cioè non può mai essere definitivamente concluso al pari del sistema dei valori culturali dal punto di vista del contenuto; esso appartiene quindi per dirla con Medicus* alla dialettica trascendentale di una critica della ragione storica. Ma questa circostanza non esclude l’autonomia della sua trattazione sistematica, in quanto filosofia della storia. Anzi, la relazione al sistema di valori permette al tempo stesso un'articolazione della totalità storica: è cioè possibile delimitare reciprocamente determinate parti come suoi elementi più importanti, come le 26. Fritz Medicus (1876-1956), filosofo tedesco, autore di uno studio sulla Kants Philosophie der Geschichte (1902) e di importanti lavori sulla vita e sul pensiero di Fichte, nonché di varie opere teoriche come le Grundfragen der Aestetik (1917), Die Freiheit des Willens und ihre Grenzen (1826), Macht und GerechtigKeit, Vom Wahren, Guten und Schònen (1943), nonché editore delle opere di Fichte. Rickert sì riferisce al saggio Kant und Ranke, Kantstudien. sue epoche o i suoi periodi , ordinandole in modo che il senso della storia non si esprima soltanto in un’astratta formula di valore, ma anche nella rappresentazione dello sviluppo stesso. In una filosofia della storia siffatta anche la selezione di ciò che è essenziale deve distinguersi da quella che compiono le scienze empiriche: infatti non appena si considerano non già tutti i valori culturali forniti di universalità empirica, ma soltanto quelli che hanno trovato la loro fondazione nel sistema dei valori, la ricchezza dei particolari storici retrocederà e si parlerà soltanto delle grandi epoche o periodi. Dove si vogliano scorgere i rappresentanti di queste epoche se in singole personalità o in movimenti di massa può naturalmente essere deciso, ancora una volta, soltanto caso per caso. Così pure non si può rispondere pregiudizialmente rispetto all’ ‘indagine storica alla questione se gli elementi più comprensivi del processo di sviluppo singolare siano le diverse epoche che si susseguono, oppure le diverse individualità dei popoli che in parte cooperano nel medesimo tempo. Qui importa soltanto chiarire il carattere sistematico di una trattazione filosofica dello stesso oggetto che le scienze storiche trattano storicamente, e distinguere in tal modo nettamente la filosofia della storia dalle scienze storiche empiriche. Anche con la storia la filosofia, nel senso sopra indicato, deve procedere astoricamente. Perciò Ranke aveva ragione quando si sentiva in opposizione alle costruzioni di storia universale intraprese dai filosofi, e temeva un’irruzione della filosofia nel campo dello storico. T'uttavia egli non ha reso giustizia, nel suo giudizio, alla filosofia della storia, perché sentiva questa differenza più che formularla concettualmente in modo netto. Egli stesso ha cercato se non nella Weltgeschichte, almeno nelle conferenze Uber die Epochen der neueren Geschichte qualcosa che si accosta per un certo verso a una filosofia della storia. Ma questa rappresentazione è impostata in modo troppo storico per essere una filosofia e si presenta quindi come una forma di trapasso o una forma mista, che evidentemente non perde affatto il valore come manifestazione di una personalità geniale, ma che tuttavia, riguardo alla sua struttura logica, dev'essere definita appunto come una forma di trapasso. Essa vuole cioè essere per un certo verso sistematica, e nel medesimo tempo non riconosce in parte i presupposti di cui nessuna sistematica di filosofia della storia può fare a meno. In tal modo essa dimostra quanto sia necessario distinguere concettualmente in modo netto tra scienza storica empirica, non sistematica, e filosofia della storia. Se ciò è avvenuto, e se il filosofo della storia rinuncia a fare irruzione nelle scienze storiche, la sua considerazione sistematica dello sviluppo storico complessivo possiede un diritto incontestabile 4ccazzo alla rappresentazione storica e non sistematica della vista storica. Ma affinché tale distinzione, e al tempo stesso anche la necessità di questo tipo di filosofia della storia risulti perfettamente chiara, bisogna ancora prendere in considerazione un secondo punto, che è connesso nel modo più stretto con l’aspirazione alla sistematizzazione. All'essenza del senso storico non appartiene soltanto la mancanza di sistematicità; l’apprendimento impregiudicato del corso storico presuppone anche una fede nel diritto di ogni realtà storica. Perciò lo storico deve cercare, in quanto storico, di astenersi da un giudizio di valore diretto sui suoi oggetti, e la logica della storia deve pertanto separare nettamente la relazione teoretica di valore dalla valutazione pratica. Invece la filosofia, che deve assumere criticamente posizione nei confronti dei valori culturali, non sa nulla di un diritto proprio dell'elemento storico in quanto tale; in modo altrettanto deciso di quello in cui riconosce il procedimento puramente storico dell'indagine specifica, lo storicismo come intuizione del mondo appare ad essa un’assurdità. Questo storicismo, che si crede così positivo, si manifesta come una forma di relativismo e di scetticismo e, se pensato fino in fondo in modo coerente, può condurre al nichilismo completo. Si sottrae a quest'apparenza soltanto perché rimane aderente a una qualche struttura della molteplicità storica, collegando ad essa il diritto di ciò che è storico e traendone quindi una ricchezza di vita positiva. Ciò lo distingue sì dal relativismo e dal nichilismo formulati in modo astratto, ma in linea di principio non lo innalza affatto al di sopra di questi. Se fosse coerente, esso dovrebbe concedere a qualsiasi essere storico il diritto di ciò che è storico; ma non è in grado di aderire a nulla, proprio perché dovrebbe aderire a tutto. In quanto intuizione del mondo, esso assume come principio la completa assenza di princìpi, e quindi dev'essere combattuto nel modo più deciso dalla filosofia della storia. Nella concezione dell’universo storico l'opposizione allo storicismo si manifesta nel fatto che la filosofia della storia abbandona la considerazione storica, riferita ai valori in modo puramente teoretico, in favore della valutazione critica. Che cosa ciò significhi, risulta chiaro nel modo migliore per il fatto che così riacquista il suo diritto il concetto di progresso. Tale categoria non appartiene certamente ai princìpi della scienza storica empirica. Al pari della relazione a un sistema di valori, questa categoria eliminerebbe la valutazione impregiudicata dei processi storici nel loro carattere specifico e toglierebbe sovranità come Ranke ha giustamente detto al passato. La filosofia della storia, invece, non può fare a meno di questa categoria se vuol superare il nichilismo storicistico. Essa deve giudicare, in connessione con l’articolazione dell’universo storico, i diversi stadi del processo di sviluppo singolare con riguardo alla funzione che essi hanno assolto per la realizzazione dei valori criticamente fondati. A tale scopo la filosofia della storia deve non soltanto togliere sovranità al passato in consapevole antitesi rispetto alla considerazione puramente storica in vista del presente e del futuro, ma deve pure giudicarlo, cioè commisurare il suo valore a ciò che dev'essere. Ovviamente, alla questione se il corso della storia rappresenti ovunque, o anche soltanto in alcune parti, una serie progressiva continua o un incremento di valore, può rispondere solo l’indagine stessa. All’inizio sussiste la possibilità sia di un regresso continuo sia di un’oscillazione in su e in giù, cioè di un'alternativa di progresso e di irrigidimento. Si può anzi pensare che nella vita storica non sia possibile mostrare, in riferimento ai valori, né un avanzamento né una decadenza. Ma, quale che possa essere la decisione in proposito, in ogni caso tutti i filosofi che si sono realmente occupati in modo individualizzante di storia, cioè dello sviluppo culturale umano, e non hanno soltanto cercato come sociologi le leggi della vita sociale, si sono accinti alla considerazione del corso storico impiegando un criterio di valore; e soltanto così hanno potuto articolare e giudicare le epoche dell’universo storico. Anche un filosofo come Schopenhauer, che non voleva saperne di filosofia della storia perché lo sviluppo storico non mostrava ai suoi occhi alcun progresso e gli pareva quindi completamente privo di senso, ha contribuito a una filosofia della storia nel senso sopra indicato; e soltanto per il suo risultato puramente negativo ma non riguardo alla posizione del problema della filosofia della storia è differente, in linea di principio, dagli altri filosofi della storia. Il carattere sistematico e al tempo stesso valutativo della trattazione filosofica dell’universo storico può rimanere poco chiaro soltanto dove, come spesso avviene, non si è in grado di distinguere tra essere e dover essere, tra realtà e valore, oppure dove, a causa della diffidenza dominante contro la fondazione scientifica dei valori, ci si azzarda solo in modo celato a esprimere giudizi di valore, per suscitare la parvenza di una trattazione puramente contemplativa. La ricerca dei giudizi di valore e la dimostrazione della loro sostanziale inevitabilità diventano, a causa dell’oscurità e dell’indeterminatezza oggi molto diffuse in questo campo, un compito tanto più urgente della filosofia. Queste considerazioni hanno però soltanto lo scopo di mostrare quale compito si pone alla filosofia accanto alle scienze storiche empiriche, non appena essa può presupporre come idea un sistema di valori culturali. Un’indicazione in proposito sarebbe possibile soltanto in connessione da un lato con un sistema filosofico e dall'altro con i risultati delle scienze storiche cosa che non si può dare in questa sede. Perché l’esposizione non rimanga troppo schematica, gettiamo ora uno sguardo indietro sul passato della filosofia della storia. Una comparazione dei concetti prima enunciati di universo storico e di una storia universale di carattere filosofico, che ne deriva, con la configurazione attuale ancor oggi sostenibile di questa disciplina può forse servire nel modo migliore a illuminare la situazione odierna. Inoltre, collegarsi al passato è qui vantaggioso anche perché ora abbiamo a che fare con /a forma dei problemi in cui la filosofia della storia ha occupato inizialmente e prevalentemente gli uomini, e perché occorre nello stesso tempo mostrare, mediante uno sguardo retrospettivo, quanto poco arbitrario sia il mostro modo di considerare la filosofia della storia, orientato in base alla logica. Ne risulterà infatti che anche per questa via arriviamo alla fine ai problemi che sono stati una volta i problemi principali della filosofia della storia. È stato sovente sottolineato e l’ha mostrato soprattutto Dilthey che, se non il concetto di storia in generale, almeno quello di universo storico era estraneo ai Greci, e che soltanto il Cristianesimo ha reso possibile l’idea di una storia universale nel senso rigoroso del termine. Decisiva è qui la rappresentazione dell’unità del genere umano. Nel suo aspetto principale, essa appare prodotta dalla relazione delle sue diverse parti con Dio: infatti tutti i popoli devono cercare Dio, e in tal modo il genere umano nel suo sviluppo singolare assurge all’idea di una totalità conclusa. Dio ha creato il mondo e gli uomini, e tutti gli uomini discendono da una sola coppia. Così la storia universale ha inizio in un determinato momento del tempo, e terminerà col giudizio universale. Quest'ultimo decide in quale misura lo sviluppo abbia assolto il suo compito di esprimere il suo significato. Peccato originale e redenzione sono i due termini che articolano le epoche di questo processo in modo tale che ne scaturisce una serie di gradi di sviluppo. È chiaro come su tale base sia possibile delineare una storia universale in cui ogni avvenimento, che è significativo in riferimento al senso della storia, diventa elemento della totalità, grado di sviluppo di una connessione unitaria. Manca però, per completare il quadro nei particolari, un elemento essenziale. Per quanto all’inizio nella filosofia cristiana ci si dia poca pena dei problemi del mondo esterno, le rappresentazioni religiose si legano gradualmente nel modo più intimo con una determinata immagine del cosmo, tratta essenzialmente dall’antichità. Il corso del tutto è delimitato non solo temporalmente dalla creazione e dal giudizio universale, ma anche trasferito su una scena che si può abbracciare spazialmente. Si pensi per esempio al mondo di Dante un mondo che può essere disegnato nella sua totalità. Esso forma un globo in sé concluso, in mezzo al quale sta il teatro della storia universale, la terra. Sopra questo globo, spazialmente separato da esso, vi è la sede di Dio, a cui sulla terra fa riscontro Gerusalemme, e così via. Con questi presupposti si può realmente parlare di una storia universale nel senso rigoroso del termine, e nell’ambito esattamente delimitato di tale rappresentazione si può anche abbozzare un quadro efficace di tale storia universale. Mentre lo sguardo dei pensatori greci si posava sul ritmo eterno dell’accadere, oppure doveva rivolgersi all'immagine di un regno di forme soprannaturali, ma in ogni caso del tutto astoriche e atemporali, ora l’essenza vera e propria del mondo è vista nello sviluppo singolare del mondo, riferito a Dio. La molteplicità dei tentativi di filosofia della storia intrapresi su questo terreno comune non ci riguarda in questa sede. È lampante che il loro concetto e la loro articolazione dell’universo storico mostrano logicamente la medesima struttura del concetto prima esaminato e dell’articolazione della totalità storica ultima; e che, in particolare, i loro princìpi fondamentali siano concetti di valore risulta chiaro già considerando il loro carattere filosofico-religioso Dio è il valore assoluto. La storia universale vuol essere una specie di giudizio universale , e proprio in un senso che questo termine non ha in Schiller. Essa vuol fornire in maniera provvisoria un conto del valore del corso storico, che deve poi essere saldato in modo definitivo da Dio nel giudizio universale. Qui ci interessa inoltre stabilire che cosa ha tolto il terreno a tutti questi tentativi di filosofia della storia. Si tratta in larga misura della trasformazione, avvenuta all’inizio del mondo moderno, delle rappresentazioni del cosmo di quella trasformazione ancora oggi importante perché ha creato in linea di principio l’immagine del mondo che dobbiamo ritenere definitiva, e in ogni caso l’unica finora scientificamente sostenibile. Come ha mostrato soprattutto Riehl ”’, qui non è decisiva tanto la sostituzione del punto di vista geocentrico con quello eliocentrico, poiché mutando la posizione della terra entro l'universo si sarebbe ben potuto concludere un compromesso. Decisiva è piuttosto la distruzione dell’idea diun cosmo chiuso, che si può abbracciare con un solo sguardo. La dottrina dell’infinità del mondo di Giordano Bruno fu lo scoglio su cui doveva naufragare ogni filosofia della storia che voleva essere storia universaRichl, filosofo austriaco, autore di Redlistische Grundziige (1870), di Moral und Dogma (1871), di Uber Begriff und Form der Philosophte (1872), di un'ampia opera su Der philosophische Kritizismus und scine Bedeutung fiir die positive Wissenschaft, di Zur Einfàhrung in die Philosophie der Gegenwart (1903), nonché di vari volumi storici su Kane, Nietzsche, ecc. le nel senso rigoroso del termine. Di ciò che è temporalmente e spazialmente illimitato vi è soltanto scienza di leggi; e la storia universale perde così per sempre il suo significato vero e proprio. Nel medesimo tempo diventa problematico anche il concetto di una totalità storica in generale, e non sembrano esserci vie di soluzione. Anche la storia del mondo umano non è più quell’unità necessariamente riferita, nella sua individualità, al valore assoluto. Il suo teatro, la terra, ha perduto il suo significato nel cosmo infinito. Essa è diventata l’esemplare indifferente di un genere, e altrettanto indifferente diventa, nella prospettiva di una scienza di leggi, tutto quanto di singolare e di particolare avviene su di essa. È importante sottolineare che tutte queste trasformazioni sono avvenute, in linea di principio, per opera delle dottrine di Copernico e di Giordano Bruno e non già come molti ritengono per opera della biologia moderna. La teoria dell’evoluzione ha certamente un valore straordinario per la scienza. Abbiamo prima mostrato che essa non è in grado di fornire princìpi filosofici positivi per una considerazione storica; dobbiamo ora aggiungere che essa non trova più da distruggere gli elementi essenziali della vecchia filosofia della storia, almeno per chi abbia anche soltanto pensato fino in fondo l’idea dell’illimitatezza temporale del mondo. Tra le scienze naturali è stata quindi realmente importante per le questioni relative all’intuizione del mondo non già la biologia ma l'astronomia, e anche quest’ultima ha semplicemente avuto un significato negativo, almeno per i problemi di filosofia della storia. Possiamo anzi dire che il passo decisivo per la nuova svolta positiva nella trattazione dei problemi di filosofia della storia era già stato compiuto prima che la biologia evoluzionistica fosse giunta anche soltanto ai suoi inizi: infatti questa trasformazione prendeva le mosse come sempre accade quando si tratta dei fondamenti ultimi del nostro pensiero filosofico da Kant, che oggi si crede in modo alquanto sorprendente di poter confutare con il darwinismo, cioè partendo dalla funzione del tutto particolare presente nella connessione tra problemi gnoseologici e problemi etici. Kant stesso ha paragonato la sua teoria della conoscenza all'impresa di Copernico, e noi possiamo segu ire questo paragone anche in un’altra direzione. L'idealismo trascendentale ha significato, proprio in virtù del punto di vista copernicano , una conversione nella via che la filosofia credeva di dover imboccare sulla base della nuova immagine del mondo fornita dall’astronomia: una conversione, però e questo è l'elemento decisivo la quale lascia del tutto intatta la nuova immagine del mondo e ciononostante rende possibile riprendere i vecchi problemi. Grazie a Kant l’uomo viene posto di nuovo con il pieno riconoscimento della moderna scienza della natura al centro del mondo: certamente non in senso spaziale, ma in modo ancor più significativo per i problemi della filosofia della storia. Ora tutto gira nuovamente intorno al soggetto. La natura non è la realtà assoluta, ma è determinata nella sua essenza universale da forme di apprendimento soggettive, e proprio la totalità infinita del mondo non è che un’idea del soggetto, l’idea di un compito a lui necessariamente posto, ma nello stesso tempo insolubile. In virtù di questo soggettivismo i fondamenti della scienza empirica della natura risultano non soltanto intatti, ma addirittura più saldi; completamente sepolti sono invece i fondamenti del naturalismo come intuizione del mondo che rifiuta ogni senso a ciò che è storico. Questo lavoro di distruzione, che sgombra anzitutto la via dagli impedimenti che si frappongono a concepire un essere come storia, è tanto più importante in quanto, dato lo stretto legame della teoria della conoscenza con l’etica, comporta immediatamente la fondazione di una costruzione positiva di filosofia della storia. L'uomo non sta al centro della natura solamente con la sua ragione teoretica, ma si comprende al tempo stesso, con la sua ragione pratica, come ciò che dà un senso oggettivo alla vita culturale, cioè come personalità consapevole del dovere, autonoma, libera; e questa ragione pratica possiede il primato. Che cosa può ancora significare di fronte a questo il fatto che il teatro della storia rappresenta spazialmente e temporalmente una piccola particella destinata a scomparire, posta in un punto qualsiasi dell'universo? Per il soggetto autonomo, teoricamente e praticamente legislatore , questi rapporti spaziali e temporali sono ora diventati del tutto indifferenti nella trattazione delle questioni di valore. Nell'indagine della natura , inclusa la vita psichica, l’uomo autonomo lascia piena libertà alla scienza che ha distrutto la vecchia immagine del mondo. Ma egli non concederà mai che questa scienza concernente l'essere delle cose abbia qualcosa da dire sul valore o sul disvalore, sul senso o sulla mancanza di senso del corso del mondo, poiché è assolutamente certo in quanto ragione pratica della sua libertà , che costituisce il senso autentico del mondo e della sua storia. Kant non ha creato egli stesso un sistema di filosofia della storia, ma sulla base del suo pensiero ne sono sorti uno dopo l’altro, e in ciò dobbiamo riconoscere certo un'influenza non inessenziale. Il corso singolare dello sviluppo dell'umanità ha nuovamente potuto essere concepito con l’aiuto dei concetti assoluti di ragione e di libertà come unità, e venir articolato nei suoi diversi stadi in modo tale da misurare ogni stadio in base al suo contributo specifico alla realizzazione del senso del mondo. Questa possibilità di acquisire di nuovo un rapporto positivo con la vita storica è ciò che conferisce alla filosofia dell’idealismo tedesco il suo significato predominante e intramontabile per il futuro che possiamo prevedere. Una filosofia che ne sia in linea di principio incapace potrà sì compiere qualcosa di significativo per problemi specifici, ma non produrrà mai un'intuizione del mondo veramente comprensiva, soddisfacente per gli uomini civili, e tanto meno potrà avanzare la pretesa di essere progredita al di là della filosofia dell’idealismo tedesco. Dominato dall’idea che lo scopo della vita terrena dell’umanità sia quello di orientare con la libertà tutti i suoi rapporti secondo ragione, Fichte ha costruito filosoficamente, per la prima volta dopo Kant, la storia universale come totalità unitaria; e anche Hegel ha abbozzato in base al concetto di libertà il suo sistema di filosofia della storia, che abbraccia molto più delle postume Vorlesungen, raggiungendo in tal modo il culmine ancor oggi per molti versi incompreso di questo tipo di considerazione filosofica della storia. Non possiamo addentrarci qui nel contenuto del suo sistema; e neppure importa sottolineare le differenze che separano tra loro i concetti di libertà di Kant, di Fichte e di Hegel. Qui importa soltanto che la filosofia dell’idealismo tedesco ha trovato un concetto di valore incondizionato che le ha permesso di trattare filosoficamente, nel modo che si è detto, la totalità del corso storico, che questo concetto di valore era al tempo stesso abbastanza formale da servire come punto di riferimento per la storia universale come viene grandiosamente espresso soprattutto da Hegel e infine che non c’era più bisogno, almeno in linea di principio, di presupposti del tipo di quelli adoperati dalla filosofia della storia distrutta dalla moderna scienza della natura. Per la filosofia della storia del nostro tempo sorge così la questione se sia possibile, sul terreno dell’idealismo fondato da Kant e nel pieno riconoscimento di tutti i risultati della moderna scienza della natura, trovare anzitutto un punto di vista valutativo che consenta di trattare filosoficamente la storia universale, e quindi pervenire a una filosofia della storia che in linea di principio mostri con riferimento al sapere storico del nostro tempo, e mantenendo intatta ogni diversità di contenuto la stessa struttura formale dei sistemi di filosofia della storia di Fichte e di Hegel. Ma con questo, e proprio richiamandoci a quei pensatori, il problema di una trattazione filosofica dell’universo storico non sembra ancora sufficientemente chiarito. La filosofia della storia dell’idealismo tedesco è sì indipendente dalle dottrine della scienza naturale, ma proprio per questo è tanto più dipendente da presupposti sull'essenza merafisica che sta alla base del mondo fenomenico della storia. Già la dottrina della libertà di Kant è connessa con il suo concetto metafisico di un carattere intelligibile, e in Hegel appare del tutto chiaro quanto la sua filosofia della storia sia fondata metafisicamente. È possibile svincolare la filosofia della storia dalla metafisica, oppure essa presuppone sempre due specie di essere, cioè un mondo dei fenomeni in cui si svolgono gli avvenimenti storici e un mondo della realtà vera, posta al di là dei fenomeni, a cui gli avvenimenti storici devono essere riferiti se devono raccogliersi in uno sviluppo unitario e articolato? Soltanto ora siamo pervenuti al punto decisivo, e in virtù della connessione che lega tra loro i diversi problemi di filosofia della storia l’importanza di tale questione risale ancora più indietro. Abbiamo scoperto che l’interpretazione del senso generale della storia presuppone l’idea di un sistema di valori incondizionati, a cui sia possibile commisurare i valori culturali forniti di generalità empirica. Questo sistema non sarà forse realmente fondato soltanto se lo si è ancorato per così dire metafisicamente e si può quindi essere certi che l’essere storico, nel suo fondamento metafisico, è anche disposto alla realizzazione di ciò che dev'essere? Anche per la scienZa storica empirica i presupposti metafisici sembrano indispensabili. Vi sono pensatori a cui la storia appare come qualcosa di spettrale finché i suoi oggetti, e in particolare le personalità storiche, vengono considerati semplicemente come realtà immanenti. Quelle che agiscono sul teatro della storia devono essere anime dotate di essenza, metafisiche, e noi dobbiamo poterle pensare in certa misura inserite in una grande connessione spirituale , che si innalza al di sopra delle anime singole e di cui nulla sa Ia semplice esperienza, ma che costituisce il sostegno dei valori incondizionati e senza la quale tutta la storia sarebbe un disordine senza senso, che non avrebbe nessun significato indagare. È necessario almeno accennare a una presa di posizione anche nei confronti di questi problemi; e noi cominciamo con la questione dei presupposti metafisici di cui neppure la scienza storica empirica può fare a meno, perché soltanto così si può rispondere alla domanda sulla necessità di assunzioni metafisiche per la ricerca del senso della storia e per la trattazione filosofica della storia universale. Bisogna in primo luogo ammettere incondizionatamente che molti storici hanno una fede che, a volerla formulare concettualmente, assumerebbe un carattere metafisico; altrettanto certo è che questa fede contribuisce a far apparire loro veramente significativa l'indagine della vita storica. Anche qui si può rinviare di nuovo a Ranke, il quale designa le grandi tendenze della storia come idee di Dio, attraverso cui si realizza il piano provvidenziale divino; e nel medesimo modo si potrebbe mostrare che altri storici assumono presupposti sovra-empirici. Non ne sono certamente liberi soprattutto coloro che ritengono di aver trovato le leggi di sviluppo di ogni vita storica: infatti presso di loro tale fede assume sì, sotto l'influenza della moda, un abito naturalistico, diventando la fede in concetti di leggi intesi come forze operanti, ma non per questo cessa di essere metafisica. Né si può respingere il problema presente in una fede come quella manifestata da Ranke spiegando che tutto ciò sta al di fuori della scienza e non esercita la minima HEINRICH RICKERT 417 influenza su di essa, poiché quest'idea è giusta soltanto nel senso che la fede come dice Ranke della sua dottrina delle idee non fa mai violenza sulle particolarità della vita storica. Per il resto, anch'essa appartiene ai presupposti della ricerca storica, nella misura in cui vi è presente la convinzione che, quando conferiamo alla vita storica in genere un significato oggettivo , si tratta di qualcosa di più che di un'assunzione arbitraria. Ma con questo non si è ancora detto, d'altra parte, che proprio l'elemento metafisico presente nella fede sia importante a tal fine. Lo storico in quanto storico farà bene in ogni caso a considerare la sua fede come semplice fede e a guardarsi dal pericolo di immettere nelle sue indagini una qualsiasi metafisica formulata scientificamente. Egli si porterebbe altrimenti sul terreno della teoria delle due specie di essere, a cui abbiamo già accennato, e si imbatterebbe subito in grandi difficoltà se dovesse fare dichiarazioni sul rapporto degli avvenimenti storici, che si svolgono soltanto nel mondo dell'esperienza, con la realtà trascendente. Anzi, già l’idea che gli avvenimenti storici siano semplici fenomeni di un essere metafisico ad essi sottostante non è adatta a far apparire allo storico più significativa la sua ricerca, ma al contrario gli guasta necessariamente ogni gioia nel suo lavoro. Allo studioso di scienze naturali può forse essere indifferente che i suoi oggetti siano fenomeni o realtà assolute. Egli li considera soltanto come esemplari di un genere, e i concetti generali di cui va in cerca mantengono in ogni caso la loro validità. Invece gli avvenimenti che sono essenziali nella loro individualità perdono il loro significato se non possono venir considerati come realtà, e se nell’essere immediatamente accessibile alla scienza non si realizzano anche i valori a cui lo storico riferisce gli oggetti. L'esigenza di una realtà autentica presente dietro di essi non deve quindi mai la propria origine a un interesse della scienza storica. Essa deve piuttosto venir ricondotta agli effetti di quella strana teoria della conoscenza che riduce il mondo dell’esperienza a mera parvenza, a velo di Maia, affermando che il suo riconoscimento come realtà condurrebbe al sonnambulismo o come si dice oggi all’illusionismo. Per il pensiero non sfigurato in questa o in analoga maniera la vita data immediatamente non può mai essere un sogno o un fantasma; e lo storico empirico deve in ogni caso attenersi al mondo accessibile alla sua esperienza. In esso egli deve vedere l’unica realtà che gli importa come storico, accantonando la questione del suo substrato metafisico. Ma possiamo arrestarci a un sistema di valori inteso come definitivo anche se cerchiamo i princìpi della storia e ne interpretiamo il senso? Oppure l’assunzione di una validità incondizionata di questi valori include l'assunzione di una realtà trascendente, e da ciò non deriva per la filosofia che non può lasciare in sospeso tali questioni il compito di determinare il rapporto dei valori con questo mondo metafisico? Anche qui si deve ammettere che il presupposto di una validità incondizionata dei valori ci conduce fuori del mondo immanente, e quindi nel trascendente, e che affinché nulla rimanga oscuro si deve affermare nei confronti di una filosofia puramente immanente la validità di valori trascendenti. Ma assai poco si è fatto se si crede di dover andare oltre, spiegando che questi valori indicano anche un qualche essere trascendente. In primo luogo non ci si può spingere, con buona coscienza scientifica, oltre questa indicazione del tutto indeterminata; inoltre ogni tentativo di determinare più da vicino la realtà trascendente deve trarre il proprio materiale dalla realtà immanente o arrestarsi a pure negazioni. Non c’è bisogno di dimostrare che non si può asserire nulla di scientificamente attendibile in merito al rapporto di una realtà del tutto indeterminata, o determinata in modo puramente negativo, con il mondo immanente. La realtà trascendente rimane quindi un concetto completamente vuoto e infecondo anche per la filosofia della storia come dottrina dei princìpi. Questa disciplina ha perciò fatto abbastanza chiarendo a se stessa questo punto e accontentandosi dell’aspirazione a determinare un sistema di valori incondizionati. Non si obietti che il concetto di un dover essere trascendente, che è qui presupposto, potrebbe essere dimostrato vuoto e infecondo con i medesimi argomenti impiegati per il concetto di essere trascendente. Certamente non è possibile determinare che cosa significa un essere trascendente se non dicendo che qui si tratta di valori forniti di validità sopra-storica, atemporale, incondizionata; anche qui il concetto viene perciò acquisito per mezzo della negazione, in quanto partiamo dal valore condizionato e togliamo ad esso la condizionatezza. Il concetto che ne deriva ha però un significato del tutto differente da quello che sorge quando, per ottenere il concetto di essere trascendente, partiamo dal concetto dell’essere immanente e neghiamo la sua immanenza. Con questa negazione togliamo all’essere ogni contenuto, mentre al dover essere lasciamo il contenuto e gli togliamo soltanto una limitazione, che gli impedisce il pieno dispiegarsi di una tendenza in esso presente la tendenza a valere. Questa differenza tra essere trascendente e dover essere trascendente può forse venir chiarita nel modo migliore richiamandoci al concetto kantiano di idea. Kant trasforma appunto il concetto di realtà trascendente nel concetto di dover essere trascendente, stabilendo in tal modo sia il diritto sia l'illegittimità di una scienza che aspiri all’incondizionato. La stessa cosa avviene se ci arrestiamo al dover essere trascendente e rifiutiamo un essere trascendente: proprio la filosofia della storia come scienza dei princìpi non ha alcun motivo di seguire l’indicazione dei valori trascendenti verso un essere trascendente. Sono, appunto, soltanto valori quelli che essa trova come princìpi della vita storica, e ad essa interessa solamente la validità dei valori in quanto valori. Inoltre, questa validità incondizionata deve già essere salda prima che si possa anche soltanto parlare di un’indicazione verso una realtà trascendente; occorre cioè che l’unico problema significativo per la dottrina dei princìpi storici sia già risolto prima che si presenti il problema di una realtà trascendente in generale. Perciò anche la filosofia della storia, nella misura in cui ha a che fare con i princìpi della vita storica, può lasciare in sospeso i problemi metafisici così come fa la scienza storica empirica, perché in ogni caso tali problemi non appartengono a questa parte della filosofia. Ma che cosa accade allora con la storia universale filosofica se siamo costretti ad arrestarci, dinanzi alla questione della realtà trascendente e del suo rapporto con l’essere immanente, a un won liquet, o addirittura a respingere l’idea di una realtà metafisica in generale? Forse che la rappresentazione filosofica sistematica dell’universo storico, la quale non si limita ai valori ma li pone esplicitamente in collegamento con il contenuto dell’essere storico, non perde ogni senso se in certa misura avvicina soltanto dall’esterno i suoi valori alla vita storica e non può affatto presupporre se e come l’essere storico immanente è connesso non soltanto mediante la relazione di valore, ma anche realmente, con il proprio fine della realizzazione dei valori? Non c’è dubbio che qui siamo di fronte a un problema straordinariamente difficile, e che le aspirazioni metafisiche della nostra epoca così come si esprimono soprattutto nelle opere di Eucken® acquistano, da questo punto di vista, un significato da non sottovalutare anche per la filosofia della storia. Neppure in questo contesto si può certamente ammettere che il mondo dell’esperienza abbia bisogno di una struttura metafisica, perché altrimenti il mondo non sarebbe, per così dire, abbastanza reale e acquisterebbe qualcosa di spettrale. Infatti, se non possiamo abbracciare abbastanza realtà nell’esperienza immediata, nessun pensiero che si muova in concetti astratti potrà riempire questa lacuna. Ma ci si può effettivamente chiedere la relazione necessaria della realtà storica con valori incondizionati non presuppone un legame superiore tra essere e dover essere, e nel medesimo tempo una specie di realtà che non possiamo più concepire come immanente? Qui l’idea di una realtà metafisica sembra inevitabile, e quindi la filosofia della storia appare connessa alla metafisica nel modo in cui avviene, per esempio, in Hegel. Ma non dobbiamo forse anche qui dire che con la semplice idea di un'indicazione verso un legame metafisico dei valori con la realtà empirica si esaurisce pure tutto ciò che la scienza è in grado di pensare, e che è del tutto sufficiente assumere una qualsiasi relazione necessaria non ulteriormente determinabile della realtà con i valori? Se consideriamo ancora, per 28. Rudolf Christoph Eucken (1846-1926), filosofo tedesco, autore dei Prolegomena zu Forschungen tiber die Einhcit des Geisteslebens in Bewusstsein und Tat der Menschhest (1885), del fortunato volume Die Lebensanschauungen der grossen Denker (1890), di Der Kampf um einen geistigen Lebensinhalt (1896), di Der Wakrheitsgchalt der Religion (1901), delle Grundlinien einer neuen Lebensanschauung (1907), di Der Sinn und der Wert des Lebens (1908), della Einfiihrung in cine Philosophie des Geisteslebens (1908), di Mensch und Welt (1918) c di numerose altre opere, anche di argomento storico, cbbe larghissima notorietà per le sue doti di scrittore € per il carattere al tempo stesso popolareggiante e retorico del suo idcalismo, Nel 1908 cbbe il premio Nobel per la letteratura. esempio, la filosofia della storia di Hegel, troveremo che la metafisica ha un peso molto limitato nella descrizione di tutte le particolarità. Per delimitare e articolare l’universo storico è importante solamente il concetto di libertà come concetto di valore e la convinzione generalissima che lo sviluppo verso la libertà è in qualche modo inerente all’essenza stessa del mondo. Qui sono però presenti solo i due presupposti già accennati di un valore assoluto e della sua necessaria relazione con la realtà storica in generale. Per il resto la filosofia della storia di Hegel si muove entro concetti che derivano dalla vita storica immanente e che si riferiscono soltanto a questa vita immanente. Non si procede così in tutti i tentativi di filosofia della storia che hanno la forma di una storia universale? non dobbiamo anzi dire che anche per il filosofo della storia una maggiore quantità di metafisica non soltanto non è richiesta, ma può addirittura diventare dannosa? A lui, come allo storico empirico, ciò che interessa è lo sviluppo della cultura nel mondo immanente, nel mondo spazio-temporale. Se questo mondo immanente viene perciò ridotto da qualche metafisica a una realtà di secondo grado, se la vera realtà in cui i valori supremi coincidono con l’essere supremo viene concepita come atemporale e aspaziale, lo sviluppo spazio-temporale, singolare e individuale, perde allora subito ogni senso anche dal punto di vista della filosofia della storia, così come dal punto di vista della storia empirica. A quale scopo tutto quel processo di lotta dell'umanità, che nel corso dei millenni riesce a realizzare solo approssimativamente e imperfettamente ciò che è per sempre reale nella più profonda essenza del mondo? Se nel tempo possiamo scorgere soltanto un filo del tessuto del velo di Maia, allora non esiste più una filosofia positiva della storia. In tal caso il suo compito consiste solo nel comprendere la vanità di tutto ciò che è storico, in quanto scorre necessariamente nel tempo, e nel negare con Schopenhauer ogni senso alla storia. Se dev’esserci non soltanto una scienza storica empirica, ma anche una filosofia della storia, proprio l’elemento temporale presente nel mondo dev'essere in ogni caso assolutamente reale. Ma ci si potrebbe infine ancora domandare non si può forse attribuire anche a ciò che è temporale una realtà metafisica, € l’essere trascendente deve proprio venir concepito come necessariamente atemporale, se si vuole pensarlo? Qui sembra aprirsi ancora un’ultima strada per la quale unificare tra loro filosofia della storia e metafisica. Ma si tratta di una semplice apparenza, perché nella filosofia della storia il nervo del pensiero metafisico viene reciso dall'assunzione di una realtà metafisica di ciò che è temporale. Quel che ci dava soltanto un’indicazione sull’essenza trascendente del mondo era appunto la convinzione della validità trascendente dei valori e l'esigenza del loro nesso reale con la realtà storica. Ma la trascendenza del valore significa proprio la sua validità atemporale, e soltanto una realtà atemporale potrebbe essere il sostegno metafisico di valori atemporali; ma per instaurare un legame necessario dello sviluppo storico con valori atemporali non si può fondare la validità dei valori su un essere metafisico che si esaurisce nel tempo. Una metafisica che voglia essere la base della filosofia della storia si imbatte quindi nelle maggiori difficoltà non appena aspira a una formulazione concettuale dei suoi presupposti trascendenti che sia in qualche modo diversa da quella contenuta nel concetto di dover essere trascendente. Per trovare nel corso storico temporale un senso oggettivo, abbiamo bisogno dell’atemporale. Ma non appena poniamo questo elemento atemporale come realtà metafisica e priviamo quindi della vera realtà il corso storico, annulliamo ogni senso della storia e ogni possibilità di una sua trattazione filosofica. C'è una via per sfuggire a questo circolo, oppure ogni metafisica della storia deve naufragare in esso? Non siamo costretti, anche in una trattazione filosofica della storia universale, a scorgere nei valori atemporali e nella loro relazione necessaria, ma scientificamente indeterminabile, con la realtà temporale i presupposti ultimi a cui dobbiamo arrestarci ? Se si dovesse rispondere positivamente a questa domanda e almeno finora non vediamo alcuna via che ci permetta una risposta negativa i compiti della filosofia della storia, che all’inizio sembrava scindersi in tre diverse discipline, si configurerebbero in modo del tutto unitario. Dovendo lasciare all’indagine delle scienze particolari l’intero campo dell’essere empirico e rinunciare a cogliere l’essenza metafisica del mondo, alla filosofia rimane come campo specifico il regno dei valori. Essa deve trattare questi valori come valori, indagare sulla loro validità e penetrare le connessioni teleologiche di valore. Uno di questi campi di valori è quello della scienza, in quanto essa aspira alla realizzazione dei valori di verità, e la filosofia della storia ha quindi a che fare anzitutto con l’essenza della scienza storica. Essa la concepisce come la rappresentazione individualizzante dello sviluppo singolare della cultura, vale a dire dell’essere e dell’accadere fornito di significato, nella sua individualità, in riferimento ai valori culturali. Da ciò deriva allora che i princìpi della vita storica sono essi stessi valori, e la trattazione di questi valori con riguardo alla loro validità diventa perciò il secondo compito della filosofia della storia, che però coincide in ultima analisi con il compito della filosofia come scienza dei valori in generale. In tal modo le due indagini che risultano necessarie stanno in una connessione sistematica, e in questa connessione si inserisce infine anche il terzo gruppo di questioni di filosofia della storia. Esso costituirà la conclusione dell’intero sistema filosofico, poiché in esso si cerca di mostrare quanto dei valori criticamente fondati si è realizzato nel corso precedente della storia, e quali sono state le grandi epoche di questa realizzazione dei valori, per comprendere dove oggi stiamo in questo processo di sviluppo e dove dobbiamo cercare il nostro compito per il futuro. La filosofia della storia, partendo dalla logica della storia, tratta perciò sempre di valori: in primo luogo dei valori da cui si possono derivare le forme concettuali e le norme della ricerca storico-empirica, quindi dei valori che costituiscono in quanto principi del materiale storicamente essenziale la storia stessa, infine dei valori la cui graduale realizzazione si compie nel corso della storia. SIMMEL nasce a Berlino. Compe gli studi universitari a Berlino, dove segue i corsi di storici come Mommsen e Treitschke, di psicologi come Lazarus e Steinthal, di etnologi come Bastian, nonché dello storico della filosofia antica Zeller. Fin da questi anni la personalità di Simmel rivela interessi culturali molteplici, che caratterizzeranno anche in seguito la sua produzione filosofica. A Berlino egli consegue il dottorato, con la dissertazione Das Wesen der Materie nach Kants Physischer Monadologie. I pregiudizi razziali ancora largamente diffusi negli ambienti universitari tedeschi, uniti all’impressione di dilettantismo che il suo stile filosofico puo a prima vista suscitare, rendeno lenta e difficile (nonostante l’appoggio di amici influenti, come lo stesso Weber) la carriera accademica di Simmel, relegandolo per molti anni nella posizione di libero docente; e soltanto egli ottenne la nomina a professore straordinario. Ma le sue lezioni berlinesi sono largamente frequentate, e da esse trassero spunto allievi destinati a diventare famosi, come per esempio il giovane Gyorgy Luk£4cs. Soltanto Simmel è chiamato a coprire una cattedra di filosofia, a Strasburgo; e qui muore. Le prime opere di Simmel sono caratterizzate da un prevalente interesse per le scienze sociali, che si traduce sul piano filosofico nello sforzo di affrontare il problema critico delle scienze sociali e, in connessione con queste, della conoscenza storica. Dal saggio Uber soziale Differenzierung (Leipzig) alla Einleitung in die Moralwissenschaft (Stuttgart-Berlin) e alla Philosophie des Geldes (Leipzig), la ricerca positiva sui fenomeni sociali si intreccia con il tentativo di determinare l'ambito e l'orientamento di indagine delle scienze sociali, ponendo in luce la loro struttura logica e la loro relazione con altre forme di conoscenza scientifica. Su questo terreno Simmel prende posizione nei confronti della concezione positivistica delle scienze sociali, affermandone il compito descrittivo e respingendo il postulato dell’esistenza di una struttura legale della realtà storico-sociale. Nello stesso tempo egli si propone, richiamandosi a una prospettiva kantiana, di determinare le categorie che stanno a base dell’elaborazione concettuale delle scienze sociali. Ma queste categorie vengono da lui interpretate non già come princìpi 2 priori, bensì come punti di vista relativi sulla base dei quali le singole discipline si organizzano metodologicamente. Infatti Simmel intende non tanto stabilire in linea generale il campo di ricerca delle scienze sociali, quanto analizzarle nei loro procedimenti specifici e nei loro rapporti reciproci. Nell'Einleitung in die Moralwissenschaft egli affronta il problema dell’impostazione della scienza morale considerata come una scienza che si pone al confine tra psicologia, scienze sociali e ricerca storica nell’intento di svincolare l’etica dal dominio di concetti generali per portarla sul terreno dell’osservazione empirica e quindi della descrizione dei comportamenti umani. Nella Philosophie des Geldes egli analizza il significato del concetto di denaro in relazione al concetto di valore, ponendo in luce la sua trasformazione da valore sostanziale in valore funzionale, cioè in designazione simbolica del diverso valore delle cose. Nell'ambito di questa prospettiva di origine kantiana, anche se profondamente modificata, Simmel si è pure proposto, in Die Probleme der Geschichtsphilosophie (Leipzig), di determinare le condizioni di validità della conoscenza storica, considerata nelle sue basi psicologiche e nei suoi rapporti con le scienze sociali. Egli ha individuato il fondamento della conoscenza storica nell'identità tra soggetto e oggetto identità che rende appunto possibile la comprensione; cosicché le categorie storiografiche diventano presupposti psicologici, i quali assolvono la funzione di organizzare concettualmente il dato empirico. Perciò la loro validità risulta relativa, e parimenti relativi sono i risultati a cui pervengono sia le scienze sociali sia la conoscenza storica. Il culmine di questa prima fase della produzione simmeliana è rappresentato dalla Soziologie: Untersuchungen iiber die Formen der Vergesellschaftung (Leipzig), in cui Ja distinzione della sociologia dalle altre scienze sociali viene formulata su una base puramente formale, attribuendo a queste il compito di studiare i fenomeni sociali nel loro diverso contenuto (morale, economico, politico, e così via) e a quella l’analisi delle forme di associazione che costituiscono la struttura propria della società in quanto tale. La sociologia così intesa prescinde quindi dallo studio del contenuto della società, per limitare la sua indagine ai modi di relazione tra gli individui; essa ha per oggetto la maniera in cui i rapporti tra gli individui si costituiscono come fenomeni sociali. L'autonomia della sociologia dalle altre discipline storico-sociali viene perciò ottenuta attraverso la rigorosa determinazione del suo carattere formale . Già prima della Soziologie, attraverso la critica della nozione kantiana di a priori e lo studio di Goethe, di Schopenhauer e di Nietzsche filosofi a lui particolarmente congeniali Simmel veniva enunciando i princìpi di quel relativismo destinato ben presto a tradursi in una filosofa della vita. Dal volume su Kant (Leipzig, 1904; tr. it. Padova) a Schopenhauer und Nietzsche (Leipzig, 1907; tr. it. Torino, 1923), fino a Hauptprobleme der Philosophie (Leipzig, 1910; tr. it. Firenze, 1920) e ai saggi raccolti col titolo di Philosophische Kultur (Potsdam, 1911), egli ha respinto il tentativo di cercare un fondamento assoluto del conoscere, così come delle altre manifestazioni della vita umana, affermando la necessità di riconoscere il carattere relativo dell’attività dell’uomo in ogni campo e quindi anche il carattere relativo della verità filosofica. Nel periodo successivo, e soprattutto negli anni di Strasburgo, questa prospettiva relativistica mette capo all'affermazione dell’intrascendibilità della vita. In Der Konflikt der modernen Kultur (Miinchen-Leipzig, 1918; tr. it. Torino, 1925) e in Lebensanschauung (Miinchen-Leipzig, 1918; tr. it. Milano, 1938) la vita si configura come il principio ultimo e incondizionato dal quale traggono origine tutte le forme della realtà, le quali sono poste in essere dalla vita e tuttavia si contrappongono al suo fluire. La vita è infatti un processo infinito, creatore di forme finite che si organizzano su un piano trascendente rispetto alla vita, costituendo così i diversi mondi ideali dello spirito: la vita cerca di travolgere queste forme, mentre esse cercano di sfuggire a una distruzione inevitabile. La vita può essere quindi definita al tempo stesso come più-vita e più-che-vita : più-vita in quanto processo temporale continuo che cresce su se stessa, superando i limiti che essa si pone, e più-che-vita in quanto produzione di forme finite che emergono da tale processo. Simmel ha applicato questa impostazione all'analisi dei più svariati fenomeni culturali, in particolare dei fenomeni artistici. Egli ha anche ripreso in esame in alcuni saggi che vanno da Das Problem der historischen Zeit (1916) a Die historische Formung e a Vom Wesen des historischen Verstehens (Berlin) il problema della storicità, considerata dal punto di vista della dialettica tra la vita e le sue forme. Il rapporto tra la vita e la storia si presenta, in questi scritti, come il rapporto tra il processo temporale della vita (che, in quanto tale, non è ancora storico) e un mondo ideale che emerge da esso, contrapponendosi alla vita e cercando di resistere alla sua opera distruttrice. L'elaborazione concettuale della conoscenza storica coincide quindi con lo sforzo di costituzione di questo mondo ideale, e il procedimento della comprensione sul quale la storiografia si fonda appare qualificato non già come un rapporto immediato, bensì come una relazione che presuppone il riferimento all’alterità di un diverso individuo. Ricordiamo qui le altre opere di Simmel: Philosophie der Mode, Berlin, 1905; Kan und Goethe, Berlin, 1906, e Leipzig, 1907 ?, 1916?, 19184; Die Religion, Frankfurt a.M., 1906, 19122, 19225; Goethe, Leipzig, 1913; Rembrandt: cin Runstphilosophischer Versuch, Leipzig, 1916; Grundfragen der Soziologie: Individuum und Gesellschaft, Berlin-Leipzig, 1917; Der Krieg und die geistigen Entscheidungen, Miinchen-Leipzig, 1917. Altre raccolte di saggi sono le seguenti: Zur Philosophie der Kunst: Philosophische und kunstphilosophische Aufsétze (a cura di Gertrud Simmel), Potsdam, 1922; Schulpidagogik (lezioni a cura di K. Hauter), Osterwieck / Harz, 1922; Fragmente und Aufsitze aus dem Nachlass und Veròffentlichungen der letzen Jahre (a cura di G. Kantorowicz), Miinchen, 1923; Rembrandtstudien, Basel, 1953; Bricke und Tiìr: Essays des Philosophen zur Geschichte, Religion, Kunst und Gesellschaft (a cura di M. Landmann, in collaborazione con M. Susman), Stuttgart, 1957. Dei numerosi articoli di Simmel ci limitiamo a segnalare quelli non compresi nelle raccolte che abbiamo menzionato: Zur Metaphysik des Todes, Logos , I, I9I0, pp. 57-70; Das individuelle Gesetz, Logos , IV, 1913, pp. 117-60, poi anche in forma di volume (a cura di M. Landmann), Frankfurt a.M., 1968; Der Fragmentcharackter des Lebens, Logos , VI, 1916-17, pp. 29-40; Fragment iiber die Liebe, Logos , X, 1921-22, pp. 1-54; tr. it. Milano, 1927. Le opere di Simmel sono state largamente ripubblicate nel dopoguerra. Tra le ristampe della Scientia Verlag citiamo quella della Einle:tung in die Moralwissenschaft, Aalen, 1964‘, quella della Philosophie des Geldes, Aalen, 1958, e quella della Soziologie, Aalen, 19584; sono stati inoltre riediti Uber soziale Differenzierung, Amsterdam, 1966 2, e Haupitprobleme der Philosophie, Berlin, 19507, 1966. Un'importante raccolta di documenti è il Buch des Dankes an Georg Simmel. Briefe, Erinnerungen, Bibliographie (a cura di K. Gassen e M. Landmann), Berlin, 1958, apparso in occasione del centenario della nascita. Oltre alle traduzioni italiane già pubblicate sono in preparazione quella della Philosophie des Geldes (per i Classici della sociologia U.T.E.T.) e della Soziologie (per i Classici della sociologia delle Edizioni di Comunità). Dell’ampia letteratura critica concernente l’opera e il pensiero di Sim mel segnaliamo gli studi seguenti: A. MAMELET, Le relativisme philosophique chez Georg Simmel, Paris, 1914. M. Apter, Georg Simmels Bedeutung fiir die Geistesgeschichte, WienLeipzig, 1919. M. FriscHersen-KonLER, Georg Simmel, Kantstudien , XXIV, 1919, pp. 1-51. Kwevets, Simmels Religionstheorie: ein Beitrag zum religibsen Problem der Gegenwart, Leipzig, 1920. S. Kragaver, Georg Simmel, Logos , IX, 1920-21, pp. 307-38. W. Frost, Die Soziologie Simmels, Acta Universitatis Latviensis (Riga), XII, 1925, pp. 219-313, e XIII, 1926, pp. 149-225. V. JANKÉLÉvITcH, Georg Simmel, philosophe de la vie, Revue de métaphysique et de morale , XXXII, 1925, pp. 213-57 e 373-86. N. J. Sevrman, The Social Theory of Georg Simmel, Chicago, 1925, e New York, 19662. M. Srernuorr, Die Form als soziologische Grundkategorie bei Georg Simmel, Kélner Vierteljahrshefte fiir Soziologie , IV, 1925, pp. 214-59. W. Fagran, Kritik der Lebensphilosophie Georg Simmels, Breslau, 1926. G. Loose, Die Religionssoziologie Georg Simmels, Dresden, 1933. H. MiLLEr, Georg Simmel als Deuter und Fortbildner Kants, Dresden, 1935. R. Heserte, The Sociology of Georg Simmel: The Forms of Social In teraction, nel volume An Introduction to the History of Sociology (a cura di H. E. Barnes), Chicago, 1948, pp. 249-73. American Journal of Sociology , LXIII, 1958, n. 2 (fascicolo commemorativo del centenario della nascita di Durkheim e di Simmel), con articoli di K, D, Narcete, K. H. Wotrr, L. A. Coser, T. M. Mis. Georg Simmel, 1858-1918 (a cura di K. H. Wolff), Columbus (Ohio), 1959. M. Susman, Die geistige Gestalt Georg Simmels, Tibingen, 1959. H. Miier, Lebdensphilosophie und Religion bei Georg Simmel, BerlinMiinchen, Banri, Filosofi contemporanei (a cura di R. Cantoni), Milano-Firenze. Bauer, Die Tragik in der Existenz des modernen Menschen bei G. Simmel, Berlin, 1962. R. H. WeincartNER, Experience and Nature: the Philosophy of Georg Simmel, Middletown (Conn.), 1962. P. Gorsen, Zur Phinomenologie des Bewusstseinsstroms: Bergson, Dilthey, Husserl, Simmel und die lebensphilosophischen Antinomien, Bonn, 1966. H. LiepescHùtz, Von Georg Simmel zu Franz Rosenzweig: Studien zum jiidischen Denken im deutschen Kulturbereich, Tiibingen, 1970. Un elenco completo degli scritti di Simmel è dato da E. RosenTHAL e K. OsertaenDER, Books, Papers and Essays by Georg Simmel, American Journal of Sociology , LI, 1945, pp. 238-47. Ma la bibliografia più completa degli scritti di e su Simmel è quella di K. Gassen, in Buch des Dankes an Georg Simmel cit., pp. 309-65, la cui ultima parte concernente la letteratura critica è riprodotta in Georg Simmel. Se la teoria della conoscenza in generale muove dal fatto che il conoscere considerato da un punto di vista formale è un mero rappresentare e il suo soggetto è un’anima, la teoria del conoscere storico è ulteriormente determinata dal fatto che la sua materia è il rappresentare, il volere e il sentire di personalità, e che i suoi oggetti sono anime. Tutti i processi esterni politici e sociali, economici e religiosi, giuridici e tecnici non sarebbero per noi né interessanti né comprensibili se non scaturissero da movimenti psichici, e non suscitassero altri movimenti psichici. Se non vuol essere un gioco di marionette, la storia dev'essere storia di processi psichici, e tutti gli avvenimenti esterni che essa descrive non sono che ponti gettati tra gli impulsi e gli atti di volontà, da un lato, e i riflessi del sentimento suscitato da quegli avvenimenti esterni, dall’altro. Questo fatto non è cambiato neppure dalla concezione materialistica della storia, la quale vuol derivare i movimenti storici dai bisogni fisiologici degli uomini e dal loro ambiente geografico. Infatti non c'è fame che metta mai in movimento la storia universale se non fa male; e ogni lotta per i beni economici è una lotta per le sensazioni di comodità e di godimento, dal cui carattere di scopo trae il suo significato ogni possesso esteriore. Anche le condizioni del terreno e del clima sarebbero indifferenti per il corso della storia, tanto quanto il terreno e il clima di Sirio, se non influenzassero direttamente e indirettamente la costituzione psicologica dei popoli. Se vi fosse una psico * Die Probleme der Geschichtsphilosophie, cap. I: Von den Psychologischen Vor aussetzungen in der Geschichesforschung, Lcipizig, Verlag von Duncker und Humblot (traduzione di Barbera e R.). logia come scienza di leggi, la scienza storica sarebbe psicologia applicata nello stesso senso in cui l'astronomia è matematica applicata. Se il compito della filologia è quello di conoscere ciò che è conosciuto, la ricerca storica ne costituisce soltanto un ampliamento, in quanto accanto a ciò che è conosciuto ossia a ciò che è teoreticamente rappresentato deve conoscere anche ciò che è sentito. Questo carattere di interiorità dei processi storici, che fornisce il punto di partenza e il termine di ogni descrizione della loro esteriorità, richiede una serie di presupposti specifici che è compito della teoria della conoscenza storica porre in luce. Dietro l’4 priori assoluto dell’intelletto, da cui prendiamo le mosse, c'è un secondo priori valido all’interno dell'intelletto e quindi relativo. Quando varie rappresentazioni particolari vengono raccolte in un concetto generale, quando un soggetto e un predicato vengono riuniti in un giudizio, più giudizi in una massima, il materiale è separabile dalla forma che lo contiene, e ciascuno dei due elementi può essere rappresentato da solo. Per quanto in questo materiale possa già essere presente molto o poco di aprioristico e di spontaneo, nella relazione che qui consideriamo vi è un contenuto dato su cui l’intelletto compie un'ulteriore funzione, la quale è da parte sua 4 priori nei confronti di quel materiale; essa non è presente nel contenuto, ma si aggiunge ad esso. Se però, secondo la schematizzazione kantiana, esistono soltanto tre specie di 4 priori quello della sensibilità, che ha per materiale le sensazioni, quello dell’intelletto, che ha per materiale le intuizioni, e quello della ragione, che ha per materiale i giudizi o propriamente una sola specie, poiché le altre devono essere ricondotte all’ priori dell’intelletto, la considerazione empirica mostra facilmente l’ingiustificata angustia di questa divisione. Vi sono chiaramente moltissimi gradi di 4 priori, così come vi sono mescolanze molto diverse tra la forma aggiunta e il contenuto preesistente. In particolare, poi, non c'è alcun metodo che ci conduca a un sistema saldamente concluso e garantito da ogni spostamento di confine delle funzioni con cui elaboriamo il materiale conoscitivo dato di volta in volta. Tra le forme più generali, accessibili a ogni materiale e superiori all’esperienza individuale, e le forme specifiche, acquisite empiricamente e applicabili come a priori soltanto a certi contenuti, non vi sono distinzioni nette e sistematiche, ma trapassi graduali: così per esempio tra la legge causale o la connessione in un concetto di ciò che è identico in oggetti diversi, da un lato, e i presupposti metodici (o di altro tipo) di un particolare settore della vita, di una particolare scienza, dall’altro. Ogni formazione giuridica presuppone l’aspirazione a un determinato stato. Che i rapporti umani consentano il conseguimento di uno stato del genere solamente mediante norme stabilite e determinazioni di pene per la loro trasgressione è un 4 priori molto generale che ha per conseguenza una certa formazione, cioè un legame di rappresentazioni preesistenti. Ma per la formazione di leggi questa forma di connessione non è tanto generale quanto può esserlo la connessione causale tra motivazione psichica e azione esteriore, che parimenti necessaria per l’elaborazione giuridica può essere istituita tra i fenomeni, ma non tratta immediatamente da essi. D'altra parte l’a priori che costituisce la forma del diritto è, a sua volta, un elemento generale rispetto ai presupposti da cui scaturisce nel caso particolare la formulazione giuridica. Così il principio che la prova spetta all’accusatore, o la diversa validità del diritto consuetudinario, produce un'elaborazione dei fatti in vista dello scopo di conoscere che cosa sia giusto un’elaborazione che non è presente nel materiale stesso, ma che solo in esso compie la sua funzione interpretativa, Con pieno diritto Kant ha rivolto il proprio senso critico contro gli empiristi che volevano limitare le loro ricerche alla semplice recezione di impressioni sensibili, alla registrazione di elementi di fatto comprovabili immediatamente. Egli ha mostrato che, senza neppure avvedersene, essi fanno continuamente uso di proposizioni metafisiche non dimostrate e che soltanto in base a queste istituiscono quella connessione tra i dati sensibili che fa di quest'ultimi un'esperienza intelligibile. Ma l'influenza e la necessità dei presupposti inconsci e indimostrati si estende molto al di là di ciò che mostrano le indagini di Kant. In ogni momento sia la teoria che la prassi fanno uso di forme di connessione del materiale empirico, cioè di quella facoltà plastica dello spirito in grado di fondere ogni contenu b ce) to dato attraverso il modo di ordinarlo, di accordarlo e di sottolinearlo nelle più diverse forme definitive. Queste connessioni che espresse in forma di principi appaiono come presupposti 4 priori, rimangono inconscie nella misura in cui la coscienza in generale si dirige più al dato, a ciò che è relativamente esterno, che non alla propria funzione interna. Infiniti contenuti di pensiero attraversano lo spirito, prima che abbia coscienza del fatto che pensa; esso osserva gli oggetti del mondo esterno molto prima dei processi che avvengono al suo interno, e quanto più il processo è interno, ossia quanto più è si potrebbe dire psichico, tanto più tardi esso ne consegue la coscienza, che inerisce piuttosto ai suoi stimoli esterni. E tanto più la coscienza inerisce a questi ultimi quanto più essi, con la varietà del loro mutare e la nettezza delle loro antitesi, stimolano continuamente la sensibilità psichica alla distinzione, mentre le funzioni formali dell'anima sono di numero più limitato e si offrono ai contenuti più diversi in modo sempre eguale, producendo in virtù della loro esistenza permanente e della loro universalità endemica quella consuetudine ad esse che fa scivolare la coscienza al di sopra di loro come su qualcosa di assolutamente ovvio. Anche qui vale la profonda osservazione di Aristotele che ciò che viene per primo nell’ordine razionale delle cose la funzione conoscitiva dello spirito viene per ultimo nella nostra considerazione e osservazione. Ma in quale misura questo dominio inconscio delle forme di connessione si estenda sul materiale dei fatti, non è stato riconosciuto da Kant in tutta la sua ampiezza a causa della netta separazione da lui operata tra l’a priori e ogni elemento empirico. Poiché oggi estendiamo l’esperienza molto più in alto di quanto non facesse Kant, per noi l’4 priori si estende anche molto più in profondità. Nel rapporto reciproco tra gli uomini ognuno deve in ogni momento presupporre negli altri la presenza di processi spirituali che non può constatare immediatamente, ma senza i quali le azioni di questi altri apparirebbero una mescolanza di impulsi improvvisi, priva di senso e di connessione: noi li completiamo così come completiamo la macchia cieca che interrompe la nostra immagine, senza avvertire l'interruzione, dato che tale integrazione ci appare cosa ovvia. Come comprendiamo l’interno soltanto per analogia con l’esterno cosa che il linguaggio già indica quando designa tutti i processi psichici con termini tratti dal mondo dell’intuizione esterna così d’altra parte intendiamo l’esteriorità degli uomini soltanto in base all’interiorità sottostante. Ma proprio per questo motivo integriamo anche l’esterno così come lo richiede la connessione interna già postulata, cioè in quanto esiste in generale una connessione interna. Si può ben affermare che nessun cronista ci racconta in modo preciso ciò che ha visto dello sviluppo di un avvenimento al quale ha assistito: lo conferma ogni interrogatorio giudiziario di testimoni, ogni narrazione di un tumulto. Pur con la migliore intenzione di attenersi alla verità, il narratore aggiunge a ciò che ha immediatamente visto elementi che completano l’avvenimento nel senso che egli ha tratto fuori dal dato: e anche l’ascoltatore deve sempre vedere nel suo spirito, in base alle sue esperienze e alla fantasia da esse determinate, più di quanto gli viene effettivamente detto. La fisiologia dei sensi ci ha mostrato innumerevoli casi in cui integriamo inconsciamente, in oggetti e movimenti particolari, le impressioni frammentarie dei sensi così come lo richiedono le esperienze già fatte. Nel caso di avvenimenti complessi avviene esattamente lo stesso; nel caso degli avvenimenti storici l’integrazione esterna è essenzialmente determinata da ipotesi psichiche, dalle esperienze relative alla continuità e allo sviluppo della vita psichica, alla correlazione esistente tra le sue energie, al corso dei processi teleologici. Non soltanto tutto questo è presupposto per impulso da parte dei rapporti esterni, ma, una volta che ciò sia presupposto, gli avvenimenti esterni vengono integrati nella misura in cui anch'essi commisurati alle leggi dell’esperienza relative alla connessione tra interno ed esterno forniscono ora ai processi interni una serie parallela ininterrotta. Proprio questa integrazione spontanea di ciò che è esterno costituisce una delle prove più forti del fatto che anche l'interno non è semplicemente derivato dai fatti, ma viene aggiunto ad essi sulla base di presupposti generali. Partendo dall'aspetto puramente esterno che uno offre all'altro si inferiscono, in base a innumerevoli presupposti, le idee e i sentimenti dell’altro che al massimo rappresenta un’inferenza dall’ effetto alla causa. Nelle faccende quotidiane troviamo sufficienti occasioni di comprovare la correttezza di tale inferenza, poiché il comportamento esterno dell’altro, previsto in anticipo, risponde realmente senza eccezione al nostro agire che giunge fino a lui. Soltanto per processi psichici superiori e più complicati queste inferenze diventano incerte, inducono a innumerevoli errori e forniscono così la prova che anche nei casi più sicuri si tratta solo di presupposti, i quali vengono collocati dinanzi al dato e debbono la loro sicurezza all’utilità pratica, ma non a un’interna necessità che li fa scaturire in maniera razionale da quel dato. Questi presupposti della vita quotidiana si ripetono ora nella ricerca storica in modo più compiuto e più ricco di influenza che in qualsiasi altra scienza, compresa perfino la psicologia. Quest'ultima assume infatti i presupposti in questione come oggetti d'indagine ®. La ricerca storica assume invece i presupposti psicologici senza che siano comprovati e in modo non metodico. Anche se questi presupposti fossero così ovvi che ogni fatto esterno potesse disporsi senza difficoltà e in modo del tutto univoco sotto il presupposto ad esso adatto, la loro determinazione costituirebbe già un compito considerevole. Questo diventa però estremamente più sottile e più difficile in quanto talvolta vediamo connesse allo stesso avvenimento interno conseguenze esterne totalmente differenti. Ciò è per noi comprensibile soltanto in virtù di una diversità degli elementi concomitanti o delle conseguenze psichiche di quel primo avvenimento, che dev'essere quindi ricondotto ora sotto una norma psicologica, ora sotto un’altra del tutto opposta. Per esempio Sybel® racconta, a proposito del rapporto tra il Comitato di salute pubblica e gli hebertisti nel 1793: Essi {gli hebertisti] erano stati fin allora in rapporti eccellenti con Robespierre, perché quest’ultimo si era appoggiato sulle loro forze e aveva perciò assecondato i loro desideri. Ciò che però li separava fin da allora in modo irrevocabile era la semplice circostanza che Robespierre era diventato la guida del supremo potere statale, mentre gli hebertisti erano rimasti in una posizione subordina a. Certamente essa assume, anche da parte sua, parecchi presupposti che rimangono impliciti in tutte le conoscenze di altro genere da essa dipendenti. b. Cfr. H. von SyBet, Geschichte der Revolutionszeit von 1789 bis 1798, Diisseldorf. ta. I fatti esterni Robespierre asseconda i desideri degli hebertisti; essi si legano a lui; egli ottiene una posizione dominante; essi si distaccano da lui costituiscono, in base ai presupposti psicologici sottostanti, una serie ben comprensibile. E tuttavia tali presupposti non sono affatto così cogenti e univoci come appaiono a prima vista. Abbastanza spesso accade che, assecondando i desideri di qualcuno, dimostrandogli favore con le proprie azioni, se ne ottenga la simpatia e la dedizione pratica; ma accade anche il contrario. Così si racconta, nelle sanguinose faide familiari del Trecento, di un nobile ravennate che aveva riunito tutti i suoi nemici in una casa e che avrebbe potuto senz'altro sopprimerli; invece di farlo, li lasciò liberi e per di più fece loro ricchi doni: quelli avrebbero allora agito contro di lui con raddoppiata violenza e malizia e non avrebbero avuto pace fino al suo annientamento e ciò, aggiunge il racconto, perché la vergogna per il beneficio ricevuto non li avrebbe lasciati in pace. Anche qui la serie degli avvenimenti esterni ci è pienamente comprensibile perché integriamo come presupposto psicologico e come elemento di mediazione appunto quella depressione del sentimento di personalità che spesso trasforma il beneficio ricevuto in un tarlo roditore nel beneficato, rendendolo nemico del benefattore. Per il nostro scopo è indifferente il fatto che nell'esempio precedente siano tramandate testimonianze dirette di partecipanti, che ne esprimano la costituzione psicologica, di modo che lo storico aveva bisogno di addurle come presupposto: infatti non soltanto egli deve accettare la tradizione immediata in. innumerevoli casi analoghi, in cui viene riferito qualcosa di puramente esterno, ma l’accetterebbe anche soltanto se riconosce come possibile sia l’una sia l’altra costituzione psicologica e può ricostruirla in virtù della propria esperienza connessa. Inoltre noi comprendiamo che l’assunzione di Robespierre a capo del governo comportava azioni ostili degli hebertisti contro di lui, per il solo fatto che ne suscitava l’odio e la gelosia. Accetteremmo però senz'altro come probabile anche la narrazione del risultato opposto: che cioè il pieno dispiegarsi della potente personalità di Robespierre, la posizione dominante a cui era pervenuto, avesse spezzato anche interiormente ogni opposizione di quel partito te) in quanto esso, sapendo di non poter far nulla contro, avrebbe voluto almeno mantenere con la docilità e la subordinazione una qualche partecipazione al potere un comportamento che comprendiamo benissimo, in base alle norme psicologiche presupposte se, per esempio, ci viene raccontato a proposito del senato romano nell’epoca della dittatura militare. Nell’un caso ci soddisfa il fatto che il beneficio o il conseguimento del potere abbia un effetto psichico di adesione, nell’altro che abbia un effetto di distacco, senza però trovare in esso, come atto esterno, il fondamento di questa diversità. Piuttosto, sulla costituzione psicologica che ha deciso tra le due alternative ci informa soltanto l'avvenimento successivo, che però è comprensibile solo in virtù dell’ipotesi di quella precedente affezione psichica. Facciamo ancora un secondo esempio. Knapp* dice, a proposito della situazione agraria russa dopo l’abolizione della servirtù della gleba: I contadini si impegnarono a fornire al signore fondiario determinate prestazioni in cambio di un salario. I contadini lo fecero molto mal volentieri, poiché il mutamento di base giuridica non consolava il contadino della continuità del fatto di lavorare per il signore; e neppure al signore la cosa era di grande aiuto perché la prestazione dei contadini, ora pattuita anziché obbligata, veniva effettuata malamente nonostante che fosse pagata . La prima motivazione presuppone come ovvio, o almeno tale da non richiedere un’ulteriore discussione, che la conseguenza di una determinata situazione sul modo di sentire non muta finché questa rimane esteriormente la medesima, anche se è mutato del tutto l'elemento interno che produceva in origine quella conseguenza. La seconda motivazione presenta come cosa chiarissima il fatto che il contadino su cui non si ha più un potere assoluto, ma con cui bisogna scendere a patti, lavori peggio di prima. Se i fatti mostrassero che in Russia i redditi economici sono costantemente aumentati dopo il 1864, motivi psicologici esattamente opposti avrebbero connesso causa ed effetto in modo non meno plausibile; si sarebbe senz’altro considerato che non già l’agire esterno, ma il fondamento etico e il motivo per cui ciò accade a. G. F. Knapp, Die Bauern-Befreiung und der Ursprung der Landarbeiter in den dlteren Theilen Preussens, Leipzig. sono decisivi riguardo al fatto di lavorare con piacere e amore oppure con sentimenti opposti. E riguardo alla coercizione al lavoro contadino, dalla Prussia ci giunge invece, prima dell’abolizione della servitù della gleba, la lamentela costante che la corvée è il lavoro peggiore, il più negligente e privo di coscienziosità. Senza voler trarre da esempi di questo genere che si trovano in ogni parte di qualsiasi opera storica uno scetticismo a basso prezzo e ingiustificato nei confronti dell’interpretazione psicologica in generale, tali differenze di interpretazione possibile devono renderci attenti al fatto che non si può considerarle come un fattore sempre eguale, e quindi trascurabile. Piuttosto, la constatazione dell’una o dell’altra conseguenza, sulla base di un ulteriore avvenimento esterno, è decisiva per stabilire la costituzione psichica che dominava la situazione iniziale e pertanto come la direzione di una retta è determinata da due punti stabiliti il carattere complessivo dello sviluppo. Ma questi presupposti, e il significato della scelta tra di essi, rivestono una particolare importanza negli innumerevoli casi in cui le imprese esterne non sono tramandate in modo scevro di dubbio e univoco, e in cui l'accertamento e l'ordinamento dipendono dalla loro probabilità psicologica. Anche nei casi più sicuri, però, non è il semplice fatto che decide dell’intelligibilità della conseguenza, ma sono i principi psicologici a cui il semplice fatto si subordina come premessa minore, per far apparire l'avvenimento successivo come possibile e intelligibile. Dietro le azioni visibili degli uomini si sottintendono scopi e sentimenti invisibili, che sono necessari per connettere in modo intelligibile quelle azioni. Se non potessimo procedere al di là del materiale storico realmente constatabile, sarebbe in forse la costruzione di un qualsiasi sviluppo, la possibilità di comprendere un qualsiasi elemento singolo in base a un altro. Helmholtz ha detto una volta che la dimostrazione della legge causale sarebbe assai debole se dovesse venir derivata dall’esperienza; i casi della sua piena dimostrabilità sono rari in rapporto al numero sterminato di quelli che si sottraggono a una più completa penetrazione causale. Se ciò vale già per i processi della natura sottostante la vita psichica, ancora più rara deve diventare la dimostrazione della causalità in base alla stretta esperienza laddove il complicato e oscuro elemento dei processi cerebrali si inserisce tra i processi visibili dei quali si indaga il legame causale. È chiaro che avremmo una prospettiva completa se penetrassimo fino in fondo le influenze e le trasposizoni esterne e corporee che hanno luogo tra i singoli atti di una personalità storica, e conoscessimo inoltre il valore psichico di ogni processo cerebrale presente in questa serie. Questo è però un ideale irraggiungibile; cosicché noi ci aiutiamo almeno inserendo dei processi psichici dietro e tra i processi esterni. Qui l'elemento ipotetico, che esige una particolare considerazione metodologica, non è tanto l’ipotesi di un elemento psichico in generale, che risieda inafferrabile dietro i fenomeni, quanto il contenuto specifico dei processi di coscienza supposti. Certamente anche tale elemento per quanto possa sembrare straordinario considerarlo ancora come ipotesi non è affatto un fondamento così semplice e indiscutibile della narrazione storica; e non lo è perché il rapporto tra processi coscienti e processi inconsci in noi è assai incerto. In particolare, quando si tratta di movimenti di interi gruppi che possiamo spiegare anche soltanto in base a posizioni di scopo e a impulsi sentiti, sono spesso determinanti processi organici che non hanno alcun aspetto di coscienza. Tanto qui quanto negli individui singoli moltissimo di ciò che, per la sua conformità formale a uno scopo, viene ricondotto a cause interne alla coscienza accade per suggestione, o per un meccanismo motorio ormai fissato da cui sono da lungo tempo esclusi gli elementi coscienti, o per uno stimolo inconsapevole. Come la formazione conforme a scopi dell'essere vivente induce gli spiriti che riflettono ad ammetterne una causa intelligente, perché si è abituati a considerare la conformità a scopi soltanto come conseguenza di una volontà cosciente e pensante, così noi ci rappresentiamo compiendo lo stesso errore le più svariate azioni umane come effetti di una posizione cosciente di scopi, anche se procedono da tendenze del tutto meccaniche e da necessità inconscie. Se i movimenti dei nostri organi interni, il lavoro del cuore, i processi di digestione, avvengono nel modo più utile per il conseguimento degli scopi vitali, e senza che ne abbiamo affatto coscienza, lo stesso sviluppo che ha regolato questi processi poteva ben ordinare anche i nostri processi cerebrali in modo tale da promuovere la vita senza bisogno di una coscienza. Anche se si affermasse che la scienza storica deve descrivere soltanto la storia dei processi coscienti, tuttavia i processi inconsci si inseriscono in modo così vario tra quelli coscienti e ne costituiscono così diffusamente il substrato che senza il ricorso ad essi non si può conseguire una spiegazione sufficiente dell’elemento cosciente; e questa spiegazione fallisce necessariamente se alla base di ogni azione visibile si vogliono porre idee chiare e una cosciente conformità a scopi. Stabilire se dietro l’azione stia un processo psichico cosciente esprimibile con parole e una risposta positiva costituisce il presupposto di ogni narrazione storica è una questione particolarmente difficile nel caso di quei processi che devono realmente a una coscienza la conformità della loro forma a uno scopo e l’impulso alla loro realizzazione in determinate situazioni, ma che in seguito l'hanno perduta poiché l’azione si è gradualmente trasformata in un’azione meramente riflessa e istintiva. Se per esempio la conformità a scopi e la necessità hanno indotto un gruppo a guerre ripetute, da ciò può svilupparsi una tendenza bellica, e dinanzi alle sue successive manifestazioni sarebbe vano cercarne la ragion sufficiente nella coscienza di chi agisce. Oppure, la sottomissione e la servilità di un ceto rispetto a un altro possono essere sorte da cause del tutto coscienti; se però queste sono durate un lungo periodo, non si può più interrogare la coscienza degli individui per averne informazioni sullo scopo del particolare comportamento in questione: per quanto uno scopo possa essere ancora sempre presente, la coscienza di esso è in ogni caso tramontata e l’azione se ne presenta priva. È però evidente che l’azione comparirà facilmente anche quando lo scopo non sussiste più, e un qualsiasi impulso esterno o abitudine interna produce uno stimolo formalmente affine a cui l’azione risponde in modo riflesso. È perciò ben chiaro a base di quali errori stia il presupposto ingenuo che cerca senz'altro in processi psichici coscienti la connessione significativa tra le azioni dei singoli o dei gruppi, facendole scaturire dal carattere teleologico di quei processi. Del resto la scienza storica lavora di fatto anche in base al presupposto di un inconscio parziale o totale. Sentiamo parlare dalla tendenza di parecchie stirpi a impadronirsi irresistibilmente di ciò che sta intorno e a spostare in avanti senza sosta, come spinte da un impulso di crescita fisica, i loro confini; si parla dell’oscura spinta dei popoli tedeschi verso l’Italia come dell’istinto dell’uccello migratore, che impulsi del tutto inconsci spingono a seguire determinate direttrici del cielo; d'altro lato si parla dell'immobilità e dell’indolenza di alcune stirpi, le quali certamente spesso non pervengono alla coscienza del singolo ma determinano il suo comportamento come una forza naturale, mentre egli crede di essere attivo e capace di reazione. Occorre infine ricordare quelle formazioni oggettive che fondano propriamente come un possesso collettivo spirituale la società: il diritto e il costume, il linguaggio e il modo di pensare, il culto e la forma di commercio. Certamente, tutto ciò non sarebbe mai sorto senza l’attività cosciente degli individui; ma questa non si è quasi mai orientata verso la formazione che alla fine ne risulta come se costituisse il suo scopo. Ciascuno lavora piuttosto alla propria parte, mentre la totalità di cui è parte si sottrae al suo sguardo; il confluire dei contributi, il costituirsi della forma sociale che questo materiale individuale assume non rientra più nella coscienza del singolo lavoratore. Nella coesistenza con gli altri egli cerca l’espressione più adeguata per la sua inclinazione e per il suo ritegno, per la sua indifferenza e per il suo interesse, scoprendo in tal modo certe parti delle forme di rapporto speciale; il suo bisogno religioso lo spinge a parole e ad azioni in cui crede di trovare i ponti più sicuri verso il principio divino, e in questo modo costruisce l’edificio del culto; mediante certe regole di prudenza cerca di proteggersi dalle soperchierie nella conduzione degli affari, e così fonda le usanze commerciali comuni. Di ogni azione mossa dall’interesse particolare che non abbia carattere distruttivo, di qualsiasi relazione tra uomini rimane quasi come caput mortuum un contributo alla formazione dello spirito pubblico, dopo che i suoi effetti sono stati distillati attraverso mille sottili canali sottratti alla coscienza dell’individuo, Ciò vale particolarmente per il tessuto della vita sociale: nessun tessitore sa che cosa sta tessendo. Tuttavia le formaziono sociali superiori possono sorgere soltanto tra esseri che posseggano una coscienza degli scopi; ma essc sorgono, per così dire, accanto alla coscienza degli scopi propria degli individui, in virtù di un processo formativo che non ha luogo in essa e ciò già per il fatto che per ottenere quell’effetto sociale è richiesta la conformità e la contemporaneità di innumerevoli azioni di altri, che l'individuo può prevedere soltanto in casi rarissimi. In breve, dietro le manifestazioni storiche visibili non si può ipotizzare come loro funzione costante una piena coscienza, al fine di interpretarle e di collegarle; ma sebbene una tale coscienza debba costituire nel complesso il presupposto dello storico, egli lo sospende abbastanza spesso. Una filosofia della storia dovrebbe stabilire in quali casi Io storico guidato dall’istinto o dalla riflessione astrae dalla conformità cosciente a scopi nelle azioni umane. Essa dovrebbe cioè indagare quando dobbiamo porre a base della spiegazione dell’accadere una volontà e un pensiero cosciente, e quando siamo soliti rinunciare a tale ipotesi. Il compito specifico non consisterà qui nel determinare per la storiografia leggi pratiche in merito alla giustificazione di questa o quell’ipotesi. Ciò sarebbe possibile soltanto alla psicologia. La teoria della conoscenza dovrebbe piuttosto soltanto stabilire in quali casi al nostro bisogno di spiegazione basta l’una e in quali l’altra ipotesi. Le rappresentazioni storiche non come devono essere, ma come esse sono realmente dovrebbero venir analizzate in base ai princìpi secondo cui, anche inconsciamente, decidono sull’ipotesi di una coscienza o di un’inconsapevolezza sottostante alle azioni fisiche. Presupponendo questa coscienza, passiamo ora a ipotizzare i suoi contenuti. Anzitutto, anche a questo proposito si tratta di un presupposto molto generale. Che tali elementi psicologici di connessione che lo storico aggiunge agli avvenimenti siano veri oggettivamente, cioè valgano a indicare realmente gli atti di coscienza delle persone che agiscono, non avrebbe alcun interesse per noi se non comprendessimo questi processi in base ai loro contenuti e al loro corso. Se ciò non avvenisse, quella interpretazione corretta potrebbe essere ottenuta con qualsiasi mezzo come per esempio quando essa non ha bisogno della ricostruzione psicologica da parte dello storico, ma è in apparenza immediatamente data dalle manifestazioni e dalle confessioni delle singole personalità; tuttavia non potremmo concedere ad essa il carattere di verità. Che cosa significa allora questo comprendere, e quali sono le sue condizioni? La prima condizione consiste chiaramente nel fatto che quegli atti di 446GEORG SIMMEL coscienza vengono riprodotti in noi, cioè che possiamo (come si dice) trasferirci nell'anima delle persone . Comprendere una proposizione significa che i processi psichici di colui che parla, consegnati nelle parole, vengono da queste appunto stimolati nell’ascoltatore; non appena si ha una differenza essenziale tra le rappresentazioni di due persone, la parola che va dall’una all'altra viene fraintesa o non è compresa. Una riproduzione diretta di questo genere ha luogo ed è sufficiente soltanto dove si tratti di contenuti teoretici di pensiero, per i quali non è essenziale che essi abbiano il loro punto di partenza nelle rappresentazioni proprio di questo individuo. Nelle conoscenze oggettive o logiche io mi rapporto all’oggetto del conoscere nell’identico modo di colui di cui comprendo le rappresentazioni; egli me ne comunica soltanto il contenuto e dopo di ciò viene di nuovo, per così dire, escluso. Da allora il contenuto è presente parallelamente nel mio pensiero e nel suo, senza dover subire trasposizioni o modificazioni per il fatto di avere in questo la propria origine. Questo rapporto già si modifica in qualche maniera laddove si tratta non di un semplice processo teoretico di idee, che ci si può rappresentare come rispecchiamento del comportamento oggettivo dello cose (che si offre a tutti nella stessa misura) nelle forme logiche, ma è in questione la comprensione di processi soggettivi. Noi pretendiamo tuttavia di comprendere ogni specie e ogni grado di amore e di odio, di coraggio e di disperazione, di volontà e di sentire, senza che le manifestazioni in base a cui comprendiamo tali affetti ci pongano nella stessa parzialità ad essi propria. Tuttavia quel processo psichico che chiamiamo comprensione può consistere solamente in una trasformazione psicologica, in una condensazione o anche in un rispecchiamento sbiadito di quegli affetti: in tale processo deve in qualche modo-esserci il loro contenuto. Se sopra abbiamo indicato come compito della storia quello di conoscere non soltanto ciò che è conosciuto, ma anche ciò che è voluto e sentito, questo compito può essere risolto solamente in quanto esiste qualche specie di trasposizione psichica per partecipare al voluto e al sentito. Infatti quell’essere sentito reale, che ha avuto luogo in qualche momento del passato, non costituirebbe altrimenti la condizione sotto la quale avviene ciò che chiamiamo comprensione. Chi non ha mai amato non comprenderà mai colui che ama, il debole non comprenderà mai l’eroe, né il collerico comprenderà il flemmatico; e viceversa la nostra comprensione dei movimenti, dei tratti del volto e delle azioni altrui si esprime tanto più facilmente quanto più sovente abbiamo noi stessi sentito gli affetti di cui costituiscono il simbolo; si esprime anzi più o meno facilmente nella misura in cui la nostra situazione interiore del momento ci dispone a sensazioni analoghe o a sensazioni distanti, agevolando o rendendo difficile la riproduzione psicologica. La ripetizione degli atti di coscienza che si compiono nell’altro individuo è quindi presente in qualche forma della cui origine non possiamo ancora farci un quadro positivo nella comprensione dei propri, ed è indispensabile a questo scopo. La trasformazione che diventa così necessaria mostra ora un approfondimento significativo se, più che al contenuto della comprensione, si guarda al fatto che si tratta del processo di rappresentazione di un altro, di un non-io, che è appunto un non-io. Certamente, nel caso di oggetti umani si pongono in dubbio le conseguenze gnoseologiche della convinzione che gli oggetti conoscitivi non ci sono dati nel loro in sé, ma soltanto come rappresentazione. La storia si potrebbe dire ci è accessibile in un modo completamente diverso dalla natura. La distinzione tra io e non-io avrebbe un senso completamente diverso se entrambi i termini fossero anime; infatti essi sarebbero differenti soltanto dal punto di vista numerico, e non in linea generale, e se nessuno spirito può penetrare all’interno della natura, potrebbe però penetrare all’interno di un altro spirito che esso rispecchierebbe in sé in modo del tutto adeguato. Con un pilastro così esile non è quindi ancora possibile gettare un ponte sull’abisso tra io e non-io. Anzitutto, la loro identità generale non elimina la necessità di esteriorizzazioni, di trasposizioni e di simbolizzazioni di ogni sorta che servano a mediarli. Un rispecchiamento immediato, una comprensione immediata derivante dall’identità di natura sarebbe una lettura del pensiero e telepatia,oppure presupporrebbe un'armonia prestabilita non meno mirabile di quella leibniziana. Piuttosto, la stessa conoscenza di un processo spirituale costituisce, da parte sua, un processo che può venire soltanto stimolato e dev'essere compiuto dal soggetto. Ma ciò trasformerebbe alla fine il parallelismo di fatto da un rapporto diretto in un rapporto indiretto; in definitiva, nonostante tutte le inevitabili complicazioni, un processo psichico potrebbe rispecchiarsi in un’altra anima con la medesima precisione con cui le parole affidate a un apparecchio telegrafico si riproducono in quello della stazione ricevente, anche se ciò che sta nel mezzo e che fa da tramite sono processi completamenti eterogenei. Ma la difficoltà più profonda consiste nel fatto che i processi così prodotti in me, nel medesimo tempo non sono i miei: io li penso come storici, anche se li rappresento ed essi sono quindi mie rappresentazioni come processi (e rappresentazioni) di un altro. E neppure basta, se vogliamo conoscere un altro, che riproduciamo in noi stessi i suoi processi psichici e aggiungiamo: non sono io, è lui a sentire così! In primo luogo, infatti, secondo questo presupposto io sento effettivamente così, e quell'aggiunta non può essere i forma di supplemento al contenuto, di modo che entrambi rimangano reciprocamente isolati, ma deve penetrare quel contenuto, accompagnarlo immediatamente come suo esponente. Questo sentire ciò che propriamente non sento, questo riprodurre una soggettività che è però possibile, ancora una volta, soltanto in una soggettività che si contrappone oggettivamente a quella ecco l'enigma del conoscere storico, per la cui comprensione le nostre categorie logiche e psicologiche sono chiaramente strumenti ancora troppo grossolani. In questo conoscere sono certamente presenti entrambi gli elementi vale a dire il compimento da parte propria dell’atto in questione e la coscienza che è accaduto in altri; ma questa è soltanto una scomposizione successiva in elementi di cui il processo della conoscenza storica non mostra coscienza alcuna. Qui non si tratta tanto di una scomposizione successiva di elementi che preesistevano separati, così come nell'intuizione del mondo esterno la sensazione e l'intuizione spaziale non esistono separatamente per poi riunificarsi in quella. La proiezione di un rappresentare e di un sentire sulla personalità storica è un atto unitario, la cui condizione preliminare è che io abbia provato nella mia vita soggettiva i processi psichici in questione. Ma poiché vengono ora riprodotti come rappresentazioni di un altro, essi subiscono una trasformazione psichica che li distacca dall’esperienza soggettiva della personalità conoscente così come vengono distaccati da quella della personalità conosciuta. Anche se queste ultime due coincidono in linea generale, anche se amore e odio, pensiero e volontà, piacere e dolore sono come avvenimenti personali nell'anima del soggetto conoscente esattamente i medesimi che hanno avuto luogo nell’anima dell’oggetto conosciuto, non già la conoscenza storica, bensì quel processo di rappresentazione trasformato dalla proiezione su un altro, costituisce questa identità immediata. Una cosa del tutto analoga avviene nel rapporto tra pensiero e materia: se il substrato trascendente dell'anima e quello del mondo esterno fossero realmente identici, ciò non comporterebbe ancora che le rappresentazioni che l’anima si fa del mondo esterno siano effettivamente identiche a quelle che formerebbe l’in sé del mondo o un suo immediato rispecchiamento. La conoscenza del mondo rimarrebbe sempre nelle forme di esperienza ad essa proprie, indipendentemente dall’identità dei substrati che la delimitano da entrambe le parti, anche se quest’identità istituisce forse la possibilità del rappresentare in generale. In esatta analogia, l’identità psicologica tra conoscente e conosciuto è sì il fondamento, nell’ambito storico, della possibilità di conoscenza in generale, ma di per sé non significa ancora che la rappresentazione proiettata fuori del soggetto possegga un'identità di contenuto con i processi soggettivi presenti nella personalità storica. Non seguirò qui oltre questa metamorfosi, la quale procede col contenuto psichico primario in quanto questo è reso oggettivo e con esso sì conosce un’altra personalità: piuttosto, assumendola come presupposto, metterò l’accento sull'identità psicologica di contenuto tra il soggetto e l'oggetto del conoscere storico che questo esige. Se si potessero comprendere i processi storici semplicemente subordinando gli atti psichici i quali si distanziano troppo da quelli che si compiono nell'anima dell’osservatore, di fatto non li si comprenderebbe e la loro descrizione susciterebbe nella nostra anima tanto poca reazione quanto un discorso fatto in una lingua a noi sconosciuta. In primo luogo, quindi, lo storico presuppone che la sua anima possa istituire in sé gli stati psichici dei suoi personaggi, cioè che una qualche analogia, per quanto remota, delle loro azioni accertate con le proprie azioni permetta di concludere che lo sfondo di coscienza, che le stesse azioni hanno o avrebbero in lui, sia presente anche in quelli. Quando Ranke esprime il desiderio di dissolvere il proprio io per vedere le cose così come sono state in sé, il compimento di tale desiderio eliminerebbe proprio il risultato che ci si aspetta. Una volta dissoltosi l’io, non rimarrebbe nulla con cui cogliere il non-io. L’intromissione dell’io non è un’imperfezione della quale un tipo ideale di conoscenza possa fare a meno; questa può eliminare soltanto certi aspetti dell'io, ma voler dissolvere l'io in generale è una contraddizione logica non soltanto perché esso costituisce, alla fine, il sostegno di ogni rappresentare in generale infatti anche Ranke aveva limitato a questo la sua manifestazione ma anche perché i suoi contenuti specifici sono punti di passaggio indispensabili di qualsiasi comprensione di altri individui. Questa partecipazione simpatetica alle motivazioni delle persone, al complesso e ai singoli aspetti del loro essere, del quale vengono tramandate soltanto espressioni frammentarie, questo processo di trasposizione in tutta la molteplicità di un enorme sistema di forze, ognuna delle quali viene compresa soltanto perché la si rispecchia in sé questo è il senso vero e proprio della pretesa che lo storico sia e debba essere artista. La concezione comune secondo la quale questa pretesa sarebbe giustificata solamente una volta che si sia conclusa la ricerca dei fatti, e limitatamente all’esposizione per il lettore, è del tutto errata; infatti anche il fisico, il filologo, il giurista, in breve ogni studioso che scriva per gli altri, in particolare per cerchie più vaste, dev’essere artista nell'esposizione. Ma già per il fatto che lo storico interpreta, elabora, ordina i fatti in modo che producano l’immagine coerente di un processo psicologico, la sua attività si avvicina a quella poetica, e ne risulta distinta soltanto di grado, per la libertà che quest’ultima possiede nell’organizzione del suo materiale. Una volta che il poeta si è deciso per un determinato carattere, una volta che ha spinto i rapporti tra i suoi personaggi in una determinata direzione, anch'egli non è più libero, e tutto ciò che fa accadere si discosta soltanto in misura limitata dall’esperienza psicologica media su uomini e casi analoghi. Se il processo poetico che, muovendo dalla libera invenzione, deve legarne la successiva organizzazione nell’opera d’arte definitiva alle leggi conosciute dell’accadere ha per motto siamo liberi al primo momento, nel secondo siamo schiavi, la ricerca storica si limita a rovesciarlo. Nel primo momento, cioè rispetto al materiale di fatti con cui ha inizio il suo lavoro, essa è vincolata; invece è libera nell’elaborazione di tale materiale in una totalità del corso storico, cioè è lasciata al funzionamento di categorie soggettive e al processo formativo nell’anima dello storico. Ciò che Schopenhauer spiega a proposito dell’essenza dell’attività estetica che cioè l’intelletto si spoglia della preoccupazione del proprio io per trasferirsi completamente nell’oggetto da cui non lo separa più nessuna duplicità di essenza, ma che anzi si rispecchia senza residuo in esso, cosicché in questo attimo non è affatto altro da quest’oggetto rappresenta di fatto, prescindendo dal rivestimento metafisico, l'elemento decisivo anche per lo storico, anzi per chiunque acquista una qualsiasi conoscenza storica. Ogni riproduzione e ogni comprensione di un oggetto psicologico significa che il soggetto comprendente percorre in sé il processo psichico nella cui conoscenza si immerge e che esso è realmente nella misura in cui l’io consiste nel suo processo di rappresentazione in questo attimo *. a. Per lo storico la difficoltà particolare consiste nel fatto che egli può ricavare l'immagine complessiva di una personalità soltanto dalle sue manifestazioni specifiche, ma d'altro lato può interpretare e raggruppare correttamente questi elementi soltanto in base all'immagine complessiva della personalità che sta a loro fondamento. Questo circolo logico viene, al pari di molti altri simili, risolto nella prassi in quanto gli elementi che si presuppongono a vicenda si sviluppano in un’azione reciproca e gradualmente. La conoscenza assolutamente corretta del carattere e della tendenza complessiva di una persona potrebbe naturalmente essere ottenuta soltanto sulla base di un’interpretazione assolutamente corretta delle sue espressioni, e viceversa; se quindi occorresse l’incondizionata correttezza e completezza di entrambe le conoscenze, non si potrebbe pervenire a nessuna delle due. Soltanto perché sia l’una sia l’altra sono ottenute pezzo per pezzo, in quanto in entrambe si ha un incremento graduale che dalla congettura e dall'assunzione ipotetica conduce fino alla certezza, ognuna delle due parti serve all’altra come punto saldamente accertato per la determinazione di un analogo punto dall’altra parte, la cui connessione con punti successivi conferma ulteriormente il primo. Da qualche parte si deve cominciare in modo dogmatico o ipotetico, e soltanto l'attendibilità delle indagini successive che da esso procedono può decidere sulla verità del fondamento; nell’elePer quanto riguarda la questione generale attinente alla teoria della conoscenza, non è che lo storico colga le personalità storiche perché è identico ad esse infatti questo è appunto da stabilire ma presuppone la propria identità con esse perché vuole coglierle e non può farlo altrimenti. Si ha qui lo stesso rapporto che Kant aveva affermato a proposito della conoscenza della natura: noi non conosciamo la realtà perché il pensiero e l’essere coincidono, ma essi coincidono perché noi conosciamo la realtà, ossia perché il nostro intelletto introduce la sue forme conoscitive nell’essere, perché lo elabora come sua rappresentazione secondo le leggi di cui ha bisogno in vista dell'esperienza. Lo storico respinge come improbabili o non vere le azioni tramandate quando esse fanno riferimento a una base psichica che gli sembra insostenibile nel suo processo .di penetrazione dello stato psicologico della persona altrimenti presupposto, e che quindi urta contro la logica dei fatti psicologici. Nel caso di un’improbabilità esteriore, fisica, la differenza rispetto al rifiuto della tradizione è chiaramente soltanto graduale, ed esiste soltanto nella misura in cui le leggi fisiche della natura sono da noi conosciute in modo più certo delle leggi psichiche. A proposito di questa riproduzione degli avvenimenti psichici da parte dello storico occorre considerare due aspetti: in primo luogo le forze naturali e le categorie presenti nella sua mento spirituale non solo il fondamento sorregge l'edificio, ma anche l’edificio sorregge il fondamento. Il rapporto della totalità con il particolare, che ovunque presenta alla metodica del conoscere gli enigmi più ardui, mostra le proprie difficoltà anche dove si tratta della totalità e della singolarità di un individuo. La medesima difficoltà conoscitiva si presenta in riferimento all'essenza e alla tendenza di interi popoli e gruppi, di interi periodi di tempo, oltre che di avvenimenti particolari. Uno dei compiti più sottili della-teoria della conoscenza sarebbe quello di elevare alla coscienza, e di indicare nel caso singolo, il modo effettivo di questa reciprocità come la nostra interpretazione storica consideri gli elementi particolari che sono ambigui, se non privi di senso senza un’immagine del tutto; quali siano i mutamenti tipici a cui la tendenza generale, assunta a titolo di prova, porta nell’apprendimento degli elementi particolari; se le conoscenze orientate verso il particolare e verso la totalità siano collocate in modo stratificato l'una sull’altra; in quale rapporto questi strati si estendano quanto più s'innalza l’edificio complessivo, e così via. anima, il cui campo di validità delimita l'ambito di ciò che può in generale essere intelligibile e penetrato simpateticamente mediante la sua coscienza; in secondo luogo le esperienze di fatto che dànno contenuto a queste facoltà e a queste forme, indicando alla coscienza quali, tra le sensazioni e le idee che sono in generale possibili alla sua anima, vengono realizzate nel mondo animato che lo circonda. La critica della conoscenza deve distinguere per bene i due momenti. Lo storico può infatti respingere alcuni avvenimenti come impossibili e ordinarne altri soltanto in un determinato modo, perché i processi psichici che dovrebbe altrimenti stabilire non gli sono intelligibili, cioè non possono essere compiuti da lui stesso. Qui come altrove non si tratterà ovviamente di idee o di impulsi particolari dei personaggi storici, bensì della connessione tra di loro, del comparire di un’idea o di un impulso a condizione che ne siano già stati accolti altri. D'altro lato egli potrà sì seguire interiormente tali avvenimenti psichici e determinate combinazioni tra di essi, che la tradizione sembra offrire, ma dovrà modificarli perché la sua esperienza della vita gli mostra che è possibile riprodurli nella fantasia, ma che non si presentano nella realtà. Qui Ia filosofia della ricerca storica trova i suoi oggetti di ricerca nelle influenze a cui sono sottoposte da entrambi i lati le immagini storiche, e che vengono di solito osservate almeno nei casi in cui superano troppo la misura media della soggettività. Le differenze che devono essere istituite non soltanto nella rappresentazione storica, ma anche nella determinazione, per esempio, del corso della vita di Cesare o di Gregorio VII o di Mirabeau, a seconda che la natura dello storico sia grande o limitata, risultano evidenti; lo stesso vale per quelle che derivano dall'ambito di esperienza dello storico se cioè egli ha formato la sua intuizione della vita in base a ristretti rapporti piccoloborghesi o nel grande commercio mondiale, se in una comunità politicamente sottomessa o in una comunità libera. In sostanza già lo sappiamo, perché possiamo immaginarcelo anche senza una particolare considerazione, e perché vi sono alcuni esempi flagranti che impediscono di trascurare questo fatto. Ma la conoscenza scientifica richiede indagini sul numero più grande possibile di casi, anche proprio su quelli in cui la soggettività sembra ritrarsi del tutto indagini che avrebbero bisogno di quella fine capacità investigativa che ha prodotto risultati così splendidi soprattutto nella filologia classica. Certamente, pregiudizi e toni soggettivi sono sempre correggibili nel caso particolare. Nel momento stesso in cui si pongono in luce e se ne mostra l’origine psicologica, si può anche prescindere da essi. Ma con ciò si dimentica di solito che, anche dopo aver rifiutato questa scorza, non rimane soltanto oro puro, che la nuova conoscenza è sì libera da questo determinato presupposto soggettivo, ma non da ogni presupposto in generale. Si corregge una data concezione, ma la si corregge solo introducendone un’altra. Non soltanto i presupposti del conoscere in generale, dell’intellectus ipse nelle sue forme più generali, devono essere accettati da ogni contenuto empirico particolare, poiché a volerne prescindere nell'interesse di una verità puramente oggettiva non si potrebbe più rappresentare nulla; ma queste forme universalmente date esistono di nuovo solo negli spiriti particolari, e quindi nella loro tonalità e modificazione individuale, di modo che questo spirito individuale costituisce in certa misura, nella sua tendenza complessiva e nella sua disposizione caratteriologica, l’a priori per l’a priori generale nella sua momentanea realizzazione. Comunque ci rappresentiamo sistematicamente quelle forme universali, esse hanno soltanto il significato di concetti generali che non si ritrovano tal quali nella realtà e qui nella realtà del conoscere ma che compaiono sempre e solo con una differenza specifica, che si può certo mettere da parte, ma soltanto se se ne pone al suo posto un’altra. Ciò che concepiamo come unità e sviluppo del carattere, come coerenza tra scopo e mezzi, come causazione psicologica, si presenta a ogni uomo che opera con il loro aiuto non in una forma astratta ma in forma personale, esercitando i suoi effetti sul materiale storico non come categoria logica questo sarebbe l’ideale irraggiungibile del conoscere ma come forza psicologica, sostenuta dalla personalità con il complesso delle sue esperienze, dei suoi istinti, dei suoi sentimenti. Come nessun uomo è uomo in generale, né consiste soltanto delle proprietà comuni a tutti gli uomini, così il conoscere non è mai un conoscere in generale, né consiste soltanto dell’esercizio delle forme @ priori universali del pensiero. Si può certo costruire l'uomo in generale in modo astratto e sottraendo tutte le differenze specifiche, ma non appena si vuol avere un uomo reale occorre nuovamente aggiungere qualcosa di specifico e di individuale anzi, soltanto nell’ambito di questo lo si può rappresentare intuitivamente; ed esattamente lo stesso avviene con le forme 4 priori del pensiero e con la loro conferma pratica *. Nell’organizzazione del materiale storico in base alle esperienze interne ed esterne dello storico agisce certamente una grandezza incommensurabile che ne rende assai difficile l’analisi gnoseologica. Noi possiamo, nonostante tutto, ricostruire negli altri e con la sicura sensazione della loro piena esattezza processi psichici che non abbiamo provato né in noi né in altri. È molto facile spiegare tutto questo come una semplice trasformazione di esperienze reali. In primo luogo, infatti, il a. Qui si tratta di un 2 priori singolare, e il cui carattere specifico non è di facile comprensione. Se ammettiamo l’a priori nella teoria della conoscenza, pensiamo a rappresentazioni determinate nel contenuto e da stabilire concettualmente, che si possano poi indicare in modo sempre eguale nell'esperienza conclusa; cosicché l'universalità e necessità dell’4 priori ne costituisce la caratteristica essenziale. Qui si tratta però di un priori il cui contenuto non è universale ma individuale, e in cui non c’è nulla di universale e necessario se non il fatto che questa posizione della conoscenza viene riempita e determinata da qualche 4 priori, mentre rimane completamente indeterminato e accidentale quale degli infiniti compimenti possibili debba avere nel caso presente. La questione così importante per la critica kantiana, se cioè l’4 priori del conoscere possa esso stesso venir conosciuto 4 priori, trova in questo caso una soluzione in quanto resta ferma la sua generale necessità 4 priori cioè la conoscenza che le categorie logiche agiscono soltanto nella tonalità di un’intera individualità ma il contenuto specifico di questo 4 priori dell'a priori è del tutto variabile e può essere costruito solo caso per caso. Che la conoscenza storico-psicologica accordi all’4 priori dell’individualità un'influenza molto maggiore della conoscenza della natura esterna, dipende dal fatto che sulle categorie dell’ordine e della valutazione (su cui esso manifesta la sua influenza) non si può raggiungere, per motivi facilmente spiegabili, un accordo così largo come quello che si ha in riferimento alle categorie relative al mondo esterno. Nel caso di quest'ultime l'individualità non si rileva nella tonalità delle categorie logiche perché in tale direzione si hanno soltanto differenze individuali evanescenti, anche se ben nette per i grandi periodi culturali. L'elemento logico e l'elemento psicologico possono qui concrescere in una unità che non vi sarebbe ragione di scindere. confine tra forma e materia potrebbe, in questa prospettiva, essere assai arbitrario e significare più una denominazione aggiunta dall’esterno che non una distinzione oggettiva prescindendo del tutto dal fatto che la formazione spontanea della forma, oppure della materia, non sostituirebbe per noi un enigma minore; inoltre rimarrebbe ancora da spiegare perché una forma in cui rechiamo dall’interno il contenuto empirico dato per altra via possegga appunto quella sicurezza soggettiva della sua possibilità e della sua realtà, mentre altre, che sono altrettanto possibili per la nostra fantasia e che non mancano, al pari di quella, di una conferma empirica, non comportano una tale sensazione. Il talento più appariscente e imprevedibile sotto questo aspetto viene di solito designato come genialità: il genio sembra creare da sé le conoscenze che l’uomo non geniale può ricavare soltanto dall'esperienza. In base agli stimoli più tenui si presenta nel genio un’immagine intimamente coerente e convincente di processi spirituali, di connessioni di idee e di passioni di personaggi storici, della cui mentalità non esistono più esempi da gran tempo; accostando gli elementi più disparati e interpretando quelli più straordinari, la sua fantasia domina un materiale che non può avergli messo a disposizione la sua esperienza. Accontentarsi di una completa inesplicabilità di questa genialità storico-psicologica è quindi particolarmente pericoloso, perché la questione non riguarda soltanto pochi grandi geni, ma tra questi e l’uomo comune vi sono innumerevoli manifestazioni intermedie, anzi proprio quest’ultimi mostrano abbastanza spesso le premesse occasionali della riproduzione geniale, apparentemente sovra-empirica, di processi psichici ad essi altrimenti estranei. Questo fatto ci tocca tanto più da vicino, in quanto il genio storico può, a sua volta, soltanto affidare le sue deduzioni a parole le quali possono stimolare e agevolare negli altri i processi che rivestono interesse per lui, ma le quali devono in definitiva lasciarne a loro il compimento. Per non dover considerare del tutto come un miracolo questo grande campo della comprensione di processi psichici che non sono oggetto della propria esperienza, possiamo interpretarla come un processo in cui diventano coscienti certe disposizioni ereditarie latenti. Le generazioni precedenti hanno lasciato in eredità alle successive, in una forma qualsiasi, le modificazioni organiche connesse in modo non ancora spiegato ai loro processi psichici; la smisurata ricchezza, la piccolezza e la reciprocità delle singole parti di questa eredità non pervengono però in generale a una chiara coscienza. Ora, noi chiamiamo genio un uomo in cui questo insieme dato è ordinato in modo così favorevole che la sua riproduzione ha luogo facilmente, in base a stimoli minimi, e perviene in misura sufficiente a una chiara coscienza. In lui si compiono processi psichici quanto mai lontani dalla sua esperienza individuale, perché essi sono immagazzinati nel suo organismo come ricordi della specie ed eccezionalmente in modo che le innumerevoli contro-tendenze e gli innumerevoli offuscamenti che scaturiscono dalla stessa fonte non li escludono dalla coscienza. In base a ciò comprendiamo anche gli occasionali lampi di genio di persone per altri versi non geniali, e la generale possibilità di seguire la comprensione aperta dal genio, se alle disposizioni ereditarie presenti anche in loro vengono assicurati, attraverso la chiara espressione e stimolazione di gruppi affini, gli aiuti psicologici necessari per arrivare alla coscienza. La dottrina mistica di Platone, secondo cui ogni apprendere non è che un ricordare!, assumerebbe così un senso reale. Se riproduciamo in noi uomini da tempo scomparsi con tutta la ricchezza dei loro più intimi impulsi, se il loro carattere formatosi in condizioni completamente estranee, mai viste da noi viene incontro al nostro sguardo emergendo da una tradizione frammentaria, è chiaramente vano voler spiegare questa capacità in base alle esperienze della vita individuale nello stesso modo in cui non si può derivare da questa fonte la conformità allo scopo di movimenti istintivi o la direzione e la correttezza degli impulsi etici. Come il nostro corpo racchiude in sé le acquisizioni di uno sviluppo millenario e conserva ancora immediatamente in organi rudimentali le tracce di epoche precedenti, così il nostro spirito contiene come mostra la più semplice riflessione i risultati e le tracce di processi psichici trascorsi dei più diversi gradi di sviluppo della specie. L'intera misura della nostra comprensione, anche per quegli esseri viventi che si discostano molto dal nostro modo di senti I. Simmel si riferisce qui alla teoria della reminiscenza, esposta nel Fedone. re, può quindi venire dal fatto che l'eredità della specie contiene però, oltre al nostro carattere essenziale, tracce del carattere degli antenati e ci rende così possibile il comprendere vale a dire il compimento dei loro medesimi processi psichici. Il conoscitore geniale di uomini è soltanto l’erede prediletto (per questo aspetto) della specie, e lo storico geniale rappresenta solo un suo rafforzamento. Infatti la comprensione storica è distinta solo per grado dalla comprensione dei personaggi e dei rapporti contemporanei. Anche questi ultimi ci offrono fenomeni esteriori, non mai completi, e dal punto di vista dell’empiria sensibile ogni altro uomo è per noi un automa, ogni sua parola è mero suono, in cui possiamo introdurre un’anima soltanto in base al nostro proprio io. Il processo del conoscere storico è solo quantitativamente differente dal processo del comprendere che noi compiamo sull’esteriorità di tali immagini: esso trova soltanto un materiale molto più incompleto e incoerente, indicazioni ancora più insicure, uno spazio ancora maggiore per le congetture e una necessità più comprensiva. Ma se per tutto ciò dobbiamo rimandare alle oscure disposizioni ereditarie che ci rendono comprensibile anche ciò che non abbiamo vissuto di persona, la scissione tra i presupposti universalmente validi, che applichiamo agli avvenimenti per poterli comprendere, e le interpretazioni soltanto personali, si aggrava straordinariamente. Se la comprensione geniale ma anche ogni altra forma di comprensione dell’accadere storico scaturisce da questa fonte, ai nostri strumenti conoscitivi è del tutto precluso scomporre analiticamente quei presupposti fino ai loro elementi ultimi e ricondurli alle loro fonti; per questi casi dovrà bastare una constatazione e una registrazione di fatto. Se la ricostruzione psicologica del consueto contenuto storico procede con relativa sicurezza e in accordo generale, ciò deriva dal fatto che qui si tratta essenzialmente di interessi c di movimenti di interi gruppi, e che essi costituiscono il fondamento e il punto di arrivo anche delle azioni dei singoli personaggi storici. Questi sono straordinariamente più semplici e univoci delle condizioni individuali. Nel caso di grandi masse si tratta sempre delle basi primarie dell’esistenza, degli interessi generali, grandi e grossi, in cui molti uomini possono incontrarsi e al di sopra dei quali si sollevano solamente le individualizzazioni più sottili e difficili dei moti psichici. Nello stesso modo in cui una collettività non può dissimulare di proposito la sua volontà e il suo pensiero cosa che è invece possibile all'individuo essa non lo fa neppure involontariamente, ma documenta invece le sue tendenze, le sue azioni e reazioni psichiche con la stessa chiarezza delle manifestazioni degli impulsi semplici propri di una massa in quanto tale, contrapposti agli impulsi differenziati di una persona. Proprio per questo motivo le basi psichiche dei movimenti storici diventano ora più comprensibili a chiunque: quanto più è sicuro che in ogni individuo si trovano gli interessi più bassi e primitivi, e quindi ereditati da più lungo tempo, tanto più probabile gliene riuscirà la riproduzione. Dove sono in gioco questioni puramente individuali, la diversità delle individualità impedirà spesso la riproduzione, cioè la comprensione; ma ciò che vogliono gruppi interi e che l’individuo vuole in relazione ad essi è presente con alto grado di sicurezza in ogni individuo, e può quindi essere stimolato. Perciò anche nel conoscere storico si cela la soggettività e la personalità della penetrazione simpatetica, che attribuiamo più facilmente ai processi della personalità singola. Assumendo come oggetto i processi psichico-sociali e penetrandoli simpateticamente, noi non abbiamo l’idea di essere relegati nella nostra soggettività e nell’accidentalità delle sue esperienze interne, ma dobbiamo rappresentarci qualcosa di oggettivo. E tuttavia questo elemento oggettivo è, qui come altrove, soltanto un elemento soggettivo molto generale, e contiene solo sensazioni che sembrano rimosse dalla sfera personale perché nessuna personalità può sottrarsi ad esse. Ma, alla base, anche le sensazioni che portano in luce movimenti sociali (la necessaria sovrae subordinazione nei gruppi, l'unificazione per scopi generali o la divisione in vista dell’utilità individuale, l'elevazione e la trasformazione da parte di idee religiose e politiche) possono essere valutate, anzi constatate, soltanto in virtù di una penetrazione simpatetica di carattere personale. Anche quello che, in movimenti del genere, pensiamo di poter cogliere con le mani, possiamo in realtà coglierlo soltanto con l’anima. La diversità dell’ priori con cui interpretiamo e ordiniamo i fatti storici trova quindi propriamente la sua manifestazione più appariscente in un punto del tutto differente, cioè quando la rappresentazione è diretta da un pregiudizio determinato nel contenuto. Il caso più decisivo è quello in cui una tendenza preesistente assegna alla ricerca il fine a cui deve pervenire, considerandola e presentandola come corretta e compiuta soltanto nel momento in cui vi perviene proprio come si dichiara corretta una qualsiasi ricerca soltanto se soddisfa la legge causale. Se qui prescindiamo dalle falsificazioni coscienti o semi-consapevoli che avvengono per scopi pratici, personali o di partito, soprattutto la difficoltà trattata nella nota di pp. 451-52 aprirà un vasto campo all’a priori tendenzioso. Alcuni elementi particolari di una personalità o di un periodo sono dati; in base ad essi si forma un'immagine della loro totalità e del loro carattere interno; a questo punto nuovi elementi particolari verranno molto facilmente considerati apocrifi se non si adattano a questa immagine già fissata, oppure saranno modificati fin quando non si accordano con essa. La convinzione oggettiva orientata in questo senso riceverà facilmente appoggio dagli interessi dell'animo: quando, per esempio, in certi momenti sorge l’impressione di un carattere grandioso o di elevata eticità, allora subentra un interesse personale per esso che stabilirà in una direzione determinata i presupposti per l’apprendimento di ogni fatto futuro. Anche qui si fa valere il significato psicologico della prima impressione. Come le prime convinzioni della vita trovano ancora sgombro il campo dello spirito e possono stabilirsi in vario modo con una forza che non incontra ostacoli, in modo da decidere dell’accettazione o del rifiuto delle convinzioni future, così lo stesso processo si ripete per il particolare campo e problema del conoscere. Il giudizio ricavato in modo impregiudicato dal primo fenomeno diventa pregiudizio rispetto al secondo, e ogni fenomeno che si presenti successivamente trova davanti a sé una direzione prestabilita dell’intuire e del giudicare, da cui viene abbastanza sovente trascinato senZa opporre resistenza o almeno costretto a un compromesso. È facile scorgere che qui siamo davanti a un problema a due facce: l’una rivolta verso l’aspetto soggettivo, alla forza di gravità del pensiero che tende a mantenerlo nella direzione già presa, cioè nel pregiudizio soggettivo che assume 4 priori il vecchio a criterio del nuovo; l’altra rivolta verso l’aspetto oggettivo, in quanto nelle persone e negli avvenimenti viene presupposta l’unità e la continuità che quella tendenza psicologico-soggettiva sembra rendere possibile e giustificare. La questione della parte rispettiva dell’oggetto e del soggetto nella conoscenza, da Kant limitata in modo inopportuno ai rapporti più generali che sono immodificabilmente comuni a tutti i processi del pensiero, sorge anche di fronte a questi processi specifici del conoscere, diretti da princìpi già molto complessi. Quell’unità caratteriologica sia degli individui che dei gruppi appartiene chiaramente ai presupposti 4 priori di ogni ricerca storica*. Ora, però, questa unità non è qualcosa di formale, non è uno schema generale in base a cui sia possibile determinare in anticipo il rapporto dei suoi contenuti empirici. Un errore profondo è insito nella fede che in base all'unità della personalità umana si possa inferire il suo comportamento necessario secondo a. Attraverso una singolare svolta dell’unità così presupposta viene alla luce il quadro delle manifestazioni di interi gruppi. Soltanto singole voci o singoli accidenti diventano di solito consapevoli in modo esatto; soltanto quando si collocano in un ambito tenuto insieme da interessi o da legami noti per altra via, essi sono manifestazioni dell’insieme di tale ambito. Come dell’individuo sono sempre note soltanto singole manifestazioni, che tuttavia circoscrivono per noi l'insieme della sua personalità, così i sintomi particolari si estendono a partire da un gruppo fino a un movimento psichico caratterizzato in modo determinato del gruppo nella sua totalità. Cito a caso dalla Romische Geschichte di THEoDoR MoMmMSsEN (Berlin, 1854-55): un grido di sdegno attraverso l’Italia intera (vol. II, p. 145); Mario si dimostrò un condottiero che manteneva ? soldati disciplinati e tuttavia di buon animo, guadagnandone al tempo stesso l’amore con un rapporto cameratesco; l'aristocrazia non si dette la minima pena di nascondere la sua rabbia e la sua apprensione; i partiti respirarono (vol. III, p. 193). E da Die Cultur der Renaissance in Italien di Jacos BurcKHarDT (Basel, 1860): con un’ingenuità terrificante Firenze confessa la sua simpatia guelfa per i Francesi (vol. I, p. 89); nei momenti cattivi sorge qua e là la vampa della penitenza medievale, e il popolo impaurito vuole impietosire il cielo con flagellazioni e alte invocazioni di misericordia (vol. II, p. 232). Mentre l’unità dello sviluppo caratteriologico costruisce una successione completa in base a singoli elementi dati, qui si ha la stessa cosa per la loro coesistenza l'uno accanto all'altro. Come là viene presupposta l’anima individuale, qui viene presupposta per così dire l’anima sociale come talmente unitaria che il dato immediato, rna solo frammentario, permette anche di inferire un'eguale costituzione di ciò che non è dato. certe norme e certe conseguenze. Al contrario, osserviamo piuttosto un certo ordine e una certa serie di sviluppo dei fenomeni psichici che li percorre tutti, e l’unità della personalità è solamente un nome che designa la loro connessione di fatto non già una connessione da costruire in modo puramente logi Parlando di questa unità in generale s'intende che le azioni e le rappresentazioni di un uomo sono costituite in modo che noi le comprendiamo come produzioni di un'anima numericamente semplice e immutabile. Ma dal momento che si tratta di una semplice x di cui non possiamo dire nulla di più, l’unità di tale essere significa che possiamo ricondurre l’una all’altra le rappresentazioni dell’uomo e spiegarle reciprocamente. C’è però bisogno di certi princìpi il cui dominio ci rappresenta l’unità della personalità, la quale non può essere percepita immediatamente. Se individuiamo quindi l’unità della personalità nel fatto che quest'uomo, la cui vita è amareggiata da una pesante sventura, vede anche nel mondo che lo circonda soltanto dolore e dissonanze, e se diciamo che si tratta dello stesso elemento per il quale egli teme sempre nuova sventura per sé e rende difficile la vita ai suoi simili, noi conosciamo appunto delle regole psicologiche in base a cui possiamo ricondurre geneticamente tali processi l’uno all’altro. Queste sintesi non sono intelligibili perché siano unitarie, ma le chiamiamo unitarie perché sono intelligibili; e ci appaiono intelligibili perché siamo abituati a osservarle. Perciò non si reca alcun disturbo all'unità della personalità se accanto al proprio dolore si scorge l'aspirazione a rendere felici gli altri, o se accanto ad esso emerge, in certo senso come surrogato, un ottimismo teoretico come spesso accade in uomini fisicamente disgraziati. In un avaro, l’unità della sua personalità ci sembra garantita sia ch’egli non ceda ciò che ha ottenuto in vista di alcuna probabilità futura, sia che lo getti a piene mani non appena speri in un guadagno da usura. I fenomeni considerati in sé e per sé, e in base al loro contenuto, non sono ancora decisivi rispetto al fatto di costituire un’unità, ma sono decisivi soltanto rispetto alla possibilità di scoprire, in base a qualche regola nota, un legame causale tra di essi. Così noi ipotizziamo da un lato un’affinità di contenuto tra le azioni di un individuo, dall’altro una certa dissomiglianza — quando cioè circostanze esterne mutate influenzano il suo agire. E mentre ciò presuppone l’immutabilità del nucleo interno, proprio una trasformazione di questo nucleo rientra nell'immagine di una personalità unitaria quando si prendano in considerazione le diverse età della vita. La conclusione che si trae, in base a certi modi di azione di una persona, in merito alla possibilità o all'impossibilità di altri modi di azione non è una conclusione logica immediata, ma dipende da un'esperienza psicologica reale assunta come premessa maggiore. C’è appena bisogno di accennare all'influenza che tutto questo — e la sua estensione a periodi e a gruppi — esercita sulla costruzione del processo storico, sull’interpretazione dei fatti particolari, sull’integrazione della tradizione e sulla sua critica. Il compito più importante per la filosofia della ricerca storica sarebbe ora quello di determinare le norme particolari che assumiamo — sulla base dell’ unità dei caratteri — come criteri delle tradizioni e come veicoli di rappresentazione; la latitudine entro la quale spieghiamo tuttavia come possibili azioni divergenti; gli sviluppi e le modificazioni che riteniamo ovvie seguendo il principio interno della personalità, e quelle per cui dobbiamo invece cercare una spiegazione nelle circostanze esterne. Vi sono indubbiamente procedure ben precise di questo genere, in base alle quali si agisce, che vengono tacitamente presupposte tra lo storico e il lettore, ma alla cui consapevole constatazione non si è ancora pervenuti. Un problema ancora più profondo si apre poi quando indaghiamo sulla duplicità di motivazione, sopra menzionata, della presupposta unità dei soggetti storici: in quale misura l’esperienza psicologica oggettiva e in quale misura la tendenza soggettiva al rafforzamento della capacità di pensiero e alla semplificazione della conoscenza cooperano nella formazione delle immagini storiche — vale a dire alla formazione che in base ai fatti originariamente dati abbozza uno schema del processo successivo, limitando così la portata della divergenza caratteriologica da ciò che si era stabilito all’inizio. Nel caso dei presupposti più generali con cui elaboriamo il materiale della conoscenza — gli assiomi matematici, le rappresentazioni primarie di sostanza e di forza, la legge causale, i princìpi logici e così via — tale questione può trovare risposte più semplici. L’idealismo deriverà senz'altro questi presupposti dal soggetto, negando qualsiasi partecipazione dell’oggetto e dell’esperienza al loro sorgere. Il realista empirico, al contrario, affermerà proprio per queste rappresentazioni fondamentalissime l’accordo incondizionato con l’oggetto, e la loro fondazione nell’esperienza continua di esso. Una così chiara separazione di principio non è possibile nella nostra questione. Già l’identità generale tra l’anima che indaga e l’anima che è indagata rende probabile che le tendenze più generali della prima trovino un riflesso nella seconda, giustificando quindi la loro assunzione, e che il risultato della ricerca sia determinato nello stesso senso da entrambi i lati. Il realista deve concedere che abbastanza spesso, e in modo abbastanza osservabile anche senza una critica particolare, presupposti e massime soggettive che servono all’unità e alla semplicità del pensiero sono decisivi per l'elaborazione storica. D'altra parte, anche ammettendo le influenze psicologiche di più vasta portata su tale elaborazione, non si potrà negare che, pur con la rinuncia a ogni convinzione monistica che ci si porta dietro, la realtà offre prove sufficienti in favore dell’interpretazione realistica; e in generale, quanto più alti e complicati sono gli ambiti a cui ci solleviamo, tanto più è impossibile separare di un tratto e con un'alternativa netta i loro elementi costitutivi 4 priori e quelli a posteriori. Uno dei compiti più alti della filosofia della storia potrebbe essere però la determinazione dei loro limiti e in particolare della loro azione reciproca, il vicendevole rafforzamento tra il fattore soggettivo e il fattore empirico di quella rappresentazione di un'unità presente negli uomini, negli avvenimenti, nei gruppi e nelle epoche. Queste considerazioni possono essere riassunte nella proposizione: la psicologia è l’4 priori della scienza storica. Il compito della teoria della conoscenza nei suoi confronti è quello di determinare le regole mediante le quali si perviene, in base ai documenti e alle tradizioni esteriori, ai processi psichici, e le regole sufficienti a istituire una connessione intelligibile tra questi ultimi. Se è vero che il conoscere umano si è sviluppato partendo da necessità pratiche, perché la conoscenza del vero è un’arma nella lotta per l’esistenza tanto nei confronti dell’essere extraumano quanto nella concorrenza degli uomini tra di loro, da lungo tempo esso non è però più legato a questa origine, e da semplice mezzo per gli scopi dell'agire è diventato esso stesso uno scopo definitivo. Ciononostante il conoscere, perfino nella forma sovrana della scienza, non ha rotto dappertutto le relazioni con gli interessi della prassi, anche se esse non si presentano ora come meri effetti di quest'ultima, bensì come azioni reciproche dei due domini esistenti ciascuno per diritto autonomo. Infatti non soltanto il conoscere scientifico si presta, nella tecnica, alla realizzazione di fini esteriori della volontà, ma, d’altro lato, dalle situazioni pratiche, interne ed esterne, sorge il bisogno di comprensione teorica; talvolta si manifestano nuove direzioni di pensiero, e con il loro carattere puramente astratto gli interessi di un nuovo modo di sentire e di volere penetrano nella problematica e nelle forme della vita intellettuale. Così le pretese che la scienza sociologica ama far valere costitui scono la prosecuzione e il rispecchiamento teorico della potenza pratica raggiunta nel secolo xtx dalle masse rispetto agli interessi dell'individuo. Il fatto che il senso di importanza e l’attenzione che i ceti inferiori pretendono da quelli superiori sia sostenuto proprio dal concetto di società dipende però dalla * Soziologie: Untersuchungen îiber die Formen der Vergesellschaftung, cap. 1: Das Problem der Soziologie, Leipzig, Verlag von Duncker und Humblot, 1908, Pp. 1-46 (traduzione di Giorgio Giordano, per i Classici della sociologia delle Edizioni di Comunità). circostanza che, in virtù della distanza sociale, i primi si presentano agli altri non nei loro individui, ma soltanto come massa unitaria, c che appunto questa distanza non permette agli uni e agli altri di essere uniti sotto alcun altro aspetto di principio se non quello che essi costituiscono insieme una società . Dal momento che le classi, la cui efficacia risiede non già nell’importanza percepibile dei singoli, bensì nel loro essere società , attiravano su di sé la coscienza teorica in conseguenza dei rapporti di forza pratici il pensiero si accorse a un tratto che ogni fenomeno individuale è determinato in genere da un'infinità di influenze provenienti dalla sua cerchia ambientale umana. E quest’idea acquistò per così dire forza retrospettiva: accanto a quella presente, anche la società passata apparve come la sostanza che costituiva l’esistenza individuale, così come il mare costituisce le onde. Qui parve conquistato il terreno in base alle cui forze diventavano suscettibili di spiegazione le forme particolari nelle quali esso formava gli individui. Questo orientamento di pensiero fu favorito dal relativismo moderno, cioè dalla tendenza a risolvere il singolare e il sostanziale in azioni reciproche; l'individuo era solamente il luogo în cui si collegano dei fili sociali, la personalità era soltanto il modo particolare in cui ciò accade. Una volta raggiunta la coscienza del fatto che ogni agire umano si svolge nell’ambito della società e che nessun agire può sottrarsi alla sua influenza, tutto ciò che non era scienza della natura esterna doveva essere scienza della società. Questa appariva come il territorio onnicomprensivo in cui si trovavano insieme l’etica e la storia della cultura, l'economia politica e la scienza della religione, l’estetica e la demografia, la politica e l’etnologia, poiché gli ‘oggetti di queste scienze si realizzavano nel quadro della società: la scienza dell’uomo si configurava come scienza della società. A_ questa concezione della sociologia come scienza di tutto ciò che è umano in generale contribuì il fatto che essa era una scienza nuova e che di conseguenza verso di essa si affollavano tutti i possibili problemi che non trovavano altrove una sede precisa così come un territorio scoperto da poco diventa sempre, in principio, l’eldorado di esistenze senza patria e sradicate: l’inevitabile indeterminatezza c mancanza di protezione dei confini dànno a ognuno il diritto di insediarvisi. Considerato però più da vicino, questo ammassamento di tutti i precedenti campi del sapere non ne produce affatto uno nuovo. Esso significa soltanto che tutte le scienze storiche, psicologiche, normative vengono versate in un grande calderone al quale viene attaccata l'etichetta di sociologia. In tal modo si sarebbe dunque trovato soltanto un nuovo 707, mentre tutto ciò che esso designa è ià stabilito nel suo contenuto e nei suoi rapporti o viene prodotto nell’ambito dei settori di ricerca precedenti. Il fatto che il pensiero e l’agire umano si svolgano nella società e siano determinati da essa non fa della sociologia la scienza onnicomprensiva di quello, così come non si possono trasformare la chimica, la botanica e l’astronomia in contenuti della psicologia per il fatto che i loro oggetti diventano in definitiva reali soltanto nella coscienza umana e sottostanno ai presupposti di questa. Alla base di questo errore sta un fatto certamente frainteso, ma di per sé molto significativo. L’intuizione che l’uomo è, in tutta la sua essenza e in tutte le sue manifestazioni, determinato dal fatto di vivere in azione reciproca con altri uomini deve certo condurre a una nuova forma di considerazione in tutte le cosiddette scienze dello spirito.” Non è ora più possibile spiegare i fatti storici, nel senso più ampio della parola, cioè i contenuti della cultura, i tipi di economia, le norme della moralità partendo dall’uomo singolo, dal suo intelletto e dai suoi interessi e, dove ciò non riesce, ricorrere subito a cause metafisiche o magiche. Per esempio, a proposito del linguaggio non si è più posti di fronte all’alternativa se esso sia stato inventato da individui geniali oppure dato da Dio agli uomini; nelle forme della religione non c’è più bisogno di distinguere l’invenzione di astuti sacerdoti e la rivelazione immediata, e così via. Piuttosto noi crediamo ora di comprendere i fenomeni storici in base all’agire reciproco e all’agire in comune degli individui, in base alla somma e alla sublimazione di innumerevoli contributi individuali, in base al concretarsi delle energie sociali in formazioni che stanno e si sviluppano di là dell'individuo. La sociologia, nella sua relazione con le scienze esistenti, è quindi un nuovo metodo, uno strumento ausiliario della ricerca, per avvicinarsi ai fenomeni di tutti quei campi in modo nuovo. Con ciò essa non si comporta in maniera essenzialmente diversa da quella in cui si comportava a suo tempo l'induzione, la quale penetrava come nuovo principio di ricerca in tutte le scienze possibili, si acclimatava per così dire in ognuna di esse e l’aiutava a trovare nuove soluzioni nell’ambito dei compiti stabiliti. Ma come l’induzione non costituisce per questo una scienza particolare o addirittura una scienza onnicomprensiva, così non lo diventa, per gli stessi motivi, la sociologia. Nella misura in cui si appoggia alla considerazione che l’uomo dev’essere compreso come essere sociale e che la società è la portatrice di ogni accadere storico, essa non contiene alcun oggetto che non venisse già trattato in una delle scienze esistenti, ma è soltanto una nuova via per tutte queste, un metodo scientifico che non costituisce proprio per la sua applicabilità alla totalità dei problemi una scienza a sé. Ma quale può essere l’ oggetto proprio e nuovo, la cui indagine fa della sociologia una scienza autonoma e dai confini determinati? È ovvio che per questa sua legittimazione quale scienza nuova non occorre la scoperta di un oggetto la cui esistenza fosse prima ignota. Tutto ciò che indichiamo in generale come oggetto è un complesso di determinazioni e di relazioni di cui ciascuna, proiettata su una pluralità di oggetti, può diventare oggetto di una scienza particolare. Ogni scienza poggia su un’astrazione, in quanto considera la totalità di una qualche cosa, che non possiamo afferrare in modo unitario per mezzo di nessuna scienza, secondo uno dei suoi aspetti, cioè dal punto di vista di un determinato concetto. Di fronte alla totalità della cosa e delle cose ogni scienza si sviluppa attraverso la loro scomposizione in base alla divisione del lavoro in qualità e funzioni particolari, dopo che si è trovato un concetto che permette di individuare quest'ultime e di coglierle nel loro ricorrere nelle cose reali secondo connessioni metodiche. Così, per esempio, i fatti linguistici che vengono ora raggruppati a costituire il materiale della linguistica comparativa esistevano già da lungo tempo in fenomeni trattati scientifica mente; ma quella scienza particolare sorse con la scoperta del concetto sotto il quale quei medesimi fenomeni, prima separati nei diversi complessi linguistici, si coordinano in maniera unitaria e vengono regolati da leggi specifiche. Così anche la sociologia come scienza particolare potrebbe trovare il suo oggetto particolare soltanto tracciando una nuova linea attraverso certi fatti che, in quanto tali, sono perfettamente noti; solo che fino ad ora non era diventato operante appunto il concetto il quale consente di riconoscere l’aspetto di questi fatti che cade su uella linea, come l’aspetto comune ad essi tutti e costituente un'unità metodico-scientifica. Di fronte ai fatti quanto mai complicati della società storica, assolutamente non coordinabili sotto un rico punto di vista scientifico, i concetti della politica, dell'economia, della cultura ecc. producono tali serie conoscitive sia collegando certe parti di quei fatti ad esclusione o con il concorso soltanto accidentale degli altri in processi storici singolari, sia individuando i raggruppamenti di elementi che, indipendentemente dal singolo qui e ora, comportano una connessione atemporalmente necessaria. Se deve dunque esserci una sociologia come scienza particolare, occorre pertanto che il concetto di società in quanto tale sottoponga i dati storico-sociali al di là della raccolta estrinseca di quei fenomeni a un nuovo processo di astrazione e di coordinamento, in modo che certe determinazioni degli stessi, prima considerate in altre e molteplici relazioni, vengano riconosciute come reciprocamente connesse e quindi come oggetti di un’uricascienza. Questo punto di vista risulta da un’analisi del concetto di società, che si può designare come distinzione tra forma e contenuto della società sottolineando che qui si tratta propriamente soltanto di un paragone per dare approssimativamente un nome all’antitesi degli elementi da distinguere: quest’antitesi dovrà essere colta direttamente nel suo senso singolare, senza essere pregiudicata da altri significati di questi nomi provvisori. In ciò prendo le mosse dalla rappresentazione più ampia della società, da quella che evita il più possibile la polemica sulla sua definizione: che essa esiste là dove più individui entrano in azione reciproca. Quest’azione reciproca sorge sempre da determinati impulsi o in vista di determinati scopi. Impulsi erotici, religiosi o semplicemente socievoli, scopi di difesa e di attacco, di gioco e di acquisizione, di aiuto e di insegnamento, nonché innumerevoli altri, fanno sì che l’uomo entri con altri in una coesistenza, in un agire l'uno per l’altro, con l’altro e contro l’altro, in una correlazione di situazioni, ossia che eserciti effetti sugli altri e ne subisca dagli altri. Queste azioni reciproche significano che dai portatori individuali di quegli impulsi e scopi occasionali sorge un'unità, cioè appunto una società . Infatti l’unità in senso empirico non è altro che azione reciproca di elementi: un corpo organico è un'unità perché i suoi organi stanno tra loro in uno scambio reciproco di energie più stretto che con qualsiasi essere esterno; uno stato è 470 perché tra i suoi cittadini sussiste il corrispondente rapporto di influenze reciproche; e non potremmo considerare come unitario neppure il mondo se ognuna delle sue parti non influenzasse in qualche modo ogni altra parte, se la reciprocità, comunque mediata, delle influenze fosse eliminata. Quella unità o associazione può presentare gradi molto diversi, secondo il modo e la prossimità dell’azione reciproca dall’effimera riunione per una passeggiata alla famiglia, da tutti i rapporti validi fino alla disdetta all’appartenenza a uno stato, dal fuggevole insieme di una compagnia di albergo all’intima unione di una gilda medievale. Tutto ciò che negli individui, nei luoghi immediatamente concreti di ogni realtà storica è presente come impulso, interesse, scopo, inclinazione, situazione psichica e movimento, in modo che da ciò o in ciò sorga l’azione su altri o la recezione delle loro azioni tutto ciò lo designa come il contenuto, quasi come la materia dell’associazione. In sé e per sé questi materiali di cui è piena la vita, queste motivazioni che la sospingono, non sono ancora di carattere sociale. Né la fame o l’amore, né il lavoro o la religiosità, né la tecnica o le funzioni e i risultati dell’intelligenza costituiscono ancora così come sono dati immediatemente, e secondo il loro senso puro un'associazione: la costituiscono soltanto quando strutturano la coesistenza isolata degli individui uno accanto all’altro in determinate forme di coesistenza con e per l’altro, le quali rientrano sotto il concetto generale dell’azione reciproca. L'associazione è dunque la forma, realizzantesi in innumerevoli modi diversi, in cui gli individui raggiungono insieme un'unità sulla base di quegli interessi sensibili o ideali, momentanei o durevoli, coscienti o inconsci, che spingono in modo causale o che attirano teleologicamente e nell’ambito della quale questi interessi si realizzano. In ogni fenomeno sociale esistente il contenuto e la forma sociale costituiscono una realtà unitaria; una forma sociale non può acquistare un’esistenza scissa da ogni contenuto, così come una forma spaziale non può sussistere senza una materia di cui essa costituisca la forma. Questi sono piuttosto gli elementi, inseparabili nella realtà, di ogni essere e accadere sociale: un interesse, uno scopo, un motivo e una forma o maniera di azione reciproca tra gli individui, mediante la quale o nella cui forma quel contenuto acquista realtà sociale. Ciò che rende appunto tale la società , in ogni senso della parola finora valido, sono evidentemente i modi sopra indicati di azione reciproca. Un dato numero di uomini non diviene società per il fatto che in ognuno di essi sussiste un contenuto vitale determinato oggettivamente o che lo muove individualmente; soltanto quando la vitalità di questi contenuti acquista la forma dell’influenza reciproca, quando ha luogo un’azione di un elemento sull’altro immediatamente o mediata da un terzo elemento la pura e semplice prossimità spaziale o anche la successione temporale degli uomini si traduce in una società. Se deve quindi esserci una scienza il cui oggetto è la società e nient'altro, essa può voler indagare solamente queste azioni reciproche, questi modi e forme di associazione. Infatti tutto ciò che si trova ancora nell’ambito della società , tutto ciò che viene realizzato per mezzo e nel quadro di essa, non è società, ma soltanto un contenuto che assume o viene assunto da questa forma di coesistenza e che soltanto insieme ad essa dà luogo alla formazione reale, che si chiama società nel senso più vasto e usuale. Che questi due elementi inseparabilmente uniti vengano separati nell’astrazione scientifica, che le forme di azione reciproca o di associazione vengano collegate tra loro, concettualmente isolate dai contenuti che soltanto mediante esse diventano sociali, e metodicamente sottoposte a un punto di vista scientifico unitario questo mi sembra fondare l’unica e intera possibilità di una scienza specifica della società in quanto tale. Soltanto con essa i fatti che designamo come realtà storico-sociale sarebbero realmente proiettati sul piano del puro e semplice sociale. Ma per quanto siffatte astrazioni, che dalla complessità o anche dall’unità della realtà producono la scienza, possano essere stimolate dagli intimi bisogni del conoscere, una qualsiasi loro legittimazione deve tuttavia risiedere nella struttura dell’oggettività stessa: infatti soltanto qualche relazione funzionale con la realtà di fatto può mettere al riparo da impostazioni sterili, da un carattere occasionale dell’elaborazione concettuale della scienza. Se un naturalismo ingenuo sbaglia pensando che il dato contenga già le disposizioni analitiche o sintetiche mediante le quali esso diventa contenuto di una scienza, tuttavia le determinazioni che esso effettivamente possiede sono più o meno adatte a quelle disposizioni all’incirca come un ritratto deforma fondamentalmente la figura naturale, eppure l'una si presta meglio dell’altra a questa forma ad essa radicalmente estranea. A ciò si può poi commisurare il migliore o peggiore diritto di quei problemi e metodi scientifici. Così il diritto di sottoporre i fenomeni storico-sociali all’analisi secondo forme e contenuti e di ricondurre i primi a una sintesi si fonderà su due condizioni, le quali possono essere verificate soltanto in base ai fatti. Si deve da un lato trovare che la medesima forma di associazione ricorre con un contenuto del tutto diverso, per scopi completamente differenti, e che, al contrario, il medesimo interesse assume come sue portatrici 0 modi di realizzazione forme completamente diverse di associazione così come le medesime forme geometriche si ritrovano nelle materie più diverse e la medesima materia si configura nelle forme spaziali più diverse, o come avviene tra le forme logiche e i contenuti materiali della conoscenza. Entrambe le cose sono però innegabili in quanto fatti. In gruppi sociali i più diversi che si possano immaginare per i loro scopi e per il loro intero significato, noi troviamo tuttavia i medesimi modi formali di atteggiamento reciproco tra gli individui. Sovra-ordinazione e subordinazione, concorrenza, imitazione, divisione del lavoro, formazione di partiti, rappresentanza, contemporaneità del raggruppamento all’interno e della chiusura verso l’esterno, nonché innumerevoli aspetti simili, si ritrovano in una società statale e in una comunità religiosa, in una banda di congiurati e in una consociazione economica, in una scuola artistica e in una famiglia. Per quanto molteplici possano essere gli interessi dai quali si perviene a queste associazioni, le forme in cui esse si attuano possono tuttavia essere le medesime. E d'altra parte lo stesso interesse può configurarsi in associazioni di forma molto differente: per esempio, l’interesse economico si realizza tanto mediante la concorrenza quanto mediante l’organizzazione pianificata dei produttori, ora attraverso l'esclusione di altri gruppi economici ora attraverso l'aggregazione ad essi; i contenuti della vita religiosa stimolano, rimanendo identici nella sostanza, una forma di comunità ora liberistica ora centralistica; gli interessi che stanno a base delle relazioni tra i sessi si soddisfano nella molteplicità quasi sterminata delle forme di famiglia; l'interesse pedagogico conduce a una forma di rapporto ora liberale ora dispotica tra maestro e allievo, ora ad azioni reciproche individualistiche tra il maestro e il singolo allievo, ora a forme più collettivistiche tra quello e il complesso degli allievi. Come può restare identica la forma nella quale si attuano i contenuti più divergenti, così può rimanere costante la materia mentre la coesistenza degli individui, che ne è portatrice, si muove in una molteplicità di forme. In tal modo i fatti, benché materia e forma costituiscano nella loro concretezza un’unità inscindibile della vita sociale, offrono quella legittimazione del problema sociologico che esige la constatazione, l’ordinamento sistematico, la motivazione psicologica e lo sviluppo storico delle forme pure di associazione. Questo problema è direttamente contrapposto al procedimento secondo il quale sono state finora create le scienze sociali particolari. Infatti la divisione del lavoro tra queste scienze è stata completamente determinata dalla diversità dei contenuti. Economia politica e sistematica delle organizzazioni ecclesiastiche, storia dell’organizzazione scolastica e storia dei costumi, politica e teorie della vita sessuale ecc. si sono divise il campo dei fenomeni sociali in modo tale che una sociologia, la quale voleva comprendere la totalità di questi fenomeni con la loro connessione di forma e contenuto, non poteva risultare nient’altro che un riassunto di quelle scienze. Finché le linee che .tracciamo attraverso la realtà storica per suddividerla in campi di ricerca separati congiungono soltanto quei punti che rivelano i medesimi contenuti di interessi, questa realtà non concede nessun posto a una sociologia particolare. Occorre piuttosto una linea che, attraversando tutte quelle finora tracciate, sciolga il puro fatto dell’associazione, considerato nelle sue molteplici configurazioni, dal suo collegamento con i contenuti più divergenti e lo costituisca come campo particolare. Essa diventa in tal modo una scienza specifica nello stesso senso in cui lo è diventata con tutte le ovvie differenze di metodo e di risultati la teoria della conoscenza, astraendo le categorie o funzioni del conoscere in quanto tali dalla molteplicità delle conoscenze delle cose singole. Essa appartiene al tipo di scienza il cui carattere specialistico non consiste nel fatto che il loro oggetto venga compreso insieme ad altri sotto un concetto complessivo superiore (come la filologia classica e la germanistica, oppure l’ottica e l’acustica), bensì nel fatto di accostare un intero campo di oggetti da un punto di vista particolare. Non il suo oggetto, ma la sua forma di considerazione, la particolare astrazione da essa compiuta, la differenzia dalle altre scienze storico-sociali. Il concetto di società copre due significati che devono essere tenuti rigorosamente distinti nella trattazione scientifica. Essa è da un lato il complesso degli individui associati, il materiale umano formato socialmente, che costituisce l’intera realtà storica. Ma d’altro lato la società è anche la somma di quelle forme di relazione, in virtù delle quali dagli individui sorge appunto la società nel primo senso. Così si definisce sfera sia una materia formata in un determinato modo, sia anche, in senso matematico, la pura e semplice figura o forma in virtù della quale dalla semplice materia sorge la sfera nel primo senso. Quando si parla di scienze della società in quel primo significato, il loro oggetto è tutto ciò che accade nella e con la società; mentre la scienza della società nel secondo senso ha per oggetto le forze, le relazioni e le forme mediante le quali gli uomini si associano, e che costituiscono quindi, nella loro configurazione autonoma, la società sensu strictissimo il che evidentemente non viene alterato dal fatto che il contenuto dell’associazione, le modificazioni specifiche del suo scopo e interesse materiale decidono spesso o sempre della sua formazione specifica. Del tutto errata sarebbe qui l’obiezione che tutte queste forme gerarchie e corporazioni, forme di concorrenza e forme di matrimonio, amicizie e costumi socievoli, forme di potere da parte di una persona o di più persone sono soltanto costellazioni di avvenimenti in società già esistenti: se non esistesse già una società, mancherebbe il presupposto e l’occasione per il sorgere di tali forme. Questa concezione nasce dal fatto che in ogni società a noi nota agisce un gran numero di forme di connessione, cioè di forme di associazione del genere. Se anche una di esse venisse meno, rimarrebbe ancor sempre la società , cosicché di ciascuna può certo sembrare che si aggiunga a una società già compiuta o sorga nell’ambito di essa. Ma se si immagina di eliminare tutte queste forme, non rimane più nessuna società. La società sorge soltanto quanto siffatte relazioni reciproche, suscitate da certi motivi e interessi, diventano operanti. Se la storia e le leggi della formazione complessiva che così si sviluppa sono quindi certamente materia della scienza della società nel senso più ampio, è pur vero che essendosi questa già suddivisa nelle scienze sociali particolari a una sociologia nel senso più stretto, cioè in quello che pone un compito particolare, rimane soltanto più la considerazione delle forme astratte, le quali non tanto producono l’associazione quanto piuttosto soro l’associazione. La società, nel senso che può impiegare la sociologia, è allora o l’astratto concetto generale che designa queste forme, il genere di cui esse sono specie, oppure la loro somma di volta in volta operante. Da questo concetto consegue inoltre che un dato numero di individui può essere società in grado maggiore o minore: a ogni nuovo fiorire di formazioni sintetiche, a ogni costituzione di gruppi di partito, a ogni unificazione in vista di un’opera comune o in comunione di sentimento e di pensiero, a ogni divisione più netta tra servi e padroni, a ogni pasto in comune, a ogni adornarsi per gli altri, lo stesso gruppo diventa appunto più società di quanto lo fosse prima. Non esiste mai società in generale, nel senso che quei particolari fenomeni di connessione si siano formati soltanto presupponendo la sua esistenza; infatti non esiste alcuna azione reciproca in quanto tale, ma particolari modi di essa, con il cui manifestarsi la società esiste e che non sono né la causa né la conseguenza di questa, ma sono immediatamente già essa stessa. Soltanto la sterminata quantità e diversità con cui esse sono in ogni attimo operanti ha conferito al concetto generale di società una realtà storica apparentemente autonoma. Forse in questa ipostasi di una mera astrazione risiede la causa della peculiare nebulosità e insicurezza che hanno circondato tale concetto e le precedenti trattazioni della sociologia generale così come non si è fatta molta strada con il concetto di vita, finché la scienza non lo ha considerato come un fenomeno unitario di realtà immediata. La scienza della vita ha raggiunto un terreno solido soltanto quando sono stati indagati i singoli processi all’interno degli organismi la cui somma o il cui tessuto costituisce la vita, soltanto quando si è riconosciuto che la vita consiste solo in questi processi particolari dentro e tra gli organi e le cellule. Soltanto in questa maniera si può cogliere ciò che nella società è veramente società , così come soltanto la geometria determina che cosa negli oggetti spaziali costituisce realmente la loro spazialità. La sociologia come dottrina dell’essere-società dell’umanità la quale può ancora essere oggetto di scienza sotto innumerevoli altri aspetti sta dunque con le altre scienze speciali nello stesso rapporto in cui la geometria sta con le scienze fisico-chimiche della materia: essa considera la forma mediante la quale la materia si traduce in corpi empirici la forma che certamente di per sé sola esiste soltanto nell’astrazione, proprio come le forme di associazione. Tanto la geometria quanto la sociologia lasciano ad altre scienze l'indagine dei contenuti che si presentano nelle loro forme, o dei fenomeni totali di cui esse considerano la pura e semplice forma. C'è appena bisogno di avvertire che quest’analogia con la geometria non va più in là della chiarificazione che abbiamo qui tentato del problema di principio della sociologia. Soprattutto la geometria ha il vantaggio di trovare già pronte nel suo campo forme estremamente semplici, nelle quali possono essere risolte le figure più complicate; perciò è possibile, partendo da relativamente poche determinazioni fondamentali, costruire l’intero ambito delle figure possibili. Per quanto riguarda le forme di associazione non c'è da aspettarsi, almeno per lungo tempo ancora, una risoluzione anche soltanto approssimativa in elementi semplici. La conseguenza di questo fatto è che le forme sociologiche, se devono avere qualche determinatezza, valgono soltanto per una cerchia relativamente ristretta di fenomeni. Quando si dice per esempio che la sovra-ordinazione e la subordinazione sono una forma presente in quasi ogni associazione umana, con questa conoscenza generale si è fatta poca strada. Occorre piuttosto scendere alle specie particolari di sovra-ordinazione e di subordinazione, alle forme specifiche della loro realizzazione, che perdono allora naturalmente ambito di validità in rapporto alla loro determinatezza. Se l’alternativa che si usa proporre ora a ogni scienza se cioè essa proceda alla scoperta di leggi atemporalmente valide o alla rappresentazione e alla comprensione di processi storicoreali singolari non esclude comunque innumerevoli forme intermedie nell’esercizio effettivo della scienza, il concetto problematico qui stabilito non viene toccato fin dall'inizio dalla necessità di questa scelta. Questo oggetto astratto dalla realtà può essere da un lato considerato sotto il profilo delle relazioni legali che, poste semplicemente nella struttura oggettiva degli elementi, rimangono indifferenti alla loro realizzazione spaziotemporale: esse sono appunto valide, poco importa che le realtà storiche le mettano in azione una o mille volte. D'altra parte quelle forme di associazione possono anche essere considerate nel loro verificarsi in un luogo e in un tempo, nel loro sviluppo storico entro determinati gruppi. La loro determinazione sarebbe, in quest’ultimo caso, uno scopo autonomo per così dire storico, mentre nel primo sarebbe materiale induttivo per la scoperta di rapporti legali atemporali. Sulla concorrenza, per esempio, siamo edotti dai campi più diversi: la politica e l'economia politica, la storia delle religioni e quella dell’arte ce ne presentano innumerevoli esempi. In base a questi fatti si tratta allora di stabilire che cosa significhi la concorrenza come forma pura di atteggiamento umano, in quali circostanze essa sorga, come si sviluppi, quali modificazioni subisca per effetto della specie particolare del suo oggetto, da quali contemporanee determinazioni formali e materiali di una società essa venga potenziata o frenata, come la concorrenza tra gli individui si differenzia da quella tra i gruppi in breve, che cosa essa sia come forma di relazione degli uomini tra loro, la quale può accogliere in sé tutti i contenuti possibili ma, attraverso l’identità del suo manifestarsi nella grande varietà di questi ultimi, dimostra di appartenere a un campo regolato da leggi proprie e legittimato all’astrazione. Nei fenomeni complessi ciò che è uniforme viene messo in evidenza con una specie di sezione trasversale, mentre ciò che in essi è difforme cioè in questo caso gli interessi sostanziali viene d’altra parte paralizzato. In modo corrispondente si deve dunque procedere con tutti i grandi rapporti e le azioni reciproche che formano la società: con la formazione dei partiti, con l'imitazione, con la formazione di classi, di cerchie e di suddivisioni secondarie, con l’incorporarsi delle azioni sociali reciproche in formazioni particolari di carattere oggettivo, personale, ideale, con lo sviluppo e il ruolo delle gerarchie, con la rappresentanza di collettività da parte di singoli, con il significato di un antagonismo comune per la coesione interna del gruppo. A tali problemi principali si aggiungono poi, sostenendo in modo uniforme la determinatezza formale dei gruppi, dei fatti da una parte più specifici e dall’altra più complicati, come per esempio il significato dell’apartitico , quello del povero come elemento organico delle società, quello della determinatezza numerica degli elementi dei gruppi, del primus inter pares e del tertius gaudens. Come procedimenti più complicati si dovrebbero ricordare l’incrociarsi di cerchie molteplici nelle singole personalità, la particolare importanza del segreto nella formazione di cerchie, la modificazione dei caratteri di gruppo a seconda che essi comprendano individui che si trovano insieme localmente oppure individui separati da elementi estranei, nonché innumerevoli altri fenomeni. Con ciò lascio impregiudicata come già si è accennato la questione se nella diversità dei contenuti si presenti un’eguaglianza assoluta delle forme. L'eguaglianza approssimativa che esse mostrano in circostanze materialmente molteplici così come il fenomeno contrario è sufficiente per ritenerlo possibile in linea di principio; nel fatto che ciò non si realizzi completamente si manifesta appunto la differenza tra l’accadere psichico-storico, con le sue fluttuazioni e complicazioni mai interamente razionalizzabili, e la capacità della geometria di separare con assoluta purezza le forme sottoposte al’ suo concetto dalla loro realizzazione nella materia. Si tenga pure presente che questa eguaglianza del modo di azione reciproca in qualsiasi diversità del materiale umano e oggettivo, e viceversa, è anzitutto soltanto uno strumento per compiere e legittimare nei singoli fenomeni complessivi la separazione scientifica di forma e contenuto. Metodologicamente questa sarebbe stata richiesta anche nel caso che le costellazioni di fatto non lasciassero pervenire a quel procedimento induttivo che fa cristallizzare l’eguale rispetto al differente, proprio come l’astrazione geometrica della forma spaziale di un corpo sarebbe legittimata anche qualora questo corpo così formato si presentasse di fatto una sola volta nel mondo. Che ciò implichi una difficoltà di procedimento è innegabile. Si prenda per esempio il fatto che, verso la fine del Medioevo, certi maestri di corporazione erano spinti, a causa dell'estensione delle relazioni commerciali, a un approvvigionamento di materiali, a un impiego di apprendisti, a nuovi mezzi per attrarre i clienti che non si conciliavano più con i vecchi princìpi corporativi secondo i quali ogni maestro doveva avere lo stesso nutrimento dell’altro, e che cercavano per questo di porsi al di fuori della stretta unione prima esistente. Considerato sotto il profilo della forma puramente sociologica, che astrae dal contenuto specifico, ciò vuol dire che l’ampliamento della cerchia con la quale l’individuo è legato in virtù delle sue azioni procede di pari passo con una maggiore configurazione della specificità individuale, con una maggiore libertà e differenziazione reciproca dei singoli. Ma non esiste, a quanto vedo, nessun metodo sicuramente efficace per ricavare questo significato sociologico da quel fatto complesso, realizzato in virtù del suo contenuto. Quale configurazione meramente sociologica, quale particolare rapporto reciproco di individui, facendo astrazione dagli interessi e dagli impulsi che rimangono nell’individuo e dalle condizioni di carattere puramente oggettivo, siano contenuti nel processo storico ciò può essere spiegato rispetto a quest’ultimo in molteplici direzioni; non soltanto, ma i fatti storici che ricoprono la realtà di determinate forme sociologiche possono essere indicati soltanto nella loro totalità materiale, e manca un mezzo per rendere dimostrabile, e attuabile in tutte le circostanze, la loro separazione in un momento materiale e in un momento sociologico-formale. Ci si comporta qui allo stesso modo che con la dimostrazione di una proposizione geometrica sulla base dell’inevitabile accidentalità e rozzezza di una figura disegnata. Ma il matematico può ora contare sul fatto che il concetto della figura geometrica ideale è noto e operante, e viene intimamente considerato come l’unico senso ora essenziale del tratto di gesso o d’inchiostro. Ma qui non si può partire dal presupposto corrispondente, in quanto non si può ricavare logicamente dal fenomeno totale complessivo ciò che è realmente la pura associazione. Occorre qui affrontare il rischio di parlare di procedimento intuitivo per quanto distante esso sia dall’intuizione metafisico-speculativa di una particolare messa a fuoco con la quale si attua quella separazione e che può essere insegnata soltanto adducendo degli esempi, finché essa non sarà colta con metodi esprimibili concettualmente e di sicuro affidamento. Questa difficoltà è accresciuta dal fatto che non soltanto l’impiego del concetto sociologico fondamentale manca di un appiglio indubitabile, ma che anche quando si opera efficacemente con esso, per molti aspetti degli avvenimenti l'inserimento sotto di esso o sotto il concetto della determinatezza di contenuto rimane sovente arbitrario. Si potrà per esempio avere opinioni opposte sulla questione se e fino a qual punto il fenomeno del povero sia di natura sociologica, ossia un risultato dei rapporti formali all’interno di un gruppo, condizionato dalle correnti e dagli spostamenti generali che si producono necessariamente nel confluire degli uomini, oppure se la povertà sia da considerare come una determinazione soltanto materiale di certe esistenze individuali, esclusivamente dall’angolo visuale del contenuto di interesse economico. I fenomeni storici potranno essere considerati, nel loro complesso, da tre punti di vista distinti in linea di principio: da quello delle esistenze individuali che costituiscono i portatori reali delle situazioni; da quello delle forme di azione reciproca formale, che certamente si attuano anche soltanto in esistenze individuali, ma che vengono ora considerate non già sotto il profilo di queste, bensì sotto quello del loro insieme, del loro esistere l’una con e per l’altra; da quello dei contenuti concettualmente formulabili di situazioni e avvenimenti, in presenza dei quali non si indaga in questo caso sui loro portatori o sui loro rapporti, bensì sul loro significato puramente oggettivo l'economia e la tecnica, l’arte e la scienza, le norme giuridiche e i prodotti della vita affettiva. Questi tre punti di vista si intrecciano continuamente, e la necessità metodologica di tenerli distinti si scontra a ogni passo con la difficoltà di ordinare ogni elemento in una serie indipendente dall'altra, e con l'aspirazione a un'immagine complessiva della realtà, comprendente tutte le posizioni. Né si trà mai stabilire per tutti i casi quanto profondamente un elemento, fondante e fondato, penetri nell'altro, con la conseenza che nonostante tutta la chiarezza e precisione metodologica dell’impostazione di principio a stento si potrà evitare l’equivocità: la trattazione del singolo problema sembra rientrare ora nell’una ora nell’altra categoria, e anche nell’ambito di una categoria non sempre può essere delimitata con sicurezza rispetto alla forma di trattazione dell’altra. Del resto spero che la metodologia della sociologia qui proposta risulterà più sicura e forse addirittura più chiara attraverso le analisi dei suoi problemi singoli che non da questa fondazione astratta. Nelle cose dello spirito non è fenomeno tanto raro ma è anzi presente in tutti i campi di problemi più generali e più profondi che ciò che dobbiamo chiamare, con inevitabile paragone, il fondamento non sia così solido come la costruzione eretta al di sopra. Anche la pratica scientifica non potrà fare a meno, particolarmente in campi finora inesplorati, di una certa misura di procedimento istintivo, i cui motivi e le cui norme acquistano soltanto in seguito una coscienza del tutto chiara e un'elaborazione concettuale. E se il lavoro scientifico non può mai adagiarsi completamente su quei modi di procedere ancora indistinti, istintivi, adottati soltanto nella ricerca particolare, esso sarebbe d'altra parte condannato alla sterilità se di fronte a compiti nuovi si volesse porre come condizione già del primo passo una metodologia compiutamente formulata. Nell'ambito del campo di problemi che viene costituito separando le forme di azione reciproca associativa dal fenomeno totale della società alcune parti delle indagini qui proposte si collocano ormai, per così dire, quantitativamente al di là dei a. Considerando l’infinita complicazione della vita sociale, nonché i concetti e metodi delineantisi appunto dalla prima sgrossatura con i quali essa dev'essere padroneggiata spiritualmente, sarebbe una pretesa immodesta voler già ora sperare in una chiarezza di domande e in un’csattezza di risposte che arrivi fino in fondo. Mi sembra più dignitoso fare fin dall’inizio quest'ammissione, poiché in questo modo almeno il primo passo è più netto, piuttosto che mettere in questione, con l'affermazione della conclusione, addirittura gweszo significato di tentativi del genere. compiti altrove riconosciuti come sociologici. Appena si pone la questione delle influenze reciproche tra gli individui, la cui somma produce quella coesione nella società, si rivela immediatamente una serie anzi, per così dire, un mondo di forme di relazione che finora non venivano comprese affatto nella scienza della società, o lo erano senza cogliere la loro importanza fondamentale e vitale. In complesso la sociologia si è propriamente limitata a quei fenomeni sociali nei quali le forze in azione reciproca sono già cristallizzate in base ai loro portatori immediati, per lo meno a costituire unità ideali. Stati e unioni sindacali, gruppi sacerdotali e forme di famiglia, costituzioni economiche ed eserciti, corporazioni e comuni, formazione di classi e divisione del lavoro industriale questi e i grandi organi e sistemi del genere sembrano costituire la società ed esaurire l’ambito della scienza che la riguarda. È ovvio che, quanto più una regione di interessi e una direzione di azione sociale è grande, significativa e dominante, tanto più presto il vivere e l’agire immediato, inter-individuale, si realizzerà in formazioni oggettive, in un'esistenza astratta al di là dei processi particolari e primari. Ma questa osservazione richiede un'integrazione importante in due direzioni. Oltre a quei fenomeni macroscopici, che si impongono da tutte le parti per la loro estensione e per la loro importanza esterna, esiste un numero sterminato di forme di relazione e di modi di azione reciproca tra gli uomini che sono di dimensioni minori e meno appariscenti nei casi particolari, ma che vengono offerti da questi casi particolari in una quantità inestimabile e che, sia pure infiltrandosi tra le formazioni sociali più comprensive, per così dire ufficiali, sono quelli che soli dànno origine alla società quale noi la conosciamo. La limitazione ai primi fenomeni ricorda la scienza primitiva del corpo umano interno, che si limitava ai grandi organi, nettamente delimitati, come il cuore, il fegato, i polmoni, lo stomaco ecc., e trascurava invece gli innumerevoli tessuti, privi di una denominazione popolare o non conosciuti, senza i quali quegli organi più distinti non darebbero mai luogo a un corpo vivente. Con le formazioni della specie sopra indicata, che costituiscono gli oggetti tradizionali della scienza della società, non sarebbe assolutamente possibile comporre la vita reale della società così come si presenta nell’esperienza: GEORG SIMMEL 483 senza l’intervento di innumerevoli sintesi, singolarmente meno comprensive alle quali devono essere in gran parte dedicate queste indagini la vita sociale si sfalderebbe in una molteplicità di sistemi discontinui. Ciò che rende più difficile fissare scientificamente tali forme sociali poco appariscenti, le rende al tempo stesso infinitamente importanti per la più profonda comprensione della società: il fatto cioè che in generale esse non sono ancora consolidate in formazioni stabili, sovra-individuali, ma mostrano la società per così dire allo status nascens naturalmente non nel suo primo inizio assoluto, storicamente imperscrutabile, bensì in quello che si ha ogni giorno e ogni ora. L'associazione tra gli uomini si allaccia, si scioglie e si riallaccia continuamente, come un eterno fluire e pulsare che incatena gli individui, anche quando non perviene a organizzazioni vere e proprie. Qui si tratta quasi di processi microscopico-molecolari all’interno del materiale umano, i quali però costituiscono l’accadere reale che si concatena o si ipostatizza in quelle unità e sistemi macroscopici e stabili. Il fatto che gli uomini si guardano l’un l’altro e che sono reciprocamente gelosi; il fatto che si scrivono lettere o pranzano insieme; il fatto che riescono simpatici o antipatici prescindendo completamente da tutti gli interessi tangibili; il fatto che la gratitudine per la prestazione altruistica produce nel tempo un vincolo indissolubile; il fatto che uno chiede la strada all’altro o si veste e si adorna per l’altro tutte le mille relazioni che si riflettono da persona a persona, momentanee o durevoli, coscienti o inconscie, superficiali o ricche di effetti, da cui questi esempi sono scelti del tutto a caso, ci legano in modo indissolubile. In ogni attimo questi fili vengono filati, vengono lasciati cadere, ripresi di nuovo, sostituiti da altri, intessuti con altri. Qui risiedono le azioni reciproche accessibili soltanto alla microscopia psicologica tra gli atomi della società, che sorreggono tutta la tenacia ed elasticità, tutta la varietà e unitarietà di questa vita così chiara e così enigmatica della società. Si tratta di applicare il principio delle azioni infinitamente numerose e infinitamente piccole anche alla prossimità caratteristica della società, così come si è dimostrato efficace nelle scienze che studiano la successione la geologia, la teoria dello sviluppo biologico, la storia. I passi incommensurabilmente piccoli producono la connessione dell’unità storica, e le azioni reciproche, altrettanto impercettibili, tra persona e persona producono la connessione dell’unità sociale. Soltanto ciò che accade nel dominio dei contatti fisici e spirituali, della causazione reciproca di piacere e di sofferenza, dei discorsi e dei silenzi, degli interessi comuni e antagonistici, soltanto questo costituisce la meravigliosa indissolubilità della società, il fluttuare della sua vita con cui i suoi elementi acquistano, perdono, spostano incessantemente il loro equilibrio. Forse con questo riconoscimento la scienza della società può raggiungere il punto che per la scienza della vita organica ha rappresentato l’inizio della microscopia. Se fino ad allora l'indagine era limitata ai grandi organi corporei, nettamente divisi, le cui differenze di forma e di funzione si presentavano evidenti, soltanto a questo punto il processo vitale si è mostrato nel suo legame con i suoi più piccoli portatori le cellule e nella sua identità con le innumerevoli e incessanti azioni reciproche tra di esse. Soltanto osservando come le cellule si uniscano o si distruggano tra loro, si assimilino o si influenzino chimicamente, è possibile comprendere a poco a poco come il corpo crei la sua forma, la mantenga o la cambi. I grandi organi, nei quali questi fondamentali portatori della vita e le loro azioni reciproche si sono riuniti in formazioni particolari e in funzioni percepibili a livello macroscopico, non avrebbero mai permesso di comprendere la connessione della vita se quegli innumerevoli processi, che si svolgono tra i più piccoli elementi e sono per così dire soltanto riassunti da quelli macroscopici, non si fossero svelati come la vita vera e propria, la vita fondamentale. AI di là di ogni analogia sociologica o metafisica tra le realtà della società e dell'organismo si tratta qui soltanto dell’analogia del metodo di trattazione e del suo sviluppo; della scoperta dei tenui fili, delle relazioni minime tra gli uomini, dalla cui ripetizione continuativa vengono fondate e sorrette tutte quelle grandi formazioni che, diventate oggettive, presentano una storia vera e propria. Questi processi primari, che creano la società dall’immediato materiale individuale, sono quindi da sottoporre a una considerazione formale accanto ai processi e alle formazioni superiori e più complicate; e le particolari azioni reciproche che si offrono in queste misure non del tutto consuete all’analisi teorica devono essere esaminate come forme costitutive della società, come parti dell'associazione in generale. Anzi, a questi tipi di relazione apparentemente privi di importanza sarà opportuno dedicare una considerazione tanto più approfondita quanto più la sociologia è solita trascurarli. Ma proprio con questa svolta le indagini qui progettate sembrano destinate a diventare nient'altro che capitoli della psicologia, in ogni caso della psicologia sociale. Certamente non c’è nessun dubbio che tutti i processi e gli istinti sociali hanno la loro sede nelle anime, che l’associazione è un fenomeno psichico e che nel mondo della realtà corporea non c'è nessuna analogia col suo fatto fondamentale, che cioè una pluralità di elementi si traduce in unità, poiché in esso tutto rimane confinato all’insuperabile esteriorità dello spazio. Qualsiasi accadimento esterno che possiamo indicare come sociale sarebbe un gioco di marionette, non più comprensibile e non più significa tivo dell’ammassarsi delle nuvole o dell’incrociarsi dei rami di un albero, se non fossimo in grado di riconoscere in modo del tutto evidente motivazioni psichiche, sentimenti, pensieri, bisogni non soltanto come portatori di quegli elementi esteriori, ma anche come loro elemento essenziale e come l’unico che propriamente ci interessi. La comprensione causale di ogni accadere sociale sarebbe quindi raggiunta di fatto quando le constatazioni psicologiche e il loro sviluppo permettessero di dedurre completamente questi avvenimenti in conformità a leggi psicologiche per quanto problematico ci appaia questo concetto. E non c'è neppure nessun dubbio che gli aspetti dell’esistenza storico-sociale che noi possiamo cogliere non sono altro che concatenazioni psichiche, che ricostruiamo con una psicologia istintiva o con una psicologia metodica e riduciamo a un’interna plausibilità, al senso di una necessità psichica degli sviluppi in questione. In questo senso ogni storia, ogni analisi di una situazione sociale è un esercizio di sapere psicologico. Tuttavia è della massima importanza metodologica, e addirittura decisivo per i princìpi delle scienze dello spirito in generale, riconoscere che la trattazione scientifica di fatti psichici non ha affatto bisogno di essere psicologia; anche dove facciamo ininterrottamente uso di regole e di conoscenze psicologiche, dove la spiegazione di ogni fatto singolo è possibile soltanto per via  psicologica come nell’ambito della sociologia il senso e l'intenzione di questo procedimento non devono necessariamente sfociare nella psicologia, cioè nella legge del processo psichico, che può portare soltanto un determinato contenuto, ma deve pervenire proprio a questo contenuto e alle sue configurazioni. Abbiamo qui una differenza soltanto di grado rispetto alle scienze della natura esterna che, in quanto fatti della vita spirituale, si svolgono anch'esse in ultima analisi soltanto nell’ambito dello spirito: la scoperta di ogni verità astronomica o chimica, così come la riflessione su di essa, è un avvenimento della coscienza che una psicologia compiuta potrebbe dedurre integralmente soltanto da condizioni e sviluppi psichici. Ma quelle scienze sorgono in quanto assumono come proprio oggetto, in luogo dei processi psichici, i loro contenuti e le loro connessioni, all'incirca come noi consideriamo un dipinto nel suo significato estetico e storico-artistico e non lo deduciamo dalle oscillazioni fisiche che costituiscono i suoi colori, e che naturalmente creano e sorreggono l’intera esistenza reale del dipinto. È sempre na realtà che non possiamo abbracciare scientificamente nella sua immediatezza e totalità, ma che dobbiamo cogliere da una serie di punti di vista separati e configurare quindi in una pluralità di oggetti di scienze tra loro indipendenti. Ciò è necessario anche nei confronti di quegli avvenimenti psichici i cui contenuti non si raccolgono in un mondo spaziale indipendente e non si contrappongono visivamente alla loro realtà psichica. Per esempio le forme e le leggi di una lingua, che pure è certamente formata soltanto da forze dell’anima e per scopi dell'anima, vengono tuttavia trattate da una scienza linguistica che prescinde del tutto da quella realizzazione data del suo oggetto e che lo rappresenta, lo analizza e lo costruisce soltanto nel suo contenuto oggettivo, insieme alle formazioni esistenti soltanto in questo contenuto stesso. Analogamente avviene con'i fatti dell’associazione. Che gli uomini si influenzino l’un l’altro, che uno faccia o subisca qualcosa, che presenti un essere o un divenire, perché altri esistono o si manifestano, agiscono o sentono tutto questo è naturalmente un fenomeno psichico, e la realizzazione storica di ogni singolo caso può essere compresa solamente attraverso una rielaborazione psicologica, attraverso la plausibilità di serie psicologiche, attraverso GEORG SIMMEL 487 l’interpretazione di ciò che è constatabile dall’esterno per mezzo di categorie psicologiche. Ma una particolare intenzione scientifica può trascurare del tutto questo accadere psichico in quanto tale e seguirne, scomporne, metterne in relazione i contenuti così come si coordinano sotto il concetto di associazione. Si osservi per esempio come il rapporto di un individuo più potente con altri più deboli, che ha la forma del primus inter pares, graviti in modo tipico nel senso di tradursi in una posizione di potere assoluto del primo e di escludere a poco a poco gli aspetti di eguaglianza. Benché nella realtà storica questo sia un processo psichico, a noi interessa ora soltanto dal punto di vista sociologico come si dispongano qui i diversi stadi di sovra-ordinazione e di subordinazione, fino a qual punto in una determinata relazione un rapporto di sovra-ordinazione sia compatibile con un rapporto di equiparazione in altre relazioni, e a partire da quale punto di preponderanza esso distrugga completamente quest’ultimo; se la connessione, la possibilità di cooperazione sia maggiore nel primo o nel successivo stadio di tale sviluppo, e così via. Oppure si constata che gli antagonismi raggiungono il massimo accanimento quando sorgono sulla base di una precedente comunanza o appartenenza reciproca che sia ancora in qualche modo sentita, per cui si indica come uno degli odi più feroci quello tra consanguinei. Ciò potrà essere reso comprensibile, anzi descritto, come avvenimento soltanto in termini psicologici. Ma, considerata come formazione sociologica, non interessa la serie psichica che si svolge in ciascuno dei due individui, bensì la sinossi di entrambe sotto la categoria dell’unione e della discordia. Anche se la descrizione singolare o tipica del processo può sempre essere soltanto psicologica, ciò che ora importa è stabilire fino a qual punto il rapporto tra due individui o partiti possa implicare antagonismo e appartenenza reciproca, per lasciare ancora al tutto la colorazione di quest’ultima o dargli quella del primo; quali specie di appartenenza reciproca, sotto forma di ricordo o di istinto insopprimibile, forniscano i mezzi per danneggiare in modo più crudele e più profondamente lesivo di quello possibile nel caso di una precedente estraneità; in breve, come quell’osservazione debba essere presentata quale realizzazione di forme di relazione tra gli uomini, quale particolare combinazione di categorie sociologiche essa rappresenti. Riprendendo un accenno precedente, si può paragonare questo procedimento pur con tutte le differenze alla deduzione geometrica che si compie su una figura disegnata sulla lavagna. Tutto ciò che qui può essere dato e visto sono tratti di gesso riportati fisicamente; ma ciò che noi intendiamo nella trattazione geometrica non sono questi tratti, bensì il loro significato dal punto di vista del concetto geometrico, che è completamente eterogeneo rispetto a quella figura fisica come disposizione di particelle di gesso mentre d'altra parte possono essere inquadrati in categorie scientifiche anche sotto la specie di questa formazione fisica, facendo oggetto di indagini particolari per esempio la loro origine fisiologica o la loro composizione chimica o la loro impressione ottica. I dati della sociologia sono dunque processi psichici, la cui realtà immediata si offre in primo luogo alle categorie psicologiche. Ma queste, pur essendo indispensabili per la descrizione dei fatti, rimangono al di fuori dello scopo dell’osservazione sociologica, il quale consiste piuttosto soltanto nella realtà oggettiva dell’associazione sorretta dai processi psichici e spesso descrivibile solamente per mezzo di questi così come, per esempio, una composizione teatrale contiene dall’inizio alla fine processi psicologici, può essere compresa soltanto psicologicamente, e tuttavia la sua intenzione non risiede in conoscenze psicologiche, bensì nelle sintesi che i contenuti dei processi psichici costituiscono dal punto di vista del tragico, della forma artistica, dei simboli vitali ?. Se la dottrina dell’associazione in quanto tale, distinta da tutte le scienze sociali che sono determinate da un particolare contenuto della vita sociale, è apparsa come l’unica scienza legittimata ad assumere senz'altro il nome di scienza della società, l'importante non sta naturalmente in questa denominazio a. L'introduzione di una nuova forma di considerazione dei fatti deve sostenere i diversi aspetti del suo metodo mediante analogie con campi riconosciuti; ma soltanto il processo forse senza fine in cui il principio determina le sue attuazioni nell’ambito della ricerca concreta, e in cui queste attuazioni legittimano il principio come fecondo, può ripulire tali analogie dagli aspetti in cui la diversità di materia copre l’eguaglianza formale che è ora decisiva. Ma questo processo le libera della loro equivocità soltanto nella misura in cui le rende superflue. ne, bensì nella scoperta di quel nuovo complesso di problemi particolari. La polemica su ciò che significhi propriamente sociologia mi sembra assolutamente priva di rilievo finché verte soltanto sul riconoscimento di questo titolo ad ambiti di problemi già esistenti e trattati. Se invece per indicare questo insieme di compiti si sceglie il titolo di sociologia con la pretesa di coprire completamente ed esclusivamente il concetto di sociologia, ciò dev'essere ancora giustificato nei riguardi di un altro gruppo di problemi che, non meno degli altri, cercano innegabilmente al di là delle scienze della società determinate in base al contenuto di pervenire ad asserzioni sulla società in quanto tale e considerata nel suo complesso. AI pari di ogni altra scienza esatta, rivolta alla comprensione immediata del dato, anche la scienza sociale è delimitata da due campi filosofici. Il primo comprende le condizioni, i concetti fondamentali, i presupposti della ricerca particolare, che non possono trovare sistemazione in questa perché stanno piuttosto già a base di essa; nel secondo questa ricerca particolare viene recata a completamenti e a connessioni e messa in relazione con domande e concetti, che non trovano posto nell’ambito dell'esperienza e del sapere immediatamente oggettivo. Quello è la teoria della conoscenza, questo la metafisica dei campi particolari in questione. La seconda implica propriamente due problemi, che però nell’effettiva trattazione concettuale restano di solito giustamente indivisi: l’insoddisfazione per il carattere frammentario delle conoscenze particolari, per la rapida fine delle constatazioni oggettive e delle serie dimostrative conduce all'integrazione di queste lacune con i mezzi della speculazione; e appunto questi mezzi servono all'esigenza parallela di integrare la mancanza di connessione e la reciproca estraneità di quei frammenti nell'unità di un quadro complessivo. Accanto a questa funzione metafisica, orientata verso il grado del conoscere, un’altra procede verso una diversa dimensione dell’esistenza, nella quale risiede il significato metafisico dei suoi contenuti: noi la esprimiamo come il senso o lo scopo, come la sostanza assoluta tra i fenomeni relativi, o anche come il valore o il significato religioso. Di fronte alla società questa attitudine spirituale suscita domande come questa: la società è lo scopo dell’esistenza umana o un mezzo per l'individuo? non è essa per l’individuo un mezzo, ma al contrario un ostacolo? il suo valore consiste nella sua vita funzionale o nella produzione di uno spirito oggettivo o nelle qualità etiche che essa desta nei singoli? nei tipici stadi di sviluppo delle società si manifesta un “analogia cosmica, in modo tale che le relazioni sociali degli uomini debbano essere inserite in una forma o in un ritmo generale, che di per sé non compare nel fenomeno ma che fonda tutti i fenomeni, e che guida anche le forze dei fatti materiali? può esserci in generale un significato metafisico-religioso di collettività, oppure questo significato è riservato alle anime individuali? Ma queste e innumerevoli domande analoghe non mi sembrano possedere quell’autonomia categoriale, quel caratteristico rapporto tra oggetto e metodo che le legittimerebbe a fondare la sociologia come una scienza nuova, coordinata con quelle esistenti. Tutte queste sono infatti senz'altro domande filosofi che, e il fatto che esse abbiano assunto come loro oggetto la società significa soltanto l’estensione a un campo più vasto di un modo di conoscenza già dato nella sua struttura. Che si riconosca oppure no la filosofia come scienza, la filosofia della società non ha alcun diritto di sottrarsi ai vantaggi o agli svantaggi della sua appartenenza alla filosofia in generale attraverso la costituzione in una particolare scienza sociologica. Non diversamente stanno le cose con i problemi filosofici che non hanno la società come loro presupposto (come nel caso dei precedenti), ma che ricercano invece essi stessi i presupposti della società non già in senso storico, come se si dovesse descrivere il sorgere di una qualche società particolare o le condizioni fisiche e antropologiche sulla cui base può sorgere una società. Né si tratta qui degli stimoli particolari che muovono il loro soggetto quando incontra altri soggetti e i cui modi sono descritti dalla sociologia. Si tratta invece di questo: quando un soggetto siffatto sussiste, quali sono i presupposti della sua coscienza di costituire un essere sociale? In quelle parti considerate di per sé non si ha ancora una società; ma essa è già reale nelle forme di azione reciproca: quali sono dunque le condizioni interne e di principio in base alle quali gli individui forniti di tali stimoli dànno origine alla società in generale, l’a priori che rende possibile e forma la struttura empirica dell'individuo in quanto essere sociale? Come sono possibili non soltanto le formazioni particolari che sorgono empiricamente, e che rientrano nel concetto generale di società, ma la società in generale come forma oggettiva di anime soggettive ? COME È POSSIBILE LA SOCIETÀ? Kant poteva porre e dare una risposta alla questione fondamentale della sua filosofia come è possibile la natura? soltanto perché per lui la natura non era altro che la rappresentazione della natura. Ciò non significa soltanto che il mondo è la mia rappresentazione , e che noi possiamo quindi parlare anche della natura solamente in quanto essa è un contenuto della nostra coscienza; ma significa che ciò che chiamiamo natura è un modo particolare in cui il nostro intelletto raccoglie, ordina, dà forma alle sensazioni. Queste sensazioni date del colorato e del gustabile, dei suoni e delle temperature, delle resistenze e degli odori che attraversano la nostra coscienza nella successione accidentale di un'esperienza vissuta soggettiva, non sono di per sé ancora natura , ma lo diventano attraverso l’attività dello spirito che le compone in oggetti e in serie di oggetti, in sostanze e in proprietà, in collegamenti causali. Così come ci sono dati immediatamente, gli elementi del mondo non posseggono per Kant quella conmessione che sola costituisce l'unità comprensibile, e conforme a leggi della natura, o meglio che significa appunto l’essere-natura di quei frammenti di mondo in sé incoerenti e manifestantisi senza regola. Così l’immagine kantiana del mondo si delinea in un contrappunto quanto mai caratteristico: le nostre impressioni sensibili sono per lui puramente soggettive, poiché dipendono dall’organizzazione fisico-psichica che in altri esseri potrebbe essere diversa e dall’accidentalità dei suoi stimoli, e esse diventano oggetti quando vengono accolte dalle forme del nostro intelletto, configurate da queste in regolarità stabili e in un'immagine coerente della natura j ma d'altra parte quelle sensazioni sono pur sempre il dato reale, il contenuto del mondo da assumere nella sua invariabilità e la garanzia di un 492 GEORG SIMMEL essere indipendente da noi, cosicché ora proprio quelle elaborazioni intellettuali delle sensazioni in forma di oggetti, di connessioni, di regolarità causali appaiono come soggettive, come qualcosa di aggiunto da noi in antitesi a ciò che riceviamo dall’esistenza, come le funzioni dell’intelletto stesso che esse pure immutabili avrebbero con un altro materiale sensibile formato una natura diversa per contenuto. La natura è per Kant un determinato modo di conoscere, un’immagine che si sviluppa attraverso le nostre categorie conoscitive e in esse. La questione: come è possibile la natura? ossia quali sono le condizioni che devono sussistere perché vi sia una natura si risolve quindi per lui mediante la ricerca delle forme che costituiscono l’essenza del nostro intelletto e che in tal modo producono la natura in quanto tale. Si sarebbe tentati di trattare in modo analogo la questione delle condizioni 4 priori in base alle quali è possibile la società. Infatti anche qui sono dati elementi individuali che in certo senso sussistono anch'essi nella loro esteriorità reciproca, al pari delle sensazioni, e raggiungono la loro sintesi nell’unità di una società soltanto attraverso un processo di coscienza che pone l'essere individuale del singolo elemento in relazione con quello dell’altro in determinate forme e secondo determinate regole. Ma la differenza decisiva tra l’unità di una società e l’unità della natura consiste in questo: che la seconda dal punto di vista kantiano qui presupposto sussiste esclusivamente nel soggetto conoscente e viene prodotta esclusivamente da lui sulla base degli elementi sensibili di per sé privi di legame, mentre l’unità sociale viene realizzata senz'altro dai suoi elementi, poiché essi sono coscienti e sinteticamente attivi, e non ha bisogno di alcun osservatore. Il principio kantiano secondo il quale la connessione non può mai risiedere nelle cose, poiché viene posta in essere soltanto dal soggetto, non vale per ia connessione sociale, che di fatto si compie piuttosto immediatamente nelle cose che qui sono le anime individuali. Anch’essa rimane naturalmente, come sintesi, qualcosa di puramente psichico e senza parallelo con le formazioni spaziali e con le loro azioni reciproche. Ma l’unificazione non ha qui bisogno di nessun fattore al di fuori dei suoi elementi, perché ciascuno di questi esercita la funzione che nei confronti del mondo esterno compie l’energia psichica dell'osservatore: la coscienza di costituire con gli altri un’unità è qui effettivamente tutta l’unità in questione. Naturalmente ciò non designa la coscienza astratta del concetto di unità, bensì le innumerevoli relazioni singolari, il sentimento e il sapere di questo determinare e venir determinato nei confronti degli altri, e d’altra parte non esclude affatto che un terzo osservatore compia ancora tra le persone una sintesi fondata soltanto su di lui, al pari che tra gli elementi spaziali. Quale settore dell’essere dato all'intuizione esterna debba essere raccolto in un’unità non risulta dal suo contenuto immediato e semplicemente oggettivo, ma viene determinato dalle categorie del soggetto e in base ai suoi bisogni conoscitivi. La società è invece l’unità oggettiva che non ha bisogno dell'osservatore non compreso in essa. Le cose della natura sono da una parte assai più distanti tra loro che non le anime: l’unità di un uomo con l’altro che è implicita nel comprendere, nell'amore, nell'opera comune non trova alcuna analogia nel mondo spaziale, in cui ogni essere occupa il suo posto che non può dividere con nessun altro. Ma d’altra parte i frammenti dell’essere spaziale si compongono, nella coscienza dell’osservatore, in un’unità che di nuovo non viene raggiunta dall’insieme degli individui. Infatti, dal momento che gli oggetti della sintesi sono qui esseri indipendenti, centri psichici, unità personali, essi si ribellano contro quell’assoluto comporsi nell'anima di un altro soggetto, al quale deve adattarsi il disinteresse delle cose inanimate. Così un gruppo di uomini è un’unità in misura molto superiore realiter, ma idealiter in misura molto inferiore di quanto un tavolo, sedie, un divano, un tappeto e uno specchio non costituiscano l’ammobiliamento di una stanza o di quanto un fiume, un prato, alberi, una casa non costituiscano un paesaggio , o, su un dipinto, un quadro . La società è la mia rappresentazione , ossia poggia sull’attività della coscienza, in un senso del tutto diverso dal mondo esterno. Infatti l’altra anima ha per me appunto la stessa realtà che possiedo io, cioè una realtà che si differenzia molto da quella di una cosa materiale. Per quanto Kant garantisca che gli oggetti spaziali hanno esattamente la medesima sicurezza della mia propria esistenza, con quest’ultima possono essere intesi soltanto i singoli contenuti della mia vita soggettiva: infatti il fondamento del rappresentare in generale, il sentimento dell'io, possiede una incondizionatezza e una incrollabilità che non viene conseguita da nessuna particolare rappresentazione di un oggetto esterno materiale. Ma anche il fatto del tu possiede per noi si possa o no giustificarla questa stessa sicurezza; € come causa o come effetto di questa sicurezza noi sentiamo il tu come qualcosa di indipendente dalla nostra rappresentazione di esso, qualcosa che esiste di per sé esattamente come la nostra propria esistenza. Che questo per-sé dell’altro non ci impedisca tuttavia di farne una nostra rappresentazione, che qualcosa che non si può risolvere affatto nel nostro rappresentare divenga ciononostante contenuto, e quindi anche prodotto di questo rappresentare questo è lo schema e il problema psicologico-gnoseologico più profondo dell’associazione. Entro la nostra coscienza noi distinguiamo molto esattamente tra la fondamentalità dell'io, presupposto di ogni rappresentare, la quale non partecipa alla problematica dei suoi contenuti che non si può mai mettere completamente da parte, e questi contenuti che, col loro andare e venire, con la loro dubitabilità e correggibilità, si presentano come semplici prodotti di quella forza ed esistenza assoluta e ultima del nostro essere psichico. Ma noi dobbiamo trasporre nell’altra anima, anche se in ultima analisi la rappresentiamo pure, appunto queste condizioni, (e) piuttosto questi aspetti incondizionati del nostro io; essa possiede per noi quella misura estrema di realtà che il nostro io possiede di fronte ai suoi contenuti e che siamo sicuri debba spettare anche a quell’altra anima nei confronti dei suoi contenuti. In queste circostanze la questione come sia possibile la società riveste un senso metodologico completamente diverso dalla questione come sia possibile la natura. Infatti alla seconda rispondono le forme conoscitive mediante le quali il soggetto compie la sintesi di elementi dati nella natura , mentre alla prima rispondono invece le condizioni poste 4 priori negli elementi stessi, in virtù delle quali essi si associano realmente nella sintesi società . In certo senso l’intero contenuto di quest'opera, così come si sviluppa in base al principio che abbiamo stabilito, è un inizio di risposta a tale questione. Infatti essa indaga i processi che si compiono in ultima analisi negli individui e che condizionano il loro essere-società non già come cause antecedenti rispetto a questo risultato, bensì come processi parziali della sintesi che noi chiamiamo riassuntivamente società. Ma la questione dev'essere intesa anche in un senso più fondamentale. Ho detto che la funzione di attuare l’unità sintetica, che nei confronti della natura riposa sul soggetto osservatore, nei confronti della società sarebbe passata appunto agli elementi di questa. La coscienza di costituire una società non è presente all'individuo in maniera astratta, ma ognuno sa pur sempre che l’altro è legato a lui, per quanto questo sapere dell’altro come associato, questo conoscere tutto il complesso come società si attui di solito soltanto in particolari contenuti concreti. Ma forse le cose qui non stanno diversamente che nel caso dell’ unità del conoscere , secondo la quale noi procediamo nei processi della coscienza coordinando un contenuto concreto con l’altro, senza tuttavia averne una coscienza distinta se non in rare e tardive astrazioni. La questione è dunque la seguente: qual è in linea del tutto generale e 4 priori il fondamento, quali presupposti devono agire affinché i particolari processi concreti della coscienza individuale siano realmente processi di socializzazione, quali elementi in essi contenuti permettono che la loro funzione sia, in termini astratti, quella di costruire un’unità sociale in base agli individui? Le apriorità sociologiche avranno lo stesso doppio significato di quelle che rendono possibile la matura: da una parte esse determineranno, in maniera più compiuta o più difettosa, i processi reali di associazione; d’altra parte esse costituiscono i presupposti ideali e logici della società perfetta, anche se forse mai realizzata in questa perfezione così come la legge causale da un lato vive e opera negli effettivi processi della conoscenza e dall'altro costituisce la forma della verità in quanto sistema ideale di conoscenze compiute, indipendentemente dal fatto che questa venga realizzata attraverso tale dinamica psichica temporale e relativamente accidentale oppure no, e indipendentemente dalla maggiore o minore approssimazione della verità realmente presente nella coscienza alla verità idealmente valida. È una pura questione di titolo se l'indagine di queste condizioni del processo di socializzazione debba essere definita gnoseologica oppure no, poiché la formazione che ne deriva, e che è regolata dalle sue forme, non consiste in conoscenze, bensì in processi e stati esistenziali pratici. Ma ciò che qui intendo, e che dev'essere esaminato dal punto di vista delle sue condizioni come il concetto generale di associazione, è qualcosa di conoscitivo: la coscienza di associarsi o di essere associati. Forse lo si definirebbe meglio un sapere che non un conoscere. Infatti il soggetto non sta qui di fronte a un oggetto di cui esso acquisti gradualmente un'immagine teorica, ma la coscienza dell’associazione è immediatamente il suo sostegno o il suo intimo significato. Si tratta dei processi dell’azione reciproca, i quali per l'individuo significano il fatto non astratto, ma tuttavia suscettibile di espressione astratta di essere associato. Quali forme debbano stare a base di essi, ossia quali categorie specifiche l’uomo debba per così dire recare con sé affinché sorga questa coscienza, quali siano perciò le forme che la coscienza così sorta la società come un fatto di sapere deve sorreggere, tutto ciò può ben essere chiamato la teoria della conoscenza della società. Cercherò qui di delineare come esempio di una tale indagine alcune di queste condizioni o forme 2 priori dell’associazione, le quali non possono certamente essere designate con ur4 sola parola come le categorie kantiane. I. L'immagine che un uomo si fa di un altro in base al contatto personale è condizionata da certi spostamenti che non sono semplici illusioni dovute a un'esperienza incompiuta, a deficiente acutezza della vista, a pregiudizi simpatici o antipatici, ma sono modificazioni di principio della costituzione dell’oggetto reale. E queste si muovono anzitutto in due dimensioni. Noi vediamo l’altro in qualche misura generalizzato, forse perché non ci è dato di rappresentare pienamente in noi un’individualità divergente dalla nostra. Ogni riproduzione di un'anima è condizionata dalla somiglianza con essa, e sebbene questa non sia assolutamente l’unica condizione del conoscere psichico poiché appare necessaria da un lato una contemporanea diseguaglianza, per poter acquistare distanza e oggettività, dall’altro una capacità intellettuale che rimane al di là dell’eguaglianza o diseguaglianza dell'essere tuttavia il conoscere perfetto presupporrebbe un’eguaglianza perfetta. Sembra che ogni uomo abbia in sé un punto di individualità più profondo che non può essere internamente riprodotto da nessun altro uomo nel quale questo punto sia qualitativamente divergente. E il fatto che questa esigenza non sia conciliabile, già sotto il profilo logico, con quella distanza e valutazione oggettiva sulle quali poggia inoltre la rappresentazione dell’altro, dimostra soltanto che ci è negato il sapere perfetto intorno all’individualità dell’altro; e tutti i rapporti degli uomini tra loro sono condizionati dal diverso grado di questo difetto. Quale che sia la sua causa, la conseguenza è però in ogni caso una generalizzazione dell'immagine psichica dell’altro, uno sfumare dei contorni che aggiunge all’unicità di questa immagine una relazione con altre. Noi rappresentiamo ogni uomo con particolari conseguenze per il nostro rapporto pratico con lui come il tipo di uomo al quale la sua individualità lo fa appartenere; lo pensiamo, insieme a tutta la sua singolarità, sotto una categoria generale che certamente non lo ricopre del tutto e che egli non ricopre del tutto, e in virtù di tale determinazione questo rapporto si differenzia dal rapporto tra il concetto generale e il particolare che in esso rientra. Per conoscere l’uomo noi non lo vediamo nella sua pura individualità, ma lo vediamo sorretto, elevato o anche abbassato dal tipo generale al quale lo assegniamo. Anche quando questa trasformazione è così impercettibile che non possiamo più riconoscerla immediatamente, anche quando vengono meno tutti i consueti concetti caratterologici morale o immorale, libero o vincolato, signorile o servile ecc. noi denominiamo internamente l’uomo secondo un tipo tacito col quale il suo puro essere per sé non coincide. E ciò conduce ancora un gradino più in giù. Proprio in base alla piena unicità di una personalità noi ci formiamo un'immagine di essa che non è identica alla sua realtà, ma che tuttavia non è un tipo generale, ma è piuttosto l’immagine che egli mostrerebbe se fosse per così dire interamente se stesso, se realizzasse, in senso buono o cattivo, la possibilità ideale insita in ogni uomo. Noi siamo tutti frammenti non soltanto dell’uomo in generale, ma anche di noi stessi. Noi siamo tutti abbozzi non soltanto del tipo uomo in generale, non soltanto del tipo del buono e del cattivo e simili, ma siamo abbozzi anche di quella individualità e unicità di noi stessi non più denominabile in linea di principio la quale circonda, quasi disegnata con linee ideali, la nostra realtà percepibile. Lo sguardo dell’altro integra però questo materiale frammentario in quel che noi non siamo mai puramente e interamente. Egli non può vedere soltanto uno accanto all’altro i frammenti che sono realmente dati, ma come noi completiamo la macchia cieca nel nostro campo visivo in modo tale che non si è coscienti di essa, così da questo materiale frammentario perveniamo alla compiutezza della sua individualità. La prassi della vita ci spinge a formare l’immagine dell’uomo soltanto in base ai frammenti reali che conosciamo empiricamente di lui; ma essa poggia appunto su quelle modificazioni e integrazioni, sulla trasformazione di quei frammenti dati nella generalità di un tipo e nella compiutezza della personalità ideale. Questo procedimento di principio, anche se in realtà raramente attuato fino alla perfezione, opera nell’ambito della società già esistente come l’a priori delle ulteriori azioni reciproche che si sviluppano tra gli individui. Entro una cerhia legata da una qualche comunanza di professione o di interessi ogni membro vede l’altro non già in modo puramente empirico, ma in base a un 4 priori che questa cerchia impone a ogni coscienza che ne faccia parte. Nelle cerchie degli ufficiali, dei fedeli di una chiesa, dei funzionari, dei dotti, dei familiari ognuno vede l’altro partendo dall’ovvio presupposto che egli è un membro della sua cerchia. Dalla base di vita comune scaturiscono certe supposizioni attraverso le quali ci si guarda reciprocamente come attraverso un velo. Certamente questo non soltanto nasconde il carattere specifico della personalità, ma le conferisce una nuova forma, fondendosi con la sua consistenza individuale-reale in una formazione unitaria. Noi vediamo l’altro non già semplicemente come individuo, bensì come collega o camerata o compagno di partito, in breve come coabitatore del medesimo mondo particolare; e questo presupposto inevitabile, che opera in modo del tutto automatico, è uno dei mezzi per portare la sua personalità e la sua realtà nella rappresentazione dell’altro alla qualità e alla forma richiesta dalla sua sociabilità. Ciò vale evidentemente per il rapporto tra appartenenti a cerchie diverse. Il borghese che fa la conoscenza di un ufficiale non può affatto liberarsi dal pensiero che questo individuo è un ufficiale; e per quanto l’essere ufficiale possa far parte di questa individualità, non ne fa però parte nell’identica forma schematica in cui, nella rappresentazione dell’altro, ne pregiudica l’immagine. E così accade al Protestante di fronte al Cattolico, al commerciante di fronte al funzionario, al laico di fronte al sacerdote, e così via. Ovunque abbiamo qui offuscamenti del profilo della realtà ad opera della generalizzazione sociale, i quali ne precludono in linea di principio la scoperta nell’ambito di una società socialmente assai differenziata. Così l’uomo incontra nella rappresentazione dell’uomo spostamenti, sottrazioni e integrazioni poiché la generalizzazione è sempre, nel medesimo tempo, più o meno dell’individualità rispetto a tutte queste categorie operanti 4 priori: rispetto al suo tipo come uomo, all’idea del suo proprio compimento, alla collettività sociale a cui egli appartiene. Su tutto ciò aleggia come principio euristico del conoscere l’idea della sua determinatezza reale, assolutamente individuale. Ma mentre sembra che l'acquisizione di questa determinatezza conduca a una relazione correttamente fondata con lui, di fatto quelle modificazioni e formazioni nuove che ostacolano la sua conoscenza ideale sono proprio le condizioni in virtù delle quali diventano possibili le relazioni, che sole conosciamo come sociali, all’incirca come in Kant le categorie dell'intelletto, che formano i dati immediati in oggetti del tutto nuovi, rendono esse soltanto conoscibile il mondo dato. II. Un’altra categoria sotto la quale i soggetti guardano se stessi e si guardano reciprocamente, in modo da poter produrre così formati la società empirica, può venir formulata con la proposizione apparentemente banale che ogni elemento di un gruppo non è soltanto parte di una società, ma è inoltre ancora qualcosa. Ciò opera come 4 priori sociale nella misura in cui la parte dell’individuo che non è rivolta alla società o non si risolve in essa mon se ne sta semplicemente priva di relazione accanto alla sua parte socialmente significativa, cioè non è soltanto un corpo estraneo alla società a cui questa, volente o nolente, fa posto. Il fatto che l’individuo non sia per certi aspetti elemento della società costituisce la condizione positiva della possibilità di esserlo con altri aspetti del suo essere: il modo del suo essere-associato è determinato o condeterminato dal modo del suo non-essere-associato. Dalle indagini seguenti risulteranno alcuni tipi il cui significato sociologico è fissato, addirittura nel suo nucleo e nella sua essenza, dal fatto che essi sono in qualche modo esclusi dalla società per la quale la loro esistenza è significativa: così avviene nel caso dello straniero, del nemico, del criminale, perfino del povero. Ma ciò non vale soltanto per questi caratteri generali, ma anche, in innumerevoli modificazioni, per qualsiasi fenomeno individuale. Il fatto che ogni momento ci trovi circondati da relazioni con uomini e che il suo contenuto ne sia determinato direttamente o indirettamente non parla affatto in senso contrario; l’inserimento sociale in quanto tale riguarda appunto esseri che non sono completamente abbracciati da esso. Del funzionario sappiamo che non è soltanto funzionario, del commerciante che non è soltanto commerciante, dell’ufficiale che non è soltanto ufficiale; e questo essere extra-sociale, il suo temperamento e il precipitato dei suoi destini, i suoi interessi e il valore della sua personalità, per quanto poco possano modificare la sostanza delle attività compiute quale funzionario, commerciante, militare, gli conferiscono tuttavia ogni volta per chiunque gli stia di fronte una determinata zuance e intrecciano nella sua immagine sociale imponderabili elementi extra-sociali. L'intero sistema di rapporti degli uomini nell’ambito delle categorie sociali sarebbe diverso se ognuno si presentasse all’altro soltanto come quel che è nella sua categoria, come portatore del ruolo sociale che proprio ora gli spetta. Certamente gli individui, al pari delle professioni e delle situazioni sociali, si differenziano secondo la misura di quell’inoltre che essi possiedono o ammettono insieme con il loro contenuto sociale. Un polo di questa serie è costituito per esempio dall'uomo nei rapporti di amore o di amicizia. Qui ciò che l’individuo riserva per sé, al di là degli sviluppi e delle attività rivolte all’altro, può avvicinarsi quantitativamente al valore-limite zero; siamo in presenza di un’unica vita, che può essere considerata o viene vissuta per così dire da due lati per un verso dal lato interno, dal terminus a quo del soggetto, e poi anche, come vita del tutto immutata, nella direzione dell’individuo amato, sotto la categoria del suo termi nus ad quem, che essa accoglie senza residuo. Sotto una tendenza del tutto diversa il sacerdote cattolico presenta un fenomeno formalmente identico, nel senso che la sua funzione ecclesiastica ricopre e ingloba completamente il suo essere-per-sé individuale. Nel primo di questi casi estremi l’ inoltre dell’attività sociologica scompare, perché il suo contenuto si è risolto completamente nel rivolgersi all'individuo che gli sta di fronte, nel secondo perché il tipo corrispondente di contenuti è scomparso in linea di principio. Il polo opposto è offerto per esempio dai fenomeni della cultura moderna determinata dall’economia monetaria, nella quale l'uomo come produttore, compratore o venditore, e in generale come soggetto di una prestazione, si avvicina all’ideale dell’oggettività assoluta. Prescindendo dalle posizioni elevate, di carattere direttivo, la vita individuale e cioè il tono della personalità complessiva è scomparso dalla prestazione; gli uomini sono soltanto i portatori di un equilibrio di prestazione e contro-prestazione regolato secondo norme oggettive, e tutto ciò che non fa parte di questa pura oggettività è anche di fatto sparito da essa. L’inoltre ha assorbito completamente in sé la personalità con la sua colorazione particolare, la sua irrazionalità, la sua vita interiore, lasciando a quelle attività sociali nettamente separate soltanto le energie ad esse specifiche. Gli individui sociali si muovono sempre tra questi estremi, in modo tale che le energie e le determinatezze rivolte al centro interno mostrano un qualche significato per le attività e il modo di sentire validi per l’altro. Infatti nel caso-limite perfino la coscienza che quest'attività o questo stato d’animo sociale sia qualcosa di separato dal resto dell’uomo e 707 entri, con ciò che egli è e significa altrimenti, nella relazione sociologica, ha un'influenza del tutto positiva sull’atteggiamento che il soggetto assume di fronte agli altri e che gli altri assumono di fronte ad esso. L’a priori della vita sociale empirica è il fatto che la vita non è del tutto sociale; noi formiamo le nostre relazioni reciproche non soltanto con la riserva negativa di una parte della nostra personalità che non entra in esse, e questa parte influisce sui processi sociali nell'anima non soltanto mediante connessioni psicologiche generali, ma proprio il fatto formale che essa sta al di fuori di tali processi determina il modo di questa influenza. Il fatto che le società siano formazioni derivanti da esseri che stanno allo stesso tempo dentro e fuori di esse è anche alla base di una delle più importanti formazioni sociologiche: quella, cioè, per cui tra una società e i suoi individui può sussistere anzi forse, in modo più aperto o più latente, sussiste sempre un rapporto simile a quello tra due partiti. In tal modo la società produce forse la più cosciente, almeno la più generale configurazione di una forma fondamentale della vita in genere: il fatto che l’anima individuale non può mai stare in una connessione senza stare contemporaneamente al di fuori di essa, che non è mai inserita in un ordinamento senza trovarsi nel medesimo tempo contrapposta ad esso. Ciò va dalle connessioni trascendenti e generalissime fino alle più singolari e accidentali. L'uomo religioso si sente completamente circondato dall’essere divino, come se fosse soltanto un battito della vita divina, e la sua propria sostanza è data senza riserve, anzi in una mistica indistinzione con quella dell’assoluto. Eppure, per dare anche soltanto un senso a questa fusione, egli deve conservare un qualche essere autonomo, un termine personale a lui contrapposto, un io separato per il quale la risoluzione in questo essere divino onnicomprensivo rappresenta un compito infinito, un processo che non sarebbe né metafisicamente possibile né religiosamente percepibile se non partisse da un essere per sé del soggetto: l’essere-uno con Dio è condizionato nel suo significato dall’essere-altro rispetto a Dio. AI di là di questo innalzamento nel trascendente la relazione che lo spirito umano rivendica, attraverso tutta la sua storia, con la natura come un tutto rivela la medesima forma. Noi ci sappiamo da un lato inseriti nella natura, come uno dei suoi prodotti che sta da eguale tra eguali accanto a qualsiasi altro, come un punto che le sue materie ed energie raggiungono e abbandonano, nello stesso modo in cui circolano attraverso l’acqua corrente e la pianta in fiore. E tuttavia l’anima ha il sentimento di un essere-per-sé indipendente da tutti questi intrecci e da queste relazioni, che si designa col concetto così malsicuro sotto il profilo logico di libertà, il quale offre a tutto questo meccanismo, di cui noi siamo pur tuttavia un elemento, un termine contrapposto e un ripagamento che culmina nel radicalismo per il quale la natura viene considerata soltanto una rappresentazione presente nelle anime umane. Come però qui la natura, con tutta la sua propria innegabile legalità e con la sua dura realtà, è pur sempre inclusa nell’io, così d’altra parte questo io, con tutta la sua libertà e il suo essere per sé, con la sua antitesi nei confronti della mera natura, è pur sempre un elemento di essa. La connessione usurpatrice della natura è appunto tale che essa comprende questo essere autonomo, anzi spesso ostile ad essa, e che ciò che nel suo più profondo sentimento vitale sta al di fuori dev'essere invece un suo elemento. Questa formula vale egualmente per il rapporto tra gli individui e le singole cerchie dei loro legami sociali, oppure se questi vengono riassunti nel concetto o nel sentimento di essere associati in generale per il rapporto tra gli individui in quanto tale. Noi ci sappiamo da una parte prodotti della società: la serie fisiologica degli antenati, i loro adattamenti e le loro fissazioni, le tradizioni del loro lavoro, del loro sapere e delle loro credenze, l’intero spirito del passato cristallizzato in forme oggettive determinano le disposizioni e i contenuti della nostra vita, cosicché può sorgere la questione se l'individuo sia qualcosa di diverso da un recipiente nel quale si mescolano in misura variabile elementi preesistenti. Infatti, anche se questi elementi fossero in ultima analisi prodotti dagli individui, il contributo di ognuno sarebbe una grandezza infinitesimale, e soltanto mediante il loro riunirsi in specie e in società si produrrebbero i fattori nella cui sintesi consisterebbe poi di nuovo l’individualità che si può specificare. D'altra parte noi ci sappiamo membri della società, intessuti con il nostro processo vitale, con il suo senso e il suo scopo in modo tanto poco indipendente nella sua prossimità come nella sua successione. Come non possediamo un essere per noi in quanto esseri naturali, perché la circolazione degli elementi naturali pervade tanto noi quanto formazioni completamente prive di un io, e l'eguaglianza di fronte alle leggi naturali risolve senza residui la nostra esistenza in un mero esempio della loro necessità, così in quanto esseri sociali non viviamo intorno a un centro autonomo, ma siamo in ogni attimo composti dalle relazioni reciproche con gli altri; e in tal modo siamo comparabili con la sostanza corporea, che per noi sussiste soltanto più come somma di molteplici impressioni sensibili, ma non come esistenza di per sé. Noi sentiamo però che questa diffusione sociale non risolve completamente la nostra personalità. Non si tratta soltanto delle riserve già avanzate, di particolari contenuti il cui senso e il cui sviluppo risiedono 4 priori solamente nell'anima individuale e non trovano assolutamente posto nella connessione sociale; non si tratta soltanto della formazione dei contenuti sociali, la cui unità come anima individuale non ha essa stessa carattere sociale, così come la forma artistica nella quale confluiscono le macchie di colore sulla tela non è derivabile dall’essenza chimica dei colori. Si tratta, in primo luogo, del fatto che l’intero contenuto della vita, per quanto possa essere completamente spiegato in base agli antecedenti sociali e alle relazioni reciproche, dev'essere contemporaneamente considerato sotto la categoria della vita individuale, come esperienza vissuta dell’individuo e interamente orientata verso di esso. L'uno e l’altro elemento non sono che categorie diverse sotto le quali ricade lo stesso contenuto, proprio come la medesima pianta può essere vista ora nelle condizioni biologiche del suo sviluppo, ora nella sua utilizzabilità pratica, o ancora sotto il profilo del suo significato estetico. Il punto di vista dal quale l’esistenza dell’individuo viene ordinata e compresa può essere scelto tanto all’interno quanto all’esterno di esso; la totalità della vita, con tutti i suoi contenuti socialmente derivabili, può essere tanto concepita come il destino centripeto del suo portatore, quanto valere con tutte le sue parti riservate all’individuo come prodotto ed elemento della vita sociale. Il fatto dell’associazione colloca dunque l’individuo nella duplice posizione dalla quale sono partito: egli è compreso in essa e contemporaneamente si contrappone ad essa, è un elemento del suo organismo e al tempo stesso è un tutto organico concluso, è un essere per essa e un essere per sé. Ma l’aspetto essenziale e il senso del particolare 4 priori sociologico che si fonda su tale fatto è che tra individuo e società l’interno e l'esterno non costituiscono due determinazioni sussistenti l’una accanto all’altra benché si possano occasionalmente sviluppare anche in questo modo, fino all’ostilità reciproca ma definiscono la posizione del tutto unitaria dell’uomo che vive socialmente. La sua esistenza non è soltanto parzialmente sociale e parzialmente individuale in una divisione di contenuti; ma si colloca sotto la categoria fondamentale, formativa, non ulteriormente riducibile di una unità che non possiamo esprimere altrimenti che mediante la sintesi o la contemporaneità delle due determinazioni logicamente contrapposte dell'essere membro della società e dell’essere per sé, dell’essere prodotto e compreso dalla società e del vivere in base al proprio centro e per il proprio centro. La società non consiste soltanto come è risultato sopra di esseri che in parte non sono associati, ma anche di esseri che si sentono da una parte esistenze completamente sociali, e dall’altra, conservando lo stesso contenuto, completamente personali. E questi non sono due punti di vista che coesistano privi di relazione, come quando si considera per esempio lo stesso corpo sotto il profilo ora del suo peso, ora del suo colore, ma costituiscono insieme l’unità che chiamiamo essere sociale, la categoria sintetica nello stesso modo in cui il concetto di causazione è un'unità 4 priori, anche se include entrambi gli elementi, del tutto differenti per il loro contenuto, del causante e del causato. Il fatto che abbiamo a disposizione questa formazione, questa capacità di produrre sulla base di esseri ognuno dei quali può sentirsi come ferminus a quo e terminus ad quem dei suoi sviluppi, dei suoi destini e delle sue qualità un concetto di società che fa leva proprio su tali elementi, e di concepire quest’ultimo come terminus a quo e terminus ad quem di quelle vitalità e determinatezze esistenziali, costituisce un 4 priori della società empirica, e rende possibile la sua forma quale la conosciamo. La società è una formazione composta da elementi diseguali. Infatti anche dove tendenze democratiche o socialistiche programmano o parzialmente raggiungono un’ eguaglianza , si tratta sempre soltanto di un’eguaglianza di valore delle persone, delle prestazioni, delle posizioni, mentre un’eguaglianza di qualità, di contenuti vitali e di destini tra gli uomini non può neppure venir presa in considerazione. E dove d'altra parte una popolazione ridotta in schiavitù costituisce soltanto una massa come nei grandi regimi dispotici orientali quest’eguaglianza riguarda sempre solamente certi aspetti dell’esistenza, per esempio quelli politici o economici, ma mai la sua totalità, in quanto le sue qualità congenite, le sue relazioni personali, i suoi destini vissuti avranno inevitabilmente una specie di unicità e di insostituibilità non soltanto per il lato interno della vita, ma anche per le sue relazioni reciproche con altre esistenze. Se ci si rappresenta la società come uno schema puramente oggettivo, essa sì rivela quale ordinamento di contenuti e di prestazioni che stanno in una relazione reciproca per spazio, tempo, concetti, valori, permettendo così di prescindere dalla personalità, dalla forma dell'io che sostiene la loro dinamica. Se quella diseguaglianza di elementi fa apparire ogni prestazione o qualità nell’ambito di questo ordine come caratterizzata individualmente, come inequivocabilmente fissata al suo posto, la società si configura come un cosmo la cui molteplicità è sì sterminata nel suo essere e nel suo movimento, ma in cui ogni punto può essere costituito e svilupparsi soltanto in quel determinato modo, se la struttura del tutto non dev'essere mutata. Ciò che è stato detto della costruzione del mondo in generale che nessun granello di sabbia potrebbe essere formato e collocato diversamente da com'è, senza che questo abbia come presupposto e come conseguenza una modificazione dell'intera esistenza vale anche per la costruzione della società, considerata come un intreccio di fenomeni qualitativamente determinati. Quest'immagine della società in generale trova un’analogia (come in una miniatura, infinitamente semplificata e per così dire stilizzata) in una struttura di funzionari che consiste, in quanto tale, in un determinato ordine di posizioni , in una predeterminatezza di funzioni che, staccate dai loro portatori, dànno luogo a una connessione ideale; nell’ambito di questa ogni nuovo individuo che entra a farne parte trova un posto inequivocabilmente determinato, che lo ha per così dire aspettato e al quale le sue energie devono adattarsi armonicamente. Naturalmente ciò che qui è fissazione consapevole e sistematica di contenuti di prestazioni è, nella totalità della società, un inestricabile intreccio di funzioni; le posizioni al suo interno non sono date da una volontà costruttiva, ma si possono cogliere soltanto attraverso l’attività creativa e l’esperienza vissuta degli individui. E nonostante questa enorme differenza, nonostante tutto ciò che di irrazionale, di imperfetto, di riprovevole dal punto di vista del valore la società storica presenta, la sua struttura fenomenologica vale a dire la somma e il rapporto del modo di esistenza e delle prestazioni offerte da ogni elemento sotto il profilo oggettivo-sociale rimane un ordine fatto di elementi ciascuno dei quali occupa un posto individualmente determinato, una coordinazione di funzioni e di centri di funzioni dotate di senso, anche se non sempre di valore, oggettivamente e nel loro significato sociale; mentre l’elemento puramente personale, l'elemento internamente produttivo, gli impulsi e i riflessi dell’io vero e proprio restano completamente fuori considerazione. Ossia, in altri termini, la vita della società scorre non già psicologicamente, bensì fenomenologicamente, considerata puramente sotto il profilo dei suoi contenuti sociali in quanto tali come se ogni elemento fosse predestinato alla sua posizione in questa totalità; con tutta la disarmonia rispetto alle istanze ideali essa scorre come se tutti i suoi elementi stessero in un rapporto unitario che fa dipendere ciascuno, proprio perché esso è questo particolare elemento, da tutti gli altri e tutti gli altri da questo. Ciò permette di scorgere l’a priori del quale dobbiamo ora parlare, e che per l’individuo significa un fondamento e la possibilità di appartenere a una società. Che ogni individuo sia di per sé orientato dalla sua qualità verso una determinata posizione nell’ambito del suo miliew sociale; che questa posizione che idealmente gli appartiene sia anche realmente presente nel complesso sociale questo è il presupposto in base al quale l'individuo vive la sua vita sociale e che si può definire come il valore di universalità inerente all’individualità. Esso è indipendente dalla sua elaborazione in una chiara coscienza concettuale, ma anche dalla sua realizzazione nel corso della vita reale così come l’apriorità della legge causale quale presupposto formativo del conoscere è indipendente dal fatto che la coscienza la formuli in concetti distinti e che la realtà psicologica proceda sempre in conformità ad essa oppure no. La nostra vita conoscitiva poggia sul presupposto di un’armonia prestabilita tra le nostre energie spirituali, anche se ancora individuali, e l’esistenza esteriore, oggettiva: infatti questa rimane sempre l’espressione di un fenomeno immediato, non importa se si possa poi ricondurla metafisicamente o psicologicamente alla produzione dell’esistenza ad opera dell'intelletto stesso. Parimenti la vita sociale in quanto tale poggia sul presupposto di una fondamentale armonia tra l’individuo e il complesso sociale, anche se ciò non impedisce le crasse dissonanze tra la vita etica e la vita eudemonistica. Se la realtà sociale fosse conformata senza ostacoli e senza difetti in base a questo presupposto di principio, noi avremmo la società perfetta di nuovo non nel senso di una perfezione etica o eudemonistica, ma nel senso di una perfezione concettuale: per così dire non la società perfetta, ma la perfetta società. Finché l’individuo non realizza o non trova realizzato questo 4 priori della sua esistenza sociale vale a dire la penetrante correlazione del suo essere individuale con le cerchie circostanti, la necessità integrante per la vita del tutto della sua particolarità determinata dalla vita personale interiore fino ad allora egli non è associato, e la società non è quell’attività reciproca priva di lacune che il suo concetto enuncia. Questo comportamento acquista una consapevole accentuazione con la categoria della professione. L’antichità non ha conosciuto questo concetto nel senso di una differenziazione personale e di una società articolata in base alla divisione del lavoro. Ma anche nell’antichità sussisteva il fenomeno che ne costituisce il fondamento: che l’agire socialmente efficace è l’espressione unitaria della qualificazione interiore, che l’aspetto totale e permanente della soggettività si oggettiva praticamente in virtù delle sue funzioni nella società. Soltanto che questa relazione si attuava in un contenuto generalmente più uniforme; il suo principio emerge nell’osservazione aristotelica che alcuni sono destinati per la loro natura al SovAzbew, altri al Seorétew. A un grado più elevato di elaborazione il concetto presenta la struttura caratteristica per cui da una parte la società produce e offre in sé una posizione che è si differenziata da altre per contenuto e contorni, ma che può in linea di principio essere occupata da molti ed è quindi per così dire qualcosa di anonimo; e dall’altra parte questa posizione, nonostante il suo carattere di generalità, viene assunta dall’individuo in base a una chiamata interiore, a una qualificazione sentita come del tutto personale. Affinché esista in generale una professione deve sussistere quell’armonia comunque essa sia sorta tra la costruzione e il processo vitale della società, da un lato, e le qualità e gli impulsi individuali, dall'altro. Su questo presupposto generale si fonda in ultima analisi l’idea che per ogni personalità vi sia, nell’ambito della società, una posizione e funzione alla quale essa è chiamata , e l'imperativo di cercare finché la si trova. La società empirica diventa possibile soltanto mediante questo 4 priori che culmina nel concetto di professione, e che certamente al pari di quelli finora trattati non può essere designato con una semplice parola d’ordine, come consentono di fare le categorie kantiane. I processi di coscienza con i quali l’associazione si compie l’unità a partire dai molti, la determinazione reciproca degli individui, il significato reciproco degli individui per la totalità degli altri e di questa totalità per l’individuo hanno luogo in base a questo presupposto di principio, non già astrattamente consapevole ma che si esprime nella realtà della prassi: il presupposto secondo cui l’individualità del singolo trova un posto nella struttura dell’universalità, anzi che questa struttura, nonostante l’aspetto imprevedibile dell’individualità, è rivolta in certa misura a questa e alla sua funzione. La connessione causale che intesse ciascun elemento sociale nell’essere e nell’agire di ogni altro, dando così luogo alla rete esteriore della società, si trasforma in una connessione teleologica non appena la si considera dal punto di vista dei portatori individuali, di coloro che la producono, i quali si sentono come io e il cui atteggiamento cresce sul terreno della personalità che è per sé e si determina da sé. Il fatto che quella totalità fenomenica si adatta allo scopo di queste individualità che quasi le si fanno incontro dall’esterno, che offre al processo vitale di queste, determinato dall’interno, il luogo in cui la sua particolarità diventa un elemento necessario nella vita del tutto tutto ciò, assunto come categoria fondamentale, conferisce alla coscienza dell’individuo la forma che lo designa come elemento sociale. È una questione abbastanza oziosa se le indagini sulla teoria della conoscenza della società, che dovevano essere esemplifica te da questi abbozzi, rientrino nella filosofia sociale o non già addirittura nella sociologia. Ammettendo pure che esse costituiscano una zona di confine tra i due metodi, la sicurezza del DI problema sociologico quale è stato tratteggiato avanti e la delimitazione nei confronti della problematica filosofica non ne soffrono più di quanto la determinatezza dei concetti di giorno e di notte non soffra del fatto che esiste un crepuscolo, o quella dei concetti di uomo e di animale non soffra del fatto che forse si possono trovare gradi intermedi che riuniscono le caratteristiche di entrambi in maniera per noi concettualmente non separabile. Quando il problema sociologico si rivolge all’astrazione di ciò che nel complesso fenomeno che chiamiamo vita sociale è realmente soltanto società, vale a dire associazione; quando esso elimina dalla purezza di questo concetto tutto ciò che viene sì realizzato storicamente soltanto entro la società, ma non costituisce la società come tale, come forma singolare e autonoma di esistenza allora viene individuato un nucleo di compiti assolutamente inequivocabile; e pur potendo accadere che la periferia di questa cerchia di problemi entri, temporaneamente o durevolmente, in contatto con altre cerchie, che la delimitazione dei confini diventi dubbia, non per questo il centro rimane meno saldo al suo posto. Passo ora a mostrare la fecondità di questo concetto e problema centrale in indagini particolari. Lungi dalla pretesa di esaurire il numero delle forme di azione reciproca che costituiscono la società, esse mostrano soltanto la via che potrebbe condurre all’isolamento scientifico dell’intero ambito della società dalla totalità della vita; cioè si propongono di mostrarla compiendo i primi passi su tale cammino. La relazione di uno spirito con un altro, che noi definiamo comprendere, costituisce un avvenimento fondamentale della vita umana, la cui recettività e attività propria è unificante in un modo non più scomponibile, ma che è soltanto oggetto di esperienza vissuta. Nell’esame del comprendere in generale è incluso l'esame del comprendere propriamente storico. Infatti, nello stesso modo in cui tutte le nostre produzioni ideali, puramente spirituali, trovano i loro abbozzi frammentari in quelle forme e in quei modi di procedere che lo spirito ha sviluppato per esigenze pratiche e per i progressi della vita, così anche la storia scientifica si è preformata in maniera indicativa nelle formazioni e nei metodi con cui la prassi si costruisce le immagini del passato come condizioni della vita che avanza. Ma dal momento che senza di ciò è del tutto impensabile ogni passo della vita, sorretto dalla coscienza del passato, qui non si tratta del caos sterminato e senza forma dell’intera materia ricordata o tramandata della vita; al contrario, già la sua valutazione pratica è condizionata dalla sua scomposizione e dalla sua sintesi, dall'ordinamento in concetti e in serie, dall’attribuzione e dallo spostamento di accento, da interpretazioni e da integrazioni. Così diverse categorie teoretiche funzionano qui in vista di un interesse non teoretico, continuamente incorporate nelle con * Vom WWesen des historischen Verstehens, Geschichtliche Abende in Zentralinstitut fur Erziehung und Unterricht , 5, Berlin, E. S. Mittler und Sohn, 1918, poi raccolto in Briicke und Tiir: Essays der Philosophen zur Geschichte, Religion, Kunst und Gesellschaft (a cura di M. Landmann, in collaborazione con M. Susman), Stuttgart, Kochler Verlag, 1957, pp. 59-85 (traduzione di Sandro Barbera e Pietro Rossi). nessioni della vita al pari di qualsiasi coordinamento di movimenti, di qualsiasi impulso o riflesso. La storia come scienza sorge non appena quelle categorie che elaborano il materiale della vita in un'immagine spiritualmente intuibile, logicamente fornita di senso e quindi in primo luogo suscettibile di applica zione pratica, si svincolano da questa subordinazione a uno scopo € costituiscono autonomamente, in base a un interesse teoretico libero da legami, in una nuova completezza e con un nuovo valore specifico, le immagini della vita passata. Come noi siamo sempre, per così dire, storici embrionali di noi stessi, così d'altra parte noi completiamo e assolutizziamo in quanto storici scientifici gli orientamenti e le elaborazioni della vita pre-scientifica. Sulla base di questo rapporto reciproco del tutto generale l’analisi della comprensione storica appare condizionata dall’esame del modo in cui può accadere che un uomo ne comprenda un altro. Infatti, per quanto differenti possano essere i punti di partenza e le vie, l’interesse e il materiale, la comprensione di Paolo e di Luigi XIV è alla fine essenzialmente identica a quella di un uomo che conosciamo personalmente. La struttura di ogni comprendere è una sintesi intima di due elementi inizialmente separati. Ciò che è dato è un fenomeno fattuale, che in quanto tale non è ancora compreso. Da parte del soggetto a cui questo fenomeno è dato si aggiunge un secondo elemento, emergente in modo immediato da questo soggetto, oppure da esso assunto ed elaborato il pensiero comprendente, che penetra per così dire il fenomeno dato e ne fa qualcosa di compreso. Questo secondo elemento psichico è talvolta cosciente di per sé, talvolta rintracciabile soltanto nel suo effetto, vale a dire, appunto, in ciò che ora viene compreso. Tale rapporto fondamentale trova tre configurazioni tipiche, che trapassano tutte dalla loro più o meno grande realizzazione in forma pre-scientifica alla metodica della storia scientifica. In primo luogo si tratta di comprendere i fenomeni e le azioni di un individuo che sono dati ai sensi esterni in modo tale che essi siano motivati psichicamente, cioè in questo caso di comprendere gli avvenimenti psichici attraverso queste manifestazioni sensibili che li accompagnano. A prima vista l’altro uomo è per noi una somma di impressioni esterne. Noi lo vediamo, lo tocchiamo, lo udiamo; ma che dietro tutto ciò viva un’anima, che tutti questi elementi esterni abbiano un significato psichico, un aspetto interno che non si esaurisce nella loro immagine sensibile in breve, che l’altro non sia una marionetta, ma qualcosa di comprensibile interiormente ciò non è dato in eguale misura, ma rimane sempre una congettura non suscettibile di essere provata in modo assoluto. E come l’individuo deve comunicare l’essere animato all’altro, anziché sentirlo come una concretezza cogente, ossia come un’impressione sensibile, la stessa cosa avviene naturalmente anche in relazione ai contenuti psichici particolari. Ciò che quello vuole e pensa e sente, noi non possiamo vederlo: tutto quanto si vede è solamente un ponte e un simbolo per stimolare e guidare il soggetto alla creazione costruttiva di ciò che può accadere nell’anima dell’altro. Ulteriore conseguenza di ciò è il fatto che ogni sapere relativo a questi processi dell’altro, ogni loro comprensione, rappresenta una trasposizione di avvenimenti interni vissuti dal soggetto stesso: ogni sentimento, il sorgere di rappresentazioni sulla base di rappresentazioni passate, il dominio degli impulsi da parte dell’intero ambito di idee tutto ciò deve prima avvenire in me per poter essere imputato all’altro. Da dove, se non dalla mia anima, dovrei infatti prendere il materiale per la conoscenza e la comprensione degli altri, che non si presentano davanti a me in modo leggibile? E in ciò sta manifestamente anche il problema fondamentale del comprendere propriamente storico. Se già posso comprendere l’uomo che si offre ai miei occhi e alle mie orecchie solamente in quanto lo fornisco, al di là di tutto ciò che ho visto e udito, dei contenuti della mia anima, un uomo da lungo tempo passato del quale ci sono tramandate soltanto azioni oggettive, manifestazioni frammentarie, tracce oggettive della sua esistenza sarebbe per me un semplice complesso di elementi esterni non compresi qualora non collocassi dietro tutto ciò situazioni e movimenti psichici, il cui senso e la cui connessione non possono venirmi se non dalle esperienze della mia propria interiorità. La comprensione della persona storica presupporrebbe quindi, per quanto essa sia per altri versi diversa da me, un'identità essenziale tra noi due rispetto ai punti da comprendere. Mi richiamo a quest’apparente inevitabilità, per la quale si offrono come prove alcune osservazioni. L'esperienza sembra indicare che chi non ha mai amato o odiato non comprende chi ama o chi odia, che la sobrietà dell’uomo pratico non comprende il comportamento dell’idealista sognatore e viceversa, che il flemmatico non comprende le connessioni di idee del sanguigno e viceversa. Così lo storico pedantesco, adatto ai rapporti piccolo-borghesi, non comprenderà mai le manifestazioni della vita di Mirabeau o di Napoleone, di Goethe o di Nietzsche, per quanto visibili e chiare esse siano. L’assenza di speranza con cui la comprensione dell'Europa si pone dinanzi all'anima orientale viene comprovata dai conoscitori di cose orientali in modo tanto più netto quanto più profonde e ampie sono le loro esperienze. Meno imperativo ma ritengo non meno fondato è il dubbio se l’uomo moderno comprenda nella loro reale interiorità l’Ateniese delle guerre persiane, il monaco medievale o anche solamente la società di corte dipinta da Watteau. Non parlo qui della mancanza o dell’equivocità delle fonti, ma di un’impossibilità di comprensione a cui non può essere di aiuto la quantità e il contenuto dei documenti, poiché la costituzione del soggetto non fornisce quella reazione all’oggetto che costituisce il comprendere. Sarebbe tuttavia avventata la conclusione che alla base della comprensione sta l’identità tra soggetto e oggetto. Se si osservano un po’ più da vicino quei fatti, risulterà che essi sono esclusivamente di carattere negativo, ossia che una certa misura di diseguaglianza sostanziale impedisce certo la comprensione; ma da ciò non discende affatto che l’identità la produca positivamente. Sarebbe un errore eguale al voler concludere, sulla base di un disturbo psichico provocato da determinate lesioni cerebrali, che questo punto della corteccia cerebrale abbia prodotto il processo di coscienza in questione nella sua normalità. Il mutamento o l’assenza di una tra le varie complicate condizioni, più o meno prossime, dei processi organici e in particolare di quelli psichici basta spesso a determinare una completa deviazione, senza che per questo essa possa valere come loro causa positiva. Si potrà soltanto dire che una certa misura di diversità psichica è di ostacolo alla comprensione di date manifestazioni. Che però questa sia prodotta dall’identità di essenza è tanto meno dimostrato quanto più vediamo infinite volte che i fraintendimenti peggiori sorgono proprio tra uomini maggiormente simili per disposizione naturale. Il presupposto logico del presunto condizionamento del comprendere da parte dell’identità di essenza è che le qualità psichiche presenti nell'altro debbano essere inferite soltanto in base a certi simboli e indizi esterni. Anche questo è a prima vista plausibile. Quando il bambino ha un dolore, sente se stesso gridare; in base a questo, e soltanto in base a questo, può inferire che un altro, che egli sente gridare, prova dolore come lui, e così via. Contro la generalizzazione di questa ipotesi voglio addurre però una sola obiezione, puramente empirica. Una delle percezioni che ci rivelano nel modo più univoco e impressionante la costituzione psichica di un altro è Io sguardo del suo occhio; ma proprio per questo ci manca ogni analogia tratta dalla percezione di noi stessi. Chi non è attore e non ha studiato davanti allo specchio l’espressione degli occhi di collera e di tenerezza, di languore e di estasi, di spavento e di desiderio non ha quasi mai occasione di osservarla in se stesso. Qui non può quindi sussistere nessuna associazione tra la propria esperienza interna e la propria percezione esterna, tale che l'inferenza dalla percezione esterna di un altro all’interpretazione dell’interiorità altrui possa configurarsi come un richiamo a tale associazione. Quest’unico fatto mi sembra costituire una prova sufficiente che la propria esperienza interna-esterna non può fornire la chiave per penetrare l’esperienza esterna-interna di altri. Di un'esperienza del genere c’è però bisogno se non altro per l’infelice separazione dell’uomo in corpo e anima, la quale riserva al corpo di per sé preso una percezione concreta che si presuppone soltanto fisico-esteriore, mentre per la constatazione dell'elemento psichico ha bisogno di quella trasposizione mediata da rapporti di associazione dell’esperienza soggettiva interna negli altri, cioè di un atto che è tanto complicato (anzi mistico) quanto insufficiente per la funzione che da esso si pretende. Piuttosto, io sono convinto che noi percepiamo l'uomo intero e che soltanto in virtù di un’astrazione successiva ne percepiamo la corporeità isolata proprio come anche nel soggetto percipiente non è l’occhio anatomicamente isolato che vede, ma è l’uomo intero, la cui vita complessiva è come canalizzata dal singolo organo di senso. Questa percezione dell'esistenza totale può essere oscura e frammentaria, suscettibile di perfezionamento mediante la riflessione e l’esperienza personale e stimolata dai particolari, sfumata secondo il grado di capacità e finora non localizzabile in un organo determinato essa è il modo fondamentalmente unitario in cui l’uomo agisce sull’uomo, è l'impressione complessiva non ben analizzabile intellettualmente, la conoscenza prima e per lo più decisiva degli altri, anche se ancora aperta a molti completamenti. E come la comprensione storica in generale è soltanto un modo del comprendere identico nel tempo, e del tutto attuale, così la creazione o il discorso, l’azione o l'influenza a noi tramandati dall'uomo del passato lo contengono realmente, in linea di principio, e lo presentano alla nostra altrettanto indivisa facoltà recettiva; ogni elemento particolare che l’uomo offre è una pars pro toto. Certamente nella realtà storica gli stimoli sono più scarsi, la via per ottenere l’immagine compiuta è più lunga e tortuosa, il risultato è più incompleto e problematico. In definitiva, però, nella misura in cui viene raggiunta, l’immagine della personalità storica e del suo comportamento sta dinanzi a noi come quella di un uomo conosciuto di persona, accessibile e còlto nelle sue determinazioni particolari e nel loro legame causale, senza essere in alcun modo un calco delle nostre proprie qualità o delle nostre esperienze vissute. E se, anche soltanto per giungere alla sua constatazione, vi fosse bisogno di una trasposizione dei fatti psichici dalla loro sede propria, non per questo sarebbe in alcun modo data la comprensione di questi fatti. Quantosovente ci troviamo infatti del tutto incapaci di comprendere di fronte al nostro proprio passato, quanto sovente l’uomo maturo non capisce più azioni e sentimenti della sua gioventù, quanto di appena sentito e voluto dobbiamo accettare come fatto muto della nostra esistenza senza comprendere come abbia potuto sorgere dalle sue condizioni e dal nostro carattere, anzi senza comprendere che cosa sig nifica nel suo senso autentico! Qui l'oggetto della volontà di comprensione è certamente dato nella propria esperienza, e niente può dimostrare in modo più decisivo che la presunta trasposizione della propria esperienza interna non rappresenta la via alla comprensione della personalità storica. Può darsi che si colga soltanto lo spirito al quale in qualche modo si somiglia: può darsi che le azioni di un essere vivente su Sirio ci risultino magari intelligibili ma per il fatto di assomigliare in modo essenziale a uno spirito, non lo si coglie ancora. Al modo di pensare greco con il suo solido sostanzialismo, con la sua aderenza alla sicurezza plastica della forma e la sua immediata forza di convinzione, corrispondeva il principio che si può conoscere soltanto il simile con il simile . Ciò appare però un dogma ingenuamente meccanicistico come se la rappresentazione del comprendere e il suo oggetto fossero due grandezze da far coincidere, mentre in questo modo si fa straordinariamente violenza ai fatti. Nessuno potrà infatti negare di saper cogliere in altri dei sentimenti che non ha provato egli stesso, di comprendere nodi del destino interiore che non ha mai vissuto, di rappresentarsi impulsi della volontà che siano completamente estranei alla sua volontà. Non si può mettere in disparte questa difficoltà, a cui va incontro la concezione della propria esperienza come presunta condizione del comprendere, concedendo che naturalmente il processo psichico vissuto in sé non coincide precisamente con quello vissuto da un altro, e che si devono apportare in esso alcune trasformazioni, diversità di tono, certi mutamenti quantitativi e qualitativi. Infatti, se si concepisce la differenza tra i due processi come una differenza poco importante o solo formale, essa non risulta più facile da superare; e dove starebbe poi il criterio che consente di giudicarla oggettivamente più grande o più piccola? Il principio per cui noi comprendiamo negli altri solo ciò che abbiamo esperito in noi stessi può solamente valere o non valere; ed esso viene infranto dal più insignificante contenuto psichico, che sappiamo presente nell'anima altrui senza che si sia presentato nella nostra, così come dal più esteso. Ciò che trascina in queste difficoltà l’intera teoria è il realismo, che pretende di assumere nel conoscere le cose come esse sono realmente . La propria esperienza vissuta è in base al suo stesso concetto realtà immediata, e solamente quando l’esperienza vissuta dell’altra anima può essere rappresentata in identità con essa questo ingenuo modo di pensare crede di essere certo in virtù dell'identità dei fenomeni esterni anche del processo veramente avvenuto nell’altro. Dal fatto che posso certo rappresentare l’esperienza vissuta altrui si inferisce, del tutto erroneamente, che io devo rappresentarmela come rappresento la mia nello stesso modo in cui i teorici dell'etica dell’egoismo inferiscono, in base al fatto che sono il soggetto della mia volontà, che devo esserne anche l'oggetto; e si giunge a questa conclusione perché soltanto la propria esperienza vissuta si presenta come realtà piena, mentre non si può essere certi di quella altrui, se non in virtù di una possibile trasposizione da quella a questa o considerandola come questa. Anche nella teoria della penetrazione simpatetica dei miei processi interiori negli altri dovrei sapere in anticipo quale parte delle mie esperienze vissute devo delegare a tale missione; ma così viene già presupposta l’intuizione del processo esterno che dovevo invece ottenere per questa via. Ritengo piuttosto che l’incorporazione della propria anima nell’altro, per percepirlo come animato, costituisca una trasposizione del tutto indimostrata da esperienze di altra specie a questo fenomeno non comparabile; ritengo cioè che il tu sia piuttosto un fenomeno originario allo stesso titolo dell’io, e che la teoria della proiezione valga per il tu tanto poco quanto vale per le cose date nello spazio. Le cose non sono compiute una volta per tutte nella nostra testa, e poi proiettate con un procedimento misterioso in un spazio pronto a riceverle come si trasloca con i propri mobili in un appartamento vuoto; riconoscere questo spazio costituirebbe pur sempre un problema non minore del riconoscere in anticipo tale oggetto come oggetto spaziale. Piuttosto, se per una volta poniamo la questione partendo dal soggetto, la spazialità dell’oggetto è un modo o forma originaria dell’intuire. In questo caso, intuire non significa altro che intuire spazialmente e la duplicazione della cosa come se essa fosse dapprima in noi e poi fuori di noi è del tutto superflua. Così l’anima non è dapprima qualcosa che sappiamo presente in noi e che poi proiettiamo in un corpo appropriato a tale scopo, in modo da pervenire a un tu soltanto attraverso questo strano processo; in noi sorgono piuttosto anche qui ci atteniamo al punto di vista dell’idealismo certe rappresentazioni che fin dall’inizio costituiscono un tu e vengono percepite come suoi contenuti psichici. L’espressione linguistica in base a cui si colloca l’essere animato dell’uomo dietro il suo aspetto visibile e palpabile, questa simbolizzazione spaziale del tutto superficiale, contribuisce molto a separare gnoseologicamente tale essere animato, inteso come l’aldilà misteriosamente inattingibile, dall’ esterno che è invece immediatamente accessibile. Soltanto se abbiamo prima scisso il fenomeno dell’altro uomo in un’anima e in un corpo, dobbiamo allora costruire un ponte tra di essi, per ricucire l’unità che era invece data fin dall’inizio: noi abbandoniamo il corpo esclusivamente alla sensibilità ottica, e altrettanto esclusivamente consegnamo l’anima alla nostra anima, lasciando poi trasmigrare quest’anima inquel corpo mediante un processo di introduzione, di trasposizione, di proiezione o comunque si voglia chiamare quest’atto mai dimostrabile. Ma tale scomposizione è l’atto di violenza di un pensiero atomizzante. Certamente, anche la prassi quotidiana, al pari della formazione dell’immagine storica, sembra legalizzare partendo da un materiale sempre accidentale e lacunoso, spesso soltanto superficialissimo questa scomponibilità e la distanza, che il pensiero deve quindi superare, tra esterno e psichico. Ma tale separazione, prodotta dalla precarietà e dalla discontinuità materiale della vita, ha tuttavia come punto di partenza e come punto di arrivo il fondamentale fatto unitario che si può chiamare il tu l’altro immediatamente compreso come animato. Anche quando la considerazione del sintomo più esterno conduce per la via più lunga e tormentosa alla sua comprensione psichica, questa categoria sta a base di essa, e si trova di nuovo, pienamente realizzata, al termine della via. La categoria del tu che è decisiva per la costruzione del mondo pratico e del mondo storico, quasi come quelle di sostanza o di causalità lo sono per il mondo della scienza naturale non può essere paragonata a nessun'altra. Non posso designare il tu come mia rappresentazione nel medesimo senso in cui designo ogni altro oggetto: debbo attribuirgli un essere per sé, così come lo percepisco, distinto da tutti gli altri oggetti, soltanto nel mio proprio io. Perciò si spiega il fatto che noi percepiamo l’altro uomo, il tu, al tempo stesso come l'immagine più distante e impenetrabile e come quella più prossima e familiare. Il tu animato è da una parte l’unico nostro pari nel cosmo, l’unico essere con cui possiamo comprenderci reciprocamente e sentirci come uno come con nient'altro, cosicché collochiamo nella categoria del tu ciò che per altri versi è natura, dove riteniamo di sentirci in unità con essa: così Francesco poteva parlare agli animali e agli esseri inanimati come a fratelli. D'altra parte, però, il tu possiede una propria autonomia e sovrani tà accanto a noi che nient'altro possiede, una resistenza contro la dissoluzione nel processo di rappresentazione soggettivo dell’io, quell’assolutezza della realtà che l'io sente in se stesso. Il tu e il comprendere sono la stessa cosa, espressa una volta come sostanza e una volta come funzione un fenomeno originario dello spirito umano come il vedere e l’udire, il pensare e il sentire, oppure come l’oggettività in generale, come lo spazio e il tempo, come l’io; è il fondamento trascendentale del fatto che l’uomo sia uno %éov roArrwxév. Certamente, si tratta di un grado successivo del nostro sviluppo; certamente, di rado esso possiede la medesima univocità del suo contenuto; certamente, esso compare soltanto sulla base di condizioni psicologiche più complicate. Ma anche gli atti della coscienza che si presentano come primari sono condizionati da ciò che è trascorso; anch'essi hanno bisogno di uno sviluppo. Qui c’è soltanto una differenza di grado: è perciò erronea l’opinione che tali fenomeni psichici non possano essere in sé nulla di semplice e di primario per il fatto che compaiono soltanto tardi, incompleti e in situazioni variamente condizionate. Che l'insufficienza delle condizioni in cui si leva l’immagine o la comprensione le mantenga incomplete, non prova affatto che esse vengano prodotte per associazione mettendo semplicemente insieme quelle condizioni. Le differenze all’interno di questo fenomeno originario sono innegabili, soprattutto tra la comprensione di un avvenimento attuale o di una persona convivente e la comprensione di oggetti divenuti storici. Che i dati siano qui di solito numericamente più scarsi e accidentali, che siano affidati alla mediazione intellettuale piuttosto che all’immediatezza sensibile, che nessuna atmosfera temporale comune unisca il soggetto comprendente e il suo oggetto tutto ciò può, nel caso particolare, escludere in parte o del tutto la comprensione, ma sotto questo rispetto non esiste una differenza necessaria di principio tra il presente e il passato. Certamente, noi possiamo avere un'esperienza vissuta soltanto di ciò che è presente; ma anche nei confronti di questo possiamo avere il rapporto di comprensione storica, che ognuno ha verso il proprio passato. Per lo sguardo che scruta le distanze storiche l’avvenimento esterno e l'avvenimento psichico sono spesso molto più separati l’uno dall’altro di quanto non siano per l’intuizione immediata, ed esso ha più sovente bisogno di compiere inferenze dall’uno all’altro; ma tutte queste sono soltanto strade di accesso allungate, le quali in definitiva conducono a quel comprendere che assume unità attraverso l’unità; oppure costituiscono le sue frammentarie realizzazioni. Per questo comprendere, che spesso viene scisso nelle sue condizioni a causa di insufficienze pratiche e accidentali, e perciò appare all’analisi intellettuale come un’interpretazione di sintomi esterni autonomi sulla base di un elemento psichico che sta dietro di essi, è adeguato il concetto di intuizione, che pure di per sé è poco attraente. Ma ciò che suscita sospetto, l'elemento mistico abusivamente presente in esso, scompare proprio se noi abbiamo chiaro il fatto che l’applicazione dell’intuizione al comprendere storico è circondata dall’uso, del tutto inevitabile, che se ne fa in ogni momento della vita pratica. Una struttura più complicata mostra il secondo tipo di comprendere, con cui un atto già conosciuto come psichico dev’essere compreso mediante un altro atto appartenente alla stessa sfera psichica. Se di un legittimista dello Hannover degli anni successivi al 1866 sentiamo dire che ha odiato Bismarck, noi comprendiamo anzitutto questo sentimento in modo immediato, così com’esso è. L’odio è un affetto a noi immediatamente noto. Noi conosciamo interiormente il significato soggettivo che non richiede un’ulteriore analisi di questo affetto, poco importa in quali circostanze e attraverso quale portatore esso ci viene incontro. Questa comprensione di un contenuto psichico particolare è trans-storica e, per così dire, oggettiva: infatti si tratta sempre del medesimo processo psicologico fondamentale, sia che lo applichi a Brunilde contro Crimilde', allo hannoveriano contro Bismarck, all’inquilino contro il padrone di casa che lo angaria. La duplicità di elementi che ogni comprendere I. Noti personaggi femminili della leggenda dei Nibelunghi. presuppone consiste, in questa comprensione immediata dell’elemento psichico, nel fatto che un caso individuale viene compreso in virtù di un contenuto generale preesistente nel soggetto. Però comprendo storicamente l’odio dello hannoveriano se conosco la guerra del ’66 e l'annessione prussiana, ossia se lo riconosco in generale come elemento di una connessione temporale complessiva. Ma, a questo punto, ogni momento di tali connessioni dev'essere di nuovo compreso, a sua volta, in quel primo senso. Come comprendo l’odio, devo ora comprendere che cos’è l'attaccamento a una casa regnante o il valore attribuito all'indipendenza politica. Mentre quel primo comprendere sembrava riguardare un contenuto atemporale o sovra-individuale e l’altro la connessione reale di un divenire molto articolato, di fatto anche quest’ultimo si scinde in una successione di singoli punti di comprensione, ognuno dei quali dev'essere di nuovo compreso in modo sopra-storico e psicologico. Pertanto il comprendere storico in quanto tale viene alla luce in modo manifesto quando questi momenti discontinui, e compresi per così dire atemporalmente in modo discontinuo, vengono riempiti da parte dell’osservatore di una corrente vitale continua che li lega insieme, che apre la porta di uno agli altri, che permette di sentirli come pulsazioni del corso temporale della vita. Il comprendere isolato di prima si mostra ora fondato su una certa astrazione, in quanto dalla vita che sale e si abbassa senza posa esso trae fuori la cresta di un’onda come un oggetto circoscritto del comprendere, mentre nella realtà questa è legata in modo continuo con la precedente e con la successiva, con tutte le onde della medesima vita. L'istituzione di questa connessione continua è ciò che imprime alla tradizione di quanto è meramente accaduto la forma della storia. Stabilire che un determinato avvenimento ha avuto luogo in un certo anno non lo trasformerebbe ancora in un avvenimento storico, se l’anno si collocasse isolatamente in uno schema temporale per altri versi vuoto. Infatti sarebbe ancor sempre possibile com‘prendere l'avvenimento in base al suo significato interno, alla sua specificità indipendente dal tempo. Certo questo deve avvenire in ogni caso; con ciò è però soltanto dato il materiale in cui il divenire della storia si compie come una formazione determinata. La storia non è il passato che ci è dato immediatamente €, più precisamente, in veste di frammenti sempre discontinui, ma è invece una determinata forma o somma di forme con cui lo spirito sintetico che osserva penetra e domina il materiale accertato in precedenza, ossia la tradizione di ciò che è accaduto. Per il fatto che comprendo una serie come storica non si aggiunge ad essa niente di nuovo per quanto riguarda il suo contenuto; si è soltanto conseguita o istituita una specie di connessione funzionale da parte dell’intuizione interna. Come la considerazione storica in genere sottrae il particolare contenuto di realtà alla rappresentazione limitata a quest’ultimo e lo colloca come elemento prodotto e produttivo in connessioni senza fine, così procede ora anche la funzione del comprendere quando coglie come storiche le realtà psichiche date. Questi dati devono anzitutto venir compresi di per sé come unità psichiche in qualche modo chiuse: senza tale presupposto non possono essere storicizzate. Esse però lo diventano soltanto se si fluidificano in qualche misura, se si mostrano come le formazioni particolari, di volta in volta determinate, di una dinamica della vita che le collega tutte tra loro. È quindi’ possibile determinare con maggiore profondità e precisione il concetto della comprensione storica di una qualsiasi realtà psichica particolare dicendo che esso significa la comprensione di questo elemento singolo in base alla totalità vivente del suo portatore. È un errore assai diffuso ritenere che la successione di certi dati psichici, ognuno dei quali presenta soltanto il suo contenuto circoscritto, concettualmente determinabile, fornisca anche la comprensione del dato successivo. Ciò corrisponde al principio atomistico e meccanicistico che fa coagulare la vita psichica, intorno ai suoi contenuti esprimibili logicamente, in singole rappresentazioni , e che vorrebbe coglierla come la somma dei movimenti delle parti così separate l’una dall'altra. In tal modo la comprensione dovrebbe procedere immediatamente di contenuto in contenuto sulla base di quella che si potrebbe chiamare la logica della psicologia, ma che in realtà è soltanto una mescolanza indistinta di logica e di psicologia. Ma in questo modo viene meno la connessione dinamica, la compenetrazione, l’unificazione del molteplice, e quindi proprio la comprensione di un elemento mediante l’altro.Quest'ultima esige infatti la visione interiore di un movimento continuo della vita, le  cui tappe sono soltanto quei momenti particolari indicabili in  base al contenuto. Soltanto se in ognuno di essi si percepisce  l’uomo intero, che non è una sostanza rigida ma uno sviluppo  vivente, noi comprendiamo il momento successivo, poiché la  direzione della corrente che conduce fino ad esso è indicata da  quello precedente. Però, come si è già detto, questo sviluppo  non è comprensibile come un saltare di contenuto in contenuto,  ma soltanto in virtù del processo di attualizzazione della vita  che rende ora intelligibili come proprie fulgurazioni quei contenuti particolari suscettibili di essere denominati  sia che questa vita sia attuale o trascorsa. Ciò può estendersi, senza alcun  mutamento di principio, al di là dell’individuo, poiché nella  medesima corrente della vita, che produce onde su onde, noi  scorgiamo una moltitudine di individui. Il fenomeno originario  del comprendere si realizza allora in quella successione  che  si estende in modo del tutto sovra-individuale  della vita che  continuamente spinge contro tale singolarità.   Sono qui dunque presenti due modi di comprendere, sulla  cui distinzione e sul cui intreccio si esige tanta maggior chiarezza quanto più lo storicismo ha commesso, con la sua superficiale  concezione, i peggiori fraintendimenti. Quando comprendo la  poesia Warum gabst du uns die tiefen Blicke® nel suo contenuto e nel suo significato poetico, ciò avviene in modo del tutto astorico. Quando però comprendo il contenuto e il tono della poesia in base al rapporto di Goethe con la signora von Stein, e comprendo che essa designa  nello sviluppo di questo rapporto  un'epoca ben determinata, tale comprensione è ora comprensione storica. Ciò può essere illustrato in modo particolarmente chiaro nella storia dell’arte. Con l’ultima pennellata del pittore al proprio dipinto, il suo significato si pone al di là della storia. Ma il dipinto può a sua volta diventare un fattore storico in virtù dei suoi destini esteriori, in virtù del mutamen‘to di interpretazione e di valutazione, in virtù della sua influenza sull'arte posteriore. Ma quell’altro significato  vale a dire  le leggi della sua formazione e del suo complesso cromatico, il  2. È il verso iniziale di una poesia di Gocthe della primavera del 1776, dedicata all'amico Charlotte von Stein. rapporto del suo oggetto con il suo stile particolare, la passionalità o la calma dell’esecuzione, l’accentuazione del disegno o  dell'elemento specificamente pittorico, in breve la specificità del  suo essere  non ne viene toccato; esso ha consumato in sé i  movimenti del suo divenire e, inteso in quelle determinazioni  puramente immanenti, è diventato indifferente nei loro confronti.  La linca di demarcazione così tracciata tra comprensione  oggettiva e comprensione storica di un elemento spirituale ha  il suo punto di appoggio in una problematica assai profonda  del nostro conoscere relativamente alla sua sicurezza e univocità. Una creazione dello spirito che dev'essere compresa deve venir paragonata a un enigma che il suo creatore ha costruito su una determinata parola risolutiva. Se chi indovina trova ora un’altra parola altrettanto adeguata, con cui l’enigma preso in senso oggettivo perviene al medesimo risultato logico e poetico, questa costituisce una soluzione completamente corretta al pari di quella che si era proposta il poeta, e che non ha così il minimo vantaggio rispetto alla prima o rispetto a tutte le altre parole risolutive che si possono ancora escogitare e, in linea di principio, in numero illimitato. Se un processo creativo è riuscito a trovare la forma dello spirito oggettivato, tutti i più diversi tipi di comprensione sono parimenti giustificati nella misura in cui ognuno di essi è in sé conclusivo, esatto, oggettivamente soddisfacente. Non hanno alcun bisogno di riandare alla realtà psichica individuale di quel processo creativo, assumendolo a criterio di questa coscienza. La comprensione immanente di un’opera d’arte, per esempio, è infinitamente variabile così come lo sono i sentimenti che essa suscita e che non sono affatto vincolati a quelli che il creatore vi ha investito: i complessi affettivi e valutativi dell’uomo moderno dinanzi al duomo di Strasburgo o alla sonata Chiaro di luna, i supporti profondi della sua comprensione non possono essere ritenuti infondati o falsi soltanto perché non coincidono con quelli di Erwin von Steinbach* o di Beethoven. E ciò vale non solo per domini ideali secondo il loro contenuto. Il tecni3. Architetto della seconda metà del secolo XII, ebbe gran parte nella costruzione della facciata del duomo di Strasburgo. co empirico può inventare un dispositivo meccanico che gli risulta pienamente intelligibile in base al rapporto tra i congegni da lui combinati e l’effetto che si propone; un ricercatore più profondo, riandando alle leggi generali di natura che agiscono in quei congegni, può scoprire che lo stesso apparecchio può venir impiegato per scopi a cui l'inventore non ha pensato. Soltanto se si fossero esaurite senza residui le possibilità in essa racchiuse, l’invenzione sarebbe realmente compresa così com'è, cioè sarebbero realizzate le possibilità di comprensione virtualmente presenti nella sua oggettività. Non diversamente stanno le cose con le costituzioni politiche o con singole leggi. Ciò che esse propriamente significano dal punto di vista logico o pratico, i loro creatori lo sanno spesso in modo assai incompleto, o non lo sanno affatto; altre personalità, la casistica, lo sviluppo reale mostrano sovente gli effetti in esse riposti, che non si possono però definire come errori o storture per il fatto che la genesi soggettiva non li conteneva. Ovunque tra creatore e opera c’è questo rapporto, in qualche modo inquietante: l’opera pervenuta alla sua autonomia contiene qualcos'altro (in più o in meno, qualcosa che è dotato di maggiore o minor valore) rispetto all’intenzione del creatore. In questo senso il processo di creazione è sempre soltanto un'espressione 4 potiori; ciò che il creatore ha voluto e, più esattamente, ha potuto è sempre soltanto un elemento di ciò che è stato effettivamente creato, e solo cogliendo le sterminate possibilità in cui esso si dispiega, al di là di questo elemento, il suo contenuto oggettivo sarebbe realmente compreso. In tutto ciò ch e creiamo esiste, oltre a quello che z0i creiamo realmente, ancora un significato, una legalità, una fecondità che oltrepassano la nostra forza e la nostra intenzione. Tuttavia noi abbiamo senza dubbio creato il tutto, e non si tratta affatto di elementi raccolti che dispiegavano la loro peculiarità e le loro potenzialità entro la nostra creazione; il problema consiste proprio nel senso e nella capacità della nostra creazione, i quali diventano incondizionatamente possibili e reali solo con il fatto di essere stati creati da noi. Da questo sentimento nascono le rappresentazioni che sempre ricorrono con una certa tonalità mistica come se tutto ciò che creiamo fosse già idealmente preformato e noi fossimo in certa misura soltanto le levatrici che aiutano un ente metafisico a nascere nella realtà. Inteso come un dato di fatto interno, ciò spiegherebbe in ogni caso come mai quello che apparentemente è creato solo da un soggetto possiede significati innumerevoli di ogni specie, i quali oltrepassano tutte le intenzioni creative e le forze di questo soggetto; come mai, quindi, anche la comprensione spirituale di una creazione del genere non costituisca, in linea di principio, un problema con un’unica soluzione possibile. Con ciò quell’antitesi tra i due significati del comprendere si sviluppa ulteriormente. In base a quanto si è detto finora, nel comprendere dal punto di vista teorico ed estetico il Faust, per esempio, si prescinde del tutto dalla sua origine psichica. Se i diversi tipi del comprendere soddisfano in eguale misura le esigenze di connessione logica e artistica, di esplicazione unitaria delle oscurità, di sviluppo reciproco delle parti, allora sono tutti corretti in eguale misura. Se devo invece comprendere il Faust storicamente e psicologicamente, cioè comprendere tale formazione sulla base degli atti e degli sviluppi psichici che si sono determinati, momento per momento, nella coscienza di Goethe, è esclusa in linea di principio una corrispondente pluralità di significati: questo processo di creazione si è infatti rispecchiato in un determinato modo che la nostra conoscenza può cogliere o non cogliere, ma che essa non può rappresentare in diversi modi tra loro equivalenti. Una pluralità di forme storiche di comprensione dell’origine del Faust, create dal processo psichico, che siano tutte parimenti corrette nello stesso modo in cui può esserlo una pluralità di forme di comprensione oggettiva è un’assurdità. Anche a proposito della comprensione storica può esserci, naturalmente, una pluralità di ipotesi; di esse, però, una è vera e l’altra è falsa alternati va di fronte a cui non si trova la comprensione in base al contenuto oggettivo, la quale la sostituisce piuttosto con altri criteri di valore. Nei confronti di uno stesso contenuto oggettivo si può così soddisfare in modo compiuto l'esigenza di comprenderlo storicamente; ma non si può invece mai soddisfare in maniera compiuta l’altra esigenza di comprenderlo oggettivamente, in base a tutti i significati che racchiude in sé. In ciò consiste il profondo paradosso che, dove il comprendere storico è comprendere psichico, esso non può mai pervenire a una completa univocità, non può mai decidere in assoluto tra una pluralità, anzi tra una contrapposizione di princìpi esplicativi. La ricchezza e la mobilità delle connessioni psichiche sono così grandi che nessuna legge psicologica è in grado di determinare in modo vincolante gli sviluppi successivi di una determinata costellazione psichica; spesso tale sviluppo, procedendo per una certa direzione, ci appare altrettanto plausibile di quello che procede in direzione precisamente opposta. Che il beneftcio ricevuto produca riconoscenza, lo comprendiamo tanto quanto il fatto che esso lasci dietro di sé umiliazione e risentimento; che l’amore dichiarato risvegli un amore corrispondente, lo riteniamo altrettanto comprensibile del fatto che provochi assenza di attrazione e indifferenza, e via dicendo. Quando serie genetiche vengono alla luce mediante un’interpolazione psicologica cosa che accade sempre, più o meno consapevolmente non si tratta di una necessità accertata, quale la richiede, in modo univoco, la comprensione scientifica. In ogni caso, l'ipotesi di una data via psicologica è quella corretta secondo la realtà; qualunque altra è erronea poco importa se poi questa correttezza o questa erroneità può essere da noi stabilita incondizionatamente. In tal modo viene stabilita la differenza fondamentale della comprensione storica rispetto alla comprensione del contenuto oggettivo in quanto tale. Lo storicismo radicale vuol esaurire l’intera problematica di una formazione così creata tracciando le condizioni e i gradi del suo sorgere nel tempo. Le qualità oggettive dell’essere, sottratte alla temporalità, si risolvono — come compiti conoscitivi — nel loro divenire; adesso la questione riguarda le premesse e i momenti preparatori, gli sviluppi e le condizioni favorevoli o gli impedimenti che hanno suscitato tale formazione, e una comprensione sufficiente del contenuto oggettivo dev'essere identica alla risposta a questo problema. S’intende che sostituire la comprensione di un oggetto nella sua atemporalità con la comprensione del modo in cui si è pervenuti all’oggetto reale nel tempo non ha più senso che equiparare la vista dalla vetta di un monte col percorrere la via che ha condotto passo passo il viandante fino a questa vetta: ciò vorrebbe dire infatti tagliar via arbitrariamente tutta una dimensione del problema del comprendere. Ma il problema apparentemente eliminato ha la sua legittimità non soltanto al di fuori della realtà storica, ma anche proprio all’interno di essa. La comprensione in apparenza puramente storica fa infatti continuo uso della comprensione oggettiva sopra-storica, senza peròrendersene conto metodologicamente. Non capiremmo mai la natura della cosa in base al suo sviluppo storico se non la comprendessimo in qualche modo in se stessa; altrimenti quell’impresa sarebbe chiaramente del tutto priva di senso. Con ciò si apre un terzo tipo di processi di comprensione, la cui fondamentale duplicità di elementi non è quella tra es terno e interno, né quella tra fisico e psichico, bensì la duplicità tra contenuto psichico e contenuto atemporale. Tra questi si presentano ora nessi di reciprocità assai singolari, dal momento che la comprensione oggettiva trans-storica non riguarda soltanto i contenuti particolari, che pervenivano a un contatto reciproco e a un ordinamento unitario solo in quanto eranoassunti nella corrente dello sviluppo storico. Quei contenuti mostrano però già nel loro stato ideale delle relazioni e delle disposizioni, e costituiscono per così dire simboli atemporali della loro realizzazione psichica temporale — sempre in una dipendenza reciproca fondata nel profondo. Se uno storico della filosofia afferma che comprendere Kant significa spiegarlo storicamente, le dottrine pre-kantiane gli appariranno come gradini che conducono in direzione della dottrina kantiana, stabilendo quindi in modo intelligibile il suo contenuto e il suo momento temporale. Ma ciò non avrebbe successo se tutte queste dottrine — e qui sta il punto decisivo — non costituissero nel loro contenuto logico oggettivo, e senza riferimento alla loro comparsa storica, una serie intelligibile. Le cose non stanno diversamente che per qualsiasi inferenza realizzata sul piano psichico. Noi comprendiamo del tutto il movimento psichico che, aggiungendo alla convinzione che tutti gli uomini sono mortali, l’altra che Caio è un uomo, porta per così dire organicamente la coscienza fino al contenuto: Caio è mortale. Tuttavia lo comprendiamo soltanto perché tutte queste idee erano valide nel loro contenuto oggettivo, e quindi sono del tutto atemporali e indifferenti rispetto al fatto che possiamo rappresentarle soltanto in una serie temporale. Noi percepiamo il carattere di verità — indipendente dalla nostra rappresentazione — della proposizione tutti gli uomini sono mortali, che non esiste prima o dopo il carattere di verità delle proposizioni Caio è un uomo e Caio è mortale ; tutte e tre le idee valgono in una coordinazione assolutamente atemporale: la morte di Caio non risulta quindi come conseguenza temporale dopo gli altri due fatti; l'ordine che in base alle prime due conduce a quest’ultima non costituisce una successione, come lo è il fatto di rappresentarla e di esprimerla, ma è un ordine oggettivo puramente interno, che ha luogo in una ideale contemporaneità. Se esso non esistesse, non riconosceremmo neppure la direzione e la legittimità dello sviluppo psichico che essa realizza in una determinata successione. La stessa cosa avviene nel caso della comprensione storica di Kant. Il razionalismo, che declassa ogni esperienza sensibile e colloca la verità incondizionata soltanto nellaragione @ priori; il sensismo, che rifiuta quest’ultima e scorge soltanto nell’esperienza la fonte di una conoscenza valida; la soluzione kantiana secondo cui soltanto l’esperienza ci dà una conoscenza oggettiva come vuole l’empirismo soltanto che essa è già formata da quei principi della ragione, e di conseguenza questi valgono incondizionatamente, ma solo per gli oggetti dell’esperienza e mai di per sé, al di là di essa queste impostazioni hanno un ordine ideale, determinato soltanto dal loro senso oggettivo atemporale. Se non comprendessimo il senso di tale ordine soltanto di per sé, indipendentemente dalle sue realizzazioni psichiche in forma storica, non comprenderemmo mai neppure l'ordinamento temporale di queste ultime, che ci apparirebbero piuttosto come una semplice successione discontinua. La razionalità della loro successione, mediante la quale cogliamo la direzione della corrente della vita nei soggetti che la sorreggono e che la realizzano in sé, è possibile soltanto come rispecchiamento temporale di quell’ordine puramente oggettivo. Accanto al principio che la comprensione di Kant è condizionata dalla sua spiegazione storica, si può porre l’altro principio che la spiegazione storica di Kant è condizionata dalla sua comprensione. Se noi penetriamo attraverso gli avvenimenti l’unità di una corrente vitale e la vediamo determinata dai momenti precedenti e orientata verso i successivi, e se quindi in altri termini comprendiamo ogni momento successivo in base al precedente, tale processo acquista legittimità e impulso soltanto in base a quella comprensione oggettiva dei suoi contenuti, cioè in base al loro reciproco rapporto logico, non già al loro rapporto vitale e temporale. Qui si fa però valere un presupposto metodologico che mostra una connessione molto più stretta, e per così dire incondizionata, tra comprensione storica e comprensione oggettiva. Prenderò le mosse dall’esempio (non importa se effettivamente vero o da correggere) dello sviluppo del punto di vista kantiano dal dogmatismo, attraverso lo scetticismo sensistico, fino al criticismo. Su quale base possiamo dire che uno di questi punti di vis ta o di questi concetti si sviluppa fino all’altro in modo intelligibile? Ognuno di essi esprime esattamente soltanto il suo proprio contenuto, è totalmente concluso in sé, e dire che procede oltre se stesso è un'espressione simbolica che lascia impregiudicato ciò di cui si discute qui Ja possibilità: è un tentativo del tutto disperato voler spremere da questi concetti disposti l’uno accanto all’altro uno sviluppo che renda l’uno comprensibile in base alla comprensione dell’altro. Che tuttavia noi scorgiamo qui di fatto uno sviluppo del genere, ciò può avvenire soltanto perché poniamo a base di questa serie puramente oggettiva di punti di vista, e che nessuna vita individuale concreta può abbracciare, un soggetto ideale prodotto per così dire di finzione la cui vivente continuità spirituale percorre questi stadi e li connette in modo tale da scioglierli dalla chiusura di un senso di volta in volta limitato a se stesso e da trasformarli quindi in momenti di uno sviluppo. Questo è lo strumento applicato continuamente e senza particolare coscienza, lo strumento per così dire tecnico, con cui uno stadio c i diventa intelligibile sulla base dell’altro, che è ad esso collegato ora in un tempo quasi atemporale, mediante una vita atemporale. La stessa cosa avviene quando si concepiscono le opere di un periodo più lungo della storia dell’arte come uno sviluppo. Per esempio, i dipinti si dispongono l’uno dopo l’altro in modo discontinuo, e ognuno costituisce un’unità isolata ognuno entro il proprio ambito in cui nessuno sa nulla dell’altro. Lo storico dell’arte costruisce tra di essi uno sviluppo graduale dalla rigidità alla mobilità, dalla povertà alla pienezza, dall’insicurezza al padroneggiamento sovrano dei mezzi, dall’accidentalità della composizione a un equilibrio armo532 GEORG SIMMEL nico che abbraccia ogni elemento in modo dotato di senso, e così via. Non si può quindi assolutamente dire che il creatore dell’opera collocata al punto più alto abbia percorso, nel suo sviluppo personale, tutti gli stadi precedenti. E non è neppure in questione questo, bensì la possibilità di costruire tale serie evolutiva in base a criteri oggettivi tratti dal complesso delle opere, come se ognuna di esse fosse caduta dal cielo. Ma proprio questa possibilità risiede in ciò che si potrebbe chiamare il soggetto metodologico, cioè in una formazione ideale che percorre queste creazioni in un’evoluzione che si può cogliere psichicamente, nei suoi momenti preparatori, nel suo crescere e nel suo decadere, unificando l’ordine oggettivo della loro coesistenza in un processo vitale concepito come temporale, la cui continuità non si rinserra nell’ambito della singola opera. Anche l’uso linguistico sembra legittimare quest’interpretazione. Noi diciamo che l’arte, il diritto, la chimica si sviluppano. È però chiaro che l’arte, il diritto, la chimica ecc., in quanto tali, non sono realtà, ma formulazioni riassuntive di fenomeni particolari separati tra loro, anche se collegati da molteplici relazioni, sotto concetti astratti. Se l’arte, nel senso storico qui in questione, consiste della somma delle opere d’arte, il termine arte non designa un'unità concreta e neppure, quand’anche essa lo fosse, un’unità vivente, in grado di sviluppar si ; in tal caso dovrebbe essere l’arte a produrre i quadri, mentre sono gli artisti a farlo. Se però applichiamo quest’espressione, abbiamo creato l’ipostatizzazione di un concetto strumentale e un soggetto del tutto nuovo, che ha quella capacità di auto-sviluppo riservata esclusivamente al vivente e le cui espressioni o tappe sono le singole opere d’arte. Questo soggetto viene percepito in uno sviluppo temporale, e ciò ancora per il fatto che i momenti di tale sviluppo posseggono quel rapporto di sviluppo sopratemporale, puramente oggettivo. Noi ne abbiamo bisogno già per casi isolati: quando comprendiamo l’amore o l’odio in generale, senza rapporto con la realtà di un individuo, attribuiamo loro per così dire un portatore ideale, una vita in generale che nel suo complesso risponde con essi a qualsiasi stimolo e che è, per così dire, versata in queste forme momentanee. Come concetti rigidamente conclusi, strappati dalla connessione della vita, essi sarebbero per noi poco più che parole, e in ogni caso attendevano soltanto di essere compresi in modo appropriato. Ciò diventa ancora più chiaro laddove un avvenimento particolare media la comprensione di un altro avvenimento particolare. Il fatto che noi comprendiamo un sentimento di vendetta poco importa se rappresentato storicamente o in astratto in base a un'ingiustizia subìta in precedenza, non avviene in virtù di uno strettissimo accostamento tra i due processi, ma in quanto possiamo rappresentare un fluire unitario della vita, del quale costituiscono due onde legate dalla corrente stessa. Così risulta pure che il ritmo, la continua mobilità della vita è il sostegno formale della comprensione, anche in quelle connessioni logiche di contenuti oggettivi che, da parte loro, rendono intelligibile il concreto accadere vivente di questi contenuti oggettivi. Ma la vitalità specifica e operante di quel soggetto ideale è una trasformazione o un’oggettivazione di quella che noi rintracciamo in noi stessi ma come vitalità sovra-individuale, di cui noi siamo per così dire solo un esempio. All’interno dell’accadere e dell’ondeggiare incessante percepiamo tuttavia in noi, più o meno sicura, una finalità almeno formale, una realizzazione di disposizioni, un dispiegarsi di germi che noi abbiamo o, piuttosto, che noi siamo. Tale sensazione trova una manifestazione parziale o una concentrazione quando i contenuti psichici si ordinano in una serie, di cui ogni momento successivo ci diventa consapevole, rispetto al precedente, come arricchimento, come promessa mantenuta, come incremento ed estensione della nostra situazione. In quanto, dopo aver posto le premesse, pervengo alla conclusione; in quanto percorro le teorie filosofiche del secolo xviI finché compare il criticismo; in quanto, considerando l’arte italiana, giungo dalla rigidità bizantina e dalla scarsa articolazione delle figure del Trecento fino al rilassarsi individualizzante del Quattrocento e quindi all'unità armoniosamente raccolta della composizione del primo Rinascimento, sento il mio spirito nella misura in cui vive in queste sue espressioni ampliarsi gradualmente, sempre più attualizzato nelle sue forze intuitive. Mentre vive in questa successione di contenuti e passa attraverso di essi, lo spirito si sente non soltanto mosso, ma anche dotato dello specifico valore dello sviluppo . Così considerato, questo è forse qualcosa di originario e di non ulteriormente risolvibile, e neppure dipendente da un fine posto in precedenza, ma costituisce soltanto una ritmica imposta dallo stesso movimento spirituale, una particolare specie di crescita interna. Che poi io designi l'ordinamento storico o ideale delle cose come il loro sviluppo, non sarebbe chiaramente un arbitrio; anzi, esse devono, nel senso più preciso, questo tono valutativo al processo di auto-dispiegamento dello spirito, che le rivive nella loro successione non appena sono diventate suoi contenuti. Se si considerano quindi i contenuti svincolati dall’anima che se li rappresenta, sotto la categoria di un’oggettività esprimibile concettualmente, allora essi formano una serie evolutiva oggettiva; essi sono attraversati dalla corrente del sentimento vivente di aspirazione e di sviluppo del soggetto rappresentante, dal quale però si è ora astratto, che ha lasciato loro soltanto la connessione interna e la costruzione mediante cui l'elemento successivo è condizionato dal precedente, e quindi risulta intelligibile proprio nella sua posizione. Se comprendere un contenuto particolare non è in linea di principio (secondo l’opinione che abbiamo qui esposto) nulla di diverso dalla sua comprensione come manifestazione della totalità della vita di modo che il comprendere ne è soltanto l’espressione abbreviata ciò risulta ora valido, attraverso il soggetto ideale che ha esperienza vissuta o il soggetto reale che'osserva, anche per quei contenuti che si offrono come puramente oggettivi o come realizzati da portatori diversi. Così si presenta dunque l’unione dei motivi storico-psichici e dei motivi oggettivi all’interno del fenomeno complessivo del comprendere. Noi comprendiamo lo sviluppo psichico reale di una serie, i cui elementi si fondano in una successione temporale, soltanto sulla base della relazione oggettiva, trans-vitale, dei suoi contenuti. Senza un incremento o una diminuzione visibile in questa relazione, senza la nozione del fatto che i contenuti oggettivi in quanto tali si richiamano a vicenda e che l'uno fonda o condiziona l’altro prescindendo dalla realizzazione temporale, essi non possono neppure venir compresi come successione psichica, come successione temporale-reale. E d’altra parte questo ordinamento ideale in forma di sviluppo è tra di essi possibile in quanto ne viene percorsa la continuità del movimento psichico. Lo sviluppo oggettivo dei contenuti richiede, come 4 priori che dà loro forma, quel progredire della coscienza, non ulteriormente definibile, che si annuncia come sentimento specifico: esso soltanto può allentare la chiusura senza ponti di ogni contenuto, e la trasporta in quella continuità che solo si può chiamare sviluppo. Così lo sviluppo psichico è condizionato ed è comprensibile in base a quello oggettivo, e questo è condizionato e comprensibile in base a quello. Ciò significa che entrambi sono soltanto i due aspetti, resi metodologicamente autonomi, di un’unità: l’unità dell’accadere compreso storicamente. E poiché il comprendere è un fenomeno originario nel quale si esprime un rapporto universale dell’uomo, gli elementi in cui esso si realizza o gli aspetti unilaterali tra cui si muove la riflessione si compenetrano, cioè rappresentati come autonomi si costruiscono in correlazione tra di loro. Considerato dall’altra parte, questo circolo è inevitabile perché la vita è istanza determinante dello spirito, cosicché la sua forma determina infine anche le formazioni mediante cui deve diventare comprensibile a se stessa. La vita può essere appunto compresa soltanto dalla vita, e a tal fine si dispone in strati di cui l'uno media la comprensione dell'altro, e che nella loro dipendenza reciproca annunciano la sua unità. A questo punto appare chiaro che il motivo vitalistico per la soluzione del problema del comprendere era già prefigurato nelle considerazioni con cui ho cercato di chiarirlo respingendo le interpretazioni che di esso si offrono a prima vista. Infatti queste interpretazioni, considerate in modo preciso, risultano in linea generale discendenti da una fondamentale intuizione meccanicistica. Ad essa risponde il fatto che l’uomo offre all'uomo solo il suo aspetto fisico esterno, dietro il quale soltanto un atto intellettuale, mediato da associazioni, colloca un'anima e determinati processi psichici. L'unità e la totalità del vivente si sottrae infatti al meccanicismo; esso può incollarlo insieme soltanto in base ai singoli frammenti che, per una concezione organica, sono il risultato di scomposizioni successive della sua unità. Perciò esso non può concepire il comprendere come fenomeno originario che si manifesta tra un uomo nella sua totalità e un altro uomo anch'esso nella sua totalità, ma lo concepisce come sintesi secondaria di fattori separati. In base alla medesima mentalità gli sfugge l'elemento creativo si può ben dire così del processo del comprendere, che permette al soggetto di produrre in sé ciò che gli è estraneo e distante, ciò che non ha vissuto personalmente, come immagine di un’altra anima. La sua aspirazione finale di risolvere ogni relazione in equivalenze lo conduce a fondare o a ridurre anche il comprendere esclusivamente all’identità tra soggetto e oggetto. Esso può concepire il compreso soltanto come ripetizione meccanica di ciò che già preesiste nel comprendente; e doveva quindi dato che evidentemente ciò non è conciliabile con i fatti attaccarsi al mezzo disperato di costruire gli avvenimenti psichici nella personalità storica partendo da singoli frammenti, che si possono raccogliere insieme sulla base delle esperienze interne del soggetto della conoscenza storica: un tentativo che non è possibile discutere seriamente, e del tutto privo di valore già per il fatto che la comprensione della vita interiore corre appunto lungo le continue comnessioni e unificazioni dei contenuti che si possono designare singolarmente. Ciò che è decisivo per la vita e per l’individualità, ossia l’unificazione, non si potrebbe quindi raggiungere con la semplice trasposizione dei frammenti messi insieme. Rientra in tutto nell’essenza dell’intuizione meccanicistica voler rappresentare anche il comprendere storico come una mera copia dell'accaduto come esso era realmente , anziché scorgere che anche questa è un’attività del soggetto dipendente dalle categorie e dalle forme in cui assume il suo oggetto (alle quali, per esempio, quel soggetto metodologico appartiene come una necessità 4 priori), una formazione spirituale specifica; e che anche qui la sua verità relativa a un oggetto è qualcosa di vivente, di funzionale e di elaborato, non già la riproduzione meccanica di una lastra fotografica. Forse con ciò il problema del comprendere storico diventa qualcosa di molto più difficile e profondo che nell’intuizione semplice, e tuttavia assai più strana, secondo cui la comprensione di un’altra anima si compie come ripetizione dell’esatto contenuto di quest’anima nello spirito che l’accoglie e ha luogo solamente in quanto l’esperienza vissuta propria di questo spirito viene trasposta in quella. In queste diverse interpretazioni della comprensione psichica si fa valere l’antitesi tra un punto di vista meccanicistico e un punto di vista organicistico e vitalistico. E come avviene in ogni conflitto spirituale, spinto fino alla sua istanza suprema, ogni decisione tra i due punti di vista risulta dipendente da quella che l’uomo ha preso in merito alla totalità e alla profondità della propria intuizione del mondo. WEBER nasce a Erfurt, figlio di un avvocato impegnato nella politica attiva e di una donna di forti interessi morali e religiosi, alla quale egli rimane sempre profondamente attaccato. Condotto a Berlino, dove il padre divenuto deputato del partito liberale-nazionale accoglie in casa alcuni dei maggiori esponenti della vita politica e della cultura tedesca dell’età bismarckiana, Weber compe gli studi liceali nella capitale. In questo ambiente Weber rivela ben presto la sua acuta intelligenza e una straordinaria capacità di applicazione nello studio filosofico. Frequenta successivamente le università di Heidelberg, Berlino, Gòttingen e poi di nuovo Berlino. A Berlino consegue il dottorato con una dissertazione sulle società commerciali nel medio evo, Zur Geschichte der Handelsgesellschaften im Mittelalter (Stuttgart). In seguito gli interessi di Weber si sviluppano in due direzioni principali. Da una parte, soprattutto sotto l'ispirazione e la guida di Mommsen, egli si dedica allo studio della STORIA ECONOMICO-SOCIALE DELLA ANTICA ROMA, scrivendo un saggio ancor oggi fondamentale sul diritto agrario romano, Die ròmische Agrargeschichte in ihrer Bedeutung fiir das Staatund Privatrecht (Stuttgart; tr. it. Milano) con la quale ottiene l’abilitazione e soffermandosi in particolare sui rapporti tra la crisi sociale del tardo impero e il tramonto della civiltà antica. Dall'altra parte, sotto l'influenza dei cosiddetti socialisti della cattedra (Schmoller, Wagner, Brentano ecc.) e attraverso la partecipazione all'attività del Verein fir Sozialpolitik , Weber si accosta alla ricerca sociologica empirica e collabora a un progetto di studio delle condizioni del lavoro agricolo in Germania con un'inchiesta sulla situazione delle regioni orientali. Nel volume Die Verhiltnisse der Landarbeiter im ostelbischen Deutschland (Leipzig, 1892), nonché in vari saggi che ne sviluppano le implicazioni più propriamente politiche, egli pone in luce il trapasso dalla tradizionale proprietà di tipo signorile alla proprietà capitalistica, cercando di determi nare le conseguenze che ne risultano sul piano politico-sociale: la formazione di una classe di imprenditori fondiari e la proletarizzazione della manodopera agricola, con la necessità che da essa deriva di ricorrere alla immigrazione polacca per colmare il vuoto prodottosi tra i contadini tedeschi. Attraverso questa inchiesta comincia a delinearsi quello che sarà il problema centrale dell’opera di Weber, cioè il problema del capitalismo moderno e della sua individualità storica. E difatti, in una serie di saggi di poco posteriori la sua attenzione si concentra sui vari aspetti dell'organizzazione capitalistica dell'economia e sulle condizioni del lavoro industriale. Conseguita l'abilitazione, Weber sposa nel 1893 Marianne Schnitger (che alla sua figura intellettuale dedicherà, dopo la morte, una celebre biografia). L’anno seguente egli intraprende la sua carriera accademica quale professore di economia politica a Friburgo e, dal 1896, a Heidelberg. Ma nel 1897 una gravissima crisi nervosa lo costringe a sospendere l'insegnamento e a interrompere il lavoro scientifico. Questa crisi durerà parecchi anni: soltanto dopo un lungo periodo di riposo, di cure e di viaggi, con l’amorevole assistenza della moglie, Weber potrà far ritorno al lavoro nel 1901, abbandonando però al tempo stesso la cattedra universitaria. Egli rimane a Heidelberg come studioso privato, ma nel 1903 assume insieme a Edgard Jaffé e a Werner Sombart la direzione dell’ Archiv fir Sozialwissenschaft und Sozialpolitik ; e questa rivista, sulla quale compariranno molti dei suoi saggi più importanti, diventa per opera sua un centro di attività a cui collaborano i più insigni studiosi tedeschi di scienze sociali. In questi stessi anni, a contatto con l’ambiente filosofico di Heidelberg, si vengono precisando le lince della riflessione metodologica weberiana. In un primo saggio, Roscher und Knies und die logischen Probleme der historischen Nationalòkonomie (pubblicato nello Schmollers Jahrbuch del 1903-1906), Weber rivolge la sua critica ai presupposti organicistici della scuola storica di economia, respingendo la pretesa di assegnare alla scienza economica il compito di scoprire tendenze evolutive fornite di valore legale. Ma la critica della scuola storica (a cui fa riscontro l'accettazione dei princìpi della teoria marginalistica, soprattutto nella formulazione datane da Carl Menger) si allarga in una presa di posizione polemica nei confronti dell’eredità metodologica romantica, e in particolare dell'interpretazione della conoscenza storica come un procedimento di comprensione immediata, diretto a cogliere intuitivamente i fenomeni storici nella loro individualità. La piattaforma di questa polemica è offerta a Weber dal richiamo all'impostazione metodologica rickertiana. Dinanzi all’alternativa tra la definizione della conoscenza storica come complesso delle scienze dello spirito, formulata da Dilthey, e la sua qualificazione come sapere idiografico, proposta da Windelband e da Rickert, egli sceglie infatti la seconda soluzione. Né la specificità dell'oggetto né la specificità del procedimento di ricerca, di per sé prese, sono in grado di garantire l'autonomia della conoscenza storica: la contrapposizione tra natura e spirito è un'antitesi di carattere metafisico, mentre la distinzione tra spiegazione e comprensione rischia di ridurre la conoscenza storica a una specie di penetrazione immediata, a una forma di intuizione. L'oggetto delle scienze storico-sociali deve perciò essere definito in correlazione al loro metodo, cioè in base all’orientamento verso l’individualità; mentre l’intendere dev’essere concepito come una comprensione capace di trovare una verifica empirica e di tradursi in spiegazione causale. Per questa via si è venuto delineando il problema centrale della metodologia di Weber, vale a dire il problema dell'oggettività delle scienze storico-sociali. Nel saggio Die Objektivitàt sozialwissenschaftlicher und sozialpolitischer Erkenntnis, che inaugura la nuova serie dell' Archiv (1904; tr. it. Torino, 1958) e in alcuni saggi successivi, in particolare nelle Kritische Studien auf dem Gebiet der kulturwissenschaftlichen Logik (1906; tr. it. Torino, 1958), Weber ha enunciato le due condizioni fondamentali di oggettività delle scienze storico-sociali, indicandole da un lato nell’esclusione dei giudizi di valore e dall'altro nel ricorso alla spiegazione causale. La prima condizione stabilisce la differenza di principio tra il compito delle scienze storico-sociali in quanto scienze e il compito dell’attività politica, e più in generale di qualsiasi presa di posizione valutativa; la seconda stabilisce invece la funzione esplicativa delle scienze storico-sociali e l’applicabilità al loro dominio della categoria di causalità. Su questa base Weber si richiama alla distinzione rickertiana tra giudizio di valore e relazione ai valori. Se il giudizio di valore è estraneo alle scienze storico-sociali come a ogni altra disciplina scientifica, ciò che distingue la loro struttura da quella delle scienze naturali è proprio il riferimento a certi valori in virtù dei quali avviene la selezione del dato empirico. Weber lascia però cadere il presupposto della validità incondizionata dei valori, a cui Rickert faceva appello: i valori sono sì criteri di scelta che permettono la selezione del dato empirico e la costruzione dell'oggetto storico, ma sono essi stessi assunti in rapporto allo specifico punto di vista da cui si pone l’indagine. I valori non sono quindi forniti di un'esistenza metastorica; essi sono sempre i valori di una certa cultura, a cui appartiene il soggetto della ricerca, La relazione ai valori designa pertanto il condizionamento culturale delle scienze storico-sociali, il punto di partenza soggettivo che stabilisce la direzione dell'indagine. Entro questa direzione è possibile una determinazione oggettiva di rapporti, che può essere conseguita mediante il ricorso alla spiegazione causale. Ma in tale maniera la stessa spiegazione causale di un oggetto storico risulta inevitabilmente parziale, anzi unilaterale. Essa non mette capo alla scoperta di rapporti necessari, ma procede alla formulazione di giudizi di possibilità oggettiva che si collocano entro i due casi-limite della causazione adeguata e della causazione accidentale. Le scienze storico-sociali individuano quindi, di volta in volta, una serie di condizioni che accanto ad altre, parimenti importanti rendono possibile il verificarsi di un determinato avvenimento. In quest'opera esse si avvalgono pure di concetti generali e di regole generali che hanno il carattere di tipi ideali e che possono organizzarsi, con una relativa autonomia, in discipline teoriche come la scienza economica o la sociologia. Questi concetti e queste regole assolvono una funzione strumentale rispetto allo scopo primario delle scienze storico-sociali, che è la spiegazione degli avvenimenti nella loro individualità, ma sono nondimeno indispensabili. La via verso l’individuale passa sempre attraverso il sapere nomologico. Perciò l’edificio del sapere storico comprende non soltanto la ricerca storiografica, ma anche le scienze sociali astratte, costituite mediante l’organizzazione sistematica di concetti tipico-ideali e dirette alla determinazione delle uniformità di comportamento dei fenomeni sociali. Negli stessi anni Weber ha affrontato il problema dell’individualità storica del capitalismo moderno, con i due saggi Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus (1904-1905; tr. it. Roma, 1945) e Die protestantischen Sekten und der Geist des Kapitalismus (1906). Weber definisce il capitalismo moderno come una struttura economica a orientamento razionale, che si colloca nel quadro del processo di razionalizzazione della vita che è caratteristico della civiltà moderna; per cui esso si differenzia anche da quelle forme di economia che come il capitali smo antico possono presentare tratti simili. Alla ricerca storica si pone pertanto il compito di spiegare per quali motivi, cioè in rapporto a quali condizioni, questa struttura sia sorta soltanto in Occidente e nell'età moderna, e di determinare le linee del processo attraverso cui essa si è formata. Weber sostiene, in polemica con la concezione materialistica della storia, l'impossibilità di fornire una spiegazione della genesi del capitalismo moderno che faccia appello soltanto a condizioni economiche; e si propone di mostrare che ad esso ha contribuito in modo decisivo, accanto a un certo tipo di organizzazione dell'impresa e a una certa configurazione dei rapporti materiali , anche una particolare mentalità lo spirito capitalistico la quale è il risultato di una trasformazione dell’etica calvinistica e della sua specifica forma di ascesi mondana, diretta a comprovare la grazia divina mediante il lavoro e il successo negli affari. Questa tesi costituisce il presupposto anche dell’analisi che Weber ha successivamente dedicato alla religione cinese, all’Induismo e al Buddismo, alla religione ebraica, negli studi raccolti sotto il titolo complessivo Die Wirtschafesethik der Weltreligionen. Attraverso lo studio comparativo delle varie etiche economiche a cui le religioni universali hanno dato origine, cercando di regolare con esse la vita economica, egli si propone infatti di mostrare per via negativa che soltanto nel capitalismo moderno è presente quella particolare mentalità che costituisce lo spirito capitalistico, e che soltanto l’ascesi di tipo calvinistico poteva offrire le condizioni adatte per la sua formazione. L'analisi weberiana si rivolge così a determinare la diversità dell'etica economica del Protestantesimo da quella delle altre religioni, cioè in ultima analisi a spiegare i caratteri peculiari del capitalismo moderno. Pertanto la sociologia della religione di Weber appare, in fondo, una ricerca storica che si avvale strumentalmente di concetti tipico-ideali, subordinando l’analisi tipologica a un preciso scopo di individuazione. Soltanto nel saggio Uber einige Kategorien der verstehenden Soziologie (1913; tr. it. Torino, 1958), e più esplicitamente nella trattazione sistematica di Wirtschaft und Gesellschaft (edita postuma nel 1922 a Tiibingen; tr. it. Milano, 1961), la sociologia cessa di costituire un momento astratto nell’ambito di un'indagine orientata in senso storiografico, per configurarsi come una disciplina autonoma che si pone in antitesi rispetto alla ricerca storica, delimitando un proprio campo di ricerca. La sociologia assume a oggetto le uniformità dell’atteggiamento umano in quanto fornite di senso, e le forme di relazione che sorgono sulla base dei diversi tipi di atteggiamento l’atteggiamento razionale rispetto allo scopo, l'atteggiamento razionale rispetto al valore, l’atteggiamento affettivo, l'atteggiamento tradizionale. In questa prospettiva Weber ha condotto, in Wirtschaft und Gesellschaft, un'analisi sistematica dei rapporti tra i vari settori della vita sociale e le forme di economia; cosicché il problema dell’individualità storica del capitalismo moderno risulta trasposto sul piano di una tipologia delle strutture economiche, considerate nel loro rapporto reciproco con gli altri campi della vita di una società. Negli anni successivi al 1903 lo sviluppo della riflessione metodologica e della ricerca storico-sociologica si intreccia, in Weber, con il rinnovato interesse per le vicende politiche tedesche e per la situazione europea. Comincia a delinearsi, in questo periodo, la posizione sempre più critica di Weber nei confronti dell’eredità bismarckiana, che lo condurrà a formulare un severo giudizio sulla struttura politica della Germania, incapace di favorire la formazione di una classe dirigente preparata e responsabile. Questa critica, che Weber ha sviluppato durante la prima guerra mondiale dalle colonne della Frankfurter Zeitung, viene espressa in modo compiuto poco prima della fine del conflitto in Parlament und Regierung im neugeordneten Deutschland (Munchen, 1918; tr. it. Bari, 1919), in cui egli affronta il problema dell'imminente ricostruzione politica della Germania. Successivamente Weber partecipa in maniera diretta alla vita politica, prima come consulente della Commissione di armistizio a Versailles e poi collaborando alla redazione del progetto di costituzione della repubblica di Weimar. Nel 1918 ritorna all'insegnamento, accettando una chiamata all’Università di Monaco, dove tiene due celebri conferenze sul senso della scienza e sul senso della politica (Wissenschaft als Berut e Politik als Beruf, 1919; tr. it. Torino, 1948) e il suo ultimo corso di lezioni, dedicato a un'analisi delle categorie sociologiche. Risale a questi anni anche la Wirtschaftsgeschichte, pubblicata postuma (Berlin, 1923). La morte lo coglie a Monaco il 14 giugno 1920, in pieno fervore di attività. L'ultimo periodo della vita di Weber è caratterizzato anche dallo sforzo di sviluppare le implicazioni filosofiche della propria analisi. Non a caso il problema che viene in primo piano, durante questi anni, è il problema dei valori, che gli veniva riproposto con urgenza dal conflitto mondiale e dalle questioni etico-politiche che esso aveva sollevato. Riprendendo, nel saggio Der Sinn der Wertfreiheit der soziologischen und dkonomischen Wissenschaften (1917; tr. it. Torino, 1958), la tesi dell’avalutatività delle scienze storico-sociali, Weber ha dato una formulazione esplicita della propria concezione dei valori. I valori non posseggono una validità incondizionata, e tanto meno sono entità trascendenti; la loro validità coincide con la possibilità di trovare una realizzazione nell’agire umano. D’altra parte i valori non possono essere riportati a un'unità sistematica: la loro molteplicità è irriducibile, e sia tra le diverse sfere di valori sia all’interno di ogni sfera si verificano sempre conflitti di valori. Ciò vale nei rapporti tra etica e politica, tra scienza e religione, e via dicendo; ma vale perfino all’interno della sfera etica, che è dominata dall’antitesi tra etica dell’intenzione ed etica della responsabilità. L’agire dell’uomo è la sede in cui si manifesta il contrasto reciproco dei valori, in quanto l'accettazione di certi valori comporta inevitabilmente il rifiuto di altri, e il primato accordato a una certa sfera implica la subordinazione o la negazione di altre sfere. Il rapporto dell’agire umano con i valori si presenta quindi come una relazione problematica definita mediante una scelta la scelta che l’uomo compie dei valori che devono servire come criterio di orientamento per la propria condotta. Su questa base Weber ha affrontato, in Wissenschaft als Beruf, il problema del senso della scienza, cioè il problema del significato che la scienza riveste in relazione al posto dell’uomo nel mondo. Egli ha indicato tale significato nella chiarezza, cioè nella presa di coscienza del rapporto tra gli scopi dell’agire e i mezzi necessari alla loro realizzazione, a cui l’uomo perviene in virtù della conoscenza scientifica. La scienza mette in questione la possibilità di realizzare i valori, determinando le condizioni dalle quali essa dipende; la sua è quindi una funzione problematizzante e critica. In maniera analoga Weber ha impostato, in Politik als Beruf, il problema del senso della politica. Se è vero che la politica implica sempre rapporti di forza e mira a conseguire o a mantenere un certo potere, è altrettanto vero che essa è dedizione a un compito, a una causa. In quanto tale, la politica presuppone una scelta in favore di certi valori, a cui si accompagna il rifiuto di altri; cosicché nel conflitto tra le varie forze si riflette una lotta tra valori diversi e inconciliabili. Il senso della politica è perciò differente dal senso della scienza il che consente a Weber di ribadire la tesi dell’indipendenza reciproca di conoscenza scientifica e di attività politica. Ma la base sulla quale essi vengono determinati è la medesima: un’interpretazione del posto dell’uomo nel mondo che risulta fondata sul rapporto di scelta che intercorre tra l'uomo e i valori. I saggi metodologici di Weber sono raccolti nei Gesammelte Aufsitze zur Wissenschaftslehre, Tùbingen, 1922, 1951 ? (a cura di J. Winckelmann), 1968?, 19734. Il volume comprende i seguenti saggi: Roscher und Knies und die logischen Probleme der historischen Nationalòkonomie (1903-1906), Die Objektivitit sozialwissenschaftlicher und sozialpolitischer Erkenntnis (1904), Kritische Studien auf dem Gebiet der kulturwissenschaftlichen Logik (1906), R. Stammlers Ùberwindung der materialistischen Geschichtsauffassung (1907) con il relativo Nachtrag, Die Grenznutzlehre und das psychophysische Grundgesetz (1908), Uber einige Kategorien der verstehenden Soziologie (1913), Die drei Typen der legitimen Herrschaft (apparso postumo nel 1922), Der Sinn der Wertfreiheit der soziologischen und Gkonomischen Wissenschaften, Wissenschaft als Beruf nonché il primo capitolo di Wirtschaft und Gesellschaft. Di questi saggi il secondo, il terzo, il sesto e l’ottavo sono tradotti nel volume 7 metodo delle scienze storico-sociali (a cura di P. Rossi), Torino, 1958; Wissenschaft als Beruf è invece tradotto insieme a Politik als Beruf nel volume Il lavoro intellettuale come professione (tr. it. di A. Giolitti, intr. di D. Cantimori), Torino, 1948, 1966 2. Gli altri scritti di Weber sono raccolti per buona parte nei seguenti volumi: Gesammelte Aufsitze zur Religionssoziologie, Tiùbingen, 1920-21, con varie riedizioni fototipiche (una traduzione italiana completa è in corso di preparazione per i Classici della sociologia delle Edizioni di Comunità): il primo volume comprende i due saggi Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus e Die protestantischen Sekten und der Geist des Kapitalismus, nonché l'introduzione e la prima parte di Die Wirtschaftsethik der Weltreligionen, dedicata a Konfuzianismus und Taoismus; il secondo comprende la seconda parte, dedicata a Hinduismus und Buddismus; il terzo comprende la terza parte, dedicata a Das antike Judentum. Una nuova edizione dei saggi sull'etica protestante, corredata della relativa discussione, è stata fornita da J. Winckelmann, col titolo Die protestantische Ethik: cine Aufsatzsammlung, Miinchen, 1968, e Hamburg. Gesammelte politische Schriften, Miinchen, 1921, e Tiibingen, 1958? (a cura di J. Winckelmann), 19713; tr. it. (parziale) Catania, 1970: di questa traduzione non fanno parte né Parlament und Regierung im neugeordneten Deutschland, già tradotto fin dal 1919, né il saggio Politik als Beruf, tradotto invece nel volume // Zavoro intellettuale come professione cit. Gesammelte Aufsitze zur Sozialund Wirtschaftsgeschichte, Tiubingen, 1924: il volume comprende Agrarverhaltnisse im Altertum (1909) e una serie di altri saggi di storia economico-sociale del mondo antico e del Medioevo, nonché Die lindliche Arbeitsverfassung (1893), Entwickelungstendenzen in der Lage der ostelbischen Landarbeiter e Der Streit um den Charakter der altgermanischen Sozialverfassung in der deutschen Literatur des letzten Jahrzehnts (1905). Gesammelte Aufsitze zur Soziologie und Sozialpolitik, Tùbingen, 1924: il volume comprende diversi saggi di sociologia empirica, tra cui soprattutto Zur Psychophysik der industriellen Arbeit (1908-1909), e gli interventi alle riunioni del Verein fir Sozialpolitik . Rimangono al di fuori di queste raccolte: i due volumi Die ròmische Agrargeschichte in ihrer Bedeutung fiir das Staatund Privatrecht e Die Verhdltnisse der Landarbeiter im ostelbischen Deutschland, già menzionati; l’opera sociologica fondamentale Wirtschaft und Gesellschaft, Tùbingen, a cura di J. Winckelmann, 19725, tr. it. Milano, 1961, 1968, 1974?; le lezioni sulla Wirtschaftsgeschichte: Abriss der universalen Sozialund Wirtschaftsgeschichte (a cura di S. Hellmann e M. Palyi), Miinchen-Leipzig, 1923 (una traduzione italiana è in preparazione presso Einaudi). Rimangono inoltre al di fuori delle varie raccolte e dei volumi qui elencati numerosi scritti, discorsi, interventi congressuali, nonché gli Jugendbriefe, Tiibingen, s.d. (ma 1936). Di grande importanza per la comprensione della personalità di Weber è la biografia scritta dalla moglie Marianne Weser, Max Weber, cin Le bensbild, Tiibingen, 1921, e Heidelberg, 19507. Due importanti raccolte di documenti sono state pubblicate rispettivamente da E. BAuMGARTEN, col titolo Max Weber: Werk und Person, Tiibingen, 1964, e da R. KénIG e J. WincKELMANN, col titolo Max Weber zum Gedichinis (fascicolo speciale della Kòlner Zeitschrift fir Soziologie und Sozialpsychologie , XVI, 1964). La letteratura critica sull'opera e sul pensiero di Weber ha acquistato, particolarmente negli ultimi due decenni, dimensioni sempre più cospicue. Tra di essa ci limitiamo a segnalare gli studi seguenti: WEBER A. von ScHELTING, Die logische Theorie der historischen Kulturwissenschaft von Max Weber und im besonderen sein Begriff des Idealtypus, Archiv fiir Sozialwissenschaft und Sozialpolitik , XLIX, 1920, pp. 623-752. H. OrrenHEMER, Die Logik der soziologischen Begriffsbildung (mit besonderer Beriicksichtigung von Max Weber), Tiibingen, 1925. A. Warter, Max Weber als Soziologe, Jahrbuch fir Soziologie , II, 1926, pp. 1-65. H. J. 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Per una bibliografia degli studi su Weber si veda l’articolo di H. H. GertH e H. I. GertH, Bibliography on Max Weber, Social Research , XVI, 1949, pp. 70-89, nonché le importanti integrazioni fornite da W. Mommsen, Max Weber und die deutsche Politik. La prima questione *, che di solito si pone presso di noi a una rivista di scienza sociale che sia al tempo stesso una rivista di politica sociale, nel momento del suo apparire oppure del a. Ogni qual volta, nella prima parte delle seguenti considerazioni, si parlerà esplicitamente in nome degli editori, 0 si determineranno i compiti dell’ Archivio , non si tratterà naturalmente di opinioni private dell’autore, bensì di formulazioni che hanno avuto l’espressa approvazione dei coeditori. Per la seconda parte la responsabilità, tanto per la forma quanto per il contenuto, spetta soltanto all'autore. Che l’ Archivio non cadrà mai nella proclamazione settaria di una determinata posizione scolastica, è garantito dalla circostanza che il punto di vista non solo dei suoi collaboratori, ma anche dei suoi editori, è tutt'altro che identica, perfino sotto il profilo metodologico. D'altra parte una convergenza su certe concezioni fondamentali ha costituito naturalmente il presupposto dell'assunzione collettiva della redazione. Questa convergenza si riferisce in particolare alla considerazione del valore della conoscenza seorica da punti di vista unilaterali , nonché all'esigenza dell’elaborazione di concetti precisi e della rigorosa distinzione tra sapere empirico e giudizio di valore, nel senso in cui essa verrà qui presentata naturalmente senza la pretesa di chiedere qualcosa di nuovo . L'ampiezza della discussione (nella seconda parte) e la frequente ripetizione dello stesso pensiero servono allo scopo esclusivo di pervenire al massimo possibile di comune intelligibilità in tali considerazioni. Per que* Die Objektivitit sozialwissenschaftlicher und sozialpolitischer Erkenntnis, Archiv fiir Sozialwissenschaft und Sozialpolitik , XIX, 1904, pp. 22-87, raccolto nel volume Gesammelte Aufsitze zur Wissenschaftslehre, Tubingen, ]. C. B. Mohr, 1922, 4° cd. (a cura di Johannes Winckelmann) 1973, pp. 146-214 (L’ oggettività conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale, tr. it. di Pietro Rossi, in Il metodo delle scienze storico-sociali, Torino, Einaudi. passaggio sotto una nuova redazione, è quella concernente la sua tendenza . Anche noi non possiamo sottrarci a tale questione, e dobbiamo a questo punto in riferimento alle osservazioni formulate nella nostra Nota introduttiva! addentrarci in un'impostazione problematica più fondamentale. Si offre in questa maniera l’opportunità di illustrare lungo varie direzioni il carattere specifico del lavoro della scienza sociale in genere, quale noi lo intendiamo, di modo che ciò possa essere utile per quanto, o piuttosto proprio in quanto si tratta di nozioni di per sé evidenti se non per lo specialista, almeno per il lettore che è più lontano dalla prassi del lavoro scientifico. Scopo esplicito dell’ Archivio è stato, fin dall’inizio, quello di promuovere, accanto all'estensione della nostra conoscenza intorno alle situazioni sociali di tutti i paesi, e quindi intorno ai fazti della vita sociale, anche l'educazione del giudizio sui suoi problemi pratici e pertanto in quella maniera, certo assai modesta, in cui un fine siffatto può venir perseguito da studiosi privati la critica del lavoro pratico di politica sociale, fino ai fattori legislativi. E tuttavia l’ Archivio si è proposto sempre di essere una rivista esclusivamente scientifica, e di lavorare soltanto con i mezzi della ricerca scientifica cosicché si presenta subito il problema del modo in cui quello sto interesse molto c'è da sperare non troppo si è sacrificato di precisione dell’espressione, ed è stato pure del tutto tralasciato il tentativo di presentare, in luogo di un’'elencazione di alcuni punti di vista metodologici, un'indagine sistematica. Ciò avrebbe richiesto l'inserimento di una quantità di problemi di teoria della conoscenza, che in parte si situano a un livello ancora maggiore di profondità. Qui ci si propone non già di fare della logica, bensì di rendere utili per noi dei risultati noti della logica moderna; e quindi non di risolvere dei problemi, ma di illustrarne il significato ai non specialisti. Chi conosca i lavori dei logici moderni io cito solo Windelband, Simmel e, per i nostri scopi, specialmente Heinrich Rickert osserverà subito come ogni cosa essenziale sia qui legata ad essi, 1, Si tratta della Nota introduttiva alla nuova serie dell’ Archiv fir Sozialwissenschaft und Sozialpolitik , che enunciava il programma della nuova redazione, costituita oltre che da Weber da Edgard Jaffé e da Werner Sombart. Cfr. Archiv , XXI, 1904, pp. ivi scopo possa conciliarsi, in linea di principio, con la limitazione a questi mezzi. Allorché l’ Archivio procede nelle sue pagine a valutare le misure legislative o amministrative, oppure le proposte per tali misure, che cosa significa questo? Quali sono le zorme per questi giudizi? Quale è la validità dei giudizi di valore che talvolta esprime da parte sua colui che giudica, o che un autore, nell’avanzare proposte pratiche, pone a fondamento di queste? E in quale senso egli si mantiene allora sul terreno della discussione scientifica, dal momento che la caratteristica della conoscenza scientifica deve essere rintracciata nella validità oggettiva dei suoi risultati cioè nella sua verità? Noi intendiamo illustrare dapprima il nostro punto di vista di fronte a questa questione, per trattarne in seguito un’altra più ampia: in qual senso vi soro in generale verità oggettivamente valide sul terreno delle scienze che studiano la vita culturale? È una questione che, in considerazione del continuo mutare e della lotta accanita che investe anche i problemi apparentemente più elementari della nostra disciplina, il metodo del suo lavoro, il modo di formazione dei suoi concetti e la loro validità, non può essere evitata. Noi vogliamo quindi non già offrire delle soluzioni, ma piuttosto porre in luce dei problemi quei problemi a cui la nostra rivista, per essere giustificata nel suo lavoro passato e futuro, dovrà dedicare la propria attenzione. Noi tutti sappiamo che la nostra scienza, anzi con l’eccezione forse della storia politica ogni disciplina che abbia per oggetto le istituzioni e i processi culturali della vita umana, è storicamente sorta in relazione a punti di vista pratici. Il suo scopo prossimo, e all’inizio anche esclusivo, era quello di produrre giudizi di valore su determinati provvedimenti politico-economici dello stato. Essa costituiva una tecnica » all'incirca nello stesso senso in cui lo sono anche le discipline cliniche nell’ambito delle scienze mediche. È noto pure come questa posizione sia venuta gradualmente mutando, senza che tuttavia fosse realizzata una distinzione di principio tra la conoscenza di ciò che è» e la conoscenza di ciò che deve essere ». Contro questa distinzione operava dapprima la convinzione che i processi economici siano regolati da leggi di natura immutabilmente eguali, e in seguito l’altra convinzione che essi dipendano da un principio di sviluppo univoco; e pertanto si riteneva che ciò che deve essere coincidesse 0 con ciò che è immutabilmente, nel primo caso, oppure con ciò che diviene immancabilmente, nel secondo caso. Con il risveglio del senso storico la nostra scienza fu dominata da una combinazione di evoluzionismo etico e di relativismo storico, la quale tentava di spogliare le norme etiche del loro carattere formale, di determinarle nel contenuto mediante l’incorporazione dell'insieme dei valori culturali nell’ambito della sfera etica, e di elevare perciò l’economia politica alla dignità di una scienza etica su fondamento empirico. Dal momento in cui si contrassegnava l’insieme di tutti gli ideali culturali possibili con l'impronta della sfera etica, svaniva però la dignità specifica degli imperativi etici, senza acquisire d’altra parte nulla per l’oggettività di quegli ideali. Per il momento noi possiamo e dobbiamo lasciar qui da parte una confutazione di principio di tale posizione; e ci soffermeremo semplicemente a osservare che anche oggi non è scomparsa l'opinione inesatta comune ovviamente soprattutto ai pratici che l'economia politica produca e debba produrre giudizi di valore, derivandoli da una specifica intuizione economica del mondo . La nostra rivista, in quanto rappresentante di una disciplina empirica, deve respingere in maniera fondamentale questa posizione come vogliamo mostrare fin dall’inizio poiché siamo convinti che non può mai essere compito di una scienza empirica quello di formulare norme vincolanti e ideali, per derivarne direttive per la prassi. Che cosa discende però da questa proposizione? Non ne discende in nessun modo che i giudizi di valore, in quanto essi si basano in ultima istanza su determinati ideali e sono perciò di origine soggettiva , siano sottratti alla discussione scientifica in genere. La prassi e lo scopo della nostra rivista avrebbe sempre smentito un principio siffatto. La critica non si arresta di fronte ai giudizi di valore. La questione è piuttosto la seguente: che cosa significa e a che cosa tende una critica scientifica di ideali e di giudizi di valore? Essa richiede una considerazione alquanto approfondita. Ogni riflessione pensante sugli elementi ultimi di un agire umano fornito di senso è vincolata anzitutto alle categorie di scopo e di mezzo . Noi vogliamo qualcosa, in concreto, o per il suo proprio valore oppure come mezzo al servizio di ciò che si vuole in ultima analisi. Alla considerazione scientifica è quindi accessibile in primo luogo, incondizionatamente, la questione dell’appropriatezza dei mezzi in vista di un dato scopo. In quanto noi (entro i limiti del nostro sapere) possiamo validamente stabilire quali mezzi sono appropriati o non appropriati per raggiungere uno scopo prospettato, possiamo per questa strada misurare le possibilità di conseguire con determinati mezzi a disposizione uno scopo determinato, e quindi criticare indirettamente la stessa determinazione di tale scopo, in base alla situazione storica presente, come praticamente fornita di senso oppure come priva di senso in base alla configurazione dei rapporti esistenti. Noi possiamo inoltre, se sembra data la possibilità di raggiungere uno scopo prospettato, stabilire naturalmente sempre entro i limiti del nostro sapere le conseguenze che avrebbe l’impiego dei mezzi richiesti accanto all'eventuale conseguimento dello scopo prefisso, sulla base della connessione complessiva di ogni accadere. Noi offriamo in tale maniera a colui che agisce la possibilità di misurare tra loro le conseguenze non volute e quelle volute del suo agire, e perciò la risposta alla questione: che cosa costa il conseguimento dello scopo voluto, in forma di pregiudizio prevedibilmente recato ad altri valori? Dal momento che, nella grande maggioranza dei casi, ogni scopo al quale si tende costa oppure può costare qualcosa, l’auto-riflessione di uomini che agiscano in modo responsabile non può prescindere dalla reciproca misurazione dello scopo e delle conseguenze dell’agire; e renderla possibile è infatti una delle funzioni essenziali della critica tecnica, quale noi l'abbiamo finora considerata. Tradurre quella misurazione in una decisione nor è certo più un possibile compito della scienza, ma è compito dell’uomo che vuole: egli misura e sceglie tra i valori in questione secondo la propria coscienza e secondo la sua personale concezione del mondo. La scienza può condurlo alla coscienza che ogri agire, e naturalmente anche (secondo le circostanze) il zon-agire, significa nelle suc conseguenze una presa di posizione in favore di determinati valori, e perciò cosa che oggi viene così volentieri dimenticata di regola contro altri. Compiere la scelta è però cosa sua. Ciò che noi possiamo ancora offrirgli per questa decisione è la conoscenza del significato di ciò che viene voluto. Noi possiamo insegnargli a conoscere nella loro connessione e nel loro significato gli scopi che egli vuole, e tra cui sceglie, rendendo esplicite e sviluppando in maniera logicamente coerente le idee che stanno, o che possono stare, a base dello scopo concreto. Infatti è evidentemente uno dei compiti essenziali di ogni scienza della vita culturale dell’uomo quello di schiudere alla comprensione spirituale queste idee , per le quali si è lottato e si lotta, in parte realmente e in parte apparentemente. Ciò non va oltre i limiti di una scienza che tende a un ordinamento concettuale della realtà empirica, sebbene i mezzi necessari per questa interpretazione dei valori spirituali non costituiscano induzioni nel senso comune del termine. Tuttavia questo compito cade, almeno parzialmente, al di fuori dell'ambito della disciplina economica nella sua specializzazione, quale è definita in base alla consueta divisione del lavoro scientifico; si tratta piuttosto di un compito della filosofia sociale. Solo che la forza storica delle idee è stata così predominante per lo sviluppo della vita sociale, e lo è tuttora, che la nostra rivista non può sottrarsi a tale compito, e deve piuttosto considerarlo nell'ambito dei suoi doveri più importanti. Ma la trattazione scientifica dei giudizi di valore può non soltanto farci comprendere e rivivere gli scopi che ci prefiggiamo e gli ideali che stanno alla loro base, ma soprattutto può insegnarci anche a valutarli criticamente. Questa critica può certo avere soltanto un carattere dialettico, cioè può soltanto essere una valutazione logico-formale del materiale che ci è offerto dai giudizi di valore e dalle idee storicamente date, e quindi un esame degli ideali in base al postulato della n0n contraddittorietà interna di ciò che viene voluto. Essa può, proponendosi questo scopo, condurre colui che agisce volontariamente a un’auto-riflessione su quegli assiomi ultimi che stanno a base del contenuto del suo volere, vale a dire a quei criteri di Max Weber intorno al 1916. valore ultimi da cui egli inconsapevolmente muove o da cui per essere coerente dovrebbe muovere. Recare alla coscienza questi criteri ultimi, che si manifestano nei giudizi concreti di valore, è in ogni caso l’ultima cosa che essa può compiere, senza penetrare nel campo della speculazione. Che il soggetto che giudica debba conformarsi a questi criteri ultimi è un suo affare personale, e riguarda il suo volere e la sua coscienza, non già il sapere empirico. Una scienza empirica non può mai insegnare a nessuno ciò che egli deve, ma può insegnargli soltanto ciò che egli può e in determinate circostanze ciò che egli vuole. È vero che, entro il campo delle nostre scienze, i vari modi personali di concepire il mondo penetrano di continuo anche nell’argomentazione scientifica, intorbidandola sempre e conducendola a considerare in maniera diversa il peso di argomenti scientifici, pur sul terreno della determinazione di semplici connessioni causali tra i fatti; e che di conseguenza risultano diminuite o aumentate, a seconda dei casi, le possibilità degli ideali personali, cioè la possibilità di volere qualcosa di determinato. Anche gli editori e i collaboratori della nostra rivista ritengono sotto questo rispetto che in verità nulla di umano sia loro alieno . Ma molto intercorre tra questa confessione di debolezza umana e la fede in una scienza etica dell’economia politica, che dovrebbe dalla propria materia produrre degli ideali, oppure dar luogo a norme concrete mediante l’applicazione di imperativi etici universali a tale materia. Ed è anche vero che proprio quegli elementi intimi della personalità, i supremi e ultimi giudizi di valore che determinano il nostro agire e che dànno senso e significato alla nostra vita, sono da noi avvertiti come qualcosa di oggeztivamente valido. Noi possiamo rappresentarceli soltanto se essi si presentano a noi come validi, come derivanti dai nostri supremi valori, e se quindi essi sono così sviluppati, nella lotta contro le resistenze della vita. E certamente la dignità della personalità consiste tutta nel fatto che per essa vi sono valori a cui riferisce la propria vita: anche se nel caso singolo questi valori sussistono esclusivamente entro la sfera della propria individualità, tuttavia l’estrinsecarsi in quelli dei suoi interessi, per i quali reclama la validità dei valori, diventa l’idea alla quale essa si riferisce. Soltanto in base al presupposto della fede nei valori ha senso, in ogni caso, il tentativo di formulare giudizi di valore. Giudicare la validità di tali valori è però una questione di fede, ed è inoltre forse un compito della considerazione speculativa e dell’interpretazione della vita e del mondo nel loro senso, ma non è sicuramente oggetto di una scienza empirica nel significato adottato in queste pagine. Per questa distinzione non ha rilievo decisivo come spesso si ritiene il fatto empiricamente determinabile che quei fini ultimi sono storicamente mutevoli e contestati. Infatti anche la conoscenza dei princìpi più sicuri del nostro sapere teorico anche del sapere delle scienze naturali esatte o della matematica è in primo luogo prodotto della cultura, nello stesso modo in cui lo sono la sensibilità e il raffinamento della coscienza. Soltanto quando riflettiamo in maniera specifica sui problemi pratici della politica economica e sociale (nel senso consueto del termine), risulta chiaro che vi sono numerose, anzi innumerevoli questio ni particolari di carattere pratico, per la cui discussione si muove, in generale accordo, da certi scopi assunti come di per sé evidenti sì pensi per esempio ai crediti in caso di necessità, ai compiti concreti dell’igiene sociale, all’assistenza dei poveri, a provvedimenti come le ispezioni di fabbriche, i tribunali del lavoro, gli uffici di collocamento, cioè a gran parte della legislazione protettiva dei lavoratori e che di questi scopi si discute, almeno in apparenza, solo in riferimento ai mezzi adatti per conseguirli. Ma anche se si scambiasse qui l’apparenza dell’auto-evidenza con la verità ciò che la scienza non potrebbe mai fare impunemente e se si volessero considerare i conflitti, entro i quali subito conduce il tentativo della realizzazione pratica, come questioni puramente pratiche di opportunità il che sarebbe molto spesso erroneo dovremmo tuttavia osservare che anche questa apparenza di auto-evidenza dei criteri regolativi di valore svanisce appena procediamo dai problemi concreti dei servizi assistenziali alle questioni della politica economica e sociale. Il contrassegno del carattere politico-sociale di un problema consiste precisamente nel fatto che esso non può venir sbrigato sulla base di considerazioni meramente tecniche che facciano riferimento a scopi stabiliti, e che si può, anzi si è costretti a disputare intorno agli stessi criteri regolativi di valore, dal momento che il problema rientra nella regione delle questioni culturali di portata generale. E la disputa si svolge non soltanto, come oggi così volentieri si crede, tra interessi di classe, ma anche tra intuizioni del mondo e con ciò tuttavia rimane naturalmente vero che l'adesione dell'individuo a una certa intuizione del mondo è decisa anche, oltre che da vari altri elementi, e di sicuro in misura molto elevata, dal grado di affinità che la unisce al suo interesse di classe (se vogliamo qui accogliere in via provvisoria questo concetto solo apparentemente univoco). Di certo c'è, in ogni circostanza, soltanto una cosa, che quanto più generale è il problema del quale si tratta, vale a dire quanto più esteso è il suo significato culturale, tanto meno esso può trovare una risposta univocamente determinata in base al materiale del sapere empirico, e di conseguenza tanto maggiore rilievo hanno gli ultimi assiomi, così personali, della fede e delle idee di valore. È semplicemente una ingenuità sebbene essa sia tuttora condivisa talvolta da specialisti ritenere possibile di stabilire in primo luogo per la scienza sociale pratica un principio e di trovare una conferma scientifica della sua validità, per dedurne quindi in maniera univoca le norme per la soluzione dei problemi pratici particolari. Per quanto le discussioni di principio di problemi pratici, condotte per riportare i giudizi di valore che si impongono in maniera irriflessa al loro contenuto di idee, siano indispensabili nella scienza sociale, e per quanto la nostra rivista intenda dedicarsi in maniera particolare anche ad esse, non può tuttavia essere suo compito come non può essere il compito di nessuna scienza empirica in genere la creazione di un denominatore comune di portata pratica per i nostri problemi, in forma di ideali ultimi universalmente validi; esso sarebbe non soltanto di fatto insolubile, ma anche in sé privo di senso. E quale che sia l’interpretazione del fondamento e del modo di obbligatorietà degli imperativi etici, è però certo che da essi, in quanto costituiscono norme per l’agire concretamente condizionato dell’;dividuo, non si possono dedurre in maniera univoca dei contenuti di cultura che debbano essere accolti, e che anzi ciò è tanto meno possibile quanto più comprensivi sono i contenuti in questione. Soltanto le religioni positive o più precisamente le sette legate da un vincolo dogmatico possono attribuire al contenuto dei valori culturali la dignità di comandi etici incondizionatamente validi. Al di fuori di esse gli ideali culturali, che l’individuo rsole realizzare, e i doveri etici, che egli deve compiere, sono di dignità fondamentalmente differente. Il destino di un’epoca di cultura che ha mangiato dall’albero della conoscenza è quello di sapere che noi non possiamo cogliere il senso dell’accadere cosmico in base al risultato della sua investigazione, per quanto perfettamente accertato esso sia, ma che dobbiamo essere in grado di crearlo, e che di conseguenza le intuizioni del mondo non possono mai essere prodotto del sapere empirico nel suo progredire, mentre gli ideali supremi, che ci muovono nella maniera più potente, agiscono in tutte le età solo nella lotta con altri ideali, che ad altri sono sacri come a noi i nostri. Soltanto un sincretismo ottimistico, quale risulta talvolta prodotto dal relativismo storico-evolutivo, può illudersi teoricamente sull’estrema gravità di questo stato di cose oppure sottrarsi praticamente alle sue conseguenze. È ovvio che nel caso singolo può essere soggettivamente doveroso per il politico pratico cercare una mediazione tra le antitesi di opinioni esistenti, proprio come può esserlo prendere partito per una di esse. Ma ciò non ha proprio nulla a che fare con l’ oggettività scientifica. La linea di mezzo non è verità scientifica in nessun modo più di quanto lo siano gli estremi ideali di parte, di destra oppure di sinistra. Mai l’interesse della scienza è alla lunga così mal garantito come le volte in cui non si vuole guardare in faccia i fatti scomodi e le realtà della vita nella loro durezza. L° Archivio combatterà senza sosta la grave auto-illusione che si possano ottenere norme pratiche di validità scientifica attraverso la sintesi di diversi punti di vista, oppure in base a una diagonale tracciata tra di loro, in quanto essa amando rivestire relativisticamente i propri criteri di valore è molto più pericolosa per una ricerca impregiudicata di quanto non lo sia la vecchia ingenua fede dei diversi partiti nella dimostrabilità scientifica dei propri dogmi. La capacità di realizzare la distinzione tra il conoscere e il valutare, cioè tra l'adempimento del dovere scientifico di vedere la realtà dei fatti e l'adempimento del dovere pratico di difendere i propri ideali questo è il principio al quale dobbiamo attenerci più saldamente. In ogni epoca c’è e rimarrà sempre questo è ciò che ci interessa una differenza insormontabile tra un’argomentazione la quale si diriga al nostro sentimento e alla nostra capacità di entusiasmarci per fini pratici concreti o per forme e contenuti culturali, oppure anche alla nostra coscienza nel caso in cui sia in questione la validità di norme etiche e un’argomentazione la quale si rivolga invece alla nostra capacità e al nostro bisogno di ordinare concettualmente la realtà empirica, in maniera da pretendere una validità di verità empirica. E questa proposizione rimane corretta nonostante che quei valori supremi che stanno a base dell’interesse pratico siano e restino sempre di decisiva importanza, come si porrà ancora in luce, per la direzione che l’attività ordinatrice del pensiero assume ogni volta nel campo delle scienze della cultura. È e resta vero, infatti,che una dimostrazione scientifica metodicamente corretta nel campo delle scienze sociali deve essere riconosciuta come giusta, allorché essa abbia realmente conseguito il proprio scopo, anche da un Cinese. Il che vuol dire, più precisamente, che essa deve in ogni caso aspirare a questo fine, benché forse non pienamente attuabile per l’insufficienza del materiale, e che l’analisi logica di un ideale, considerato nel suo contenuto e nei suoi assiomi ultimi, nonché l’indicazione delle conseguenze che logicamente e praticamente derivano dalla sua realizzazione, deve essere valida per chiunque, anche per un Cinese, una volta posto che sia riuscita. E ciò mentre a lui può mancare la sensibilità per i nostri imperativi etici, e mentre egli può respingere e certo respingerà spesso quell’ideale e le valutazioni concrete che ne discendono, senza tere in tal modo il valore scientifico dell’analisi concettuale. sicuro la nostra rivista non ignorerà i tentativi, che i. e inevitabilmente si ripetono, di determinare in maniera univoca il sezso della vita culturale. Al contrario, essi appartengono ai prodotti più importanti di questa vita culturale, e in determinate circostanze anche alle sue più potenti forze direttive. Perciò noi seguiremo sempre con cura il corso delle discussioni di filosofia sociale in questo senso. Anzi, noi siamo quanto mai alieni dal pregiudizio che le considerazioni della vita culturale, le quali tentano di pervenire a interpretare metafisicamente il mondo, procedendo oltre l’ordinamento concettuale del dato empirico, non possano per questo loro carattere adempiere alcun compito in servizio della conoscenza. In che cosa consista questo compito è certo un problema in primo luogo di teoria della conoscenza, la cui soluzione deve, e può anche, essere qui messa in disparte per ciò che concerne i nostri scopi. Poiché una cosa dobbiamo stabilire per il nostro lavoro: che una rivista di scienza sociale nel senso da noi illustrato, in quanto essa aspira al carattere di scienza, deve essere una sede nella quale si cerca la verità, e una verità tale per rimanere all'esempio che esiga anche per il Cinese la validità propria di un ordinamento concettuale della realtà empirica. Certamente gli editori non possono proibire una volta per sempre, a se stessi e ai collaboratori, di esprimere i propri ideali anche in forma di giudizi di valore. Solo che da ciò scaturiscono due importanti doveri. In primo luogo, viene il dovere di rendere ben consapevole in ogni momento il lettore e se stesso dei criteri a cui viene commisurata la realtà e da cui è derivato il giudizio di valore, invece di illudersi, come troppo spesso accade, intorno ai conflitti tra gli ideali, mediante un’imprecisa congiunzione di valori di diverso tipo, e di volere « offrire qualcosa a ognuno . Se questo dovere viene rigorosamente osservato, la presa di posizione valutativa di carattere pratico può risultare non soltanto innocua, ma anche direttamente utile nel puro interesse scientifico; poiché nella critica scientifica delle proposte legislative, nonché di altre proposte pratiche, la chiarificazione dei motivi del legislatore e degli ideali dell’autore criticato non può venir compiuta in tutta la sua portata, in forma intelligibile, se non mediante il confronto dei criteri di valore che sono alla loro base con altri, e naturalmente anche, in primo luogo, con i propri. Ogni valutazione fornita di senso del volere di un altro può essere soltanto una critica condotta in base alla propria intuizione del mondo, cioè una lotta contro l'ideale altrui sulla base di un proprio ideale. Se nel caso particolare l’assioma valutativo ultimo, che sta a fondamento di un volere pratico, deve essere non soltanto determinato e analizzato scientificamente, ma anche illustrato nelle sue relazioni con altri assiomi valutativi, rimane inevitabile una critica positiva per mezzo di un “esposizione sistematica di questi ultimi. Nelle pagine di questa rivista, specialmente in occasione della discussione di leggi, si tratte rà inevitabilmente, oltre che di scienza sociale e cioè dell’ordinamento concettuale dei fatti anche di politica sociale e cioè della rappresentazione di ideali. Ma noi non pensiamo di presentare siffatte discussioni polemiche come scienza , € ci guarderemo con tutte le nostre forze dal mescolare e scambiare le due cose. Non è più allora la scienza che parla; e infatti la seconda fondamentale prescrizione di un discorso scientifico impregiudicato è di illustrare con chiarezza in tali casi al lettore (e, lo ripetiamo, in primo luogo di chiarire a se stesso) che, e dove, finisce il ricercatore con la sua opera di pensiero e dove comincia a parlare l’uomo che vuole, dove gli argomenti concernono l’intelletto e dove si dirigono invece al sentimento. La continua mescolanza della discussione scientifica dei fatti e del ragionamento valutativo è una delle caratteristiche ancora più diffuse, ma anche più dannose, dei lavori della nostra disciplina. E le considerazioni precedenti si dirigono appunto contro questa mescolanza, non già contro l'enunciazione dei propri ideali. L’indifferenza e l’ oggettività scientifica non posseggono nessuna affinità interna. L’ Archivio non è mai stato, e non deve neppur diventare almeno secondo la sua intenzione un luogo nel quale si conduca una polemica contro determinati partiti politici o politico-sociali, e tanto meno una sede in cui si faccia opera di proselitismo a favore di, oppure in opposizione a ideali politici o politicosociali; per tale scopo sussistono altri organi. Il carattere proprio della rivista è stato fin dall’inizio, e dovrà essere anche in futuro, per quanto dipende dagli editori, quello di riunire insieme nel lavoro scientifico i più aspri avversari politici. Essa non è stata finora un organo socialista e non diventerà in avvenire un organo borghese. Essa non esclude dalla propria cerchia di collaboratori nessuna persona che voglia porsi sul terreno della discussione scientifica. Essa non può costituire un’arena di risposte , repliche e contro-repliche, ma d’altra parte non può evitare a chiunque, neppure ai suoi collaboratori e tanto meno ai suoi editori, di essere soggetti nelle proprie pagine alla più severa critica scientifica. Chiun que non possa sopportare ciò, o che ritenga di non poter collaborare, neppure al servizio della conoscenza scientifica, con gente che lavora per ideali diversi dai suoi, può rimanere lontano dalla rivista. Certo con questa ultima proposizione non vogliamo illuderci in proposito si è però detto praticamente molto di più di quanto non appaia ad un primo sguardo. In primo luogo, come si è già accennato, la possibilità di incontrarsi con avversari politici su un terreno neutrale sociale o ideale ha purtroppo, in base a ciò che risulta empiricamente, i suoi limiti psicologici dovunque, e in particolare nella situazione tedesca. Degno di essere combattuto senz’altro di per sé come segno di una ristrettezza mentale basata sul fanatismo e di una cultura politica arretrata, questo ostacolo viene accresciuto in misura considerevole, nel caso di una rivista come la nostra, dalla circostanza che nel campo delle scienze sociali l'impulso a considerare i problemi scientifici è dato di regola da questioni pratiche, di modo che il puro riconoscimento della sussistenza di un problema scientifico sta in unione personale con il volere di uomini viventi, diretto a un determinato scopo. Nelle colonne di una rivista, la quale viene in vita sotto l'influenza dell’interesse generale per un problema concreto, si troveranno perciò di regola insieme, come collaboratori, uomini che dedicano a tale problema il loro interesse personale, in quanto ad essi sembra che determinate situazioni concrete siano in contraddizione con valori ideali a cui credono, e che quei valori siano in pericolo. E quindi un’affinità elettiva di ideali siffatti unirà la cerchia dei collaboratori e consentirà di reclutarne degli altri, di modo che essa acquisterà almeno nella trattazione dei problemi politico-sociali di portata pratica un determinato carattere, quale inevitabilmente si accompagna a ogni cooperazione di uomini forniti di una viva sensibilità, la cui presa di posizione valutativa di fronte ai problemi non è sempre del tutto repressa anche nel puro lavoro teoretico, e si esprime pure in maniera del tutto legittima entro l’ambito dei presupposti prima discussi attraverso la critica di proposte e di misure pratiche. L’ Archivio apparve in un periodo nel quale stavano in primo piano, nelle discussioni della scienza sociale, determinati problemi pratici costituenti la questione dei lavoratori nel senso tradizionale della parola. Quelle personalità per cui i supremi e decisivi ideali valutativi si congiungevano ai problemi che esso intendeva trattare, e che pertanto divennero i suoi più consueti collaboratori, furono proprio per questo anche rappresentanti di una concezione culturale atteggiata in maniera identica o simile in base a quelle idee di valore. Ognuno sa pertanto che, sebbene la rivista abbia decisamente rifiutato di seguire una tendenza mediante l’esplicita limitazione alle discussioni scientifiche e mediante l’esplicito invito agli appartenenti a ogni settore politico , essa tuttavia ha posseduto sicuramente un carattere nel senso che si è detto. Esso fu creato in base alla cerchia dei suoi collaboratori regolari. Furono in generale uomini che, nonostante ogni altra divergenza di opinioni, ritenevano proprio fine quello di proteggere la salute fisica delle masse dei lavoratori e di rendere loro possibile una crescente partecipazione ai beni materiali e spirituali della nostra cultura; uomini che consideravano come mezzo in vista di tale fine la connessione dell'intervento statale nella sfera degli interessi materiali con il libero sviluppo ulteriore dell'ordinamento esistente dello stato e del diritto, e che quale potesse essere la loro opinione sulla formazione dell'ordinamento della società nel remoto futuro sostenevano per il presente lo sviluppo capitalistico, non già perché questo sembrasse loro la migliore nei confronti delle più vecchie forme di organizzazione sociale, ma perché esso pareva praticamente inevitabile, e d’altra parte il tentativo di una lotta a fondo contro di esso risultava non tanto un vantaggio quanto un ostacolo per il progredire della classe operaia verso la luce della cultura. Nelle condizioni oggi esistenti in Germania che non hanno qui bisogno di un'ulteriore chiarificazione questo non era, e non sarebbe neppure oggi, da evitare. Anzi, ciò giovò senz'altro alla partecipazione di tutte le parti alla discussione scientifica, e costituì per la rivista un elemento di forza, e forse anche data la situazione uno dei titoli che ne giustificavano l’esistenza. È fuor di dubbio che lo sviluppo di un carattere in questo senso può, e anzi dovrebbe per forza significare, in una rivista scientifica, un pericolo per un lavoro scientifico impregiudicato, nel caso in cui la scelta dei collaboratori sia stata di proposito unilaterale: in questo caso l'adozione di quel carattere varrebbe praticamente come la presenza di una tendenza . Gli editori sono pienamente consapevoli della responsabilità che questa situazione impone loro. Essi non si propongono né di mutare di proposito il carattere dell’ Archivio , né di conservarlo artificiosamente mediante un’accurata limitazione della cerchia dei collaboratori agli studiosi che abbiano determinate convinzioni politiche. Essi lo accettano come dato, e confidano nel suo ulteriore sviluppo . Come esso si configurerà in futuro, e come forse si trasformerà per l'inevitabile ampliamento della nostra cerchia di collaboratori, dipenderà in primo luogo dal carattere di quelle personalità che entreranno in tale ambito con l’intenzione di servire il lavoro scientifico, e che diverranno o rimarranno di casa sulle colonne della rivista. E ciò sarà ulteriormente condizionato dall’estensione dei problemi, al cui avanzamento la rivista si propone di tendere. Con questa osservazione noi perveniamo alla questione, finora non ancora discussa, della delimitazione di contenuto del nostro campo di lavoro. Ma ad essa non si può fornire una risposta senza prendere in esame anche la questione della natura del fine conoscitivo della scienza sociale in genere. Noi abbiamo presupposto, distinguendo in linea di principio giudizi di valore e sapere empirico , che vi sia di fatto un tipo incondizionatamente valido di conoscenza, cioè di ordinamento concettuale della realtà empirica, nel campo delle scienze sociali. Questa assunzione diventa però ora un problema, dal momento che noi dobbiamo discutere che cosa può significare nel nostro campo la validità oggettiva della verità alla quale tendiamo. Che il problema sussista come tale, e che non venga qui creato in maniera sofisticata, non può sfuggire a nessuno che assista alla lotta di metodi, concetti fondamentali e presupposti, al continuo mutamento dei punti di vista e alla continua rielaborazione dei concetti che vengono impiegati, e che constati come la considerazione teorica e la considerazione storica siano ancor sempre divise da un abisso apparentemente insuperabile quasi a costituire, come si lagnava a suo tempo con tono lamentoso un disperato esaminando viennese, due economie politiche . Che cosa vuol qui dire oggettività? Semplicemente questa questione vogliono affrontare le considerazioni seguenti Fin dall’inizio questa rivista ha considerato gli oggetti dei quali si occupava come oggetti ecozomico-sociali. Per quanto abbia poco senso anticipare qui determinazioni concettuali e delimitazioni di discipline scientifiche, dobbiamo tuttavia porre brevemente in chiaro che cosa ciò significhi. Che la nostra esistenza fisica, al pari del soddisfacimento dei nostri più alti bisogni ideali, urti sempre contro la limitazione quantitativa e l’insufficienza qualitativa dei mezzi esterni che occorrono a tale scopo, e che per tale soddisfacimento vi sia appunto bisogno di una previdenza organizzata e del lavoro, della lotta contro la natura e dell’associazione con gli uomini, questo è espresso in forma molto imprecisa il fatto fondamentale al quale si riferiscono tutti quei fenomeni che noi indichiamo nel senso più ampio come economico-sociali . La qualità di un processo, che lo rende un fenomeno economico-sociale , non è qualcosa che inerisca ad esso in quanto tale, oggettivamente . Essa è piuttosto condizionata dalla direzione del nostro interesse conoscitivo, quale risulta dallo specifico significato culturale che attribuiamo nel caso singolo al processo in questione. Ogni qual volta un processo della vita culturale, considerato in quegli aspetti della sua particolarità in cui risiede il suo significato specifico per noi, è ancorato in maniera diretta o anche in maniera mediata a tale situazione, esso contiene, oppure può per lo meno contenere, nella misura in cui ciò ha luogo, un problema di scienza sociale, vale a dire un compito per una disciplina che si propone per oggetto la chiarificazione della portata di quella situazione fondamentale. Noi possiamo, entro l'ambito dei problemi economico-sociali, distinguere processi e complessi di norme, istituzioni ecc., il cui significato culturale consiste per noi essenzialmente nel loro aspetto economico, e che ci interessano in primo luogo come per esempio i processi della vita delle borse e delle banche soltanto da questo punto di vista. Ciò avverrà di regola (anche se non esclusivamente) quando si venga a trattare di istituzioni le quali siano state create o siano utilizzate consapevolmente per scopi economici. Noi possiamo chiamare questi oggetti del nostro conoscere con il nome di processi oppure di istituzioni economiche . Ad essi se ne aggiungono altri come per esempio i processi della vita religiosa che non ci interessano, oppure sicuramente non ci interessano in primo luogo, dal punto di vista del loro significato economico e in virtù di questo, ma che tuttavia in certe circostanze acquistano significato da questo punto di vista, poiché ne derivano effetti che ci interessano sotto il punto di vista economico: essi sono fenomeni economicamente rilevanti. Infine, tra i fenomeni che non sono economici nel nostro senso, ve ne sono alcuni i cui effetti economici non presentano per noi nessun interesse, o almeno non un interesse considerevole come per esempio l'orientamento del gusto artistico di un'epoca ma che sono da parte loro inffuenzati in misura più o meno forte, nel caso specifico, in certi aspetti importanti della loro fisionomia, da motivi economici, per esempio dal tipo di organizzazione sociale del pubblico che si interessa all’arte: essi sono fenomeni condizionati economicamente. Quel complesso di relazioni umane, di norme e di rapporti determinati normativamente, che noi chiamiamo lo stato , è per esempio un fenomeno economico per ciò che riguarda la sua economia finanziaria; è un fenomeno economicamente rilevante in quanto agisce, per via legislativa o altrimenti, sulla vita economica (anche quando punti di vista assai diversi da quelli economici determinano consapevolmente il suo atteggiamento); ed è infine un fenomeno condizionato economicamente in quanto il suo atteggiamento e il suo carattere sono condeterminati, anche in relazioni che non siano economiche , da motivi economici. È implicito in ciò che si è detto che da una parte l’ambito dei fenomeni economici è fluido, e non delimitabile in maniera precisa, e che d’altra parte naturalmente gli aspetti economici di un fenomeno non sono mai soltanto condizionati economicamente oppure soltanto economicamente operanti , € che in genere un fenomeno mantiene la qualità di fenomeno economico in quanto, e solamente per il periodo in cui il nostro interesse si dirige esclusivamente al significato che esso possiede per la lotta materiale per l’esistenza. La nostra rivista come del resto anche la scienza economico-sociale a partire da Marx e da Roscher? si è occupata non soltanto di fenomeni economici , ma anche di fenomeni economicamente rilevanti e di fenomeni condizionati economicamente . L'ambito di siffatti oggetti si estende naturalmente in maniera fluida, in quanto è legato al diverso orientamento del nostro interesse attraverso l’insieme di tutti i processi culturali. Motivi specificamente economici cioè motivi che sono ancorati, nella loro fisionomia per noi significativa, a quel fatto fondamentale operano sempre là dove il soddisfacimento di un bisogno, per quanto immateriale esso sia, è legato all'impiego di mezzi esterni limitati. Il loro peso ha pertanto condeterminato e trasformato ovunque non soltanto la forma del soddisfacimento, ma anche il contenuto dei bisogni culturali perfino di tipo interiore. L’influenza indiretta di relazioni sociali, di istituzioni, di raggruppamenti umani che stanno sotto la pressione di interessi materiali si estende (spesso inconsapevolmente) a tutti i campi della cultura senza eccezione, raggiungendo perfino le più sottili sfumature del sentimento estetico e religioso. I processi della vita quotidiana non meno degli avvenimenti storici dell’alta politica, i fenomeni collettivi e di massa al pari delle azioni singolari di uomini di stato o dei prodotti letterari e artistici di origine individuale subiscono questa influenza e sono così condizionati economicamente . D'altra parte l’insieme di tutti i fenomeni e di tutte le condizioni di vita di una cultura storicamente data opera sulla formazione dei bisogni materiali, sul modo del loro soddisfacimento, sulla formazione dei gruppi di interessi e sul tipo dei loro strumenti di potere, e perciò sul modo in cui si svolge lo sviluppo economico esso diventa cioè economicamente rilevante . In quanto la nostra scienza imputa, nel regresso causale, i fenomeni economici a cause individua2. Roscher, economista tedesco, autore del Grundriss zu Vorlesungen tiber die Staatswissenschaft nach geschichtlicher Methode (1843), del Systeni der Volkswirtschafislehre (1854-94), delle Ansichten der Volkswirtschaft (1861) e di varie altre opere, fu il fondatore della scuola storica di economia. Alla critica della sua impostazione è dedicato il primo saggio metodologico di Weber, Roscher und Knîes und die logischen Probleme der historischen Nationalokonomie, Schmollers Jahrbuch fir Gesetzgebung, Verwaltung und Volkswirtschaft , XXVII, 1903, pp. 1181-1221; XXIX, 1905, pp. 1323-84; XXX, 1906, Pp. 81-120 (ora in Gesammelte Aufsitze zur Wissenschaftslehre, pp. 1-145). li di carattere economico e non economico essa mira a conseguire una conoscenza storica . E in quanto segue ur elemento specifico dei fenomeni culturali, quello economico, determinandolo nel suo significato culturale attraverso le più diverse connessioni di cultura, essa mira a conseguire una inzerpretazione della storia da uno specifico punto di vista, offrendo un’immagine parziale, un lavoro preliminare per la piena conoscenza storica della cultura. Sebbene un problema economico-sociale non sussista ovunque ha luogo una connessione di elementi economici in quanto conseguenza o in quanto causa poiché esso sorge soltanto dove il significato di quei fattori è problematico, e può venir determinato con sicurezza solo mediante l’impiego dei metodi della scienza economico-sociale da ciò che si è detto finora risulta stabilito l'ambito quasi sconfinato del campo di lavoro della considerazione economico-sociale. La nostra rivista ha finora di solito rinunciato, in base a una ponderata auto-limitazione, alla considerazione di un’intera serie di campi particolari molto importanti della disciplina, e in modo speciale alla considerazione dell'economia descritti va, della storia economica in senso stretto e della statistica. Allo stesso modo essa ha lasciato ad altri organi la discussione delle questioni tecnico-finanziarie e dei problemi economico-tecnici della formazione del mercato e dei prezzi della moderna economia di scambio. Il suo campo di lavoro è costituito dalla considerazione del significato odierno e del processo storico di certe costellazioni di interessi e di certi conflitti che sono sorti in virtù della funzione preminente dell’impiego di un capitale in cerca di investimento nell’economia dei paesi moderni. Essa non si è quindi limitata ai problemi pratici e storico-evolutivi che definiscono la questione sociale in senso stretto, cioè alle relazioni della moderna classe di lavoratori salariati con l'ordinamento sociale esistente. È certo che l’approfondimento scientifico dell'interesse che, negli anni dopo l’'80, veniva estendendosi presso di noi per questa speciale questione, ha rappresentato dapprima uno dei suoi compiti essenziali. Quanto più la considerazione pratica della condizione operaia è diventata anche presso di noi oggetto permanente dell’attività legislativa e della discussione pubblica, tanto più il centro di gravità del lavoro scientifico ha dovuto spostarsi verso la determinazione delle connessioni di carattere più universale in cui questi problemi trovavano il proprio posto, sfociando in un'analisi di tuzti i problemi culturali creati dalla fisionomia particolare dei fondamenti economici della nostra cultura, e in quanto tali specificamente moderni. La rivista ha perciò cominciato assai presto a trattare storicamente, statisticamente e teoricamente i più diversi rapporti, in parte condizionati economicamente e in parte economicamente rilevanti , che si presentano anche nelle altre grandi classi delle nazioni moderne nelle loro relazioni reciproche. Noi traiamo soltanto le conseguenze di questo atteggiamento allorché indichiamo ora come campo di lavoro più particolarmente proprio della mostra rivista la ricerca scientifica del gezerale significato culturale della struttura economico-sociale della vita della comunità umana e delle sue forme storiche di organizzazione. Questo e non altro abbiamo inteso, chiamando la nostra rivista Archivio per la scienza sociale . La parola deve comprendere qui la trattazione storica e teorica degli stessi problemi la cui soluzione pratica è oggetto della politica sociale nel senso più ampio del termine. Noi facciamo perciò uso del diritto di impiegare l’espressione sociale nel suo significato determinato in base ai problemi concreti del presente. Se si vuol chiamare scienze della cultura quelle discipline che considerano i processi della vita umana dal punto di vista del loro significato culturale, la scienza sociale nel nostro senso appartiene a questa categoria. Vedremo ora quali conseguenze di principio ne derivano. Senza dubbio isolare l’aspetto economico-sociale della vita culturale rappresenta una delimitazione assai sensibile del nostro tema. Si dirà che il punto di vista economico o come lo si è imprecisamente definito materialistico , in base a cui è qui considerata la vita della cultura, è unilaterale . Certamente, e questa unilateralità è intenzionale. La fede che sia compito del lavoro scientifico nel suo progredire quello di guarire la considerazione economica dalla sua unilateralità , in maniera da ampliarla in una scienza sociale generale, è inficiata anzitutto dal fatto che il punto di vista del sociale , cioè della relazione tra gli uomini, possiede una determinatezza sufficiente per la delimitazione dei problemi scientifici solo quando è accompagnato da qualche predicato specifico che lo qualifica nel suo contenuto. Altrimenti esso, in quanto oggetto di una scienza, comprenderebbe naturalmente la filologia al pari della storia della chiesa, e in modo particolare tutte quelle discipline che si occupano del più importante elemento costitutivo di ogni vita culturale, cioè dello stato, e della più importante forma della sua regolamentazione normativa, cioè del diritto. Che l’economia sociale prenda in esame delle relazioni sociali non è un buon motivo per pensare che essa precorra una scienza sociale generale , allo stesso modo in cui la circostanza che essa si riferisca a fenomeni della vita o che abbia a che fare con processi di un corpo celeste non autorizza a considerarla rispettivamente parte della biologia oppure parte di un’astronomia artificialmente accresciuta e migliorata. Non già le connessioni di fatto delle cose , bensì le connessioni concettuali dei problemi stanno a base dei campi di lavoro delle scienze: dove si procede ad affrontare con un nuovo metodo un nuovo problema, e si scoprono in tale maniera verità le quali aprano nuovi importanti punti di vista, là sorge una nuova scienza . Non è un caso che il concetto di sociale , il quale sembra avere un senso così generale, rechi con sé, ogni qual volta lo si controlla nel suo impiego, un significato particolare, specificamente atteggiato, quand’anche di solito indeterminato; l’elemento generale sussiste in esso di fatto soltanto nella sua indeterminatezza. Qualora lo si assuma nel suo significato generale , esso non offre nessun punto di vista specifico dal quale illustrare il significato di certi elementi della cultura. Liberi ormai dalla fiducia antiquata nella possibilità di dedurre la totalità dei fenomeni culturali come prodotto oppure come funzione di costellazioni di interessi materiali , noi riteniamo però d'altra parte che l’analisi dei fenomeni sociali e dei processi culturali dal punto di vista specifico del loro condizionamento economico e della loro portata economica sia stata, € possa ancora rimanere in ogni tempo prevedibile, con un’applicazione oculata e con libertà da ogni restrizione dogmatica, un principio scientifico fornito di fecondità creativa. La cosiddetta concezione materialistica della storia come intuizione del mondo 0 come denominatore comune di spiegazioMAX WEBER 577 ne causale della realtà storica deve essere rifiutata nel modo più deciso; invece l’accurato impiego dell’interpretazione economica della storia è uno degli scopi essenziali della nostra rivista. Ma ciò richiede una più precisa illustrazione. La cosiddetta concezione materialistica della storia , nel vecchio senso, genialmente primitivo, che compare per esempio nel Manifesto comunista, sopravvive oggi soltanto nella testa di persone prive di competenza specifica e di dilettanti. Presso questa gente è tuttora diffusa la circostanza che il loro bisogno causale di spiegazione di un fenomeno storico non è soddisfatto finché non si mostrano (oppure non sembrano essere) in gioco, in qualche modo o in qualche luogo, delle cause economiche: ma proprio in questo caso essi si accontentano delle ipotesi a maglie più larghe e delle formulazioni più generali, in quanto il loro bisogno dogmatico è soddisfatto nel ritenere che le forze istintive economiche siano quelle proprie , le sole vere, e anzi in ultima istanza sempre decisive . Il fenomeno non è però affatto singolare. Quasi tutte le scienze, dalla filologia alla biologia, hanno talvolta avanzato la pretesa di dare origine non soltanto a un sapere specializzato, ma anche a intuizioni del mondo . E sotto l'impressione del profondo significato culturale delle moderne trasformazioni economiche, in particolare della portata predominante della questione operaia , l'ineliminabile carattere monistico di ogni forma di conoscere priva di consapevolezza critica nei confronti del proprio lavoro condusse naturalmente per questa strada. Lo stesso carattere viene ora in luce nell’antropologia, mentre si viene sviluppando con crescente asprezza la lotta politica e politico-commerciale tra le nazioni per il dominio del mondo: è diffusa la fede che in ultima analisi ogni accadere storico sia una derivazione del gioco reciproco di qualità razziali innate. In luogo di una mera descrizione acritica dei caratteri dei popoli è subentrata la costruzione ancor più acritica delle proprie teorie della società su fondamento naturalistico . Noi seguiremo con cura nella nostra rivista lo sviluppo della ricerca antropologica, in quanto essa abbia significato per i nostri punti di vista. C'è però da sperare che venga gradualmente superata, mediante un lavoro metodicamente disciplinato, la situazione in cui il ricondurre causalmente i processi culturali alla razza documenta soltanto il nostro 0n-sapere proprio come avviene nel caso del riferimento ali’ ambiente 0, prima ancora, alle condizioni dell’epoca . Se qualcosa ha finora danneggiato questa ricerca, è certo la presunzione di alcuni fervidi dilettanti di poter fornire per la conoscenza della cultura un orientamento specificamente diverso, e superiore, rispetto all’estensione della possibilità di una sicura imputazione di singoli concreti processi culturali della realtà storica a concrete cause storicamente date, conseguita mediante un esatto materiale di osservazione determinato in base a specifici punti di vista. Esclusivamente nella misura in cui possono fornirci questo, i loro risultati hanno interesse per noi e qualificano la biologia razziale come qualcosa di più di un prodotto della moderna febbre di fondazione scientifica. Non diversamente stanno le cose per quanto riguarda il significato dell’interpretazione economica del corso storico. Se oggi, dopo un periodo di illimitata sopravvalutazione, incombe su di essa il pericolo di essere sottovalutata nella sua capacità orientativa per il lavoro scientifico, ciò è Ja conseguenza dell’acriticità senza pari con cui l’interpretazione economica della realtà fu impiegata come metodo universale , nel senso di una deduzione di tutti i fenomeni culturali vale a dire di tutto ciò che in essi risulta per noi essenziale come in ultima istanza economicamente condizionati. Oggi la forma logica, nella quale essa si presenta, non è del tutto unitaria. Là dove si presentano difficoltà per una spiegazione puramente economica, vi sono a disposizione diversi mezzi per mantenere in piedi la sua validità universale come elemento causale decisivo. Talvolta si considera tutto ciò che nella realtà storica 707 è deducibile da motivi economici come qualcosa che proprio perciò risulta scientificamente privo di significato, e quindi come qualcosa di accidentale . Oppure si estende il concetto di ciò che è economico fino a renderlo irriconoscibile, in maniera da inserire nell'ambito di quel concetto tutti gli interessi umani che siano in qualche maniera legati a mezzi esterni. Se è storicamente stabilito che in due situazioni eguali sotto il profilo economico si è tuttavia reagito in maniera diversa per le differenze di determinanti politiche e religiose, o climatiche, o di innumerevoli altre non economiche allora si procede a degradare tutti questi elementi, allo scopo di conservare la supremazia dell'elemento economico, a condizioni storiche accidentali, dietro Ie quali i motivi economici operano in qualità di cause . S’intende però che tutti quegli elementi che risultano accidentali per la considerazione economica seguono le loro proprie leggi, proprio al pari degli elementi economici, e che per una considerazione la quale vada dietro al loro significato specifico le condizioni economiche sono storicamente accidentali nel medesimo senso del rapporto inverso. Un tentativo prediletto di giustificare, ciò nonostante, l’importanza predominante dell'elemento economico, consiste infine nell’interpretare la costante correlazione e successione dei singoli elementi della vita culturale nel senso di una dipendenza causale o funzionale dell’uno dall’altro, o piuttosto di tutti i rimanenti da uno solo, e cioè da quello economico. Dove una determinata istituzione 202 economica ha storicamente compiuto anche una determinata funzione al servizio di interessi economici di classe, dove, per esempio, determinate istituzioni religiose si lasciano impiegare, e sono impiegate, come polizia nera , l’intera istituzione viene allora presentata o come creata appunto per questa funzione o in maniera assolutamente metafisica come orientata in base a una tendenza di sviluppo che muove dall’elemento economico. Non c'è più bisogno oggi di illustrare a nessun specialista che questa interpretazione dello scopo dell'analisi economica è espressione in parte di una determinata costellazione storica, la quale indirizzava il proprio interesse scientifico verso determinati problemi culturali condizionati economicamente, e in parte di un rabbioso patriottismo scientifico, e che essa risulta ormai per lo meno invecchiata. La riduzione esclusiva a cause economiche non è in qualsiasi senso esauriente in nessun campo dei fenomeni culturali, e neppure in quello dei processi economici. In linea di principio una storia della banca di qualsiasi popolo, che volesse per la spiegazione avvalersi soltanto di motivi economici, sarebbe naturalmente impossibile nello stesso modo in cui lo sarebbe una spiegazione della Madonna Sistina in base ai fondamenti economico-sociali della vita culturale dell’epoca in cui è sorta e non sarebbe, sempre in linea di principio, più esaustiva di quanto non potrebbe esserlo per esempio la derivazione del capitalismo da certe trasformazioni di contenuti della coscienza religiosa che hanno cooperato alla genesi dello spirito capitalistico, o la derivazione di qualsiasi altra formazione politica da condizioni geografiche. In tutti questi casi è decisiva, per misurare l’importanza che dobbiamo assegnare alle condizioni economiche, la classe di cause alla quale devono essere imputati quegli elementi specifici del fenomeno in questione, a cui nel caso singolo attribuiamo un sigrificato in virtù del quale esso ci interessa. Il diritto dell’analisi unilaterale della realtà culturale da punti di vista specifici nel nostro caso dal punto di vista del suo condizionamento economico deriva però anzitutto, in linea puramente metodica, dalla circostanza che l’educazione della vista a osservare l’azione di categorie causali qualitativamente omogenee, e il continuo impiego del medesimo apparato metodico-concettuale, offrono tutti i vantaggi della divisione del lavoro. Che essa non sia troppo arbitraria è provato dal suo risultato, cioè dal fatto che fornisce la conoscenza di connessioni le quali si rivelano fornite di valore per l'imputazione causale di processi storici concreti. Ma l’ unilateralità e la irrealtà dell’interpretazione puramente economica del corso storico è soltanto un caso specifico di un principo generale che vale per la conoscenza scientifica della realtà culturale. Illustrarlo nei suoi fondamenti logici e nelle sue conseguenze metodiche generali è lo scopo essenziale delle discussioni che seguono. Non c’è nessuna analisi scientifica puramente oggettiva della vita culturale o ciò che forse è più ristretto, ma che non significa certo nulla di essenzialmente diverso per il nostro scopo dei fenomeni sociali , indipendentemente da punti di vista specifici e unilaterali, in base a cui essi sono espressamente o tacitamente, consapevolmente o inconsapevolmente .scelti come oggetto di ricerca, analizzati e organizzati nell'esposizione. Il fondamento di ciò sta nel carattere specifico del fine conoscitivo di ogni lavoro di scienza sociale, che voglia procedere oltre una considerazione puramente formale delle norme giuridiche o convenzionali della coesistenza sociale. La scienza sociale, quale noi vogliamo promuoverla, è una scienza di realtà. Noi vogliamo intendere la realtà della vita che ci circonda, e in cui noi siamo collocati, nel suo carattere proprio noi vogliamo cioè intendere da un lato la connessione e il significato culturale dei suoi fenomeni particolari nella loro configurazione presente e dall’altro i motivi del suo essere storicamente divenuto così-e-non-altrimenti. Allorché cerchiamo di riflettere sul modo in cui essa si presenta immediatamente a noi, la vita ci offre una molteplicità, senz’altro infinita, di processi che sorgono e scompaiono in un rapporto reciproco di successione e di contemporaneità, in noi e al di fuori di noi. E l'assoluta infinità di questa vita molteplice non diminuisce anche quando prendiamo in considerazione un singolo oggetto isolatamente per esempio un atto concreto di scambio e vogliamo studiarlo con serietà allo scopo di descrivere questo oggetto singolo esaurientemente in tutti i suoi elementi individuali, per non parlare poi di coglierlo nel suo condizionamento causale. Ogni conoscenza concettuale della realtà infinita da parte dello spirito umano finito poggia infatti sul tacito presupposto che soltanto una parte finita di essa debba formare l’oggetto della considerazione scientifica, e perciò risultare essenziale nel senso di essere degna di venir conosciuta . Ma in conformità a quali princìpi si procede a isolare questa parte? Si è ripetutamente creduto di poter trovare anche nelle scienze della cultura il criterio decisivo nel ricorrere conforme a leggi di determinate connessioni causali. Il contenuto delle leggi che noi riusciamo a conoscere nel corso sempre molteplice dei fenomeni deve costituire secondo questa concezione il solo aspetto scientificamente essenZiale in essi presente: quando abbiamo dimostrata valida senza eccezione, con i mezzi di una induzione storica complessiva, la legalità di una connessione causale, oppure quando l’abbiamo recata a un’evidenza intuitiva immediata per l’esperienza interna, allora ogni formula così ritrovata subordina a sé qualsiasi numero, per quanto grande si possa pensarlo, di casi omogenei. Ciò che della realtà individuale rimane al di fuori di questa determinazione dell’aspetto conforme a leggi o vale come un residuo ancora privo di elaborazione scientifica, che dev'essere sottoposto ad analisi attraverso il completamento progressivo del sistema di leggi, oppure rimane da parte come qualcosa di accidentale e proprio perciò di scientificamente inessenziale, in quanto esso non è comprensibile legalmente, e quindi non appartiene neppure al tipo del processo e può essere soltanto oggetto di oziosa curiosità . Sempre ricompare di conseguenza anche presso i rappresentanti della scuola storica la convinzione che l’ideale a cui ogni conoscenza, e quindi pure la conoscenza della cultura, tende e può tendere, anche se in un lontano futuro, sia un sistema di proposizioni teoriche, da cui possa venir dedotta la realtà. Un rappresentante eminente della scienza naturale ha ritenuto, com’è noto, di poter indicare come fine ideale (di fatto non attuabile) di una siffatta elaborazione della realtà culturale una conoscenza astronomica dei processi della vita. Ci sia consentito qui di prendere in esame più da vicino tale tesi, per quanto queste cose siano già state discusse. In primo luogo risulta ovvio che quella conoscenza astronomica , a cui si è pensato, non è una conoscenza di leggi, ma assume piuttosto le leggi di cui si serve come presupposti del suo lavoro da altre discipline, quale la meccanica. Essa stessa si interessa però di un’altra questione, e cioè di stabilire il risultato individuale che è prodotto dall’azione di quelle leggi su una costellazione individuale, poiché queste costellazioni individuali hanno per noi significato. Ogni costellazione individuale, che essa ci spiega o predice, può certo venir spiegata causalmente solo come conseguenza di un’altra costellazione del pari individuale che l’abbia preceduta; e per quanto si possa risalire indietro nella nebbia grigia del più remoto passato, la realtà per la quale Je leggi valgono rimane sempre individuale, e quindi non deducibile da leggi. Uno stato originario del cosmo, che non rechi in sé un carattere individuale, o che lo rechi in misura minore della realtà cosmica presente, sarebbe naturalmente un'idea priva di senso. E tuttavia un resto di simili rappresentazioni non viene fuori nel nostro campo in quelle assunzioni, ora intese giusnaturalisticamente ora invece verificate in base all'osservazione dei popoli primitivi, di stati originari economico-sociali che sono privi di accidentalità storiche come nel caso del comunismo agrario primitivo , della promiscuità sessuale ecc., da cui lo sviluppo storico individuale scaturisce poi attraverso una specie di caduta nel concreto? Punto di partenza dell'interesse della scienza sociale è senza dubbio la configurazione reale, e quindi individuale, della vita culturale che ci circonda, considerata nella sua connessione che è sì universale, ma non per questo meno individualmente atteggiata, e nel suo procedere da altri stati sociali di cultura, a loro volta evidentemente atteggiati in forma individuale. Senza dubbio la situazione che abbiamo illustrato a proposito dell’astronomia come un caso-limite (che è regolarmente considerato anche dai logici allo stesso scopo), si presenta qui in una misura assai più ragguardevole. Mentre per l’astronomia i corpi cosmici hanno interesse soltanto nelle loro relazioni quantitative, accessibili a un’esatta misurazione, nella scienza sociale ciò che ci interessa è invece la configurazione qualitativa dei processi. A ciò si aggiunga che nelle scienze sociali siamo di fronte a una cooperazione di processi spirituali, e che intendere questi processi rivivendoli costituisce naturalmente un compito di tipo specificamente diverso da quello che le formule della conoscenza esatta della natura in genere possono o vogliono risolvere. E tuttavia queste differenze non sono in sé così fondamentali come può sembrare a un primo sguardo. Senza la considerazione delle qualità non procedono prescindendo dalla meccanica pura neppure le scienze esatte della natura; inoltre nel nostro campo specifico incontriamo l'opinione certo distorta che il fenomeno della circolazione monetaria, fondamentale almeno per la nostra cultura, possa venir espresso quantitativamente e proprio per ciò sia comprensibile legalmente; e infine dipende da un’accezione più stretta o più larga del concetto di legge se si comprendono nel suo ambito anche regolarità che, in quanto non esprimibili quantitativamente, non sono neppur accessibili a nessuna considerazione di carattere numerico. Per ciò che riguarda in particolare la cooperazione di motivi spirituali , essa non esclude in nessun caso la determinazione di regole dell'agire razionale; e soprattutto non è ancora scomparsa oggi la convinzione che sia compito della psicologia quello di adempiere, nei confronti delle singole scienze dello spirito , a una funzione analoga a quella della matematica, analizzando i fenomeni più complicati della vita sociale nelle loro condizioni e nei loro effetti psichici, riportandoli a fattori psichici il più possibile semplici, classificando quindi questi ultimi nelle loro varie specie e infine studiandoli nelle loro connessioni funzionali. In tale maniera si darebbe vita, se non a una meccanica , almeno a una specie di chimica della vita sociale, considerata nei suoi fondamenti psichici. Se indagini di questo genere possono mai essere valide e il che è cosa diversa fornire risultati particolari utilizzabili per le scienze della cultura, non possiamo qui deciderlo. Ciò non avrebbe però alcuna importanza per la questione di cui ci occupiamo, cioè se il fine della conoscenza economico-sociale nel nostro senso, costituito dalla conoscenza della realtà nel suo significato culturale e nella sua connessione causale, possa venir raggiunto mediante l’investigazione di ciò che ricorre in conformità a leggi. Posto il caso che si pervenga un giorno, sia per mezzo della psicologia sia per altre vie, ad analizzare in base ad alcuni semplici fattori ultimi tutte le connessioni causali dei processi della convivenza umana finora osservate, e inoltre anche quelle concepibili in qualsiasi tempo futuro, e che si possa quindi abbracciarle in maniera esauriente in un'immensa casistica di concetti e di regole che valgono come leggi rigorose quale rilievo avrebbe il risultato di tutto questo per la conoscenza del mondo culturale storicamente dato, o anche soltanto di qualche suo particolare fenomeno, come per esempio del capitalismo nel suo divenire e nel suo significato culturale? Esso varrebbe come mezzo conoscitivo né più né meno di un lessico delle combinazioni chimico-organiche per la conoscenza bio-genetica del mondo animale e vegetale. Nell’uno come nell’altro caso si sarebbe compiuto un lavoro preliminare sicuramente importante e utile. Nell’uno come nell’altrocaso la realtà della vita non si lascerebbe però dedurre da quelle leggi e da quei fattori; e ciò non già perché nei fenomeni della vita debbano risiedere altre superiori e misteriose forze ( potenze , en telechie o come altrimenti le si è chiamate) questa è una questione del tutto a sé — ma semplicemente perché per la conoscenza della realtà ha per noi importanza la costellazione in cui si trovano quei fattori (ipotetici!), raggruppati in un fenomeno culturale che sia storicamente per noi significativo, e perché, se vogliamo spiegare causalmente questo raggruppamento individuale, noi dovremmo sempre rifarci ad altri raggruppamenti, del pari individuali, in base ai quali spiegarli , naturalmente attraverso l’impiego di quei concetti (ipoteticil) di legge. Determinare quelle leggi e quei fattori (ipotetici) sarebbe per noi in ogni caso solo il primo dei diversi lavori che dovrebbero condurre alla conoscenza a cui aspiriamo. L’analisi e Ja coordinazione del raggruppamento individuale storicamente dato di quei fattori e della loro cooperazione concreta, condizionata in tale maniera, che risulta sigrificativa nel suo modo specifico, e soprattutto la chiarificazione del fondamento e del tipo di questa significatività — questo sarebbe il suo compito successivo, da risolvere certo con il ricorso a quel lavoro preliminare, ma tuttavia pienamente nuovo e a4t0nomo nei suoi confronti. Seguire nel loro divenire le specifiche caratteristiche individuali, significative per il presenze, di tali raggruppamenti, risalendo il più possibile nel passato, e spiegarle storicamente in base alle costellazioni precedenti, che sono a loro volta individuali, costituirebbero un terzo compito che si può concepire — e la predizione di possibili costellazioni nel futuro, infine, sarebbe il quarto. Per tutti questi scopi sarebbe chiaramente di grande importanza come mezzo conoscitivo — ma anche soltanto in quanto tale — e anzi sarebbe senz'altro indispensabile in vista di essi, la presenza di concetti chiari e la conoscenza di quelle leggi (ipotetiche). Ma anche in questa funzione si mostra subito, in #2 punto decisivo, il limite della loro portata, e mediante la loro determinazione perveniamo a cogliere il carattere specifico decisivo della considerazione propria delle scienze della cultura. Noi abbiamo designato come scienze della cultura quelle discipline che aspirano a conoscere i fenomeni della vita nel loro significato culturale. Il significato della configurazione di un fenomeno culturale, nonché il suo fondamento, non può però essere derivato, motivato e reso intelligibile in base a nessun sistema di concetti di leggi, per quanto completo esso sia, poiché esso presuppone la relazione dei fenomeni culturali con idee di valore. Il concetto di cultura è un concetto di valore. La realtà empirica è per noi cultura in quanto la poniamo in relazione con idee di valore; essa abbraccia quegli elementi della realtà che diventano per noi significativi in base a quella relazione, e soltanto questi elementi. Una minima parte della realtà individuale di volta in volta considerata è investita dal nostro interesse, condizionato da quelle idee di valore; essa soltanto ha significato per noi, e lo ha in quanto rivela relazioni che sono per noi importanti a causa della loro connessione con idee di valore. Esclusivamente in questo caso, infatti, essa è per noi degna di venir conosciuta nel suo carattere individuale. Ciò che per noi riveste significato non può naturalmente essere determinato attraverso nessuna indagine del dato empirico, che sia condotta senza presupposti; al contrario, la sua determinazione è il presupposto per stabilire che qualcosa diviene oggetto dell'indagine. Ciò che è significativo non coincide naturalmente, in quanto tale, con l'ambito di nessuna legge, e tanto meno vi coincide quanto più universalmente valida è quella legge. Infatti il significato specifico che ha per noi un elemento della realtà 207 si trova naturalmente in quelle tra le sue relazioni che esso ha in comune con molti altri. La relazione della realtà con idee di valore, che dànno ad essa significato, nonché l’isolamento e l’ordinamento degli elementi del reale così individuati sotto il profilo del loro significa to culturale, rappresenta un punto di vista del tutto eterogeneo e disparato rispetto all’analisi della realtà in base a leggi, e al suo ordinamento in concetti generali. I due tipi di ordinamento concettuale del reale non hanno tra di loro relazioni logiche necessarie di nessuna specie. Essi possono eventualmente coincidere in un caso singolo, ma sarebbe molto pericoloso che questa congiunzione accidentale ingannasse sulla loro eterogeneità di principio. Il significato culturale di un fenomeno, per esempio quello dello scambio in un'economia monetaria, può consistere nel fatto che esso si presenta come fenomeno di massa, in quanto costituisce una componente fondamentale della vita culturale odierna. E tuttavia è proprio il fatto storico che esso assolve questa funzione ciò che dev'essere reso comprensibile nel suo significato culturale, e spiegato causalmente nella sua origine storica. L'indagine dell’essenza dello scambio în generale e della tecnica della circolazione di mercato è un lavoro preliminare invero molto importante e indispensabile! Non soltanto non si è risposto così alla questione concernente il modo in cui storicamente lo scambio è pervenuto al suo fondamentale significato odierno; ma soprattutto ciò che in ultima analis i ci interessa il significato culturale dell'economia monetaria, in virtù del quale soltanto ci interessiamo di quella descrizione della tecnica della circolazione monetaria, e in virtù del quale soltanto c’è oggi una scienza che studia tale tecnica, risulta inderivabile da qualsiasi di quelle leggi . Le carat teristiche di conformità a un genere dello scambio, del negozio ecc. interessano i giuristi mentre ciò che ci concerne è il compito di analizzare proprio quel significato culturale del fatto storico che oggi lo scambio è fenomeno di massa. Allorché esso deve venir spiegato, allorché vogliamo intendere che cosa distingue la nostra cultura economico-sociale da quella, per esempio, dell’antichità, in cui lo scambio mostrava le medesime qualità generiche di oggi, e quando si deve spiegare in che cosa consista il significato dell’ economia monetaria , intervengono nell’indagine princìpi logici di origine del tutto eterogenea. Noi impieghiamo infatti quei concetti, che ci offre la ricerca degli elementi generici dei fenomeni economici di massa, come mezzo di rappresentazione, e ciò nella misura in cui vi sono contenuti elementi della nostra cultura forniti di significato; ma il fire del nostro lavoro non è conseguito mediante una rappresentazione, per quanto precisa, di quei concetti e di quelle leggi, poiché al contrario la questione di che cosa dev’essere fatto oggetto di un’elaborazione di concetti di genere non è senza presupposti , bensì è stata decisa proprio in riferimento al significato che posseggono per la cultura determinati elementi di quella molteplicità infinita, che noi diciamo circolazione . Noi aspiriamo alla conoscenza di un fenomeno storico, cioè di un fenomeno fornito di significato nel suo carattere specifico. E la cosa decisiva è questa: soltanto in base al presupposto che esclusivamente una parte fizita dell’infinito numero dei fenomeni risulta fornita di significato, acquista un senso logico il principio di una conoscenza dei fenomeni individuali in genere. Noi ci troveremmo perplessi, anche se fossimo provvisti della più completa conoscenza possibile di tutte le leggi dell’accadere, di fronte a questa questione: come è possibile in genere la spiegazione causale di un fatto individuale dal momento che già una descrizione anche della più piccola sezione di realtà non può mai essere concepita come esaustiva? Il numero e il tipo delle cause, che hanno determinato un qualsiasi avvenimento individuale, è infatti sempre infinito, e non c’è una caratteristica inerente alle cose stesse la quale consenta di isolarne una parte, che venga essa soltanto presa in considerazione. Un caos di giudizi esistenziali sopra infinite osservazioni particolari sarebbe il solo esito a cui potrebbe recare il tentativo di una conoscenza della realtà che fosse seriamente priva di presupposti. E anche questo risultato sarebbe possibile solo in apparenza, poiché la realtà di ogni osservazione singola mostra, a uno sguardo più prossimo, infiniti elementi particolari, che non possono mai venire espressi in maniera esaustiva in giudizi di osservazione. In questo caos reca ordine soltanto la circostanza che in ogni caso ha per noi interesse e significato solo una parte della realtà individuale, in quanto essa sta in relazione con idee di valori culturali con le quali ci accostiamo alla realtà. Soltanto determinati aspetti dei fenomeni particolari, sempre infinitamente molteplici, cioè quelli ai quali attribuiamo un significato culturale universale, sono quindi degni di essere conosciuti, ed essi solamente sono oggetto della spiegazione causale. Anche questa spiegazione causale pone però a sua volta in luce lo stesso fatto, che cioè un regresso causale esaustivo da qualsiasi fenomeno concreto nella sua piera realtà non soltanto risulta praticamente impossibile, ma è semplicemente un’assurdità. Noi mettiamo in luce soltanto quelle cause a cui devono essere imputati gli elementi di un accadere che risultano essezzziali nel caso particolare: la questione causale, quando si tratta dell’individualità di un fenomeno, non è una questione di leggi bensì una questione di connessioni causali concrete; non è una questione relativa alla formula alla quale si deve subordinare come esempio specifico tale fenomeno, ma è una questione relativa alla costellazione individuale a cui esso deve venir imputato come suo risultato è cioè una questione di imputazione. Ogni qual volta sia in questione la spiegazione causale di un fenomeno culturale cioè di un individuo storico , come noi lo intendiamo in base a un’espressione già usata talvolta nella metodologia della nostra disciplina, e ora divenuta consueta nella logica in una più precisa formulazione la conoscenza delle leggi della causalità può essere non già scopo, ma soltanto mezzo dell’indagine. Essa ci rende più agevole l'imputazione causale degli elementi dei fenomeni, culturalmente significativi nella loro individualità, alle loro cause concrete. In quanto, e solo in quanto essa serve a questo fine, ha valore per la conoscenza di connessioni individuali. Quanto più le leggi sono generali , cioè astratte, tanto meno esse servono per i bisogni dell’imputazione causale di fenomeni individuali, e quindi indirettamente r la comprensione del significato dei processi culturali. Che cosa deriva da tutto ciò? Naturalmente non ne deriva che la conoscenza del genera le, la formazione di concetti astratti di genere, la conoscenza di regolarità e il tentativo di formulazione di connessioni legali non abbiano nel campo delle scienze della cultura alcuna giustificazione scientifica. Al contrario, se la conoscenza causale dello storico è un’imputazione di effetti concreti a cause concrete, l'imputazione valida di qualsiasi effetto individuale non è possibile in genere senza l’impiego della conoscenza nomologica cioè della conoscenza delle regolarità delle connessioni causali. Se si deve attribuire in concreto nella realtà a un singolo elemento individuale di una connessione un significato causale nei riguardi dell’effetto che intendiamo spiegare, questo può essere stabilito, in caso di dubbio, soltanto attraverso la valutazione degli effetti che di solito ci aspettiamo in generale da esso e dagli altri elementi del medesimo complesso, che consideriamo ai fini della spiegazione vale a dire attraverso la determinazione di quelli che sono gli effetti adeguati degli elementi causali in questione. In quale misura lo storico (nel senso più ampio del termine) possa compiere con sicurezza questa imputazione con la sua fantasia nutrita di esperienza personale della vita e metodicamente disciplinata, e in quale misura egli si rifaccia invece all’aiuto di discipline speciali che gliela rendono possibile, è cosa che dipende dal caso singolo. Ma ovunque, e così pure nel campo di complicati processi economici, la sicurezza dell’imputazione è tanto maggiore quanto più assodata e comprensiva è la nostra conoscenza generale. Che si tratti sempre, anche per tutte le cosiddette leggi economiche senza eccezione, non già di connessioni legali nel senso ristretto valido nel caso delle scienze esatte della natura, ma di connessioni causali adeguate espresse in forma di regole, cioè di un ‘applicazione della categoria di ( possibilità oggettiva che qui non può venir analizzata più da vicino, non fa la minima differenza per tale proposizione. Solo che la determinazione di tali regolarità non è già fine, bensì mezzo di conoscenza; ed è in ogni caso una questione di opportunità se si debba o meno esprimere in una formula, sotto forma di legge, una regolarità di connessione causale nota in base all’esperienza quotidiana. Per la scienza esatta della natura le leggi sono tanto più importanti e fornite di valore quanto più esse sono universalmente valide; per la conoscenza dei fenomeni storici nel loro fondamento concreto le leggi pià generali, in quanto sono le più vuote di contenuto, sono invece di regola anche le più prive di valore. Infatti quanto più estesa è la validità di un concetto di specie, cioè il suo ambito, tanto più esso ci distoglie dalla realtà concreta; per racchiudere l’elemento comune di quanti più fenomeni, esso deve essere infatti il più possibile astratto, e perciò povero di contenuto. La conoscenza del generale non è mai per noi, nelle scienze della cultura, fornita di valore di per sé. Da quanto si è detto finora risulta dunque che è priva di senso una trattazione oggettiva dei processi culturali, per la quale debba valere come scopo ideale del lavoro scientifico la riduzione di ciò che è empirico a leggi . Essa non è priva di senso, come sovente si è ritenuto, perché i processi culturali o anche i processi spirituali si comportino oggettivamente in maniera meno legale, bensì per i motivi seguenti: 1) perché la conoscenza di leggi sociali non è conoscenza della realtà sociale, ma è soltanto uno dei diversi strumenti di cui il nostro pensiero si avvale a tale scopo; 2) perché non si può concepire una conoscenza di processi culturali se non sul fondamento del significato che ha per noi la realtà della vita, sempre individualmente atteggiata, in determinate relazioni particolari. In quale senso e in quali relazioni ciò avvenga non ci è svelato da nessuna legge, perché è deciso dalle idee di valore in base alle quali consideriamo nel caso singolo la cultura. La cultu ra è una sezione finita dell’infinità priva di senso dell’accadere del mondo, alla quale è attribuito senso e significato dal punto di vista dell’uomo. Essa è tale anche per gli uomini che si contrappongono a una cultura concreta come a un mortale nemico, e che aspirano a un ritorno alla natura . Infatti essi possono pervenire a questa presa di posizione solo in quanto riferiscono la cultura concreta alle loro idee di valore, e la trovano troppo leggera . È questo fatto puramente logico-formale che si tiene presente allorché qui si parla della connessione logicamente necessaria di tutti gli individui storici con idee di valore . Presupposto trascendentale di ogni scienza della cultura non è già che noi riteniamo forzita di valore una determinata, o anche in genere una qualsiasi cultura , bensì è il fatto che noi siamo esseri culturali, dotati della capacità e della volontà di assumere consapevolmente posizione nei confronti del mondo e di attribuirgli un serso. Qualunque possa essere questo senso, esso ci condurrà a valutare nella vita determinati fenomeni della coesistenza umana in base ad esso, e ad assumere nei loro confronti una posizione (positiva o negativa) in quanto fornita di significato. Quale che sia il contenuto di tale presa di posizione, questi fenomeni hanno per noi un sign: ficato culturale, e su questo significato soltanto poggia il loro interesse scientifico. Quando qui si parla, in riferimento all’uso linguistico dei logici moderni, del condizionamento della conoscenza della cultura da parte di idee di valore, si spera di non essere esposti a fraintendimenti di specie così rozza come l’opinione che si debba attribuire un significato culturale soltanto ai fenomeni forniti di valore. La prostituzione è un fenomeno culturale al pari della religione o del denaro; e tutti e tre lo sono in quanto e solamente in quanto, e nella misura in cui, la loro esistenza e la forma che storicamente assumono tocchino, direttamente o indirettamente, i nostri interessi culturali, e in quanto essi suscitano il nostro impulso conoscitivo sotto punti di vista orientati in base a idee di valore, le quali rendono per noi significativo il settore di realtà che è pensato in quei concetti. Ogni conoscenza della realtà culturale è sempre, come risulta da tutto questo, una conoscenza da particolari punti di vista. Quando noi richiediamo allo storico e allo studioso di scienze sociali, come presupposto elementare, che egli sappia distinguere ciò che è importante da ciò che non lo è, e che egli disponga dei punti di vista indispensabili per questa distinzione, ciò vuol semplicemente dire che egli deve imparare a riferire i processi della realtà consapevolmente o inconsapevolmente a valori culturali universali, e quindi a porre in luce le connessioni che sono per noi significative. Sebbene si ripresenti sempre l’opinione che sia possibile assumere dalla materia stessa quei punti di vista, ciò deriva dall’illusione ingenua dello specialista il quale non riflette che egli ha dapprima isolato, in virtù delle idee di valore con cui si è inconsapevolmente accostato alla materia, un ristretto elemento da un’assoluta infinità come quello che solo lo interessa per la sua trattazione. In questa scelta di singole parti dell’accadere, che ha luogo sempre e ovunque in forma sia consapevole che inconsapevole, viene in luce anche quell’elemento del lavoro delle scienze della cultura che sta a base di un’affermazione così sovente udita che l’aspetto personale di un’opera scientifica costituisca ciò che propriamente vale in essa, e che in ogni opera, affinché sia degna di esistere, debba esprimersi una personalità . Certo senza le idee di valore del ricercatore non vi sarebbe nessun principio per la scelta della materia, € nessuna conoscenza fornita di senso del reale nella sua individualità; e come senza la fede del ricercatore nel significa to di qualche contenuto culturale risulta senz'altro privo di senso ogni lavoro diretto alla conoscenza della realtà individua le, così l'orientamento della sua fede personale, cioè la rifrazione dei valori nello specchio della sua anima, indicherà la direzione anche al suo lavoro. E i valori a cui il genio scientifico riferisce gli oggetti della sua ricerca potranno determinare la concezione di un'intera epoca, potranno cioè essere decisivi non solo per stabilire ciò che nei fenomeni è fornito di valore, ma anche per stabilire ciò che è significativo o privo di significato, ciò che è importante e ciò che è senza importanza . La conoscenza delle scienze della cultura, nel senso che abbiamo definito, è vincolata a presupposti soggettivi in quanto essa si occupa soltanto di quegli elementi della realtà che hanno una relazione per quanto indiretta con i processi ai quali attribuiamo un significato culturale. Essa è tuttavia naturalmente una pura conoscenza causale nel medesimo senso in cui può esserlo la conoscenza di processi naturali individuali forniti di significato, i quali rivestano un carattere qualitativo. Accanto alle varie confusioni prodotte dall’invasione del pensiero giuridico-formale nella sfera delle scienze della cultura, è stato di recente compiuto il tentativo di confutare » in linea di principio la concezione materialistica della storia» mediante una serie di spiritosi sofismi, sostenendo che, in quanto tutta la vita economica deve svolgersi in forme regolate giuridicamente o convenzionalmente, qualsiasi sviluppo » economico deve assumere la forma di tendenze alla creazione di nuove forme giuridiche, e che esso è quindi comprensibile soltanto in base a massime etiche, e risulta su questa base diverso nella propria essenza da ogni sviluppo naturale ». La conoscenza dello sviluppo economico avrebbe pertanto un carattere teleologico »Î. Senza voler qui discutere il significato che per la scienza sociale può avere l'equivoco concetto di sviluppo »; 0 il concetto logicamente non meno equivoco di teleologico», si deve tuttavia constatare che una conoscenza siffatta non potrebbe mai essere teleologica » ze/ senso presupposto da questa prospettiva. Nonostante la più completa identità formale delle norme giuridiche in vigore, il significato culturale dei rapporti giuridici a cui le norme si riferiscono, e perciò anche delle norme medesime, può mutare in maniera radicale. Certo, se ci si vuole inoltrare per un momento almanaccando nelle fantasie di un tempo futuro, si può per esempio concepire teoricamente compiuta una socializzazione dei mezzi di produzione » senza che sia sorta alcuna tendenza » mirante consapevolmente a questa conseguenza e senza che venga eliminato o aggiunto nessun paragrafo della nostra legislazione: la frequenza statistica di particolari relazioni giuridicamente regolate sarebbe cambiata certo alla base, e in molti casi ridotta a zero, una gran parte delle norme giuridiche diventerebbe praticamente priva di significato, e il loro intero significato culturale sarebbe mutato in maniera da risultare irriconoscibile. La 3. Weber si riferisce qui al volume di Rudolf Stammler, Wirtschaft und Recht nach der materialistichen Geschichtsauffassung, Leipzig, 1896. Alla critica della seconda edizione di quest'opera (1906) sarà dedicato il saggio di Weber R. Stammlers Uberwindung » der materialistischen Geschichtsauffassung, Archiv. fùr Sozialwissenschaft und Sozialpolitik (ora in Gesammelte Aufsatze zur Wissenschaftslehre). Rudolf Stammler, filosofo del diritto tedesco di orientamento neo-kantiano, scrisse inoltre Die Lehre voni richtigen Recht (1902), la Theorie der Rechtsivissenschaft, Die Gerechtigheit in der Geschichte, un Lelrbuch der Rechtsphilosophie (1922) e varie altre opere. teoria materialistica » della storia poteva quindi con diritto mettere da parte le discussioni de lege ferenda, poiché il suo punto di vista centrale consisteva appunto nell’inevitabile mutamento di significato delle istituzioni giuridiche. Colui al quale il semplice lavoro di comprensione causale della realtà storica appare subalterno, può sì evitarlo — ma è impossibile sostituirlo con qualsiasi teleologia ». Scopo » è, per la rostra trattazione, la rappresentazione di un effetto, che diviene causa di un'azione; e noi consideriamo anche questa al pari di ogni causa che contribuisca o possa contribuire a un effetto fornito di significato. Il suo significato specifico poggia soltanto sul fatto che noi possiamo e vogliamo anche irztendere, oltre che constatare, l'agire umano. Quelle idee di valore sono, fuor di ogni questione, soggettive». Tra l’interesse storico» per una cronaca di famiglia e quello per lo sviluppo dei più grandi fenomeni di cultura, che furono e sono comuni a una nazione o all'umanità per lunghe epoche, c'è un'infinita gradazione di significati », i cui momenti avranno per ognuno di noi un ordine differente. E così pure esse mutano storicamente con il carattere della cultura e delle idee che guidano gli uomini. Da ciò 207 consegue ovviamente che la ricerca delle scienze della cultura possa dar luogo soltanto a risultati i quali siano soggettivi» nel senso che valgono per l’uno e non per l’altro. Ciò che cambia è piuttosto il grado in cui essi interessano l’uno e non l’altro. In altri termini, ciò che diventa oggetto dell’indagine, e in quale misura questa si estenda nell’infinità delle connessioni causali, è determinato soltanto dalle idee di valore che dominano il ricercatore e la sua epoca; nel come? », vale a dire nel metodo della ricerca — come ancora vedremo — il punto di vista» a cui si ispira è determinante per l’elaborazione degli strumenti concettuali che egli impiega — mentre nel modo della loro applicazione il ricercatore è di certo, qui come ovunque, vincolato alle norme del nostro pensiero. Poiché verità scientifica è soltanto ciò che esige di valere per tutti coloro che vogliono la verità. Da ciò risulta in ogni caso l’assurdità dell’idea — la quale talvolta prevale anche presso gli storici della nostra disciplina — che possa essere fine, per quanto remoto, delle scienze della cultura quello di costruire un sistema chiuso di concetti, nel cui ambito la realtà possa venir compresa in un'articolazione in qualsiasi senso definitiva, e da cui essa venga quindi di nuovo dedotta. La corrente dell’accadere sconfinato procede senza fine verso l’eternità. E sempre nuovi e diversamente atteggiati si presentano i problemi culturali che muovono gli uomini, cosicché rimane fluido anche l’ambito di ciò che acquista per noi senso e significato da quella infinita, e sempre eguale, corrente dell’accadere, configurandosi come individuo storico ». Mutano le connessioni concettuali in base a cui l’accadere è considerato e colto scientificamente. I punti di partenza delle scienze della cultura si protendono quindi mutevoli nel più lontano futuro, finché qualche definitivo irrigidimento della vita spirituale non farà desistere l’umanità dal porre nuove questioni alla vita sempre inesauribile. Un sistema delle scienze della cultura, anche soltanto in forma di una fissazione definitiva, oggettivamente valida, sistematizzante delle questioni e dei campi di cui esse dovrebbero trattare, sarebbe di per sé un’assurdità: da un tentativo del genere potrebbe derivare sempre solo una collezione di punti di vista, specificamente diversi e tra loro in vario modo eterogenei e disparati, in base ai quali la realtà è risultata o risulta per noi cultura , cioè fornita di significato nella sua specificità. Dopo queste lunghe discussioni, possiamo finalmente affrontare la questione che ci interessa metodicamente in vista di una trattazione dell’ oggettività della conoscenza della cultura: quale è la funzione e la struttura logica dei concetti con cui la nostra scienza, al pari di ogni altra, lavora, e cioè per formulare la domanda con particolare riguardo al problema decisivo qual è il significato della teoria e dell’elaborazione concettuale teorica per la conoscenza della realtà culturale? L'economia politica è stata almeno originariamente lo abbiamo già detto una tecnica, per ciò che concerne il centro di gravità delle sue discussioni: essa considerava i fenomeni della realtà da un punto di vista valutativo che, almeno in apparenza, era univoco, stabile e pratico, vale a dire dal punto di vista dell’accrescimento della ricchezza della popolazione. Ma d’altra parte, fin dall’inizio, essa non è stata soltanto una tecnica , in quanto era inserita nella possente unità dell’intuizione giusnaturalistica e razionalistica del mondo, formulata dal secolo xvi. Il carattere specifico di quell’intuizione del mondo, con la sua fede ottimistica nella possibilità di una razionalizzazione teoretica e pratica del reale, operava essenzialmente in maniera da ostacolare la scoperta del carattere problematico di tale punto di vista, assunto come di per sé evidente. Sorta in stretta connessione con il moderno sviluppo della scienza naturale, la considerazione razionale della realtà sociale è rimasta ad essa affine in tutto il suo modo di analisi. Nelle discipline naturali il punto di vista pratico-valutativo, fondato sulla determinazione di ciò che è immediatamente utile in senso tecnico, era strettamente legata alla speranza ereditata dall’antichità e in seguito ancora sviluppata di pervenire sulla via dell’astrazione generalizzante e dell’analisi del dato empirico nelle sue connessioni legali a una conoscenza di tipo monistico dell’intera realtà che fosse puramente oggettiva , cioè svincolata da tutti i valori, e al tempo stesso razionale, cioè liberata da ogni accidentalità individuale, e assumesse la fisionomia di un sistema concettuale di validità metafisica e di forma matematica. Le discipline naturali legate a punti di vista valutativi, come la medicina clinica e ancor più quella che abitualmente è detta tecnologia , diventavano pure dottrine pratiche. I valori a cui esse dovevano servire, vale a dire la salute del paziente, il perfezionamento tecnico di un concreto processo produttivo ecc., erano di volta in volta stabiliti per ognuna di esse. I mezzi impiegati erano, e potevano essere soltanto forniti dall'impiego dei concetti legali scoperti dalle discipline teoriche. Ogni progresso di principio nella formazione di tali concetti era, o poteva essere, anche un progresso della corrispondente disciplina pratica. Dato un certo scopo, la progressiva riduzione delle particolari questioni pratiche (di un caso di malattia, di un problema tecnico) a leggi generalmente valide di cui esse costituiscono un caso specifico, e quindi l’estensione del sapere teorico, era immediatamente connessa, ed anzi coincidente, con l’allargarsi delle possibilità pratico-tecniche. Allorché la biologia moderna ha sottoposto anche quegli elementi della realtà che ci interessano storicamente, cioè nel modo in cui essi sono divenuti così-e-non-altrimenti, al concetto di un principio evolutivo universalmente valido, che almeno apparentemente ma non certo in verità ha consentito di subordinare tutto ciò che è essenziale in tali oggetti a uno schema di leggi valide in generale, sembrò che si avvicinasse in qualsiasi scienza il momento della fine per tutti i punti di vista valutativi. Poiché il cosiddetto accadere storico era una parte dell’intera realtà, e il principio causale, che costituisce il presupposto di ogni lavoro scientifico, sembrava esigere la riduzione di ogni accadere a leggi generalmente valide, e poiché infine era evidente l’immenso successo delle scienze della natura le quali avevano proceduto in base a questo principio, sembrò allora inconcepibile un senso della ricerca scientifica diverso da quello della scoperta delle leggi dell’accadere. Soltanto ciò che è conforme alle leggi poteva essere scientificamente essenziale nei fenomeni, e i processi individuali venivano presi in considerazione solamente in quanto tipi , cioè in quanto rappresentanti illustrativi delle leggi; un interesse diretto ad essi sembrava costituire un interesse non scientifico . È impossibile seguire qui le forti conseguenze di questa fiduciosa disposizione del monismo naturalistico sulle discipline economiche. Allorché la critica socialistica e il lavoro degli storici cominciavano a tradurre in problemi gli originari punti di vista valutativi, il potente sviluppo della ricerca biologica da un lato e l'influenza del panlogismo hegeliano dall’altro impedirono all’economia politica di determinare in maniera distinta, nella sua piena portata, il rapporto tra concetto e realtà. Da ciò è risultato, per quanto ci interessa, che nonostante il poderoso argine opposto alla penetrazione dei dogmi naturalistici dalla filosofia idealistica tedesca successiva a Fichte, dalle indagini della scuola giuridica tedesca e dal lavoro della scuola storica di economia politica tedesca, e in parte proprio în conseguenza di questo lavoro, i punti di vista del naturalismo rimangono ancora da superare in alcuni punti decisivi. Tra questi c’è in particolare il rapporto, che rimane ancor sempre problematico, tra lavoro teorico e lavoro storico nell’ambito della nostra disciplina. Il metodo teorico astratto si contrappone ancora og con un’asprezza priva di mediazione e apparentemente insormontabile, alla ricerca storico-empirica. Esso riconosce del tutto correttamente l'impossibilità metodica di sostituire la conoscenza storica della realtà con la formulazione di leggi o di pervenire viceversa a leggi in senso stretto attraverso il mero accostamento di osservazioni storiche. Per ottenere tali leggi dal momento che per esso è certo che la scienza debba aspirare a questo fine supremo si procede dal fatto che noi abbiamo un’esperienza immediata delle connessioni dell’agire umano proprio nella Joro realtà, e quindi così esso suppone possiamo rendere il suo corso immediatamente intelligibile con evidenza assiomatica, e penetrarlo nelle sue leggi. La sola forma esatta di conoscenza, cioè la formulazione di leggi evidenti che si possano immediatamente intuire, sarebbe al tempo stesso la sola che consente l’accesso ai processi non immediatamente osservati; e quindi, almeno per i fenomeni fondamentali della vita economica, la determinazione di un sistema di princìpi astratti e di conseguenza puramente formali, in analogia a quello delle scienze esatte della natura, sarebbe il solo mezzo per dominare spiritualmente la molteplicità della vita sociale. Nonostante la distinzione metodica di principio tra conoscenza legale e conoscenza storica, che il creatore della teoria aveva compiuto come primo e unico, alle proposizioni della teoria astratta è stata però da lui attribuita una validità empirica, nel senso di una deducibilità della realtà dalle leggi. E ciò certo non nel senso di una validità empirica dei princìpi economici astratti presi di per sé, bensì in maniera che, quando si fossero elaborate corrispondenti teorie esatte di tutti gli altri fattori che si possono considerare, tutte queste teorie astratte prese insieme dovrebbero contenere in sé la vera realtà delle cose vale a dire ciò che della realtà è degno di essere conosciuto. La teoria economica esatta determinava l’effetto di ur motivo psichico, mentre le altre teorie avrebbero il compito di sviluppare in forma simile tutti i rimanenti motivi in princìpi di validità ipotetica. Pertanto al lavoro teorico, cioè alle teorie astratte della formazione del prezzo, dell’interesse, delle rendite ecc., è stata talvolta attribuita la pretesa fantastica di servire, secondo la pretesa analogia dei princìpi fisici, per dedurre da date premesse reali risultati quantitativa mente determinati, e cioè leggi in senso rigoroso, valide per la realtà della vita, in quanto l'economia dell’uomo sarebbe univocamente determinata , dato un certo scopo, in rapporto ai mezzi. E non si è tenuto presente che, per poter aspirare a questo risultato anche nei casi più semplici, si dovrebbe assumere come data € presupporre come nota la totalità della realtà storica attuale, insieme a tutte le sue connessioni causali, e che, quando questa conoscenza fosse accessibile allo spirito finito, non si potrebbe attribuire nessun valore conoscitivo a una teoria astratta. Il pregiudizio naturalistico, secondo il quale si dovrebbe creare, con quei concetti, qualcosa di affine a ciò che producono le scienze esatte della natura, aveva condotto appunto a un’errata comprensione del senso di queste formazioni teoriche. Si è creduto che si trattasse dell'isolamento psicologico di uno specifico impulso dell’uomo, dell'impulso al guadagno, oppure dell’osservazione isolata di una specifica massima dell'agire umano, cioè del cosiddetto principio economico. La teoria astratta riteneva di potersi reggere su assiomi psicologici; e la conseguenza era che gli storici invocavano una psicologia empirica, allo scopo di poter mostrare la non-validità di quegli assiomi e derivare psicologicamente il corso dei processi economici. Noi non intendiamo criticare a fondo, in queste pagine, la fede nell’importanza di una scienza sistematica della psicologia sociale che del resto è ancor da creare come fondamento futuro delle scienze della cultura, e in particolare dell'economia sociale. Proprio gli abbozzi finora compiuti, in parte brillanti, di un’interpretazione psicologica dei fenomeni economici mostrano in ogni caso che si procede dall’analisi delle qualità psicologiche dell’uomo all’analisi delle istituzioni sociali, ma che viceversa il chiarimento dei presupposti e degli effetti psicologici delle istituzioni presuppone la precisa conoscenza di queste ultime, nonché l’analisi scientifica delle loro connessioni. L'analisi psicologica significa allora semplicemente un approfondimento, molto importante nel caso specifico, della conoscenza del loro condizionamento storico-culturale e del loro significato culturale. Ciò che ci interessa nell’atteggiamento psichico dell’uomo nelle sue relazioni sociali è appunto determinato in ogni caso specificamente, secondo il particolare significato culturale della relazione in esame. Si tratta infatti di motivi e di influssi psichici tra loro molto eterogenei, cd estremamente compositi nel caso concreto. La ricerca psicologico-sociale costituisce un attento esame di diversi generi particolari, e tra loro assai disparati, di elementi della cultura, considerati in rapporto alla possibilità di interpretarli mediante la nostra comprensione. Noi dobbiamo imparare mediante essi a intendere spiritualmente in misura crescente partendo dalla conoscenza delle istituzioni particolari il loro condizionamento e il loro significato culturale, senza voler dedurre le istituzioni da leggi psicologiche o volerle spiegare in base a fenomeni psicologici elementari. Anche la polemica così complessa che si è svolta intorno alla giustificazione psicologica delle enunciazioni teoriche astratte, intorno all'importanza dell’ impulso al guadagno e del principio economico ecc., ha dato un frutto assai scarso. Nel caso delle enunciazioni della teoria astratta, solo in apparenza ci troviamo di fronte a deduzioni da motivi. psicologici fondamentali; in verità si tratta piuttosto di un caso specifico di una forma di elaborazione concettuale che è propria, e in certa misura indispensabile, delle scienze della cultura umana. Vale qui la pena caratterizzare tale forma in maniera un po’ più approfondita, per accostarci così alla questione fondamentale del significato della teoria per la conoscenza fornita dalla scienza sociale. E a tale fine noi lasceremo una volta per sempre fuori discussione se le formazioni teoriche che rechiamo come esempio, o alle quali accenniamo, corrispondano, così come esse sono, allo scopo a cui vogliono servire, se cioè esse siano di fatto elaborate in maniera conforme allo scopo. In quale misura l’odierna teoria astratta debba ancora essere sviluppata è, alla fine, anche un problema di economia del lavoro scientifico, a cui si riferiscono altri problemi. Anche la teoria dell'utilità marginale sottostà alla legge dell'utilità marginale . Noi abbiamo dinanzi a noi, nella teoria economica astratta, un esempio di quelle sintesi che si designano di solito come idee di fenomeni storici. Essa ci offre un quadro ideale dei processi che avvengono in un mercato di beni, sulla base di un'organizzazione sociale fondata sull'economia di scambio, di una libera concorrenza e di un agire rigorosamente razionale. Questo quadro concettuale unisce determinate relazioni e determinati processi della vita storica in un cosmo, in sé privo di contraddizioni, di connessioni concettuali. Per il suo contenuto questa costruzione riveste il carattere di un’ufopia, ottenuta attraverso l’accentuazione concettuale di determinati elementi della realtà. Il suo rapporto con i fatti empiricamente dati della vita consiste solo in questo, che laddove vengono determinati o supposti operanti, in qualsiasi grado, nella realtà connessioni del tipo astrattamente rappresentato in quella costruzione, cioè processi dipendenti dal mercato , noi possiamo illustrare pragmaticamente e rendere intelligibile il carazzere specifico di questa connessione in un tipo ideale. Tale possibilità è indispensabile sia a scopo euristico sia a scopo espositivo. Il concetto tipicoideale serve a orientare il giudizio di imputazione nel corso della ricerca: esso non è un’ ipotesi , ma intende orientare la costruzione di ipotesi. Esso zon è una rappresentazione del reale, ma intende fornire alla rappresentazione un mezzo di espressione univoco. Esso è quindi l’idea di un’organizzazione moderna della società, fondata sull'economia di scambio, che è storicamente data; esso è stato elaborato in base ai medesimi principi logici con cui si è proceduto a costruire l’idea dell’economia cittadina medievale come concetto genetico. Quando si fa così, si perviene a formare il concetto di economia cittadina non già come una media dei princìpi economici operanti di fatto nell’insieme delle città osservate, ma appunto come un zipo ideale. Esso è ottenuto attraverso l’accentuazione unilaterale di uno o di alcuni punti di vista, e attraverso la connessione di una quantità di fenomeni particolari diffusi e discreti, esistenti qui in maggiore e là in minore misura, e talvolta anche assenti che corrispondono a quei punti di vista unilateralmente sottolineati in un quadro corcettuale in sé unitario. Considerato nella sua purezza concettuale, questo quadro non può mai essere rintracciato empiricamente nella realtà; esso è un’utopia, e al lavoro storico si presenta il compito di determinare in ogni caso singolo la maggiore o minore distanza della realtà da quel quadro ideale, stabilendo per esempio in quale misura il carattere economico della situazione di una determinata città possa venir qualificato concettualmente come proprio dell’ economia cittadina . Oculatamente impiegato, quel concetto rende i suoi specifici servizi a scopo di indagine e di illustrazione. Proprio nello stesso modo si può, per analizzare ancora un altro esempio, indicare l’ idea dell’ artigianato in un’utopia, congiungendo determinati tratti che si possono rintracciare diffusamente presso gli artigiani dei più diversi tempi e paesi accentuati unilateralmente nelle loro conseguenze in un quadro ideale in sé privo di contraddizione, e riferendoli a un'espressione concettuale, che si trova manifestata nel loro ambito. Si può inoltre compiere il tentativo di individuare una società nella quale tutti i rami di attività economica, e anche spirituale, siano regolati da massime che ci appaiono come l’applicazione del medesimo principio caratteristico dell’ artigianato , elevato a tipo ideale. Si può poi ancora contrapporre quel tipo ideale dell’artigianato a un corrispondente tipo ideale di organizzazione industriale capitalistica, astratta da certe caratteristiche della grande industria moderna, e quindi compiere infine il tentativo di elaborare l’utopia di una cultura capitalistica , dominata esclusivamente dall’interesse all'impiego di capitali privati. Essa dovrebbe congiungere, accentuandoli in un quadro concettuale non contraddittorio per la nostra considerazione, determinati tratti esistenti in maniera diffusa della moderna vita materiale e spirituale, considerati nel loro carattere specifico. Ciò sarebbe un tentativo di indicare l’idea della cultura capitalistica se e come a ciò si possa pervenire, non è ancora dato di saperlo. È però possibile, o piuttosto dev’essere considerato come sicuro, che si pervenga ad abbozzare più utopie di questo tipo, e certamente in misura assai numerosa, di cui nessuna è eguale alle altre, e di cui nessuna può venir osservata nella realtà empirica come ordinamento di fatto valido della situazione sociale; ognuna comporta però la pretesa di costituire una rappresentazione dell'idea della cultura capitalistica, e ognuna può anche far valere questa pretesa in quanto ha assunto dalla realtà, congiungendoli in un quadro ideale unitario, certi tratti della nostra cultura forniti di significato nel loro specifico carattere. Infatti quei fenomeni che ci interessano come fenomeni culturali derivano di regola questo interesse per noi cioè il loro significato culturale da idee di valore assai differenti con le quali possiamo porli in relazione. Come vi sono perciò punti di vista estremamente diversi dai quali possiamo considerarli per noi significativi, così si possono impiegare anche i più diversi princìpi di scelta delle connessioni da assumere in un tipo ideale di una determinata cultura. Quale è però il significato di questi concetti tipico-ideali per una scienza di esperienza, quale noi intendiamo promuoverla? Si deve anzitutto porre in luce che la nozione di ciò che deve essere , vale a dire di un modello normativo , deve essere accuratamente distinto qui da questo quadro concettuale a cui ci riferiamo, e che è ideale in senso puramente logico. Si tratta della costruzione di connessioni che appaiono motivate in maniera plausibile alla nostra faztasia, e quindi oggettivamente possibili , cioè adeguate nei confronti del nostro sapere nomologico. Chi ritenga che la conoscenza della realtà storica debba o possa essere una riproduzione priva di presupposti» di fatti oggettivi », rifiuterà ad essi qualsiasi valore. E anche chi ha riconosciuto che non c'è un’ assenza di presupposti » in senso logico sul terreno della realtà, e che pure il più semplice riassunto di documenti o la più semplice registrazione delle fonti può avere qualche senso scientifico solo in base a un riferimento a significati », e quindi in ultima istanza a idee di valore, considererà tuttavia la costruzione di qualsiasi utopia » storica come un mezzo di illustrazione pericoloso per un lavoro storico impregiudicato, e più spesso semplicemente come un gioco. E infatti non si può mai decidere @ priori se si tratti con questo di un puro gioco concettuale, oppure di un’elaborazione concettuale scientificamente feconda; anche qui esiste un solo criterio, quello dell’efficacia per la conoscenza di fenomeni culturali concreti nella loro connessione, nel loro condizionamento causale e nel loro significato. Non come fine, bensì come mezzo ha dunque importanza la formazione di tipi ideali astratti. Ogni attenta osservazione degli elementi concettuali della rappresentazione storica mostra però che lo storico, nell’intraprendere il tentativo di determinare, al di là della mera constatazione di connessioni concrete, il significato culturale di un processo individuale per quanto semplice possa essere, e quindi di caratterizzarlo », lavora e deve lavorare con concetti che possono venir definiti in maniera precisa e univoca soltanto sotto forma di tipi ideali. Oppure concetti come individualismo », imperialismo », feudalesimo », mercantilismo » ecc. sono convenzionali », e le numerose formazioni concettuali del medesimo tipo, con le quali cerchiamo di concepire e di intendere la realtà, possono venir determinate nel loro contenuto mediante una descrizione priva di presupposti» di qualsiasi concreto fenomeno, oppure mediante la congiunzione in forma astratta di ciò che è comune a più fenomeni concreti? La lingua che lo storico parla contiene in centinaia di parole questi quadri concettuali indeterminati, elaborati per un bisogno di espressione che inconsapevolmente si fa valere, e il cui significato può dapprima soltanto essere avvertito intuitivamente, non già concepito con chiarezza. In infiniti casi, particolarmente nel campo della storia politica descrittiva, l’indeterminatezza del loro contenuto non è certo di alcun pregiudizio alla chiarezza della rappresentazione. Basta infatti che nel caso singolo sia sentito ciò che è in mente allo storico, oppure ci si può accontentare che una particolare accezione del contenuto concettuale sia presupposta con un relativo significato per il caso singolo. Ma” quanto più precisamente si deve recare alla coscienza la significatività di un fenomeno culturale, tanto più inevitabile diventa il bisogno di lavorare con concetti chiari, determinati non solo in maniera particolare ma anche in tutti i loro aspetti. Una definizione » di quelle sintesi formulate dal pensiero storico, secondo lo schema gezus proximum-differentia specifica, è naturalmente un’assurdità; se ne faccia pure la prova. Una forma siffatta di determinazione del significato verbale è possibile solo sul terreno di discipline dogmatiche, che lavorano con sillogismi. Non può esservi o può esservi soltanto in apparenza una semplice risoluzione descrittiva» di quei concetti nei loro elementi, poiché ciò dipende proprio dalla determinazione di quali elementi debbano essere considerati come essenziali. Se si deve tentare una definizione genetica del contenuto concettuale, rimane soltanto la forma del tipo ideale nel senso sopra fissato. Esso costituisce un quadro concettuale, il quale non è la realtà storica, e neppure l’ autentica » realtà, e tanto meno può servire come uno schema nel quale la realtà debba essere inserita come esempio; esso ha il significato di un puro concetto-limite ideale, a cui la realtà deve essere misurata e comparata, al fine di illustrare determinati elementi significati vi del suo contenuto empirico. Questi concetti sono formazioni nelle quali costruiamo, impiegando Ja categoria di possibilità oggettiva, connessioni che la nostra fantasia, orientata e disciplinata in vista della realtà, giudica adeguate. Il tipo ideale rappresenta, particolarmente in questa funzione, il tentativo di concepire gli individui storici o i loro elementi particolari in virtù di concetti genetici. Si prendano per esempio i concetti di chiesa» e di setta». Essi si lasciano risolvere, in via puramente classificatoria, in complessi di caratteristiche in cui non soltanto il confine tra l’uno e l’altro, ma anche il contenuto concettuale deve rimanere sempre fluido. Se però voglio concepire il concetto di setta» geneticamente, cioè in riferimento a certi importanti significati culturali che lo spirito di setta» ha avuto per la cultura moderna, allora determinate caratteristiche dell’uno e dell’altro diventano essenziali, in quanto stanno in relazione causale adeguata con quegli effetti. I concetti diventano però al tempo stesso tipico-ideali, cioè essi non si presentano mai, o si presentano soltanto in maniera sporadica, nella loro piena purezza concettuale. Qui come ovunque ogni concetto non puramente classificatorio allontana dalla realtà. Ma la natura discorsiva del nostro conoscere, vale a dire la circostanza che noi possiamo cogliere la realtà soltanto mediante una catena di mutamenti di rappresentazione, postula una siffatta stenografia di concetti. La nostra fantasia può certo fare sovente a meno di una espressa formulazione concettuale come mezzo di ricerca ma per la rappresentazione, se essa vuol essere precisa, l’impiego di tali concetti è in innumerevoli casi del tutto indispensabile sul terreno dell’analisi culturale. Chi la respinga in linea di principio deve limitarsi all’aspetto formale, per esempio a quello storico-giuridico, dei fenomeni culturali. Il cosmo delle norme giuridiche può naturalmente venire al tempo stesso determinato in forma concettualmente chiara e valere (in senso giuridico1) per la realtà storica. Ma è del loro significato pratico che deve occuparsi il lavoro della scienza sociale nel nostro senso. Questo significato può però spesso essere reso consapevole in maniera precisa soltanto mediante il riferimento del dato empirico a un caso-limite ideale. Se lo storico (nel senso più ampio della parola) rifiuta un tentativo di formulazione di un tipo ideale siffatto come costruzione teorica , cioè come qualcosa di non adatto o di non indispensabile per il suo concreto scopo conoscitivo, la conseguenza è di regola che egli impiega, consapevolmente o meno, altri concetti analoghi sezz4 una formulazione linguisti ca e un'elaborazione logica, oppure che egli rimane attaccato al campo di ciò che è sentito indeterminatamente. Nulla è tuttavia più pericoloso di una mescolarza di teoria e storia, derivante da pregiudizi naturalistici, sia che si creda di aver fissato in quei quadri concettuali di carattere teorico il contenuto proprio , l’essenza della realtà storica, sia che li si impieghi invece come un letto di Procuste nel quale debba essere costretta la storia, sia che si ipostatizzino infine le idee come una realtà vera e propria che sussista dietro al fluire dei fenomeni, cioè come forze reali che si manifestano nella storia. Soprattutto quest’ultimo pericolo incombe su di noi quando siamo abituati a comprendere tra le idee di un'epoca anche, e anzi in prima linea, i principi o gli ideali che hanzo dominato le masse, oppure una parte storicamente considerevole degli uomini di quell’epoca, e che perciò sono stati significativi come componenti della sua configurazione culturale. A ciò si devono ancora aggiungere due considerazioni in primo luogo la circostanza che tra l’idea nel senso di una direzione concettuale, pratica o teorica, e idea nel senso di un tipo ideale di un’epoca da noi costruito come strumento concettuale sussistono di regola determinate relazioni. Un tipo ideale di determinate situazioni sociali, che si lascia astrarre da certi caratteristici fenomeni sociali di un’epoca, può e questo è infatti sovente il caso avere ispirato l’uomo del tempo come ideale da conseguire praticamente oppure come massima per la regolamentazione di determinate relazioni sociali. Ciò vale già per l’idea della garanzia del sostentamento e di varie teorie canonistiche, specialmente di san Tommaso, in rapporto al concetto tipico-ideale oggi impiegato dell’economia cittadina del Medioevo, a cui abbiamo accennato sopra. E ciò vale maggiormente per il famigerato concetto fondamentale dell’economia politica, vale a dire per il concetto di valore economico. Dalla Scolastica fino alla teoria marxistica il principio di qualcosa che sia oggettivamente valido, e che quindi deve essere, si è qui amalgamato con un’astrazione derivata dal corso empirico della formazione del prezzo. E quel principio, che il valore dei beni debba essere regolato secondo determinati princìpi di diritto naturale , ha avuto e ha tuttora un'immensa importanza per lo sviluppo della cultura non solo del Medioevo. Esso ha intensamente influenzato soprattutto la formazione empirica dei prezzi. Ciò che però viene, e può venir pensato sotto quel concetto teorico, può essere chiarito in maniera realmente univoca soltarzto in virtù di una precisa elaborazione concettuale, e cioè di un’elaborazione tipico-ideale e a ciò dovrebbe riflettere chi motteggia sulle robinsonate della teoria astratta, almeno finché non abbia da porre al loro posto qualcosa di meglio, e cioè di più chiaro. Il rapporto causale tra l’idea storicamente determinabile, che governa gli uomini, e quegli elementi della realtà storica dai quali è possibile astrarre il tipo ideale ad essa corrispondente, può naturalmente configurarsi in maniera assai diversa. In linea di principio occorre però stabilire soltanto che si tratta di due cose ovviamente eterogenee. Ma a ciò si deve inoltre aggiungere che noi possiamo comprendere con precisione concettuale quelle idee medesime che governano gli uomini di un’epoca, e che operano in maniera diffusa tra di loro dal momento che si tratta qui di una più complicata formazione concettuale di nuovo soltanto zella forma di un tipo ideale; e ciò perché vivono empiricamente nella testa di una indeterminata e mutevole molteplicità di individui, assumendo in essi le più diverse gradazioni di forma e di contenuto, di chiarezza e di senso. Per esempio, quegli elementi della vita spirituale degli individui singoli in una determinata epoca del Medioevo, che di solito noi designamo come il Cristianesimo degli individui in questione, costituirebbe naturalmente rel caso che si potesse rappresentarli in maniera compiuta un caos di connessioni concettuali e affettive di ogni tipo, infinitamente differenziate e assai contraddittorie, sebbene la Chiesa medievale abbia certo realizzato l’unità della fede e dei costumi in misura particolarmente elevata. Se si propone la questione di che cosa sia stato allora in questo caos i Cristianesimo medievale, con il quale si deve nondimeno operare continuamente come se fosse un concetto ben determinato, e in che cosa consista l’elemento cristiano che noi troviamo nelle istituzioni del Medioevo, risulta subito che anche qui viene, in ogni singolo caso, impiegata una pura formazione concettuale da noi creata. Esso è una combinazione di proposizioni di fede, di norme giuridicoecclesiastiche e di norme etiche, di massime della condotta della vita e di innumerevoli connessioni particolari, che noi uniamo in un’idea: è una sintesi alla quale non possiamo pervenire in maniera non contraddittoria senza l’impiego di concetti tipico-ideali. La struttura logica dei sistemi concettuali in cui rappresentiamo tali idee , e il loro rapporto con ciò che ci è immediatamente dato nella realtà empirica, sono naturalmente assai diversi. La questione si presenta ancora in forma relativamente semplice nei casi in cui vi siano uno oppure pochi princìpi teorici direttivi che si possono facilmente esprimere in formule per esempio la fede nella predestinazione di Calvino o postulati etici chiaramente formulabili, i quali abbiano dominato gli uomini e prodotto effetti storici, in maniera da poter articolare l’idea in una gerarchia di posizioni che si sviluppano logicamente in base a quei principi direttivi. Già allora si scorda però con troppa facilità che, per quanto potente sia stata nella storia l’importanza anche della forza coercitiva puramente Zogica del pensiero il marxismo ne è un esempio eminente tuttavia il processo storico-empirico nella testa degli uomini deve di regola venir inteso come condizionato psicologicamente e non logicamente. E il carattere tipico-ideale di siffatte sintesi di idee storicamente operanti risulta in maniera ancor più distinta allorché quei fondamentali principi direttivi e quei postulati non vivono, oppure non vivono più, nella testa degli individui dominati da posizioni che ne derivano logicamente, oppure per associazione, in quanto l’idea che in origine stava alla loro base è scomparsa, oppure ha trovato una diffusione solo nelle proprie conseguenze. In maniera ancor più decisiva il carattere della sintesi emerge come il carattere di un’ idea che noi creiamo quando quei fondamentali princìpi direttivi fin dall’inizio sono pervenuti solo in forma incompiuta, o non sono pervenuti, a coscienza distinta, o per lo meno non hanno assunto la forma di chiare connessioni concettuali. Quando perciò adottiamo questo procedimento, come accade e deve accadere molto sovente, ci troviamo con questa idea sia essa l’idea del liberalismo di un determinato periodo o quella del metodismo o quella di qualsiasi specie di socialismo concettualmente non sviluppato di fronte a un puro tipo ideale, che è analogo alle sintesi dei princìpi di un’epoca economica da cui abbiamo preso le mosse. Quanto più ampie sono le connessioni che si devono rappresentare, e quanto più molteplice è stato il loro significato culturale, tanto più la loro rappresentazione sistematica in un complesso concettuale si accosta al carattere del tipo ideale, e tazto meno è possibile operare con uno solo di tali concetti; e tanto più naturali e inevitabili diventano quindi i tentativi, sempre ripetuti, di recare a coscienza sempre nuovi aspetti significativi mediante l’elaborazione di concetti tipico-ideali. Tutte le formulazioni di un’essenza del Cristianesimo, per esempio, sono tipi ideali che hanno sempre, e necessariamente, soltanto una validità molto relativa e problematica se pretendono di essere considerate come una rappresentazione storica di ciò che esiste empiricamente; e sono invece di alto valore euristico per la ricerca e di alto valore sistematico per tale rappresentazione se vengono impiegate semplicemente come mezzi concettuali per la comparazione e per la misurazione della realtà in riferimento ad esse. In questa funzione esse risultano addirittura indispensabili. A tali formulazioni tipico-ideali si aggiunge però di regola ancora un altro elemento, che ne complica ulteriormente il significato. Esse vogliono di solito essere, oppure sono inconsapevolmente, tipi ideali non soltanto in senso /ogico, ma anche in senso pratico: sono cioè modelli che per attenerci all'esempio contengono ciò che il Cristianesimo deve essere secondo la convinzione dell’autore, cioè che in esso è per lui essenziale , perché fornito di valore permanente. In questo caso, però, sia esso consapevole o più spesso inconsapevole, siffatte formulazioni contengono degli ideali 4i quali l’autore riferisce valutativamente il Cristianesimo: sono compiti e fini verso cui egli orienta la sua idea del Cristianesimo, e che naturalmente possono essere assai diversi, e senza dubbio sempre lo saranno, dai valori ai quali gli uomini del tempo, per esempio i Cristiani primitivi, riferivano il Cristianesimo ‘. In questo significato le idee non sono naturalmente più puri strumenti logici, non sono più concetti a cui la realtà viene misurata comparativamente, bensì sono ideali in base ai quali essa è giudicata valutativamente. Nor si tratta più del puro processo teorico di riferimento di ciò che è empirico ai valori, ma di giudizi di valore che vengono accolti nel concetto del Cristianesimo. Poiché qui il tipo ideale pretende una validità empirica, esso penetra nella regione dell’interpretazione valutativa del Cristianesimo; il terreno della scienza empirica è abbandonato, e di fronte a noi sta una professione personale, 707 un'elaborazione concettuale di carattere tipico-ideale. Per quanto questa distinzione sia una distinzione di principio, tuttavia la mescolanza di quei due significati dell’ idea , così fondamentalmente diversi, si presenta molto spesso nel corso del lavoro storico. Essa è sempre prossima allorché lo storico comincia a sviluppare la sua concezione di una personalità o di un’epoca. In antitesi ai criteri etici costanti che uno Schlosser® impiegava in conformità allo spirito del razionalismo, lo storico moderno educato relativisticamente, che vuole da un lato intendere in base a se stessa e dall’altro tuttavia anche giudicarel’epoca di cui parla, sente il bisogno di assumere i criteri del proprio giudizio dalla materia, cioè di lasciar scaturire l’idea nel senso di ideale dall’idea nel senso di tipo ideale . E l’attrattiva estetica di un procedimento del genere lo trascina continuamente a scordare la linea in cui l’una e l’altra si distaccano una deficienza che da un lato non può fare a meno del giudizio valutativo, e dall'altro porta a respingere da sé la responsabilità dei propri giudizi. Di fronte a ciò è tuttavia un dovere elementare dell’autocontrollo scien4. Weber si riferisce qui alle discussioni sull’ essenza del Cristianesimo, particolarmente vive nella cultura filosofico-religiosa tedesca dci primi anni del secolo a partire dalla pubblicazione di Das Wesen des Christentums di Adolf von Harnack (1900). 5. Friedrich Christoph Schlossser (1776-1861), storico tedesco, autore della Welegeschichte in zusammenhingender Darstellung, della Geschichte des 18. Jahrhunderts, poi continuata col nuovo titolo di Geschichte des 18. Jahr hunderts und des 19. bis zum Sturz des franzòsischen Kaiserreichs mit besonderer Riicksicht auf geistige Bildung (1836-49), di una Weltgeschichte fiir das deutsche Volk (1844-56) di carattere divulgativo e di varic altre opere. tifico, e il solo mezzo per prevenire gli inganni, distinguere con precisione la relazione logica comparativa della realtà con tipi ideali in senso logico dalla valutazione della realtà in base a ideali. Un tipo ideale nel nostro senso si può ripeterlo ancora una volta è completamente indifferente nei confronti del giudizio valutativo, e non ha nulla a che fare con una perfezione che non sia puramente logica. Vi sono tipi ideali tanto di bordelli quanto di religioni; e vi sono tipi ideali di bordelli che possono sembrare tecnicamente conformi allo scopo dal punto di vista dell’odierna etica di polizia, come ve ne sono di quelli per cui vale proprio l'opposto. Deve qui necessariamente venir messa in disparte la discussione approfondita del caso che si presenta di gran lunga come il più complicato e interessante la questione della struttura logica del concetto di stato. Si deve solamente osservare che, chiedendoci che cosa corrisponda nella realtà empirica all’idea dello stato , noi troviamo un’infinità di comportamenti umani attivi e passivi, in forma diffusa e discreta, di relazioni regolate di fatto e giuridicamente che presentano un carattere in parte singolare e in parte regolarmente ricorrente, tenute insieme da un'idea, cioè dalla fede in norme valide di fatto, o che devono valere, e in rapporti di potere di uomini sugli uomini. Questa fede è in parte un possesso spirituale concettualmente elaborato, in parte è invece oscuramente sentita, in parte ancora passivamente accolta e configurata nel modo più diverso nella testa di individui i quali, se concepissero l’idea come tale in maniera realmente chiara, non avrebbero bisogno della dottrina generale dello stato a cui tale idea intende dare origine. Il concetto scientifico di stato, in qualsiasi modo venga formulato, è naturalmente una sintesi che z0i assumiamo per determinati scopi conoscitivi. Ma d'altra parte esso è pure astratto dalle non chiare sintesi che sono state ritrovate nella testa degli uomini storici. Però il contenuto concreto che lo stato storico assume in quelle sintesi dei contemporanei può venire illustrato soltanto se ci orientiamo in base a concetti tipico-ideali. Inoltre non c’è il minimo dubbio che il modo in cui quelle sintesi sono effettuate, in forma sempre logicamente incompiuta, dai contem poranei, cioè il modo in cui essi si fanno le loro idee dello stato per esempio la metafisica organica dello stato, sorta in Germania, in antitesi alla concezione commerciale americana è di importanza eminentemente pratica; cioè anche qui, in altri termini, l’idea pratica che si crede debba valere o valga e il zipo ideale teorico, costruito a scopi conoscitivi, si accostano tra loro e mostrano la continua tendenza a passare l’uno nell’altro. Noi abbiamo sopra considerato di proposito il tipo ideale essenzialmente quand’anche non esclusivamente come una costruzione concettuale per la misurazione e la caratterizzazione sistematica di connessioni individuali, cioè significative nella loro singolarità, come per esempio il Cristianesimo, il capitalismo ecc. Ciò è avvenuto allo scopo di mettere da parte la banale nozione che nel campo dei fenomeni culturali cid che è astrattamente zipico sia identico con ciò che è astrattamente conforme al genere. Questo non è il caso. Senza analizzare qui in linea di principio il concetto di tipico, più volte discusso e assai screditato per l’abuso fattone, noi possiamo assumere dal nostro precedente esame che l’elaborazione di concetti di tipo, nel senso di un’eliminazione di ciò che è accidentale , trova la propria sede anche e precisamente in rapporto agli individui storici. Naturalmente anche quei concetti di genere, che troviamo a ogni passo come elementi di esposizioni storiche e di concreti concetti storici, possono però venir formati come tipi ideali mediante un procedimento di astrazione e di accentuazio-ne di determinati elementi ad essi concettualmente essenziali. Questo è appunto un caso di applicazione dei concetti tipicoideali particolarmente frequente e importante dal punto di vista pratico; e ogni tipo ideale individuale si costruisce in base a clementi concettuali che sono generici, e che sono stati formati come tipi ideali. Anche in questo caso emerge però la specifica funzione logica dei concetti tipico-ideali. Un semplice concetto di genere, nel senso di un complesso di caratteristiche comuni a più fenomeni, è per esempio il concetto di scambio finché prescindo dal significato degli elementi concettuali e analizzo semplicemente l’uso linguistico quotidiano. Se però pongo questo concetto in relazione, per esempio, con la legge di utilità marginale ed elaboro il concetto di scambio economico come concetto di un processo economicamente RAZIONALE, allora questo contiene in sé, al pari di ogni concetto logicamente sviluppato in maniera compiuta, un giudizio sulle condizioni tipiche dello scambio. Esso assume carattere genetico e diventa perciò al tempo stesso tipico-ideale in senso logico, cioè si allontana dalla realtà empirica, la quale può solo essere comparata con esso e ad esso riferita. Una cosa analoga vale per tutti i cosiddetti concetti fondamentali dell'economia politica: essi possono venir sviluppati in forma genetica soltanto come tipi ideali. L’antitesi tra semplici concetti di genere, i quali riuniscono ciò che è comune a certi fenomeni empirici, e tipi ideali di carattere generico come per esempio nel caso di un concetto tipico-ideale dell’ essenza dell’artigianato è naturalmente fluida nel caso singolo. Ma nessun concetto di genere ha in quanto tale carattere tipico, e non c’è nessun tipo di media che sia puramente conforme a un genere. Ovunque parliamo, per esempio in statistica, di grandezze tipiche , si presenta qualcosa di più che una mera media. Quanto più ci troviamo dinanzi a una semplice classificazione di processi che si presentano nella realtà come fenomeni di massa, tanto più si tratta di concetti di genere; quanto più invece vengono formate concettualmente complicate connessioni storiche, prese in quei loro elementi su cui poggia il loro specifico significato culturale, tanto più il concetto o il sistema concettuale assumerà il carattere del tipo ideale. Poiché scopo dell’elaborazione di concetti tipico-ideali è sempre quello di rendere esplicito con precisione 207 già ciò che è conforme al genere, bensì, al contrario, il carattere specifico di certi fenomeni culturali. Che tipi ideali, anche di carattere generico, possano essere e siano impiegati, presenta un interesse metodologico soltanto in connessione con un altro fatto. Finora abbiamo imparato a conoscere i tipi ideali essenzialmente soltanto come concetti astratti di connessioni che, permanendo nel flusso dell’accadere, sono da noi rappresentati come individui storici, i cui si compiono determinate linee di sviluppo. Ora si presenta però una complicazione, la quale reintroduce in maniera molto facile, con l’aiuto del concetto di tipico , il pregiudizio naturalistico che fine delle scienze sociali debba essere la riduzione della realtà a leggi. Anche le linee di sviluppo possono venir costruite come tipi ideali, e 614 MAX WEBER queste costruzioni possono avere un valore euristico assai considerevole. Ma così sorge, in misura particolarmente forte, il pericolo che vengano tra loro confusi il tipo ideale e la realtà. Si può per esempio pervenire al risultato teorico che in una società organizzata in forma rigorosamente artigianale la sola fonte di accumulazione del capitale sia la rendita fondiaria. Su tale base si può forse poi costruire poiché non si deve qui indagare la correttezza della costruzione un quadro ideale della trasformazione dell'economia a carattere artigianale in un'economia capitalistica, condizionato da determinati fattori semplici terreno limitato, popolazione crescente, afflusso di metalli preziosi, razionalizzazione della condotta della vita. Se il corso storico-empirico dello sviluppo sia stato di fatto quello costruito può venir indagato soltanto con l’aiuto di questa costruzione in quanto mezzo euristico, mediante la comparazione tra tipo ideale e fatti. Se il tipo ideale è correttamente costruito, e tuttavia il corso oggettivo zor corrisponde al corso tipico-ideale, si verrebbe a conseguire la prova che la società medievale 07 è stata, in determinate relazioni, una società a carattere rigorosamente artigianale ». E quando il tipo ideale è stato costruito in maniera ideale » euristica se e come ciò possa avvenire nel nostro caso, rimane qui del tutto fuori della nostra considerazione allora esso orienterà nel medesimo tempo la ricerca sulla via che conduce a una più precisa penetrazione di quegli elementi della società medievale i quali non presentano carattere artigianale, studiati nel loro specifico carattere e nel loro significato storico. Esso ha attuato il suo scopo logico, quando reca a questo risultato, proprio in quanto ha manifestato la sua propria irrealtà. Esso costituiva, in tale caso, la prova di un'ipotesi. Il procedimento non è esposto a nessuna riserva metodologica fin quando si tenga presente che la costruzione tipico-ideale di uno sviluppo e la storia sono due cose da tenere rigorosamente distinte, e che la costruzione è stata qui semplicemente il mezzo per compiere in maniera sistematica l'imputazione valida di un processo storico alle sue cause reali, entro l'ambito di quelle possibili in conformità allo stato della nostra conoscenza. Mantenere rigorosamente in piedi questa distinzione è reso sovente molto difficile secondo quanto ci dice l’esperienza dalla seguente circostanza. Nell’interesse della presentazione in forma intuitiva del tipo ideale o dello sviluppo tipico-ideale si cercherà di #lustrarlo mediante materiale intuitivo tratto dalla realtà storico-empirica. Il pericolo di questo procedimento, che pure è in sé del tutto legittimo, consiste nel fatto che il sapere storico appare qui come servitore della teoria, anziché viceversa. Il teorico si trova di fronte alla tentazione di considerare questo rapporto come normale, oppure il che è peggio di accostare teoria e storia, e addirittura di scambiarle tra loro. Questo caso si presenta in misura ancor più accentuata allorché la costruzione ideale di uno sviluppo è effettuata in maniera da inserirla, con la classificazione concettuale di tipi ideali di determinate formazioni culturali (per esempio delle forme di impresa industriale muovendo dall’ economia domestica chiusa », oppure dei concetti religiosi cominciando dalle divinità dell’attimo »), entro una classificazione genetica. La serie dei tipi che risulta in base alle caratteristiche concettuali prescelte appare quindi come una loro successione storica, legalmente necessaria. L'ordine logico dei concetti da un lato, e dall’altro l'ordinamento empirico di ciò che viene concepito nello spazio, nel tempo e nella connessione causale, sembrano così legati tra loro che quasi irresistibile diventa la tentazione di fare violenza alla realtà, per confermare nella realtà la validità effettiva della costruzione. Di proposito si è evitato di condurre la dimostrazione in riferimento a quello che per noi è di gran lunga il più importante caso di costruzioni tipico-ideali cioè in riferimento a Marx. Ciò è avvenuto per non complicare ancora l’esposizione tirando dentro anche le interpretazioni di Marx, e per non anticipare le discussioni con cui la nostra rivista farà di regola oggetto di analisi critica la letteratura accumulatasi sul oppure in rapporto al grande pensatore. Qui ci si può pertanto limitare a constatare che tutte le leggi» e le costruzioni di sviluppo specificamente marxistiche in quanto sono teoricamente prive di errore hanno naturalmente carattere tipicoideale. Chiunque abbia lavorato con concetti marxistici conosce l’eminente, e anzi singolare significato euristico di questi tipi ideali, quando li si impieghi per comparare con essi la realtà, e conosce al tempo stesso la loro pericolosità quando si voglia presentarli come validi empiricamente, oppure come forze operanti , tendenze ecc. reali (cioè, in verità, metafisiche). Concetti di genere; tipi ideali; concetti di genere tipico-ideali; idee nel senso di combinazioni concettuali empiricamente operanti negli uomini storici; tipi ideali di queste idee; ideali che dominano gli uomini storici; tipi ideali di questi ideali; ideali a cui lo storico riferisce la storia; costruzioni zeoriche effettuate mediante l’impiego illustrativo del dato empirico; indagine storica condotta mediante l’impiego di concetti teorici come casi-limite ideali; e inoltre ancora le diverse complicazioni possibili a cui si è solo potuto accennare sono tutte formazioni concettuali, il cui rapporto con la realtà empirica del dato immediato resta problematico in ogni caso particolare. Questa elencazione mostra già da sola l’intrico senza fine dei problemi metodico-concettuali, che rimangono sempre in vita nel campo delle scienze della cultura. E noi abbiamo dovuto astenerci assolutamente dall’esaminare le questioni metodologiche pratiche connesse ai problemi che si è potuto soltanto indicare, e dal discutere in maniera approfondita le relazioni della conoscenza tipico-ideale con la conoscenza legale , dei concetti tipico-ideali con i concetti collettivi, e così via. Lo storico persevererà tuttora, dopo queste polemiche, nell’affermare che la prevalenza della forma tipico-ideale di elaborazione concettuale e di costruzione è un sintomo specifico della giovinezza di una disciplina. E in questo gli si deve in un certo senso dar ragione, ma con conseguenze diverse da quelle che egli vorrebbe trarne. Prendiamo un paio di esempi da altre discipline. È certo vero che lo scolaro infastidito, al pari del filologo primitivo, concepisce anzitutto una lingua organicamente , cioè come una totalità sovra-empirica retta da norme, ma concepisce il compito della scienza come la determinazione di ciò che in quanto regola linguistica deve valere. Elaborare logicamente la lingua scritta , come ha fatto ad esempio la Crusca, ridurne il contenuto a regole, è normalmente il primo compito che una filologia si propone. E quando invece oggi un insigne filologo proclama oggetto della filologia il modo di parlare di ogni individuo , la determinazione di un programma siffatto è possibile solo in quanto nella lingua scritta ci si trova dinanzi a un tipo ideale relativamente stabile, con cui può operare (almeno tacitamente) l’analisi dell’infinita molteplicità del modo di parlare, che altrimenti sarebbe del tutto priva di orientamento e di approdo. Non altrimenti le costruzioni delle teorie dello stato a carattere giusnaturalistico o organico, oppure per rammentarci di un ideale nel nostro senso la teoria dello stato antico formulata da Benjamin Constant‘, funzionavano in certa misura come porti di rifugio, finché non si è imparato a orientarci nell’immenso mare dei fatti empirici. La maturazione di una scienza comporta infatti sempre il superamento del tipo ideale, nella misura in cui esso viene concepito come empiricamente valido oppure come concetto di genere. E perciò, per esempio, l’impiego dell’acuta costruzione di Constant è ancor oggi del tutto legittimo per l’illustrazione di determinati aspetti e di caratteristiche storiche peculiari dell’antica vita statale, se si tiene fermo con cura il suo carattere tipico-ideale. Non solo, ma soprattutto vi sono scienze alle quali è assegnata un’eterna giovinezza; e queste sono tutte le discipline storiche, tutte quelle cioè a cui il fluire sempre progrediente della cultura propone di continuo nuove posizioni problematiche. È connesso all’essenza del loro compito che tuzte le costruzioni tipico-ideali debbano tramontare, ma che al tempo stesso altre nuove siano sempre indispensabili. Di continuo si ripetono i tentativi di determinare il senso proprio o vero dei concetti storici, e mai essi giungono alla fine. Di conseguenza le sintesi, con cui la storia di continuo lavora, rimangono regolarmente nella forma di concetti solo relativamente determinati, oppure, allorché si deve conseguire a ogni costo l’univocità del contenuto concettuale, il concetto diventa un tipo ideale astratto e si rivela come un punto di vista teorico, quindi unilaterale , dal quale la realtà può 6. Benjamin-Henri Constant de Rebecque, uomo politico francese del periodo napoleonico e dell'età della Restaurazione, esiliato da Napoleone, in seguito uno dei maggiori esponenti dell’opposizione liberale alla monarchia borbonica, autore del Cours de politique constitutionelle, del famoso discorso De la liber:é des anciens comparée è celle des modernes (1819), dell’opera De la religion, considéré dans sa source, ses formes et ses dévelopments (1824-27), dei MÉlanges de politique et de litiérature (1829) e di vari altri scritti, tra cui il volume postumo Du polytAdisme romain. essere illuminata e al quale essa può venir riferita ma che si mostra evidentemente inappropriato come schema in cui essa potrebbe venir inserita senza residuo. Poiché nessuno di quei sistemi concettuali, di cui non possiamo fare a meno per la penetrazione degli elementi di volta in volta significativi della realtà, può tuttavia esaurirne l’infinita ricchezza. Nessuno è qualcosa di diverso da un tentativo di recare ordine, sulla base della situazione del nostro sapere e delle formazioni concettuali a nostra disposizione, nel caos di quei fatti che abbiamo compreso nell’ambito del nostro inzeresse. L'apparato concettuale che il passato ha sviluppato mediante l'elaborazione, cioè piuttosto mediante la trasformazione concettuale della realtà immediatamente data e il suo inserimento in quei concetti che corrispondevano alla situazione della sua conoscenza e alla direzione del suo interesse, sta in continua contrapposizione con la nuova conoscenza che noi possiamo e vogliamo ottenere dalla realtà. In questa lotta si compie il progresso delle scienze della cultura. Il suo risultato è un continuo processo di trasformazione di quei concetti con cui cerchiamo di penetrare la realtà. La storia delle scienze della vita sociale è e rimane caratterizzata da un continuo alternarsi tra il tentativo di ordinare concettualmente i fatti mediante un’opera di elaborazione concettuale, la risoluzione dei quadri concettuali così ottenuti mediante l’estensione e l’approfondimento dell’orizzonte scientifico, e l’elaborazione di nuovi concetti sul fondamento così mutato. Non viene qui affatto in luce l’erroneità del tentativo di formare sistemi di concetti 12 gezere ogni scienza, anche la semplice storia descrittiva, lavora con la provvista concettuale del suo tempo bensì la circostanza che nelle scienze della cultura umana la formazione dei concetti dipende dalla posizione dei problemi, e quest'ultima varia con il contenuto della cultura stessa. Nelle scienze della cultura il rapporto tra il concetto e il suo contenuto comporta la transitorietà di ogni sintesi siffatta. I grandi tentativi di costruzione concettuale hanno di regola avuto il loro valore, nel campo della nostra scienza, nel rivelare le limitazioni di significato del punto di vista che sta alla loro base. I più importanti progressi nel campo delle scienze sociali sono, dal punto di vista oggettivo, connessi alla trasposizione dei problemi pratici della cultura, e si presentano nella forma di una critica dell’elaborazione concettuale. Sarà uno dei principali compiti della nostra rivista servire allo scopo di questa critica, e perciò all'indagine dei princìpi della sintesi nel campo della scienza sociale. Traendo le conseguenze di quanto si è detto, noi perveniamo a un punto in cui le nostre opinioni si discostano talvolta da quelle di alcuni, anche eminenti, rappresentanti della scuola storica, tra i cui discendenti tuttavia ci siamo annoverati. Essi permangono sovente, in maniera espressa o tacita, nella convinzione che il fine ultimo, lo scopo di ogni scienza sia quello di ordinare la propria materia in un sistema di concetti il cui contenuto deve essere ottenuto mediante l'osservazione di regolarità empiriche, l’elaborazione di ipotesi e la loro verifica, finché non sia sorta su tale base una scienza compiuta e perciò deduttiva. In vista di questo fine il lavoro storico-induttivo che si sta attualmente conducendo sarebbe un lavoro preliminare, condizionato dall’imperfezione della nostra disciplina: nulla deve naturalmente apparire più sospetto, dal punto di vista di questa forma di considerazione, della formazione e dell’impiego di concetti precisi che vorrebbero anticipare prematuramente quel fine, proprio invece di un lontano futuro. Questa concezione sarebbe in linea di principio incontestabile sul terreno della dottrina antica e scolastica della conoscenza, a cui sono ancora profondamente attaccati gli specialisti della scuola storica: scopo dei concetti si presuppone essere la riproduzione rappresentativa della realtà oggettiva, e da ciò deriva la continua insistenza sull’irrealtà di ogni concetto preciso. Chi pensa però fino in fondo il principio fondamentale della moderna dottrina della conoscenza, richiamantesi a Kant, che i concetti sono e possono essere solamente mezzi del pensiero foggiati allo scopo di dominare spiritualmente il dato empirico, non potrà ritenere la circostanza che i concetti genetici siano necessariamente tipi ideali come un'obiezione valida contro la loro elaborazione. Per lui il rapporto tra concetto e lavoro storico si inverte: quel fine ultimo gli appare logicamente impossibile, e i concetti si rivelano non già fire, bensì mezzo in vista della conoscenza delle connessioni significative da puntì di vista individuali. Proprio in guanto i contenuti dei concetti storici sono necessariamente mutevoli, questi debbono essere ogni volta formulati in maniera precisa. Egli avanzerà soltanto l’esigenza che nel loro impiego sia accuratamente tenuto fermo il loro carattere di formazioni concettuali ideali, che cioè tipo ideale e storia non vengano scambiati tra loro. Dal momento che non si può considerare come fine ultimo quello di pervenire a concetti storici realmente definitivi, per l’inevitabile mutamento delle idee di valore direttive, egli riterrà che proprio in quanto concetti precisi e univoci vengono formulati in riferimento al particolare punto di vista, che ogni volta esplica una funzione direttiva, sia data la possibilità di mantenere chiari nella coscienza i limiti della loro validità, Si affermerà ora e noi l’abbiamo già ammesso che una concreta connessione storica può nel caso particolare venir illustrata intuitivamente nel suo corso, senza che sia di continuo posta in relazione con concetti definiti. E di conseguenza si reclamerà per lo storico della nostra disciplina che egli, al pari di ciò che si è detto dello storico politico, parli la lingua della vita . Certamente! Occorre solamente aggiungere che in questo procedimento rimane necessariamente accidentale, in un grado spesso molto elevato, se il punto di vista in base a cui il processo considerato ottiene significato pervenga, o meno, a chiara coscienza. Noi non ci troviamo in genere nella felice situazione dello storico politico, per il quale i contenuti di cultura, a cui egli riferisce la sua esposizione, sono di regola univoci 0 almeno così sembrano. Ogni rappresentazione che sia solo intuitiva assume il carattere proprio di una rappresentazione artistica: ognuno vede ciò che reca in cuore. Giudizi validi presuppongono sempre l’elaborazione logicz del dato intuitivo, cioè l'impiego di concetti; ed è certo possibile, e spesso esteticamente soddisfacente, conservarli in petto, ma ciò minaccia di continuo il sicuro orientamento del lettore, sovente anche quello di chi scrive, per ciò che concerne il contenuto e la portata dei suoi giudizi. Estremamente pericolosa può però diventare l’omissione di una precisa elaborazione concettuale per le discussioni pratiche di politica economica e sociale. Quale confusione abbiano qui prodotto per esempio l’impiego del termine valore questo figlio del dolore della nostra disciplina, al quale può appunto essere dato un senso univoco soltanto su base tipico-ideale oppure parole come produttivo , dal punto di vista economico-politico ecc., che non reggono a nessuna analisi concettualmente chiara, è addirittura incredibile per lo spettatore che stia al di fuori. E a recar danno sono qui prevalentemente i concetti collettivi assunti dal linguaggio quotidiano. Si prenda, per fornire un'illustrazione il più possibile accessibile anche a chi non abbia competenza specifica, il concetto di agricoltura, quale si presenta nell’espressione interessi dell’agricoltura. Se assumiamo anzitutto gli interessi dell’agricoltura come le rappresentazioni soggettive più o meno chiare, ed empiricamente determinabili, che i singoli operatori economici hanno dei loro interessi, e prescindiamo quindi del tutto dagli infiniti conflitti di interessi che qui sussistono tra allevatori di bestiame, ingrassatori di bestiame, coltivatori di grano, consumatori di grano, distillatori di acquavite e così via, non ogni estraneo ma certo almeno ogni specialista si renderà conto dell'enorme groviglio di relazioni di valore, tra loro antagonistiche e contraddittorie, che è qui sotto oscuramente implicato. Noi vogliamo qui enumerarne solo alcune: interessi di agricoltori che vogliono vendere il proprio podere, e che perciò sono interessati esclusivamente a un celere rialzo del prezzo del terreno; l'interesse contrapposto di coloro che intendono comperare, o accrescersi, o prendere in affitto; l'interesse di coloro che, per motivi di vantaggio sociale, desiderano conservare un determinato podere per i propri successori e sono quindi interessati alla stabilità della proprietà terriera; l'interesse contrapposto di coloro che desiderano, per sé e per i propri figli, un movimento del terreno in direzione di un padrone migliore oppure il che non è senz'altro identico di un acquirente fornito di disponibilità di capitali; l'interesse puramente economico dei padroni più capaci, nel senso dell'economia privata, alla libertà di movimento economico; l'interesse antagonistico di determinati strati dominanti alla conservazione della tradizionale posizione sociale ed economica del proprio ceto, e quindi della propria discendenza; l’interesse sociale degli strati di agricoltori 207 dominanti al declino di quegli strati superiori, che opprimono la loro posizione; il loro interesse, che talvolta risulta in collisione col precedente, di possedere in quegli strati una guida politica per la protezione dei propri interessi di guadagno. E l’elenco potrebbe ancora essere accresciuto a lungo, senza trovare una fine, per quanto si proceda in maniera sommaria e imprecisa. Noi trascuriamo il fatto che agli interessi più egoistici di questo tipo possono mescolarsi o unirsi i più diversi valori ideali, e che tali valori possono ostacolarli o deviarli, per tenere soprattutto presente che, quando parliamo di interessi dell'agricoltura, pensiamo di regola z0n soltanto a quei valori materiali e ideali a cui gli agricoltori stessi riferiscono i propri interessi, bensì anche a quelle idee di valore, in parte completamente eterogenee, a cui noi possiamo riferire l'agricoltura: per esempio interessi produttivi, derivanti dall’interesse in una nutrizione più a buon mercato della popolazione e dall’interesse, che non sempre coincide con quello, in una nutrizione qualitativamente migliore, a cui possono contrapporsi in varia maniera gli interessi della città e della campagna mentre non c’è alcuna garanzia che l’interesse della generazione presente sia identico con il probabile interesse di quelle future; oppure interessi demografici, in particolare interessi a una 24merosa popolazione agricola, derivanti dagli interessi dello stato per motivi di politica di grande potenza o di politica interna, oppure da altri interessi ideali di specie più diversa, come dall’influenza prevista di una numerosa popolazione agricola sul carattere culturale di un paese interessi i quali possono contrastare con svariati interessi privati di tutte le parti della popolazione agricola, e presumibilmente anche con tutti gli interessi presenti della massa della popolazione agricola. Oppure si può rammentare l’interesse a un determinato tipo di organizzazione sociale della popolazione agricola, a causa delle influenze politiche o culturali che ne derivano interesse che può urtarsi per il suo orientamento con tutti i presumibili interessi presenti e futuri, anche i più urgenti, dei singoli agricoltori e anche dello stato . E ciò che complica ulteriormente la cosa lo stato , al cui interesse noi volentieri riferiamo questi e numerosi altri interessi particolari del genere, è per noi spesso solo una designazione che riveste un groviglio, in sé estremamente intricato, di idee di valore, con cui esso è da parte sua posto in relazione nel caso singolo: sicurezza puramente militare verso l’esterno; sicurezza della posizione dominante di una dinastia o di determinate classi all’interno; interesse alla conservazione e all’estensione dell’unità statale della nazione, per se stessa o in funzione della conservazione di determinati beni culturali oggettivi, tra loro di nuovo assai diversi, che noi crediamo di rappresentare in forma di un popolo fornito di unità statale; trasformazione del carattere sociale dello stato nel senso di determinati ideali culturali, ancora assai diversi e si potrebbe continuare a lungo se si volesse anche soltanto accennare che cosa corre sotto l’etichetta di interessi statali , a cui possiamo riferire l’agricoltura. L'esempio qui prescelto, e ancor più la nostra sommaria analisi, è grossolano e semplificato. Chi è privo di competenza specifica potrebbe ancora analizzare in maniera simile (e più a fondo) per esempio il concetto di interessi di classe dei lavoratori , per vedere quale groviglio, pieno di contraddizioni, in parte di interessi e di ideali dei lavoratori, in parte di ideali in base a cui noi consideriamo i lavoratori, stia al di sotto di esso. È impossibile superare lo slogan della lotta di interessi mediante un’accentuazione puramente empiristica della loro relatività: una chiara e precisa determinazione concettuale dei diversi punti di vista possibili è la sola via che ci consente di procedere oltre l'oscurità della frase. L’ argomento del libero commercio come intuizione del mondo o come norma valida è una cosa ridicola, ma gravi danni ha recato alle nostre discussioni di politica commerciale e lo stesso vale quali che siano gli ideali di politica commerciale che il singolo vuole rappresentare il fatto che noi abbiamo sottovalutato nel suo valore euristico l'antica esperienza di vita dei grandi mercanti depositata in tali formule tipico-ideali. Solo mediante formule tipico-ideali diventano realmente espliciti nel loro proprio carattere i punti di vista considerati nel caso singolo, e ciò attraverso un’opera di confronto del dato empirico con il tipo ideale. L'uso dei concetti collettivi indifferenziati, con cui lavora il linguaggio quotidiano, è sempre il rivestimento di oscurità del pensiero o della volontà, ed è abbastanza spesso lo strumento di ingannevoli raggiri in ogni caso è però un mezzo per ostacolare lo sviluppo di una corretta impostazione problematica. Noi siamo alla fine di queste considerazioni, che miravano semplicemente a porre in luce la linea, spesso molto sottile, che separa scienza e fede, e a cogliere il senso dell’aspirazione alla conoscenza economico-sociale. La validità oggettiva di ogni sapere empirico poggia sul fatto, e soltanto sul fatto che la realtà data viene ordinata in base a categorie che sono soggetti ve in un senso specifico, in quanto cioè rappresentano il presupposto della nostra conoscenza, e che sono vincolate al presupposto del vglore di quella verità che soltanto il sapere empirico può darci. A colui che non consideri fornita di valore questa verità e la fede nel valore della verità scientifica è infatti prodotto di determinate culture, e non già qualcosa di naturalmente dato non abbiamo nulla da offrire con i mezzi della nostra scienza. Invano egli andrà in cerca di un’altra verità che possa sostituire la scienza in ciò che essa soltanto può fornire concetti e giudizi che non sono la realtà empirica, e che neppure la riproducono, ma che consentono di ordinarla concettualmente in modo valido. Nel campo delle scienze sociali empiriche della cultura l'abbiamo visto la possibilità di una conoscenza fornita di senso di ciò che per noi è essenziale nell'infinità dell’accadere appare vincolata al costante impiego di punti di vista di carattere specifico, i quali sono tutti, in ultima analisi, orientati verso idee di valore che da parte loro possono essere empiricamente constatate e vissute come elementi di ogni agire umano fornito di senso, ma zor già fondate come valide in base al materiale empirico. L’oggettività conoscitiva delle scienze sociali dipende piuttosto dal fatto che il dato empirico è sì orientato continuamente verso quelle idee di valore che sole gli forniscono un valore conoscitivo, ed è compreso nel suo significato in base ad esse, ma tuttavia non diventa mai piedestallo per la prova, empiricamente impossibile, della loro validità. E la fede, che sempre è in qualche forma presente in tutti noi, nella validità sovra-empirica delle ultime e supreme idee di valore a cui ancorare il senso della nostra esistenza, non esclude ma reca con sé l’incessante mutabilità dei punti di vista concreti da cui la realtà empirica deriva un significato: la vita nella sua realtà irrazionale e il suo contenuto di possibili significati sono inesauribili, perciò la concreta configurazione della relazione di valore rimane fluida, sottoposta com'è al mutamento nell’oscuro avvenire della cultura umana. La luce, che emana da quelle supreme idee di valore, cade sempre su una parte finita, e continuamente mutevole, dell’immensa e caotica corrente degli avvenimenti che fluisce nel tempo. Tutto ciò non dovrebbe venir frainteso nel senso che il compito proprio della scienza sociale debba essere una continua caccia affannosa di nuovi punti di vista e di nuove costruzioni concettuali. Al contrario, nulla dovrebbe qui venir affermato in maniera più risoluta del principio che il contributo alla conoscenza del significato culturale di connessioni storiche concrete è l’esclusivo fine ultimo a cui, accanto ad altri mezzi, intende servire anche il lavoro di elaborazione e di critica concettuale. Vi sono anche nel nostro campo, per usare un’espressione di F. T. Vischer?, cercatori di materiale e cercatori di significato . La gola bramosa di fatti dei primi può essere saziata solo con materiale documentario, con tavole statistiche e con inchieste, ma è insensibile alla raffinatezza del nuovo pensiero. La golosità dei secondi altera il proprio gusto con sempre nuovi distillati concettuali. Quella genuina capacità artistica, che per esempio tra gli storici Ranke possedeva in misura così grandiosa, si manifesta di solito nella capacità di creare qualcosa di nuovo mediante il riferimento di fatti z0t a punti di vista anch'essi noti. Ogni lavoro delle scienze della cultura in un’epoca di specializzazione, dopo essersi diretto in base a determinate impostazioni problematiche a considerare una determinata materia, e dopo essersi creato i suoi princìpi metodici, riterrà l’analisi di questo materiale come uno scopo a sé, senza controllare di continuo in maniera consapevole il valore conoscitivo dei singoli fatti in riferimento alle ultime idee di valore, e anche senza rimanere consapevole del proprio legame con queste. Ed è bene che sia così. Ma a un certo momento muta il colore: il significato dei punti di vista impiegato in maniera non riflessa diventa incerto, e la strada si perde nel crepuscolo. La luce dei 7. Friedrich Theodor Vischer, autore di una Aesthetik oder Wissenschaft des Schònes in sci volumi (1846-58), dì ispirazione hegeliana, e di numerosi saggi di estetica e di critica artistico-letteraria. grandi problemi culturali è di nuovo spostata. Allora anche la scienza si appresta a mutare la propria impostazione e il proprio apparato concettuale, e a guardare nella corrente dell’accadere dall'alto del pensiero. Essa segue quegli astri che, essi soli, possono mostrare senso e direzione al suo lavoro: ma sorge il nuovo impeto e mi slancio per bere alla sua luce eterna. Il giorno innanzi a me, la notte alle mie spalle, su di me il cielo, sotto di me le onde”. 8. GoetHne, Faust, vv. 1085-88 (tr. it, di F. Fortini). Per valutazione si debbono qui di seguito intendere, se nient'altro è detto esplicitamente o risulta di per sé evidente, le valutazioni pratiche di un fenomeno influenzabile mediante il nostro agire, il quale viene considerato come riprovevole oppure come degno di approvazione *. Con il problema della libertà di una determinata scienza da valutazioni di questa specie, cioè con un problema concernente la validità e il senso a. Questo saggio è la trasformazione di una comunicazione, diffusa in forma manoscritta, preparata per una discussione interna nella riunione del 1913 del Verein fr Sozialpolitik . È stato eliminato il più possibile tutto ciò che interessava soltanto questo gruppo di studio, mentre sono state ampliate le considerazioni metodologiche generali. Tra le altre comunicazioni presentate per tale discussione è stata pubblicata quella del prof. E. Spranger!, nello Schmollers Jahrhbuch fir Gesetzgebung, Verwaltung und Volkswirtschaft , XXXVIII, 1914, pp. 33-57. Io confesso di aver trovato stranamente debole, perché non maturato chiaramente, questo lavoro di un filosofo che anch'io stimo assai; ma evito qui, anche già per ragioni di spazio, ogni polemica con lui, limitandomi a esporre il mio proprio punto di vista. * Der Sinn der Wertfreiheit der soziologischen und dlkonom:schen Wissenschaften, Logos , VII, 1917, pp. 40-88, raccolto nel volume Gesammelte Aufsitze zur Wissenschafeslehre, Tiùbingen, ]. C. B. Mohr, 1922, 4* ed. (a cura di Johannes Winckelmann) 1973, pp. 489-540 (Il significato della avalutatività delle scienze sociologiche ed economiche, tr. it. di Pietro Rossi, in !/ metodo delle scienze storicosociali, Torino, Einaudi, 1958, pp. 309-72). 1. Eduard Spranger (1882-1963), filosofo e pedagogista tedesco, autore di Lebensformen (1914), di Kultur und Erzichung, di Lebenserfahrung e di numerose altre opere, fu allievo di Dilthey, del quale sviluppò soprattutto la teoria delle scienze dello spirito. 628 MAX WEBER di questo principio logico, non ha nulla a che fare la questione del tutto diversa, di cui si deve ora preliminarmente discutere la questione se si debba, oppure no, fare professione nell'insegnamento accademico a favore delle proprie valutazioni pratiche, di carattere etico oppure fondate in riferimento a ideali di cultura o, in altra maniera, su un'intuizione del mondo. Questa non può venir discussa scientificamente. Infatti essa stessa è una questione del tutto dipendente da valutazioni pratiche, e quindi non può essere decisa per tale via. Per citare soltanto i poli estremi, vengono sostenuti: 2) sia il punto di vista per cui la separazione di argomenti puramente logici o puramente empirici dalle valutazioni pratiche, o etiche, oppure connesse a un'intuizione del mondo è sì giustificata, ma tuttavia (e forse proprio perciò) entrambe le categorie di problemi appartengono all'ambito della cattedra; b) sia il punto di vista per cui, anche se quella separazione n0n può essere realizzata logicamente in maniera coerente, si deve raccomandare di tener distanti il più possibile dall’insegnamento accademico tutte le questioni pratiche di valore. Questo secondo punto di vista mi sembra inammissibile. In particolare la distinzione, non di rado fatta per le nostre discipline, delle valutazioni pratiche in valutazioni politiche di parte e in valutazioni di altro carattere mi sembra semplicemente ineseguibile, e appropriata soltanto a nascondere la portata pratica della presa di posizione suggerita agli ascoltatori. Inoltre, l'opinione che alla cattedra si addica la mancanza di passione , e che di conseguenza debbano essere evitati gli argomenti che comportano il pericolo di discussioni eccitate , sarebbe una volta ammesso in genere che sulla cattedra si possano enunciare valutazioni una convinzione da burocrati, che ogni insegnante indipendente dovrebbe respingere. Di quegli studiosi che 70 hanno ritenuto di dover rinunciare a valutazioni pratiche nelle discussioni empiriche, proprio i più appassionati come per esempio Treitschke, e a modo suo pure Mommsen® furono quelli maggiormente tollerabili. Poiché 2. Theodor Mommsen, filologo e storico tedesco, autore di una fondamentale Romische Geschichte rimasta incompleta (1849-85), di Uber das rimische Miinzivesen (1850), degli Unteritalische Dialekte (1850), della Romische Chronoappunto mediante la forte accentuazione emotiva l’ascoltatore è almeno posto nella situazione di poter da parte sua stabilire la soggettività della valutazione del professore, nella sua influenza su un'eventuale distorsione delle sue proposizioni di fatto, e di fare quindi da sé ciò che rimane precluso al temperamento del professore. Può quindi restar affidata all’autentico pathos quell’efficacia sulle anime della gioventù che come io presumo i sostenitori delle valutazioni pratiche pronunciate dalla cattedra desiderano assicurare ad esse, senza che l’ascoltatore venga traviato alla confusione reciproca di diverse sfere come necessariamente accade quando la determinazione di fatti empirici e l'esortazione a una presa di posizione pratica di fronte a grandi problemi della vita sono entrambe immerse nella stessa fredda assenza di temperamento. Il primo punto di vista mi sembra accettabile, e così lo è dal punto di vista soggettivo dei suoi sostenitori, solo se l’insegnante si pone come dovere incondizionato in ogni caso particolare, e fino al pericolo di rendere priva di attrattive la propria lezione quello di rendere inesorabilmente chiaro ai suoi ascoltatori e, ciò che costituisce la cosa principale, a se stesso, che cosa delle sue asserzioni è dedotto con un puro procedimento logico o è determinazione puramente empirica di fatti, e che cosa è invece valutazione pratica. Far questo mi sembra, d’altra parte, addirittura un imperativo di onestà intellettuale, una volta ammessa l’estraneità delle due sfere; in questo caso è assolutamente il minimo che si possa chiedere. Invece la questione se dalla cattedra si debba o no, in generale (pur con tale cautela), enunciare valutazioni pratiche, è da parte sua una questione di politica universitaria pratica, e può in ultima analisi essere decisa soltanto dal punto di vista di quei compiti che l’individuo vorrebbe assegnare, in base alle sue valutazioni, alle università. Chi per esse, e quindi per se stesso, pretende ancor oggi in virtù della sua qualificazione di professore universitario la funzione universale di formare gli logie bis auf Casar (1858), delle Romische Forschungen (1864-79), del Rémisches Staatsrecht, del Romisches Strafrecht (1899) e di varic altre opere, editore del Corpus Inscriptionum latinarum (a partire dal 1863), fu il maggiore storico dell'antichità dell'Ottocento. uomini e di propagare una convinzione politica, etica, artistica, culturale o di altra specie, si comporterà in maniera differente da colui che ritiene di dover affermare il fatto (e le sue conseguenze) che le aule accademiche svolgono oggi la loro azione realmente fornita di valore soltanto mediante l’insegnamento specifico da parte di individui specificamente qualificati, e che pertanto l’ onestà intellettuale è la sola virtù particolare alla quale essi devono educare. Si può sostenere il primo punto di vista sulla base di posizioni ultime altrettanto svariate che il secondo. Quest'ultimo in particolare (che io personalmente accolgo) si può derivarlo sia da una smisurata sia da una molto modesta valutazione del significato della formazione specifica . Lo si può sostenere, per esempio, non già perché si desideri che tutti gli uomini nel loro senso intimo diventino il più possibile degli specialisti; ma, proprio al contrario, perché si desidera vedere le ultime e più personali decisioni di vita, che un uomo deve prendere da sé, non confuse insieme con l'insegnamento specifico per quanto alto il suo significato possa essere valutato non solo per la disciplina generale del pensiero, ma anche, indirettamente, per l’auto-disciplina e per l'orientamento etico del giovane e vedere altresì la loro soluzione in base alla coscienza propria dell’ascoltatore r07 eliminata da una suggestione che si esercita dalla cattedra. Il pregiudizio di Schmoller*, favorevole alla valutazione dalla cattedra, mi risulta personalmente del tutto comprensi bile come l’eco di una grande epoca, che egli e i suoi amici contribuirono a creare. Ma ritengo che neppure a lui possa sfuggire la circostanza che anzitutto la situazione di fatto è, per la giovane generazione, mutata notevolmente in un punto importante. Quarant'anni or sono, nel mondo degli studiosi delle nostre discipline era assai diffusa la fede che nel campo delle valutazioni pratico-politiche una soltanto delle possibili prese di posizione dovesse essere quella eticamente giusta (anche se 3. Gustav von Schmoller (1838-1917), cconomista e storico economico tedesco, autore di Uber einige Grundfragen des Rechts und Volkswirtschaft (1875), delle Grundfragen der Sozialpolitix und der Volkswirtschaftslehre, del Grundriss der allgemeinen Volkswirtschaftslehre, di Die soziale Frage e di varic altre opere, fu il fondatore della cosiddetta giovane scuola storica di economia, c difese l'impostazione storica dell’econo mia politica nei confronti della teoria marginalistica. Schmoller ha certamente rappresentato questo punto di vista solo in misura assai limitata). Ma questo non è oggi più il caso, come si può facilmente rilevare, proprio tra i sostenitori delle valutazioni dalla cattedra. La legittimità delle valutazioni dalla cattedra non viene più oggi sostenuta in nome di un’aspirazione etica, i cui postulati di giustizia (relativamente) semplici in parte si configuravano, e in parte sembravano essere, sia nel modo della loro giustificazione sia nelle loro conseguenze, (relativamente) semplici e soprattutto (relativamente) impersonali, in quanto erano univocamente sopra-personali. Essa viene invece sostenuta (per effetto di uno sviluppo inevitabile) in nome di un variopinto mazzo di valutazioni culturali , cioè in verità di pretese soggettive alla cultura o, in termini chiari, del supposto diritto della personalità dell’insegnante. Ci si può anche indignare di fronte a questo punto di vista, ma non lo si potrà confutare e proprio in quanto esso implica appunto una valutazione pratica che di tutti i tipi di profezia la profezia professorale, atteggiata in tal senso personalmente , è la sola realmente insopportabile. È una situazione senza confronto quella di numerosi profeti accreditati dallo stato, i quali non predicano per le strade o nelle chiese o altrove sulla pubblica piazza, oppure, privatamente, in conventicole personalmente scelte che si dichiarano tali, ma si permettono invece di esprimere in nome della scienza , nella quiete che si supponeoggettiva, ma che è poi incontrollabile, priva di discussione, e soprattutto protetta da ogni contraddittorio, di un'aula accademica privilegiata dallo stato, decisioni dalla cattedra su questioni di intuizione del mondo. È un vecchio principio, decisamente sostenuto da Schmoller in una certa occasione, che gli argomenti enunciati nelle aule accademiche debbono rimanere sottratti alla discussione pubblica. Sebbene sia possibile opinare che ciò abbia eventualmente, pure nel campo delle scienze empiriche, certi svantaggi, si assume ovviamente e anch'io assumo che la lezione debba essere appunto qualcosa di diverso da una conferenza , che il rigore impregiudicato, la conformità ai fatti, la sobrietà dell’esposizione accademica possano essere danneggiati nel loro scopo pedagogico dall’introdursi della pubblicità, per esempio della pubblicità di tipo giornalistico. Solo che un siffatto privilegio di incontrollabilità sembra in ogni caso appropriato soltanto all'ambito della pura qualificazione specifica del professore. Non c’è però nessuna qualifica zione specifica per la profezia personale, e quindi non può neppur esserci nessun privilegio. E in primo luogo essa non può abusare della situazione di costrizione esistente per lo studente il quale deve, per progredire nella vita, far ricorso a determinate istituzioni accademiche e quindi ai rispettivi insegnanti per istillargli insieme a ciò di cui egli ha bisogno, ossia allo stimolo e alla disciplina della sua capacità di ragionare e del suo pensiero, e insieme a ciò determinate conoscenze, anche in forma protetta da ogni contraddizione la propria cosiddetta intuizione del mondo , per quanto interessante essa possa talvolta risultare (mentre sovente è abbastanza indifferente). Per la propaganda dei suoi ideali pratici il professore, al pari di ogni altro individuo, ha a disposizione altre opportunità; e quando non le ha, può facilmente procurarsele nella forma più appropriata, come l’esperienza dimostra per ogni onesto tentativo. Ma il professore non deve avanzare la pretesa di recare nel suo zaino, in quanto professore, il bastone di maresciallo dell’uomo di stato (o del riformatore culturale), come egli fa quando utilizza la protezione della cattedra per esprimere il suo sentimento di uomo di stato (o di politico della cultura). Nella stampa, nelle assemblee pubbliche, nelle riunioni, nei saggi, in ogni altra forma accessibile a ogni cittadino, egli può (e deve) fare ciò che il suo dio o il suo demone gli significa. Ma ciò che oggi lo studente dovrebbe soprattutto imparare nell'aula accademica dal suo professore è la capacità: 1) di accontentarsi del semplice adempimento di un dato compito; 2) di riconoscere anzitutto i fatti, anche e in primo luogo i fatti personalmente scomodi, e quindi di distinguere la loro determinazione dalla presa di posizione valutativa; 3) di posporre la propria persona alle cose, e quindi di reprimere anzitutto il bisogno dell’esibizione importuna del suo gusto personale e degli altri suoi sentimenti. Mi sembra che questo sia oggi molto più urgente di quarant'anni or sono, quando il problema non esisteva propriamente in questa forma. Nor è vero affatto come è stato affermato che la personalità costituisce e debba costituire in questo senso un’ unità , e che essa subisca per così dire detrimento quando non la si esibisce in ogni occasione. In ogni lavoro professionale, infatti, il compito come tale reclama il proprio diritto, e dev'essere adempiuto in base alle sue leggi. In ogni lavoro professionale colui che vi si dedica deve limitarsi a esso, ed escludere ciò che non appartiene rigorosamente al compito, ma soprattutto il proprio amore e il proprio odio. E zor è vero che una forte personalità sia documentata dal fatto che in ogni occasione indaga secondo una nota personale ad essa soltanto propria. Si deve al contrario auspicare che proprio la generazione che ora cresce si abitui di nuovo soprattutto al pensiero che essere una personalità è qualcosa che non si può volere di proposito, e che c’è soltanto una via per diventarlo (forse!) la dedizione senza riserve a un compito , quale possa essere nel caso specifico questo compito, e l’ esigenza quotidiana che ne deriva. È contro le regole dello stile mescolare nelle discussioni di fatto le faccende personali. E non compiere quel tipo specifico di auto-limitazione, che esso richiede, significa spogliare il lavoro professionale del solo significato che oggi gli è ancora realmente rimasto. Poco importa che il culto della personalità ora di moda tenti di affermarsi sul trono, nell'ufficio pubblico o sulla cattedra: esso conduce sì quasi sempre a vasti effetti esteriori, ma interiormente è sempre misera cosa, e danneggia ovunque il compito. Spero che non ci sia particolare bisogno di dire che gli avversari, a cui queste analisi si riferiscono, hanno certo ben poco da fare con questa specie di culto di ciò ch e è personale in quanto personale . Essi in parte considerano il compito della cattedra in un'altra luce, in parte hanno ideali educativi che io rispetto, ma che non condivido. Però si deve considerare non soltanto ciò che essi vogliono, ma anche il modo in cui ciò che essi legittimano con la propria autorità opera su una generazione, la quale rivela già una predisposizione sviluppata in maniera inevitabilmente molto forte a ritenersi importante. E infine richiede appena un accenno il fatto che parecchi supposti azversari di valutazioni (politiche) dalla cattedra non sono affatto giustificati quando, per screditare le discussioni di politica culturale e sociale che si compiono pubblicamente al di fuori dell’aula accademica, si richiamano al principio dell’esclusione dei giudizi di valore , da loro ancora spesso gravemente frainteso. L'indubitabile esistenza di questi elementi falsamente avalutativi, ma in realtà tendenziosi, e introdotti nella nostra disciplina dall’ostinata e consapevole posizione partigiana di forti cerchie di interessati, ci consente di comprendere con chiarezza come un ampio numero proprio di studiosi interiormente indipendenti possa attualmente continuare a sostenere la valutazione dalla cattedra, poiché essi hanno troppo orgoglio per partecipare a quella pagliacciata di una avalutatività soltanto apparente. Personalmente io ritengo che, ciò nonostante, debba essere fatto quello che (secondo la mia opinione) è corretto, e che il peso delle valutazioni pratiche di uno studioso sarebbe soltanto accresciuto dalla sua capacità di limitarsi a sostenerle nelle occasioni opportune al di fuori dell’aula accademica, se si sa che egli possiede il rigore di fare, entro l’aula, soltanto ciò che è proprio del suo ufficio . Ma tutte queste sono appunto anch'esse questioni pratiche di valutazione, e perciò non suscettibili di esser risolte. In ogni caso, però, l'affermazione di principio del diritto della valutazione dalla cattedra sarebbe coerente, a parer mio, solo se al tempo stesso si garantisse che tutte le valutazioni di ogni parte abbiano l'opportunità di farsi valere sulla cattedra *. Da noi, invece, con l’insistenza sul diritto alla valutazione dalla cattedra si sostiene di solito precisamente l'opposto di quel principio di un’equa rappresentanza di tutte le correnti (e ovviamente anche di quelle più estreme ). Era per esempio naturalmente coerente, dal punto di vista personale di Schmoller, la tesi in base a cui egli spiegava che marxisti e manchesteriani sono privi di qualificazione per occupare cattedre universitarie, sebbene egli non abbia mai compiuto l’ingiustizia di a. A tale scopo non basta affatto il principio olandese dell'emancipazione anche della facoltà teologica dal controllo confessionale, congiunta alla libertà di fondare università a condizione che siano assicurati i mezzi finanziari, che siano osservate le prescrizioni per la qualificazione dei professori, e che sia garantito il diritto privato di istituire cattedre con il patronato delle candidature da parte di coloro che le istituiscono. Infatti ciò avvantaggia soltanto chi possiede denaro e le organizzazioni autoritarie che si trovano già in possesso del potere: soltanto gli ambienti clericali, come è noto, ne hanno fatto uso. ignorare i contributi scientifici che sono venuti da queste direzioni. Proprio su questi punti io personalmente non ho mai potuto seguire il nostro venerato maestro. Non si può ovviamente insieme richiedere l’autorizzazione alla valutazione dalla cattedra e allorché se ne devono trarre le conseguenze sostenere che l’università è un'istituzione statale per la formazione di funzionari fedeli allo stato . In tale maniera l’università diverrebbe non una scuola specializzata (ciò che a molti docenti sembra degradante), bensì un seminario di preti solo senza poterle dare la dignità religiosa che questo possiede. Si è voluto dedurre certi limiti con un puro procedimento logico. Uno dei nostri più eminenti giuristi spiegava una volta, mentre si pronunciava contro l'esclusione dei socialisti dalle cattedre, che egli non avrebbe potuto accettare come insegnante di diritto soltanto un anarchico , poiché questi nega in genere la validità del diritto come tale ed egli riteneva ovviamente questo argomento come conclusivo. Io sono dell’opinione precisamente opposta. L’anarchico può sicuramente essere un buon conoscitore del diritto. E se egli è tale, allora proprio quel punto di Archimede che si pone a/ di fuori delle convinzioni e dei presupposti che ci appaiono così evidenti quel punto in cui lo colloca, quando è pura, la sua oggettiva convinzione può renderlo capace di riconoscere nelle concezioni fondamentali della dottrina giuridica in uso una problematica la quale sfugge a tutti coloro per cui esse sono troppo ovvie. Infatti il dubbio più radicale è il padre della conoscenza. Il giurista ha tanto poco il compito di dimostrare il valore di quei beni culturali, la cui esistenza è legata alla permanenza del diritto , quanto il medico ha il compito di provare che l’allungamento della vita è degno di essere perseguito in ogni circostanza. L'uno e l'altro non ne sono neppure in grado, con i loro mezzi. Ma se si vuol fare della cattedra la sede di discussioni pratiche di valore, allora sarebbe ovviamente un dovere quello di sottoporre proprio le questioni fondamentali di principio a una libertà di discussione, senza restrizione alcuna, da tutti i punti di vista. Può accadere questo? Ma le più decisive e importanti questioni pratico-politiche di valore sono oggi escluse, per la natura della situazione politica, dalle cattedre delle università tedesche. Per colui al quale gli interessi della nazione stanno al di sopra di tutte senza eccezione le sue istituzioni concrete, è per esempio una questione di importanza centrale stabilire se la concezione oggi predominante della posizione del monarca in Germania sia conciliabile con gli interessi internazionali della nazione, e con quei mezzi, cioè : Ta guerra e la diplomazia, con cui ad essi si provvede. Non sono sempre i peggiori patrioti, e neppure gli avversari della monarchia, che sono oggi inclini a rispondere negativamente a questa questione, e a non credere più nella possibilità di successi duraturi in quei due campi, fino al momento in cui non subentrino dei mutamenti molto profondi. Eppure ognuno sa che queste questioni vitali della nazione non possono venir discusse in piena libertà sulle cattedre tedesche ®. Ma in considerazione di questo fatto che cioè proprio le questioni decisive di valutazione pratico-politica sono in permanenza sottratte alla libera discussione dalle cattedre mi sembra confacente alla dignità dei rappresentanti della scienza soltanto il tacere anche su quei problemi di valore, che si consente loro gentilmente di trattare. In nessun caso si deve però mescolare la questione se sia lecito, o necessario, o si debba nell’insegnamento presentare valutazioni pratiche che è una questione non risolubile, poiché condizionata da una valutazione con la discussione puramente /ogica della funzione che le valutazioni assolvono per le discipline empiriche, ad esempio per la sociologia e per l'economia politica. Altrimenti qui ne soffrirebbe la discussione impregiudicata del problema propriamente logico la cui decisione però non dà per quelle questioni alcuna indicazione, al di fuori di una che è richiesta su base puramente logica, cioè l'esigenza della chiarezza e della precisa distinzione delle sfere problematiche eterogenee da parte dei docenti. Io non vorrei discutere inoltre se la distinzione tra determinazione empirica e valutazione pratica sia difficile . Essa lo è. Noi tutti, io che sostengo questa pretesa al pari di altri, a. Questo non è affatto un caso particolare della Germania. In quasi tutti i paesi vi sono, manifesti o celati, dei limiti di fatto; ed è diverso soltanto il tipo dei problemi di valore che vengono esclusi. commettiamo sempre e ripetutamente degli errori in proposito. Ma per lo meno i sostenitori della cosiddetta economia politica etica potrebbero ben sapere che anche la legge morale è irrealizzabile pienamente, ma tuttavia vale in quanto è imposta . E un’analisi della coscienza potrebbe forse mostrare che la realizzazione del postulato è difficile soprattutto perché noi rinunciamo con riluttanza a inoltrarci sul terreno così interessante delle valutazioni con la nota personale che ci stimola. Ogni docente avrà naturalmente osservato che gli sguardi degli studenti si illuminano, e che i loro volti diventano più attenti, quando egli comincia a dichiararsi personalmente; e avrà osservato pure che la frequenza delle sue lezioni è influenzata in maniera molto vantaggiosa dall’aspettativa che egli lo faccia. Egli sa inoltre che la concorrenza tra le università per la frequenza mette sovente in condizioni di vantaggio, per le chiamate, un profeta per quanto piccolo, che riempia le aule, rispetto a uno studioso per quanto rilevante, che si dedichi all'insegnamento oggettivo s'intende quando la profezia non si discosti troppo dalle valutazioni, politiche o convenzionali, considerate normali. Soltanto il profeta falsamente alieno da valutazioni, che esprime certi interessi materiali, ha nei suoi riguardi una possibilità maggiore, in virtù dell'influenza di tali interessi sui poteri politici. Io ritengo tutto questo indesiderabile, e quindi non voglio addentrarmi a discutere la tesi secondo cui l’esclusione di valutazioni pratiche sarebbe cosa meschina , e renderebbe noiose le lezioni. Non voglio pronunciarmi sulla questione se le lezioni su un campo specifico di esperienza debbano tendere soprattutto a essere interessanti , ma da parte mia temo che in ogni caso uno stimolo realizzato mediante una nota personale troppo interessante tolga alla lunga agli studenti il gusto per il semplice lavoro di ricerca. Non voglio poi discutere, ma riconoscere esplicitamente che, proprio sotto l'apparenza della soppressione di ogni valutazione pratica, si possono risuscitare suggestivamente, con particolare forza, tali valutazioni, secondo il noto schema di far parlare i fatti. La migliore qualità della nostra eloquenza parlamentare ed elettorale opera appunto con questo mezzo e ciò è del tutto legittimo per i suoi scopi. Non c'è però bisogno di sprecare nessuna parola per mostrare che questo procedimento sarebbe sulla cattedra, proprio dal punto di vista della pretesa di quella distinzione, il più riprovevole di tutti gli abusi. E che un’apparenza, slealmente suscitata, di realizzazione di un imperativo possa presentarsi come la sua realtà, non significa una critica dell’imperativo stesso. Questo è però senz’altro implicito: che, se l'insegnante non ritiene di doversi precludere delle valutazioni pratiche, deve però assolutamente dichiararle come tali e agli studenti e 4 se stesso. Ciò che si deve combattere nella maniera più decisa, infine, è la convinzione non rara che la via dell’ oggettività scientifica sia rappresentata dalla commisurazione reciproca delle diverse valutazioni, e da un compromesso diplomatico tra di esse. La linea di mezzo non può essere dimostrata scientificamente, con i soli strumenti delle discipline empiriche, proprio allo stesso modo in cui non possono esserlo le valutazioni estreme . Inoltre, nella sfera della valutazione essa sarebbe normativamente ben poco univoca. Essa non appartiene alla cattedra, bensì ai programmi politici, agli uffici e ai parlamenti. Le scienze, sia normative sia empiriche, possono rendere agli uomini politici e ai partiti in lotta soltanto un servizio inestimabile, e cioè dire loro: 1) quali siano le diverse prese di posizione ultime concepibili di fronte a questo problema pratico; 2) come stiano i fatti di cui essi devono tener conto nella scelta tra queste prese di posizione. In questo modo noi rimaniamo fedeli al nostro compito . Un fraintendimento senza fine, ma soprattutto una disputa terminologica, e quindi completamente sterile, si sono legati al termine giudizio di valore il che non ha ovviamente contribuito per nulla alla questione. È del tutto fuori dubbio, come è stato accennato, che queste discussioni riguardino, nelle nostre discipline, valutazioni pratiche di fatti sociali, considerati come desiderabili o indesiderabili praticamente da un punto di vista etico, o da qualche altro punto di vista culturale, o per altri motivi. Che la scienza 1) miri a conseguire risultati forniti di valore , cioè corretti dal punto di vista logico e in riferimento ai fatti; 2) e miri a conseguire risultati forniti di valore , cioè importanti nel senso dell'interesse scientifico; che inoltre già la scelta della materia implichi una valutazione queste due cose sono state seriamente sollevate, nonostante quanto si è detto in proposito *, come obiezioni . Ed è pure sempre risorto il fraintendimento, quasi incomprensibilmente forte, secondo il quale la scienza empirica non può trattare come oggetto le valutazioni soggettive degli uomini (e ciò mentre la sociologia, e nell'ambito dell'economia politica tutta la dottrina dell’utilità marginale, poggia sul presupposto contrario). Si tratta invece esclusivamente della pretesa, di per sé perfino banale, che il ricercatore e l’espositore debbano incondizionatamente fezer distinte poiché si tratta di problemi eterogenei la determinazione di fatti empirici (compreso l’atteggiamento valutante , da lui constatato, degli uomini empirici su cui indaga) e la sua presa di posizione pratica, che valuta questi fatti (comprese le valutazioni di uomini empirici che sono oggetto di indagine) come apprezzabili o non apprezzabili, e che in questo senso risulta valutativa . In una trattazione per altri aspetti fornita di valore, uno scrittore si esprime così: un ricercatore potrebbe assumere come fatto anche la propria valutazione, e trarne le conseguenze. Ciò che qui si intende è incontestabilmente esatto, ma l’espressione scelta è erronea. Si può naturalmente convenire, prima di una discussione, che una determinata misura pratica per esempio che la copertura dei costi richiesti da un aumento dell’esercito debba esser ricavata soltanto dalle tasche dei possidenti sia il presupposto della discussione stessa, e che si debbano quindi discutere semplicemente i mezzi per attuarla. Questo è anzi sovente opportuno. Ma una siffatta intenzione pratica, presupposta di comune accordo, non la si chiama un fatto , bensì uno scopo stabilito 4 priori. Che si tratti effettivamente anche di cose diverse, potrebbe risultare presto nella discussione dei mezzi salvo che lo scopo presupposto come indiscutibile fosse così concreto come accendersi un sigaro. In tal caso anche i mezzi hanno solo di rado bisogno di discussione. a. Debbo riferirmi a ciò che ho già detto nei miei saggi precedenti (la correttezza talvolta insoddisfacente di formulazioni particolari, che in essi possono riscontrarsi, non riguardano nessuno dei punti essenziali della questione); per l' inconciliabilità di certe valutazioni ultime in un importante campo di problemi potrei rinviare a G. RabBRUCH, Einfiihrung in die Rechtswissenschaft, Berlin, 22 ed. 1913. Io divergo da lui in alcuni punti; ma essi non hanno importanza per il problema qui discusso. In quasi ogni caso di un proposito generalmente formulato, come in quello prima scelto come esempio, si farà invece esperienza che nella discussione dei mezzi non soltanto appare che i vari individui hanno inteso qualcosa di completamente diverso sotto tale scopo che si supponeva preciso, ma in particolare risulta che proprio il medesimo scopo è voluto su basi ultime differenti, e che ciò influenza la discussione sui mezzi. Ma lasciamo questo da parte. Infatti, che si possa partire da un determinato scopo, voluto in comune, e discutere soltanto i mezzi per conseguirlo, e che da ciò risulti allora una discussione da condurre sul piano puramente empirico non è ancora accaduto a nessuno di contestarlo. Tutta la discussione si aggira sulla scelta degli scopi (e non già dei mezzi in vista di uno scopo che è dato), cioè concerne appunto il senso in cui la valutazione, a cui l’individuo si richiama, non può essere assunta come fatto , ma può diventare oggetto di una critica scientifica. Se non si è determinato questo, ogni altra discussione è infruttuosa. Noi non discutiamo qui la questione della misura in cui le valutazioni pratiche, in particolare quelle etiche, possono da parte loro pretendere una dignità mormativa, rivestendo quindi un carattere diverso da quello implicito in questioni simili a quella introdotta da questo esempio, se le bionde debbano essere preferite alle brune, o in altri giudizi soggettivi di gusto. Questi sono problemi della filosofia dei valori, non già della metodica delle discipline empiriche. Ciò che concerne le ultime è soltanto che da un lato la validità di un imperativo pratico in quanto norma, e dall’altro la verità di una determinazione empirica di fatti appartengono a settori problematici del tutto eterogenei, e che si danneggia la dignità specifica di ognuno dei due quando si dimentica ciò, cercando di unificare le due sfere. Questo è avvenuto in forte misura, a mio parere, soprattutto da parte di Schmoller*. Proprio il rispetto per il nostro maestro mi proibisce di passare sopra questi punti, in cui ritengo di non poter concordare con lui. a. Nella voce economia politica (Volkswirtschaftslehre) nello Handwérterbuch der Staatswissenschaften , Berlin, 3? ed. 1911, vol. VIII, pp. 426-501. In primo luogo vorrei rivolgermi contro la tesi secondo cui, per i sostenitori dell’ avalutatività , il mero fatto dell’instabilità storica e individuale delle prese di posizione valutative di volta in volta in vigore varrebbe come prova del carattere necessariamente solo soggettivo , per esempio, dell’etica. Anche le determinazioni empiriche di fatti sono spesso soggette a disputa; e sul fatto che un tale debba essere ritenuto un furfante uò sovente esserci una concordanza sostanzialmente più generale di quella relativa (proprio presso gli specialisti) alla interpretazione di un'iscrizione mutilata. L'assunzione, effettuata da Schmoller, di una crescente unanimità convenzionale di tutte le confessioni e di tutti gli uomini intorno ai punti principali delle valutazioni pratiche sta in aspra antitesi con la mia impressione opposta. Ma questo mi sembra senza rilievo per la questione. Ciò che in ogni caso è da discutere, infatti, è che ci si possa arrestare scientificamente di fronte a una qualsiasi evidenza di fatto, convenzionalmente stabilita, di certe prese di posizione pratiche, per quanto diffuse esse siano. La funzione specifica della scienza mi sembra, proprio all’opposto, quella di trasformare in problema ciò che è convenzionalmente evidente. E proprio questo hanno fatto, al tempo loro, Schmoller e i suoi amici. Che si possa poi indagare, e in certe circostanze valutare altamente, l’efficacia causale della esistenza di fatto di certe convinzioni etiche o religiose sulla vita economica da ciò non deriva affatto che quelle convinzioni, che hanno forse causalmente operato molto, debbano perciò anche essere condivise o anche soltanto ritenute fornite di valore; così come, al contrario, mediante l’affermazione del valore di un fenomeno etico o religioso non si è detto proprio niente sulla possibili tà di qualificare anche le inconsuete conseguenze, che la sua realizzazione ha avuto o avrebbe, con il medesimo predicato positivo di valore. Su queste questioni non si arriva a niente attraverso determinazioni di fatto; esse vengono giudicate dall'individuo in maniera assai diversa, a seconda delle sue proprie valutazioni religiose, o pratiche di altro genere. Tutto ciò non riguarda la questione che viene discussa. E invece io mi oppongo energicamente alla convinzione che una scienza realisti ca dei fenomeni etici, vale a dire l’indicazione delle influenze di fatto che le convinzioni etiche, prevalenti in un certo gruppo di uomini, hanno subito dalle altre condizioni di vita e a loro volta hanno esercitato su di esse, possa da parte sua dare luogo a un’etica , la quale possa asserire qualcosa intorno a ciò che deve valere. Ciò avviene tanto poco quanto un'esposizione realistica delle concezioni astronomiche, per esempio, dei Cinesi che mostrasse in base a quali motivi pratici e in qual modo facciano dell’astronomia, a quali risultati e perché essa pervenga potrebbe avere per scopo di dimostrare la correttezza di questa astronomia cinese; e quanto la constatazione che gli agrimensori romani oppure i banchieri fiorentini (gli ultimi proprio nelle partizioni di grandi patrimoni) pervennero sovente con i loro metodi a risultati inconciliabili con la trigonometria o con la tavola pitagorica, potrebbe porre in discussione la validità di queste. Mediante l'indagine psicologico-empirica e storica di un determinato punto di vista valutativo, considerato nel suo condizionamento individuale, sociale, storico, non si perviene mai a nient'altro che a questo a spiegarlo comprendendolo. E ciò non è da poco. Esso è da desiderarsi non soltanto per la conseguenza concomitante personale (ma non scientifica), che si può più facilmente rendere giustizia a chi, realmente o apparentemente, la pensa in maniera diversa. Ma è anche scientificamente molto importante: 1) per lo scopo di una considerazione causale empirica dell'agire umano, per imparare cioè a conoscere i suoi reali motivi ultimi; 2) per determinare, allorché si discute con qualcuno che diverge (realmente o apparentemente) nella loro valutazione, i punti di vista valutativi delle due parti. Infatti il senso vero e proprio di una discussione di valore è questo di comprendere ciò che l'avversario (o anche, ciò che colui che parla) realmente intende, cioè il valore a cui ognuna delle due parti tiene in realtà, e non solo in apparenza, rendendo così possibile in genere una presa di posizione di fronte a questo valore. Ben lungi dal ritenere che dal punto di vista dell'esigenza dell’ avalutatività delle analisi empiriche siano sterili, o prive di senso, le discussioni intorno alle valutazioni, proprio la conoscenza di questo loro senso risulta il presupposto di ogni utile considerazione del genere. Esse presuppongono semplicemente la comprensione della possibilità di valutazioni ultime inconciliabilmente divergenti in linea di principio. Poiché tutto comprendere non significa anche tutto perdonare , né la mera comprensione del punto di vista altrui conduce, di per sé, alla sua approvazione. Fssa conduce almeno altrettanto facilmente, e sovente con maggiore probabilità, a conoscere perché e in che cosa n0n si può concordare. Questa conoscenza è appunto una conoscenza di verità, e 44 essa servono le discussioni valutative . Ciò che su tale strada non si può certo conseguire perché sta nella direzione precisamente opposta è una qualsiasi etica normativa, o in genere la capacità vincolante di qualche imperativo . Ognuno sa piuttosto che un fine siffatto viene reso più difficile dall’azione relativizzante , almeno in apparenza, di tali discussioni. Con questo non si dice naturalmente che si debba, per tale motivo, evitarle. Proprio al contrario. Una convinzione etica che si lascia scalzare dalla comprensione psicologica di valutazioni divergenti è stata infatti fornita di valore né più né meno delle opinioni religiose che vengono distrutte dalla conoscenza scientifica come talvolta accade. Quando infine Schmoller sostiene che i propugnatori dell’ avalutatività delle discipline empiriche possono riconoscere soltanto verità etiche formali (è ovvio che egli le intende nel senso della critica della ragione pratica ), ci si deve addentrare sebbene il problema non rientri senz’altro nella nostra questione — in alcune considerazioni. In primo luogo si deve respingere l’identificazione — implicita nella concezione di Schmoller — degli imperativi etici con i valori culturali , anche con i più alti. Infatti può esserci un punto di vista per il quale i valori culturali sono imposti , anche nella misura in cui risultano in inevitabile e inconciliabile conflitto con ogni etica. E viceversa è possibile, senza interna contraddizione, un’etica la quale rifiuti tutti i valori culturali. In ogni caso le due sfere di valori non sono identiche. E così pure è un grave (per quanto diffuso) fraintendimento ritenere che proposizioni formali, come quelle dell’etica kantiana, non contengano alcuna indicazione di contenuto. La possibilità di un'etica normativa non viene in alcun modo posta in questione per il fatto che vi sono problemi di carattere pratico per i quali essa non può fornire, di per sé, prescrizioni univoche (e a tale ambito appartengono in modo specifico determinati problemi istituzionali, cioè appunto i problemi politico-sociali ), e inoltre che l’etica non è la sola cosa che valga nel mondo, ma che accanto ad essa sussistono altre sfere di valori — i cui valori può, in certe circostanze, realizzare soltanto chi si assuma una colpa etica. In ciò rientra specialmente la sfera dell’agire politico. Sarebbe da deboli, a parer mio, voler negare le tensioni nei confronti della sfera etica, che essa appunto contiene. Ma ciò non è affatto proprio soltanto di essa, come fa credere la contrapposizione in uso di morale privata e di morale politica . — Indaghiamo ora alcuni limiti dell’etica, a cui si è prima fatto riferimento. Le conseguenze del postulato della giustizia rientrano nell’ambito delle questioni che non possono venir decise univocamente da ressuna etica. Se per esempio — il che corrisponderebbe maggiormente alle concezioni espresse a suo tempo da Schmoller — si debba anche molto a colui che fa molto, o viceversa si possa chiedere molto a chi molto può fare; se quindi in nome della giustizia (eliminando allora altri punti di vista — come quello dell’ incentivo necessario) si debbano concedere al grande talento anche grandi possibilità, o se si debba invece (come riteneva Babeuf*) pareggiare l'ingiustizia dell’ineguale distribuzione dei doni spirituali, preoccupandoci con rigore che il talento, il cui semplice possesso già fornisce un sentimento di prestigio che rende felice l’individuo, non possa utilizzare ancora per sé le sue migliori possibilità nel mondo — tutto questo non può venir risolto in base a premesse etiche . A questo tipo appartiene però la problematica etica della maggior parte delle questioni di politica sociale. Ma anche nel campo dell’agire personale vi sono problemi fondamentali, di carattere specificamente etico, che l’etica non può risolvere in base ai propri presupposti. Tra di essi rientra in primo luogo la questione fondamentale se il valore in sé dell’agire etico — il puro volere o l’intenzione , come si vuole esprimerlo — debba bastare alla sua giustificazio4. Frangois-Noel Babeuf, noto come Gracchus Babeuf, esponente dell'ala estremistica della Rivoluzione francese, pubblicò il giornale Le tribun du peuple e diresse la Congiura degli cguali: la sua teoria politica, di ispirazione rousscauiana, è fondata sulla rivendicazione dell'eguaglianza non soltanto politica, ma anche economica.ne, secondo la massima il Cristiano agisce bene e rimette a Dio la conseguenza (come i moralisti cristiani l’hanno formulata), oppure se si debba prendere in considerazione la responsabilità per le conseguenze dell’agire, previste come possibili 0 come probabili, così come esse sono condizionate dal suo inserimento nel mondo eticamente irrazionale. Nel campo sociale ogni posizione politica radicalmente rivoluzionaria, soprattutto il cosiddetto sindacalismo , procede dal primo postulato, e ogni politica realistica procede invece dal secondo. Entrambe si richiamano a massime etiche; ma queste massime stanno tra loro in un eterno contrasto, il quale non può essere affatto risolto senz’altro con i mezzi di un'etica che abbia il proprio fondamento soltanto in se stessa. Queste due massime etiche sono massime di carattere rigorosamente formale , in ciò simili ai noti assiomi della Critica della ragione pratica. Di questi ultimi si è molto spesso creduto, per questo loro carattere, che non contenessero indicazioni di contenuto per la valutazione dell’agire. Ma ciò non è per niente esatto, come già si è accennato. Prendiamo di proposito un esempio il più possibile distante dalla politica , il quale può forse chiarire che senso abbia propriamente questo carattere solo formale, di cui si è a lungo parlato, di tale etica. Supponiamo che un uomo dica, riferendosi alla sua relazione erotica con una donna, all’inizio il nostro rapporto era soltanto una passione, ora esso costituisce un valore la temperata oggettività dell’etica kantiana esprimerebbe così la prima metà di questa proposizione: all’inizio noi eravamo entrambi, l’uno per l’altro, soltanto mezzi, e considererebbe quindi l'intera proposizione come un caso particolare di quel noto principio che stranamente si è volentieri ritenuto un’espressione, condizionata solo storicamente, dell’ individualismo , mentre in verità esso rappresenta una formulazione quanto mai geniale di un'infinita molteplicità di situazioni etiche, che si debbono appunto intendere correttamente. Nella sua enunciazione negativa, ed escludendo qualsiasi asserzione su quello che deve essere il contrapposto positivo della considerazione dell’altro soltanto come mezzo , che eticamente deve venir rifiutata, essa comporta evidentemente: 1) il riconoscimento di sfere di valori autonome, al di fuori della sfera etica; 2) la delimitazione della sfera etica nei loro confronti; 3) la determinazione infine del fatto che e del senso in cui si possono tuttavia attribuire all’agire al servizio di valori extra-etici delle differenze di dignità etica. Di fatto quelle sfere, che permettono o prescrivono la considerazione dell’altro soltanto come mezzo , sono eterogenee rispetto all’etica. L'analisi non può qui essere ulteriormente proseguita: in ogni caso però risulta che il carattere formale anche di quella proposizione etica così astratta non rimane indifferente rispetto al contenuto dell’agire. Ma il problema si complica ancora. Quel predicato negativo, che è stato espresso con le parole soltanto una passione , può da un determinato punto di vista venir considerato come un insulto a ciò che di interiormente più puro e più proprio vi è nella vita, dell'unica via o almeno della via primaria per uscire al di fuori dei meccanismi di valore impersonali e sovra-personali, e perciò ostili alla vita, per uscire dall’incatenamento alla pietra senza vita dell’esistenza quotidiana e dalle pretese di un’irrealtà imposta . Si può ad ogni modo pensare a una concezione di questo punto di vista che sebbene abbia a disdegno il termine valore per designare la concretezza dell’Erleben costituirebbe appunto una sfera la quale, respingendo come cosa estranea e ostile ogni santità e ogni bontà, ogni legalità etica o estetica, ogni significatività della cultura o valutazione della personalità, pretenderebbe tuttavia, e anzi proprio a causa di ciò, la sua propria dignità immanente nel senso estremo della parola. Quale che possa essere la nostra presa di posizione nei confronti di tale pretesa, in ogni caso essa non può venir dimostrata o confutata con i mezzi di nessuna scienza . Ogni considerazione empirica di questi argomenti condurrebbe, come ha osservato il vecchio Stuart Mill”, al riconoscimento di un politeismo assoluto come la sola forma di metafisica ad essi adeguata. Una considerazione non più empirica, ma interpretativa, cioè un’autentica filosofia dei valori, non potreb5. Weber si riferisce qui alla formulazione dei saggi postumi Nature, the Utility of Religion, and Theism, London, 1874, pp. 130-31 (ma cfr. anche p. 150). Per questo riferimento si veda il breve articolo Zwisclien zwei Gesetze, pubblicato nella rivista Die Frau del febbraio 1916 (ora raccolto in Gesammelte politische Schriften, 2° cd. Tiibingen, 1958, pp. 139-42). be poi dimenticare, procedendo innanzi, che uno schema concettuale dei valori , per quanto bene ordinato, sarebbe incapace di rendere giustizia proprio al punto decisivo della questione. Tra i valori, cioè, si tratta ovunque e sempre, in ultima analisi, non già di semplici alternative, ma di una lotta mortale senza possibilità di conciliazione, come tra dio e il demonio . Tra di essi non è possibile nessuna relativizzazione e nessun compromesso. Beninteso, non è possibile in base al loro senso. Poiché, come ognuno ha provato nella vita, ve ne sono sempre di fatto, e quindi secondo l’apparenza esterna, continuamente. In quasi ognuna delle prese di posizione importanti di uomini reali, infatti, le sfere di valori si incrociano e si intrecciano. La superficialità della vita quotidiana , in questo senso più appropriato del termine, consiste appunto nel fatto che l’uomo il quale vive entro di essa non diventa consapevole, e neppure vuole diventarlo, di questa mescolanza di valori mortalmente nemici, condizionata in parte psicologicamente e in parte pragmaticamente; ed egli si sottrae piuttosto alla scelta tra dio e il demonio, evitando di decidere quale dei valori in collisione sia dominato dall’uno e quale invece dall’altro. Il frutto dell’albero della conoscenza, frutto inevitabile anche se molesto per la comodità umana, non consiste in nient’altro che nel dover riconoscere quell’antitesi e nel dover quindi considerare che ogni singola azione importante, e soprattutto la vita nel suo insieme se essa deve non già scorrere via come un evento naturale, bensì essere condotta consapevolmente rappresenta una catena di decisioni ultime, mediante cui l’anima (come per Platone °) sceglie il suo proprio destino e cioè il senso del suo agire e del suo essere. Non a caso il fraintendimento più grossolano, al quale vanno sempre incontro, di quando in quando, le intenzioni di coloro che sostengono la tesi della collisione tra i valori, è perciò costituito dall'interpretazione di questo punto di vista come relativismo cioè come un'intuizione della vita la quale poggia invece proprio sulla visione, radicalmente opposta, del rapporto reciproco delle sfere di valore, e può essere realizzata (in forma coerente) soltanto 6. Weber allude qui al mito di Er, esposto nel libro X della Repubblica. sul terreno di una metafisica configurata in maniera molto particolare (cioè di una metafisica organica ). Ritornando al nostro caso specifico, mi sembra, senza possibilità di dubbio, che nel settore delle valutazioni pratico-politiche (particolarmente anche di politica economica e sociale), da cui devono essere tratte le direttive per un agire fornito di valore, le sole cose che una disciplina empirica può porre in luce con i suoi mezzi sono le seguenti: 1) i mezzi indispensabili e 2) le inevitabili conseguenze; 3) la concorrenza reciproca, in tale maniera condizionata, di più valutazioni possibili, considerate nelle loro conseguenze pratiche. Le discipline filosofiche possono in proposito, con i loro mezzi concettuali, determinare il senso delle valutazioni, cioè la loro struttura dotata di senso e le loro conseguenze dotate di senso, indicando quindi il loro luogo entro la totalità dei valori ultimi che sono possibili in generale e delimitando le loro sfere di validità significative. Ma già questioni molto semplici per esempio in quale misura uno scopo debba sanzionare i mezzi che sono per esso indispensabili; oppure in quale misura debbano venir messe in conto le conseguenze non volute; oppure come si debbano appianare i conflitti tra più scopi in concreto contrastanti, che sono oggetto di volontà o di dovere sono in tutto e per tutto questioni di scelta o di compromesso. Non c'è nessun procedimento scientifico (razionale o empirico) di qualsiasi specie, che potrebbe qui fornire una decisione. E meno ancora la rostra scienza, che è rigorosamente empirica, può pretendere di risparmiare all'individuo questa scelta; per cui essa non deve neppure suscitare l'apparenza di poterlo fare. Occorre infine osservare esplicitamente che il riconoscimento di questa situazione è, per le nostre discipline, del tutto indipendente dalla presa di posizione di fronte alle considerazioni di teoria dei valori prima accennate con molta brevità. Non c’è infatti nessun punto di vista logicamente sostenibile in base a cui esso possa venir rifiutato, se si prescinde da una gerarchia di valori univocamente prescritta mediante dogmi ecclesiastici. Debbo aspettarmi che si trovi realmente della gente capace di affermare la zon-diversità di senso dei due gruppi di questioni seguenti da un lato questioni come: un fatto concreto avviene così o altrimenti? perché la situazione concreta in esame si è configurata così e non altrimenti? a una data situazione, secondo una regola dell’accadere di fatto, segue di solito un’altra, e con quale grado di probabilità? e dall'altro questioni come: che cosa si deve praticamente fare in una concreta situazione? da quali punti di vista quella situazione può apparire praticamente auspicabile oppure no? vi sono proposizioni (assiomi) formulabili, in qualsiasi maniera, generalmente, a cui si possano ridurre questi punti di vista? Debbo aspettarmi che. sia sostenuta l'identità della questione concernente la direzione in cui una situazione di fatto, concretamente data (o in generale una situazione di un determinato tipo, in qualche modo accessibile), si svilupperà con probabilità e con quale misura di probabilità (cioè è solita svilupparsi tipicamente) e dell’altra questione concernente invece il dovere di contribuire affinché una determinata situazione si sviluppi in una determinata direzione sia essa di per sé probabile, oppure opposta o un’altra qualsiasi? Debbo aspettarmi infine che sia sostenuta l’identità della questione concernente l’opinione che determinate persone in certe circostanze concrete, o un numero indeterminato di persone nelle medesime circostanze, si formeranno con probabilità (o anche con sicurezza) su un problema di qualche specie, e dall’altra parte della questione concernente la correttezza di questa opinione, che si forma con probabilità o con sicurezza? Debbo cioè aspettarmi che vi sia della gente la quale affermi che le questioni di ognuna di tali coppie antitetiche abbiano anche soltanto qualcosa a che fare l'una con l’altra, e che esse realmente come ogni tanto si ripete non possano essere separate l’una dall'altra ? e che quest’ultima asserzione 207 sia in contraddizione con le esigenze del pensiero scientifico? Se qualcuno, il quale pur concede l'assoluta eterogeneità delle due specie di questioni, tuttavia pretende di esprimersi nel medesimo libro, nella medesima pagina, magari in una proposizione principale o secondaria di una medesima unità sintattica, da un lato sull’uno e dall’altro sull’altro di quei due problemi tra loro eterogenei questo è affar suo. Ciò che da lui si esige è semplicemente che egli non illuda senza volerlo (o anche per volontaria mordacità) i suoi lettori sull’assoluta eterogeneità dei problemi. Personalmente resto del parere che nessun mezzo al mondo è troppo pedantesco per essere impiegato allo scopo di evitare confusioni. Il senso delle discussioni intorno a valutazioni pratiche (degli stessi partecipanti alla discussione) può essere dato soltanto dalle operazioni seguenti: a) L'elaborazione degli assiomi di valore ultimi, internamente coerenti , da cui procedono le opinioni tra loro contrapposte. Abbastanza spesso ci si inganna non soltanto sugli assiomi dell'avversario, ma anche sui propri. Questo procedimento costituisce un'operazione che, nella sua essenza, parte dalla valutazione particolare e dalla sua analisi dotata di senso, per procedere sempre più in alto verso prese di posizione valutative più fondamentali. Esso non opera con gli strumenti di una disciplina empirica e non apporta nessuna conoscenza di fatti. Esso vale nello stesso modo in cui vale la logica. b) La deduzione delle conseguenze connesse alla presa di posizione valutativa, che derivano da determinati assiomi di valore ultimi, quando essi, ed essi soltanto, sono posti a fondamento della valutazione pratica di un certo stato di cose. Essa è puramente dotata di senso in riferimento all’argomentazione logica, ma d’altra parte è vincolata a osservazioni empiriche per quanto riguarda la casistica più esauriente possibile di quelle situazioni empiriche che possono venir prese in considerazione, in generale, in una valutazione pratica. c) La determinazione delle conseguenze di fatto che produce la realizzazione pratica di una data presa di posizione valutativa nei confronti di un certo problema: 1) a causa del legame con determinati mezzi indispensabili; 2) a causa dell’inevitabilità di determinate conseguenze concomitanti, non direttamente volute. Questa determinazione puramente empirica può avere come risultato, tra l’altro: 1) l'assoluta impossibilità di qualsiasi realizzazione, per quanto solo molto approssimativa, del postulato di valore, in quanto non è possibile escogitare nessuna via per realizzarlo; la maggiore o minore improbabilità di una sua realizzazione compiuta, o anche soltanto approssimativa, o per gli stessi motivi oppure perché esiste la probabilità che si verifichino conseguenze concomitanti non volute, che sono tali da renderne direttamente o indirettamente illusoria la realizzazione; 3) la necessità di accettare tali mezzi o tali conseguenze concomitanti, che il sostenitore del postulato pratico in questione non aveva considerato, di modo che la sua decisione valutativa tra scopo, mezzo e conseguenza diventi per lui stesso un nuovo problema, e perda la sua forza coercitiva sugli altri. d) Infine possono presentarsi nuovi assiomi di valore, e di conseguenza nuovi postulati, che il sostenitore di un certo postulato pratico non ha osservato, e di fronte ai quali non ha quindi preso posizione, sebbene la realizzazione del proprio postulato entri in collisione con essi, sia in linea di principio oppure per le conseguenze pratiche che ne derivano, cioè per il loro senso o praticamente. Nell’un caso (contrasto di principio) si tratta, nella discussione ulteriore, di problemi del tipo 4); nell’altro (contrasto di conseguenze) si tratta di problemi del tipo c). Ben lungi dall'essere prive di senso , le discussioni valutative di questo tipo hanno, se sono intese correttamente nel loro scopo €, a mio parere, allora soltanto un'importanza molto rilevante. L'utilità di una discussione intorno a valutazioni pratiche, condotta al luogo giusto e nel giusto senso, non è però affatto esaurita con tali diretti risultati , che essa può recare a maturazione. Se è condotta correttamente, essa feconda nel modo più duraturo il lavoro empirico, in quanto gli fornisce le impostazioni problematiche di cui ha bisogno per la propria ricerca. I problemi delle discipline empiriche debbono certo venir risoli, da parte loro, in maniera avalutativa . Essi non sono problemi di valore. Ma tuttavia stanno, nell’ambito delle nostre discipline, sotto l'influenza della relazione della realtà ai valori. Sul significato dell’espressione relazione di valore debbo riferirmi alle mie precedenti formulazioni, e soprattutto alle ben note opere di Heinrich Rickert. Sarebbe impossibile riprendere qui ancora una volta tali questioni. È sufficiente quindi ricordare che quell’espressione relazione di valore rappresenta semplicemente l’interpretazione filosofica di quello specifico interesse scientifico che dirige la selezione e la formulazione dell'oggetto di un'indagine empirica. Nell'ambito dell’indagine empirica, questa circostanza puramente logica non legittima in ogni caso nessuna valutazione pratica . In concordanza con l’esperienza storica essa pone però in rilievo che sono gli interessi culturali, e perciò gli interessi di valore, a indicare la direzione anche al lavoro delle scienze empiriche. È chiaro che questi interessi di valore possono svilupparsi nella loro casistica mediante le discussioni valutative. E queste possono diminuire di molto, o almeno rendere più facile, al ricercatore che lavora scientificamente, e soprattutto allo storico, il compito dell’interpretazione di valore che per lui è un aspetto preliminare così importante del suo lavoro propriamente empirico. Infatti non soltanto la distinzione tra valutazioni e relazioni ai valori, ma anche quella tra valutazione e interpretazione di valore (cioè lo sviluppo delle prese di posizione dotate di senso, che sono possibili di fronte a un dato fenomeno), sovente non è compiuta chiaramente, e quindi ne derivano oscurità per la determinazione dell’essenza logica della storia: mi sia consentito di rinviare a questo proposito alle osservazioni già fatte altrove* (senza ritenerle del resto in alcun modo conclusive). Invece di inoltrarmi ancora una volta nella discussione di questi fondamentali problemi metodologici, vorrei prendere in esame alcuni punti particolari, che sono praticamente importanti per le nostre discipline. È ancora sempre diffusa la fede che si debba, o che sia necessario, oppure che si possa derivare delle indicazioni per le valutazioni pratiche da tendenze di sviluppo . Solo che da tali tendenze di sviluppo , per quanto univoche esse siano, si possono trarre imperativi univoci dell’agire soltanto rispetto ai mezzi che si prevedono più appropriati per date prese di posia. Nel saggio Kritische Studien auf dem Gebiet der Rulturwissenschaftlichen Logik, Archiv fir Sozialwissenschaft und Sozialpolitik , XXII, 1906, pp. 168-69 [ora in Gesammelte Aufsitze zur Wissenschaftslehre. zione, non però rispetto a quelle prese di posizione. Certamente qui il concetto di mezzo è il più ampio che si possa concepire. Chi per esempio considerasse gli interessi di potenza dello stato come un fine ultimo, dovrebbe in rapporto alla situazione data considerare una costituzione assolutistica oppure una costituzione democratico-radicale come il mezzo (relativamente) più adatto; e sarebbe estremamente ridicolo prendere un qualsiasi mutamento nella valutazione di questo apparato statale come mezzo per un mutamento nella presa di posizione ultima . È però inoltre evidente, come già si è detto, che al singolo sì presenta sempre nuovamente il problema se egli debba lasciar cadere la speranza nella realizzabilità delle sue valutazioni pratiche di fronte alla conoscenza del sussistere di una tendenza univoca di sviluppo, la quale condiziona lo scopo cui egli aspira all'impiego di muovi mezzi che, per motivi etici o di altra specie, gli appaiono eventualmente dubbi, o all’accettazione di conseguenze concomitanti da lui aborrite, oppure la rende così improbabile da fare apparire il suo lavoro, misurato in base alla possibilità di successo, una sterile donchisciotteria . Ma la conoscenza di tali tendenze di sviluppo , più o meno difficilmente mutabili, non occupa affatto una posizione particolare. Ogri nuovo fatto singolo può parimenti avere per effetto di configurare in maniera nuova l'equilibrio tra lo scopo e i mezzi indispensabili, o tra il fine voluto e la conseguenza concomitante inevitabile. Se ciò debba accadere e quali conclusioni pratiche se ne possano trarre è una questione che non rientra in una scienza empirica, e anzi, come si è detto, in nessuna scienza in genere, di qualsiasi specie. Si può per esempio dimostrare tangibilmente al sindacalista convinto che il suo agire non solo è socialmente inutile , cioè non promette alcuna conseguenza per il mutamento della situazione esterna di classe del proletariato, ma la peggiora inevitabilmente provocando disposizioni reazionarie con questo però non gli si dimostra nulle, se egli è realmente fedele alle conseguenze ultime della sua convinzione. E ciò non perché egli sia un insensato, ma perché può aver ragione dal suo punto di vista come dovremo discutere. In complesso gli uomini inclinano abbastanza fortemente ad adattarsi interiormente al successo, 0 a ciò che promette di volta in volta il successo, e non soltanto come è evidente nei mezzi o nella misura in cui si sforzano di realizzare i loro ideali ultimi, ma anche nella rinuncia a questi medesimi. In Germania si crede di poter fregiare questo comportamento con il nome di politica realistica . In ogni caso non si riesce a comprendere perché proprio i rappresentanti di una disciplina empirica debbano sentire il bisogno di appoggiarlo, fornendo la propria approvazione alla tendenza di sviluppo di volta in volta prevalente e trasformando l’ adattamento a questa tendenza da problema di valutazione vitimo, da risolversi caso per caso da parte della coscienza dell’individuo, in un principio che si suppone coperto dall’autorità di una scienza . È esatto se correttamente inteso che una politica la quale rechi al successo è sempre l’ arte del possibile . Ma non meno esatto è che il possibile molto sovente è stato raggiunto solo in quanto si è mirato all’impossibile che sta al di là di esso. Infine, non è stata la sola etica realmente coerente dell’ adattamento al possibile, cioè la morale burocratica del Confucianesimo, che ha prodotto le qualità specifiche della nostra cultura qualità che probabilmente noi tutti, nonostante ogni altra differenza, stimiamo (soggettivamente) in maniera più o meno positiva. Da parte mia, almeno, non vorrei dissuadere sistematicamente la nazione, proprio in nome della scienza, dal ritenere che come prima si è posto in luce accanto al valore di successo di un’azione stia anche il suo valore di intenzione . In ogni caso, però, il disconoscimento di questa circostanza danneggia la comprensione dei fatti reali. Poiché, per rimanere all'esempio prima addotto del sindacalista, è anche logicamente un’assurdità commisurare a scopo di critica un atteggiamento, che se coerente deve avere come regola il suo valore di intenzione , semplicemente con il suo valore di successo . Il sindacalista realmente coerente vuole semplicemente mantenere in se stesso, e per quanto è possibile suscitare in altri, una determinata coscienza, che gli appare dotata di valore e sacra. Le sue azioni esterne, proprio quelle che in partenza sono condannate anche a un'assoluta mancanza di successo, hanno in ultima analisi lo scopo di dargli, di fronte al proprio foro, la certezza che tale coscienza è pura, che essa ha cioè la forza di comprovarsi in azioni e non è solo una mera smargiassata. Per tale scopo (forse) c’è soltanto il mezzo costituito da tali azioni. Per il resto se egli è coerente il suo regno, come il regno di ogni etica dell’intenzione, non è di questo mondo. Scientificamente si può solo determinare che questo modo di concepire i propri ideali è il solo internamente conseguente, e non è confutabile mediante fatti esterni. Io ritengo che con questo sia stato reso, sia ai sostenitori sia agli avversari del sindacalismo, un servizio e precisamente quel servizio che essi a buon diritto pretendono dalla scienza. Mi sembra invece che nulla si possa ottenere, nel senso di zessuza scienza di qualsiasi tipo, a trattare con locuzioni del tipo da un lato dall’altro di sette motivi a favore e di sei contro un determinato fenomeno (per esempio uno sciopero generale), e a discuterlo secondo il modo della vecchia mentalità giuridica oppure dei moderni memoriali cinesi. Con quella riduzione del punto di vista sindacalistico alla sua forma il più possibile razionale e internamente coerente, e con la determinazione delle sue condizioni empiriche di nascita, delle sue possibilità e delle sue conseguenze pratiche conformi all’esperienza, è in ogni caso esaurito il compito della scienza avalutativa nei suoi confronti. Se si debba essere o non essere un sindacalista, ciò non si può mai provare senza far ricorso a premesse metafisiche ben determinate, le quali non sono dimostrabili, e in questo caso non lo sono certo mediante qualsiasi scienza, quale che essa sia. Così pure, che un ufficiale preferisca saltare in aria con il suo fortino anziché arrendersi, può nel caso specifico risultare assolutamente inutile sotto ogni riguardo, se commisurato alla conseguenza. Ma non sarebbe indifferente che sia esistita o no l'intenzione che lo ha spinto a ciò, senza indagarne l'utilità. Essa risulta priva di senso tanto poco quanto lo è quella del sindacalista coerente. Quando il professore, dalla comoda altezza della cattedra, vuole raccomandare un catonismo di tale specie, ciò non apparirebbe certo particolarmente appropriato. Ma non è neppure indicato che egli apprezzi l’opposto, facendo un dovere dell’adattarsi degli ideali alle possibilità offerte appunto dalle tendenze di sviluppo attuali e dalle attuali situazioni. È stato qui innanzi ripetutamente usato il termine adattamento , che nel caso specifico risulta, data la formulazione scelta, abbastanza privo di fraintendimento. Ma si deve rilevare che di per sé ha un duplice significato: da un lato designa l'adattamento dei mezzi di una presa di posizione ultima a date situazioni ( politica realistica in senso stretto) dall’altro designa l'adattamento nella scelta delle medesime prese di posizione ultime, che sono in genere possibili, alle possibilità momentanee che una di esse realmente o apparentemente possiede (ed è quel tipo di politica realistica con cui la nostra politica, da ventisette anni in qua, è pervenuta a così curiosi successi). Ma con ciò il numero dei suoi possibili significati non è ancora esaurito. Sarebbe perciò piuttosto opportuno, a mio parere, in ogni discussione dei nostri problemi, sia di questioni di valutazione che di altre, togliere di mezzo questo concetto di cui si è tanto abusato. Infatti esso è sempre del tutto frainteso come espressione di un argomento scientifico, nella cui forma si presenta ognora rinnovato sia a scopo di spiegazione (per esempio della sussistenza empirica di certe intuizioni etiche presso certi gruppi umani in determinate epoche) sia a scopo di valutazione (per esempio di quelle intuizioni etiche, esistenti di fatto, in quanto oggettivamente adattate e perciò oggettivamente corrette e fornite di valore). In nessuno di questi sensi esso serve però a qualcosa, perché sempre ha bisogno a sua volta di interpretazione. Esso ha la sua patria nella biologia. Se fosse realmente preso in senso biologico, per designare la possibilità data dalle circostanze, e relativamente determinabile, che un gruppo umano possiede di mantenere la propria eredità psico-fisica mediante una grossa riproduzione, allora gli strati popolari economicamente meglio provvisti, e capaci di regolare più razionalmente la loro vita, sarebbero i meno adattati , secondo le note esperienze fornite dalla statistica delle nascite. Adattati alle condizioni dell'ambiente della zona di Salt Lake erano, in senso biologico ma anche in ognuno dei numerosi altri significati puramente empirici i pochi Indiani che vi vivevano prima dell’arrivo dei Mormoni, e lo erano nella stessa maniera, altrettanto bene e altrettanto male, le più tarde e numerose popolazioni mormoniche. In virtù di questo concetto noi non perveniamo affatto a una migliore comprensione sul piano empirico, ma ci immaginiamo facilmente di farlo. E soltanto nel caso di due organizzazioni per il resto assolutamente equivalenti sotto 0gr: rispetto questo può venir stabilito fin d'ora si può dire che una concreta differenza particolare è capace di condizionare una situazione empiricamente più opportuna per la permanenza di una di esse, e quindi in tal senso più adattata alle condizioni date. Per ciò che riguarda la valutazione si può tanto essere dell’opinione che il maggior numero e le prestazioni e qualità materiali e di altra specie, che i Mormoni portarono sul posto e vi svilupparono, siano una prova della loro superiorità sugli Indiani, quanto essere invece del parere di colui che aborre incondizionatamente i mezzi e le conseguenze concomitanti dell’etica dei Mormoni, la quale è almeno corresponsabile di quelle azioni, e quindi può pienamente preferire la romantica esistenza degli Indiani nella prateria senza che nessuna scienza al mondo, di qualsiasi specie, possa pretendere di dissuaderlo. Qui si tratta già, infatti, dell’irresolubile equilibrio tra scopo, mezzo e conseguenza concomitante. Soltanto quando la questione concerne i mezzi appropriati per un dato scopo, stabilito in maniera assolutamente univoca, essa può realmente venir decisa sul terreno empirico. La proposizione x è il solo mezzo per y è infatti la semplice inversione della proposizione a x segue y . Però il concetto di adattazione (e tutti gli altri affini) non fornisce in nessun caso e questa è la cosa principale la minima informazione sulle fondamentali valutazioni ultime, e anzi semplicemente le cela; lo stesso fa, per esempio, il concetto in fondo confuso, e di recente prediletto, di economia umana. Adattato nel campo della cultura è, secondo il modo in cui il concetto assume un significato, tutto o nulla. Poiché non si può eliminare la lotta da ogni vita culturale. Si possono mutare i suoi mezzi, il suo oggetto, anche la sua direzione fondamentale e i suoi portatori; ma non si può metterla da parte. Essa può costituire, anziché un conflitto esterno di uomini ostili per cose esterne, un conflitto interno di uomini che si amano in vista di beni interiori, e quindi non una costrizione esterna ma un'oppressione interna (appunto anche in forma di dedizione erotica o caritativa), o rappresentare infine un conflitto interiore dell’anima dell'individuo con se stessa ma sempre c’è, e sovente con conseguenze tanto maggiori quanto meno viene notata, cioè quanto più il suo corso assume la forma di un'ottusa o di una comoda indifferenza o anche di un’auto-illusione, oppure si compie mediante la selezione . La pace non significa nient'altro che un differimento delle forme di lotta o degli avversari o degli oggetti di lotta, o infine delle possibilità di selezione. Se e quando spostamenti del genere passino la prova di fronte a un giudizio valutativo, etico o di altra specie, non può ovviamente essere stabilito in termini generali. Soltanto una cosa è fuori dubbio: che ogni ordinamento, di qualsiasi tipo, di relazioni sociali, se si vuole valutarlo, deve in ultima analisi essere sempre esaminato in riferimento al #po umano a cui esso, attraverso una selezione (di motivi) esterna o interna, dà le migliori possibilità per diventare predominante. Altrimenti l'indagine empirica non è realmente esaustiva, e neppure c’è la base di fatto necessaria per una valutazione, sia essa consapevolmente soggettiva oppure pretenda invece una validità oggettiva. Questa circostanza sia ricordata almeno a quei numerosi colleghi i quali credono che si possa operare, nella determinazione delle linee di sviluppo sociali, con un preciso concetto di progresso . Ciò ci conduce dinanzi al compito di un'analisi più ravvicinata di questo importante concetto. Si può naturalmente usare il concetto di progresso in maniera assolutamente avalutativa, se lo si identifica con il progredire di un qualsiasi concreto processo di sviluppo, considerato isolatamente. Ma nella maggior parte dei casi la cosa è sostanzialmente più complicata. Noi prendiamo qui in esame alcuni casi in cui, in campi eterogenei, la congiunzione con questioni di valore è la più intrinseca possibile. Nel campo dei contenuti irrazionali, sentimentali, affettivi del nostro. atteggiamento psichico, l'accrescimento quantitativo e la moltiplicazione qualitativa che nella maggior parte dei casi vi è legata delle possibili forme di atteggiamento possono venir designati in modo avalutativo come progresso della differenziazione psichica. Ma ad esso si unisce ben presto il concetto di valore di un accrescimento della portata o della capacità di un’ anima concreta oppure il che già rappresenta una costruzione tutt'altro che univoca di un’ epoca (come avviene nel libro di Simmel, Schopenhauer und Nietzsche”). È fuori di dubbio, naturalmente, che quel progredire della differenziazione esiste di fatto con la riserva che non sempre esso c'è là dove si crede alla sua presenza. L'attenzione per le sfumature del sentimento, che viene crescendo nel periodo attuale sia come conseguenza dell’aumentata razionalizzazione e intellettualizzazione di tutti i settori della vita, sia come conseguenza dell’aumentata importanza soggettiva che l'individuo attribuisce alle proprie manifestazioni di vita (per gli altri spesso estremamente indifferenti) facilmente illude sull’esistenza di una crescente differenziazione. Essa può rappresentare questa differenziazione, oppure promuoverla; ma l'apparenza inganna con facilità, e io confesso che vorrei stimare abbastanza alta la portata di tale illusione. Ad ogni modo il fatto esiste. Designare una differenziazione progressiva come progresso è di per sé una questione di opportunità terminologica. Ma che essa debba venir valutata come progresso nel senso di una crescente ricchezza interiore , non può in ogni caso essere deciso da nessuna disciplina empirica. Infatti queste discipline non hanno competenza per stabilire se le nuove possibilità di sentimento che si vengono sviluppando, o che sono tratte alla coscienza, con le nuove tensioni e i nuovi problemi che in certe circostanze comportano, debbano venir riconosciute come valori . Chi però non voglia assumere una posizione valutativa di fronte al fatto della differenziazione in quanto tale cosa che certamente nessuna disciplina empirica può proibire ad alcuno e cerchi un punto di vista adatto allo scopo, viene di conseguenza condotto, anche da alcuni fenomeni contemporanei, di fronte alla questione del prezzo che questo processo, in quanto è diventato qualcosa di più di un'illusione intellettualistica, è costato . Egli non potrà ad esempio dimenticare che la caccia all’Erlebzis questo valore alla moda peculiare della Germania contemporanea può essere in misura assai forte il prodotto di una diminuzione della forza di sostenere interiormente la vita quotidiana, e che quella pubblicità, che l’individuo sempre più sente 7. Schopenhauer und Nietzsche, ein Vortragszyklus, Leipzig. il bisogno di dare al suo Erleden, potrebbe pure essere valutata come una perdita nel sentimento della distanza, e quindi dello stile e della dignità. In ogni caso, nel campo delle valutazioni dell’Erleben soggettivo il progresso della differenziazione è identico con l’aumento del valore soltanto nel senso intellettualistico di un accrescimento dell’Erleden consapevole, oppure dell’accrescimento della capacità di espressione e della comunicabilità. Le cose sono alquanto più complicate a proposito dell’applicabilità del concetto di progresso (nel senso di valutazione) al campo dell’arse. Essa viene talvolta contestata con violenza; e, a seconda del senso in cui viene intesa, a ragione o a torto. Non c'è mai stata nessuna considerazione valutativa dell’arte che potesse procedere con l’antitesi esclusiva di arte e nonarte , facendo a meno delle distinzioni tra tentativo e riuscita, tra il valore delle diverse riuscite, tra la riuscita compiuta e quella che risulta infelice in qualche punto specifico, oppure in parecchi e anche importanti, ma tuttavia non è senz'altro priva di valore e ciò non soltanto per una concreta volontà di creazione artistica, ma anche per la volontà artistica di epoche intere. Il concetto di un progresso , applicato a queste situazioni, appare banale, a causa del suo impiego in riferimento a puri problemi tecnici. Ma esso non risulta di per sé privo di senso. Assai differente appare il problema per la storia dell’arte e per la sociologia dell’arte, condotte in modo puramente empirico. Per la prima non c’è naturalmente un progresso dell’arte nel senso della valutazione estetica di opere d’arte come opere riuscite in maniera dotata di senso; poiché questa valutazione non può venir compiuta con i mezzi della considerazione empirica, e si pone completamente al di là del suo lavoro. Invece proprio essa può impiegare un concetto di progresso. puramente tecnico, razionale e quindi univoco, del quale si deve adesso parlare e la cui utilità per la storia empirica dell’arte deriva dal fatto che questo si limita esclusivamente alla determinazione dei 72e2z1 tecnici che una determinata volontà artistica usa per una data intenzione. L'importanza per la storia dell’arte di queste analisi così rigorosamente definite è facilmente sottovalutata, oppure fraintesa nel senso di identificarle con una supposta conoscenza , del tutto subalterna e non genuina, che pretende di aver inteso un artista quando ha sollevato la tenda del suo laboratorio ed esaminato i suoi mezzi esteriori di rappresentazione, cioè la sua maniera . Soltanto il progresso tecnico , preso nel suo significato corretto, è di competenza della storia dell’arte, poiché proprio esso e la sua influenza sulla volontà artistica costituisce ciò che di empiricamente determinabile vi è nel corso dello sviluppo dell’arte, senza implicare il ricorso a una valutazione estetica. Prendiamo alcuni esempi che possano illustrare i reali significati dell'elemento tecnico , nel senso genuino del termine, per la storia artistica. L'origine del gotico fu in prima linea il risultato della soluzione tecnica di un problema di copertura degli spazi, in sé di pura tecnica architettonica la questione dell’ottimo, dal punto di vista tecnico, per l’edificazione di contrafforti di sostegno di una volta a croce, congiunta ad alcuni altri particolari che non occorre qui discutere. Vennero risolti problemi architettonici molto concreti; e la conoscenza che in tale maniera diventava possibile una determinata maniera di copertura di spazi non quadrati suscitò l’entusiasmo appassionato di quegli architetti, per adesso e forse per sempre ignoti, ai quali è dovuto lo sviluppo del nuovo stile di costruzione. Il loro razionalismo tecnico condusse il nuovo principio a tutte le sue conseguenze. La loro volontà artistica lo utilizzò come possibilità di risolvere compiti fino allora impensati, e spinse quindi la plastica sulla via di un nuovo senso del corpo, suscitato in primo luogo dalle nuove elaborazioni di spazio e di piani dell’architettura, Che questa trasformazione, di carattere in primo luogo tecnico, si sia incontrata con certi contenuti di sentimento, condizionati in forte misura sociologicamente o dalla storia religiosa, fornì gli elementi essenziali di quel materiale di problemi con i quali lavorò la creazione artistica dell’epoca del gotico. Allorché la considerazione storica e sociologica dell’arte ha posto in luce queste condizioni oggettive, tecniche o sociali o psicologiche, del nuovo stile, essa esaurisce il suo compito puramente empirico. Ma essa non valuta » con ciò lo stile gotico in rapporto a quello romanico oppure a quello rinascimentale, anch'esso fortemente orientato in vista del problema tecnico della cupola, e insieme in vista dei mutamenti dell'ambito di lavoro dell’architettura, condizionati pure sociologicamente; né valuta » esteticamente, finché rimane una storia empirica dell’arte, la singola costruzione. Anzi, l’interesse per le opere d’arte e le sue particolari qualità esteticamente rilevanti, quindi il suo oggetto, è ad essa eteronomo, cioè dato 4 priori in base al valore estetico che, con i suoi mezzi, essa non può affatto stabilire. Lo stesso avviene per esempio nel campo della storia della musica. Dal punto di vista dell’inzeresse dell’uomo europeo moderno (riferimento di valore »!) il suo problema centrale è questo: perché la musica armonica si sia sviluppata dalla polifonia, affermatasi quasi ovunque su base popolare, soltanto in Europa e in un determinato spazio di tempo, mentre altrove la razionalizzazione della musica si è incamminata per un’altra strada, il più delle volte precisamente opposta, e cioè per la strada di uno sviluppo degli intervalli mediante la divisione delle distanze (per lo più una quarta) anziché mediante la divisione armonica (una quinta). Al centro si colloca il problema dell'origine della terza nella sua interpretazione armonica, cioè come elemento della triade, e inoltre il problema del cromatismo armonico e ancora della ritmica musicale moderna (della cadenza lenta e veloce) invece della cadenza puramente metronomica vale a dire di una ritmica senza la quale è impensabile la moderna musica strumentale. Si tratta qui di nuovo prevalentemente di problemi di progresso » razionale, e puramente tecnico. Che per esempio il cromatismo fosse noto molto prima della musica armonica, come mezzo di rappresentazione della passione », risulta infatti dall'antica musica cromatica (presumibilmente mono-armonica) per gli appassionati Sé,uror del frammento di Euripide di recente scoperto. Non nella volontà espressiva artistica, bensì nei mezzi espressivi tecnici stava la differenza di questa musica antica nei confronti di quella cromatica che i grandi innovatori musicali del Rinascimento crearono in un’impetuosa aspirazione razionale alla scoperta per poter appunto dare forma musicalmente alla passione ». La novità tecnica era però che questo cromatismo diventava quello dei nostri intervalli armonici, e non già quello delle distanze melodiche di semitono, o di quarto di tono, degli Elleni. E che potesse diventare tale, ha a sua volta il fondamento in precedenti soluzioni di problemi tecnico-RAZIONALI; cioè soprattutto nella creazione della notazione razionale (senza la quale nessuna moderna composizione sarebbe nemmeno concepibile), e già prima nella creazione di determinati strumenti che costrinsero all’interpretazione armonica di intervalli musicali, nonché, in particolare, del canto polifonico razionale. Un contributo molto importante a queste scoperte lo aveva però fornito, nel primo Medioevo, il monachesimo dell’area missionaria nord-occidentale, il quale, senza presagire la posteriore portata della propria opera, razionalizzò per i suoi scopi la polifonia popolare, invece di organizzare la propria musica come fece il monachesimo bizantino sul modello del uerorotég tratto dagli Elleni. Le caratteristiche concrete, condizionate sociologicamente e dalla storia religiosa, della situazione esterna e interna della chiesa cristiana in Occidente consentirono qui che da un razionalismo proprio soltanto del monachesimo occidentale sorgesse questa problematica musicale, che era nella sua essenza di carattere tecnico». Dall'altra parte l'adozione e la razionalizzazione della misura di danza, che è la fonte delle forme musicali sfocianti nella sonata, furono condizionate da certe forme di vita della società rinascimentale. Infine lo sviluppo del pianoforte, cioè di uno dei più importanti portatori tecnici dello sviluppo musicale moderno e della sua diffusione nella borghesia, si radicò nello specifico carattere intra-domestico della cultura nord-europea. Sono tutti progressi dei mezzi tecnici della musica, che hanno così fortemente determinato la sua storia. La storia empirica della musica potrà e dovrà appunto seguire queste componenti dello sviluppo storico, senza avanzare, da parte sua, una valutazione estetica delle opere musicali. Il progresso tecnico si è molto spesso compiuto in prodotti che, valutati esteticamente, appaiono del tutto insufficienti. Ma la direzione di interesse, cioè l'oggetto da spiegare storicamente, è data alla storia della musica eteronomamente, mediante la sua significatività estetica. Per il campo dello sviluppo della pittura, la nobile modestia dell’impostazione problematica di Die k/assische Kunst di Wélfflin® costituisce un esempio eminente delle fecondità di un lavoro empirico. 8. Heinrich von Woélfflin, storico dell’arte tedesco, autore dei Prole La piena separazione della sfera dei valori dalla realtà empirica emerge poi in maniera caratteristica dal fatto che l’impiego di una determinata zecnica, per quanto progressiva , non implica nulla sul valore estetico dell’opera d'arte. Opere d'arte create con la tecnica più primitiva per esempio quadri privi di ogni nozione di prospettiva possono risultare esteticamente di eguale dignità di quelle più perfette prodotte mediante la tecnica razionale, se si presuppone che la volontà artistica si sia limitata a quelle formulazioni che sono adeguate a tale tecnica primitiva . La creazione di nuovi mezzi tecnici rappresenta soltanto una crescente differenziazione, e dà soltanto la possibilità di una crescente ricchezza dell’arte, nel senso di un incremento di valore. Di fatto essa ha avuto, non di rado, l’effetto opposto di un impoverimento del senso della forma. Ma per la considerazione empirico-causale è proprio il mutamento della tecnica (nel senso più alto del termine) che costituisce l'elemento di sviluppo più importante dell’arte, che si può determinare in linea generale. Non soltanto gli storici dell’arte, ma gli storici in genere replicano di solito che essi non possono rinunciare al diritto di una valutazione politica o culturale o etica o estetica, né sono in grado di compiere, senza di essa, il proprio lavoro. La metodologia non ha né la forza né il proposito di prescrivere a chicchessia ciò che egli intende offrire in un’opera letteraria. Essa si prende, da parte sua, soltanto il diritto di stabilire che certi problemi hanno un senso tra loro eterogeneo, che il loro scambio reciproco conduce la discussione a uno sterile gioco di contrapposizioni, e che quindi una discussione condotta con i mezzi della scienza empirica o della logica per gli uni è fornita di senso, e per gli altri è invece impossibile. Forse si può qui aggiungere, senza per ora inoltrarci nella sua dimostrazione, un'osservazione generale: un'analisi attenta di lavori storici mostra con facilità che lo sforzo di seguire la catena causale, storico-empirica, viene quasi senza eccezione interrotto, a danno dei risultati scientifici, allorché lo storico comincia a gomena zu einer Psycologie der Architektur (1866), di Renaissance und Barock (1888), di Die Klassische Kunst (1899), dei Kunstgeschichtliche Grundbegrifle (1915), dei Gedanken zur Kunstgeschichte (1940) e di varie altre opere. MAX WEBER valutare . Egli incorre allora nel pericolo, per esempio, di spiegare come conseguenza di una mancanza o di una caduta ciò che forse era effetto di ideali a lui eterogenei del soggetto che agisce, e pecca quindi di fronte al suo compito più proprio quello dell’ intendere . Il fraintendimento si spiega per due ragioni. In primo luogo per il fatto che, restando all’arte, la realtà artistica è accessibile, oltre che alla pura considerazione valutativa estetica da un lato e dall’altro alla pura considerazione empirica, mirante alla determinazione delle cause, anche a una terza specie di considerazione all’interpretazione di valore (sulla cui essenza non occorre qui ripetere ciò che si è detto in altra sede). Sul suo valore specifico, e sulla sua indispensabilità per ogni storico, non sussiste alcun dubbio; e così pure non c’è alcun dubbio che il consueto lettore di studi di storia dell’arte si aspetta di trovare anche, e per l’appunto, questa trattazione. Soltanto che essa, presa nella sua struttura logica, non è identica con la considerazione empirica. Questo però si deve riconoscere: chi vuole svolgere indagini di storia dell’arte, per quanto puramente empiriche, deve possedere la capacità di intendere la produzione artistica e questo non è assolutamente concepibile senza quella capacità di giudizio estetico, cioè senza la capacità di valutazione. La stessa cosa vale pure per lo storico della politica o della letteratura o della religione o della filosofia. Ma ovviamente ciò non implica nient'altro sull’essenza logica del lavoro storico. Di ciò si dirà oltre. Qui si doveva discutere semplicemente la questione del senso in cui, a/ di fuori della valutazione estetica, si può parlare di progresso in sede di storia dell’arte. È risultato che questo concetto acquista un senso tecnico e razionale che designa i mezzi necessari per un certo proposito artistico, e può diventare come tale significativo per la storia dell’arte empiricamente condotta. È ora tempo di indagare questo concetto di progresso razionale nel suo campo più proprio, considerandolo nel suo carattere empirico o non-empirico. Poiché quanto si è detto è soltanto un caso particolare di una circostanza molto universale. La maniera in cui Windelband ha delimitato il tema della sua Geschichte der Philosophie il processo mediante cui l'umanità europea ha formulato la sua concezione del mondo in concetti scientifici conduce nella sua pragmatica, a mio parere assai brillante, all'impiego di uno specifico concetto di progresso che deriva da questo riferimento a valori culturali (e di cui egli trae le conseguenze); e questo concetto da un lato risulta nient’affatto evidente per ogni storia della filosofia, dall'altro, se si assume un corrispondente riferimento a valori culturali, vale non soltanto per una storia della filosofia, e neppure soltanto per la storia di qualsiasi altra disciplina, ma diversamente da quanto Windelband sostiene! per ogni storia in generale. Ciononostante, qui di seguito dobbiamo parlare soltanto di quei concetti razionali di progresso , che occupano un posto nelle nostre discipline sociologiche ed economiche. La nostra vita sociale ed economica, europeo-americana, risulta razionalizzata in un modo e in un senso specifico. Spiegare questa razionalizzazione, e elaborare i concetti ad essa corrispondenti, è quindi uno dei principali compiti delle nostre discipline. Perciò ricompare il problema toccato nell’esempio della storia dell’arte, ma lasciato in quella sede aperto: che cosa vuol dire propriamente la designazione di un processo come progresso razionale ? Si ripete anche qui la combinazione di progresso nel triplice senso: 1) di un mero progredire nella differenziazione; 2) di una progressiva razionalità tecnica dei mezzi; 3) di un incremento di valore. In primo luogo un comportamento soggettivamente razionale non è identico con un agire razionalmente corretto , che impieghi cioè oggettivamente mezzi corretti, in conformità alla conoscenza scientifica. Ma esso di per sé significa soltanto che il proposito soggettivo è diretto a un orientamento ordinato in vista di mezzi ritenuti corretti per un dato scopo. Una progressiva razionalizzazione soggettiva dell’agire non è quindi, di necessità, anche oggettivamente un progresso nella direzione verso l’agire razionalmente corretto . La magia, per esempio, è stata sistematicamente razionalizzata al pari della fisica. La prima terapia deliberatamente razionale ha significato quasi ovunque un disprezzo per la 9. Lelrbuch der Geschichte der Philosophie, Frciburg, i.B. cura dei sintomi empirici con erbe e bevande provate solo empiricamente, a favore dello sforzo di scacciare le cause (magiche o demoniache) vere e proprie della malattia. Essa aveva perciò, formalmente, la medesima struttura razionale che rivestono parecchi dei più importanti progressi della terapia moderna. Ma noi non potremo valutare quelle terapie magiche di sacerdoti come progresso verso un agire corretto , in antitesi a quell'empiria. E d’altra parte non ogni progresso nella direzione verso l’impiego dei mezzi corretti è conseguito mediante un progredire nel primo senso, cioè nel senso soggettivamente razionale. Che un agire più razionale soggettivamente progressivo conduca a un agire oggettivamente più conforme allo scopo , è soltanto una tra più possibilità, e rappresenta un processo da aspettarsi con una (diversamente grande) probabilità. Se però nel caso specifico è corretta la proposizione la quale asserisce che la regola x è il mezzo (possiamo assumere il solo) per raggiungere l’effetto y ciò che costituisce una questione empirica, poiché si tratta della semplice inversione della proposizione causale: a x segue y e se ora questa proposizione viene consapevolmente assunta da certi uomini per l'orientamento del proprio agire in vista dell’effetto y il che è pure determinabile empiricamente 4/lora il loro agire risulta orientato in modo tecnicamente corretto . Se l’atteggiamento umano (di qualsiasi specie) è orientato in qualche punto particolare in modo tecnicamente più corretto di prima, ha luogo un progresso tecnico . Se questo sia il caso, è naturalmente presupponendo sempre l’assoluta univocità dello scopo che viene stabilito una determinazione che una disciplina empirica deve compiere di fatto con i mezzi dell’esperienza scientifica, ossia una questione empirica. Vi sono quindi, in questo senso ben inteso, dato un certo scopo 4nivoco concetti univocamente determinabili di correttezza tecnica, e di progresso tecnico nei mezzi (dove qui tecnica viene intesa nel suo senso più ampio, cioè come comportamento razionale valido in tutti i campi, anche in quelÈ, della manipolazione e del dominio politico, sociale, educatio, propagandistico sulle masse). Si può in particolare (per accennare soltanto alle cose che ci toccano da vicino) parlare in maniera abbastanza univoca di progresso nel campo specifico chiamato di solito tecnica, al pari però che nel campo della tecnica commerciale o anche di quella giuridica, se si assume qui come punto di partenza uno stato univocamente determinato di una formazione concreta. Approssimativamente, infatti, i singoli princìpi tecnicamente razionali, come ogni esperto sa, entrano tra loro in conflitto, e tra di essi si può trovare sì un equilibrio da qualche punto di vista di coloro che vi sono concretamente interessati, ma non mai in maniera oggettiva. E assumendo dati bisogni, stabilendo inoltre che tutti questi bisogni in quanto tali, nonché la valutazione della loro importanza soggettiva, debbano essere sostrazti alla critica, infine presupponendo una data maniera di ordinamento economico di nuovo con la riserva che per esempio gli interessi alla durata, alla sicurezza e alla fecondità del soddisfacimento di questi bisogni possono entrare, ed entrano, in conflitto c'è anche un progresso economico verso un optimum relativo di copertura del fabbisogno nel caso di date possibilità di mezzi disponibili. Ma c’è soltanto in base a questi presupposti e a queste limitazioni. È stato fatto il tentativo di derivare da ciò la possibilità di valutazioni univoche, e perciò puramente economiche. Un esempio caratteristico in merito è il caso, citato dal prof. Liefmann ", della distruzione di proposito dei beni di consumo scesi al di sotto del prezzo di costo, nell’interesse della redditività dei produttori. Questa distruzione dovrebbe essere valutata anche come oggettivamente corretta dal punto di vista economico . Ma tale illustrazione e tutte le altre simili questo è quanto ci interessa assumono come evidenti una serie di presupposti che non lo sono; assumono cioè non soltanto che l'interesse dell'individuo vada oltre la sua morte, ma anche che esso deve valere come tale, una volta per sempre. Senza questa trasposizione dall’ essere al dover essere la valutazione in questione, che si pretende puramente economica, non potrebbe venir effettuata univocamente. Poiché senza di essa, per esempio, non si può parlare degli interessi dei produttori e dei consumatori come di interessi di persone che si 12. Robert Liefmann {1874-1941), economista tedesco, autore dell’opera Die Unternchmungsformen (1912) e di altri scritti. perpetuano. Che l'individuo prenda in considerazione gli interessi dei suoi eredi, non è però più una circostanza puramente economica. Agli uomini viventi vengono qui sostituiti piuttosto degli interessati, i quali utilizzano il capitale nelle loro imprese ed esistono per queste imprese. Ciò costituisce una finzione utile per scopi teorici; ma anche come finzione non si adatta alla situazione dei lavoratori, e in particolare di quelli senza figli. In secondo luogo essa ignora il fatto della situazione di classe la quale, sotto il dominio del principio di mercato, può assolutamente peggiorare (non che debba necessariamente), non già nonostante ma proprio ir conseguenza della distribuzione ottima di capitale e lavoro nei diversi rami produttivi ottima in quanto valutata dal punto di vista della redditività il rifornimento di beni per certi strati di consumatori. Infatti quella distribuzione ottima della redditività, che condiziona la costanza dell’investimento di capitale, dipende a sua volta dalle costellazioni di forze esistenti tra le classi, le cui conseguenze possono nel caso concreto (non già che debbano necessariamente) indebolire la posizione di quegli strati nella lotta per i prezzi. In terzo luogo essa ignora la possibilità di durevoli antitesi di interessi, prive di possibilità di composizione, tra i membri di diverse unità politiche; e quindi prende partito 4 priori per l’ argomento della libertà di commercio , che si tramuta così, da mezzo euristico estremamente utile, in una valutazione tutt'altro che evidente, appena da esso si traggano postulati concernenti il dover essere. Quando però, per uscire da questo conflitto, essa presuppone l’unità politica dell'economia mondiale (il che teoricamente è senz'altro permesso), allora l’ineliminabile possibilità della critica che suscita la distruzione di quei beni consumabili nell'interesse dell’optimum di redditività permanente (dei prodotti e dei consumatori) offerta dai rapporti esistenti quale viene qui presupposto si sposta semplicemente nella sua ampiezza. La critica si dirige cioè contro l’intero principio del rifornimento del mercato in base a tali direttive, risultanti dall’optimum di redditività, esprimibile in denaro, di singole economie in rapporto di scambio si dirige contro il principio în quanto tale. Un'organizzazione di rifornimento dei beni, non organizzata in forma di mercato, non avrebbe alcun motivo per tener conto della costellazione di interessi economici individuali data in base al principio di mercato, e perciò non sarebbe neppur costretta a sottrarre al consumo quei beni già esistenti. Soltanto se si presuppongono le seguenti condizioni: 1) esclusivi interessi di redditività permanenti, di persone concepite come costanti e con bisogni anch'essi concepiti come costanti per lo scopo; 2) esclusivo dominio dell’organizzazione di rifornimento dei beni fondata sul capitale privato, mediante uno scambio di mercato completamente libero; 3) una potenza statale non interessata come mero garante giuridico soltanto a queste condizioni la concezione del prof. Liefmann risulta corretta anche solo dal punto di vista teorico, e perciò giusta in maniera ovvia. Infatti la valutazione concerne allora i mezzi razionali per la migliore soluzione di un problema tecnico particolare di distribuzione dei beni. Le finzioni dell’economia pura, utili a scopi teorici, non possono però essere trasformate in base di valutazioni pratiche di fatti reali. Rimane stabilito che la teoria economica non può asserire assolutamente nient’altro che questo: per il dato scopo tecnico x la regola y è il solo mezzo appropriato, oppure lo è insieme a yy e a y, e nell’ultimo caso tra y, yi e y. vi sono differenze del modo di operare ed eventualmente di razionalità; la loro applicazione e il conseguimento dello scopo x obbligano a tener conto delle conseguenze concomitanti 2, z, e 2. Tutto ciò è il risultato di semplici inversioni di proposizioni causali; e nella misura in cui si possono riferire ad esse delle valutazioni , queste risultano esclusivamente valutazioni del grado di razionalità di un’azione prospettata. Le valutazioni sono univoche soltanto quando lo scopo economico e le condizioni di struttura sociale appaiono date, quando si tratta soltanto di scegliere tra diversi mezzi economici, e quando questi sono diversi soltanto in riferimento alla sicurezza, alla rapidità e alla produttività quantitativa dell'effetto, ma funzionano in maniera del tutto identica sotto ogni altro rispetto che possa risultare importante per gli interessi umani. Soltanto allora un mezzo deve essere anche valutato incondizionatamente come quello tecnicamente più corretto , e questa valutazione risulta univoca. In ogni altro caso, che non sia puramente tecnico, la valutazione cessa di essere univoca, e si presentano valutazioni che non possono venir determinate su base puramente economica. Ma con la determinazione dell’univocità di una valutazione tecnica entro la sfera puramente economica z0n si perviene, naturalmente, a una univocità della valutazione definitiva. Piuttosto, al di là di queste discussioni comincerebbe il turbine della infinita molteplicità di possibili valutazioni, che possono venir controllate soltanto riportandole ad assiomi ultimi. Infatti per menzionare una cosa soltanto dietro l’azione sta l’uomo, per il quale il progredire della razionalità soggettiva e della correttezza tecnico-oggettiva dell'agire in quanto tale può valere, al di sopra di un certo grado e anzi, in base a certe concezioni, in maniera del tutto generale come un pericolo a cui vengono esposti i beni importanti (ad esempio quelli etici o religiosi). Difficilmente qualcuno di noi condividerà l’etica (estrema) buddistica, che respinge ogni azione diretta a uno scopo perché essa è tale, cioè in quanto allontana dalla redenzione. Ma confutarla , nel senso in cui si confuta un falso esempio aritmetico oppure un’errata diagnosi medica, è semplicemente impossibile. Pur senza ricorrere a esempi così estremi, è però agevole comprendere che i processi di razionalizzazione economica, per quanto senza dubbio tecnicamente corretti, non sono in nessuna maniera legittimati di fronte al foro della valutazione per questa loro qualità. Ciò vale per tutti i processi di razionalizzazione, nessuno escluso, comprendendovi pure campi in apparenza puramente tecnici come quelli della banca. Coloro che si oppongono a tali processi di razionalizzazione non sono affatto necessariamente dei pazzi. Piuttosto, ogni qual volta si voglia valutare, si deve prendere in considerazione l’influenza dei processi di razionalizzazione tecnica sulla modificazione dell’insieme delle condizioni di vita, esterne e interne. Sempre, e senza eccezione, il concetto di progresso legittimo nelle nostre discipline riguarda l’aspetto tecnico , il che vuol dire come si è accennato il mezzo necessario per uno scopo dato univocamente. Mai esso si innalza alla sfera delle valutazioni ultime . Dopo quanto si è detto, io ritengo l’impiego del termine progresso » di per sé inopportuno anche nel campo limitato della sua applicabilità empiricamente incontestabile. Ma non è mai possibile proibire ad alcuno l’uso di un termine; sono soltanto da evitare i possibili fraintendimenti. Rimane ora da discutere, prima di giungere alla fine, un ultimo gruppo di problemi concernenti la posizione dell’elemento razionale entro le discipline empiriche. Quando ciò che è normativamente valido diventa oggetto di indagine empirica, allora perde, in quanto oggetto, il suo carattere di norma; esso viene considerato come esistente », non come valido ». Per esempio, qualora la statistica volesse stabilire il numero degli errori aritmetici» entro una determinata sfera di calcolo professionale il che potrebbe pur avere un senso scientifico i princìpi fondamentali della tavola pitagorica varrebbero » per essa in due sensi del tutto diversi. Per un verso la loro validità normativa è naturalmente il presupposto assoluto del suo proprio lavoro di calcolo. Ma per un altro verso, per cui si indaga il grado di applicazione corretta » della tavola pitagorica in quanto oggetto dell'indagine, le cose stanno, considerate logicamente, in maniera del tutto diversa. Qui l’applicazione della tavola pitagorica da parte di quelle persone, i cui calcoli sono oggetto di analisi statistica, viene studiata come una massima effettiva di comportamento, divenuta loro abituale mediante l’educazione; e si deve pertanto stabilire la frequenza della sua applicazione di fatto, proprio come possono essere oggetto di determinazione statistica certi fenomeni di pazzia. Che la tavola pitagorica valga normativamente, sia cioè corretta , non è oggetto di discussione in questo caso, in cui l’ oggetto è invece la sua applicazione; ed è anzi logicamente del tutto indifferente. Lo statistico, nel corso della sua analisi statistica dei calcoli delle persone su cui indaga, deve da parte sua naturalmente adeguarsi a questa convenzione, di calcolare secondo la tavola pitagorica . Ma egli dovrebbe parimenti impiegare un procedimento di calcolo falso , quale risulta se valutato normativamente, nel caso in cui esso fosse stato ritenuto corretto in un gruppo umano ed egli dovesse indagare statisticamente la frequenza della sua applicazione di fatto, che appariva corretta dal punto di vista di quel gruppo. Per ogni considerazione empirica, sociologica o storica, la nostra tavola pitagorica, nel caso in cui si presenti come oggetto dell'indagine, è una massima di comportamento pratico valida convenzionalmente in un gruppo umano, e seguita con maggiore o minore approssimazione, e nient'altro. Ogni esposizione della dottrina pitagorica della musica deve anzitutto assumere il calcolo falso per il nostro sapere che 12 quinte siano eguali a 7 ottave. Così pure ogni storia della logica deve assumere l’esistenza storica di asserzioni logiche (per noi) contraddittorie — ed è umanamente comprensibile, ma non rientra tuttavia nel compito di un'analisi scientifica, che si possa accompagnare tali assurdità con esplosioni di sdegno, come ha fatto uno storico assai eminente della logica medievale 13 Questa metamorfosi di verità normativamente valide in opinioni valide convenzionalmente, alla quale sottostanno intere formazioni spirituali, anche i princìpi logici o matematici — metamorfosi che ha luogo quando tali verità diventano oggetto di una considerazione che si riferisce al loro essere empirico, e non già al loro senso (normativamente) corretto — avviene in maniera del tutto indipendente dalla circostanza che la validità normativa delle verità logiche e matematiche costituisce d’altra parte l’a priori di ogni scienza empirica. Meno semplice è la loro struttura logica nel caso di quella funzione già prima accennata, che loro spetta nell'indagine empirica di connessioni spirituali, e che deve di nuovo essere distinta con cura dalle altre due — cioè dalla loro posizione come oggetto di ricerca e dalla loro posizione come 4 priori della ricerca. Ogni scienza di connessioni spirituali o sociali costituisce una scienza del comportamento ma7z0 (facendo rientrare nell’ambito di tale concetto, in questo caso, ogni atto spirituale e ogni abito psichico). Essa vuole intendere questo comportamento e per questa via interpretare esplicativamente il suo corso. Non possiamo qui trattare il difficile concetto di intendere; a noi interessa, in questo contesto, soltanto una sua specie particolare, cioè l'interpretazione razionale . Noi intendiamo ovviamente senz’altro che un pensatore risolva un determinato problema nel modo che noi stessi riteniamo normativamente corretto , che per esempio un uomo calcoli in maniera 13. Weber allude qui alla Geschichte der Logik im Abendland di Karl Prand, Leipzig, 1855-70. 43. STORiCISMO TEDESCO. 674 MAX WEBER corretta o che impieghi per uno scopo che si propone i mezzi — a nostro parere — corretti . E la nostra comprensione di questi processi è quindi particolarmente evidente, poiché si tratta appunto della realizzazione di ciò che è oggettivamente valido . E tuttavia ci si deve guardare dal credere che in questo caso ciò che è normativamente corretto appaia, dal punto di vista logico, nella medesima struttura che riveste nella sua posizione generale come 4 priori di ogni indagine scientifica. Piuttosto la sua funzione come mezzo dell’intendere è precisamente la stessa che la penetrazione simpatetica puramente psicologica compie nelle connessioni logicamente i irrazionali dei sentimenti e degli affetti, allorché si tratta di conoscerle attraverso la comprensione. Non già la correttezza normativa, bensì da una parte le abitudini convenzionali del ricercatore e del docente a pensare così e non altrimenti, dall’altra però anche, nel caso in cui sia richiesta, la sua capacità di poter penetrare simpateticamente , a scopo di comprensione, in un pensiero che si discosta da quel modo, e che gli appare quindi normativamente falso secondo le sue abitudini, rappresentano qui il mezzo della spiegazione comprendente. Già il fatto che il pensiero falso, cioè l’errore , sia in linea di principio accessibile alla comprensione al pari del pensiero corretto , dimostra infatti che ciò che vale come normativamente corretto viene qui considerato non 12 quanto tale, ma soltanto come un tipo convenzionale, assai facilmente intelligibile. Ciò conduce ora a un'ultima constatazione sulla funzione di ciò che è normativamente corretto nell’ambito della conoscenza sociologica. Già allo scopo di intendere un calcolo, oppure un’asserzione logica falsa, e di stabilire e di rappresentare il suo influire in quelle conseguenze di fatto che ha avuto, si dovrà ovviamente non soltanto provarlo calcolando correttamente , oppure pensando logicamente in maniera corretta, ma anche indicare esplicitamente, con i mezzi del calcolo corretto o della logica corretta , quel punto in cui il calcolo o l’asserzione logica in esame diverge da ciò che l’autore considera da parte sua come normativamente corretto . E ciò non di necessità soltanto per quello scopo pratico-pedagogico, che per esempio Windelband pone in primo piano nell’Introduzione alla sua Geschichte der Philosophie" (stabilire tavole di ammonimento contro vie errate ), e che costituisce soltanto un’auspicabile prodotto secondario del lavoro storico. E ciò neppure perché ogni problematica storiografica, nel cui oggetto rientri no conoscenze logiche o matematiche o scientifiche di altro genere, debba inevitabilmente avere a propria base come unica possibile relazione di valore ultima, decisiva per la selezione, soltanto il valore di verità da noi riconosciuto valido, e quindi il progresso in direzione di questo; sebbene poi, se questo fosse effettivamente il caso, rimarrebbe da tener presente la circostanza sovente constatata da Windelband, che il progresso in questo senso ha varie volte imboccato, invece della strada diretta, quella che in termini economici si può dire la deviazione più redditizia attraverso errori, cioè attraverso confusioni di problemi. Ciò accade invece perché (anzi solo in quanto) quei punti in cui la formazione spirituale, indagata come oggetto, diverge da ciò che l’autore deve ritenere corretto , diventeranno di regola per lui importanti vale a dire specificamente caratteristici ai suoi occhi, e quindi, dal suo punto di vista, o riferiti direttamente ai valori oppure legati in rapporto causale con altri aspetti riferiti ai valori. Ciò avverrà normalmente quanto più il valore di verità di certi princìpi è il valore direttivo di un'esposizione storica, particolarmente della storia di una determinata scienza (per esempio della filosofia o dell’economia politica teorica). Ma questo non è affatto il caso esclusivo. Una situazione almeno analoga sì presenta ovunque un agire soggettivamente razionale, secondo il suo proposito, forma in genere l’oggetto di una rappresentazione, e ovunque errori di pensiero o errori di calcolo possono costituire delle componenti causali del corso dell’agire. Per intendere per esempio la condotta di una guerra si dovrà inevitabilmente immaginare da entrambe le parti sebbene non necessariamente in forma esplicita o dettagliata un ideale comandante supremo, al quale sia nota la situazione generale e la dislocazione delle forze militari contrapposte, e siano pure note e continuamente presenti le possibilità che ne derivano di conseguire il fine, in concreto univocamente determinato, della distruzione della potenza militare avversaria e che in base a questa conoscenza abbia agito senza errori, e anche senza sbagliare logicamente. Soltanto allora si può stabilire con precisione quale influenza ha avuto sull’andamento delle cose la circostanza che i comandanti reali non abbiano posseduto né quella conoscenza né questa immunità dagli errori, e non siano stati in genere delle macchine per pensare razionali. La costruzione razionale ha qui pertanto il valore di servire come mezzo di corretta imputazione causale. Il medesimo senso hanno quelle costruzioni utopiche di un agire razionale rigoroso e privo di errori, che crea la teoria economica pura . Allo scopo dell’imputazione causale di processi empirici noi abbiamo bisogno appunto di costruzioni razionali, tecnico-empiriche o anche logiche, le quali rispondano a questa questione: come, nel caso di una correttezza e non-contraddittorietà assolutamente razionale, sia empiricamente sia logicamente, potrebbe configurarsi (oppure essersi configurata) una certa circostanza, che rappresenta o una connessione esterna dell’agire o anche una formazione concettuale (per esempio un sistema filosofi co). Considerata dal punto di vista logico, la costruzione di una siffatta utopia razionalmente corretta è però soltanto una delle diverse formazioni possibili di un tipo ideale come ho definito (in una terminologia per me preferibile a ogni altra espressione) tali costrutti concettuali. Infatti non soltanto è possibile concepire, come si è detto, dei casi in cui una conclusione caratteristicamente fa/sa oppure un determinato atteggiamento tipico contrario allo scopo possono rendere, come tipo ideale, un migliore servizio; ma soprattutto vi sono intere sfere di atteggiamento (le sfere dell’ irrazionale ), nelle quali può meglio servire a tale proposito non già il massimo di razionalità logica, bensì semplicemente una univocità conseguita mediante l’astrazione isolante. Di fatto il ricercatore impiega assai spesso dei tipi ideali costruiti in maniera normativamente corretta . Considerata logicamente, però, la correttezza normativa di questi tipi non è cosa essenziale. Ma un ricercatore può, per caratterizzare per esempio una forma specifica di coscienza tipica agli uomini di un’epoca, costruire sia un tipo di coscienza che gli appare personalmente conforme alla normasotto il profilo etico, e quindi in tal senso oggettivamente corretta , sia un tipo che gli appare invece eticamente opposto alla norma per comparare con esso l'atteggiamento degli uomini sui quali sta indagando oppure può infine costruire anche un tipo di coscienza a cui egli personalmente non attribuisce nessun predicato positivo o negativo di qualsiasi specie. Ciò che è normativamente corretto non ha nessun monopolio per questo scopo. Infatti, quale che sia il contenuto di un tipo ideale razionale sia che esso rappresenti una norma di fede etica, giuridica, estetica o religiosa, oppure una massima di politica giuridica o sociale o culturale, oppure una valutazione di qualsiasi specie espressa nella forma il più possibile razionale la sua costruzione ha sempre, nell’ambito delle indagini empiriche, soltanto lo scopo di comparare con esso la realtà empirica, e di stabilire il suo contrasto o la sua lontananza da essa oppure il suo relativo accostarsi ad essa, per poterla descrivere e intendere mediante l'imputazione causale e quindi spiegarla, facendo uso di concetti intelligibili 11 più possibile univocamente. Queste funzioni esplica, per esempio, l’elaborazione concettuale della dogmatica giuridica per la disciplina empirica della storia del diritto, e così pure la dottrina del calcolo razionale per l’analisi dell’atteggiamento reale delle singole economie nell’economia acquisitiva. Entrambe le discipline dogmatiche ora citate hanno naturalmente inoltre, in quanto dottrine tecniche , scopi eminentemente pratico-normativi. Ed entrambe sono, in tale loro qualità di scienze dogmatiche, così poco empiriche nel senso qui discusso come possono esserlo la matematica o la logica, l’etica normativa o l’estetica, da cui del resto esse differiscono, per altri motivi, tanto quanto queste sono anche diverse tra loro. La teoria economica, infine, è ovviamente una dogmatica in senso logicamente assai diverso da quello, per esempio, della dogmatica giuridica. I suoi concetti si riferiscono alla realtà economica in maniera specificamente diversa da quella in cui i concetti della dogmatica giuridica si riferiscono alla realtà dell’oggetto della storia o della sociologia del diritto. Ma, come i concetti dogmatici della scienza giuridica possono e debbono venir impiegati da queste ultime come tipi ideali , così questa specie di impiego per la conoscenza della realtà sociale presente e passata costituisce addirittura il senso esclusivo della teoria economica pura. Essa formula determinati presupposti, che nella realtà non si trovano quasi mai attuati in forma pura, ma che si riferiscono ad essa con un diverso grado di approssimazione, chiedendosi come in base ad essi verrebbe a configurarsi l’agire sociale degli uomini, qualora esso procedesse in maniera strettamente razionale. Essa assume, in particolare, il predominio di puri interessi economici ed esclude quindi l'influenza di orientamenti politici o di altra specie non economica. In essa ha però avuto luogo il tipico procedere di una confusione di problemi . Infatti quella pura teoria non-statale , amorale , individualistica , che è stata e sarà sempre indispensabile come strumento metodico, è stata concepita dalla scuola liberistica radicale come una copia esauriente della realtà naturale, cioè della realtà che non è stata falsata dalla stupidità umana, e inoltre, in base a ciò, come un dover essere come un ideale valido nella sfera normativa, che si poneva al posto di un tipo ideale utilizzabile per la ricerca empirica intorno a ciò che è. Allorché i mutamenti di valutazione dello stato, prodottisi nella politica economica e sociale, provocarono una ripercussione nella sfera valutativa, questa ripercussione colpì di nuovo la sfera dell’essere; di modo che la teoria economica pura fu rigettata non soltanto come espressione di un ideale sebbene essa non avesse mai potuto pretendere tale dignità ma anche come metodo per la ricerca sulla realtà di fatto. Considerazioni filosofiche di specie più diversa dovevano sostituire la pragmatica razionale; e l’identificazione di ciò che è psicologicamente con ciò che vale eticamente rendeva ineseguibile una precisa distinzione della sfera della valutazione dal lavoro empirico. Le straordinarie prestazioni degli esponenti di questo sviluppo scientifico nel settore storico o sociologico o politico-sociale sono ormai universalmente riconosciute; ma chi giudichi in maniera impregiudicata deve pur riconoscere la completa caduta, durata per decenni, del lavoro teorico e in genere di una rigorosa scienza economica, che quella mescolanza di problemi ha avuto per sua naturale conseguenza. Una delle due tesi principali, con cui lavoravano gli avversari della teoria pura, sosteneva che le costruzioni RAZIONALI di questa fossero pure finzioni , le quali non asseriscono nulla sulla realtà dei fatti. Correttamente intesa, questa affermazione è valida. Infatti le costruzioni teoriche sono soltanto al servizio della conoscenza della realtà che da sole non possono fornire; e anche nel caso estremo questa realtà, per la cooperazione di altre circostanze e serie di motivi, non contenute nei loro presupposti, risulta soltanto approssimata rispetto al corso così costruito. Ciò non dimostra certamente nulla, secondo quanto si è detto, contro l’utilità e la necessità della teoria pura. La seconda tesi sosteneva che non potesse esserci in ogni caso una dottrina avalutativa concernente la politica economica, formulata scientificamente. Essa è naturalmente del tutto falsa, tanto falsa che proprio l’ avalutatività nel senso precedentemente illustrato rappresenta il presupposto di ogni considerazione puramente scientifica della politica, in particolare di quella sociale ed economica. Non occorre qui ripetere che è evidentemente possibile, e scientificamente utile e necessario, formulare proposizioni di questo tipo: per conseguire l’effeto (politico-economico) x, y è il solo mezzo, oppure date le condizioni di, 52, d3 Yi Y yY: sono i soli mezzi, o i mezzi più appropriati. E c’è soltanto bisogno di accennare che il problema consiste nella possibilità di un'assoluta urivocità di designazione dello scopo a cui si tende. Se questa ha luogo, allora si tratta di una semplice inversione di proposizioni causali, e quindi di un problema puramente tecnico . Proprio perciò la scienza non è affatto costretta, in tutti questi casi, a concepire queste proposizioni teleologiche di carattere tecnico diversamente che come semplici proposizioni causali, cioè in questa forma: a y segue sempre, oppure a Yi, Ya 7: Se gue, nelle condizioni è;, 6, 6, l’effetto x. Infatti ciò vuol dire precisamente la stessa cosa, e l’uomo pratico può facilmente derivarne dei precetti . Ma la dottrina scientifica dell'economia ha pure alcuni altri compiti, accanto alla determinazione di pure formule tipico-ideali da un lato e dall'altro alla determinazione di tali connessioni economiche particolari, di carattere causale poiché si tratta senza eccezione di connessioni di questo genere, se x è abbastanza uzivoco, e se quindi l'imputazione dell’effetto alla causa, cioè del mezzo allo scopo, dev'essere abbastanza rigorosa. Esso deve inoltre indagare la totalità dei fenomeni sociali nel modo in cui sono condizionati da cause economiche; e ciò mediante l’interpretazione della storia e della società sotto il profilo economico. E d'altra parte essa deve pure determinare il condizionamento dei processi e delle forme di economia da parte dei fenomeni sociali, secondo le loro diverse forme e i loro diversi stadi di sviluppo; e ciò mediante la storia economica e la sociologia dell'economia. Entro questi fenomeni sociali rientrano evidentemente, e certo in prima linea, le azioni e le formazioni politiche, in particolare lo stato e il diritto garantito statalmente: ma, è pure ovvio, non soltanto quelle politiche bensì la totalità di quelle formazioni che influenzano l’economia, in n grado abbastanza rilevante per l'interesse scientifico. Indicare l'insieme di questi problemi come una dottrina della « politica economica sarebbe naturalmente assai poco appropriato. L’uso che tuttavia se ne fa a tale scopo può soltanto venir spiegato esteriormente in base al carattere delle università come istituti educativi per funzionari statali, e interiormente in base agli enormi strumenti che lo stato possiede per influire in modo intensivo sulla vita economica, e quindi in base all'importanza pratica della sua considerazione. Non occorre constatare di nuovo che in tutte queste indagini è sempre possibile invertire le asserzioni sul rapporto « causa-effetto in asserzioni sul rapporto « mezzo-scopo , quando la conseguenza in questione può essere stabilita con sufficiente univocità. In tale maniera il rapporto logico tra sfera della valutazione e sfera della conoscenza empirica non risulta naturalmente affatto mutato. E solo più a una cosa rimane, al termine di questa analisi, da accennare. Lo sviluppo degli ultimi decenni, e specialmente gli avvenimenti senza precedenti di cui siamo oggi testimoni, hanno potentemente accresciuto il prestigio dello stato. Ad esso soltanto, tra tutte le comunità sociali, viene oggi attribuita una forza «legittima sulla vita, la morte e la libertà; e i suoi organi ne fanno uso, in guerra contro i nemici esterni, in pace e in guerra contro gli oppositori interni. Esso è in pace il maggiore imprenditore economico e il più potente esattore di tributi dei cittadini; in guerra dispone nella maniera più illimitata di tutti i beni economici che gli sono accessibili. La sua moderna forma razionale di organizzazione ha reso possibile, in numerosi settori, compiti che senza dubbio nessun agire associato di altra specie avrebbe potuto eseguire, neppure in modo approssimato. Non poteva non accadere che da ciò si traesse la conseguenza che lo stato deve anche essere soprattutto nelle valutazioni che si muovono entro il campo della « politica il « valore ultimo, e che ogni agire sociale deve, in ultima analisi, venire commisurato ai suoi interessi di esistenza. Solo che anche questo processo costituisce una trasposizione, del tutto indebita, di fatti della sfera dell’essere in norme della sfera della valutazione pur prescindendo qui dalla mancanza di univocità delle conseguenze tratte da quella valutazione, come appare subito da ogni considerazione dei mezzi (per la conservazione o l’incremento dello stato ). Entro la sfera dei puri fatti oggettivi si deve far valere anzitutto, di fronte a quel prestigio, la constatazione che lo stato 207 può certe cose. E ciò anche nei campi che risultano i suoi domini più propri, come in quello militare. L'osservazione di alcuni fenomeni che la guerra attuale ha reso manifesti negli eserciti di stati razionalmente eterogenei ci insegna che la libera dedizione dell'individuo al compito che il suo stato rappresenta una dedizione che lo stato non può imporre è tutt'altro che indifferente per il successo militare. E per il campo economico basta accennare che la trasposizione di forme e di principi dell’economia bellica in forma di fenomeni permanenti di pace potrebbe rapidamente avere conseguenze che condurrebbero in rovina, proprio per i suoi sostenitori, l'ideale di uno stato espansivo. Su questo, tuttavia, non occorre soffermarci più a lungo. Nella sfera della valutazione è però possibile sostenere, in maniera pienamente dotata di senso, il punto di vista che vorrebbe veder rafforzata il più possibile la potenza dello stato come mezzo coercitivo contro ogni resistenza, ma che d'altra parte gli nega qualsiasi valore proprio e lo qualifica come un mero strumento tecnico per la realizzazione di valori del tutto diversi, dai quali soltanto esso potrebbe prendere in prestito la sua dignità e mantenerla anche solo finché non cercasse di spogliarsi di questo suo compito ausiliario. Naturalmente qui non si deve né svolgere né sostenere questo o qualsiasi altro possibile punto di vista valutativo. Si deve però soltanto ricordare che, se ce n'è qualcuna, l'obbligazione più particolarmente appropriata a pensatori di professione consiste nel mantenere di fronte agli ideali dominanti al momento, anche di fronte ai più forniti di maestà, una mente fredda, nel senso di rimanere personalmente capace di nuotare contro la corrente . Le idee tedesche del 1914 furono un prodotto da letterati”. Il socialismo del futuro è una frase per la razionalizzazione dell'economia, da attuarsi mediante una combinazione di burocratizzazione ulteriore e di amministrazione da parte di un gruppo organizzato di individui interessati. Quanto il fanatismo dei patrioti di ufficio della politica economica invoca per queste misure puramente tecniche, in luogo di una discussione oggettiva della loro opportunità, in buona parte condizionata semplicemente dalla politica finanziaria, la consacrazione non soltanto della filosofia tedesca ma anche della religione come oggi avviene in ampie proporzioni ciò non rappresenta altro che una ripugnante degenerazione di gusto di letterati che si reputano importanti. Come possano 0 debbano apparire le reali idee tedesche del 1918, alla cui elaborazione avranno parte anche i reduci dalla guerra, nessuno può oggi ben prevedere. Ma da queste dipenderà appunto il futuro. 15. Weber si riferisce qui al manifesto nazional-socialista pubblicato nel 1916 dal sociologo tedesco Johann Plenge, col titolo 1789 und 1914: die symbolische Jahre in der Geschichte des politischen Geistes, nel quale le idee tedesche del 1914 erano contrapposte ai princìpi della Rivoluzione francese. Per assecondare il vostro desiderio, dovrò parlare della scienza come professione . Ebbene, è una specie di pedanteria di noi economisti, alla quale voglio attenermi, quella di prender sempre le mosse dalla situazione esteriore, e quindi, nel caso nostro, dalla domanda: come si configura la scienza come professione nel senso materiale della parola? E questo, in sostanza, oggi praticamente significa: qual è la situazione di un laureato che abbia deciso di dedicarsi per professione alla scienza nell’ambito della vita accademica? Per comprendere in che cosa consista su questo punto la particolarità della situazione tedesca, è opportuno procedere comparativamente, rendendoci conto di come stiano le cose nel paese straniero che sotto questo aspetto presenta la più recisa antitesi con le nostre condizioni, e cioè negli Stati Uniti. Da noi come tutti sanno un giovane che si dedichi alla scienza come professione, inizia normalmente la sua carriera come libero docente . Dopo essersi consultato col professore titolare della materia e averne avuto l'approvazione, egli consegue l’abilitazione in una università, in base a un libro e a un esame, per lo più semplicemente formale, da parte della facoltà, dopo di che tiene lezioni senza stipendio, compensato soltanto mediante le tasse d'iscrizione al suo corso intorno all'argomento da lui scelto entro i limiti della sua verza * Wissenschaft als Beruf (conferenza tenuta all’Università di Monaco, 1919), raccolto nel volume Gesammelte Aufsitze zur Wissenschaftslehre, Tiibingen, J. C. B. Mohr, 1922, 4* ed. (a cura di Johannes Winckelmann) 1973, pp. 582-613 (La scienza come professione, tr. it. di Antonio Giolitti, in Il lavoro intellettuale come professione, Torino, Einaudi, 1948, pp. 41-77). legendi. In America la carriera universitaria comincia normalmente in modo del tutto diverso, e cioè con l'assunzione in qualità di assistente: qualcosa di simile a quel che avviene di solito nei nostri grandi istituti delle facoltà di scienze naturali e di medicina, dove è soltanto una frazione degli assistenti ad aspirare spesso solo dopo parecchio tempo alla formale abilitazione a libero docente. La differenza significa praticamente che da noi la carriera di un uomo di scienza poggia interamente su presupposti plutocratici. Giacché, per un giovane studioso privo di disponibilità patrimoniali, è estremamente arrischiato esporsi, in linea generale, alle condizioni imposte dalla carriera accademica. Egli deve poter tirare avanti almeno un certo numero di anni senza sapere in nessun modo se avrà in seguito la possibilità di riuscire a raggiungere una posizione che gli permetta di provvedere al proprio mantenimento. Viceversa, negli Stati Uniti vige il sistema burocratico. Là il giovane è pagato fin dall’inizio. Modestamente, si capisce: lo stipendio, il più delle volte, raggiunge appena il livello del salario di un operaio a un grado minimo di specializzazione. Tuttavia egli comincia pur sempre con una posizione apparentemente sicura, giacché percepisce un compenso fisso. Ma è previsto che possa essere licenziato, come i nostri assistenti, e tale sorte lo attende spesso inesorabilmente se non corrisponde alle aspettative che si ripongono in lui. Tali aspettative però si limitano a che insegni ad aula esaurita . Ciò non può capitare a un libero docente tedesco. Una volta che egli lo diventa, non ci si libera più di lui. Certamente egli non ha diritti. Tuttavia ha motivo di pensare che, dopo un'attività di alcuni anni, gli spetti una specie di diritto morale a esser preso in considerazione: anche e ciò è spesso importante quando si tratti dell’eventuale abilitazione di altri liberi docenti. La questione se in linea di principio si debba dare l’abilitazione a qualunque studioso di provata capacità o se invece si debba tener conto dei bisogni dell’insegnamento , attribuendo così ai docenti già abilitati un monopolio dell’insegnamento, è un penoso dilemma connesso con quel doppio aspetto della professione universitaria a cui ora accenneremo. Di solito, si decide per la seconda alternativa. Ma ciò aumenta il pericolo che il titolare della materia în questione, nonostante la massima coscienziosità soggettiva, dia la preferenza ai propri scolari. Personalmente, io ho seguito il principio sia detto di passaggio che uno studioso laureato con me debba dar prova di sé e conseguire l'abilitazione presso n altro professore e in un’altra università. Ma il risultato fu che uno dei miei più valenti allievi venne respinto perché nessuno credette che tale fosse il motivo del suo trasferimento. Un'altra differenza rispetto all'America è la seguente: da noi, il libero docente è in generale meno occupato con le lezioni di quanto egli stesso desidererebbe. Senza dubbio avrebbe il diritto di tenere tutte le lezioni della sua materia. Ma ciò viene considerato una sconveniente mancanza di riguardo verso i docenti più anziani, e di regola le lezioni importanti sono tenute dal titolare della cattedra, mentre il docente si accontenta di lezioni 4 latere. Egli ne trae il vantaggio, sia pure involontariamente, di poter disporre degli anni della giovinezza per il lavoro scientifico. Tutto ciò in America è organizzato in maniera fondamentalmente diversa. Proprio nei primi anni il docente è assolutamente sovraccarico di lavoro, appunto perché è pagato. In un dipartimento di germanistica, per esempio, il professore ordinario terrà un corso di tre ore settimanali su Goethe e basta, mentre l'assistente più giovane sarà ben contento se con dodici ore settimanali, oltre all'insegnamento elementare della lingua tedesca, gli verrà assegnato qualche altro argomento su un poeta della levatura di Uhland'. Infatti sono gli organi ufficiali della facoltà a prescrivere il programma di insegnamento, al quale l’assistente americano è altrettanto vincolato quanto da noi l’assistente d’istituto. Possiamo ora vedere chiaramente come da noi il più recente sviluppo dell’organizzazione universitaria in vasti settori della scienza segua l'orientamento di quella americana. I grandi istituti per gli studi di medicina o di scienze naturali sono imprese capitalistiche di stato . Non possono esser amministrati senza grandi mezzi. E anche lì si verifica, come in ogni 1. Johann Ludwig Uhland, poeta romantico tedesco, autore anche di drammi storici, di studi sull’antica letteratura tedesca e di volumi sulla mitologia germanica: prese parte alla vita politica dell'età della Restaurazione, aderendo a posizioni nazionali-liberali, e nel 1848 fu membro dell'assemblea di Francoforte. impresa capitalistica, la separazione del lavoratore dai mezzi di produzione . Il lavoratore, vale a dire l’assistente, è ridotto a servirsi degli strumenti che lo stato mette a sua disposizione; egli viene pertanto a dipendere dal direttore d’istituto allo stesso modo dell’impiegato in una fabbrica giacché quel direttore s'immagina, in perfetta buona fede, che l'istituto sia swo e vi fa da padrone e la sua posizione è spesso altrettanto precaria come quella di un qualsiasi proletaroide o di un assistente di università americana. La nostra vita universitaria tedesca va americanizzandosi, come la nostra vita in generale, in certi punti assai importanti, e questo sviluppo ne sono convinto si estenderà in seguito anche a quei campi dove, come avviene ancor oggi in larga misura nel mio, è l’artigiano stesso a possedere lo strumento di lavoro (essenzialmente la biblioteca), in modo del tutto analogo all’artigiano d’altri tempi nell’ambito del suo mestiere. Il processo è in pieno sviluppo. I vantaggi tecnici sono assolutamente indiscutibili, come in ogni azienda capitalistica e al tempo stesso burocratizzata. Ma lo spirito che vi domina è tutt'altro dall’antica atmosfera tradizionale delle università tedesche. C'è un abisso straordinariamente profondo, esteriormente e interiormente, tra il dirigente di una simile grande impresa capitalistica universitaria e il solito professore ordinario di vecchio stile: anche nell’atteggiamento interiore. Non posso qui dilungarmi su questo punto. Tanto all'interno quanto all’esterno l'antico ordinamento universitario è diventato fittizio. Ma è rimasto, e anzi si è sostanzialmente accentuato, un motivo caratteristico della carriera universitaria: il fatto che un simile libero docente, divenuto ormai un assistente, riesca finalmente a insediarsi nella posizione di ordinario o di direttore d'istituto, costituisce un’opportunità che è un mero caso. Senza dubbio non domina soltanto il caso, ma esso ha tuttavia un'influenza straordinariamente grande. Non conosco quasi altre carriere al mondo dove esso abbia una parte così grande. Tanto più sono in grado di dirlo io che personalmente devo ad alcune circostanze meramenti accidentali di esser stato chiamato giovanissimo, ai miei tempi, alla cattedra di una materia nella quale allora altri della mia età avevano senza dubbio acquisito meriti maggiori dei miei. E in base a questa esperienza presumo di avere una vista più acuta per scorgere l’immeritata sorte dei molti ai quali il caso ha giocato e ancora gioca il tiro opposto e che, nonostante tutta la loro capacità, non giungono attraverso quell’apparato selettivo al posto che loro spetterebbe. Che il caso e non la capacità in quanto tale abbia una parte così grande, non dipende soltanto, e nemmeno prevalentemente, dalle debolezze umane che naturalmente s'incontrano in questo processo di selezione come in tutti gli altri. Sarebbe ingiusto attribuire a deficienze personali di facoltà o di ministeri la responsabilità del fatto che indubbiamente vi siano tante mediocrità a esercitare una parte preponderante nelle università. Ciò fa parte delle leggi dell’agire in comune degli uomini, e specialmente di più organismi, cioè nel caso nostro delle facoltà proponenti e dei ministeri. Eccone una riprova: possiamo seguire attraverso i secoli le vicende delle elezioni papali, ossia il più importante esempio che ci sia dato controllare di una selezione personale del medesimo tipo. Soltanto di rado il cardinale di cui si dice che è il favorito riesce eletto: di regola tocca al candidato numero due o numero tre. La stessa cosa avviene col presidente degli Stati Uniti: per lo più è il numero due e spesso il numero tre, e solo eccezionalmente l’uomo più quotato ma anche più eminente, quello che entra nella nomination delle convenzioni di partito e quindi nel processo elettorale. Gli Americani hanno già creato espressioni sociologiche tecniche per queste categorie e sarebbe davvero interessante cercare in questi esempi le leggi di una selezione mediante la formazione di una volontà collettiva. Non lo faremo ora. Ma esse valgono anche per i corpi accademici, e c'è da meravigliarsi non già che ne scaturiscano frequenti errori, bensì del numero pur sempre assai rilevante, da un punto di vista relativo, delle nomine giuste. Soltanto dove si ha l'intervento per motivi politici, di parlamenti come in alcuni paesi o, come prima da noi, di monarchi (entrambi operano allo stesso modo), oppure, come adesso, di rivoluzionari impadronitisi del potere, si può esser certi che tutte le probabilità di successo vanno soltanto alle accomodanti mediocrità o agli arrivisti. Nessun professore universitario ripensa volentieri alle discussioni per le nomine, perché di rado sono piacevoli. Tuttavia posso affermare che in numerosissimi casi di cui sono a conoscenza, mai è mancata la buona volontà di far dipendere la decisione da motivi puramente oggettivi. Bisogna infatti mettere in chiaro che non dipende soltanto dall’inadeguatezza della selezione in virtù di formazione di una volontà collettiva se nella decisione delle sorti accademiche ha tanta importanza il caso . Ogni giovane che senta la vocazione dello studioso deve piuttosto rendersi ben conto che il compito a cui si accinge presenta un duplice volto. Deve avere non soltanto i requisiti dello studioso ma anche quelli dell'insegnante. Non è affatto detto che gli uni e gli altri coincidano. Si può essere uno studioso insigne e al tempo stesso un pessimo maestro. Basta rammentare l’attività d’insegnamento di uomini come Helmholtz e come Ranke. E non si tratta di eccezioni rare. Ma le cose stanno ora in modo che le nostre università, specialmente quelle piccole, si fanno la concorrenza più ridicola per le frequenze. Le affittacamere delle città universitarie celebrano come una festa il millesimo studente, e il duemillesimo possibilmente con una fiaccolata. Gli interessi di propina dei singoli corsi bisogna ammetterlo apertamente risentono della nomina di un titolare di grido in qualche cattedra affine, e anche prescindendo da ciò il numero degli uditori fornisce una tangibile testimonianza in cifre, mentre le qualità di dottrina sono imponderabili e spesso (com'è del tutto naturale) addirittura contestate nel caso di arditi innovatori. Perciò nella maggior parte dei casi tutto soggiace a questa suggestione della benedizione e del valore incommensurabili del numeroso uditorio. Se di un docente si dice che è un cattivo maestro, ciò equivale per lo più alla sua condanna a morte nel campo universitario, quand’anche si tratti del primo dotto del mondo. Ma la questione se egli sia un buono o un cattivo maestro trova risposta nella frequenza di cui lo onorano i signori studenti. Sta però di fatto che, se gli studenti si affollano intorno a un professore, ciò è determinato in larghissima misura da circostanze meramente esteriori, come il temperamento o perfino l’inflessione di voce e ciò a un punto tale che non si crederebbe possibile. Dopo un'esperienza in ogni modo abbastanza lunga e una fredda riflessione, ho concepito una profonda sfiducia verso i corsi universitari di massa, per Max Weber nel 1919. quanto non si possa certo farne a meno. La democrazia dev’essere applicata dove si conviene. Ma l’insegnamento scientifico, quale dobbiamo esercitarlo nelle università tedesche in conformità alla loro tradizione, è una faccenda non dissimuliamocelo di aristocrazia dello spirito. D'altra parte è certamente vero che saper esporre i problemi scientifici in modo da renderli accessibili a una mente incolta ma capace d’intendere, e da metter questa in grado di farsene un'idea propria ciò che per noi è l’unica cosa decisiva costituisce forse il compito pedagogicamente più difficile. Senza dubbio: ma non è il numero degli uditori a decidere se esso sia stato risolto. E quest’arte costituisce appunto per ritornare al nostro argomento un dono personale e non coincide affatto necessariamente con le qualità scientifiche di uno studioso. A differenza dalla Francia, però, noi non abbiamo alcuna corporazione degli immortali della scienza, ma per la nostra tradizione sono le università che devono soddisfare a entrambe le esigenze: quella della ricerca e quella dell’insegnamento. Ma è un puro caso che le capacità necessarie a questo scopo si ritrovino tutte nello stesso individuo. La vita accademica è quindi abbandonata al cieco caso. Quando dei giovani studiosi vengono a chiedere consiglio per l'abilitazione, la responsabilità che ci si assume accedendo alla richiesta è quasi intollerabile. Se si tratta di un ebreo, gli si risponde, naturalmente: lasciate ogni speranza . Ma anche a chiunque altro bisogna domandare, in coscienza: credete di poter sopportare di vedervi passare avanti, di anno in anno, una mediocrità dietro l’altra, senza amareggiarvi e intristirvi l'animo? E ogni volta la risposta è evidentemente la stessa: naturalmente, io vivo solo per la mia vocazione; ma per mio conto ho saputo solo di pochissimi che abbiano retto senza risentirne un danno interiore. Questo mi sembrava necesssario dire intorno alle condizioni esteriori della professione di studioso. Credo però che voi vogliate in realtà sentir parlare di qualcosa d'altro, e precisamente della vocazione interiore alla scienza. Al giorno d'oggi l’esercizio della scienza come professione è condizionato, sul piano interiore, dal fatto che la scienza è pervenuta a uno stadio di specializzazione prima sconosciuto, e tale rimarrà sempre in futuro. Non soltanto esteriormente, no certo, ma proprio interiormente, le cose stanno in modo che soltanto nel caso di un’estrema specializzazione l’individuo può avere sicura coscienza di produrre qualcosa di realmente perfetto nel campo scientifico. Tutti i lavori che sconfinano in campi contigui, come talvolta ci capita di fare, e come per esempio noi sociologi dobbiamo sempre fare, sono gravati dalla rassegnata coscienza di fornire tutt'al più allo specialista un'’utile impostazione di qualche problema nel quale non gli sarà tanto facile imbattersi nel suo campo specifico, cosicché il proprio lavoro non potrà non rimanere estremamente imperfetto. Soltanto attraverso una rigorosa specializzazione l’uomo di scienza può giungere una volta e forse mai più nella vita a dire con sicura coscienza: ho prodotto qualcosa che durerà. Un'opera realmente definitiva e valida è oggi sempre un'opera specializzata. Resti quindi discosto dalla scienza chi non è capace di mettersi, per dir così, dei paraocchi, e di pervenire all’idea che il destino della propria anima dipende appunto dall’esattezza, poniamo, di questa congettura proprio di questa rispetto a quel passo di quel manoscritto. Altrimenti egli non avrà mai fatto dentro di sé ciò che può chiamarsi l’ esperienza vissuta della scienza. Senza questa strana ebbrezza, derisa dai non iniziati, senza questa passione, questo dovevano passare millenni prima che tu venissi al mondo, e altri millenni attendono in silenzio* tutto per il successo di questa tua congettura m0n c’è vocazione per la scienza e bisogna scegliere un’altra via. Infatti per l’uomo in quanto uomo, nulla ha valore di ciò che non può fare con passione. Ora, però, sta di fatto che, per quanto grande, genuina e profonda possa essere tale passione, il risultato appare ancora lontano. Essa è certamente una condizione preliminare per il fattore decisivo: l’ ispirazione . È vero che oggi negli ambienti giovanili è assai diffusa l'opinione che la scienza sia diventata un esercizio di calcolo da eseguirsi nei laboratori o nelle cartoteche statistiche col solo ausilio del freddo intelletto e non con tutta l’ anima , allo stesso modo di quel che avviene in una fabbrica. A questo proposito si deve anzitutto osservare 2. Il passo citato è di Carlyle. che per lo più queste persone non hanno un'idea chiara di quel che avviene in una fabbrica più di quanto l’abbiano di ciò che avviene in un laboratorio. Nell’uno o nell’altra all'uomo deve venire in mente un'idea e proprio l'idea giusta per produrre qualcosa che abbia veramente valore. Ma quell'idea non si ottiene per forza. Non ha nulla a che fare con un qualsiasi freddo calcolo. Senza dubbio anche questa è una condizione imprescindibile. Nessun sociologo, per esempio, avrà da pentirsi se, anche nei suoi tardi anni, avrà speso qualche mese intorno a molte decine di migliaia di elementi di calcolo del tutto banali. Non si può ricorrere impunemente ai soli mezzi meccanici, se si vuol conseguire qualche risultato; e quel che in definitiva si ricava è spesso irrisorio. Ma chi non ha un'idea determinata sullo scopo del calcolo e, durante il calcolo stesso, sulla portata dei risultati singoli, non ne trae neppure quel minimo. Normalmente l’ idea si prepara a germogliare soltanto sul terreno del duro lavoro. Non sempre, s'intende. L’idea di un dilettante può avere un'importanza identica o maggiore di quella di uno specialista. Molte delle nostre impostazioni e delle nostre conoscenze più importanti sono dovute proprio ai dilettanti. Il dilettante si distingue dallo specialista — come ha detto Helmholtz a proposito di Robert Mayer? — solo in quanto gli manca la precisa sicurezza del metodo di lavoro e non è quindi in grado di controllare 2 posteriori la portata della sua idea e di apprezzarla o applicarla. L'idea non sostituisce il lavoro. E il lavoro dal canto suo non può sostituire 0 suscitare a forza l’idea più di quanto non possa farlo la passione. L'una e l’altro — e specialmente tutti e due insieme — la maturano. Ma essa viene quando le aggrada e non quando pare a noi. È infatti vero che le cose migliori vengono in mente, come dice Ihering, fumando il sigaro sul divano oppure — come narra di sé Helmholtz con precisione di naturalista — passeggiando per una strada lievemente in salita, e via dicendo, ma sempre, comunque, quando non si sta in loro attesa, non già durante l’ansia e lo sforzo di ricerca a tavolino. Mayer, medico e fisico tedesco, autore del volume Dic organische Bewegung in ihren Zusammenhinge mit dem Stoffwechsel (1845), contribuì alla formulazione del principio della conservazione dell'energia: fu oggetto di aspra critica da parte di Helmholtz, Certo, però, non sarebbero venute in mente senza i precedenti appassionanti problemi e senza quel tormento a tavolino. Comunque sia, l’uomo di scienza deve anche tener conto di quel caso che non va disgiunto da qualsiasi lavoro scientifico: verrà o no l’ispirazione? Si può essere un impareggiabile lavoratore e non avere mai avuto una propria idea originale. Ma è un grave errore credere che ciò avvenga soltanto nella scienza e che in un’azienda, per esempio, le cose stiano diversamente che in un laboratorio. Un commerciante o un grande industriale privo di fantasia negli affari, cioè senza idee, senza idee geniali, rimarrà per tutta la vita, nel migliore dei casi, un semplice commesso o un impiegato tecnico: non creerà mai qualcosa di vitale nell’organizzazione. Nel campo della scienza l’ispirazione non ha affatto un'importanza maggiore — come immagina la presunzione degli studiosi — che nel campo dei problemi della vita pratica che deve padroneggiare un imprenditore moderno. E d'altra parte la sua importanza non è minore — come spesso erroneamente si crede — che nel campo dell’arte. È puerile pensare che a tavolino, munito di un regolo o di altri mezzi meccanici o di macchine calcolatrici, il matematico giunga a un risultato di qualche valore scientifico; la fantasia matematica di un Weierstrass* si presenta naturalmente orientata in modo del tutto diverso, nel suo senso e nel suo risultato, da quella di un artista, e anche sotto il profilo qualitativo è fondamentalmente differente. Non però quanto al procedimento psicologico. Entrambi sono esaltazione (nel senso della mania di Platone) e ispirazione . Ora, che uno abbia ispirazioni scientifiche, dipende da un destino a noi ignoto, ma soprattutto da un dono, Un atteggiamento, di cui è ben comprensibile la popolarità specialmente tra i giovani, si è schierato — e quell’indubitabile verità non è certo l’ultima ragione di ciò — in favore di alcuni idoli il cui culto vediamo oggi trionfare a tutti gli angoli di strada e in tutte le riviste. Tali idoli sono la personalità e l’esperienza vissuta . L'una e l’altra sono strettamente connesse: 4.Karl Theodor Wilhelm Weicrstrass, matematico tedesco, autore di numerosi scritti raccolti nelle Gesammelte Abhandiungen, diede importanti contributi alla teoria delle funzioni. l'opinione dominante è che la seconda sia costitutiva della prima e le appartenga. Ci si tormenta per vivere la propria esperienza — giacché questo fa parte del modo di vivere che si addice a una personalità — e non potendo riuscirvi bisogna almeno fare come se si possedesse questa grazia. Una volta questa esperienza vissuta si chiamava in tedesco Sensation. E di quel che fosse e significasse la personalità , si aveva allora — ritengo — un'idea più esatta. Egregi ascoltatori! Nel campo scientifico ha una sua personalità soltanto chi serve puramente la causa. E ciò non si verifica soltanto in campo scientifico. Non conosciamo alcun grande artista che non si sia interamente dedicato alla propria causa e che abbia servito altri all’infuori di questa. Perfino una personalità della levatura di Goethe non ha potuto impunemente per quel che concerne la sua arte prendersi la libertà di voler fare un’opera d’arte della propria vita. Ma se pure non si voglia ammetterlo, bisogna tuttavia essere un Goethe per poterselo permettere, e ognuno dovrà convenire almeno sul fatto che nessuno mai ne è uscito immune, neppure lui, la cui figura è unica nel corso di millenni. Le cose non stanno altrimenti in politica: ma di ciò non si parlerà oggi. Nel campo della scienza non è certo una personalità colui il quale, al modo di un impresario, porta se stesso alla ribalta insieme alla causa a cui dovrebbe dedicarsi, e vorrebbe giustificare se medesimo col vivere la propria esperienza , e domanda: come dimostrerò di essere qualcosa di più di un semplice specialista, come riuscirò a dire qualcosa che non sia stato ancor detto da nessuno nella stessa forma o con lo stesso contenuto? Un fenomeno, questo, che oggi si osserva su larga scala e che lascia ovunque un’impronta di meschinità, avvilendo colui che si pone una simile domanda, laddove soltanto l’intima dedizione al proprio compito, e ad esso soltanto, può innalzarlo all’altezza e alla dignità della causa che pretende servire. Né diversamente avviene per l'artista. Contrapposto a queste condizioni preliminari che il nostro lavoro ha in comune con l’arte, esiste un destino che lo differenzia profondamente dal lavoro dell’artista. Il lavoro scientifico è inserito nel corso del progresso. E viceversa nessun progresso in questo senso si attua nel campo dell’arte. Non è vero che un’opera d’arte di un'epoca in cui siano stati elaborati nuovi mezzi tecnici o, per esempio, le leggi della prospettiva, si trovi per questa ragione a un più alto livello, sul piano puramente artistico, di un’opera d’arte priva di ogni conoscenza di quei mezzi e di quelle leggi se questa non è formalmente o materialmente manchevole, cioè se ha scelto e plasmato il proprio oggetto come era possibile fare a regola d’arte senza l'applicazione di quelle condizioni e di quei mezzi. Un'opera d’arte veramente compiuta non viene mai superata, non invecchia mai; l’individuo può attribuirvi personalmente un significato di diverso valore; ma di un’opera realmente compiuta in senso artistico nessuno potrà mai dire che sia superata da un’altra pur essa compiuta. Al contrario, ognuno di noi sa che, nella scienza, il proprio lavoro dopo dieci, venti, cinquant'anni è invecchiato. Questo è il destino, 0 meglio, questo è il senso del lavoro scientifico, il quale, rispetto a tutti gli altri elementi della cultura di cui si può dire la stessa cosa, è ad esso assoggettato e affidato in modo del tutto specifico: ogni lavoro scientifico compiuto comporta nuove questioni e vole essere superato e invecchiare. A ciò deve rassegnarsi chiunque voglia servire la scienza. Senza dubbio vi sono opere scientifiche che possono conservare durevolmente la loro importanza come mezzi di godimento a causa della loro qualità artistica, oppure come mezzo di addestramento al lavoro. Ma esser superati scientificamente è giova ripeterlo non soltanto il destino di noi tutti, ma anche il nostro scopo. Non possiamo lavorare senza sperare che altri si spingeranno più avanti di noi. In linea di principio, questo progresso tende all’infinito. E con ciò siamo giunti al problema del senso della scienza. Infatti, non appare di per se stesso chiaro come possa avere in sé un senso e una ragione qualcosa che è sottoposto a una simile legge. Perché mai ci si adopera intorno a quello che, nella realtà, non giunge e non può mai giungere alla fine? Ebbene, anzitutto per scopi puramente pratici, cioè per scopi tecnici nel senso ampio della parola: per poter orientare la nostra azione pratica in base alle aspettative che ci fornisce l’esperienza scientifica. Sta bene. Ma questo ha un significato solo per l'uomo pratico. Qual è ora la posizione interiore dell’uomo di scienza di fronte alla propria professione, ammesso che egli cerchi di averne una in generale? Egli risponde: la scienza per amore della scienza e non per consentire ad altri di raggiungere successi nel campo degli affari di carattere tecnico, per potersi meglio nutrire, vestire, illuminare, governare. Quale opera fornita di senso crede egli dunque di produrre in tal modo, con queste creazioni sempre destinate a invecchiare, col lasciarsi incanalare in questa attività divisa in settori specializzati, e protraentesi all'infinito? A questo proposito bisogna fare alcune considerazioni generali. Il progresso scientifico è una frazione, e senza dubbio la più importante, di quel processo di intellettualizzazione al quale siamo sottoposti da secoli e contro il quale oggi di solito si prende una posizione così straordinariamente negativa. Anzitutto rendiamoci chiaramente conto di che cosa propriamente significhi, dal punto di vista pratico, questa razionalizzazione intellettualistica ad opera della scienza e della tecnica orientata scientificamente. Vorrà forse significare che oggi noi altri, per esempio ogni persona presente in questa sala, abbiamo una conoscenza delle condizioni di vita nelle quali esistiamo maggiore di quella di un Indiano o di un Ottentotto? Ben difficilmente. Chiunque di noi viaggi in tram non ha la minima idea a meno ch'egli non sia un fisico di mestiere di come la vettura riesca a mettersi in moto: né, d’altronde, ha bisogno di saperlo. Gli basta di poter fare assegnamento sul modo di comportarsi di una vettura tranviaria, ed egli orienta in conformità la propria condotta; ma nulla sa di come si faccia per costruire un tram capace di mettersi in moto. Il selvaggio ha una conoscenza dei propri utensili incomparabilmente migliore. Se oggi spendiamo del denaro, scommetto che, perfino se vi sono colleghi economisti qui presenti, ognuno avrà pronta una risposta diversa alla domanda: come avviene che qualcosa ora poco, ora molto possa esser comperato con il denaro? Il selvaggio sa in quale modo riesce a procurarsi il nutrimento quotidiano e quali istituzioni gli servano a questo scopo. La progressiva intellettualizzazione e razionalizzazione n0n significa dunque una crescente conoscenza generale delle condizioni di vita che ci circondano. Essa significa bensì qualcosa di diverso: la coscienza o la fede che, se soltanto si volesse, si potrebbe in ogni momento provare che non vi sono forze fondamentalmente misteriose e imprevedibili le quali intervengano in modo da impedire che si possa dominare in linea di principio tutte le cose mediante la previsione razionale. Ma ciò significa il disincantamento del mondo. Non occorre più ricorrere a mezzi magici per dominare o per ingraziarsi gli spiriti, come fa il selvaggio per il quale esistono potenze del genere. A ciò sopperiscono i mezzi tecnici e la previsione razionale. È soprattutto questo il significato dell’intellettualizzazione in quanto tale. Questo processo di disincantamento proseguito per millenni nella cultura occidentale e, in generale, questo progresso del quale la scienza è un elemento e un impulso, contiene un qualche senso che vada al di Ià del fatto puramente pratico e tecnico? Questa domanda la trovate formulata come questione di principio soprattutto nelle opere di Lev Tolstòj. Egli vi giunse attraverso una propria via. Il problema centrale intorno al quale egli si tormentava era la questione se la morte fosse o no un fenomeno dotato di senso. E la sua risposta, nei confronti degli uomini civili, è negativa. Ciò appunto in quanto la vita del singolo individuo civilizzato, inserita nel progresso, nell’infinito, non può per il suo stesso senso immanente avere alcun termine. Giacché c'è sempre un ulteriore progresso da compiere per chi c'è dentro; nessuno muore dopo esser giunto al culmine, che è situato nell'infinito. Abramo e un qualsiasi contadino dei tempi antichi moriva vecchio e sazio della vita perché si trovava nel ciclo organico della vita, perché la sua vita, anche per il suo significato, alla sera della sua giornata gli aveva portato ciò che poteva offrirgli, perché non rimanevano per lui enigmi da risolvere ed egli poteva perciò averne abbastanza . Ma un uomo civile, il quale partecipa all’arricchimento progressivo della civiltà in idee, conoscenze, problemi, può diventare stanco della vita ma non sazio. Di ciò che la vita dello spirito sempre nuovamente produce egli coglie soltanto la minima parte, e sempre qualcosa di provvisorio e mai definitivo: quindi la morte è per lui un accadimento privo di senso. Ed essendo la morte priva di senso, lo è anche la vita culturale come tale, in quanto appunto con la sua assurda progressività fa della morte un assurdo. Ovunque, nei MAX WEBER suoi ultimi romanzi, quest'idea costituisce il motivo fondamentale dell’arte di Tolstòj. Quale posizione si può assumere in proposito? Al progresso, come tale, può riconoscersi un senso che va al di là della tecnica, cosicché avrebbe significato la professione dedicata al suo servizio? È un quesito che va posto. Ma non si tratta soltanto del problema della professione e della vocazione ne: riguardi della scienza, e cioè del problema: che cosa significa la scienza come professione per colui il quale vi si dedica? bensì anche di questo: che cos'è la professione della scienza nell’ambito dell'intera vita dell'umanità? e qual è il suo valore? L’antitesi tra passato e presente è qui enorme. Vi ricorderete di quella meravigliosa immagine al principio del libro VII della Repubblica di Platone: quegli uomini in una caverna incatenati, col viso rivolto alla parete di roccia, che la luce colpisce alle spalle e che non possono vederla e si preoccupano perciò soltanto delle ombre che essa getta sulla parete e cercano di stabilirne la causa. Finalmente uno di loro riesce a spezzare le catene, si volta e mira: il sole. Abbagliato brancola all’intorno e descrive balbettando quel che ha veduto. Gli altri gli dànno del pazzo. Ma a poco a poco egli impara a vedere nella luce e allora si adopera a scendere tra gli uomini delle caverne e a trarli su verso la luce. Egli è il filosofo e il sole è la verità della scienza, che sola non va in caccia di fantasmi e di ombre ma persegue il vero essere. Ebbene, chi tiene oggi un simile atteggiamento verso la scienza? È proprio la gioventù a manifestare oggi un sentimento opposto: le formazioni concettuali della scienza sono un mondo sotterraneo di artificiose astrazioni che cercano di cogliere con le loro mani esangui, senza mai riuscirvi, la linfa e il sangue della vita reale. È qui nella vita, in ciò che per Platone costituiva il gioco d’ombre sulle pareti della caverna, che palpita la vera realtà: il resto sono fantasmi senza vita astratti da quella, e null’altro. Come si è effettuato un tale mutamento? L’appassionato entusiasmo di Platone nella Repubblica si spiega in ultima analisi considerando che allora per la prima volta si era scoperto consapevolmente il senso di uno dei più importanti mezzi di ogni conoscenza scientifica: il concetto. Socrate ne ha rivelato tutta l’importanza. Ma non è stato il solo: in India potete trovare saggi di una logica del tutto simile a quella di Aristotele. Mai però con questa coscienza del suo significato. Allora per la prima volta sembrò disponibile un mezzo per stringere chiunque nella morsa della logica così da non lasciarlo uscire senza ammettere o di non saper nulla o che questa e non altra è la verità, l'eterna verità, che non è transeunte come l’agire e l’indaffararsi degli uomini ciechi. Fu questa la straordinaria esperienza vissuta dai discepoli di Socrate. Da ciò sembrava conseguire che, ove si fosse trovato l’esatto concetto del bello, del buono, come pure del coraggio, dell’anima, e via dicendo, se ne potesse cogliere anche il vero essere, e ciò sembrava di nuovo aprire la via per sapere e per insegnare il modo giusto di agire nella vita, soprattutto come cittadino. Infatti la mentalità completamente politica dei Greci riduceva tutto a questo problema. Perciò si coltivava la scienza. Accanto a questa scoperta dello spirito greco si presenta ora frutto del Rinascimento il secondo grande strumento del lavoro scientifico, l'esperimento razionale, come mezzo per l’esperienza rigorosamente controllata, senza il quale sarebbe impossibile la scienza empirica moderna. Anche precedentemente era stato adottato il metodo sperimentale: nella fisiologia, per esempio, in India, per servire alla tecnica ascetica dello Yogi; nella matematica, tra gli antichi Greci, ai fini della tecnica bellica; per i lavori nelle miniere, durante il Medioevo. Ma aver innalzato l'esperimento a principio della ricerca come tale è un prodotto del Rinascimento. Ne furono pionieri i grandi innovatori nel campo dell’arte: Leonardo e i suoi pari, e caratteristici soprattutto gli sperimentatori di musica del Cinquecento con i loro clavicembali sperimentali. Da questi l’esperimento passò nella scienza soprattutto ad opera di Galilei, e nella teoria ad opera di Bacone; lo adottarono poi le singole discipline delle scienze esatte nelle università del continente, in primo luogo in Italia e in Olanda. Che cosa dunque significava la scienza per quegli uomini alla soglia dell’età moderna? Per gli sperimentatori nel campo dell’arte, come Leonardo e gli innovatori nella musica, significava la via per giungere alla vera arte, ciò che per loro equivaleva alla vera natura. L'arte doveva esser elevata alla dignità di una scienza, e cioè al tempo stesso, e soprattutto, l’artista al rango di un dotto, dal punto di vista sociale e riguardo al senso della sua vita. È questa l’ambizione che sta per esempio alla base anche del Trattato della pittura di Leonardo. E oggi? La scienza come via per giungere alla natura questa frase suonerebbe come una bestemmia alle orecchie dei giovani. No, tutt'al contrario: liberiamoci dall’intellettualismo della scienza per ritornare alla nostra propria natura e quindi alla natura in generale! Sarà forse allora la via per giungere all'arte? A questa domanda è superflua qualsiasi critica. Ma all’epoca dell’origine delle scienze esatte della natura, ci si attendeva dalla scienza qualcosa di più. Se rammentate il detto di Swammerdam® vi reco qui la prova della provvidenza di Dio nell’anatomia d’un pidocchio , capirete ciò che il lavoro scientifico, sotto l'influenza (indiretta) del Protestantesimo e del Puritanesimo, considerasse allora come proprio compito: la via per giungere a Dio. Questa, allora, non la si trovava più nei filosofi, nei loro concetti e nelle loro deduzioni: che non si potesse trovare Dio per la via tentata dal Medioevo, ben lo sapeva tutta la teologia pietistica di quel tempo, Spener* soprattutto. Dio è nascosto, le sue vie non sono le nostre vie, i suoi pensieri non sono i nostri pensieri. Ma nelle vie esatte della natura, dove si poteva cogliere fisicamente la sua opera, là si sperava di poter rintracciare i suoi disegni in relazione al mondo. E oggigiorno? Chi ancor oggi tranne alcuni grandi fanciulli, quali è dato incontrare proprio nelle scienze naturali crede che le conoscenze dell'astronomia o della biologia o della fisica o della chimica possano insegnarci qualcosa intorno al serso del mondo, o anche soltanto intorno alla via per la quale si possano rintracciare gli indizi di un simile senso , se pur ve n'è uno? Quelle conoscenze sono semmai più adatte a soffocare in germe la fede che vi sia qualcosa di simile a un senso del 5. Jan Swammerdam, naturalista olandese, autore del Tractatus physico-anatomico-medicus de respiratione usuque pulmonum, del Miraculum naturae seu uteris muliebris fabrica, della Ephemerae vita © di varie altre opere, diede importanti contributi allo studio degli insetti, all'embriologia, all'anatomia umana, e fu tra i pionieri del microscopio. Spener, teologo protestante tedesco, autore di Pia desideria, di Dus geistliche Priestertum, della Evangelische Glaubenslehre, delle Evangelische Lebenspffichten c di varie altre opere, fu il fondatore del movimento pietistico. mondo! E finalmente, la scienza come via per giungere a Dio? Essa, la potenza specificamente estranea alla divinità? Che tale essa sia nessuno oggi, nel suo intimo, può dubitarne, pur essendo più o meno disposto a confessarlo. L’emancipazione dal razionalismo e dall’intellettualismo della scienza costituisce il presupposto fondamentale della vita in comunione con il divino: questa massima, o qualcosa di significato identico, è una delle parole d’ordine che si ritrovano ovunque nel sentimento dei nostri giovani dotati di animo religioso o che aspirano a un'esperienza religiosa. Ed essa vale non soltanto per l’esperienza religiosa, ma per l’esperienza in generale. Paradossale però è la via seguita: si elevano ora alla coscienza e si sottopongono alla sua lente proprio quelle sfere dell’irrazionale, le sole che finora l’intellettualismo non aveva ancora toccato. A ciò conduce infatti, in pratica, il moderno romanticismo intellettualistico dell’irrazionale. Questa via per liberarsi dall’intellettualismo porta a un risultato esattamente opposto al fine immaginato da coloro i quali la percorrono. Che infine per un ingenuo ottimismo si sia celebrato nella scienza, ossia nella tecnica per il dominio della vita su di essa fondata, la via per giungere alla felicità, posso passarlo sotto silenzio dopo la critica demolitrice rivolta da Nietzsche a quegli ultimi uomini i quali hanno trovato la felicità. Chi ci crede più, tranne alcuni grandi fanciulli sulle cattedre o nei comitati di redazione? Torniamo al punto di partenza. Dati questi presupposti intrinseci, qual è il senso della scienza come professione, dal momento che sono naufragate tutte quelle precedenti illusioni la via per il raggiungimento del vero essere, la via verso la vera arte, la via verso la vera natura, la via verso il vero Dio , la via verso la vera felicità ? La risposta più semplice è stata data da Tolstòj con queste parole: essa è priva di senso perché non risponde alla sola domanda importante per noi: che cosa dobbiamo fare? come dobbiamo vivere? Il fatto che non vi risponda è assolutamente incontestabile. Si tratta soltanto di domandarsi in quale senso non dia nessuna risposta, e se in luogo di questa essa non possa per caso dare un qualche aiuto a chi si ponga la questione nei suoi termini esatti. Oggi si suole sovente parlare di una scienza senza presupposti. Ce n'è una? Dipende da quel che si vuol intendere. Presupposto di qualsiasi lavoro scientifico è sempre la validità delle regole della logica e della metodologia, di questi fondamenti generali del nostro orientamento nel mondo. Ora siffatti presupposti, per lo meno quanto alla nostra questione particolare, non sono affatto problematici. Si presuppone inoltre che il risultato del lavoro scientifico sia importante nel senso che sia degno di essere conosciuto . E qui evidentemente hanno la loro radice tutti i nostri problemi. Infatti questo presupposto non può essere a sua volta dimostrato con i mezzi della scienza. Può essere soltanto interpretato nel suo senso ultimo, che bisognerà accogliere o respingere a seconda della personale posizione ultima di fronte alla vita. Assai diverso, inoltre, è il tipo di relazione del lavoro scientifico con questi suoi presupposti, a seconda della loro struttura. Le scienze naturali come la fisica, la chimica, l’astronomia, presuppongono come evidente che le leggi ultime dell’accadere cosmico costruibili, fin dove arriva la scienza siano degne di esser conosciute. Non soltanto perché con queste nozioni si possono raggiungere successi tecnici, ma se devono essere professione per se stesse . Questo presupposto a sua volta non è assolutamente dimostrabile; e meno che mai si può dimostrare se il mondo da esse descritto sia degno di esistere, se cioè esso abbia un senso , e se abbia un senso esistere in esso. Di ciò quelle scienze non si preoccupano. Oppure prendete un'arte pratica così sviluppata scientificamente come la medicina moderna. Il presupposto generale dell'esercizio della medicina è in parole povere che sia considerato positivo, unicamente come tale, il compito della conservazione della vita e della riduzione al minimo della sofferenza. E ciò è problematico. Il medico cerca con tutti i mezzi di conservare la vita al moribondo, anche se questi implora di essere liberato dalla vita, anche se la sua morte è e dev'essere desiderata più o meno consapevolmente dai suoi congiunti, per i quali la sua vita è ormai priva di valore mentre insopportabili sono gli oneri per conservarla, ed essi gli augurano la liberazione dalla sofferenza (si tratta, poniamo il caso, di un povero folle). Ma i presupposti della medicina e il codice penale impediscono al medico di desistere. La scienza medica non si pone la domanda se e quando la vita valga la pena di esser vissuta. Tutte le scienze naturali dànno una risposta a questa domanda: che cosa dobbiamo fare se vogliamo dominare tecnicamente la vita? Ma se dobbiamo e vogliamo dominarla tecnicamente, e se ciò, in definitiva, abbia propriamente un senso, esso lo lasciano del tutto in sospeso oppure lo presuppongono per i loro scopi. Prendiamo, se volete, una disciplina come la scienza dell’arte. Il fatto che vi siano opere d’arte costituisce, per l’estetica, un dato. Essa cerca di stabilire a quali condizioni quel fenomeno si verifichi. Ma non si pone la domanda se il dominio dell’arte non sia per avventura un regno di magnificenza diabolica, un regno di questo mondo, e perciò intimamente opposto al divino e, per il suo carattere intrinsecamente aristocratico, allo spirito di fraternità. Essa non si domanda quindi se debbano esservi opere d’arte. Oppure prendiamo la giurisprudenza: essa stabilisce ciò che è valido secondo le regole del pensiero giuridico, in parte coercitivamente logico e in parte vincolato da schemi convenzionali; vale a dire, stabilisce se sono riconosciute obbligatorie determinate regole giuridiche e determinati metodi per la loro interpretazione. Non decide se debba esservi il diritto e se debbano esser formulate proprio quelle regole; essa può indicare soltanto che, se si vuol conseguire un risultato, il mezzo appropriato per raggiungerlo ci è dato da questa regola giuridica, secondo le norme del nostro pensiero giuridico. O prendete ancora le scienze storiche della cultura. Esse ci insegnano a comprendere i fenomeni della cultura politici, artistici, letterari e sociali in base alle condizioni del loro sorgere. Ma non rispondono di per sé alla questione se questi fenomeni culturali fossero e siano degni di sussistere, e neppure all’altra questione se valga la pena di conoscerli. Esse presuppongono che abbia un interesse partecipare, mediante tale procedimento, alla comunità degli uomini civili . Ma che così stiano le cose, esse non sono in grado di dimostrarlo scientificamente a nessuno, e che esse lo presuppongano non dimostra affatto che ciò sia evidente. E infatti non lo è per nulla. Soffermiamoci ora su quelle discipline alle quali sono più vicino, e cioè la sociologia, la storia, l'economia, la dottrina dello stato, e su quelle forme di filosofia della cultura che si propongono di darne un’interpretazione. Si afferma e io lo MAX WEBER sottoscrivo che la politica non si addice all’aula di lezione. Non vi si addice da parte degli studenti. Io vorrei deplorare per esempio che nell’aula del mio vecchio collega Dietrich Schéfer? a Berlino gli studenti pacifisti si accalcassero intorno alla cattedra e facessero un chiasso simile a quello che devono aver inscenato gli studenti anti-pacifisti davanti al professor Fòrster®, dalle cui opinioni le mie divergono radicalmente in molti punti. Ma la politica non si addice all'aula neppure da parte degli insegnanti: meno che mai quando l’insegnante si occupa di politica dal punto di vista scientifico. Infatti la presa di posizione politica pratica e l’analisi scientifica di formazioni e partiti politici sono due cose diverse. Quando uno parla sulla democrazia in una riunione popolare, non fa mistero della propria presa di posizione personale: anzi, è questo il dannato obbligo e dovere, prender partito in modo chiaramente riconoscibile. Le parole di cui ci si serve non sono in questo caso strumenti di analisi scientifica, bensì mezzi di propaganda per trarre dalla nostra parte gli altri. Esse non sono un vomere per smuovere il terreno del pensiero contemplativo, bensì spade contro gli avversari, strumenti di lotta. Ma in una lezione o in un'aula sarebbe un misfatto usare la parola in questa maniera. Se.vi si parlerà di democrazia , si osserveranno le sue diverse forme, si analizzerà il modo in cui esse funzionano, si stabilirà quali siano le conseguenze particolari dell’una o dell’altra per le condizioni della vita, e poi vi si contrapporranno le altre forme non democratiche di organizzazione politica e si cercherà di giungere fino al punto in cui l'ascoltatore sia in grado di poter prendere posizione secondo i suo: ideali ultimi. Ma il vero maestro si guarderà bene dal sospingerlo, dall'alto della cattedra, a prendere una qualsiasi posizione, sia esplicitamente sia con suggerimenti poiché naturalmente il metodo più sleale è quello di far parlare i fatti. 7. Dietrich Schifer, storico tedesco allievo di Treitschke, di oricntamento nazionalistico, 8. Friedrich Wilhelm Forster, filosofo e pedagogista tedesco, autore di Lebensfiihrung, di Autorità und Freiheit, di Erziechung und Selbsterziehung, di Hauptaufgaben der Erziehung e di numerose altre opere di argomento etico-pedagogico ed etico-politico, fu sostenitore del pacifismo e quiodi oggetto di violenti attacchi da parte degli studenti nazionalisti. Ma per quale ragione, precisamente, dobbiamo astenercene ? Premetto che diversi tra i miei stimatissimi colleghi sono del parere che una siffatta discrezione non sia attuabile e che, se anche lo fosse, sarebbe follìa pretenderla. Ora a nessuno può dimostrarsi scientificamente quale sia il suo dovere di professore universitario. Da lui si può pretendere soltanto la probità intellettuale, per cui sappia comprendere che la constatazione dei fatti, la determinazione di rapporti matematici o logici o della struttura interna di beni culturali da una parte e dall’altra la risposta alla questione del valore della cultura e dei suoi contenuti particolari e quindi del modo in cui si deve agire nell’ambito della comunità civile e dei gruppi politici sono due problemi assolutamente eterogenei. Se poi egli domanda perché non debba trattarli entrambi nell'aula di lezione, ecco la risposta: perché il profeta e il demagogo non si addicono alla cattedra. Al profeta e al demagogo è stato detto: esci per le strade e parla pubblicamente . Parla, cioè, dov’è possibile la critica. Nell’aula di lezione, ove si sta seduti di faccia ai propri ascoltatori, a questi tocca tacere e al maestro parlare, e reputo una mancanza di senso di responsabilità approfittare della circostanza che gli studenti sono obbligati dal programma di studi a frequentare il corso di un professore dove nessuno può intervenire a controbatterlo, per inculcare negli ascoltatori la propria personale concezione politica invece di recare loro giovamento, come il dovere impone, con le proprie conoscenze e le proprie esperienze scientifiche. Può certamente avvenire che l'individuo riesca solo imperfettamente a nascondere le proprie simpatie soggettive. Allora, egli si espone alla critica più spietata davanti al foro della sua coscienza. E ciò d'altronde non prova nulla, poiché anche altri errori puramente di fatto sono possibili e non possono contrastare al dovere di ricercare la verità. Io mi rifiuto di ammetterlo anche e precisamente per l'interesse puramente scientifico. Sono disposto a provare sulle opere dei nostri storici che, ogni qual volta l’uomo di scienza mette innanzi il proprio giudizio di valore, cessa la perfetta comprensione del fatto. Tuttavia, ciò esula dal tema di questo discorso ed esigerebbe lunghe considerazioni critiche. Io domando semplicemente: come può da una parte un cattolico credente e dall’altra un massone in un corso sulle forme di chiesa e di stato o sulla storia della religione come possono mai questi due esser condotti a un’eguale valutazione di tali oggetti? È impossibile. Eppure, il professore universitario deve desiderare e proporsi di giovare con le sue conoscenze e i suoi metodi tanto all'uno come all’altro. Ora voi direte giustamente: neppure riguardo ai fatti relativi all'origine del Cristianesimo il cattolico credente potrà mai accettare l’opinio ne prospettatagli da un maestro che non condivida i suoi presupposti dogmatici. Senza dubbio! Ma la differenza consiste nel fatto che la scienza priva di presupposti , nel senso che riftuta ogni vincolo religioso, non riconosce di fatto, dal canto suo, il miracolo e Ia rivelazione . Altrimenti essa tradirebbe i propri presupposti . Il credente li riconosce entrambi. E quella scienza priva di presupposti non pretende da lui meno ma anche niente di più del riconoscimento che bisogna seguire la via tentata dalla scienza, se si vuol spiegare quell’avvenimento prescindendo da quegli interventi soprannaturali, che per una spiegazione empirica devono essere esclusi come momenti causali. Ciò il credente può ammetterlo senza tradire la propria fede. Ma la funzione della scienza non avrà allora alcun senso per chi è indifferente al fatto in quanto tale e reputa importante soltanto la presa di posizione pratica? Forse sì. E anzitutto: un abile maestro considererà suo primo compito insegnare ai propri allievi a riconoscere i fatti scomodi, e cioè tali, intendo dire, che siano scomodi per la sua opinione di partito; e per ogni partito per esempio anche per il mio vi sono fatti del genere, estremamente imbarazzanti. Credo che il professore universitario, se avvezza i propri ascoltatori a questa necessità, compia una funzione non soltanto intellettuale, ma oserei dire una funzione etica , per quanto una simile espressione possa suonar troppo patetica applicata a un fatto così semplice e ovvio. Finora ho parlato soltanto dei motivi pratici che consigliano di evitare di imporre una presa di posizione personale. Ma non è tutto qui. L’impossibilità di presentare scientificamente una presa di posizione pratica eccetto nel caso di una discussione dei mezzi per uno scopo che si presuppone già dato deriva da ragioni ben più profonde. Una simile impresa è in linea di principio priva di senso, in quanto i diversi ordini di valori che esistono al mondo stanno tra loro in una lotta inconciliabile. Il vecchio Mill la cui filosofia non intendo peraltro lodare, ma che su questo punto ha ragione dice in qualche luogo: partendo dalla pura esperienza si giunge al politeismo. Il principio è formulato superficialmente e sembra un paradosso, tuttavia contiene una qualche verità. Di questo, se non altro, oggi siamo certi: che qualcosa può essere sacro non soltanto anche senza essere bello, ma perché e in quanto non è bello (potrete trovarne le prove nel cap. 53 del Libro di Isaia e nel Salmo 21) e che qualcosa può essere bello non soltanto anche senza essere buono bensì in quanto non è tale, come abbiamo imparato da Nietzsche e come anche prima potete trovare illustrato nelle Fleurs du mal, come chiamò Baudelaire il suo volume di poesie; ed è infine una verità di tutti i giorni che qualcosa può essere vero sebbene e in quanto non sia bello, né sacro, né buono. Ma questi sono soltanto gli esempi più elementari di tale lotta tra gli dèi che presiedono ai diversi ordinamenti e valori. Come si possa fare per decidere scientificamente tra il valore della cultura tedesca e di quella francese, io lo ignoro. Anche qui c'è un antagonismo tra divinità diverse, per tutti i tempi. Avviene come nel mondo antico, ancora sotto l'incanto dei suoi dèi e dei suoi demoni, anche se in un altro senso: come i Greci sacrificavano ora ad Afrodite e ora ad Apollo, e ciascuno in particolare agli dèi della propria città, così è ancor oggi, senza l’incantesimo e l’ammanto della forza plastica, mitica ma intimamente vera, di quell’atteggiamento. Su questi dèi e sulle loro lotte domina il destino, non certo la scienza . È dato solamente intendere che cosa sia il divino nell’uno e nell’altro caso, ovvero in un ordinamento e nell’altro. Ma con ciò la questione è assolutamente chiusa a qualsiasi discussione in un’aula di lezione e per bocca di un insegnante, quantunque naturalmente non sia affatto chiuso l’enorme problema di vita che vi è racchiuso. Qui però la parola spetta a potenze diverse che non alle cattedre universitarie. Chi vorrà provarsi a confutare scientificamente l’etica del Sermone della Montagna, per esempio la massima: non far resistenza al male , oppure l’immagine del porgere l’altra guancia? Eppure è chiaro che, dal punto di vista intra-mondano, vi si predica un'etica della mancanza di dignità: bisogna scegliere tra la dignità religiosa, che questa etica comporta, e la dignità virile, che predica qualcosa di ben diverso: devi far resistenza al male, altrimenti sei anche tu responsabile se questo prevale . Dipende dalla propria presa di posizione rispetto al fine ultimo che l’uno sia il diavolo e l’altro il dio, e spetta all’individuo decidere quale sia per lui il dio e quale il diavolo. E così avviene per tutti gli ordinamenti della vita. Il grandioso razionalismo della condotta etico-metodica della vita, che sgorga da ogni profezia religiosa, aveva detronizzato questo politeismo a favore dell’ Uno, che è necessario, e poi, di fronte alle realtà della vita esteriore e interiore, si è visto costretto a scendere a quei compromessi e a quelle relativizzazioni che tutti conosciamo dalla storia del Cristianesimo. Ma ciò è oggi una realtà quotidiana per la religione. Gli antichi dèi, spogliati del loro incanto e perciò ridotti a potenze impersonali, si levano dalle loro tombe, aspirano a dominare sulla nostra vita e riprendono quindi la loro eterna lotta. Ma ciò che per l’uomo moderno è appunto tanto difficile, e sommamente difficile per la giovane generazione, è saper far fronte a siffatta realtà quotidiana. Tutto quell’affannarsi in cerca dell’ esperienza vissuta deriva da questa debolezza. Infatti è una debolezza non poter tenere levato lo sguardo al volto severo del destino dei tempi. Ma il destino della nostra cultura è appunto quello di essere diventati oggi nuovamente e più chiaramente consapevoli di ciò che per un millennio l’orientamento esclusivo vero o presunto verso il grandioso pathos dell'etica cristiana aveva celato ai nostri occhi. Ma basta ora con questi problemi che ci conducono troppo lontano. Poiché, quando una parte dei nostri giovani volesse dare a tutto ciò questa risposta: già, ma noi veniamo a lezione per ricavarne un'esperienza che non consista soltanto in analisi e in constatazioni di fatto , essi incorrerebbero nell’errore di cercare nel professore qualcosa di diverso da ciò che sta loro di fronte e cioè un capo e non un maestro. La cattedra ci è conferita solamente in qualità di maestri. Si tratta di due cose ben diverse, e di ciò è facile convincersi. Permettetemi di condurvi ancora una volta in America, dove queste cose si possono spesso vedere nella loro più pesante originarietà. Il ragazzo americano impara incomparabilmente meno del nostro. Nonostante un'incredibile quantità di esami, il senso della sua vita scolastica non è ancora diventato tale da ridurlo un tipo da esami , come avviene per il ragazzo tedesco. Infatti la burocrazia, la quale esige il diploma di esame come biglietto d’ingresso nel regno delle prebende degli uffici, è laggiù ancora agli inizi. Il giovane americano non porta rispetto a nulla e a nessuno, a nessuna tradizione e a nessun ufficio, salvo che alla prestazione personale: questa è per l’Americano la democrazia, Per quanto la realtà possa comportarsi pur sempre in maniera distorta rispetto a questo contenuto di senso, esso risulta però tale e di questo dobbiamo qui tener conto. Dell’insegnante che gli sta di fronte il giovane americano ha quest’opinione: egli mi vende le sue nozioni e i suoi metodi per il denaro di mio padre, così come l’erbivendola vende i cavoli a mia madre. Con ciò è detto tutto. Tuttavia, se il maestro è per avventura un alipone di football, in questo campo egli è anche un capo. Ma se non è tale (o qualcosa di simile in altri sport), egli è semplicemente un insegnante e nulla più, e a nessun giovane americano verrà in mente di farsi vendere da lui delle intuizioni del mondo o delle regole per la sua condotta di vita. Ora, noi respingeremo una simile opinione formulata in questi termini. Bisogna però domandarsi se in questo modo di sentire, che di proposito ho voluto spingere all'estremo, non si annidi un nocciolo di verità. Fratelli d'armi e sorelle d'armi! Voi venite alle nostre lezioni con la pretesa di trovare in noi qualità di capi, senza aver riflettuto che, di cento professori, almeno novantanove non pretendono e non possono pretendere di essere non soltanto campioni di football della vita, ma neppure in generale capi nelle faccende della condotta della vita. Pensate che il valore dell'uomo non dipende certo dal fatto di possedere le doti di un capo. E comunque, le qualità che fanno di qualcuno un eminente studioso e un professore universitario non sono quelle stesse che ne fanno un capo sul terreno dell’orientamento pratico della vita o, più specificamente, della politica. È un puro caso che qualcuno possegga anche questa qualità, ed è una cosa assai preoccupante quando chiunque stia in cattedra si sente posto di fronte alla pretesa che egli la possegga. E ancor più preoccupante, poi, è quando a ogni professore universitario viene data facoltà di assumere nell’aula la posizione di un capo. Infatti coloro che si ritengono di esserlo più degli altri lo sono spesso meno di tutti; ma soprattutto la cattedra non può offrire alcuna possibilità di conferma. Il professore che si senta chiamato a dare il suo consiglio ai giovani e goda della loro fiducia, dovrà procurare di mettersi alla prova discutendo con loro in un rapporto personale da uomo a uomo. E se si sente chiamato a partecipare alle lotte tra le intuizioni del mondo e le diverse opinioni di partito, lo faccia al di fuori, nell’agone della vita: nella stampa, nelle assemblee, nei circoli, dove gli pare. È troppo comodo però dar prova del proprio coraggio di confessore della fede là dove gli astanti, e fors'anche quelli di diversa opinione, sono condannati al silenzio. Voi mi porrete infine la domanda: se così stanno le cose, che offre allora la scienza di veramente positivo per la vita pratica e personale? E con ciò siamo daccapo al problema della vostra professione . Anzitutto, naturalmente, la scienza offre cognizioni sulla tecnica per padroneggiare la vita, rispetto agli oggetti esterni e rispetto all’agire dell’uomo, mediante la previsione razionale: ebbene, voi replicherete che con ciò siamo pur sempre al punto dell’erbivendola del ragazzo americano. Sono perfettamente della vostra opinione. Ma c’è in secondo luogo qualcosa che quell’erbivendola non è tuttavia capace di fare: i metodi del pensare, l’attrezzatura e l'addestramento a quello scopo. Direte forse che, se questi non sono proprio gli ortaggi, non sono tuttavia più che i semplici mezzi per procurarseli. Bene, diamolo oggi per ammesso. Ma fortunatamente la funzione della scienza non è ancora finita, bensì noi siamo in condizione di aiutarvi a conseguire un ulteriore risultato: la chiarezza. A patto, naturalmente, di possederla noi stessi. Se questo è il caso, possiamo renderlo chiaro: rispetto al problema del valore, intorno al quale sempre ci si aggira per comodità vi prego di riferirvi, come esempio, ai fenomeni sociali — si possono prendere praticamente diverse posizioni. Se si assume l’una o l’altra, bisogna applicare — secondo le esperienze della scienza — certi mezzi o certi altri per attuarla praticamente. Ora questi mezzi possono essere di per sé tali che voi crederete di doverli respingere. Allora, bisogna appunto scegliere tra lo scopo e i mezzi indispensabili. Lo scopo giustifica o no questi mezzi? L'insegnante può mostrarvi la necessità di questa scelta, ma non può fare di più, in quanto voglia rimanere insegnante e non diventare un demagogo. Naturalmente, può ancora dirvi: se volete questo o quell'altro scopo, dovete mettere in conto anche questa o quell’altra conseguenza concomitante che si verifica in conformità all'esperienza; la situazione, cioè, è sempre la medesima. Tuttavia, tutti questi sono pur sempre problemi del genere di quelli che possono sorgere anche per ogni tecnico, il quale in innumerevoli casi deve decidere secondo il principio del minor male o del meglio relativo. Ma per lui una cosa, quella principale, è di solito già data: lo scopo. Non così avviene per noi, non appena siano in questione problemi realmente ultimi . E con ciò siamo giunti alla funzione più alta che la scienza in quanto tale può assolvere in servizio della chiarezza, e contemporaneamente anche ai suoi confini. Noi possiamo — e dobbiamo — anche dirvi: questa o quest'altra posizione pratica può essere derivata con intima coerenza e quindi con serietà, per quanto riguarda il suo senso, da questa o da quest'altra fondamentale concezione del mondo — magari da una soltanto o forse anche da più — ma non mai da quell'altra. Voi servite questo dio — per parlar figuratamente — e offendete quell'altro, se vi risolveteper questa presa di posizione. Infatti perverrete necessariamente a queste e a quest’altre conseguenze ultime dotate di senso, se rimarrete fedeli a voi stessi. Quest'opera, almeno in linea di principio, può esser compiuta. A ciò tendono la disciplina speciale della filosofia e le discussioni di principio, per loro essenza filosofica, delle singole discipline. Possiamo quindi, se abbiamo ben capito il nostro compito (il che dev’esser qui presupposto), costringere l'individuo — o almeno aiutarlo — a renderst conto del senso ultimo del suo proprio operare. Questo non mi sembra sia troppo poco, anche per la vita puramente personale. Di un insegnante che riesca in questo compito sarei tentato di dire che si è messo al servizio di potenze etiche, del dovere di promuovere la chiarezza e il senso di responsabilità, e credo che ne sarà tanto più capace quanto più coscienziosamente eviterà di fornire bell'e pronta o di suggerire per proprio conto all'ascoltatore una presa di posizione. Senza dubbio la soluzione che qui vi ho prospettato riposa su questo fondamentale dato di fatto: che la vita, in quanto deve fondarsi su se stessa ed essere compresa in base a se stessa, conosce soltanto la lotta eterna di quelle divinità tra loro — cioè, fuor di metafora, l’inconciliabilità e quindi l’insolubilità della lotta tra le posizioni ultime possibili in generale rispetto alla vita, vale a dire la necessità di decidere per l’una o per l’altra. Se in queste condizioni la scienza sia degna di diventare una professione e se essa stessa costituisca una professione fornita di valore oggettivo ecco un altro giudizio di valore sul quale non è dato pronunciarsi nell’aula di lezione. Per l'insegnamento, infatti, la risposta affermativa è un presupposto. Io personalmente, col mio stesso lavoro, rispondo affermativamente. E ciò vale anche per quel punto di vista che la gioventù oggi professa, o meglio che per lo più s'immagina semplicemente di professare il quale odia l’intellettualismo come il più nero dei diavoli. Giacché ad esso si conviene il detto: il diavolo è vecchio, pensateci: invecchiate e lo capirete °. Ciò non s'intende nel senso dell’atto di nascita, ma nel senso che, anche riguardo a questo diavolo, se si vuol farla finita con lui, non vale ricorrere alla fuga, come oggi si fa così volentieri, ma bisogna scrutare bene a fondo tutte le sue vie prima di poter vedere la sua potenza e i suoi confini. Che la scienza sia oggi una professione spectalizzata, posta al servizio dell’auto-riflessione e della conoscenza di situazioni di fatto, e non una grazia di visionari e profeti, dispensatrice di mezzi di salvezza e di rivelazioni, o un elemento della meditazione di saggi e filosofi sul serso del mondo è certamente un dato di fatto ineluttabile dalla nostra situazione storica, al quale, se vogliamo restare fedeli a noi stessi, non possiamo sfuggire. E se di nuovo sorge in voi Tolstò) a domandare: se dunque non è la scienza a farlo, chi risponde allora alla domanda: che cosa dobbiamo fare? e come dobbiamo dirigere la nostra vita? , oppure, nel linguaggio che testé 9. Goetne, Faust, vv. 6817-18 (tr. it. di F. Fortini). abbiamo usato: quale degli dèi in lotta dobbiamo servire? o forse qualcun altro, e chi mai? , bisogna dire che la risposta spetta a un profeta o a un redentore. Se questi non è tra noi o se il suo annuncio non è più creduto, non varrà certo a farlo scendere su questa terra il fatto che migliaia di professori tentino di rubargli il mestiere nelle loro aule di lezione, come tanti piccoli profeti privilegiati o pagati dallo stato. Ciò servirà soltanto a nascondere tutto l'enorme peso del significato del fatto decisivo, che cioè il profeta, che invocano tanti della nostra più giovane generazione, zon esiste. L'interesse interiore di un uomo davvero musicale in senso religioso non sarà mai e poi mai soddisfatto, io credo, dall’espediente per cui si cerca di nascondergli con un surrogato come sono tutti questi falsi profeti in cattedra il fatto fondamentale che il destino gli impone di vivere in una epoca lontana da Dio e priva di profeti. La serietà del suo sentimento religioso dovrebbe, mi sembra, ribellarvisi. Ora, voi sarete indotti a domandare: ma come ci si deve comportare di fronte al fatto dell’esistenza della teologia e delle sue pretese a porsi come scienza? Cerchiamo di non sottrarci alla risposta. Teologia e dogmi non si trovano certo sempre e ovunque, ma neppure esclusivamente nel Cristianesimo. Li incontriamo (guardando dietro di noi nel tempo) in forme molto sviluppate anche nell’Islam, nel Manicheismo, nella Gnosi, nell’Orfismo, nel Parsismo, nel Buddismo, nelle sette indù, nel Taoismo, nelle Uparishad e naturalmente anche nell’Ebraismo. Com'era naturale, essi sono sviluppati sistematicamente in misura assai diversa. E non è un caso che non soltanto il Cristianesimo occidentale li abbia costruiti, o tenda a costruirli in forma più sistematica a differenza della teologia, per esempio, dell’Ebraismo ma anche che il loro sviluppo abbia avuto qui un significato storico di gran lunga più importante. È questo un prodotto dello spirito greco, dal quale deriva tutta la teologia dell’Occidente come (evidentemente) tutta la teologia orientale deriva dal pensiero indiano. Ogni teologia consiste nella razionalizzazione intellettuale del patrimonio religioso della salvezza. Nessuna scienza è assolutamente priva di presupposti e nessuna può stabilire il fondamento del proprio valore per chi rifiuti tali presupposti. Tuttavia, ogni teologia aggiunge alcuni presupposti specifici per il proprio lavoro e quindi per la giustificazione della propria esistenza. In diverso senso e con diversa portata. Per ogni teologia, per esempio anche per quella induistica, vige il presupposto che il mondo deve avere un senso; e la questione da risolvere è la seguente: come bisogna interpretarlo, perché ciò possa esser concepito? In modo del tutto simile alla teoria della conoscenza di Kant, la quale muoveva dal presupposto che c'è una verità scientifica, ed essa vale e quindi si domandava: in virtù di quali condizioni del pensiero ciò è possibile (in modo dotato di senso)? Oppure al modo degli estetici moderni i quali (esplicitamente come per esempio Georg von Lukics!” oppure di fatto) muovono dal presupposto che vi sono opere d’arte e si domandano: come ciò è possibile (in modo dotato di senso)? Tuttavia, le teologie non si accontentano di regola di quel presupposto (appartenente essenzialmente alla filosofia della religione); esse muovono di regola dal presupposto ancor più remoto per cui determinate rivelazioni devono essere assolutamente credute in quanto fatti che rivestono un’importanza per la salvezza come tali, cioè, che soli rendono possibile una condotta nella vita dotata di senso e per cui determinati modi di essere e di agire possiedono la qualità della santità, ossia costituiscono una condotta di vita dotata di senso religioso o sono elementi di questa. La domanda che si pone la teologia è allora di nuovo: come possono essere interpretati in modo dotato di senso, nell’ambito di un'immagine complessiva del cosmo, questi presupposti che vanno accettati in modo assoluto? Quei presupposti sì trovano per la teologia al di là di ciò che è scienza. Essi non sono un sapere nel senso corrente, bensì un possedere . Non possono esser sostituiti la fede o gli altri stati di grazia da nessuna teologia, per chi non li possieda . Meno che mai, poi, da un’altra scienza. Anzi, in ogni teologia positiva il credente giunge al punto dov'è valida la massima agostiniana: credo non quod, sed quia absurdum est. La capacità di compiere questo estremo sacrificio dell’intelletto costituisce il carattere decisivo dell’uomo che appartiene a una religione 10. Weber si riferisce qui ai primi volumi di Lukics, Die Seele und die Formen (1911) e Die Thcorie des Romans (1916). positiva. E così stando le cose, è chiaro che, ad onta (o piuttosto in conseguenza) della teologia (che svela questo stato di cose), la tensione tra la sfera di valore della scienza e quella della salvezza religiosa è insuperabile. Il sacrificio dell'intelletto lo compie, com'è naturale, il discepolo al profeta e il credente alla chiesa. Ma non è ancora mai sorta una nuova profezia riprendo qui di proposito questa immagine che ha urtato molte suscettibilità semplicemente per il fatto che molti intellettuali moderni abbiano sentito il bisogno di arredare, per così dire, la loro anima con oggetti antichi garantiti come autentici, e si siano ricordati in quest'occasione che tra questi vi è anche la religione, che essi certamente non possiedono, ma che sostituiscono con una specie di cappella privata addobbata come per gioco con immagini sacre di tutti i paesi, oppure con ogni sorta di esperienze vissute alle quali conferiscono la dignità di un patrimonio mistico di salvezza e che vanno a vendere in piazza. Tutto ciò è semplicemente ciarlataneria o auto-illusione. Ma non è davvero una ciarlataneria, bensì qualcosa di assai serio e sincero quantunque non esente, talvolta, da qualche fraintendimento del suo stesso significato il fatto che alcune di quelle comunità di giovani, sorte nel silenzio di questi ultimi anni, diano alle loro relazioni reciproche il senso di un legame religioso, cosmico o mistico. È vero che ogni atto di genuina fratellanza può connettersi con la consapevolezza che con ciò viene in certo qual modo accumulato in un dominio sovra-personale qualcosa che non andrà perduto; ma altrettanto mi sembra dubbio che la dignità delle relazioni puramente umane tra i membri di una comunità venga elevata attraverso siffatte interpretazioni religiose. Tuttavia, questo non rientra più nel nostro tema. È il destino dell’epoca nostra, con la sua caratteristica razionalizzazione e intellettualizzazione, e soprattutto col suo disincantamento del mondo, che proprio i valori ultimi e più sublimi siano diventati estranei al gran pubblico per rifugiarsi nel regno extra-mondano della vita mistica o nella fraternità di relazioni immediate tra gli individui. Non è accidentale che la nostra arte migliore sia intima e non monumentale, e che oggi soltanto in seno alle più ristrette comunità, nel rapporto da uomo a uomo, nel piazissimo, palpiti quell’indefinibile che un tempo pervadeva e rinsaldava come un soffio profetico e una fiamma impetuosa le grandi comunità. Proviamoci a forzare e a inventare un senso monumentale dell’arte, ed ecco nascere un pietoso aborto come quello dei numerosi monumenti commemorativi degli ultimi vent'anni. Qualcosa di simile si riproduce nella sfera interiore, con effetti ancor più deleteri, se si cerca di escogitare nuove formazioni religiose senza una nuova genuina profezia. E la profezia formulata dalla cattedra potrà forse dar vita a sette fanatiche, mai però a un'autentica comunità. A chi non sia in grado di affrontare virilmente questo destino della nostra epoca bisogna consigliare di tornare in silenzio, senza la consueta conversione pubblicitaria, ma schiettamente e semplicemente, nelle braccia delle antiche chiese, largamente e misericordiosamente aperte. Esse non gli rendono il passo difficile. Comunque, egli dovrà in qualche modo compiere è inevitabile il sacrificio dell’intelletto . Non glielo rimprovereremo, se egli ne sarà realmente capace. Infatti un simile sacrificio dell’intelletto in favore di un’incondizionata dedizione religiosa è pur sempre qualcosa di moralmente diverso da quel modo di evitare la semplice probità intellettuale che si verifica quando, non avendo il coraggio di rendersi chiaramente conto della propria posizione ultima, si allevia questo dovere con una debole relativizzazione. E lo considero anche più rispettabile di quella profezia dalla cattedra che non ha capito che entro le pareti dell’aula di lezione nessun'altra virtù ha valore al di fuori della semplice probità intellettuale. Questa ci impone di mettere in chiaro che oggi tutti coloro i quali vivono nell’attesa di nuovi profeti e nuovi redentori si trovano nella stessa situazione descritta nel bellissimo canto della sentinella idumèa durante il periodo dell’esilio, che si legge nell’oracolo di Isaia: Una voce chiama da Seir in Edom: sentinella quanto durerà ancora la notte? E la sentinella risponde: verrà il mattino e anche la notte; se volete domandare, tornate un’altra volta !. Il popolo, al quale veniva data questa risposta, ha domandato e atteso ben più di due millenni, e sapIr. Isaia, cap. 21, 11-12. 716 piamo il suo tragico destino. Ne vogliamo trarre insegnamento che anelare e attendere non basta, e ci comporteremo in altra maniera: ci metteremo al nostro lavoro e adempiremo al compito quotidiano nella nostra qualità di uomini e nella nostra attività professionale. Ciò è semplice e facile quando ognuno abbia trovato e segua il démone che tiene i fili della sua Vita. SPENGLER nascue a Blankenburg, ai confini della Sassonia, figlio di un ingegnere minerario e di una madre con forti inclinazioni artistiche. Dopo aver compiuto gli studi liceali a Halle, frequenta le università di Monaco, di Berlino e di Halle. Consegue il dottorato a Halle, con una dissertazione sul pensiero d’Eraclito. Insegna al liceo di Amburgo; dopo di che si trasfere a Monaco. Durante la grande guerraSpengler si dedica alla stesura della sua opera maggiore, Der Untergang des Abendlandes, di cui il primo volume compare al termine del conflitto (Miinchen; tr. it. Milano). Il titolo di quest'opera che incontra subito un enorme successo esprime la sua connessione con il clima politico della sconfitta tedesca: il crollo della Germania si traduce nel tramonto della civiltà occidentale, interpretato come il necessario momento di decadenza a cui ogni cultura è condannata. I presupposti filosofici generali dell’opera di Spengler possono essere rintracciati per un verso nel pensiero di Dilthey sviluppato in senso relativistico e per l’altro verso in Goethe e in Nietzsche, i due autori di Spengler. Da Dilthey deriva la rivendicazione di una via di accesso alla storia che sia irriducibile al metodo della scienza naturale, così come deriva l'affermazione del carattere storico di tutte le manifestazioni del mondo umano. Spengler non soltanto accoglie l’antitesi tra due modi di considerare la realtà, ma dà alla distinzione tra natura e storia un rilievo ontologico; d'altra parte egli si richiama alla tesi diltheyana dell’auto-centralità delle epoche storiche, applicandola alle culture e facendo così di ogni cultura un organismo chiuso in se stesso, privo di rapporto con le altre culture. Da Goethe deriva invece la prospettiva biologica in base alla quale la storia viene interpretata come un processo organico, contrapposto all’uniformità delle vicende naturali nel cui ambito vale il principio di causalità: la natura vivente di Goethe si trasforma nel mondo come storia , definito in antitesi al mondo come natura, e la sua logica è intesa come una logica organica, eterogenea alla logica meccanica della natura. Da Nietzsche, infine, deriva lo schema ciclico di interpretazione della storia, per cui il processo di ogni cultura appare come la ripetizione di un processo sempre eguale: la dottrina dell'eterno ritorno viene tradotta nell’affermazione dell'identità del ciclo biologico degli organismi elementari della storia, cioè delle culture. Queste diverse componenti confluiscono in una mescolanza talvolta eclettica a costituire l'impianto teorico di Der Untergang des Abendlandes. In base ad esse Spengler si propone di dimostrare che ogni cultura, essendo un organismo biologico, nasce, si sviluppa, decade e muore, secondo la legge ineluttabile della sua specie: perciò ogni cultura anche quella dell'Occidente è destinata, a un certo momento, a perire. E nulla valgono gli sforzi degli uomini rivolti a sottrarla a questa sorte, poiché la logica organica della storia incarna il volere del destino, al quale l’uomo non può che sottomettersi. Però, se il ciclo evolutivo è comune a tutte le culture, diverso è il patrimonio biologico di ognuna: ogni cultura dà origine a un proprio mondo simbolico, le cui manifestazioni valgono soltanto all’interno di essa e non sono partecipabili dai membri delle altre culture. Da ciò la conclusione relativistica a cui Spengler perviene: tra le culture non è possibile alcuna comunicazione, poiché non vi sono valori comuni tra di esse. Ogni cultura crea i propri valori, che sono del tutto diversi da quelli delle altre culture. In questo quadro la civiltà occidentale si presenta come una cultura particolare ormai pervenuta al proprio tramonto, e inarrestabilmente avviata alla fine. Analizzando i fenomeni politico-economici che caratterizzano il mondo contemporaneo l'affermazione della classe borghese, il prevalere dell'economia sulla politica, la dernocrazia, l’organizzazione capitalistica Spengler cerca di porre in luce i sintomi di questa decadenza, in virtù della quale la civiltà occidentale si presenta non più come una cultura ma come una civiltà in declino , ossia come una Zivilisation. Il tentativo di costruire una morfologia della storia universale (come Spengler definisce la sua impresa filosofica) mette così capo alla profezia, in chiave pessimistica, dell'imminente conclusione del ciclo storico della civiltà occidentale. Benché oggetto di numerose critiche e confutazioni, l’opera di Spengler ebbe una larga accoglienza positiva, e le sue idee contribuirono in misura rilevante a preparare quel clima ideologico da cui trarrà origine e alimento il nazismo. Nei volumi successivi a Der Untergang des Abendlandes da Preussentum und Sozialismus (Miinchen, 1919) a Politische Pflichten der deutschen ]ugend (Miinchen, 1924) e a Neubau des deutschen Reiches (Miinchen, 1924), e poi ancora da Der Mensch und die Technik (Miinchen, 1931; tr. it. Milano, 1931) a Jahre der Entscheidung (Miinchen, 1933; tr. it. Milano) Spengler conduce un'aspra polemica contro il liberalismo, il regime parlamentare, i partiti politici, affermando la necessità di restaurare l’autorità dello stato e di dar vita a un socialismo coerente con la tradizione prussiana. È pur vero che egli non aderì mai al nazismo; ma l'opposizione alla repubblica di Weimar e l’esaltazione del primato della politica, della superiorità della razza bianca, del cesarismo, ne fanno uno dei padri ideologici del regime. Negli ultimi anni Spengler vive ritirato, ritornando sui temi della morfologia della storia universale e dedicando una particolare attenzione al passaggio dalla preistoria alla storia e all’origine delle culture: questi scritti, rimasti inediti per lungo tempo, sono stati pubblicati soltanto in epoca recente (Urfragen, Miinchen, 1965; tr. it. Milano, 1971; e Friihzeit der Weltgeschichte, Minchen, 1966). Muore a Monaco l'8 maggio 1936. Di Der Untergang des Abendlandes esiste una recente riedizione in un volume, Miinchen, 1963, 19697, nonché un’edizione economica nei Deutsche Taschenbiicher , 1973; anche Der Mensch und die Technik è stato ristampato nel 1971. Gli altri scritti del periodo 1919-24 sono stati raccolti nel volume Politische Schriften, Miinchen, 1933. Ai volumi già menzionati si devono aggiungere le Reden und Aufsitze (a cura di H. Kornhardt), Minchen, 1937, 1938 ?, 1951° che comprende anche Preussentum und Sozialismus e i Gedanken (a cura di H. Kornhardt), Miinchen, 1941. L'epistolario di Spengler è stato pubblicato col titolo Briefe (a cura di A. M. Koktanek, in collaborazione con M. Schròter), Minchen, 1963. Sul dibattito a cui diede origine la pubblicazione di Der Untergang des Abendlandes riferisce ampiamente M. ScHnòrER, Die Streit um Spengler, Miinchen, 1922, ora ristampato come prima parte di Metaphysik des Untergangs (Eine kulturkritische Studie tiber Oswald Spengler), Miinchen, 1949. Tra la vasta letteratura critica concernente l’opera e il pensiero di Spengler segnaliamo gli studi seguenti: Logos , IX, 1920-21, n. 2 (fascicolo speciale dedicato a Spengler), con articoli di K. JoéL, E. ScHwartz, W. SpreceLBere, L. Curtius, E. Frank, E. Mezcer. T. L. Harins, Die Struktur der Weltgeschichte, Tibingen, 1921. A. Messer, Oswald Spengler als Philosoph, Stuttgart, 1922. A. Fauconnet, Oswald Spengler, Paris, 1925. R. G. Corrinewoon, Oswald Spengler and the Theory of Historical Cycles, Antiquity: a Quaterly Review of Archaeology , I, 1927, pp. 311-25 € 435-46. V. Bronio-BroccHieri, Spengler. La dottrina politica del pangermanesimo post-bellico, Milano, 1928. tr A. G. . Fenvre, De Spengler à Toynbee: quelques philosophies opportunistesde l’histoire, Revue de métaphysique et de morale Giusso, Spengler e la dottrina degli universi formali, Napoli, 1936. . Gaune, Spengler und die Romantik, Berlin, 1937. Scunoter, Mesaphysik des Untergangs (Eine kulturkritische Studie ber Oswald Spengler), Miinchen, 1949. S. Hucnes, Oswald Spengler: a Critical Estimate, New York, 1952. . Barrzer, Oswald Spenglers Bedeutung fiir die Gegenwari, NeheimHiisten, 1959. . Stutz, Oswald Spengler als politischer Denker, Bern, 1959. A. Waismann, E? historicismo contemporaneo: Spengler, Troeltsch, Croce, Buenos Aires, 1960, parte I. Barrzer, Philosoph oder Prophet? Oswald Spenglers Vermichtnis und Voraussagen, Neheim-Hiisten, 1962. Mitter, Oswald Spenglers Bedeutung fiir die Geschichtswissenschaft, Zeitschrift fir philosophische Forschung, XVII, 1963, pp. 483-98. Spengler-Studien: Festgabe fiir Manfred Schròter zum 85. Geburtstag (a A. cura di A. M. Koxraner), Miinchen, 1965. M. Koxraner, Oswald Spengler in seiner Zeit, Miùnchen, 1968. Un elenco completo degli scritti di Spengler è dato da A. M. KorraNEK, Oswald Spengler in seiner Zeit. Manca invece una bibliografia aggiornata degli scritti su Spengler: si vedano però le indicazioni contenute nei volumi sopra menzionati di M. ScHRòTER e di H. S. HucHs. È ora finalmente possibile compiere il passo decisivo e abbozzare un'immagine della storia non più dipendente dalla posizione accidentale dell’osservatore in un determinato presente il suo presente e dalla sua qualità di membro interessato di una particolare cultura, le cui tendenze religiose, spirituali, politiche, sociali lo inducono a ordinare il materiale storico sulla base di una prospettiva temporale e spazialmente delimitata, e a imporre quindi a ciò che è accaduto una forma arbitraria e superficiale, ad esso intimamente estranea. Ciò che finora mancava era la distanza dall’oggetto. Nei confronti della natura essa era stata acquisita da lungo tempo; ma qui era anche più facile acquisirla. Il fisico traccia il quadro meccanico-causale del suo mondo come cosa ovvia, come se egli non esistesse affatto. La stessa cosa è però possibile anche nel mondo formale della storia. Fino ad oggi noi non lo sapevamo. Caratteristico degli storici moderni è l'orgoglio dell'oggettività; ma con ciò essi tradiscono quanto poco siano consapevoli dei propri pregiudizi. Perciò si può forse dire (e lo si farà in avvenire) che è fino ad oggi mancata una reale considerazione della storia di stile faustiano, ossia una considerazione che possegga la di* Der Untergang des Abendlandes: Umrisse einer Morphologie der Weltgeschichte, cap. I: Das Problem der Weltgeschichte, sezione 1: Physiognomik und Systematik, Miinchen, C. H. Beck'sche Verlagsbuchhandlung, ed. definitiva 1923, vol. I, pp. 125-151 (traduzione di Sandro Barbera e Pietro Rossi, autorizzata, per gentile concessione della Casa Editrice Longanesi). stanza sufficiente per osservare, nell'immagine complessiva della storia universale, anche il presente che è tale solo in rapporto a una delle innumerevoli generazioni umane come qualcosa di infinitamente distante ed estraneo, come un lasso di tempo che non ha un peso maggiore di tutti gli altri, senza il criterio falsificante di qualche ideale, senza il riferimento a se stessi, senza desiderio, preoccupazione e intima personale partecipazione, come li pretende la vita pratica; una distanza, quindi, che consenta per dirla con Nietzsche, che però non la possedeva a sufficienza di considerare il fatto uomo da una lontananza immensa; un colpo d’occhio sulle culture, anche sulla propria, come quello che si dà sulla serie di vette di una catena di montagne all’orizzonte. Per far questo bisognava, ancora una volta, portare a compimento un'impresa simile a quella di Copernico, una liberazione dall’apparenza in nome dello spazio infinito come quella che da tempo lo spirito occidentale aveva compiuto nei confronti della natura, allorché passò dal sisterna tolemaico del mondo al sistema che oggi è il solo per lui valido, eliminando in tal modo come formalmente determinante la posizione accidentale dell'osservatore su un particolare pianeta. La storia universale è suscettibile, e ha bisogno, del medesimo distacco da una posizione di osservazione accidentale dall’ età moderna . Certo, il secolo x1x ci appare infinitamente più ricco e importante che non, per esempio, il secolo xIx avanti Cristo; ma anche la Luna ci sembra più grande di Giove e di Saturno. Da lungo tempo il fisico si è liberato dal pregiudizio della distanza relativa; non così lo storico. Noi ci permettiamo di designare la cultura dei Greci come antichità in rapporto alla nostra età moderna. Lo era forse anche per i raffinati Egizi alla corte del grande Thutmosi!, che si trovavano al culmine del loro sviluppo storico un millennio prima di Omero? Per noi gli avvenimenti che si sono svolti dal 1500 al 1800 sul terreno dell'Europa occidentale riempiono il terzo più importante della storia universale. Per lo storico cinese che 1. Thutmosi (o Tutmosi) III, faraone della Diciottesima dinastia vissuto intorno al 1600 a. C., sotto il cui regno la potenza egiziana raggiunse il suo culmine, estendendosi fino alla Siria e a Cipro. guarda indietro ai quattromila anni di storia cinese e giudica in base ad essa, non sono che un breve e poco significativo episodio, neppure lontanamente così importante come i secoli della 10, Depp dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.) che fanno epoca nella sua storia universale . L'intento delle pagine che seguono è di svincolare la storia dal pregiudizio personale dell’osservatore, che nel nostro caso la riduce essenzialmente alla storia di un frammento del passato, assumendo come fine ciò che è accidentalmente presente ’ P nell'Europa occidentale, e come criteri di ciò che è stato raggiunto e dev'essere raggiunto gli ideali e gli interessi validi in questo particolare momento. II Natura e storia: in questo modo si contrappongono tra loro, agli occhi di ogni uomo, le due possibilità estreme di ordinare in un'immagine del mondo la realtà circostante. Una realtà è natura in quanto subordina ogni divenire al divenuto, è storia in quanto subordina ogni divenuto al divenire. Una realtà può essere vista nella sua forma ricordata così sorge il mondo di Platone, di Rembrandt, di Goethe, di Beethoven oppure può essere concepita criticamente nella sua esistenza sensibile presente ed ecco i mondi di Parmenide e di Descartes, di Kant e di Newton. Conoscere, nel senso rigoroso del termine, è quell’atto dell'esperienza vissuta il cui risultato compiuto si chiama natura. Il conosciuto e la natura sono identici. Ogni conosciuto è equivalente come dimostra il simbolo del numero matematico a ciò che è meccanicamente limitato, a ciò che è esatto una volta per sempre, a ciò che è posto. La natura è il complesso di ciò che è necessario in virtà di leggi: vi sono soltanto leggi maturali. Nessun fisico che sia consapevole della propria funzione vorrà procedere al di là di questo limite. Il suo compito è quello di determinare la totalità, il sistema ben ordinato di tutte le leggi che si possono ritrovare nell'immagine della su4 natura e, più precisamente, che rappresentano in maniera esauriente e senza residuo l’immagine della sua natura. D'altra parte l'intuire e rimando al detto di Goethe: l’intuire va ben distinto dal guardare ? è quell’atto dell’esperienza vissuta che, in quanto si compie, è esso medesimo storia. Ciò che viene immediatamente vissuto è l’accaduto, è storia. Ogni accadere è singolare e irripetibile. Esso reca in sé la caratteristica della direzione (del tempo), dell’irreversibili tà. L’accadere, contrapposto come ormai divenuto al divenire, come realtà irrigidita alla realtà vivente, appartiene irrevocabilmente al passato: il sentimento di ciò è l'angoscia cosmica. Ogni cosa conosciuta è però atemporale, né passata né futura, bensì semplicemente esistente e perciò di validità permanente. Questa è la struttura interna di ciò che è oggetto di leggi naturali. La legge ciò che è posto è anti-storica; essa esclude il caso. Le leggi naturali sono forme di una necessità priva di eccezione, e quindi inorganica. È chiaro il motivo per cui la matematica, come ordine quantitativo del divenuto, si riferisce sempre alle leggi e alla causalità, e soltanto ad esse. Il divenire non ha numero . Soltanto ciò che è privo di vita e il vivente soltanto se si prescinde dal suo essere vivente può venir contato, misurato, analizzato. Il puro divenire, la vita, è in questo senso illimitato. Esso si pone oltre l'ambito della causa e dell’effetto, della legge e della misura. Nessuna profonda e genuina ricerca storica va in cerca della legalità causale; in caso diverso non ha compreso la sua essenza più propria. E tuttavia la storia osservata non è puro divenire; essa è un'immagine, una forma del mondo che irradia dall’essere desto dell'osservatore, e nella quale il divenire domina il divenuto. È sulla presenza in essa del divenuto, e quindi su una deficienza, che poggia la possibilità di ricavarne scientificamente qualcosa; e quanto maggiore è tale presenza, tanto più essa appare meccanica, intellettualistica, causale. Anche la natura vivente di Goethe un'immagine del mondo completamente estranea alla matematica conteneva tanto di morto e di rigido da poterne trattare scientificamente almeno la facciata. Se questo contenuto diminuisce molto, se essa è prossima al 2. Goerne, Lettera a Wilhelm von Humboldt del 3 dicembre 1795. puro divenire, allora l’intuire è divenuto un puro Erlebnis che consente soltanto modi di elaborazione artistica. A ciò che vide con il proprio occhio spirituale come destino dei mondi, Dante non avrebbe potuto dare forma scientifica; neppure Goethe avrebbe potuto darla a ciò che scorse nei grandi attimi del suo abbozzo faustiano; e altrettanto poco Plotino e Giordano Bruno alle loro visioni, che non sono state il risultato di ricerche. Qui sta la causa più importante del conflitto concernente la forma intima della storia. Di fronte allo stesso oggetto, allo stesso materiale di fatti, ogni osservatore ha, secondo la sua disposizione, una diversa impressione della totalità, inafferrabile e incomunicabile, che sta a base del suo giudizio e gli conferisce un colore personale. Il grado del divenuto sarà sempre diverso nella visione di due uomini: motivo sufficiente per cui essi non possono mai intendersi sul compito e sul metodo. Ognuno dà all’altro la colpa per la mancanza di chiarezza di pensiero, e tuttavia ciò che è designato con questa espressione, e sulla cui struttura nessuno ha potere, non è qualcosa di peggio ma una diversità necessaria. La stessa cosa vale per tutta la scienza naturale. Ma si tenga ben presente che pretendere di trattare scientificamente la storia è, in ultima istanza, sempre qualcosa di contraddittorio. La scienza genuina si estende fin dove hanno validità i concetti di vero e di falso: ciò vale per la matematica, e vale pure per la disciplina di raccolta, di ordinamento e di esame del materiale, che è preliminare rispetto alla storia. Ma lo sguardo storico vero e proprio, che procede soltanto di qui, appartiene al regno dei significati, in cui i termini decisivi non sono il vero e il falso, ma il superficiale e il profondo. Il vero fisico non è profondo, ma acuto . Solamente quando abbandona il campo delle ipotesi di lavoro e sfiora le cose supreme, può essere profondo; ma allora è diventato ormai anche lui un metafisico. La natura dev'essere considerata scientificamente, mentre la storia deve essere oggetto di poesia. Il vecchio Leopold von Ranke avrebbe detto, una volta, che il Quentin Durward di Scott? rappresenta la vera storiografia. E 3. Walter Scott (1771-1832), pocta e romanziere scozzese, autore di famosi romanzi storici che ebbero larga influenza anche sugli storici romantici: il Quentin Durward, qui citato, è del 1823. 730 OSWALD SPENGLER le cose stanno proprio così; una buona opera storica ha il suo vantaggio nel fatto che il lettore può diventare il suo proprio Walter Scott. D'altra parte, dove dovrebbe dominare il regno dei numeri e del sapere esatto, Goethe aveva chiamato natura vivente proprio ciò che era un'intuizione immediata del puro divenire e del formarsi, e che quindi era storia nel senso qui definito. Il suo mondo era anzitutto un organismo, un essere vivente; e si comprende che le sue ricerche, anche quando recano esteriormente un’impronta fisica, non hanno come scopo in sé numeri né leggi né una causalità fissata in formule, e in generale nessun’analisi, ma sono piuttosto morfologia nel senso più alto ed evitano perciò il mezzo specificamente occidentale (e nient'affatto antico) di ogni considerazione causale, l'esperimento misuratore, senza però farne mai lamentare l’assenza. La sua considerazione della superficie terrestre è sempre geologia, mai mineralogia (che egli chiamava scienza di ciò che è morto). Diciamolo ancora una volta: non esiste nessun confine preciso tra i due modi di concepire il mondo. Se è vero che divenire e divenuto sono antitetici, altrettanto sicuro è il fatto che essi sono presenti entrambi in ogni specie di intendere. Rivive la storia colui che intuisce entrambi i termini come divenienti e in via di compimento; conosce la natura chi li analizza come divenuti e compiuti. In ogni uomo, in ogni cultura, in ogni grado di cultura è presente una disposizione originaria, un’originaria inclinazione e determinazione a preferire una delle due forme come ideale di comprensione del mondo. L’uomo dell’Occidente è in alto grado disposto storicamente *, mentre l’uomo antico lo fu in misura minima. Noi consideriamo tutto ciò che è dato in rapporto al passato e al futuro, l’antichità riconobbe come esistente soltanto il presente nella sua puntualità: il resto diventaa. L’anti-storico come espressione di una decisa disposizione sistematica dev'essere nettamente distinto da ciò che è astorico. L'inizio del quarto libro di Die Welt als Wille und Vorstellung di Schopenhauer ($ 53) è indicativo di un uomo che pensa in modo anti-storico, che cioè reprime, in base a fondamenti teoretici, l'elemento storico che è presente in lui e lo respinge contrapponendogli l’astorica natura ellenica che non lo possiede e non lo comprende. va mito, In ogni nota della nostra musica, da Palestrina‘ fino a Wagner, abbiamo davanti a noi anche un simbolo del divenire; i Greci avevano in ogni loro statua un'immagine del puro presente. Il ritmo di un corpo poggia sul rapporto simultaneo delle parti, il ritmo di una fuga sul corso temporale. III In questo modo i principi della forma e della legge ci si presentano come i due elementi fondamentali di ogni configurazione del mondo. Quanto più decisamente un’immagine del mondo reca in sé i tratti della natura, tanto più illimitatamente valgono in essa la legge e il mumero. Quanto più puramente un mondo viene intuito come un esterno diveniente, tanto più l’inafferrabile ricchezza del suo processo di formazione è estranea al numero. La forma è qualcosa di mobile, di diveniente, di transeunte. La dottrina della trasformazione. La dottrina della metamorfosi è la chiave per penetrare tutti i segni della natura si dice in un’annotazione postuma di Goethe, Così la celebre fantasia sensibile esatta di Goethe, che lascia il vivente agire su di sé*, si distingue già sotto il profilo metodologico dal procedimento esatto e mortifero della fisica moderna. Il residuo dell’aliro elemento che si troverà sempre si manifesta nella scienza naturale rigorosa sotto forma di scorie e di ipotesi inevitabili, il cui contenuto intuitivo riempie e sostiene tutto ciò che è rigidamente numerabile e aderente a formule; e nella ricerca storica si manifesta come cronologia, vale a dire come una rete di numeri intimamente del tutto estranea al divenire (e qui mai tuttavia percepia. Vi sono fenomeni originari, che noi non dobbiamo turbare e pregiudicare nella loro divina semplicità (GoetHE, colloquio con Falk del 25 gennaio 1813, citato da J.D. Fark, Goethe aus naherm persònlichem Umgange dargestellet, Leipzig, 1832 [ed. Artemis, vol. XXII, p. 680]). 4. Giovanni Pierluigi da Palestrina (1526-1594), compositore italiano, autore di celebri messe, di magnificat, di inni, di mottetti, di lamentazioni ecc., è la principale figura della musica sacra del Cinquecento. S. GortHe, Fragmente zur vergleichenden Anatomie (morfologia), in Natur wissenschafdlichen Schriften, Zurich ta nella sua estraneità), che avvolge e penetra il mondo delle forme storiche come uno scheletro di date o come statistica, senza che si possa parlare di matematica. Il numero cronologico designa ciò che è reale singolarmente, il numero matematico designa ciò che è costantemente possibile. Il primo delimita forme ed elabora per l’occhio del comprendere i contorni di epoche e di fatti; è al servizio della storia. Il secondo è esso stesso la legge che deve stabilire il termine e il fine della ricerca. Il numero cronologico è preso in prestito, come mezzo di una scienza preliminare, dalla scienza per eccellenza, cioè dalla matematica; nel suo uso si prescinde tuttavia da questa qualità. Si colga la differenza tra i due simboli seguenti: 12 x 8 = 96 e 18 ottobre 1813 °. Qui l’uso del numero si distingue completamente, proprio come l’uso linguistico nella prosa e nella poesia. Ancora un’altra cosa occorre qui osservare. Poiché a base del divenuto sta sempre un divenire e la storia rappresenta un ordinamento dell'immagine del mondo nel senso del divenire, la storia è la forma del mondo originario, mentre la natura nel senso di un meccanismo elaborato del mondo è una forma successiva, che può essere realmente realizzata soltanto da parte dell’uomo appartenente a culture mature. Di fatto l’ambiente oscuro e animistico dell'umanità primitiva, di cui ancor oggi testimoniano i suoi usi e i suoi miti religiosi, quel mondo completamente organico e pieno di arbitrio, di demoni ostili e di potenze capricciose, costituisce una totalità vivente, inafferrabile, enigmaticamente fluttuante e imprevedibile. Si può anche chiamarlo natura, ma esso non è la nostra natura, non è il riflesso irrigidito di uno spirito conoscente. Questo mondo originario risuona ancora talvolta, come un frammento di umanità da lungo tempo passata, soltanto nell’anima infantile e nei grandi artisti, in mezzo a una natura rigorosa che lo spirito cittadino delle culture mature ha costruito con tirannica energia intorno al singolo. Qui sta il motivo della tensione irritata tra intuizione scientifica ( moderna ) e intuizione artistica ( non pratica ) del mondo, nota a ogni epoca tarda. L’uo6. Data della battaglia di Lipsia, in cui Napolcone fu sconfitto dal generale prussiano Blicher. mo aderente ai fatti e il poeta non perverranno mai a intendersi reciprocamente. Qui dev'essere cercato anche il motivo per cui ogni ricerca storica che aspiri alla scientificità, mentre dovrebbe sempre recare in sé qualcosa della fanciullezza e del sogno, qualcosa di goethiano, sfiora il rischio di diventare una mera fisica della vita pubblica cioè una storia materialistica , come si è essa stessa chiamata senza alcun sospetto. Natura nel senso esatto del termine è il modo più raro, limitato agli uomini delle grandi città di culture più tarde, il modo maturo e forse già senile di possedere la realtà; la storia è invece il modo ingenuo e giovanile, e anche più inconsapevole, proprio di tutta l'umanità. Così almeno la natura numerabile, priva di mistero, analizzata e analizzabile di Aristotele e di Kant, dei Sofisti e dei darwinisti, della fisica e della chimica moderna si contrappone a quella natura immediatamente vissuta, illimitata, sentita di Omero e dell’E444”, dell’uomo dorico e di quello gotico. "Trascurare questo vorrebbe dire disconoscere l’essenza di ogni considerazione della storia. Essa è la natura propriamente zazurale, mentre la natura esatta, ordinata meccanicamente, è una concezione artificiale dell'anima di fronte al suo mondo. Ciononostante o proprio per questo la scienza naturale è facile per l'uomo moderno, mentre la considerazione della storia gli è difficile. Le spinte del pensiero meccanicistico, che procede completamente sulla base della delimitazione matematica, della distinzione logica, della legge e della causalità, compaiono assai per tempo. Si trovano nei primi secoli di tutte le culture, per quanto ancora deboli, isolate, ancora tendenti a svanire nella ricchezza della coscienza religiosa del mondo; basti citare il nome di Ruggero Bacone®. Presto esse assumono un carattere più rigoroso; non manca loro come a tutto ciò che è conquista spirituale e sottoposto alla minaccia della natura umana 7. Raccolta di canti mitologici ed epici, redatti in Islanda tra il secolo x e il secolo xur, a cui fa seguito un trattato di arte poetica composto dall'islandese Snorri Sturluson: è la principale fonte di conoscenza dell’antica religione germanica, che si presenta tuttavia già in forma dottrinalmente elaborata. 8. Ruggero Bacone (1214-1292?), filosofo inglese e monaco francescano, autore dell'Opus maius, dell'Opus minus, dell'Opus tertium e di vari altri scritti, è considerato il maggior rappresentante dell'orientamento empiristico nella Scolastica del secolo xuI. l'aspetto tirannico ed esclusivistico. In modo non percepibile il regno di ciò che è espresso in concetti spaziali infatti i concetti sono per loro essenza numeri, di costituzione puramente quantitativa penetra il mondo esterno del singolo, produce nelle, con e tra le semplici impressioni della vita sensibile una connessione meccanica di tipo causale e numerico, sottoponendo in ultimo la coscienza desta degli uomini civili delle grandi città si tratti della Tebe egizia o di Babilonia, di Benares, di Alessandria o delle metropoli dell'Europa occidentale a una costrizione continua da parte del pensiero fondato sulle leggi naturali. In tal modo nulla più si oppone al pregiudizio di ogni filosofia e di ogni scienza (giacché di un pregiudizio si tratta) secondo cui questa situazione è /o spirito umano e ciò che gli sta di fronte, l’immagine meccanicistica del mondo circostante, è il mondo. Logici come Aristotele e Kant hanno elevato questa visione a visione dominante, ma Platone e Goethe vi si oppongono. IV Il grande compito della conoscenza del mondo, che per l'uomo appartenente alle culture superiori è un bisogno, una specie di penetrazione della sua esistenza che egli crede dovuta a sé e ad essa sia che il suo procedimento venga chiamato filosofia o scienza, sia che la sua affinità con la creazione artistica e con l’intuizione della fede venga sentita con intima certezza oppure venga contestata è in ogni caso sicuramente il medesimo: quello di rappresentare nella sua purezza il linguaggio formale dell'immagine del mondo che è determinato anteriormente all'essere desto del singolo e che questi, finché non la pone a confronto con altre, deve considerare come il mondo. Tenendo conto della differenza tra natura e storia, questo compito deve essere duplice. L'una e l’altra parlano il proprio linguaggio formale, differente sotto ogni riguardo; in un’immagine del mondo non ben caratterizzata come di regola avviene i due linguaggi possono sovrapporsi e confondersi, mai però congiungersi in un’unità intima. Direzione e estensione sono le caratteristiche dominanti in virtù delle quali si distinguono l'impressione storica e quella naturalistica del mondo. L’uomo non è affatto in grado di lasciarle operare contemporaneamente nella loro azione formativa. Il termine lontananza ha un doppio senso indicativo: da un lato significa futuro, dall'altro distanza spaziale. Si osserverà che il materialista storico percepisce quasi di necessità il tempo come dimensione matematica. Per l'artista nato, al contrario come dimostra la lirica di tutti i popoli le lontananze panoramiche, le nuvole, l'orizzonte, il sole calante sono tutte impressioni che si legano irresistibilmente col sentimento di qualcosa di là da venire. Il poeta greco nega il futuro e di conseguenza non vede, non canta tutto questo: dal momento che appartiene del tutto al presente, appartiene anche del tutto alla vicinanza. Lo scienziato naturale, l’uomo di intelletto produttivo in senso proprio sia egli uno sperimetatore come Faraday”, un teorico come Galilei o un calcolatore come Newton trova nel suo mondo soltanto quantità prive di direzione che egli misura, vaglia e ordina. Soltanto ciò che è quantitativo sottostà alla formulazione numerica, è determinato in modo causale, può diventare concettualmente accessibile ed essere formulato in leggi. Con ciò sono esaurite le possibilità della pura conoscenza della natura. Tutte le leggi sono connessioni quantitative o come si esprime il fisico tutti i processi fisici si svolgono nello spazio. Senza modificare il dato di fatto, il fisico antico avrebbe corretto tale espressione nel senso dell’antico sentimento del mondo, negatore dello spazio, dicendo che tutti i processi Hanzo luogo tra corpi. Tutto ciò che è quantitativo è estraneo alle impressioni storiche. Il suo organo è diverso. Il mondo come natura e il mondo come storia hanno i loro propri modi di apprendimento. Noi li conosciamo e li usiamo quotidianamente, senza però essere stati finora consapevoli della loro antitesi. Ci sono una conoscenza della natura e una conoscenza dell’uomo, vale a dire l’esperienza scientifica e l’esperienza della vita. Si segua Faraday, fisico e chimico inglese, autore della C/hemical Manipulation, delle Experimental Researches in Electricity, delle Experimental Rescarches in Chemistry and Physics, diede contributi fondamentali allo sviluppo della teoria dell'elettricità e del magnetismo. quest’antitesi fino alle sue ultime profondità e si comprenderà che cosa intendo. Tutti i modi di concepire il mondo possono essere definiti, in ultima analisi, come morfologia. La morfologia di ciò che è meccanico ed esteso, cioè una scienza che scopre e ordina leggi naturali e relazioni causali, si chiama sistematica; la morfologia di ciò che è organico, della storia e della vita, vale a dire tutto quanto reca in sé direzione e destino, si chiama fisiognomica. V Il modo sistematico di considerazione del mondo ha raggiunto e oltrepassato il suo culmine in Occidente durante il secolo scorso; il modo fisiognomico ha invece ancora davanti a sé il suo grande momento. Tra un centinaio di anni tutte le scienze ancora possibili su questo terreno sono destinate a diventare frammenti di un’unica immensa fisiognomica di tutto quanto è umano. Questo significa una morfologia della storia universale . In ogni scienza, dal punto di vista del fine come del materiale, l’uomo racconta se stesso. Esperienza scientifica vuol dire auto-conoscenza spirituale. Da questo punto di vista la matematica è stata considerata poco prima come un capitolo della fisiognomica. Non abbiamo preso in esame ciò che si proponeva il singolo matematico: il dotto in quanto tale e i suoi risultati in quanto esistenza di una somma di sapere si differenziano reciprocamente. Il matematico come uomo la cui operosità costituisce una parte del suo manifestarsi, e il cui sapere e opinare costituisce una parte della sua espressione, è qui il solo ad avere importanza, e precisamente come orgazo di una cultura. Essa parla di sé per il suo tramite. Come personalità, come spirito, nel suo scoprire, nel suo conoscere, nel suo formare egli appartiene alla fisiognomica di quella cultura. Ogni matematica che, in quanto sistema scientifico oppure come nel caso dell'Egitto nella forma dell’architettura, rende manifesta a tutti l’idea del suo numero, inerente al suo essere desto, è la confessione di un’anima. Quanto è certo che la funzione che si propone appartiene soltanto alla superficie della storia, altrettanto certo è che il suo elemento inconscio, cioè il numero stesso e lo stile dello sviluppo che la conduce alla costruzione di un mondo formale chiuso, costituisce un’espressione dell’esistenza, del sangue. La sua storia vitale, il suo fiorire e sfiorire, la sua relazione profonda con le arti figurative, con i miti e i culti della medesima cultura, tutto ciò appartiene a una morfologia del secondo tipo, cioè a una morfologia storica, finora ritenuta quasi impossibile. La facciata visibile di ogni storia ha perciò lo stesso significato dell'apparenza esteriore dell’uomo singolo, vale a dire della statura, del volto, del portamento, dell’andatura: non il linguaggio, ma il parlare; non lo scritto, ma la scrittura. Tutto ciò è ben presente al conoscitore di uomini. Il corpo con tutte le sue operazioni, il limitato, il divenuto, il transitorio, è espressione dell'anima. Ma essere conoscitore di uomini vuol dire anche conoscere quei grandi organismi umani di stile superiore che chiamo culture; vuol dire cogliere il loro volto, il loro linguaggio, le loro azioni, nello stesso modo in cui si colgono quelle di un uomo singolo. La fisiognomica descrittiva e figurativa è arte del ritratto trasferita all'elemento spirituale. Don Chisciotte, Werther, Julien Sorel! sono i ritratti di un’epoca. Faust è il ritratto di un'intera cultura. Lo scienziato naturale, il morfologo in quanto sistematico, conosce il ritratto del mondo soltanto come compito imitativo; la stessa cosa vale per la fedeltà alla natura e la somiglianza nel caso dell’artigiano che dipinge, il quale, in fondo, si accinge alla sua opera in modo puramente matematico. Ma un ritratto genuino nel senso di Rembrandt è fisiognomica, cioè storia racchiusa in un attimo. La serie dei suoi autoritratti non è altro che un’autobiografia autenticamente goethiana. Così si dovrebbe scrivere la biografia delle grandi culture. La parte imitativa, il lavoro dello storico di mestiere sulle date e sui numeri è soltanto mezzo, non fine. Ai tratti del volto della storia appartiene tutto ciò che è stato finora valutato soltanto in base a criteri personali, in base all’utilità e alla dannosità, al bene e al male, al piacere e al dispiacere: forme statali e forme economiche, battaglie e arti, scienze e divinità, matematica e morale. Tutto ciò che è divenuto in generale, tutto 10. Personaggio principale de Le ronge et le noir di Stendhal. ciò che si manifesta è simbolo, è espressione di un’anima; aspira a essere considerato con l’occhio del conoscitore di uomini, a non essere ricondotto a leggi, ma sentito nel suo significato. In tal modo l’indagine si eleva a una certezza ultima e suprema: tutto ciò che è transitorio è soltanto un'immagine. Alla conoscenza della natura ci si può educare, ma conoscitore della storia si nasce. Il conoscitore coglie e penetra uomini e fatti di un colpo, sulla base di un sentimento che non s’impara, che è sottratto a ogni influenza intenzionale, che ben raramente si produce nella sua massima forza. Analizzare, definire, ordinare, delimitare in base a cause ed effetti, si può sempre farlo, se si vuole: questo è un lavoro, l’altra è una creazione. Forma e legge, immagine e concetto, simbolo e formula hanno un organo completamente diverso. Ciò che si manifesta in quest’antitesi è il rapporto tra vita e morte, tra generazione e distruzione. L'intelletto, il sistema, il concetto uccidono in quanto conoscono ; fanno del conosciuto un oggetto irrigidito, che si può misurare e suddividere. Invece l’intuizione vivifica; incorpora il singolo in un’unità vivente, intimamente sentita. Il poetare e la ricerca storica sono affini quanto affini sono il calcolare e il conoscere. Ma come disse una volta Hebbel !! i sistemi non possono venir sognati né le opere d’arte calcolate o, il che è lo stesso, escogitate . L'artista, lo storico autentico intuisce il modo in cui qualcosa diviene. Egli rivive ancora una volta il divenire nei tratti di ciò che è osservato. Il sistematico sia egli fisico, logico, darwiniano oppure scrittore di storia pragmatica ha esperienza di ciò che è divenuto. L'anima di un artista è, come l’anima di una cultura, qualcosa che aspira a realizzarsi, qualcosa di concluso e di perfetto o nel linguaggio della filosofia antica un microcosmo. Lo spirito sistematico staccato dal sensibile as-tratto è un fenomeno tardo, ristretto e perituro, e appartiene agli stadi più maturi di una cultura. È un fenomeno collegato alle città, in cui la sua vita si concentra sempre di più: esso appare e di nuovo scompare insieme con esse. La scienza antica sussiste Hebbcl, poeta e drammaturgo tedesco, autore di vari drammi di argomento storico, di poesie, dì saggi estetici, nonché di Tagedécher (iniziati nel 1836): il suo pensicro è ispirato da Gocthe e dalle tcorie idcalistiche, in particolare da Schelling c da Hegel. soltanto nel periodo che va dagli Ionici del secolo vi fino all’epoca romana; di artisti antichi ve ne furono per tutta l’antichità. Possa servire da ulteriore chiarimento lo schema seguente: Anima Mondo Esistenza Possibilità Compimento Realtà (Vita) Divenire Divenuto Essere Direzione Estensione desto Organico Meccanico Simbolo, immagine Numero, concetto Storia Natura Immagine Ritmo, forma Tensione, legge del mondo Fisiognomica Sistematica Fatti Verità Se si cerca di pervenire a chiarezza sul principio di unità in base al quale ognuno dei due mondi viene concepito, si troverà che la conoscenza regolata matematicamente si riferisce in tutto e per tutto, e in modo tanto più deciso in quanto più è pura, a qualcosa che è costantemente presente. L'immagine della natura, quale il fisico la considera, è ciò che si dispiega al momento dinanzi ai suoi sensi. Tra i presupposti per lo più sottintesi, ma non per questo meno saldi, di ogni ricerca naturale vi è quello secondo cui la natura è la medesima per ogni essere desto e per tutti i tempi: un esperimento decide una volta per tutte. Non che il tempo venga negato, ma all’interno di questo orientamento si prescinde da esso. La storia reale poggia invece sul sentimento, altrettanto certo, del contrario. La storia presuppone come suo organo un tipo di sensibilità interiore, difficile da descrivere, le cui impressioni vengono colte in un’infinita trasformazione e non possono quindi essere raccolte in un punto del tempo (del supposto tempo dei fisici si parlerà più oltre). L'immagine della storia si tratti della storia dell'umanità, del mondo degli organismi, della terra o del sistema delle stelle fisse è un'immagine della memoria. La memoria viene qui concepita come uno stato superiore che non è affatto proprio a ogni essere-desto, ed è concesso a qualcuno solo in grado minimo, vale a dire come una forma del tutto particolare di immaginazione che consente di rivivere l’attimo singolo sub specie aeternitatis, in continua relazione con tutto ciò che è passato e futuro: essa è il presupposto di ogni specie di contemplazione retrospettiva, di auto-conoscenza e di autoconfessione. In questo senso l’uomo antico non possiede alcuna memoria, e quindi neppure storia, né in sé né intorno a sé. Nessuno può emettere giudizi sulla storia, se non chi ne abbia fatto esperienza egli stesso (Goethe !). Nella coscienza del mondo dell’antichità tutto il passato è assorbito nell’attimo. Si confrontino le teste quanto mai storiche delle sculture del duomo di Naumburg, delle figure di Direr e di Rembrandt, con quelle ellenistiche, per esempio con quella della celebre statua di Sofocle. Le prime narrano l’intera storia di un’anima, mentre i tratti delle seconde si limitano strettamente all’espressione di un essere momentaneo. Esse tacciono tutto ciò che ha condotto, nel corso di una vita, a questo essere sempre che se ne possa in generale parlare di fronte a un uomo genuinamente antico, che è sempre compiuto, mai un essere diveniente. VI È ora possibile rintracciare gli elementi ultimi del mondo formale della storia. Forme innumerevoli, che compaiono e scompaiono, che si stagliano e si dileguano nuovamente in una ricchezza senza fine; una confusione smagliante di mille colori e di mille luci, caratterizzata in apparenza dalla più libera accidentalità questa è, a prima vista, l’immagine della storia universale, quale essa si dispiega nella sua totalità di fronte all’occhio interiore. Ma lo sguardo che penetra più profondamente nell’essenziale separa da questo arbitrio quelle forme pure che, fittamente ricoperte e disvelantisi soltanto controvoglia, stanno alla base di ogni umano divenire. Dell’immagine del divenire complessivo del mondo con i suoi orizzonti che si accumulano potenzialmente così come 12. GoerHe, Maximen und Reflezionen l'occhio faustiano che li abbraccia e quindi del divenire del cielo stellato, della superficie terrestre, degli esseri viventi, degli uomini, noi consideriamo ora soltanto l’unità morfologica estremamente piccola della storia universale nel senso consueto della parola, cioè della storia (poco apprezzata dal vecchio Goethe) dell'umanità superiore, che abbraccia circa seimila anni, senza affrontare l’arduo problema dell’analogia interna di tutti questi aspetti del divenire. Ciò che dà senso e contenuto a questo fuggevole mondo di forme, e che è rimasto finora profondamente sommerso sotto la massa quasi impenetrabile di date e di fatti tangibili, è il fenomeno delle grandi culture. Soltanto quando queste forme originarie siano state individuate, sentite, elaborate nel loro significato fisiognomico, può ritenersi compresa da noi l'essenza e la forma intima della storia umana in antitesi all’essenza della natura. Soltanto partendo da questo sguardo profondo e prospettico si può parlare seriamente di una filosofia della storia. Soltanto allora si può cogliere ogni fatto presente nell’immagine storica, ogni idea, ogni arte, ogni guerra, ogni personalità nel suo contenuto simbolico, e considerare la storia non più come mera somma del passato, priva di un proprio ordine e di una interna necessità, bensì come un organismo di struttura quanto mai rigorosa e con un'articolazione fornita di senso, nel cui sviluppo il presente accidentale dell’osservatore non indica una semplice sezione e il futuro non appare più come informe e indeterminabile. Le culture sono organismi; la storia universale è la loro biografia complessiva. L’immensa storia della cultura cinese o della cultura antica è morfologicamente l’esatta contropartita della piccola storia del singolo uomo o di un animale, di un albero, di un fiore. Per lo sguardo faustiano non si tratta di un’esigenza, ma di un'esperienza: se si vuol conoscere la forma interna, ovunque ripetuta, la morfologia comparativa delle piante e degli animali ha già da lungo tempo preparato il metodo adatto. Nel destino delle singole culture che si succea. Non si tratta del metodo analitico del pragmatismo zoologico dei darwinisti con la loro caccia di connessioni causali, bensì del metodo intuitivo e sintetico di Goethe. dono, che crescono l’una accanto all’altra, si toccano, si ostacolano, si soffocano, viene a esaurirsi il contenuto di tutta la storia umana. E se passiamo spiritualmente in rassegna le loro forme, che finora erano troppo profondamente nascoste sotto la superficie del corso banale di una storia dell'umanità , perveniamo a scoprire la forma originaria della cultura, libera da ogni elemento perturbatore e privo di significato, la quale sta alla base di tutte le culture particolari come loro ideale formale. Distinguo qui l’idea di una cultura, il complesso delle sue possibilità interne, dalla sua manifestazione sensibile nell’immagine della storia, che costituisce la sua realizzazione compiuta. Questo è il rapporto dell’anima con il corpo vivente, con la sua espressione in mezzo all'universo visibile ai nostri occhi. La storia di una cultura è la progressiva realizzazione di ciò che ad essa è possibile. Il compimento equivale alla fine. In questo modo l’anima apollinea che alcuni di noi possono forse comprendere e rivivere stava in rapporto con il suo dispiegamento nella realtà, con l’ antichità della quale l’archeologo, il filologo, lo studioso di estetica e lo storico indagano i resti accessibili all’occhio e all’intelletto. La cultura è il fenomeno originario di tutta la storia universale passata e futura. La profonda e poco apprezzata idea che Goethe scoprì nella sua natura vivente, e che ha sempre posto a base delle sue ricerche morfologiche, deve qui venir applicata, nel suo senso più preciso, a tutte le formazioni della storia umana pienamente maturate, morte mentre ancora stavano fiorendo, semi-sviluppate o soffocate ancora in germe. Si tratta di un metodo fondato sul sentire simpatetico, non sull’analisi. Il massimo a cui l’uomo può pervenire è la meraviglia; perciò sia soddisfatto quando il fenomeno originario lo pone in uno stato di meraviglia; non gli è concesso niente di superiore, e neppure.deve cercarvi qualcosa di più: qui sta il limite !. Fenomeno originario è quello in cui l’idea del divenire sta dinanzi agli occhi nella sua purezza. Goethe vide chiaramente, davanti al suo occhio spirituale, l’idea della pianta originaria nella forma di ogni pianta singola, nata accidentalmente o anche solo possibile. Nella sua indagine sull’os intermazillare 13. GoerHe, Gespriche mit Eckermann. egli partì dal fenomeno originario del vertebrato, e in altro campo partì dalla stratificazione geologica, dalla foglia come forma originaria di ogni organo vegetale, dalla metamorfosi delle piante come immagine primordiale di tutto il divenire organico. La medesima legge si potrà applicare a tutti gli altri esseri viventi !* scrisse da Napoli a Herder, comunicandogli la sua scoperta. Si trattava di uno sguardo sulle cose che Leibniz avrebbe potuto intendere; il secolo di Darwin ne restò invece il più possibile distante. Non esiste però ancora una considerazione della storia che sia completamente libera dai metodi del darwinismo, cioè dalla scienza naturale sistematica poggiante sul principio causale. Mai si è discusso di una fisiognomica rigorosa e chiara, compiutamente consapevole dei suoi mezzi e dei suoi limiti, i cui metodi dovevano essere ancora trovati. Questo è il grande compito del secolo xx: porre accuratamente in luce la struttura interna delle unità organiche attraverso le quali e nelle quali si compie la storia universale; distinguere ciò che è morfologicamente necessario ed essenziale da ciò che è accidentale, cogliere l’espressione degli avvenimenti e scoprire il linguaggio che sta alla sua base. VII Una massa sterminata di esseri umani, una corrente senza sponde che scaturisce dall’oscuro passato, là dove il nostro sentimento del tempo perde la propria capacità ordinatrice e l’inquieta fantasia o l’angoscia ha suscitato come per magia in noi l'immagine di epoche geologiche per nascondere un enigma insolubile; una corrente che va a perdersi in un futuro altrettanto oscuro e atemporale questo è il substrato dell’immagine faustiana della storia umana. L’onda uniforme di innumerevoli generazioni muove questa vasta superficie. Fasci di luce si estendono abbaglianti. Effimeri bagliori passano e danzano, scompigliano e turbano il chiaro specchio, si trasformano, balenano e scompaiono: sono ciò che abbiamo chiamato 14. GoerHE, Italienische Reise, lettera a Herder.generazioni, stirpi, popoli, razze. Essi abbracciano una serie di generazioni in un ambito delimitato della superficie storica. Quando si spegne la forma plasmatrice in esse presente e questa forza è assai diversa, e predetermina un’assai diversa durata e plasticità di queste formazioni si dissolvono anche le caratteristiche fisiognomiche, linguistiche, spirituali, e il fenomeno si risolve di nuovo nel caos delle generazioni. Arii, Mongoli, Germani, Celti, Parti, Franchi, Cartaginesi, Berberi, Bantù, sono tutti nomi che designano formazioni estremamente differenziate di tale ordine. Ma su questa superficie le grandi culture tracciano i loro maestosi cerchi di onde. Esse compaiono all’improvviso, si estendono seguendo direttrici fastose, si acquietano, scompaiono lasciando di nuovo solitario e stagnante lo specchio della marea. Una cultura nasce nell’attimo in cui una grande anima si desta dallo stato psichico originario dell’umanità eternamente fanciulla e se ne distacca, come una forma da ciò che è privo di forma, come qualcosa di limitato e di perituro dall’illimitato e dal permanente. Essa fiorisce sulla base di un territorio delimitabile in modo preciso, al quale rimane vincolata come una pianta. Una cultura perisce quando quest'anima ha realizzato l’intera somma delle sue possibilità sotto forma di popoli, di lingue, di dottrine religiose, di arti, di stati e di scienze, ritornando quindi nel grembo della spiritualità originaria. Ma la sua esistenza vivente, cioè quella successione di grandi epoche che designano in una linea retta il suo compimento progressivo, è una lotta interiore e piena di passione per l’affermazione dell'idea contro le potenze del caos verso l'esterno, e verso l'interno contro l’inconscio in cui esse si sono astiosamente ritirate. Non è soltanto l’artista a combattere contro la resistenza della materia e l’'annientamento dell’idea entro di sé. Ogni cultura si trova in una relazione profondamente simbolica e quasi mistica con ciò che è esteso, con lo spazio nel quale e attraverso il quale essa vuole realizzarsi. Quando il fine è raggiunto e l’idea, la molteplicità delle sue possibilità interne, si è compiuta e si è realizzata verso l'esterno, improvvisamente la cultura si irrigidisce; essa muore, il suo sangue si coagula, le sue forze vengono meno ed essa diventa una civiltà in declino. Questo è ciò che sentiamo e intendiamo parlando di egizianismo, di bizantinismo, di mandarinismo. Così essa può ancora, come un gigantesco albero marcito nella foresta, protendere i suoi rami fradici per secoli e millenni. È quello che vediamo in Cina, in India, nel mondo islamico. In questo modo l’antica civiltà in declino dell’epoca imperiale si elevava gigantesca, con apparente forza giovanile e apparente ricchezza, sottraendo aria e luce alla giovane cultura araba dell’Oriente. Questo è il senso di tutti i tramonti della storia del compimento interno ed esterno, dell’esaurimento che sovrasta ogni cultura vivente. Di essi quello che ci appare più chiaro nei suoi contorni è il tramonto dell’antichità , mentre già oggi avvertiamo chiaramente in noi e intorno a noi i primi indizi di un avvenimento ad esso del tutto analogo per corso e durata, che appartiene ai primi secoli del prossimo millennio: il tramonto dell’Occidente ?. Ogni cultura percorre le età dell’individuo: ognuna ha la sua infanzia, la sua giovinezza, la sua maturità e la sua vecchiaia. Un’anima giovanile, timida, ricca di presentimenti si manifesta negli albori del romantico e del gotico. Essa riempie di sé il passaggio faustiano dalla Provenza dei Trovatori fino al duomo di Hildesheim del vescovo Bernward”. Qui soffia un vento di promavera. Nelle opere dell’antica architettura tedesca dice Goethe! si vede il fiorire di una situazione straordinaria. Chi si trovi immediatamente di fronte una fioritura del genere, non può che stupirsi; ma chi penetri nella segreta vita interna della pianta, nel muoversi delle forze, seguendo passo passo lo sviluppo della fioritura, vede la cosa con occhi del tutto diversi; sa quello che vede . L'infanzia ci a. Non si tratta della catastrofe delle migrazioni dei popoli che costituisce come nel caso della distruzione della cultura maya da parte spagnola un caso privo di necessità più profonda, bensì dell'intimo disfacimento che sopravviene fin da Adriano, e corrispondentemente in Cina sotto la dinastia orientale. 15. Hildeshcim è una città della Bassa Sassonia, sede episcopale dall'epoca di Carlo Magno: San Bernward vi fu vescovo dal 993 al 1022, facendo costruire le mura intorno alla città e favorendo lo sviluppo della metallurgia. 16. GoerHE, Gespricke mit Eckermann, 21 ottobre 1823. parla in modo simile e con voci del tutto affini, con l’arte dorica pre-omerica, con quella cristiana antica, cioè arabo-primitiva, e con le opere dell’antico regno egizio che ha inizio con la quarta dinastia. Qui una coscienza del mondo mitica lotta con tutto ciò che di oscuro e di demoniaco è presente in essa e nella natura come con una colpa, per poter maturare fino alla pura luminosa espressione di un'esistenza finalmente conquistata e compresa. Quanto più una cultura si avvicina al mezzogiorno della sua esistenza, tanto più il suo linguaggio formale finalmente assicurato diventa maturo, aspro, controllato, denso, tanto più essa è certa nel sentimento della propria forza e tanto più chiari diventano i suoi tratti. Nell’epoca primitiva tutto ciò era ancora sordo e confuso, procedeva per tentativi, pieno al tempo stesso di nostalgia e di angoscia infantile. Si consideri la decorazione dei portali delle chiese romanico-gotiche della Sassonia e della Francia meridionale: si pensi alle catacombe cristiane primitive, ai vasi in stile diploico. Ora, nella piena coscienza della forza plasmatrice giunta alla maturità come si manifesta nelle epoche dell’inizio del Medio Impero, dei Pisistrati, di Giustiniano I, della Controriforma ogni singolo tratto espressivo appare scelto, rigoroso, misurato, di una meravigliosa levità e naturalezza. Qui troviamo ovunque attimi di perfezione luminosa, attimi in cui sono sorti la testa di Amenemhet III ” (la sfinge di Hyksos di Tanis), la cupola di Santa Sofia, i dipinti di Tiziano. Ancora più tardi, delicati, quasi fragili, della dolcezza dolorosa degli ultimi giorni d’ottobre, sono l’Afrodite di Cnido e la sala dei cori dell’Eretteo, gli arabeschi degli archi saraceni a ferro di cavallo, lo Zwinger di Dresda", Watteau! e Mozart. Infine, nella vecchiaia della civiltà in declino, il fuoco dell’anima si spegne. Per una volta ancora la forza calante trova l’ardire, pervenendo con parziale successo a una grande creazione nel classicismo, che non è estraneo a nessuna cultura in via di estinzione; 17. Amenembet II, faraone della Dodicesima dinastia vissuto intorno al 18501800 a, C. 18, Lo Zwinger è il castello rcale di Dresda, costruito nell'età barocca, sede di celebri collezioni. 19. Jcan-Antoinc Wattcau, uno dci maggiori pittori francesi del Settecento. l’anima ripensa ancora una volta dolorosamente nel romanticismo alla propria infanzia. Alla fine stanca, neghittosa, fredda, essa smarrisce la gioia dell’esistenza e come nell’epoca imperiale di Roma aspira a fare nuovamente ritorno dalla luce millenaria nell’oscurità della mistica spirituale originaria, nel grembo materno, nella tomba. Questa è la magia della seconda religiosità , che i culti di Mitra, di Iside, del Sole hanno esercitato una volta sull'uomo della tarda antichità i medesimi culti che in Oriente un’anima appena albeggiante aveva riempito di un’interiorità completamente nuova, facendone l’espressione primitiva, sognante, angosciata della sua solitudine in questo mondo. VII Si parla dell’abito di una pianta e con ciò si intende la forma di apparenza esterna propria ad essa soltanto, cioè il carattere, l'andamento, la durata del suo manifestarsi nel mondo visibile ai nostri occhi l'elemento per cui ognuna si distingue, in ogni sua parte e in ogni fase della sua esistenza, dagli esemplari di tutte le altre specie. Applicherò questo importante concetto fisiognomico ai grandi organismi della storia, e parlerò dell'abito della cultura, della storia o della spiritualità indiana, egiziana, antica. Un sentimento indeterminato di esso è stato da sempre a base del concetto di stile; e quando si parla dello stile religioso, intellettuale, politico, sociale, economico di una cultura, e dello stile di un'anima in generale, ci si limita a chiarirlo e ad approfondirlo. Questo abito dell’esistenza nello spazio, che nell'uomo singolo si estende al fare e al pensare, al portamento e alla disposizione spirituale, abbraccia nell'esistenza di intere culture l’espressione complessiva della vita di ordine superiore, come la scelta di determinati generi artistici (la scultura e l'affresco da parte dei Greci, il contrappunto e la pittura a olio in Occidente) e il riftuto deciso di altri generi artistici (l’arte plastica da parte degli Arabi), la propensione all’esoterismo (in India) o alla popolarità (nel mondo antico), al discorso orale (nell’antichità) o allo scritto (in Cina e in Occidente), come forme di comunicazione spirituale, nonché il tipo di costumi, di amministrazione, di mezzi di trasporto e le forme di rapporto sociale. Tutte le grandi personalità antiche costituiscono un gruppo a sé, il cui abito spirituale è rigorosamente distinto da quello dei grandi uomini appartenenti al gruppo arabo o occidentale. Si confronti un Goethe o un Raffaello con gli uomini dell’antichità, ed Eraclito, Sofocle, Platone, Alcibiade, Temistocle, Orazio, Tiberio ci appariranno subito come raccolti in un’unica famiglia. Ogni metropoli antica dalla Siracusa di Gerone fino alla Roma imperiale in quanto incarnazione e simbolo di un medesimo sentimento della vita, è profondamente diversa per piano urbanistico, per la struttura delle strade, per il linguaggio dell’architettura privata e pubblica, per il tipo delle piazze, dei vicoli, dei cortili, delle facciate, per il colore, il chiasso, il traffico, per lo spirito delle sue notti, dal gruppo delle metropoli indiane, arabe, occidentali. A Granada molto tempo dopo la sua conquista si poteva ancora sentire l’anima delle città arabe, di Bagdad e del Cairo, mentre nella Madrid di Filippo II si incontrano già tutte le caratteristiche fisiognomiche delle immagini di città moderne come Londra e Parigi. In ogni diversità di questa specie c'è un alto grado di simbolismo: si pensi alla propensione occidentale per le prospettive e i tracciati stradali rettilinei, come lo scorcio possente dei Champs Elysées visti dal Louvre o la piazza di San Pietro, e alla loro antitesi rispetto alla confusione e alla ristrettezza quasi intenzionale della Via Sacra, del Foro romano e dell’Acropoli con il loro ordine asimmetrico e aprospettico delle parti. Anche la struttura della città ripete o per un oscuro impulso (come avviene nel gotico) o consapevolmente (come dopo Alessandro e Napoleone) qui il principio matematico leibniziano dello spazio infinito, là quello euclideo dei corpi isolati. Ma all’abito di un gruppo di organismi appartiene anche una determinata durata della vita e un determinato ritmo di sviluppo. Questi concetti non possono mancare in una dottrina della struttura della storia. Il ritmo dell’esistenza antica era diverso da quello dell’esistenza egizia o araba. Si può parlare dell’ andante dello spirito ellenico-romano e dell’ allegro con brio di quello faustiano. Al concetto di durata della vita di un uomo, di una farfalla, di una quercia, di un filo d'erba si connette, del tutto indipendentemente da ogni accidentalità del destino individuale, un determinato valore. Nella vita di tutti gli uomini dieci anni costituiscono una sezione approssimativamente equivalente, e anche la metamorfosi degli insetti è legata, nei casi singoli, a un numero di giorni già noto con precisione in anticipo. I Romani ricollegavano ai loro concetti di pueritia, adulescentia, juventus, virilitas, senectus una rappresentazione fornita di precisione quasi matematica. Senza dubbio la biologia del futuro farà della durata predeterminata della vita delle varie specie e dei vari generi in antitesi al darwinismo, e con un'esclusione di principio dei motivi causali di finalità riguardo all'origine delle specie il punto di partenza di una problematica completamente nuova. La durata di una generazione poco importa di quali esseri è un fatto di significato quasi mistico. Queste relazioni posseggono anche, in maniera finora mai percepita, una validità per tutte le culture superiori. Ogni cultura, ogni sua epoca iniziale, ogni crescita e ogni declino, ognuna delle sue fasi e dei suoi periodi internamente necessari possiede una durata determinata, sempre eguale, sempre ricorrente con l'insistenza di un simbolo. In quest'opera si dovrà rinunciare a svelare questo mondo di connessioni piene di mistero, ma i fatti che verranno in seguito sempre più in luce sveleranno tutto ciò che qui rimane celato. Che cosa significa il sorprendente periodo di cinquant’anni, che si riscontra in ogni cultura, nel ritmo del divenire politico, spirituale, artistico? *® Che cosa significano i periodi di trecento anni del barocco, dello ionico, delle grandi matematiche, dell’arte plastica attica, della pittura a mosaico, del contrappunto, della meccanica galileiana? Che cosa significa la durata ideale di un millennio nella vita di ogni cultura, in confronto a quella dell'individuo, in cui la vita dura settant'anni ? a. Mi limiterò a fare qui riferimento alla distanza delle tre guerre puniche e alla serie, anch'essa da intendersi in maniera puramente ritmica, della guerra di successione spagnuola, delle guerre di Federico il Grande, di Napoleone, di Bismarck e della guerra mondiale. Affine a ciò è il rapporto spirituale tra nonno e nipote. Di qui trae origine la convinzione dei popoli primitivi che l’anima del nonno ritorni nel nipote e il costume diffuso di dare al nipote il nome del nonno, che con la sua forza mistica ne rievoca l’anima nel mondo corporeo. Nel modo in cui le foglie, i fiori, i rami, i frutti recano ad espressione nella loro forma, nella loro foggia e nel loro portamento l’essere vegetale, lo stesso fanno le formazioni religiose, intellettuali, politiche ed economiche nell’esistenza di una cultura. Ciò che per l’individualità di Goethe significa una serie di manifestazioni così differenti quali il Faust, la Farbenlehre, il Reineke Fuchs, il Tasso, il Werther, il viaggio in Italia, l'amore per Federica, il West-ostliche Divan e le Ròmische Elegien, per l’individualità del mondo antico significano le guerre persiane, la tragedia attica, la polis, il dionisiaco, al pari della tirannide, delle colonne ioniche, della geometria di Euclide, della legione romana, dei combattimenti tra gladiatori e del panem et circenses dell’epoca imperiale. In questo senso ogni esistenza individuale in qualche modo significativa ripete, con profonda necessità, tutte le epoche della cultura a cui appartiene. In ciascuno di noi la vita interiore si desta in quell’istante decisivo a partire dal quale si sa di essere un Io nel punto e nel modo in cui si è destata l'anima dell'intera cultura. Ognuno di noi, uomini dell’Occidente, ancora rivive da fanciullo, nei suoi sogni ad occhi aperti e nei giochi infantili, il suo gotico, le sue cattedrali, i castelli feudali e le saghe degli eroi, il Dieu Je veut delle Crociate e il tormento del giovane Parsifal’. Ogni giovane greco aveva la sua epoca omerica e la sua Maratona. Nel Werther di Goethe, immagine di una svolta giovanile nota a ogni uomo faustiano, ma a nessun uomo antico, ritorna l’epoca di Petrarca e del Minnesang”®. Quando Goethe abbozzò l’Urfaust, egli era Parsi fal; quando finì la prima parte, era Amleto; soltanto con la seconda parte diventò l’uomo universale del secolo x1x, quale 20. Eroc di una leggenda popolare di origine celtica, poi collegato con il ciclo di Re Artà o dei cavalieri della tavola rotonda : in questo nuovo contesto Parsifal diventa il personaggio principale della ricerca del Graal, dando così il titolo nel secolo xt a un noto pocma cavalleresco di Chrétien de Troyes. A quest'ultima versione si è richiamato Wagner nella sua ultima opera, il Parsifal. 21. Designazione collettiva della lirica tedesca dei secoli xir e xm, affine alla poesia trobadorica provenzale, che si ispira all'ideale dell’ amor cortese . La parola è composta dai termini Minne (= Liebe, amore) c Sang (= Gesang, canto o canzone); essa si riferisce all'omaggio reso dal cavaliere alla sua dama, cspresso con la parola Minnedienst. Byron lo intese. Perfino la senilità, quei secoli capricciosi e infecondi dell’Ellenismo più tardo, la seconda fanciullezza di un'intelligenza stanca e svogliata, si può studiare in più d’uno dei grandi vegliardi dell’antichità. Nelle Baccanti di Euripide è anticipato molto del sentimento della vita, e nel Timeo di Platone molto del sincretismo religioso dell’età imperiale. Il secondo Faust di Goethe e il Parsifal! di Wagner svelano in anticipo quale forma la nostra spiritualità assumerà nei prossimi secoli, negli ultimi secoli creativi. Per omologia degli organi la biologia intende la loro equivalenza morfologica, in antitesi all’analogia, che si riferisce invece all’equivalenza della loro funzione. Goethe ha concepito questo concetto importante, e così fecondo nelle sue conseguenze, il cui sviluppo lo ha condotto a scoprire nell'uomo l’os intermaxillare; Owen? ne ha dato una formulazione rigorosamente scientifica. Io introduco questo concetto anche nel metodo storico. È noto che a ogni parte del cranio umano corrisponde in modo preciso in tutti i vertebrati fino ai pesci un’altra parte, in modo tale che le pinne pettorali dei pesci e i piedi, le ali, le mani dei vertebrati terrestri sono organi omologhi, anche se hanno perduto ogni più piccola parvenza di somiglianza. Omologhi sono i polmoni degli animali terrestri e la vescica natatoria dei pesci; analoghi sono invece in riferimento all’uso i polmoni e le branchie®. Qui si manifesta un talento a. Non è superfluo aggiungere che questi fenomeni puri della natura vivente sono estranei a ogni elemento causale, e che il materialismo dovette pervertirne l'immagine con l’introduzione di cause finali, per ottenere un sistema adatto all'intelletto comune. Goethe, che del darwinismo aveva grosso modo anticipato ciò che di esso rimarrà ancora tra cinquant'anni, escluse completamente il principio di causa. Egli caratterizza la vita reale priva di cause e di scopi in modo tale che i darwinisti non si sono qui affatto avveduti dell'assenza del principio. Il concetto di fenomeno originario non permette nessuna assunzione causale, a meno che non si voglia fraintenderlo in senso meccanicistico. Owen, biologo inglese, autore della Memoir on the Pearly Nautilus, della Odontography (1840-1845), della History of British Fossil Mammals and Birds (1846), della History of British Fossil Reptils (1849-1884) e di varie altre opere, diede importanti contributi alla paleontologia degli animali vertebrati. morfologico approfondito, ottenuto attraverso una rigorosissima educazione dello sguardo, che è del tutto estraneo all’attuale ricerca storica con la sua comparazione superficiale, tra Cristo e Budda, tra Archimede e Galilei, tra Cesare e Wallenstein”?, tra i piccoli stati tedeschi e quelli ellenici. Nel corso di quest'opera diventerà sempre più chiaro quali immense prospettive si aprano allo sguardo storico, non appena questo metodo rigoroso venga compreso ed elaborato anche all’interno della considerazione della storia. Formazioni omologhe sono per menzionarne qui soltanto alcune l’arte plastica antica e la musica strumentale dell'Occidente, le piramidi della Quarta dinastia e le cattedrali gotiche, il Buddismo indiano e lo Stoicismo romano (mentre Buddismo e Cristianesimo z07 sono neppure analoghi), l'epoca degli stati in lotta della Cina, degli Hyksos e delle guerre puniche, le epoche di Pericle e degli Omeiadi, le epoche del Rigveda”, di Plotino e di Dante. Omologhi sono la corrente dionisiaca e il Rinascimento, analoghe sono invece la corrente dionisiaca e la Riforma. Per noi lo ha giustamente sentito Nietzsche Wagner riassume la modernità . Di conseguenza dev’esserci qualcosa di corrispondente anche per la modernità antica; ed è l’arte di Pergamo. Dall’omologia dei fenomeni storici deriva nel medesimo tempo un concetto del tutto nuovo. Io definisco contemporanei due fatti storici che, ognuno nella sua cultura, compaiono esattamente nel medesimo luogo (relativo) e hanno perciò un significato esattamente corrispondente. Si è già mostrato come lo sviluppo della matematica antica e di quella occidentale siano avvenuti in piena coerenza. In questo caso Pitagora e Descartes, Archita* e Laplace, Archimede e Gauss” dovrebbe23. Albrecht Wenzel Euscbius von Waldstein o Wallenstcin, condottiero delle armate imperiali durante la guerra dei Trent'anni, in seguito accusato di tradimento e ucciso, La sua vita ispirò la trilogia di Schiller che da Wallenstein prende il nome. 24. Prima parte dei Veda, raccolta di inni e di racconti cosmogonici anteriori all'800 a. C., che costituiscono il primo nucleo della letteratura metafisica indiana. 25. Archita di Taranto, matematico greco della prima metà del secolo Iv, sviluppò l’opera di Pitagora e fu in relazione con Platone. Gauss, matematico c astronomo tedesco, autore delle Disquisitiones arithmeticae (1801) e di numerosi altri scritti, dicde una nuova impostazione alla teoria dei numeri e aprì la strada alle geometrie non cuclidec. Non meno ro essere designati come contemporanei; la nascita dello ionico e del barocco si compie contemporaneamente; Polignoto” e Rembrandt, Policleto” e Bach sono contemporanei. Contemporanei appaiono, in tutte le culture, la Riforma, il Puritanesimo, e soprattutto la svolta che reca alla civiltà in declino. Nell'antichità quest'epoca porta i nomi di Filippo e di Alessandro; nell'Occidente l’avvenimento ad essa contemporaneo compare nella forma della Rivoluzione francese e di Napoleone. Alessandria, Bagdad e Washington vengono costruite contemporaneamente; l'apparizione delle antiche monete e della nostra contabilità a partita doppia, della prima tirannide e della Fronda, di Augusto e di Shih Huang Ti”, di Annibale e della guerra mondiale avvengono contemporaneamente. Spero di dimostrare che tutte senza eccezione le grandi creazioni e forme della religione, dell’arte, della politica, della società, dell'economia, della scienza sorgono, si compiono e periscono contemporaneamente nelle diverse culture; che la struttura interna di una corrisponde completamente a quella delle altre; che nell'immagine storica di ogni cultura non c’è un solo fenomeno fornito di profondo significato fisiognomico di cui non si possa rintracciare la contropartita, in una forma rigorosamente definibile e in un luogo ben determinato, anche nelle altre. Ma per cogliere l’omologia tra due fatti occorre un approfondimento e un’indipendenza dall’apparenza della facciata completamente diversi da quelli finora consueti tra gli storici, i quali non si sarebbero mai sognati che il Protestantesimo trova il suo corrispettivo nel movimento dionisiaco e che il Puritanesimo inglese dell'Occidente corrisponde all’Islam nel mondo arabo. Da questo aspetto deriva una possibilità che va molto al di là dell’ambizione di ogni ricerca storica precedente, la quale si importanti sono le sue ricerche astronomiche: calcolò per primo l'orbita del pianetino Ccrere cd elaborò un nuovo metodo di calcolo dell'orbita dei piancti. 27. Polignoto di Taso, pittore greco vissuto nella prima metà del secolo v. 28. Policleto, grande scultore greco del secolo v. 29. Shih Huang Ti, primo imperatore sovrano , è il titolo assunto dal re Cheng dello stato di Ch'in dopo l'unificazione della Cina e la soppressione degli altri stati indipendenti. A lui si devono la semplificazione della scrittura cinese, l'estensione del sistema giuridico Ch'in a tutto l'impero, l'organizzazione amministrativa dell'impero, nonché il completamento della Grande muraglia. limitava essenzialmente a ordinare il passato, nella misura in cui esso era conosciuto, secondo uno schema unilineare cioè la possibilità di procedere oltre il presente come limite dell’indagine e di determinare in anticipo anche le epoche zoz ancora trascorse della storia occidentale nella loro forma interna, nella loro durata, nel loro ritmo, nel loro senso, nel loro risultato, ma anche la possibilità di ricostruire con l’aiuto di connessioni morfologiche le epoche da gran tempo scomparse e sconosciute, e perfino intere culture del passato. Si tratta di un procedimento non dissimile da quello della paleontologia che oggi è in grado di fornire, sulla base di un singolo frammento del cranio, nozioni ampie e sicure sullo scheletro e sull’appartenenza del frammento a una specie determinata. Una volta presupposto il ritmo fisiognomico è del tutto possibile ritrovare, sulla base di particolarità disperse della decorazione, dell’architettura e della scrittura, e di dati isolati di natura politica, economica, religiosa, i tratti organici fondamentali dell'immagine storica di interi secoli; è possibile ricavare da elementi del linguaggio formale dell’arte la forma statale ad essa contemporanea, dalle forme matematiche il carattere delle corrispondenti forme economiche. Si tratta di un procedimento genuinamente goethiano, che riporta all’idea goethiana di feromeno originario, e che è corrente nel limitato ambito della zoologia e della botanica comparativa, ma che può venir esteso, in misura finora mai sospettata, all'intero campo della storia. Sul concetto di politica abbiamo riflettuto più di quanto fosse opportuno, e tanto meno ci siamo intesi sul modo di considerare la politica reale. I grandi uomini di stato sono soliti agire immediatamente, sulla base di un sicuro intuito dei fatti. Per essi ciò è tanto evidente che non viene loro neppure in mente la possibilità di riflettere sui concetti generali fondamentali di questo agire posto che tali concetti esistano. Essi sapevano da sempre che cosa dovevano fare. Una teoria in proposito non corrispondeva né al loro talento né al loro gusto. Ma i pensatori di professione che posavano lo sguardo sui fatti creati dagli uomini erano così intimamente distanti da questo agire che perdevano tempo almanaccando di astrazioni preferibilmente in immagini mitiche come quelle di giustizia, virtù, libertà e in base ad esse misuravano l’accadere storico del passato e soprattutto del futuro. Essi dimenticarono che si trattava in fondo di semplici concetti, e pervennero alla convinzione che la politica esista per dare forma al corso del mondo secondo una ricetta ideale. E poiché una cosa simile non è avvenuta mai e in nessun luogo, l’agire politico apparve loro così ristretto in confronto al pensiero astratto che nei loro libri disputavano sul fatto se possa in qualche modo esserci un genio dell’azione . * Der Untergang des Abendlandes: Umrisse einer Morphologie der Weltgeschichte, cap. Il-iv: Der Staat, sezione 3: Philosophie der Politig, Minchen, C. H. Beck'sche Verlagsbuchhandlung, 1918-22, cd. definitiva 1923, vol. II, pp. 544-579 (traduzione di Sandro Barbera e Pietro Rossi, autorizzata, per gentile concessione della Casa Editrice Longanesi). Qui si compirà invece il tentativo di creare, anziché un sistema ideologico, una fisiognomica della politica quale è stata realmente fatta nel corso della storia intera, e non così come avrebbe dovuto essere fatta. Il compito era quello di penetrare il senso ultimo dei grandi fatti, di vederli, di sentire e di circoscrivere il loro elemento simbolicamente significativo. I progetti di miglioramento del mondo non hanno nulla a che fare con la realtà storica?. Noi chiamiamo storia le correnti dell’esistenza umana nella misura in cui le concepiamo come movimento; le chiamiamo generazione, ceto, popolo, nazione nella misura in cui le concepiamo invece come qualcosa di mosso. La politica è il modo e la maniera in cui quest’esistenza che scorre si afferma, cresce, trionfa sulle altre correnti della vita. Tutta la vita è politica, in ogni suo tratto istintivo, fino al midollo. Ciò che oggi designiamo volentieri come energia vitale (come vitalità), quel qualcosa in noi che vuole ad ogni costo avanzare e sollevarsi, il cieco, cosmico, nostalgico impulso alla validità e alla potenza che rimane legato a mo’ di pianta e di razza alla terra, alla patria », quell’essere diretto e quel dover necessaria mente agire costituisce quello che ovunque, tra gli uomini superiori, cerca ed è costretto a cercare, come vita politica, le grandi decisioni per essere oppure per subire un destino. Infatti o si cresce 0 si muore: non c'è una terza possibilità. Per questo motivo la nobiltà come espressione di una razza forte è il ceto propriamente politico: la disciplina, non la cultura è la forma propriamente politica di educazione. Ogni grande politico, che è un centro di forza nella corrente di ciò che accade, ha qualcosa di nobile nel modo di sentire la propria a. I regni passano, un buon verso rimane» così si esprimeva Wilhelm von Humboldt sul campo di battaglia di Waterloo. Ma la personalità di Napoleone ha plasmato in anticipo la storia dei secoli successivi, Per ciò che riguarda i buoni versi, egli avrebbe dovuto interrogare in proposito un contadino per strada. È vero che essi rimangono, ma per l'insegnamento della letteratura. Platone è eterno, ma per i filologi. La figura di Napoleone domina però interiormente noi tutti, i nostri stati e i nostri eserciti, la nostra opinione pubblica, tutto il nostro essere politico e in misura tanto maggiore quanto meno ne abbiamo coscienza. SPENGLER 757 vocazione e nel proprio legame interiore. Invece tutto ciò che è microcosmico, tutto ciò che è spirito», è anche apolitico; perciò ogni politica programmatica e ogni ideologia hanno qualcosa di sacerdotale. I migliori diplomatici sono i fanciulli quando giocano o vogliono avere qualcosa. Allora la sostanza cosmica presente nell'esistenza singola si fa strada immediatamente e con una sicurezza da sonnambulo. Col destarsi della giovinezza gli uomini non imparano, ma anzi disimparano questa maestria dei primi anni di vita: proprio per questo motivo l’uomo di stato è cosa rara tra gli uomini. Queste correnti dell’esistenza nell’ambito di una cultura superiore perché soltanto all’interno di essa e tra di esse vi è grande politica — sono possibili solo al plurale. Un popolo esiste realmente soltanto in rapporto ad altri popoli. Ma proprio per questo motivo il rapporto naturale, razziale, tra di essi è la guerra. Si tratta di un fatto che nessuna verità cambierà mai. La guerra è la politica originaria di ogzi essere vivente, fino al punto che la lotta e la vita sono in fondo tutt'uno e che con la volontà di lotta si spegne anche l'essere. Vi sono antiche parole germaniche come orrusta e orlog che significano serietà e destino, in antitesi allo scherzo e al gioco: è un rafforzamento, non una differenza di essenza. E se ogni alta politica vuol essere una sostituzione della spada con armi spirituali, se l'ambizione dell’uomo di stato alla sommità di tutte le culture è quella di rendere quasi non più necessaria la guerra, rimane pur sempre l’affinità originaria tra diplomazia e arte della guerra: il carattere di lotta, la medesima tattica, la medesima astuzia bellica, la necessità di avere sullo sfondo forze materiali per dare peso alle operazioni. Anche il fine rimane lo stesso: la crescita della propria unità vitale — ceto o nazione — a spese delle altre. Ogni tentativo di escludere questo ele- mento razziale conduce soltanto alla sua trasposizione in un campo diverso: anziché tra partiti c'è la lotta tra territori o, quando la volontà di crescita viene meno anche qui, tra bande di avventurieri a cui il resto della popolazione volontariamente si rassegna. In ogni guerra tra potenze della vita si tratta di stabilire chi debba governare il tutto. È sempre una vita e mai un sistema, una legge o un programma, che fornirà il ritmo nella SPENGLER corrente dell’accadere ®. Essere il centro di azione, il centro attivo di una massa, elevare la forma interiore della propria persona a forma di interi popoli e di intere epoche, avere il comando della storia per poter condurre il proprio popolo e la propria stirpe, con i suoi fini, al culmine degli avvenimenti — questo è l'impulso inconsapevole e irresistibile operante in ogni essere individuale fornito di vocazione storica. C'è soltan- to storia personale, e quindi anche soltanto politica personale. La lotta non di princìpi ma di uomini, non di ideali ma di caratteri razziali per esercitare il potere costituisce il presuppo- sto e il fine della politica: le rivoluzioni stesse non costituisco- no un'eccezione, poiché la sovranità popolare non è che una parola per esprimere il fatto che il potere dominante ha assun- to il titolo di capo-popolo anziché quello di re. Con questo non muta il metodo di governare, e neppure la posizione dei gover- nanti. Anche la pace universale, tutte le volte che c’è sta- ta, non è stata altro che la schiavitù dell’umanità intera sotto il governo di un piccolo numero di nature forti decise a dominare. Il concetto di esercizio del potere implica già tra gli animali che un’unità vitale si frantumi in soggetti e oggetti di governo. Ciò è talmente ovvio che questa struttura interna di ogni unità di massa non va perduta neppure un istante, anche durante le crisi più gravi come quella del 1789. Soltanto il detentore del potere scompare, non però l’ufficio; e quando nel corso degli avvenimenti un popolo perde realmente ogni guida e si spinge in avanti senza regola, ciò significa soltanto che trasferisce all’esterno la propria guida, perché è diventato oggetto nella sua totalità. Non vi sono popoli politicamente dotati; vi sono soltanto popoli che sono saldamente in mano a una minoranza gover- nante e che quindi si trovano bene nella loro costituzione. Come popolo, gli Inglesi sono altrettanto privi di giudizio, ristretti e poco pratici di cose politiche che qualsiasi altra nazio- ne, ma posseggono, pur con tutto il loro gusto per i dibattiti pubblici, una tradizione di fiducia. La differenza consiste sem- plicemente nel fatto che l’Inglese è oggetto di un governo che a. È questo il significato della frase inglese men not measures, che indica il segreto di ogni politica che ha successo.ha consuetudini assai antiche e ricche di successo, a cui egli acconsente perché ne conosce per esperienza il vantaggio. Da questo consenso, che dal di fuori appare come accordo, non c’è che un passo per arrivare alla convinzione che tale governo dipenda dalla volontà popolare, anche se all’inverso è proprio esso che gli inculca sempre, per motivi tecnici, questo punto di vista. La classe di governo inglese ha sviluppato i suoi fini e i suoi metodi in piena indipendenza dal popolo ; essa lavora con e in una costituzione non scritta le cui finezze nient’affatto teoriche, nate dall’uso, sono impenetrabili e in- comprensibili al profano. Ma il coraggio della truppa dipende dalla fiducia nella guida una fiducia che vuol dire rinuncia non arbitraria alla critica. È l'ufficiale che rende eroi i codardi o codardi gli eroi: ciò vale per gli eserciti, per i popoli, per i ceti come per i partiti. Il talento politico di una massa non è altro che fiducia nella sua guida. Ma essa dev'essere guadagna- ta; deve maturare lentamente, venir mantenuta in virtù del successo e diventare tradizione. Il difetto di capacità direttive nello strato dominante si manifesta come scarso sentimento di sicurezza presso i dominati, cioè come quella specie di critica priva d'istinto e petulante, che mette fuori forma un popolo con la sua semplice presenza. II Come si fa politica? L'uomo di stato nato è soprattutto un conoscitore: un conoscitore di uomini, di situazioni, di cose. Egli possiede lo sguardo che abbraccia integralmente, senza esitare, l'ambito del possibile. Il conoscitore di cavalli saggia con ro sguardo il portamento dell’animale e sa quali prospettive esso possiede nella corsa. Il giocatore lancia uno sguardo all’avversario e ne conosce la prossima mossa. Fare ciò che è giusto senza saperlo , la mano sicura che allenta imper- cettibilmente o lascia andare del tutto la redine tutto ciò è l'opposto dell’uomo teoretico. Il ritmo segreto di ogni divenire è il medesimo in lui e nelle cose storiche. L'uno ha sentore dell’altro, l’uno esiste per l’altro. L'uomo di azione non si trova mai in pericolo di condurre una politica sentimentale o programmatica. Non crede alle grandi parole: egli ha continua- SPENGLER mente sulle labbra la domanda di Pilato. Verità ma l’uomo di stato nato sta al di là del vero e del falso, non scambia la logica degli avvenimenti con la logica dei sistemi. Le verità o gli errori , che sono qui la stessa cosa vengono da lui considerate soltanto come correnti spirituali, riguardo alla loro efficacia: egli ne scorge la forza, la durata e la direzione, e le mette in conto per il destino della potenza da lui diretta. Certamente possiede convinzioni che gli sono care, ma come uomo privato; nessun politico di statura si è mai sentito dipendente da esse mentre agiva. Colui che agisce è sempre privo di coscienza; nessuno ha coscienza come ne ha l’uomo contemplativo !. Ciò vale per Silla e Robespierre così come per Bismarck e Pitt. I grandi papi e i capi-partito inglesi, finché dovevano dirigere il corso delle cose, non seguivano princìpi diversi da quelli dei conquistatori e degli agitatori di tutti i tempi. Si tragga dalle azioni di Innocenzo III, che ha condotto la Chiesa vicino al dominio del mondo, la loro regola fondamentale, e se ne ottiene un catechismo del successo che rappresenta l’estremo opposto di ogni morale religiosa, ma senza il quale nessuna chiesa, nessuna colonia inglese, nessun patrimonio americano, nessuna rivoluzione vittoriosa, infine nessun stato e nessun partito, nessun popolo si troverebbe in una situazione sopportabile. La vita, non l’individuo, è priva di coscienza. Perciò occorre intendere il tempo per il quale si è nati. Chi non avverte e non coglie le sue potenze più segrete, chi non sente in se stesso qualcosa di affine che lo spinge in avanti per un cammino che non si può circoscrivere con concetti, chi crede a ciò che sta in superficie, all'opinione pubblica, alle grandi parole e agli ideali del giorno, non è all’altezza dei suoi avvenimenti. Allora questi lo hanno in loro potere, e non viceversa. Mai guardarsi alle spalle e mai trarre il criterio dal passato! e tanto meno di fianco, da un qualsiasi sistema! In epoche come l’attuale o come quella di Gracco vi sono due specie di idealismo infausto: quello reazionario e quello democratico. L'uno crede nella reversibilità della storia, l’altro nella presenza in essa di un fine. Ma per il necessario insuccesso in cui entrambe gettano la nazione sul cui destino hanno acquisito potere, è indifferente 1. GorrHe, Maximen und Reflexionen, 241. che la si sacrifichi a un ricordo o a un concetto. L’uomo di stato genuino è la storia fatta persona; è il suo orientamento in forma di volontà singola, la sua logica organica in forma di carattere. Ma l’uomo di stato di valore dovrebbe anche essere un educatore in senso elevato: non come rappresentante di una morale o di una dottrina, ma come modello nel suo agire. È un fatto noto che nessuna religione nuova ha mai mutato lo stile dell’esistenza. Essa ha penetrato l’essere desto, l’uomo spirituale, ha gettato nuova luce su un mondo al di là, ha creato una felicità incommensurabile con la forza della modestia, della rinuncia e della sopportazione fino alla morte; ma sulle forze della vita non possedeva alcun potere. Soltanto la grande personalità la sostanza impersonale, la razza in essa presente, la forza cosmica che le è connessa opera creativamente sul vivente, non istruendo ma disciplinando, trasformando il tipo di interi ceti e di interi popoli. Non /e verità, # bene, i sublime, bensì i;7 Romano, # Puritano, : Prussiano costituiscono un fatto. Il sentimento dell’onore, il sentimento del dovere, la disciplina, la decisione sono tutte cose che non si imparano dai libri; esse vengono destate, nel fluire dell’esistenza, da un modello vivente. Perciò Federico Guglielmo I? fu uno dei più grandi educatori di tutti i tempi e il suo portamento personale, plasmatore di una razza, non è più scomparso nel susseguirsi delle generazioni. Ciò che distingue l’uomo di stato genuino dal semplice politico, dal giocatore per diletto, dal cacciatore di felicità che opera sulle sommità della storia, dall’avido e dall’ambizioso, dal maestro di scuola che va predicando un ideale, è il fatto che egli può esigere il sacrificio e lo ottiene perché il sentimento di essere necessario all’epoca e alla nazione viene condiviso da migliaia di uomini, li plasma fin nel loro intimo e li rende capaci di imprese alla cui altezza non si sarebbero altrimenti mai sollevati*. a. Ciò vale, in definitiva, anche per le chiese, le quali sono qualcosa di completamente diverso dalle religioni, cioè elementi del mondo dei 2. Federico Guglielmo I (1688-1740), re dì Prussia dal 1713 alla morte, pose le basi dell’amministrazione dello stato prussiano: la sua parsimonia e la sua vita frugale servirono di esempio a generazioni di funzionari del nuovo stato. Ma il momento supremo non consiste nell’agire, bensì nel poter comandare. Soltanto con questo il singolo cresce al di sopra di sé, diventando il punto centrale di un mondo attivo. C'è una specie di comandare che fa dell’obbedire una consuetudine fiera, libera e nobile e che Napoleone, per esempio, non ha posseduto. Un residuo di mentalità subalterna gli ha impedito di educare degli uomini e non degli strumenti di registrazione, di dominare tramite personalità anziché mediante decreti; e poiché non era capace di questa sensibilità sottile del comandare e doveva quindi fare da solo tutto quanto era veramente decisivo, doveva a poco a poco fallire a causa della sproporzione tra i compiti della sua posizione e i limiti della capacità di azione umana. Ma chi possiede questa dote suprema e ultima dell’umanità più perfetta come Cesare o Federico il Grande alla sera di una battaglia, quando le operazioni vanno incontro all’esito voluto e la campagna si decide con la vittoria, oppure nell’ora in cui si conclude, con l’ultima firma, un’epoca della storia, prova un sentimento di potenza meraviglioso che rimane per sempre precluso agli uomini della verità. Vi sono attimi che indicano i punti più alti delle correnti cosmiche in cui l’individuo è consapevole di essere identico al destino e di stare al centro del mondo, e percepisce la sua personalità quasi come il manto di cui la storia futura è in procinto di avvolgersi. Il primo compito è di fare qualcosa da sé; il secondo, meno appariscente ma più difficile e più grande nella sua efficacia remota, è di creare una tradizione, di coinvolgere altri affinché proseguano la propria opera, il suo ritmo e il suo spirito; scatenare una corrente di attività unitaria che non ha più bisogno del primo capo per mantenere la propria forma. Con ciò l’uomo di stato cresce a un’altezza che l’antichità ha definito come divinità: diventa il creatore di una vita nuova, il capostipite spirituale di una razza giovane. Dopo pochi anni egli scompare, come essere singolo, da questa corrente. Ma una fatti e quindi nel carattere della loro guida fenomeni politici e non religiosi. Non la predica cristiana, ma il martire cristiano ha conquistato il mondo, e del possesso di questa forza egli era debitore non già alla dottrina, ma all’esempio dell'Uomo sulla croce. minoranza da lui suscitata, un altro essere di specie assai rara, subentra al suo posto per un tempo indeterminato. Un individuo può produrre e lasciare come eredità questo elemento cosmico, quest’anima di uno strato dominante; in tutta la storia questo ha sempre dato effetti durevoli. Il grande uomo di stato è raro: se egli venga, se si affermi, se troppo presto o troppo tardi tutto ciò è affidato al caso. I grandi individui spesso distruggono più di quanto non abbiano costruito, e ciò a causa del vuoto che la loro morte lascia nella corrente dell’accadere. Ma creare una tradizione vuol dire escludere il caso. Una tradizione alleva un tipo medio elevato su cui il futuro può fare sicuro affidamento: non un Cesare, ma un senato; non un Napoleone, ma un corpo incomparabile di ufficiali. Una forte tradizione attrae da tutte le parti i talenti e consegue grandi successi con ridotte capacità: lo dimostrano le scuole pittoriche italiane e olandesi non meno dell’esercito prussiano e della diplomazia della curia romana. È stata una grande debolezza di Bismarck in confronto a Federico Guglielmo I che egli abbia sì saputo agire, ma non formare una tradizione, che non abbia creato accanto al corpo di ufficiali di Moltke® una razza corrispondente di politici che si identificasse con il suo stato e con i nuovi compiti da esso posti, che traesse continuamente dal basso uomini importanti incorporando per sempre il loro stile di azione. Se ciò non avviene, anziché uno strato di governo formato di un sol getto si avrà un insieme di teste che affronta disarmata l’imprevisto. Ma se ciò riesce, allora sorge un popolo sovrano nell’unico senso che è degno di un popolo e che è possibile nel mondo dei fatti; una minoranza ben integrata e altamente selezionata, provvista di una tradizione sicura e maturata attraverso una lunga esperienza, che attrae c utilizza sul suo cammino ogni talento e che proprio per questo motivo si trova in accordo con il resto della nazione da essa governato. Una minoranza siffatta diventa a poco a poco una razza genuina anche se una volta era stata un partito e 3. Helmuth Carl Bernhard von Moltke (1800-1891), generale prussiano, prestò dapprima servizio nell’esercito turco; ritornato in Germania nel 1840, diresse le armate prussiane nella guerra del 1866 conuo l’Austria e poi nella guerra franco-tedesca del 1870-71. A lui si deve l’organizzazione in forma moderna dell’esercito prussiano: grande stratega, ebbe una parte decisiva nell'esito vittorioso delle due guerre. decide con la sicurezza del sangue, non dell’intelletto. Proprio per questo motivo tutto accade in essa da sé: non ha più bisogno del genio. Ciò significa, se così si può dire, la sostituzione del grande politico con la grande politica. Ma che cos'è la politica? Essa è l’arte del possibile: è una formula antica, che dice quasi tutto. Il giardiniere può trarre una pianta dal seme o nobilitarne la specie; può dispiegare o lasciar deperire le disposizioni in essa latenti, la sua crescita e la sua foggia, la sua fioritura e i suoi frutti. Dal suo sguardo per il possibile, e quindi per il necessario, dipendono la perfezione, la forza, l’intero destino della pianta. Ma la forma fondamentale e la direzione della sua esistenza, le sue fasi di sviluppo, la sua velocità e la sua durata, la legge secondo cui si manifesta 70n sono in potere del giardiniere. Essa deve realizzarla, oppure muore; e la stessa cosa vale per quell’immensa pianta che è la cultura e per le correnti dell’esistenza di generazioni umane racchiuse nel suo mondo di forme politiche. Il grande uomo di stato è il giardiniere di un popolo. Ogni individuo che agisce è nato in e per un determinato tempo. In tal modo è determinato anche l’ambito di ciò che può venir conseguito da /ui. Il nonno e il nipote hanno di fronte cose differenti; anche il loro fine e il loro compito sono quindi differenti. L'ambito si restringe ulteriormente a causa dei limiti della sua personalità e delle qualità del suo popolo, della situazione e degli uomini con cui deve lavorare. Ciò che qualifica il politico di statura è il fatto che di rado egli deve fare sacrifici per essersi ingannato su questi limiti, ma anche il fatto che non tralascia nulla di quanto può essere realizzato. In ciò rientra pure e proprio tra Tedeschi non si ripeterà mai abbastanza il fatto che egli non scambia ciò che dovrebbe essere con.ciò che sarà. Le forme fondamentali dello stato e della vita politica, la direzione e il luogo del suo sviluppo sono dati con un determinato tempo, e sono immutabili. Tutti i successi politici vengono conseguiti con questi clementi, non già a loro spese. Gli adoratori degli ideali politici creano dal nulla: essi sono nelle loro teste sorprendentemente liberi; ma i loro edifici ideali, costruiti su concetti vuoti come quelli di saggezza, giustizia, libertà, eguaglianza sono in definitiva sempre gli stessi, e ricominciano sempre da capo. A chi è padrone dei fatti basta dirigere in modo impercettibile ciò che gli è semplicemente presente. Questo sembra poca cosa; e tuttavia soltanto qui comincia la libertà in senso elevato. Ciò che conta sono le piccole mosse, l’ultima cauta pressione sul timone, la fine sensibilità per le sfumature più sottili dell’anima dei popoli e degli individui. L'arte dello stato è da un lato chiara visione delle grandi linee tracciate in modo irrevocabile; dall’altro è mano sicura per ciò che è singolare e personale, per ciò che in questo quadro può trasformare un disastro che si approssima in un successo decisivo. Il segreto di ogni vittoria risiede nell’organizzazione di quanto non appare. Chi sa far questo può dominare il vincitore come rappresentante dei vinti, al pari di Talleyrand a Vienna. Cesare, la cui posizione era allora quasi disperata, ha posto a Lucca al servizio dei propri fini, senza farsi accorgere, la potenza di Pompeo, scavandogli così la fossa. Ma vi è un pericoloso limite del possibile, che la perfetta sensibilità dei grandi diplomatici dell’epoca barocca non ha quasi mai toccato, mentre è privilegio degli ideologi inciamparvi continuamente sopra. Vi sono svolte nella storia da cui il conoscitore si lascia trascinare per un intero periodo, pur di non perdere il dominio. Ogni situazione possiede la propria misura di elasticità, sulla quale non ci si può ingannare in nessun modo. Una rivoluzione giunta al suo scoppio dimostra sempre una deficienza di sensibilità politica, sia dei governanti sia dei loro avversari. Il necessario dev'essere fatto al tempo giusto, cioè fin quando è un dono con cui il potere del governo si assicura la fiducia, e non dev'essere fatto come un sacrificio che manifesti debolezza e desti disprezzo. Le forme politiche sono forme viventi che si trasformano inesorabilmente in una determinata direzione. Si cessa di essere in forma quando si vuol ostacolare questa marcia oppure deviarla in direzione di un ideale. La nobiltà romana possedette questa sensibilità; non così quella spartana. Nell’epoca dell’ascesa della democrazia si è sempre pervenuti all’attimo fatale in Francia prima del 1789, in Germania prima del 1918 in cui era troppo tardi per presentare una riforma necessaria come un libero dono, e quindi si sarebbe dovuto rifiutarla con energia priva di esitazione in quanto ora, come sacrificio, preparava la dissoluzione. Ma chi non vede per tempo la prima necessità, disconoscerà ancora più sicuramente la seconda. Anche il viaggio a Canossa può avvenire troppo presto o troppo tardi; in ciò risiede, per interi popoli, la decisione se essi saranno in futuro un destino per gli altri, oppure se dovranno subirlo da altri. Ma la democrazia in decadenza ripete lo stesso errore di voler tenere fermo ciò che era l’ideale di ieri: questo è il pericolo del secolo xx. Su ogni sentiero che conduce al cesarismo si trova un Catone. L'influenza che anche un uomo di stato in posizione eccezionalmente forte può avere sui metodi politici è assai ristretto; è proprio del valore dell’uomo di stato non farsi illusioni in proposito. Il suo compito è di lavorare con e dentro le forme storiche presenti; soltanto il teorico si entusiasma a scoprire forme più ideali. Nell’essere in forma politico rientra però l’incondizionato padroneggiamento dei più moderni. Qui non c'è nessuna scelta: i mezzi e i metodi sono dati dal tempo, e appartengono alla forma interna di un’epoca. Chi si sbaglia su di essi, chi consente al suo gusto e al suo sentimento di prevalere sulla propria sensibilità, perde di mano i fatti. Il pericolo di un’aristocrazia è di essere conservatrice nei mezzi; il pericolo della democrazia è di scambiare la formula con la forma. I mezzi del presente sono ancora per molti anni quelli parlamentari: le elezioni e la stampa. Su di essi si può avere l’opinione che si vuole, si può onorarli o disprezzarli, ma bisogna padroneggiarli. Bach e Mozart padroneggiavano i mezzi musicali del loro tempo: questo è l’indice di ogni specie di maestria. Le cose non stanno diversamente per l’arte dello stato. Ma quella che importa non è, in ogni caso, la forma esteriore generalmente visibile, bensì ciò di cui è il rivestimento. Perciò essa può venir mutata senza che sia mutato qualcosa nell’essenza dell’accadere; può venir tradotta in concetti e in testi costituzionali senza neppur incidere sulla realtà; e l’ambizione di tutti i rivoluzionari e dottrinari si riduce a immischiarsi in questo gioco di diritti, di princìpi e di libertà alla superficie della storia. L'uomo di stato sa che l’estensione del diritto di voto è del tutto inessenziale rispetto alla tecnica ateniese o romana, giacobina, americana e ora anche tedesca, di fare le elezioni. Comunque suoni la costituzione inglese, ciò è indifferente di fronte al fatto che la sua applicazione è controllata da un piccolo strato di famiglie nobili, di modo che Edoardo VII‘ era un ministro del proprio ministero. Per quanto riguarda la stampa moderna, il visionario può ben appagarsi del fatto che essa è costituzionalmente libera ; il conoscitore si domanda soltanto chi ne dispone. La politica è infine la forma in cui si compie la storia di una nazione in una pluralità di nazioni. La grande arte consiste nel mantenere internamente in forma la propria nazione in vista degli avvenimenti esterni. Non soltanto per i popoli, gli stati e i ceti, ma per le unità viventi di ogni specie fino ai gruppi di animali più semplici e al corpo dell'individuo, questo è il rapporto naturale tra politica interna e politica estera: la prima esiste esclusivamente per la seconda, e non viceversa. Il democratico genuino tratta di solito la politica interna come uno scopo in sé, mentre il diplomatico di media levatura pensa soltanto alla politica estera. Ma proprio per questo motivo i risultati particolari di entrambi restano sospesi in aria. Senza dubbio il maestro nell’arte politica si rivela nel modo più marcato nella tattica delle riforme interne, nella sua attività economica e sociale, nell’abilità di mantenere in accordo, e al tempo stesso funzionante, la forma pubblica della totalità diritti e libertà con il gusto dell’epoca, e nell'educazione di sentimenti senza i quali non è possibile che un popolo si mantenga in buona costituzione: fiducia, rispetto dei capi, consapevolezza della propria potenza, soddisfazione e, se diventa necessario, entusiasmo. Ma tutto ciò mantiene il suo valore soltanto in riferimento al fatto fondamentale della storia superiore, cioè al fatto che un popolo non è solo al mondo e che per il suo futuro è decisivo il rapporto di forze con altri popoli e altre potenze, non il semplice ordinamento interno. E poiché lo sguardo dell’uomo comune non giunge tanto in là, è la minoranza governante che deve possederlo anche per il re4. Edoardo VII (1841-1910), re d’Inghilterra a partire dal rgor, alla morte della madre regina Vittoria, promosse una politica di entenze con la Francia e la Russia: il suo regno come allude qui Spengler si ispirò ai più rigorosi principi costituzionali. sto del popolo: quella minoranza in cui l’uomo di stato trova lo strumento con cui può realizzare i suoi propositi *. III Per la politica primitiva di ogni cultura le potenze direttive rappresentano un dato di fatto. L’intera esistenza riveste una forma rigorosamente patriarcale e simbolica; i condizionamenti del territorio materno sono così forti, il vincolo feudale e anche lo stato fondato sul ceto sono, per la vita così circoscritta, una cosa talmente ovvia che la politica dell’epoca omerica e dell’epoca gotica si limita ad agire nel quadro di forme date. Queste forme mutano, in certa misura, per proprio conto. Che questo sia un compito della politica non perviene mai chiaramente alla coscienza, anche quando una monarchia è rovesciata o una nobiltà è assoggettata. Esiste soltanto una politica di ceto, una politica imperiale, papale, di vassalli. Il sangue, la razza, parla con imprese impulsive e semi-consapevoli, poiché anche il sacerdote, nella misura in cui fa politica, agisce qui come uomo di razza. I problemi dello stato non si sono ancora destati. La signoria e i ceti originari, l’intero mondo di forme primitive, sono dati da Dio, e soltanto in base a questo presupposto si combattono minoranze organiche, fazioni. È proprio dell’essenza della fazione che non le venga neppua. Non ci sarebbe neppure bisogno di sottolineare che questi non sono i princìpi di un governo aristocratico, ma del governare in genere. Nessun capo di masse fornito di talento né Cleone5 né Robespierre né Lenin ha mai considerato diversamente il suo ufficio. Chi si sente realmente l’incaricato della moltitudine anziché il dirigente di coloro che non sanno quello che vogliono, non sarà padrone in casa propria neppure per un giorno. La questione è soltanto quella di stabilire se i grandi capi-popolo facciano uso della loro posizione a vantaggio proprio o degli altri; e su quest'argomento ci sarebbe parecchio da dire. 5. Cleone, uomo politico ateniese del secolo v a. C., pervenuto al potere dopo la morte di Pericle (429 a. C.), capeggiò il partito favorevole a una guerra offensiva contro Sparta. Morì in battaglia ad Amfipoli nel 422 a. C., dopo che le sorti del conflitto già volgevano a sfavore di Atene. re in mente l’idea di poter mutare secondo un programma l’ordine delle cose. La fazione vuol conquistare un posto all’in- terno di quest'ordine, vuole conquistare potenza e possesso, co- me tutto ciò che cresce in un mondo che cresce. Si tratta di gruppi in cui hanno un ruolo la parentela tra i casati, l'onore, la fedeltà, i vincoli di un’interiorità quasi mistica, e da cui rimangono del tutto escluse le idee astratte. Di questo genere sono le fazioni dell’epoca omerica e gotica, Telemaco e i Proci di Itaca, gli Azzurri e i Verdi sotto Giustiniano, i Guelfi e i Ghibellini, i casati di Lancaster e di York, i Protestanti?, gli Ugonotti, e ancora le potenze che hanno suscitato la Fronda e la prima tirannide. Il libro di Machiavelli poggia completamen- te su questo spirito. Una svolta subentra non appena assume la guida con le grandi città il non-ceto, cioè la borghesia. Ora, al contrario, è la forma politica che assurge a oggetto della lotta, a proble-ma: fin allora era maturata, ora dev'essere creata. La politica si desta; non soltanto viene concepita, ma anche tradotta in concetti. Contro il sangue e la tradizione si sollevano le poten- ze dello spirito e del denaro. Al posto dell'organico subentra l'organizzato, al posto del ceto subentra il partito. Un partito non è una formazione razziale, ma un insieme di teste e per- ciò tanto superiore agli antichi ceti nello spirito, quanto più povero nell’istinto. Esso è il nemico mortale di ogni articolazio- ne sviluppata in base al ceto, la cui semplice presenza ne con- traddice l’essenza. Proprio per questo motivo il concetto di partito è sempre legato con il concetto incondizionatamente negatore, dissolutore e socialmente livellatore dell'eguaglianza. Non si riconoscono più ideali di ceto, ma solamente interessi professionali ®. Ma esso è legato anche a quello, altrettanto ne- gatore, della libertà: / partiti sono un fenomeno puramente cittadino. Con la completa liberazione della città dalla campa- gna la politica di ceto lascia ovunque il passo alla politica di partito poco importa che ne abbiamo conoscenza oppure a. I quali erano, in origine, un'alleanza di diciannove principi e città libere. b. Perciò sul terreno dell’eguaglianza borghese il possesso di denaro prende subito il posto che prima occupava il rango genealogico. no: in Egitto con la fine del Regno di mezzo®, in Cina con gli stati combattenti”, a Bagdad e a Bisanzio con gli Abassidi*. Nelle capitali dell'Occidente si formano i partiti di tipo parla- mentare, nelle città-stato antiche i partiti del foro; partiti di stile magico li conosciamo nel Maali® e presso i monaci di Teodoro di Studion *"°. Ma è sempre il n0m-ceto, l’unità della protesta contro l’essen- za del ceto in generale, la cui minoranza dirigente cultura e possesso si presenta come partito fornito di un program- ma, di uno scopo non sentito ma definito, e che rifiuta tutto quanto non si lascia cogliere intellettualmente. Esiste perciò, in fondo, un unico partito quello della borghesia, quello liberale; ed esso è anche pienamente cosciente di questo rango. Esso si identifica con il popolo . I suoi avversari, soprattutto i ceti genuini, Juzker e preti, sono nemici e traditori del popolo , mentre la propria opinione è la voce del popolo , che viene iniettata a questo con tutti i mezzi della manipolazio- ne politica di partito come il discorso del foro o la stampa occidentale, per poterla quindi rappresentare. a. Cfr. anche J. WeLLHausen, Die religiòs-politischen Oppositionspar- teien im alten Islam, Gòttingen, 1901. 6. Periodo della storia egiziana che abbraccia l'Undicesima e la Dodicesima di- nastia, dal secolo xx1 a. C. all'invasione degli Hyksos: in quest'epoca la capitale del- l'Egitto fu trasferita da Memfi a Tebe, c il nuovo stato raggiunse un maggior grado di unità attraverso il controllo esercitato sulla nobiltà feudale delle province e le sue ten- denze centrifughe. 7. Con l’espressione Clan-kso ( stati combattenti ) si designano gli ultimi duc secoli e mezzo di dominio della dinastia Chou vale a dirc il periodo che va dal 500 circa al 249 a. C. caratterizzati da una situazione di anarchia feudale e di lot- te tra i diversi regni che costituivano l'Impero cinese. 8. Dinastia araba succeduta a quella omeiade, che salì al potere nel 750 trasfe- rendo Ja capitale del mondo arabo da Damasco a Bagdad. Il suo dominio entra in erisi verso la fine del secolo, giungendo al termine nel 1055, quando i Turchi selgiu- cidi da tempo convertiti alla fede islamica conquistano Bagdad. Tuttavia il ca- liffato abasside continuerà formalmente a esistere fino al 1258, quando sarà soppresso dai Mongoli che subentreranno ai Turchi nel possesso di Bagdad. 9. Il Maali (o Mali) è una regione dell’Africa a sud del Sahara, sull'alto corso del Niger, dove nei secoli xiv e xv si sviluppò un regno reso particolarmente fiorente dal- la posizione strategica di alcune città-mercato come Timbuktu c Gao. 10. Tcodoro di Studion (759-826), monaco bizantino, abate del monastero di Stu- dion a Costantinopoli, fu coinvolto nella disputa sull’iconoclastia e assunse posizione favorevole al culto delle immagini: scrisse tre Légoi antirretikoì, inni sacri e varie lettere. I ceti originari sono la nobiltà e il clero. Il partito origina- rio è quello del denaro e dello spirito, il partito liberale, il partito della grande città. Qui risiede la giustificazione profon- da dei concetti di aristocrazia e di democrazia, e ciò per tutte le culture. Aristocratico è il disprezzo per lo spirito delle cit- tà, democratico è il disprezzo per il contadino, l’odio per la campagna. È questa la differenza tra politica di ceto e politica di partito, tra coscienza di ceto e mentalità di partito, tra razza e spirito, tra crescita e costruzione. Aristocratica è la cultura compiuta, democratica è l’incipiente civiltà in declino della metropoli, finché l’antitesi non viene superata nel cesarismo. Come è certo che la nobiltà è :/ ceto, e che il terzo stato non perverrà mai a essere realmente in forma in questa maniera, così è certo che la nobiltà riuscirà sì a organizzarsi in partito, ma non a sentirsi tale. Ma la rinuncia a ciò non le è consentita. Tutte le costituzioni moderne rinnegano i ceti e sono organizzate sulla base del partito come l’ovvia forma fondamentale della politica. Il secolo x1x, e nello stesso modo anche il n a. C., è l’apogeo della politica di partito. Il suo carattere democratico impone la formazione di partiti contrapposti, e mentre una volta ancora nel secolo xvi il terzo stato si costituiva come ceto secondo il modello della nobiltà, ora invece la formazione difensiva del partito conservatore sorge in base al modello del partito liberale ® completamente dominato dalle forme di esso, borghesizzato senza essere borghese, costretto a una tattica i cui mezzi e i cui metodi sono esclusivamente determinati dal liberali smo. Esso ha soltanto la scelta tra maneggiare questi mezzi meglio dell'avversario © o soccombere. Ha però profonde radici a. Alla democrazia inglese e americana è essenziale il fatto che in Inghilterra i contadini sono scomparsi e che in America non sono mai esistiti. Il farmer è spiritualmente un abitante dei sobborghi, e praticamente esercita l'agricoltura come un'industria: in luogo dei villaggi vi sono soltanto frammenti di metropoli. b. Ed essa sorge ovunque tra i due ceti originari sussiste anche una antitesi politica, come in Egitto, in India e in Occidente, e anche dove c'è un partito clericale, cioè non una religione ma una chiesa, non dei fedeli ma un clero. c. E il suo più forte contenuto di razza gliene dà tutte le prospettive. nell’essenza di un ceto il fatto che esso non colga questa situazione e voglia combattere non il nemico, ma la forma: di qui un appello ai mezzi estremi che ha devastato, all’inizio del declinare di ogni civiltà, la politica interna di interi stati, consegnandoli inermi all’avversario esterno. La necessità, propria di ogni partito, di essere borghese nell’apparenza diventa caricatura non appena, a fianco degli strati cittadini forniti di cultura e di possesso, si organizza come partito anche il resto del popolo. Così, per esempio, il marxismo, che in teoria è una negazione della borghesia, come partito è invece del tutto piccolo-borghese nel suo comportamento e nella sua guida. Vi è un conflitto permanente tra la volontà, che esce necessariamente fuori del quadro della politica di partito e quindi di ogni costituzione entrambe sono esclusivamente liberali e che può venir designata in modo onorevole solo come guerra civile, e il suo modo di presentarsi, al quale ci si crede obbligati e che in ogni caso bisogna tenere per conseguire in quest'epoca qualche risultato durevole. Ma il modo di presentarsi di un partito nobiliare in parlamento è intimamente tanto poco genuino quanto quello di un partito proletario. Qui soltanto la borghesia è a casa propria. A Roma patrizi e plebei hanno combattuto essenzialmente come ceti, dall’istituzione dei tribuni nel 471 a. C. fino al riconoscimento del loro pieno potere legislativo nella rivoluzione del 287 a. C. A partire da quel momento l’antitesi ha un’importanza soltanto più genealogica, e si sviluppano partiti che si possono a buon diritto designare come partito liberale e partito conservatore: il populus che dava il tono al foro® e la nobiltà che aveva il proprio sostegno nel senato. Intorno al 287 a. C. quest’ultimo si trasforma da consiglio di famiglia delle antiche stirpi in un consiglio di stato dell’aristocrazia amministrativa. Vicini al populus .sono i comizi centuriati, organizzati in base al posa. La plebs corrisponde al terzo stato borghesi e contadini del secolo xvin, mentre il populus corrisponde alla massa metropolitana del secolo xix. Questa differenza si esprime nel comportamento nei confronti degli schiavi liberati, in gran parte di origine non italica, che la plebs come ceto cerca di relegare nel minor numero possibile di tribus, mentre nel populus come partito essi avranno ben presto un'importanza determinante. sesso, e il gruppo dei grandi finanzieri, gli equites; vicino alla nobiltà è invece la classe contadina, influente nei comizi tributi. Si pensi da un lato ai Gracchi e a Mario, dall’altro a Caio Flaminio; e basta guardare un po’ più attentamente per osservare la posizione del tutto mutata dei consoli e dei tribuni. Essi non sono più gli uomini di fiducia nominati dal primo e dal terzo stato, il cui comportamento è determinato da questo fatto, bensì rappresentano e cambiano il partito. Vi sono consoli liberali come Catone il Vecchio e tribuni conservatori come Ottavio, l'avversario di Tiberio Gracco. Entrambi i partiti stabiliscono i loro candidati per le elezioni e cercano di imporli con tutti i mezzi di manipolazione demagogica; e se l’uso del denaro non ha avuto successo nelle elezioni, avrà miglior sorte sugli eletti. In Inghilterra tories e whigs si sono costituiti come partiti all’inizio del secolo x1x, borghesizzandosi nella forma e assumendo entrambi alla lettera il programma liberale: in tal modo l'opinione pubblica era, come sempre, completamente convinta e soddisfatta. In virtù di questa conversione magistrale, e compiuta al tempo giusto, non si arrivò alla formazione di un partito nemico del ceto, com’era avvenuto nella Francia del 1789. I membri della Camera Bassa diventarono, da emissari dello strato sociale dominante, rappresentanti del popolo che ne dipendevano d’ora in poi finanziariamente; ma la guida rimase nelle stesse mani e l’opposizione tra i partiti, per la quale fin dal 1830 vennero spontaneamente coniati i termini liberale e conservatore, poggiò su una questione di più o di meno, non già su un alternata Sono i medesimi anni in cui l'aspirazione letteraria alla libertà della Giovane Germania si trasformava in una mentalità di partito; gli anni in cui nell’America del presidente Jackson " il partito repubblicano si organizzava contrapponendosi a quello democratico, e il principio che le elezioni sono un affare e che tutti gli uffici pubblici sono bottino del vincitore veniva riconosciuto formalmente *. a. Contemporaneamente la Chiesa cattolica passa silenziosa dalla politica di ceto alla politica di partito, con una sicurezza strategica che non 11. Andrew Jackson (1767-1845), presidente degli Stati Uniti dal 1829 al 1837: sotto la sua presidenza si consolidò la struttura bipartitica della vita politica americana. SPENGLER Ma la forma della minoranza dirigente si sviluppa izarrestabilmente dal ceto, attraverso il partito, fino a diventare un seguito di individui. La fine della democrazia e il suo trapasso al cesarismo si manifesta quindi nel fatto che non scompare tanto il partito del terzo stato, il liberalismo, bensì il partito come forma in generale. La mentalità, il fine popolare, gli ideali astratti di ogni genuina politica di partito si dissolvono e in loro luogo subentra la politica privata, la sfrenata volontà di potenza di pochi uomini di razza. Un ceto ha un istinto, un partito ha un programma, un seguito ha un padrone: questa è la strada che dal patriziato e dalla plebe, passando attraverso ottimati e popolari, conduce ai pompeiani e ai cesariani. L'epoca del genuino dominio dei partiti abbraccia a malapena due secoli e presso di noi è, dopo la guerra mondiale, già in piena decadenza. Che l’intera massa dell’elettorato mandi avanti, per un impulso comune, uomini che devono sostenere la sua causa come è detto ingenuamente in tutte le costituzioni era possibile soltanto all’inizio, e presuppone che non siano presenti neppure le premesse dell’organizzazione di determinati gruppi. Così era nel 1789 in Francia, e nel 1848 in Germania. All’esistenza di un’assemblea è però subito legata la formazione di unità tattiche la cui coesione poggia sulla volontà di affermare la posizione dominante acquisita e che non si considerano più affatto portavoce dei propri elettori, ma, al contrario, li rendono docili con tutti i mezzi di propaganda per disporli ai propri scopi. Una tendenza del popolo che si sia organizzata è con ciò già diventata lo strumento dell’organizzazione, e sarà mai ammirata abbastanza. Nel secolo xvi essa era stata completamente aristocratica per ciò che riguardava lo stile della sua diplomazia, l'assegnazione delle grandi cariche e lo spirito dei suoi circoli più elevati. Si pensi al tipo di abate e ai principi della chiesa che diventarono ministri e ambasciatori, come il giovane cardinale di Rohan !?. Ora, in modo del tutto liberale , alla nobiltà dell'origine si sostituisce Ia mentalità, al gusto la capacità di lavoro, e i grandi mezzi della democrazia stampa, elezioni, denaro vengono da essa manipolati con un'abilità che il liberalismo vero e proprio ha raggiunto ben di rado, e mai superato. 12. Louis René Edouard cardinale di Rohan (1734-1803), fu ambasciatore speciale a Vienna dal 1771 al 1774, e in seguito arcivescovo di Strasburgo dal 1779 al 1801. procede inarrestabilmente su questa strada finché anche l’organizzazione non è diventata strumento dei capi. La volontà di potenza è più forte di ogni teoria. All’inizio, la guida e l’apparato sorgono in funzione del programma; poi vengono difesi dai detentori a causa della potenza e del bottino come oggi avviene generalmente, dato che in tutti i paesi migliaia di persone vivono del partito, degli uffici e degli affari che esso offre; infine il programma scompare dal ricordo e l’organizzazione lavora soltanto a proprio profitto. Nel caso del più vecchio degli Scipioni e di Quinto Flaminio possiamo ancora parlare di amici che li seguono in guerra, ma Scipione minore si è formata una colors amicorum certamente il primo esempio di un seguito organizzato che lavora poi anche davanti al tribunale e nel corso delle elezioni * Analogamente, il rapporto di fedeltà tra patrono e clienti, in origine del tutto patriarcale e aristocratico, si sviluppa fino a diventare una comunità di interessi basata su un fondamento assai materiale; e già prima di Cesare vi sono contratti scritti tra candidati ed elettori con la precisa determinazione del compenso e della prestazione corrispondente. D'altra parte si costituiscono esattamente come nell’America odierna® i circo- li e le associazioni elettorali dei tribuni che dominano o spaven- tano la massa elettorale del distretto per poter negoziare l’affa- re elettorale con i grandi capi (i precursori dei Cesari) da poten- a. Per quanto segue cfr. M. Getzer, Die Nobilitàt der ròmischen Republik, Leipzig, 1912, p. 43 sgg., e A. Rosemsero, Untersuchungen zur ròmischen Zenturienverfassung, Berlin, 1911, p. 62 sgg. b. Universalmente nota è la Tammany Hall a New York; ma in tutti i paesi governati da partiti la situazione si avvicina a questa. Il caucus americano che distribuisce gli uffici pubblici tra i suoi aderenti costringendo la massa degli elettori a confluire sui loro nomi, è stato intro- dotto in Inghilterra da Chamberlain !* con il nome di National Liberal Federation, e dopo il 1919 è in rapido sviluppo anche in Germania. 13. Sede di riunione della Società di St. Tammany, fondata fin dal 1789, che co- stituì il primo nucleo del partito democratico; per tutto l’Ottocento, e ancora nei pri- mi decenni di questo secolo, fu un importante circolo e gruppo di pressione nella vita politica degli Stati Uniti. 14. Joseph Chamberlain, uomo politico inglese, fu tra l’altro segreta- rio alle colonie durante la guerra anglo-boera; ebbe una parte importante nella questione irlandese. za a potenza. Questo non è il naufragio, bensì il senso e il necessario risultato finale della democrazia; e il lamento che gli idealisti estranei al mondo levano su questa distruzione delle loro speranze indica soltanto la loro cecità di fronte all’inesorabile divergenza tra verità e fatti e all’intima connessione tra denaro e spirito. La teoria politico-sociale è soltanto un substrato, ma un substrato necessario, della politica di partito. L’orgogliosa serie che da Rousseau va fino a Marx ha il proprio corrispettivo nell'antichità in quella che dai Sofisti giunge fino a Platone e a Zenone. In Cina si possono ancora ritrovare nella letteratura confuciana e taoistica i tratti fondamentali di dottrine corrispondenti: basti menzionare il nome del socialista Mo Ti”. Nella letteratura bizantina e araba del periodo abasside, dove il radicalismo si presenta sempre in una formulazione rigidamente ortodossa, esse occupano largo spazio e agiscono come forze motrici in tutte le crisi del secolo rx; in Egitto e in India la loro presenza è dimostrata dallo spirito degli avvenimenti del periodo di Budda e degli Hyksos. Esse non hanno bisogno di una formulazione letteraria; altrettanto efficace è la loro diffusione orale, la predicazione e la propaganda da parte delle sette e delle leghe, come avviene generalmente all'origine delle correnti puritane, nonché nell’Islam e nel Cristianesimo angloamericano. Se queste dottrine siano vere o false è una questione senza senso si deve sottolinearlo sempre per il mondo della storia politica. La confutazione del marxismo, per esempio, rientra nell’ambito delle discussioni accademiche o dei dibattiti pubblici, in cui ognuno ha ragione e gli altri hanno sempre torto. Ciò che importa è se queste dottrine sono efficaci, cioè da quando e per quanto tempo la fede nel miglioramento della realtà mediante un sistema di idee costituisce, in generale, una potenza con cui la politica deve fare i conti. Noi ci troviamo in un'epoca di fiducia illimitata nell’ onnipotenza della ragione. I grandi concetti generali di libertà, di giustizia, 15. Mo Ti (o Mo Tsc), filosofo cinese vissuto tra la seconda metà del secolo v e i primi decenni del secolo 1v a. C., all’epoca degli stati combattenti , si distaccò dal Confucianesimo per elaborare, nell'opera che da lui trac il nome il Mo-tse una teoria dell'amore universale. di umanità, di progresso, sono sacri; le grandi teorie sono vangeli. La loro forza di convinzione non poggia su motivi, poiché la massa di un partito non possiede né l’energia critica né la distanza necessaria per sottoporle a una prova seria, bensì sul crisma sacramentale delle loro parole d’ordine. Ma questa magia si limita alla popolazione delle grandi città e all’epoca del razionalismo, di questa religione dei dotti . Essa non agisce però sulla classe contadina, e sulle masse cittadine ha influenza soltanto per un certo periodo, con la violenza di una nuova rivelazione. Ci si converte, si aderisce con fervore alle parole e ai loro annunciatori, si diventa martiri sulle barricate, sui campi di battaglia, sul patibolo; allo sguardo si apre un aldilà politico e sociale, e la critica spassionata sembra bassa e profana, degna di morte. Ma con ciò scritti come il Contract social e il Manifesto comunista diventano strumenti di potenza di prim’ordine nella mano di uomini energici, che si sono affermati all’interno della vita di partito e che sanno formare e utilizzare le convinzioni della massa da essi dominata. Ciononostante questi ideali astratti hanno una potenza che si estende appena oltre i due secoli il periodo della politica di partito. Non che vengano confutati, ma diventano noiosi. Rousseau lo è già da lungo tempo, tra breve lo sarà anche Marx. Alla fine si abbandona non questa o quella teoria, ma la fede nelle teorie in generale, e con questa anche l’ottimismo esaltato del secolo xvitI, convinto di poter correggere i difetti della realtà mediante l’applicazione di concetti. Quando Platone, Aristotele e i loro contemporanei definivano le forme di costituzione antiche e le mescolavano per ottenere la costituzione più saggia e più bella, tutto il mondo li ascoltava; ed è stato proprio Platone, col suo tentativo di riformare Siracusa secondo una ricetta ideologica, a rovinare questa città ®. Altrettanto sicuro mi sembra che gli stati meridionali della Cina sono stati messi fuori forma a causa di esperimenti filosofici dello stesso tipo, e si sono così posti alla mercè dell’imperialia. Sulla storia di questo tragico esperimento cfr. E. MerEr, Geschickie des Althertums, Stuttgart, 1884-1902, vol. V, $ 987 sgg. smo Ch’in®!. I fanatici giacobini della libertà e dell’eguaglianza hanno consegnato per sempre la Francia, dopo il Direttorio, al mutevole dominio dell’esercito e della borsa, e ogni rivolta socialista apre nuove vie al capitalismo. Ma al tempo in cui Cicerone scrisse il suo De republica per Pompeo e Sallustio le sue esortazioni a Cesare, più nessuno vi poneva attenzione. In Tiberio Gracco si può forse ancora scoprire un'influenza di quello stoico entusiasta, Blossio, che morì più tardi suicida dopo aver condotto alla rovina anche Aristonico di Pergamo"; ma nell’ultimo secolo prima di Cristo le teorie sono diventate un abusato tema scolastico, e d’allora in poi conta soltanto la potenza. Nessuno deve illudersi: l’epoca della teoria volge al termine anche per noi. I grandi sistemi del liberalismo e del socialia. I progetti degli stati combattenti , il Ch'un-ch'iu Fan lu e le biografie che si trovano in Ssu-ma Ch’ien sono pieni di esempi di uno scolastico immischiarsi della saggezza nella politica !*. b. Sulla sua città del sole formata di schiavi e di salariati giornanalieri cfr. PauLy-Wissowa, Real-Encyclopidie der classischen Alterturmswissenschaft, vol. II, col. 962. In modo analogo il rivoluzionario re Cleomene III di Sparta (235 a. C.) subì l’influenza dello stoico Sfero!9. Si capisce perché il senato romano mise ripetutamente al bando filosofi e retori , cioè politicanti, acchiappanuvole e mestatori. 16. Lo stato di Ch'in si affermò, alla fine dell’epoca degli stati combattenti , come nucleo di riunificazione dell’impero, sconfiggendo c sottomettendo a sé gli stati meridionali: ciò condusse nel 249 a. C, alla deposizione dell'ultimo imperatore Chou c, tre anni dopo, all'ascesa al trono di Shih Huang Ti, che fondò la nuova dinastia Ch'in. 17. Blossio di Cuma, filosofo stoico della seconda metà det secolo Il a. C., allievo di Antipatro di Tarso, fu amico di Tiberio Gracco; dopo la sua morte si rifugiò a Pergamo, dove nel 133 a. C. Aristonico, fratello del defunto re Attalo III (che aveva lasciato i suoi domini in eredità a Roma), aveva rivendicato per sé il regno, appoggiandosi sui proletari e sugli schiavi e vagheggiando la formazione di uno stato socialista, detto MALéTOALE, città del sole . Nel 130 l'intervento romano mise fine al tentativo di Aristonico, che fu fatto prigioniero, condotto a Roma e giustiziato; Blossio si tolse invece la vita. 18. Il Ch'un-ch'iu Fan lu è il titolo dell'opera principale di Tung Chung-shu (179104 2. C.), filosofo confuciano del periodo Han. Ssu-ma Ch’ien (145-86 a. C.) fu autore, insieme con il padre Ssu-ma T'an, della prima grande storia cinese, i SMik Chi. 19. Cleomene III, re di Sparta dal 235 al 219 a. C., tentò una riforma politico-sociale dello stato spartano estendendo la cittadinanza ai pericci e redistribuendo le terre; combattè contro la lega achea e contro Antigono Dosone, re di Macedonia, rimanendo però sconfitto. Suo ispiratore c consigliere fu il filosofo stoico Sfero, discepolo di Clcante. SPENGLER 779 smo sono sorti nell’insieme tra il 17750 e il 1850. Quello di Marx è oggi vecchio quasi di un secolo, ed è rimasto l’ultimo. Con la sua concezione materialistica della storia esso rappresenta internamente l’estrema conseguenza del razionalismo, e perciò anche una conclusione. Ma come la fede rousseauiana nei diritti dell’uomo ha perduto la sua forza all’incirca nel 1848, così la fede in tale concezione l’ha perduta con la guerra mondiale. Chi confronta la dedizione fino alla morte, che le idee di Rousseau hanno incontrato nella Rivoluzione francese, con il comportamento dei socialisti del 1918, costretti a conservare di fronte ai loro seguaci e a se stessi una convinzione che non possedevano più e non in vista dell'idea, ma in vista della potenza che da essa dipendeva può vedere già tracciata in anticipo la via su cui cadrà alla fine ogni programma, in quanto intralcia la lotta per il potere. La fede in un programma aveva dato distinzione all’avo; per il nipote è una dimostrazione di provincialismo. Al suo posto spunta già oggi, dal bisogno dell’anima e dal tormento della coscienza, una nuova rassegnata pietà che rinuncia a fondare un nuovo mondo terreno, e che in luogo di concetti acuti cerca il mistero, per trovarlo finalmente nella profondità di una seconda religiosità. IV Questo è un aspetto, l'aspetto linguistico, di quel grande fatto che è la democrazia. Rimane da considerare l’altro fatto decisivo, quello della razza. La democrazia sarebbe rimasta nelle teste e sulla carta se tra i suoi apostoli non vi fossero state nature genuine di dominatori per cui il popolo non era che un oggetto e gli ideali non erano che mezzi, anche se spesso non ne erano consapevoli. Tutti i metodi, anche i meno sospetti, della demagogia, che è nel suo intimo la stessa cosa della diplomazia dell’ancien régime soltanto che si fonda sulle masse anziché sui prìncipi e ambasciatori, su opinioni, disposizioni, esplosioni di volontà disordinate anziché su spiriti eletti, e quindi sembra un'orchestra di ottoni anziché antica musica da camera sono stati elaborati da democratici onesti ma pratici; e i partiti della tradizione li hanno appresi soltanto da loro. La via della democrazia è però caratterizzata dal fatto che SPENGLER gli autori delle costituzioni popolari non hanno mai avuto sospetto dell'efficacia reale dei loro progetti; né l'hanno avuto il creatore della costituzione serviana ? di Roma o l’Assemblea nazionale di Parigi. Poiché tutte queste forme non sono cresciute come il feudalesimo, ma sono state escogitate, e non già sulla base di una conoscenza profonda degli uomini e delle cose, bensì sulla base di rappresentazioni astratte del diritto e della giustizia, un abisso separa lo spirito delle leggi dalle consuetudini pratiche che si formano silenziosamente, sotto la loro pressione per adattarle al ritmo della vita reale o per tenerle distanti da questa. Soltanto l’esperienza ha insegnato al termine dell’intero sviluppo che i diritti del popolo e l’influenza del popolo sono cose differenti. Quanto più universale è il diritto di voto, tanto più ristretto è il potere di un elettorato. Agli inizi di una democrazia il campo appartiene soltanto allo spirito. Non c’è nulla di più nobile e di più puro della seduta notturna del 4 agosto 1789 e del giuramento della pallacorda o della mentalità presente nella chiesa di San Paolo a Francoforte?! dove, avendo già in mano il potere, si discusse tanto a lungo su verità universali da dare il tempo alle potenze della realtà di riunirsi e di spazzare via i sognatori. Ciononostante, l’altra grandezza di ogni democrazia si annuncia abbastanza presto e rammenta il fatto che si può far uso dei diritti costituzionali soltanto se si ha del denaro ?. Il funzionamento approssimativo del diritto di voto presuppone, qualsiasi cosa ne pensi l’idealista, che non esista alcuna dirigenza organizzata la quaa. La democrazia primitiva, caratterizzata da progetti costituzionali pieni di speranza e che per noi giunge fino all’epoca di Lincoln, Bismarck e Gladstone, deve faure quest'esperienza; la democrazia successiva che per noi è quella del parlamentarismo maturo prende le mosse da essa. Da_allora, verità e fatti si sono separati definitivamente nella forma dell'ideale di partito da un lato, della cassa del partito dall’altro. Il parlamentare genuino si sente, in virtà del denaro, svincolato dalla dipendenza che è contenuta nella concezione ingenua che l’elettore ha dell’eletto, 20. Questa costituzione trac il proprio nome da Servio Tullio, il sesto (secondo la tradizione) re di Roma, vissuto probabilmente nel secolo vi a. C. 21. Luogo di riunione dell'Assemblea costituente tedesca nel 1848. le agisce sugli elettori nel proprio interesse e assumendo come criterio il denaro disponibile. Ma se questa esiste, il voto ha ancora soltanto il significato di una censura che la massa esercita sulle singole organizzazioni; sulla loro formazione essa non possiede però più la minima influenza. Analogamente, il diritto ideale delle costituzioni occidentali, cioè il diritto della massa di determinare liberamente i propri rappresentanti, rimane mera teoria, poiché in realtà ogni organizzazione sviluppata si completa da sé. Si desta infine il sentimento che il suffragio universale non contiene alcun diritto reale, neppure quello della scelta tra i partiti, poiché le formazioni di potere cresciute sul suo terreno dominano col denaro tutti i mezzi spirituali del discorso parlato e scritto e così dirigono a piacimento l’opinione dei singoli sui partiti, mentre questi allevano da parte loro, attraverso la disponibilità dei pubblici uffici, l'influenza e le leggi, una schiera di partigiani fedeli cioè appunto il caucus che esclude tutti gli altri individui inducendoli a una fiacchezza elettorale che alla fine non potrà più essere superata neppure nelle grandi crisi. Apparentemente sussiste una forte differenza tra la democrazia parlamentare occidentale e quella delle civiltà egizia, cinese, araba, nel periodo del loro declino, a cui è completamente estranea l’idea di elezioni condotte con il suffragio universale. Ma per noi, in quest'epoca, la massa come elettorato è in forma nel medesimo senso in cui lo era stata precedentemente come insieme di sudditi, cioè come oggetto per un soggetto, e in cui lo era stata a Bagdad e a Bisanzio come setta o come monacato, e altrove come esercito governante, come associazione segreta o come stato particolare all’interno dello stato. La libertà è, come sempre, semplicemente negativa. Essa consiste nel rifiuto della tradizione della dinastia, dell’oligarchia, del califfato. Ma l’esercizio della potenza trapassa subito intatto da questi poteri ad altri nuovi, cioè a capi-partito, a dittatori, a pretendenti, a profeti e ai relativi aderenti, e di fronte ad essi la massa rimane ancor sempre incondizionatamente ogget?. Il diritto del popolo all’auto-determinazione è un modo a. Se ciononostante si sente invece liberata, ciò dimostra nuovamente la profonda incompatibilità tra spirito metropolitano e tradizione, mentre di dire cortese: di fatto con ogni suffragio universale non organico cessa anche il senso originario dell’eleggere in generale. Quanto più vengono dissolte politicamente le articolazioni dei ceti e delle professioni, tanto più priva di forma e inerme diventa la massa degli elettori, tanto più incondizionatamente essa è alla mercé dei nuovi poteri, cioè delle direzioni dei partiti, che dettano ad essa la loro volontà con tutti i mezzi di coercizione spirituale, per decidere tra loro la lotta per il dominio cioè con metodi di cui in fondo la massa non vede né comprende nulla e che utilizzano ognuno a proprio vantaggio l'opinione pubblica come un’arma da essi stessi forgiata. Ma proprio per questo una spinta irresistibile muove la democrazia su tale via, che conduce alla propria auto-dissoluzione °. I diritti fondamentali di un popolo antico ($fuog, populus) si estendevano fino alla possibilità di occupare gli uffici pubblici più elevati e di amministrare la giustizia®. A tal fine si era in forma nel foro in modo del tutto euclideo, come massa fisicamente presente riunita in un punto: qui si diventava oggetto di una manipolazione di stile antico, effettuata cioè con mezzi fisici, diretti, sensibili, con una retorica che agiva in tra la sua attività e l'essere governata dal denaro sussiste un’intima relazione. a. La costituzione tedesca del 1919, sorta quindi già sulla soglia di una democrazia declinante, contiene in piena ingenuità una dittatura delle macchine di partito, che hanno trasferito a sé ogni diritto e che non sono seriamente responsabili di fronte a nessuno. Il famigerato voto proporzionale e la lista nazionale assicurano ad esse l’auto-integrazione. In luogo dei diritti del popolo come idealmente li conteneva la costituzione del 1848 esistono soltanto i diritti dei partiti: ciò suona come innocuo, ma racchiude in sé il cesarismo delle organizzazioni. In questo senso essa è però la più progredita costituzione di quest'epoca; lascia giù riconoscere la fine; alcune piccolissime trasformazioni, ed essa concederà ai singoli il potere illimitato. b. Al contrario, la legislazione è connessa con un ufficio. Anche quando l'accoglimento o il rigetto di una legge spettano formalmente a un'assemblea, la legge può essere introdotta soltanto da un magistrato, per esempio da un tribuno. Le aspirazioni della massa al conseguimento di un diritto spesso suggerite dai detentori del potere si manifestano quindi in occasione delle elezioni a qualche carica, come ci insegna l'età dei Gracchi. modo immediato sull’occhio e sull’orecchio di ognuno e che con i suoi strumenti, a noi diventati in parte disgustosi e difficilmente sopportabili, con lacrime studiate, con vesti stracciate =, con la lode spudorata dei presenti, con menzogne insensate sull’avversario, con un repertorio fisso di brillanti locuzioni e cadenze armoniose, con giochi e con doni, con minacce e percosse, ma soprattutto con denaro è sorta esclusivamente in questo luogo e a questo scopo. Noi ne conosciamo gli inizi dall’Atene del 400° e la fine, in misura spaventosa, dalla Roma ‘di Cesare e di Cicerone. È come sempre: le elezioni si sono trasformate da nomina di rappresentanti di ceto in una lotta tra candidati di partito. Ma con ciò è ormai data l’arena in cui penetra il denaro e dopo Zama con un enorme incremento di dimensioni. Quanto maggiore era la ricchezza che si poteva concentrare nelle mani dei singoli individui, tanto più la lotta per la potenza politica diventava una questione di dena10 °. Con ciò è detto tutto. Ma in un senso più profondo sarebbe tuttavia falso parlare di corruzione. Non è la degenerazione del costume, ma il costume stesso quello della democrazia matura che assume con una necessità fatale forme del genere. Il censore Appio Claudio (310) senza dubbio un genuino ellenista e ideologo della costituzione (come potevano essercene soltanto nel circolo di Madame Roland ?) ha sicuramente pensato nelle sue riforme ai diritti elettorali e non all’arte di fare le elezioni; ma quei diritti preparano soltanto la a. Ancora a cinquant'anni Cesare dovette recitare una commedia siffatta davanti ai suoi soldati sul Rubicone, perché essi erano abituati a questo se si voleva qualcosa da loro. Ciò corrisponde più o meno alla voce sincera della convinzione nelle assemblee odierne. b. Ma il tipo Cleone era ovviamente presente a Sparta come a Roma al tempo dei tribuni consolari. c. Cfr. M. GELZER, op. cit., p. 94. Insieme al César di Eduard Merer, questo libro fornisce il migliore sguardo d’insieme sul metodo della democrazia romana. 22. Jcanne-Manon Phlipon (1754-1793), moglic dell'uomo politico Jean-Marie Roland, ministro nel governo girondino: fu arrestata dopo la fuga del marito e in seguito ghigliottinata nel 1793, durante il Terrore: nel carcere scrisse un Appel è l'impartiale postérité. Le sue Mémoires furono pubblicate postume molti anni più tardi, nel 1820. strada a quest'arte. La razza si manifesta soltanto in essa, e ben presto si afferma completamente. All’interno di una dittatura del denaro il lavoro del denaro non può però essere definito come decadenza. La carriera dei pubblici uffici romani richiedeva, da quando si svolgeva nella forma di elezioni popolari, un capitale che rendeva il futuro uomo politico debitore verso tutto il suo ambiente. Ciò valeva soprattutto per la carica di edile, nella quale si doveva superare in magnificenza i predecessori attraverso l'offerta di pubblici giochi, per poter ottenere più tardi i voti degli spettatori. Silla fallì la prima canditatura alla pretura perché non era stato edile. C'era poi lo splendido seguito con cui ci si doveva quotidianamente mostrare nel foro per far colpo sulla massa oziosa. Una legge impediva la scorta dietro pagamento; ma ancora più costoso era obbligarsi i nobili mediante i prestiti, mediante la raccomandazione agli uffici e agli affari, mediante la difesa davanti al tribunale, che li impegnava a far da scorta e alla visita quotidiana del mattino. Pompeo era patrono di mezzo mondo, dai contadini del Piceno fino ai re orientali; egli rappresentava e proteggeva tutti. Questo era il suo capitale politico, che poteva mettere in campo contro i prestiti senza interesse di Crasso e contro l’ indoramento ° di tutti gli ambiziosi da parte del conquistatore della Gallia. Si facevano servire agli elettori colazioni estese all’intero circondario”, si concedevano posti gratuiti per assistere ai giochi dei gladiatori o si mandava perfino direttamente in casa del denaro come faceva Milone. Cicerone chiama tutto ciò rispettare i costumi dei padri . Il capitale elettorale assunse dimensioni di tipo americano, raggiungendo talvolta la somma di centinaia di milioni di sesterzi. Nel corso delle elezioni del 54 a. C. il tasso di interesse salì dal 4% all’8%, perché la maggior parte dell'enorme massa di liquido disponibile a Roma fu investita nella propaganda. Cesare, quand'era edile, aveva speso tanto che Crasso fu costretto a garantire per venti milioni affinché i creditori gli consentissero di partire per la provincia, a. Inaurari: a questo scopo Cicerone raccomandò a Cesare il suo amico Trebazio. b. Tributim ad prandium vocare (Cicerone, Pro Murena, 72). SPENGLER e ancora nell’elezione a pontefice massimo aveva talmente oltre: passato il suo credito che il suo avversario Catulo poté offrirgli del denaro perché si ritirasse, dal momento che in caso di sconfitta sarebbe stato perduto. Ma la conquista della Gallia che egli intraprese anche per questo motivo e il relativo sfruttamento fecero di lui l’uomo più ricco del mondo: così è stata realmente ottenuta la vittoria di Farsalo *. Infatti Cesare ha conquistato tutti questi miliardi avendo di mira la potenza, come Cecil Rhodes”, e non per il piacere di ricchezza, come Verre e in fondo anche Crasso, il quale era un grosso finanziere che faceva parallelamente anche il politico. Egli comprese che, sul terreno di una democrazia, i diritti costituzionali non significano nulla senza denaro, tutto col denaro. Mentre Pompeo ancora sognava di poter trarre legioni dalla terra, Cesare le aveva da lungo tempo tradotte in realtà con il suo denaro. Egli aveva trovato già pronti questi metodi: li padroneggiava, ma senza identificarsi con essi. Si deve aver ben chiaro il fatto che, fin dal 150 a. C., i partiti riuniti sulla base di princìpi si dissolvono in seguiti personali raccolti intorno a uomini i quali avevano un fine politico privato e conoscevano bene le armi del loro tempo. Tra di esse rientra, accanto al denaro, anche l'influenza sui tribunali. Dato che le antiche assemblee popolari votavano solamente, ma senza discutere, il processo di fronte ai rostra è una a. Si tratta di miliardi di sesterzi, che passarono da allora per le sue mani. Le offerte votive dei templi della Gallia, che egli fece vendere in Italia, provocarono un crollo nel valore dell’oro. Cesare e Pompeo costrinsero il re Tolomeo a versare, per il suo riconoscimento, 144 milioni (e altri 240 gliene fece versare Gabinio). Il console Emilio Paolo (50 a. C.) fu comperato con 36 milioni, Curione con 60 milioni. Da ciò si possono inferire le invidiabilissime possibilità dell'ambiente che circondava Cesare. Per il trionfo del 46 a. C. ognuno dei suoi oltre centomila soldati ricevette 24.000 sesterzi, mentre agli ufficiali e ai capi toccarono somme ben superiori, Ciononostante, alla sua morte il tesoro pubblico era così ricco da garantire la posizione di Antonio. 23. Cecil John Rhodes (1853-1902), uomo politico e finanziere sud-africano di origine inglese, fu primo ministro della colonia di Città del Capo dal 1890 al 1896. Diede una spinta decisiva allo sviluppo dell'industria diamantifera nel Sud-Africa, soprattutto nella regione che da lui prese il nome. STORICISMO TEDESCO. SPENGLER forma di lotta di partito e la scuola vera e propria di eloquenza politica. Il giovane politico iniziava la sua carriera accusando e, se possibile, annientando una grossa personalità ®, come fece Crasso a diciannove anni contro il famoso Papirio Carbone, amico dei Gracchi, che era passato più tardi dalla parte degli ottimati. Per tale motivo Catone fu accusato quarantaquattro volte e sempre assolto. La questione giuridica passa qui in secondo piano *. La cosa determinante è la posizione di partito del giudice, il mumero dei patroni e l’ampiezza del seguito; il numero dei testimoni serve propriamente a mettere in luce la potenza politica e finanziaria dell’accusatore. Tutta l’eloquenza di Cicerone contro Verre vuol convincere i giudici, sotto Ja maschera di un magnifico pathos etico, che la sua condanna è nel loro interesse di ceto. Secondo la generale concezione antica è ovvio che il seggio in tribunale debba servire agli interessi privati e a quelli di partito. Ad Atene gli accusatori democratici erano soliti avvertire i giurati popolari, al termine del loro discorso, che assolvendo l’accusato ricco avrebbero messo in forse i loro onorari processuali ©. La grande potenza del senato romano poggia in gran parte sul fatto che esso aveva in mano, attraverso la nomina di tutti i tribunali, il destino di ogni cittadino; su questa base si può misurare la portata della legge graccana del 122 a. C., che trasferiva i tribunali al a. Cfr. M. GELZER, op. cit., p. 68. b. Si tratta in gran parte di concussione e di corruzione. Dal momento che ciò faceva allora tutt'uno con la politica, che giudice e accusato avevano fatto la stessa cosa e che tutti lo sapevano, l’arte consisteva nel tenere nelle forme di una ben recitata passione morale un discorso di partito il cui scopo vero e proprio era inteso soltanto dall’iniziato. Ciò corrisponde del tutto alle moderne usanze parlamentari. Il popolo rimarrebbe molto stupito se vedesse come, dopo gli accaniti discorsi durante la seduta (destinati alla stampa), gli avversari di partito si intrattengono amabilmente tra di loro. Si pensi anche ai casi in cui un partito scende in campo con passione a favore di una proposta dopo averne assicurata, mediante un accordo con gli avversari, la disapprovazione. A Roma la sentenza non importava affatto; bastava che l’accusato abbandonasse in precedenza volontariamente la città, escludendosi così dalla lotta di partito e dal concorso agli uffici. c. Cfr. R. von Ponumann, Griechische Geschichte, Miinchen, 5° ed. 1914, pp. 236-37. OSWALD SPENGLER 787 ceto dei cavalieri e metteva quindi la nobiltà, cioè le alte cariche, alla mercé del mondo della finanza. Nell’82 a.C. Silla restituì al senato, contemporaneamente alle proscrizioni dei grandi finanzieri, anche i tribunali come arma politica, beninteso; e la lotta finale tra i detentori del potere trova la sua espressione anche nel continuo mutare della scelta dei giudici. Ma mentre l’antichità e il foro di Roma in testa raccoglieva la massa popolare in un corpo visibile e compatto per costringerla a fare dei suoi diritti l’uso che si voleva fosse fatto, contemporaneamente la politica europeo-americana introduceva mediante la stampa un campo di forza di tensioni spirituali e finanziarie esteso a tutta la terra, nel quale ogni individuo è inserito senza averne coscienza e in modo da dover pensare, volere e agire come ritiene opportuno da qualche parte, di lontano, una personalità dominante. Questo è dinamica contrapposta alla statica, sentimento faustiano del mondo contrapposto al sentimento apollineo, pathos della terza dimensione contrapposto al puro presente sensibile. Non si parla da uomo a uomo; la stampa e, collegato con essa, il servizio elettrico di informazioni mantengono l’essere desto di interi popoli e di interi continenti sotto l’assordante fuoco di fila di frasi, di parole d'ordine, di punti di vista, di scene, di sentimenti, giorno per giorno, anno per anno, cosicché ogni io diventa mera funzione di un'immensa entità spirituale. Il denaro prende la sua strada politica non come metallo che passa di mano in mano; non si converte più in giochi e in vino. Esso si trasforma invece in forza e determina, mediante la sua quantità, l'intensità di questa manipolazione. Polvere da sparo e stampa sono connesse l’una con l’altra, in quanto entrambe sono inventate nell'antico periodo gotico e scaturite dal pensiero tecnico germanico, come i due grandi strumenti della tattica faustiana della distanza. La Riforma conobbe all’inizio dell'età successiva i primi manifesti e le prime artiglierie da campagna; la Rivoluzione francese conobbe, all’inizio del declinare della civiltà, la prima ondata di opuscoli a. In questo modo Rutilio Rufo poté essere condannato nel famigerato processo del 93 a. C. perché come proconsole, aveva doverosamente proceduto contro le concussioni delle società di appalto. SPENGLER dell'autunno 1788 e a Valmy il primo fuoco di massa di un’artiglieria. Ma con ciò la parola stampata impiegata in forma massiccia ed estesa su superfici infinite diventa un’arma infida nelle mani di chi sa dirigerla. In Francia, nel 1788, si trattava ancora di un'espressione spontanea di convinzioni private, ma in Inghilterra si era già al punto di suscitare intenzionalmente un'impressione nei lettori. La guerra condotta contro Napoleone da Londra, su territorio francese, con articoli, libelli, memorie inautentiche, ne costituisce il primo grande esempio. I fogli isolati dell’età illuministica si trasformano nella stampa , come si dice con indicativa anonimità *. La campagna di stampa nasce come la continuazione o la preparazione della guerra condotta con altri mezzi, e la sua strategia fatta di scontri di avamposti, di diversivi, di sorprese e di attacchi a ondate viene elaborata durante il secolo xix fino al punto che una guerra può già essere perduta prima ancora che parta il primo colpo, perché la stampa l’ha vinta nel frattempo. Oggi noi viviamo senza possibilità di resistenza sotto l’azione di questa artiglieria spirituale, di modo che quasi nessuno acquisisce la distanza interiore necessaria per rendersi conto dell’enormità di tale spettacolo. La volontà di potenza in veste puramente democratica ha compiuto il suo capolavoro facendo sì che il sentimento di libertà degli oggetti venga addirittura adulato pur nella schiavitù più completa che sia mai esistita. Il senso borghese liberale è fiero dell’abolizione della censura, che costituiva l’ultimo limite, mentre il dittatore della stampa Northcliffe! * assoggetta la folla di schiavi dei suoi lettori alla frusta dei suoi articoli di fondo, dei suoi telegrammi e delle sue illustrazioni. La democrazia ha completamente soppiantato il libro con il giornale nella vita spirituale delle masse popolari. Il mondo dei libri, con la sua ricchezza di punti di vista che costringevano il pensiero alla selezione e alla critica, è un possesso reale ancora soltanto per circoli ristretti. Il popolo legge l’unico giornale il suo giornale che quotidiaa. E quasi in analogia con l'artiglieria . 24. Alfred Charles William Harmsworth, visconte di Northcliffe, creatore del giornalismo moderno: a lui si deve la fondazione del Daily Mail nel 1896 c del Daily Mirror nel 1903. Nel 1908 si assicurò pure il controllo del Times . namente penetra in ogni casa in milioni di esemplari, attraendo di buon mattino gli spiriti nella propria orbita, facendo passare nel dimenticatoio i libri con i propri supplementi e, se questo o quel libro compare ancora all’orizzonte, eliminando la sua influenza con una critica che arriva prima di esso. Che cos'è la verità? Per la massa è ciò che si legge e si ascolta continuamente. Può ben esserci da qualche parte un povero minchione che se ne sta seduto e raccoglie motivi per stabilire la verità questa rimarrà sempre la sua verità. L’altra verità, la verità pubblica del momento, che sola importa nel mondo reale degli effetti e dei risultati, è oggi un prodotto della stampa. Ciò che essa vuole, è vero. Coloro che la comandano producono, trasformano, cambiano Ja verità. Tre settimane di lavoro di stampa, e tutto il mondo ha riconosciuto la verità*. I suoi argomenti sono inconfutabili finché si dispone del denaro per ripeterli senza interruzione. Anche la retorica antica faceva conto sull’impressione e non sul contenuto Shakespeare ha brillantemente mostrato, nell’orazione funebre di Antonio, di che cosa si trattasse ma essa si limitava al presente e al momento. La dinamica della stampa esige effetti duraturi. Essa deve mantenere durevolmente gli spiriti sotto pressione. I suoi argomenti vengono confutati non appena una potenza finanziaria maggiore sposa gli argomenti contrari e li pone ancora più spesso davanti a tutte le orecchie e a tutti gli occhi. Nello stesso attimo l’ago magnetico dell’opinione pubblica si orienta verso il polo più forte. Ognuno si convince subito della nuova verità: all'improvviso ci si sveglia da un errore. Alla stampa politica si connette il bisogno di un'istruzione a. L'esempio più forte sarà sempre, per le future generazioni, la questione della responsabilità della guerra mondiale, vale a dire la questione di chi possiede attraverso il dominio della stampa e dei cavi telegrafici di ogni parte della terra il potere di stabilire davanti all'opinione mondiale la verità di cui ha bisogno per i suoi scopi poli tici, e di mantenerla in vita finché ne ha bisogno. Questione completamente diversa, che soltanto in Germania viene confusa con la prima, è quella puramente scientifica di sapere chi aveva interesse a provocare proprio nell’estate 1914 un avvenimento, sul quale esisteva già allora un'intera letteratura. scolastica generale, che mancava completamente all’antichità. È una pressione del tutto inconsapevole per avvicinare le masse, in quanto oggetti della politica di partito, a quello strumento di potere che è il giornale. All’idealista degli inizi della democrazia ciò appariva come illuminazione priva di intenzioni recondite, e ancor oggi vi sono qua e là degli sciocchi che si entusiasmano al pensiero della libertà di stampa; ma proprio in questo modo hanno via libera i futuri Cesari della stampa mondiale. Chi ha imparato a leggere soccombe alla loro potenza, e la tarda democrazia si trasforma, dalla sognata auto-determinazione, in una radicale determinazione dei popoli da parte dei poteri a cui la parola stampata obbedisce. Oggi ci si combatte per sottrarre agli altri quest'arma. Agli ingenui inizi della potenza giornalistica, questa era ancora ostacolata dai divieti della censura, con la quale i rappresentanti della tradizione si difendevano; la borghesia protestava che la libertà dello spirito era in pericolo. Ora la massa percorre tranquillamente la sua strada: ha finalmente conquistato questa libertà, ma sullo sfondo le nuove potenze combattono, non viste, per comperare la stampa. Senza che il lettore lo avverta, il giornale e con esso anche il lettore cambia di padrone *. Anche qui il denaro trionfa costringendo al suo servizio gli spiriti liberi. Nessun domatore ha mai avuto meglio in suo potere i propri animali; si scatena il popolo come massa di lettori, ed esso si precipita per le strade, si getta sull’obiettivo indicato, minaccia e spacca le finestre. Un cenno all’apparato della stampa e il popolo tace e ritorna a casa. La stampa è oggi un esercito con proprie armi accuratamente organizzate, con giornalisti come ufficiali, con lettori in qualità di soldati. Ma anche qui accade come in ogni esercito: il soldato obbedia. Durante la preparazione della guerra mondiale la stampa di interi paesi cadde finanziariamente sotto il controllo di Londra e di Parigi; e quindi i relativi popoli caddero sotto una rigorosa schiavitù spirituale. Quanto più democratica è la forma interna di una nazione, tanto più facilmente e completamente essa si espone a tale pericolo. Questo è lo stile del secolo xx. Un democratico di vecchio stampo oggi non richiederebbe più libertà per la stampa ma dalle stampa; nel frattempo i capi sono mutati in arrivati , costretti a garantire la propria posizione di fronte alla massa, sce ciecamente, i mutamenti di obiettivi bellici e di piano operativo si compiono senza che egli ne venga a conoscenza. Il lettore nulla sa di ciò che si vuol fare con lui, e non deve neppure sapere quale sarà il suo ruolo. Non esiste una satira più tremenda della libertà di pensiero. Un tempo non si poteva osare di pensare liberamente; ora ciò è permesso, ma non è più possibile. Si può pensare soltanto ciò che si deve volere, e proprio questo viene percepito come libertà. L’altro aspetto di questa tardiva libertà è che a ognuno è permesso di dire ciò che vuole, ma la stampa è libera di prenderne conoscenza oppure no. Essa può condannare a morte ogni verità rifiutandosi di comunicarla al mondo: una spaventosa congiura del silenzio, tanto più onnipotente quanto più la massa servile dei lettori di giornale non si accorge affatto della sua presenza*. Qui affiora, come sempre durante le doglie del cesarismo, un frammento dell’epoca primitiva perduta. Il cielo del divenire è in procinto di chiudersi. Come nelle costruzioni di cemento armato e di acciaio ricompare ancora una volta la volontà espressiva del primo gotico ora però fredda, dominata, civilizzata così qui la ferrea volontà di potenza della chiesa gotica sopra gli spiriti si annuncia nella forma della libertà della democrazia . L’età del libro è compresa tra la predica gotica e il giornale moderno. I libri sono un’espressione personale; la predica e il giornale obbediscono a uno scopo impersonale. Nella storia universale gli anni della Scolastica offrono l’unico esempio di una disciplina spirituale in grado di impedire in tutti i paesi la comparsa di scritti, di discorsi, di pensieri che contraddicono l’unità voluta. Tutto ciò è dinamica spirituale. Gli uomini antichi, indiani, cinesi avrebbero guardato inorriditi a tale spettacolo. Ma proprio questo ritorna come risultato recessario del liberalismo europeo-americano, quale l’intese Robespierre: il dispotismo della libertà contro la tirannide . Al posto dei roghi subentra il grande silenzio. La dittatura dei capi-partito si appoggia sulla dittatura della stampa. Mediante il denaro si cerca di sottrarre schiere di lettori e popoli interi all'influenza nemica, portandoli nella propria sfera di idee. Qui essi vengono a conoscere soltanto ciò a. Al confronto i grandi roghi di libri dei Cinesi sono cosa innocua. che devono sapere, e una volontà superiore plasma l’immagine del loro mondo. Non occorre più obbligare i sudditi al servizio militare, come facevano i principi dell’età barocca. Con articoli, telegrammi, immagini Northcliffe! se ne fustigano gli spiriti, finché essi stessi richiedono le armi e costringono i loro capi a una lotta a cui questi volevano essere costretti. Questa è la fine della democrazia. Se nel mondo delle verità la dimostrazione è l'elemento decisivo, nel mondo dei fatti lo è il successo. Successo vuol dire il trionfo di una corrente dell’esistenza sopra le altre. La vita ha affermato i suoi diritti; i sogni dei riformatori sono diventati strumenti di nature dominatrici. Nella tarda democrazia la razza irrompe asservendo gli ideali oppure gettandoli con scherno nel baratro. Così è avvenuto nella Tebe egizia, a Roma, in Cina; ma in nessun’altra civiltà in declino la volontà di potenza assume una forma tanto inesorabile. Il pensiero, e quindi anche l’agire della massa, viene tenuto sotto una pressione ferrea. Per questo motivo, e soltanto per questo, si è lettori ed elettori, sotto una doppia schiavitù, mentre i partiti diventano seguiti obbedienti di pochi, sui quali il cesarismo getta ormai la sua prima ombra. Come la monarchia inglese del secolo x1x, così i parlamenti del secolo xx diventano a poco a poco spettacoli solenni ma vuoti. Come là scettri e corone, così qui i diritti popolari vengono presentati alla massa con un grande cerimoniale e rispettati tanto più scrupolosamente quanto minore è la loro importanza. Questo è il motivo per cui l’astuto Augusto non ha mai perduto occasione di celebrare le usanze avite della libertà romana. Ma già oggi il potere si trasferisce dai parlamenti nei circoli privati, e le elezioni si riducono inarrestabilmente a una commedia, per noi come per Roma. Il denaro ne organizza il corso nell’interesse di coloro che lo posseggono* e l’azione a. Qui risiede il mistero del perché tutti i partiti radicali e quindi poveri diventano necessariamente gli strumenti delle potenze finanziarie, a Roma degli equites, e oggi della borsa. Teoricamente essi attaccano il capitale, ma in pratica attaccano non già la borsa bensì, nell'interesse di questa, la tradizione. All'epoca dei Gracchi le cose andavano né più né meno di oggi, e lo stesso vale per tutti i paesi. La metà dei capi delle masse, e con loro l’intero partito, può essere comperata con denaro, uffici, partecipazioni ad affari. elettorale diventa un gioco convenuto in precedenza, inscenato sotto forma di auto-determinazione popolare. Se originariamente un’elezione era una rivoluzione in forme legittime, questa forma si è esaurita e, quando la politica del denaro diventa insopportabile, si elegge nuovamente il proprio destino con i mezzi primitivi della violenza sanguinaria. La democrazia annienta se stessa con il denaro, dopo che il denaro ha annientato lo spirito. Ma proprio perché sono svaniti tutti i sogni di migliorare la realtà mediante le idee di uno Zenone” o di un Marx, e si è imparato che nel regno della realtà una volontà di potenza può essere piegata soltanto da un'altra volontà questa è la grande esperienza dell’epoca degli stati in lotta sorge alla fine una profonda nostalgia per tutto ciò che ancora vive delle vecchie e nobili tradizioni. Si è stanchi fino al disgusto dell'economia monetaria. Si spera in una liberazione da qualsiasi parte venga, in una nota genuina di onore e di cavalleria, di nobiltà interiore, di rinuncia e di senso del dovere. Viene allora il tempo in cui le potenze del sangue ricche di forma si ridestano nel profondo, dopo essere state cacciate dal razionalismo delle grandi città. Tutto ciò che si è conservato per il futuro della tradizione dinastica e dell’antica nobiltà, tutto ciò che si è conservato del costume superiore che si mantiene al di sopra del denaro, tutto ciò che è in sé abbastanza forte per essere secondo il detto di Federico il Grande servitore dello stato in un lavoro duro, pieno di rinunce, scrupoloso, anche nel possesso del potere illimitato, tutto ciò che ho designato come socialismo in contrapposizione al capitalismo tutto ciò diventa all'improvviso il punto di raccolta di immense forze vitali. Il cesarismo cresce sul terreno della democrazia, ma le sue radici affondano nel substrato del sangue e della tradizione. L’antico Cesare deve il suo potere al tribunato, ma la sua dignità e quindi anche la sua durata la possiede in quanto princeps. Anche qui si ridesta l’anima del a. Cfr. O. SrencLER, Preussentum und Sozialismus, Miinchen, 1919, PP. 41-42. 25. Zenone di Cizio (336-264 a. C.), fondatore della scuola stoica, autore di numerosi scritti pervenutici in forma frammentaria. gotico primitivo: lo spirito degli ordini cavallereschi supera lo spirito vichingo avido di bottino. Per quanto i futuri detentori del potere possano dominare il mondo come possesso privato, essendo ormai irrimediabilmente caduta la grande forma politica della cultura, questa potenza priva di forma e di limiti contiene tuttavia un compito: quello di un’instancabile cura per questo mondo, che costituisce l’opposto degli interessi propri dell’età del dominio del denaro e che richiede un elevato sentimento dell’onore e un'alta coscienza del dovere. Ma proprio per questo si scatena ora la lotta finale tra democrazia e cesarismo, tra le potenze dominanti di un'economia monetaria dittatoriale e la volontà ordinatrice puramente politica dei Cesari. Per intendere questa lotta finale tra economia e politica, in cui la politica riconguista il suo regno, occorre uno sguardo alla fisiognomica della storia economica. TROELTSCH nasce a Hauenstetten, presso Augusta. Frequenta le università di Erlangen, di Goòttingen e di Berlino, dedicandosi soprattutto sotto la guida di Ritschl e Lagarde agli studi teologici. Conseguì il dottorato con la dissertazione Geschichte und Metaphysik (Gòttingen). Dopo esser stato pastore luterano a Monaco, ottiene l’abilitazione a Géttingen, con “Vernunft und Offenbarung bei Johann Gerhard und Melanchton” (Géòttingen). Inizia la carriera accademica a Bonn, e viene chiamato a coprire la cattedra di teologia sistematica a Heidelberg, impegnandosi anche nella vita politica e sedendo per due legislature alla camera alta del Baden. I saggi di Troeltsch mostrano chiaramente il prevalere degli interessi religiosi e teologici, i quali si incontrano e si scontrano, talvolta in maniera drammatica, con la consapevolezza della storicità della vita religiosa. Fin dall'inizio egli prende posizione nei confronti della concezione idealistica della religione, denunciando il carattere fittizio della conciliazione da essa operata tra il processo storico e l’assolutezza della fede religiosa. Nel saggio Die christliche Weltanschauung und ihre Gegenstromungen (1894) egli respinge insieme l'idealismo e il positivismo, a causa della loro incapacità di intendere la vita religiosa e di dare una giustificazione filosofica dell'autonomia della religione. Al centro del pensiero di Troeltsch si colloca, in questo periodo, il problema del rapporto tra storia e religione, concepiti come termini antitetici: da una parte la coscienza storica ci mostra il condizionamento di ogni forma di vita religiosa e la sua appartenenza a un processo di sviluppo, dall'altra la religione avanza una pretesa di validità assoluta. Quest'antitesi viene illustrata nei successivi scritti del periodo di Hcidelberg, da Die Selbstindigkeit der Religion (1895) a Christentum und Religionsgeschichte (1897) e a Uber historische und dogmatische Methode in der Theologie (1898), da Die wissenschafiliche Lage und ihre Anforderungen an die Theologie (Tibingen, 1900) ai Grundprobleme der Ethik (1902; tr. it. Napoli, 1974) e al volume Die Absolutheit des Christentums und die Religionsgeschichte (Tiibingen, 1902, 19127, 1929; tr. it. Napoli, 1968). L’urto della coscienza storica mette in crisi non soltanto la fede religiosa, ma anche la teologia: da un lato la religione cristiana ha perduto la sua fondazione soprannaturale, dall'altro lo sforzo di darne una giustificazione teologica non può più prescindere dalla coscienza storica. Questa giustificazione viene cercata da Troeltsch considerando il Cristianesimo non come la religione assoluta, ma come la religione più alta, cioè come quella in cui si realizza non già il possesso, bensì il grado maggiore di partecipazione alla verità. Muovendo da questa prospettiva Troeltsch interviene con il saggio Was heisst Wesen des Christentums ? (1903; tr. it. Napoli, 1974) nel dibattito suscitato dalla pubblicazione dell’opera di Adolph von Harnack, e successivamente prende parte alla discussione sul modernismo. Negli scritti posteriori, dal volume Psychologie und Erkenntnistheorie in der Religionswissenschaft (Tibingen, 1905, 19227) al saggio Wesen der Religion und der Religionswissenschaft (1909), il problema della religione e della sua validità viene ricondotto al quadro di un’impostazione neocriticistica, modificata però attraverso l'assunzione di un fondamento 4 priori autonomo della vita religiosa che viene individuato in un complesso di valori irriducibili a quelli conoscitivi o etici o estetici. La ricerca delle condizioni di possibilità della religione mette così capo alla determinazione della sua autonomia nei confronti degli altri campi dell’attività umana. In questo stesso periodo, a contatto con Max Weber, Troeltsch ha sviluppato il proprio interesse per la religione anche sul terreno storiografico, studiando le relazioni tra il Cristianesimo e lo sviluppo politico ed economico della società europea. Il punto di partenza della sua analisi è la Riforma protestante, considerata nel suo distacco dal Cristianesimo medievale e nel suo rapporto con il processo di formazione del mondo moderno. Nel saggio Protestantisches Christentum und Kirche in der Neuzeit (Leipzig-Berlin, 1906, 1922°) e nel volume Die Bedeutung des Protestantismus fiir die Entstehung der modernen Welt (1906, poi Miinchen, 19112, 1924}; tr. it. Venezia, 1929) egli prende in esame le differenze di orientamento che caratterizzano la religione protestante e la cultura moderna; in seguito la sua attenzione si estende, investendo tutto il processo storico del Cristianesimo, con particolare riguardo alle origini della fede cristiana e alla figura di Cristo come termine di riferimento dello sviluppo ulteriore indagata nel volume Die Bedeutung der Geschichtlichkeit Jesu fiir den Glauben (Tibingen, 1911) o all’opera di Agostino studiata in Augustin, die christliche Antike und das Mittelalter (Minchen, 1915; tr. it. Napoli, 1970). Ma il contributo storico di maggior rilievo fornito da Troeltsch è l'ampia analisi delle dottrine politico-sociali cristiane, condotta in Die Soziallehren der christlichen Kirchen und Gruppen (Tiùbingen, 1912; tr. it. Firenze, 1941-60). In quest'opera la quale raccoglie una serie di saggi apparsi dapprima nell' Archiv fiir Sozialwissenschaft und Sozialpolitik Troeltsch si propone di studiare le dottrine che, dal Cristianesimo primitivo alla Riforma protestante, caratterizzano sotto il profilo sociale lo sviluppo della religione cristiana, ponendo in luce il rapporto di condizionamento reciproco che in tal modo si instaura tra la vita religiosa e la vita economica che la religione intende regolamentare, ma dalla quale viene nel medesimo tempo influenzata. Troeltsch si accosta alle indagini weberiane sulla sociologia della religione, riconoscendo l'appartenenza del Cristianesimo al processo di sviluppo di una data civiltà e la dipendenza delle sue dottrine dalla struttura sociale che questa è venuta creando. Ma, a differenza di Weber, egli fa valere il postulato dell'autonomia della vita religiosa, avanzando l'esigenza di delimitare l'ambito storico proprio della religione. Come risulta anche dal saggio Religion, Wirtschaft und Gesellschaft (1913), che enuncia i presupposti metodologici di questa impostazione, il condizionamento reciproco tra religione e vita economico-sociale viene a configurarsi come l’incontro di serie causali indipendenti una delle quali è appunto la serie dei fenomeni religiosi. Nel 1915 Troeltsch lascia Heidelberg, chiamato all’Università di Berlino a insegnarvi filosofia. Il mutamento di cattedra rispecchia il mutamento di interessi che si determina, in questi ultimi anni, nel pensiero di Troeltsch, e che lo spinge ad affrontare in termini generali il problema dello storicismo. Fin dal 1904, del resto, egli aveva espresso la sua adesione di massima alla posizione di Rickert nel saggio Moderne Geschichtsphilosophie (tr. it. Napoli, 1974). Ritornando sui problemi della storia e della conoscenza storica a distanza di circa un decennio, in una serie di saggi che hanno inizio nel 1916 (e che saranno poi raccolti col titolo Der Historismus und seine Probleme, Tiibingen, 1922), Troeltsch sottolinea le conseguenze relativistiche dello storicismo, e quindi la crisi del pensiero storico che esso esprime. Lo storicismo, inteso come relativismo storico, riduce i valori a prodotto storico e porta quindi all’ anarchia dei valori . Contro questo pericolo egli si richiama alla teoria dei valori, e in particolare a Rickert, rivendicando il rapporto di ogni momento del processo storico con valori assoluti, capaci di dare un senso alla successione degli eventi. Ma questo rapporto non comporta come per Rickert una trascendenza metastorica dei valori, bensì la loro immanenza a ogni oggetto storico, considerato nella sua individualità. Il punto di arrivo di Troeltsch è quindi il significato romantico di individualità, recuperato attraverso il riferimento alla nozione leibniziana di monade. Questa impostazione viene in parte ripresa nei saggi postumi Der Historismus und seine Uberwindung (Berlin, 1924), nei quali è riaffermata l’esigenza della restaurazione di un sistema di valori, da compiersi attraverso il richiamo a una determinata tradizione culturale. Il dopoguerra vede Troeltsch intensamente impegnato nella vita pubblica, come deputato al parlamento prussiano e come sotto-segretario (dal 1919 al 1921) per gli affari evangelici presso il Ministero dell'educazione. Egli partecipa alla fondazione del partito democratico, e nel 1920 difende la costituzione della repubblica di Weimar in una serie di lettere pubblicate sulla rivista Der Kunstwart (e poi raccolte col titolo di Spektator-Briefe, Tùbingen). Muore a Berlino. NOTA BIBLIOGRAFICA Le opere di Troeltsch sono state raccolte, anche se soltanto parzialmente, nelle Gesammelte Schriften, edite dalla casa editrice Mohr in quattro volumi, dal 1912 al 1925: dopo la guerra la Scientia Verlag di Aalen ne ha dato una ristampa anastatica, apparsa tra il 1961 e il 1966. Il primo volume (apparso nel 1912, e ristampato nel 1965) contiene Die Soziallehren der christlichen Kirchen und Gruppen; il secondo (apparso nel 1913, e ristampato nel 1962) raccoglie, sotto il titolo Zur religiòsen Lage, Religionsphilosophie und Ethik, numerosi saggi di argomento religioso e storico-religioso, tra cui Die theologische und religiòse Lage der Gegenwart, Die Kirche im Leben der Gegenwart, Religion und Kirche, Die christliche Weltanschauung und ihre Gegenstrimungen, Christentum und Religionsgeschichte, Was heisst Wesen des Christentums ?, Wesen der Religion und der Religionswissenschaft, Grundprobleme der Ethik, Moderne Geschichtsphilosophie, Uber historische und dogmatische Methode in der Theologie; il terzo (apparso nel 1922, e ristampato nel 1961) racchiude Der Historismus und seine Probleme; il quarto (apparso nel 1925, e ristampato nel 1966) comprende, sotto il titolo Aufsitze zur Geistesgeschichte und Religionssoziologie, diversi saggi di storia religiosa e intellettuale, tra cui Religion, Wirtschaft und Gesellschaft, Epochen und Typen der Sozialphilosophie des Christentums, Das stoisch-christliche Naturrecht und das moderne profane Naturrecht, Das Verhdltnis des Protestantismus zur Kultur, Luther, der Protestantismus und die moderne Welt, Renaissance und Reformation, Das Wesen des modernen Geistes, nonché numerose recensioni a libri di argomento analogo. Rimangono al di fuori di questa raccolta diversi volumi e saggi, i più importanti dei quali sono stati menzionati nella nota biografica. Ad essi occorre aggiungere le lezioni sulla G/aubenslehre, Miinchen-Leipzig, 1925, e la raccolta di saggi Deutscher Geist und Westeuropa (a cura di H. Baron), Tibingen, 1925. In epoca recente sono stati ristampati i seguenti volumi: Die Absolutheit des Christentums und die Religionsgeschichte, Minchen, 1960; Augustin, die christliche Antike und das Miztelalter, Aalen, 1963; Der Historismus und seine Uberwindung, 51. STORICISMO TEDESCO. 802 ERNST TROELTSCH Aalen, 1966; Spektator-Briefe, Aalen, 1966; Deutscher Geist und Westeuropa, Aalen, 1966. Dell’ampia letteratura critica concernente l'opera e il pensiero di Troeltsch segnaliamo gli studi seguenti: E. Vermelt, La pensée religieuse de Troeltsch, Strasbourg-Paris, A. Passerin d’EnTrÈèvEs, Il concetto del diritto naturale cristiano e la sua storia secondo E. Troeltsch, Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino , LXI, 1925-26, pp. 664-704. O. Hintze, Troelisch und die Probleme des Historismus, Historische Zeitschrift, CXXXV, 1927, pp. 188-239, ora raccolto nel volume Soziologie und Geschichte (a cura di G. Oestreich), Gòttingen, 7, PP. 323-73. H. Liesricn, Die historische Wahrheit bei Ernst Troeltsch, Giessen, 1937. W. BracHmann, Ernst Troeltschs historische Weltanschauung, Halle, 1940. D. Frerssero, Das Problem der historischen Objektivitàt in der Geschichtsphilosophie von Ernst Troeltsch, Emsdetten, 1940. W. Koncer, Ernst Troeltsch, Tibingen. J. J. ScHaar, Geschichte und Begriff (Eine kritische Studie zur Geschichtsmethodologie von Ernst Troeltsch und Max Weber), Tiubingen, 1946. E. Fiuino, Geschichte als Offenbarung (Studien zur Frage Historismus und Glaube von Herder bis Troeltsch), Berlin, 1956, cap. 1v. W. Bopenstein, Neige des Historismus: Ernst Troeltschs Entwicklungsgang, Giitersloh, 1959. H. G. DrescHer, Das Problem der Geschichte bei Ernst Troeltsch, Zeitschrift fir Theologie und Kirche , LVII, 1960, pp. 186-230. A. WAIsMann, E? historicismo contemporaneo: Spengler, Troeltsch, Croce, Buenos Aires, 1960, parte II. I. E. ALserca, Gewinnung theologischer Normen aus der Geschichte der Religion bei E. Troeltsch, Miinchen, 1961. W. F. KascH, Die Sozialphilosophie von Ernst Troeltsch, Tiibingen, 1963. E. Lessinc, Die Geschichtsphilosphie Ernst Troeltschs, Hamburg-Bergstedt, 1965. B. A. Rest, Toward a Theology of Involvement: the Thought of E. Troeltsch, Philadelphia, WincgeLHaus, Kirchengeschichte und Soziologie im neunzehnten ]ahrhundert und bei Ernst Troeltsch, Heidelberg, 1965, capp. ir. G. von ScHLIppe, Die Absolutheit des Christentums bei Ernst Troeltsch auf dem Hintergrund der Denkfelder des 19. Jahrhunderts, Neustadt a.d. Aish, 1966. H. Henrno, Max Weber und Ernst Troeltsch als Geschichtsdenker, Kantstudien , LIX, 1968, pp. 410-34. L'elenco completo degli scritti di Troeltsch si trova nelle Gesammelte Schriften cit., vol. IV, pp. 863-72. Manca invece una bibliografia aggiornata degli scritti su Troeltsch: si vedano però le indicazioni contenute nei volumi sopra menzionati di I. E. ALserca e di E. Lessinc, nonché nella traduzione de L’assolutezza del Cristianesimo e la storia delle religioni (a cura di A. Caracciolo), pp. LXI-LXIv. CRISTIANESIMO E STORIA DELLA RELIGIONE* Il carattere più generale della situazione religiosa che può essere riconosciuto da ognuno e che si impone a ognuno consiste in una decomposizione della religione ecclesiastica la quale, nonostante il dominio esterno che all’occasione incide assai profondamente, si è seriamente allentata nelle sue strutture interne e non riesce più a dominare la vita interna degli ambienti che spingono spiritualmente in avanti. La misura di devozione soggettiva e di bisogno religioso non è oggi presumibilmente molto inferiore a un tempo. Sono soltanto caduti i mezzi di coercizione esterna e il generale attaccamento alla chiesa che suscitavano, nelle epoche di forte dominio esteriore delle chiese e di rigorosa subordinazione della scienza alla teologia, la parvenza di una fede diffusa. Là dove prima c’era semplicemente una sottomissione indifferente o una fede consuetudinaria priva di sentimento, troviamo oggi un’antitesi aperta e una consapevole emancipazione, oppure la medesima fede consuetudinaria in teorie anti-religiose oppure la stessa indifferenza, soltanto diventata dominante e che si ritiene interessante o progredita. La differenza importante consiste piuttosto nella scossa subìta dalla fede anche presso i credenti e coloro che vogliono credere, nella lotta risolutiva delle nuove grandi conoscenze e dei nuovi metodi scientifici contro i concetti fondamentali e i metodi espositivi della fede cristiana così come si era fin allora presentata. Certamente, questi effetti sconcertanti * Christentum und Religionsgeschichte, Preussische Jahrbicher , LXXXVII, 1897, PP. 415-447, raccolto in Gesammelte Schriften, Tibingen, Verlag von 1.C.B. Mohr, vol. II, 1913, pp. 328-363 (traduzione di Sandro Barbera e Pietro Rossi). 806 ERNST TROELTSCH non procedono soltanto dalla scienza, ma procedono in egual misura dalle reazioni etiche, e più spesso anti-etiche, contro la morale qual è stata finora, dall’impulso precipitoso di una felicità indirizzata in senso puramente intra-mondano e all’interno della quale manca alla fede la risonanza corroborante nella coscienza complessiva e in una tradizione avita universalmente venerata. Ma, ciononostante, in tutti gli spiriti gravi € profondi le conseguenze della scienza costituiscono i motivi autentici di questa situazione precaria, almeno per quanto riguarda il Protestantesimo. Da quando nell’età illuministica si è creata una fondazione completamente nuova del pensiero scientifico, e quindi una nuova forma di cultura europea, il Protestantesimo ha concluso con la scienza in parte per un’intima concordanza, in parte a causa della sua minore chiusura ecclesiastica un’alleanza indissolubile, che lo ha legato ad essa in una lotta perpetuamente oscillante, dove talora prevale l’influenza della scienza moderna, talora quella della tradizione. Il Cattolicesimo ha invece, dopo alcuni imbarazzi transitori, annientato la scienza moderna all’interno del suo ambito di potere e poiché anch'esso doveva naturalmente concludere un compromesso con il mondo moderno lo ha fatto non già con la scienza, ma con le correnti politiche, giuridiche e sociali dell’età moderna, con le potenze del suffragio universale; e a condizione di ottenere un franco riconoscimento della sua esistenza, concede ai dotti una posizione privata molto differenziata nei confronti delle sue dottrine. Il suo destino dipende in primo luogo dallo sviluppo delle conseguenze che farà scaturire la politica che esso ha impostato nel corso del nostro secolo. Il destino del Protestantesimo, invece, dipende in primo luogo dallo sviluppo degli effetti che sono derivati e che derivano tuttora dall’alleanza contratta con la scienza nel secolo xvi. Non si deve però dimenticare che oggi l’interesse per la situazione religiosa non si esaurisce affatto nell'interesse per il destino di queste due confessioni. Anche se ha preso prevalentemente le mosse dal Protestantesimo, e se è possibile solamente in base a questo, si è tuttavia venuto formando un ambito più ampio di persone le quali estranee alle chiese piuttosto che irreligiose indagano oggettivamente la questione religiosa nel suo rapporto con i problemi scientifici e cercano di districare e, per quanERNST TROELTSCH 807 to è possibile, di chiarire la situazione. Anche chi, come me, è fermamente convinto che un risanamento delle condizioni religiose sia in definitiva possibile soltanto muovendo dal terreno delle comunità religiose, deve tuttavia ammettere che al presente il centro di gravità di tutte le trattazioni concernenti la religione risiede in questo gruppo di persone, e non nella teologia corporativa. Chi vuole ottenere chiarezza sulla situazione, deve cominciare l'indagine di qui. Le pagine seguenti devono illuminare la situazione, appunto nel senso di una considerazione nient’affatto corporativa, per un aspetto la cui importanza diventerà ogni anno più chiara. Il fondamento della scossa critica non è la nuova speculazione sorta con l’Illuminismo, la quale poneva al posto della filosofia ecclesiastica costruita con elementi neoplatonici, aristotelici e biblici una nuova metafisica che assumeva in modo autonomo la tradizione antica ponendo al tempo stesso le premesse di una metafisica la quale preparava la moderna scienza della natura e della storia. Speculazione e teologia sono affini per natura. Entrambe scaturiscono dall’impulso della natura umana verso l’infinito e il soprasensibile, che l’una cerca di cogliere scientificamente e l’altra religiosamente. Laddove c’è un generale senso speculativo, si comprende anche ciò che vuole la tcologia; e dove nell’uomo è presente un forte bisogno religioso, vi è anche l'impulso più forte alla speculazione. Per quanto possano divergere nei risultati e ciò particolarmente a partire dall’Illuminismo, dove la speculazione assunse elementi del tutto nuovi, sconosciuti all’antichità e alla Bibbia essi si ritrovano sempre e si rafforzano a vicenda. L’Illuminismo si è imposto con una nuova speculazione proprio perché, in base alla tradizione precedente, l'interesse religioso agiva come elemento dominante; e proprio perché la speculazione e la teologia sono affini nonostante qualsiasi antitesi, esso è pervenuto a soluzioni pacifiche e di compromesso, che a molti tra gli uomini migliori del secolo xviti apparvero una soluzione durevole del problema posto dall’epoca e l’inizio di un periodo magnifico. L'epoca di Schleiermacher e di Hegel parve approfondire questa soluzione pacifica, e porla su una base di principio. Il frutto principale della nuova speculazione, la formulazione in termini di immanenza metafisica del rapporto tra Dio e il mondo e la diffusio808 ERNST TROELTSCH ne etica del contenuto spirituale sull’ambito complessivo della vita intra-mondana, sembrava debitore della sua essenza a influenze cristiane, oltre che antiche, e suscettibile di essere agevolmente assimilato dal principio cristiano. Pareva così aprirsi un luminoso campo di nuove indagini teologiche e filosofiche, a cui come indicano le biografie di quel tempo prendevano parte attiva uomini di ogni professione. Questa pace e questo interesse sono scomparsi da tempo, in parte perché la chiesa e la religione popolare non volevano accettare un compromesso del genere, che incideva assai profondamente, preferendo isolarsi dalla vita scientifica, ma in parte, e soprattutto, perché la speculazione fu sconfitta dalla crescita autonoma degli elementi che all’inizio aveva saputo subordinare a sé e tenere al proprio servizio. Le due nuove creazioni dell’Illuminismo, la scienza matematico-meccanica della natura e la scienza critico-comparativa della storia, si svincolarono e conobbero una diffusione straordinaria, che assorbiva ogni attività e ogni interesse. La speculazione precedente non era più in grado di affermarsi nei loro confronti. La conseguenza di ciò fu che nella cultura respinta dall’ortodossia rinnovata insieme alla speculazione andò perduto anche il senso del soprasensibile vissuto e insegnato dalla religione, e un pensiero educato in modo completamente empiristico non seppe più avvicinarsi a quei problemi. Ma ancora più importante fu l’altra conseguenza, che ognuna delle due scienze suscitava un’enorme trasformazione dell'immagine del mondo e della storia, la quale sembrava dover distruggere passo a passo i concetti religiosi di Dio e dell'anima, e nello stesso tempo minava i fondamenti storici su cui aveva poggiato la precedente intuizione che il Cristianesimo aveva di se stesso. La lotta così scoppiata è molto più violenta e pericolosa di quella con la speculazione nemica, ma pur sempre affine: si tratta di una lotta con una conoscenza e una concezione dei fatti differente, che penetra in tutti i campi della vita. La discussione richiesta da questa situazione fa tutt'uno con esse. La speculazione compare soltanto in secondo piano. Delle due nuove scienze, la scienza della natura sembra a molti l'avversario autentico; essi si rallegrano o si dolgono dei trionfi che fanno arretrare ogni giorno di più la fede. Il tentativo di generalizzare e di trasferire conoscenze e metodi che hanno dimostrato nel loro campo una straordinaria capacità di prestazione costituisce però una delle illusioni maggiori tra quelle che di solito accompagnano i successi inattesi. Non c'è dubbio che la legalità autonoma e la regolarità del processo naturale, poste in luce dalla scienza della natura, hanno reso impossibili le vecchie rappresentazioni antropomorfiche dell’azione divina. Ma queste rappresentazioni sono già state scosse da altri motivi, e in parte proprio da motivi religiosi, e possono ritrarsi dinanzi a una concezione approfondita del concetto di Dio. Nello stesso tempo i tentativi di sottomettere la vita spirituale alle leggi naturali hanno mostrato soltanto che essa possiede una sua propria legalità e un suo proprio modo di agire, del tutto differente e nient’affatto coincidente con quello della natura. Certamente, anche la scienza della natura ha rafforzato l'impressione che la natura proceda insensibile soltanto in base alle proprie leggi, senza curarsi affatto della vita spirituale, dei suoi scopi e dei suoi beni, e che sembri capricciosamente talora prepararla e favorirla, talora però anche annientarla brutalmente. Ma questa impressione è antichissima, e proprio in essa la nostalgia religiosa si compiace soprattutto di mettere radici nel fondamento più profondo della vita spirituale per non rimanere soffocata da quei grandi enigmi e per diventare libera nei riguardi della semplice natura. Del resto, ogni indagine seria ha mostrato che, per quanto tutte le connessioni possano essere concepite come puramente meccaniche, per quanto si escluda ogni derivazione e deviazione in vista di particolari scopi arbitrari, nelle forme di questa connessione agiscono tuttavia idee organizzatrici; che, almeno nella vita organica, il caso meccanico non spiega nulla; che ogni spiegazione fondata su leggi naturali concerne soltanto l’elemento di regolarità generale tratto dall'esperienza, ma non l’esperienza stessa nella sua realtà concreta. Ciò che il mondo reale offre è, in verità, un dualismo di elementi razionali e forniti di valore da un lato, di elementi irrazionali e puramente fattuali dall’altro. Le leggi generali e i contenuti forniti di senso si compenetrano. Le prime ricoprono ogni realtà con la rete orientativa delle loro lince direttrici, i secondi stanno nelle maglie di questa rete. Che uno di questi due aspetti sia parvenza, oppure che uno soltanto sia veramente dominante, è cosa impossibile da dimostrare: decidere in un senso o nell’altro è, e rimane sempre, una questione di fede. Che però la fede secondo cui la natura e la materia sono tutto, e che da esse deriva tutto il resto, sia impossibile da sostenere, lo mostra l’effettiva autonomia del mondo spirituale. Questa soltanto è la questione che dobbiamo porre alla scienza della natura se il mondo spirituale, con il suo dover essere e i suoi valori culturali, sia qualcosa di autonomo e fornito di una propria forza rispetto alla natura; per il resto possiamo lasciare che essa percorra tranquillamente il suo cammino, il quale resta precluso a chiunque si occupa di scienza dello spirito. La risposta di tutti gli studiosi realmente importanti è affermativa, anche se diverse sono le intuizioni più precise in merito a tale rapporto. Per la ricerca naturale, i problemi particolari confluiscono nelle questioni relative al rapporto tra cervello e anima e alla presenza di idee teleologiche oganizzatrici nello sviluppo della natura, che mostrano una natura al servizio almeno in generale degli scopi dello spirito. Entrambi i problemi possono essere risolti soltanto da scienziati e filosofi uniti; essi sono ancora oggi, come tutti sanno, straordinariamente dibattuti. Ma lo storico e l’indagatore della vita spirituale non ha bisogno di attendere queste soluzioni. Per lui è un punto fermo non soltanto ciò che costituisce al presente un patrimonio comune nei confronti di ogni tipo di materialismo, cioè il fatto che lo spirito è una forza autonoma inderivabile dalla natura, ma anche il principio più importante che questa potenza autonoma non manifesta la sua forza specifica in un adattamento formale alla natura, ma contiene piuttosto di per sé anche contenuti spirituali, disposizioni e impulsi autonomi, dai quali sorge, in un'azione reciproca con le esigenze della realtà sensibile, il ricco mondo della storia. Nel suo campo l'autonomia, la legalità autonoma e la forza creativa meno familiari allo studioso della natura dello sviluppo spirituale nella religione, nella morale e nella cultura si presentano così chiaramente che egli può applicarsi a questo campo considerandolo almeno relativamente autonomo, e trattare i suoi problemi come problemi del mondo spirituale. In questo nostro campo d’indagine risiede però anche il vero e proprio centro di gravità della questione religiosa. Poiché la religione è un elemento costitutivo della vita storica, le questioni principali che la riguardano si collocano in campo storico. La scienza storica moderna, che si estende a epoche e a regioni prima sconosciute, ha anche posto la fede cristiana di fronte a problemi del tutto nuovi; e il sorgere di una storia comparativa delle religioni l’ha scossa profondamente alla base. Fino al secolo xviri la teologia, e la scienza in generale, conosceva soltanto con eccezioni scarse e prive di influenza il presupposto rigorosamente soprannaturale del mondo cristiano, cosicché il Cristianesimo riposava su una rivelazione comunemente ritenuta soprannaturale e legittimata da miracoli che interrompevano il corso della natura. Il pensiero scientifico si estendeva soltanto alla sua interpretazione, non alla sua realtà di fatto. Di fenomeni concorrenti, non cristiani, si conoscevano soltanto la mitologia greco-romana e l’Islam. La prima veniva però considerata come la corruzione peccaminosa di residui di una conoscenza risalente all’Eden, e il secondo come un’eresia del Cristianesimo. I suoi miracoli erano, come quelli dell’eretico, scimmiottamenti del demonio. Al contrario, la credenza in dio della filosofia greca non comportava alcuna concorrenza alla rivelazione cristiana, ma rappresentava il frutto del pensiero naturale , il prodotto normale e canonico del lumen naturale, che costituiva nei confronti della rivelazione un’analogia e un grado preliminare più o meno amichevolmente apprezzato, di cui non si poteva fare a meno per la definizione € l’esposizione del contenuto della rivelazione. Questo mondo angusto e ristretto, dai presupposti storici semplici ed evidenti, fu distrutto dal secolo xvi. Certamente, furono in primo luogo la moderna scienza della natura e la metafisica moderna a porre in questione il miracolo e il soprannaturale, ma ben presto questo effetto derivò in misura sempre crescente dalla ricerca storica. Accanto al Cristianesimo, all’antichità e all’Islam si collocavano le altre grandi religioni del mondo antico con le loro analoghe dottrine teologiche; e, al di fuori del mondo cristiano, uno sterminato mondo pagano si apriva nelle parti della terra recentemente dischiuse al commercio e descritte da resoconti di viaggi molto ammirati. Ne venivano così posti doppiamente in dubbio gli analoghi miracoli ed elementi soprannaturali della storia ebraica e cristiana, e la pretesa unicità della Chiesa. Voltaire e Montesquieu amavano procedere mediante questi paralleli tra religione cristiana e religione pagana. L'applicazione dei nuovi metodi pragmatici e critici, approntati dal deismo ed energicamente approfonditi dai teologi tedeschi del secolo xvi, si mostrava possibile anche per la storia del Cristianesimo, e distruggeva sia la finzione cattolica secondo cui la chiesa sarebbe la semplice prosecuzione del Cristianesimo primitivo, sia la finzione protestante secondo cui la Riforma ne costituirebbe la restaurazione. Tutte le impostazioni della precedente visione confessionale della storia furono negate c sostituite da una nuova impostazione, che inseriva la storia della rivelazione e della chiesa nel generale pragmatismo storico. Ciò che il secolo xvilt aveva cominciato a fare ancor sempre esitante, cercando in ogni cosa un’immutabile verità di ragione e onorando in tutte le religioni, ma particolarmente nel Cristianesimo, la religione naturale , fu proseguito dal secolo xIxX con crescente successo e con una smisurata estensione. Esso ha dissolto la vita dell'umanità in una corrente ininterrotta di divenire storico, di trasformazioni continue, mostrandone il frammento a noi accessibile nel suo movimento interno, e per le parti a noi ignote che si collocano prima e dopo tale frammento dispiegando agli occhi della fantasia l’immagine di trasformazione senza fine. Ma esso ha soprattutto fornito sia ai singoli campi sia alla considerazione complessiva della storia metodi storico-filologici concreti e in luogo del metodo pragmatico quello genetico, che poggia sul presupposto di uno sviluppo continuativo e omogeneo della vita spirituale, indaga le leggi di formazione della tradizione presso i popoli antichi € proprio qui mostra come, muovendo da queste tradizioni le quali offuscano ogni sviluppo e ogni condizionamento naturale, si possa chiaramente ricostruire il corso reale delle cose. In quella corrente impetuosa anche le religioni piccole e grandi alle quali si aggiungeva con l’inizio del secolo anche la religione indiana appena scoperta, insieme alle varie religioni ad essa imparentate apparvero nient'altro che onde che si alzano e si abbassano, infinitamente diverse e senza quiete. Infatti dal nuovo metodo filologico scaturì naturalmente anche un’indagine del tutto nuova delle religioni antiche. E le antichità religiose nella loro stretta connessione con il diritto, la politica, l'articolazione della società, l’arte e la scienza dei popoli antichi, costituiscono il corpo principale della tradizione. Miti e tradizioni, culti e leggi religiose vengono sempre più riconosciuti nella loro connessione naturale con la vita complessiva. Di qui scaturirono, alla fine, le indagini degli etnologi e degli antropologi sui popoli senza storia , le quali hanno mostrato la presenza presso di questi di un gran numero di tratti molto prossimi alle tracce più antiche dello sviluppo culturale e religioso dei popoli civili e gettato nuova luce sui loro inizi. Dalla cooperazione tra scienza dell’antichità, filologia orientale ed etnologia è così sorta una nuova grande disciplina, la storia delle religioni, che è certamente elaborata in modo ancora molto incompleto e diseguale, ma da cui provengono già ora, direttamente o indirettamente, gli effetti più forti. I suoi metodi sono profondamente penetrati nell’analisi della religione israelitica e cristiana. Nessuno poteva più mettere in dubbio la sua splendida influenza nel campo profano ed extra-cristiano; non appena la si applicò a fondo alla totalità della tradizione cristiana, si vide che questa chiave, capace di aprire tutte le porte, si adattava anche qui alla serratura. La storia del Cristianesimo è così stata inserita irrevocabilmente nella storia generale della religione, per quanto si cercasse di nuovo di sottrarlo ad essa nei punti più importanti. D'altra parte, anche l’indagine di principio sull’essenza e sulla verità delle conoscenze religiose aveva bisogno di abbracciare con lo sguardo la molteplicità storica delle religioni. Lo spirito del pensiero moderno, orientato in senso storico, ha costretto in ogni campo filosofi e teologi a considerazioni storiche, soppiantando il vecchio e più elementare procedimento, puramente logico-speculativo. In tal modo il cerchio della considerazione storica religiosa si è chiuso da tutte le parti intorno al Cristianesimo. Gli effetti di tutto ciò sono evidenti; ma essi sono più importanti di quel che si è in un primo tempo supposto e di quel che ancora oggi spesso si suppone. La conoscenza prossima fu che tutti gli elementi soprannaturali, e in particolare le relazioni causali asserite dal pensiero giudaico-cristiano, sono scomparsi dalla concezione della storia del Cristianesimo, e che questa storia è stata studiata secondo l’analogia con altre tradizioni, mantenendo in pieno l’importanza che prima rivestiva. In tale maniera il Cristianesimo ha però perduto la fondazione soprannaturale che lo distingueva da tutte le altre religioni; la sua storia primitiva era solo più la fonte, non più la sua prova. I suoi fondamenti storici, che avevano avuto un’importanza decisiva per la sua precedente concezione di se stesso, hanno cominciato a vacillare, e ciò ha trasformato tutta la sua essenza. In tale maniera, però, era minacciata non soltanto la sua soprannaturalità, ma anche come presto è risultato la sua singolarità e il suo valore esclusivo di verità. Esso diventava solamente una delle grandi religioni universali accanto all'Islam e al Buddismo, una religione che, al pari di queste, si è sviluppata attraverso una lunga preistoria e che ha raccolto l'eredità di formazioni storiche di larga portata. Dov'è rimasta allora la sua verità esclusiva o anche soltanto la sua posizione di privilegio, dov'è rimasta soprattutto la fede nella sua rivelazione esclusiva e unica? La questione dell’autenticità dell’anello diventava ancora più grave di quanto era stata per la religione razionale di Lessing. Ma la conseguenza va ancora più in là. Non soltanto la validità e la verità del Cristianesimo, ma anche quella della religione in generale come campo autonomo e particolare della vita viene trascinata via da questo vortice della molteplicità storica. Come può esserci comunque una verità nella fede religiosa, la quale si manifesta in mille forme diverse, chiaramente dipendenti dalla situazione e dalle circostanze, e si riporta a rivelazioni che si presentano tutte come infallibili e universalmente valide, o almeno come un'opera soprannaturale immediatamente procedente dalla divinità, e che al tempo stesso si contraddicono completamente? Come può esserci ancora una religione nell’infinita molteplicità e nelle profonde differenze delle religioni, se la religione deve significare in verità una comunità con la divinità? Non si dovrebbe almeno dire, con le note parole di Schiller: Quale religione riconosco? Nessuna di tutte quelle che mi nomini. E perché? per religione '? Oppure con le parole di Goethe, che certamente non esprimono tutta la sua autentica intuizione al riguardo: Chi possiede scienza ed arte ha anche la religione; 1. ScuitLer, Epigramme, Mein Glaube. chi non ha né Vl’una né l’altra s'abbia la religione ?? Si tratta di una storia di follia e di superstizione, nel migliore dei casi del rozzo precedente e del surrogato popolare della filosofia e dell’arte, scaturito esclusivamente dal pensiero e dall’errore umano, non dell’opera della divinità per lo meno non più e non diversamente di quanto lo sia qualsiasi altro evento dal momento che la divinità non può mettersi in dissenso con se stessa. Ma con ciò le questioni riprendono da capo: perché allora queste innumerevoli vie traverse delle religioni per giungere alla verità della filosofia e dell’arte? perché la necessità di un surrogato popolare? donde viene l’enigmatica autonomia e la forza propria delle religioni, che ora si accordano con l’arte e la scienza ispirandole alle più alte imprese, ora le annientano nel loro fiorire e ne prendono il posto? donde viene il caratteristico contenuto interno di relazioni coercitive e viventi con la divinità, che non può essere vissuto altrove e che la scienza e l’arte possono soltanto trarre dalla religione ? Qui stanno infatti i problemi veri e propri per chi ha visto che la scienza naturale non può decidere nulla in merito alla possibilità o impossibilità della religione, o può decidere soltanto le questioni preliminari più generali. Essi costituiscono anche la base più profonda della crisi attuale, sebbene la cultura media continui ad attribuire questo progresso o questa sfortuna secondo il punto di vista solamente alla scienza della natura. Come la scepsi, che invade oggi tutti i campi, ha il suo fondamento principale nel relativismo prodotto dal diffondersi degli studi storici, così ha qui la sua radice, ora più consapevolmente, ora più inconsapevolmente, anche la posizione contraddittoria della nostra migliore cultura nei confronti della religione, che oscilla avanti e indietro tra un mezzo riconoscimento e una mezza contestazione, riconoscendo in qualche modo la verità e la necessità di un fenomeno storico così potente e tuttavia non impegnandosi seriamente con nessuna delle sue forme concrete. 2. GoetHE, Xenien. Ma le grandi crisi storiche guariscono spesso come Ja lancia di Odino le ferite che hanno inferto. Come la moderna scienza della natura costringeva, proprio in virtù della sua coerente elaborazione, a indagini gnoseologiche sulla causalità e sulla sostanza, conducendo perciò al superamento del suo carattere materialistico e naturalistico, così anche la nuova scienza storica ha costretto a cercare con maggiore profondità di prima le forze propulsive e unitarie della storia. Se 1’Illuminismo, ancora sottoposto all’influenza del soprannaturalismo, aveva riposto il contenuto della storia in una verità di ragione sempre eguale, rigida, spiegando a partire da essa tutte le deviazioni e tutti i mutamenti in base a motivi puramente soggetti vi, la nostra intuizione della storia procedeva all'indietro sotto l’influenza delle nuove idee poetiche di Lessing, Herder, Goethe dai variopinti e molteplici fenomeni esterni alle tendenze spirituali di fondo della natura umana che stanno alla loro base e che sono in essi soltanto incorporate, e insegnava poi a riconoscere di nuovo queste tendenze nella loro interna connessione come il dispiegarsi della ragione umana complessi va, che nel corso dello sviluppo dispiega il proprio contenuto spirituale come un grande individuo attraverso la successione delle generazioni. In tal modo è stata fondata la grande intuizione moderna della storia, che costituisce il presupposto nuovo di ogni scienza dello spirito: essa racchiude ancora in sé gravi problemi, ma si è già dimostrata estremamente feconda. Da essa è sorta anche una nuova intuizione della religione e del suo sviluppo storico. Anche nella religione si è pervenuti, muovendo da forme fenomeniche infinitamente diverse, a un nucleo interno, sempre presente e almeno formalmente identico, agli Er/ebnisse interni della coscienza, che si cristallizzano e si ramificano a formare quelle forme fenomeniche soltanto in virtù della cooperazione di varie condizioni esterne. Era questo Erlebnis fondamentale ciò che occorreva comprendere e analizzare. In base alle rivelazioni originarie e acquisite di questo Erlebnis si doveva comprendere la formazione dei gruppi di religioni; e nel sorgere di gruppi di religioni sempre più grandi e comprensivi si doveva riconoscere il dispiegarsi dell’idea religiosa. C'erano naturalmente vie molto differenti per procedere a quest’analisi, e numerosi sono stati gli errori. Il presupposto di un’indagine di questo tipo è naturalmente la conoscenza approfondita della storia empirica delle religioni, ma di tale conoscenza si può finora parlare solo parzialmente. Nel complesso questa è la strada che si accorda con la tendenza del pensiero scientifico, e che ha già condotto a molte conoscenze fornite di valore.Dobbiamo soltanto imparare a considerare la religione con occhio sempre più amorevole, sempre più libero da presupposti dottrinali, razionalistici e sistematizzanti, e a studiarla in modo sempre più penetrante proprio nei suoi caratteristici e appariscenti fenomeni e personalità specificamente religiosi, anziché nell'uomo comune. Allora ci si disvela come il nucleo più profondo della storia religiosa dell'umanità un Erlebnis non suscettibile di essere ulteriormente analizzato, un fenomeno originario ultimo che, al pari del giudizio etico e dell’intuizione estetica, rappresenta un fatto ultimo e semplice della vita psichica, ma che è caratteristicamente diverso da entrambi. Noi riconosciamo leggi particolari proprie di questo campo della vita nella formazione di idee e di norme, nella produzione di simboli e di azioni religiose, nell’allargamento, nella crescita e nell’elaborazione, nella contrapposizione e nella lotta con forze estranee o antitetiche; nell’alienazione e nell’approfondimento, nell’intreccio con altri sistemi di vita e della concentrazione che ne viene di nuovo fuori, nella formazione della tradizione e della comunità nonché nella produzione originale che continua sempre a sussistere accanto a queste, nel rapporto degli spiriti produttivi con i fedeli ad essi subordinati. In tutte queste formazioni diversissime vive pur sempre una realtà fondamentale unitaria, ossia la religione, il contatto indeducibile, puramente fattuale, sempre nuovamente vissuto, con la divinità. Si può passare da una religione all’altra: anche le religioni tra loro più opposte possono comprendere, con qualche attenzione, il linguaggio religioso l'una dell’altra. Si tratta sempre della stessa realtà, che viene colta in diversi gradi e da diversi lati. Ma questa unità non è l’unità rigida della religione naturale come aveva ritenuto la concezione della storia del secolo xvi e non si basa sull’accordo tra operazioni intellettuali coscienti; essa è invece fondata su una comune tendenza di movimento dello spirito umano, la quale spinge avanti in direzioni diverse e si compie attraverso il movimento dello spirito divino che opera misteriosamente nella profondità inconscia dello spirito umano unitario. Incapace di raggiungere il suo fine nel breve tratto della vita individuale, questo movimento si compie attraverso il lavoro in comune di innumerevoli generazioni che, afferrate e condotte dall’agire divino, si affidano ad esso vivendone sempre più riccamente e profondamente l’intimo contenuto. Questo movimento è uno sviluppo perturbato in vario modo, ma che in tutte le perturbazioni si riprende sempre di nuovo, reca a realizzazione il contenuto posto come possibilità e come nucleo nel sistema religioso di vita, mostra i diversi gruppi di religioni nella loro relazione reciproca e nella loro graduale successione, e nel corso stesso della storia porta alla luce con la contrapposizione di diverse religioni il criterio della loro valutazione. In tal modo si innalza davanti ai nostri occhi, anziché il caos, un cosmo di religioni, a proposito del quale non si deve dimenticare che qui la successione di gradi indica non soltanto una serie temporale, ma anche una contemporaneità. Questo cosmo è stato spesso considerato un gioco che presenta in sfumature quanto mai variopinte e ricche la realtà fondamentale comune, oppure come una cooperazione di diverse verità parziali che costituiscono la bella totalità. Ma questa considerazione estetica, che faceva della storia delle religioni uno spettacolo ricco e bello per la divinità, contraddice sia il vero senso dell’idea di sviluppo sia l’essenza reale delle religioni. L'idea di sviluppo, tratta attraverso diverse idee mediatrici dai fenomeni spirituali del movimento di un fine unitario, si spinge fino al conseguimento di questo scopo finale a cui sempre si tende e che sempre agisce; e le grandi religioni tanto meno si arrestano in sé quanto più hanno compreso il loro fine, ma anzi tendono con passione spesso struggente verso la verità totale e intera. Soltanto dove l’idea di sviluppo viene mantenuta nel suo senso pieno, essa non opera in modo snervante e distruttivo; e soltanto dove le religioni sono animate da questa passione, esse hanno una vitalità intima che le spinge in avanti. Perciò occorre in ultima analisi, e soprattutto, rintracciare il fine o almeno la tendenza al fine della storia delle religioni, la quale non può trovare il suo termine nei sistemi della scienza e dell’arte ad essa prossimi oppure in un concetto astratto di religione elaborato in base a varietà delle religioni, ma soltanto in una religiosità concreta, particolarmente profonda e potente, particolarmente forte e coniata in forma pura. Essa deve contenere i momenti di verità delle altre o potersene appropriare, e deve in ogni caso incorporare in modo vivente l’idea centrale che emerge dal loro sviluppo. In quale misura essa sia configurata unitariamente e in quale misura possa penetrare universalmente, nessun postulato può stabilirlo 4 priori. Si tratta soltanto di un postulato che deriva dallo stesso sviluppo religioso, in modo tale da fornire una tendenza al fine e da fare sì che essa si renda riconoscibile, almeno come avviamento e come tendenza verso il futuro. Il vecchio metodo della teologia soprannaturalistica ne risulta pertanto capovolto. Essa muoveva dal presupposto, assunto come ovvio, che il Cristianesimo costituisce a causa del suo carattere soprannaturale l’unica verità, e si curava soltanto di porre le altre poche religioni conosciute in un rapporto tollerabile con questa religione soprannaturale, ed essa sola vera. La sua filosofia della storia collegava immediatamente il Cristianesimo, inteso come restaurazione soprannaturale, al perfetto e semplice inizio dell’umanità; la molteplicità delle altre religioni non era che un prodotto dell’offuscamento successivo al peccato, e i loro elementi di verità erano residui dell’antica perfezione dello stato originario. Il Cristianesimo era non soltanto la suprema e più profonda redenzione, ma l’unica redenzione operata immediatamente da Dio, mentre tutte le altre religioni nascevano esclusivamente dal pensiero e dall’errore umano, e la loro fede di redenzione doveva essere stata soltanto auto-redenzione in base a una forza naturale. La ricerca storica moderna costringe a percorrere il cammino inverso. Essa mostra che questo soprannaturalismo e questa forma di fondazione costituiscono un modo, comune a tutte le religioni superiori, di esprimere la loro convinzione della propria verità. Essa distrugge l’idea di un semplice inizio soprannaturale dell’umanità, e mostra anche presso i devoti dell’Indo e delle montagne persiane la forza profondissima e vivissima della fede redentrice e della comunanza immediata con Dio. Essa percorre in tal modo la via dall’universale al particolare, dall'indagine della religione come contatto particolare con la divinità, che ha luogo ovunque, all’indagine dei particolari ambiti concreti di religione. Cercando di coglierli nel loro rapporto interno, in una prospettiva storico-evolutiva, essa va alla ricerca del prodotto supremo di questa storia, guidata dalla convinzione certamente indimostrabile, e che rappresenta essa stessa una fede etico-religiosa che la storia non è un gioco di varianti senza fine, bensì il dispiegarsi del contenuto più profondo e unitario dello spirito umano. Ai suoi occhi la storia della religione è una storia di Dio con gli uomini, una storia della redenzione che eleva l’umanità e l’uomo singolo al di sopra del legame con la mera natura sensibile, con il bisogno e con l’aspirazione puramente naturale, fino alla comunità con Dio e alla libertà dello spirito sul mondo e sulla mera, ottusa fattualità dell’esistenza. In quanto la storia della religione raggiunge in questo modo, o meglio realizza, la verità in grado diverso secondo la situazione e le condizioni vincolando l’uomo con il fondamento più profondo della sua esistenza e con l’insieme dei suoi beni spirituali, ne è nata la convinzione che in essa, e in essa soltanto, si raggiunge un reale progresso della storia e che essa può credere, del tutto diversamente dalla storia degli altri campi della vita, nel conseguimento di uno scopo definitivo e semplice. Mentre la morale, il diritto, la cultura, la scienza e l’arte si riferiscono a una situazione mondana sempre mutevole e sono perciò sempre costrette a comportare nuovi impercettibili adattamenti, innumerevoli dissoluzioni e nuove formazioni, la religione ha invece a che fare con il fondamento eterno, sempre identico a se stesso, della vita. Penetrandolo sempre più profondamente, essa può ritenere possibile raggiungere quella misura di verità e di unificazione interna che è in generale concessa all’uomo sulla terra certamente sempre intrecciata, in relazioni continuamente mutevoli, con la situazione complessiva che si trasforma, in lotta con le potenze contrapposte dell’inerzia, del peccato, dell’esteriorizzazione egoistica, e creando, in base alla verità una volta raggiunta, una sempre nuova e più profonda forza vitale, ma pur sempre nella certezza di avere vissuto ed esperito il nucleo del mondo soprasensibile. Si tratta di un postulato di cui nessuno, che abbia riconosciuto nella religione un campo autonomo della vita, può fare a meno. Certamente, a questo punto si aprono i problemi ultimi e più profondi, le questioni fondamentali della storia: perché abbia luogo in generale una storia; perché gli uomini debbano essere tratti fuori e liberati dalla balia della natura e delle sofferenze da essa a noi inflitte, dall’inerzia e dall’egoismo, soltanto in virtù della religione; perché le condizioni di questo processo e i suoi effetti siano talmente differenti e non si possa parlare di una possibilità identica per tutti di partecipare al suo frutto; perché innumerevoli generazioni e individui debbano venir consumati in esso, e pur sempre rimanere differenze di grado; se, e come, tutta questa diseguaglianza potrà mai essere appianata. Queste sono le questioni ultime e più profonde che un’epoca fornita del coraggio della speculazione cercherebbe di illuminare mediante una speculazione che muova dai fatti della vita interiore, e nelle quali un’epoca stanca di speculazione come la nostra venera invece rassegnata i limiti della conoscenza umana; questioni a cui risponde in modo oscuro e logoro, ma profondo e comprensivo, la religione stessa attraverso la dottrina dell’amore creativo di Dio e della vita dopo la morte, dell’auto-redenzione di Dio nell’elevazione dei regni degli spiriti finiti alla comunità con lui. Non sono quindi queste questioni ultime a dover essere ancora indagate se si deve risolvere il problema posto dalla considerazione storico-religiosa. E neppure può trattarsi di garantire l'assunzione fondamentale qui presupposta cioè che la religione è un campo di vita autonomo, un contatto interiore con la divinità contro le obiezioni che dalla pienezza delle particolarità storiche traggono l’occasione per una spiegazione di tipo illusionistico la quale deriva la religione, intesa come prodotto secondario, da altri fatti fondamentali. Ogni D spiegazione del genere naufraga sempre dinanzi al fatto che la religione non può essere derivata dal pensiero causale o dall’impulso filosofico, e neppure dalla fantasia e dal bisogno di felicità: ciò risulta particolarmente chiaro nelle più eminenti personalità religiose, in cui opera ancora la forza completa dell’ispirazione e la religione non si è ancora risolta in teologia, in etica o in culto, ma anche ogni fedele può constatarlo in se stesso, nella sua propria esperienza. Egli segue una coercizione che lo trascende, una tendenza verso qualcosa che non trae origine dal mondo delle esperienze sensibili e dai bisogni sensi bili, ma che doveva già essere contenuto nel sentimento prima di poter essere manifestato o postulato. Per una spiegazione realmente di tipo illusionistico resterebbe soltanto l’ipotesi che è stata anche tentata e che da molti punti di vista sarebbe ancora la più accettabile che si richiama a una follia contagiosa, ad allucinazioni di visionari invasati, le quali poi si sarebbero trasmesse, in forma più debole, ai comuni fedeli mantenendo sempre un’enigmatica forza di contagio. Su un'ipotesi siffatta non si può naturalmente discutere: essa significa soltanto il riconoscimento del fatto che nella religione siamo sempre di fronte al fenomeno fondamentale ultimo non ulteriormente risolubile, che rimane sempre enigmatico e incommensurabile della vita spirituale, e che in esso è presente un proprio autonomo principio di sviluppo condizionato sì dal resto della vita, ma non esclusivamente prodotto da essa. Si può quindi restare fermi, in generale, all’intuizione fondamentale già ricordata, ossia alla filosofia della storia di Hegel, di Schleiermacher e di Humboldt, che riconosce nella religione un fenomeno universale della vita spirituale e applica alla sua storia l’idea di sviluppo, che può condurre soltanto a uno studio sempre più realistico e impregiudicato dei fenomeni specificamente religiosi e che dev'essere liberata dalla connessione troppo stretta e ancora dominante della religione con intuizioni complessive di carattere metafisico ed estetico. Le questioni che scaturiscono da tale concezione sono piuttosto quelle che si riferiscono, in modo particolare, al rapporto della molteplicità e relatività storica con l’unità ultima e con la propria verità, postulato della fede religiosa. E proprio per gli storici che si immergono nella pienezza della realtà sorgono sempre di nuovo certi problemi: come si possa, da questo punto di partenza, Spiegare o piuttosto sostenere, in rapporto a quella tendenza all’assoluto, l'effettiva diversità delle concezioni religiose fondamentali, la diversità di intensità e di purezza, la debolezza di vita religiosa che caratterizza talvolta interi periodi e interi popoli. L’altra questione, che tocca in maniera ancora più immediata l’interesse generale, è se realmente una delle religioni concrete oppure dal momento che esso rappresenta la grande religione storica dell'ambito di cultura europeo-americano, € può praticamente costituire per noi il culmine dello sviluppo religioso, collocandosi sicuramente, per interiorità e attività religiosa, ali sopra del Giudaismo, dell'Islam, del Buddismo e del Bramanesimo se il Cristianesimo possa essere realmente considerato il punto di convergenza della vita religio sa e il fondamento di ogni sviluppo ulteriore. Per rispondere alla prima questione occorre riflettere che il concetto di religione è rimasto, con quanto si è detto, ancora assai indeterminato e incompiuto. La storia della religione mostra piuttosto chiaramente, per quanto è possibile, che la religione non può essere un’azione di Dio sul sentimento, chiusa internamente in sé a ogni altra realtà, immediata e sempre riproducentesi in modo spontaneo. Che essa sia questo, lo afferma ovunque soltanto la teoria della mistica, cioè di quel particolare risultato di complicati sviluppi storico-religiosi che compare ogni volta che si è smarriti dinanzi alle singole forme concrete della fede in Dio e si ritorna a un'azione ineffabile e sempre eguale di Dio sull’anima, oppure quando, rifuggendo paurosamente da ogni esteriorità e da ogni mediazione, si aspira a una comunanza il più possibile interiore e immediata con Dio. Il vuoto e l’auto-limitazione priva di rapporti comunitari di questa devozione, la concentrazione artificiosa che si punisce con l’irritazione e la spossatezza, il distacco dal mondo mostrano fin dall’inizio quanto poco si tratti di fenomeni normali. Una teoria del genere passa anzi sopra fatti di importanza fondamentale. Quell’influenza divina non si compie cioè in ogni uomo in maniera nuova e autonoma, e in modo puramente interiore come se fosse una specie di magia dell'anima, ma si compie attraverso mediazioni di vario genere. L'impressione religiosa o per impiegare un’immagine tratta dalla psicologia empirica lo stimolo religioso scaturisce sempre soltanto da avvenimenti e da esperienze vissute di tipo esterno e interno, nella natura e nella storia, nella coscienza e nel cuore. Per la grande maggioranza degli uomini l’elemento mediatore dello stimolo religioso è la tradizione religiosa, accanto alla quale stimoli religiosi indipendenti rivestono un'importanza solitamente più ristretta. L’enigma proprio dello sviluppo religioso individuale consiste nel vedere come da tradizioni non comprese, dapprima estranee e interpretate in modo infantile, sorga gradualmente la devozione autonoma, interiore e personale, la quale è cosciente, almeno nei punti più alti, della sua comunanza interiore e della sua relazione reciproca con la vita divina. Se ci si riferisce però all’origine di questi ambiti di tradizione talvolta racchiusi l’uno nell’altro © incrociantisi tra di loro ci si imbatte, dove è possibile risalire fino agli inizi di una religione, in personalità straordinariamente originali che, legate meno strettamente alla mediazione della tradizione, ricevono dai grandi avvenimenti della natura o della storia, dai destini della vita individuale o dai processi della loro vita interiore lo stimolo a nuove grandi intuizioni, attraendo le altre sotto la potenza della loro devozione e della loro personalità. Quanto più queste concezioni fondamentali, che compaiono in modo puramente fattuale e non possono venir derivate da altre, sono profonde e personali, e collegate con avvenimenti grandi e importanti, tanto più esse si presentano come nuclei di grandi contenuti di vita, come princìpi che si dispiegano nel lavoro di molte generazioni. I visionari, gli estatici e gli ispirati delle antiche religioni, i profeti, i riformatori e i santi sono di solito personalità di questo genere, e la loro caratteristica principale è un’enorme unilateralità che respinge tutto il resto, e mediante la quale soltanto essi possono produrre tale effetto. Ma, una volta dischiusa da essi in questo modo determinato, la comunanza con Dio crea un allargamento e una diffusione straordinaria dei rapporti fondamentali così dati. Essa si sviluppa finché possiede una forza di sviluppo non ancora utilizzata e finché non viene sopraffatta da impressioni più potenti. Il fatto che nel campo della religione, come in tutti gli altri, le disposizioni e le capacità siano diverse, che il contenuto e la portata di un principio religioso possano essere sviluppati soltanto mediante il lavoro di appropriazione di molte generazioni, che l’esperienza religiosa scaturisca da elementi diversi di una realtà infinitamente varia, e che in tale maniera l’unica verità sia colta diversamente in differenti concezioni fondamentali tutto ciò è inerente all’enigma stesso della storia, la quale distribuisce il contenuto della vita spirituale nel lavoro di miliardi di uomini, e il cui mistero è noto soltanto a Dio. Ma tutto ciò non cancella la fede che in questa molteplicità sia vissuta una verità unitaria. Procedendo dalle differenze condizionate dal luogo e dal tempo, da particolarità personali e storico-culturali, dalla mescolanza dei nomi di divinità e delle mitologie, da alienazioni e da deformazioni infantili e rozze, o egoistiche e sacrileghe, fino al nucleo unitario, troviamo sempre una verità molto affine. Osserviamo il grande terrore dinanzi al mistero di un mondo soprasensibile che si introduce nel corso della vita quotidiana e che desta l’uomo, ora spaventandolo ora consolandolo, dal sonno di un'esistenza puramente intra-mondana; la manifestazione di forze divine nella natura, da cui scaturisce in definitiva una sensibilità panteistica; l'autorizzazione di norme etiche e giuridiche da parte della divinità, la quale si rivela come sacra ed esige anzitutto purezza e verità, dirittura e rigore nell’agire. In particolare, beni superiori e beatificanti si collocano al di sopra del mondo sensibile, un elemento permanente ed eterno si eleva sul mutare del desiderio e del bisogno, e da ciò sorge la fede nella redenzione, che nella religione in generale riconosce la redenzione dal dolore e dalla colpa, dal carcere dell’insoddisfazione eternamente mutevole. Tutte queste cose possono essere viste come oggettivamente connesse, come impulsi verso una concezione unitaria; e la questione del perché gli individui prendano parte in modo così diseguale alla piena verità oggettivamente connessa non può turbare questa conoscenza, in quanto è una questione eternamente insolubile sulla terra. In base al medesimo fatto fondamentale della mediazione di tutte le spinte religiose si spiegano però, in collegamento con un secondo fatto fondamentale, anche gli altri fenomeni che abbiamo menzionato: la diversa intensità e direzione dell’interesse religioso, la debolezza della vita religiosa, che non sempre dipende soltanto da ottusità e da rifiuto nei confronti dell’elevazione ideale o da una consapevole opposizione. Non parleremo qui, in quanto si tratta di cose ovvie, di quest’ultimo condizionamento da parte dell’inerzia, dell’egoismo, della rozzezza e dell’esteriorità, né degli effetti della lotta continua della religione contro gli impedimenti ad essa opposti dalla volontà. Occorre considerare piuttosto altre cose. L'intuizione di Dio non è isolata in sé, e neppure è un'esperienza vissuta accolta passivamente. Essa è fin dall’inizio rivestita di determinati tratti di simbolizzazione poetica, e opera mediante riferimenti concreti a certi campi di fenomeni naturali o etici e con determinati strumenti di espressione linguistica. Agendo come stimolo sull’anima in virtù di questo contenuto concreto, essa suscita immediatamente al pari di ogni altro stimolo una quantità di reazioni, cosicché non può mai liberarsene in tutta la sua purezza, ma in ogni momento della sua influenza è sempre indissolubilmente collegata con le più svariate reazioni psichiche. La connessione è qui più stretta e ramificata di quanto non avvenga per qualsiasi altro stimolo, perché l’esperienza religiosa è l’esperienza dominante, che attrae o respinge ogni cosa, e perché eccita più di ogni altra il sentimento in tutte le sue sfumature. Esiste anche un' appercezione religiosa in virtù della quale lo stimolo religioso penetra immediatamente nella connessione di tutte le rappresentazioni e di tutti i sentimenti, e ne viene influenzato nella sua direzione, nella sua forza e nel suo ambito, anche se poi dà a sua volta nuove linee direttive e nuove intonazioni all’intera struttura. È noto che le nature specificamente religiose intrecciano impetuosamente, nelle loro idee religiose fondamentali, tutto ciò che è vicino e ciò che è lontano, oppure respingono tutto quanto si oppone, o che non si connette immediatamente, come cose del mondo e cure quotidiane; allo stesso modo coloro che hanno il loro centro di gravità in altre disposizioni, adattano la religione a interessi scientifici, etici, estetici, cercando di mediarla con il resto oppure, dove quest’adeguazione risulta impossibile, di respingerla. Nelle condizioni di quest’appercezione, differente in ogni individuo, risiede per lo più il motivo delle enormi diversità individuali all’interno di ogni particolare ambito religioso, delle diverse rappresentazioni e sensazioni religiose, della diversa posizione e forza dello stimolo religioso all’interno del contenuto psichico complessivo, della prevalente dipendenza dalla tradizione e dal simbolo, della prevalente autonomia e reazione, della diversa misura di forza trascinante e di appropriazione riflessiva. Quanto più sviluppata e più ricca è la vita spirituale, tanto più intricate e impenetrabili diventano le condizioni di quell’appercezione, e tanto più energicamente la religione richiede quel raccoglimento e quell’attenzione silenziosa allo stimolo religioso, che si chiama devozione e preghiera. Non si deve quindi dimenticare che gli individui non stanno soli, ma innalzano, nella più stretta relazione reciproca, certe inclinazioni e certe tendenze a potenze socialmente dominanti. Così anche dal punto di vista religioso vi sono epoche prevalentemente conservatrici ed epoche prevalentemente critiche, in cui ora la tradizione consolidata nel culto e nella chiesa domina ogni cosa con il sentimento di una sacralità intangibile, ora un'autonomia critica suscitata da sconvolgimenti generali della vita spirituale si ribella mettendo in questione la legittimità e la connessione di ogni idea. Così può esserci alla fine, dopo violente lotte religiose, un periodo di fastidio che si rivolge alle cose del mondo e di più facile acquisizione; può esserci, sotto l’influenza di grandi movimenti materiali, politici e sociali, o sotto l'influenza di conoscenze scientifiche, una crescente ripugnanza di grandi masse nei confronti della religione, come dimostrano per esempio la cultura dell’età imperiale romana, la morale confuciana delle classi superiori della Cina non areligiosa ma assai povera dal punto di vista religioso e le moderne condizioni della vita europea. In modo analogo si devono intendere anche le situazioni di debolezza della vita religiosa di alcuni popoli primitivi, a cui se ne contrappongono altri forniti di un fervore molto più vivo e relativamente puro. Anche qui ci sorprende di nuovo, naturalmente, la partecipazione misteriosamente diseguale dell'individuo al valore ultimo dell’esistenza e l’inevitabile unilateralità di tutto cid che è umano; ma di per sé la religione è, e rimane, essenzialmente la stessa. Non abbiamo nessun motivo di dubitare della sua essenziale unità interna. Si tratta della medesima verità, che viene raggiunta da diverse parti e in un diverso rapporto con gli altri elementi della vita spirituale. Con ciò siamo di fronte alla seconda questione precedentemente accennata: se cioè vi sia un punto di convergenza, un culmine che emerga in modo visibile, tra queste diverse concezioni parziali della verità o, più precisamente, se il Cristianesimo che vuole esserlo possa anche realmente valere come tale. Il motivo che ci induce a formulare in modo così determinato la questione non è la propensione ad assolutizzare la religione in cui siamo nati e siamo stati educati, e che sola ci è completamente familiare, facendone l’essenza della verità in generale. Infatti il suo dominio non è più così ovvio e ingenuamente immediato che si debba senz'altro sottostare a questo impulso di universalizzazione. L'ottimismo del sentimento panteistico della natura che sempre si sprigiona dall’arte antica e, dall’altro lato, l'impressione delle religioni pessimistiche e piene di mistero dell'Oriente agiscono tra di noi in modo abbastanza forte da costringerci a una decisione pienamente consapevole. Da questa impostazione viene fuori anche non soltanto il necessario postulato che la piena verità della religione deve pur rivelarsi in qualche luogo. In sé e per sé, ciò potrebbe essere forse riservato solamente a un lontano futuro. Se impostiamo così la questione, il motivo è che soltanto il Cristianesimo nel suo sviluppo ha avanzato in modo sempre più netto e penetrante questa pretesa. Sorretto dall’autorità del tutto interiore e personale ma che conteneva in sé un residuo di incommensurabilità del suo maestro, esso si rivolge esclusivamente al nucleo interiore dell'individuo, ai bisogni più universali, più profondi e più semplici di quiete e di pace del cuore, a un senso positivo, ultimo, definitivo dell’esistenza; si rivolge a ogni individuo senza eccezione, poiché presuppone presente in ciascuno questo nucleo essenziale ed è sicuro di poter educare tutti a tali bisogni. Pace dell’anima con Dio, e quindi superamento della sofferenza del mondo e di tutti i dolori della coscienza, ma anche viva e attiva realizzazione della volontà divina; il comandamento dell’amore verso i fratelli, che sono fratelli in virtù del Padre comune: ecco il suo vangelo. Da ciò scaturisce anche la comunità più salda e comprensiva, in quanto esso fa derivare l’origine dell'essere umano dallo spirito divino e lo riconduce al fine della comunità con Dio e con i fratelli, costringendo ogni credente a collaborare a quella universalità e al fine della perfezione comune. Esso è quindi l’unica religione che pretenda una universalità assolutamente incondizionata, l’unica che abbia perciò prodotto dal proprio seno una filosofia della storia che connetta inizio, metà e fine della storia dell'umanità, e che in questa storia riconosca una realtà in sé internamente connessa, irripetibilmente specifica e al servizio di fini incondizionatamente validi. Ma soprattutto si tratta di una validità universale non asserita solamente in linea di fatto: essa scaturisce per il suo sentimento dall’intima necessità dell'essenza di Dio, che creando il mondo deve poi ricondurre a sé le sue creature traendole dal mondo e dall’errore, dalla colpa e dallo scoramento. La sua grazia non è arbitrio, e i suoi comandamenti non sono una mera statuizione; l’una e gli altri emanano dalla sua essenza e si realizzano dall’interno median-te l’amore per Dio, che per primo ha amato i suoi figli. Qui la tendenza della religione alla validità universale ha raggiunto la sua vetta: tutto ciò che è particolare, proprio di un popolo, condizionato dal mondo, è spazzato via; ogni dipendenza da una situazione meramente data, sempre incoerente, è superata dall’universalità di un fine ancora da raggiungere, ma già fondato nella sua determinazione e nella sua essenza. Certamente, ciò mostra anche l’unilateralità del tipo di vita determinato in modo prevalentemente religioso. Ma, secondo la legge che domina anche la religione della differenziazione dell’essenziale, questo non costituisce nulla di sorprendente, e neppure costituisce un limite. Non si può concepire come essenza dei gradi supremi un monismo di valori culturali che non differenzia nulla, ma soltanto una costituzione dello spirito che sviluppi coerentemente le singole tendenze riequilibrando le tensioni che ne sono derivate. Proprio in quella unilateralità il Cristianesimo raggiunge la piena interiorità e l’universalità puramente umana. La tensione così determinatasi, e ora più che mai aperta, nei confronti dei valori culturali intra-mondani dà al tutto il carattere della vita spirituale superiore, si riunifica sempre di nuovo nel lavoro vivente e consapevole. In tutte le sue trasformazioni e le sue mescolanze, in tutte le caricature e gli abomini, in tutte le stagnazioni e gli irrigidimenti, il Cristianesimo annunciava tuttavia questa tendenza superiore a ogni cosa verso ciò che è individuale-personale, verso ciò che è universalmente umano, verso ciò che è totale e ricco di tensione. Lo conferma anche lo sguardo alle altre grandi religioni universali, che soltanto possono essere prese in considerazione accanto al Cristianesimo. L'Islam, il fratello più giovane scaturito dal Giudaismo insieme con il Cristianesimo, ha accolto da essi in modo puramente estrinseco questo universalismo, insieme alla forma della rivelazione scritturale e ai frammenti della sua filosofia della storia. Esso gli inerisce soltanto per l’unità del suo dio e per la semplice intelligibilità dei suoi pochi e poveri comandamenti morali, ma non discende dall’intima necessità dell'essenza del suo dio, che anzi è un dio caratterizzato da un duro e imprevedibile arbitrio. L'Islam rappresenta una regressione rispetto al Giudaismo e al Cristianesimo, e non ha mai potuto nascondere del tutto il suo carattere di religione guerriera nazionale araba. Il Buddismo per vari aspetti parallelo al Cristianesimo è fin dall'inizio soltanto la religione di un ordine monastico, al quale possono e devono accostarsi tutti coloro che hanno riconosciuto la nullità della volontà di vivere, e dal quale scaturisce quindi un vivo impulso missionario. Ma la sua validità universale è conseguenza semplicemente della validità universale di questa conoscenza, non già dell’essenza di una divinità che chiami tutti a un fine comune al cui posto si presenta qui piuttosto un ordine impersonale di redenzione. L’ordine degli illuminati presuppone pur sempre la grande massa degli sprovveduti e dei laici, che forniscono sostentamento al monaco. La grande maggioranza ritorna sempre nel circolo della migrazione delle anime e costituisce soltanto la massa da cui i sapienti si separano e della cui carità vivono fin quando scompaiono nel Nirvana uscendo dal cielo delle anime. Questo processo si ripete senza fine e senza connessione in periodi cosmici che si susseguono all'infinito; ma sempre alcuni illuminati si separano dal mondo della parvenza, e sempre la massa rimane imprigionata in questo stesso mondo della parvenza. Come il mondo non ha nessun fine positivo unitario, così non l’hanno la vita e la devozione. Si aspira all’ordine e si apprezza la pace della redenzione, ma nessuna necessità interiore costringe tutta l’umanità a unirsi in vista di essa. Per quanto l'universalità della religione possa farsi valere in esso, così come nell’Islam, e per quanto venga talvolta reclamata, la pretesa dell'uno e dell’altro è per estensione di fatto e nella sua fondazione meno intensa che quella del Cristianesimo. Questo è l’unica religione che si riconosce e si afferma incondizionatamente, in virtù della propria forza religiosa, come verità universalmente valida, e che perciò consegue di fatto ciò che è insito nella tendenza della religione in generale. Esso è l’unica religione che, in base al proprio impulso vitale, ottiene sempre la vittoria sull’inclinazione all’irrigidimento dogmatico e rituale; l’unica che non si irrigidisce nella legge, né si fissa, nel concepire l’idea di redenzione, semplicemente nella negazione. Che essa sia veramente conclusiva, e immutabile nella sua essenza per tutto il futuro, non si può certo dimostrare mediante una semplice costruzione storico-filosofica. Per quanto convinti possiamo essere che nella storia delle religioni ha luogo un progresso continuativo, il quale poggia sul movimento interno dello spirito divino in quello umano, non possiamo tuttavia proporre un concetto generale della religione come forza di questo sviluppo, e presentare il Cristianesimo come il suo necessario compimento. Quel concetto potrebbe essere proposto sulla base di un’esperienza difettosa ed essere trasformato in modo sostanziale da sviluppi futuri. Né possiamo indicare nel Cristianesimo la convergenza effettivamente realizzata delle diverse serie di sviluppo, per quanto possiamo trovarvi la trascendenza astratta del Giudaismo attenuata mediante l’assunzione degli inevitabili elementi panteistici del paganesimo, e l’antitesi superata mediante un'unità superiore. Infatti soltanto ai nostri giorni si profila l’incontro tra gli abitanti del nostro pianeta, e quindi una convergenza delle diverse linee di sviluppo. La discussione e la convergenza del Cristianesimo con le religioni orientali appartiene ancora al futuro, e accentuerà forse in modo sorprendente nel Cristianesimo aspetti rimasti finora non sviluppati. Tutte le costruzioni del genere poggiano su un’intuizione della storia che risulta inevitabile nella sua idea fondamentale per ogni considerazione religiosa e idealistica, ma non sono sufficienti a fornire una prova. Questa sarebbe forse possibile soltanto alla fine dei giorni. L'unico elemento che può essere fatto immediatamente valere a conferma della pretesa del Cristianesimo è la circostanza che a questa sua singolare pretesa corrisponde anche un'effettiva singolarità del suo contenuto e della sua essenza, che si presenta chiaramente a una ricerca storico-religiosa. D'altra parte le religioni costituiscono un'unità che progredisce nel suo complesso, e si può riconoscere una tendenza generale diretta a una spiritualizzazione, interiorizzazione, eticizzazione e individualizzazione crescente, e quindi poiché questa è la necessaria conseguenza al formarsi di una fede sempre più profonda nella redenzione: a ciò si è già accennato sopra. In tutte le grandi religioni ha luogo uno sviluppo caratterizzato in questo modo. Attraverso la liberazione dai fenomeni naturali esso spiritualizza le divinità, fino al tramonto di tutte le divinità particolari in un’essenza divina universale, in cui esse diventano forme del suo agire; attraverso l’eticizzazione delle singole divinità e la compenetrazione religiosa della morale esso traduce in forma etica la divinità, facendone il nucleo e il custode delle leggi etiche, e subordina la fede negli spiriti alla fede negli dèi in un’escatologia più o meno influenzata da motivi etici, mentre le divinità che non si inseriscono in questo processo diventano dèi locali, demoni e spiriti cattivi. Facendo sì che gli dèi si rivolgano alla coscienza e alla volontà, anziché semplicemente all’obbedienza culturale e alla scrupolosità cerimoniale, esso pone la divinità in relazione con l’individuo in quanto tale, non più soltanto con la famiglia, la stirpe, lo stato e la conclusione di un'alleanza. Con l’individualizzazione comincia infine a emergere il carattere universalistico della religione. Ma proprio con questo esso innalza Dio sopra il mondo e sopra la natura, facendone la fonte originaria più profonda, che si fa valere al di là di ogni finitudine e di ogni confusione, e con la divinità solleva al tempo stesso l’uomo dalla frammentarietà, dalla dispersione e dall’inquietudine del finito, così come dalla colpa e dal destino della vita terrena. Secondo la quantità di forza che fin dall’inizio ha posto nella concezione fondamentale, questo processo va più o meno avanti: qui si arresta prima, là più tardi. Ma anche dove le religioni pervengono a una completa altezza e maturità, dove sboccano nella mistica e nella fede nella redenzione, il limite inerente al fatto di essere sorte dall’adorazione della natura non viene per lo più superato. Esse conservano le tracce della loro origine particolaristica e naturalistica, capovolgendosi in speculazioni sacerdotali fantastiche, in una filosofia monistica, in una mistica acosmistica o com'è il caso del Buddismo in una metodica scettica della redenzione. L’eticizzazione già conseguita sprofonda di nuovo nell’abisso del panteismo, e la religione popolare decade in culti orgiastici o in una rigogliosa superstizione sincretistica, che la riporta all'antico politeismo. Soltanto ra religione ha rotto completamente l’incanto della religione naturale e si presenta, in quanto tale, in forma singolare: la religione di Israele e il Cristianesimo. Davanti all'imminente decadenza del suo popolo, la religione di Israele si è sostanzialmente svincolata dai suoi fondamenti particolaristici e naturalistici, collegando la fede in Jahvè con la purezza del cuore e con la certezza di una chiarificazione risolutiva del corso della vita terrena alla fine dei giorni. Da questo nucleo è venuto fuori, nella persona di Gesù, il Cristianesimo, che, pur sentendo Dio più prossimo ai singoli cuori e immediatamente operante nel mondo, è però impedito da questo fondamento di ricadere nel panteismo e nella mistica di una compiuta religione della natura e che, pur donando al cuore la beatitudine e la quiete in Dio, si aspetta tuttavia nella certezza della transitorietà dell’esistenza sensibile un mondo superiore ed esclude quindi un immergersi puramente immanente in Dio. In quanto esso libera non soltanto dalla sofferenza della finitudine e dalla pressione della natura, ma soprattutto dall’ostinazione e dalla pusillanimità del cuore umano, dalla debolezza e dalla coscienza della colpa, in quanto con questa liberazione del cuore e con la certezza di una comunità con Dio che supera il tempo conferisce forza per agire e amare sulla terra, il Cristianesimo rappresenta una religione della redenzione di ordine superiore che sovrasta in egual misura sia il pessimismo buddistico sia la mistica neoplatonica i due prodotti estremi della devozione extra-cristiana. In virtù di questa rottura di principio con ogni specie di religione della natura, esso porta a compimento unico tra tutte le religioni la tendenza alla redenzione, nello stesso modo in cui ha recato a compimento, in connessione con questa, la tendenza a una validità universale puramente interiore. In virtù di questa specificità di fatto, di questo accordo intimo tra esigenza ed essenza, noi riconosciamo nel profetismo e nel Cristianesimo il culmine, o meglio un nuovo punto di partenza nella storia della religione il sorgere del sole dopo l'aurora, non conclusione e fine che porta alla quiete, ma inizio di un nuovo giorno con nuovo lavoro e nuove lotte. Vi sono ancora molti lati oscuri da chiarire, occorre ancora conoscere con maggiore purezza la sua luce propria. Un lavoro sterminato sta ancora di fronte ad esso, e dalla sua forza interna risulterà, nel contatto con la mutevole situazione del mondo e con le altre religioni, un'ulteriore crescita della religione, certamente non costruibile 4 priori. Il fatto stesso che ne sia capace, che possieda questa capacità di costante ringiovanimento e adattamento, costituisce appunto un'ulteriore conseguenza della sua particolarità. In quanto religione dello spirito che a differenza da ogni religione della natura, sia essa approfondita in senso panteistico o configurata eticamente si riferisce al nucleo interno, spirituale ed etico, sempre vivente e attivo, dell’essenza degli uomini, il Cristianesimo possiede la forza dell’autocritica e della purificazione, dell’approfondimento e del rinnovamento; esso può sempre richiamarsi attraverso le scorze mitologiche alla sua essenza intima e purificarsi sempre di nuovo dalle inevitabili contaminazioni con ambiti di pensiero ad esso estranei, Il Cristianesimo non è vincolato a determinate concezioni della natura e a formazioni sociali transitorie e particolari; esso contiene un impulso di aspirazione, di attività e di perfezionamento che manca a qualsiasi mistica che si immerga soltanto nell’unità data dell’universo; contiene fini positivi che il quietismo buddistico volto solo al pessimismo non conosce; abbraccia infine la fede universalistica con una profondità ricca di impulso, di cui l'Islam ha potuto acquisire soltanto l’aspetto superficiale. Poniamo per esempio il caso in sé possibile che l’astronomo Schiaparelli® ha ipotizzato per il nostro pianeta, traendo lo spunto dai cosiddetti canali di Marte, che cioè con il raffreddamento della terra e il restringersi dei mezzi di sussistenza che essa offre possa diventare necessaria un’analoga enorme unificazione del lavoro umano; e che soltanto tali lavori di protezione, intrapresi con un'estrema fatica collettiva, rendano possibile ancora l’esistenza: in tal caso dovremmo pensare immediatamente a infinite trasformazioni nel diritto, nella morale, nella società e nello stato; e sicuramente anche nella religione. Non è verosimile che un'impresa del genere possa svolgersi sotto la protezione della benedizione papale o sotto l'impulso di disposizioni di istanze ecclesiastiche superiori, o che possa essere disturbata da una disputa sul Simbolo apostolico. Nulla ci impedisce però di pensare che la forza dello spirito comune, necessaria per quest'opera, scaturisca da una viva 3. Giovanni Virginio Schiaparelli (1835-1910), astronomo italiano, autore de Le stelle cadenti, delle Norme per le osservazioni delle stelle cadenti e dei bolidi (1896) e di varie altre opere, studiò in particolare i pianeti intorno alla Terra e osservò per primo i canali di Marte. I suoi ultimi studi furono dedicati a L'astronomia nell'Antico Testamento. dzione teistica, quali che siano le forme che potrebbe assumere in un’epoca siffatta, Come si è detto, è il significato effettivo del Cristianesimo tra le religioni, l’elaborazione di una religione della redenzione di tipo personalistico in antitesi a ogni religione della natura, non già una costruzione storico-filosofica conclusa, che autorizza questa fiducia. A tale fiducia non si può quindi obiettare il fatto che essa indulga al caso, il quale ci fa appunto apparire il sole della verità sopra il piccolo frammento di storia a noi noto, come sopra un'isola nel mare sconfinato. Non si tratta perciò tanto di una determinata forma storica del Cristianesimo, quanto piuttosto dell'idea della religione personalistica della redenzione, la cui forma odierna essendosi formata nel tempo sicuramente non è nulla di eterno. Ma nel profetismo e nel Cristianesimo quest'idea è diventata una forza storica e si svilupperà ulteriormente, muovendo da questa forma fondamentale, verso risultati che oggi non conosciamo ancora, né abbiamo bisogno di conoscere. Basti il fatto che, così come sono, essi significano il trapasso alla religio ne della redenzione di tipo personalistico, e che possiamo sentire l’eterno in questo elemento temporale. Possiamo ben ammettere che l’origine delle grandi religioni in generale avvenga nella giovinezza dell’umanità, quando la vita è più semplice e più facile è l’incondizionato immergersi nella religione, quando le connessioni dell’esistenza sulla terra sono ancora meno intricate e la pura formazione di forze religiose è meno disturbata. L’origine delle religioni della natura si perde in oscure epoche primitive che si sottraggono all'indagine. La religione di Israele con la sua duplice progenie Cristianesimo e Islam è una religione giovane e ha impostato il tema del futuro, in base a cui il Cristianesimo ha elaborato, come fondamento di ogni ulteriore sviluppo, la decisiva e universale verità religiosa. A ciò si aggiunge un’altra considerazione. Le variazioni della vita e del pensiero umano sono imprevedibili nel particolare, assai limitate in una prospettiva ampia. Così anche la fantasia rivolta al futuro potrà rappresentarsi non già un gioco infinitamente oscillante di contenuti di vita spirituale fondamentalmente diversi, bensì un’elaborazione sempre più ardua e intricata, sempre più estesa e complicata di idee fondamentali acquisite. Tra queste idee fondamentali la più salda e la più forte sarà quella della devozione cristiana, poiché essa sola collega l’umanità con il fondamento permanente ed eterno della vita spirituale in maniera puramente interiore, e in questa connessione supera, con un'attività redentrice, al tempo stesso la necessità e la sofferenza dell’esistenza terrena. In questo modo l’intreccio della storia della religione si rischiara, e viene in luce una tendenza di sviluppo in cui possiamo riconoscere la direzione del futuro. Disperso e isolato, in lotta con la natura per la vita, commosso da impressioni e da avvenimenti nella natura, nella vita collettiva e nella vita individuale, il mondo primitivo dell’uomo produce innumerevoli religioni, esteriormente assai diverse, ma intimamente imparentate, la maggior parte delle quali si sono indurite con la vita delle orde, delle stirpi e dei popoli a cui appartengono, arrestandosi al loro livello. Qui la natura e l’uomo vengono presi così come si presentano immediatamente, e da questa situazione scaturiscono impressioni religiose fornite di una capacità di sviluppo molto ristretta. Soltanto pochi grandi popoli realizzano, con la loro più ampia coesione nazionale e linguistica, una prosecuzione e un approfondimento rispetto a questo grado di religione, in quanto i tratti fondamentali suscettibili di sviluppo vengono estesi e approfonditi, la rozza mitologia e il culto superstizioso vengono eliminati o depotenziati e tutti gli impulsi religiosi che procedono dalle nuove impressioni di vita e di cultura vengono fusi nella tradizione precedente. Essi sfociano nella religione della moralità, nel panteismo, infine nel pessimismo e nella mistica, ma si arrestano ancor sempre al mondo e all'uomo lasciandolo così come l’hanno trovato, senza indicargli fini positivi che superino la natura. Soltanto la nostalgia e il presentimento accennano in essi a tali fini. Soltanto za religione ha definitivamente sciolto il legame che la univa immediatamente con la natura e, riconoscendo un dio creatore che, in quanto spirito, si distingue dalla natura, ha indicato al tempo stesso all’uomo il fine di un’elevazione positiva sulla natura materiale e la natura spirituale in esso innata. Questa è stata la religione di Israele, che rappresenta uno dei fatti più importanti all'interno della storia universale a noi nota. In quanto conclusione dello sviluppo interno di Israele e congiunzione con il monoteismo filosofico ellenico, il Cristianesimo si è posto saldamente sul campo di rovine delle religioni nazionali distrutte dagli imperi universali, mentre in Israele il profetismo si rattrappiva nel Giudaismo e accanto ad essi l'Islam raccoglieva i suoi credenti, intorno a poveri frammenti di queste religioni, sul campo di rovine dell'Asia e dell’Africa. Con il sorgere di questi grandi princìpi religiosi, la produzione religiosa è diventata sempre più ristretta, e si muove soltanto più nella creazione di formazioni intermedie di tipo sincretistico o di varianti. Il futuro appartiene alla lotta delle grandi formazioni religiose. Tra di queste il Cristianesimo, in quanto punto di partenza di un grado sostanzialmente nuovo, costituisce però la forza che ricca di tensioni con la cultura più elevata e tuttavia inscindibilmente legata ad essa sta al centro della grande lotta mondiale, non già come sistema finito e rigido, bensì come una potenza vivente che forma il punto di riferimento di ogni ulteriore conoscenza e di ogni ulteriore impulso religioso, sviluppandosi ancora nel futuro secondo la legge imprevedibile della vita religiosa. Una gran parte di questo processo di sviluppo, che ha già prodotto mutamenti di grande rilievo, si trova alle nostre spalle; mentre un momento importante di esso, cioè la progressiva differenziazione, la dissoluzione dal legame immediato con lo stato e la politica, con il diritto e la morale mondana, con la scienza e la spiegazione del mondo, la concentrazione nel suo contenuto puramente religioso e la rinnovata influenza di questo contenuto sulla situazione complessiva, si compie davanti ai nostri occhi. Il Cristianesimo si raccoglie in se stesso e si tramuta in una nuova operosità. Perciò non deve indurci in errore la miseria ecclesiastica della sua realtà momentanea e la ripugnanza morale per le lotte interne al clero. Si tratta della tendenza al futuro che sempre ritorna di nuovo alla luce, non già della sua attuale confusione confessionale. È evidente che, come l’intera intuizione della storia fino ad oggi dominante rimanda alla nostra letteratura e filosofia classica, così questa intuizione della storia delle religioni in particolare ha stretti punti di contatto con le idee di Lessing, Goethe, Herder, Kant, Hegel, Schleiermacher e di altri pensatori affini. Essa cerca solamente di liberare la concezione della religione dalla prossimità eccessiva in cui questi l'avevano collocata con altre potenze spirituali. Lessing ha concepito il suo evangelium aeternum secondo un “analogia troppo stretta con la libera scienza dell’Illuminismo, che si reggeva da sé pervenendo a dimostrazioni in base alla propria connessione interna. Herder ha accostato troppo la religione al concetto etico di umanità e, iché vedeva questa umanità ovunque, ha troppo sfumato i confini delle religioni, mentre Schleiermacher l’ha dissolta troppo in uno spinozismo romantico che nelle religioni vedeva soltanto i modi individualmente diversi in cui si è consapevoli dell’immanenza in Dio. Analogamente, Hegel ha conformato in modo eccessivo la religione al monismo metafisico e ha soprattutto derivato in maniera dottrinaria e rigida il suo sviluppo dalla necessità logica del movimento delle idee, pregiudicando così l'originaria realtà di fatto dei suoi diversi sviluppi e la sua misteriosa potenza. Anche Goethe questo spirito universale ha troppo commisurato la particolarità del Cristianesimo tra le altre religioni, da lui chiaramente riconosciuta, alla propria concezione poetica e organica della matura, e ne ha invece respinto sullo sfondo gli elementi pessimistici, nella sua avversione artistica per le rotture e le catastrofi, le tensioni e le lotte. E tuttavia la saggezza della sua vecchiaia ha una serie di visioni profonde, alle quali la fede e la miscredenza attuale si richiamano volentieri come a indicazioni di uno sviluppo più soddisfacenti. Ne è testimonianza, invece di molti altri, questo brano spesso citato dei Warderjahre: Ma quanto ci è voluto non solamente per lasciare la terra sotto di sé e per richiamarsi a un luogo di nascita più alto, ma anche per riconoscere come cose divine pure l’abiezione e la povertà, la beffa e il disprezzo, l’ignominia e la miseria, il dolore e la morte; per considerare il peccato e il delitto non già come ostacoli, ma per venerarli e amarli come incrementi del sacro! In tutte le epoche si trovano tracce di quest’atteggiamento; ma una traccia non è il fine, e una volta raggiunto quest’ultimo l’umanità non può più tornare indietro e si può dire che una volta fatta la sua comparsa la religione cristiana non può più scomparire: una volta preso corpo divino, non può più venir dissolta *. I suoi misteri dovevano appunto diventare un epos simboleggiante 4. Goetne, Wilhelm Meisters Lehrund Wanderjahre, libro I, cap. 1 la storia della religione, che doveva essenzialmente contenere le idee fondamentali qui prospettate e che, in un frammento compiuto, rappresenta con il simbolo della Croce circondata di rose il Cristianesimo come scopo finale, analogamente alle considerazioni dei Wanderjahre. Certamente, la scienza moderna si è nel frattempo allontanata in larga misura almeno nella sua parte più cospicua da questi fondamenti profondi della nostra cultura. Determinanti ai fini di questo allontanamento sono state non tanto le conseguenze scientifiche, quanto invece gli effetti di condizioni esterne che procedono dalle enormi trasformazioni pratiche del nostro secolo. Le operazioni della nuova tecnica, che tutto modificano, le scottanti questioni sociali che ne derivano, il risvegliarsi dell’egoismo nazionale, non da ultima la popolazione che si è accresciuta in queste condizioni pervenendo a un sostentamento migliore, hanno distolto l’interesse verso questioni culturali pratiche e posto al centro il problema della felicità intramondana. Il dogma del progresso della cultura, l’ottimismo culturale, domina l’opinione odierna, e tutte le conquiste scientifiche vengono viste alla luce di esso. Si fa in fretta a trarre dal periodo di pensiero storicizzante, aperto dalla nostra grande epoca, la conseguenza del relativismo, ma soltanto per togliere valore alle potenze ideali finora operanti, e in particolare al Cristianesimo, mentre si crede tranquillamente nel progresso e in una felicità assoluta del futuro. Si applica con sollecitudine la scienza naturale allo scopo di sottoporre ogni esistenza e ogni vita alle leggi naturali , ma soltanto per ridurre a favole tutti i valori spirituali che vanno oltre la felicità intra-mondana, mentre si attribuisce alla volontà umana nei confronti della medesima legalità naturale un potere enorme, in grado di sottometterla artificialmente alla felicità culturale. Ci si innalza molto al di sopra dei sogni fantastici di una metafisica alla ricerca della connessione tra mondo sensibile e mondo soprasensibile, e si assume senza alcuna precauzione la propria situazione come il logico fine ultimo della storia, contrapponendo al periodo della spiegazione religiosa, e quindi metafisica, del mondo il periodo positivo , al servizio di scopi pratici puramente intra-mondani. Contro questi stati d'animo collettivi non si può fare nulla in modo diretto, tanto meno indicando le loro contraddizioni. Essi devono dispiegare le loro conseguenze pratiche ancor più chiaramente di quanto non sia avvenuto finora. La devastazione e l’inaridimento della vita spirituale, la progressiva decadenza della forza etica e della serietà religiosa, l’ottusità che si consuma nel godimento di sempre nuovi desideri devono mostrarci dove ci stiamo dirigendo in questo modo, nonostante tutti i progressi esteriori, e che una completa felicità intra-mondana è la più illusoria delle chimere. Allora ci si richiamerà di muovo al nostro migliore possesso spirituale, e in base ad esso sapremo valutare i progressi scientifici. Allora i gravi pericoli impliciti nella storicizzazione di ogni scienza, e anche della scienza della religione, potranno essere superati più facilmente di adesso. Non è questa la sede adatta per indagare in quale misura le intuizioni qui sviluppate possano e siano in grado di influire sulla teologia ufficiale delle chiese e delle facoltà universitarie. Finora esse agiscono in misura abbastanza forte nella configurazione delle ricerche di critica biblica o di storia del dogma, le cui conseguenze di rado vengono tratte fino in fondo. D'altra parte esse hanno appena modificato, più che trasformato realmente, le loro strutture sistematiche. Ma la teologia, per sua stessa natura, è qui di fatto costretta a una maggiore prudenza, e deve imporsi un certo ritegno. Essa non è pura scienza, e in ogni caso non è scienza libera; ma è piuttosto vincolata alle determinazioni giuridiche, alla tradizione effettiva, ai rapporti e agli scopi presenti, e costituisce pertanto più un compromesso con la scienza che una scienza vera e propria. I suoi compiti sono in primo luogo compiti pratici, posti dallo stato effettivo dell’istituto ecclesiastico; ed essa può rendere operanti sulla sua materia le conoscenze scientifiche in modo soltanto indiretto, eliminando le antitesi troppo aspre, e per il resto mediando ed equilibrando. Certamente i teologi possono, in quanto uomini di cultura, promuovere in modo significativo le grandi questioni; ma in quanto devono servire scopi ecclesiastici, sono vincolati da compiti e da rapporti pratici. In realtà, pur tenendo conto dell'importanza della collaborazione dei teologi, le grandi questioni scientifiche sono sempre state decise al di fuori della teologia. Queste decisioni reagiranno poi sulla teologia, dando luogo a una specie di equilibrio delle temperature. Il singolo teologo potrà, in queste condizioni di antitesi, distinguere tra teologia essoterica e teologia esoterica nella misura in cui è consapevole di volere in entrambe, in verità, il medesimo scopo; ma non potrà spezzare il circulus vitiosus per cui ogni chiusura della teologia rafforza l’avversione della scienza e ogni ostilità della scienza rafforza la chiusura della teologia, almeno fin quando la straordinaria importanza della questione ecclesiastica rimane celata alla vita complessiva di un’indifferenza illuminata. All’interesse generale importano cose ben diverse che non le indagini specificamente teologiche. Ciò richiede che il relativismo storico, che in tutti i campi della vita intellettuale cerca di soffocarci nell’erudizione e di paralizzare ogni forza creativa, venga riconosciuto come il nemico più pericoloso anche nel campo della religione, e venga quindi superato. Da tutte le parti aumentano i segni che si comincia a esserne stanchi. Si cerca di superarlo mediante l’entusiasmo patriottico, mediante l'ideale della giustizia sociale, mediante le fantasie del futuro, mediante un altruismo areligioso; si ha sete di ideali semplici, assoluti e universalmente validi. Ma tutto ciò non sarà sufficiente. Su tale strada si riconoscerà che la patria autentica di tutti questi ideali è la religione, e che quindi occorre riacquistare la fede sicura e gioiosa in un fine assoluto soprattutto in seno ad essa. Certamente questo non può avvenire ignorando di colpo la storia e rinnegando i suoi metodi. Può invece avvenire se riprendiamo le grandi idee fondamentali della nostra letteratura, filosofia e storiografia classiche e se scorgiamo nella storia il dispiegarsi di un contenuto spirituale unitario e semplice nel suo nucleo; se nelle religioni più grandi e più potenti non cerchiamo semplicemente il fenomeno storico interessante, ma la connessione con quel nucleo eterno della vita spirituale. Allora si riconoscerà di nuovo che anche la storia delle religioni non ha soltanto elementi, ma anche un legame spirituale, e che questo non è così difficile da trovare come ritengono le persone prudenti le quali suppongono che la verità storica sia accessibile soltanto allo studio specialistico. Non si avrà più terrore della possibilità che il capo di questo filo stia in mano nostra e richieda da noi soltanto di venire tirato in modo schietto e semplice. Se la storia è, di fatto, soltanto la lotta infinitamente complicata per il dispiegarsi di un contenuto spi- rituale semplice, ci sarebbe poi tanto da stupirci se fossimo pervenuti nel Cristianesimo al nucleo di tale contenuto, e doves- simo dar forma alla nostra realtà in base ad esso e nell’ambito della sua forza? Ci resterebbe ancora abbastanza lavoro da com- piere per riempire una dozzina di millenni. Religione ed economia è un tema che tempo addietro sarebbe suonato assai strano. Filosofia ed economia , musi- ca ed economia, matematica ed economia non avrebbero suscitato stupore. Fin quando s’intendeva la religione in modo puramente ideologico come dogma o come dottrina o come metafisica, o come una morale vincolata a determinate rappre- sentazioni del cosmo, il tema non poteva che essere privo di senso. I dotti dell’Illuminismo si sarebbero riferiti con un sorri- so pieno di ironica intelligenza all'economia finanziaria dei papi, agli interessi materiali degli ecclesiastici e dei principi devoti, e in questo tema avrebbero scorto soltanto la questione dell'impulso assai comune che sta sotto cose in apparenza tanto sublimi: così Hume ha considerato la Riforma come conseguen- za di una polemica sul denaro per le indulgenze. Intorno alla metà del secolo scorso, quando per la prima volta le conseguen- ze del sistema capitalistico urtarono apertamente con le esigen- ze tecniche del Cristianesimo, si aveva certamente una compren- sione più profonda del problema. Ma qui esso si presentò come una questione puramente etico-pratica, cioè come il problema del modo in cui si potevano superare, dal punto di vista del senti- mento cristiano dell'amore e dell’educazione cristiana del carat- tere, le conseguenze devastatrici del liberalismo economico man- chesteriano. Kingsley'!, Maurice ?, Carlyle alzarono la bandiera di una riforma cristiana della società; e ad essi fece seguito, in Religion, Wirtschaft und Gesellschaft (conferenza tenuta alla Gehe-Stiftung di Dresda, 1913), in Gesammelte Schriften, Tibingen, Verlag von J.C.B. Mohr (traduzione di Sandro Barbera e Pictro Rossi). Kingsley, sacerdote anglicano, pocta e scrittore inglese, au- Germania, il socialismo cristiano di Stòcker® e di Friedrich Naumann ‘. Ma neppure questo è il senso del tema, quale oggi lo poniamo. Con questo tema si allude a una questione pura- mente teorica di storia della religione e di storia della cultura: l'impostazione scaturisce dalla teoria economica della storia della cultura per lo più designata erroneamente come materia- lismo storico che dalle grandi opere di Karl Marx si è diffusa a tutte le concezioni storiche dell’epoca. Essa era stata già pro- posta da qualche storico, come per esempio Karl Nitzsch', e aveva trovato rispondenza in particolare nella storia politica e nella storia del diritto. Essa non ha quindi nessuna connessione necessaria con il vero e proprio sistema del socialismo. Si tratta, in verità, di una questione che in parte è scaturita dall’affina- mento e dall’ampliamento avvenuto nella ricerca delle relazio- ni causali nella storia, e in parte ci è imposta dalle influenze della struttura economica sulla vita complessiva ovunque percepibili nella nostra esperienza odierna. Nella storia poli- tica essa è diventata oggi ovvia. Ma il suo significato è molto più profondo. La connessione con i fondamenti economici ri- sulta particolarmente chiara soltanto nella storia politica e nella storia del diritto. Ma essa sussiste di fatto anche nel campo della cultura spirituale fino ad arrivare al suo centro, cioè alle intui- zioni religiose e metafisiche del mondo. Essa è in massima parte tore di numerosi romanzi, sermoni religiosi e saggi politici, fu uno dei principa- li rappresentanti del socialismo cristiano in Gran Bretagna. 2. John Frederick Denison Maurice (1805-1872), sacerdote anglicano e teologo in- glese, autore della History of Moral and Metaphysical Philosophy (1850-60), dei TAco- logical Essays, delle Lectures on Ecclesiastica! History, di What is Re- velation, di The Conscience, di Social Morality e di varie altre opere, svolse un'intensa azione educativa rivolta verso le masse operaie e ispirò il movimento del socialismo cristiano. Stòcker, teologo protestante e uomo politico tedesco, autore di vari saggi e discorsi, fondò la Berliner Bewegung, di ispirazione cristiano-sociale, opponendosi alla politica bismarckiana e criticando pure la social-dernocrazia. 4. Friedrich Naumann (1860-1919), teologo protestante e uomo politico tedesco, autore di Demokratie und Kaîisertum (1900), dci Briefe tiber Religion (1903), di Mit- teleuropa (1915), nonché di numerosi altri scritti in parte raccolti sotto il titolo Gotteshilfe, fu esponente di un socialismo cristiano che aderiva ai principi di espansione imperialistica della politica guglielmina; in seguito il suo pensiero si spostò verso posizioni liberali. Fu amico di Weber e di Trocltsch. Nitzsch, storico tedesco, allievo c continuatore di Nicbuhr, autore della Geschichte der ròmischen Republik (pubblicata postuma nel 1884-85) e di altre opere. una connessione inconscia e non intenzionale, ma le connessioni di questo genere sono appunto le più forti e durature nella vita dello spirito. Proprio in questo Karl Marx non ha imparato invano dalla fine arte di Hegel, che con straordinaria acutezza sapeva portare alla luce gli intrecci e le mescolanze del complesso dei contenuti dell'anima, e ricostruire le forze fondamentali di quelle mescolanze. Non c’è dubbio che proprio una attenzione maggiore a queste connessioni sia in grado di gettare moltissima luce sulla comprensione della religione come potenza pratica della vita. Forse non si esagera se si afferma che soltanto in questo modo diventa possibile una comprensione reale della religione e del suo significato per la vita. Con ciò perviene alla coscienza un aspetto di essa che naturalmente agiva anche prima di questa chiarificazione teoretica, ma che si sottraeva alla coscienza scientifica, e se ne sottrae in gran parte anche oggi. Finora la concezione della religione era, soprattutto tra i Protestanti, puramente ideologica e dogmatica. I Cattolici avevano una comprensione più profonda almeno per il suo aspetto culturale e organizzativo. Il culto e l’elemento irrazionale in essa presenti sono stati sottolineati in misura sempre più forte dalla ricerca etnografica, e in tal modo è stata sempre più delimitata l’intuizione puramente ideologico-dogmatica dell'oggetto. Ma la stretta connessione con la vita sociale e poiché questa è in gran parte condizionata da motivi economici anche con la vita economica è stata considerata troppo poco. Fa eccezione qui soltanto la brillante opera di Fustel de Coulanges’ La cité antique, apparsa nel 1864, che però non ha avuto il seguito che avrebbe meritato. Soltanto la storia socialistica della cultura e le influenze da essa derivanti hanno recato il problema a un più ampio anche se non si può ancora dire più generale riconoscimento. 6. Numa-Denis Fustel de Coulanges (1830-1889), storico francese, autore de La cité antique (1864), della Histoire des institutions politiques de l'ancienne France, poi rielaborata in una successiva edizione in tre volumi (La Gaule romane del ’gr, L'invasion germanique et la fin de l'empire del *g1, La monarchie frangaise dell'88), de L’Alleu et le domain rural pendant l'époque mérovingienne (1889), de Les origines du systeme féodal: le bénéfice et le patronat (1890), de Les transformations de la royauté pendant l'épogue carolingienne, nonché di alcune raccolte di saggi, studiò in particolare le basi religiose della struttura politico-sociale romana, aprendo la strada a una considerazione antropologica della città antica. Di ciò è certamente colpevole in larga misura il modo in cui tale compito è stato affrontato nella letteratura socialistica, per esempio nelle opere di Kautsky” sulle origini del Cristianesimo. Qui domina, nonostante alcune buone intuizioni particolari, la più pedantesca dogmatica della ben nota costruzione della storia: i puri rapporti economici sono la causa della stratificazione di classe; ogni classe si rispecchia in una metafisica e in una religione che proteggono la sua esistenza e i suoi interessi; il Cristianesimo è il rispecchiamento utopico-trascendente della plebaglia disorganizzata e inerme della tarda antichità; questa organizzazione puramente religiosa, e quindi impotente, del proletariato, in disaccordo con lo sviluppo sociale dell’epoca, fu poi sottomessa dalle classi dominanti e assoggettata, attraverso certe trasformazioni della sua dogmatica e della sua etica, agli interessi della proprietà e del potere; soltanto a tratti si è manifestato e si manifesta ancor oggi l’originario carattere proletario del movimento cristiano. Questa è certamente una ricostruzione del tutto fantastica dell’origine del Cristianesimo. Ma anche nell’esposizione molto più raffinata ed esperta che degli stessi processi ha fornito Maurenbrecher*, la derivazione della religione cristiana dalla psicologia di massa proletaria viene trattata come un ovvio principio di ricerca della causalità storica, e di conseguenza al Vangelo viene attribuito un significato proletario del tutto astorico. Anche qui appare, come presupposto dogmatico, la teoria di una dipendenza unilaterale dell'elemento religioso dalle situazioni di classe 7. Karl Kautsky (1854-1938), teorico socialista tedesco, fondatore della rivista Die neue Zeit nel 1883, fu uno dei maggiori esponenti della Seconda Internazionale e critico aperto del revisionismo social-democratico, contro il quale difese la tesi della necessità della rivoluzione. Dopo il 1917 prese posizione contro la rivoluzione sovietica e contro Lenin. È autore di numerose opere, come Das Erfurter Programm in seinem grundsdtzlicheri Teil erldutert (1892), Bernstein und das sozialdemokratische Programm, Der Weg zur Macht, Vorlàufer des Sozialismus, Der politische Massenstreil, Die Internationale und der Krieg (1915), Die Diktatur des Proletariats, Ethik und materialistische Geschichtsauffassung (1922), Materialistische Geschichtsauffassung (1927). Troelisch si riferisce qui al volume Der Ursprung des Christentums, Stuttgart, 1908. 8. Max Heinrich Maurenbrecher, storico tedesco, autore di Von Nasareth nach Golgota: Untersuchungen tiber die weltgeschichtlichen Zusammenginge des Urchristentums, Berlin-Schéneberg, a cui si riferisce qui Trocltsch e di altri volumi di argomento storico. condizionate economicamente: la religione è, nella sua essenza, il rispecchiamento di situazioni di classe. Qui e anche altrove nella letteratura socialista non si è tentato di illustrare e di provare questo principio in base al materiale generale della storia della religione. Esso viene in fondo utilizzato soltanto a scopo di polemica contro il Cristianesimo. Ma soltanto con un’indagine che si estenda a tutta la storia della religione si può mostrare il significato reale di questo principio, e anche la trasformazione quanto mai diversa di tale significato ai differenti gradi della vita religiosa *. Il problema è molto più complicato. Non può esser fatto coincidere con un problema così ampio quale quello dell’origine della religione. Infatti esso non può venir risolto in modo puramente storico e psicologico, e conduce a costruzioni puramente astratte, ben distanti da ciò che effettivamente ci mostra la realtà concreta e vivente. Esso dev'essere riferito alla vita reale delle religioni a noi note, e qui trova sicuramente abbastanza materiale per la sua trattazione. La questione puramente filosofico-religiosa della nascita e dell’origine può quindi essere risolta. Si tratta piuttosto di chiederci: in quale misura la vita reale delle religioni ci rivela un condizionamento interno ed essenziale dell’elemento religioso da parte della vita economica, nonché da parte della struttura di classe e della stratificazione sociale in larga misura determinata da essa? e viceversa, in quale misura la vita economica ci rivela la presenza di effetti essenziali e interni dell'elemento religioso sul lavoro economico? Occorre pertanto lasciar da parte i contatti semplicemente accidentali e transitori, e piuttosto considerarli soltanto nella a. Un sociologo acuto e sensibile come Simmel ha cercato di acquisire e di fondare, in questa maniera più generale, le conoscenze storico-religiose. Egli indica nel sentimento della dedizione dei singoli membri di una connessione sociologica alla sua potenza presente in modo non sensibile, onnipenetrante, la radice psicologica della religione, derivando quindi la fede nei miracoli dall’inafferrabilità di tale potenza, percepita con stupore. Soltanto attraverso l’autonomizzazione dell’elemento religioso soprasensibile qui racchiuso nascerebbe la religione propriamente detta. Ma anche questa è semplicemente una fantasia spiritosa, che oltre tutto assume dal marxismo soltanto la sopravvalutazione delle connessioni dei grup pi e delle masse, ma non il loro fondamento esclusivamente economico. misura in cui ne scaturisce qualcosa di durevole e di intimo. Un tale significato di accidentale, cioè quello dell’incontro di due direzioni di sviluppo del tutto separate e tra loro indipendenti, ma che s’incrociano in un determinato punto, non è raro nella storia, e proprio nel nostro campo dobbiamo aspettarcelo, poiché le due forze che qui si toccano sono fin dall’inizio prevalentemente estranee l’una all'altra. Ma proprio se si riconosce questo fatto occorre escludere dalla nostra indagine quegli clementi accidentali meramente transitori che rimangono, per così dire, esteriori e che il pragmatismo illuministico collocava volentieri in primo piano anche se essi costituiscono una parte pratica, tutt'altro che priva di importanza, del nostro problema. Con questa impostazione si presuppone che nelle religioni considerate storicamente l’elemento religioso presente nel mito e nel culto, nel mondo della rappresentazione e del sentimento, sia qualcosa di relativamente autonomo ed entri in connessione con tutti gli interessi economici, ma non coincida mai pienamente con essi. Tale è il caso di tutte le religioni evolute. La ricerca etnografico-antropologica sulla religione è ancora assai poco orientata verso questa impostazione, e non è perciò in grado di rispondere alla questione. Essa deve quindi restare al di fuori della nostra considerazione. Ciò è possibile, del resto, perché qui abbiamo di fronte cose che devono essere comprese non già sulla base dell’originario sviluppo preistorico dello spirito, bensì in base agli intrecci di una cultura in qualche misura ormai differenziata. In essa si può riconoscere ovunque la tendenza a un’autonomizzazione della vita e del pensiero specificamente religioso e a un’analoga autonomizzazione del lavoro economico, che diventa così comprensibile in base al suo scopo pratico. La nostra questione può sorgere soltanto a partire dalle influenze reciproche, in parte consapevoli e in parte inconscie, e dal compenetrarsi delle due tendenze. Ma se queste due tendenze sono distinte nella loro essenza, il loro contatto non può essere affatto diretto. Né le religioni sono ideali economici, né le forme e gli interessi economici sono leggi religiose. I contatti sono soltanto mediati. La questione consiste allora nel determinare in che cosa consista quell’entità mediatrice; e la risposta è molto semplice. Essa consiste nelle grandi forme TROELTSCH sociologiche dell’esistenza, che da un lato vengono continuamente create dalla religione e, una volta assicuratesi tale fondamento, incidono nel modo più profondo su ogni lavoro economico, dall’altro sorgono su fondamenti economici tra gli altri assorbendo nella loro onnipotenza il mondo della rappresentazione religiosa. Già Fustel de Coulanges aveva posto la questione in modo straordinariamente chiaro e aderente. Egli mostra come tra gli Indiani, i Greci e i Romani la forza organizzativa del culto religioso dei morti o degli antenati pone i fondamenti della famiglia patriarcale, del diritto familiare e privato, della proprietà privata del suolo, dell’economia domestica o familiare chiusa, della posizione giuridica delle donne, dei figli e degli schiavi. Una volta consacrate e vincolate religiosamente, queste regole conservano un potere enorme sulla vita pratica. In base ai loro princìpi si compie l'associazione in curie e in fratrie e infine, con forme di culto del tutto analoghe, il sinecismo verso la città, mentre tutta la vita della polis rimane nel diritto e nel costume, in guerra e in pace vincolata a un sistema rituale che ha la massima importanza per tutta la vita politica, per tutto il diritto e, attraverso di questo, anche per ogni lavoro economico. Qui è chiarissima l’iniziativa fortemente determinante dell’idea religiosa e dell’organizzazione sociologica da essa creata. A questo punto ci si può certamente domandare se, all’inverso, questa configurazione del culto degli antenati non dipenda dall’acquisizione di una dimora stabile e dalla transizione dell'agricoltura, cosicché l’iniziativa sarebbe di nuovo dalla parte della vita economica e questa fornirebbe le condizioni necessarie per la tendenza decisiva di sviluppo del culto religioso degli antenati. Una comparazione con lo sviluppo del culto presso popoli nomadi e semi-nomadi, come i Tartari e i Mongoli, dovrebbe dare qui un chiarimento. In relazione agli Israeliti, il sociologo americano Wallis*® ha di fatto mostrato come la venerazione religiosa del dio-clan della grande famiglia e la comunità nomade che stava sotto la sua protezione abbiano durevolmente impresso al popolo di Israele il carattere 9g. Wallis, sociologo americano, autore del volume Messiahs: Christian and Pagan, Boston, 1918 al quale allude qui Troeltsch e di vari manuali di sociologia e di antropologia. di una morale economica primitivo-conservatrice o di una religione della solidarietà tribale contrapposta a una religione cittadina. Questa morale primitiva della fratellanza, colorata di socialismo, che si pone in antitesi alla cultura della città e del regno mondano, sarebbe poi stata sublimata e interiorizzata dai profeti nella morale religiosa umanitaria che conosciamo dalle più nobili leggi e profezie dell’Antico Testamento. A questi esempi si potrebbe accostare la struttura delle caste indiane e la loro connessione con il mondo della rappresentazione religiosa, da cui è determinato il carattere economico dell’India; © anche il culto familiare cinese, che possiede una grandissima importanza per la struttura sociale dell'impero e quindi per ogni modo e direzione di lavoro economico. In ogni caso è chiaro che abbiamo qui davanti relazioni straordinariamente strette, ma sviluppate e mediate in modo piuttosto vario, che incidono profondamente da entrambi i lati da quello della religione e da quello del lavoro economico sulla totalità dello spirito e del senso della vita. Si tratta come ha posto giustamente in luce Fustel de Coulanges di un rapporto di azione reciproca che può essere determinato sempre soltanto caso per caso e in cui è molto difficile, a causa del carattere inconscio dei processi, stabilire l'iniziativa dell’uno o dell’altro elemento. Il medesimo studioso indica però anche, in modo non meno chiaro e intuitivo, la graduale rottura dell’ordinamento sociale, condizionato dalle originarie potenze sociologico-culturali, da parte del razionalismo degli interessi economici e politici il quale impara a seguire i propri impulsi non appena vi siano masse sufficientemente vaste i cui bisogni non vengono più soddisfatti nel vecchio sistema socio-culturale. In base all’esempio dei Greci e dei Romani, egli descrive le rivoluzioni rivolte contro l’ordinamento e il legame religioso della società, il razionalismo dei bisogni che in esse si sprigiona e i tentativi di nuove ricostruzioni razionali della società che poi, reagendo sull’etica e sulla dottrina sociale della filosofia, cercano di crearsi un nuovo ideale etico. A ciò si può aggiungere che una rivoluzione siffatta si è relativamente affermata ed è penetrata soltanto in Grecia e a Roma. Nel resto dell’umanità dominano ancor oggi prescindendo dagli ambiti delle religioni universali di cui avremo occasione di parlare tra poco quelle stesse situazioni di vincolo sociologico-culturale della società e dell’economia. Basta fare riferimento, per esempio, al libro di viaggi dell'americano Henry Frank" Peter the Hermit (New York, 1907), con le sue immagini della società colte dal basso, per avere l'impressione immediata dell’effetto di queste cose sulla vita economica pratica e, reciprocamente, prove stupefacenti della divinizzazione religiosa degli ordinamenti esistenti. In questo consistono le difficoltà politico-religiose del Giappone moderno, il quale ha scelto il razionalismo dello stile economico europeo e non può conciliarlo con i fondamenti sociologico-culturali della sua vita precedente. Da ciò derivano gli esperimenti religiosi che ora intendono creare artificialmente una nuova religione statuale e imperiale, ora cercano un appoggio nel Cristianesimo, ora si accontentano dell’indifferente ateismo europeo. Non è però possibile seguire qui il tema in questa sua enorme estensione; si deve piuttosto fare riferimento a un singolo punto determinato. A ciò siamo indotti anche dal fatto che la religione etnica del culto degli antenati e dello stato la sola che abbiamo finora toccata non è affatto dominante in modo esclusivo. Essa ha subìto rotture in singoli punti, ad opera di religioni universali e spirituali, la cui essenza consiste soltanto nell’idea di Dio, nell’ethos, nel sentimento, nell’intuizione religiosa del mondo, e che producono di conseguenza forme sociologiche del tutto differenti. In luogo della comunità di culto coincidente con determinati gruppi naturali, compare qui la comunità religiosa di idee e di sentimenti cioè una comunità universale e propagandistica. Pertanto anche il rapporto tra religione ed economia è completamente diverso. Si tratta del Buddismo e delle tendenze ad esso affini in Oriente, del Giudaismo con le sue due grandi ramificazioni Cristianesimo e Islam in Occidente. Certamente, anche queste nuove formazioni religiose non sono sorte senza una preistoria 10. Frank, predicatore prima metodista e poi congregazionalista, passò infine a una forma di religione liberale con simpatie positivistiche. Fondatore della Rationalist Society di New York nel 1897, scrisse tra l'altro numerosi romanzi filosofici (tra cui quello citato nel testo) e un poema allegorico dal titolo The Last Enigma (1924). sociale, e quindi anche economica, che le condizionasse. Qui però non possiamo approfondire ancora quest’elemento: basti rilevare che emerge ora un concezione e una posizione in linea di principio nuova del nostro problema. Qui l’idea religiosa è essa stessa un'idea etica e metafisica; essa comporta non più soltanto in modo mediato, attraverso le sue conseguenze sociologiche, ma anche in modo immediato, attraverso la sua valutazione religiosa della vita, una presa di posizione nei confronti della vita sociale ed economica. Tuttavia essa è diversa nelle diverse religioni che abbiamo elencato. Il Buddismo considera i vecchi ordinamenti di casta conservati dal culto come indifferenti; li lascia comunque sussistere e non crea affatto una propria autonoma comunità religiosa. Così esso agisce con la piena coerenza della sua idea che consiste nella totale assenza di proprietà soltanto attraverso i suoi specifici portatori, i monaci; per il resto lascia sussistere gli ordinamenti così come sono, e impedisce solamente il sorgere di ogni vita razionalistica diretta al profitto, che potrebbe distruggerlo. Tra le religioni occidentali il Giudaismo ha acquistato notoriamente un’enorme importanza economica, la quale in parte è fondata sull’accettazione attiva del mondo implicita nella sua fede nella creazione e sulla considerazione religiosa delle virtù della diligenza, dell’operosità, della sobrietà, ma per la maggior parte è scaturita dai suoi destini storici? In verità, nel Giudaismo la religione rimane anzitutto legata a un saldo contesto popolare, e la sua etica economica e il suo atteggiamento verso l’economia sono influenzati da quest'idea fortemente terrena del futuro e della destinazione del popolo eletto. Qui la frattura dell’elemento religioso con l’elemento sociale e quindi anche con quello economico non si è ancora compiuta. Ma essa non è avvenuta neppure nell'Islam, che rimane internamente legato, attraverso il Corano e il suo specifico diritto, a gradi primitivi di organizzazione della società e a livelli primitivi di economia. a. Nel ben noto e per molti versi illuminante libro di Sombart!! quest'ultimo elemento è sottovalutato, almeno quanto è sopravvalutato il primo. 11. Troeltsch si riferisce qui alle tesi sostenute da Sombart in Die /uden und das Wirtschaftsleben, Munchen. Ciò costituisce la base della forza e del successo della sua missione tra le razze inferiori, ma anche della sua debolezza e della sua ostilità nei confronti dello stile economico europeo. Questo non è infatti conciliabile già con la natura primitiva del diritto islamico e con i suoi giudizi da cadì. La liberazione reale dell’interiorità religiosa e della comunità religiosa separata da tutti gli elementi sociali ed economici ha avuto veramente luogo soltanto nel Cristianesimo, ma pur sempre in modo tale che essa non significa una completa negazione ascetica del mondo, ma si richiama nel medesimo tempo insieme con il Giudaismo alla bontà della creazione e al significato del mondo come luogo di lavoro. In ciò è però contenuta non già una soluzione particolarmente chiara del problema, ma piuttosto un’impostazione più difficile e complicata del compito. In particolare si deve badare ai seguenti punti di rilievo. In primo luogo, con questa totale interiorizzazione e spiritualizzazione della religione, essa viene liberata dalle sue implicazioni con la vita sociale ed economica. Ma ciò significa anche che influenze e determinazioni dirette su questo mondo profano della vita possono svilupparsi dall'idea religiosa soltanto con grande difficoltà. Tale idea si muove sempre a un'altezza ideale che si contrappone indifesa ai concreti rapporti della vita e alle loro potenti formazioni di interesse. In particolare ciò significa, reciprocamente, che il lavoro economico rimane ora abbandonato a se stesso e può sviluppare, del tutto indisturbato, il suo razionalismo degli interessi e delle opportunità come un principio puramente mondano. Ma dato che il razionalismo della vita economico-sociale si configura, in ultima analisi, come lotta economica per l’esistenza 0 come concorrenza, questa etica religiosa si contrappone ovunque alla lotta razionale per l’esistenza, che non può mai impedire direttamente. Il mondo delle idee religiose non possiede nessun mezzo suo proprio e diretto per organizzare € per interrompere tale lotta, e si rivolge ai mezzi razionali con cui la stessa visione profana degli scopi si propone di regolarla. La santificazione religiosa del carattere e l’amore fraterno non sono in grado di risolvere in modo diretto, e di per sé soli, questi problemi. Il libro dell'inglese Benjamin Kidd Social Evolution!" a suo tempo oggetto di larga considerazione, e a cui lo zoologo A. Weismann ha premesso un’introduzione ha riconosciuto in modo molto aderente questo stato di cose, contrapponendo il razionalismo della lotta per l’esistenza, come principio puramente razionale, al principio religioso dell’autorità e dell’ordine sulla base dei sovrastanti princìpi dell'amore. Se però le cose stanno in questo modo, allora la soluzione del problema riposerà sempre su qualche mezzo atto a far tacere, o almeno a regolare, la lotta per l’esistenza, ma che la religione non può mai sviluppare semplicemente da se stessa. Essa dovrà sempre fare affidamento su qualche auto-regolamentazione razionale o accidentale di quella lotta per l’esistenza che sia ad essa favorevole e che le venga incontro, ma che essa può soltanto cogliere e fissare. Si tratterà però sempre di compromessi e di equilibri con la vita reale. In secondo luogo, l’idea religiosa dominante sembra qui essere, in sé e per sé, di natura puramente religiosa e ideologica. Infatti il punto di partenza non è un vincolo immediato della vita naturale da parte del culto, una coincidenza tra certe forme naturali e le forme culturali della comunità, bensì l'ideale etico. Ma la sua indipendenza è anche qui molto condizionata. Il rapporto reale è molto più complicato di quanto non appaia a prima vista. In verità, anche qui gli ideali fondamentali non sono affatto così liberi dal sostrato reale e concreto sul quale, e nei confronti del quale, si elevano. Gli ideali di Gesù sono connessi con il grado di economia e con le situazioni climatico-naturali della Galilea: non sarebbero potuti nascere in una grande città moderna. In modo analogo, tutti i successivi ideali economici dell’epoca cristiana recano, inconsapevolmente e involontariamente, l'impronta del suolo su cui sorgono. Essi contengono sempre qualcosa che appartiene all’epoca e alla situazione, ma che non percepiscono come tale e che fissano in forma di verità eterne, di comandamenti divini, di interpretazioni della Bibbia. Come il mondo ideale della Bibbia lascia ovunque trasparire il fondamento sociale ed economico 12. Social Evolution, London; tr. ted. col titolo Soziale Evolution, Jena. La prefazione di Weismann è premessa a questa traduzione. su cui poggia, così tutte le successive interpretazioni della Bibbia sono da parte loro condizionate dalle idee ovvie che le circondano e che esse presuppongono. Cattolicesimo, Luteranesimo, Calvinismo, sette e mistici leggono la Bibbia in base a certi determinati presupposti sociologici, considerati come ov-vi, che vogliono vedere confermati e regolati dalla Bibbia. All'inverso, anche i tipi di azione in apparenza soltanto filosofici e razionalistici, o che si presentano come costume e come prassi, sono inconsciamente determinati da presupposti cristiani, e nei sistemi che pretendono di essere completamente profani vi è una ricchezza di spirito cristiano. Il rapporto deve qui essere ogni volta illuminato e stabilito caso per caso. Qui non vi sono quelle leggi e formule generali di sviluppo progressivo, tanto care al moderno bisogno di generalizzazione. Si tratta di un gioco di forze che oscilla avanti e indietro, il cui risultato dev'essere determinato in ogni caso particolare di un'idea economico-sociale che domina i grandi periodi. In terzo luogo, occorre considerare che, proprio per la sua pura interiorità e per l’autonomia dell'elemento religioso che viene qui elevata al massimo grado, l’idea cristiana non possiede alcun mezzo di influenza diretta, e che anche le esigenze etiche molto idealistiche non sono, di per sé sole, un mezzo del genere. Essa esercita le sue influenze principali nonostante la pretesa spesso avanzata di un condizionamento diretto puramente ideologico non già attraverso l’esigenza etica ma indirettamente, attraverso le forme di comunità religiosa da essa create. Queste scaturiscono da idee dogmatiche, di culto e puramente religiose, e non vengono mai progettate a scopi sociali profani; tuttavia possiedono una potenza organizzatrice e vincolante, che nessuna formazione sociale del puro razionalismo possiede. Con queste forti forme sociologiche esse abbracciano però anche analogamente a quanto ha mostrato Fustel de Coulanges per gli antichi culti degli antenati e della città la vita complessiva, e costituiscono la sua ovvia base etico-spirituale. Nel Cattolicesimo e nel Protestantesimo è certamente presente qualcosa del terreno sociale da cui traggono la loro linfa vitale. Ma l’organizzazione sociologico-religiosa dell’autorità, dell’istituzione, dell’individualismo ha determinato in misura ancora maggiore la generale atmosfera culturale, e soltanto per il suo tramite è stata influenzata la vita profana nell'economia e nella società. Nonostante l’apparente autonomia dell’ideologia etica sussiste anche qui il problema marxistico, ma in modo che esso non significa semplicemente la dipendenza dell’elemento religioso da quello sociale ma anche, reciprocamente, la dipendenza dell'elemento sociale da quello religioso. Ciò che si presenta nel caso singolo non può venir chiarito da una teoria generale, ma soltanto da un’indagine condotta caso per caso. Partendo da ciò risulta parimenti chiaro che il razionalismo economico, laddove perviene a un'autonomia illimitata, si volgerà contro questi vincoli sociologico-religiosi e cercherà di rendersene del tutto indipendente. Non sono dunque soltanto l'impossibilità di abbracciare il problema in tutta l'ampiezza della sua realtà storico-religiosa, la limitazione della sua osservazione e della sua conoscenza ai pochi punti finora accessibili, e la necessità di indagarlo sempre concretamente caso per caso, che hanno in ultima analisi limitato l’indagine all’unica religione che ci è, da questo punto di vista, perfettamente familiare. E neppure è la sua importanza per la nostra cultura che ha peso pratico soltanto per noi. Si tratta piuttosto, in primo luogo, della particolare importanza intrinseca che, da questo punto di vista, il Cristianesimo riveste. Esso si è sviluppato sulla linea di confine tra Oriente e Occidente, dall’umanità religiosamente fondata e dalla speranza di redenzione dei profeti di Israele, e si è quindi configurato svincolandosi completamente da tutte le condizioni naturali e sociali nella forma della più pura interiorità religiosa e della fratellanza umana, e al tempo stesso nella forma di una radicale speranza di redenzione, che si aspettava dal cielo lo stato corrispondente ai suoi ideali come un’imminente fondazione miracolosa del regno di Dio. Questo ethos e questa speranza di redenzione si sono uniti con la venerazione religiosa del nunzio del regno di Dio, dando così luogo a una nuova comunità umana puramente religiosa e culturale ed essendo poi costretti, per il mancato avvento del regno di Dio, ad applicare il loro ideale come regola di vita della Chiesa alla vita pratica e duratura nella società e nell’economia. In tal modo ha avuto immediatamente inizio il problema, che perdura fino ai nostri giorni. STORIA E DOTTRINA DEI VALORI Il problema è quello della creazione della sintesi culturale contemporanea sulla base dell’esperienza e della conoscenza storica. Ciò ha condotto alla connessione del comprendere storicoindividuale con l’idea di un criterio. Questo criterio si è però dimostrato complicato, in quanto racchiudeva in sé una duplice applicazione all’accaduto e al futuro, assumendo un diverso significato nei due casi. Esso comportava da un lato la misurazione dell’accaduto in base agli ideali ad esso di volta in volta propri, dall’altro la direzione verso il dover essere da produrre nel presente, il quale non può scaturire da un’astratta ragion pura, ma solamente in stretto contatto con le possibilità e le tendenze effettive del momento. La connessione di questi due momenti del criterio risultava infine nell’idea dell’individualità di ogni formazione presente di un criterio, in quanto questa è anche, da parte sua, una formazione e creazione della vita storica. Tale essa apparirà agli storici futuri, e fin da ora dobbiamo comprenderla e sentirla in questo modo. Tutto poggia perciò anche qui sull’idea di individualità; solo che ora in questa idea non compare soltanto la fatticità del particolare e del singolare, come avviene prevalentemente nella logica empirica della storia, ma l’individualizzazione di volta in volta di un ideale, la concrezione di un dover essere. In questo nuovo e più profondo senso dell’individualità idea e fattualità sono ora, già nell’accaduto, una cosa sola; e lo sono l’una e l’altra anche, ® Der Historismus und seine Probleme, 1. Uber Masstàbe zur Beurteilung historischer Dinge und ihr Verhdltnis zu cinem gegenwirtigen Kulturideal, sezione 5: Geschichte und Werilehre, in Gesammelte Schriften, Tiùbingen von J. C. B. Mohr (traduzione di Barbera e R.). e con un interesse pratico ben altrimenti rafforzato, nella formazione di un criterio e nella sintesi culturale contemporanea; in tale senso poggia infine anche la connessione delle tendenze ideali trascorse con quelle da creare muovendo dal presente. La comprensione di questa connessione è però una questione di azione e di creazione intuitiva, per la quale non esiste nessun’altra oggettività al di fuori della coscienza del fatto che, essendo creata da un tratto interno della storia stessa, si conferma nella coscienza come vincolante e nell’esperienza come feconda. È chiaro ed è stato più volte sottolineato che in questo modo si passa dal terreno della pura logica storica al terreno di una nuova regione scientifica. È il terreno della dottrina dei valori o assiologia, come oggi si usa dire. L’intestazione di questo capitolo avrebbe quindi potuto anche essere Storia e dottrina dei valori esattamente come quello precedente avrebbe potuto anche intitolarsi Storicismo e naturalismo . Se sono stati preferiti i titoli sopra segnati, lo si è fatto per ottenere la massima prossimità ai problemi della vita di oggi e per evitare un’astrattezza troppo esangue. Ma da un punto di vista puramente logico si è compiuto, in questo capitolo, il trapasso dalla storia alla dottrina dei valori; si è cioè entrati in questa nuova regione scientifica attraversando la porta del concetto di individualità, che solo può condurre dall’una all’altra. E lo può perché il concetto di individualità non significa soltanto la particolarità puramente fattuale di un complesso storicospirituale dato di volta in volta, ma significa al tempo stesso un’individualizzazione dell’ideale o del dover essere, che certo non si realizza compiutamente in ogni forma particolare, ma che aspira a realizzarsi e che in essa si incorpora, secondo le circostanze, più o meno felicemente. Entrare nella regione a. Sulla. progressiva scoperta del regno dell’individuale, che lo spirito tedesco intraprese con focoso zelo , si veda F. MEINEcKE, Weltbiirgertum und Nationalstaat, Miinchen und Berlin, 1908, p. 277. Significativa è anche l'osservazione sulla duplicità dell’individuale che viene qui presupposto, cioè il suo aspetto fattuale e l'aspetto della doverosità: si veda a p. 281, dove si rimanda a Novalis! e a Ranke (nonché a Humboldt). Hardenberg, detto Novalis, uno dei maggiori poeti romantici tedeschi, autore degli Hymnen an die Nacht, del romanzo incompiuto Die Lekrlinge zu Sais, di un altro romanzo anch'esso non condotto a della dottrina dei valori per questa porta non costituisce la regola; e tuttavia ciò è imprescindibile per una filosofia materiale della storia, cioè per poter pensare e porre il valore in base alla storia. Si tratta del primo grande problema di ogni filosofia della storia, rispetto al quale tutti gli altri passano in seconda linea. Rimane da dire ancora qualche parola polemica in merito alla consueta configurazione della dottrina dei valori nella filosofia moderna. Che cos'è la teoria generale dei valori o assiologia? Come si coordina con le scienze della natura e dello spirito entrambe scienze del reale, fortemente e coercitivamente determinate nel loro rapporto con l'oggetto nel g/obus intellectualis delle scienze? È una scienza empirica o @ priori, formale o materiale? Questa impostazione influenzata dal neokantismo, e oggi così predominante, è però troppo semplice ed esclusiva. In verità nessuna scienza è puramente empirica, ma ognuna è frammista di princìpi di elaborazione @ priori; e d'altra parte nessuna scienza è puramente formale, ma comporta sempre un'elaborazione dei fatti dell'esperienza e delle realtà vissute, con la cui materialità sta al tempo stesso in stretta connessione prescindendo naturalmente dalla logica formale (si può qui trascurare l'ardua filosofia della matematica, ossia la questione se sia puramente formale e 4 priori, oppure anch'essa carica di sensibilità e di intuizione). In ogni caso la dottrina dei valori non può quindi essere una scienza puramente 4 priori e formale. Anch’essa rivela princìpi di elaborazione della realtà vissuta che stanno in stretta connessione con questa e che possono venir trovati soltanto in base all’analisi della vita reale. La sua distinzione dalle altre scienze della realtà consiste soltanto nel diverso significato e nella diversa posizione che i princìpi di elaborazione a cui essa fa riferimento hanno nei confronti della realtà vissuta. Questi si propongono non già il collegamento esistenziale e oggettivo del reale, ma la sua valutazione e formazione soggettiva e normativa. Ma, come quelle forme di collegamento si connettono strettamente con l’essenza del reale, così anche queste norme di valutazione e di formazione si connettotermine su Heinrich von Ofterdingen (1799) c di Fragmente di argomento filosofico. Il suo pensiero storico-politico è esposto in Die Clristenheit oder Europa (1799), romantico vagheggiamento dell'unità del mondo cristiano medievale. no indissolubilmente con le tendenze di contenuto già presenti nella vita reale. Perciò, come quelle forme possono essere astratte soltanto dalle scienze già esistenti e reagiscono poi sulle scienze in forma più raffinata e sistematizzata, così anche queste vengono tratte da valutazioni e formazioni effettive. Ciò può accadere soltanto in virtù di una fenomenologia comprensiva, quale è stata oggi ormai intrapresa, soprattutto da parte della scuola fenomenologica. Tutte le valutazioni, anche quelle più soggettive, più accidentali e più legate ai sensi, vengono in tal modo collocate su un terreno comune insieme con quelle più oggettive, più ideali e più svincolate dalla sensibilità, per poter poi rintracciare su questa base le diverse classi di valori e la loro legge essenziale, e per poter infine ricondurre il rapporto reciproco delle varie classi di valori a una legge universale, che naturalmente è una legge concernente non l’essere ma il dover essere, pur essendo, in quanto tale, sempre profondamente radicata nell’essere. Non è qui il caso di inoltrarci in particolari assai spinosi. È necessario sottolineare la cosa principale, cioè che questo inquadramento complessivo dei valori ha il significato di mostrare fondamentalmente l’essere vivente non già come un essere contemplativo e riflessivo, ma come un essere che agisce praticamente, che sceglie, lotta e tende a qualcosa, in cui ogni mera intellettualità e ogni mera contemplazione si pone, in ultima istanza, al servizio della vita, sia essa animale o personale-spirituale. Ciò è importante, nel suo significato assolutamente decisivo, anche per il nostro argomento. Altrettanto importante è però mettere in rilievo che, a un’analisi più prossima, l’unitarietà di questi valori pratici inizialmente ammessa si articola immediatamente nei valori meramente animali e nei valori personali-spirituali della cultura, ai quali appartiene il carattere formale della doverosità e dell’impegno allarealizzazione. Particolarmente significativa è poi, sempre all’interno di questi ultimi, la scissione tra le conseguenze tratte dalla doverosità formale le quali, in quanto doveri individuali e doveri comunitari, designano l’elemento morale in senso stretto® e i contenuti culturali, di cui si a. Di questa scissione si dovrà ancora parlare nell'analisi conclusiva sull’etica e sulla filosofia della storia. tratta nelle scienze della cultura o nelle scienze sistematiche dello spirito relative allo stato, al diritto, all'economia, all’arte, alla religione e alla scienza (per lo meno nella misura in cui questa è bene culturale e non logica). Il fine ultimo di quest’analisi è perciò naturalmente, come ogni volta che si confidi nell’unità e nel senso del reale, la sintesi in vista di una costruzione e di un sistema dei valori in cui il presupposto di questa fiducia che è, in ultima analisi, una fiducia religiosa non dev'essere dimenticato, e in cui anche l’intera questione dell’esistenza e dell’origine di questi valori nell’essere vivente finito deve riportare al rapporto della coscienza assoluta o Dio con la coscienza finita. La dottrina dei valori conduce necessariamente a sfondi metafisici in cui dev'essere risolto, in particolare, anche il problema del rapporto tra vita e materia della vita, tra dover essere ed essere ?, a. Purtroppo lo sviluppo e la formazione storica della dottrina dei valori non sono ancora stati studiati in maniera sufficiente. Sarebbe urgente un libro in proposito del tipo della Geschichte des Materialismus di Lange? o dell’Erkenntnisproblem di Ernst Cassirer3. Le esposizioni attuali prendono invece le mosse soprattutto da Lotze, che ha dato inizio al mutamento propriamente moderno della metafisica in una dottrina dei valori e ha quindi inserito, come in ultima istanza decisive per il contenuto della metafisica, le idee della dottrina kantiana della ragion pratica su una base metafisica alquanto più ampia. La dottrina dei valori costituisce di per sé un problema molto più antico e comprensivo, e l’inserimento kantiano-lotziano nella metafisica è soltanto una delle molte forme possibili di collegamento con la metafisica. Il suo problema ultimo, più caratteristico e generale consiste quindi nella permanente conversione dell’essere nell’aspirazione e nel dovere, e di questi ultimi nuovamente nell'es2. F. A. Lance, Die Geschichte des Materialismus und Kritik seiner Bedeutung in der Gegenwart, Iserlohn. Friedrich Albert Lange (1828-1875), filosofo tedesco di orientamento neokantiano, fu altresì autore di Die Grundlagen der mathematischen Psychologie (1865), di Die Arbeiterfrage in ihrer Bedeutung fiir Gegenwart und Zukunfe (1865), dei Neue Beitrige zur Geschichte des Materialismus (1867) e delle postume Logische Studien. 3. E. Cassirer, Das ErZenntnisproblem in der Philosophie und Wissenschafe der neueren Zeit, Berlin, 1906-1920 (il quarto e ultimo volume sarà pubblicato in inglese a New Haven, nel 1950). Cassirer, filosofo tedesco di orientamento neokantiano, autore di Stbstanzbegrif und Funktionsbegriff (1910), della Philosophie der symbolischen Formen (1923-1929), di Zur Logik der Kulturwissenschaften (1942), di An Essay on Man e di altre importanti opere di storia della filosofia, in particolare sul Rinascimento e sull'Illuminismo, sviluppò l'impostazione neocriticistica propria della scuola di Marburg nel senso di una filosofia della cultura . In tal modo non è stata ancora caratterizzata abbastanza la specificità di questa scienza, e soprattutto non è stata illustrata la particolarità dell’attuale stato del problema, sottoposto a oscillazioni così sensibili. Essa pure riesce a fare completa chiarezza sul metodo e sul fine soltanto se, anche qui, si ritorna alle radici dei punti di vista e delle terminologie moderne, cioè alla svolta cartesiana verso la filosofia della coscienza, da cui abbiamo già visto scaturire il naturalismo e lo storicismo. Ciò che qui inganna è soltanto la circostanza che l’equiparazione terminologica di tutte le reazioni pratiche, sia del sentire sia del volere, in quanto valori, è dovuta alla filosofia moderna successiva a Lotze e all’influenza dell'economia politica. In sé e per sé, invece, l'impostazione è antica e coincide con il cartesere un problema che non può venir risolto in base ai presupposti della logica puramente formale e astratta della riflessione, ma che rimanda a quel piano meta-logico giù sopra accennato. Se viene mantenuto sul piano della logica astratta della riflessione, esso conduce sempre ad antinomie e a impossibilità, a semplici accostamenti tra essere e dover essere, tra causalità e teleologia, tra determinismo e libertà, tra immobilità e movimento, tra rappresentazione e volontà in breve, a un dualismo insostenibile, in cui alla fine rimane soltanto l'essere come il più facile da rappresentare e da elaborare logicamente. Tra le esposizioni storiche cfr. K. WieperHoLp, Wertbegriff und Wertphilosophie (Erginzungs-Heft alle Kantstudien , 52, Berlin, 1920); E. HevpE, Grundlegung der Wertlehre, Leipzig, 1916 (dal punto di vista della filosofia dell’immanenza di Grefswald); W. SrricH, Das Wertproblem und die Philosophie der Gegenwart (Diss.), Leipzig; G. Picx, Die Ubergegensdtzlichkeit der Werte, Tibingen, 1921 (si richiama a Lask e a Rickert). Accanto ai lavori più volte citati di Ehrenfels, Meinong, Miinsterberg, Volkelt, si devono segna- lare E. von Hartmann, System der Philosophie im Grundriss, vol. V: Grundriss der Axiologie, oder Wertwigungslehre, Sachsa, 1908; E. von Srrancer, Lebensformen, Halle, 2° ed.; M. ScHeLER, Der Forma- lismus in der Ethik und die materiale Wertethik, Halle, 22 ed., 1921; D. von Hitpesranp, Sittlichkeit und ethische Werterkenntnis, Jahrbuch fiir Philosophie und phinomenologische Forschung , V, 1922, pp. 462-601 (trattazione di finissima psicologia cattolica da cura dell'anima, intesa co- me legge essenziale dell'ordinamento dei valori); T. Lessine, Studien zur Wert-Axiomatik, Leipzig, 2° ed. 1914 (di tendenza anti-psicologi- stica e indifferente a ogni reale, con conseguenze pessimistiche). Sono lar- gamente d’accordo con J. VoLkeLr, di cui si veda il System der Asthetik, Miinchen, vol. III, 1914. Lo stesso problema ritornerà in seguito dal punto di vista del concetto di sviluppo, e ci costringerà a menzionare e a distin- guere le diverse scuole e i diversi gruppi: per ora basti un accenno. sianesimo. Se il punto di partenza decisivo è la coscienza, l'analisi dei suoi contenuti e dei suoi principi formali e la costruzione filosofica della realtà in base agli clementi e ai princìpi in essa trovati, allora le rappresentazioni, i sentimenti e le volizioni vale a dire la cosiddetta esperienza interna ed esterna diventano il solido nucleo di ogni pensiero, e i fatti teoretici e pratici della coscienza si accostano gli uni agli altri come datità in larga misura omogenee, a partire dalle quali soltanto si può procedere a un'articolazione e a una distinzio- ne. Le cose stavano in modo completamente diverso nella filoso- fia antica e medievale. Qui non c’era una dottrina della ragion pratica o dei valori, bensì una dottrina dei beni e degli scopi, rispetto ai quali la vita affettiva sensibile apparteneva fin dall’i- nizio all’aspetto finito e sensibile, inessenziale, dell’esistenza. In Platone e Aristotele i beni erano scopi cosmici, contenuti nella ragione divina, che si realizzavano nello sviluppo teleolo- gico attraverso la partecipazione dello spirito finito alla ra- gione divina. Non diversamente stavano le cose con la legge naturale dello Stoicismo, che era una legge cosmica e alla qua- le la ragione umana partecipava in una maniera particolare. Anche l’edonismo, che si esprimeva in forma collaterale, sfocia- va in un'imitazione dell'armonia e della bellezza dell’universo, e per di più non riuscì ad affermarsi. La dottrina cristiana fondava i beni su un ordine cosmico e su una gerarchia dei beni, accogliendo così fondamentalmente le idee antiche, e svi- luppava il suo sistema gerarchico dei beni come una copia dei gradi di realizzazione della vita di Dio nel mondo. In ultima analisi essi non procedono più qui in base alla mera partecipa- zione al sistema soprasensibile delle idee e delle leggi, ma scaturiscono da una conciliante auto-partecipazione di Dio nella creatura, che si esprime in valori umanitario-naturali e in valori religiosi-soprannaturali. Identità e diversità tra spirito divino e spirito finito vengono qui affermate contemporaneamente, e da questa coincidentia oppositorum scaturisce il sistema dei beni come manifestazione di un movimento di vita divino *. Soltan- a. Cfr. il mio Augustin. Die christliche Antike und das Mittelalter, Miinchen, e H. Hemsòra, Die sechs grossen Themen der abendlin- dischen Metaphysik und der Ausgang des Mittelalters, Berlin.to la svolta cartesiana ha trasformato i beni in fatti esclusivi di coscienza. L’empirismo inglese ne ha subito tratto la conseguen- za dell’equiparazione di tutte le reazioni pratiche in quanto sensazioni di piacere e si è sforzato di costruire l’etica e il sistema culturale sulla base del piacere. I grandi razionalisti continentali si attennero certamente, anche nella filosofia prati- ca, alla scissione tra sensibilità e ragione, ma nel complesso cercarono di ricondurre i valori all’intelletto, e cioè di sviluppa- re l’etica in base al fatto immanente alla coscienza dell’in- telletto e quindi della sua antitesi rispetto alla sensibilità. An- che un metafisico dogmatico come Spinoza non faceva eccezio- ne, poiché tutta la sua metafisica è, in definitiva, il dispiega- mento dell’essenza formale del pensiero, e in quanto tale proce- de da parte sua dalla coscienza. La terminologia si muove ancora all’interno del linguaggio antico e cristiano, mescolata con la terminologia del piacere anch'essa del resto derivante dall’antichità. Ma il principio è già quello dei valori. La dottrina kantiana produsse infine i concetti universali della ra- gione teoretica e della ragione pratica, distinguendo poi all’in- terno di quest'ultima tra scopi ipotetici e scopi categorici e sovra-ordinando in linea generale il pratico al teorico. Anche la speculazione post-kantiana non è tanto distante come può sem- brare, poiché la sua dottrina dell'identità procede ancora dalla conoscenza e cerca di derivare i valori dall’essenza formale della ragione, non dalla ricchezza ontologica dell’idea di Dio. I valori non sono partecipazione o derivazione della grazia, bensì produzione e creazione umana in base all’impulso della ragio- ne. Infine le dottrine del positivismo, che è assai vicino all’utili- tarismo inglese, fanno egualmente sorgere nello sviluppo i valo- ri culturali dall’intelletto e dal senso comune, cioè spiegano tutto sulla base di dati fondamentali psicologici e delle loro implicazioni evoluzionistiche, per fondare in definitiva con la maggiore sobrietà possibile una sistematica dei fini sociali così posti sulla base di una conoscenza positiva delle leggi della natura e della società. La naturale conseguenza di ciò è stata alla fine la terminologia dei valori, cioè la riunione oggi consueta di tutte le reazioni e formazioni pratiche nella teoria dei valori; e l’indagine sistematica del significato del valutare poteva ora essere intrapresa non soltanto per la coscienza, ma per la filosofia nel suo complesso come è accaduto 2 partire da Lotze, fino a confluire oggi con la filosofia pratica di Kant. La filosofia dei valori in senso stretto, sviluppatasi oggi in seguito a questa confluenza, la quale edifica l’intera dottrina dei valori in base al valore teoretico o al valore di validità dell’elemento logico e la pone in questa forma al posto della metafisica ci riferiamo in particolare alle teorie di Miinsterberg, di Rickert e di Lask rappresenta pertanto un tentativo di spremere dall’elemento soggettivo o immanente alla coscienza l’elemento oggettivo: tentativo che esprime, con tutta la sua acutezza, soltanto la precarietà di un siffatto punto di vista dell’immanenza. Queste teorie costituiscono, entro la dottrina dei valori, soltanto una specificazione acuta ma poco feconda. Questo fondamentale soggettivismo non costituisce però l’elemento decisivo per la connessione che abbiamo ora di fronte. Esso non potrà venir mutato nel suo punto di partenza analitico-coscienziale finché dura il pensiero moderno, e si potrà discutere soltanto dei suoi risultati e del modo delle sue conclusioni metafisiche in quanto mutamenti siffatti non sono mai mancati e vengono oggi ripresi in modo sempre più pressante, senza dimenticare l'applicazione assai approfondita di Malebranche alla conoscenza in Dio anche dei valori pratici *. Per il nostro argomento è però decisivo un altro punto. Dato il carattere immanente-soggettivo dell’utilitarismo, della ragione pratica e del positivismo, il solo mezzo per distinguere i valori oggettivi, oggetto di dovere, o i valori culturali etici dai valori animali e sensibili della vita e dell’utilità diventa l’universalità a. In Spranger e in Scheler* i punti di contatto con Malebranche sono innegabili. Sulla genesi dell'idea di individualità in Leibniz cfr. H. ScHmaLENBACH, Leibniz, Mùnchen, libro molto istruttivo, anche se l’asserita connessione con il Calvinismo non mi sembra abbastanza persuasiva. Scheler, filosofo tedesco, autore di Die transzendentale und die psychologische Methode (1900), di Der Formalismus in der Ethik und die materiale Wertethik, di Wesen und Formen der Sympathie, di Die Wissensformen und die Gesellschaft, della Philosophische Weltanschauung c di varie altre opere, appartiene al movimento fenomenologico: egli si propose soprattutto di costruire un'etica materiale , fondata sulla determinazione di una gerarchia di valori e contrapposta quindi all'etica formale kantiana. delle valutazioni — da un lato l’uziversalità empirica e di fatto, dall’altro la validità universale ideale, che dev'essere riconosciuta. La maggiore utilità possibile del maggior numero possibile di persone oppure la validità universale formale della ragion pura, libera dalla sensibilità, o ancora la vittoriosa diffusione riconoscibile nel corso dello sviluppo: questi diventano gli strumenti di distinzione, e quindi i criteri di valutazione. Ma con ciò viene scartato il concetto di individualità. Esso diventa un insieme di punti d’intersezione accidentali di leggi psicologiche generali da cui si deve estrarre, in modo faticoso e artificioso, l’universale dover essere; o diventa intorbidimento, adattamento e individualizzazione storica, che perviene alla norma in sé, atemporale e universalmente valida. Nell’uno e nell'altro caso non c’è alcuna via verso l’individuale, inteso come unità intima di fattuale e di ideale. Una via siffatta non è stata ancora trovata neppure nelle odierne considerazioni fenomenologiche, le quali prendono tutte quante le mosse da norme, dalla visione dell'essenza e dalla legalità atemporale, per aggiungervi soltanto in seguito il rattoppo dell’individualizzazione empirica. Proprio perciò queste dottrine dei valori urtano sempre, senza speranza, contro la storia. Esse disconoscono l'autentica individualità presente nella storia, come stato particolare e determinato di un intreccio reciproco di essere e dover essere, di fattuale e ideale; disconoscono l’inesauribile e imprevedibile produttività della storia, la quale produce sempre nuovi elementi individuali e quindi non individualizza leggi generali, ma ci pone di fronte a formazioni di valori sempre nuove e imprevedibili. Questo è il nucleo in cui, più che altrove, la moderna dottrina dei valori ha bisogno di una riforma. Ciò che insegnarono i Romantici, Schleiermacher, Wilhelm von Humboldt, Goethe, dev*essere sempre riconosciuto di nuovo come il suo problema principale, e posto al centro® per cacciare via gli a. Si veda il Politisches Gesprich di Ranke in Werke, voll. XLIX.L: Zur Geschichte Deutschlands und Frankreichs im 19. Jahrhundert (a cura di A. Dove), Leipzig, 1887, p. 325: Senza una tensione, senza un nuovo inizio non si può pervenire dall’universale al particolare. Lo spirituale, che ti sta improvvisamente davanti nella sua imprevista realtà, non si lascia derivare da nessun principio superiore. Partendo dal particolare puoi clevarti, con cautela e risolutezza, all’universale; ma dalla teoria spettri di leggi generali e atemporali, con le quali la storia e la vita non possono cominciare nulla e che aprono sempre nuovi abissi immaginari tra storia e dottrina dei valori, le quali tendono invece a unificarsi. Il fatto che le teorie fenomenologiche, nella loro aspirazione ben consolidata a leggi generali di essenza, pervengano, nei diversi pensatori, a risultati diversi nonostante la conclamata visione dell'essenza costituisce la prova di questo stato di cose assolutamente decisivo. È del tutto impossibile, partendo dalla fragile, isolata e vuota coscienza per quanto si possa attenuarla e dissolverla mediante la teoria della non-sostanzialità o dell’inconoscibilità dell'io ottenere in virtù di una semplice psicologia delle reazioni la comprensione dell’individualità, che dovrebbe appunto avere la sua sede principale nella dottrina dei valori. Di qui si perviene sempre soltanto ad acuti sofismi o a nullità tautologiche, alla disputa se il valore risieda nell’oggetto o nel soggetto o nella relazione tra i due termini, se esso sia una sensazione e una percezione oppure una disposizione e una reazione soggettiva, se sia fondato su un giudizio di esistenza o di non-esistenza, se sia semplicemente momentaneo o costante, semplicemente relativo o se scaturisca dal sentire o dal volere o dal rappresentare o da un elemento psichico ad esso proprio, se sia meramente accidentale e personale oppure sovrapersonale e oggettivo, e così via. Tutte queste difficoltà artificio se e insolubili, oppure solubili soltanto introducendo di soppiatto valori dogmaticamente normativi (e proprio per ciò oggetto di fede), cadono qualora si concepisca in modo diverso il punto di partenza, cioè il cosiddetto io, qualora lo si consideri non più come qualcosa di isolato e di vuoto, provvisto soltanto delle facoltà formali del rappresentare, del sentire e del volere, ma come virtualmente comprensivo e ogni volta in un ambito assai diverso della totalità della coscienza, oppure si consideri quest’ultima come comprendente in sé l'io, qualora si ritorni (in qualche forma oggi possibile) all'idea leibniziana della monade, e in particolare della monade umana, che assume in base generale non c'è strada che conduca all’intuizione del particolare . Si veda inoltre p. 327: Natura della cosa, opportunità, gezio e fortuna coopePriz/e OPp 6 P rano [al sorgere di nuove forme] . alle sue complicazioni una posizione particolare. Allora è possibile intendere i valori nella loro ovvia soggettività e nel loro carattere relazionale, che deriva dal carattere pratico e dai fini pratici di ogni essere, cioè dalla vita che tutto riempie. Allora le valutazioni estranee, passate e future, possono venir sentite come proprie, perché portiamo al tempo stesso in noi gli io estranei. Allora possono esserci coincidenze nelle valutazioni, in quanto noi tutti deriviamo dal medesimo fondamento della totalità della vita, e possiamo quindi sentire allo stesso modo. Allora è possibile distinguere i valori animali, cioè i valori meramente vitali che derivano dalle relazioni ambientali, rispetto ai valori oggettivi o spirituali, poiché questi ultimi esistono per la totalità dello spirito divino nella sua totalità che comprende la finitudine, e poiché l’essere individuale partecipa a questa totalità dello spirito. Allora possono esserci medie e sedimentazioni sociologicamente condizionate di queste valutazioni, oscurità, turbamenti e disordini dei conflitti tra motivi, da cui scaturiscono alla fine sempre soltanto il rischio e l’auto-riflessione, cioè una propria disposizione la quale non è tuttavia invenzione. Psicologia e sociologia possono descrivere tutte queste forme di realizzazione, ma non possono fondare alcun valore particolare e scoprirne le origini ultime. Ma, soprattutto, soltanto in questo modo si può cogliere il senso autentico dell’individualità, così come i Romantici e i poeti, i filosofi e gli storici in primo luogo Wilhelm von Humboldt lo hanno sottratto all’intellettualismo leibniziano, ancora chiuso in sé senza finestre. Questo essere individuale che partecipa alla totalità della vita rappresenterà e realizzerà nella sua situazione, nel suo ambiente e nella sua influenza particolare il fondamento comune della vita in una maniera ad esso propria sia sotto l'aspetto animale del soddisfacimento dei bisogni e della promozione della vita, sia sotto l’aspetto della comprensione del mondo delle idee divine. L'uomo, nel suo grado di realizzazione della coscienza, diventerà quindi un essere storicamente individualizzato, nonostante i mille aspetti di omogeneità e di comunanza che ha con altri uomini, e possiederà in tal modo non soltanto una determinatezza di fatto, ma anche un compito che è oggetto di dovere, nella cui realizzazione crca e acquisisce la sua essenza. Rimangono naturalmente le questioni ultime come Dio o l’assoluto o la totalità della vita pervenga a questo movimento costante dell’essere verso i valori, che altro non è se non la vita, e come questa totalità della vita pervenga all’auto-divisione nelle monadi finite. Si tratta di questioni a cui nessuno può rispondere, ma che non possono neppure essere sostituite da altre impostazioni più corrette e più facilmente suscettibili di risposta. Esse sono eterne come il pensiero: soltanto l’auto-divinizzazione e l’auto-svuotamento dello spirito moderno due momenti strettamente connessi tra loro hanno potuto dimenticarle o considerarle mal poste. Si ritornerà ancora su di esse trattando della teoria della conoscenza storica. Qui ci limitiamo per ora ad accennare al significato decisivo di questa impostazione per l’individualizzazione storica di tutti i valori. Essa vale sia per gli individui particolari che per gli individui collettivi, senza i quali non si potrebbero concepire neppure i primi e che, da parte loro, possono essere concepiti soltanto in base ai presupposti indicati. In tal modo il concetto centrale della dottrina dei valori diventa quello dell’individualità, nel senso di un’unificazione di fattuale e di ideale, di dato naturalmente e in conformità alle circostanze e, nel medesimo tempo, di eticamente imposto. In questo senso il concetto di individualità coincide con quello della fondamentale relatività dei valori. Ma relatività dei valori non vuol dire relativismo, anarchia, caso o arbitrio, bensì designa l’intreccio sempre mobile e creativo, e perciò mai deter- minabile atemporalmente e universalmente, di ciò che esiste di fatto e di ciò che dev'essere. Questo intreccio può e dev'essere colto ogni volta sia che si tratti dell’individualità singola di una persona, sia che si tratti dell’individualità collettiva di un popolo e di una comunità culturale mediante l’auto-rifles- sione e l’approfondimento in se stessi, nonché mediante la com- prensione e la conoscenza della situazione e del condizionamen- to storico. Non è senz'altro a portata di mano, ma dev'essere creato; non si tratta quindi di un naturalismo di tipo vegetale. Proprio perciò questo intreccio non è qualcosa di estetico, che induca all’auto-godimento o alla semplice curiosità come viene spesso frainteso ma è un compito e un dovere, e al tempo stesso anche un orientamento universale, assai sobrio e pratico, sulle possibilità e sui presupposti della situazione. Esso esige un sapere spassionato, una volontà chiara, uno sguardo acuto. Tanto meno l’individuale, inteso in questo senso, costituisce una mera categorica logica, che debba essere applicata a qualsiasi oggetto in virtù di una coercizione logica, a fianco di una considerazione dal punto di vista di leggi generali che derivi dalla medesima coercizione. Esso è piuttosto una creazione umana e una realtà metafisica, l’intreccio di fatto e di spirito, di natura e di ideale, di necessità e di libertà, di universale e di particolare. Esso emerge con forza e importanza molto diversa dagli sfondi nascosti dei processi storici. Vi sono uomini e periodi, strati sociali e gruppi ricchi di individualità e poveri di individualità; i primi sono sempre caratterizzati da una salda fede in questo loro procedere dall’universale. Essi percepiscono la loro particolarità come missione divina e come compito, e non badano all’interesse della propria personalità, ma alla specificità del loro compito. Si apre così, muovendo dall’individuale, lo sguardo verso la metafisica, del quale non si ritiene di aver bisogno quando ci si attiene a ciò che è astrattamente generale, poiché questo in apparenza sostituisce la metafisica. Il costante procedere dell’individuale e dei suoi criteri da uno sfondo oggettivo e universale è però un’idea che non si può formulare senza la metafisica, a meno di non farla rientrare nell’ambito del resto impossibile del mero accidentale o dell’interessante auto-compiaciuto. A questo punto si stabilisce la relazione della dottrina dei valori con la metafisica, che in altri punti appare meno pressante. Ma la relatività dei valori ha senso soltanto se in questo relativo c'è qualcosa di assoluto che vive e che crea; altrimenti essa sarebbe soltanto relatività, non già relatività dei valori. Essa presuppone un processo vitale dell’assoluto, nel quale questo può essere colto e formato in ogni punto nella maniera corrispondente a tale punto. L’assoluto dev'essere colto ovunque e in primo luogo dev’'essere anche formato. Infatti esso è una volontà di creazione e di forme, la quale negli spiriti finiti diventa auto-formazione in base a un fondamento e a un impulso divino. E questi diversi punti devono connettersi e succedersi secondo una determinata regola, che costituisce l’essenza del divenire dello spirito divino e che si afferma, nonostante tutto, nelle vicende accidentali e negli erramenti o nei cedimenti della volontà. Tutto ciò inerisce al concetto d’individualità, di relatività dei valori, di criterio e di sempre nuova creazione. Questa connessione con l’assoluto può essere un mito, com'era un mito la dottrina platonica della partecipazione Ia quale conteneva già il nucleo di una dottrina dell’individualità, almeno nella misura in cui lo consentiva lo spirito dell’antichità, che ipostatizzava i valori e li considerava come affari generali dello stato. Anche la dottrina cristiana dell’auto-disvelamento di uno spirito divino vivente nello spirito finito costituisce un mito; però essa ha condotto alle più fini e profonde osservazioni psicologiche, che chiariscono gli enigmi dell'anima molto più profondamente di quanto non possano farlo le aride teorie psico-genetiche o aprioristiche con cui si sono sostituiti gli antropomorfismi e i dualismi, certamente sovente rozzi, di questo modo di pensare. Con mezzi semplici come la derivazione psicologica dal piacere o da un altro principio analogo, o come l’estrazione dei caratteri meramente formali, non si può cogliere il miracolo dei valori, dell’individualità e della relatività, che la storia pone in mille modi davanti ai nostri occhi?. a. Su tutta questa tematica si veda T. Lit, Geschichte und Leben, Leipzig, 1918, assai vicino al punto di vista qui sviluppato. Stimolante e per molti versi affine è pure R. MicLer-FrerenFELS, Philosophie der Individualitàt, Leipzig, 1921. In questo libro si percorre energicamente fino in fondo la strada, sovente tentata, della trasformazione del punto di partenza cartesiano, sostituendo la coscienza con il concetto di inconscio, e con la correlazione tra soggetto e oggetto nell’universale corrente cosmica della vita, che lampeggia nell’io singolo, nel singolo momento della coscienza. Ma in tal modo il concetto di individualità viene dissolto in quello del semplice io o dell'essere singolo, e quest'ultimo viene poi radicato nell’universale corrente della vita, al di sopra o al di sotto della coscienza. Si dissolve così l'intreccio di generale e di particolare, di assoluto e di relativo, che mi raffiguro; l’individuale diventa immediatamente caos e turbine, e la valutazione diventa anche qui qualcosa di semplicemente razionale-generale, che deve poi essere una razionalizzazione sempre soltanto parziale e relativa, sempre fittizia, inevitabile per gli scopi della vita. Nessuno sa da dove questa possa venire, in queste circo stanze, dal momento che l’autore non vuole vedervi semplicemente delle finzioni utili sotto il profilo biologico. Analoghe obiezioni continuo a mantenere contro le idee affini esposte da G. Simmer in Lebensanschauung, Miinchen und Leipzig, 1918. Qui l’individuale diventa un felice caso di coincidenza della vita con una forma che la penetra. Anch'egli conosce In tal modo siamo ritornati alla storia. Di fatto l’uomo che agisce e la storia che parla di lui non possono affatto essere compresi senza il concetto della relatività dei valori. Per quanto riguarda l’uomo che agisce basta fare riferimento a Goethe, la cui dottrina dell'attività sempre nuova e vivente, che scaturisce dall'esigenza quotidiana, che trova conferma nella sua fecondità ed è, in ultima analisi, fondata su un impulso divino, rappresenta addirittura il vangelo della relatività dei valori. Da tutt'altro versante Kierkegaard ha formulato, nelle sue discussioni estremamente istruttive con Hegel e con il Romanticismo, la stessa idea: L'elemento storico è l’unità del metafisico e dell’accidentale. Io divento a un tratto consapevole di me stesso, nella mia necessità e nella mia finitudine accidentale (in quanto io, questo essere determinato, nato in questa regione e in quest'epoca, sono sotto l’influenza molteplice di tutte queste mutevoli circostanze). E quest’ultimo aspetto non può essere trascurato, anzi la vera vita dell'individuo è l’apoteosi quindi nella storia soltanto le epoche di grazia, cioè le poche isole in cui si raggiunge tale felice coincidenza. Per me l’individuale come fatticità è distinto dali’individualità che dev’esserne formata come suo compito: risulta così possibile vedere un’aspirazione e un travaglio continuo attraverso cui queste isole si riuniscono a formare dei continenti. Le isole simmeliane sono soltanto le vette di questo massiccio montuoso che le connette. È facile scorgere quanto la mia idea sia vicinissima alla concezione di Wilhelm von Humboldt. Ma ja fondazione gnoseologica e la valutazione relativa all'etica e alla filosofia della storia sono differenti. Su Humboldt si veda l'opera citata di E. SpranceER e l’analisi (condotta da un punto di vista antitetico) di J. GoLDFRIEDRICH, Die historische Ideenlehre in Deutschland, Berlin, 1902, che costituisce del resto la sola analisi utilizzabile del libro. Per il modo in cui il problema si configura presso un pensatore evoluzionista che rifiuta l’individualismo storico, si può vedere Hans DriescH 5, Si svaluta la storia, e si hanno criteri soltanto in base all'unico elemento che si sviluppa, cioè al sapere, Driesch stesso (nella Wirklichkeitslehre, Leipzig, 1917, PP327 -34) si riferisce a Schopenhauer e agli Indiani. Sui diversi concetti di individualità cfr. H. ScHmaLENBACH, Indi vidualitit und Individualismus, Kantstudien. Driesch, zoologo, biologo e filosofo tedesco, autore di Der Vitalismus als Geschichte und als Lehre, della Philosophie des Organischen, della Ordaungslehre, di Leib und Scele, della Wirklichkeitslehre, della MerapAysik der Natur e di numerose altre opere, formula una concezione vitalistica della realtà in opposizione al punto di vista del meccanicismo. della finitudine, la quale non consiste nel fatto che l’io privo di contenuto esca di soppiatto da questa finitudine per volatizzarsi e svaporare nella sua emigrazione celeste, ma nel fatto che il divino abita e si trova nelle finitudine . Dal lato dell’uomo questo divino individualizzato non può essere colto, secondo lo stesso Kierkegaard, solamente nel salto e nel rischio esistenziale; non si tratta di una concrezione estetico-panteistica, ma di un prodotto dell’azione e dell’auto-formazione che si deve rischiare nel pericolo dell'errore e che ci si deve ogni volta riproporre per acquisire, nella ripetizione, una connessione e una consistenza *. Interessanti sono anche le considerazioni con cui il generale von Radowitz® guarda retrospettivamente al suo lavoro, e che si possono qui citare per le osservazioni che vi aggiunge a commento uno dei nostri storici più significativi. Radowitz aveva combattuto per la realizzazione di un sistema di norme religiose e razionali di politica e di cultura, e nei suoi Neue Gespriche (1851), in genere veramente istruttivi, era pervenuto a questo risultato: la verità non è assoluta, bensì relativa allo spazio e al tempo ma, beninteso, rimane pur sempre verità. Osserva in proposito Meinecke: Tutte queste idee erano onde nella corrente del movimento generale dell’epoca, che era diretto a frantumare dogmi, speculazioni e costruzioni astratte, e a sostituire l'elemento di assoluta verità e guida nella vita con ciò che è storicamente vero e vivente. Così Radowitz, nell’ultimo stadio del suo sviluppo, si approssimava al moderno realismo storico *. E alcune pagine prima: Due a. Cfr. H. Reuter, S. Kierkegaards religionsphilosophische Gedanken im Verhéltnis zu Hegels religionsphilosophischem System, Leipzig. Si veda anche Ranke (Politisches Gespràch cit., pp. 337-39): Ogni vita reca in sé il proprio ideale: l'impulso intimo della vita spirituale è il movimento verso l'idea, verso una maggiore eccellenza. Questo impulso è innato, radicato nella sua origine... Quante comunità spirituali terrene, tratte alla luce dal genio e dall'energia morale, comprese entro uno sviluppo inarrestabile, ognuna a proprio modo! Guarda a queste costellazioni nei loro corsi, nella loro azione reciproca, nei loro sistemi! . 6. Joscph Maria von Radowitz (1797-1853), uomo politico tedesco, ebbe una parte importante nella politica prussiana dopo il 1848; nel 1858 fu per alcuni mesi ministro degli affari esteri, conducendo una politica apertamente anti-austriaca. Meinecge, Radowitz und die deutsche Revolution, Berlin.compiti strettamente connessi tra loro si ponevano allo spirito e alla volontà di quell’epoca: ricollegare alla realtà la sfera delle massime ideali, minacciate di isolamento, e riunire organicamente all’interno di tale realtà le potenze vitali antiche e nuove, passate e future *. Si tratta della fondamentale teoria del realismo storico di cui Meinecke parla qui e in altri passi, e con cui si indica la trasformazione della storia ideale di tipo hegeliano e della storia organicistica di tipo schellinghiano, ma anche della storia politica troppo soggettivamente diretta agli scopi del presente, nel realismo universale della metà del secolo xix. Questo realismo storico è, almeno in Germania, qualcosa di completamente diverso dall’equiparazione della storia con le scienze della natura. Esso non si esaurisce affatto nel forte rilievo dato agli elementi economici e sociologici nella comprensione storica 0 nell’apprezzamento dell’accidentale, dell’irrazionale e della personalità. La sua essenza più propria non è altro che l’idea dominante della relatività dei valori e dell’individuale, sia che si tratti di individualità particolari o di individualità collettive. Esso risulta quindi completamente autonomo dal realismo delle scienze naturali; e anche con la politica realistica di Bismarck ha a che fare soltanto nella misura in cui questa ha contribuito a rendere diffidenti verso le risoluzioni troppo idealistiche del reale e dei suoi conflitti in generalità ideali e in contraddizioni meramente logiche. Per il resto, questo realismo è quanto mai lontano dalla concezione amorale e cinico-scettica della storia: esso vede nelle formazioni storiche il divino nelle sue concrezioni e nella sua lotta contro il caos e la malvagità, come mette in rilievo lo stesso Meinecke. Certamente, esso è stato finora troppo poco indagato sotto il profilo teoretico, ed è difficile estrarre i suoi tratti fondamentali più generali dalla smisurata letteratura storica. Esso è ancora molto insicuro nel cogliere l’assoluto nel relativo, e perciò non trova o non cerca la via verso una sintesi culturale contemporanea®. Non si può tuttavia disconoscere a. Sul relativismo storico si veda G. P. Goocn, History and Historians in the Nineteenth Century, London, 1913, nonché J. E. E.D. Acton, The 8. che proprio con la più stretta connessione tra storia politica e storia della cultura alla quale tende tutta la storia moderna il realismo storico si dirige soprattutto all’idea dell’individualità nel senso qui descritto, e quindi anche all’idea della relatività dei valori. Risulta quindi chiaro che tutta questa storia non ha affatto rinunciato all'idea di una connessione interna e di un profondo fondamento spirituale dello sviluppo, ma anzi scorge almeno in linea di principio nell’individuale un universale e nel relativo un assoluto, anche se, per il suo timore dinanzi alla filosofia, di rado si arrischia a determinare in modo più preciso e concreto questo rapporto. Anche qui si deve osservare che questo relativismo dei valori e questo realismo appartengono in modo preponderante alla storia e all’etiGerman Schools of History, English Historical Review , I, 1886, trad. ted. col titolo Die neuere deutsche Geschichtswissenschaft (a cura di J. Imelmann), Berlin, 1887, nonché E. RorHacger, Einleitung in die Geisteswissenschaften, Tùbingen (la letteratura relativa si trova a pp. 163-64). Rothacker riconosce giustamente in esso uno costituzione spirituale, un atteggiamento di valore e una dottrina dello sviluppo, senza però mai giungere a una caratterizzazione vera e propria che muova dal punto centrale. Un'indagine approfondita risulta qui impossibile. Basterà accennare a varie osservazioni di Meinecke, che più di tutti accompagna il pensiero storico con una riflessione su di esso e che spiega da parte sua il realismo storico come uno specifico atteggiamento spirituale. Del suo Radowitz ho sopra riferito i punti importanti. Da Weltbirgertum und Nationalstaat cit. prendo nota dei punti seguenti: carattere decisivo del concetto di individualità (p. 138); il sorgere dello spirito moderno e in particolare del passaggio dal pensiero costruttivo al pensiero empirico, dal pensiero idealistico-speculativo a quello realistico (p. 265); la relatività dei valori e tuttavia l’insostituibilità dell’individuale (p. 271); il panteismo ottimistico-realistico, che del sentimento trapassa subito ai fatti. E ancora: Alla fine si pervenne alla giusta delimitazione, per cui ideale ed esperienza, oggetto considerato e soggetto considerante furono distinti in modo da rendere a tutti giustizia: una delimitazione si può quasi dire nello spirito di Kant, anche se si trattava di un confine fluido e dileguantesi. Ma questo fluire del particolare nel generale, dell'esperienza nella speculazione, era fondato sulla natura vera e propria delle cose. L'elemento principale in tutto questo era che il regno dell’esperienza veniva liberato, mentre veniva allontanato ulteriormente quello dei tentativi di interpretazione universale e speculativa (p. 289). Noto poi da Preussen und Deutschland, Miinchen: Ciò che finora sembrava intelligibile soltanto come emanazione di determinati princìpi, si traca tedesca, che ci hanno insegnato con Kant la separazione tra ciò che è dato naturalmente e ciò che è imposto idealmente, e con il Romanticismo l'intreccio organico delle forze storiche in un’individualità di volta in volta creativa, e che quindi cercano il loro compito nell’unificazione delle due tendenze. La posizione di primario rilievo attribuita allo stato e alla politica realistica costituisce perciò soltanto 40 dei suoi tratti caratteristici, ma non quello decisivo. Anche senza questa particolare inclinazione il relativismo dei valori è sempre il punto più importante nel diritto, nell’economia, nella società, nella religione e nell’arte, anche nelle idee ultime e più generali di razze e di ambiti culturali. Le idee del Politisches Gesprich di Ranke conservano tutta la loro verità anche se le si applica non solamente o non prevalentemente allo stato. Invece la storia delsformò agli occhi di una considerazione realistica delle cose nel risultato di necessità momentanee, in adattamenti alla situazione (p. It1); quel flusso del divenire che lascia scorrere ciò che nello spirito è saldo non già per farne gioco di onde, ma perché l’eterna e aremporale natura divina venga riconosciuta nella ricchezza e nella connessione interna delle sue produzioni semporali (p. 114). Meinecke scorge molto chiaramente anche la stretta connessione della sintesi culturale contemporanea con la conoscenza storica dell’individuale passato, dove un elemento determina l’altro. La fonte della luce che cade sul passato risiede negli ideali di vita dell'osservatore: così la storia e la vita, l'io e il mondo confluiscono in modo misteriosamente vivente, in un gioco di riflessi contrapposti (p. 104). Il nostro pensiero storico e il nostro ideale culturale vivono e si muovono nell’intuizione della molteplicità e dell’accostamento di stati, nazioni, culture libere e forti... In questo specchio della divinità noi guardiamo ancora oggi, affascinati e creduli come cent'anni or sono (p. 502). Certamente, da questa correlazione data insieme con l’idea della relatività dei valori Meinecke si solleva al pari di Ranke a una concezione puramente contemplativa, assoluta, della storia in sé: ma di ciò si parlerà in seguito. Sull’antitesi del realismo storico tedesco, che è al tempo stesso mistica, rispetto al pensiero anglo-francese si veda l’acuto scritto di E. KaurMann, Kritik der neukantischen Rechtsphilosophie, Tibingen, 1921, p. 92 sgg., dove sono sottolineate anche le deficienze di realizzazione. Ma anche in quel campo vi sono posizioni diverse. Cfr. anche il saggio di E.R. Curtius, Das franzòsische Universitàtsleben, Frankfurter Zeitung , 22 maggio 1918 (edizione serale), il quale scrive: è interessante che questi giovani Francesi del 1918 vedano nella Germania di Goethe, del Romanticismo e dell’età successiva un modello per la ‘ giusta sintesi tra speculazione ed esperienza” . l’Europa occidentale vive piuttosto nella prosecuzione dell’Illuminismo, il quale tendeva a sviluppare il dover essere dall’elemento naturale e quindi a rifarsi a fini astrattamente universali, mentre il suo realismo si faceva valere nella considerazione dei condizionamenti naturali e sociologici e l’individuale veniva per lo più nascosto o assunto in maniera inconsapevole nell'inserimento dei propri ideali in quei valori universali naturali . Di qui è nata una vasta polemica: ciò che agli uni appare insieme cinicamente brutale e mistico, agli altri appare come superficialità e ipocrisia. Ma in verità il realismo privo di pregiudizi risulta ovunque molto diffuso. Ciò appare chiaramente dall’eccellente libro di G. P. Gooch * il quale si distingue per il limpido panorama dei risultati conseguiti dai diversi studiosi anche se nella storiografia inglese e francese emerge innegabilmente una preponderanza dei valori nazionali, di partito o naturali rispetto all’universale relatività dei valori. E non di rado ciò accade anche da noi. È evidente che questa relatività storica dei valori presenta una certa analogia con la dottrina della relatività fisica, che oggi prevale in tutto il mondo nell’impostazione problematica così fortemente potenziata da Einstein. Ciò non avviene a caso, né è privo di fondamento oggettivo, anche se la relatività dei valori si è formata dall’epoca del Romanticismo e del realismo storico senza alcuna relazione con la seconda. Il fondaa. G. P. GoocH rimprovera per esempio a Sismondi? la mancanza di relatività (op. cit., p. 137), e a Carlyle che egli non si rese mai conto che il dovere principale di uno storico non è né l'apologia né l’invettiva, ma l’interpretazione dei processi complessivi e degli ideali in conflitto, che hanno costituito la varietà delle vita umana (p. 339). Questo è il realismo storico; certamente, nella formula interpretativa che spesso ricorre in Gooch vi sono problemi filosofici in cui egli non si addentra. b. Anche in me mancava qualsiasi relazione del genere, e me ne sono reso conto solamente a fatto compiuto. Altri l'hanno rilevato prima di me: A.C. Bouquet (Is Christianity the Final Religion?, London, p. 241) mi 9. Jean-Charles Simonde de Sismondi (1773-1842), storico ed economista svizzero, autore della Histoire des républiques italiennes au Moyen dge (1807-1818), dei Nosveaux principes d'économie politique, dell'Histoire des Frangais e di numerosi saggi raccolti negli Etwdes sur les constitutions des peuples libres (1836) e negli Erudes sur l’économie politigue (1837), nonché di varie altre opere. mento interno dell’incontro risiede nel fatto che la relatività fisica è la forma d’individualità decisiva sul terreno della scienza fisica, cioè è la particolarità della posizione da cui si deve ogni volta stabilire e calcolare il sistema di riferimento. Ciò accadeva già nel sistema galileiano-newtoniano, ma qui la validità universale del principio d’inerzia, considerato come una specie di assoluta verità di ragione, poteva nascondere le conseguenze della relatività della posizione. Se, come avviene in Einstein, l'inerzia viene dissolta e si afferma una velocità crescente dei movimenti, la posizione stessa viene immessa da ogni parte in un movimento reciproco e mutevole, diventando così del tutto singolare. Ma anche questa relatività non è un relativismo illimitato, bensì nella misura in cui il sistema di riferimento viene calcolato da ogni posizione ed è possibile determinare matematicamente, nonostante la sua mobilità, la relazione con gli altri oggetti permane l’assoluto nel relativo, il carattere di sistema e di riferimento della realtà naturale, a cui contribuisce anche la costanza della velocità maggiore di tutte, la velocità della luce. Ma anche se non fosse possibile conservare quest’ultimo principio, si potrebbe certamente stabilire attraverso il calcolo il suo mutamento e costruire in tal modo la possibilità di una sistematica, diversa soltanto da una posizione all’altra. In tutto il resto le due dottrine della relatività sono certo fondamentalmente diverse. Ma il punto principale del loro accordo è abbastanza importante: l’incontro del relativo e dell’assoluto nell’individuale qui come fatto, lì come compito. Alla posizione particolare corrisponde l’individualità della situazione storica; al sistema di riferimento universale, diverso di caso in caso, corrisponde lo sviluppo interno o la connessione del divenire storico, che dev'essere costruita di nuovo a partire da ogni momento culturale e da ogni nuovo ideale. Questo secondo punto, cioè l’immagine dello sviluppo storidefinisce una specie di Einstein del mondo religioso . Cfr. anche A. Dierericn, Die neue Front, Berlin, 1922, p. 168 sgg. In entrambi i casi si tratta del problema del criterio, su cui ha attirato la mia attenzione, subito dopo la conferenza, uno dei più eminenti fisici. Invece il raffronto tra Einstein e Spengler, che si trova spesso, è del tutto insenx sato. Einstein non è un scettico! co-universale che corrisponde alla sintesi culturale contempora- nea, rappresenta quindi il secondo tema centrale della filosofia materiale della storia, già presente da sempre nel primo tema, ma che adesso richiede una considerazione a parte. Per chi proviene da Kant, Fichte, Schiller, Nietzsche il primo punto è da tempo in posizione di rilievo; per chi proviene da Schel- ling, Hegel, Ranke*, Comte e Spencer lo è invece il secondo. Ad esso sarà dedicata un’analisi particolare nel prossimo capito- lo, dove avremo a che fare con un'elaborazione letteraria mol- to più ricca del tema, e tratteremo in modo più approfondito le teorie relative. a. Ranke sottolinea però entrambi gli aspetti: Ciò che importa è che si rimanga sempre fedeli a se stessi, collegando il nuovo con il vecchio, la resistenza con il procedere in avanti, incamminandosi sicuramente e grandiosamente sul cammino dello sviluppo (Reflexionen iiber die Theorie [ossia sul sistema dei valori assoluti della ragione], in Werke). Ma Ranke tende a privilegiare lo sviluppo ri- spetto alla propria e contemporanea creazione sintetica. La forza vera, storicamente fondata, è per lui identica con l'energia morale. Potrai menzionarmi poche guerre importanti per le quali non si possa dimo- strare che la vera energia morale ha riportato la vittoria (op. cit., p.- 327). Certamente, che cosa voleva dire energia vera ? Le due cita- zioni contengono entrambi i temi di cui qui si tratta, e i loro sfondi devono essere presi in esame separatamente. Quando assolutisti morali e di altro genere designano Ranke come adoratore del successo , que- sto non è del tutto sbagliato. Ma ciò dipende dal prevalere del concetto di sviluppo che si può riscontrare in lui, in Hegel e in molti alui. Ma anche questo non è propriamente corretto: infatti Ranke conosceva la correlazione del concetto di sviluppo con il concetto di valore, e se non ha determinato con precisione quest'ultimo, lo ha sempre coscientemente presupposto. Tale correlazione costituisce il problema vero e proprio; e uno degli scopi principali del mio libro è di chiarirla e di trarre le neces- sarie conseguenze pratiche da questo chiarimento. Certamente soltanto il secondo volume conterrà le conseguenze pratiche, vale a dire l’atteg- giamento che ne risulta nei confronti della storia; ma già il quarto capi- tolo di questo primo volume le prepara. MEINECKE nasce a Salzwedel, presso Magdeburgo. Si trasferì a Berlino, dove Meinecke compe gli studi liceali e (eccetto per due semestri passati a Bonn) anche quelli universitari, seguendo tra gli altri l’ultimo corso di Droysen. Dopo aver conseguito il dottorato a Berlino con una dissertazione sull’autenticità di un documento della storia tedesca entra nell'amministrazione degli archivi prussiani. Alla morte di Sybel che guida i suoi primi passi di storico Meinecke assume la direzione della Historische Zeitschrift, destinata a diventare, sotto la sua guida, il maggiore organo della storiografia tedesca. Risale a questi anni la preparazione della monumentale biografia di un generale delle guerre napoleoniche, Das Leben des Generalfeldmarschall Hermann von Boyen (Stuttgart, 1896-99). Nel 1896 ottiene l’abilitazione a Berlino, con il primo volume di questa biografia, e nel 1901 viene chiamato all’Universi- tà di Strasburgo, da dove passerà nel 1906 a Friburgo e nel 1914 a Berlino. Erede della tradizione storiografica prussiana dell'Ottocento, ammira- tore di Bismarck e della sua costruzione politica, Meinecke ha ben presto concentrato il proprio interesse sulla resistenza al dominio napoleo- nico e sul processo di formazione della Germania come stato nazionale. Rientrano in questo filone di ricerca il volume Des Zeitalter der deu- tschen Erhebung (Bielefeld-Leipzig) e i saggi raccolti in Von Stein zu Bismarck (Berlin, 1909), nonché il successivo volume Radowitz und die deutsche Revolution (Berlin, 1913) e numerosi altri studi sui rap- porti tra Prussia e Germania. Ma esso trova la sua maggiore espressione nella prima grande opera di Meinecke, Weltbiirgertum und National stat (Miùnchen-Berlin, 1908; tr. it. Firenze, 1930), dedicata all’esa- me del processo di traduzione in termini politici dell'ideale nazionale tedesco, e del contemporaneo processo di allargamento dell’atteggiamento politico prussiano che fa suo quell’ideale c gli offre una base concreta di realizzazione. La nazione culturale tedesca e la nazione territoria- le prussiana appaiono qui i termini dialettici di una relazione in virtù della quale la Germania perviene a costituirsi come stato nazionale. Il punto di arrivo di tale processo viene indicato nell'opera di Bismarck, di cui Meinecke fornisce una giustificazione storico-politica, riconoscen- do in essa la confluenza di uno sforzo storico secolare. Nel corso di quest’analisi Meinecke enuncia una concezione dello stato che appare fondata sull’attribuzione ad esso del carattere dell’individualità: in quan- to individuo, lo stato possiede il diritto all'auto-determinazione, e il suo compito è quello di provvedere alle condizioni che garantiscono la permanenza e l’accrescimento della sua potenza. Il distacco dal cosmopo- litismo illuministico appare quindi la premessa indispensabile per il riconoscimento del valore autonomo dello stato, del suo diritto ad affer- marsi e a farsi valere nei confronti degli altri stati. Questa prospettiva, al tempo stesso politica e filosofica, è stata posta in crisi dalla guerra e dalla sconfitta tedesca. Se già negli anni di Strasburgo, e soprattutto in quelli di Friburgo, Meinecke aveva corretto in senso liberale il giovanile nazionalismo conservatore di stampo prussia- no, dopo il 1918 egli appoggia la repubblica di Weimar, pronunciandosi in favore della democrazia. Ciò lo spinge sulle tracce di Weber e di Troeltsch, suo collega a Berlino ad assumere un atteggiamento critico verso la soluzione bismarckiana del problema nazionale tedesco e a ricono- scerne le insufficienze. Fin dai saggi raccolti nel volume Nach der Revolution (Minchen-Berlin) egli intraprende così un'opera di revisione delle prospettive storiografiche tradizionali, da lui stesso condi- vise negli anni precedenti, la quale si tradurrà, sul piano politico, in una costante opposizione al nazismo. Questo diverso orientamento di pensie- ro si rivela chiaramente nella seconda grande opera di Meinekce, Die Idee der Staatsrison in der neueren Geschichte (Minchen-Berlin, 1924; tr. it. Firenze, 1942), che ha il suo motivo conduttore nell’antitesi tra krdtos ed éthos, tra potenza e spirito. Quest’antitesi si presenta, agli occhi di Meinecke, come costitutiva del mondo della politica; e nel prevalere della potenza sullo spirito quale si è avuto appunto nella storia tedesca da Bismarck in poi egli addita il demone intrinseco alla politica. Lo stato è nel medesimo tempo potenza e spirito; ma proprio per questo motivo non deve smarrire la propria essenza spirituale, riducendosi a mera potenza. In quanto condizionata da una situazione oggettiva, e quindi inserita in una serie di rapporti causali, l’esistenza dello stato sorge su una base naturale; ma lo stato è pure orientato verso la realizzazione di valori, e perciò si eleva a una vita spirituale. La ragion di stato (che dà il titolo all'opera) è il ponte gettato tra la potenza e lo spirito allo scopo di risolvere la loro antinomia e di garantire la permanenza dello spirito nell’ambito della politica. Ma tale antinomia non è altro che un caso specifico di un contrasto più generale, quello tra il fondamento naturale della storia e il compito, ad essa inerente, di realizzare valori culturali. In questi stessi anni, attraverso la collaborazione con Troeltsch e lo studio dell'idea della ragion di stato , Meinecke approda anch'egli alla teoria dei valori. Fin dal saggio Personlichkeit und geschichiliche Welt (1918), egli aveva rivendicato l'autonomia della personalità, definendola in base al rapporto tra necessità e libertà, poi ripreso per qualificare la potenza e lo spirito nella loro antitesi; in seguito, in Ernst Troeltsch und das Problem des Historismus (1923) e in Kausalitàten und Werte in der Geschichte (1924), l’affermazione dell'autonomia dei valori rispetto alle serie causali che costituiscono il processo storico lo conduce a doverne giustificare l’assolutezza, messa in questione dalle conseguenze relativistiche dello storicismo. Dopo essersi opposto all'avvento del nazismo, Meinecke è costretto al silenzio dopo il 1933, e nel ’35 deve lasciare Ia direzione della Historische Zeitschrift . Il problema dello storicismo e del suo rapporto con i valori diventa, in questo periodo, l'oggetto principale della riflessione e dell'analisi storica meineckiana. Convinto che lo storicismo non conduca necessariamente al relativismo, ma possa coesistere con la fede in valori assoluti secondo l'insegnamento che egli trova in Goethe e in Ranke Meinecke traccia, in Die Entstehung des Historismus (Minchen-Berlin, 1936; tr. it. Firenze, 1954), un ampio quadro dello sviluppo dello storicismo dalle sue origini settecentesche fino alla cultura romantica. Al suo inizio, lo storicismo si è affermato in antitesi al giusnaturalismo e al suo presupposto di una ragione umana immutabile, depositaria di un sistema di verità eterne: l'atteggiamento giusnaturalistico appare così il grande antagonista dello storicismo. In seguito lo storicismo ha fatto valere, nel pensiero tedesco della fine del secolo xvitt, una diversa forma di considerazione della realtà, fondata su due princìpi il principio dell’individualità di ogni fenomeno storico e il principio dello sviluppo. Ma questa concezione individualizzante ed evolutiva del processo storico non riveste senz'altro un significato relativistico; e proprio la lezione di Goethe e di Ranke ci dimostra che lo storicismo non esclude la possibili tà di considerare ogni epoca, ogni momento della storia in riferimento a valori assoluti. In vari saggi, poi raccolti in Vom geschichtlichen Sinn und vom Sinn der Geschichte (Leipzig, 1939; tr. it. Napoli) e negli Aphorismen und Skizzen zur Geschichte (Leipzig, 1942, 1953; tr. it. Napoli, 1962), Meinecke ha ribadito richiamandosi soprattutto a Ranke la presenza dell’assoluto nella storia, e al tempo stesso la sua irriducibilità al processo storico. Ma in tale maniera il rapporto tra immanenza e trascendenza dei valori viene a configurarsi come un mistero, la cui soluzione può essere fornita non già in termini razionali, ma soltanto dal ricorso alla fede. Dopo la fine della guerra e il crollo del nazismo Meinecke ha ripreso la critica dell’edificio politico bismarckiano, cercando in Die deutsche Katastrophe (Wiesbaden, 1946; tr. it. Firenze, 1948) una spiegazione del fenomeno nazista che ne individuasse le radici profonde nella storia tedesca. Questa critica lo ha pure condotto a moderare l’entusiastico richiamo a Ranke delle opere precedenti, e a rivalutare invece l’importanza di Burckhardt. In seguito ebbe gran parte nella costituzione della Freie Universitit di Berlino-Ovest, di cui fu il primo rettore. Morì a Berlino-Dahlem il 6 febbraio 1954, più che novantenne. Gli scritti di Meinecke sono stati raccolti nei Werke, pubblicati per iniziativa del Meinecke-Institut della Freie Universitit di Berlino, ad opera dell'editore Oldenbourg di Minchen, della Toeche-Mittler Verlag di Darmstadt e della Koehler Verlag di Stuttgart. Il primo volume (a cura di W. Hofer, Miinchen, 1957) contiene Die Idee der Staatsrison in der neueren Geschichte; il secondo (a cura di G. Kotowski, Darmstadt, 1958) racchiude le Politische Schriften und Reden dal 1910 al 1951, ordinate cronologicamente; il terzo (a cura di C. Hinrichs, Miinchen, 1959) comprende Die Entstehung des Historismus; il quarto (a cura di E. Kessel, Stuttgart, 1959) raccoglie, sotto il titolo Zur Theorie und Philosophie der Geschichte, i principali saggi metodologici e filosofici, tra cui Persòonlichkeit und geschichiliche Welt, Kausalititen und Werte in der Geschichte, Geschichte und Gegenwart, gli scritti minori sulla storia dello storiciimo e in particolare su Goethe, Schiller, Schleiermacher, Ranke, Dilthey, Troeltsch, Spengler ecc.; il quinto (a cura di H. Herzfeld, Miinchen, 1962) contiene Weltbirgertum und Nationalstaat; il sesto (a cura di L. Dehio e P. Classen, Stuttgart, 1962) racchiude un'ampia scelta di lettere, col titolo Ausgewdhlter Briefwechsel; il settimo (a cura di E. Kessel, Miinchen, 1968) raccoglie, sotto il titolo Zur Geschichte der Geschichtsschreibung, numerosi saggi su Ranke, Burckhardt, Droysen, Sybel, Treitschke, Lehmann, Delbriick, Baumgarten, Schmoller, Lamprecht, Dove, Below, Neumann ecc. Rimangono al di fuori di questa raccolta diversi volumi, in particolare la monografia su Boyen, il volume Das Zeitalter der deutschen Erhebung, il volume Radowitz und die deutsche Revolution, e altri già menzionati nella nota biografica. Ad essi si devono aggiungere î due libri di memorie Er/ebtes 1862-1901, Leipzig, 1941, e Strassburg-FreiburgBerlin, Stuttgart, poi raccolti in unico volume col titolo Erlebtes, Stuttgart, 1964 (tr. it. Napoli, 1971). Dell’ampia letteratura critica concernente l’opera e il pensiero di Meinecke segnaliamo gli studi seguenti: F. CHÙiasop, Uno storico tedesco contemporaneo: Federico Meinecke, Nuova rivista storica , XI, 1927, pp. 592-603. E. Seeserc, Zur Entstehung des Historismus: Gedanken zu Friedrich Meineckes jiingstem Werk, Historische Zeitschrift , CLVII, 1937, pp. 241-66. W. Horer, Geschichtsschreibung und Weltanschauung: Betrachtungen zum Werk Friedrich Meineckes, Miinchen, 1950. W. Goetz, Friedrich Meinecke: Leben und Persònlichkeit, Historische Zeitschrift (l’intero fascicolo è dedicato a Meinecke, ma contiene anche saggi di altro argomento). L. Denio, Friedrich Meinecke: der Historiker in der Krise, Berlin, 1953. H. Hottpack, Friedrich Meinecke: das Machiproblem in der neuesten deutschen Geschichte, Hochland. F. CuÙason, Meineke, Rivista storica italiana , LXVII, 1955, pp. 272-88. P. J. Wotrson, Friedrich Meinecke, Journal of the History of Ideas , XIV, 1956, pp. 511-25. R. W. SterLIino, Ethics in a World of Power (The Political Ideas of Friedrich Meinecke), Princeton. A. Neeri, Saggi sullo storicismo tedesco: Dilthey e Meinecke, Milano, 1959, parte II. S. Pistone, Federico Meinecke e la crisi dello stato nazionale tedesco, Torino, Tessitore, Meinecke storico delle idee, Firenze, 1969. Un'ampia bibliografia degli scritti di e su Meinecke è fornita da A. M. Reinotp nel fascicolo speciale della Historische Zeitschrift dedicato a Meinecke; successive indicazioni si possono trovare nei volumi sopra menzionati di S. Pistone e F. TESssITORE. Quando ho accettato di svolgere il tema della conferenza odierna, ho subito chiarito a me stesso che le applicazioni pedagogiche (che ci si attende forse in primo luogo da questa conferenza) potevano esaurirsi in breve tempo, mentre i princìpi e le convinzioni generali da cui esse devono scaturire si affacciano su problemi che oggi toccano non soltanto lo storico, ma ogni uomo che aspiri alla personalità. Parlare di questi problemi e prima ancora confrontarmi con essi, mi stimolava tanto più fortemente quanto più le tempeste di quest'epoca, nel mezzo della lotta e della preoccupazione senza respiro a cui ci costringono, hanno ridestato in noi tutti una nuova prepotente nostalgia per il raccoglimento interiore e per l’auto-riflessione. La questione principale sarà quindi la seguente: che cosa significa il mondo storico per la formazione della personalità? Dalla risposta che ne seguirà si potranno trarre subito, e facilmente, le conseguenze per lo spirito e il metodo dell’insegnamento della storia. Ma che cos'è dobbiamo chiederci anzitutto la personalità, che cosa vuole e deve essere? Il detto di Goethe, che la personalità è la felicità suprema dei figli della terra, risuona * Die Bedeutung der geschichtlichen Welt und des Geschichtsunterrichts fiir die Bildung der Einzelpersonlichkeit, Geschichtliche Abende im Zentralinstitut fir Erzichung und Unterricht , 2, Berlin, E.S. Mittler und Sohn, 1918, 2* ed. col titolo Personlichkeit und geschichtliche Welt, 1922, poi raccolto in Staat und Persònlichkeit, Berlin, E. S. Mittler und Sohn, 1933, pp. 1-27, e in Schaffender Spiegel (Studien zur deutschen Geschichtsschreibung und Geschichtsauffassung), Stuttgart, K. F. Kochler Verlag, infine in Werke, vol. IV: Zur Theorie und Philosophie der Geschichte (a cura di E. Kesscl), Stuttgart, K. F. Koehler Verlag, 1959, pp. 30-60 (traduzione di Sandro Barbera e Pietro Rossi). all'orecchio come il suono di campana di una chiesa che ci dà, nelle dispersive cure quotidiane, una promessa quieta e regolarmente ripetuta, una promessa che è però, al tempo stesso, una richiesta. E invero essa promette e richiede da noi una certa costanza interiore in mezzo a tutte le cose esterne che ci assediano e che ci pongono in uno stato di attività o di compartecipazione, ossia un limite saldo che possiamo e dobbiamo custodire tra l’interno e l’esterno, e che deve non già chiudere ermeticamente l’interno, ma regolare e guidare il suo rapporto con il mondo esterno, un santuario interiore con vie di entrata e di uscita, egualmente adatto per riposare tranquillamente e raccogliere le forze in noi stessi come per scaricare attivamente tali forze verso l’esterno; in breve, un mondo autonomo e tuttavia organicamente connesso con il grande mondo, singolare e insostituibile, e tuttavia soltanto configurazione particolare di forze universali della vita, libero in sé e tuttavia dipendente dalla totalità, che abbraccia contemporaneamente, al di là di tutto questo, l'elemento più reale e vivente che abbiamo e che nessuna critica della conoscenza può sottrarci, vale a dire l’io consapevole di se stesso. Questo elemento più vitale di ogni altro ci è dato dalla natura come un dono miracoloso. Un miracolo altrettanto grande, ma che richiede un’elaborazione attiva, è quello di costruire in base ad esso la personalità e di elevarci in tal modo al di sopra della semplice natura. Si comprende che la personalità dev'essere la felicità suprema dei figli della terra soltanto quando si diventa consapevoli di questo duplice miracolo. Mentre la natura costringe tutta la vita di altro genere che essa reca alla luce nei ferrei vincoli della determinatezza, all’uomo essa lascia la possibilità di sciogliere questi vincoli, di costruire in sé un mondo della libertà, di curare in esso il bene supremo della libertà peculiarità inimitabile senza però perdere la connessione con tutto il resto della vita. Non si può essere felici nell’isolamento completo, ma non si può esserlo neppure nella completa fusione con il mondo esterno. Per diventarlo si deve sentire nella libertà il legame e la partecipazione alla totalità della vita e sentire di nuovo in ogni legame e in ogni comunanza la libertà e l’unicità della propria vita. In questo rapporto della personalità con il mondo è prefigurata al tempo stesso la forma originaria di ogni buona e vitale costituzione dello stato e della società. Il singolo e la totalità, l'io e l’ambiente nella loro azione reciproca, nella loro auto-conservazione reciproca all’interno di una connessione inseparabile scorre anche la vita storica. Sorgono così due problemi: che cosa significa la personalità per il mondo storico? e che cosa significa il mondo storico per la formazione della personalità? Viene subito in luce che il primo problema è stato trattato molto più di frequente, e in modo manifestamente più interessato del secondo. Forse che in ciò si manifesta un certo sentimento di fondo che la prima questione sia più importante della seconda? Bisognerebbe ammettere che la totalità ha maggior valore del singolo e che si tratta anzitutto di indagare questa totalità del mondo storico nei fattori in essa operanti? Non c’è dubbio che in questo privilegiamento del primo problema si palesano sia lo spirito storico del secolo x1x sia l’allargamento della vita storica complessiva che ha avuto luogo nel corso di esso. Agli inizi e fino al culmine della filosofia idealistica si muoveva ancora dai bisogni della personalità; in Kant e in Fichte era quindi dominante il problema della libertà etica. Ma già in Hegel il processo storico complessivo, che travolge gli individui lo vogliano o no nella sua corrente, diventava il tema predominante. Con lo sviluppo della moderna scienza storica e con l’importanza crescente delle masse si giunse quindi alla grossa disputa tra tendenza collettivistica e tendenza individualistica. Il collettivismo e in intimo accordo con esso il positivismo e la nuova scienza sociologica presero le mosse, nella loro impostazione dei problemi, dall’importanza predominante delle collettività rispetto agli individui. La tendenza individualistica della scienza storica e la filosofia ad essa prossima si sentivano, nei confronti di quelle tendenze, più in difesa che all'attacco, e si sforzavano al tempo stesso coscienziosamente di riconoscere il nucleo di legittimità presente nelle tesi dei collettivisti. In tal modo sulla nostra immagine della storia è stata distesa una robusta rete di nozioni collettivistiche e, di fronte alla pressione esercitata dalle grandi forze della vita storica complessiva sul singolo individuo, sempre più fievole è diventata la questione del senso e dello scopo del mondo storico per la formazione delle personalità libere e singolari. Quest'ultima minacciava di fatto di perdere importanza e di recedere da scopo in sé a mezzo subordinato nei confronti del corso complessivo. Dovremo ancora occuparci della situazione che ne risultava per il rapporto della moderna personalità con il mondo storico. Una cosa è però certa, cioè che le due questioni dell'importanza della personalità per la storia e dell’importanza della storia per la personalità sono connesse tra loro, e che la risposta all'una pregiudica sempre la risposta all’altra. Coloro che sostenevano l’importanza della personalità per la storia lo facevano proprio perché sentivano profondamente l’importanza del mondo storico per la loro propria vita personale. Essi nascondevano con pudore il loro interesse etico-pratico mascherandolo sotto un problema di pura conoscenza. Ora noi torniamo a districarlo chiarendoci le conseguenze del collettivismo e dell’individualismo per il nostro problema. Il collettivismo nella sua forma più netta vede nell’individuo solamente un punto di intersezione e di passaggio delle varie forze sociali. Le grandi istituzioni, i costumi e le opinioni diventati stabili dei gruppi sociali e delle comunità dei popoli trascinano e attraversano l’individuo inerte, che dalla natura ha ricevuto il carattere di un individuo da gregge. Pertanto progresso e sviluppo verso nuove istituzioni e nuove intuizioni non sono l’opera di singoli uomini, ma l’espressione di mutati rapporti di vita esterni. Gli individui, che sembrano rappresentare € realizzare questi rinnovamenti, sono soltanto gli esponenti di rapporti e di tendenze più generali. Il mondo storico, così come viene praticamente vissuto nella sua pienezza di istituzioni tramandate e di forze vitali, ha quindi sì un’importanza enorme e addirittura predominante per l’individualità, ma non lascia spazio né materia alla costruzione di una libera e singolare personalità da parte dell'individuo. Ciò che appare sotto forma di personalità libera e incomparabile viene costruito piuttosto dall'ambiente, e tutti i materiali dell’edificio derivano da questo. La composizione di tali elementi all’interno del singolo individuo può essere singolare e individuale, ma soltanto come la composizione dell'immagine multicolore nel caleidoscopio. Inoltre il mondo storico, così come può essere vissuto teoricamente nell'indagine e nell’intuizione del passato, darà alla testa pensante la seria e rigorosa nozione fondamentale che l’uomo è fatto di materia comune e che l’abitudine è la sua nutrice. Tuttavia un deprimente determinismo di tal genere non è rimasto l’ultima parola delle teorie positivistiche e collettivistiche. Piuttosto, proprio dal loro centro risuona il richiamo al progresso e all’ascesa, alla liberazione dell'umanità dalla gravosa pressione del passato. Ma la sua speranza si collega in tal modo non alle forze etico-individuali, ma a quelle etico-sociali. Esse credono alla presenza e alla crescita graduale di una ragione collettiva, di una disposizione generale dell'umanità o di certe razze dell'umanità a sollevarsi dallo stato di pura naturalità, attraverso lo stadio di semi-civiltà, fino a uno stato di popoli compiutamente civili. E questo processo di incivilimento raggiunge poi anche il singolo individuo, lo arricchisce e lo libera in qualche misura, crea il moderno uomo civile e il moderno soggettivismo ma sempre soltanto in virtù di un’organizzazione generale che sta al di sotto di esso e lo spinge in avanti. Anche ogni etica pratica che si connetta a questo modo di vedere procede in maniera caratteristica dall’affermazione di possibilità generali, di diritti universali, di libertà e di miglioramenti della situazione sociale, economica e politica che devono mettere l’individuo in grado di partecipare, secondo la misura delle sue doti, a tutti i beni culturali elaborati dalla collettività. Questo è il processo ideale della moderna democrazia occidentale, la quale riposa ampiamente su presupposti positivistici e collettivistici. Ma con questo tipo di costruzione teoretica e pratica del mondo storico dobbiamo ora chiederci si può sviluppare la piena felicità di ciò che Goethe intendeva parlando di personalità? Ciò è possibile soltanto se essa dimentica i tetri presupposti di questa costruzione, se essa si sente non soltanto come prodotto di uno sviluppo generale, come compartecipe dei suoi frutti dei dividendi da esso in certa misura versati ma anche come portatrice di uno sviluppo individuale del tutto specifico, come detentrice di un grado elevato di libera auto-determinazione, come proprietaria di una fonte nascosta di vita spontanea. Un positivismo intelligente si spinge anche fino ad ammettere che una fede siffatta è utile per suscitare nell’individuo il massimo di forza e di felicità, perché l'illusione di essere liberi ha lo stesso effetto di esserlo veramente. Quest'illusione può poi aggirarsi nella luce crepuscolare del dubbio e della fede, come ama fare il moderno uomo di cultura, spiritualmente differenziato e soggettivisticamente eccitabile. Su tale via si possono ottenere molteplici sensazioni e impressioni sul rapporto tra io e mondo, un raffinato auto-godimento, anche uno slancio ostinato verso uno stato di superuomo con prove svariate e perfino eroiche: spesso incontriamo queste disposizioni nei profili dei nostri giovani in uniforme, e la nostra poesia e la nostra arte più recenti ne sono piene. Ma una quieta e profonda chiarezza sul rapporto del mondo storico con la personalità, un’armonica sicurezza della personalità, un vittorioso superamento del dubbio paralizzante e distruttivo sul valore della vita storica non possono essere ottenuti in questo modo.Per sciogliere tale dubbio occorre partire da un’altra concezione della personalità  proprio da quella che sviluppavo in apertura. Essa non si fonda soltanto sul fatto che ci è gradita e forse ci aiuta nella lotta della vita, ma sul fatto che viene richiesta sia da un’auto-osservazione immediata sia da una considerazione impregiudicata della vita storica. L’auto-osservazione ci insegna che la ferrea legge causale, entro cui vediamo incatenata senza eccezioni la vita storica, ha tuttavia la sua radice ultima solamente nella profondità dello spirito umano, e che da questa stessa profondità scaturiscono anche altri bisogni, altrettanto costrittivi, che non permettono di considerare il mondo storico soltanto come una sezione dalla generale connessione causale della natura. Lo spirito umano crea, ed è costretto a creare  in base a un impulso spontaneo e a una disposizione originaria  un mondo di valori spirituali ed etici i cui destini sono sì sottoposti nella vita alla legge causale e al mutare delle cose, ma la cui esîstenza in sé rivela nell'uomo una sfera superiore alla connessione naturale e causale. Costruire questa sfera non vuol soltanto dire creare la cultura e la storia, ma vuol dire anche creare la personalità; poiché alla personalità spetta conservare e continuare i valori della cultura una volta creati  questa è la sua funzione storica. Tali valori culturali non sono solamente, come vuole il positivismo, puri prodotti causali di rapporti e di forze generali  certamente, questi vi cooperano potentemente e devono essere assolutamente riconosciuti  ma sono affidati, per mantenere la loro vitalità ed essere incrementati, al lavoro comune di innumerevoli individui singoli. Non è soltanto la grande personalità dominante, l’eroe nel senso di Carlyle, che fa la storia e produce la cultura; ogni singolo uomo in cui si è destata una vita spirituale, liberata dal vincolo naturale, vi coopera e può contribuire ad essa con qualcosa di originale e di proprio. In tutte le nuove formazioni della vita storica la ricerca deve sempre, quando vi riesce, indagare più a fondo la loro genesi; deve sentire il respiro della vita individuale e personale  uomini che non erano soddisfatti di sopportare ancora pazientemente il passato, di essere mera impronta dell'ambiente e di rimanere un numero nella massa oscura, ma che aspiravano inquieti, con nostalgia e desiderio, ad acquistare per sé un frammento di libertà e il dominio sull’ambiente, di imprimere nell'ambiente un frammento del proprio io, creando il bene come il male ma diventando con ciò fermento della storia. Certamente, si deve subito aggiungere che ogni elemento di novità che la personalità singola può imporre alla vita storica si trova nella più stretta continuità e connessione causale con l’antico, con ciò che è tramandato, e ne è a ogni passo condizionato e delimitato. La libertà di movimento e il carattere specifico della personalità possono sì apparire talmente piccoli che si capisce che si sia voluto eliminarli dalla storia considerata come fattore essenziale; ma sono abbastanza grandi per poter comprendere il miracolo per cui lo spirito si è sollevato al di là dei limiti della natura, nonostante ogni legame con essa, e ha potuto produrre un mondo storico. Soltanto a questo punto possiamo dare una risposta all’altro aspetto, oggi dominante, del duplice problema e cercare di chiarire l’importanza del mondo storico per la costruzione della personalità. Fin dal principio esso assume ora, per l’individuo, colori più chiari e gioiosi che in una concezione rigorosamente positivistica del mondo storico. E gli fa cenno dicendo: entra in me, io non ti soffocherò se ti farai coraggio e se vorrai guardarmi nel cuore. Io non sono per te un ferreo destino che non ti lascia scelta alcuna nel pensiero e nell'azione, ma sono un compito alla cui soluzione sei chiamato a collaborare. Devi servirmi, ma non come schiavo, bensì come uomo libero; poiché solamente in quanto innumerevoli altri prima di te l'hanno fatto, sono diventato ciò che sono e sono in grado di offrirti la mano per liberarti dall’oppressione della legge naturale. Guardami inoltre nella pienezza delle mie configurazioni, nessuna delle quali è eguale all’altra e che pure sono tessute tutte insieme da me. Da ciò trai la speranza che anche il tuo elemento più proprio € più peculiare sarà conservato in me, anche se costituirà soltanto un piccolo filo nel mio manto regale. E perciò ti dico: diventa libero, diventa te stesso. Il mondo storico pone quindi alla singola personalità una richiesta generale e una richiesta individuale. Essa deve compiere qualcosa di universalmente valido, impiegando tutto ciò che di soltanto istintivo è in essa presente come materia e mezzo per scopi etici e spirituali ed erigendo così in sé il dominio di ciò che è ideale. Anche questi scopi ideali compaiono anzitutto come qualcosa di universale, imposti alla personalità dall’esterno. Tutti i doveri e i compiti  la famiglia, il lavoro, la società, la patria, lo stato e la cultura  rientrano in questo ambito. In essi si nasce e non si può sceglierli a piacimento, perché fin dall’inizio ci assalgono imperiosamente. Se dalla personalità non si richiedesse altro se non che, opprimendo i suoi impulsi egoistici, essa si elevasse  in virtù dell’auto-determinazione etica nel senso kantiano  a organo degli interessi universali e agisse soltanto secondo massime di una legislazione universale, non si sarebbe ancora fatto abbastanza. Si otterrebbe soltanto una libertà formale, non ancora riempita di contenuto; poiché il contenuto di questo agire eticamente libero ci sarebbe fornito dal mondo esterno. E all’osservatore critico gli uomini che volessero accontentarsi di questa specie di libertà non potrebbero ancora apparire come personalità compiute, ma soltanto come inservienti volontari di scopi oggettivi forse molto grandi, ma pur sempre formati dall’esterno. Inoltre questi scopi storici sfocerebbero facilmente in una rigidità priva di vita, e diventerebbero simili a quel carro degli dèi indiano il quale stritola le masse dei fedeli che si buttano davanti ad esso. In questa maniera i nostri nemici hanno rappresentato, durante la guerra, il rapporto del Tedesco con il suo stato tramandato e ci hanno attribuito un cieco, fanatico servilismo verso lo stato, che per fortuna è lungi da noi ma che  comunque lo Friedrich Meinecke intorno si consideri  può essere ammesso come possibilità estrema di certi germi di sviluppo presenti in noi. La personalità stessa e il mondo storico che la circonda soffrirebbero di questa specie di rapporto, perché dalla personalità non si potrebbe trarre fuori tutto quanto c’è in essa, tutto ciò che potrebbe servire e contribuire al mondo storico. La dottrina dell’imperativo categorico  questa legge fondamentale di formazione della personalità  dev'essere quindi integrata, così come la legge del Vecchio Testamento ha trovato il suo compimento nel Nuovo Testamento. Diventa te stesso  dice questa legge del Nuovo Testamento alla personalità. Coltiva la tua peculiarità non con l’amore animale, senza capacità di scelta, per tutto ciò che ti spinge verso la peculiarità e vorrebbe affermarsi contro il mondo esterno, poiché ciò conduce soltanto alla soggettività vana o all’ostinata eccentricità. Riconosci invece la legge organica in base a cui le tue forze individuali e i beni vitali tratti dal tuo ambiente possono connettersi in un mondo unitario, in sé concluso; cerca un principio direttivo, un’idea della tua vita in te stesso che possa valere solamente per te e per nessun altro allo stesso modo, perché a ogni passo decisivo nella vita devi interrogare solo te stesso e la tua coscienza in merito al tuo dovere. Questa formazione in noi di un’idea individuale della vita permette anche  come lo permetteva già l'imperativo categorico  la lotta contro gli impulsi inferiori, sensibili, non già per reprimerli bensì per ordinarli ed educarli, per dare anche al bisogno presente in noi, indifferente e gregario, una nota particolare, un valore consono con la totalità della vita. Nel concetto di individualità non è possibile infatti conservare la divisione netta tra spirito e materia. La dote naturale della natura sensibile-spirituale complessiva è e rimane il terreno che alimenta la personalità; e soltanto in base all’armonia, alla reciproca compenetrazione e illuminazione dei sensi e dell'anima cresce la sua peculiarità, la sua bellezza e la sua forza. È un’acquisi-zione della sensibilità moderna che essa non pretenda più di dividere questa connessione data e vivente con un atto di violenta ascesi dello spirito nei riguardi del mondo sensibile. In tal modo le svolte storiche del secolo xtx penetrano nella formazione del moderno ideale di personalità. Il carattere rigoristico 5 dell’etica kantiana tradisce ancora la sua origine dall’ascesi cristiana. Ma contemporaneamente già nasceva, con Rousseau e Goethe, un nuovo sentimento della vita  la coscienza dell’unità ultima di natura e spirito, dello stretto e misterioso intreccio di forze sensibili e forze spirituali, dell’accresciuta pienezza vitale dell’uomo, che si immerge gioioso in questo sentimento di unità. In stretta connessione con tutto ciò Herder, Goethe, Wilhelm von Humboldt e i Romantici scoprivano il valore insostituibile dell'individuale, di ciò che è cresciuto in modo originale e singolare nella storia e nella vita. Lo spirito realistico del secolo x1x fece uso pratico di queste nuove sensazioni e conoscenze in quanto, distruggendo dottrine e pregiudizi, riconobbe il diritto alla propria esperienza e osservazione della vita, colse e sfruttò ovunque ciò che c’è di attivo, di naturalmente dato e di potente, e cercò così anche di dispiegare in pieno la forza dell’individuale e della personalità. Ne è derivata  certamente con alcune riserve che dobbiamo ancora avanzare  una più robusta ondata di sangue vitale per il nostro ideale di personalità. La situazione storica che si presenta di volta in volta ha quindi un’importanza enorme per la formazione della personalità. La disposizione e l’impulso a diventare personalità è universalmente umano e opera a tutti i livelli dello sviluppo, anche a quelli più bassi, sebbene la pressione del mondo esterno e della tradizione permetta che su questi si dispieghino soltanto pochi germi, particolarmente forti. Inoltre la specificità dell’ambiente storico agisce in modo da destare in primo luogo le disposizioni che hanno una corrispondenza con esso e da lasciar cadere altre disposizioni, non circondate dal favore della costellazione. Intere pleiadi di pittori o di dotti, di teste politiche o di nature religiose possono prosperare stupendamente in un'epoca, mentre l’epoca successiva ricopre nuovamente quelle strade già aperte alla personalità. Un Goethe potrebbe diventare ancor oggi Goethe? Appartiene alla tragicità della vita storica che la vocazione di un’epoca  si potrebbe dire la sua predestinazione  tocchi sempre soltanto alcuni lasciando invece altri, che in epoca diversa avrebbero potuto attingere una grandezza umana, nell'esercito sonnolento della massa. Ma un'autentica natura gocthiana metterebbe in moto i suoi clementi e mediterebbe la propria ascesa anche in epoca sfavorevole. Perciò anche le masse non possono mai essere considerate nella storia come masse del tutto morte. Esse sono piene di personalità potenziali che, se anche non possono risplendere, gettano tuttavia un barlume di luce sul loro ambiente. Anche i guerrieri dell'esercito sonnolento sognano la vittoria e la gloria.  Buona e cattiva stagione per la personalità si alternano quindi nel corso della storia. I tempi più favorevoli al suo sviluppo sono quelli dell’albeggiare tra vecchie e nuove epoche, quando forme vitali, idee e istituzioni da tempo dominanti si rilassano e si trasformano, perdendo la loro forza vincolante. Allora il bisogno sociale, politico e spirituale procede incerto alla ricerca di nuove vie; ma presto, come in un'alta marea, spumeggia il coraggio di un pensiero e di un agire nuovo, fresco e perfino rivoluzionario, e brulicano d’un tratto teste vitali e originali. Così avvenne quando la Grecia passò dall’epoca arcaica a quella delle guerre persiane: le rigide costituzioni aristocratiche delle sue città-stato furono turbate dal nuovo fermento della democrazia, e contemporaneamente si destò il dubbio verso l’antica fede negli dèi. La stessa cosa accadde nel mondo romano-germanico alle soglie tra Medioevo ed età moderna, anzitutto nella vivace Italia del Rinascimento, ma anche sul pesante e più duro terreno della Germania agli inizi dell’Umanesimo e della Riforma. Sarebbe però errato cercare in queste epoche l’esigenza e la capacità di produrre nuova vita personale esclusivamente presso i rinnovatori e le loro nuove idee riformatrici. Si potrebbe piuttosto azzardare la tesi che, con quanta maggiore forza e personalità irrompe la nuova vita, tanto più forza vitale dev’esserci ancora in ciò che è vecchio. Le nuove idee non scaturiscono mai da situazioni totalmente marce e senili. La Chiesa romana non era marcia e senile quando Lutero se ne distaccò. Proprio ciò che vi era ancora di vitale nel Cristianesimo medievale gli ha dato un infinito travaglio, e Lutero non si è mai completamente sottratto al suo dominio. Tutte le grandi personalità riformatrici sono state uomini di transizione, la cui interiorità era campo di battaglia tra due epoche  e il cui mondo ideale di penetrante ricerca mostra spesso una continuità sorprendente con la tradizione dalia quale si sono liberati. Di regola il rinnovatore respinge consapevolmente soltanto una parte di ciò che è vecchio, e non ne abbandona mai completamente il terreno. Ma i conflitti che ne derivano sono adatti, come nessun altro, ad agitare l’assopita profondità dell’uomo, spingendolo a raccogliere saldamente e a organizzare gli elementi della sua natura per poter affrontare la lotta con il passato e il mondo esterno  e costruire così la personalità. Allora anche nature di media forza e di medio talento possono innalzarsi al di sopra di se stesse. Ulrico di Hutten' non era affatto un pensatore profondo né un carattere armonico, e probabilmente in tempi normali non sarebbe andato oltre una certa varietà problematica di impieghi del suo focoso impulso vitale; nella sua nuova missione crebbe nel volgere di pochi anni, quasi di colpo, fino a diventare una personalità orgogliosa, libera e sicura di sé. Con un grande senso delle condizioni di vita della personalità Conrad Ferdinand Meyer? ha contrapposto allo Hutten morente il giovane Loyola?, uno dei massimi maestri della storia universale per quanto riguarda la costruzione della propria personalità. Anche il vecchio mondo può infatti mostrare, in queste epoche rivoluzionarie, di che cosa sia ancora capace, e gettare contro l'epoca nuova potenti caratteri rappresentativi. Quando un secolo fa la Prussia muoveva i primi passi decisivi da stato organizzato in base a ceti a stato borghese-nazionale e tutta una serie di importanti personalità si sollevava storicamente all'altezza di questo compito, era al tempo stesso uno spettacolo magnifico vedere lo Junker Marwitz* impegnarsi in una lotta cavalleresca, da antico gentiluomo della Marca, come in 1. Ulrico di Hutten, umanista tedesco, autore dell’Ars versificandi, del Mordus gallicus e di vari altri scritti, fu coinvolto nella vita politica c nelle polemiche letterarie della Germania del primo Cinquecento; fu tra i maggiori collaboratori della raccolta di Epistelae obscurorum virorum (1517). Allo scoppio della Riforma prese posizione contro la Chiesa romana, cd ebbe un'aspra polemica con Erasmo. 2. Conrad Ferdinand Meyer, poeta c romanziere svizzero, autore di Balladen, di Romanzen und Bilder, del poema Muttens letzte Tage e di un altro pocma su Engelberg, nonché di numerose altre poesie e di romanzi, soprattutto di argomento rinascimentale, come /iirg Jenatsch (1876) c Der Heilige (1880). Mcinccke si riferisce qui, ovviamente, al pocma su Hutten. Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, una delle più cminenti figure della Controriforma cattolica. 4. Friedrich August Ludwig von der Marwitz, generale dell'esercito prussiano dal 1817, vagheggiò la restaurazione della vecchia società organizzata in base ai ceti : le sue opere sono apparse postume nel 1852. un’armatura sferragliante, contro l’epoca nuova. Anche il contenuto vitale della vecchia epoca può essere spesso toccato dalle nuove idee, nonostante la sua resistenza esterna, e presentarsi quindi in modo particolarmente ricco d’interiorità e raffinato. I colti amici di Federico Guglielmo IV, accesi di entusiasmo per l’autorità di diritto divino e per il vecchio stato patrimoniale, vedevano nel soggettivismo e nel panteismo dei moderni un peccato mortale; tuttavia non sempre potevano, alla luce di una sottile indagine psicologica, assolversi l’un l’altro da questo peccato. Per comprendere tale gioco riflesso di idee la semplice storia delle idee non è sufficiente, perché essa non può non cedere alla tentazione di vedere l’individuale come qualcosa di soltanto ideale. Solamente la domanda relativa all’effetto che questi intrecci di idee hanno avuto sulla formazione della personalità conduce nel cuore dell’uomo. Ogni epoca produce anche i suoi particolari tipi di personalità. Nei periodi di ampio e inarrestato dispiegamento delle forze nazionali, quando le lotte di liberazione e di unificazione gloriosamente condotte a termine, la fine dei disordini cittadini, la prosperità economica elevano il sentimento di sé, risvegliano la fiducia in sé e nell’epoca, stimolano il senso imprenditoriale, la personalità si sviluppa in modo diverso che nei tempi di lotta e di transizione. L'Atene di Pericle, la Roma augustea, l’Inghilterra nell’epoca di Elisabetta e l'Olanda nel suo secolo d’oro hanno vissuto periodi del genere. Allora recedono le tensioni interne e le lotte psicologiche, in cui il singolo cerca se stesso seguendo la sua legge; si appianano le rughe dei volti e gli uomini ci appaiono più armonici e pacifici, più ricchi e rigogliosi. Allora spiriti grandi, medi e piccoli possono dispiegarsi l’uno accanto all’altro in una pienezza brulicante e recare alla luce tutto quanto è in essi presente. Un Sofocle e un Orazio, uno Shakespeare e un Rembrandt crebbero in queste condizioni. Anche i caratteri politici possono, in queste epoche che scorrono tranquille o  il che è assai simile  alla testa di piccoli stati non scossi fortemente dalle lotte per la potenza, perdere qualcosa della rigida unilateralità della loro 5. Federico Gugliclmo IV (1795-1861), re di Prussia dal 1840 alla morte, amante dell'antichità e delle arti. volontà, e apparire più rilassati, più inclini al compromesso e più disposti al godimento e a una cultura più varia. Pericle non ha sviluppato la sua poliedrica personalità durante le guerre persiane e neppure in quelle peloponnesiache, ma negli opulenti decenni intermedi. E le repubbliche cittadine italiane e tedesche, i piccoli e medi stati tedeschi, la Svizzera, hanno prodotto non pochi uomini di stato forniti di una certa forza mite, di costante avvedutezza e di equilibrio spirituale  dal borgomastro strasburghese Jakob Sturm ai moderni uomini di stato del Baden all’epoca della fondazione dell'Impero. Non si deve certo dimenticare che un'epoca di lotta e di transizione non è mai esclusivamente tale, c che non vi sono neppure epoche e situazioni di pura fioritura e raccolta. Ogni epoca storica ha sopra di sé diversi strati atmosferici disposti l’uno sull’altro, tempestosi o sereni, e i contemporanei cercano ora nell’uno ora nell’altro la collocazione della loro personalità. Spesso però i caratteri più grandi e più ricchi possono muoversi contemporaneamente con eguale energia in tutti questi strati. Occorre ancora una volta pensare al Rinascimento italiano, in cui si vedono sovrapposti immediatamente gli strati di una forza che erompe rigogliosamente, di una contemplazione dimentica del mondo, di conflitti appassionati di idee e di tenza. Nella sua qualità di uomo di stato in esilio Machiavelli racconta come passava il tempo nel suo villaggio giocando per alcune ore al giorno con gente del popolo, per poi ritornare nel suo santuario e alzare con venerazione lo sguardo alle opere degli antichi. Contemporaneamente, però, scriveva il libro sul Principe, che conteneva una forza la quale avrebbe mosso il mondo. In questa doppia vita di passione politica e di godimento spirituale egli ebbe un precursore nell’imperatore Federico II”, certamente la personalità più colta del Medioevo. Sturm, giurista e uomo politico tedesco, fu uno dei capi della Riforma protestante in Germania. Avviato alla carricra ecclesiastica c poi a quella diplomatica, studiò diritto a Liegi c a Porigi; rientrato nel 1524 a Strasburgo, fece parte del Senato c quindi, a partire dal 1526, del Consiglio dei Tredici; in seguito fu varie volte presidente del Senato. Convertitosi alla dottrina luterana, prese parte alle controversie religiose dell'epoca, e svolse un'intensa attività diplomatica, rappresentando Strasburgo alla prima dicta di Spira e in varie altre occasioni. 7. Federico Il di Svevia, re di Germania c, dal 1220, imperatore del Sacro Romano Impero, viene qui ricordato per i suoi interessi culturali, che fecero Anche questi viveva in un secolo intimamente duplice, in cui c'era la compenetrazione e l'accostamento di vecchie e nuove idee, il rigoglioso dispiegamento della vita e lo scontro più violento; in tutte queste sfere Federico II si muoveva con eguale virtuosismo, artista nella vita e uomo di volontà a un tempo, e di durezza diamantina nel nucleo del suo essere. Emerge qui la personalità, per alcuni aspetti comparabile, di Federico il Grande, che dal suo secolo prese sia gli ideali filantropici e i gusti spirituali della filosofia illuministica sia il lavoro di formazione dello stato e della potenza che disprezza gli uomini, mescolando eroicamente queste contraddizioni nelle prove imposte dal destino alla sua personalità. Attraverso l’irradiarsi della sua natura e delle sue azioni egli diventò uno degli elementi di formazione delle personali tà della nostra epoca classica. Nulla agisce in modo così immediato sul destarsi della personalità nell’uomo come il modello di una personalità estranea. Tutta la vecchia concezione della storia e la vecchia etica della storia non conoscevano consiglio migliore che quello di fare  come ha detto Machiavelli  come l’arciere che dirige il suo arco più in alto del bersaglio, e di scegliersi a modelli della propria condotta di vita i maggiori eroi, i grandi eroi irraggiungibili del passato. Da allora noi sappiamo che con la semplice imitazione di tratti estranei non si è fatto ancor nulla, e che non basta l’imitazione da sola a mediare le influenze di una personalità sull’altra. Tutti i materiali e gli stimoli del mondo storico, che l’individuo trae da esso per formare la sua personalità, equivalgono agli elementi del terreno che la pianta estrae scegliendo secondo il bisogno della propria legge di formazione organica e respingendo ciò che non le si confà. Federico il Grande aveva tratti quanto mai estranei, addirittura antipatici, a Goethe, Schiller, Kant e Fichte: non si appassionavano per lui, anzi lo rifiutavano in vari modi, ma lo rivivevano. Non potevano fare a meno del miracolo che aveva reso possibile un uomo del genere  eroe e filosofo al tempo stesso  nella loro epoca, che ritenevano della sua corte palermitana uno dei maggiori centri della vita intellettuale della prima metà del secolo xt. Fu egli stesso uomo esperto di matematica e di scienza naturale; le sue liriche ne fanno uno dei primi pocti italiani, esponente della scuola siciliana. Alla sua iniziativa si deve il codice. troppo colta e raffinata. Sicché Federico il Grande non ha solamente rafforzato la loro coscienza nazionale e l'orgoglio di essere Tedeschi, ma ha anche consolidato  cosa ancor più necessaria per loro  la fede che la loro vocazione e il loro dovere consisteva nel rompere i limiti della convenzione, i pregiudizi dell’epoca, e diventare uomini seguendo la propria legge. Anche dai tempi in cui vissero essi e le altre personalità della loro generazione attinsero la linfa di cui avevano bisogno, secondo le leggi della più individuale affinità elettiva. Essi vissero successivamente un’epoca di dispiegamento, un’epoca di lotta e poi ancora una pacifica età di dispiegamento nei giorni dell’ancien régime al tramonto, della Rivoluzione francese e di Napoleone, e poi della Restaurazione  una molteplicità d’impressioni di incomparabile vantaggio non soltanto per coloro che da esse furono chiamati ad agire e ad affrontare la vita, ma anche per coloro che vollero accoglierle in sé soltanto con anima silenziosa e indipendenza interiore. Dapprima si vinse con uno sviluppo interiore la pressione esercitata sulla vita personale dalle invecchiate articolazioni di ceto della società e dalla tutela da parte dello stato assistenziale; si edificò in sé un autonomo mondo spirituale, così saldamente fondato sull'essenza dello spirito umano da poter affrontare tutte le scosse e i rivolgimenti successivi delle situazioni storiche senza suscitare alcun dubbio sulla giustizia e sulla fecondità dei suoi princìpi fondamentali. La vita interiore dei nostri grandi poeti e pensatori procedette regolare e potente senza mai deviare, pur in mezzo a tutte le esperienze dell’epoca, dalla convinzione che lo spirito si costruisce il corpo ed è in grado di riedificare secondo il proprio bisogno qualsiasi forma distrutta. Perciò, non appena questo compito si presentò allo stato prussiano dopo il 1806,.le forze erano immediatamente disponibili. Ora essi non avevano altro pensiero se non quello di risollevare lo stato caduto in basso risvegliando nella nazione una nuova vita personale. Non già che si immaginassero di poter creare delle personalità ad opera dello stato: ciò che si voleva creare era soltanto la possibilità, per l'individuo, di diventare una personalità, liberandolo dalle catene di un mondo storico invecchiato, offrendogli nuove forme di azione e confidando per il resto nell’alito dello spirito. E per quanto la distruzione delle vecchie forme di stato e di società e la costruzione di quelle nuove non giungessero allora neppure a metà cammino, questa fiducia conservò tuttavia la sua legittimità. Anche nell’ibrido mondo dell’età della Restaurazione, che da alcuni fu sentito e vissuto come prospero dispiegamento, come bonaccia alcionesca , da altri come indegna vittoria delle forze del passato sulle forze del futuro, le personalità eruppero trovando in essa sia il sereno silenzio di cui gli uni avevano bisogno, sia la lotta turbinosa di idee che per gli altri costituiva l’aria vitale. Fin dopo la metà del secolo x1x l’idealismo e l’individualismo classico hanno così fecondato, attraverso l’influenza immediata delle loro idee originali, lo sviluppo dell’individuo a personalità. Anche la rappresentazione dell’essenza della personalità in generale, di cui si è detto all’inizio, si è sviluppata su questo terreno. Ma prima essa dovette essere riconquistata perché  come abbiamo visto  correva il pericolo di venir svalutata da un nuovo modo di pensare dannoso alla personalità. Questa crisi non era però altro che l’aspetto parziale di una svolta di tutta la nostra vita storica, che da una considerazione puramente teoretica ci conduce sempre più ai problemi pratici del nostro tempo e ci ripropone una duplice questione: che cosa significa il mondo odierno, così com’è storicamente divenuto, e che cosa significa il mondo storico del passato, così come esso ci si rappresenta oggi, per la formazione della personalità moderna? Queste due questioni sono ancora una volta strettamente connesse tra loro. Paragoniamo i vantaggi e gli svantaggi della nostra situazione storica odierna con quella in cui Goethe e Wilhelm von Humboldt poterono formarsi come personalità. Anzitutto si mostrano alcuni parallelismi. Come quell’epoca dopo la pace di Hubertusburg, così anche noi abbiamo vissuto un'epoca di indisturbato e rigoglioso dispiegamento delle forze nazionali. Ciò che per quell’epoca fu la personalità di Federico il Grande, per noi è stato  con un'influenza ancor più 8. È la pace che conclude, nel febbraio 1763, la guerra dei Sctte anni, assicurando fino allo scoppio della Rivoluzione francese  pur con alcune interruzioni  un lungo periodo di pace in Europa. costrittiva e più ampia  la personalità di Bismarck. Come quell’epoca fu risvegliata dalla sua pace dalla catastrofe mondiale delle guerre rivoluzionarie, così noi siamo stati risvegliati dalla catastrofe della guerra mondiale. Alcune somiglianze più sottili potranno un giorno svelarsi, sulla base di questi fatti comparabili, allo sguardo dello storico. Oggi ancora non riusciamo a vederle; abbiamo l’impressione che prevalgano le differenze interne. Molti degli impedimenti esterni che allora ostacolavano lo sviluppo della vita individuale sono scomparsi  soprattutto le barriere sociali e i legami della società organizzata in ceti dell’ancien régime. Il nobile non opprime più il borghese, i contadini sono da un secolo liberi dal giogo. Nella vita statale ed economica l’impulso produttivo dell’individuo, fecondato dagli impulsi di una grande e potente esistenza nazionale, può agire in modo incomparabilmente più libero e più ricco. Anche il costume e la condotta della vita si sono da allora allentati in modo che ogni forte bisogno personale può manifestarsi liberamente. Le possibilità esterne di dispiegamento della personalità sembrano quindi essersi moltiplicate, mentre l’ambiente che avrebbe potuto ostacolarlo sembra diventato più pieghevole e flessibile. Abbiamo messo un individualismo di massa al posto dell'individualismo della nostra epoca classica, limitato a piccoli strati e a piccole cerchie; e nelle masse del quarto stato, da poco comparse sulla scena, si è oggi largamente diffuso l’impulso a prender parte a tutti i beni culturali secondo la misura della propria possibilità e del proprio desiderio. E tuttavia, nonostante tutte queste facilitazioni e moltiplicazioni di possibilità, la nostra epoca non può competere con la grandezza dell’opera di quella, che pur in mezzo a tutti gli ostacoli esterni e all’angustia della vita nazionale e sociale era in grado di costruire l’autonomo mondo spirituale della personalità. Forse che, in presenza di un’accresciuta fecondità esterna, siamo diventati interiormente più piccoli e infecondi? Può essere; ma solamente le generazioni successive potranno giudicare in modo definitivo. Possiamo tuttavia forse dire, acuendo lo sguardo, che il compito di diventare personalità è per l’uomo moderno non già più facile, ma più difficile; che lo sviluppo moderno non soltanto ha liberato la strada da vecchi ostacoli, ma ha ammassato ostacoli nuovi e forse maggiori. L’ideale classico di umanità e di personalità fu creato con la risoluzione di ignorare l’ambiente storicamente divenuto con i suoi ostacoli e con la sua meschinità, di collocarsi al di sopra di esso, di metterlo in disparte per potersi accingere indisturbati alla costruzione del mondo interiore e della libera personalità. Questa risoluzione fu allora possibile perché nell’ancien régime al tramonto lo stato e l’individuo potevano ignorarsi reciprocamente e fare a meno l’uno dell’altro, perché non avevano ancora nulla di essenziale da offrirsi. Altrettanto poco sviluppati erano lo scambio e l’azione reciproca tra il concreto mondo economico-sociale e il mondo spirituale. Questa distanza dalla vita e dalla realtà, in cui da noi si dispiegò all’inizio la libera personalità propria dell’ideale di umanità, non poteva però durare. La personalità stessa si spinse ben presto nel calore e nella pienezza della vita che a sua volta aveva bisogno di essa, la invocava e le poneva compiti grandi e fecondi nello stato, nella società e nell’economia. Questa prossimità vitale tra personalità e ambiente concreto, acquisita nella prima metà del secolo x1x e da allora ancor sempre accresciuta, rappresentava per la personalità  come sempre avviene  tanto un guadagno quanto una perdita. Essa acquistò in fini creativi e in impulso creativo, sviluppando un gran numero di forze e di capacità prima sonnolenti, che non ci si sarebbe mai aspettato dai Tedeschi; perdette in indipendenza interiore, in auto-riflessione e in auto-determinazione interiore e quindi, in ultima analisi, anche in intima forza spontanea e rigenerativa. Essa correva ora, di fatto, il rischio di diventare mera funzione al servizio dei nuovi compiti sui quali si gettava, di cessare di essere scopo autonomo e di diventare mezzo per altri scopi, certo assai grandi ma pur sempre impersonali. Tutte le istituzioni che spingono gli uomini a raccogliersi in una massa  pensava il giovane Wilhelm von Humboldt  sono oggi più dannose che mai per la formazione degli individui, e l’uomo non dovrebbe essere sacrificato al cittadino. Humboldt non poteva immaginare fino a qual punto il secolo xrx avrebbe riunito gli uomini in masse e li avrebbe trasformati in cittadini. E non soltanto la vita politica borghese contribuiva a raccogliere gli uomini in masse, ma anche le diverse professioni cominciavano a impegnare la personalità con forza maggiore che nell’epoca classica. La divisione del lavoro agevolava il lavoro collettivo e in apparenza anche il lavoro individuale, ma danneggiava le radici della loro forza. Essa costringeva l'individuo a scomporsi in se stesso, a restringere la sfera della pura vita personale  il rifugio dell'anima in sé  per soddisfare le accresciute pretese del mondo esterno. Ne sono nate tensioni spesso assai feconde per la formazione del carattere, perché si voleva ora bastare insieme a se stessi e al compito di vita oggettivo, e nel complesso la vita tedesca è risultata più ricca di tipi di personalità professionalmente differenziati. Il moderno imprenditore, il moderno politico di professione, e inoltre i vecchi tipi del funzionario amministrativo, dell’ufficiale, del dotto tedesco  adattati ai nuovi tempi  presentano nel loro insieme un quadro incomparabilmente più ricco di varie forme di personalità oggi possibili che non quello, per esempio, della società nobiliare dei ceti superiori che compare nel Wilhelm Meister di Goethe. Ma ora è anche facile che il tipico sopraffaccia il singolare e l’individuale. È chiaro che queste difficoltà, con cui deve combattere la formazione della personalità moderna, sono prodotte da essa in virtù del suo proprio lavoro storico, Costruendo a poco a poco le singole sfere della cultura moderna, consacrando loro il proprio sangue vitale, accrescendo il loro contenuto e la loro importanza, essa fece sì che queste diverse sfere ottenessero per sé anche individualità e personalità, che entrassero in lotta tra loro per il proprio potere, per la propria auto-affermazione. Procedendo dalla comunità spirituale-mondana ancora originariamente unificata nel corpus christianum del Medioevo, vennero dapprima a separarsi tra loro una sfera statuale e una sfera ecclesiastica; ma anche la scienza, l’arte, l'economia, le classi sociali ecc. si costruirono a poco a poco sedi proprie, e tale processo si è moltiplicato nel secolo x1x. Queste diverse sfere culturali crescono  come gli atolli corallini  in virtù del lavoro di milioni di personalità grandi e piccole; ciò che prima era vivente opera personale diventa ben presto opera rigida, inflessibile, convenzionale, costringendo sotto il suo dominio la personalità che per la prima volta si presenta al posto di lavoro. Proprio una considerazione unilaterale di questo processo fu quella che produsse la dottrina positivistica della personalità. AI contrario, noi dicevamo che le diverse sfere culturali e i beni culturali che in esse hanno la loro sede possono conservarsi e accrescersi soltanto attraverso l’opera delle personalità. È chiaro però che l’epoca più favorevole per il pieno, libero, vivente manifestarsi della personalità nel mondo culturale è appunto quella in cui quest’ultima viene costruita per la prima volta e non è ancora edificata troppo compiutamente. Dov'è possibile scoprire un nuovo territorio, là compaiono in gran numero i grandi costruttori di cultura. Ma la nostra situazione è simile a quella di una città vecchia e densamente abitata che esige sì, anche nelle sue parti antiche, parecchie trasformazioni e muove costruzioni, ma con compromessi continui, travagliati, che paralizzano il libero volo dei progetti. Oggi il mondo storico è costruito tutto intorno alla personalità  questo è il nostro destino. Guai a te se sei un nipote! Oppure c'è una possibilità di liberarsi dalla pressione del passato, dalle opera operata, e di dispiegare di nuovo liberamente l’ala della personalità? Forse che ci affanniamo troppo intorno a questo passato, che sappiamo troppo di esso e lo rispettiamo con eccessivo timore? è forse il cosiddetto storicismo a tormentarci e a renderci deboli? Ne deriva la questione di ciò che significa per la formazione della personalità la conoscenza, l'intuizione del mondo storico passato e l’immergersi in esso con amore  forse con troppo amore  di cui ci vantiamo come di una delle grandi conquiste del secolo xrx. È noto che Nietzsche cominciò la sua carriera di sovvertitore dei valori con un attacco appassionato allo storicismo, quando nel 1873-74 scrisse la dissertazione sull’utilità e sullo svantaggio dello studio della storia’. La moderna formazione storica  egli asseriva  indebolisce gli istinti creativi della personalità perché la forza plastica riposa sul dimenticare, sul poter dormire. La sazietà della storia condurrebbe a una fede da epigoni, rende l'individuo spaurito: la storia è sopportata soltanto dalle forti personalità, mentre dissolve completamente quelle deboli, poiché essa confonde il sentimento dove questo non è abbastanza 9g. Meinecke si riferisce qui alla dissertazione Vom Nutzen und Nachteil der Historie fiir das Leben, che costituisce la prima delle Unscitgemasse Betrachtungen, Leipzig. forte da commisurare a sé il passato. I Greci sono stati un popolo eminentemente astorico. Nietzsche avrebbe anche potuto fare riferimento alle generazioni della nostra epoca classica, che hanno prodotto la maggiore ricchezza in fatto di personalità. Anch’esse erano in alto grado astoriche; o almeno esse cominciarono come tali. Come tennero il più possibile distanti lo stato e l’ambiente sociale concreto, così esse trascurarono, anche nella formazione dei loro ideali, il passato storico. Esse fecero eccezione solamente per la Grecità, elevandola a proprio canone  ma non per la Grecità storica, bensì per la Grecità plasmata secondo i loro propri ideali, la quale diventò così un’ipostasi di questi ideali. Agiva qui un potente istinto plastico che non si sottometteva al passato, ma che sottometteva a sé il passato trasformandolo in leva della propria volontà di vita. Ma  miracolosamente  in questa lotta tra la personalità e il passato accadde che anche il passato acquistò forza, la sua ombra si riempì di sangue vitale, acquistò forma e linguaggio e cominciò a dare testimonianza di sé. Dal movimento di pensiero dell’idealismo tedesco e dal Romanticismo, che ad esso si collega, sono infatti scaturite la nuova concezione della storia e la nuova ricerca storica culminata in Ranke. Questo movimento di pensiero era nello stesso tempo strettamente connesso con quelle grandi svolte che condussero le personalità più in profondo nella vita concreta dello stato e della società. La contemplazione storica e Ja creazione politico-sociale del secolo xIx non devono essere separate nella loro origine, e si sono pure continuamente fecondate tra loro. Potenti e istintivi bisogni fondamentali spinsero la personalità dapprima ad acquistare la propria libertà e autonomia in una distanza vitale priva di storia e di stato, per inserire in seguito nel mondo storico, con l’azione e il pensiero, la forza così acquisita. Nietzsche ha completamente trascurato il fatto che lo storicismo, il quale uccide a suo parere gli istinti creativi, era in ultima analisi scaturito proprio da istinti creativi quali quelli che egli esigeva. Si è a buon diritto obiettato a Nietzsche, anche sul piano personale, che lui, il critico amaro della cultura storica, ha poi tratto la sua forza da una cultura storica di inconsueta finezza. Una delle conoscenze più sottili che la cultura storica potesse fornire era appunto la capacità di apprezzare anche la forza e il significato degli istinti non storici nella vita storica. Nessuno che abbia spinto lo sguardo fin dentro i suoi abissi potrà negarlo. E neppure si potranno negare i pericoli dello storicismo che Nietzsche ha scoperto. Si può tuttavia porre in dubbio la possibilità di liberarsi dalla cultura storica una volta che la si è accolta in sé. Si può definire un paradiso il mondo degli istinti creativi non gravati dal sapere storico; ma una volta che si sia mangiata la mela della conoscenza storica, non possiamo più far ritorno in questo paradiso. Come nel volgersi della personalità verso la vita produttiva, anche qui c'è una necessità storica che ha prodotto dal suo seno gli irrobustimenti e gli indebolimenti della nostra vita. Noi veniamo indeboliti dalla cultura storica quando ci lasciamo ridurre a puri suoi recipienti, quando ci lasciamo sopraffare da un’erudizione massiccia che però non riusciamo a penetrare del tutto spiritualmente. Noi veniamo ancora seriamente indeboliti nella nostra intima forza produttiva quando non osiamo più svincolarci dalle dande della tradizione storica e dei modelli storici o quando ci immaginiamo di poter padroneggiare spiritualmente la nostra erudizione con quel relativismo rapido e virtuosistico che crede di comprendere tutta la realtà storica, al pari del presente, attraverso un’elegante illustrazione della sua necessaria causalità e quindi attraverso la sua giustificazione. A chi crede di poter in questo modo chiudere le questioni, a chi non è capace di tacere di fronte agli enigmi e agli abissi spaventosi dell’umanità storica, e anche di fronte ai miracoli divini che in essa si manifestano, la cultura storica ha di fatto tolto dalle ossa ogni midollo. Nietzsche ha allora ragione: essa è veleno per il debole, e nutrimento per il forte. In definitiva ogni cultura, e quindi anche ogni educazione, deve in primo luogo pensare ai forti e non ai deboli. Ma spesso la forte personalità trova oggi proprio nel mondo storico la consolazione e il sostegno minacciati dal gravoso e opprimente presente. Essa trova consolazione € sostegno partecipando interiormente alle lotte del passato, lasciandosi scuotere dagli oscuri destini e dai poteri sotterranei che irrompono nella vita dello spirito, lasciandosi sollevare dall’immortale volontà dello spirito, per sconfiggere il destino e costruire un proprio mondo in mezzo al mondo della ferrea connessione causale. Allora si riconosce che il problema della vita individuale non è diverso da quello della storia universale cioè la contrapposizione tra libertà e necessità. Ma si riconosce pure che libertà e necessità non soltanto si contrappongono, ma al tempo stesso si intrecciano, e che senza il fecondo impulso coercitivo della necessità non è possibile alcuna libertà. Ciò che importa è penetrare il necessario con la libertà. Quelle potenze storiche vitali dello stato, della società, delle sfere culturali e delle professioni, che oggi sembrano minacciare più fortemente che mai la libertà e la specificità della persona, hanno quest’effetto, ossia sprofondano nel regno della rigida necessità, solamente quando la personalità rinuncia a trasporre in esse il suo elemento più proprio, sia sfuggendole codardamente, sia sottomettendovisi ciecamente. Ma la pressione e la coercizione dell’ambiente storico cedono e diventano una benefica atmosfera vitale se la personalità comprende la sua posizione organica e il suo compito nel processo storico complessivo, e riconosce la possibilità di rimanere libera e se stessa anche al servizio della totalità. Tuttavia lo stesso processo storico complessivo è il grande modello e la camera del tesoro dell’individualità. L'aspetto di ricchezza infinita di forme umane ch’esso offre dischiude spesso nell’osservatore come una bacchetta magica forze affini, scioglie impedimenti e pregiudizi interni, lo rende indulgente e comprensivo. E per quanto il senso affinato della multiformità individuale della vita storica possa indurre nature più deboli a perdersi in essa, il bisogno dell’individuo più forte non si acquieterà finché non scopre la struttura interna di questa pienezza brulicante, finché non scorge nella loro lucentezza dorata i più alti tra tutti i fenomeni individuali le idee sorretti da personalità. Ma allora scocca la scintilla dentro la vita personale, destando anche in essa l’infinita esigenza di venir governata dalle idee. Questa via alla personalità, che passa attraverso la cultura storica, è quindi diversa, più faticosa e più minuziosa di quella che indicano gli istinti elementari di una vita tutta immersa nel presente. Qui la riflessione deve per più versi sostituire ciò che la fresca natura non è più in grado di fare. Essa lotta continuamente con la zavorra del materiale storico. Prima di essere in grado di diventarne signore, lo spirito deve sottoporsi alla pressione di un’educazione rigorosa e faticosa, la quale deve renderlo capace di creare la vita passata dalla fonte stessa, anziché da torbide derivazioni. Questo tipo di educazione rischia a sua volta di snaturarsi in mero addestramento, perché il carattere di massa della vita moderna lo spinge a rivolgersi più alla media degli uomini che alla individualità. Tutte le difficoltà e le contestazioni con cui deve oggi combattere l’insegnamento storico-umanistico, tutti i tormenti e le manchevolezze dell'esame devono qui essere presi in considerazione. In definitiva, però, il valore o disvalore di questo processo di formazione può venir riconosciuto soltanto dai frutti che matura; e qui, ancora una volta, decide non la quantità, ma la bellezza e la dolcezza del frutto. E presso di noi esso continua pur sempre a crescere verso una nobile perfezione. Chi tra noi, che l’abbia gustato, potrebbe rinunciarvi? Tra noi, se non vogliamo diventare più poveri e ritornare in basso, non può scomparire quel tipo di personalità che nel mondo storico si allarga fino all’infinità dello spirito e del senso, fino a una dolce e forte sensibilità per tutto ciò che è umano. Anche la vita moderna si preoccupa che altri tipi si pongano a fianco di questo e lo conservino vivo con la loro concorrenza reciproca. È emerso, senza vincoli e risoluto, il moderno uomo di volontà e di potere, che aspira a governare con mano salda le leve rafforzate della civiltà, dell'economia e della tecnica odierna, apprezzando tutti i valori culturali in base alla utilità ed effettualità immediata. Non è solamente un utilitarismo sensibile-egoistico quello che fa qui la sua comparsa e che, se pervenisse al dominio, minaccerebbe nel modo più pesante la vita della personalità. Anche l’utile della comunità può diventare un motivo che spinge la personalità; e per sua fortuna lo diventa in larga misura, perché i bisogni della moderna vita comunitaria sono cresciuti così infinitamente e sono diventati talmente prepotenti che nessuno può più sottrarvisi del tutto; essi sono in grado di sollevare al di sopra di sé anche chi all’inizio perseguiva soltanto il proprio utile. Questa socializzazione della nostra vita, che è rapidamente cresciuta nel corso della guerra e che crescerà ancor di più per le sue conseguenze, minaccia certamente anche la personalità come abbiamo osservato con il destino di perdersi nella totalità e di diventare una semplice funzione di essa. Ma meno di tutti ne sono minacciati proprio i più forti tra gli uomini di volontà e di azione. Lo ha dimostrato già Bismark, che sotto vari aspetti prefigurava questo tipo. Certamente egli aveva ancor sempre un sentimento di partecipazione alla cultura storica più vivo di quel che possiede di solito il moderno uomo di volontà. Questo tipo si trova ancora in fase di sviluppo, ed è ancora troppo presto per valutare le possibilità di una umanità superiore che sono in esso presenti. Ma qui e là si manifesta in lui la buona volontà di ricostruire i ponti spezzati con la cultura storica, di diventare al tempo stesso uomo di volontà e di spirito. Allora da un istinto veramente plastico nascerebbe tra noi qualcosa di nuovo e di grande. Si vorrebbe concedere la stessa fiducia anche a un terzo tipo di aspirazione moderna alla personalità, che condivide con il corso della cultura storica il bisogno di un contenuto culturale interiore e con l’utilitarismo il rifiuto di una formazione storica rigorosa. Si tratta del soggettivismo moderno che, adirato contro la rigida disciplina di questa formazione, si abbandona, seguendo Nietzsche, agli innati istinti originari della natura e dell’individualità e il giorno innanzi a me, la notte alle mie spalle 1! esce allo scoperto. Ad esso si affidano soprattutto le nature dotate artisticamente. La loro mancanza di rispetto per la cultura storica e il mondo storico ha le proprie radici, in ultima analisi, nelle esperienze storiche del secolo x1x e nella situazione tragica che esso ha creato per lo spirito artistico. In esso sono state distrutte e lacerate le salde forme di vita della vecchia società al pari dei saldi stili della creazione artistica. Il nuovo, ciò che ne prese il posto nella società e nell’arte, assomigliò a edifici a scopo di utilità o di moda, rapidamente costruiti per i bisogni della massa, senza quella patina dignitosa, senza un gusto delle forme, ma sfigurati piuttosto dal gusto rozzo degli arricchiti. La vecchia forma irrevocabilmente perduta e il ritorno ad essa afflitto dalla maledizione propria degli epigoni; la nuova forma insufficiente e ripugnante, e in verità l'assenza di forma accompagnata tuttavia da un insopprimibile bisogno di forma: non c’era da 1o. Goetne, Faust, v. 1087 (tr. it. di F. Fortini), meravigliarsi che il soggetto dotato di sensibilità artistica, senza sostegno nel mondo storico e rigettato su di sé, si abbandonasse a un’irrequieta sperimentazione e all’escogitazione di nuove forme arbitrarie, trovando la libertà della personalità nella mancanza di legami. Ogni volta ci viene assicurato di nuovo che ora il tempo della ricerca è finalmente passato e che è stata trovata la nuova sintesi della vita con la nuova forma artistica. E quando ci avviciniamo pieni di aspettative, ogni volta ci accorgiamo di una lotta di nature altamente dotate, che però sembra condannata a una tragica mancanza di radici e all’artificiosità. Noi comprendiamo il fatto che la loro personalità tormentata si rivolta contro la pressione che viene dall’ambiente odierno non soltanto socializzato, ma anche utilitaristico e meccanizzato; e a questo proposito non si deve neppure dimenticare la pressione del falso storicismo, scolasticamente meccanizzato. Ma i mezzi di difesa a cui ricorre lo spirito soggettivistico ci sembrano violenti e spasmodici. La distanza dalla vita e dalla realtà, in cui esso ritorna in varie guise a perdersi, non è comparabile a quella in cui vivevano gli uomini della nostra epoca classica, perché viene soltanto artificiosamente estorta a una vita alle cui potenti correnti complessive nessuna personalità sana e forte può più sottrarsi. Spesso in luogo dell’interiorità cercata e preesistente emerge soltanto una nuova esteriorità dall’acconciatura moderna, una mera moda culturale. Nel moderno espressionismo ci si sottrae nel modo più coerente a tutti i diritti e a tutte le catene della tradizione e della realtà. Ma ancor più immediatamente la cultura storica è minacciata dalle esigenze di riforma educativa e scolastica avanzate dal movimento giovanile. Invece noi chiediamo: è realmente impossibile pensare al tempo stesso in modo moderno e storicamente? ed è impossibile tuffarsi nella corrente della vita moderna senza perdere la solitudine sacra della vita interiore? Occorre anzitutto riconoscere liberamente e coraggiosamente la difficile situazione in cui oggi si trova la personalità. Noi viviamo in una cultura vecchia, ma probabilmente ancora lontana dall’essere decrepita. Proprio perché oggi sentiamo di nuovo con tanta passione il problema della personalità, possiamo aver fiducia che sotto la lava irrigidita degli strati culturali del passato, che sovrastano la nostra vita, esso arde ancora potentemente. Noi viviamo altresì in un’epoca di rivolgimenti inauditi delle condizioni di vita esterna, e come potevamo già definire una rivoluzione ciò che avevamo vissuto nei decenni prima della guerra, così possiamo farlo per ciò che è accaduto dopo di allora e per ciò che dobbiamo ancora aspettarci. Si susseguono nuove libertà e nuove estensioni, ma anche nuove forme di dipendenza e nuove restrizioni della vita individuale. Affermare il carattere aristocratico del tipo tedesco di formazione della personalità, come si è configurato finora, è inevitabile, ma anche infinitamente faticoso. Noi abbiamo vissuto la successione e la mescolanza di epoche di rigoglioso dispiegamento e di epoche di transizione e di lotta. Questi possono essere come abbiamo già chiarito tempi in cui le personalità prosperano, ma noi percepiamo soprattutto la pressione e la minaccia a cui siamo esposti. Contemporaneamente sentiamo però ancora il potente appello che la nostra epoca rivolge alla personalità. Intorno a noi si è accumulato un vecchio vivente, un vecchio irrigidito, un vecchio distrutto un mondo insieme di vita e di ruderi, oggi scosso più fortemente che mai dalle tempeste distruttrici e purificatrici del nuovo. Qui l’individuo deve scegliere e distinguere, secondo la propria coscienza e il proprio impulso, ciò che vuol affermare, ciò che vuol lasciar andare, ciò che vuol riprendere di nuovo. Egli può farlo solamente se si conserva libero dalla coercizione gravosa del passato, ma in profonda compartecipazione con tutti i valori vitali del passato. Pensare al tempo stesso in modo moderno e storicamente è, in una situazione del genere, non soltanto possibile ma necessario. Soltanto così all'impeto dall'esterno è possibile opporre la più possente ma nello stesso tempo sempre elastica. forza interna, e conservare il nerbo vitale della personalità, l’auto-determinazione interiore. Mai è stata più impellente l’esortazione rivolta ad essa: diventa libera, diventa te stessal . Possiamo adesso trarre le conseguenze per l'odierno insegnamento della storia. S'intende che qui non parlo soltanto dell’insegnamento della storia in senso stretto, ma di tutte le discipline che tramandano un contenuto storico, delle lingue antiche e moderne così come dell’insegnamento della religione. Esse costituiscono un’unità in cui un elemento deve integrare l’altro e in tutti quanti devono essere presenti le stesse idee direttrici. In primo piano si colloca il desiderio che l’insegnante di discipline storiche abbia egli stesso l'impulso alla personalità. Fin dall’inizio il mondo storico può diventare vivo ai nostri occhi soltanto attraverso la mediazione di una personalità estranea, che sta con esso in un rapporto immediato. A ciò si collega l’ulteriore desiderio che questo rapporto immediato con le fonti del passato, a cui l'insegnante di storia si è accostato durante i suoi studi, non lo abbandoni durante la sua professione pedagogica. Non già che pretenda dall’insegnante di storia un lavoro produttivo di ricerca, per quanto questo sia benvenuto quando deriva dall’impulso del talento. Ma desidero che l’insegnante di storia si faccia un diletto personale non soltanto del leggere, ma anche del gustare le fonti del passato in cui si rispecchiano in modo particolarmente individuale lo spirito e la situazione propri di un'epoca. Un’influenza particolarmente feconda mostrano qui le opere dei pensatori dominanti dei secoli precedenti. La cultura storica si rafforza fino a diventare formazione della personalità per colui che, durante tutta la sua vita, non può fare a meno di Platone e di Agostino, di Lutero, Machiavelli e Montaigne, di Federico il Grande e Rousseau, dei grandi idealisti tedeschi e di Bismarck. In una lettura siffatta, derivante sempre da una scelta guidata dal bisogno più intimo, ripongo maggior valore che nell’attenzione che l’insegnante di storia dedica alla letteratura specialistica e alle controversie scientifiche. Egli non potrà mai evidentemente sottrarsi del tutto a quest'ultime; ma per conservarsi interiormente fresco, per poter riempire l'insegnamento con fermenti di vita personale, non esiste miglior mezzo della familiarità con i grandi. L'allievo ben dotato sa distinguere con precisione l'insegnante colto da quello che è soltanto ben informato. Se nell’insegnante l'impulso ad arricchirsi interiormente con la materia che tratta, ad acquistare nell’umanità storica la propria umanità, non diventa visibile attraverso tutto il suo sapere, l’effetto dell'insegnamento della storia per il destarsi della personalità futura dell’allievo può ridursi a niente. Ai fini della formazione della personalità non mi aspetto nulla da una preparazione intenzionale e sistematica all’insegnamento della storia. Ciò significherebbe voler ottenere frutti dall’oggi al domani attraverso un’irradiazione violenta. Si diventa una personalità mediante la vita, non già mediante la scuola; attraverso il lavoro su di sé, non attraverso l’influenza da parte di altri. L'insegnamento può soltanto gettare i primi semi in un terreno di cui egli stesso non conosce affatto le possibilità di sviluppo, le capacità e i bisogni. Ma egli dev'essere pieno di questa intenzione magnanima del seminatore della parabola, e quando il suo cuore è pieno del valore delle personalità storiche, può anche esprimersi in parole. Egli sa bene che nulla prende l’animo dell’allievo quanto lo spettacolo dei grandi uomini e degli eroi che lottano con se stessi e con la loro epoca. Il senso storico dell’individuale si avvinghia in generale all’intuizione della loro peculiarità. Nel complesso l’insegnamento della storia rappresenterà più ciò che vi è di concluso e di compiuto nelle personalità storiche, e non potrà evitare una certa stilizzazione. La psiche non ancora sviluppata dell’allievo richiede anche una tale raffigurazione semplice e monumentale. Ai gradi superiori dell’insegnamento l'insegnante può anche osare di fargli gettare uno sguardo sui problemi del divenire, delle antitesi insolute, dello Sturm und Drang: gliene offriranno l’occasione gli anni dello sviluppo di Lutero, di Federico il Grande, di Bismarck. Ma nel complesso alcune parole significative, che il maestro lascia cadere, possono spesso trasportare lo spirito dell’allievo in uno stato di vibrazione più forte di quanto non possa una psicologia portata avanti con minuzia. Ciò vale in modo particolare anche per la trattazione delle grandi poesie classiche nell’insegnamento del tedesco e delle lingue straniere. Esse sono piene di problemi della personalità; ma tutti sappiamo anche quanto si pecca di pedantesca prolissità nell’affrontare la materia, e quanto spesso l’allievo non soltanto non viene introdotto alle fonti di vita personale che ne scaturiscono, ma ne viene distolto con spavento. E non lo si tormenti con componimenti su conflitti psicologici per la cui valutazione egli dispone soltanto di mezzi primitivil Un'unica parola accortamente allusiva dell’insegnante, che lo induca a riflettere in maniera autonoma, lo aiuta qui molto di più della riproduzione maldestra di interi processi di pensiero che l’insegnante cerca di inculcargli. Soprattutto, però, si inciti l’allievo alla lettura personale e lo si incoraggi a fondare comunità di lettura con amici e compagni. Questi tentativi costituiscono spesso il primo moto della personalità dell’allievo, il suo incontro più peculiare con il mondo storico. All’insegnante di storia è affidata una professione particolarissima, che richiede al tempo stesso piena dedizione e rigorosa sobrietà. Egli sta come nessun altro immediatamente in mezzo tra il mondo storico e le personalità del futuro. Spesso si domanderà, guardando i suoi scolari negli occhi: quale vita storica avvenire dorme dentro di voi? Soltanto questa domanda può suscitare ritegno e rispetto, in modo da non fare violenza alle radici di ciò che può dispiegarsi unicamente secondo la propria legge. Lo stesso timore contenuto si confà anche di fronte al mondo storico e ai suoi miracoli. Individuum est ineffabile. Soltanto la venerazione e l’amore possono saldare il legame spirituale tra le personalità del passato e quelle del futuro. Nell’odierno stadio di sviluppo delle scienze storiche crediamo di poter percepire due grandi tendenze che non operano però isolatamente, ma ognuna delle quali reca con sé, in misura maggiore o minore, anche elementi dell’altra tendenza. Nessuna di queste tendenze può essere perseguita in modo unilaterale: per ottenere il suo fine, ognuna ha bisogno dell'altra. Ciò che per l’una appare come fine, per l’altra costituisce una via, una guida verso il fine. Una tendenza vuol indagare relazioni causali; l’altra vuol comprendere e rappresentare valori. Non è possibile una ricerca di relazioni causali nella storia senza far riferimento ai valori, ma neppure è possibile una comprensione dei valori senza un'indagine sulla loro origine causale. Che cosa sono le relazioni causali? che cosa sono i valori? Noi ci poniamo, a torto o a ragione, dal punto di vista dell’osservazione storica immediata, e distinguiamo tre differenti tipi di causalità: quella meccanica, quella biologica e quella etico-spirituale. La causalità meccanica poggia su un’equivalenza completa di causa ed effetto (causa aequat effectum); la ® Kausalititen und Werte in der Geschichte, in Historische Zeitschrift, poi raccolto in Staa und Persònlichkeit, Berlin, E. $. Mittler und Sohn, 1933, pp. 28-53, c in Schaffender Spiegel (Studien zur deutschen Geschichtsschreibune und Geschichtsauffassung), Stuttgart, K. F. Kochler Verlag, infine in Werke, vol. IV: Zur Theorie und Philosophie der Geschichte (a cura di E. Kesscl), Stuttgart, K.F, Kochler Verlag, (traduzione di Barbera e R.). causalità biologica lascia apparentemente che l’effetto oltrepassi la causa, mediante il pieno dispiegamento dei germi della vita a esseri viventi forniti di una propria struttura, di una propria conformità a uno scopo e di una propria legalità; ma soltanto la causalità etico-spirituale spezza la connessione causale puramente meccanica, rappresentando impulsi spontanei della personalità, diretti a determinati scopi, che non possono essere spiegabili né in termini meccanicistici né in termini biologici, che influenzano l’agire umano e incidono quindi anche sulla connessione causale di tipo meccanico la quale tuttavia, d’altra parte, si presenta di nuovo al nostro pensiero come onnipotente e continua, escludendo ogni frattura. Miracolo su miracolo. Infatti, nella sua profondità ultima, ognuno dei tre tipi di causalità rimane enigmatico. Il nostro pensiero viene così posto di fronte a contraddizioni che non può risolvere o che può risolvere soltanto in modo illusorio e apparente. Nella vita storica, ognuno dei tre tipi di causalità si impone, in modo indimostrabile, come operante agli occhi del ricercatore impregiudicato. Egli ha continuamente a che fare con tutti e tre i tipi di causalità. Se indaga le cause della povertà e della ricchezza dei popoli, delle vittorie e delle sconfitte nelle battaglie, egli incontrerà e dovrà indagare una serie di cause operanti in modo puramente meccanico, e comprensibili in quanto tali. La sua attenzione aumenterà allorché nei fenomeni studiati sembra compiersi un processo interno di crescita, allorché ai suoi occhi si manifestano determinate forme e figure di vita della comunità umana che si dispiegano, si organizzano, fioriscono in pieno e poi di nuovo decadono secondo un proprio processo di crescita. Ogni esistenza umana, ogni fenomeno della vita storica gli appare, in definitiva, determinato morfologicamente ma non soltanto determinato morfologicamente: infatti al di là di quelle relazioni causali meccaniche, operanti spesso in maniera accidentale, intervengono anche le azioni spontanee degli uomini, le quali possono quindi interrompere, stornare, rafforzare o indebolire l’accadere morfologico, conferendo così alla vita storica quel carattere intricato e singolare che si fa beffa di tutti i tentativi di spiegarla secondo leggi prive di eccezioni. Su di essa si imprimono perciò successivamente tre diversi sigilli: a ogni lettera, a ogni immagine che uno di essi imprime, si sovrappone quella degli altri. Soltanto il dilettante crede di poter distinguere tra loro in modo agevole e non soggetto a obiezioni questi scritti e queste immagini. Più semplici e chiare, meno discutibili possono essere le impressioni del primo sigillo, ossia della causalità meccanica. Ma quando si tratta di distinguere il secondo e il terzo, è fin troppo facile incorrere nell’errore di leggerne soltanto uno e di trascurare l’altro. La più antica concezione della storia, fino all’Illuminismo, vide in essa prevalentemente l'impronta di decisioni e azioni individuali e cercò quindi in quanto era una trattazione cosiddetta pragmatica della storia di ordinare razionalmente la confusione di queste azioni con il filo rosso di scopi razionali o irrazionali dell'agire. La moderna concezione della storia, che ha scoperto le relazioni causali e le formazioni sovra-individuali della vita storica, poteva nuovamente inclinare se applicata in maniera dilettantesca e sbrigativa a sottovalutare l’influenza autonoma dell’individuo e a considerarlo soltanto come organo di grandi potenze e forze collettive della vita che si potevano rappresentare come più o meno viventi, co- me sorte e operanti in modo prevalentemente meccanico oppu- re prevalentemente organico. Il positivismo inclinava a una concezione piuttosto, anche se non certo esclusivamente, meccani- ca delle forze collettive; la tendenza più moderna, orientata invece verso l’elemento organico che ha raggiunto il suo culmine con Spengler presumeva di spiegare tutti i fenome- ni storici particolari in base alle differenti leggi biologiche di formazione delle grandi culture. La trattazione scientifica del- la storia, che procede da Ranke, rinunciava invece a qualsiasi spiegazione causale univoca e generale, e di conseguenza doveva sopportare il rimprovero di fare a meno della scientificità vera e propria; ma così vedeva in modo più fresco e immediato l’in- treccio delle tre impronte della causalità meccanica, della causa- lità biologica e della causalità individuale-personale. Anch’essa non poteva rinunciare al tentativo di distinguerle tra loro e di mostrare la prevalenza dell’azione ora dell’una ora dell’altra; ma aveva un timore naturale di opprimere e di risolvere l’una nell'altra. Nella spiegazione dei singoli fenomeni e nella loro disposizione i in grandi serie e formazioni essa si lasciò guidare più da un istinto indefinibile che da un atteggiamento consapevole, assunto in linea di principio. Essa considerava l’intuizio- ne artistica e la raffigurazione artistico-intuitiva dell’accadere non soltanto come un ornamento bello, ma in ogni caso super- fluo, della sostanza della storia indagata secondo un procedi- mento puramente causale ma come uno strumento di lavo- ro essenziale e indispensabile di fronte all’intreccio delle tre impronte intreccio che si può sciogliere solo in parte, mai del tutto. La scienza assume qui dunque come strumento l’arte. Essa vuol completare la conoscenza con mezzi che si pongono al di fuori della sfera del conoscere vero e proprio. In altre parole, essa non rimane pura scienza che vuol spiegare soltanto causal- mente, ma si trasforma in qualcosa d’altro. Perciò il rimprove- ro di non-scientificità che il positivismo muove alla scienza sto- rica condotta nello spirito di Ranke non è, dal punto di vista formale, del tutto ingiusto. Ma questa non- “scientificità può giu- stificarsi in base al fatto che proprio la matura delle cose, e in certa misura la complicata situazione delle fonti storiche nel suo complesso, spinge verso tale procedimento, che ogni tentati- vo di padroneggiare il materiale storico con mezzi conoscitivi esclusivamente causali conduce, se portato avanti con radicale immodestia, a violentare la materia, a cancellare un’impronta causale con un’altra, mentre se viene intrapreso con una mode- stia rispettosa deve ben presto arrestarsi, perplesso, di fronte alla Ayle della realtà. Soltanto una via non più puramente scien- tifica, cioè non più puramente causale, ci conduce d’un sol tratto nelle sue profondità; e anche se non può certo dischiuder- cela completamente può tuttavia darci, attraverso un’intuizio ne vivente, un senso partecipante di essa. Alla scienza è più utile ricorrere a uno strumento sopra-scientifico dove lo stru- mento scientifico vien meno, anziché applicare questo anche dove una sua applicazione conduce necessariamente a falsi risul- tal. Ma il diritto di applicare strumenti sopra-scientifici nelle scienze storiche può essere fondato ancora più profondamente che attraverso la semplice indicazione dell’intreccio, non padro- neggiabile in altro modo, delle tre impronte causali. Se queste scienze volessero rimanere pure, cioè scienze che spiegano in modo esclusivamente causale, sarebbero costrette a considerare come proprio campo di ricerca e a rivolgersi, almeno in linea di principio, alla totalità dell’accadere umano. È noto che non lo fanno; esse scelgono invece da questa massa enorme e ster- minata soltanto una parte assai piccola, quella che si ritiene essere essenziale, e giustamente ritengono un’oziosa micrologia occuparsi di processi umani inessenziali. Ma che cosa significa qui essenziale? soltanto ciò che è casualmente essenziale? sol- tanto ciò che ha influenzato in modo particolarmente incisivo e potente i destini degli uomini e dei popoli? A volte lo si intende così, e si ritiene che soltanto ciò che è diventato partico- larmente efficace meriti l’attenzione dello storico. Ma di- ce con ragione Rickert l'efficacia non può mai fornire da sola il criterio di ciò che è storicamente essenziale ®. Da un punto di vista puramente causale, le condizioni e i bisogni della vita di carattere fisico suolo e sole, fame e amore sono i fattori più efficaci dell’accadere umano; mentre lo storico almeno lo storico non materialista li considera di regola soltanto come un ovvio presupposto causale di quei pro- cessi che propriamente lo interessano, e li ritiene degni di atten- zione soltanto laddove essi incidono in misura particolare e non comune. Dal punto di vista causale sono pure particolarmente effica- ci, accanto a questi fattori originari della vita umana, anche le grandi decisioni nelle lotte di potenza dei popoli e degli stati, alle quali da sempre fin dalla storiografia più primitiva è andata l’attenzione degli storici, e perciò anche l’intero ambito delle istituzioni dello stato e della società, che a ragione attrae l'interesse comune di tutte le tendenze della moderna ricerca storica, di quella positivistica come di quella idealistica, della storia della cultura come della storia politica. Ma se qui si suole porre in rilievo in quanto essenziale ciò che è efficace , mettendo da parte come inessenziali altre masse di processi umani, di regola si combinano due diverse accezioni del termine efficace . Da un lato con esso si intende ciò che a suo tempo ha esercitato effetti causali sulla vita dell'umanità e qui si rimane nell’ambito della pura ricerca di relazioni a. H. Ricgerr, Kulturiwvissenschaft und Naturwissenschaft, Tubingen. causali. Ma con esso si intende anche ciò che agisce in modo durevole e che anche oggi opera su di noi che viviamo. E questa specie di influenza su di noi ha un significato insieme causale e sovra-causale ®. Ha un significato causale in quanto i grandi e potenti avvenimenti del passato per esempio la fondazione dell'Impero romano determinano ancora causalmente, attraverso mille influenze secondarie, la nostra esistenza odierna; ha un significato sovra-causale in quanto la catena delle relazioni causali non ci interessa da un punto di vista puramente scientifico, ma perché ne vogliamo trarre un vantaggio particolare per la nostra propria vita. Questo vantaggio può essere soltanto di tipo pratico, tale da renderci atti a incidere con maggiore efficacia nella vita attiva, oppure può consistere in una pura contemplazione, libera da scopi pratici immediati; ma in entrambi i casi si tratta di valori, di valori vitali che vogliamo ricavare dalla storia; in entrambi i casi essa ci fornisce dovremo ritornarci sopra con maggiore precisione più avanti contenuto, insegnamento e guida per la nostra vita. E questo bisogno è quello che ci spinge in fondo da sempre, ma in modo particolarmente forte nell'epoca moderna accanto e dietro al puro impulso conoscitivo rivolto alle relazioni causali verso la storia. Soltanto a questo punto comprendiamo del tutto che la ricerca delle relazioni causali, in quanto tentdi svelare l'intreccio delle tre impronte in fondo direta. Storico dice Eduard Meyer nella Geschichte des Altertums è quel processo del passato la cui efficacia non si esaurisce nel momento della sua comparsa, ma che agisce ancora in modo riconoscibile in periodo successivo, producendovi nuovi pro cessi . In questo passo decisivo si fa purtroppo riferimento soltanto all’elemento causale, e non all'elemento di valore, nella determinazione concettuale di ciò che è storico . Tuttavia un paio di pagine dopo viene menzionato anche il valore interno , cioè la maggiore formazione di una specificità individuale, come criterio di selezione di ciò che è storico. Si tratta di una discrepanza interna che è caratteristica dello stato del pensiero che domina la scienza specialistica. Si scorge sì l’intreccio di causalità e di valore presente nell'interesse storico, ma non lo si affronta in modo intrinseco soggiacendo così, dove si fornisce la definizione principale, a una pura idea di causalità. Per una critica a Meyer si veda anche H. Ricgert, Probleme der Geschichtsphilosophie, Heidelberg, 3? ed. 1924, P. 59. ta dal più personale impulso vitale oltrepassa la ricchezza degli strumenti conoscitivi puramente causali e cerca di avvicinarsi allo stesso modo dell’artista, con l’intuizione e la raffigurazione vivente, ai fenomeni storici. È il suo valore per noi e per la nostra propria vita che cerchiamo di conquistare per questa strada. Il bisogno teoretico di conoscenza causale e il bisogno di valori vitali si sono sviluppati in modo strettamente, anzi inseparabilmente connesso, nell'interesse storico. Forse che il bisogno teoretico non è già in sé anche il bisogno di un valore vitale, del valore di verità? Certamente, ogni scienza deve servire in modo coerente e rigoroso, senza lasciarsi disturbare da intenti pratici collaterali, alla ricerca della verità, delle vere relazioni causali. Ma per noi servitori della scienza la nostra vita non sarebbe una vita completa se non fosse riempita da questa pura aspirazione alla verità. Per questo motivo noi l’accresciamo e l’approfondiamo, e la nostra teoria si trasforma in prassi vivente e in formazione della vita. La tendenza pratica non può introdursi troppo presto in essa, e influenzare la ricerca di relazioni causali. Prima la via delle relazioni causali deV’essere percorsa con sicurezza fino all’ultimo punto raggiungibile, e solamente allora si può, anzi si deve ricorrere a quei mezzi sovra-causali per soddisfare il bisogno di valori vitali che opera dal profondo. Che l’ essenziale nella storia comprenda però non soltanto relazioni causali, ma anche valori vitali, può essere illustrato con un esempio ipotetico. Poniamo il caso che si scopra l'opera di un autore sconosciuto del passato, di grande forza e profondità spirituale ma rimasta completamente ignota agli stessi contemporanei e quindi completamente priva di influenza causale sul suo tempo: la dichiareremo perciò storicamente ines-senziale e inefficace? Essa potrebbe agire nel modo più forte su di roi e comincerebbe quindi ad agire ora causalmente tra di noi, ma soltanto perché rappresenta per noi un valore vitale. Questo è perciò l'elemento primario per il nostro interesse, e si realizza in noi né potrebbe avvenire altrimenti attraverso la causalità. Ma il nostro interesse storico non è diretto qui alla ricerca di questa causalità, bensì alla comprensione e alla rianimazione di un grande valore spirituale del passato. Questa comprensione deve naturalmente applicare ancora strumenti causali e tentare di mediare l’origine storico-temporale dell’opera in questione; ma la ricerca causale è qui soltanto un mezzo diretto allo scopo del pieno ripristino di un valore spirituale. Un fanatico della causalità potrebbe obiettare che si può e si deve certo indagare quell’opera rimasta causalmente inefficace nella sua epoca, ma per il fatto che essa vale come effetto di relazioni causali, e riporta alla luce forze impulsive di quell’epoca finora ignote, le quali soltanto potevano produrre una tale opera. Ma queste relazioni causali si risponderà subito non ci interesserebbero affatto se qui non fosse appunto presente un grande valore, che ci avvince di per sé arricchendo così la nostra vita. No: sotto ogni ricerca di relazioni causali sta, mediatamente o immediatamente, la ricerca di valori, la ricerca di quella che si chiama cultura nel senso più alto irruzioni e manifestazioni dello spirituale all’interno della connessione causale della natura. La terza delle tre impronte del corso storico è quella che produce questi valori. La piccola selezione di ciò che consideriamo degno di indagine nella sterminata massa dell’accadere si compie come ha mostrato Rickert in conformità alla relazione che questo accadere ha avuto con i grandi valori culturali. Egli ci insegna che lo storico indaga soltanto fatti in relazione a valori; e aggiunge che lo storico deve soltanto indagarli e rappresentarli, non già valutarli, se vuol rimanere entro i limiti della sua scienza. La seconda tesi scaturisce dalla preoccupazione per la conservazione del carattere scientifico della ricerca storica, dalla preoccupazione verso la penetrazione di tendenze soggettive. Ma è possibile rispettare tale prescrizione? Essa è irrealizzabile *. Già soltanto la selezione di fatti in a. H. Ricgerr (Probleme der Geschichtsphilosophie cit., p. 67) ammette sì l’ inseparabilità psicologica del valutare dalla designazione di valore , ma vuol separare il valutare dall’essenza /ogica della storia. Ora, ciò che è psicologicamente inseparabile dall’attività dello storico dev'essere riconosciuto anche dal logico per quanto egli possa separarlo con i suoi strumenti come psichicamente connesso con tale attività in modo essenziale. E il valutare non è una funzione accessoria superflua nell'attività dello storico. Io concedo a Rickert che lo storico riferimento a valori non è possibile senza una valutazione. Lo sarebbe solamente se i valori a cui i fatti si riferiscono consistessero come ritiene Rickert in categorie tanto generali quanto lo sono la religione, lo stato, il diritto. Ma lo storico non sceglie il suo materiale soltanto secondo queste categorie generali, ma anche in base all'interesse vivente per il loro contenuto concreto. Egli lo concepisce come più o meno fornito di valore, cioè lo valuta. La rappresentazione e l'illustrazione di fatti culturalmente importanti non è affatto possibile senza la più viva sensibilità per i valori che in essi si manifestano. Per può astenersi da ogni giudizio valutativo sui suoi oggetti , ma una siffatta storiografia, libera da valutazioni, o è soltanto raccolta di materiale e lavoro preparatorio per la vera e propria storiografia oppure, se ha la pretesa di essere storiografia, appare del tutto insulsa a meno che il temperamento dell'autore non la colori e la renda viva di nuovo con valutazioni non arbitrarie, come avviene per esempio nelle straordinarie ricerche ed esposizioni storiche di Max Weber. Anche Heinrich Maier (Das geschichiliche Erkennen, Gòttingen, 1914, p. 34) ritiene, pur discostandosi fortemente da Rickert, che cadere in giudizi di valore non è affare della storia ; ma spiega contemporaneamente che vietare giudizi di valore allo storico pieno di temperamento è soltanto noiosa pedanteria. Egli distingue cioè tra una posizione propriamente storica, la quale esclude i giudizi di valore, e un'altra posizione di fronte alla storia, anch'essa legittima, di carattere etico-estetica e quindi valutativa. Deve lo storico assolvere contemporaneamente entrambi i compiti nello spazio della stessa opera, anche se il primo il compito propriamente storico esclude il secondo? Ciò è impossibile e ibrido, una specie di doppia morale professionale che rompe l’intima connessione psichica presente nell'attività dello storico. Una logica della storia che voglia raggiungere il suo fine deve partire da questa, deve analizzare lo storico reale, vivente, non lo storico costruito logicamene ed egli di regola si comporta, anche se non lo vuole, in maniera valutativa. Chi sta dentro la prassi ininterrotta della storiografia percepisce questo elemento in modo completamente differente dal filosofo G. von Below (Die deutsche Geschichtschreibung von den Befreiungskriegen bis zu unseren Tagen: Geschichtschreibung und Geschichtsauffassung, Miinchen und Berlin) scrive: una connessione di fatti non può essere effettuata senza giudizi di valore . Quest'affermazione si spinge forse troppo in là. Certe connessioni causali di tipo semplice possono essere effettuate anche senza giudizi di valore; quelle di tipo più complesso per esempio la constatazione delle cause della Riforma, della Rivoluzione francese e, ora, del crollo del 1918 vengono sempre determinate insieme da giudizi di valore. quanto lo storico possa, almeno formalmente, anche sospendere il proprio giudizio di valore su di essi, questo è tuttavia presente tra le righe, e in quanto tale influenza il lettore. Sovente esso agisce quindi particolarmente in Ranke in modo più profondo e incisivo di quanto non accadrebbe se fosse rivestito della forma di una censura immediata, ed è perciò da raccomandare come espediente. Il giudizio di valore soltanto implicito dello storico stimola l’attività valutativa propria del lettore in maniera più forte di quello apertamente dispiegato. Nella misura in cui si presentano in apparenza soltanto relazioni causali, tanto più immediatamente e creativamente lampeggia in esse l'elemento di valore, la manifestazione di una potenza spirituale all’interno della connessione causale. Ma spesso il giudizio diretto di valore non dev'essere evitato, per recare a piena chiarezza il valore di ciò che è accaduto. Avviene qui come in quelle forme di culto divino in cui il silenzio sacro e la parola del sacerdote si alternano nella venerazione del divino. E la ricerca storica è precisamente culto del divino, preso nel senso più ampio. Si vuole vedere confermato nel mondo, attraverso la sua rivelazione, ciò che si percepisce per sé come fine spirituale della vita. Si vuol diventare consapevoli della forza e della continuità della corrente spirituale della vita, che per l'individuo sfocia sempre in lui stesso; si vuol trovare la via per cui l'uomo è venuto, per indovinare quella che percorrerà. Si vuol venerare le potenze che consentono di innalzare la nostra esistenza dal vincolo naturale alla libertà dell’elemento spirituale. In qualsiasi modo si rappresenti la divinità, si vuol cercarla nella storia. Anche il ricercatore che fa valere soltanto la connessione causale spogliata del carattere divino, e che nella storia cerca quindi soltanto relazioni causali, è spinto come abbiamo chiarito dal bisogno di un valore superiore e comprensivo, anche se si tratta soltanto del valore della verità in sé. Certamente anche lo scienziato naturale è spinto dal valore della verità, e può tuttavia lavorare libero da tutti gli altri valori. Ma delle tre funzioni del distinguere, scegliere e giudicare ', che costituiscono il compito specifico dell’umanità, egli 1. Allusione a una coppia di versi di Goetne, Das Gòtiliche. deve esercitare nel suo ambito di lavoro soltanto quella del distinguere. Lo studioso della cultura deve invece esercitarle tutte e tre, perché i processi che indaga scaturiscono dalla natura umana nel suo complesso, si sono costituiti in virtù di un distinguere, scegliere e giudicare e sono comprensibili soltanto attraverso le medesime operazioni. Se lo scienziato naturale può lavorare libero da valori, lo studioso della cultura deve lavorare vincolato ai valori, anche quando vuol trattarla secondo il metodo dello scienziato naturale — e perfino al semplice raccoglitore di materiale ciò viene risparmiato di rado. Diventa ora chiaro che nella storiografia possono esserci due tendenze principali: la prima è attratta dalle relazioni causali, anche se non può mai spogliarsi dei valori e quasi mai dei propri valori; la seconda si sente attratta dai valori, pur senza potersi sottrarre alle relazioni causali. Ognuna di esse presenta dunque una duplice polarità, e in entrambe sono possibili e presenti sfumature e transizioni, mescolanze diverse dei due elementi. La distinzione delle due tendenze è risultata più chiara soltanto quando la storia cominciò a venir esercitata secondo metodi rigorosamente scientifici, e si approfondirono le questioni riguardanti l’essenza della storia e i compiti dello storiografo. La più antica storiografia politica mescolava, narrando gli eventi in forma epica, valori ingenuamente sentiti e relazioni causali®. La storia illuministica voleva porre in luce i a, Il punto di vista valutativo come criterio di selezione del materiale storico fa la sua comparsa in modo significativo in Machiavelli. Nella prefazione alle /storie fiorentine egli biasima i suoi predecessori Leonardo Bruni? e Poggio Bracciolini* per aver narrato soltanto la storia esterna, e non la storia interna, della città di Firenze, con tutte le sue lotte movimentate: Né considerarono come le azioni che hanno in sé grandezza, come hanno quelle de’ governi e degli stati, comunche elle si trattino, qualunque fine abbino, pare sempre portino agli uomini più onore che biasimo . BRUNI (vedasi), filosofo, uomo politico c umanista italiano, è cancelliere della Repubblica fiorentina; traduttore di Platone c di Aristotele, autore degli Episcolarum libri VIII, del De studtis et litteris e del trattato di ctica Isagogicon moralis disciplinae, nonché di duc importanti opere storiche, gli Historiarum florentini populi libri XII e il Commentarius rerum suo tempore gestarum. BRACCIOLINI (vedasi), filosofo, uomo politico e umanista italiano. È dapprima segretario apostolico e in seguito, cancelliere della Repubblica valori della cultura progressiva dell'illuminismo come l’unico oggetto veramente degno della storiografia, ma non fu in grado di penetrare con essi lo spessore dell’accadere politico — che pure non osò mettere da parte — e in tal modo accostò i due elementi in maniera disorganica. La storia politica di tendenza vuole proprio porre in luce dei valori, cioè i valori dei suoi ideali politici, ma dev'essere completamente esclusa dalla nostra considerazione perché il concetto di valore storico, nel senso in cui lo intendiamo, non abbraccia soltanto i nostri propri ideali politici o apolitici, ma ogni forte manifestazione di vita propriamente spirituale, e quindi anche gli ideali dell’avversario. Humboldt è stato forse il primo a richiedere una storiografia del genere, rivolta a tutti i valori spirituali dell'umanità — questo sono infatti le sue /deen — e fondata sull’indagine di tutte le relazioni causali conoscibili. Ranke ha realizzato questa storiografia riunendo tra loro organicamente, in maniera ideale, la ricerca delle relazioni causali e la rappresentazione dei valori, in ultima analisi cercando quindi Dio nella storia; cosicché lo si può far rientrare in quella tendenza che, nel suo fondamento ultimo e decisivo, si lascia attrarre dai valori. Il positivismo del tardo Ottocento scatenò la controffensiva e pretese una trattazione avalutativa e puramente causale della storia: esso riuscì soltanto sporadicamente a farla penetrare in pieno nel lavoro della storiografia scientifica, tuttavia rafforzò in essa la tendenza a porre in primo piano la ricerca delle relazioni causali. Ne conseguì una ricerca sterminata e specializzata del particolare, che è in auge ancor oggi. Nei fatti indagati causalmente lampeggiavano sì nuovi valori sconosciuti del passato, ma la loro indagine fu eccessivamente meccanizzata dall’inevitabile divisione del lavoro, e la loro massa diventò troppo grande per poter essere padroneggiata e gustata spiritualmente. Ne derivò quindi e ne deriva ancor oggi un contraccolpo che spinge a più forti e appassionate sensazioni di valore, la tendenza alla raccolta e al vaglio dei valori, al rifiuto dei valori minori, all’accentuazione (e anche alla sofiorentina; infaticabile scopritore di codici, autore di saggi filosofici come il De gvaritia, il De varietate fortunae, i! De nobilitate, il De infelicitate principum – cf. Grice on Wilde on The Happy Prince -, il De miseria humanae conditionis. Redatta gli Historiarum florentini populi libri VII. pravvalutazione) dei valori culturalmente superiori. Ciò consente, in linea di principio, la fondazione mediante una solida indagine di relazioni causali, ma qua e là, nella prassi degli storici più giovani, si comincia a trascurarla in modo preoccupante. La sintesi è la parola d’ordine con cui dall’angusto lavoro dell’indagine causale si aspira ai grandi valori dominanti della vita e del passato. Si mettono in moto sensazioni soggettivistiche e mistiche le quali premono, senza la strada faticosa della ricerca del particolare, verso la riunificazione immediata con l’anima del passato. Si vuol trarre da essa come ci si esprime volentieri soltanto l’ eterno e l’ atemporale , lasciandone cadere i presupposti storico-temporali. Si costruisce senza molta induzione, in base ad alcune vestigia impressionanti della tradizione e con l’aggiunta esorbitante dei propri ideali, e poi si abbraccia l’immagine fantastica che ci si è creati da sé. Quest’aspirazione agli alti e supremi valori culturali contrassegna in modo peculiare la scuola dei cosiddetti georgiani , cioè i seguaci di Stefan George* anche perché essa si pone pretese rigorose, rimanendo nelle sue opere migliori intatta dagli errori di un modo di lavoro negligente e attingendo varie volte un'alta perfezione formale, ma con una tendenza all’eccessiva raffinatezza e all’assottigliamento dell’atmosfera spirituale, in cui si dissolvono le rozze relazioni causali terrene. Il lavoro di ricerca della corporazione vera e propria degli storici è ancora relativamente poco toccata da queste tendenze, ma chi conosce i bisogni della giovane generazione sa che qui spesso si agita, in modo prepotente, qualcosa di esse. È la costellazione spirituale complessiva della nostra epoca che ha prodotto queste tendenze la reazione di ciò che si può chiamare anima contro la minacciosa meccanizzazione civilizzatrice della vita e contro gli sterminati poteri delle masse, che si sono manifestati nella guerra mondiale e durante il crollo. Essi si gonfieranno presumibilmente in misura ancora più forte, diventando un fattore importante nel futuro delle scienze storiGeorge, pocta lirico tedesco, autore di numerosi volumi di versi come gli Hymnen, Algabal, Das Jahr der Scele, Der Teppichk des Lebens und die Lieder von Traum und Tod, Der siebente Ring, Stern des Bundes, Das neue Reich, raccolse intorno a sé un cenacolo letterario che prese il nome di George-Kreis e in seguito di George-Bund. che. E dato che anche i miei tentativi si muovono in questa direzione, posso ben parlarne in base alla mia propria esperienza, poiché avverto personalmente la loro grande necessità interna al pari dei loro pericoli. Da un lato calcificazione corporativa, dall’altra imbarbarimento soggettivistico, sono i due scogli su cui potrebbe frantumarsi la nostra scienza nel corso della prossima generazione. La bussola può essere sempre e soltanto questa: nessuna causalità senza valori, nessun valore senza relazioni causali. Senza una robusta fame di valori l’indagine delle relazioni causali si trasforma, anche se condotta con tecnica virtuosistica, in mestiere triviale. Senza il piacere immediato della realtà concreta e delle sue connessioni causali, rozze o raffinate, la rappresentazione di valori ideali perde il suo terreno naturale, diventando vuota e arbitraria. L'equilibrio tra le due tendenze non si realizzerà stando così le cose in modo ideale com'era possibile in Ranke, perché la problematicità della situazione moderna e del pensiero moderno ha distrutto le armonie in cui egli viveva interiormente ed esteriormente. Oggi sembra che solamente una certa unilateralità possa proteggere l’uomo spirituale dallo sconcertante predominio dell'ambiente. Ma l’aspirazione all’armonia deve restare operante e potrebbe estinguersi soltanto con la decadenza o il crollo completo della nostra cultura. II Quando Rickert ha aperto il cammino con la sua teoria dei valori culturali e ha collocato questo concetto al centro della dottrina della storia, Alfred Dove ha parlato con diffidenza e sospetto della sua anguillesca elusività, Un diretto scolaro di Ranke qual egli era, abituato a porre l'intuizione al di sopra della comprensione concettuale, e che per giunta viveva e si muoveva familiarmente tra i valori culturali, non aveva bisogno di un nome per ciò che già recava in sé. Ma il pensiero concettuale segue da vicino il pensiero intuitivo e non può a. A. Dove, Ausgewàhlte Aufsitze und Briefe (a cura di F. Meinecke ce O. Damman), Miinchen rinunciare al tentativo di delimitare in modo più preciso ciò che ci stava dapprima davanti agli occhi soltanto in modo intuitivo e vivente. Se come in questo caso di chi pensa piuttosto in modo intuitivo si deve dire che non raggiunge il suo scopo e che rende non già più chiaro, ma più confuso l'oggetto di cui si tratta, ci si può sì scusare della povertà dello strumento linguistico che costringe anzitutto all’uso di una parola equivoca, ma si deve anche tentare di sanare l’indistinzione del nuovo concetto con più precise determinazioni particolari. Tentiamone alcune. Come spesso avviene, una nuova parola d'ordine, nata dalla vita e all’inizio assai cangiante, non sviluppa una fecondità inaspettata, in quanto induce piuttosto a unificare in connessioni determinate i fenomeni particolari che erano dispersi. Chiarimento e delimitazione, nella misura in cui sono possibili, seguono sempre soltanto gradualmente. Umanità, umanesimo, nazionalità, nazionalismo, storicismo, individualismo e così via non sono che parole d’ordine e concetti familiari, equivoci e sfuggenti ma tuttavia fecondi, indispensabili, che si chiariscono e si approfondiscono a poco a poco, anche se mai in modo definitivo, attraverso l’uso. Determinare l’essenza dei valori è l'impegno scottante della filosofia moderna. Lo storico tenterà di imparare da essa, ma non per questo può e deve rinunciare a formare in base alle sue esperienze più proprie la sua immagine dell’essenza dei valori, che dal punto di vista del filosofo apparirà molto sommaria, equivoca e perciò lacunosa, ma che proprio perché creata dalla prassi della ricerca storica possiede forse una maggiore sicurezza di istinto rispetto a quella che nasce da sforzi di carattere più logico-astratto. Con Troeltsch noi distinguiamo i valori inferiori della vita, puramente animali che lo storico può prendere in considerazione soltanto sotto forma di relazioni causali dai valori superiori della vita, dai valori spirituali o culturali * che costituia. Non posso condividere picnamente le distinzioni di H. Rickert (Lebensiwerte und Kulturwerte, Logos , II, 1911-12, pp. 131-66, e Philosophie des Lebens, Tiibingen, 1920, p. 156 sgg.), secondo cui non esisterebbero in fondo valori che siano soltanto valori vitali, e i valori culturali sarebbero più o meno distanti o anche opposti alla vita per quanto scono la sfera d'interesse propria dello storico, e la cui comprensione è il suo fine supremo. Con il termine spirito non intendiamo semplicemente l’elemento psichico bensì secondo il significato antico la vita psichica altamente sviluppata, ossia appunto ciò che distingue, sceglie e giudica , producendo in tal modo cultura. La cultura è pertanto rivelazione e irruzione di un elemento spirituale all’interno dell’universale connessione causale. Tra la vita culturale e la vita naturale dell’uomo sta un campo intermedio che partecipa di entrambe, che designiamo con il termine (oggi sempre più impiegato in questo senso) di civiltà e che distinguiamo dalla cultura superiore, spirituale in senso pieno mentre un uso linguistico più vago, ma anche molto più diffuso, confonde tra loro i due concetti *. La civiltà si innalza al di sopra della mera natura, la quale viene trasformata dall’intelletto spinto dalla volontà vitale e rivolto all’utile. In essa rientra anzitutto l’intero ambito delle scoperte tecniche. Come scoperte, come realizzazioni di una mente spiritualmente produttiva e originale, sono anche opere di cultura. Ma esse possono venir spiegate anche biologicamente, in base a ciò che si chiama adattamento . L’atto stesso delle scoperte ha quindi un aspetto biologico e un aspetto culturale. Una volta compiute, applicate ed estese, esse minacciano, se non le sorregge una vita spirituale autonoma, di sprofondare di nuovo nell’elemento meramente naturale e infatti una tecnica applicata si trova anche presso gli animali. Ho cercato di illustrare questo campo intermedio dell’utilitario con un esempio, quello della ragion di stato. Lo storico dovrà avere continuamente a che fare con esso, non soltanto perché la parte di gran lunga maggiore delle relazioni causali mi senta vicino, anche nel contenuto, alla sua concezione dell'essenza della cultura. In fondo, qui ci separa più la terminologia che non una differenza sostanziale. a. Si dovrebbe una buona volta indagare l'origine e la storia delle distinzione tra cultura e civiltà. A quanto mi risulta, essa è stata espressa per la prima volta da Kant nella sua /dee 2u ciner allgemeinen Geschichte in weltbitrgerlicher Absicht. Nella settima tesi si legge: L'idea di moralità rientra ancora nella cultura; ma l’uso di questa idea, che riguarda soltanto ciò che è conforme al costume nell'amore dell'onore e nella correttezza esteriore, costituisce semplicemente la civiltà . che deve indagare appartiene a questo ambito, ma anche perché i processi in esso presenti possono diventare, in virtù di un incremento spesso non percettibile, opere di cultura. Se ciò che è soltanto utile deve diventare bello e buono, l’anima deve vibrare non abbiamo davvero altro termine; altrimenti esso rimane appunto prestazione intellettuale senz'anima e senza spirito, mera civiltà e non cultura. La cultura compare soltanto dove l’uomo intraprende la lotta con la natura impegnandovi tutta la sua interiorità, non soltanto la volontà e l’intelletto, dove agisce valutando nel senso più alto, ossia dove crea o cerca qualcosa di buono o di bello in quanto tale, oppure cerca il vero in quanto tale*. Tutto quanto l’uomo compie valutando in tal senso, è fornito di valore anche per lo storico”, e gli offre conferma della continuità e fecondità dell’elemento spirituale nella storia, gli indica la via che il suo dispiegarsi ha preso fino a lui. Ma per poterlo comprendere completamente, lo storico deve come abbiamo detto indagare l’intero campo in cui si radicano processi causali che in gran parte non hanno nulla a che fare con la cultura. All’interno della sua rappresentazione se questa procede onestamente ciò che è legato ai valori e fornito di valore risplenderà quindi soltanto qua e là, al pari che nella vita, come una gemma rara tra ciò che cresce. Ma quanto sono rari in confronto alla massa di processi umani in generale, altrettanto incomparabilmente numerosi sono all’interno della storia queste realizzazioni e questi valori a. Pongo qui a fondamento l'antica tripartizione dei beni ideali, anche se essa non esaurisce il loro ambito e il loro contenuto. Ma essa può venir utilizzata a scopo di abbreviazione. b. Identifico quindi realizzazione culturale e valore culturale. I valori culturali non soltanto aderiscono come ritiene Rickert alle realtà storiche senza essere essi stessi realtà, ma costituiscono un fattore integrante delle realtà storiche, poiché queste possono venire alla luce soltanto in virtù della cooperazione della causalità etico-spirituale, realizzatrice di valori, con la causalità meccanica e biologica. Si veda anche la critica che E. TroeLTscH ha rivolto (in Der Historismus und seine Probleme, Tibingen) alla dottrina rickertiana della mera aderenza dei valori culturali ai fenomeni storici reali. La questione se al di là della realtà storica esista un sistema di valori oggettivi, è un problema metafisico che lo storico deve lasciare al filosofo. culturali. Ogni anima umana individuale è infatti in grado di produrre valori culturali si tratti anche soltanto dei valori del semplice adempimento del dovere a causa del bene. Secondo quali princìpi si compie qui la selezione dello storico? Anzitutto, certamente, secondo il principio dell’efficacia causale. Tutte le realizzazioni culturali che hanno influenzato con maggior forza e permanenza la conservazione e l'ulteriore sviluppo della cultura sono degne d’indagine e di rappresentazione. Il confine tra ciò che è importante e ciò che non è importante risulta quindi fluido, e dipende dalla sensibilità e dalla posizione dello storico. Dipende dalla posizione perché, a seconda che si riferisca a formazioni storiche più limitate o più comprensive, egli deve vagliare in modo diverso il materiale dei fatti: ad esempio, per l’esposizione della storia di una città assumerà come importanti fatti che su un piano superiore, come in una storia nazionale, devono essere senz’altro ritenuti non importanti*. Altrettanto fluida e dipendente dalla sensibilità è l’applicazione del secondo criterio di selezione delle realizzazioni culturali, del quale abbiamo già parlato prima in un altro contesto: quello del valore culturale proprio dei fenomeni storici. Mai e poi mai le grandi realizzazioni culturali e le manifestazioni di un elemento spirituale possono essere valutate esclusivamente in base al grado della loro influenza causale sul progresso della cultura. Esse poggiano del tutto indipendentemente dal fatto che abbiano influito o no sulla loro epoca anche su se stesse, e sono di per sé degne di indagine, di rappresentazione e di venerazione. Di esse vale ciò che il poeta dice dell’antica lampada, che non ha più nessuna utilità ma che lo incanta: ma ciò che è bello, sembra felice in se stesso 5. Questo è il punto che le abituali intuizioni degli storici su ciò che è degno di indagine non sono ancora giunte a decidere. Ho spesso discusso con Troeltsch in merito alla sopravvalutazione delle rea. Heinrich Mater ha richiamato l'attenzione, in modo molto istruttivo, su questa specie di procedimento cartografico: si veda Das geschichiliche Erkennen cit., p. 33. s. Mòrire, nella lirica Auf cine Lampe, in Werke in drei Binden, Miinchen. lazioni causali che ancor oggi domina la scelta del materiale* Si sopravvalutano le relazioni causali particolarmente quando si disconosce il momento individuale dell’origine dei valori culturali e si trascurano quindi quelle relazioni causali che scaturiscono dalla spontaneità dell’agire etico-spirituale personale e che non sono perciò così facili da inserire nella connessione causale come le relazioni causali di natura meccanica e biologica. I valori culturali nascono sempre soltanto dall’irruzione di una forza spirituale specifica entro le serie causali meccanicamente o biologicamente determinate. Ogni elemento spirituale, ogni valore culturale è specifico, individuale, insostituibile da altri. Chi gusta l’individuale in esso presente proverà anche subito il senso del suo valore e lo apprezzerà quindi non soltanto come un elemento importante della catena causale, ma anche di per se stesso. Certamente c’è pure un’individualità indifferente e libera da valori ogni oggetto ne ha una. Individualità storiche sono però soltanto quei fenomeni che hanno in sé qualche tendenza al bene, al bello o al vero, e che perciò diventano per noi fornite di significato e di valore. Esse lo diventano tanto più quanto più fortemente questa tendenza si aggiunge, nobilitandola, alla mera tendenza all'affermazione della vita e all’auto-affermazione delle formazioni umane. La comprensione più profonda dell’individualità, sia della personalità singola sia delle formazioni umane sovra-personali, fu la grande acquisizione realizzata in Germania dall’idealismo e dal Romanticismo, e che creò lo storicismo moderno. Soltanto in virtù di questa comprensione anche l’idea di svilupa. Tale era anche il pensiero di Alfred Dove. Alludo alla sua bella lettera a Rickert del 2 gennaio 1899 (in Ausgewahlte Aufsitze und Briefe). Lo storico in essa si dice dedica alla vita passata un interesseche è del tutto indipendente dalla questione relativa alla misura in cui ha preparato la nostra vita presente. E perché vuol far questo? La relazione che essa ha con noi è presente anche senza una causalità del genere: se appena la vita passata che si prende in considerazione è in sé significativa, essa desta il nostro sentimento di partecipazione, in quanto fornita di valore dal punto di vista umano in generale. Noi non ci poniamo in relazione con il passato in modo meramente causale, anzi saltiamo l’intero spazio causale intermedio in virtù della semplice simpatia . po che a torto viene spesso considerata criterio principale dello storicismo moderno, ma che è troppo versatile ed equivoca per poterlo essere trovò il suo retto cammino *. Lo sviluppo del feto umano è uno sviluppo biologico, non uno sviluppo storico. Uno sviluppo storico ha luogo soltanto dove compare il fattore spontaneo dell’uomo che agisce in base a valori e che produce quindi qualcosa di specifico e di singolare. Perciò l’individualità storica si sviluppa e ciò che si sviluppa storicamente sono sempre soltanto individualità, le quali si manifestano nello sviluppo *. Anche la storia universale intesa per esempio nel senso rankiano che possiamo ancor sempre difendere, con alcune correzioni e riserve è soltanto un'unica grande individualità, piena di innumerevoli individualità grandi e piccole. Tutti i valori culturali di questa storia sono al tempo stesso individualità storiche, fino all’individualità suprema della storia universale, e quindi pienamente comprensibili sempre soltanto in connessioni storico-universali. Tutto nella vita lotta per avere forma e figura, e viene sospinto da leggi di formazione. Questa conoscenza morfologica che per quanto riguarda la storia è stata sostenuta nel modo estremo e più unilaterale da Spengler domina sempre più il pensiero moderno. Storicamente fornite di valore diventano però soltanto quelle forme e figure della vita umana che a. H. Ricgert ha potuto distinguere ben sette diversi tipi di sviluppo! Cfr. Die Grenzen der naturwissenschlichen Begriffsbildung, Tùbingen. Contro la sopravvalutazione dell'idea di sviluppo si rivolge anche la lettera sopra citata di Alfred Dove a Rickert, ma con una motivazione che non posso condividere. Egli scrive: dall’individuale all’individuale non c'è sviluppo . Qui si dimentica che ogni individualità è inserita in un’individualità di grado superiore, e che lo sviluppo che ha luogo entro questa individualità superiore collega tra di loro, con filo spirituale, anche le individualità più concrete che si sviluppano separatamente le une dalla altre. Così esiste di fatto, per esempio, uno sviluppo dall’individuo Lutero all'individuo Kant, ossia lo sviluppo che si è compiuto nel mondo dello spirito tedesco-protestante. In merito al modo di vedere la storia proprio di Dove, si vedano le mie osservazioni nella Historische Zeitschrift , CXVI, 1916, p. 83. b. Gli sviluppi storici non sono altro che individualità storiche concepite nel loro divenire e nel loro crescere (H. Ricxert, Probleme der Geschichtsphilosophie cit., p. 47). servono non soltanto alla sua necessità vitale, ma anche a un qualsiasi ideale e a valori etico-spirituali. Non appena dalla forma traspare qualcosa di individuale-spirituale, essa desta l’interesse dello storico; altrimenti rimane circoscritta alla sfera biologica della semplice affermazione della vita, e lo storico può considerarla soltanto da un punto di vista causale, per spiegare altri valori e non come valore in sé. Però, almeno per l’occhio umano, la sfera biologica e la sfera dei valori etico-spirituali non sono tra loro separate chiaramente e univocamente, ma spesso si sovrappongono in modo impercettibile. È quanto abbiamo mostrato mi riferisco di nuovo al mio libro sulla Idee der Staatsrison a proposito del campo intermedio dell’utilitario. Questa impossibilità di determinare confini netti tra le due sfere è propriamente ciò che ha prodotto tutte le differenze presenti nel moderno pensiero relativo alle scienze dello spirito. Ognuno può infatti interpretare e tracciare in modo diverso questi confini, riconoscerli o non riconoscerli. Questa è la questione più tormentosa che perseguita lo storico. Troppo spesso egli deve lottare con l’incertezZa se questo o quell’elemento che egli indaga debba essere spiegato in base alla mera necessità vitale e naturale, oppure facendo anche ricorso a fattori etico-spirituali, a fattori di valore. Le necessità vitali e naturali, le relazioni causali di tipo biologico, attraversano da capo a piedi anche colui che agisce in base a valori e lo minacciano di intorbidare i valori, di far passare valori apparenti per valori autentici. La cosa più inquietante è che spesso un vincolo causale strettissimo unisce tra loro le due sfere, che spesso valori culturali grandi e benefici hanno un’origine comune e sporca, vengono su faticosamente dalla notte e dalla profondità cosicché sembra, in certo senso, che Dio abbia bisogno del diavolo per realizzarsi. Se poi si è d'accordo nel credere di nuovo nel senso goethiano all’unità della natura-dio, una luce più confortante cade anche su queste connessioni. Dove i processi naturali della vita umana non entrano in contraddizione con i precetti dell'etica, e quindi non diventano peccato, essi possono apparire come lo sfondo naturale indispensabile, gentilmente alimentante, per la produzione delle più splendide fioriture. Anche Goethe ha ben sfogato la sua sensibilità nella sua arte così elevata poco importa se ciò sia avvenuto con o senza peccato. È caratteristico il fatto che proprio in tale questione anche la ricerca storica che è abitualmente più rivolta alle relazioni causali dimentichi la causalità operante sui valori, cioè ignori o nasconda le grandi acquisizioni della cultura rispetto alla sua origine spesso spaventosa e disgustosa. Soltanto pochi storici hanno l’acuta sensibilità posseduta da Burckhardt quando scoprì i presupposti politici e sociali della cultura del Rinascimento in tutto il loro orrore, rimanendo egli stesso turbato da questa connessione demoniaca. Soltanto allora si cominciano a registrare con una certa equanimità i successi della politica di potenza che hanno trasformato e rifecondato la vita culturale, e a considerarne i presupposti e gli effetti collaterali più machiavellici come una conditio sine qua non. E in apparenza essi lo sono anche ma con ciò va perduto il sentimento della tragicità della storia. La cultura che si fonda sulla spontaneità, sulla causalità la quale produce valori etico-spirituali ed è quindi di nuovo strettamente connessa alle relazioni causali di tipo biologico e meccanico questo è l’enigma che lo storico non può risolvere. Cultura e natura possiamo anche dire Dio e natura costituiscono sì un’unità, ma un’unità scissa in sé. Dio si solleva al di sopra della natura con lamenti e gemiti, e carico di peccati; e perciò si trova ogni momento in pericolo di ricadere nella natura. Questa è l’ultima parola per colui che osserva le cose spregiudicatamente e onestamente ma non può essere l’ultima parola in generale. Soltanto una fede che è però diventata sempre più generale nel suo contenuto e che deve lottare in permanenza col dubbio può offrire il conforto che esista una soluzione trascendente del problema per noi insolubile della vita e della cultura. Ma noi abbiamo perduto la fiducia che qualche filosofo abbia fornito o possa ancora fornire questa soluzione trascendente. Il valore di verità dei sistemi filosofici e delle ideologie è quindi dubbio; indubbio rimane invece il loro valore culturale. Le formazioni ideali dei grandi pensatori sono quasi le più alte vette dello spirito in mezzo alla natura che lo sorregge, quasi sempre le realizzazioni supreme del misero essere umano, assetato di verità e sempre errante: soltanto l’opera della grande religiosità e l’opera d’arte stanno più in alto di esse. Se si riflette su quanto si è detto, ne risultano due specie di valori culturali. Gli uni vengono intenzionalmente elaborati in uno sforzo già prima diretto a tale scopo: formazioni ideali di tipo religioso e filosofico, politico e sociale, opere d’arte, scienza. Gli altri fioriscono mediatamente, e non secondo un intento precedente, dalle necessità della vita concreta, indirizzata in senso pratico. Con i primi l’uomo cerca il cammino più diretto e rapido dalla natura alla cultura; con i secondi rimane sul terreno della natura, ma con lo sguardo rivolto alle alte vette dei valori che lo guidano. Soddisfacendo le necessità della vita, egli cerca alla fine di soddisfarle in modo che si realizzino contemporaneamente i valori del vero o del bene o del bello. Vale quindi a questo proposito quanto ha detto Aristotele a proposito dello stato: è stato costituito per poter vivere, ma esiste per vivere bene. Ed è in primo luogo nello stato che la natura diventa in questo modo, capovolgendosi, cultura. Nel lavoro immediato o mediato entro la cultura sorgono così ovunque degli esseri spirituali, individualità storiche, delle quali lo storico indaga contemporaneamente l’origine e l’efficacia causale al pari del valore. La soggettività, che è ora connessa a tutti i valori, viene posta almeno in secondo piano per il fatto che si apprezza in primo luogo il valore del fenomeno che essa reca in sé, come rivelazione specifica e insostituibile di vita spirituale *. Occorre inoltre trasferirsi nell'anima stessa di chi agisce per poterne osservare l’opera e la realizzazione culturale in base ai presupposti che gli sono propri, e in ultima analisi per rianimare con l'intuizione artistica la sua vita passata il che non è possibile senza la trasfusione del proprio sangue vitale. Solamente un senso aperto con amore e tolleranza a tutto quanto è umano raggiungerà quindi quel grado di oggeta. In ciò consiste anche la protezione contro la pericosa tendenza dei moderni sintetici a considerare il fenomeno individuale soltanto come elemento e rappresentante dello sviluppo universale, vale a dire nella prassi soltanto come punto di incrocio di tanti ismi astratti. In tal modo si arriva nuovamente a una pericolosa vicinanza con il positivismo, che pure si crede di aver superato. Nella più recente storia della letteratura e dell’arte questa tendenza spadroneggia ormai in modo inquietante. tività che è possibile. Qui si inserisce allora anche la teoria della relatività dei valori, che Troeltsch ha formulato ?. Relatività dei valori non vuol dire relativismo, anarchia, caso o arbitrio, bensì designa l’intreccio sempre mobile e creativo, e perciò mai determinabile atemporalmente e universalmente, di ciò che esiste di fatto e di ciò che dev'essere . Ciò significa che la relatività dei valori non è altro che l’individualità in senso storico, l’orma, in sé fornita di valore, di un assoluto ignoto poiché esso varrà per la fede come il fondamento creativo di tutti i valori in ciò che è relativo e legato alla natura temporale. Dal valore proprio delle individualità storiche si deve logicamente distinguere il valore che esse hanno per noi e per la nostra vita. Nella determinazione di questo valore deve naturalmente agire con forza maggiore il bisogno soggettivo. Trarre dalia storia un insegnamento, un modello e un’esortazione rientra quindi tra i motivi ineliminabili che hanno da sempre condotto alla storiografia. Di qui i pericoli più gravi che minacciano il suo carattere scientifico: la distorsione tendenziosa, l’idealizzazione o la deformazione. Un senso storico purificato, che riconosca la legittimità sia del carattere scientifico sia di quello sopra-scientifico della storiografia, concederà che noi vogliamo imparare dalla storia anche per la nostra vita. Già lo studio delle relazioni causali offre insegnamenti pratici in gran quantità. Tutte le cause generali e ricorrenti in modo tipico, che operano nella storia, possono ripetersi anche nel presente ed essere quindi considerate in base alle esperienze compiute nel passato ®. Ciò che nel corso storico è individuale, inimitabile, a. Cfr. Der Historismus und seine Probleme. În questo contesto rinunciamo ad approfondire quelli che si chiamano i pericoli dello storicismo, cioè gli effetti relativizzanti del pensiero storico nei riguardi di tutti i valori, e ci limitiamo a quest'unica osservazione: che soltanto anime deboli e di poca fede possono scoraggiarsi e fallire sotto il peso di questo storicismo relativizzante. La fede in un assoluto ignoto non può venir scossa da esso. Ma la pretesa che questo assoluto ignoto si sveli, in modo da poter essere toccato con mano, è un residuo di rappresentazione antropomorfica della divinità. b. Hegel ha sì negato che popoli e governi abbiano mai appreso qualcosa dalla storia e abbiano agito secondo gli insegnamenti che se ne potevano trarre. Ma è più giusto dire che di rado essi hanno imparato ciò che insostituibile, non sopporta invece una tale applicazione pratica. Può però diventare contenuto spirituale, modello ideale per coloro che possiedono un’individualità affine e rispondente, e contribuire in tal modo alla loro più profonda e più ricca formazione. Epoche e generazioni intere possono anche nutrirsi dei valori culturali di un determinato passato, ad esse particolarmente affine. Le culture tarde di regola hanno bisogno di sostegni siffatti. Ma sempre incombe allora il pericolo di una mancanza di autonomia da epigoni, il pericolo di soccombere interiormente agli spiriti del passato. Al contrario, uno spirito forte come Max Weber poteva motivare il suo disegno immaginario di indagare la storia in modo avalutativo con uno scopo altamente carico di valori: voglio vedere fino a qual punto posso resistere. L'insegnamento più raffinato e più alto che la storia ci dà è però quello che scaturisce senza essere cercato come lo abbiamo descritto sopra dalla pura valutazione delle individualità storiche in sé. Il suo valore proprio è allora ciò che diventa valido anche per noi. Esso non consiste in altro che nella conferma dell’infinita forza creativa dello spirito, la quale non ci garantisce certamente un processo rettili neo, bensì all’interno dei limiti della natura un’eterna rinascita di individualità storiche fornite di valore. In quanto queste individualità sono tutte causalmente connesse tra loro e l'osservatore desidererebbe che avessero imparato. Bene o male, Bismarck lo ha riconosciuto: Per me la storia è servita anzitutto a imparare da essa qualcosa. Anche se gli avvenimenti non si ripetono, si ripetono tuttavia le situazioni e i caratteri, in base al cui spettacolo e al cui studio si può stimolare e formare il proprio spirito (Gesprich mit Memminger, , in Die gesammelten Werke, Berlin). a. Marianne Weser, Max Weber. Ein Lebensbild, Tibingen, 1921, p. 690. b. A questo proposito si veda l'acuta osservazione di G. von BeLOw, Deutsche Geschichtsschreibung cit., p. 113, nota. Non posso quindi considerare, con Troeltsch, la comprensione del presente sempre come il fine ultimo di ogni ricerca storica (cfr. Die Bedeutung des Protestantismus fiir die Entstchung der modernen Welt, Minchen, 1911, p. 6). Essa è certo un fine assai giustificato e necessario, ma non è né l’unico né il più alto. Ho spesso polemizzato con Troeltsch su questo punto; e anche nel suo Historismus (p. 696) egli mi rimprovera la tendenza a evadere verso una contemplazione oggettiva e pura . formano nel loro insieme la grande individualità complessiva della storia universale, anche l’individualità storica della nazione, dello stato, della società, della chiesa ecc. entro le quali viviamo storicamente e alle quali cooperiamo diventa cosciente del proprio radicarsi nel processo complessivo. Proprio questa consapevolezza può, a sua volta, sviluppare le più robuste forze etiche. La tradizione, che per conto proprio e inconsapevolmente si potrebbe dire naturalmente opera come legame tra le generazioni, come custode dei valori culturali acquisiti, soltanto ora si spiritualizza veramente, diventando valore culturale in senso pieno: E così il vivente acquista di passo in passo nuova forza °. Da quanto abbiamo detto risulta che la storia non è altro che storia della cultura, dove cultura significa produzione di valori spirituali di volta in volta specifici, ossia di individualità storiche. La polemica tra gli orientamenti storiografici della storia politica e della storia della cultura ha potuto aver luogo soltanto perché da entrambe le parti non si era chiarito il rapporto tra relazioni causali e valori nella storia. La storiografia politica vedeva nello stato il fattore centrale della vita storica e, dal punto di vista causale, con pieno diritto, perché le influenze causali più forti anche sulla vita culturale provengono sempre dallo stato. E in quanto ogni comunicazione di valori culturali ha bisogno della più ampia fondazione causale, già per questo motivo anche lo stato dovrà rimanere sempre al centro della ricerca storica. Ma esso è anche il valore culturale più alto possibile? Una certa inclinazione a elevarlo a valore supremo era presente fin da Hegel, anche se trovò sempre un limite nel giusto sentimento che, come valore, la religione gli è superiore. Lo stato non può essere quindi il valore supremo, perché è vincolato in modo più forte di quasi tutte le altre individualità storiche a necessità naturali, biologiche, che gli impediscono di spiritualizzarsi e di eticizzarsi completamente. La religione nelle sue forme più pure e l’arte nelle sue realizzazioni più alte costituiscono i 6. GorrHE, Zur Logenfeier des 3. September 1825, Zuwischengang. valori culturali supremi. Solamente dietro di esse la filosofia e la scienza possono reclamare la loro posizione. Ma ci si chiederà immediatamente la vita attiva e produttiva dell’uomo non viene con ciò sminuita nel suo valore a profitto delle attività meramente contemplative e spirituali dell’uomo? Forse che la fuga dalla vita, la quale è sempre in qualche misura connessa con queste, deve porsi più in alto della formazione della vita? La risposta a tale interrogativo non può essere semplicemente un sì o un no. Si manifesta qui il peculiare incrociarsi dei valori. Se si chiede in quali sfere l’uomo può maggiormente innalzarsi al di sopra della natura, occorre indubbiamente indicare le sfere della religione, dell’arte, della filosofia e della scienza. La vita produttiva lega l’uomo più fortemente alla natura: i valori culturali che l'uomo produce in essa recano su di sé più polvere terrena, sono più torbidi e impuri di quelli delle sfere contemplative che rifuggono dal mondo. Il compito di produrli non è soltanto più difficile, ma è anche più pressante e inevitabile che quello di portare alla luce i valori culturali delle sfere puramente spirituali. Il compito stesso di creare il valore culturale della religione acquista la sua piena urgenza e inevitabilità se essa non rimane auto-godimento mistico del divino, ma penetra nella vita produttiva e ne diventa fermento. Analogamente, dagli altri valori culturali elaborati in modo contemplativo cioè l’arte, la filosofia, la scienza si pretende a buon diritto che essi fecondino non immediatamente, ma mediatamente, la vita produttiva. Tutti i valori culturali supremi sono tenuti a servire questa vita. Possiamo anche dire che la vita produttiva non crea certamente di per sé i valori culturali supremi, ma che il compito primo e più urgente è di creare in essa valori culturali. La vita contemplativa forma soltanto immagini della vita, non la vita stessa. Per questo motivo essa può creare qualcosa di più spirituale e di più perfetto di quanto non possa fare la vita produttiva. Queste immagini devono e possono servire come guida alla vita produttiva nella sua lotta per i valori culturali. Lo storico deve quindi rivolgere la massima attenzione a questo problema: fino a qual punto e in quale grado la vita connessa alle necessità naturali venga in tal modo trasformata e mutata in cultura. Attraverso queste considerazioni l’importanza centrale della storiografia politica all’interno delle scienze storiche risulta fondata più profondamente riteniamo che non mediante gli argomenti finora addotti a tale scopo. Essa ha a che fare con valori culturali più imperfetti che non la storia della religione, dell’arte ecc. Ma non invidia certamente a queste la fortuna di muoversi sulle vette dell'umanità. Indagando lo stato, il fattore causalmente più efficace della vita storica, e al tempo stesso cercando i valori che questo è in grado di produrre, essa deve sempre guardare contemporaneamente alle profondità e alle vette della vita, e per farlo è costretta a porsi pensosa nel centro della vita stessa. Essa è la più prossima alla vita tra le scienze storiche. Si può discutere in base al concetto che si ha della vita storica se la storia economica o la storia sociale non siano ancora più vicine alla vita. Per vita storica noi intendiamo però l’intreccio di natura e cultura; quanto più accanita è quindi la loro lotta fecondatrice, tanto più è presente la vita storica. Noi vediamo questo dualismo agire, nella sua forma più intensa, nello stato. Esso non lo conduce ai supremi trionfi della cultura, ma allo spettacolo più memorabile e più commovente della sua lotta con la natura. Spiritualizzare ed eticizzare lo stato in cui si vive, anche se si sa che non ci si può riuscire del tutto, costituisce insieme all’esigenza di elevare spiritualmente ed eticamente la propria personalità la più alta delle pretese che si possano porre all’agire etico; perché lo stato costituisce la comunità di vita più influente e comprensiva e perché l’uomo che aspira alla perfezione può respirare liberamente soltanto in uno stato che aspiri anch'esso alla perfezione. E proprio l’elemento problematico, l'elemento di insicurezza e di precarietà presente nei valori culturali dello stato è ciò che attira con forza magnetica lo storico politico, per lo più in modo a lui stesso inconsapevole, verso i grandi uomini di stato della storia universale, nei quali il conflitto tra natura e cultura diventa grandioso. C'è poi ancora un campo intermedio tra la storia politica, che rappresenta la lotta per i valori culturali nella vita statale, e la storia dei valori culturali creati contemplativamente: il campo delle idee politiche. Qui vita attiva e vita contemplativa si fondono. Dalle necessità della vita politica attiva scaturiscono gli impulsi diretti a formare immagini di questa vita nelle quali si mescolano tra loro realtà e ideale. Secondo il desiderio di chi le forma, esse devono reagire sulla vita immediatamente e non soltanto mediatamente, come accade per le immagini formate dall’arte e dalla scienza. Quando vi riescono, esse diventano preludi di processi storici reali e sono già per questo motivo degne di essere indagate, in quanto rappresentano relazioni causali importanti. Con quanto zelo si è andati alla ricerca degli inizi dell'idea di sovranità popolare e dell’ideale socialistal Ma esse derivano il loro valore culturale peculiare dal fatto di rappresentare tentativi rettilinei e ardui come quelli compiuti dagli uomini dediti alla vita contemplativa di elevarsi al di sopra di ciò che è meramente naturale e di spiritualizzare lo stato, almeno nel desiderio. Esse devono perciò venir considerate, rivissute e rappresentate di per sé, nel loro specifi co valore individuale, e non solamente nella loro efficacia causale, con tanto sangue vitale quanto sarebbe necessario per infonderlo di nuovo in loro. Altri possono essere presi in misura più forte da altri tratti della vita storica concreta; io sono sempre stato profondamente commosso dallo spettacolo delle idee individuali che nell’urto delle rozze forze terrene della vita statale si destano e lottano per sottrarsi alla loro pressione. Anche queste idee sono ancor più vincolate all’elemento terreno, più fortemente intrecciate con le realtà effettive che non le formazioni spirituali della pura vita contemplativa. Per questo motivo, a contatto con esse si diventa più consapevoli dell’indispensabile terreno della realtà naturale, senza il quale non è possibile nessuna formazione culturale, neppure la più alta. Esse riuniscono l’odore della terra e il profumo dello spirito. È quanto fanno anche gli stati concreti quando si elevano come ci ha insegnato Ranke a esseri spirituali forniti di realtà. Dove poi cresca il valore culturale più alto se nello stato stesso oppure nell’idea del pensatore che lo percorre, se nella città-stato greca o nell’ideale platonico dello stato che da quella è sorto sarebbe pedantesco volerlo decidere ogni volta. Talvolta è senza dubbio lo stato, altre volte è invece l’idea politica che ne è scaturita, accettandolo o negandolo, a rappresentare la realizzazione spirituale più alta; in molti altri casi, come nell’esempio indicato, ci si asterrà dal giudizio di valore. La disposizione dei valori culturali in un ordine progressivo può essere in genere effettuato soltanto in modo sommario: lo esige il loro carattere individuale, che si fa gioco di un criterio generale univoco. In quanto tutti i valori culturali vengono concepiti come individualità, ci si accorge sommariamente che in essi è presente una misura maggiore o minore di potenza spirituale o di vincolo naturale, senza però poterlo valutare con precisione. Bastano già a impedirlo quelle impenetrabili zone intermedie tra natura e cultura. Individuum est ineffabile. Il fascino infinito del mondo storico consiste appunto nel fatto che esso produce, in modo insieme misterioso e manifesto, sempre muove entità spirituali, senza tuttavia ordinarle in una serie progressiva con una successione ascendente. Infatti ogni epoca, come insegnava Ranke, è in rapporto immediato con Dio. Vogliamo chiudere con le parole che egli fa seguire in questa frase, poiché esattamente intese esse dicono la stessa cosa che abbiamo cercato di illustrare in polemica con un’opinione ampiamente diffusa nella corporazione degli storici: # loro valore non sta affatto in ciò che da esse scaturisce, ma nella loro stessa esistenza, nel loro proprio io *. a. Ùber die Epochen der neueren Geschichte (a cura di A. Dove), Leipzig. Storia e presente costituiscono un’unità, che viene concepita dallo storico come fornita di una duplice polarità. Un polo definisce la rigorosa concentrazione ascetica sulla conoscenza del passato umano, con tutti gli strumenti di comprensione storica e di ricerca critica, la quale può condurre fino all’ascesi entusiastica che Ranke ha espresso con la frase, molto spesso richiamata, che egli voleva dissolvere il proprio io per poter vedere le cose nella loro purezza. L’altro polo cioè la sfera in cui lo storico vive definisce al contrario la rinnovata consapevolezza di questo io, non però del proprio piccolo io egoistico, ma dell'io nutrito dal passato, riempito e allargato dai grandi compiti del presente. La scienza storica è perciò sempre, al tempo stesso, scienza e più che scienza. Abbiamo imparato più volte e ciò rientra nei caratteri fondamentali della moderna impostazione delle scienze dello spirito a guardare al di là delle ristrette delimitazioni concettuali con cui dobbiamo sempre orientarci in via preliminare. In ogni formazione storica si chiami essa scienza o stato, arte o religione, Germania o Occidente c’è una forza motrice che spinge oltre i confini che sembrano esserle imposti nella realtà. Si potrebbe quasi dire che ogni essere storico desidera essere qualcosa di diverso da ciò che realmente è. Questa è la dinami* Geschichte, Staat und Gegenwart, in Logos, poi raccolto in forma mutata e col titolo Geschichte ind Gegenwart nel volume Vom geschichtlichen Sinn und vom Sinn der Geschichte, Leipzig, Kochler und Ameland, 1939, pp. 7-22, c infine in Werke, vol. IV: Zur Thcorie und Philosophie der Geschichte, Stuttgart, K.F. Kochler Verlag, 1959, pp. 90-91 (traduzione di Sandro Barbera e R.). ca della vita storica, per cui avviene che le cose della storia trapassano tutte le une nelle altre, cosicché noi vediamo sussistere tra di esse zone più o meno larghe di confine anziché linee nette di separazione, e il singolo fenomeno storico può spesso apparire tanto contradditorio in sé, e tuttavia quanto mai pieno di vita. È ciò che chiamiamo coincidentia oppositorum, e su cui fondiamo, a partire da Ranke e da Hegel, la moderna immagine della storia. Essa è molto più complicata, molto più difficile da intendere che non l’immagine che del passato si erano fatte tutte le generazioni precedenti e che ancora oggi sta dinanzi al pensiero inesperto quando questo tratta di uomini, tendenze, situazioni e idee come di entità circoscritte e facilmente calcolabili. Dobbiamo quindi avere ben chiaro che esiste un pensiero storico, una forma di trattazione delle realizzazioni della cultura umana che devia dall’abitudine ingenua e quotidiana di considerare le cose nella loro cosalità e come qualcosa di immutabile anziché di fluido, cioè fuse tra loro e determinate da innumerevoli relazioni enigmatiche. Si può qui ricordare il rivolgimento avvenuto nel moderno pensiero naturalistico: quanto più la materia diventava oggetto di un’indagine affinata, tanto più si risolveva in funzioni e in relazioni enigmatiche. Il rivolgimento avvenuto nel pensiero storico, che ci ha condotto da una visione meccanica a una visione dinamica delle cose, ha avuto luogo molto prima dell’analogo rivolgimento nel pensiero naturalistico cioè oltre un secolo e mezzo fa, all’epoca dello Sturm und Drang, dello scoppio della Rivoluzione francese. Di quell’epoca Goethe ha così riferito, più tardi, in Dichtung und Wahrheit: Un sentimento che prevaleva violentemente in me, e che non poteva esprimersi in modo abbastanza meraviglioso, era la sensazione dell’unità di passato e presente! Qui abbiamo l’inizio del processo di fusione nel pensiero, la coincidentia oppositorum, l'influenza dinamica dell'elemento storico sul presente e viceversa. All’inizio si trattava soltanto del sentimento, della sensazione dell’uomo geniale, non ancora di un principio che trasformasse tutta l’immagine del mondo. Del resto questa trasformazione è avvenuta soltanto gradualmente, allargandosi da cerchie ristrette a cerchie più 1. GoerHt, Dichtung und Wakrheit. ampie, ed è ancora ben lontana dal termine dei suoi effetti. Ma di fronte a tutte le altre trasformazioni della vita di tipo politico, sociale, economico e tecnico che abbiamo vissuto dall'epoca della Rivoluzione francese, questo nuovo modo di pensare dello storicismo dinamico ricorda il raffinato motivo melodico di una sinfonia gigantesca, che spesso può scomparire nel tumulto degli ottoni e dei tamburi ma che, riproposto da un nobile violino, penetra nell'intimità del cuore. Non c’è più nulla di saldo e di concluso in sé, tutto è divenire. Chi sa dove si va? si ricorda appena da dove si è venuti per riferirci ancora a Dichtung und Wahrheit e alle sue parole conclusive?: tale è la parola d’ordine che da allora risuona nel mondo. Si rimane sempre scossi da capo quando si riflette profondamente su questo mutamento e sulle sue conseguenze. Qui voglio parlare soltanto delle conseguenze che toccano il rapporto tra storia e presente. Mi riferisco ancora una volta alla frase di Goethe, secondo cui nella sua sensazione passato e presente confluivano in un'unità. Goethe aggiungeva che questa intuizione aveva introdotto nel presente qualcosa di spettrale. Essa è stata benefica per la sua poesia. In altre parole, egli ne presagiva la meravigliosa forza vivificatrice. Ma agli altri aggiungeva sarebbe apparsa, nel momento in cui si esprimeva immediatamente zella vita, strana, inspiegabile, fors’anche sgradevole. Qui Goethe ha di nuovo avvertito, con geniale presentimento anche se coglieva soltanto un aspetto del nuovo potente problema il carattere a doppio taglio degli effetti del nuovo sentimento della vita e della storia. Questo nuovo storicismo dinamico, che superava i limiti interni frapposti tra passato e presente e rovesciava entrambi, con tutti i loro contenuti, nell’eterno crogiolo di un divenire, di un’influenza e di una conversione reciproca, ci ha dischiuso i mondi incantati di una nuova comprensione storica per tutto ciò che reca sembiante umano; ma ha anche scosso in lungo e in largo, non tutto di un tratto ma gradualmente, il saldo terreno di determinati ideali assoluti su cui l'umanità aveva creduto fin allora di poggiare. Basterà ricordare per accennare soltanto all’elemento più importante 2. GoetHE, Dichtung und Wahrheit, libro XX. quanto difficile è diventata la posizione del Cristianesimo rivelato dopo che la critica storica ha scoperto il divenire delle religioni, le loro influenze reciproche e le molteplici forme di transizione delle religioni orientali della redenzione. Se poi ci si rende conto del modo in cui tutto questo prolunga i suoi effetti fino ai problemi religiosi del presente e quanto oscuro sia il futuro religioso che ci sta dinanzi, allora può ben riassalirci quella sensazione di spettrale che Goethe aveva provato al primissimo balenare della nuova visione della storia. Lo storicismo ha suscitato un relativismo che viene a considerare ogni singola formazione storica, ogni istituzione, ogni idea e ogni ideologia soltanto come un momento transitorio nell’infinito corso del divenire. Tutte le cose hanno perciò solamente valore relativo. Come può prosperare la fede salda e la fiducia in colui che crea di tendere a qualcosa di fornito di valore in sé? La parola d’ordine dovrebbe essere simile a quella degli uomini di affari in epoca di inflazione: rimanerne fuori! . Ciò può condurre a effetti che dissolvono e minano in modo pericoloso: infatti può un giorno scaturirne uno scetticismo sfiduciato e stanco, un dubitare del senso di questo eterno divenire e passare, dal momento che il senso di ogni formazione storica particolare viene immediatamente posto in questione dal senso che appare altrettanto giustificato delle formazioni in lotta con essa; tanto più se, come abbiamo già detto, queste diverse formazioni che si succedono l’una all’altra non si distinguono tra loro in modo preciso e determinato, ma trapassano l’una nell’altra. Può inoltre scaturirne un opportunismo svelto e privo di princìpi, che non conosce nessun saldo vincolo superiore, e acchiappa perciò veloce la preda dell’attimo soddisfacendo l’interesse momentaneo. Non già che intenda ricondurre tutti i fenomeni sgradevoli della nostra vita alla causa ideologica dello snervante modo di pensare relativistico. Questo modo di pensare è anzi connesso causalmente, a sua volta, con tutte le altre trasformazioni, in gran parte assai elementari e materiali, della nostra esistenza. Esso rientra però nel motivo melodico di quel potente processo che minaccia di sradicare gli uomini e di farne mere funzioni nella dinamica complessiva della vita storica. Ma l’uomo non vuole lasciarsi sradicare, non vuole diventare una mera funzione, vuol rimanere un individuo di per sé, anche se sa che la sua individualità è sempre intrecciata con tutto ciò che è sovra-individuale. Egli non è soddisfatto neppure del punto di vista secondo cui ogni cosa agisce sull’altra e trapassa in essa, ma vuole « distinguere, scegliere e giudicare . Alla conoscenza eraclitea che « tutto scorre deve immediatamente subentrare l’esigenza di Archimede: « dammi un punto di appoggio ». Ma in tal caso anche i compiti per i quali lavora, anche le idee per cui combatte devono acquistare di nuovo qualcosa di stabile. Possiede lo storicismo questa è la grande questione e il particolare tipo di relativismo da esso prodotto la forza di guarire da solo le ferite che ha inferto? Soltanto chi abbia avuto realmente una volta nella sua piena profondità originaria come in passato Goethe quella sensazione meravigliosa dell'unità di passato e presente, risponderà senza esitare di sì prima ancora di aver disposto tutti gli argomenti in un ordine logico. Ciò che ci rende interiormente più ricchi, che ci porta a un contatto vitale immediato con gli uomini e i tesori del passato, che ci insegna a comprendere o per lo meno a scorgere attraverso il ritmo dell’eterno divenire e trasformarsi le profondità dei destini degli uomini e dei popoli, non può recare in sé soltanto una forza distruttiva, ma deve anche possedere una forza costruttiva. Ma come si dovrà definire questa forza costruttiva? com'è possibile per dirla in modo semplice e rozzo mostrare l'utilità della storia e del pensiero storico per il presente? Non voglio importunare il lettore con le consuete triviali verità o mezze verità con le quali si cerca di solito di dimostrare l’utilità della storia per la vita produttiva. Nella situazione spirituale odierna si deve cercare di assumere un punto di vista più elevato. Non si deve mai perdere di vista il fatto che nello storicismo, il quale relativizza ogni cosa, è certamente presente un veleno corrosivo, il cui effetto può essere eliminato solo mediante altri forti ingredienti. E non si deve neppure dimenticare che nei centocinquant’anni durante i quali il pensiero storico è fiorito nella cultura tedesca gli effetti di quel veleno non sono stati riscontrati, e sono stati tenuti indietro dagli effetti positivi e creativi del pensiero storico-genetico. Esso diventò un’arma anzitutto per i creatori dello stato nazionale tedesco. Da Dahlmann® e da Droysen fino a Treitschke, furono gli storici politici a preparargli il cammino, e Bismarck era pieno di intuizioni storiche che ricordano la saggezza di Ranke. Per Ranke come per Hegel e per Droysen la storia rappresentava il corso del divenire che tutto muove, trasforma e forma in modo nuovo. Come sono essi riusciti dobbiamo chiederci a far fronte, nonostante tutto, ad esso e a non naufragarvi dentro, ma piuttosto a trarne forze positive e costruttive? Dobbiamo perciò formulare la questione in termini ancor più generali: dove si può cercare, in generale, l'antidoto al veleno del relativismo? Vi sono stati tre diversi modi di coprire la prospettiva relativistica del puro divenire e fluire delle cose mediante principi che tendano all’assoluto, cioè mediante valori che possano resistere alla transitorietà temporale e fecondare così più profondamente la vita produttiva. Prendiamoli sommariamente in esame e chiediamoci quindi se, e in quale misura, possiamo ancor oggi adottarli. Il primo modo è quello romantico, la fuga nel passato. Si trasfigura e si idealizza un determinato momento di esso, lo si trasforma per quanto è possibile in un’età dell’oro, lo si pone in contrasto con l’oscuro presente; e nel caso che non ci distolga da questo trasognati o mal contenti, si può agevolmente acquisire da un grande passato anche impulsi creativi per il proprio tempo. Allorché il barone von Stein‘ diede quell’ordinamento cittadino che fece epoca e concepì la grande idea, rivolta verso il futuro, dello stato nazionale tedesco, a tale impresa cooperarono i ricordi romantici della libertà municipale Dahlmann, storico e uomo politico tedesco, autore della Quellenkunde der dentschen Geschichte (1830), delia Politik, auf den Grund und das Mass der gegebenen Zustinde zuriickgefiihrt, della Geschichte von Dinemark, della Geschichte der englischen Revolution, della Geschichte der franzòsischen Revolution e di altri scritti, appartiene alla storiografia liberale del primo Ottocento. Fece parte dell'assemblea nazionale di Francoforte, cd ebbe gran parte nell'elaborazione del progetto di costituzione tedesca. Karl barone von Stein, uomo politico tedesco, diede un contributo decisivo alla riforma dello stato prussiano prima nel 1807-1808 e poi nel 1813-14, dopo la sconfitta di Napolcone; sostenne la necessità dell'unione nazionale tedesca su base prussiana. Meineckc sì riferisce qui alla riforma municipale del novembre 1808, che concedeva l'autonomia locale alle città della Prussia. delle antiche città tedesche della potenza imperiale del Medioevo. L'intero mondo conservatore vive spiritualmente, in misura non piccola, di valori del passato idealizzati. In generale, a un popolo pervenuto alla coscienza di se stesso è indispensabile un frammento di culto del passato e degli antenati. Comprendere la storia del proprio popolo non soltanto con visione storica, ma anche con l’animo, è un processo salutare e profondamente giustificato. La mancanza di pietà verso il proprio passato è innaturale e dannosa. Ma pietà senza critica non dovrebbe esistere, allo stesso modo in cui non dovrebbe esistere critica senza pietà. Rispondo così alla questione se sia possibile sottrarsi agli effetti sgretolanti del relativismo con la fuga romantica nel passato, dicendo che in ogni caso la vita dell’uomo moderno è povera e triste senza qualcosa del senso romantico della storia, in generale del Romanticismo. Ma non appena si sviluppa in modo eccessivo, esso ostacola la vita anziché promuoverla. Passato e presente non confluiscono più in unità: il passato uccide allora il presente. E se ci interroghiamo soltanto sul valore conoscitivo del senso romantico della storia, anche in questo caso dovremo dire che tale elemento ci dischiude profondità del passato che non sarebbero accessibili alla mera conoscenza causale. Ma non appena un qualsiasi momento del passato viene elevato a norma e a criterio di valore dell’intero processo storico e del presente in particolare, sorge un dogma arbitrario che crolla immediatamente sotto la critica corrosiva del relativismo. Cerchiamo dunque ancora il punto saldo che ci permetta di far fronte al relativismo. Si può anche procedere al contrario del Romanticismo e cercare il valore non già nel passato bensì nel futuro, cercarvi cioè il fine della storia, che deve dare un senso al corso altrimenti privo di significato del divenire. Emerge qui una quantità di volti di filosofi della storia, tutti tesi a riconoscere nella storia un progresso reale verso un ideale determinato e assoluto. Alcuni credono che questo ideale sia raggiungibile e conduca a uno stato duraturo di perfezione dell'umanità, mentre altri si accontentano di avvicinarsi a que- sto fine in un’approssimazione infinita. Ma nell’uno come nel- l’altro caso è stato questo ottimismo del progresso ad agire potentemente nei secoli xvi e xix, diventando la bandiera dell’umanità in marcia. Molte sarebbero le cose da dire a que- sto proposito; ma qui mi limito a quest’unica domanda: abbia- mo oggi ancora questa fede nell’ascesa continua dell’umanità verso gradi superiori? Possiamo possederla ancora? A molti di noi il coraggio qui viene meno di colpo, e all'orizzonte si levano le ombre della moderna problematica culturale. In Ger- mania abbiamo sentito parlare, nel periodo successivo alla guer- ra, del tramonto dell’Occidente. Ritengo queste profezie di de- cadenza altrettanto precarie e soggettive quanto le prognosi di ascesa. Una volta colto il loro sfondo psicologicamente soggetti- vo e legato a uno stato d’animo, scompare anche il loro fasci- no. E di nuovo siamo di fronte alla corrente infinita del diveni- re e del trasmutare storico. «Chi sa dove si va? non ci si ricorda neppure da dove sì è venuti ». Questa corrente del divenire, che tutto relativizza e tut- to dissolve nel suo movimento, relativizza appunto anche i due tentativi compiuti dall’aspirazione umana a padroneg- giarlo spiritualmente, cioè il Romanticismo rivolto al passa- to e l’ottimismo del progresso. È loro caratteristica ed è pure la loro debolezza — di immergersi essi stessi nella corren- te, per nuotare sia contro di essa sia insieme ad essa. Ciò è possibile, e non dev’essere respinto senza appello; si può ben pro- cedere in avanti, praticamente, di un pezzetto. Ma la corrente ha la meglio sul nuotatore. In altri termini, entrambe queste visioni della storia procedono in direzione orizzontale e soccom- bono perciò alla corrente del divenire, che si muove orizzontal- mente. Ma si può considerare la questione anche in senso verti- cale e tentare di costruire un solido ponte al di sopra della corrente? Non si può forse guardare la corrente dall’alto di questo ponte e scorgere ciò che c'è di saldo e di sicuro nel mutamento? Non vedo nessun’altra via. Ed essa è stata percorsa da pro- fondi pensatori. Proprio in Goethe si trovano le indicazioni più precise in tal senso, e Ranke l’ha imboccata, dopo essersi immerso nella vita storica ancor più profondamente di quel che era stato possibile a Goethe. L'ha poi di nuovo ritrovata, con i più moderni strumenti filosofici, Ernst Troeltsch, e nella medesima direzione si lavora oggi da parecchie parti. Per accen- nare la direzione in cui dev'essere trovata la soluzione del no- stro problema voglio qui mettere a confronto due espressioni, l’una di Goethe e l’altra di Ranke. Nella tarda poesia di Goe- the che egli stesso chiama Vermdchtnis e che comincia con le parole « Nulla può mai distruggersi, annullarsi », si dice: «Ed il passato è allora duraturo, il futuro previve nel presente, l'attimo è eternità » 5. Anche qui si esprime di nuovo il senso universale della storia proprio di Goethe, che percepiva l’unità di passato e presente. Ma l’elemento di spettralità è scomparso e nella pie- na coscienza della corrente infinita del divenire, che unisce tra loro passato e futuro, un’idea di eternità prevale sull’infinito meramente temporale; e non si tratta di un’idea di eternità soltanto trascendente e speculativa, bensì di un’idea radicata nel cuore della realtà e dell’esperienza vissuta. L'attimo è eternità. Veniamo ora alla famosa frase di Ranke: «ogni epoca è in rapporto immediato con Dio ». Anche questa frase ci sottrae alla mera corrente del diveni- re e ci spinge a cercare ciò che nella storia è affine a Dio nell’attimo — nell’impulso all’eccelso di volta in volta presente nel singolo uomo, nei singoli popoli e stati in ogni loro epoca e momento. Verticalmente, non già orizzontalmente, la vita storica tende a quell’altezza di cui è capace. In ogni epoca, in ogni formazione individuale della storia si muovono forze spiri- tuali che aspirano a elevarsi al di sopra dell’ottusa natura e del mero egoismo, verso un mondo superiore. Il loro volo si com- pie più in alto o più in basso, ma ciò che esse realizzano è ogni volta qualcosa di interamente individuale, distinto da tut- te le realizzazioni precedenti e successive della storia; ed esse raggiungono tale scopo anche quando esteriormente falliscono. Il loro valore consiste nella loro stessa esistenza e azione, indi- pendentemente dal loro successo temporale — si tratti pure di S. GorrHe, Verméchtnis (trad. it. di F. Amoroso). un andare a fondo con la bandiera che sventola. In ultima analisi opera qui la convinzione che, almeno per noi, l’elemen- to spirituale non è qualcosa di universalmente valido nel sen- so delle verità matematiche, ma si concreta sempre e soltan- to in individualità. Questa prospettiva ci spinge a cercare e a creare l’eterno nell’attimo, nella costellazione individuale del- la vita. Possono certamente sorgere dubbi se sia giusto fare dell’ele- mento più fuggevole, l’attimo, il portatore dei valori dell’eterni- tà. Ma proprio questa paradossalità ci libera dalla pressione paralizzante della transitorietà, dando a ogni momento e a ogni formazione ricca di spirito della corrente del divenire stori- co la sua particolare dignità e il suo valore peculiare e svilup-pando un impulso etico più profondo della nostalgia di un passato più bello o della speranza di un regno millenario. In qualsiasi modo pensiamo la divinità, sia che ce la rappresentia- mo in forma personale o in forma impersonale, sia che osiamo cancellarne la parola stessa e parlare soltanto di valori supremi — in ogni attimo ognuno può sentirsi in rapporto immediato con tali valori, e quanto più fortemente si sente in rapporto, tanto più sicuramente troverà la sua strada e tanto più gioiosa- mente compirà il dovere che l’attimo gli impone. Egli può infatti abbandonarsi a una stella che lo protegge infallibilmente dallo sviamento di una visione della vita pura- mente relativizzante — vale a dire, per usare le parole di Dilthey, alla « mirabile facoltà presente in noi che chiamiamo coscienza »: e la coscienza è, per dirla con Fichte, «il raggio con cui proveniamo dall’infinito ». Ma qui noi ne parliamo in una prospettiva di teoria della storia, poiché una concezione storica priva di un saldo fondamento etico diventa gioco di onde. Nella voce della coscienza tutto quanto è fluido e relati- vo diventa, d’un sol tratto, saldo e assoluto nella sua forma. « Soltanto la propria coscienza — è detto nell’Historik di Droy- sen — è per ognuno l’assolutamente certo, è per lui la sua verità e il centro del suo mondo ». Il contenuto di ciò ch’essa dice al singolo uomo dovrà essere, sotto vari punti di vista, 6. J.G. Droysen, Historik - Vorlesungen liber Enzyklopidie und Methodologie der Geschichte (a cura di R. Hiibner), Miinchen und Berlin, 1937, p. 178. individuale e temporalmente condizionato. Ma ogni esame con- dotto su di sé mostra che la coscienza traccia ogni volta limiti esatti nei confronti della mera soggettività, dell’arbitrio e di tentatori ancora peggiori. Per bocca della coscienza parlano agli individui anche le potenze storiche superiori — il popolo, la patria, lo stato, la religione e così via — e accanto a ciò che esse dicono c'è di nuovo, nonostante l’essenza individuale di tali potenze, quel mirabile carattere assoluto e vincolante che protegge anche la vita comunitaria dal rischio di precipita- re nell’anarchia del volere individuale. Se si arriva poi a conflit- ti di coscienza tra il volere individuale e il volere delle forme superiori di comunità, la coscienza è ancora l’unica istanza che decide interiormente in proposito e che deve quindi porre fon- damentalmente il bene comune al di sopra del bene dell’individuo. Così la coscienza è il potente mezzo connettivo della socie- tà umana, e al tempo stesso l’autentica sorgente metafisica pre- sente nell'uomo. Nella coscienza l’individualità si fonde con l'assoluto, e l'elemento storico con il presente. E così mediante la coscienza è dato all’attimo quel contenuto di eternità, di cui abbiamo parlato. Tutti i valori di eternità della storia scaturisco- no, in ultima analisi, dalle decisioni della coscienza degli uomi- ni che agiscono. Il senso della storia nella totalità dell'universo ci è ignoto. La coscienza, in quanto costituisce l’elemento più affine a Dio presente in noi, ci mostra per così dire soltanto un’orlatura dorata al cui interno esso deve risiedere. Da questo senso assolu- to della storia distinguiamo il senso che può avere per noi. Esso non si esaurirà nel soddisfacimento del nostro bisogno causale, ma culminerà nell’accogliere e nel rivivere in noi, com- prendendola, la rivelazione dell'elemento affine a Dio che è presente nell’umanità. Qualcosa di questo vive — come abbia- mo chiarito parlando del fatto della coscienza — in innumere- voli anime, in lotta continua con tutto ciò che le trascina verso il basso e che spesso può sembrare preponderante. Anche nelle formazioni individuali che cerchiamo di comprendere storica- mente scegliendole dalla pienezza della vita complessiva, ciò che è affine a Dio — cioè la cultura nel senso più alto — equivarrà in una prospettiva spaziale a una sottile vena d’oro in mezzo a masse di minerale, mentre dal punto di vista temporale rappresenterà spesso soltanto degli attimi fuggevolissimi della storia universale. Ma nella misura in cui abbiamo guardato verticalmente verso l’alto, abbiamo anche potuto dare all’attimo storico e alla sua individualità un contenuto di eternità. Chi sa dove si va? - diciamo di nuovo pensando a tutti gl’abissi della storia. E tuttavia non ci è consentito di spaventarci. Pietro Rossi. Rossi. Keywords: lo storicismo, la critica della ragione storica, la storia della filosofia – l’antichita – filosofia romana, filosofia antica, gl’antichi, la filosofia romana, filosofia italica – indice al volume ‘L’antichita’ nella ‘Storia della filosofia” – “L’antichita” – storiografia filosofica – l’origine della filosofia italica, l’origine della filosofia romana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rossi” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rossi: chiave universale, o la ragione conversazionale e l’implicatura di Vico – la scuola d’Urbino -- filosofia marchese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Urbino). Filosofo marchese. Filosofo italiano. Urbino, Marche. Studia ad Ancona, Bologna, e Firenze sotto GARIN. Insegna a Castello e Milano. Lavora all'Enciclopedia presso la casa editrice Mondadori.  Insegna a Cagliari, Bologna, e Firenze. Si occupa di storia della filosofia. Cura edizioni di diversi filosofi, tra i quali CATTANEO (Mondadori) e VICO (Rizzoli). Le collaborazioni con giornali vanno dalla rubrica "Filosofia" sul settimanale Panorama alla rubrica "Storia delle idee" per il supplemento culturale La Domenica del quotidiano Il Sole 24 ore. Della rivoluzione di GALILEI (si veda) sostiene che la scienza vive un vero e proprio mutamento di paradigma. Il carattere rivoluzionario dei mutamenti nel modo di fare scienza avvenuti all'epoca di GALILEI grazie a una serie di fattori: la visione della natura, non più divisa tra corpi naturali e artificiali, la dimensione continentale (e, in prospettiva, mondiale) della cultura, l'autonomia da Roma, la pubblicità dei risultati. Un'altra importante novità e costituita dal formarsi di un'autonoma comunità scientifica, una sorta di autonoma repubblica della scienza dove non esiste l'ipse dixit.  Si dedica al tema della memoria, in chiave filosofica e storica, in “Il passato, la memoria, l'oblio”. Analizza e denuncia l'esistenza di diverse forme di ostilità alla scienza -- il primitivismo e l'"anti-scienza -- che, come forma di reazione allo sviluppo tecnologico e industriale, propugnano come soluzione di tutti i mali il ritorno a un mondo pre-moderno idealizzato e il rifiuto della razionalità. Dei Pontani di Napoli. Dei lincei. Saggi: “Acocio” (Milano, Bocca); “Favole antiche” (Milano, Bocca); “Dalla magia alla scienza” (Bari, Laterza); “Clavis Universalis: arti della memoria e logica combinatoria” (Milano, Napoli, R. Ricciardi); “I filosofi e le machine” (Milano, Feltrinelli); “Galilei” (Roma-Milano, CEI-Compagnia Edizioni Internazionali, “Il pensiero di Galilei: una antologia dagli scritti, Torino, Loescher); “Le sterminate antichità: studi vichiani” (Pisa, Nistri-Lischi); “Storia e filosofia: saggi sulla storiografia filosofica, Torino, Einaudi); “Aspetti della rivoluzione scientifica, Napoli, Morano); “La rivoluzione scientifica” (Torino, Loescher, Pisa, Edizioni ETS,  “Immagini della scienza,” Roma, Editori Riuniti); “I segni del tempo: Storia della nazione italiana in Vico” Milano, Feltrinelli); “I ragni e le formiche: un'apologia della storia della scienza,” Bologna, Il Mulino); “Storia della scienza,” Torino, Pomba, “La scienza e la filosofia dei moderni: aspetti della rivoluzione scientifica,” Torino, Boringhieri, “Paragone degli ingegni moderni e post-moderni,”Bologna, Il Mulino, “Il passato, la memoria, l'oblio: sei saggi di storia delle idee” (Bologna, Mulino); “La filosofia,” Torino, Pomba, “Naufragi senza spettatore: l'idea di progresso,” Bologna, Il Mulino, “La nascita della scienza” Roma, Laterza, “Le sterminate antichità e nuovi saggi vichiani,” Scandicci, La Nuova Italia, “Un altro presente: saggi sulla storia della filosofia,” Bologna, Il Mulino); “Bambini, sogni, furori: tre lezioni di storia delle idee, Milano, Feltrinelli); “Il tempo dei maghi: Rinascimento e modernità, Milano, Cortina, Speranze, Bologna, Il Mulino, Mangiare, Bologna, Il Mulino,  Un breve viaggio e altre storie: le guerre, gli uomini, la memoria (Milano, Cortina); saggi in onore di R., Vergata e Pagnini, Nuova Italia, Firenze, Segni e percorsi della modernità: saggi in onore, Abbri e Segala, Dipartimento di Studi Filosofici dell'Siena, Rainone, «Rossi Monti, Paolo» in Enciclopedia Italiana, Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Abbri, Nuncius, Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Un maestro, Pisa, Edizioni della Normale, Tra BANFI e Garin: la formazione, in Rivista di filosofia, Treccani Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Enciclopedia multimediale RAI delle scienze filosofiche -- Per una scienza libera, intervista. Storia Moderna, : memoria e reminiscenza, sul  RAI Filosofia, su filosofia rai. Il Fondo Rossi nella biblioteca del Museo Galileo. CLAVIS UNIVERSALIS ARTI MNEMONICHE E LOGICA COMBINATORIA DA LULLO A LEIBNIZ MILANO - NAPOLI  RICCIARDI EDITORE MCMLX CLAVIS UNIVERSALIS DELLO STESSO AUTORE: Per una storia della storiografia socratica, nel vol. Problemi di storiografia filosofica, a cura di A. Banfi, Milano, Bocca, Giacomo Aconcio, Milano, Bocca, 1952. Il «De Principiis» di Mario Nizolio, nel vol. Testi umanistici sulla retorica, a cura di E. Garin, Roma-Milano, Bocca, 1953. Francesco Bacone, dalla magia alla scienza, Bari, Laterza, 1957. Su alcuni problemi di metodologia storiografica, nel vol. Il pensiero americano contemporanco, Milano, Ediz. di Comunità, 1958. Altre ricerche di storia della filosofia pubblicate nella « Rivista critica di storia della filosofia », anni 1950 segg. C. Cattaneo, L'insurrezione di Milano, Milano, Universale Economica.. O . Cattaneo, La società umana, Milano, Mondadori  (antologia). E. TayLor, Socrate, Firenze, La Nuova Italia, 1952 (prefazione). F. Bacone, La nuova Atlantide e altri scritti, Milano, Universale Economica (introduzione, traduzione e note). G. B. Vico, Opere, I classici Rizzoli, Milano, Rizzoli, 1959 (introduzione e note). PAOLO ROSSI CLAVIS UNIVERSALIS ARTI MNEMONICHE E LOGICA COMBINATORIA DA LULLO A LEIBNIZ MILANO - NAPOLI RICCARDO RICCIARDI. Il termine clavis universalis fu impiegato, fra il Cinquecento ed il Seicento, a indicare quel metodo o quella scienza generalissima che pongono l’ uomo in grado di cogliere, al di là delle apparenze fenomeniche o delle « ombre delle idee », la trama ideale che costituisce l’essenza della realtà. Decifrare l'alfabeto del mondo; riuscire a leggere, nel gran libro della natura, i segni impressi dalla mente divina; scoprire la piena corrispondenza tra le forme originarie e la catena delle umane ragioni; costruire una lingua perfetta capace di eliminare gli equivoci e di svelare le essenze mettendo l’uomo a contatto non con i segni, ma con le cose; dar luogo ad enciclopedie totali, a ordinate classificazioni che siano lo specchio fedele dell'armonia presente nel cosmo: al tentativo di realizzare risultati di questo tipo, ad analizzare, difendere e propagandare queste posizioni e la visione del mondo ad esse collegata furono intenti, fra la metà del Trecento e la fine del secolo XVII, quanti si volsero a discutere i temi del lullismo, a dettare le regole della memoria artificiale, a compilare grandiose enciclopedie e complicati teatri del mondo, a ricercare l’alfabeto dei pensieri, a farsi sostenitori delle aspirazioni della pansofa e delle speranze in una totale redenzione e pacificazione del genere umano. Si tratta di atteggiamenti, di progetti, di temi che ebbero diffusione vastissima, che esercitarono un peso decisivo sulle ricerche di logica e di retorica, che condussero a studiare e ad approfondire, da un ben determinato punto di vista, il problema della lingua e quello della memoria, le questioni attinenti alle topiche e alle classificazioni, ai segni e ai geroglifici, ai simboli e alle immagini. È senza dubbio difficile per un uomo moderno rendersi conto del peso che una produzione libraria dedicata a quest'ordine di problemi ebbe ad esercitare sulla cultura, anche su quella filosofica. Resta il fatto che ad elaborare le regole del discorso, quelle dell’ argomentazione e della persuasione, a stabilire i canoni dell’arte della memoria, ad insegnare il tipo di collegamento che deve sussistere tra i luoghi della mnemotecnica e le immagini che in essi hanno da essere collocate, a studiare le figure della grande arte di Lullo, ad elaborare le complicate regole della combinatoria, si dedicarono intere generazioni di uomini colti dal primo Rinascimento fino all’età di Leibniz. Che le tecniche della memoria artificiale e della logica combinatoria siano scomparse dalla cultura europea non è probabilmente un male; male è invece che molti storici abbiano creduto o tuttora credano di poter intendere polemiche e discussioni e significati di teorie, strap- pando violentemente quelle discussioni e quelle teorie da un contesto storico preciso nel quale quelle tecniche, oggi ben morte, erano invece vive e vitali. Chi, occupandosi della cul- tura del Cinquecento e del Seicento, non ha per esempio inteso il significato della connessione logica-retorica e ha creduto di poter tracciare una storia della prima senza minimamente occuparsi della storia della seconda, ha raggiunto, in genere, conclusioni abbastanza desolanti. Dire, come molti han fatto, che «testi insignificanti » ebbero grande diffusione in tutta Europa, significa, in ultima analisi, cercare di sfuggire, con un giro di parole, ad un problema storico ben determinato: che è poi quello delle ragioni di quella singolare fortuna e dei motivi che spinsero filosofi come Agrippa e Bruno e Bacone e Cartesio e Leibniz e uomini come Alsted e Comenio e scien- ziati come Boyle o Ray a prendere estremamente sul serio quelle discussioni, a impegnarsi in una valutazione della loro funzione e del loro significato, a interpretarle e adattarle a più diverse e complesse posizioni di pensiero. Certo, ove non si vogliano eliminare dalla storia, come frutto di errori e di illusioni, gli scritti latini del Bruno, vari capitoli del De Augmentis, i frammenti giovanili di Cartesio, una metà degli opuscoli di Leibniz, ove non si vogliano re- spingere ai margini della cultura uomini come Alsted e Co- menio, bisognerà rendersi conto che anche la cultura del Sei- cento (non solo quella delle età precedenti) è, nelle sue stesse linee di fondo, assai lontana da una mentalità post-illuministica. Poiché è proprio il razionalismo illuministico che segna, da questo punto di vista, una svolta decisiva: una serie di problemi che avevano appassionato per secoli i cultori di logica e di retorica, i teorici del discorso e gli studiosi del linguaggio vennero eliminati per sempre dalla scena della cultura europea, perdettero significato e senso, apparvero manifestazioni delle folli aspirazioni di secoli che si erano posti sotto il segno delle empie ricerche astrologiche, magiche e alchimistiche, o sembrarono i relitti, ancora presenti nell’ età della nuova scienza, delle tenebre medievali. Accettando come valido il quadro storiografico estremamente parziale elaborato dagli illuministi nel corso di un’aspra lotta ideologica, non poca della storiografia dei secoli successivi ha preferito sorvolare su alcuni aspetti, che furono in realtà decisivi, della cultura dell’età barocca. Gli interessi del Bruno per la combinatoria e la mnemotecnica vennero considerati come «curiosità e bizzarrie »; si preferì sorvolare sul fatto che Ramo e Bacone e lo stesso Leibniz ave- vano visto nella « memoria » una delle sezioni nelle quali si articola la nuova logica dei moderni; non si tenne conto che la dottrina baconiana delle tavole e dell’induzione, che quella cartesiana dell’enumerazione erano state elaborate su un terreno storico preciso con riferimenti a testi diffusissimi e a discussioni ormai secolari; si vide in Comenio solo il pedago- gista moderno e in Leibniz solo il teorico della logica formale. Di quel complicato groviglio di temi connessi alla cabala e alle scritture ideografiche, alla scoperta dei caratteri reali, al- l’arte della memoria, all'immagine dell’albero delle scienze, alla mathesis e alla caratteristica universale, al metodo inteso come miracolosa chiave dell’universo, alla scienza generalissima, si preferì sbarazzarsi facendo ricorso ad una generica e misteriosa entità “platonismo” sempre presente, come uno sfondo non chiarito e un indistinto panorama, dietro le opere dei grandi e dei piccoli pensatori. Questo libro è nato dal tentativo di chiarire, almeno nelle sue linee fondamentali, quello “sfondo” e di individuare gli aspetti generali e particolari di quel “panorama”: non mediante riferimenti generici, ma attraverso l’analisi diretta di una serie di testi editi e inediti, un esame della diffusione di determinati libri e di determinate idee, una ricerca dell’azione esercitata da quei libri e da quelle idee sulla “filosofia” (in particolare sulla logica) dei pensatori moderni di maggior rilievo. i La funzione, il significato, gli scopi delle arti della memoria e della logica combinatoria si andarono, di volta in volta, variamente configurando Le formule, da secoli ripetute, di un arte veneranda acquistarono in ambienti diversi da quelli originari, significati assai diffe- renti: quella che era apparsa a molti, fra il Trecento e il Quattrocento, una tecnica neutrale utilizzabile nei discorsi per- suasivi indipendentemente dalle circostanze di luogo e di tempo, finì per rivelarsi strumento di ambiziosi progetti di riforma, per caricarsi di significati metafisici, per connettersi al temi della cabala dell’esemplarismo mistico e della pansofia. Da questo punto di vista fra i testi di ars praedicandi o di ars memoriae del Trecento e del Quattrocento e i testi del Bruno e del Camillo esiste una incolmabile differenza: a uno strumento concepito in vista di finalità pratiche e mondane, nell’ambito della retorica, si è sostituita, dopo l’incontro con la tradizione del lullismo, la ricerca di una cifra che consenta di penetrare i segreti ultimi della realtà, di ampliare smisura- tamente le possibilità dell’uomo. Non diversamente, inserendo la dottrina degli aiuti della memoria nei quadri di una dottrina del metodo o della logica, o richiamandosi alla carena e al- l’arbor scientiarum, Ramo, Bacone e Cartesio muteranno pro- fondamente il senso di problemi tradizionali. L'antico pro- blema della memoria artificiale, piegato a nuove esigenze e profondamente trasfigurato, faceva il suo ingresso nella logica moderna, si legava ai temi del linguaggio universale e della scienza prima o generale. Ma al di là di questi “mutamenti” e di queste “trasfigurazioni” resta ben salda una effettiva con- tinuità di idee e di discussioni: una continuità che ha carat- tere europeo e che è accertabile mediante la documentazione della diffusione di un grandissimo numero di testi e di molte idee in gruppi di uomini ben determinati. Nel corso del Set- tecento i testi di Pietro da Ravenna e di Cornelio Gemma, di Alsted e di Pedro Gregoire, di Schenkelius e di Rosselli, di Bisterfield e di Wilkins, che erano stati studiati e letti e com- mentati da Bruno e da Bacone, da Comenio da Cartesio e da Leibniz vengono eliminati dalla cultura europea. Anche il lullismo, che era stato in Francia, in Germania e in Italia, una delle componenti fondamentali della cultura, una delle “sette” filosofiche più fortunate e accademicamente più forti, si localizza nella città di Magonza e nell’isola di Maiorca, assume carattere esclusivamente erudito, dà luogo, nella se- conda metà del secolo, solo alle malinconiche esercitazioni di qualche professore, si riduce a manifestazione di una menta- lità irrimediabilmente arcaica e provinciale. Non diversamente le arti della memoria artificiale, nate con Cicerone e Quinti- liano, riprese da Alberto e Tommaso, considerate essenziali all’esercizio della virtù cristiana della prudenza, coltivate da Lullo, da Bacone e da Leibniz, vengono respinte ai margini della cultura, vanno infine a far compagnia, nelle collane di libri occulti, ai testi dell’ antroposofia e dello spiritismo. Appellandosi ad un “calcolo” logico e soprattutto ad un “simbolismo” di tipo matematico Leibniz aveva dato in realtà un colpo mortale a quei “simboli” intesi come «pitture ani- mate prodotte dall’immaginativa » che avevano riempito per tre secoli non pochi testi di retorica di pedagogia e di filosofia. Con Leibniz, ed anche per opera di Leibniz, scompariva un intero mondo; non solo un certo modo di intendere la fun- zione delle immagini e dei simboli, ma anche un modo di intendere il compito della logica e i rapporti di questa con la metafisica. Quando Collier pubblicò la sua Clavis universalis, questo termine, già carico di tanti significati, aveva perso ogni senso, era solo un'etichetta, estranea al contenuto dell’opera. Rifiutando gli aspetti arcaici del pensiero leibni- ziano; respingendo l’esemplarismo di derivazione lulliana, le stravaganze della cabala, i sogni della pansofia, tutta l’atmo- sfera — alquanto torbida — dell’enciclopedismo dei due secoli precedenti, il razionalismo settecentesco coinvolgeva però nella condanna — con conseguenze storiche assai importanti — an- che i progetti di una caratteristica universale e di un simbolismo logico avviati da Dalgarno e da Wilkins, condotti avanti da Leibniz. Non a caso Emanuele Kant, a quasi un secolo dalla comparsa della Dissertatio de arte combinatoria, esclu- deva radicalmente che le idee composte potessero essere rap- presentate mediante la combinazione di segni e paragonava la caratteristica di Leibniz agli inconcludenti sogni dell’ alchimia. L’opera di Leibniz veniva così identificata con quella di un teologo e di un metafisico speculativo, la sua fama era affidata alla Teodicea e alle discussioni sul problema del male. Come ha scritto con molta esattezza il Barber, che ha studiato in modo egregio le reazioni di un secolo di cultura francese al leibnizianesimo, l’avvento del nuovo empirismo « swept Leibniz too into the class of the outmoded exponents of apriori : DR, Si : systems ». Per veder ripresi i progetti di Leibniz bisognerà attendere per due secoli: fino ad Augustus de Morgan e a George Boole; come logico, Leibniz verrà rivalutato, agli inizi del nostro secolo, da Louis Couturat e da Bertrand Russel; del vescovo di Wilkins si parla con una certa simpatia, forse per la prima volta dopo il Settecento, nel volume The meaning of meaning di Ogden e Richards pubblicato a Londra nel 1923. La sviluppo ottocentesco della logica formale, il costituirsi della logica simbolica come scienza derivava dalla « graduale acquisizione della sempre più netta consapevolezza della sua natura di tecnica deduttiva indipendente dai presupposti di una visione generale del mondo » (Barone) dallo svincola- mento « da ogni preoccupazione ontologico-metafisica » (Preti). Come già aveva notato Husserl, la logica formale moderna era nata « non da riflessioni filosofiche sul significato e sulla necessità della mathesis universalis, ma dalle esigenze della tecnica teoretica deduttiva della matematica ». I riconoscimenti delle « geniali anticipazioni » presenti nel pensicro di Leibniz ebbero origine precisamente su questo terreno. Ma su un altro terreno, radicalmente diverso, si era mosso Leibniz e, prima di lui, si erano mossi Bacone e Cartesio. Quelle “anticipazioni”, quei “precorrimenti” che Far- rington, Beck' o Russel, trattando rispettivamente di Bacone, di Cartesio e di Leibniz, hanno così acutamente segnalato sono senza dubbio di grandissimo interesse ed ogni ricerca volta a determinarne meglio la portata e la fecondità per i contem- poranei è non solo legittima, ma auspicabile. E tuttavia sotto- lineare le differenze, battere sulla diversità, sulla alterità è, quanto meno, altrettanto importante: per dissipare cquivoci, per mostrare che cosa fu, nella realtà, quello sfondo indistinto sul quale campeggiano i ritratti dei nostri illustri antenati. Co- me ha scritto di recente Augustin Crombie, a proposito dei lu- minosi precorrimenti presenti nell’opera di Galileo, « it is not by reading our own problems backwards that historical expe- rience is enlightening, but by exposing ourselves to the surprise that thinkers so effective should have had aims and presup- positions so different from our own ». Chi abbia familiare la letteratura sul Rinascimento vedrà chiaramente quanto questo libro debba alle ricerche di Garin sulla cultura  e, per quanto riguarda la “continuità” delle “idee” fra il Quattrocento e il Settecento, alle conclusioni cui è giunto, di recente, Delio Cantimori. Desiderio inoltre esprimere la mia gratitudine al Padre Miquel Batllori dell’ Istituto Storico della Compagnia di Gesù, al prof. Frangois Secret, a Mrs. G. Bing del War- burg Institute, agli amici Paola Zambelli e Cesare Vasoli che mi hanno variamente consigliato, fornito pubblicazioni e indicazioni di articoli e di studi. Ringrazio inoltre il dott. Luigi Quattrocchi dell’Istituto Italiano di Amburgo che mi ha procurato le fotografie di alcuni manoscritti leibniziani c la direzione della « Rivista critica di storia della filosofia » che mi ha consentito di riprodurre qui quelle parti del libro che erano apparse, nella rivista stessa, sotto forma di saggi. AvveRTENZA: Nelle note, a indicare le biblioteche qui di seguito elencate, si sono usate le seguenti abbreviazioni (ma si veda anche l’ Indice dei manoscritti: Ambros. . Ambrosiana Ang. Angelica Anton. Antoniana Archiginn. Comunale di Bologna Braid. Braidense Casan. Casanatense Class. Classense Fir. Naz. Nazionale di Firenze Laur. Laurenziana Marc. Marciana Pad. Civ. Civica di Padova Par. Naz. Bibliothèque Nationale Pavia Univ. Universitaria di Pavia Ricc. . Riccardiana Roma Naz. Nazionale Centrale di Roma Triv. Trivulziana Vatie. Apostolica Vaticana. In un testo fondamentale della filosofia moderna, com- posto alla metà del secolo dei lumi, Hume, discorrendo del discernimento e della memoria, affermava che mentre i difetti del discernimento non possono trovar rimedio in alcuna arte o invenzione, i difetti della memoria possono sovente essere attenuati od eliminati «sia nel campo degli affari come in quello degli studi ». Accennando al « metodo », alla « opero- sità» e alla « scrittura » come opportuni aiuti a una debole memoria, scriveva: «quasi mai sentiamo indicare la scarsa memoria come la ragione del fallimento d’una persona nelle sue iniziative. Ma nell’antichità, quando nessun uomo poteva conseguire successo se non possedeva il talento della parola, e quando il pubblico era troppo delicato per reggere ad ar- ringhe rozze ed indigeste del tipo di quelle che gli improv- visati oratori dei nostri giorni propinano alle assemblee, la facoltà della memoria aveva la massima importanza e, per conseguenza, era assai più stimata di oggi ».' Hume, che negli anni della sua formazione intellettuale aveva « segretamente divorato » i testi ciceroniani, era ben con- sapevole dell’esistenza storica di una tecnica o arte della me- moria che, come risulta dal suo brano, è per sua natura con- nessa al fiorire di una civiltà che fa largo posto alle tecniche del discorso e ad un mondo nel quale la retorica si presenta come un elemento vivo della cultura. Negli anni in cui Hume scriveva, le ricerche volte alla fissazione e alla elaborazione 1 D. Hume, Ricerche sull’intelletto umano e sui princìpi della morale, a cura di M. Dal Pra, Bari, 1957, p. 267. Cfr. il testo inglese ed. L. A. Selby Brigge, Oxford. Sul problema della memoria cfr. anche A Treatise of Human Nature, cd. by L. A. Selby Brigge, Oxford (sulla memoria e l'immaginazione). Sull’ assenza di ogni sensazione di piacere o di pena nell'esercizio della memoria] delle regole della memoria artificiale erano ormai definitiva- mente scomparse dalla scena culturale europea e si erano rifu- giate sul piano delle curiosità e delle stravaganze. Non si era trattato solo di un corrompersi delle arti del discorso di fronte alla minore delicatezza degli uditori: l’enorme diffusione della stampa (e quindi dei repertori, dei dizionari, delle bibliografie, delle enciclopedie), la progressiva affermazione delle nuove logiche (da Ramo a Bacone, da Cartesio ai Portorealisti) ave- vano dato in realtà un colpo mortale da un lato alla tratta- tistica retorica e dall’altro a quella produzione di opere di mne- motecnica (a quella trattatistica strettamente collegata) che ave- vano letteralmente invaso l’ Europa. Solo tenendo conto della diffusione che la mnemotecnica aveva raggiunto non solo in un ambito letterario e filosofico, ma anche all’interno delle scuole e dei programmi d’insegna- mento, ci si possono spiegare le proteste e le ironie che contro di essa da più parti si levarono nei secoli stessi del Rinasci- mento. Nel decimo capitolo del De varitate scientiarum, dedi- cato appunto all’ars memorativa, Agrippa si scagliava con vio- lenza, contro quei zedulones che, nelle scuole, impongono agli studenti lo studio della memoria artificiale o che riescono a spillar quattrini agli incauti facendo leva sulla novità dell’arte. Far ostentazione di capacità mnemoniche gli sembrava cosa puerile; spesso, concludeva, si giunge a manifestazioni di tur- pitudine e di impudenza: si sciorinano tutte le merci dinanzi alla porta mentre la casa, all’interno, è completamente vuota. Ricordando Simonide, Cicerone, Quintiliano, Seneca, Petrarca e Pietro da Ravenna fra i maggiori teorici dell’arte memorativa, egli da un lato notava la insufficienza della memoria artificiale ove non sussistesse già robusta la nazuralis memoria c dal- l’altro si scagliava contro il carattere mostruoso delle immagini e la pesantezza delle formule in uso nella mnemotecnica. I cul- tori della quale, gli sembrava, intendono far impazzire me- diante l’arte coloro che non si accontentano dei confini sta- biliti dalla natura.” ° H. C. Acrirra, De incertitudine et vanitate scientiarum, in Opera, Lugduni, per Beringos Fratres, 1600, II, pp. 32, 33 (copia usata: Triv. Mor. K. 403). Con altrettanta decisione, vent'anni più tardi, Erasmo, nemico dei ciceroniani e della retorica, si pronuncerà contro l’uso dei loci e delle immagini che non fanno — affermava — che rovinare e corrompere la memoria naturale. Con più iro- nia, un altro grande critico delle degenerazioni pedantesche e delle precettistiche dell’umanesimo rifiuterà questo tipo di let- teratura, insistendo, con una crudezza che va certo spiegata anche mediante il riferimento ad una situazione culturale pre- cisa, sulla sua stessa mancanza di memoria: Il n'est homme è qui il siese si mal de sc mesler de parler de memoire, car je n’en recognois quasy trace en moi, et ne pense qu'il y en ayt au monde une aultre si mervcilleuse en defaillance... Si jc suis homme de quelque legon, jc suis homme de nulle retention... Ma memoire sempire cruellement tous les jours... Proprio sul terreno dell'educazione c partendo dal presup- posto che « sgavoir par coeur n'est pas “gdvolt, c'est tenir ce qu'on a donné en garde à sa memoire »,° Montaigne polemiz- zava contro l'apprendimento mnemonico in nome di una cul- tura « viva»: non si chieda conto al discepolo delle parole della lezione, ma del suo senso e della sua sostanza; gli si chieda non la testimonianza della sua memoria, ma della sua vita; lo stomaco non ha adempiuto alla sua funzione se non quando ha mutato la forma e la struttura degli alimenti, iden- tico è il compito della mente." Non si trattava di generici riferimenti alla libertà della mente di fronte ad ogni precet- tistica; la polemica di Montaigne assomiglia solo nella forma a quella che potrebbe condurre un professore dei nostri giorni [D. Erasmo, De razione studii, ed. Frocben, 1540, I, p. 466. ! MoNTAIGNE, Esseis, I, 9; II, 10 (ediz. Garnier, Parigi, s. d., I, p. 25; 374). > Essats, I, 25 (vol. I, p. 119). € «Qu'il ne luy demande pas seulement compte des mots de ca legon, mais du sens et de la substance; et qu'il juge du profit qu'il aura faict, non par le tesmoignage de sa memoire, mais de sa vie... C'est tesmoi- gnage de crudité et indigestion, que de regorger la viande comme on l’a avallée: l'estomach n'a pas faict son operation, s'il n'a faict changer la faccon et la forme à ce qu'on luy avoit donné à cuire... On nous a tant assubjectis aux chordes, que nous n’avons plus de franches allu- res; notre viguer et liberté est esteincte ». (Essai, contro gli studenti che imparano le lezioni a memoria. Egli aveva di fronte obbiettivi precisi: Si en mon pais on veult dire qu'un homme n°a point de sens, ils disent qu'il n'a point de memoire; et quand je me plains du default de la mienne, ils me reprennent et mescroyent, comme si je m’accusois d’estre insensé: ils ne veoyent pas de chois entre memoire et entendement... Mais il me font tort, car il se veoid par cxpérience que les memoires excellentes se joignent volentiers aux jugements debiles... Ils on laissé, par escript, de l’orateur Curio que, quand'il proposoit la distribution des pieces de son oraison en trois ou en quatre, ou les nombres de ses arguments ou raisons, il luy advenoit volentiers ou d’en oublier quel- qu’un, ou d’y en adjouster un ou deux de plus. J'ay tous- jours bien evité de tomber en cet inconvenient, ayant hai ces promesses et prescriptions...” In realtà, nonostante le proteste di Erasmo e di Montaigne, quelle odiate « prescrizioni » erano destinate a diffondersi sempre più ampiamente durante tutto il secolo XVI e a pro- lungarsi poi fino in pieno Seicento. A_metà del secolo XVII Wolfang Ratke protesterà, da un punto di vista simile a quello dei grandi umanisti, contro l’apprendimento mnemonico e contro gli esercizi di mnemotecnica.* Ancora negli ultimi anni del secolo i ‘““ciceroniani”, che non avevano affatto disarmato nonostante Erasmo, Montaigne e la grande crisi ramista e car- tesiana, si facevano con successo sostenitori, in sede pedago- gica oltreché retorica, della necessità e dell’utilità della me- moria artificiale. Quella vasta produzione di trattati di ars memorativa alla quale si rifaceva la Art of Memory del D’As- signy, che non a caso veniva dedicata nel 1697 ai « giovani studenti di entrambe le università »,° non era stata soltanto espressione di pedanteria grammaticale: in essa aveva trovato forma quel panmetodismo che, nel corso del Cinquecento, aveva contrassegnato tutta la cultura. La fisionomia, i tempe- ramenti, le passioni, le proporzioni del corpo umano, il di- [? Essais * Pàdagogische Schriften des Wolfang Ratichius und seiner Anhinger, Breslau, 1903. Cfr. E. Garin, L'educazione in Europa, Bari, Assicny, The Art of Memory. A treatise useful for such as are to speak in Publick, London, 1scorso, la poesia, l'osservazione della natura, l’arte del gover- nare e quella militare: tutto venne in quell’età codificato e ridotto in arte. In quel periodo della cultura che è stato felice- mente chiamato «l’età dei manuali », in quel secolo che « fu instancabile nel ricercare princìpi normativi di valore generale e perenne da calare in comodi schemi didascalici »,°° proprio mentre si veniva chiarendo la impossibilità, per quelle codifi- cazioni, di passare dal piano delle topiche e dei teatri univer- sali a quello del metodo,!! si andava rafforzando l’esigenza di un’arte capace di presentarsi come la chiave della realtà, come arte universale e somma, capace di risolvere di colpo tutti i problemi dando luogo ad una tecnica suprema che rendesse di fatto inutili tutte le varie provvisorie e particolari tecniche. L’idea di un’arte del ricordare e del pensare che si svolga in modo “meccanico” acquisterà nuovo vigore quando, fra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento, si stabilirà un contatto profondo fra le ricerche di arte della memoria ispirate a Cicerone a Quintiliano alla Retorica ad Herennium, quelle derivanti dal De memoria et reminiscentia di Aristotele dai commenti di Alberto, Tommaso, Averroè e infine quelle diret- tamente legate alla ars magra di Lullo. Avrà allora nuovo rilievo il concetto di un meccanismo concettuale che, una volta messo in moto, possa svolgersi da solo, in modo relativamente indipendente dall’opera del singolo, fino alle ultime conse- guenze, fino alla comprensione totale, ponendo gli uomini in grado di leggere nella sua integrità il gran libro dell’universo. Per rendersi conto del peso che questa idea eserciterà nel seno stesso della filosofia moderna basterà pensare alla macchina che Bacone intendeva costruire mediante la sua nuova logica, al mirabile inventum cartesiano cercato, prima che nella geome- tria analitica, nei testi di Lullo e di Agrippa, ai libri « porta- tori di luce universale » di Comenio, infine a quella mirabile chiave che intendeva essere la “caratteristica” leibniziana. L'antico sogno lulliano di un’arte che sia contemporanea- [Firpo, Lo stato ideale della Controriforma (Agostini), Bari. Cfr. R. KLEIN, L’imagination comme vétement de l’ dame chez Mar- sile Ficin et Giordano Bruno, in « Revue de Métaphysique et de Mo- rale] mente logica e metafisica,'° che, a differenza della logica tra- dizionale, tratti non delle seconde, ma delle prime intenzioni, che mostri la corrispondenza tra il ritmo del pensiero e quello della realtà, che disveli, mediante combinazioni mentali, il vero senso dei rapporti reali, aveva trovato piena espressione, nei secoli del Rinascimento, nei tormentati scritti di mnemo- tecnica del Bruno. E non a caso, oltre che alla lettura dei testi di Lullo, Bruno ebbe a richiamarsi alla scoperta, fatta in anni giovanili, del trattatello sulla memoria di Pietro da Ravenna," che era invece di precisa ispirazione “retorica” e “ciceroniana”. Quando nel De umbris idearum Bruno si muoverà sul piano dei nessi immaginativi, delle connessioni tra immagini e figure e lettere, affiderà proprio al connubio tra meccanismo logico e meccanismo psicologico quella possibilità di una immensa estensione del sapere o di una nuova inventio che era al cul- mine delle sue aspirazioni: in quel punto apparivano saldate insieme, nei testi bruniani, le aspirazioni del lullismo e le tec- niche sull’uso dei luoghi e delle immagini che derivavano dai testi di retorica antica e dai trattati sulla memoria artificiale del Rinascimento. Leggendo le pagine vivacemente polemiche contro l’arte della memoria (quelle di Ratke come quelle di Erasmo o di Montaigne o di Agrippa) è certo difficile non simpatizzare in qualche modo con quella polemica condotta, in nome della libera spontaneità dell’uomo, contro gli schemi e la pedan- teria e le prolissità di una rigida precettistica. Ciò non toglie 12 R. LutLi, Opera omnia, Mainz, Sciendum est ergo, quod ista Ars est et logica et Metaphysica... Mctaphysica considerat res, quae sunt extra animam, prout conveniunt in ratione entis; logica etiam considerat res secundum esse, quod habent in anima... sed hacc Ars tanquam suprema omnium humanarum scientiarum in- differenter respicit ens secundum istum modum ct secundum illum ». Cfr. anche Opera, ed. Zetzner, Strasburgo: Logicus trac- tat de secundariis intentionibus... sed generalis artista tractat de primis... Logicus non potest invenire veram legem cum logica: generalis autem artista cum ista arte invenit... Et plus potest addiscere artista de hac arte uno mense, quam logicus de logica uno anno ». (Copia usata: An- gelica, CORSANO, Il pensiero di BRUNO nel suo svolgimento storico, Firenze; Tocco, Le opere latine di G. Bruno, esposte e confrontate con le italiane, Firenze] che di fatto proprio quella precettistica (quella derivante da Cicerone come quella derivante da Lullo) ebbe ad incidere, per vie sotterraneee, sulla formazione della nuova cultura con- dizionando il costituirsi stesso della logica nuova da Bacone a Leibniz. In varie guise collegata agli sviluppi delle arti del discorso e alle tecniche della persuasione, ai tentativi di co- struzione di una nuova enciclopedia, alle controversie sul rami- smo e sul lullismo, alla magia, alla medicina e alla fisiogno- mica, la trattatistica sulla memoria artificiale si colloca dun- que, fra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento, al centro di un giro di discussioni e di problemi cui appaiono interessati non solo i teorici o cultori della retorica, ma filosofi e logici c cultori di scienze occulte e medici ed enciclopedisti di varia provenienza e natura. Le “bizzarrie” della mnemotecnica andranno così da un lato a intrecciarsi a problemi di logica e di retorica e dall’altro a connettersi alla rinascita del lullismo e alla creazione di lin- guaggi artificiali nonché a quella ambigua atmosfera magico- occultistica che appare in molti casi collegata al rifiorire di interessi per l’ars magra di Lullo. Le discussioni sulla mnemo- tecnica non saranno in tal modo senza risonanza su due grandi problemi della cultura filosofica del Seicento: quello del me- todo o della logica inventiva e quello della sistematica classifi- cazione delle scienze o costruzione di una enciclopedia del sapere. Gli uomini — scrive l’anonimo autore di un trattato quattrocentesco sulla memoria — inventarono arti diverse c numerose per aiutare e potenziare l’opera della natura. Con- statando la labilità dell’umana memoria, legata alla fragilità della natura dell’uomo, escogitarono un’arte mediante la quale fosse possibile ricordarsi di molte cose che, per via naturale, non potevano essere ricordate. Nacque così la scrittura e poiché in tempi successivi gli uomini si resero conto di non poter portare sempre seco le scritture e che non sempre scrivere era possibile, inventarono, fin dai tempi di Simonide e di Demo- crito, l’arte della memoria artificiale. Questo avvicinamento dell’arte mnemonica alle altre tecniche che aiutano l’opera della natura, presente in questo co- me in tutti i trattati rinascimentali sulla memoria, non è, come vedremo, senza significato. Ma più che da questo accosta- mento si è colpiti, esaminando i trattati di ars memorativa composti fra la metà del Trecento e la metà del secolo XVII, dal costante, insistente richiamo alla psicologia aristotelica, ai grandi manuali della retorica latina, ai testi sulla memoria e ai commenti di Alberto Magno e di Tommaso d’Aquino. In molti casi i trattati che andremo esaminando non fanno che esporre, commentare, amplificare regole, dottrine, precetti che risalgono a molti secoli prima e che, elaborati in Grecia e in Roma, giungono ai filosofi del Rinascimento attraverso l’opera dei grandi maestri della scola- stica. Certo, anche quelle regole e dottrine andranno mutando valore e portata e significato a contatto con tradizioni culturali differenti e con differenti ambiti di civiltà: quegli aiuti della memoria che appaiono connessi nel Medio Evo con l’ars prae- dicandi, diventeranno in BRUNO gli strumenti di un’arte che vuol riprodurre le strutture della realtà, mentre Bacone e Descartes li inseriranno, come elementi essenziali, all’interno della nuova metodologia delle ricerche naturali. Tuttavia, chi voglia intendere il significato e l’origine storica di quegli “aiuti alla memoria”, non potrà non aver presenti le fonti alle quali con maggior insistenza quelle dottrine si richiamavano. Appunto di quelle fonti si intende qui dar conto brevemente. Il De memoria et reminiscentia di Aristotele si presenta come un trattato di psicologia e non come una dissertazione sulla mnemotecnica, ma contiene tuttavia alcune affermazioni che verranno sfruttate in epoche successive in vista della costruzione di una tecnica del ricordare. I teorici della mnemotecnica si richiamano alle seguenti dottrine aristoteliche:  La tesi della necessaria pre- senza dell'immagine o fantasma (gAvtacpa) in vista del fun- zionamento della memoria (pvt ). Il necessario ricorso all'immagine, che è una specie di sensazione senza materia o di sensazione indebolita, fa sì che fra la memoria e l’immagi- nazione ( pavtagia «leSntx4 ) da un lato e la memoria e la sensazione dall’altro intercorrano rapporti assai stretti. La tesi che il ricordo o memoria riflessa o attualizzazione della memoria scomparsa dalla coscienza ( &v&pvrotg ) sia facilitato dall'ordine e dalla regolarità, come avviene per esempio nel caso della matematica, mentre ciò che è confuso e disordi- nato difficilmente può essere ricordato. c) La formulazione di una legge dell'associazione secondo la quale le immagini e le idee si associano in base alla somiglianza, alla opposizione, alla contiguità. In un passo del De memoria che avrà particolare fortuna Aristotele affermava: «talora il ricordo sembra partire dai Zuoghi (Toro). La ragione di ciò è che l'uomo passa rapidamente da un termine all’altro, per esempio dal latte al candore, dal candore all’aria, dall'aria al- l’umidità, dall’umidità al ricordo dell’autunno, supponendo che si cercasse di ricordare questa stagione ». All’impiego delle im- magini Aristotele si riferisce del resto anche nel De anima: «E chiaro che l'immaginazione è qualcosa di distinto dalla sensazione e dal pensiero.. essa è in nostro potere quando lo vogliamo, e si può infatti porre qualcosa davanti agli occhi come fanno coloro che vanno riempiendo i luoghi mnemonici e fabbricano immagini (év toîs pwapovizotîe aiSepevor xa ciòwioror9ivte: ), mentre la sensazione non di- pende da noi. Oltre ai luoghi cit. nel testo cfr.: per i rapporti fra immagine e sensazione: De anima; Rhet.; per i rap- porti fra memoria e immaginazione: Sec. An., II, 19, 99b 36-100a 4; Metaph.; De mem., 1, 450a 22-25; per i rapporti fra memoria e sensazione: Mezaph., A, 980 a 28-29; De mem., 1, 450a 30-b 3. Come è stato notato la traduzione di &vapwoxg con remini- scentia, pur legittimata dal riferimento a Platone in Prim. An., non corrisponde al senso che il termine ha in Aristotele. La àvapynog è una attualizzazione della memoria, una ricostruzione del ricordo che richiede una conoscenza del tempo non spontanea come nella memoria (De mem., 450a 19), ma riflessa (452b 7; 453a 9-10) e che è quindi caratteristica solo dell’uomo. Del De memoria et reminiscentia cfr. l'edizione con traduzione inglese e commento di G.R.T. Ross, Cambridge, 1906. Utile il commento del TricoTr, nella traduzione dei Parva naturalia, Parigi, 1951, pp. 57-75. Scarsa la trattazione della memoria nelle opere sulla psicologia aristo- telica: A. E. CHaicHer, Essai sur la psychologie d’A., Parigi; J. Nuyens, L’évolution de la psychologie d'A., Lovanio, 1948; C. W. SHUTE, Psychology of A., New York. Sulla presenza di una mne- motecnica presso i Greci cfr. la testimonianza della RAetorica ad He- [Nel De oratore di CICERONE, la memoria viene trattata come una delle cinque parti che costituiscono la tecnica dell’oratore. Dopo aver fatto riferimento all’episodio del poeta Simonide (primum ferunt artem memoriae protulisse) che aveva identificato i corpi dei partecipanti a un banchetto sfigurati dal crollo del soffitto ricordandosi il posto (/ocum) che essi avevano occu- pato, Cicerone metteva in luce la opportunità, in base al presupposto che l’ordine giovi alla memoria, di scegliere dei luoghi, di formare le immagini dei fatti o concetti che si vogliono ricordare, di collocare quelle immagini net luoghi. L’ordine secondo il quale sono disposti i luoghi metterà in grado di ricordare i fatti. L'arte della memoria appare in tal modo paragonabile e analoga al processo della scrittura: i luo- ghi adempiono alla stessa funzione della tavoletta cerata, le immagini hanno la stessa funzione delle lettere. L'uso delle immagini appare fondato sulla necessità di un ricorso al piano del senso e sulla maggior persistenza della memoria visiva («ea maxime animis adfigi nostris quae essent a sensu tradita atque impressa; acerrimum autem ex omnibus nostris sensibus esse sensum videndi »). I luoghi dovranno essere molti, chiari c collocati modicis intervallis; le immagini risulteranno tanto più efficaci quanto più atte a colpire le facoltà immaginative («est utendum imaginibus agentibus, acribus, insignitis quae occurrere celeriterque percutere animum possint. Il De institutione oratoria di Quintiliano. Pur avanzando qualche riserva sull’utilità della € mnemo- tecnica, Quintiliano, che inizia anch’egli la sua esposizione con il racconto di Simonide, dedica all'argomento una tratta- zione assai più ampia e dettagliata di quella ciceroniana. Sulla costruzione dei /xoghi della memoria artificiale Quintiliano renniun. Scio plerosque Graccos, qui de memoria scripse- runt... ». Sulla tecnica della memoria in Ippia d’Elide cfr. l'ipotesi avan- zata da O. Arett, Bettriige zur Geschichte der antiken Philosophie. Sono da vedere anche: J. A. ErnESTI, Lexicon teclnolo- giae Graccorum rhetoricae, Lipsia; Lexicon technologiae Lati- norum rhetoricae, Lipsia. Laurap, Manuel des etudes grecques et latnes, La mnémotechnie des anciens, Les Humanités, si sofferma a lungo: per raggiungere risultati efficienti è opportuno servirsi, egli afferma, di un edificio collocando le varie immagini nei singoli luoghi ordinatamente disposti all’in- terno delle singole stanze. « Visitando mentalmente l’edificio » (che può essere anche un edificio pubblico o può essere sosti- tuito dai bastioni di una città o da una giornata suddivisa in varî periodi o da una costruzione immaginaria e « non-reale ») sarà possibile « riprendere » le diverse immagini (e quindi ri- chiamare alla mente i fatti o i concetti che esse esprimono) dai diversi loghi nei quali esse sono rimaste custodite. La RAetorica ad C. Herennium (MI, 16-24). In questo scritto di autore ignoto che i medievali, attribuendolo a CICERONE, qualificano come rhetorica nova o secunda (per distinguerlo dal De inventione o rhetorica vetus) ritro- viamo presenti le stesse regole e gli stessi precetti ai quali ci siamo riferiti parlando di CICERONE e di Quintiliano. La distinzione fra memoria naturale e memoria artificiale appare formulata con estrema chiarezza: « sunt igitur duae memo- rine: una naturalis, altera artificiosa. Naturalis est ea quae nostris animis insita est et simul cum cogitatione nata; artifi- ciosa est ea quam confirmat inductio quaedam et ratio prae- ceptionis ». Fra i /uoghi, che per ricordare molte cose do- vranno essere assai numerosi, troviamo elencati: aedes, interco- lumnium, angulum, fornicem et alia quae his similia sunt. Le immagini, che sono le formae o notae o simulacra di ciò che si intende ricordare, vanno collocate nei luoghi: «allo stesso modo infatti in cui coloro che conoscono le lettere dell’alfa- beto possono scrivere ciò che viene dettato e recitare ciò che scrissero, così coloro che hanno appreso l’arte mnemonica pos- sono collocare nei luoghi le cose che hanno udito e da questi ripeterle a memoria ». Mentre le immagini sono variabili, i luoghi dovranno essere fissi (« imagines, sicut litterae, delentur, ubi nihil utimur; loci, tanquam cera, remanere debent ») e ordinatamente disposti: ciò darà la possibilità di richiamare mentalmente le immagini indifferentemente dall’inizio, dal termine o dalla metà di un ordinamento o elenco.'* !° Sull’epoca di composizione della Rhetorica ad H. cfr. la introduzione di F. Marx all'edizione di Lipsia. Sulla posizione dei me- [Il De bono  e il commento al De memoria et reminiscentia di Alberto Magno; la Summa theologiae e il commento al DE MEMORIA ET REMINISCENTIA d’AQUINO. Le trattazioni della memoria contenute nel De Bono di Alberto e nella Summa di Tommaso !* si richiamano esplici- tamente alla fonte aristotelica e a quella pseudo-ciceroniana. Per Alberto, « ars memorandi quam tradit Tullius optima est »; i precetti della mnemotecnica servono all’etica e alla retorica; la memoria delle cose che concernono la vita e la giustizia è duplice: naturale e artificiale. « Naturalis est quae ex bonitate ingenii deveniendo in prius scitum vel factum facile memo- ratur. Artificialis autem est, quae fit dispositione locorum et imaginum ». Come in tutte le altre arti, anche qui l’arte e la virtù aggiungono perfezione alla natura e poiché nella nostra azione «ex praeteritis dirigimur in praesentibus et futuris et non e converso », la memoria si presenta, accanto alla intelli- gentia e alla providentia, come una delle tre parti che costi- tuiscono la virtù della prudenza. Come ha ben chiarito la Yates,!” l’autorità alla quale si appellavano Alberto e Tommaso nella loro considerazione della memoria come parte della pru- denza era il De inventione ciceroniano e poiché Cicerone nella sua seconda retorica (la Rhetorica ad Herennium) aveva di: stinto tra memoria naturale e memoria artificiale dettando le regole per la acquisizione della memoria artificiale mediante l’impiego dei loc: e delle imagines, quella distinzione e que- dievali di fronte a questo saggio. L'attribuzione del testo a Cornificio: RapHaeL Recius, Utrum ars rhetorica ad H. Ciceroni falso iscribatur, in Ducenta problemata in totidem institutionis oratoriae Quintiliani depravationes, Venezia, 1491. Per la posizione di Valla sull'argomento cfr. VALLA (si veda), Opera, Basilea,  Cfr. ALBERTI Magni, De Bono, Monasterii Westfaliorum in aedibus Aschendorff, 1951, vol. XXVIII, 249 segg. Il commento di Alberto al De memoria ct reminiscentia in Opera, ed. Borgnet, IX, pp. 97 segg.; quello di Tommaso in Opera omnia, ed. Fretté, Parigi, e In Avristotelis libros de sensu et sensato, de memoria et reminiscentia commentarium, Roma, YatEs, The Ciceronian Art of Memory, nel vol. Medioevo e Rinascimento, studi in onore di NARDI, Firenze] ste regole entravano ad occupare un posto di primaria impor- tanza nella discussione di Alberto e di Tommaso sulla me- moria come parte della prudenza. Di questa alta considera- zione della € mnemotecnica “ciceroniana” è del resto precisa testimonianza l’ampiezza della discussione di Alberto e la sua minuziosità: praticamente vengono esaminati, nel De dono, tutti i precetti contenuti nella Retorica ad Herennium. Basta, a titolo di esempio, riportare qui il passo di Alberto che si riferisce al carattere «inconsueto » che devono avere le immagini: « Ad aliud dicendum, quod mirabile plus movet quam consuetum, et ideo cum huiusmodi imagines translatio- nis sint compositae ex miris, plus movent quam propria con- sueta. Ideo enim primi philosophantes transtulerunt se in poe- sim, ut dicit Philosophus, quia fabula, cum sit composita ex miris, plus movet ». Il richiamo ad Aristotele è particolar- mente significativo: questi testi di Alberto e Tommaso si pre- sentano infatti come un tentativo di fusione tra il testo aristo- telico e quello ciceroniano. Ciò appare particolarmente evi- dente nella trattazione della Summa theologiae tomistica. Muovendo dalla nota identificazione della memoria con una parte della prudenza (« convenienter memoria ponitur pars pruden- tiae... necessaria est ad bene consiliandum de futuris »), Tom- maso mette a confronto la possibilità che ha la prudenza di essere aumentata e perfezionata ex exercitio vel gratia con quella che si offre alla memoria di essere perfezionata me- diante l’arte (« non solum a natura perficitur, sed etiam habet plurimum artis et industriae »). Le quattro regole della me- moria artificiale enunciate da Tommaso riguardano: l’uso delle immagini (« quasdam similitudines assumat convenien- tes »), l'ordine che facilita il passaggio dall’uno all’altro con- cetto o dall’una all’altra immagine («ut ex uno memorato facile ad aliud procedatur »); la necessità della concentrazione in vista della costruzione dei luoghi; la frequente ripetizione in vista della conservazione dei concetti (« quod ea frequenter meditemur quae volumus memorari »). La prima e la terza di queste regole derivano dalla R&etorica ad Herennium, la se- conda e la quarta dal De memoria et reminiscentia aristo- telico: non a caso, nel commento al De memoria, la prima regola apparirà eliminata, la terza verrà adattata al testo aristotelico mediante l’esclusione del riferimento alla costru- zione dei luoghi. Accanto alle citazioni di Aristotele, di CICERONE e dello PSEUDO-CICERONE (si veda), di Quintiliano, di Alberto e d’AQUINO, compaiono spesso, nei trattati di ars memorativa composti fra il Trecento e il Seicento, i nomi di Platone (per il luogo del Timeo, che fa riferimento alle maggiori capacità mnemoniche della adolescenza, di Seneca (che in De deneficiis, Itocca, a proposito della memoria dei bencfzi ricevuti sia il tema della frequenza sia quello dell’ordine), di Agostino (per i ben noti passi sulla memoria nelle Confessioni e per i brevi riferimenti in De Trinitate). Lo stesso sommario elenco di queste « autorità » basta da solo a mostrare come quella trattatistica di ars memorativa che si diffonde largamente in Europa dopo il Trecento si richiami ad una assai antica. e non mai inter- rotta tradizione. Attraverso una vasta produzione la cui storia attende ancora di essere puntualmente indagata, questa tradi- zione si era andata svolgendo secondo diverse linee di svi- luppo e su piani differenti: mentre il testo aristotelico affron- tava questioni connesse con il problema della sensazione (non a caso i commenti medievali al De memoria et reminiscentia appaiono sempre connessi a quelli al De sensu et sensato), della immaginazione e dei rapporti fra anima sensitiva e anima intellettiva, i testi di Cicerone, di Quintiliano e dello pseudo- Cicerone si erano mossi su un piano tipicamente ed esclusi- vamente « retorico » richiamandosi all'arte della memoria come ad una tecnica i cui compiti e i cui problemi si esaurivano totalmente sul piano di una funzionalità in vista dei partico- lari fini perseguiti dall’oratore. Dal De rhetorica di Alcuino al tentativo di Giovanni di AQUINO in Aristotelis libros de sensu et sensato. Si ergo ad bene memorandum vel reminiscendum, ex praemissis qua- tuor documenta utilia addiscere possumus. Quorum primum est, ut studeat quae vult retinere in aliquem ordinem deducere. Secundo ut profunde et intente eis mentem apponat. Tertio ut frequenter medi- tetur secundum ordinem. Quarto ut incipiat reminisci a principio. Salisbury di far rivivere gli ideali dell’eloguentia, fino allo Speculum maius di Vincenzo di Beauvais, tutta la grande retorica medievale si era collocata sotto il segno delle opere ciceroniane. Onde, com'è stato giustamente notato, si può parlare di retorica scolastica solo ove si elimini quasi comple- tamente dal termine “scolastica” il riferimento alla “autorità” di Aristotele. In Alberto ed AQUINO i due piani sui quali si era andata svolgendo nel corso del Medioevo la trattazione della memoria (il piano speculativo e quello tecnico) appaiono per la prima volta strettamente connessi e intrecciati: la psicologia razionale di Aristotele costituisce, per i due grandi maestri della scolastica, lo sfondo e la cornice entro la quale quella tecnica (che aveva avuto in CICERONE ec nella rhetorica secunda la sua espressione più alta) andava collocata, inserita e giustificata. Come lYates ha messo opportunamente in luce, questo sfondo rigidamente razionalistico della mnemo- tecnica albertino-tomista costituiva molto probabilmente la [Di Atcuino cfr. la Dispetatio de rhetorica et de virtutibus sapientissini Regis Karli et Albini magistri (in Mine, P. L., in Ham, RAetores latini minores, e ora, in Howett, The Rhetoric of Alcuin et Charlemagne, Princeton. Nella trattazione delle cinque parti della retorica (trattazione che riproduce direttamente o indirettamente quella ciceroniana) ci si limita ad affermare che l'arte della memoria è stata raccomandata da Cicerone. Nel De dialectica (Micne, P. L.) la logica viene sud- divisa in due parti: dialettica e retorica (K. Logica in quot species dividitur? A. In duas, in dialecticam et rhetoricam). Mentre la tratta- zione della dialettica derivava da Isidoro, da BOEZIO (si veda), dall’anonimo Categoriae decem (ritenuto una traduzione agostiniana delle Categorie aristoteliche), la trattazione della retorica, fondata sulla partizione delle cinque grandi arti del De inventione, era assai vicina (come ha notato Howell) allo spirito della trattazione ciceroniana. Più ampi riferi- menti alla memoria appaiono presenti in Marciano CAreLLA, V, ove ci si richiama all'episodio di Simonide (intellexit ordinem esse qui me- moriae praeccpta conferet), e nella Novissima Rhetorica del BoxncowPAGNO  dove ci si richiama ad un abecedario immaginario come strumento per l'arte della memoria. Leggo il passo di BONCOMPAGNO (si veda) sulla memoria nella trascrizione che da TOCCO, Le opere latine, cit., p. 25 dal Cod. marciano lat. cl. X, 8, f. 29v. Pa- gine essenziali sulla retorica medievale ha scritto E. R. Curtius, Europiische Litteratur und lateinisches Mittelalter, Berna, 1948 (trad. fr. Parigi, 1956, pp. 76-98). °° F. A. Yates, The Ciceronian Art of Memory] base del tentativo compiuto da Alberto e da Tommaso di sganciare nettamente le tecniche della memoria artificiale dal piano magico-occultistico dell’ars rotori o di un'arte “magica” della memoria intesa come “arte somma” o come chiave della realtà universale. Nell’ars motoria, come poi avverrà più tardi in taluni testi del pieno e del tardo Rinascimento, il problema dell’arte memorativa appare infatti strettamente collegato a quello di un'arte segreta o scientia perfecta capace di con- durre ad omnium scientiarum et naturalium artium cogni- tionem mediante il congiungimento delle regole dell’arte con formule di invocazione, figure mistiche e preghiere magiche.” Comunque stiano le cose, è certo che sulla via inaugurata dai due grandi domenicani, la via cioè di una sintesi tra le dottrine aristoteliche e quelle ciceroniane, si muoveranno non pochi scritti di arte mnemonica. Chiaramente su questa linea è per esempio il domenicano Bartolomeo da San CONCORDIO (si veda). Nel capitolo dedicato a quelle cose che giovano a buona memoria » da lui inserito ne Gli ammaestramenti degli antichi, frate Bartolomeo (dopo aver richiamato la Rée- thorica ad Herennium, il Timeo, il De memoria e il secondo libro della Retorica di Aristotele, l’Ars poetica di Orazio) fa- ceva larghe citazioni dal commento di Tommaso al De me- moria e dalla « seconda della seconda » della Summa: «Di quelle cose che huomo si vuol ricordare pigli alcune conve- nevoli simiglianze, ma non del tutto usate; imperrocchè delle cose disutate più ci meravigliamo... Conviensi che quelle cose che huomo vuole in memoria ritenere, egli colla sua consi- derazione l’ordini sì, che ricordandosi dell’una vegnia nel- l’altra ». Il riferimento alla dottrina ciceroniana dei luoghi e delle immagini appare altrettanto esplicito: « Di quelle cose che vogliamo memoria havere, doviamo in certi luoghi allogare imagini e similitudini ». Gli VIII precetti esposti da CONCORDIO: I. apparare sin da garzone; II fortemente attendere; III ripensare spesso; IV ordinare; V cominciar dal principio; VI pigliar simiglianza; VII non gravar la memoria di troppe cose; VIII usare dei versi e delle rime -- appaiono quindi Cfr. il cap. Salomon and the Ars notoria in THORNDIKE, History of magic and experimental science, New York] ricavati da una sintesi tra i varî testi ai quali egli si è richia- mato.?° Esclusivamente ispirato alla RAetorica ad Herennium (no- nostante che l’autore dichiari due volte di «discostarsi da Tullio ») è invece quel trattatello trecentesco in volgare sulla memoria artificiale che è stato erroneamente attribuito a Bar- tolomeo. Accanto alla definizione del luogo (« una cosa dispo- sta a poter contenere in sè alcuna altra cosa ») e della imma- gine («il representamento di quelle cose che si vogliono tenere a mente ») compaiono in questo breve scritto sia la distinzione fra luoghi naturali « facti per mano di natura » e artificiali « facti per mano d’huomo », sia le regole relative alla costru- zione dei luoghi e al carattere simbolico delle immagini: « An- cora conviene che la imagine sia segnata da alcuno segno il quale si convenga per la cosa per la quale è facta, cioè che la imagine del re pare che gli si convenga il segno della corona et a’ cavalieri il segno dello scudo... Ancora conviene che a la imagine si faccia alcuna cosa, cioè che la proprino, quanto agli acti, quelle cose che a loro si convengono, si come si conviene ad uno lione dare l’imagine apta et ardita... Adunque veg- giamo sempre che ne’ luoghi si convengono porre le imagini sì come nelle carte si convengono porre le lettere. Questo tipo di rapporto fra luoghi e immagini, che risale alla Retorica ad Herennium, e che resterà per tre secoli uno degli assiomi fondamentali dell’« arte », appare del resto pre- sente anche in altri saggi. L’arte della memoria per due, luoghi et imagini, è facta. E’ luoghi non hanno diferentia da le imagini se non perché sono imagini fisse sopra le quali, siccome sopra a charta, alcune imagini sono dipinte... ?2 Fra BartoLoMEo di San CONCORPIO (si veda), Ammaestramenti degl’antichi. Il testo, per intero riprodotto in appendice, è contenuto nei codici Palat. 54 e Conv. soppr. della Nazionale di Firenze. Un altro commento alla RAetorica ad Herennium ( è contenuto nel Cod. Aldino di Pavia: cart. sec. XV, di cc. III con numerazione di mano più recente. Il Textus de artificiali memoria: Mo passamo al texoro de le cose trovate et de tutte le parte de la Rectorica custodevole Me- moria. Expl.: Con le cose premesse cioè con Studio, Fatiga, Ingegno, Diligentia. Finis commenti in particulari. onde i luoghi sono come materia e le imagini come forma ».5! Le varie regole presenti nel trattatello precedentemente citato tornavano, con lievi differenze, anche in questo scritto. Ma della diffusione negli ambienti domenicani del secolo XIV dell’ars memorativa fanno fede, oltre i testi citati, anche quella connessione, che in molti casi venne a stabilirsi fra l’ars me- moriae e l’ars praedicandi. Non a caso Lodovico Dolce, che fu nel Cinquecento uno dei più noti volgarizzatori dei pre- cetti della retorica e di quelli della mnemotecnica, si richia- mava nel 1562? alla Summa de exemplis et similitudinibus di Fra Giovanni GORINI (si veda) di S. Gimigniano come ad uno dei testi capitali dell’arte mnemonica e collocava il suo nome, accanto a quello di Cicerone e di Pietro da Ravenna, nell’elenco dei fondatori dell’arte. In quel testo che si era pre- sentato come « perutilis praedicatoribus de quacumque mate- ria dicturis », la costruzione di analogie fra i vizî e le virtù da una parte e i corpi celesti e i moti della terra dall’altra dava luogo appunto ad una tecnica del costruire immagini capace di consentire al predicatore una ordinata esposizione e di col- pire in modo efficace e persuasivo la fantasia degli ascoltatori. Accanto a preoccupazioni di questo genere, un vero e proprio interesse per una tecnica della memoria non era stato del resto affatto estraneo ai cultori di quella scienzia quae tradit formam artifictaliter praedicandi*" che aveva avuto nel Trecento una 24 Cod. Magliab. La data in fine (Explicit et finitus die X mensis junii millesimo CCCC® XX° Indit. XIII per Petrum quon- dam Ser Petri de Pragha) fa riferimento alla stesura della miscellanea nella quale il cod. è contenuto. Altri passi, diversi da questo qui ripor- tato, di questo stesso cod. furono trascritti dal Tocco, Le opere latine. Dialogo di DOLCE (si veda) nel quale si ragiona del modo di accrescere et conservar la memoria, in Venetia, appresso Sessa, prima cdizione, Triv. Mor. Il saggio di GORINI (si veda)  e pubblicato a Venezia: Semma de exemplis et similitudinibus rerum noviter impressa. Incipit summa insignis et perutilis praedicatoribus de quacunque materia dic- turis fratris Johannis de Sancto Genuniano, Impressum Venetiis per Johannem et Gregorium de Gregoris. L'espressione è di BASEVORN (si veda), autore di una Forma praedicandi. Il saggio è stato pubblicato in appendice a Charvanp, Artes praedicandi, contribution] è larghissima diffusione. Per uno dei maggiori teorici della predicazione, Waleys, la divisio thematis esercita una funzione precisa : Dato vero quod tantum una fiat divisio thematis, adhuc illa divisio erit bene utilis, tam praedicatori quam auditori. Non enim propter solam curiositatem, sicut aliqui cre- dunt, invenerunt moderni quod thema dividant, quod non consucverunt antiqui. Immo, est utilis praedicatori, quia divisio thematis in diversa membra pracbet occa- sionem dilatationis in prosccutione ulteriori  sermonis. Auditori vero est multum utilis, quia, quando praedicator dividit thema et postmodum membra divisionis ordinate et distinctim prosequitur, faciliter capitur et tenetur tam materia sermonis quam etiam forma et modum praedicandi. In quel singolare prodotto di cultura che fu la medievale ars praedicandi le esigenze della persuasione retorica, della co- struzione di immagini capaci di dar luogo ad emozioni ben controllabili si connettevano in tal modo con i precetti relativi all'ordine e al metodo concepiti come strumenti per imprimere nella memoria i contenuti e la forma dell’orazione. In molti trattati quella caratteristica tematica speculativa che faceva da sfondo alle trattazioni di Alberto, di Tommaso, di frate Bartolomeo viene decisamente abban- donata. Come avviene per esempio nelle Artificialis memoriae regulae di Iacopo RAGONE (si veda) da Vicenza conservate in varì manoscritti l’interesse dell’autore si volge l’histoire de la rhetorique au Moyen Age, Paris. Si vedano i cataloghi dei mss. compilati da H. CapLan, Mediaeval Artes praedicandi. A Hand-List e A supplementary Hand-List, Cornell Studies in Classical Philology, Ithaca, e, dello stesso autore, A late mediaeval Tractate on Preaching, nel vol. Studies in Rhetoric and Public Speaking in honour of Winans, New York,  Cfr. Waters, De modo componendi sermones, in ChÒartanp, Artes praedicandi. n Nel codice marciano  il trattato di RAGONE (si veda) è conservato in due esemplari (di diversa mano). Un terzo esem- plare è nel codice marciano, un quarto nel cod. dell’Ambrosiana. Lievi le differenze. I passi qui citati sono stati tra- in modo esclusivo ad un esame ampio e dettagliato delle tecniche di ricerca dei luoghi: 53r. Iussu tuo, princeps illustrissime, artificialis memorie re- gulas, quo ordine superioribus diebus una illas exercuimus, hunc in librum reduxi tuoque nomini dicavi, imi- tatus non modo sententias, verum et plerunque verba ipsa CICERONE et aliorum dignissimorum philosophorum qui accuratissime de hac arte scripserunt. Praeceptore CICERONE ac etiam teste AQUINO, artificialis memoria doubus perficitur: locis videlicet et imaginibus. Locos enim consideraverunt necessarios esse ad res seriatim pronunptiandas et diu memoriter tenendas, unde sanctus Thomas oportere inquit ut ca que quis memoriter vult tenere, illa ordinata consideratione dispo- nat ut ex uno memorato facile ad aliud procedatur. Ari- stoteles etiam inquit in libro quem de memoria inscripsit: a locis reminiscimur. Necessarii sunt ergo loci ut in illis imagines adaptentur ut statim infra patebit. Sed imagines sumimus ad confirmandum intentiones, unde allegatus AQUINO: oportet, ait, ut eorum quae vult homo memorari quasdam assumat similitudines convenientes. Dopo essersi rapidamente richiamato alla fonte ciceroniana e a quella tomistica, Ragone passa a trattare, in modo molto più articolato di quanto non avessero fatto gli autori da lui citati, delle caratteristiche della memoria «locale » : 53 v. Differunt vero loci ab imaginibus nisi in hoc quod loci sunt non anguli, ut existimant aliqui, sed imagines fixe super quibus, sicut supra carta, alic pinguntur imagines delebiles sicut littere: unde loci sunt sicut materia, imagi- nes vero sicut forma. Differunt igitur sicut fixgum et non fixum. Consumitur autem ars ista centum locis, quatenus expedit pro integritate ipsius. Sed, si tue libuerit celsitu- dini, poterit eodem alios sibi locos invenire faciliter per horum similitudinem. Sed oportet omnino non modo bona, verum etiam optima diligentia ac studio locos ipsos notare et firmiter menti habere, ita ut, modo recto et scritti dal Cod. marciano 274 ai ff. 53-66; si è fatto ricorso, per la com- prensione dei passi dubbi, sia all'altro esemplare contenuto nello stesso Codice, sia al Cod. T. 78 sup. dell'’Ambrosiana, ff. 1-21v. Il testo del Ragone è dedicato al Marchese di Mantova: Ad illustrissimum princi- pem et armorum ducem Iohannem Franciscum Marchionem Mantue. Artificialis memorie regule per Iacobum Ragonam vicentinum. Nel cod. dell'’Ambrosiana il titolo è invece: Tractatus brevis ac solemnis ad sciendam et ad conseguendam artem memorie artificialis ad M. Mar- chionem Mantue retrogrado ac iuxta quotationem numerorum, illos prompte recitare queas. Aliter autem frustra temptarentur omnia. Expedit igitur ut in locis servetur modus, ne sit inter illos distantia nimis brevis vel nimium remota sed moderata ut puta sex vel octo aut decem pedum vel circa iuxta magni- tudinem camere; nec sit in illis nimia claritas vel obscuritas sed lux mediocris. Et est ratio quia nimium remota vel an- gusta, nimium clara vel obscura causant moram inquisi- tionem imaginative virtutis et ex consequenti memoriam retardant dispersione rerum que representande sunt aut earum nimia conculcatione, sicut oculus legentis tedio af- fligitur si litterc sint valde distincte et male composite aut nimis conculcate. Loci vero quantitas non est adeo su- menda modica, ut numero videatur esse capax imaginis, quia violentiam abhorret cogitatio ut si velles pro loco sumere foramen ubi aranca suas contexit tellas et in illo 54r. velles equum collocare, non videretur modo aliquo posse / equum capere. Sed ipsorum locorum quantitas sumenda est ut statim inferius distincte notatum invenies. I luoghi dovranno dunque esser disposti in modo da consen- tire una facile e rapida lettura: la loro distanza e la loro gran- dezza sono state stabilite sulla base di alcune osservazioni di natura psicologica. Si tratta ora, sempre sulla base di osserva- zioni dello stesso tipo e tenendo conto di determinate asso- ciazioni che si presentano fra i varî contenuti della memoria, di procedere ad una scelta dell’« edificio » nel quale i luoghi (e di conseguenza le immagini) dovranno essere collocati : 54 r. Oportet etiam ne loci sint in loco nimium usitato sicut sunt plateac ct ecclesie, quoniam nimia consuetudo aut aliarum rerum representatio causant perturbationem et non claram imaginum representationem ostendunt sed confu- sam, quod summopore est cavendum, quia si in foro locum constitueres et in co rei cuiuspiam simulacrum locares, cum de loco simulacroque velles recordari, additus, reddi- tus, meatusque frequens et crebra gentis nugatio contur- baret cogitationem tuam. Studebis ergo habere domum que rebus mobilibus libera sit et vacua omnino, et cave ne assumas cellas fratrum propter nimiam illarum similitu- dinem, nec hostia domorum pro locis quia cum nulla vel parva tibi sit differentia idco confusio. Habeas ergo do- mum in qua sint intra cameras salas coquinas scalas vi- ginti, et quanto in ipsis locis dissimilitudo maior, tanto utilior. Nec sint camere iste ct reliquie excessive magne vel parve, et in earum qualibet facies quinque locos iuxta distantiam dictam superius scilicet sex aut octo vel decem pedes. Et incipe taliter ut, a dextris semper ambulando vel a sinistris quocunque altero istorum modorum ex apti- tudine domus tibi commodius fuerit, non oportcat te re- trocedere. Sed, sicut in re domus procedit, ita continuen- tur loci tui per ordinem domus, ut sit facilior impressio ex ordine naturali. Sulle caratteristiche “materiali” dei luoghi (grandezza, lu- minosità, non-uniformità, ecc.), sulla scelta e la funzione delle immagini, si sofferma, con altrettanta minuziosità l'anonimo autore di un altro testo manoscritto °° che risale, molto pro- babilmente, allo stesso periodo e agli stessi ambienti culturali. De ordine locorum. Circa cognitionem et ordinem locorum debctis scire quod locus in memoria artificiali est sicut carta in scriptura, propterea quod scribitur in carta quando homo vult recordari et non mutatur carta. Ita loca debent esse immobilia, hoc est dicitur quod locus de- bet semel accipi et nunquam dimitti seu mutari sicut carta. Deinde super talia loca formande sunt imagines il- larum rerum vel illorum nominum quorum vultis recor- dari sicut item scribuntur in carta quando homo recordari vult. De forma locorum. Loca debent esse facta ct ita formata 42r. quod non sint nimis parva nec nimis magna / ut verbi gratia non debes accipere pro uno loco unam domum vel unam terram vel unam schalam, nec etiam, sicut dixi, nimis parvum locum scilicet unum lapidem parvum nec unum foramen vel aliud tale. Et ratio est ista: nam humanus intellectus non circa magnas res nec circa parvas colligitur et imago evanescit; sed debes accipere loca me- dia scilicet terminum clarum et non nimis obscurum, nec enim debes accipere loca in illo loco nimis solitario, sicut in deserto vel in silva, nec in loco nimis usitato, sed in loco medio: scilicet non nimis usitato nec nimis deserto. Et 2° I passi di seguito citati nel testo sono stati trascritti dal Cod. mar- ciano Ars: memoriae artificialis incipit. Ars memoriac artificialis, pater reverende, est ca qualiter homo ad recordan- dum de pluribus pervenire potest per memoriam artificialem de quibus recordari non possit per memoriam naturalem). Dello stesso trattato ho visto altri tre esemplari: il Vatic. lat. Practica super artificiali memoria. Pater et reverende domine. Quatenus homo ad recordandum) che reca solo l’inizio del trattato; il Vatic. lat. Ars memoriae artificialis est qualiter homo ad recor- dandum de pluribus pervenire possit) che reca il trattato quasi com- pleto; il Vat. lat. Ars memoriae artificialis est qualiter homo) che, come il Vat. lat., si interrompe dopo le prime pagine. Al £. 68r. è ripetuto l’inizio del trattato.] nota quod predicta loca bene scire debes ct ante et retro et ipsa adigerc per quinarium numerum, videlicet de quinque in quinque. Et debes scire quod loca non debent esse dissimilia, ut puta domus sit primus locus, secundus locus sit porticus, tertius locus sit angulus, quartus locus sit pes schale, quintus locus sit summitas schale. Et nota quod per quintum vel decimum locum dcebes ponere unam manum auream aut unum imperatorem super quin- tum vel decimum locum; qui imperator sit bene atque imperialiter indutus, vel aliquid aliud mirabile vel defor- me, ut possis melius recordari. Et haec sufficiant quantum ad formam locorum. Nunc autem videndum est de ima- ginibus per predicta loca ponendis. De imaginibus. Est enim sciendum quod imagines sunt sicut scriptura et loca sicut carta. Unde notatur quod 42v. aut vis recordari propriorum nominum aut appellativo- rum aut grechorum aut illorum nominum quorum non intelligis significata aut ambasiatarum aut argumentorum aut de aliis occurrentibus. Ponamus igitur primum quod ego vellim recordari nominum propriorum. Sic enim ponere debes imagines in proprio convenienti loco et ipso sic facto: cum vis recordari unius divitis qui nominatur Petrus, immediate ponas unum Petrum quem tu cogno- scas qui sit tuus amicus vel inimicus vel cum quo habuisti aliquam familiaritatem, qui Petrus faciat aliquid ridi- culum in illo loco, vel aliquid inusitatum, vel simile dicat... In secundo loco ponas unum Albertum quem tu cognoscas, ut supra licet per alios diversos modos, vide- licet quod dict:;s Albertus velit facere aliquid inusitatum vel deforme scilicet suspendens se et ut supra. In tertio loco, si vis recordari istius nominis equi, ponas ibi unum equum album, magnum ultra mensuram aliorum, et qui percutiat quenpiam tuum amicum vel inimicum cum calcibus vel pedibus anterioribus, vel aliquid simile faciat ut supra. Dalla lettura di queste lunghe citazioni ci sì può fare un’idea abbastanza precisa di quale fosse l’effettivo “funzionamento” dell’ars memorativa di origine “ciceroniana”. La qualificazione non è inutile perché la mnemotecnica dei lullisti e degli aristo- telici è fondata su procedimenti affatto differenti. Per realiz: zare l’arte mnemonica è necessario, in primo luogo, disporre di una specie di struttura formale che, una volta stabilita, possa essere sempre impiegata per ricordare una serie qualunque di cose o di nomi (res aut verba). Questa struttura formale o fira e sempre reimpiegabile (come dicono i teorici della mnemotecnica, la carta o la forma), viene costruita in modo arbi- trario: si sceglie una località (edificio, portico, chiesa ecc.) che può essere “fantastica” o reale e già di fatto conosciuta e si fissano all’interno di questa località un certo numero di luoghi. Il carattere arbitrario o convenzionale di queste scelte è, come abbiamo visto, limitato da un certo numero di regole che riguardano: le caratteristiche della località e dei luoghi (ampiezza, solitudine, luminosità ecc.);  il modo nel quale i luoghi stessi devono essere ordinati. È da ricordare infine che la maggiore o minore ampiezza di questa struttura formale condiziona la quantità dei contenuti che in essa possono essere inseriti: nel caso per esempio che si sia costruito un insieme di cento luoghi, questa struttura potrà essere impiegata per ricordare una quantità di nomi e oggetti fino a un massimo di cento (al problema della multiplicatio locorum o del progres- sivo allargamento della struttura verranno non a caso dedicate molte discussioni). La struttura formale così ottenuta si presta ad essere riempita da contenuti mentali di qualsiasi natura e di volta in volta variabili (/magines delebiles o materia o scrittura). Per effettuare questo “riempimento” si fa ricorso alle immagini che devono simbolizzare, nel modo più adatto a colpire in modo duraturo la mente, le cose o i termini che si vogliono ricordare. Anche qui, l’arbitrarietà nella scelta delle immagini appare limitata da regole che concernono: la “mostruosità” o “stranezza” delle immagini e il loro carattere direttamente evocativo di contenuti. Le singole immagini vanno infine collo- cate nei singoli luoghi “provvisoriamente” (in vista cioè del ricordo di una particolare serie di nomi o di cose). Ripercor- rendo mentalmente (in modo semi-automatico) la località pre- scelta o la struttura costruita, si potranno aver presenti imme- diatamente, attraverso il richiamo delle immagini e la sugge- stione da esse esercitata, i termini o le cose appartenenti alla serie che si voleva ricordare. Data la struttura fissa dei luoghi, termini e cose ricompariranno nel loro ordine originario e quest'ordine sarà a piacere invertibile. Il problema della dispositio locorum e della formazione delle immagini occupa, nelle trattazioni alle quali ci siamo riferiti, una parte assai rilevante. Proprio su questo tipo di codificazioni insisterà la maggior parte dei trattati quattro-cinquecenteschi,‘' ed è al carattere esclusivamente “tecnico” che questi trattati vanno assumendo, che ci dobbiamo richiamare per spiegarci la loro sostanziale uniformità. Gli autori che si occupano dell’ars memorativa non si presentano mai come de- gli inventori, ma sempre come dei “chiarificatori” dell’arte: essi si limitano a trasmettere una serie di regole già codificate, cercando di esporle in forma particolarmente accessibile e di giungere, se possibile, a qualche integrazione o migliora- mento. Magari attraverso la riduzione delle regole ad uno schematico formulario,®? l’arte dev’essere resa facilmente e so- # Si vedano per esempio oltre ai due mss. dell'Ambrosiana (anche nel Cod. Angelica), il Cod. marciano (De Memoriae locis libellus) e, alla Casanatense, il Liber seu ars memoriae localis. Una breve trattazione in volgare degli stessi problemi è nel Cod. Riccardiano: Appresso io Michele di Nofri di Michele di Mato del Gioganti ragioniere mostrerò il prencipio dello ’nparare l’arte della memoria, la quale mi mostrò il maestro Niccholo Cicco da Firenze, quando ci venni, cominciando per locar luoghi nella casa mia. E queste sono lc otto sopradette figure della memoria artificiale e tutti i modi, atti e cose che s’appartengono in essi. E maturamente studiare et sapere, e verrai a perfezionare e a notizia vera di presta scienza. È quanto avviene nel cod. dell’Ambrosiana, Regulae artificialis memoriae. Locorum multitudo; locorum ordinato; locorum meditatio; locorum solitudo; locorum designatio; locorum dissimilitudo; locorum mediocris magnitudo; locorum mediocris lux; locorum distantia; locorum fictio. Locorum multiplicatio: addendo diminuendo per sursum et deorsum, per antrorsum et retrorsum, per destrorsum et sinistrorsum. Imaginum: alia in toto similis; alia in toto dissimilis: per oppositionem, per diminutionem, per transpositionem locorum, per alphabetum, per transuptionem locorum, per loquelam ». Si veda anche, sempre all’Ambro- siana, il Cod. E. 58 sup., Ars memoriac. Locorum multitudo, ordi- natio, permeditatio, vacuitas sive solitudo, quinti loci signatio, locorum dissimilitudo, mediocris magnitudo, mediocris lux, distantia, fictio. Locus multiplicatur: addendo, diminuendo, mutando (per sursum, deorsum, antrorsum, retrorsum, dextrorsum cet sinistrorsum), mensurando (longum, latum, profundum). Idolorum: aliud in toto simile, aliud in toto dissimile per contrarium, per consuetudinem, per transpositionem (per alphabetum, sine alphabeto), aliud parum simile per compositio- nem, per diminutionem, per transpositionem, per trasunptionem (lite- rarum vel silabarum), per loquelam ». Del trattatello qui trascritto dal Cod. Ambrosiano E. 58 sup. esiste un altro esemplare, quasi identico, nel Ms. 90, f. 84v. della Casanatense. L'idea di rendere l’arte rapida- mente acquisibile attraverso uno schema, si presenta strettamente assoprattutto rapidamente acquisibile. Su quello che abbiamo chia- mato il carattere “tecnico” di questi trattati, giova d’altra parte insistere per intendere le finalità che essi si proponevano e il clima culturale entro il quale essi poterono trovare larga dif- fusione. L’arte “ciceroniana” della memoria si presenta, nel Quattrocento, come del tutto priva di finalità e di intenti di carattere speculativo, si pone come uno strumento utile alle più varie attività umane. Il trattatello manoscritto di GUARDI (si veda) (o Girardi (si veda) eximii doctoris artium et medicinae magistri si propone per esempio di insegnare a ricordare: i termini sostanziali e accidentali, gl’autori citati (auczoritates), i discorsi comuni (orationes stmplices), il contenuto di lettere, di collezioni e di libri di storia (epistolas, collectiones et historias prolixas), le argomentazioni e i discorsi scientifico-filosofici (argumenta et orationes sillogisticas), le poesie e i termini appartenenti a lingue non conosciute (versus et dictiones ignotas, puta graecas hebraicas), gli articoli del codice (capita legum). Sul modo di ricordarsi delle ambasciate, delle testimonianze, degli argomenti insistono del resto tutti i testi che si presentano talvolta come un adatta- mento delle regole della mnemotecnica alla finalità di una vittoria nelle discussioni.” ciata all'altra di una serie di versi mediante i quali si potessero rapida- mente mandare a memoria le regole dell’arte. Si vedano per esempio i versi ai quali fa ricorso il magister Girardus – GIRARDI (si veda) nel trattato contenuto nel Cod. sup. dell’Ambrosiana c, in altro esemplare, nel cod. dell'Angelica, e il Tractatus de memoria artificiali carmine scriptus che ho visto nel cod. dell’Ambrosiana. Un altro esemplare nel Ms. dell’Angelica. Cfr. il già citato Cod. Marciano. De ambasiatis recordandis. Si vis recordari unius ambasiate quam facere debes, pone in loco imaginato ut supcerius scribebam... Si ambasiata est nimis prolixa, tunc pone unam partem ambasiate in uno loco et aliam partem in uno alio loco ut supra, quia memoria naturalis adiuvabit te. De argumentis recitandis. Argumenta si recitare velis... De testis recor- dando. Si vis recordari unius testis ponas primam particulam in illo loco, primam in primo, tertiam in tertio et sic de aliis successive... ». Ma si veda anche il Cod. Ambrosiano Ambasiatas vero sì commode volueris recordari.. Sulla costruzione di argomenti insistono molto trattati. Si veda per esempio il Cod. Marciano. Legata per le sue stesse origini agli intenti pratici della retorica, l’ars memorativa intende dunque presentarsi come un aiuto per chi è impegnato in varie guise in attività mon- dane e civili. Il Congestorius artificiosae memoriae di Romberch, un testo che ebbe nel Cinquecento diffusione eu- ropea, si presenta come un’opera utile a teologi, predicatori, professori, giuristi, medici, giudici, procuratori, notai, filosofi, professori di arti liberali, ambasciatori e mercanti. Che testi di questo genere potessero effettivamente presen- tare una qualche reale utilità appare senza dubbio difficilmente credibile. Tuttavia se dobbiamo prestar fede a una serie nume- rosa di testimonianze, gli assertori e i teorici della mnemo- tecnica erano giunti a risultati di un qualche rilievo. Il celebre Tomai (si veda), autore di un trattatello sulla memoria artificiale (Venezia) che ha enorme [Tractatus de memoria artificiali adipiscenda eaque adhibenda ad argumentandum ct respondendum (Inc.: Ne in vobis, fratres, imo fili carissimi opus omittam devotionis). 35 Congestorius artificiosae memoriae ]oannis Romberch de Kryspe, omnium de memoria pracceptione aggregatim complectens. Opus omnibus Theologis, praedicatoribus, professoribus, iuristis, iudicibus, pro- curatoribus, advocatis, notariis, medicis, philosophis, artium liberaliun: professoribus, insuper mercatoribus, nuncits, et tabelariis pernecessarium, Venetiis, in aedibus Georgii de Rusconibus (Triv. Mor.). Phoenix seu artificiosa memoria domini TOMAI (si veda) memoriae magistri, Bernardinus de Choris de Cremona impressor delectus im- pressit Venezia. Una copia di questa edizione originale curata dallo stesso autore è contenuta, insieme a due altri incunaboli, nel cit. Cod. Marciano. A questa prima edizione si richiamano le citazioni del testo e quelle riportate nell'appendice. Le regulae dell'operetta di TOMAI -- dalla prima alla dodicesima -- sono presenti nel Cod. Vat. lat. (Fenix domini TOMAI memoriae magistri. Expl.: Finis. Deo gratias matrique Mariae) e sono in parte riprodotte anche nel Cod. Aldino di di Pavia. Cfr. Magister TOMAI de memoria. Expl.: Expliciunt regulae memoriae artis egregii ac rmemorandi viri Petri Magistri de Memoria. Su Pietro da Ravenna cfr., oltre al TiraposcHi, Storia della letteratura italiana, Modena,; BORSETTI risonanza e non sarà senza influenza su BRUNO, afferma di poter disporre di più di centomila luoghi che si era andato costruendo onde riuscir superiore a tutti nella conoscenza del diritto romano. Cum patriam relinquo — scrive — ut peregrinus urbes Italiae videam, dicere possum om- nia mea mecum porto; nec cesso tamen loca fabricare. Di fronte al suo maestro Alessandro Tartagni da Imola, a Pavia, TOMA si mostra in grado di recitare a memoria totum codicem iuris civilis, il testo e le glosse, di ripetere parola per parola le lezioni di Alessandro e più tardi, a Padova, aveva stupefatto il capitolo dei canonici regolari recitando a memoria prediche intese una sola volta. Della sua abilità egli parla del resto a più riprese in pagine nelle quali un’accorta auto- propaganda si associa al manifesto desiderio di suscitare nell'animo dei lettori una stupefatta ammirazione per tanto prodigio. Mi è testimone Padova. Ogni giorno leggo, senza bisogno di alcun libro, le mie lezioni di diritto, proprio come se avessi il libro dinanzi agl’occhi, ricordo a memoria il testo e le glosse e non ometto la benché minima sillaba. Ho collocato in XIX lettere dell’abecedario ventimila passi del diritto civile e, nello stesso ordine, settemila passi dei libri sacri, M carmi di OVIDIO. CC sentenze di CICERONE, CCC detti dei filosofi, la maggior parte dell’opera di VALERIO Massimo. Historia Gymnasti Ferrariac, P. Ginann I, Scrittori ravennati. Alla Classense di Ravenna è da vedere, per una biografia, il Cod. Mob. contenente la genealogia dei TOMAI (si veda).Le ragioni del termine phœnix contenuto nel titolo sono chiarite dal stesso TOMAI.  Et cum una sit foenix et unus iste libellus, libello si placet Foenicis nomen imponatur. Ma alla fenice fanno riferimento, nello stesso senso, anche altri saggi: si veda per es. nel cod. Palat. 885 della Naz. di Firenze il Liber qui dicitur Phenix super lapidem philosophorum -- Post diuturnam operis fatigationem. Expl.: de lapide philosophorum natura et compositione sive fixione quae dicta sunt observentur. Deo gratias. Finis). Phoenix seu artificrosa memoria. Phoenix seu artificiosa memoria, cit., ff. 92v.-94v. (cfr. i passi ri- portati nell’appendice). Ma si veda anche quanto scrive TOMAI. In magna nobilium corona, dum essem adolescens, mihi semel fuit propositum ut aliqua nomina hominum per unum ex astantibus IMMAGINI E MEMORIA LOCALE. Meno sospette delle testimonianze dell’interessato appaiono quelle di Eleonora d’Aragona, che chiamava l’intera città di Ferrara a testimoniare della prodigiosa memoria di TOMAI o di Bonifacio del Monferrato che, dopo aver constatato la sua straordinaria virtù, lo raccomanda caldamente ai re, ai principi, ai magnifici capitani e ai nobili italiani, o infine del doge Barbarigo. Comunque stiano le cose, è certo che la straordinaria fama della quale gode in Italia questa singolare figura e affidata, più che alle sue pur non trascurabili cognizioni giuridiche, al fatto che egli si presentiva come la vivente dimostrazione della validità di un'arte alla quale si volgevano, in quell’età, le speranze e le aspirazioni di molti. Professore di diritto a Bologna, a Ferrara, a Pavia, a Pistoia, a Padova, TOMMAI contribuì senza dubbio a diffondere, in tutta Italia, l’interesse per l’ars memorativa. Conteso al doge veneziano da Bugislao duca di Pomerania e da Federico di Sassonia, TOMMAI vide aperte dinanzi a sè le porte di Wittenberg. Dopo aver rifiutato un invito del re di Danimarca, passa a Colonia e di qui, accusato di poco corretto comportamento -- scholares itali non poterant vivere sine meretricibus – e costretto a ritornarsene in Italia. La notorietà di questo personaggio e l’ammirazione per la sua opera non saranno senza risonanze. La Phoenix seu artificiosa memoria del Ravennate esercita su tutta la successiva produzione di mnemotecnica una larghissima influenza e a TOMMAI si rifaranno, come ad un eccelso maestro, tutti i filosofi italiani. La diffusione di questo saggio, stampato per la prima volta a Venezia, poi ripubblicato a Vienna, a Vicenza, a Colonia, tradotto in inglese da una precedente edizione in lingua francese, basta da sola a mostrare come  del dicenda recitarem. Non negavi. Dicta ergo sunt nomina. In primo loco posui amicum illud nomen habentem, in secundo similiter, et sic quot dicta fuerunt, tot collocavi, et collocata recitavi ». i Il testo della lettera di Eleonora d'Aragona è in Phoenix seu artifi- ciosa memoria] fossero interessati alla memoria locale ambienti non soltanto italiani. L’operetta di TOMMAI appare costruita secondo i già ben noti schemi della tradizione ciceroniana CICERONE. Più che sulle regole concernenti la ricerca dei luoghi, TOMMAI volge tuttavia la sua attenzione alla funzione esercitata dalle immagini e si sofferma a lungo sul concetto che l’immagini, per essere davvero efficaci, debbono porsi come dei veri e propri eccitanti dell'immaginazione. Solitamente colloco nei luoghi delle fanciulle formosissime che eccitano molto la mia memoria e credimi. Se mi sono servito come immagini di fanciulle bellissime, più facilmente e regolarmente ripeto quelle nozioni che avevo affidato ai luoghi. Possiedi ora un segreto utilissimo alla memoria artificiale, un segreto che ho a lungo taciuto per pudore. Se desideri ricordare presto, colloca nei luoghi vergini bellissime. La memoria infatti è mirabilmente eccitata dalla collocazione delle fanciulle. Questo precetto non potrà giovare a coloro che odiano e disprezzano le donne e costoro conseguiranno con maggiore difficoltà i frutti dell’arte. Vogliano perdonarmi gl’uomini casti e religiosi. Avevo il dovere di non tacere una regola che in quest'arte mi procurò lodi ed onori, anche perché voglio con tutte le mie forze lasciare successori eccellenti. Opere come quelle del Romberch e di TOMMAI avevano intenti eminentemente, se non esclusivamente] praedizioni viennesi, l’edizione di Londra, che è senza data: il trattato viene presentato, senza nome dell’autore, da Copland come The art of memory, that otherwise is called the Phenix, an essay very behouefull and profitable to all professors of science, granmarians, rhetoricians, dialectyks, legystes, philosophers and theologians. Stampato da Middleton si presenta come a translation out of French into English, edizione di Colonia e Vicenza. Per la rinomanza di TOMAI in Germania è da ricordare che Agrippa si vantò di averlo avuto maestro e che un ampio elogio di TOMAI, maestro di memoria, è inserito nell’Abecedario aureum dell'Ortwin, Colonia. Phoenix seu artificiosa memoria]  tici”: si rivolgevano ai filosofi solo in quanto anch'essi, così come i medici o i notai o i giuristi, sono impegnati in terrene faccende. Con tutto ciò anche in questi trattati, nei quali l’in- teresse tecnico appare dominante, si affacciano dei motivi (cone per esempio quello delle immagini) che hanno stretti rapporti con la cultura rinascimentale, e temi, quale per esempio quello del rapporto arte-natura, che erano stati e soprattutto saranno ampiamente dibattuti in sede più specificamente filosofica. «La memoria locale è un’arte con la quale riusciamo a ricordare facilmente e ordinatamente molte cose delle quali, con le forze naturali, non sarebbe possibile che noi avessimo o così pronta o così distinta memoria », si afferma nell’ Urb. lat. e su questo motivo, il cui spunto appare già presente nei saggi di CICERONE e di Quintiliano, si ritornerà da più parti con accenti significativi. Mentre contrapponeva i risultati dell’arte a quelli della natura, l'anonimo autore del ms. lat. conservato alla Marciana, avvicinava non a caso l’arte mne- monica agli altri ritrovati della tecnica e tuttavia, proprio in quel punto, sentiva il bisogno di porre l’arte sotto il leggen- dario patrocinio di Democrito ‘' e di presentarsi come il chia- rificatore delle straordinarie difficoltà e delle « oscurità » conte- nute nella RAetorica ad Herennium : 42 Urb. lat.Cod. marciano. Il brano di seguito citato nel testo, che trascrivo dal cod. cit., è già stato pubblicato da Tocco, Le opere latine di BRUNO, che fa riferimento al Cod. Marciano. Tocco nota come ritorni in più di un trattato di memoria artificiale il nome di Democrito come fondatore dell’arte. Cfr. Cod. marciano: Tractatus super memoria artificiali, ordinatus ad honorem egregii et famosissimi doctoris nec non et comitis Troili Boncompagni P. F. Homines enim mortales memoriam labilem conspicientes fuerunt conati quemadmodum fuit Democritus, Simonides et CICERONE per artem adiuvare. Ma cfr. anche, nello stessocodice, al f. 5, le Regulae memoriae artificialis ordinatae per religiosum sacrae theologiae professorem magistrum Ludovicum de Pirano ordinis Minorum (Inc.: Democritus atheniensis philosophus, huius artis primus inventor fuit). Il richiamo a Democrito appare fondato, come chiara TOCCO sulla testimonianza di GELLIO secondo la quale Democrito si sarebbe cavati gl’occhi per meglio concentrarsi nei suoi pensieri] Ars memoriae artificialis, pater reverende, est ca qualiter homo ad recordandum de pluribus pervenire possit per memoriam artificialem de quibus recordari non possit per memoriam naturalem. Debetis enim scire quod sic natura adiuvatur per artem adiunctam sicut sunt navigia ad mare transfretandum quia non potest transfretari per virtutem et viam naturae, sed solum per virtutem ct viam artis; unde philosophi vocaverunt artem adiutricem nature. Sicut enim invenerunt homines diversas artes ad iuvandum diversis modis naturam, sic etiam videntes quod per na- turam hominis memoria labilis est, conati sunt invenire artem aliquam ad iuvandum naturam seu memoriam ut homo per virtutem artis recordari possit multarum rerum quarum non poterat recordari aliter per memoriam natu- ralem et sic adinvenerunt scripturas et viderunt non posse recordari horum quae scripserant. Postea in successione temporis, videntes quod semper non poterant secum por- tare scripturas, mec semper parati erant ad scribendum, adinvenerunt subtiliorem artem ut sine quacumque scrip- tura multarum rerum reminisci valerent et hanc vocave- runt memoriam artificialem. Ars ista primum inventa fuit Athenis per Democritum eloquentissimum philosophum. Et licet diversi philosophi conati fuerint hanc artem declarare, tamen melius et subtilius declaravit suprascrip- 4Iv. tus philosophus Democritus huius artis / adinventor. Tulius vero perfectissimus orator in cuius libro Rhetori- corum de hac arte tractavit licet obscuro et subtili modo in tantum quod nemo ipsum intelligere valuit nisi per divinam gratiam et doctorem qui doceret ipsam artem qualiter deberet pratichari. Ad una diversa atmosfera culturale e a temi legati alla “psicologia” e alla “filosofia” più che alla retorica, ci riportano invece altri scritti del tardo Quattrocento nei quali l'influsso delle impostazioni aristoteliche e tomistiche è assai più forte di quello esercitato dalla tradizione della retorica ciceroniana. Si tratta, come è ovvio, solo di una differenza di grado poiché, come abbiamo visto, proprio attraverso Alberto e Tommaso, l’arte ciceroniana della memoria era entrata a far parte del patrimonio della cultura scolastica e tuttavia, in qualche caso, si assiste, leggendo questi trattati, all’interessante tentativo di ricavare direttamente dai testi aristotelici alcune regole della memoria artificiale. In questo senso è tipico il De nutrienda memoria, pubblicato a Napoli nel quale CARPANIS (si veda)  si propone di presentare le dottrine svolte da Ari- stotele nel De memoria et reminiscentia « condite col sale d’AQUINO. Il sensus communis appare a CARPANIS (si veda) simile a una gigantesca selva – “silva maxima” -nella quale vengono accumu- landosi le immagini provocate da ciascuno dei cinque sensi. Su questo caos agisce l’intelletto con una triplice operazione: in primo luogo prende coscienza delle immagini, in secondo luogo le connette secondo un ordine preciso e in terzo luogo infine (quasi deambulans per pomerium) lega l’una all’altra le cose simili riponendole in archa memoriae. Quando di quelle cose si parli, l'intelletto « quasi de armario pomorum cibum sumens, verba per dentes ruminantis intellectus emittit. La memoria, a sua volta, si muove su un duplice piano: quello del senso e quello dell’intelletto. La memoria sensitiva (vis quaedam sensitivae animae) appare strettamente congiunta col corpo e capace di ritenere corporalia tantum; quella intellet- tiva, al contrario, è armarium specierum sempiternarum. Alle principali tesi di Aristotele l’autore accosta, quasi sempre, la citazione di passi tratti dal De triritate di Agostino: così la dottrina aristotelica del carattere corporeo dei contenuti della memoria sensitiva viene accostata al passo di Agostino sulla memoria delle pecore che, dopo il pascolo, tor- nano all’ovile; mentre la nota tesi agostiniana della identità tra memoria intelletto e volontà viene citata a conferma del carattere intellettivo di una delle due parti nelle quali la memoria si suddivide. Anche la dottrina degli aiuti (admin: cula) della memoria risente da vicino della sua origine tomi- stica: accanto all’ordine (bonus ordo memoriam facit habilem) e alla ripetizione (ex frequentibus actis habitus generatur) CARPANIS (si veda) colloca fra gli aiuti principali la similitudo e la contrarietas. Senza far ricorso all’arte della memoria locale [De nutrienda memoria CARPANIS (si veda)  regnante serenissimo et illustrissimo Domino nostro D. Ferdinando Dei gratia rege Sicilie, Hierusalem et Hungarie, contenuto nel cit. Cod. marciano De nutrienda memoria, cit., f. 97 v. De nutrienda memoria. l’autore giunge in tal modo a fissare alcune regole ricavate, anziché da CICERONE, dalla psicologia aristotelica. Contrarietas secundum dicitur adminiculum ubi notan- dum est quod quando res diversorum ordinum et quali- tatum essent recitandae in una orationc vel in una sen- tentia eloquendac, tunc ordo subsequens debet esse con- trarius immediate antecedenti, ut si videlicet memoranda essent libertas servitus frigus estas divitiae paupertas pictas crudelitas iusticia impictas, sic ut sunt hic nominata ordi- nabis; non autem dices: libertas, frigus servitus estas divitiae pietas paupertas crudelitas. Graveretur cnim memo- ria sic inordinate procedens cuius ratio videtur quia... contraria non se compatiuntur ad invicem immo iuxta se posita nullo medio, motum habent contrarium et ope- rationem ad invicem contrariam. Sic itaque, sicut motum nullo medio ad invicem habet contrarium, sic in memorando nullum aliud habendo vei querendo auxilium, mo- vebunt memoriam. Ars cnim imitatur naturam. Un tentativo dello stesso genere è presente anche nel De omnibus ingeniis augendae memoriae di CARRARA (si veda) pubblicato a Bologna. Anche in questo caso le os- servazioni di Aristotele sull’ordine, sul passaggio del simile al simile, sulla contrarietas vengono interpretate come vere e pro- prie “regole” dell’ars memorativa. Ma oltre che per queste de- rivazioni aristoteliche e per la proposta di un particolare tipo di 48 De nutrienda memoria. Inc. contenuto, accanto a quelli delle opere di TOMAI e di CARPANIS (si veda), nel Cod. marciano: CARRARA, De omnibus ingentis augendae memoriae ad prestantissimum virum Aloisium Manentem incliti Venetorum Senatus Secretarium. Impressum Bononiae per me Platonem de Benedictis civem bononiensem, regnante inclito prin- cipe domino Iohanne Bentivolio, secundo anno incarnationis, dominicc die XXIHI Januarii. Al testo di CARRARA (si veda) attingerà largamente, senza citare l’autore, GRATAROLI nei suoi Opuscula dedicati alla memoria, Basilea. Su CARRARA (si veda) cfr. TiraBoscHi, Storia della letteratura. De omnibus ingentis. Primum est ordo et reminiscibilium consequentia. Cum cam didicimus ex ordine cum connectione et dependentia si aliquo eorum erimus obliti, facile, repetito ordine, reminisci poterimus. Alterum est ut et uno simili in suum simile pro- memoria locale” fondato sulla suddivisione in cinque parti del corpo degli animali," il saggio di CARRARA (si veda) è importante perché mostra la stretta connessione che venne a stabilirsi, all’interno di una certa tradizione aristotelica, fra arte della me- moria e medicina. Richiamandosi a Galeno e ad Avicenna CARRARA (si veda) affronta, in primo luogo, il problema di una localizzazione della memoria, passa poi a discutere delle principali malattie che ostacolano l’uso della memoria, si sofferma ad esporre una serie di regole concernenti l’uso di cibi e bevande, il sonno e il moto, e giunge finalmente alla formulazione di un vero e proprio ricettario. All’idea di una terapeutica della memoria, già presente nel Regimen aphoristicum di Arnaldo da Villanova, e diffusa nella medicina medievale, si richia- mava, accanto a CARRARA (si veda), anche Matteolo da PERUGIA (si veda) che pubblica un opuscolo di medicina mnemonica. In entrambi i saggi è non a caso assai frequente il ricorso ad Avicenna. La tesi sostenuta da CARRARA (si veda) che l’umdità sia di ostacolo alla memoria è per esempio già presente nei testi del medico arabo -- qui autem habent locum dominatum humiditate non rememorant, quia formae non finguntur in humido -- ma il saggio di CARRARA (si veda)  a differenza di quello del Matteolo e degli altri già presi in esame, appare fondato su numerosissime letture. Oltre ai già noti classici della memoria, comparivano qui i nomi di Galeno, BOEZIO (si veda), Ugo da San Vittore, Giovanni Scoto e Averroè. vehamur: ut si Herodoti obliviscamur de Tito Livio recordati latinae historiae patre, in Grecae historia patrem Herodotum producemur. Tertium est ut contraria recogitemus... ut memores Hectoris, remini- scimur Achillis ». ! De omnibus ingentis, Il passo può esser letto nella trascrizione che ne ha dato TOCCA. Si veda per esempio: Tractatus clarissimi philosophi et medici Ma- theoli perusini de memoria et reminiscentia ac modo studendi tractatus feliciter. L'opera insiste sul regime da seguire in vista della buona memoria. Sull’autore cfr. Tira- BoscHI, Storta della letteratura. Averrois Cordubensis, Compendia librorum Aristotelis qui parva na- turalia vocantur, in Corpus Comm. Av. in Arist., Cambridge (Mss.). Attraverso un contatto con la tradizione della medicina e con certe tesi dell’aristotelismo, la trattatistica sull’ars memoriae del tardo Quattrocento sembra dunque avvicinarsi a temi e a problemi che rivestono un interesse non meramente “tecnico” e non soltanto “retorico”. Tuttavia, ed è opportuno non di- menticarlo, quando a metà del Cinquecento si verificherà l’in- contro fra la grande tradizione del lullismo e l’ars reminiscendi di derivazione “retorica”, saranno proprio i trattati stretta- mente tecnici dei “ciceroniani” ad esercitare una funzione es- senziale. In realtà quell’arte dei luoghi e delle immagini, nono- stante la sua apparente neutralità e atemporalità, era legata alla cultura del Rinascimento da una molteplicità di rapporti, e solo tenendo presenti tali rapporti sarà possibile spiegarsi le ragioni per cui testi spesso aridi e quasi sempre speculativamente inof- fensivi eserciteranno un fascino notevole sulle menti di Agrippa e di BRUNO. Chi ponga mente all'importanza dei segni, delle imprese e delle allegorie nella cultura rinascimentale, chi richiami alla mente i saggi ficiniani sui simboli e le figurazioni poetiche che nascondono divini misteri e avverta il significato di quel gusto per le allegorie e per le forme simboliche presente negli scritti di LANDINO (si veda), di VALLA (si veda), di PICO (si veda), di POLIZIANO (si veda) e di BRUNO (si veda), non potrà non rilevare la risonanza che l’arte della memoria in quanto costruttrice di immagini e destinata ad avere in una età che ama incorporare le idee in forme sensibili, che si diletta a trasferire sul piano delle discussioni intellettuali la febbre e la fortuna, che vede nel geroglifico il mezzo usato per rendere indecifrabili i precetti religiosi, che ama l’abecedario e le iconologie, che concepiva verità c realtà come qualcosa che si va progressivamente disvelando attraverso il segno e la favola e l’immaginie. Su questi temi cfr. Cassirer, Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento, Firenze;Monnier, Le Quattro- cento, Losanna; CH. LeMMI, The classical deities in Bacon. A study in mythological symbolism, Baltimore; KriIsTELLER, Il pensiero filosofico di FICINO (si veda), Firenze; GARIN, L'UMANESIMO ITALIANO, Bari; Medioevo e Rinascimento, Bari. Essenziale resta ]. Seznec, La survivance des dieux antiques, Londra] In un testo caratteristico e giustamente famoso, Alciati, mentre parla di un’ars quaedam inveniendorum et excogitandorum symbolorum, si sofferma a lungo a discorrere delle differenze che intercorrono fra schemata, imagines e symbola. In un libro altrettanto fortunato, RIPA (si veda) presenta una « descritione d’imagini delle virtù, vitii, affetti, passioni umane, corpi celesti, mondo e sue arti  annunciando che il suo saggio -- che è veramente la chiave dell’allegorismo) doveva servire per figurare con i suoi proprî simboli tutto quello che può cadere in pensiero umano. Alla voce memoria troviamo la rappresentazione di « una donna con due faccie, ve- stita di nero et che tenga nella man destra una penna et nella sinistra un libro »: le due facce stanno a significare che la memoria abbraccia « tutte le cose passate, per regola di pru- denza in quelle che hanno a succedere per l’avvenire »; il libro e la penna, simboli della frequente lettura e della scrit- tura, « dimostrano, come si suol dire, che la memoria con l’uso si perfettiona ».°” In un manuale di iconologia, compo- sto negli ultimi anni del Cinquecento, ritroviamo in tal modo da un lato l’antica idea dell’uso e della scrittura come aiutidella memoria (due secoli più tardi Hume parlerà dell’« ope- rosità » e della «scrittura »), dall’altro l’eco di quelle discus- sioni sulla memoria e la « prudenza » che avevano appassio- nato Alberto Magno ed AQUINO. Ma era l’idea stessa di sulla iconologia le ); ma cfr. anche M. Praz, Studies in Se- venteenth Century Imagery, Londra, Yates, The French Academies, Londra. It was on the image-level of the mind -- if one may speak thus -- that the Renaissance men achived his ounified outlook. Uno storico dell’arte come WaetzoLp, Diirer and his Time, Londra, giunge del resto a non dissimili conclusioni. Più recente R. }. CLEMENTS, Icornography on the nature and Inspiration of Poetry in Renaissance Emblem Litterature, in PMLA, Omnia A. ALCIATI (si veda) Emblemata, Antverpiac, Braid. È il titolo dell’Iconologia di RIPA (si veda), edizione padovana. Ripa, /conologia, Sulla Allegoria della prudenza del Tiziano Panorsri scrive uno splendido saggio -- ora ristampato nel vol. The meaning of visual arts, New York. Sulla prudenza come « me- una rappresentazione sensibile delle “cose” e dei “termini” c di una “personificazione” dei concetti alla quale il Ripa (e molti altri con lui) si ispirava, che aveva indubbiamente assai stretti legami con quella sezione della mnemotecnica che aveva per scopo la costruzione delle immagini. All’interno stesso della più ortodossa tradizione dell’ars memorativa ciceroniana non erano mancate espressioni di una particolare sensibilità per il problema delle immagini. Certe pagine dell'Oratoriae artis epitoma (Venezia) di PUBBLICIO (si veda) giovano senza dubbio a comprendere come tra queste immagini e quelle delle iconologie sussistesse un legame reale. Le intentiones simplices e spirituali, afferma Pubblicio, non aiutate da nessuna corporea similitudine, sfug- gono rapidamente dalla memoria. Le immagini hanno appunto il compito, mediante il gesto mirabile, la crudeltà del volto, lo stupore, la tristezza o la severità, di fissare nel ricordo idee termini e concetti. La tristezza e la solitudine saranno il simbolo della vecchiaia, la lieta spensieratezza quello della gioventù, la voracità sarà espressa dal lupo, la timidezza dalla lepre, la bilancia sarà il simbolo della giustizia, l’erculea clava della fortezza, l’astrolabio dell’astrologia. Ma soprattutto gio- verà richiamarsi, nella costruzione delle immagini, all'opera dei poeti, di VIRGILIO (si veda) e di OVIDIO (si veda). Le loro raffigurazioni della Fama, dell’ Invidia, del Sonno potranno essere felicemente ri- prese in quella collocatio in locis che fa uso di immagini rare ed egregie.®° Simboli e immagini in funzione del ricordare: anche quando l’idea di una collocatio imaginum in locis verrà abbando- nata definitivamente, resterà ben salda l’idea dei simboli e delle immagini come aiuti della memoria. La Istoria universale pro- moria del passato, ordinamento del presente, contemplazione del futuro » Panofski avrebbe potuto citare, accanto a fonti meno note, anche 1 passi, assai significativi, di Alberto Magno e d’AQUINO. Ma resta egualmente significativa la penetrazione, entro le arti figurative, dell’antico tema della connessione memoria-prudenza. Publicii Iacobi, Oratoriae artis epitoma, sive quae ad consumatun spectant oratorem, Venezia. L’opera di PUBBLICIO (si veda) e ristampata a Venezia (Erhardus Radtolt augustensis ingenio miro et arte perpolita impressioni mirifice dedit) e successivamente ad Augusta. Qui si è fatto uso dell’inc. dell’Angelica di Roma. Oratoriae artis epitoma] vata con monumenti e figurata con simboli degli antichi pubblicata da BIANCHINI (si veda) dove unire alla facilità dell’apprendere e del comprendere la stabilità dell’ordinare e del ritenere; la dipintura proposta al frontispizio della Scienza Nuova di VICO dove servire al leggitore « per concepire l’idea di quest'opera avanti di leg- gerla, e per ridurla più facilmente a memoria. BIANCHINI Veronese, La istoria universale provata con monumenti e figurata con simboli degl’antichi, Roma, Braid VICO (si veda), Opere, cur. NICOLINI (si veda), Milano e cfr. R., Schede vichiane, in La Rassegna della letteratura italiana. Si verificano, in quel settore della cultura che qui ci interessa, due importanti fenomeni. Il primo è la diffusione in di quell’arte della memoria locale che aveva avuto la sua più organica e completa trattazione nel saggio di TOMAI. Il secondo è il contatto che venne a stabilirsi fra quella tradizione mnemotecnica che risale a CICERONE, a Quintiliano, alla Rhetorica ad Herennium, ad AQUINO e l’altra, diversa tradizione di logica combinatoria che fa capo alle opere di Lullo. Cusano, Bessarione, PICO (si veda), Lefèvre d’Etaples, Bovillus e poi Lavinheta e Agrippa e BRUNO (si veda) contribuiscono a diffondere le opere di Lullo, l’interesse per l’ars magna e la passione per la combinatoria entro tutta la cultura europea. Il significato della loro adesione ad una tematica che appare così profondamente estranea ad una mentalità post-cartesiana e post-galileiana è necessariamente sfuggito sia a quegl’interpreti che vedeno nell’ars magna una specie di sommario elementare o preistorico di logica simbolica, sia a coloro che hanno preferito sbarazzarsi, con facile ironia, delle stranezze di molti fra gl’esponenti più significativi e più noti di una non trascurabile stagione della cultura occidentale. L'interesse per la cabala e per le scritture geroglifiche, per le scritture artificiali e universali, per la scoperta dei primi princìpi costitutivi di ogni possibile sapere, l’arte della memoria e il richiamo continuo ad una logica intesa come chiave capace di aprire i segreti della realtà. Tutti questi temi appaiono inestricabilmente connessi con la rinascita del lullismo nel Rinascimento e formano, davanti a chi affronti direttamente i saggi da Agrippa a Fludd, da Gassendi a More, una sorta di inestricabile groviglio del quale non appare del tutto lecito sbarazzarsi facendo ricorso ad una generica e misteriosa entità “platonismo”. In realtà molti dei temi che formano quel groviglio hanno non pochi e non trascurabili riflessi anche sui problemi della speculazione e della scienza: dalla teoria baconiana e vichiana VICO del SEGNO  dell’immagine e del linguaggio, alla discussione baconiana e cartesiana sull’albero delle scienze e sulle facoltà; dalle polemiche sul significato della dialettica e sui suoi rapporti con la retorica, a quelle concernenti le topiche e il problema del metodo e infine a quelle stesse trattazioni di filosofia naturale che fanno appello alla struttura logica della realtà materiale, all’abecedario della natura o ai caratteri impressi dal divino nel cosmo. Non si ha qui la pretesa di dar fondo a questi complessi problemi. Si ritiene tuttavia che ad una maggiore comprensione di talune delle questioni precedentemente indicate possa giovare non poco un esame, analiticamente condotto, della diffusione del lullismo e del suo connettersi con la già fiorente tradizione dell’arte mnemonica. In una lettera dedicatoria premessa al suo commento all’Ars brevis di Lullo, Agrippa traccia un sommario quadro della diffu- [Faccio uso dell'edizione delle opere e dei commenti lulliani pubbli- cate a Strasburgo dai fratelli Zetzner. Si dà qui, per comodità del lettore, un sommario del contenuto di questa edizione (che verrà di seguito indicata semplicemente con ZetznER). Raymundi Lullii Opera ca quae ad inventam ab ipso artem universalem scientiarum artiumque omnium brevi compendio firmaque memoria apprchendendarum locu- pletissimaque vel oratione ex tempore petractandarum pertinent. Ut et in candem quorundam interpretum scripti commentarit... Accessit Va- leriù de Valerits patrici veneti aureum in artem Lullii generalem opus, Argentorati, Sumpt. Hacr. Lazari Zetzneri (Triv., Mor.. L’opera fu ristampata; parzialmente riprodotta: Stoccarda. Il volume contiene i seguenti scritti: Opere autentiche di Lullo: Logica brevis et nova; Ars brevis; Ars magna generalis ultima; Tractatus de conversione subiecti et praedicati per medium; XII principia philosophiae, sione del lullismo nella cultura europea: Daguì e il suo discepolo Janer sono ben noti e celebrati in ITALIA, l’insegnamento di FCorboba ha avuto vastissima risonanza nelle scuole europee, Lefèvre d’Etaples e Bovillus sono stati, a Parigi, devotissimi a Lullo, infine i fratelli Canterio  hanno mostrato non solo alla Francia e alla Germania, ma anche all'ITALIA, le mirabili possibilità dell’arte. Mentre si richiama ai grandi maestri del lullismo, Agrippa chiara anche breve- [Opere apocrife e attribuite a Lullo: De auditu kabbalistico seu kabbala,; Oratio exemplaris (sic, errore di numerazione nelle pagine); /n RAesoricam Isagoge; Liber de venatione medii inter subiectum et praedicatum. Commenti: BRUNO, De lulliano specierum scrutinio; De lampade combinatoria lulliana; De progressu logicae venationis; Acrirra, In artem brevem Raymundi Lullit commentaria; VALERIIS, Opus aureum in quo omnia breviter explicanter quae R. Lullus tam in scientiarum arbore quam arte generali tradit. Su Daguì che tenne pubblici corsi di lullismo nella cattedrale di Maiorca, sul suo discepolo Janer, sul filosofo platonico Còrdoba che difese Daguì dalle accuse di eterodossia in una commissione nominata da Sisto IV, sul lullismo del Lefèvre e del Bouelles, sui fratelli Andrés, Pedro e Jaime Canterio cfr.: T. e |. Carreras y ArRTAu, Filosofia cristiana, Madrid,, nel quale si trovano notizie bio-bibliografiche sui singoli autori. Stru- mento essenziale per la storia del lullismo è: E. RocENT y E. Duran y Renats, Bibliografia de las impressions lul-lianes, Barcelona (per le edizioni, numerosissime, del commento di Agrippa). Per le notizie sulle opere edite e inedite, sui manoscritti ecc. si vedano: Littré, in Histoire littéraire de la France; E. Lonc- [PRÉ, voce Lulle in Dictionnaire de théologie catholique; J. Avinvò, Les obres autèntiques del Beat Ramon Lull, Barcelona; C. Ortaviano, L'ars compendiosa de R. Lulle avec une étude sur la bibliographie et le fond ambrosien de Lulle, Paris. Per la diffusione del lullismo, particolarmente in ITALIA, sono assai importanti gli studi di Miguel BatLLORI che, oltre a una preziosa Introducion bibliografica a los estudios lulianos, Mallorca, ha pubblicato: E/ Lulismo en Italia, Madrid, Rev. de Filos. de l’ Inst. L. Vives; La obra de R. Lull en Italia, in « Studia, Palma de Maiorca, ag.-sett.; Le lullisme de la Renaissance et du Baroque: Padoue et Rome, in «Actes du XIéme Congrès Int. de Philos. », Bruxelles (per una completa informazione cfr. Bibliografia del P. Miguel Batllori S. I., Torino] mente la portata e il senso della combinatoria lulliana, le ra- gioni della sua superiorità e della sua efficacia: l’arte — afferma — non ha nulla di volgare, non ha a che fare con oggetti determinati e proprio per questo si presenta come la regina di tutte le arti, la guida facile e sicura a tutte le scienze e a tutte le dottrine. L’ars inventiva appare caratterizzata dalla generalità e dalla certezza; con il suo solo aiuto, indipenden- temente da ogni altro sapere presupposto, gli uomini potranno giungere ad eliminare ogni possibilità di errore e a trovare « de omni re scibili veritatem ac scientiam ». Gli “argomenti” dell’arte sono infallibili e inconfutabili, tutti i particolari di- scorsi e princìpi delle singole scienze trovano in essa la loro universalità e la loro luce (« omnium aliarum scientiarum prin- cipia et discursus tanquam particularia in suo, universali luce, elucescunt »); infine, proprio perché racchiude e raccoglie in sé ogni scienza, l’arte ha il compito di ordinare, in funzione della verità, ogni sapere umano.° Agrippa, che pure scriverà molti anni più tardi una pagina feroce contro la tecnica lulliana,' poneva dunque in rilievo, nella prefazione al suo commento, due delle fondamentali caratteristiche con le quali l’arte lulliana si presenta alla cul- tura del Rinascimento. In primo luogo essa appare come una scienza generalissima e universale la quale, richiamandosi a princìpi assolutamente certi e a infallibili dimostrazioni, con- sente la determinazione di un criterio assoluto di verità; in secondo luogo, proprio perché si costituisce come la scienza delle scienze, l’arte è in grado di offrire il criterio per un pre- ciso e razionale ordinamento di tutto lo scibile i vari aspetti * H. C. AcrIPra, /n artem brevem... commentaria, Zetzner, Acrirra, De wvamitate sciertiarum, in Opera, Lugduni, per Beringos Fratres, 1600, 2 voll., vol. II, pp. 31 segg. (De vanitate, De arte Lulli, De arte memorativa). Cfr. lo stesso testo nella versione italiana di L. Dominichi, Venezia, 1549 (copia usata: Braidense. Nel Saggio bio-bibliografico su C. Agrippa di HeLpa BuLLortA Bar- RAacco, in « Rassegna di filosofia, non si fa cenno al commento lulliano di Agrippa. L'opera non è databile con precisione. G. A. Prost, Les sciences et les arts occultes au XVIè*me stècle, Paris, la assegna con argomenti forse insufficienti. Certamente lo scritto è antecedente (cfr. Claudius Blancheroseus H.C. Agrippae, in Fpist., Opera, del quale mediante successive sussunzioni del particolare al enerale vengono tutti, senza esclusioni, ricompresi e inverati nell’arte. Il giovane Agrippa non aveva fatto altro in realtà che esporre vivacemente e chiarificare temi largamente diffusi. Sul- l'efficacia «inventiva » dell’arte e sulla sua « finalità enciclo- pedica » egli non era stato il solo ad insistere. Il tema di una logica intesa come chiave della realtà universale, come discorso concernente non i discorsi umani ma le articolazioni stesse del mondo reale si congiunge infatti strettamente, nei testi stessi di Lullo e in quelli del lullismo, con l’aspirazione ad un ordinamento di tutte le scienze e di tutte le nozioni che corrisponda all'ordinamento stesso del cosmo. Giustamente si è potuto parlare, a questo proposito, di una « direzione logico- enciclopedista » del pensiero lulliano che si pone, come motivo centrale e dominante, accanto alla direzione mistica e a quella polemico-razionalista. L'apprendimento delle regole dell’arte e la ordinata classificazione di tutte le nozioni im- plicano e presuppongono d’altra parte la costruzione di un sistema mnemonico che si presenta come parte integrante e costitutiva della logica-enciclopedia. Ma giove a questo punto, per chiarire questi problemi, delineare brevemente alcuni degli aspetti fondamentali della problematica connessa al lullismo facendo riferimento sia ai testi di Lullo sia a quelli della tra- dizione lullista. Nei testi di Lullo l’arte si presenta come una «logica » che è anche e contemporaneamente « metafisica » (« ista ars est et logica et metaphysica ») ec che tuttavia differisce dall’una e dall’altra sia «in modo considerandi suum subiectum » sia «in modo principiorum ». Mentre la metafisica considera gli enti esterni all'anima « prout conveniunt in ratione entis », e la logica li considera secondo l’essere che essi hanno nell'anima, l’arte invece, suprema fra tutte le umane scienze, considera gli enti secondo l’uno e secondo l’altro modo. A differenza ° Cfr. Carreras y Artau, Filosofia cristiana, Introd. all’Ars demonstrativa, in R. Lutt, Opera omnia, Mainz. Gli otto volumi dell’edizione di Mainz numerati della logica che tratta delle seconde intenzioni, l’arte tratta delle prime intenzioni; mentre la logica è « scientia instabilis sive labilis », l’arte è «permanens et stabilis »; ad essa è possibile quella scoperta della « vera lex » che è invece pre- clusa alla logica. Esercitandosi per un mese nell’arte si po- tranno non solo rintracciare i princìpi comuni a tutte le scienze, ma anche conseguire risultati di molto maggiori di quelli raggiungibili da chi si dedichi per un anno intero allo studio della logica." Opportune premesse all’acquisizione del- l’arte appaiono non a caso, da questo punto di vista, la cono- scenza della logica tradizionale e quella delle cose naturali: «Homo habens optimum intellectum et fundatum in logica et in naturalibus et diligentiam poterit istam scientiam scire duobus mensis, uno mense pro theorica et altero mense pro practica. Presentandosi strettissimamente connessa alla conoscenza delle cose naturali, alla metafisica, all’ontologia l’arte mostrava da un lato la sua irriducibilità sul piano di una conoscenza formale e dall’altro i suoi legami con quella metafisica esem- plaristica e con quell’universale simbolismo che costituiscono insieme lo sfondo e la premessa delle dottrine lulliane. La scomposizione dei concetti composti in nozioni semplici e irri- ducibili, l'impiego di lettere e di simboli per indicare le no- zioni semplici, la meccanizzazione delle combinazioni tra i concetti operata per mezzo delle figure mobili, l’idea stessa di un linguaggio artificiale e perfetto (superiore al linguaggio comune e a quello delle singole scienze) e quella di una specie di meccanismo concettuale che si presenta, una volta costruito, assolutamente indipendente dal soggetto umano: questi ed altri caratteri dell’ars combinatoria han fatto sì che storici in- signi, dal Biumker al Gilson, abbiano avvicinato — e non X (il VII c I'VIII non furono pubblicati) furono curati, per i primi tre volumi, da Ivo Salzinger. Su questa singolare figura e sulle vicende dell'edizione maguntina cfr. Carreras y Artau, La filosofia cristiana, Cfr. Ars magna generalis ultima, cap. CI De logica, in ZETZNER Cfr. Ars magna generalis ultima, in ZETZNER, erroneamente — la combinatoria alla moderna logica formale. A differenza di altri storici meno provveduti, tuttavia, sia il Biumker sia il Gilson avevano chiaramente presente il peso esercitato sul pensiero di Lullo da quell’esemplarismo e da quel simbolismo al quale ci siamo ora riferiti. Dio e le dignità divine appaiono a Lullo gli archetipi della realtà mentre l’in- tero universo si configura come un gigantesco insieme di sim- boli che rimandano, al di là delle apparenze, alla struttura stessa dell’essere divino: «le similitudini della natura divina sono impresse in ogni creatura secondo le possibilità ricettive della stessa creatura, e ciò secondo il più e il meno, secondo che esse più si avvicinano al grado superiore nel quale è l’uomo, così che ogni creatura, secondo il più e il meno, porta in sé il segno del suo artefice ».!° Anche gli alberi, teorizzati nell’Arbre de Sciencia, non of- frono in alcun modo l’esempio di una classificazione formale del sapere: essi rimandano, attraverso un complicato simbo- lismo, alla realtà profonda delle cose, quella realtà che al filosofo spetta appunto di scoprire individuando i “significati” delle varie parti degli alberi. Le diciotto radici dei primi alberi, che rappresentano il mondo delle creature, corrispon- dono non a caso ai princìpi stessi dell’arte. Di modo che, come è stato giustamente notato,"! le radici o fondamenti reali ° Cfr. C. Barumker, Die curopaische Philosophie der Mittelalter, nel vol. Allgemeine Gesch. der Phil., Berlino, 1923, pp. 417-18; E. Gitson, La philosophie franciscaine, nel vol. Saint Frangois d'Assise ecc., Parigi. Un'ampia e precisa esposizione della combinatoria lul- liana è in PLatzeck, La combinatoria luliana, in « Revista de Filosofia Franziskanische Studien. Assai notevole è lo studio di Yates, The Art of Ramon Lull, Journal of the Warburg and Courtauld Institutes nel quale vengono posti chiaramente in luce i rapporti tra la logica c la cosmologia lulliane. Del tutto insufficiente appare, alla luce di questi studi, la interpretazione e l'esposizione del PrANTL, ediz. 1955, III, Compendium artis demonstrativac, in R. Lutt, Opera, Mainz, Carreras y ARTAU, La filosofia cristiana. La versione catalana dell’Arbor scientiae nell’edizione delle Obres de Ramon Lull, Palma de Mallorca. Le più recenti edizioni latine sono Lione (ediz. precedenti: Barcellona; Lione). delle cose, i princìpi dell’arte, e le dignità divine appaiono, nella terminologia lulliana, termini assolutamente intercam- biabili ed equivalenti. Gli strettissimi legami fra l’arte e la teoria degli elementi sono stati del resto messi in luce di recente, con molta pene- trazione, da un ampio studio di Yates. Il tradizionale approccio logico alla dottrina lulliana (del tipo di quello presente nella trattazione di Prantl) si è rivelato a Yates parziale e insufficiente. Un accurato studio dell’inedito Tractatus novus de astronomia non solo ha posto in luce il significato della applicazione delle regole dell’arte alla astrologia, ma ha anche chiarito come nelle varie opere di Lullo i nove princìpi divini (le cui influenze sono state identifi- cate nel Tractatus de astronomia con quelle dei segni dello Zodiaco e dei pianeti) costituiscano la base effettiva della uni- versale applicabilità dell’arte allo studio della medicina, del diritto, della astrologia, della teologia e, come avviene nel Liber de lumine, della luce. Che sulla base dell’esemplarismo lulliano si potesse pervenire a una specie di identificazione dell’arte con una cosmo- logia è mostrato, fra l’altro, da uno dei primi testi del lullismo europeo sul quale la Yates ha opportunamente richiamato la attenzione. Tomàùs le Myésier, autore dell’ Electorium Re- mundi (Par. Naz. Lat.) composto ad Arras," fu amico personale e discepolo entusiasta del Lullo. In una specie di grande compilazione, egli intende presentare i caratteri essenziali della dottrina del suo maestro: all’arte spetta una funzione precisa: la difesa della fede cristiana contro gli averroisti e il riconducimento di tutti gli uomini alla com- prensione della verità e dei misteri divini. Proprio nella parte espositiva o introduttiva si rivelano chiaramente le connes- sioni fra arte e cosmologia: il circolo dell’universo, la cui rappresentazione grafica viene accuratamente descritta dall'autore, comprende la sfera angelica attorno alla quale ruotano il primo mobile, l’empireo, il cristallino, la sfera delle stelle fisse e le sette sfere dei pianeti. La terra, sulla quale sono rappre- [YATEs, The Art of Ramon Lull, cit. 19 Parigi, lat. La data di composizione è in fine al testo: per Thoman Migerii. In attrebato] sentati un albero un animale e un uomo, è circondata dalle sfere dell’acqua, dell’aria e del fuoco. Ad ognuno dei nove segmenti nei quali il cerchio dell’universo è diviso corrispon- de una delle nove lettere dell’abecedario lulliano (BCDEFGHIK) nel suo duplice significato di predicato assoluto e relativo, mentre, secondo gli insegnamenti di Lullo, alcuni dei signi- ficati delle lettere cambiano in corrispondenza alle diverse sfere. L’ Electorium de le Myésier non rimase certo un caso iso- lato: la presenza di interessi di tipo cosmologico all’interno di quell’ampia letteratura lullista che si diffonde in tutta Europa è ampiamente documentabile. Ad una adesione, o quanto meno ad una spiccata simpatia per il lullismo, corrisponde in moltissimi testi l’idea del rapporto necessario che si pone fra la costru- zione di un’arte indifferentemente applicabile a tutti i rami del sapere e la delineazione di un'immagine gerarchica e uni- taria dell’universo. Proprio sull’esemplarismo e sulle dignità divine come fondamenti primi dell'arte lulliana insiste, non a caso, il primo grande filosofo europeo che si muove entro l’orizzonte del lullismo. « Primum fundamentum artis — scri- verà Cusano — est quod omnia, quae Deus creavit et fecit, creavit et fecit ad similitudinem suarum dignitatum ».!* I prin- cìpi dell’arte combinatoria (donitas, magnitudo, aeternitas, po- testas, sapientia, voluntas, virtus, veritas, gloria) apparivano qui, ancora una volta, come principia essendi et cognoscendi, non meramente formali, ma esprimenti le caratteristiche divine e di conseguenza quelle di tutti gli esseri esistenti. La metafisica esemplaristica costituiva la garanzia della assoluta infallibilità di una logica attinente non ai discorsi, ma alla realtà. Mentre polemizzava implicitamente con il Gerson e proponeva una 14 Cfr. A. Yates, The Art of Ramon Lull, Cod. Cus. PLatzecg, La combinatoria luliana. Dello stesso autore si vedano anche: E! /ulismo en las obras del Cardinal N. Kreos de Cusa, in « Rev. Espafiola de Teologia; Los postumos datos lulisticos del Dr. M. Honecker y las glosas del card. N. de Cusa sobre el Arte luliana, « Studia monographica », 1953-54, pp. 1-16; Lullsche Gedanken bei Nikolaus von Kues, « Trierer Theologische Zeitschrift. riforma terminologica dell’arte lulliana, il Cusano, in una sua postilla all’Ars Magra, mostrava di accettare la sostanza del- l'insegnamento di Lullo: Praedictorum principiorum nomina sunt apud philosophos inusitata et tamen iuxta figmentum inventoris propositae artis res vera significantia. Ergo, cum propter nostram af- firmationem vel negationem nihil mutetur in re... et omne verum vero consonet... praefata ars non est repudianda propter suorum nominum improprietatem [che era la tesi di Gerson]; quin potius, ut possit concordari cum scientiis aliis, est ad corum terminos exfiguranda,!% Ancora più strettamente legata alle impostazioni esemplaristiche del lullismo è, d’altra parte, la dottrina cusaniana dell’ascesa e discesa dell’intelletto secondo la quale è possi- bile elevarsi alla conoscenza di Dio muovendo dalla somi- glianza con le divine perfezioni impressa nelle creature, e di scendere dalla conoscenza dell’essere divino e dei suoi attributi alla conoscenza della realtà che di quella perfezione è lo specchio.!’ Nel Liber de ascensu et descensu intellectus, composto dal Lullo a Montpellier, era stato ampiamente svolto il tema, poi ripreso dal Cusano, di una conoscenza che procede attraverso la ricerca delle analogie e dei segni — alla rico- struzione di quel divino modello che ha presieduto alla co- struzione del reale. Attraverso la descrizione della compli- cata scala degli esseri, dalla pietra al fango alla pianta al bruto all'uomo al cielo all'angelo a Dio, questo tema si era andato identificando con l’altro, ben noto, di una ricostruzione minuta, ed “enciclopedica” delle complesse gerarchie del co- smo. Questa stessa impostazione “cosmologica” troviamo pre- sente in quel Liber creaturarum di Raimundo Sibiuda (Sa- [15 Cfr. Honecker, R. Lulls Wahlvorschlag Grundlage des Kaiserwahlplanes bei N. von Cues?, « Historisches Jahrbuch. Sul Iullismo del Cusano si vedano gli studi di F. Kraus, di J. Marx, di F. Tocco, di E. pe VANSTEENBERGHEN segnalati nel ca- pitolo Influencias lultanas en Nicolàs de Cusa della cit. Filosofia cri- stiana det Carreras v ArtAu, Ganpittac, La philos. de N. de C., Paris, e J. E. HorMann, Die Quellen der cusanischen Mathematik, Heidelberg. Cfr. Carreras v Artau, Filosofia cristiana, bunde, Sebond) che influirà sullo stesso Cusano, su Lefèvre d’Etaples, Bovillus e Montaigne e che fu composto (negli stessi anni che videro Cusano appassionato lettore e trascrittore dei testi di Lullo. Anche qui, accanto alla dottrina dell’ascesa e discesa dell’intelletto, accanto all’affermazione di un’arte concepita come « radix et origo et funda- mentum omnium scientiarum », il cui possesso è raggiungi- bile in brevissimo tempo con risultati mirabili (« quia plus sciet infra mensem per istam scientiam quam per centum an- nos studendo Doctores), troviamo l’immagine di una scala naturale i cui vari gradini vanno ritenuti a memoria e rappresentati mediante figure: «et haec est prima consideratio in hac scientia radicalis et fundamentalis, scilicet considerare istos gradus in se, et bene plantare et radicare cos in corde et figurare sicut in natura realiter ».!* La ordinata successione dei gradi ci offre un'immagine unitaria, gerarchica e organica dell’universo: il primo grado comprende le cose che sono, ma non vivono né sentono né intendono (minerali e metalli, cieli e corpi celesti, oggetti artificiali); il secondo comprende ciò che è e vive, ma è privo del sentire e dell’intendere (i vegetali); il terzo gli animali che sono vivono e intendono; nel quarto infine, ove risiede l’uomo, sono presenti l’essere il vivere il sentire e l’intendere. L’uomo, come microcosmo, riassume in sé le proprietà stesse dell’universo, è la vivente immagine di Dio. Che l’arte lulliana rinviasse a una descrizione della realtà universale e che questa descrizione si andasse configurando a sua volta come una vera e propria enciclopedia è cosa che, dopo le considerazioni fin qui svolte, dovrebbe risultar chiara. Nell’Arbre de Sciencia, composto a Roma, l’impiego degli “alberi” veniva esplicitamente presentato come un mezzo per rendere l’arte più « popolare », più direttamente e facil- mente acquisibile e l'enciclopedia si presentava come parte in- tegrante della grande riforma del sapere progettata da Lullo. !* R. Sabunpe, Liber creaturarum, ed. Wolfangus Hoffmanus, Frankfurt s. Main. Alla base dell’enciclopedia, articolantesi in sedici alberi, sta un'idea centrale: quella di una fondamentale unità del sapere umano che è in stretta relazione all’unità essenziale del cosmo. Una suggestiva illustrazione del manoscritto ambrosiano che contiene la versione catalana del testo di Lullo, mostra il filosofo e un monaco ai piedi dell'albero delle scienze. Al mo- naco, la cui figura ritorna accanto a quella di Lullo in tutte le illustrazioni dei vari alberi, Lullo si era rivolto per conforto dopo che il suo piano missionario, che includeva la propaga- zione dell’arte, aveva trovato fredda accoglienza presso Bonifacio e proprio il monaco (così racconta Lullo nel prologo) lo aveva consigliato di presentare la grande arte sotto una nuova forma. Le diciotto radici dell’albero delle scienze sono costituite dai nove principi trascendenti (o nove dignità divine) e dai nove princìpi relativi dell’arte (differentia, concordantia, contrarietas; principium, medium, finis; matoritas, aequalitas, minoritas). L'albero si suddivide in sedici rami, ciascuno dei quali corrisponde ad uno degli alberi che formeranno la fore- sta della scienza: l’arbor elementalis, V’arbor vegetalis (bota- nica e applicazioni della botanica alla medicina), sensualis (esseri sensibili e senzienti e animali), imaginalis (quegli enti mentali che sono similitudini degli enti reali trattati negli alberi precedenti), Aumanalis, moralis (etica, dottrina dei vizi e delle virtù), imperialis (connesso all’arbor moralis, si riferi- sce al regimen principis e alla politica), apostolicalis (governo ecclesiastico e gerarchia della Chiesa), celestialis (astronomia e astrologia), angelicalis (gli angeli e gli aiuti angelici), eviter- nalis (immortalità, mondo ultraterreno, inferno e paradiso), maternalis (mariologia), christianalis (cristologia), divinalis (teo- logia, dignità divine, sostanza e persone di Dio, perfezioni e produzioni divine). L’arbor exemplificalis (nel quale vengono esposti allegoricamente i contenuti degli alberi precedenti) e l’arbor quaestionalis (nel quale vengono proposte quattromila questioni riferentisi agli alberi precedenti) si presentano come «ausiliari » rispetto al corpus dell’enciclopedia. 1° Cod. Ambrosiano D.  inf. fol. 37v. L’illustrazione è riprodotta negl’Obres de Lull, cit. La stessa immagine an- che nell'edizione latina, Lione, De L’arbre de Sciencia ho usato la versione castigliana stampata a Bruxelles dal Foppens (Braid. L'unità del mondo del sapere appare dunque fondata sul fatto che i princìpi assoluti e i princìpi relativi dell’arte costi- tuiscono la comune radice del mondo reale e del mondo della cultura. Su queste radici (simboleggiate dalle nove lettere dell’abecedario lulliano) poggiano infatti sia l’arbor elementalis i cui rami indicano i quattro elementi semplici della fisica, le cui foglie simboleggiano gli accidenti delle cose corporee, e i cui frutti fanno riferimento alle sostanze individuali come l’oro e la pietra, sia l’arbor Aumanalis che raccoglie, accanto alle facoltà umane e agli abiti naturali, anche quelli artificiali o le arti meccaniche e liberali. L'immagine lulliana dell’albero delle scienze, non a caso ripresa da Bacone e da Cartesio, sarà particolarmente fortunata, ma, soprattutto, agirà a lungo nel pensiero europeo l’aspirazione lulliana verso un corpus organico e unitario del sapere, verso una sistematica classificazione degli elementi della realtà. Non mancheranno certo suggestioni derivanti da altre fonti e da altri ambienti di cultura, ma Lefèvre d° Etaples e Bovillus, Pedro Gregoire e VALERIIS (si veda), Alsted e Leibniz fanno preciso riferimento, affrontando questi problemi, ai testi di Lullo e a quelli del lullismo. In quell’ideale pansofico che domina tutta la cultura del secolo XVII si insisterà da un lato sul necessario possesso dell’intero orbe intellettuale e dal- l’altro sulla conoscenza di una legge, di una chiave, di un linguaggio capace di dominare il tutto e di permettere una diretta lettura dell’alfabeto impresso dal creatore sulle cose: cosmo reale e mondo del sapere appariranno realtà da cogliere nella loro sostanziale unità e identità di struttura, nella loro profonda “armonia”. Sui testi della pansofia seicentesca do- vremo ritornare. Per ora basterà fermarsi brevemente su alcuni testi cinquecenteschi nei quali questi aspetti dell’eredità lul- liana si espressero in modo compiuto e coerente. Lo scritto In RAetoricam Isagoge e pubblicato a Parigi, da Remigio Rufo Candido d’Aquitania dietro incitamento di Lavinheta, uno dei più rinomati lullisti dell’epoca. Attributo a Lullo, e ristampato nelle edizioni delle opere di Lullo dello Zetzner, lo scritto rivela chiaramente il suo carattere di opera pseudo-lulliana: frequenti appaiono i riferimenti a Cicerone e a Quintiliano, ai dialoghi platonici, alla mitologia e alla storia greche e romane. In un saggio composto che venne considerato come un’opera autentica di Lullo, troviamo una singolare mescolanza di retorica, di co- smologia e di aspirazioni enciclopedistiche. Nella prefazione indirizzata dal Rufo ai suoi discepoli, i fratelli Antonio e Francesco Boher, la finalità enciclopedica dell’opera veniva presentata come strettamente connessa alle esigenze della reto- rica e ai bisogni dell’oratore: « Per consiglio e ispirazione del nostro amico Bernardo di Lavinheta studiosissimo di Lullo, portiamo alla luce questa Retorica affinché in questo libro, come in uno specchio nitidissimo, possa essere contemplata, o meglio ammirata, l’immagine di tutte le scienze. È infatti necessario che l’oratore sia a conoscenza di tutto e si impa- dronisca con diligenza di tutto quel mondo delle scienze che vien detto enciclopedia. Per questo, l’autore volle abbracciare con brevità e stringatezza tutte quelle cose che son relative alla comprensione di ciascuna scienza ».?° Nel testo pseudo-lulliano non mancavano, naturalmente, le tonalità occulte caratteristi- che della magia rinascimentale e della letteratura lulliano-al- chimistica: Ex tenebris lux ipsa emergit. Ipse enim posuit tenebras latibulum suum, qui apparuit in monte circumdato caligine et nebula. Qui rationem dicendi discere volunt, opus habent ut eam silentio adipiscantur. Hinc silentium Pythagorae Crotonesis. Traduco dalla prima edizione: Raemaundi Lulli Eremitae divinitus illuminati, in Rhetoricen Isagoge perspicacibus ingeniis expectata, Ve- nundantur in Ascensianis Aedibus. Il passo cit. è tratto dalla lettera dedicatoria di Remigio Rufo (su questo per- sonaggio cfr. Carreras y Artav, La filosofia cristiana). La stessa opera è inserita nella edizione ZETZNER. Ho trovato indicato il Cod. Vat. Lat. a proposito di un’opera inedita di Lullo: la RAetorica Nova della quale esistono vari altri manoscritti (Parigi Lat.; Monaco Staatsbibl.; Ambrosiana. Il codice Vaticano indicato contiene invece, insieme agli Sratuta pesciven- dolorum Urbis, una redazione manoscritta dell’opera apocrifa In Rheto- ricam Isagoge (si tratta di un cod. cartaceo che reca due fogli bianchi e non numerati all’inizio. Lo scritto pseudo-lulliano occupa carte. Il codice è stato rilegato assieme ad un cod. pergamenaceo che contiene gli Statuti sopra indicati). Gli altri tre codici (parigino, monacense e ambrosiano) contengono invece effettivamente lo scritto di Lullo sulla retorica. Dopo un sommario riferimento ai subiecta dell’arte lulliana (Deus, angelus, coelum, homo, imaginativa, sensitiva, vege- tativa, elementativa, instrumentativa) ed ai praedicamenta, il testo si articola in una lunga serie di quadri sinottici nei quali viene accumulato ed esposto, secondo un rigido ordina- mento, tutto il sapere. La considerazione dell’imaginativa si trasforma in tal modo in una classificazione degli animali, delle varie parti del corpo umano e degli esseri umani che vengono curiosamente suddivisi sulla base della loro apparte- nenza ai quattro elementi della fisica: Terrestres, ut agricolae, metallarii Aquatici, ut mautae et piscatores Acrei, ut funambuli et schenobatae Ignei, ut fabri, Cyclopes. Hominum quidam sunt Allo stesso modo sotto il subrectum angelo, troviamo la Hie- rarchia angelorum, mentre la trattazione dei predicati dà luogo ad una classificazione dei diversi tipi di narrazione storica e di dimostrazione dialettica, delle varie parti della retorica, delle sezioni dell’etica e dei tipi di virtù, infine delle arti mec- caniche e liberali dall’agricoltura, alla pastorizia, alla caccia, all'arte scenica, alla culinaria, ai lavori manuali, alla filosofia, alla musica, alla geometria, alla matematica, alla medicina. Ben più significativo di questo trattato retorico-enciclope- dico è il De arte cyclognomica di GEMMA, autore di un testo sulla cometa e di uno scritto sui prodigi e le mostruosità della natura.” Gli interessi del Gemma sono rivolti prin- 21! Cornelius GemMa, De arte cyclognomica tomi II doctrinam ordi- num universam, unaque philosophiam Hippocratis Platonis Galeni et Avistotelis in unius communissimae et circularis methodi speciem refe- rentes, quae per animorum triplices orbes ad spherae caelestis simulitu- dinem fabricatos, non medicinae tantum arcana pandit mysteria, sed et imveniendis costituendisque artibus ac scientiis caeteris viam com- pendiosam patefacit, Antverpiae, cx officina Plantini, Vaticana (Palat.), ma della stessa edizione esiste un esemplare alla Braidense e uno all’Angelica. Cfr. anche De naturae divinis characteri- smis, seu raris et admirandis spectaculis, causis, indiciis, proprietatibus rerum in partibus singulis universi, libri Il, Antwerpiae, ex off. Chr. Plantini  (Vatic., cfr. Racc. Gen. ] cipalmente alla medicina, ma il suo trattato si propone di giungere alla unificazione dei metodi di Ippocrate e Platone, Galeno e Aristotele e di fondare un metodo universale valido così per la medicina come per tutte le altre arti e scienze. Il metodo viene suddiviso dal Gemma in tre parti a seconda che la conoscenza si volga alla comprensione delle cose passate, allo studio delle cose presenti, e alla divinazione di quelle future. Nel primo caso abbiamo la memoria et eius artificium methodicuni; nel secondo la scientia etusque adipiscendae me- thodus; nel terzo la praedictio eiusque methodus. Ricercando una via compendiosa alla verità, il Gemma insiste a lungo sulla funzione essenziale delle immagini, delle rappresenta- zioni simboliche, dei circoli lulliani, ma concepisce le stesse immagini in funzione di un metodo inteso come ordinata classificazione di tutti gli elementi che compongono il reale: « Tota vis igitur agendi dextere et facile cognoscendi per rerum causas in ipsis ordinibus potissimum collocatur. Ordo enim intelligentiae signum est... ».°° Alla minuziosa, ordinata elen- cazione degli elementi naturali e sopramondani e della facoltà è dedicata la maggior parte dello scritto del Gemma che si configura come una grande enciclopedia nella quale appaiono largamente dominanti i temi della sapienza ermetica e pita- gorica. Nel Quaternio pytagoricus per mundi septenos ordines pari proportione distributos," la materia, la qualità, lo spirito, l’anima appaiono suddivise a seconda della loro appartenenza al mondo intelligibile, alle cose celesti, a quelle eteree, alle sublunari, alle animate, all’uomo, allo Stato. La tavola, nella quale sono raffigurate queste partizioni, ha il compito di mo- strare le segrete corrispondenze tra ciascuno degli elementi, di chiarire il modo in cui il senso o l'immaginazione, la razzo o Medicina); De prodigiosa specie naturaque Cometae visa, Antwerpiae, ex off. Chr. Plantini (Angelica). Nell'opera dei CarreRAs y Artau lo scritto De arte cyclognomica di è stato erroneamente datatoNon si tratta però di un semplice errore di stampa; gli autori, che hanno lavorato molto spesso su informazioni di seconda e anche di terza mano, trat- tano del Gemma nel capitolo dedicato agli sviluppi del lullismo (Cfr. La filosofia cristiana). De arte cyclognomica De arte cyclognomica] la mens si collegano alla totalità dell’universo, ai corpi celesti, al calore presente negli esseri animati, agli spiriti eterci, alle intelligenze che presiedono al moto degli astri. A questo stesso scopo rispondono sia la rappresentazione grafica dell’anima con la collocazione delle cinquantuno facoltà presenti nell’uo- mo,” sia la raffigurazione delle tre scale ciascuna delle quali offre il quadro delle parti che compongono la metafisica, la fisica e la logica mostrando insieme gli scopi di queste scienze, i rapporti che intercorrono tra le varie parti delle singole disci- pline, l'ordine nel quale dev’esser collocata ogni parte in rela- zione all’ordine universale.? AI fondo di queste fantastiche classificazioni, alla base delle strane figure che riempiono il testo di GEMMA, dietro questa incondizionata adesione ai motivi più torbidi della tradizione ermetica resta però ben saldo — ed è questo che si vuol sotto- lineare — il presupposto di una necessaria unità del sapere che è specchio della fondamentale unità del cosmo: « mediante l’idea stessa della divina Virtù, le ragioni di tutte le cose risplendono in ciascuna delle particelle del mondo ». Que- st'affermazione — e lo ammetteva esplicitamente lo stesso Gemma — costituiva il primo, essenziale fondamento di tutta l’Arte.?* Su questo stesso terreno, anche se con una fondamentale diversità di tono derivante dal prevalere di interessi di tipo logico, si muove l’opera di Pedro Gregoire di Tolosa che fu pubblicata per la prima volta a Lion; il titolo è già di per sè indicativo: Syntaxes artis mirabilis in libros VII digestae per quas de omni re proposita, multis et prope infinitis rationibus disputari aut tractari, omniumque summaria cognitio haberi potest. Accanto al consueto tema [De arte cyclognomica, De arte cyclognomica, De naturac divinis characterismis, cHoc ergo sit primum artis nostrae fundamentum VENEZIA, apud Jo. Dominicum de Imbertis. L'altro tomo del- l’opera ha per titolo: Sintareon artis mirabilis alter tomus in quo om- nium scicntiarum et artium tradita est epitome, unde facilius istius artis studiosus de omnibus propositis possit rationes et ornamenta rarissima proferre (Archiginn.). L’opera fu ristampata dall’editore Zetzner  a Colonia] di un’arte capace di giungere alla individuazione degli assiomi comuni a tutte le scienze e di elaborare assoluti criteri di certezza, tornavano qui molti dei problemi già affrontati, in quegli stessi anni, da Agrippa e da Lavinheta, ma il tentativo del Gregoire non si risolveva in un semplice “commento” all’arte lulliana. A differenza dei commentatori egli, dopo aver accennato a Lullo e ai principali teorici della sintassi univer- sale, elaborava una vera e propria enciclopedia delle scienze non indegna di essere accostata, almeno per quanto concerne la vastità di interessi e la grandiosità, al De augmentis baco- niano. Essa si fondava su uno speculum artis nel quale veni- vano presentati da un lato i « modi quaerendi examinandi disputandi et respondendi » e dall’altro le classi o cellulas alle quali ogni sapere dev'essere riferito. Il riferimento ai princìpi assoluti e relativi dell’ars magna era qui esplicito, ma altret- tanto e forse più interessanti sono le pagine nelle quali l’aspi- razione ad un sapere enciclopedico e universale si congiunge alla fiducia in una sostanziale intercomunicabilità fra tutte le scienze. Ed è da sottolineare il fatto che questa affermazione dell’unità del sapere si converte, immediatamente dopo, nel- l’altra, ad essa corrispondente, dell’unità essenziale del cosmo: « Poiché, come afferma Cicerone, nulla v’è di più dolce che il conoscere tutto e l’indagare su tutto, giunsi alla convinzione che i particolari precetti delle singole scienze, distinti l’uno dall’altro, possono essere racchiusi in un'unica arte generale mediante la quale essi giungano a comunicare reciprocamente. In tutte le cose è sempre possibile rintracciare un unico ge- nere nel quale concordano e al quale partecipano tutte le specie, nonostante che esse differiscono in talune proprietà; è chiaro di conseguenza che, una volta pienamente conosciuto il genere, la nozione delle specie apparirà più facilmente, allo Commentaria in Sintaxes Artis Mtrabilis, per quas de omnibus dispu- tatur habeturque ratio in quibus plura omnino scitu necessaria... tractantur. Il secondo tomo ha per titolo Sintarcon artis mirabilis in libros XL digestarum tomi duo. Nel terzo e nel quarto acutissimae ac sublimes tractationes de Deo de Angelis et de Immortalitate animae continentur. Le citazioni che seguono sono tratte da quest'ultima edizione (Archiginn.). Per più ampie notizie sull'autore cfr. CARRERAS Y ArtTAU, La filos. Cristiana] stesso modo che conosceremmo la divisione in rivoli e lc parti- zioni dei fiumi una volta che, dalla fonte, fossimo giunti, se- guendo l’alveo, ai luoghi nei quali si effettuano le separazioni. Allo stesso modo non apparirà impossibile e assurdo che le diverse opere delle diverse arti vengano realizzate mediante un unico strumento. Così infatti tutti i particolari corpi na- turali sono composti dalla diversa mescolanza dei quattro ele- menti e tutte le piante e tutti gli animali partecipano ad un’unica forza vegetativa e per essa crescono, e tutti i sensi sono contenuti in uno stesso corpo e le cose corporee € quelle incorporee consentono nell'uomo che consta di anima e di corpo, lo stesso Cielo ultimo abbraccia naturalmente e conduce e muove in un solo ambito, in un solo moto e in un solo influsso tutte le cose inferiori che tutte in esso concordano ». Il fondamento della “scienza unificata” era dunque una concezione platonico-pitagorica o, se si vuole, “magica” della realtà intesa come un tutto unitario e vivente. La estendibilità dell'Arte o dell’unico metodo a tutte le discipline e a tutti i rami del sapere è possibile in virtù di un presupposto “meta- fisico”: quello di un cosmo nel quale si rispecchiano le idee della mente che ha presieduto alla sua creazione e al suo ordi- namento: « E finalmente tutte le cose sono create e rette dal- l’unica mente di Dio, ogni luce delle stelle partecipa della luce del sole e tutte le virtù partecipano della giustizia. Dio e l’uomo, infine, convengono e convivono in un’ipostasi unica: in nostro Cristo. E poiché così stanno le cose... senza alcun dubbio la mente e la ragione dell’uomo possono estendersi a tutte le arti, ove siano guidate da un ottimo me- todo generale del sapere e del comprendere... A ciascuna delle scienze particolari appartengono delle nozioni — o preludi universali — mediante le quali l’arte e la perizia vengono facilmente potenziate. A conclusioni non diverse giunge il patrizio veneto Valerio de VALERIIS (si veda) che nell’Opus aureum riprende, modificandolo e integrandolo, il progetto lulliano dell’arbor scientiarum. Nel testo del De VALERIIS il problema dell'albero delle scienze viene presentato come strettamente connesso con quello della formula- [Commentaria] zione delle regole della combinatoria. L’opera è ripartita in quattro parti. Nella I vede trattata la cognizione necessaria al raggiungimento della conoscenza degl’alberi. Nella II si mostrano i XIV alberi dalla cui conoscenza dipende l’intera conoscenza degl’enti. Nella II illustrano con esempi ciò che è stato esposto. Nella IV parte, infine, si mostreremo in qual modo l’arte generale vada ridotta a questa impresa, insegnando a moltiplicare i concetti e gli argomenti quasi all’infinito, mescolando le radici con le radici, le radici con le forme, gl’alberi con gl’alberi, e le regole con tutti questi e molti altri modi L’interpretazione che, nella IV parte dell’OPVS AVREVM di Valeriis, venne data delle figure dell’arte appare fortemente influenzata dal commento d’Agrippa e, molto probabilmente, anche dalle saggi di BRUNO il quale e venuto pubblicando le sue opere lullistiche e mnemotecniche. Più che ad Agrippa e a BRUNO, il de VALERIIS si richiama tuttavia più volte a Scoto e allo scotismo -- de aliorum dictis non curamus, Scotum praeceptorem sequimur -- introducendo una dot- trina dei predicati assoluti e relativi. L'esigenza di un’arte aurea nasce in ogni modo, anche in questo caso, dalla constatazione del carattere pluralistico e caotico dell’orbe intellettuale, della povertà delle cognizioni umane, dal bisogno di un singulare ac mirabile artificium mediante il quale fosse possibile rendersi conto dell’ordine del cosmo al di là di una caoticità apparente e dar luogo ad una situazione nella quale gli uomini, dopo infinite fatiche, potessero riposare perpetuamente e sicuramente all'ombra degli alberi della scienza -- Nec sine maximis in- commoditatibus et multis vigiliis id perfecimus ut philosophiae imbuti valeant se aliquando ab infinitis ambagibus liberare et viri in scientiis consumati post infinitos labores peracti possint sub felici harum arborum umbra perpetuo et secure quiesce- [Sul De Valeriis (si veda) cfr. CarrERAS y ARTAU, La filos. Cristiana. Per la prima edizione dell’opera si veda RocenT Duran, Bibliografia. La citazione riportata nel testo dall'Opus aureun: in quo omnia breviter explicantur quac R. Lullus tam in scientiaruni arbore quam arte generali tradit è ricavata dalla edizione ZETZNER De VaLeriis, Opus aureum, ed ZetznER] 61 re »)."! Anche per il de VALERIIS le radici degl’alberi coincideno con i princìpi dell’arte, mentre lo stesso ordine di successione dei vari princìpi venne presentato come dipendente dalla natura -- magnitudo vero, quae est secunda radix, non fortuito primam sequitur, sed maximo naturae consilio. É proprio la scala naturae che forniva inoltre il criterio cui far ricorso nella difficile applicazione delle radici o principi dell'Arte ai subiecta. Nell’'uniforme applicazione di queste radici ai sudiecta è da impiegare la più grande diligenza bisogna osservare la scala della natura e tutto ciò che, nel grado inferiore, denota una perfezione priva di imperfezione, dev’essere attribuito al grado superiore. L'operazione attribuita alla pietra -- che occupa il gradino infimo -- dev'essere attribuita anche ai vegetali che occupano il II grado della scala naturale. Ciò che comporta una imperfezione, se conviene all’inferiore, non è da attribuire ad ogni superiore deriva che la contrarietas e la minoritas non devono essere attribuite a Dio, anche se convengono alle cose inferiori. Il divino Lullo ordina secondo nove soggetti e XIV alberi la scala della natura. Colui che desidera sapere molte cose in ogni disciplina si formi questa scala.. Quelle del Gregoire e di de VALERIIS sono posizioni tipi- che: da impostazioni di questo genere trarrà nuovo alimento e nuova forza l’idea di una sintassi universale che fornisca, oltre che la chiave dei misteri dell’ideale e del reale, anche il criterio assoluto per la costruzione di una completa enci- clopedia delle scienze. Da Lullo fino a Alsted e a Leibniz resta ben salda la convinzione che l’arte lulliana o cabala dei sapienti o arte aurea o combinatoria o scienza generale costituisca la scoperta meta- fisica della trama ideale della realtì.. DI RaiMonpo Lutto. Il problema di un rapido e facile apprendimento delle regole dell’arte e dell’ordine nel quale le nozioni sono disposte all’interno dell’“enciclopedia” si presenta, nell'opera di Lullo e in quella dei lullisti, non come marginale o secondario, ma 3 De VALERIS, Opus aureum, De Valeriis, Opus aureum, come costitutivo ed essenziale. Le figure ruotanti, gl’alberi, le tavole sinottiche, le sistematiche classificazioni si presen- tano in quei testi come gli strumenti dei quali far uso per tra- sformare in un tempo straordinariamente breve (si oscilla a seconda degli autori da un mese a due anni) un uomo incolto in un sapiente, in un uomo cioè le cui possibilità di conoscenza e di azione siano enormemente più vaste di quelle offerte dalla logica e dalla filosofia tradizionali. È dunque naturale che, da questo punto di vista, il problema di una tecnica memorativa o, nella terminologia del lullismo, di una confirmatio memoriae si presentasse strettamente connesso a uello della combinatoria e a quello della classificazione enci- clopedica degli elementi della realtà e delle componenti del mondo del sapere. Si parlerà comunemente di art: ficium mnemonicum, di systema mnemonicum, di logica me- morativa per indicare da un lato le grandi costruzioni cosmo- logico-enciclopediche e dall’altro le formulazioni o i manuali di tecnica combinatoria. Alsted, che presentava la sua enciclopedia come artium liberalium et facultatum omnium systema mnemonicum e Mink che intitolava logica mnemonica la sua esposizione e revisione dell’ars magna lulliana, si richiamavano ad una tradizione precisa che ha le sue radici nei testi cinquecenteschi del lullismo europeo e nell’opera stessa di Raimondo Lullo. Nel prologo alla Logica Nova, scritta in catalano a Genova e tradotta in latino a Montpellier l’anno se- guente, Lullo esponeva il suo programma di applicazione dei princìpi dell’arte generale alla logica (considerata come disci- plina e arte particolare) e contrapponeva la sua nuova logica a quella tradizionale insistendo sulla facilità di acquisizione e di ritenzione della sua logica compendiosa : Idcirco ad prolixitatem et labilitatem huiusmodi evitandum (divino auxilio mediante) cogitavimus Novam et compen- diosam Logicam invenire, quae citra nimiam difficultatem et laborem ab inquirentibus cam acquiratur, et ac- quisita in memoria plenarie conservetur, ac inibi totaliter, et facillime teneatur. Liber de nova logica, Mallorca, Cit. in CaRRERAS Y ARTAU, La filosofia cristiana.  Sulla necessità di un apprendimento mnemonico dei princìpi dell’arte Lullo ritornerà più volte (« diximus de diffinitio- nibus principiorum, quas oportet scire cordatenus... »).°* Non si trattava solo di un accorgimento che riguardasse la “messa in movimento” della complessa macchina lulliana: tutti gli elementi più strettamente “tecnici” dell’arte (le figure, gli alberi, i versi) rispondevano a intenti dichiaratamente mne- monici.**° Proprio nei versi dell’Aplicaciò de l'Art general, un poema didattico che esponeva in forma “popolare” i vantaggi derivanti dalla applicazione dell’arte alle varie scienze, Lullo insisteva sulla miracolosa drew:tà della sua com- binatoria e sulle possibilità di un rapido e insieme duraturo apprendimento: Que mostrem la aplicaciò Del Art general en cascuna Que a totes està comuna E per elles poden haver En breu de temps et retener.?° AI problema della memoria e dell’Ars memorativa Lullo aveva del resto rivolto in modo più specifico la sua attenzione fin dai suoi primi scritti. Sulla base della tripartizione delle tre virtù © potenze dell'anima razionale (memoria, intelletto e volontà) già presente nel Libre de Contemplaciò en Dèu del 1272, egli aveva progettato la costruzione di tre grandi 54 Ars brevis, VI, 10. 95 Sul carattere mnemonico delle figure e dei versi varie buone osser- vazioni nell'opera dei Carreras y Artau. A intenti mnemonico-divulga- tivi rispondeva per esempio la Lògica en rims 0 « nuovo compendio » del Compendium Logicae Algazelis (vv. 6-9 e 1574-80): en rimes e’n mots qui son plans per tal que hom puscha mostrar logica e philosophar a cels qui no saben lati ni arabich... Per affermar e per neguar a. b. c. pots aiustar mudant subject e predicat relativament comparat en conseguent antesedent. 16 Aplicaciò de l’Art general, in Obras rimadas de R. Lull, Palma de M., arti l’ars inventiva, l’ars amativa e l’ars memorativa”" connesse rispettivamente all’ardor scientiae, all’arbor amoris e all’arbor reminiscentiae. L’Art amativa (1290), completata dall’Arbre de filosofia d'amor (1298), l'Art inventiva (1289) e l’Arbre de Sciencia (1295) rappresentano la parziale realizzazione di questo progetto. Del 1290 è l’Arbre de filosofia desiderat: ciò che è « desiderato », e nel corso dell’opera solo parzialmente realizzato, è appunto quell’arte della memoria da lungo tem- po progettata. Muovendosi entro l’arbre de filosofia e seguen- done la complessa struttura sarà possibile, secondo Lullo, giun- gere ad intendere le cose vere, ad amare quelle buone e a ricordare artificialmente le cose passate. Il tronco è l’ente dal quale derivano i rami e i fiori che rappresentano contempora- neamente i nove princìpi e i nove predicati dell’arte. Le let- tere da è a et designano i diciotto principi-fiori dell’ars ma- gna, le lettere da / ad « i XVIII princìpi-rami. La struttura dell’albero è quindi la seguente: FIORI TRONCO RAMI b. bontà differenza potenza Ente Dio creature I. C. grandezza concordanza oggetto Ente reale fantastico m. D durata contrarietà memoria ENTE | genere specie n. E potenza principio intenzione ExTE movente movibile D) F sapienza medio punto trascen- EnTE  unità pluralità p- e. volontà — fine vuoto [dente] Ente  astratto concreto q. Ah. virtù maggiorità opera ENTE  intensità estensione r i. verità eguaglianza giustizia Ente somiglianza dissomiglianza s. K gloria minorità ordine Ente gencrazione corruzione tt. Facendo uso della tecnica inventivo-espositiva, che trova più ampio sviluppo nell’ars brevis e nell’ars magna, Lullo si richiama alla figura circolare, alla definizione dei princìpi, a dieci regole, infine alle proposizioni e alle questioni. La tecnica memorativa risulta dalla sistematica applicazione di d (memoria) a ciascuno dei rami simboleggiati da /, m, n, ecc. Ne risultano nove combinazioni dl, dm, dn, ecc., in ciascuna delle quali la memoria artificiale si realizza attraverso parti- [Regole per la memoria sono già presenti nel Liber de contemplaciò. Cfr. Carreras y ArtaAU, La filos. Cristiana] colari accorgimenti giungendo a risultati di volta in volta differenti. Accanto alle ingenue “regole” già presenti nella trattatistica antica e medievale di medicina applicata alla me- moria, troviamo qui presente il ricorso alla concordantia, alla contrarietas, alla differentia (dp: memoria-unità pluralità; ds: memoria-somiglianza dissomiglianza) e alla subordina- zione del particolare al generale (4n: memoria-genere specie). Lullo si muove dunque, in questo caso, sul terreno di quella rudimentale psicologia delle associazioni che deriva, diretta- mente o indirettamente, dalle opere aristoteliche. Le regole della memoria contenute nell’Arbre de filosofia desiderat sono state ampiamente riassunte cd esaminate dai Carreras y Artau.?* È quindi più opportuno richiamare qui l’attenzione su alcune opere inedite di Lullo che non sono state, a tutt’oggi, fatte oggetto di specifico esame. Si tratta, in primo luogo, dell’inedito Liber de memoria conservato in due manoscritti, Montpellier. In questo scritto, che viene presentato dall’autore come la realizzazione di un progetto lungamente meditato (« finivit Raymundus librum memoriae quem diu desideraverat ipsum fe- cisse »),‘° Lullo fa riferimento ad un d/bero, l’arbor memo- riae, che non appare elencato tra i sedici alberi dell’Arbre de Sciencia del 1295. Nell’arbor memoriae vengono elencati e classificati nove tipi di memoria ciascuno dei quali è posto in corrispondenza con ciascuno dei nove princìpi, dei nove 38 La filosofia cristiana.  Il Dictionnaire de Theologie catholique e il Lirtré, Histoire littéraire de la France, vfanno riferimento a due manoscritti: Parigi Lat.; Innichen; Ho trovato inoltre sc- gnalati il ms. Univ. di Torino e il Vat. Urb. lat.  Il manoscritto torinese è andato distrutto. Il Cod. Vat. Urb. lat. non contiene il Liber de memoria, ma un’opera apocrifa attribuita a Lullo Non ho visto il ms. di Innichen. Le citazioni sono tratte dal parigino lat. alle cartev. Inc.: Per quendam silvam quidam homo ibat. Expl.: Ad gloriam et honorem Dei finivit Raymundus librum memoriae quem diu desi- deraverat ipsum fecisse. Et finivit in Montepessulano in mense februarii, anno CCCIIH ab incarnatione Domini Nostri Iesu Christi. 4° Par. Lat.] princìpi relativi, c delle nove quaestiones. Ecco l’inizio del trattato: Per quendam silvam quidam homo ibat considerando quid erat causa quia scientia difficilis est ad acquirendum, facilis vero ad obliviscendum et videbatur ci quod propter de- fectum memoriae istud erat eo quia sua essentia non bene est cognita atque suae operationes sive condiciones naturales, et ideo proposuit de memoria facere istum li- brum ad memoriam caque ci pertinent agnoscendum. Subicctum huius libri est ars gencralis, coque cum suis principiis et regulis memoriam intendimus investigare... Est autem memoria ens cui proprium et per se est memo- rari. Dividitur iste liber in tres distinctiones. I est de arbore memoriac et de suis conditionibus de principiis artis generalis cum suis diffinitionibus et regulis. II distinctio est de floribus memoriae et de principiis et re- gulis artis gencralis ipsi memoriae applicatis. III distinctio est de quaestionibus de memoria factis ct de solutionibus quaestionum. Et primo de prima dicemus. Arbor memoriae dividitur in IX flores ut in sc patet. 17r. I flos est b et b significat / bonitatem [dantem in] > memoriam receptivam ct utrum; II flos est C, et C significat magnitudinem concordantiam memoriam remissivam et quid est; d significat durationem contrarietatem memoriam conservativam ct de quo; E significat potestatem sive principium memoriam activam et F significat sapientiam medium [materiam] memoriam discretivam et quantum; G significat voluntatem finem memoriam multiplicativam et quale; H significat virtutem maioritatem memoriam significativam et quando; I significat [veritatem]  aequalitatem memoriam terminativam et ubi; K significat gloriam, minoritatem memoriam complexionativam et quomodo et cum quo. In arte ista alphabetum ABECEDARIVM supradictum cordetenus scire oportet... Facendo ricorso alle tavole e alle figure dell’Ars brevis e dell’Ars magna è possibile, correggendo e integrando in due o tre punti il manoscritto," rendersi conto di come si confi- gurasse per Lullo la progettata applicazione dell’ars generalis. Le parole poste fra  sono supplite, quelle poste fra parentesi quadre sono giudicate da espungere. Spesso con il termine supplito si propone la correzione di evidenti errori di trascrizione. I termini posti fra parentesi quadre nella tabella che segue manca- no o risultano alterati nel codice.] allo specifico campo della memoria. La struttura della combinatoria lulliana appare in questo caso la seguente: D PRINCIPI PRINCIPI SUBIECTA QUAESTIONES ASSOLUTI RELATIVI MEMORIA {b. bonitas [differentia] receptiva utrum c. magnitudo concordantia remissiva quid d. duratio contrarictas conservativa de quo e. potestas principium activa [quare ] f. sapientia medium discretiva quantum g. voluntas finis multiplicativa quale h. virtus maioritas significativa quando i. veritas acqualitas terminativa ubi k. gloria minoritas complexionativa quomodo ct cum quo. Non è certo il caso di addentrarsi qui in una spiegazione del complesso funzionamento dell’applicazione dell’ars generalis al subiectum memoria. Una tale spiegazione richiede- rebbe fra l’altro la preliminare chiarificazione dei procedi- menti della combinatoria i quali, anche di recente, sono stati esposti e discussi in modo egregio da Platzeck. Basta soffermarci su un passo particolarmente indicativo del tipo di problemi ai quali si volge l’attenzione di Lullo. Nel brano che segue Lullo affronta da un lato il problema del rapporto tra la facoltà memorativa e il corpo e dall'altro fa leva sul passaggio dal generale al particolare per gettare le basi di una tecnica del ricordo: Memoria est in loco ut per regulam de i in tertia parte. Quod amiserat principium distinctionis signatum est et est in loco per accidens non per se, hoc est ratione cor- poris cum quo est convicta, quoniam memoria per se non est collocabilis eo quia non habet superficiem sed est in loco in quo corpus est, ct sicut corpus est mutabile de loco in locum, etiam memoria per ipsum. Memoria vero mutat obiecta de uno loco in alium non mutando se, sed mutando suas operationes obiective recipiendo spe- cies quae sunt similitudines locorum cum quibus est dis- cretiva et multiplicativa ct ideo secundum quod ipsa est conditionata cum loco, debet artista uti ipsa per loca et ideo si vult recordari aliquid traditum oblivioni, consi- derat illum locum in quo fuit et primo in genere, sicut In qua civitate, post in specie, sicut in quo vico, post [PLATZECcK, La combinatoria luliana] in particulari, sicut in qua domo seu in aula seu in coquina 21v. / et sic de aliis et ideo per talem discursum memoria multiplicabit se. Nonostante che l’attenzione di Lullo sia qui chiaramente rivolta al processo di successiva determinazione dei particolari (nella sua terminologia la tractatio de generali ad specialia postea descendens) è difficile non avvertire nel passo ora citato l'eco, sia pure attenuata, di quella discussione sui “luoghi” che caratterizza tutta la mnemotecnica di derivazione « cice- roniana ». Gli stessi esempi portati da Lullo (la città, la strada, la casa, la stanza, la cucina) sono tipici di quella termi- nologia della quale i “ciceroniani” avevano fatto un uso larghissimo. Per il tramite dell’agostinismo qualche elemento di quella tradizione dev’essere penetrato all’interno dello stesso pensiero di Lullo. I rapporti tra lc tecniche memorative escogitate da Lullo e la tradizione ciceroniana sono certo assai tenui e difficilmente determinabili e tuttavia sarebbe grave- mente errato, continuando ad interpretare l’arte lulliana come un abbozzo di “logica formale”, sottovalutare il peso che sui progetti dell’arte esercitò quella tematica di derivazione ago- stiniana che vedeva nella distinzione di memoria, intelletto e volontà l’espressione simbolica delle tre persone della Trinità. Di fatto, come nota Yates, l’arte appare anch'essa concepita a immagine e somiglianza della trinità divina. Nella sua pienezza essa consta di tre facce o aspetti: il primo (che si realizza mediante la combinatoria o la nuova logica) agisce mediante l’intelletto; il secondo me- diante il quale si esercita la volontà (e a quest’aspetto si rife- riscono le opere mistiche di Lullo); il terzo che concerne la memoria e trasforma l’intera arte in un grande sistema di mnemotecnica.!* 44 Sul rapporto fra la mnemotecnica ciceroniana c l’opera di Agostino cfr. YATES, The ciceronian art of memory, nel vol. Medioevo e Rinascimento, studi in onore di NARDI, Firenze. Si veda a questo proposito il Cod. della Naz. di Parigi: Liber iste [si tratta del Liber memoriae] valde utilis est et asso- ciabilis cum libris Intellectus et Voluntatis in uno volumine quantum ad invicem sunt se iuvantes ad attingendum secreta rerum. Sull'arte concepita a immagine della Trinità cfr. Yates, The art of Lull, Sull’effettiva influenza di questa impostazione agostiniana esiste com'è noto una larga documentazione. Oltre ai nume- rosi passi del Liber de contemplaciò e dell’Arbre de filosofia desiderat ricordati dai Carreras y Artau si vuol qui segnalare, come particolarmente indicativo, un altro scritto inedito di Lullo, il Liber de divina memoria, Messina. In quest'opera l’indagine sulla memoria ap- pare piegata, secondo una curvatura tipicamente agostiniana, a precise finalità teologiche. Trascriviamo, dal ms. ambrosia- no, l’inizio del trattato: 22r. Deus cum tua misericordia incipit liber de tua memoria. Quoniam de divina memoria non habemus tantam noti- tiam sicut de divino intellectu et voluntate, idcirco inten- dimus indagare divinam memoriam ut de ipsa tantam notitiam habeamus quantam habemus de divino intellectu et voluntate. Ex hoc habebimus maiorem scientiam de deo... De divisione huius libri: dividitur iste liber in quin- que distinctiones. In prima tractabimus de memoria ho- minis, in secunda investigabimus memoriam divinam per divinum intellectum, in tertia divinam voluntatem, in quarta divinam trinitatem, in quinta et ultima divinas rattones. Memoria humana est potentia cum qua homo recolit ca quae sunt praeterita et ad hoc declarandum damus istud exemplum. Potentia imaginativa non habet actum scilicet imaginari in illo tempore in quo potentia sensitiva attingit suum obiectum cet de hoc quolibet potest habere experientiam, a simili dum homo attingit obiec- tum pensatum seu imaginatum in tempore presenti tunc memoria non potest memorari illud obiectum quia intel- lectus et voluntas hominis impediunt quominus memoria 22v. habeat suum actum quia intellectus intelligit ipsum obiectum et voluntas diligit seu odit illud et per hoc ostenditur quia memoria est potentia per se contra illos qui dicunt quod memoria non est potentia per se sed est radicata in intellectu et simul sunt una potentia, quod falsum est ut super declaratum est. Littré (Hist. litt. de la France) fa riferimento al Cod. della Staatsbibl. di Monaco, il Longpré (Dicr. de Théol. cat.) segnala, accanto a quello di Mo- naco, il Vat. Ott. lat. Cod. Ambrosiano segnalato dall’ Ottaviano. Inc.: Deus cum tua misericordia incipit liber de tua memoria. Quo- niam de divina memoria. Exp/.: Ad laudem et honorem Dei finivit Raymundus istum librum in civitate Messanae mense Martii anno. Fra le due opere sulla memoria delle quali abbiamo fatto cenno, si colloca infine un terzo testo sulla memoria — il Liber ad memoriam confirmandam — anch'esso inedito, composto a Pisa nel 1308 durante il sog giorno nel convento di San Domenico.“ Il trattato si apre con la dichiarazione dei fini che si propone la confirmatio memoriae («ratio quare presentem volumus colligere trac- tatum est ut memoria hominum, quae labilis est et caduca, modo rectificetur meliori ») e con la distinzione fra le tre po- tenze naturali dell'anima — capacitas, memoria, discretio — ciascuna delle quali può essere perfezionata mediante l’im- piego di una particolare tecnica. A ciascuna delle tre potenze naturali corrisponde in tal modo una potenza artificiale ac- quisibile mediante l’arte. A quest’ultima spetta fra l’altro il compito di dar luogo ad un tipo di apprendimento e di tra- smissione del sapere che non affatichi inutilmente e bestialmente i giovani: Ir. Primo igitur ut laborans in studio faciliter sciat modum scientiam invenire et ne, post amissos quamplurimos la- bores, scientiae huius operam inutiliter tradidisse noscatur, Iv. sed potius labor in requiem et sudor / in gloriam plena- ric convertatur, modum scientiae decet pro iuvenibus in- venire per quem non tanta gravitate corporis iugiter de- primantur, sed, absque nimia vexatione et cum corporis levitate et mentis laetitia, ad scientiarum culmina gra- dientes equidem propere subeant. Multi enim sunt qui, more brutorum, literarum studia cum multo et summo labore corporis prosequuntur absque exercitio ingenii arti- ficioso, sed et continuis vigiliis maceratum corpus suum iuxta labores proprios inutiliter cxhibentes. Igitur decet modum per quem virtuosus studens thesaurum scientiac leviter valcat invenire et a gravamine tantorum laborum relevari possit. Di questo testo ho visto le tre redazioni manoscritte conservate nei seguenti Codici: Ambrosiana.; Monaco, Staatsbibl; Parigi Naz. lat. Vat. lat, che ho trovato segnalato a proposito del Liber ad memoriam confirmandam, non contiene opere di Lullo. Nella tra- scrizione mi sono servito dei tre codici indicati. L'indicazione delle carte si riferisce al cod. monacense. Per il testo completo dell'operetta cfr. l’appendice. L’arte si presenta dunque come uno strumento di libera- zione da una pedagogia inutilmente sopraffatrice: il tema di un rafforzamento “artificiale” delle potenze naturalidell'anima si legava al motivo, tipicamente francescano, della letizia spi- rituale. La capacitas può essere perfezionata mediante l’attenzione e l’ordinata partizione degli argomenti. Al perfezionamento della memoria vera e propria vengono dedicate osservazioni che presentano un notevole interesse c che differenziano in misura notevole questo dagli altri testi lulliani sull’argomento: 2v. 3r. Varie cose sono da sottolineare in questo brano: in primo luogo il richiamo all’aristotelico De memoria et reminiscentia Venio igitur ad secundam, scilicet ad memoriam quae quidem, secundum antiquos, alia est naturalis, alia est ar- tificialis. Naturalis est quam quis recipit in creatione vel generatione sua secundum materiam ex qua homo gene- ratur et secundum quod influentia alicuius planetae su- perioris regnat: et secundum hoc videmus quosdam homines meliorem memoriam habentes quam alios, sed de ista nihil ad nos quoniam Dei est illud concedere. Alia est memoria artificialis et ista est duplex quia quaedam est in medicinis et emplastris cum quibus habetur, et istam reputo valde periculosam quoniam interdum dantur tales medicinac dispositioni hominis contrariae, interdum super- fluae et in maxima cruditate qua cerebrum ultra modum dessicatur, et propter defectum cerebri homo ad demen- tiam demergitur, ut audivimus et vidimus de multis, et ista displiciet Deo quoniam hic non se tenet pro contento de gratia quam sibi Deus contulit unde, posito casu quod ad insaniam non perveniat, nunquam / vel raro habebit fructus scientiae. Alia est memoria artificialis per alium modum acquirendi, nam dum aliquis per capacitatem re- cipit multum in memoria et in ore revolvat per scipsum quoniam secundum Alanum in parabolis studens est ad- modum bovis. Bos cnim cum maxima velocitate recipit herbas et sine masticatione ad stomachum remittit quas postmodum remugit et ad finem, cum melius est dige- stum, in sanguinem et carnem convertit: ita est de studente qui moribus oblitis capit scientiam sine deliberatione, unde ad finem ut duret, debet in ore mentis masticare ut in memoria radicetur et habituetur quoniam quod leviter capit leviter recedit et ita memoria, ut habetur in Libro de memoria et reminiscentia, per saepissimam rei- terationem firmiter confirmatur. (tale richiamo che è presente sia nel ms. parigino sia nel mo- nacense, è invece assente in quello ambrosiano. Il ms. parigino reca inoltre un erroneo Aristotelem in luogo di Alanum) c l’insistenza sulla reiteratio come elemento essenziale al raf- forzamento della memoria; in secondo luogo l’assenza di ogni ricorso o riferimento all’arbor memoriae e l’aperta polemica contro i peccaminosi ed empi tentativi di una applica- zione delle tecniche mediche alla memoria; in terzo luogo, infine, la distinzione (che vien fatta risalire agl’antichi fra memoria naturale e memoria artificiale. Si tratta di affermazioni e di tesi che consentono di stabilire una connessione fra la trattazione lulliana della memoria e quell’ambito di discussioni che si collegavano da un lato al De reminiscentia aristotelico e dall’altro alla persistenza di motivi di deriva- zione retorica. Mentre l’uso del termine discreto pare rin- viare al concetto aristotelico di rem:niscentia, l’accenno agli antichi sembra confermare, ancora una volta, una conoscenza, sia pure indiretta, di alcuni elementi attinti alla tradizione della mnemotecnica ciceroniana CICERONE. Ci siamo così a lungo soffermati su questo testo perché esso è indicativo di un atteggiamento caratteristico sul quale gli specialisti di Lullo non hanno ancora bastantemente ri- volto la loro attenzione: non si procede in quest'opera ad applicare le regole dell’arte allo specifico settore della me- moria, ma si pone l’intera struttura della combinatoria lul- liana a servizio della memoria artificiale. Ad multa recitanda consideravi ponere quacdam nomina 3v. relativa per quac ad omnia possit responderi. Ista enim sunt nomina supra dicta quid, quare, quantus et quo- modo. Per quodlibet istorum poteris recitare viginti ra- tiones in oppositum factas vel quaccumque advenerint tibi recitanda et quam admirabile est quod centum possis ra- tiones retinere ct ipsas, dum locus fuerit, bene recitare... Ergo qui scientiam habere affectat et universalem ad om- nia desiderat, hoc circa ipsum tractatum laboret cum dili- gentia toto posse quoniam sine dubio scientior crit aliis... Primum igitur per primam speciem nominis quid, poteris certas quaestiones sive rationes sive alia quaecunque volue- ris recitare evacuando secundam figuram de his quae con- tinet, per secundam vero poteris in duplo respondere seu recitare et hoc per evacuationem tertiae figurae et multi- plicationem primac. Il Liber ad memoriam confirmandam ci è pervenuto solo in tre tardi manoscritti del secolo XVI, i quali, oltre a numerosi errori, presentano differenze spesso notevoli. Il riferi- mento alquanto generico alle quaestiones; l’insistente richia- mo ad un Liber septem planetarum (è il Tractatus novus de astronomia) nel quale sarebbero definite la capacitas, la memoria e la discretio; la confusa esposizione della tecnica della evacuatio e della multiplicatto che già nell’Ars magna era stata chiaramente teorizzata; l'impossibilità nella quale ci troviamo, date le divergenze fra i codici, di controllare l’autenticità del richiamo al De memoria aristotelico: questi ed altri elementi non possono non indurre a molta cautela. Il testo è senza dubbio autentico, ma esso ha probabilmente subìto notevoli alterazioni. Le conclusioni cui siamo giunti, relativamente ai rapporti di Lullo con la tradizione della mne- motecnica aristotelica e “ciceroniana”, possono dunque essere considerate valide solo in quanto esse, come abbiamo cercato di mostrare, risultano confortate dall’analisi delle altre opere inedite sulla memoria. Nel caso del Liber ad memoriam confirmandam sussistono dunque solo alcuni dubbi. Assai chiaro è invece il caso del ms. Urb. lat. che è stato erroneamente considerato come una delle redazioni del Liber de memoria. Qui ci troviamo in presenza di un tratto di memoria locale, conce- pito secondo i più rigidi e convenzionali canoni della mne- motecnica ciceroniana, e falsamente attribuito a Lullo. Tra- scriviamo qualche passo: Localis memoria per Raimundum Lullum. Ars memora- tiva duobus perficitur modis scilicet locis et imaginibus. Loci non differunt ab imaginibus nisi quia loci sunt an- guli, ut quidam putant, sed imagines quaedam fixae Cod. cart. La Localis memoria per Raimun- dum Ltullum è alle carte. È da notare che nel Catalogus omnium librorum magni operis Raymundi Lulli proxime publico co- municandi, pubblicato a Magonza da Salzinger si trova elencata una Ars memorativa (Inc.: Ars confirmat et auget utilitates) della quale si trova un esemplare nel cod. della Staatsbibl. di Monaco (cfr. Littré, Hirst. litt. de la France). L’attri- buzione a Lullo veniva tuttavia successivamente rifiutata dallo stesso Salzinger che ometteva lo scritto dall'elenco delle opere lulliane che si trova nell'edizione di Magonza] super quas, sicut super cartam, dipinguntur imagines de- lebiless Unde loca sunt sicut materia, imagines sicut forma. Oportet autem ut locis serbetur modus ne scilicet inter ca sit distantia nimium remota vel nimium brevis, sed moderata ut quinque pedum vel circa; non sit etiam nimia claritas vel nimia obscuritas sed lux mediocris... / Inveni igitur, si poteris, domum distinctam caminis XXII diversis et dissimillibus. Habcas semper ista loca fixa ante oculos sicut situata in cameris et scias ante et retro illa recitare, per ordinem etiam scias quis primus, quis 339 v.  secundus, quis tertius et sive de aliis... / Si detur tibi aliud nomen notum, puta Joannis, accipe unum Joannem tibi notum... et ipsum collocabis in loco... Che un’opera di questo genere, appartenente ad una tra- dizione culturale assai differente da quella nel cui ambito si era mosso Lullo, venisse attribuita al filosofo di Maiorca non è tuttavia senza significato. Nel secolo XVI, mentre nell’am- bito del lullismo ortodosso si vengono sviluppando in fun- zione mnemonica i temi della combinatoria, si realizza l’in- contro, al quale più volte abbiamo accennato, fra la tradizione ciceroniana CICERONE e quella lullista. A questo incontro darà risonanza europea l’opera di BRUNO. Ma quasi settan- t'anni prima della comparsa del De umbris idearum, del Cantus circaeus e del De compendiosa architectura et commento artis Lullii (pubblicati tutti a Parigi) uno dei più rinomati maestri del lullismo europeo, legato al gruppo di Lefèvre, aveva tentato una sintesi fra l’arte “ciceroniana” della memoria e la combinatoria di Lullo. Presso l’editore Zetzner di Colonia, che aveva pubblicato la grande raccolta dei testi lulliani e dei commenti a Lullo, Alsted curava la stampa della Explanatio compendiosaque applicatio artis Raymundi Lullit del francescano Lavinheta.‘* L’opera era stata 1° Bernarpi De LavinHETA, Opera omnia quibus tradidit artis Ray- mundi Lullii compendiosam explicationem et ciusdem applicationem ad logica rhetorica physica mathematica mechanica medica mataphysica theologica ethica iuridica problematica, edente Johnne Henrico Alstedio, Coloniac, Sumptibus Lazari Zetzneri bibliopolae (Trivulz. Mor. pubblicata per la prima volta, a Lione, quasi un secolo avanti. Mentre si scagliava nella prefazione contro i ridicoli aristotelici e gli inetti ramisti persecutori di Lullo e del lulli- smo e intolleranti di ogni libertà (« Itane docuit Aristoteles ut aliis docendi cathedram iusserit clausam? Minime vero... »), Alsted metteva in guardia i lettori da quel tanto di « scola- stico » e di « papistico » che era ancora presente nell’opera di Bernardo: «Sed ostendit praxin philosophiae lullianae more suo et sui saeculi, id est barbare et papistice. Date itaque ope- ram ne impingatis ad duos istos scopulos. Ciò che aveva entusiasmato Alsted, al di lì degli « scogli » della barbarie scolastica e del cattolicesimo, era il tentativo, presente nell’opera del Lavinheta, di costruire sui fondamenti dell’arte lul- liana una vastissima enciclopedia delle scienze. L’applica- zione dell’ars Lullii, come chiariva il titolo, concerneva in- fatti la logica la retorica la fisica la matematica la meccanica la medicina la metafisica la teologia l’etica e la giurispru- denza. Nella sua partizione e classificazione delle scienze Lavin- heta si era richiamato all’immagine lulliana dell’unico albero del sapere rispetto al quale le varie discipline particolari si collocano come i diversi rami di un unico tronco. Pur intro- ducendo nella sua trattazione partizioni e distinzioni assai lontane dal lullismo (per esempio i tre rami del trivium), Bernardo aveva attinto largamente, in particolare nella sua logica, alle figure della combinatoria. Ma il suo intento di servirsi dell’ars magna in vista di una ricerca di princìpi uni- versali e necessari capaci di unificare tutto il sapere, si rivela con molta chiarezza nella sezione intitolata /ntroductio in artem Raymundi Lullit: « È necessaria un’unica arte generale che abbia princìpi generali, primitivi e necessarii, mediante i quali i princìpi delle altre scienze possano essere provati e esaminati... Le arti e le scienze speciali sono troppo prolisse e la breve vita dell’uomo richiede che l’intelletto possegga un qualche strumento universale. Nella sua ampia trattazione Bernardo inseriva un vero e proprio trattato di cosmologia e di filosofia naturale (nella discussione della terza figura), intere opere di medicina (Hor- 3° De necessitate artis.] tulus medicus, De medicina operativa, ecc.) e considerazioni sull’ars praedicandi e sull’interpretazione delle Scritture: egli si muoveva in tal modo sullo stesso terreno della Rhetorica pseudo lulliana e dava l’avvio a quell’enciclopedismo su basi lulliane al quale dettero la loro piena adesione, negli ultimi anni del secolo, sia il Gregoire che il de Valeriis. Con il corso del Lavinheta alla Sorbona era rientrato trion- falmente a Parigi, dopo la grande parentesi mominalista ini- ziatasi con le polemiche di Pietro d’Ailly e del Gerson, l’in- segnamento del lullismo. Ove si tenga presente la grande risonanza che ebbero nel mondo dei dotti le lezioni del Lavin- heta, la sua intensa attività editoriale nei maggiori centri europei da Parigi a Lione a Colonia, la sua “fortuna, può apparire particolarmente interessante anche la tematica sulla memoria elaborata nell’ultima parte della Explanatio. Bernardo si propone qui di costruire un'arte ca- pace di servirsi contemporaneamente e delle tecniche memo- rative elaborate da Lullo e di quelle, già larghissimamente sviluppate, che erano state ricavate dai saggi di CICERONE e di Quintiliano. La definizione della memoria naturale, della quale La- vinheta si serve, è ricalcata sui testi lulliani e sui commen- tari medievali al De reminiscentia aristotelico: « Est memoria naturalis illa potentia cui proprie competit recolere, de cuius organo in tractatu philosophiae naturalis dictum est. Nam ipsum est in occipite ad modum pyramidis et ipsa potentia est spiritualis. Cuius officium est species per intellectum ac- quisitas conservare et similitudines earundem (imperio volun- tatis) intellectui repraesentare ».”! Per quanto concerne la memoria artificiale, Lavinheta ri- prende invece, quasi con le stesse parole, i concetti espressi da Lullo nell’inedito Liber 24 memoriam confirmandam : LavinHETA, Explanatio (edizione LuLro, Monaco  (Staatsbibl.)). Artificialis memoria duplex est: quacdam est in medicinis et em- plastris, quam Doctor noster re- putat valde periculosam ex eo quia [De memoria, dell’ediz. Alia est memoria artificialis et ista est duplex quia quaedam cst in medicinis ct emplastris cum quibus habetur, et istam reputo citata.] interdum dantur medicinac contravalde periculosam quoniam inter- riac dispositioni hominis in tanto dum dantur tales medicinac dîs- gradu caliditatis quod cerebrum  positioni hominis contrariac, In- dessicant et sic homines in dementerdum superfluae ct in maxima tiam et stultitiam deveniunt. cruditate qua cerebrum ultra mo- dum dessicatur, et propter defec- tum cerebri homo ad dementiam demergitur, ut audivimus ct vidi- mus de multis, et ita displiciet Deo... Introducendo una separazione fra le «res sensibiles quae sensu capi possunt» e le «res intelligibiles quae intellectu solo capiuntur », Bernardo apriva però subito dopo la strada alla distinzione fra due tipi di memoria artificiale: « Secun- dum hanc duplicem differentiam, duplex est modus artifi- cialis memorandi. Primus facilior est longe secundo ». Il me: todo più facile di quello lulliano al quale Lavinheta fa qui riferimento è quello — a noi già noto — della memoria “lo- cale” o “ciceroniana”. Per ricordare gli oggetti che cadono sotto i sensi e i prodotti dell’immaginazione si fa ricorso, secondo i canoni tradizionali, ai luoghi ordinati e alla collo- cazione delle immagini nei luoghi: « stabilienda sunt specifica loca in aliquo familiari spacioso et communi quemadmodum est ecclesia, monasterium aut domus... sui oppidi aut sui civi- tatis ». Ritorna, naturalmente, il precetto dell’ordine dei luo- ghi (« memoria ab inordinatione confunditur ») e quello della collocazione nei luoghi delle similitudines o immagini: «et sic procedendo de loco in loco similitudines rerum collocet... et id etiam ordine retrogrado facere potest et pluries debet illa discurrere ».°? Si riaffacciano i temi consueti della iconologia alla quale è affidato il compito di rappresentare e richiamare alla memoria le «cose intellettuali »: oggetti « meramente intelligibili » come gli angeli potranno essere raffigurati « que- madmodum est in Ecclesiis cum figurare, ut esset parvulus infans cum aliis », mentre per fissare nella mente concetti (per esempio: « Dominus est illuminatio mea et salus mea ») ci si servirà largamente delle figure emblematiche: «si porrà nel luogo designato l’immagine solenne di un uomo ben vestito che tiene in una mano un lume e nell’altra del sale, e benché sale e salute significhino cose diverse, tuttavia per [Explicatio] quella certa somiglianza che i due termini hanno ‘n voce, l’una cosa condurrà a ricordare l’altra »."? Di fronte agli oggetti della speculazione, a quelle cose cioè « quae sunt remotissima non modo a sensibus, vero et ab ima- ginatione », la tecnica “ciceroniana” della memoria si rivela tuttavia insufficiente. In questi casi è necessario far ricorso ad un secondo, più complicato tipo di memoria artificiale, volgersi all’ars generalis escogitata da Lullo. Qui — afferma Lavinheta — piegando ad un uso nuovo la vecchia terminologia ciceroniana CICERONE — tutti i possibili oggetti del sapere ven- gono « collocati in pochi luoghi » e, attraverso i princìpi, le figure, le regole, le guaestiones, l'artista può impadronirsi in modo duraturo di tutto lo scibile La combinatoria di Lullo era dunque apparsa al Lavinheta contemporaneamente come una logica e una mnemotecnica: da un lato essa si poneva come lo strumento universale (1nstru- mentum universale) mediante il quale tutti i princìpi delle scienze particolari potevano essere sottoposti ad esame, dal- l’altro essa si identificava con un grande sistema di ars remi niscendi che aveva assai più ampie possibilità di applicazione dell’ars memoriae di derivazione retorica e ciceroniana. Per rendersi conto di come posizioni di questo genere giungessero ad incidere profondamente in ambienti assai vari, non è ne- cessario richiamarsi ora ai testi, da questo punto di vista deci- sivi, della pansofia e dell’enciclopedismo seicenteschi. Tredici anni prima della pubblicazione dell’opera del Lavinheta, si erano riuniti, a Cracovia, i rappresentanti del corpo accademico per prendere in esame la consistenza o meno dell’accusa di magia che era stata lanciata contro  Murner, autore di una Logica memorativa, chartiludium logicae sive totius dialecticae me- moria pubblicata nel 1509. Nello scritto, che propugnava la combinazione di un sistema di concetti con un parallelo si- 33 Explicatio, cit., p. 654. 54 Explicatio] stema di simboli plastici, erano evidenti gli influssi lulliani.*° La relazione finale, scritta da Ioannes de Glogovia sulla questione, è un documento singolare. Meglio di un lungo discorso essa ci dà la sensazione precisa della larga diffusione (anche negli ambienti accademici) di un certo tipo di discussioni € vale anche a mostrarci la presenza di quella connessione, che andò stabilendosi particolarmente nelle università tedesche del Rinascimento, fra la logica e la mnemotecnica: Ego magister Ioannis de Glogovia Universitatis Cracoviensis Collegiatus testimonium do veritatis patrem Murner hanc chartiludium praxin apud nos finxisse, legisse et usque adco profecisse, quod in mensis spatio etiam rudes et indocti sic evaserint memorcs ct eruditi, quod grandis nobis suspicio de prae- dicto patre oriebatur, quiddam magicarum rerum infu- dissc potius, quam praecepta logicac tradidisse. L’idea di una logica memorativa o di una sostanziale af- finità e parentela fra la logica e l’arte della memoria sta in realtà alla base di tutti i tentativi, che si rinnoveranno nella cultura europea dal primo Cinquecento fino a Leibniz, di utilizzare l'eredità lulliana per costruire un’ars generalis uni- ficatrice di tutto il sapere c un sistema mnemonicum o enci- clopedia delle scienze. La riforma della logica di Bruno e l’enciclopedismo di Alsted si muovono, da questo punto di vista, su un terreno comune. Non è certo un caso che tra le [Murner, Logica memorativa. Chartludiun logicae sive totius dialecticae memoria et novus Petri Hispani textus emendatus, cum jucundo pictasmat, cxercitio, Bruxelles, Noot (Parigi, Naz.). Cfr. anche la Invectiva contra astrologos, Argentinae, Rés. Non sono riuscito a vedere il Chartiludium institutae summarie doctore Thoma Murner memorante ct ludente, Argentinae, per Johannen Priis, che contiene una riduzione delle Istituzioni giustinianee in quadri sinottici co- struiti sulla base degli stemmi e delle imprese dei vescovi e dei prin- cipi imperiali. L’università di Treviri rilasciò una dichiara- zione dalla quale risultava che Murner e in grado di insegnare le Istituzioni nello spazio di quattro settimane servendosi di un metodo fondato sulla memoria artificiale. Su Murner cfr. Carreras Y Artau, La filosofia cristiana,e, per le influenze di Lullo, A. Gortron, Ein /ullisticher Lehrstuhl in Deutschland, Estudis Universitaris Catalans. Cit. in PrantL. fonti della “caratteristica” leibniziana si trovino, accanto ai principali testi del lullismo europeo, non poche e non secondarie opere di ars reminiscendi. Un'altra cosa va infine sottolineata: il sospetto di magia che aveva colpito il buon Murner era in realtà, almeno in parte, pienamente giustificato. La logica memorativa, la com- binatoria, l’ars inveniendi e l’ars reminiscendi si configurano spesso come progetti di fondazione di un’arte mirabile capace di condurre, come per una rapida scorciatoia, entro i più se- greti recessi della natura. Anche la logica o l’arte di Bruno, profondamente legata al lullismo, alla “memoria”, alla ca- bala, agli emblemi, apparirà assai simile a un prodotto di magia. Pio V, Enrico IH di Francia, l'ambasciatore spagnolo alla corte di Rodolfo II, lo stesso MOCENIGO vedranno in BRUNO l’inventore e il possessore di un'arte segreta capace di ampliare, in modo smisurato, le possibilità di do- minio dell’uomo. Dal sospetto di magia questo tipo di logica si libera del resto assai tardi. Nella Historia et commendatio linguae charactericae universalis, Leibniz, mentre distingue la vera dalla falsa cabala, si preoccupa ancora di liberare la combinatoria dall’accusa di magia. Già a partire da Pitagora, a CROTONE, nella CALABRIA ITALIANA, gl’uomini furono persuasi che i più grandi misteri sono nascosti nei numeri. Ed è credibile che Pitagora introduce in Grecia dall’Oriente questa opinione come molte altre cose. Ma ignorandosi la vera chiave dell’arcano, i più curiosi sono caduti nelle futilità e nelle superstizioni, donde è nata quella certa cabala volgare molto lontana da quella vera e le molteplici inezie con un certo falso nome di magia di cui sono pieni i libri. La trad. del passo (Gerhardt) è in  Barone, Logica formale e logica trascendentale, I, da Leibniz a Kant, Torino. Non pochi esponenti della cultura del tardo Cinquecento identificarono la combinatoria lulliana con una logica me- morativa. Quest'ultima si presentava da un lato come l’ars ultima o l’instrumentum universale capace di sottoporre ad esame tutti i principi delle scienze particolari, dall’altro come un grandioso sistema di ars reminiscendi che costituiva il fondamento di un organico e completo sistema mnemonicum o generale enciclopedia di tutto il sapere. Da questo punto di vista l’ars memoriae di origine retorica e ciceroniana di CICERONE poteva apparire — accanto alla combinatoria e alla mnemo- tecnica di derivazione lulliama — elemento essenziale alla costruzione della pansofia: alla nuova logica, capace di ri- specchiare nella sua struttura le strutture stesse del mondo reale, avrebbe fatto riscontro una enciclopedia o teatro uni- versale che, di quella logica, fosse il naturale compimento. Comune presupposto a quella logica e a quel teatro era una dottrina “speculare” della realtà, la tesi di una perfetta, to- tale corrispondenza fra i termini e le res. Nel capitolo che precede ho cercato di indicare le fonda- mentali linee di svolgimento della tradizione del lullismo. Anche entro la complessa tradizione della mnemotecnica retorica e ciceroniana di CICERONE, la cui diffusione procede contemporaneamente a quella del lullismo, intervennero alcuni essenziali mutamenti. Questi concernono non l’apparato tecnico dell’arte mnemonica che resta sostanzialmente immutato, anche se va ampliandosi mediante numerosi accorgimenti, ma il significato stesso che l’arte viene ad assumere all’interno del mondo della cultura. Quell’ars memoriae che era stata valutata un accorgimento utile ai predicatori, una tecnica utilizzabile dai politici dai letterati e dai giuristi, acquisce in taluni ambienti, un ben diverso significato. Nei saggi di BRUNO essa appare per esempio strettissimamente collegata alla tematica di una me- tafisica esemplaristica e neoplatonica, ai motivi della cabala, alle discussioni sui rapporti logica-retorica, agli ideali della pansofia, alle aspirazioni del lullismo. Mentre si connetteva a questi movimenti e a queste correnti, l’ars memoriae si andava caricando di significati metafisici, veniva piegata a diverse esigenze di pensiero. Quella limpidità di espressioni e quella chiarezza teoretica che avevano caratterizzato le pagine di CICERONE, di Quintiliano, di Alberto, d’AQUINO, di TOMAI scompaiono definitivamente nella trattatistica: un gusto di tipo barocco per i geroglifici, gl’abecedarii, i simboli, le immagini, le allegorie appare ora nettamente dominante. Fra i saggi sulla memoria o quelli di TOMAI da un lato e quelli di BRUNO  dall’altro esiste, da questo punto di vista, una differenza incolmabile. Nel primo caso assistiamo al tentativo di elaborare, con strumenti razionali, una tecnica retorica fondata su uno studio delle associazioni mentali. Nel secondo caso siamo in presenza di un complesso simbolismo che serve da velo ad una sapienza riposta attingibile solo attraverso la ambiguità degl’emblemi e l’allusività delle immagini, dei sigilli e delle imprese. Ad uno strumento costruito in vista di finalità pratiche e mondane si è sostituita la ricerca di una cifra o di una chiave che consenta di penetrare entro il segreto ultimo della realtà e della vita. Non sono più i teorici della retorica o gli studiosi di dialettica ad occuparsi dell’ars memoriae: Agrippa e CAMILLO (si veda), PORTA (si veda), ROSSELLI (si veda) e BRUNO (si veda) considerano le regole della memoria come strumenti da impiegare in vista di finalità assai più ampie di quelle, limitate e modeste, della retorica o della dialettica. In ciascuno di questi filosofi troviamo presenti ed operanti i temi del lullismo e della cabala, della magia e dell’astrologia, l’eredità dell’Ars notoria, dei testi ermetici, dei saggi di PICO (si veda) e di FICINO (si veda). BRUNO, commentatore di Lullo e innovatore dell’Ars memoriae, vede derivare da una fonte comune la teologia d’Eriugena, la combinatoria, i misteri del Cusano, la medicina di Paracelso. Sono posizioni e riferimenti, al suo tempo, già ampiamente diffusi. Ha visto la luce, a Parigi, il De usu et mystertis Notarum Liber da  Gohory (Leo Suavius) avvocato al parlamento di Parigi e diplomatico, grande commentatore dell’opera paracelsiana e traduttore del Principe e dei Discorsi di MACHIAVELLI (si veda), studioso insigne di alchimia, di botanica e di teoria della musica. Nella sua discussione sul segno egli fa riferimento costante alla magia di Tritemio, alla cabala cristiana, all’Ars notoria, ai saggi di PICO e di FICINO, all’ars memoriae, alla combinatoria lulliana, al Teatro del mondo di CAMILLO. È, la sua, posizione oltremodo indicativa di un mutamento di valutazioni. Ma prima di trarre conclusioni potrà esser di qualche giovamento cercare di seguire la diffusione, in Europa, di taluni SAGGI ITALIANI particolarmente fortunati; considerare alcuni di quei seatri del mondo nei quali i temi della cabala e quelli di un enciclopedismo su basi metafisiche si sovrappongono agli originari intenti mnemonico-retorici; soffermarsi infine su alcuni testi nei quali i temi della combinatoria lulliana e quelli dell’arte mnemonica confluiscono in modo partico- larmente evidente. Convenientemente addottrinato da madama Logica, l’eroe di quel singolare poema allegorico-didattico che è il Pastime of Pleasure di Hawes, continua la sua non lieve ascesa nella Torre della Dottrina ed entra nella stanza di dama Retorica. Dopo aver accuratamente enumerato le cinque parti della retorica ed aver chiarito la connessione intercorrente fra queste e le varie facoltà dell'animo, la dotta dama, facendo riferimento alla memoria, così si esprime: Y£ to the orature many a sundry tale one after other treatably be tolde. Sul Gohory cfr. L. THorRNDIKE, History of Magic and Experimental Science, New York; Wacker, Spiritual and Demonic Magic from FICINO to CAMPANELLA, London] Than sundry images in his closed male each for a mater he does than well holde like to the tale he does than so behold and inward a recapitulacyon of each image the moralyzacyon which be the tales he grounded pryvely upon these images SIGNIFICATION and whan time is for him to specify all his tales by DEMONSTRATION in due ordre maner and reason than each image inward directly the oratoure does take full properly So is enprinted in his proper minde every tale with whole resemblance by this image he does his mater find each after other without variance Who to this art will give attendaunce as thereof to know the perfytenes In the poetes scole he must have intres.? In questo testo, pubblicato a Londra, veniva per la prima volta formulata, in lingua inglese, la dottrina della retorica classica. Anche se orientato in funzione di una poetica, il riferimento alla dottrina dei luoghi e delle immagini non poteva essere più preciso. Il tentativo di adattare la terminologia della Rhetorica ad Herennium alle particolari esigenze dell’arte poetica non e senza precedenti; in questo senso la Poetria Nova composta da Goffredo di Vinsauf costituisce, come chiara Howell, una delle principali fonti del poema di Hawes. Resta, a confermare una sostanziale divergenza [Hawes, The Pastime of Pleasure, ed. by Mead, London. La prima cdizione è Wynkyn de Worde, London. Ampie notizie sull’autore e sulle edizioni nell’edizione a cura di R. Spindler, Leipzig. Il brano riportato nel testo è cit. in Howell, Logic and Rhetoric in England, Princeton. Dal saggio d’Howell (sul quale cfr. la rassegna Ramismo, logica e retorica, « Riv. critica di st. della filos.) ho ricavato varie notizie sui saggi di mnemotecnica. Il saggio in Farat, Les arts poétiques, Cfr. HowELL] di valutazioni circa la funzione esercitata dall’ars memoriae all’interno dell’ars rhetorica, l’importanza attribuita dallo Hawes all’ars reminiscendi in vista della formazione del poe- ta. La stessa differenza, che è indice del sorgere di un inte- resse nuovo per le tecniche della memoria, possiamo riscontrare confrontando l’edizione del Mirrour of the World di William Caxton sia con le duc precedenti edizioni sia con il Livre de clergie nommé l’ymage du monde del quale l’opera del Caxton è la più o meno fedele traduzione. In questa terza edizione, accanto una brevissima trattazione dell’invenzione, della dispositio e dello stile e a più ampie considerazioni sulla pronuntiatio, troviamo una dettagliata esposizione delle tecniche  memorative nella quale tornano, con molta abbondanza di particolari, temi ben noti: Memory Artificial is that which men call Ars memorativa. The craft of memory by which craft thou mayste write a thing in thy mind and set it in thy mind as evidently as thou mayst rede and se the worcles which thou wrytest with ynke upon parchement or paper. Therfore in this art of memory thou muste have places which shall be to the like as it were perchenent or paper to write upon. Also instead of thy lettres thou must imagine images to set in the same places. But if thou canst not have a corporal image of the same thing as if thou woulddest remembre a thing whyche is of itself non bodely nor corporall thing but incorporall, that thou muste yet take an imagce therfore that is a corporali thing.] L'interesse per questo genere di discussioni è del resto strettamente collegato alla rinascita, nell'umanesimo inglese, della grande tradizione della retorica classica, rinascita che appare per molteplici aspetti legata ai rapidi mutamenti della società inglese, all’avanzare sulla scena politica e culturale degli uomini di legge, ai dibattiti sull’efficacia delle prediche religiose, alle controversie parlamentari. Non a caso nelle 4 Caxron, Mirrour of the World, ed. Prior, London. L'edizione del Prior è condotta sulle edizioni previe. La trattazione sulla memoria (cit. in Howett, Logic and Rhetoric) è ricavata dalla terza edizione: The myrrour, dyscrypcion of the wordle with many marvaylles, London] scuole e nei colleges l’insegnamento della retorica e del metodo di trasmissione del sapere occupa una posizione predominante : un saggio fondamentale, la Pleasant and persuadible art of Rhetoric di Cox, venne presentato come opera necessaria agli avvocati agli ambasciatori agl’insegnanti e a tutti coloro che avrebbero dovuto parlare davanti ad un'assemblea. Alla diffusione nella cultura inglese dell'ideale del cortegiano e del gentiluomo (esperto insieme di cortesia e di politica) corrispose il moltiplicarsi dei manuali di retorica e l’intensificarsi di una discussione che concerne, insieme alle buone maniere, anche problemi attinenti alla persuasione, alla tolleranza, alla convivenza civile. Solo tenendo presente questa atmosfera può del resto risultar chiaro il significato dell’aspra, intensa polemica che si svolgerà negli ultimi anni del secolo tra i riformatori ramisti e gli agguerriti sostenitori della logica scolastica e della retorica ciceroniana. Molti dei motivi che abbiamo trovato presenti negli scritti dell'’Hawes e del Caxton erano stati senza dubbio ricavati da fonti classiche, e, sia pure parzialmente, da fonti medie- vali. Ma non mancò, anche in questo particolare settore della cultura, un diretto influsso italiano: esso è mostrato non solo dall'influenza esercitata in Inghilterra dalla Nova Rhetorica di TRAVERSAGNIT (si veda) da Savona, ma anche dalla pubblicazione di una Art of memory that otherwise is called the Phoenix. Presentato da Copland come la traduzione di un anonimo scritto francese, questo libretto era in realtà (come già ha notato lo Howell) la traduzione della ben nota Phoenix di TOMAI: TOMAI Et pro fundamento huius primae conclusionis quatuor regulas pono. I est haec: loca sunt fe- nestrae in parietibus positae, co- lumnae, anguli et quac his si- milia sunt. II sit regula: loca non debent esse nimium vi- Copland (B 3r) And for the foundacion of this fyrst conclusyon I wyll put IV rules. The I is this. The places are the windows set in walls, pyIlers and anglets, with other lyke. The Il rule is. The places ought not to be near together not  L. Cox, The Arte or Crafte of Rhetoric, ed. Carpenter, Chicago] cina aut nimium distantia. III  to fare a sonder. The HI rule is sit regula vana ut mihi videtur... suche. But it is vain as me se- meth... Dati questi precedenti, appare facilmente comprensibile come uno dei testi più fortunati e più significativi della cultura del Cinquecento, la Arte of RAetorique di Wilson, SI RIFA IN MODO CRATTERISTICO A FONTI ITALIANE costruendo un tipo d’esemplificazione che, mentre da un lato ricorda da vicino i saggi di TOMAI, dall’altro sembra anticipare, nell’uso costante di immagini di personaggi mitologici, alcune tipiche costruzioni di BRUNO. As for example, I will make these places in my chamber. A doore, a window, a press, a bedstead, and a chimney. Now in the doore, I wil set Cacus the thief, or some such notable verlet. In the window I will place Venus. In the press I will put Apitius that famous glutton. In the bedstead I will set Richard III, King of England or some notable murderer. In the chimney I will place the blacke smith, or some other notable traitor. Oltre e più che in Inghilterra, l’arte ciceroniana di CICERONE della memoria trova larga diffusione. Oltre al consueto inserimento della tecnica memorativa entro le trattazioni generali dedicate alla retorica, si ha una vera e propria fioritura di saggi specifici. Esce a Strasburgo un’Ars memorativa AQUINO, CICERONE, Quintiliani, TOMAI, che colloca definitivamente TOMAI fra i classici dell’arte. A Colonia, Sibutus pubblica un’Ars memorativa, è il Ludus artificialis oblivionis di Weida pubblicato a Lipsia. A VENEZIA, dieci anni più tardi, esce un fortunato libretto, il Congestorium artificiosae memoriae di Romberch, intieramente modellato sul saggio di TOMAI e poi diffuso in Italia nella traduzione di DOLCE (si veda); a Stra- © TH. WiLson, The Art of Rhetoric for the Use of All Such are Studious of Eloquence, ed. Mair, Oxford (cfr. Howett). 7 Jo. RomsercH DE Kwrspe, Congestorium artificiosae memoriae omnum de memoria pracceptiones aggregatim complectens, Venetiis, in aedibus Georgii de Rusconibus (Triv. Mor.). Yates, The Ciceronian Art of Memory, in: Medioevo e Rinasci-] sburgo, Fries pubblica un’Ars memorativa, ancora a Strasburgo vedono la luce la Memoria artificialis di Riff e i Praecepta de naturali memoria confirmanda di Mentzinger; a Wittenberg, che e stata il centro di diffusione dell’insegnamento di TOMAI, esce il Libellus artificiosae memoriae in usum studiosorum di Spangerbergius, più volte ristampato e incluso nel Gazoplilacium di Schenkel, una raccolta che fa il giro di tutta Europa. L’aspra polemica di Agrippa contro l’uso e l’abuso delle arti mnemoniche appare facilmente spiegabile ove si tenga presente questa vera e propria invasione di testi di mnemotecnica nella vita culturale. Attribuendo a CICERONE a Quintiliano a Seneca a PETRARCA a e a TOMAI la responsabilità di questa frenetica mania Agrippa non solo si scaglia contro un tipo di insegnamento che opprime gli scolari ‘n gymmnastis GINNASIO e contro una tecnica che mira, anziché alla vera sapienza, alla gloria puerile dell’ostentazione, ma ripete, con vigore particolare, il vecchio argomento di tutti gl’avversari della mnemotecnica, lo stesso argomento contro il quale, BRUNO polemizza aspramente. La memoria artificiale non è minimamente in grado di persistere SENZA LA MEMORIA NATURALE e quest’ultima viene assai di frequente resa ottusa da immagini mostruose tanto da generare spesso una specie di mania e di frenesia per la tenacia della memoria. Accade invece che l’arte, sovraccaricando la memoria naturale con INNUMEREVOLI IMMAGINI DI PAROLE e di cose, CONDUCE ALLA PAZZIA coloro che non si accontentano dei confini stabiliti mento, Studi in onore di NARDI, Firenze, assegna erroncamente la prima edizione di questo saggio. La traduzione di DOLCE è il Dialogo di DOLCE nel quale si ragiona del modo di accrescere ct conservar la memoria, VENEZIA, Sessa  (Triv. Mor.). La fonte di DOLCE e stata individuata: cfr. la Plutosofia di GESUALDO (si veda) nella quale si spiega l’arte della memoria (edizione vicentina, Triv. Mor.).] R9 dalla natura. E una curiosa posizione, questa di Agrippa, dato che questa contrapposizione dei diritti della natura alle empie pretese dell’arte provene da uno dei più ferventi e appassionati sostenitori dell’arte lulliana, da un uomo che dedica non poche delle sue energie ad un perfezionamento della complicata impalcatura dell’ars magna. Nei suoi Rhetorices elementa il maggior teorico della logica e della retorica della Riforma, MELANTONE, assume nei confronti dell’ars memoriae una posizione non dissimile. Pur senza l’asprezza polemica di Agrippa, Melantone denuncia la sostanziale sterilità di ogni tecnica intesa al perfezionamento della memoria naturale. Le cose che sono state scoperte cd ordinatamente disposte vanno infine ESPRESSE MEDIANTE LE PAROLE. In queste tre parti si esaurisce tutta l’arte. Sulle altre due parti non offriamo precetti giacché la memoria può venire assai poco aiutata mediante l’arte. Insistendo tuttavia da un lato sulla strettissima connessione fra la cogitatio e la dispositio e dall’altro sulla funzione della topica in vista di un ordinamento dei concetti originariamente sparsi 12 magno acervo, Melantone venne però a richiamarsi esplicitamente proprio a quella duplice tesi dell'ordine e della limitazione sulla quale si e fondata la dottrina dei luoghi e, di conseguenza, l’intera tecnica mnemonica. In realtà fra la topica intesa come mezzo di ordinamento dei concetti e la dottrina dell’arte della memoria sussiste, come notare acutamente Bacone, un rapporto assai stretto. Ciò che qui va posto in rilievo è invece lo scarso effetto esercitato sugli ambienti italiani da prese di posizione del tipo di quelle. di Agrippa e di 8 H. C. Agrippa, De vanitate scientiarum, cDe arte memorativa, in: Opera, Lugduni (Triv. Mor. K. 403). Agrippa attribuisce ancora a CICERONE la Rhetorica ad Herennium. Rhetorices Elementa, autore Philippo Melanchtone, Venevia, per Melchiorem Sessam (Ambros.). Rhetorices Elementa. Un caratteristico esempio della connessione rilevata nel testo è l' Opusculum de amplificatione oratoria seu locorum usu, per Barlandum in inclito Lovaniensiun GYMNASIO PVBLICVM Rhetoricae professorem, Lovanii, Servatus Zaffenus Diestensis, Braid. Melantone: non solo continueranno a diffondersi i trattati dedicati alla mnemotecnica ciceroniana di CICERONE, ma, dopo la confluenza della tradizione classica in quella del lullismo, questo tipo di produzione acquisce nuovo vigore giungendo, ad investire alcune delle maggiori personalità della cultura. SPANGERBERGIUS. Il Libellus artificiosae memoriae in usum studiosorum collectus di  Spangerbergius, pubblicato a Wittenberg, può essere preso ad esempio della vivacità con la quale si presenta, negl’ambienti culturali la tematica attinente all'arte memorativa. L’autore di questo libretto (che è forse la più limpida esposizione cinquecentesca dell’ars reminiscendi) non ha pretese di originalità. Hanc artificialis memoriae lucubratiunculam ex probatis autoribus utcunque decerpsi et in hanc Epitomem collegi. Presentando l’arte in forma catechistica egli si preoccupa di due cose: rendere l’arte chiara e rapidamente acquisibile, presentare una trattazione completa che tenga conto, oltre che delle fonti classiche, anche delle opere retoriche più recenti. Su alcune delle definizioni e delle regole di Spangerbergius vale la pena di soffermarsi anche perché esse possono fornirci, in qualche modo, la chiave necessaria ad intendere molte delle posizioni presenti nei saggi di BRUNO. Accanto ai leggendari eroi della memo- ria (Simonide e Temistocle, Crasso e Ciro, Cinea e Carneade) l’autore ricorda CICERONE, Quintiliano, Seneca e si richiama anche a TOMAI che cita ripetutamente avvicinando il suo nome, in modo significativo, a quello del Cusano. Nostro saeculo consumatissimus fuit in hac arte clarissimus 11 Artificiosae memoriac libellus in usum studiorum collectus, autore Spangerbergio Herdesiano apud Northusos verbi ministro, Wi- tebergae, apud Petrum Seitz, Angelica. Con il titolo Erosemata de arte memoriae seu reniniscentiae il testo e ristampato (con la indicazione Authore Ioh. Sp. Herd.) nel Gazophylacium artis memoriae per Lambertum Schenckelium Dusilivium, Argentorati, excudebat  Bertramus, Angelica. GI vir Petrus Ravennatus utriusque iuris doctor, deinde Ioannes Cusanus et alii. Il lullista Cusano diventa, non a caso, uno dei maestri dell’arte mnemonica. L’idea che le finalità ultime dell’ars Raimundi coincidessero, in ultima analisi, con quelle proprie dell’ars memoriae e destinata a rafforzarsi fino a condurre a quella particolare valutazione della combinatoria lulliana che e tipica dei filosofi e giunge inalterata all’HISTORIA CRITICA PHILOSOPHIAE di Brucker. Dopo aver definito la memoria come comprehensio earum quae praeterierunt, come retentio e conservatio ed aver distinto fra memoria naturale e artificiale, Spangerbergius prende immediatamente posizione contro l’accusa di una insufficienza dell’arte di fronte alla perfezione o imperfezione naturale. In primo luogo egli nega la perfezione della memoria naturale. In secondo luogo pone in rapporto la perfettibilità di questa mediante l’arte, con la maggiore o minore perfezione delle doti native. Quanto naturalis memoria est hebetior, tanto ad artificiosam est IMBECILLIOR. Contra quanto naturalis est vegetior, tanto ad artificiosam expeditior. La memoria artificiale è definita una dispositio imaginaria rerum sensibilium in mente, super quas memoria naturalis reflexa commovetur et adiuvetur, ut prius apprehensa facilius et diutius valeat recordari. Essa è utile sia all’apprendimento delle scienze, sia a quella transitoria ritenzione degl’argomenti che è necessaria al poeta, all'insegnante, all’oratore, all’avvocato. Accanto alla normale dimenticanza delle specie delle cose passate (per corruptionem), Spangerberg distingue due tipi di amnesia patologica. L’uno derivante dal sopravvento delle passioni delle malattie della vecchiezza -- per diminutionem --, l’altro dipendente dall’ablezio o da una lesione agl’organi cerebrali. Mentre per ovviare alla corruptio è oltremodo utile l’uso dei luoghi e delle immagini, di fronte alla diminutio e alla ablatio I PRECETTI DELLA PRAMMATICA DI GRICE DEVONO LASCIARE IL POSTO A QUELLI DELLA MEDICINA. Sulle tracce della Rhetorica ad Herennium e della Phoenix di TOMAI, la dottrina dei luoghi e delle immagini viene svolta secondo i canoni tradizionali. Accanto a una distinzione dei luoghi in tre tipi fondamentali, l’autore enumera X regole (decalogo) sulle caratteristiche dei medesimi, tratte, in sostanza, dallo scritto di TOMAI. Agli stessi saggi si rifà la teoria delle immagini. Di nuovo c’è solo la distinzione fra imagines rerum e IMAGO VOCIS (ACVSTICA). Dalla parte teorica della mnemotecnica Spangerberg distingue, come fa BRUNO, una parte pratica -- praxis memoriae -- nella quale le regole della sezione teorica vengono applicate, attraverso la costruzione di una serie di esempi o modelli, a casi specifici. Soprattutto preoccupato della creazione delle immagini, Spangerbergius costruisce, seguendo un metodo rigorosamente dicotomico, una tabella di tutti i possibili tipi di dictiones: Omnis DICTIO aut est ignota aut NOTA aut est res invisibilis aut visibilis vel est accidens vel substantia vel est imanimiata vel animata est nomen commune vel propriun Il primo dei sei casi è quello della DICTIO IGNOTA. Al posto della dictio della quale SI IGNORA IL SIGNIFICATO si può collocare, facendo ricorso alla vocalis similitudo, una dictio nota signiftcante una cosa visibile e similis in voce huic pro qua ponitur -- come quando, per figmentum, si fa ricorso ad una palam instrumentum al posto della praepositio palam --, oppure si può procedere, nei casi nei quali sia assente la possibilità di una similitudine vocale o di suono, per inscriptionem, ponendo cioè un’immagine in precedenza fissata al posto di ciascuna delle lettere che costituiscono il termine. Il secondo caso è quello della dictio nota rei invisibilis -- per es. il termine “giustizia.” Oltre che del fiementum ce della inscriptio è qui possibile servirsi della comparatio e della similitudo facendo leva su quelle che in linguaggio moderno sono le leggi dell’associazione -- nigrum nos ducit in cognitionem albi -- calamus ducit nos in memoriam scriptoris, ecc. Il III caso è quello della dictio nota di una res visibilis che sia un accidens. Qui sì ricorre al subiectum principale -- ut albedo per nivem, ecc.. Il IV caso è quello della dictio nota di una res visibilis che sia substantia inanimata. Essa è esprimibile attraverso l’immagine di una persona agens cum tali re. Il V caso è la dictio nota di una res visibilis che sia substantia animata espressa da un nome comune – il “cavallo” di Saussure. L’immagine è costruita, secondo i canoni ciceroniani, col riferi- mento ad una « persona nota. Infine il VI caso è quello della dictio nota di una res visibilis che sia substantia animata espressa da un nome proprio – il “Pegaso” di Grice --. Attingendo all’iconologia si dà qui luogo all'immagine di un uomo (CICERONE) in particolari abiti e particolari positure -- con le chiavi: nel caso di Pietro, con una spada in mano: nel caso di Paolo ecc. (ROBBING PETER TO PAY PAUL). La classificazione così costruita da Spangerbergius è in realtà molto più complicata di quanto non risulti da questo già troppo complicato sommario. In primo luogo vengono accuratamente distinti i vari tipi di simulitudo e di figmentum. In secondo luogo il reale esercizio della praxis mnemonica si trova di fronte a casi più complicati di quelli contemplati, che risultano dall’intreccio di vari tipi di dictio, in una stessa proposizione o DISCORSO. Ma è alla vivacità delle immagini che conviene, dopo tanti schemi, fare riferimento perché risulti ancora una volta confermato quel rapporto fra la pratica dell’ars memorativa e la visione, fra la dottrina dei luoghi e delle immagini e quelle iconologie, quei simboli, quegli emblemi dei quali tanto si diletta BRUNO e, con lui, la cultura. Ut si velis habere memoriam horum nominum: Petrus, flagellum, canis, sus, aqua, vermes, arena; fac talem colligantiam et imaginationem – ut: Petrus flagello canem percutiat. Canis vero, verbere commotus, suem mor- [Fra i vari tipi di similitudo vengono elencati: effictio corporum -- ut cum senem facimus tremulum, incurvum, labiis demissis, canum; notatio adfectum -- ut cum dicimus lupum voracem, lepores timidos, sic laeta iuventus, tristis senectus, prodiga adolescentia; etymologia -- ut Philippus amator equorum; onomatopera: quando sumitur cognitio verbi a sono vocis -- ut hinnitus equi, rugitus leonum, bombitus apum; rerum effectus: cum cuilibet mensi officia sua assignamus. Molti degli esempi addotti appaiono ricavati, direttamente o indirettamente, da un saggio di PUBLICIO (si veda), Oratoriae artis epitoma, sive quae ad consumatum spectant oratoren, Venezia, Angelica, Naz. di Roma.] deat. Sus vero, evadere cupiens, vas aquae evertat, in cuius fundo sint vermes procreati qui tegantur arena ». Forse anche di qualche testo di questo tipo converrebbe tener conto quando si parla, a proposito della cultura del tardo Cinquecento, di « barocchismo delle immagini. Ad una atmosfera ben diversa, permeata di aristotelismo, di magia e di medicina occulta, ci riportano le pagine sulla memoria di GRATAROLI (si veda) sul quale hanno richiamato l’attenzione da punti di vista differenti Church e Thorndike. Rifugiatosi a Basilea dopo la sua conversione al protestantesimo, GRATAROLI pubblica a Zurigo e poi a Basilea, dedicandoli a Massimiliano, i suoi Opuscula che conteneno, accanto a un trattato di fisiognomica e ad una dissertazione sui prognostica tempestatum, un manuale di ars memoriae. Inserito nelle Introductiones 13 [Su GRATAROLI cfr., oltre a TIRABOSCHI, Church, Riformatori italiani, Firenze, THORNDIKE. Varie indicazioni di saggi anche nella cheda di GARIN, Giornale crit. della filos. ital. Sulla posizione di GRATAROLI si veda il giudizio di THORNDIKE. No man at Bergamo did more to circulate and to perpetuate a varied selection of curious works, past and present, in the fields of medicine, natural sciences and occult science than did GRATAROLI (si veda), who turned Protestant and settled at Basel. GRATAROLI (si veda) artium et medicinae doctoris OPVSCVLA VIDELICET DE MEMORIA REPARANDA AVGENDA CONFIRMANDAQUE AC DE REMINISCENTIA TUITIORA OMNIMODA REMEDIA PRAECEPTIONES OPTIMAE DE PRAEDICTIONES MORVM NATVRAMQVE HOMINVM CVM EX INSPECTIONE PARTIVM CORPORIS TVM ALIS MODIS DE TEMPORVM OMNIMODA MVTATIONE PERPETVA ET CERTISSIMA SIGNA ET PRONOSTICA, Basileae, apud Nicolaum Episcopium iuniorem (Triv. Mor., Braid.). cfr. Superiori anno... citius quam voluissem emisi in lucem amicorum ac typographi coactus instantia. In una terza edizione: Lug duni, apud Gabrielem Coterium (Triv. Mor.) è aggiunto ai precedenti l'opuscolo De literatorum conservanda valetudine liber] apotelesmaticae di Johannes ab Indagine, il libretto di GRATAROLI ha vasta fortuna e diffusione europea inserendosi in quella trattatistica di medicina e psicologia mnemonica che si riface ai testi d’Avicenna e d’Averroè. Pur interessato vivamente alla pubblicazione di testi magici ed alchimistici (GRATAROLI (si veda) si fa editore di testi pseudo-lulliani, di VILLANOVA, di RUPESCISSA) il nostro medico evita nella sua trattazione ogni riferimento all’ars motoria e si richiama, al solito, da un lato ad Alberto Magno ed Averroè, dall’altro alla Rhetorica ad Herennium. In realtà — cosa che Thorndike non nota — GRATAROLI sfrutta molto ampiamente un trattato italiano, il De omnibus ingentis augendae memoriae di Giovanni Michele Alberto da CARRARA (si veda). I venti precetti generali dell’arte presenti nell’opuscolo del Gratarolo (pAslosophica consilia, canones, et reminiscentiae praecepta) e quasi tutto il settimo capitolo a paiono infatti ricavati, con leggere differenze di stile, dal saggio di CARRARA (si veda). Si veda, a titolo di esempio, la definizione dei quattro moti che costituiscono la memoria e il comune richiamo a CICERONE ed ad AQUINO: Carrara, Ad memorandum quatuor motus concurrunt: Motus. spiritus qui a cogitativa ad memorati- [GRATAROLI Ad memorandum quatuor motus concurrunt: primus est motus spirituum qui a cogitativa vam figuras transportat.  Pictura fixioque figurarum in ipsa cies ad memorativam figuras aut spe- transportant.  II est [Discours notable des moyens pour conserver et augumenter la mé- moire avec un traité de la physionomie, traduit du latin par Copé, Lyon (questo, e un diverso titolo della stessa trad., in THORNDIKE); The Castel of Memorie, Englished by Fullwood, London, che ha una seconda ediz. e una terza dieci anni dopo. Nelle Introductiones, il saggio di GRATAROLI. Il  saggio di DOLCE e quello del Romberch vengono semplicemente citati dal Thorndike accanto a quello di GRATAROLI come ‘other works on this subject.’ Della produzione di mnemotecnica — per tanti aspetti legati alla magia — Thorndike non si occupa. (Cod. lat. Marciana). Il saggio di Carrara occupa i ff. (Bononiae per Platonem de Benedictis] memorativa. Reportatio carum a spiritibus a memorativa ad co- gitativam. Actio quac €a cogi- tativa recognoscit, quae proprie est memorari... Artificiosa memo- ria ut Cicero dicit secundo ad Herennium ex locis veluti ex cera at tabella, et imaginibus veluti figuris literarum  constat. Sic enim fieri poterit, ut quae accipimus quasi legentes reddamus. CICERONE centum eos satis esse pictura fixioque figurarum in ipsa memoria. III est  reportatio a spiritibus a memorativa ad cogitativam seu ratiocinativam. IV est illa actio qua cogitativa recognoscit, quac proprie est memorari. Artificiosa memoria, ut inquit CICERONE secundo ad Herrennium ex locis veluti ex cera et tabella et imaginibus veluti figuris literarum constat. Sic enim fieri solet, ut iudicavit, beatus AQUINO plures. quae accepimus quasi legentes habendo consuluit. reddamus. CICERONE centum eos satis esse iudicavit. Beatus AQUINO plures habendo consuluit. Gli stessi riferimenti ai testi di Alberto e di Averroè per- dono, sc si tiene presente l’esistenza di questa fonte, molto del loro significato. Di originale, rispetto al trattatello di CARRARA (si veda), restano, oltre a un fugace accenno all’anatomia di Vesalio, le numerose e curiose ricette per il rafforzamento della memoria. Saepe lavare pedes in acqua calida in qua bullierint melissophillon, folia lauri, chamaemelon et similia, memoriae capiti oculisque valde confert. Quella del sacchegio dei saggi e del resto un'attività largamente diffusa fra i trattatisti della memoria locale. Si pubblica a Venezia il Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere et conservar la memoria di DOLCE (si veda), uno dei più fecondi e superficiali poligrafi, che e in realtà, nonostante la pomposa presentazione di DOLCE, solo un volgarizzamento dell’opera del Romberch sulla stesso argomento. NULLA IN ITALIA SINO A BRUNO che corrisponda alla nuova impostazione che Ramo da al pro- blema della memoria e tuttavia, valutando quella confusa e [GRATAROLI (si veda), Opuscula. Sedem vero habet memoria in occipitio in tertio vocato ventriculo quem et pupim vocant. Longum esset ac pene superfluum hic -- ubi studeo brevitati -- cerebri totius anatomen describere, quam in multorum libris videre licet, praesertim doctissimi pariter et diligentissimi Andreac Vesalii] VESALI (si veda) ] macchinosa costruzione che fu l’Idea del Theatro di CAMILLO (si veda) converrà tener presente il giudizio entusiastico che, di questo saggio, detta un uomo come Patrizzi che, appunto nel Theatro, vede realizzato il tentativo di un allargamento della retorica e di una sua estensione verso la logica e l’ontologia. Non capendo per la grandezza sua negli strettissimi termini de’ precetti dei maestri di retorica, uscendone l’allarga in guisa che la distese per tutti gl’amplissimi luoghi del teatro di tutto il mondo. Intrecciandosi strettamente ai temi più caratteristici dell’ermetismo, del neo-platonismo e della cabala, la retorica diventa qui il tentativo di far corrispondere l’articolazioni oratorie del DISCORSO alle strutture fondamentali dell’essere [alla H. P. GRICE – “It’s always dicourse with me, never ‘language’!” Senza dubbio, se confrontata con i grandi testi della retorica, la fumosa costruzione di CAMILLO non può non apparire se non come la parodia di quanto i teorici rinascimentali avevano rigorosamente tentato. E tuttavia se le pole- [L'idea del teatro dell'eccellent. CAMILLO, in Fiorenza (Ambros.). Cfr. anche Opere, Venezia, Griffo (Braid.). Su CAMILLO cfr. TIRABOSCHI, Storia della letteratura italiana, Modena; CROCE, Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, Bari; F. Secret, Le Théatre du monde de CAMILLO et son influence, in « Rivista critica di storia della filosofia. Sul significato dell’oratoria planetaria  e sui rapporti di questa da un lato con la magia ficiniana di FICINO e dall'altro con la teoria ficiniana di FICINO della musica cfr. il capitolo PAOLINI (si veda) and the Accademia degl’Uranici nel vol. di Wacker, Spiritual and De- monic Magic, cit., pp. 126 ss. In particolare sul Camillo, pp. 147 - 48. 20 Questa, come la citazione precedente, da E. Garin, Alcuni aspetti delle retoriche rinascimentali, nel vol. Testi umanistici sulla retorica, Roma et Milano, 1953, pp. 32, 36. Sul carattere « mondano» della dialettica umanistica che si contrappone alle mistiche cusaniane e fici- niane ha scritto di recente E. Garin, La dialettica dal secolo XII ai princìpi dell'età moderna, « Rivista di filosofia » 2 (1958), pp. 228 - 253: «L'umanesimo opera... nel senso di una smobilitazione di tutti quei simboli che tendevano a proiettare i termini di un'esperienza terrena e storica sui piani del divino e dell’eterno. Nei saggi di CAMILLO (si veda), di ROSSELLI (si veda) e di BRUNO (si veda) si assiste, per quanto attiene alla mnemotecnica, ad una delle proiezioni  alle quali fa riferimento GARIN. Non a caso Bacone e Cartesio, nella loro utilizzazione dell'arte della memoria, sono ben lontani da questi atteggiamenti e si muoveranno sulla strada di una trasformazione della miche appassionate suscitate dalla comparsa di questa così poco rigorosa parodia e gli interessi di Francesco I e gl’entusiasmi di Patrizzi e di Ricci per la macchina del CAMILLO possono essere facilmente ricondotti sul piano della moda, non è possibile risolvere integralmente la fortuna di CAMILLO sul piano di una storia del costume. L’idea stessa di un teatro nel quale per lochi et immagini dovevan essere disposti tutti quei luoghi che possono bastare a tenere a mente et ministrar tutti gli humani concetti, tutte le cose che sono in tutto il mondo, mentre ci riporta senz'altro ad una tematica assai vicina a quella dell’ars reminiscendi, ci mostra anche come, proprio attraverso l’equivoca e torbida adesione di CAMILLO agl’insegnamenti della cabala, la stessa ars reminiscendi finisca qui per connettersi ad un duplice progetto che sarà, soprattutto nel secolo successivo, ricco di impensati sviluppi: quello di una “macchina universale” o “chiave” della realtà e l’altro, con il primo in stretto rapporto, di una collocazione organicamente e ordinatamente disposta di tutte le umane nozioni e di tutti i fenomeni della natura. Mentre l’uso costante delle immagini veniva posto da Ca- millo in relazione con l’antico tema, presente in tutta la tra- dizione magico-alchimistica da Zosima ad Agrippa, di un sapere segreto (et noi nelle cose nostre ci serviamo delle dottrina degli aiuti della memoria in uno degli strumenti della meto- dologia del sapere scientifico. Ed è da sottolineare energicamente il fatto che, in questo loro tentativo, essi si richiameranno a quell’inse- rimento della menzoria nella logica o dialettica che era stato effettuato dal più noto e discusso rappresentante della dialettica umanistica: Pietro Ramo. 2! E' da vedere la descrizione dell’opera di CAMILLO (si veda) in una lettera scritta da Padova da Zuichemus a Erasmo (Cfr. ALLEN, Opus epistolartm D. Erasmi. Una lettera d’ALCIATI (si veda) dì inoltre notizie sulla fortuna di CAMILLO (si veda) alla corte di Francia (Liruti, Notizie, Udine). Cfr. Opere, e SturMius, LIBELLVS DE LINGVA LATINA RESOLVENDA RATIONE, ediz. Jena, L'idea del teatro. I più antichi e più savi scrittori hanno sempre havuto in costume di raccomandare a’ loro scritti i secreti di Dio sotto scuri velami accioché non siano intesi se non da coloro i quali, come dice Cristo, hanno orecchie da udire, cioè che da Dio sono eletti ad intendere i suoi santissimi misteri. E Melisso] immagini come di significatrici di quelle cose che non si deb- bono profanare »), la trattazione della memoria si collegava strettamente, attraverso la cabala, al progetto del raggiungi- mento di una « vera sapienza ». Fare della retorica lo specchio del mondo voleva dire, in realtà, muovere verso una radicale distruzione dell’arte memorativa e della stessa reto- rica. Al posto di una riflessione sui discorsi umani, subentrava l'atteggiamento del profeta e del mago. alomone al nono de Proverbi dice la sapienza haversi edificato casa et haverla fondata sopra sette colonne. Queste colonne significanti stabilissime eternità habbiamo da intender che siano le sette saphirot del sopraceleste mondo, che sono le sette misure della fabbrica del celeste e dell’inferiore... nelle quali sono comprese le idee di tutte le cose del celeste a all’infe- riore appartenenti... L’alta adunque fatica nostra è stata di trovare ordine in queste sette misure, capace bastante distinto et che tenga sempre il senso svegliato e la memoria percossa et fa non solamente ufficio di conservarci le affidate cose parole et arti... ma ci dà ancora la vera sapienza nei fonti della quale veniamo in cognitione delle cose dalle cagioni et non dagli effetti ».?! L’idea, che e cara a CAMILLO (si veda), di sostituire ai tradizionali luoghi della mnemotecnica ciceroniana CICERONE luoghi eterni atti ad esprimere gl’eterni di tutte le cose conduce alla costruzione di un sistema mnemonico su basi astrologico-cabalistiche. Il grande anfiteatro dalle sette porte non si presenta dice che gl’occhi dell’anime volgari non possono sofferire i raggi del divino. Et ciò si conferma con lo esempio di Mosè, il quale scendendo dal monte... non poteva esser guardato dal popolo se egli il viso col velo non si nascondeva. Et gli Apostoli anchora veduto Cristo trasfigurato... non sufficienti a riguardarlo per la debolezza cad- devano... A questo abbiamo da aggiunger che Mercurio Trismegisto dice che il parlar religioso e pien di Dio viene ad esser violato quando gli sopraviene moltitudine volgare... I segreti rivelando doppio error si viene a commettere: et ciò è di scoprirgli a persone non degne ct di trattargli con questa nostra bassa lingua, essendo quello il suggetto delle lingue de gli angeli... Et noi nelle cose nostre ci serviamo delle ima- gini, come di significatrici di quelle cose che non si debbon profanare... Né tacerò io che i Cabalisti tengono che Maria sorella di Mosè fosse dalla lebbra oppressa per haver revelato le cose segrete della divinità. L'idea del tcatro] come uno schema vuoto del quale servirsi per ordinare, ai fini dell’orazione, tutti gli elementi della realtà. La ricerca dei caratteri planetari e delle « sette misure della fabbrica del celeste e dell’inferiore nelle quali sono comprese l’Idee di tutte le cose al celeste e all’inferiore apposte » trasformava un trattato di arte della memoria in una costruzione di tipo co- smologico-metafisico. Gli interessi per la tematica dell’astro- logia, le suggestioni dell’ermetismo e della cabala finivano per far passare in secondo piano, come avverrà poi in Bruno, ogni finalità meramente retorica. Or se gli antichi Oratori volendo collocar di giorno in giorno le parti delle orationi che havevano a recitare, le affi- davano a luoghi caduchi, come cose caduche, ragione è che volendo noi raccomandare eternamente gli eterni di tutte le cose... troviamo a loro luoghi eterni. L'alta dunque fatica no- stra è stata di trovar ordine in queste sette misure... Ma con- siderando che se volessimo metter altrui davante queste altis- sime misure et si lontane dalla nostra cognitione, che sola- mente da’ propheti sono state anchor nascostamente tocche, questo sarebbe un metter mano a cosa troppo malagevole, pertanto in loco di quelle prenderemo i sette pianeti... ma solamente le useremo, che non ce le propognano come termini fuor de’ quali non habbiano ad uscire, ma come quelli che alla mente de’ savi sempre rappresentino le sette sopra celesti misure ». A questi accostamenti di temi retorici a temi cosmologici, a questa trasformazione dei luoghi della memoria artificiale nei luoghi eterni della sapienza ermetica, non erano state certo estranee le suggestioni esercitate, sul pensiero del Ca- millo, dai testi del lullismo e dal fiorire della cabala cristiana. Per quanto concerne il lullismo abbiamo una precisa testimo: nianza degli interessi di CAMILLO (si veda) per l’arte, e non è un caso che Gohory, nel De usu et mystertis notarum, avvicina il nome del Delmino a quelli dei maggiori commentatori e seguaci di Lullo. D'altro lato, quando CAMILLO pubblica la sua Idea del Theatro, erano già ap- [RUSCELLI (si veda) Trattato del modo di comporre versi in lingua italiana, Venezia, CAMILLO (si veda) m'afferma d’haver fatto lunghissimo studio sopra di quest'arte di Raimondo.] parsi e si erano rapidamente diffusi in tutta Europa i testi fondamentali della cabala cristiana: l’ Epistola de secretis di Paulus de Heredia, le Conclustones e l’Heptaplus di PICO, il De verbo mirifico e il De arte cabalistica di Reuchlin, il De arcanis catholicae veritatis del Galatin, lo Psalterium del Giustiniani (1516), le opere di RICCI (si veda), il De Harmonia mundi di Francesco Giorgio Veneto (si veda), le opere di Agrippa. La combinatoria lulliana e la grande costruzione cosmolo- gica della cabala si incontrarono, nel corso del Cinquecento, sul comune terreno del simbolismo, dell’allegorismo, dell’esem- plarismo mistico. In un passo famoso già Pico aveva avvicinato l’ars combinatoria a quella parte più elevata della magia natu- rale che si occupa degli esseri superiori esistenti nel mondo sopraceleste: l’a/phabetaria revolutto iniziata da Lullo gli cera apparsa strettamente connessa a quella mistica delle lettere e dei nomi che è parte integrante della costruzione cabalistica. Haec est prima et vera cabala de qua credo me primum apud latinos explicitam fecisse mentionem... quia iste modum tradendi per succes- sionem qui dicitur cabalisticus videtur convenire unicuique rei secrete et mystice, hinc est quod usurparunt hebrei ut unamquamque scien- tiam quae apud cos habeatur pro secreta et abscondita cabalam vocent ct unumquodque scibile quod per viam occultam alicunde habeatur dicatur haberi per viam cabalae. In universali autem duas scientias hoc etiam nomine honorificarunt: unam quae dicitur... ars combinandi et est modus quidam procedendi in scientis et est simile quid sicut apud nostros dicitur ars Raymundi licet forte diverso modo procedat. Aliam quae est de virtutibus rerum superiorum quae sunt supra lunam et est pars magiae naturalis suprema ». (Apologia tredecim quaestionum, quaestio V: De magia naturali et cabala hebreorum). Sulla funzione delle lettere e dei nomi nella cabala, sull'allegorismo e l'esemplarismo mistico cfr. il cap. VI del volume ScHorem, Les grands courants de la mystique quive, Parigi. Ma cfr. anche Zu Geschichte der Anfinge der Christlichen Kabbala, in Essays presented to Leo Baeck, London. Importante documento dell’incontro fra Cabala rina- scimentale e lullismo è l’opera De auditu kabalistico sive ad omnes scienttas introductorium le cui prime edizioni apparvero a Venezia nel 1518 e nel 1533. Lo scritto venne concordemente attribuito a Lullo e come tale inserito nell'edizione di Strasburgo del 1617 (cfr. ZetzxER, pp. 43.111). Sul cabalismo e il lullismo di PICO (si veda) cfr. M. MEexENDEZ Pelayo, Historia de los Heterodoxos Espafioles, Madrid, e, soprattutto, GARIN, PICO (si veda), vita e dottrina, Firenze, c F. Secret, PICO (si veda). Questa tesi pichiana verrà ripresa da non pochi fra i seguaci della cabala. Il termine cabala venne impiegato a indicare l’arte di Lullo. L’avvicinamento non e solo esteriore e non dipende solo dall’equivocità del termine cabala con il quale — come ben chiara Secret — si intesero nel Rinascimento cose assai diverse. Molti -- soprattutto fra gli esponenti dei maggiori ordini religiosi -- si volsero alla cabala come ad una tradizione religiosa alla quale si potevano attingere motivi apologetici, ma è certo che le lettere c le immagini, le figure e le combinazioni delle figure riman- davano — nella cabala come nel lullismo — a quel segreto libro dell’universo che il sapiente ha il compito di leggere e di interpretare al di là della parvenza dei simboli. Nell’Encyclopaediae seu orbis disciplinarum epistemon, SCALIGERO (si veda) riprende il progetto di PICO. Nelle conclusiones divinae, angelicae, philosophicae, metaphysicae, physicae, morales, rationales, doctrinales, secretac, infernales » egli presenta l’immagine unitaria di un uni- [PICO e gli inizi della Cabala, Convivium. Alcune osservazioni anche in Sarton, Introduction to the History of Science, Baltimora. Del tutto insufficiente: Brau, The Christian Interpretation of the Cabala in the Renaissance, New York. 27 Oltre al saggio su PICO citato nella nota precedente sono da vedere, per questi problemi, gli importanti studi di Secret, L'astrologie et les Kabbalistes chrétiens à la Renaissance, La Tour Saint-Jacques; Les débuts du Kabbalisme et son histoire à la Renaissance, Sefarad; Les domenicains et la Kabbale chrétienne è la Renaissance, Archivum Fr. Praedicatorum; Le symbolisme de la kabbale chrétienne dans la Scechina» de Egidio da VITERBO (si veda), in Umanesimo e simbolismo, cur. ZUBIENA (si veda) Padova; Les jéswites ct le kabbalisme chrétien à la Renaissance, Bibliothéque d’ Humanisme et Renaissance. Ma cfr. anche: Jose M.a Mittas VALLICROSA, Algunas relaciones entre la doctrina luliana y la cabala, Sefarad, ScaricHius pe Lika (Paul Skalich), Enciclopaediae seu orbis disciplinarum tam sacrarum quam prophanarum Epistemon, Basileae, Oporinus. Cfr. G. Knasset, P. Skalich, Ein Lebensbild aus dem 16 Jah., Miinster; L. THornpike, History of magic; Secret, La tradition du De omni scibili à la Renaissance: l'ocuvre de Scaltger, Convivium] verso simbolico mediante la quale sarebbe stato possibile rinnovare dalle radici e portare a definitivo compimento, con l’aiuto della sapienza cabalistica, l’arte miracolosa di Lullo. Tralasciando i plagi di DOLCE (si veda) e gli scarsi, convenzionali accenni alla memoria contenuti nella celebre Retorica di CAVALCANTI (si veda) e nella Retorica di CICERONE ad Erennio ridotta in alberi di TOSCANELLA (si veda) Toscanella, giove dedicare una certa attenzione all’Ars reminiscendi di PORTA (si veda) nella quale alla distinzione fra medicina o psicologia della memoria e ars memorativa, ai consueti richiami alle fonti e ai personaggi del mondo classico, agli ormai noti tentativi di sintesi fra la tradizione aristotelico-tomista d’AQUINO e quella ciceroniana, si aggiungono considerazioni di un certo interesse sul geroglifico e sul gesto: due temi sui quali, com'è noto, si esercita a lungo la riflessione di molti e di Bacone e di VICO (si veda). Alla discussione di questi argomenti PORTA (si veda) giunge, non a caso, attraverso il tema delle immagini, quelle pitture animate che rechiamo nella immaginativa per rappresentare così un fatto come UNA PAROLA. Di fronte a termini che non simbolizzano cose materiali, come i termini « perché », « ovvero », «tanto » ecc., è necessario ricavare le immagini dalla scrittura, riferirsi cioè con immagini appropriate alle singole lettere o gruppi di lettere che compongono un termine. In molti altri casi è invece possibile richiamarsi al significato: in questo caso torna opportuno il parallelo con i geroglifici. Per l’opera di DOLCE cfr. la nota 7 e TiraBoscHi. Sull'opera di TOSCANELLA (si veda), Venezia), cfr. TiraBOSCHI; sulle partizioni della retorica cfr. Lu retorica di CAVALCANTI (si veda) -- dove si contiene tutto quello che appartiene all'arte oratoria, Venezia, Ferrari  (Triv.). Ma per rendersi conto della diffusione delle tecniche memorative nei più noti manuali di retorica, giove vedere l’opera di TRAPEZUNZIO, Réetoricorum libri quingue, Lugduni, apud Seb. Gryphium. Le citazioni sono tratte da L'arte del ricordare dei PORTA, Napoletano, tradotta da latino in volgare per M. Dorandino FALCONE (si veda) da Gioia, in Napoli, appresso Mattio Cancer (Braid.). FIORENTINO (si veda)  (Studi e ritratti della Rinascenza, Bari) assegna la prima edizione del- l'Ars reminiscendi. A ciò torremo il modo dalli Egittii i quali, non havendo lettere con che potessero scrivere i concetti degl’animi loro, e a ciò che più facilmente si tenessero a memoria le utili speculationi della filosofia, ritrovorno lo scrivere con le pitture, servendosi d'immagini di quadrupedi, d’uccelli, di pesci, di pietre, di herbe e di simili cose in vece delle lettere: la qual cosa noi habbiamo giudicato molto utile per le nostre ricerche, che altro noi non vogliamo ch’usare imagini in vece delle lettere per poterle depingere nella memoria. Molti fra i più illustri esponenti della cultura furono come affascinati dal problema della scrittura geroglifica e, più tardi, da quello della ideografia dei cinesi. La contemporanea esplosione nella cultura europea del culto per l’ Egitto e della mania per gli emblemi resta oltremodo indicativa di un clima culturale. Basta, per rendersene conto, elencare alcune fra innumerevoli edizioni dei Hieroglyphica di Horapollo (il manoscritto greco e ac- quistato da BUONDELMONTI (si veda), pubblicato nel testo greco a Venezia, nella versione latina a Parigi, a Basilea, a Venezia, a Lione e a Roma) o del grosso trattato Hieroglyphica sive de sacris Egyptiorum aliarumque gentium di VALERIANO (si veda)  (Basilea e Firenze, in traduzione francese; a Lione in latino e A VENEZIA IN ITALIANO) riferendosi al quale il Morhofius, scrive che il saggio è nelle mani di tutti. Gli EmzQ/emata dell’Alciati sono pubblicati a Basilea, hanno più di centocinquanta edizioni, numerose traduzioni e varie edizioni commentate. Uno dei primi seguaci d’ALCIATI (si veda) e il bolognese  BOCCHI (si veda), amico del VALERIANO (si veda), Symbolicarum Quaestionum Libri. Sono le Imprese illustri di RUSCELLI (si veda), la fortunatissima conologia di RIPA (si veda). Di questo tipo di produzione libraria nel quale trovavano espressione temi di derivazione neo-platonica e cabalistica e ove si manifesta un caratteristico metodo ermeneutico, è necessario tener [Sulla scrittura degli Egizi cfr. Sul gesto. Potremo parimente col gesto esprimere alcune significationi di parole. Un muto esprime col gesto ciò che egli desidera usando le mani in vece di lingua.] conto, come di uno sfondo culturale, anche nel tracciare le linee di una esperienza speculativa quale e quella del lullismo e dell’ars reminiscendi. Il fatto che in civiltà diverse da quella europea e stato possibile giungere ad ‘una sistematica rappresentazione e comunicazione dei concetti mediante geroglifici o immagini invece che attraverso le lettere dell’abecedario, mentre da un lato sembra in qualche modo confermare quelle possibilità sulle quali l’ars memoriae e il lullismo avevano a lungo insistito, dall'altro anda incontro all'esigenza, così largamente e profondamente radicata, di una lingua universale che potesse essere letta e compresa indipendentemente dalle differenze di linguaggio come il latino o l’iltaliano o gallico (lingua del’oui – lingua dell’oc -- dovute ai tempi, alle circostanze, alla nazionalità, alla situazione storica. E se si pone mente al fatto che la stessa tecnica dell’arte memorativa e le regole del lullismo si presentano di fatto assolutamente slegate c indipendenti dalle lingue particolari, come il latino o l’italiano o il gallico – lingua d’oui, lingua d’oc -- ove si consideri appunto la tecnica o arte prescindendo dalla formulazione delle regole in questa o in quell’altra lingua – come la latina, l’italiana, o la gallica – lingua d’oui, lingua d’hoc -- si potranno meglio comprendere gli effettivi rapporti che sussistono fra fenomeni culturali in apparenza così diversi come l’arte della memoria, la rinascita del lullismo, l'interesse per i geroglifici, la passione per l’iconologia, il culto per i simboli e gli emblemi. Non a caso in un testo per molti aspetti interessante, il Thesaurus artifictosae memoriae del fiorentino ROSSELLI (si veda), pubblicato a Venezia, ritorna l’ammirazione. Ampie notizie sulle interpretazioni dei geroglifici in MonHor, Polyhistor literarius philosophicus et practicus, Lubecc. Sulla stretta connessione fra Egittomania ed emblematismo si vedano le osservazioni di PANOFSKI, Titian’s Allegory of Prudence TIZIANO, in: Meaning in visuals arts, New York. Fondamentale resta il lavoro di VoLKManx, Bilder Schriften der Renaissance. Hieroglyphik und Problematik in ihren Beziehungen und Fortwirkungen, Lipsia per le relazioni con la memoria. Varie notizie sulla letteratura attinente ai geroglifici in THORNDIKE. Per i rapporti con la letteratura emblematica cfr. PRAZ (si veda), Studi sul concettismo, Firenze, e il vol. II degli Srudies in Imagery, London. Thesaurus artificiosae memoriae authore P. F. Cosma ROSSELLI (si veda) florentino, Venezia, apud Antonium Paduanium, (Angelica) per i geroglifici espressioni non di lettere ma direttamente di concetti (Aegipti) vice literarum, quae tunc temporis inventae non erant, immo non solum literarum vero etiam vice nominum et conceptuum, animalibus aliisque rebus multis utebantur »)?! e si riaffaccia l’idea di una trasformazione dell’ars memoriae in una vera e propria, universale enciclopedia di tutto il sapere. La dottrina dei luoghi, originariamente concepita come avente una limitata e precisa funzionalità all’interno della retorica, si trasforma in uno strumento in vista della descrizione degl’elementi che compongono il reale. Collocando l’inferno, il purgatorio e il paradiso fra i loca communia amplissima il domenicano ROSSELLI (si veda) converte il suo trattato prima in una specie di enciclopedia teologica, poi in una ampia e minuziosa descrizione degl’elementi celesti, delle sfere, del cielo e dell’empirco, dei demoni, degli strumenti delle arti meccaniche o figure artificiali e delle figure naturali come le gemme, i minerali, i vegetali, gli animali, infine le scritture e i vari abecedarii altri al latino: ebraico, arabo, e caldaico. L'esigenza di un esatto, compiuto ordinamento di ciascuno degl’elementi della realtà naturale e celeste appare dominante anche nel più famoso dei teatri: l’Universae naturae theatrum pubblicato a Lione dal grande giurista e scrittore politico Bodin Qui siamo ben lontani dall’atmosfera del lullismo e della cabala, qui domi- nano le esigenze di chiarezza e di rigore caratteristiche dei seguaci di Ramo: la minuziosa divisione in tavole delle cause naturali, degli elementi, delle meteore, delle pietre, dei me- talli, dei fossili, degli esseri viventi, dei corpi celesti appare fondata sulla identificazione del metodo con l’ordine e con la apta rerum dispositio. Ma è senza dubbio presente, anche nel testo di Bodin, la convinzione di una piena, continua coe- renza, di una totale coesione fra tutti gli elementi della realtà. La grandezza divina è rivelata dall’opera ordinatrice di Dio che ha collocato nelle appropriate sedi le parti caoticamente [Thesaurus, Bodin, Universae naturae Theatrum in quo rerum omnium effectrices causae et fines contemplantur, et continuae series quinque libris discutiuntiur, Lugduni, apud Jacobum Roussin (Braid.)] confuse della materia (« permistas et confusas materiae partes initio discrevit, ac forma figuraque decenti subornatas, suo uamque in ordine ac propriis sedibus collocavit »); non dissimile da quello divino è il compito che spetta al sapiente e nulla può esservi di più bello, più utile e più conveniente di quel paziente ordinamento enciclopedico del reale che consente all'uomo di riprodurre, nei limiti che gli sono consentiti, la perfezione dell’opera divina. Coloro che trascurano questa ri- cerca, dan luogo, anche se sono in grado di discettare sottil- mente, ad una scienza vana e deforme, mescolando i grani del frumento con quelli della senape perdono la possibilità di far effettivamente uso del loro sapere. Il teatro, concepito come coerente e rigorosa dispositio, consentirà invece la scoperta di quella indissolubile coerenza e di quel pieno consenso degli elementi del reale (« indissolubilem cohaerentiam, con- tagionem et consensum ») per il quale tutto corrisponde a tutto.?° La concezione ramista del metodo aveva esercitato, sul pensiero di Bodin, un'influenza decisiva?” e solo chi tenga presente la identificazione, tanto energicamente sostenuta da Ramo, della dispositto con la memoria potrà spiegarsi la sin- golare somiglianza fra il celebre teatro di Bodin e le faticose enciclopedie costruite nel corso del Cinquecento dai cultori e dai teorici della memoria artificiale. Negli scritti di CAMILLO (si veda) e in quelli di ROSSELLI (si veda) l'intento enciclopedico-descrittivo, l'ambizioso progetto di una enciclopedia totale avevano finito per sovrapporsi nettamente agli ori-[Binari intenti dell’arte mnemonica. Alle sommarie, stringate elencazioni dei luoghi e delle immagini presenti nei testi dei teorici quattrocenteschi si sono dunque andate sostituendo macchinose enciclopedie. Esse non nacquero solo dalla persistenza di temi caratteristici della cul- tura medievale, né trassero origine solo dalla tematica del lul- lismo o dal fiorire delle speculazioni sulla cabala; derivarono ‘anche dal nuovo atteggiamento che molti assunsero nei con- 36 Bopin, Universae naturae Theatrum, cit., Propositio torius operis, si [Cfr. McRae, Ramist tendencies in the thought of Jean Bodin, Journal of the History of Ideas] fronti della tradizione dell’ars reminiscendi:** descrivere i luoghi e le immagini creando una sorta di specchio o di arti- ficiale teatro della realtà apparve molto più importante che il teorizzare in regole precise la funzione dei luoghi e delle im- magini in vista del raggiungimento di una capacità mnemo- nica utile ai discorsi umani. In modo non diverso BRUNO, appassionato cultore di lullismo e di magia, intende utilizzare i saggi, antichi e recenti, dell’arte della memoria. Da questo punto di vista potrebbe presentare un certo interesse l'esame del modo in cui uno scrittore come MAZZONI (si veda) da Cesena -- De triplici vita – attiva, contemplativa – religiosa --, Romae -utilizza l'eredità di un noto cultore di mnemotecnica come PANIGAROLA (si veda) -- L'art de prescher et bien fare un sermon avec la mémoire locale et artificielle, ensemble l'art de mémoire de Marafiote, Chappuis, Paris. Su Panigarola cfr. TrraoscHi] Di fronte ai molti saggi che BRUNO dedica all’ars combinatoria e all’ars reminiscendi, non pochi storici, anche illustri, mostrano una singolare incapacità di comprensione. All’indagine di temi che per essere ora morti non sono per questo meno vitali, si preferirono valutazioni negative, rapide liquidazioni o addirittura esplicite condanne. In questo senso studiosi come Olschki e RUGGIERO (si veda) ridussero il lullismo bruniano sul piano delle bizzarrie e delle grossolane illusioni, mentre an- che di recente la Singer è giunta su queste basi ad esprimere più volte il suo compatimento per un BRUNO perso dietro i problemi della combinatoria.' Ben altra sensibilità era stata presente in quegli storici positivisti che, come TOCCO, affrontano direttamente non solo il problema del lullismo bruniano, ma anche la questione, ad esso collegata, dei rapporti fra gli scritti sulla memoria e la produzione italiana e latina di BRUNO. Proprio quegli studiosi che in nome di ! Cfr. Olschki (si veda), BRUNO, Bari; RUGGIERO (si veda), Storia della filosofia. Rinascimento Riforma e Controriforma, Bari; D. W. Sincer, BRUNO, Vita e pensiero, Milano. Nessun risultato nuovo nelle pagine dedicate ai primi scritti bruniani da BapaLoni, La filosofia di BRUNO, Firenze. Cfr. TOCCO, Le opere latine di BRUNO esposte e confrontate con le italiane, Firenze, sulla tradizione della mnemotecnica; sulla importanza delle opere mnemoniche di BRUNO; sulla rigida distinzione fra opere lulliane e mnemotecniche. Per i rapporti con il lullismo e Cusano si veda anche lo studio Le fonti più recenti della filosofia di BRUNO, Rendiconti dell’Accad. dei LINCEI, cl. scienze morali. Nell'opera del BartHoLOMESs, BRUNO, Parigi, tutta la mnemotecnica viene erroneamente identificata con il lullismo e TOMAI è scambiato per un seguace di Lullo. Contro la distinzione operata da TOCCO reagì giustamente TROILO (si veda), La filosofia di G. Bruno, Roma] una maggior fedeltà storiografica hanno rinunciato alla inter- pretazione “razionalista”, “moderna” e ‘“avveniristica” del pensiero bruniano, sono giunti, anche su questo terreno, a più apprezzabili risultati: in questa direzione di lavoro, richiamandosi alle osservazioni di Yates, di CORSANO (si veda), di GARIN (si veda), VASOLI (si veda) ha di recente affrontato, in un ampio, saggio, il problema del lullismo e del simbolismo bruniani. Le esatte conclusioni di VASOLI (si veda) vanno qui sottolineate. I temi e i motivi della mnemotecnica bruniana recano un notevole aiuto alla comprensione della posizione storica e filosofica di BRUNO, dei suoi ideali riformatori, delle sue speranze di incidere profondamente, con mezzi e metodi di estrema efficacia prammatica, sulla situazione intellettuale del suo tempo, realizzandovi quel rinnovamento di cui gli saggi italiani ci offrono così aperte testimonianze. Basta pensare alla continuità di queste ricerche che si svolgono parallelamente allo sviluppo di tutta la sua riflessione metafisica nella Clavis Magna, quando pubblica la De imaginum signorum et idearum compositione, per intendere il legame organico tra indagine filosofica e tecnica logico-mnemonica. Ché se BRUNO si adopera per tanti anni a svolgere e a completare con tanta cura la sua dottrina mnemotecnica, non e certo soltanto per portare il suo contributo ad una moda del tempo o per indulgere all’illusione prammatica di una scienza che spesso sembra confinare con la pratica magica o con la rivelazione cabalistica, quanto piuttosto. per tradurre in un metodo di facile ed immediata efficacia taluni princìpi centrali della sua dottrina. Cfr. Yates, BRUNO’s Conflict with Oxford, Journal of the Warburg Institute; The French Acadenmies in the sixteenth Century, London; The Art of Lull, « Journal of the Warburg and Courtauld Inst.; The Ciceronian Art of Memory, cit.; Corsano, Il pensiero di BRUNO, Firenze; GARIN, La filosofia, « Storia dei generi letterari italiani », Milano; VASOLI (si veda), Umanesimo e simbologia nei saggi mnemotecnici di Bruno, in: Umanesimo e Simbolismo, atti del convegno  di stud: umanistici, Padova. VasoLi, Umanesimo e simbologia. Sia CORSANO (si veda) sia VASOLI (si veda) hanno entrambi giustamente insistito sul peso esercitato, nella formazione filosofica di BRUNO dai saggi sulla memoria di TOMAI. In un passo della Triginta sigillorum explicatio, BRUNO afferma di essersi imbattuto nell’arte di TOMAI. Hoc modica favilla fuit, quae iugi meditatione progrediens in vastis aggeris irrepsit accensionem, e cuius flammiferis ignibus plurimae hinc emicant favillae, quarum quac bene dispositam materiam attingerint, similia maioraque flagrantia lumina poterunt excitare. Al gran fuoco suscitato da quella piccola favilla si vennero in realtà consumando molte delle conclusioni cui e ervenuto BRUNO a contatto dei peripatetici, nella dottrina de quali egli e stato allievato e nodrito. Ai procedimenti deduttivi della scolastica BRUNO finirà per opporre energicamente un processo di graduale avvicinamento, mediante l’esercizio della immaginazione e della memoria, al piano della conoscenza razionale; al rigido concatenarsi delle ragioni opporrà la fuggevolezza delle immagini. Alla riduzione dell’intera conoscenza sul piano dell’intelletto contrappone la radicale diversità del piano del senso. Stupidi est dicursus velle sensibilia ad candem conditionem cognitionis revocare, in qua ratiocinabilia et intelligibilta cernuntur. Sensibilia quippe vera sunt non iuxta communem aliquam et universalem mensuram, sed iuxta homogeneam, particularem, propriam, mutabilem atque variabilem mensuram. De sensibilibus ergo, qua sensibilia sunt, universaliter velle definire, in aequo est atque de intelligibilibus vice versa sensibiliter. L'impiego delle immagini, il gusto bruniano per la rappresentazione mediante emblemi e divise appare strettamente collegato a impostazioni di questo tipo, ma questo stesso gusto bruniano per il simbolo, per i geroglifici e i sigilli, per le idee incorporate in forme sensibili non può a sua volta, se ® IoRpaNI BRUNO NoLani, Opera latine conscripta, Napoli e Firenze, (qui di seguito ‘indicate con la sigla Opp. Zaz. Sul significato di questo passo, già segnalato da TOCCO, Le opere latine, cfr. CORSANO (si veda), Il pensiero di BRUNO; VASOLI (si veda), Umanesimo e simbologia] non arbitrariamente, esser disgiunto da quella grande costruzione nella quale i temi derivanti dai testi del TOMAI e dagli altri esponenti della mnemotecnica ciceroniana di CICERONE andano a intrecciarsi con quelli del lullismo, del simbolismo e dell’esemplarismo metafisico, si collegano con i motivi più caratteristici della letteratura cabalistica, con gli ideali della pansofia, con l’eredità delle discussioni dialettico-retoriche dell’umanesimo, con le aspirazioni ad una radicale riforma religiosa. Mentre veniva inserita nel più vasto quadro del lullismo, l’intera tematica attinente all’ars reminiscendi veniva in tal modo spostata su un piano tipicamente metafisico. Da questo punto di vista l’atteggiamento bruniano finisce con l’apparire per molti rispetti simile a quello assunto da ROSSELLI (si veda) e dai costruttori dei teatri del mondo: l’arte non è una tecnica legata alle limitate finalità del discorso retorico, ma è, sopra ogni altra cosa, lo strumento di cui servirsi per dar luogo ad un edificio le cui strutture costituiscano l’esatto rispecchiamento delle strutture della realtà. Le regole della memoria, così come le tecniche combinatorie, traggono il loro fondamento e trovano la giustificazione della loro validità nel postulato, chiaramente ammesso, di una piena e perfetta corrispondenza tra i simboli e le res, tra le ombre e le idee, tra i sigilli e le ragioni che presiedono alle articolazioni del mondo reale. Su questo preciso terreno potevano in realtà trovare un punto di incontro quelle retoriche che si ponevano come lo specchio o il teatro del mondo (CAMILLO (si veda)) e quelle riforme della macchina lulliana che avevano mantenuto ben saldo il postu- lato platonico-esemplaristico che era alla base del tentativo di Raimondo Lullo. A quelle retoriche e a questi commenti lul- liani appare assai vicino BRUNO quando concepisce l’intero meccanismo dell’arte come la traduzione, sul piano della sensibilità e dell’immaginazione, dei rapporti ideali che costi- tuiscono la trama dell’universo: mediante l’allusività delle immagini, le ombre e le « specie involute » sarà possibile impa- dronirsi (e altra strada non è data all'uomo) di quelle rela- zioni alle quali, più tardi, potrà pervenire un'indagine di tipo razionale. Questa impostazione, che è chiaramente legata a premesse esemplaristiche, non esclude affatto che in BRUNO, come del resto già in Lullo e nei lullisti, fossero presenti vivissimi interessi di tipo pratico per una riforma del sapere, per una funzione pedagogica dell’arte, per una educa- zione della memoria e delle capacità inventive, per una ra- pida cornunicazione e diffusione della nuova cultura, per la ricostruzione, al di là della frammentarietà delle singole scienze, di un sapere organico e unitario capace di porsi a fonda- mento di una enciclopedia o sistema totale. Non a caso la stessa riforma bruniana viene presentata come il progetto di realizzazione di un’arte mirabile capace di ampliare smisura- tamente le possibilità di dominio dell’uomo. Come tale essa fu accolta e valutata in quegli ambienti platonizzanti parigini nei quali, come mostra Yates, gli interessi per il copernicanesimo e per la riforma ramista della logica, andavano strettamente congiunti a quelli per la cabala e per il lullismo. L'inserimento, operato da BRUNO, delle tecniche retoriche della memoria entro la grande tradizione lullista non man- cherà del resto di esercitare un influsso duraturo, oltreché negl’ambienti francesi, anche in quelli inglesi, tedeschi e bocmi. Parigi, Londra, Praga, Wittenberg, Francoforte erano stati, abbiam visto, centri di diffusione del lullismo e dell’ars rem: niscendi; in questi ambienti si erano mossi Pietro da Ravenna e Bovillus, Wilson, Spangerbergius e Lavinheta. Yates, The French Academies; sul lullismo cfr. anche T. e J. CarrERAs Y ARtAU, Historia de la Filosofia Espaîola. Filosofia cristiana de los siglos XIII al XV, Madrid, 1943, II, pp. 207 ss.; A. RENAUDET, Préréforme et Humanisme à Paris pen- dant les premières guerres d' Italie, Paris. Esce a Londra, dedicato al conte di Leicester, il De umbra rattonis et iudicii sive de artificiosa memoria quam publice profitetur vanitate, edito da Vautrollier, di  Dicson che si richiama al De Umbris bruniano. A Dicson, che compare come personaggio nell'opera De la causa principio et uno -- cfr. Bruno, DIALOGHI ITALIANI, cur. Gentile e AQUILECCHIA (si veda), Firenze -- rispose polemicamente tale G.P., autore di un Antidicsonus cuiusdam Cantabrigiensis G. P. Accessit libellus in quo dilu- cide explicatur impia Dicsoni artificiosa memoria, London: nella dedica si fa riferimento a METRODORO (si veda), ROSSELLI (si veda), BRUNO, e Dicson. Al Sigillus di BRUNO fa riferimento anche Watson, Compendium memoriae localis, pubblicato a Londra. Da un punto di vista ramista polemizza contro l'ars memoriae Perkins, Prophetica, sive de sacra et unica ratione concionandi, Cantabrigiae. La trad. [Dei tre scritti pubblicati a Parigi, il De umbris idearum è, giustamente, il più noto. Il tentativo di giustificare con precise ragioni metafisiche gl’elementi tecnici dell’arte appare qui particolarmente evidente. L’ascesa dell'animo dalle tenebre alla luce si compie mediante l’apprensione delle ombre delle idee eterne. Attraverso le ombre la verità viene in qualche modo svelandosi all’anima prigioniera del corpo. Le idee-ombre, nelle quali si rispecchia la trama dell’essere, si presentano sul piano della sensibilità e della immaginazione, appaiono come fantasmi e come sigilli. Attraverso la ritenzione artificiale delle catene o delle relazioni che intercorrono fra le ombre si potrà giungere a ricostruire, come per una graduale purificazione, i nessi che legano le idee per giungere infine, sul piano della ragione, alla comprensione c al disvelamento di quell’unità che è sottesa alla confusa pluralità delle apparenze. Su queste tre tesi appare fondata da un lato la riforma bruniana della combinatoria, dall’altro il particolare uso bruniano delle regole per la memoria che erano state teorizzate dalla tradizione ciceroniana. Come già era avvenuto nella Sintares del Gregoire e nell’Opus aureum del De VALERIIS (si veda), il concetto dell’unità del sapere appare immediatamente convertibile nell’altro, ad esso corrispon- dente, di una unità essenziale del cosmo: inglese apparve nel 1606. Il testo dello studente boemo Nostiz, che ascoltò a Parigi le lezioni di mnemotecnica di BRUNO, è andato perduto. In quest'opera i nomi di Aristotele, Lullo, Ramo e BRUNO venivano avvicinati in modo significativo: Artificium  Aristotelico-Lullio-Rameum in quo per artem intelligendi Logicam, Artem agendi Practicam, Artis loquendi partem de inventione Topicam methodo et terminis Aristotelico-Rameis circulis modo lulliano inclusis via plura quam centies mille argumenta de quovis themate inveniendi cum usu conveniens ostenditur, ductu lo. a Nostitz, BRUNO genuini discipuli claboratum a BERGIO (si veda), Bregae typis Sigfridianis. Il titolo è stato conservato in BunEMANN, Catalogus MS Storum membranaceorum et chartaceorum item librorum ob inventa ty- pographia, Minden. L’avvertenza di Nostitz ai lettori è ripubblicata in Sincer, Bruno. Sull’autore, la biblioteca di famiglia e conservata intatta a Praga. Cfr. VASOLI (si veda), Umanesimo e simbologia. Cum in rebus omnibus ordo sit atque connexio et unum sit universi entis corpus, unus ordo, una gubernatio, unum principium, unus finis, unum primum... illud ob- nixe nobis est intentandum, ut pro egregiis animi opera- tionibus naturae schalam ante oculos habentes, semper a motu et multitudine ad statum et unitatem per intrin- secas operationes tendere contendamus. Talem quidem progressum tunc te vere facere comperies et experieris, cum a confusa pluralitate ad distinctam unitatem per te fiat accessio; id enim non est universalia logica conflare, quae ex distinctis infimis speciebus, confusas medias, exque iis confusiores suprema captant. Sed quasi ex in- formibus partibus ct pluribus, formatum totum et unum aptare sibi... Ita cum de partibus et universi speciebus, nil sit seorsum positum et exemptum ab ordine (qui simplicissimus, perfectissimus et citra numerum est in prima mente) si alia aliis connectendo, ct pro ratione uniendo concipimus: quid est quod non possimus intelli- gere memorari ct agere? Unum est quod omnia definit. Unus est pulchritudinis splendor in omnibus. Unus e multitudine specierum fulgor emicat.? Nel momento stesso in cui procede ad una “riforma” della combinatoria lulliana, sostituendo trenta soggetti e pre- dicati ai nove teorizzati da Lullo e facendo cadere la distinzione fra predicati assoluti e predicati relativi, Bruno fa am- pio ricorso alla tradizione ciceroniana modificandone la termi- nologia: ai luoghi della mnemotecnica corrispondono i su- biecta (soggetti primi); alle :mmagini corrispondono gli adiecta (soggetti secondi o prossimi). L’antichissimo paragone della mnemotecnica alla scrittura può in tal modo essere ripreso in senso diverso. Scriptura enim habet subiectum primum chartam tamque locum; habet subiectum proximum minium et habet pro forma ipsos characterum tractus ».!° Accanto a questo paragone venerando, ritornava nei testi bruniani la maggior parte di quelle regole della memoria che abbiamo visto presenti nei testi. Nei primi paragrafi dell’Ars memoriae si riaffacciano in tal modo le discussioni sull'arte e sulla natura, sull’ingegno pro- duttore di strumenti artificiali, sui rapporti fra il segno e l’og- getto significato, ricompaiono i richiami a Simonide e i pre- [Opp. lat.] cetti relativi alla modica grandezza, alla convenevole distanza, alla giusta luminosità dei luoghi. La stessa concezione bru- niana del luogo, che è apparsa al Tocco assai « più larga » di quella tradizionale, è in realtà anch'essa derivante da testi molto diffusi. L'idea di servirsi di « oggetti animati » per rap- presentare i luoghi, non è affatto nuova: è già presente in un testo di un secolo prima, il De omnibus ingentis augendae memoriae di Michele Alberto da Carrara.!! Anche nelle pagine del Canzus Circaeus, pubblicato a Parigi, sono facilmente rintracciabili, dietro il periodare contorto e il barocchismo delle immagini, temi ben noti. Nel secondo dialogo del Canzus -- che fu ripubblicato con qualche modifica a Londra l’anno seguente con il titolo di Recens et completa ars reminiscendi --, la materia già trattata nel De Umbris viene ripresentata con maggiore preoccupazione per una diffusione manualistica.'? Ponendosi come una tecnica capace di migliorare, mediante opportuni artifici, la naturale condizione dell’uomo, l’arte appare accessibile a chiunque. Fra i suoi meriti BRUNO annovera, significativamente, proprio questa compiuta tecnicizzazione dell’arte: Intentio nostra est, divino annuente numine, artificiosam metodicamque prosequi viam: ad corrigendum defectum, roborandam infirmitatem, et sublevandam  virtutem memoriae naturalis: quatenus quilibet (dummodo sit rationis compos, et mediocris particeps iudicii) pro- ficere possit in ea, adeo ut nemo talis existentibus con- ditionibus, ab ademptione huius artis excludatur. Quod quidem ars non habet a seipsa, neque ex corum qui praecesserunt industria, a quorum inventionibus excitati, promoti sumus diuturnam cogitationem ad addendum, 11 Cfr. qui alle pp. 34 - 35, e si veda inoltre R., La costruzione delle immagini nei trattati di memoria artificiale del Rinascimento, in: Umanesimo e simbolismo. Per le regole bruniane sui luoghi cfr. Opp. Zat., Il giudizio di TOCCO, Le opere latine, è stato ripreso da VASOLI (si veda), Umanesimo e simbologia. Per il testo di CARRARA (si veda), già sopra cit., cfr.: « Guido pater meus ex animalibus cepit locos suos et corum ordine ex alphabeto deduxit... asinus, basiliscus, canis, draco... haec singula in quinque locos dividebat... Nam hunc ordinem ipsa natura porrexit neque confundi in eis cnumerandis ingenium potest... » 12 Cfr. Tocco, Le opere latine] tum eis quac faciunt ad facilitatem negotii atque certi- tudinem, tum etiam ad brevitatemn.15 Espressioni di questo tipo non devono trarre in inganno. Poche righe più avanti si riaffacciavano i temi, tipicamente ermetici, della necessità di un personale contatto fra il maestro e il discepolo e di una necessaria segretezza dell’arte : Hortatur enim Plato in Euthidemo ut res celeberrimae atque archanac habcantur a philosophis apud se et paucis atque dignis communicentur... Idem omnibus iis, in quo- rum manus ista devenerint, consulimus: ne abutantur gratia et dono eisdem elargito. Et considerent quod figuratum est in Prometheo qui cum deorum ignem hominibus exhibuisset, ipsorum incurrit indignationem.!4 Assai più interessante di questi atteggiamenti che ripetono motivi diffusi, è il tentativo compiuto da BRUNO di mantenere la terminologia dell’arte ben distinta da quella in uso negli altri campi del sapere. Il termine “subdiectum”, chiarisce BRUNO, ha qui un significato diverso da quello che al medesimo termine viene attribuito in logica o in fisica. Esso viene qui assunto secundum intentionem convenientem, quae technica appellatur, utpote secundum intentionem artificialem. Non è il SOGGETTO di una PREDICAZIONE formale che, in logica, viene contrapposto al PREDICATO, né quello della forma sostanziale detto le o materia prima. Non è il SVBIECTVM delle forme accidentali né di quelle artificiali che ineriscono ai corpi naturali: sed est SVBIECTVM formarum phantasibilium apponibilium, et remobilium, vagantium et discurrentium ad libitum operantis phantasiae et cogitativae. Allo stesso modo il termine “forma” non è usato come sinonimo di idea, così come avviene nella metafisica platonica; né come sinonimo di essenza, così come avviene in quella peripatetica. Non indica, come nella fisica, la forma sostanziale o accidentale informante la materia; né, secondo l’accezione tecnica, indica una intentionem artificialem additam rebus physicis. L'universo di discorso del termine “forma” è, per BRUNO, quello di una logica non razionale, ma fantastica. Forma sumitur secundum [Opp. lat.] rationem logicam NON QVIDEM RATIONALEM SED PHANTASTICAM quatenus nomen logices amplius accipitur. Quest'ampliamento della logica tradizionale, questa costruzione di una LOGICA FANTASTICA è in realtà uno dei motivi essenziali del discorso bruniano. Chi, come TOCCO, nettamente separa nella produzione bruniana le opere mnemotecniche da quelle lulliane contrapponendo il carattere psicologico delle prime al carattere metafisico delle seconde ha distinto, in modo artificiale, ciò che in BRUNO sj presenta organicamente connesso e ha finito per precludersi la via ad una effettiva comprensione degli elementi di novità presenti nella posizione bruniana. L'atteggiamento sostanzialmente nuovo che BRUNO assume nei confronti della tradizione della mnemotecnica retorica e dell’eredità del lullismo è determinato proprio dal tentativo di trovare un punto di convergenza o un terreno comune (o, se si vuole, di operare una sintesi) fra due tecniche che erano nate da diverse esperienze e che avevano a lungo proceduto lungo due linee non convergenti. In quanto seguace di Lullo, BRUNO trasferisce all’interno dell’arte della memoria quelle esigenze metafisiche caratteristiche del lullismo. In quanto riformatore dell’ars reminiscendi, egli non esita a servirsi, accostandoli a quelli tradizionali, degli accorgimenti e delle regole teorizzati dai seguaci della combinatoria. Su queste basi egli conduce la sua polemica contro i suoi predecessori e su queste basi giunge a differenziare la sua dalle altre posizioni. In primo luogo egli rifiuta quel rapporto di tipo convenzionale che i teorici dell’ars memoriae avevano posto tra il luogo e l’immagine. Contro questa posizione egli sostiene la necessità di una connessione reale -- che può essere una associazione o un nesso di tipo logico -- tra il subiectum e l’adiectum. In secondo luogo, e sulla base di questa esigenza, BRUNO sostituisce ai tradizionali elenchi delle casalinghe immagini degli oggetti d'uso presenti nei testi, complicate immagini mitologi- [Cfr. Opp. lat., Tocco, Le opere latine, Opp. lat. Opus est non ita adiecta subiectis applicari, quasi ca casu et ut accidit proiiciantur... ita adcoque invicem conneva, ut nullo ab invicem discuti possint turbine.] che ed astrologiche -- attinte alla tradizione ermetica -- che gli offrono la possibilità di una rappresentazione visiva non solo del soggetto, ma anche dei rapporti intercorrenti tra il soggetto centrale e tutti i caratteri e le nozioni che sono ad esso collegati secondo un ordine sistematico. In terzo luogo, BRUNO concepisce le figure ruotanti teorizzate da Lullo come strumenti per la memoria artificiale. Nelle diverse ruote possono essere simbolizzate, mediante lettere alfabetiche latine, tutti gli elementi costitutivi dell’arte. I centotrenta luoghi fondamentali ricavabili dalle varie combinazioni, mentre si presentano come essenziali in vista della piena realizzazione della memoria artificiale, indicano al tempo stesso anche gl’elementi presenti in un sistema qualunque di relazioni logiche. Tra logica e arte della memoria non si danno, per BRUNO, differenze sostanziali. La logica memoraziva che è al culmine delle sue aspirazioni ha una parentela assai stretta con la metafisica: «l’arte — egli scrive — è un certo abito dell’anima raziocinante che si distende da ciò che è il principio della vita del mondo al principio della vita di tutti i singolari. Esaminando i testi dei grandi commentatori rinascimentali dell’Ars magna, abbiamo già rilevato come il problema di una tecnica memorativa, rispetto alla quale gli alberi le ruote le tavole si pongono come strumenti, si presentasse come costi- tutivo rispetto agli sviluppi della combinatoria. Si è d'altra parte sottolineato anche il fatto che quest'idea di una logica memorativa si presenta strettamente collegata a quella inter- pretazione enciclopedistica del lullismo che, facendo leva sul- l’immagine lulliana dell’albero, trasforma molti dei commenti lulliani in vere e proprie enciclopedie o tentativi di classifica- zione degli elementi che costituiscono il mondo reale e il mondo della cultura." Chi abbia presenti queste conclusioni non potrà certo meravigliarsi né dell’insistenza bruniana sugli aspetti mnemotecnici del lullismo, né dei suoi tentativi di de- [Sull’ applicazione delle immagini zodiacali di Teucro Babilonico all'arte cfr. VASOLI (si veda), Umanesimo e simbologia. Cfr. Opp. lat.,  scrizione degli elementi costitutivi dell'universo mediante il riferimento ai nove subiecta dell’arte.” Alla luce di queste considerazioni non apparirà più soste- nibile neppure quella tesi del Tocco secondo la quale un’opera come il De progressu et lampade venatoria logicorum sarebbe « un compendio della topica aristotelica » affatto indi- pendente dai commenti all’arte lulliana. Il ricorso alle immagini del campo, della torre, del cacciatore permette di collegare questa indagine sulla dialettica ai trattati sulla memoria, mentre l’esplicito riferimento alle figure consente un accostamento alla tematica del lullismo. Ma non si tratta solo di ragioni “interne”; in molti dei testi dell’enciclopedismo cin- quecentesco (si pensi per esempio allo scritto /2 RAetoricam Isagoge) il lullismo appare fortemente intrecciato ai temi della cosmologia e della retorica.?* Non a caso, anche BRUNO e fortemente interessato al problema di un’applicazione dell’arte alla retorica e alla fisica: nell’Artificium perorandi (dettato a Wittenberg c pubblicato dallo Alsted) egli tenta una applicazione della mnemotecnica lulliana ai diversi tipi del discorso retorico, mentre nella Figuratio aristotelici physict auditu avvia una traduzione in immagini dei concetti centrali della fisica aristotelica. Nei testi londinesi le complesse immagini dei sigilli erano state assunte da BRUNO a indicare non direttamente gli oggetti da ricordare, ma le regole stesse dell’arte. Ma più che su questi testi, peraltro molto significativi, gioverà qui sotto- lineare la valutazione del lullismo che è presente nel De lampade combinatoria: Agrippa non riuscì a penetrare (« aut prorsus non penetravit, aut non satis ») nel valore dimo- strativo della combinatoria e si servì dell’arte per celebrare se stesso piuttosto che i testi lulliani; più degni di considerazione furono i tentativi di Lefèvre e di BOVILLO (si veda); solo attraverso la riforma bruniana l’ars magna è giunta al suo pieno compi- [Cfr. Opp. lat.,  TOCCO, Le opere latine, cCfr. Opp. lat. Si vedano le considerazioni di VASOLI (si veda), Umanesimo e simbologia. mento ed è pervenuta al più alto grado possibile di perfezione: « artem hanc a Lullo adinventam ita complevimus ut ab omni contemptibilitatis praetextu vindicavimus... ut om- nino impossibile sit ei aliquid amplius adiicere ».°” In questo rapido quadro assume un rilievo tutto particolare il richiamo a quella comune fonte dalla quale derivarono la metafisica teologica di Scoto Eriugena, l’arte lulliana, i misteri di Cusano, la medicina di Paracelso: Hic super illius adinventionem excolendam claboravi- mus, cuius genium summi philosophorum principes ha- biti admirantur, persequuntur, imitantur; unde  Scoti- gena thcologicam metaphysicam, vel metaphysicam (quam scholasticam appellant) theologiam, cum subtilibus aliis extrassisse constat; a quo admirandum illud  vestratis Cusani quanto profundius atque divinius, tanto paucioribus pervium minusque notum ingenium, mysteriorum, quac in multiplici suac doctrinae torrente delitescunt, fontes hausisse fatetur; a quo novus ille medicorum princeps. Paracelsus. Le ragioni di questi accostamenti apparvero già chiare a TOCCO: l’opera di Lullo fu valutata da BRUNO come una delle principali espressioni di quel neoplatonismo che, muovendo dalla identità di ideale e reale, ritiene di poter proce- dere ad una costruzione della realtà mediante la determinazione del movimento delle idee. Mentre si configurava come un rifiuto della logica tradizionale e andava sostituendo le immagini ai termini e la topica all’analitica, l’arte bruniana si muoveva su un terreno ben diverso da quello delle indagini dialettiche, rifiutava ogni identificazione con una tecnica linguistica o retorica, intendeva aprire possibilità di prodigiose avventure e di costruzioni totali: « Quaedam vero adeo arti videntur appropriata, ut in eisdem videatur naturalibus omnino suffragari: haec sunt Signa, Notae, Characteres et Sygilli: in quibus tantum potest ut videatur agere praeter naturam, supra naturam, et, si negotium requirat, contra naturam. Il fine dell’arte non consiste semplicemente in un rafforzamento della memoria o in un potenziamento delle fa- [Opp. lat. coltà intellettuali: essa «ad multarum facultatum inventionem, viam aperit et introducit. Non a caso nei testi più significativi della magia bruniana troviamo ancora presente il ricorso ai sigilli, ai segni, alle figure che vengono avvicinati ai gesti e alle cerimonie come elementi costitutivi ed essenziali di quel linguaggio mistico-rituale che, solo, può aprire la strada a colloqui divini: cum certo numinum genere non nisi per definita quaedam signa, sigilla, figuras, characteres, gestus ct alias cerimonias, nulla potest esse participatio. Nella concezione bruniana della magia come forza ministra e dominatrice della natura, capace di intendere le segrete corrispondenze fra le cose e di cogliere le formule ultime della realtà, in opere come il De Magra, le Theses de Magia, il De Magia mathematica trovavano davvero la loro risoluzione i problemi dibat- tuti nelle opere mnemotecniche e lulliane.?! L'immagine di un universo unitario che va interpretato e decifrato mediante i simboli giungeva qui, come già nel Sygilus, al suo pieno compimento: Una lux illuminat omnia, una vita vivificat omnia. Atque altius conscendentibus non solum conspicua erit una omnium vita, unum in omnibus lumen, una boni- tas, et quod omnes sensus sunt unus sensus, omnes no- titiac sunt una notitia, sed et quod omnia tandem, utpote notitia, sensus, lumen, vita sunt una essentia, una virtus et una operatio. Alla comprensione della magia bruniana, del grandioso tentativo del Nolano di dar luogo ad un'arte capace di av- vicinare gli uomini ponendosi come strumento essenziale ad una riforma delle religioni, potrebbe giovare non poco un esame, analiticamente condotto, dei rapporti fra BRUNO lulliano e mnemotecnico e quello, più noto, delle opere maggiori. Da un tale esame potrebbero forse derivare anche con- tributi non trascurabili ad una comprensione della lingua e dello stile bruniani. Nel ritmo convulso della sua prosa ita- liana sarebbe difficile continuare a vedere (come vuole uno storico insigne della letteratura) un «affidarsi all’istinto e al- 30 Opp. lat., HI, De Magia). Cfr. VASOLI (si veda) Umanesimo e simbologia simbolismo. Opp. lat., Opp. lat. l'abbondanza della vena ». Il compito delle immagini, poste accanto ad un soggetto, è quello di « presentare, effigiare, de- notare, indicare, per esprimere e significare a somiglianza della pittura e della scrittura ». La molteplicità delle imma- gini deve indicare ed esaurire i significati, impliciti ed espliciti, contenuti nelle idee centrali e costituire con esse una inscindi- bile unità. Dietro il continuo ritorno delle immagini, l’ab- bondanza delle ripetizioni, il succedersi dei simboli che in- tendono raffigurare sensibilmente i concetti stavano in realtà anche precise convinzioni di natura “filosofica”: « philosophi sunt quodammodo pictores atque poetae, poetae pictores et philosophi, pictores philosophi et poetae, mutuoque veri poe- tae, veri pictores et veri philosophi se diligunt et admirantur; non est enim philosophus nisi qui fingit ct pingit. Esaminando le enciclopedie e i teatri universali della seconda metà del Cinquecento, considerando i testi bruniani, abbiam visto che l’ars memorativa di derivazione ‘cicero- niana”, mentre si congiungeva con l’eredità della tradizione lullista, si collegava anche strettamente ai temi di una metafi- sica esemplaristica e neoplatonica, ai motivi della cabala, agli ideali della magia e dell'astrologia, al gusto per le immagini, i simboli, le cifre, le imprese e le allegorie. La ricerca di una «chiave universale » capace di decifrare «l’alfabeto del mon- do » e di individuare la trama costitutiva della realtà, l’aspi- razione ad un teatro enciclopedico che fosse lo « specchio » fe- dele della realtà, avevano piegato ad esigenze nuove e a fini diversi da quelli originari le tecniche della memoria arti- ficiale. Inseriti nel discorso, pieno di toni iniziatici, di una magia rinnovata, gli accorgimenti per la costruzione di un'arte memorativa avevano finito per perdere ogni contatto con il terreno delle scienze mondane della dialettica, della retorica, «della medicina e per apparire miracolosi strumenti per il rag- giungimento del sapere totale o della pansofia. Su questo terreno si mossero [Cfr. CORSANO (si veda), Il pensiero di BRUNO, non pochi fra i sostenitori e i seguaci delle arti mnemo- niche e del lullismo. Negl’anni stessi che vedevano Cartesio interessato al lullismo e alle arti della memoria, vedevano la luce a Lione le opere di Paepp. Una di queste, lo Schenkelius detectus seu memoria artificialis hactenus occultata era un ampio commento dell’Ars memoriae dello Schenkel, un testo ben noto a Cartesio. Negli Artificiosae memoriae fundamenta e nella Introductio facilis in praxin artificiosae memoriae, Paepp si sofferma ad illustrare a lungo le dottrine aristoteliche ciceroniane CICERONE e tomiste AQUINO sulla memoria, ma mostra di aver subìto anche le influenze del lullismo e dei suoi esponenti più significativi, da BRUNO allo Alsted. Proprio sulle tracce di quest'ultimo, in aspra polemica con i denigratori dell’arte, egli sostene la opportunità di una stretta connessione della logica con la mnemo- tecnica. Mentre la prima appare necessaria ad alcune arti e discipline, la seconda è indispensabile ad ogni forma di sapere. Mentre sottolinea la funzione mnemonica dei circoli lulliani e detta accorgimenti per decifrare i testi dell’ars notoria, Paepp elimina non a caso ogni distinzione tra “ciceroniani” CICERONE e “lullisti” collocando in uno stesso elenco, tra [Jon. Paerr, Arzificiosae memoriae fundamenta ex Aristotele, CICERONE, AQUINO, altisque praestantissimis doctoribus petita, figuris, interrogationibus ac responsionibus clarius quam unquam antehac demonstrata, Lugduni, apud Bartholomeum Vincentium; Eisagoge, seu introductio facilis in praxin artifiosae memoriae, ibidem; Schenkelius detectus, seu memoria artificialis hactenus occultata (Triv. Mor. Sed miror cur cidem (i negatori dell’arte) non et logicam artifi- cialem nigro calculo notent. Ut enim logica artificiosa intellectui rerum cognitionem secutius venatur, sic artificiosa memoria acquisitam ac comparatam cognitionem tenacius conservat ac tuetur naturali; quare Alstedius non minus hanc ad omnes artes et disciplinas, quam istam ad nonnullas necessariam probat. Artificiosae memoriae fundamenta. Sulla funzione dei circoli cfr. gli Artificiosae memoriae fundamenta; sulla scrittura segreta da impiegare nell’ in- segnamento dell’ arte cfr. dove vengono dettate due regole fondamentali: Legendum more hebraico, puta ordine retrogrado; 2) Alpha et omega sunt otiosa id est primae et ultimae literae non habetur ratio  osras significa ars; codrot ordo, bogamir imago ecc i fondatori e i teorici dell’arte, Quintiliano e CICERONE (si veda), Lullo e GRATAROLI (si veda), TOMAI (si veda) e Romberch, ROSSELLI (si veda) e BRUNO (si veda), Schenkelius e Alsted. Non poche delle sue pagine appaiono dedicate a discutere le posizioni bruniane e, come già Bruno, anch'egli si richiama alle immagini degli dèi antichi e dell’astrologia trasformando la sua trattazione in una elencazione di temi iconografici Saturnus, homo senex, pannosus, capite aperto, altera manu falcem, altera vero nescio quid panno involutum gestans... Iupiter apud veteres effingebatur sedens, in inferioribus partibus nudus. Più volte, negli scritti del Paepp, ritornano dettagliate narrazioni e minuziosi resoconti di miracolosi fenomeni di capacità mne- moniche.?® Più che a una discussione dei temi attinenti alla retorica o alla enciclopedia, il Paepp è fortemente interessato alla descrizione dei mirabili risultati cui si può pervenire con l’aiuto dell’arte. Le tecniche della combinatoria e dell’ars reminiscendi venivano qui utilizzate su un piano che presenta non pochi punti di contatto con quello della magia e dell’oc- cultismo: mediante l’arte è possibile trasformare rapidamente un fanciullo in un sapiente, entrare in possesso di prodigiose virtù, giungere a suscitare la stupefatta amimrazione dei dotti e dei reggitori della cosa pubblica. Già in BRUNO, abbiamo visto, la tematica del lullismo e dell’ars reminiscendi era apparsa strettamente connessa alle aspirazioni e agli ideali della magia. L’ars inveniendi e l’arte memorativa si configuravano spesso come progetti di fonda- zione di un’arte mirabile capace di condurre entro i segreti della natura e di decifrare la scrittura dell’universo. Non si trattava solo di ampliare, mediante l’arte, le capacità mnemo- niche: la tecnica lulliana si pone in BRUNO come ricerca e definizione dei ritmi della natura; il riferimento ai subiecta dell’arte consente di determinare contemporaneamente i prin- [Cfr. Eisagoge seu introductio. Per i rapporti del Paepp con il Bruno cfr. N. Bapatoni, Appunti intorno alla fama di BRUNO, Società. Per l’uso delle immagini degli dèi antichi in Paepp cfr. gli Artificiosae memoriae fundamenta.  Cfr. Artificiosae memoriae fundamenta, e soprattutto Schenkelius detectus] cipi del discorso e gli elementi costitutivi della realtà. All'arte bruniana della memoria, in quanto prodotto magico o arte segreta capace di ampliare smisuratamente le possibilità umane, si interessarono com'è noto Pio V, Enrico III, MOCENIGO (si veda). Un discorso certo molto diverso, ma non in tutto dissimile converrebbe fare per CAMPANELLA che ama anch'egli presentarsi come dotato di miracolose facoltà: a FARNESE (si veda) egli assicura di poter insegnare filosofia naturale e morale, logica, retorica, poetica, politica, astrologia e medicina con un metodo speciale che avrebbe consentito di realizzare in un anno maggiori risultati di quelli ordinariamente conseguibili con dieci anni di normale insegnamento. Questo stesso concetto e la stessa insistenza sulla possibilità di una straordinaria facilità di apprendimento, ritroviamo nelle pagine della Città del Sole. Prima di dieci anni, i fanciulli della città solare apprendono senza fastidio tutte le scienze servendosi di quella gigantesca enciclopedia che risulta dalle immagini dipinte sulle pareti delle sei muraglie Questo ricorso all’immagini come elemento essenziale ha, in CAMPANELLA, un significato non trascurabile. All’enciclopedismo lullista, fondato sui termini e sui procedimenti logicomate- matici, egli ne contrappone un altro fondato sulle immagini sensibili delle cose. Nel “De investigatione rerum”, CAMPANELLA fa riferimento ad una dialettica “ex solo sensu” che classifica gl’oggetti del senso in nove categorie -- ut quilibet de quacumque re NON PER VOCABVULA tantum, ut Lullio mos est, sed per sensibilia obiecta ratiocinari posset. A questa stessa esigenza di un SAPERE NON-VERBALE, fondato sul senso e sulle cose, rispondono del resto le osservazioni, svolte nel De sensu rerum et magia, sulla memoria come senso anticipato, le sue critiche alle tesi della medicina peripatetica, la sua affermazione che sia possibile operare sulla memoria con i ritrovati della medicina, la identità, più volte affermata, di [Per l’enciclopedia dipinta sulle muraglie e per la facilità dell’ ap- prendimento delle scienze cfr. La città del sole, in Scritti scelti di BRUNO e di CAMPANELLA, cur. Firpo, Torino. Del senso delle cose e della magia, Bari] memoria e imaginativa. Si comprenderà anche, tenendo presenti queste considerazioni, come egli potesse guardare con simpatia alla « memoria locale che fa larghissimo uso di immagini sensibili. Gli stessi risultati cui è pervenuta la mne- motecnica “citeroniana” appaiono in tal modo a CAMPANELLA una conferma della sua definizione della memoria come senso indebolito: l’arte della memoria locale, al senso esposta in cose assai sensibili e note, ponendo le cose cognite per simi- glianza, mostra che la memoria sia senso indebolito che così si rinnova e fortifica. Quell’arte della memoria locale, alla quale fa riferimento CAMPANELLA, non manca certo di cultori: nei saggi di  GESUALDO (si veda) e di MARAFIOTI (si veda), di Johannes Austriacus e di Bruxius, di RAVELLI (si veda)  e di Schenkel, di Willis e di Azavedo, ritornavano i temi e le regole della 42 Cfr. JoannIs MarciRI, De memoria artifictosa, Francofurti (Fir. Naz. 3.8.530); la Plutosofia del Reverendiss. Padre F. Filippo Ge- sualdo dei Minori Conventuali nella quale si spiega l’arte della me- moria, Vicenza, Heredi di Perin Libraro (Triv. Mor. H.); F. GiroLamo Manarioro, Nova inventione et arte del ricordare per luoghi et imagini et figure poste nella mani, Venezia (Triv. Mor. M.); la traduz. latina dell’opera del Marafioto: De arte remuni- scentiac per loca et imagines ac per notas et figuras in manibus post- tas fu pubblicata e inserita nella edizione (qui di seguito ci- tata) del Gazophylacium artis memoriae dello Schenkelius. Nella stessa edizione è inserito il De memoria artificiosa libellus di Johannes Austriacus (Angelica, SS.); fra i commentatori del De memoria dello Schenkel (pubblicata per la prima volta nel 1595) sono da segnalare gli scritti di Martin Sommer (Venezia) sotto il cui nome si nasconderebbe secondo il Morhof (Po- Iyhistor, I, p. 374) lo stesso Schenkel e l’Ars memoriae... in gratiam et usum inventutis explicata, Francofurti, typis N. Hoffmanni, di Francesco Martino Ravelli (Ravelinus) (Par. Naz. Z. 58347). Più interessante è il Simonides redivivus sive ars memoriae et oblivionis... tabulis expressa... cui accessit Nomenclator mnemonicus, Lipsiae, im- pensis T. Schureri, 1610 di Adamus Bruxius (Par. Naz.) poi ristampata. Ad un anonimo professore di Lipsia si deve l'Ars memoriae localis plenius et luculentius exposita... cum applica tone ciusdem ad singulas disciplinas et faculates, Lipsia. Non sono riuscito a vedere questo testo né JoHANNES VELASQUEZ DE AZAVEDO, Fenix de Minerva y arte de memoria que ensena sin maestro a apren- der y retenir, Madrid (il titolo riecheggia quello del Ravennate TOMAI). mnemotecnica “classica”, venivano commentate e discusse le opere sulla memoria di Aristotele, di CICERONE, di Quintiliano, d’AQUINO, di TOMAI, si tentano combinazioni e sintesi tra la mnemotecnica ciceroniana e la combinatoria di Lullo, si costruivano teatri ed enciclopedie, sî escogitano nuove, più complicate immagini, si conducevano discussioni sul segno, sul gesto e sul geroglifico. Più che questi saggi, che contribuiscono a diffondere una tematica già largamente nota e ad alimentare discussioni da tempo iniziate, appaiono degni di considerazione altri saggi nei quali la magia non costituisce soltanto — come per BRUNO e per CAMPANELLA — lo sfondo culturale sul quale si collocano le arti della memoria, ma offre a queste una precisa giustificazione di ordine teorico. In questi scritti la connessione tra le tecniche magiche e quelle della memoria viene esplicitamente teorizzata e l’ars reminiscendi viene presentata come un prodotto di magia. Nella Magia naturalis di Hildebrand A Lipsia- Francoforte, nel vede infine la luce, con il titolo Variorum de arte memoriae tractatus selecti, una raccolta di scritti com- prendente le opere dello Schenkel, del Ravelli, del Paepp, dell'Au- striacus, del Marafioto, dello Spangerberg. Lo Schenkel, cui toccò in sorte di essere discusso brevemente da Cartesio, è figura particolar- mente interessante: fortunato insegnante c diffusore dell’arte  mnemonica in ITALIA -- artem hanc — scrive il Morhofius — magno cum successu suo nec sine insigni suo lucro exercuit ») fu accusato dì stregoneria durante un suo soggiorno a Lovanio, riuscendo poi ad ottencre protezione ed appoggio dalla facoltà teologica di Douai. La prima edizione della sua opera, poi spessissimo ristampata: De memoria liber secundus in quo est ars memoriae, Leodii, Leonardus Straele. Insieme ai tre opuscoli sopra ricordati dell’Austriacus, del Marafioto e dello Span- gerberg l’opera fu ristampata con il titolo Gazophylacium artis me- moriace, Argentorati, Antonius Bertramus (Angelica). Fra i suoi scritti, che comprendono una Apologia pro rege catholico in calvinistam, Anteverpiae, ec una raccolta di Flores et sententiac in- signiores ex libris de Constantia Justi Lipsit (Par. Naz.), è stato ristampato, in edizione moderna, il Com- pendium der Mnemonik, con testo latino e trad. tedesca a cura di Kliber, Erlangen, Palm. All’insegnamento di quest'auto- re si richiama anche la curiosa enciclopedia di Aprian LE Cuiror, Le magazin des sciences, ou vrai art de mémoire découvert par Schen- Relius, traduit et augumenté de l’alphabet de Trithemius, Paris, ]J. Quesnel, che amplia molto il testo originario (Par. Naz. la creazione della memoria artificiale viene presentata come la applicazione dell’arte magica ad una particolare forma dell’operare umano. Nella Regina scientiarum e nella Enciclopaedia Pierre Mo- restel insiste su temi largamente diffusi: la regina delle scienze, che è l’arte di Lullo, non verte su un oggetto particolare, ha caratteri tali di generalità c di certezza da presentarsi come totalmente autosufficiente, da essere in grado di consentire il pieno raggiungimento della verità in ogni ramo del sapere. All’arte mnemonica degli antichi, fondata sulla dottrina dei luoghi e delle immagini, Morestel contrappone, come nuova arte della memoria, la combinatoria lulliana. Nei suoi scritti la trattazione dei temi del lullismo e della mnemotecnica si collega con quella della filosofia occulta dei filosofi presocra- tici, con l'interpretazione delle favole antiche, con la tematica della cabala, con la ricerca di una chiave universale.*' Alla 49 W. Hiupesranp, Magia naturalis, das ist, Kunst und Wunderbuch, darinne begriffen Wunderbaren Secreta,, Geheimniisse und KRunststi- che... Leipzig,  Cfr. Pierre MoRESTEL, Enciclopaedia sive artificiosa ratio et via cir- cularis ad artem magnam R. Lullit per quam de omnibus disputatur habeturque cognitio, s.l., in collegio Salicetano (Par. Naz.); La philosophie occulte des devanciers d'Aristote et de Platon, en forme de dialogue, contenant presque tous les préceptes de la phi- losophie morale extraite des fables anciennes, Paris, T. Du Bray (Par. Naz.); Les secrets de la nature... contenant presque tous les préceptes de la philosophie naturelle extraite des fables anciennes, Paris, R. de Beauvais (Par. Naz.); Artis kabbalisticae sive sapientiae divinae academia, Parisiis, apud M. Mondière (Par. Naz.); Regina omnium scientiarum qua duce ad omnes scientias et artes, qui literis delectantur facile conscendent, Tremoniae, apud Jodocum Kalcovium (lRothomagi2) (Casanat.). La definizione dell'arte di Lullo, presente in questi testi, è ricalcata secondo schemi convenzionali: Ars R. Lullii non vul- garis, non trivialis, non circa unum aliquod obiectum occupata, sed ars omnium artium regina... Huius artis ea est excellentia praestan- taque, ea generalitas ac certitudo, ut, se sola sufficiente, nulla alia praesupposita... cum omni securitate et certitudine... de omni re sci- bili veritatem ac scientiam non difficulter invenire faciat. Più inte- ressante è l’interpretazione della combinatoria come arte mnemonica: “ Artificium igitur memoriae, a veteribus traditum, locis constabat et Imaginibus; quidni igitur dabitur aliqua ars memoriae quae terminis constabit? Talis est ars Lullii, cuius termini generales patefaciunt adi- medicina mnemonica di Gratarolo, e quindi alla tradizione dell’aristotelismo, si richiama invece l’anonimo autore di un Ars magica pubblicata a Francoforte che dedica alla memoria e alle immagini astrologiche impiegate per rafforzarla, due capitoli del suo trattato. Nel Pentagonum philosophicum medicum, sive ars nova reminiscentiae di Lazare Meyssonnier, medico del re di Francia e corrispondente di Cartesio, cultore di medicina astrologica, di chiromanzia e di fisiognomica, ritornano i temi della medicina della memo- ria, del lullismo, della cabala. Nella Belle magie ou science de l’esprit egli presentava, in funzione della medicina magica, un methode de conduire la raison e una logique naturelle pour resoudre toutes sortes de questions.'Questa stessa esigenza di un metodo universale si accompagna, nei testi di medicina magica di Jean d’Aubry, alla affermazione di una scienza unitaria e suprema rispetto alla quale le parti- tum non solum ad inventiones plurimas... sed etiam maxime faciunt ad memoriam, cum sint quasi via artificiosa et methodica ad corri- gendum defectum, roborandam infirmitatem et sublevandam virtutem memoriac naturalis (Cfr. Regina scientiarum). Cfr. Lazare MryssonnIER, Penzagonum  philosophicim - medicum sive Ars nova reminiscentiae cum institutionibus philosophiac naturalis et medicinac sublimioris et secretioris... clave omnium arcanorum na- turaltum Macrocosmi et Microcosmi, Lugduni, J. ct P. Prost fratres (Par. Naz.); La delle magie ou science de l'esprit contenant les fondemens des subtilitez ct de plus curicuses et secrètes connoitssances de ce temps, Lyon, chez Nicolas Caille (Triv. Mor.). Delle suc competenze astrologiche ci dà testi- monianza lo stesso Mcyssonnier: « Apres avoir durant vingi-cinq ans cxaminé soigneusement les écrits et les observations de ceux qui ont traité de l'astronomie ct de l'astrologie, dressé ct jugé plus de deux mille figures de nativité, qu'on nomme vulgairement horoscopes... » Cfr. Aphorismes d'astrologie tirée de Ptolomée, Hermes, Cardan, Munfredus et plusieurs autres, traduit en frangois par A.C., Lyon, Mi- chel Duhan  (Triv. Mor. M.). La teoria del conarinrm sostenuta dal Meyssonnier nel Pentagonum e nella Belle magie dovrebbe essere studiata anche in vista di una comprensione dell'atteggiamen- to assunto da Descartes verso questo curioso personaggio. Per i con- tatti di Meyssonnier con Mersenne c Cartesio cfr. la lettera di Meys- sonnier a Mersenne ricordata in Adam et Tannery, HI, la prima lettera a Descartes è andata smarrita e così pure la risposta alla lettera cartesiana (Adam et T.); si vedano anche le lettere di Descartes a Mersenne (Adam cet T.,] colari scienze hanno carattere di apparenza. Mentre traccia le linee di una grande enciclopedia, egli insiste energicamente sulla sostanziale unità del sapere e sulla artificialità di ogni separazione tra le singole discipline : « Dans les trois premiers chapitres tu y verras toutes les connoissances du monde et un ordre de toutes choses.... Et tu apprendras aussi dans le troisième chapitre qu'il n'y a qu’une seule science parce qu'il n’y en a qu’une seule laquelle donne reponse sans user d’aucune espece de divination.... La science... laquelle me donne des resolutions et reponses infaillibles de toutes choses, comme estant la règle de toute verité ».*° Anche nei testi di Fludd, che è il più noto e signi- ficativo esponente dell’ermetismo e del simbolismo cabalistico del Seicento, troviamo un’ampia trattazione, del resto con- dotta secondo canoni assai convenzionali, dell’arte memora- tiva. Cfr. Jean D’AuBry, Le triomphe de l'archée et la merveille du monde, ou la medicine universelle ct veritable pour toutes sortes de mala- dies les plus desesperées... Etablie par raisons necessatres et demonstra- tions infaillibles, A Paris, chez l’auteur, avvertimento al pubbli- co, pp. non numerate (Vatic. Racc. Gen. Medicina). In que- sta ediz. francese, che segue a quella latina — Triumphus archei et mundi miraculun sive medicina universalis, Francofurti (Braid.) — è compresa, in appendice, la Apologie contre certatns docteurs en médicine... respondant à leurs calomnies que l'au- theur a guéry par art magique beaucoup de maladies incurables et aban- donces, già pubblicata a Parigi. Fra gli scritti più particolar- mente dedicati a Lullo si veda la traduzione della Blanquerna (Le Triomphe de l'amour et l’eschelle de la gloire, ou la médicine univer- selle des ames, ou Blanquerne de l'amy et de l'aimé, Paris, s.d. Par. Naz.), l' Abregé de l'ordre admirable des connoissances et des beaux secrets de saint Raymond Lulle martyr, s. d. (Par. Naz.) e Le firmament de la vérité contenani le nombre de cent démons- trations... qui preuvent que tous les prestres... abbés, commandataires, prédicateurs et bernabites doivent étre damnés éternellement s'ils ne vont prescher l’ Evangile aux Turcs, Arabes, Mores, Perses, Musulmans et Mahométans, Grenoble, J. de la Fournaise (Par. Naz.). Ma si vedano nell’Apologie le otto ragioni, elencate dal d’Aubry, per le quali i libri di Lullo doivent estre receus de mesme que ceux d'un Père de l’Eglise ». 4° R. FLupp, Tomus secundus de supernaturali, naturali, praeterna- turali et contranaturali Microcosmi historia, Oppenheimi, typis Hie- ronimi Galleri, In piena atmosfera magica ed ermetica ci riporta anche il Traicté de la memoire artificielle pubblicato a Lione, da Belot e inserito, a guisa di appendice, nelle Familières instructions pour apprendre les sciences de Chiromancie et Phystonomie.** L° intera combinatoria lulliana viene iden- tificata dal Belot con una «memoria artificiale »j mediante la miracolosa invenzione di Raimondo, « homme d’exquise erudition », è possibile abbreviare in modo prodigioso il cam- mino della scienza e sostituire al lavoro di un’intera vita il rapido apprendimento dei princìpi fondamentali e costitutivi i ogni ramo del sapere. Per svelare l’essenza dell’arte, che Lullo volutamente nascose sotto una serie di enigmi, per su- perare le posizioni di Bruno, di Agrippa, di Alsted e di Lavinheta, per mettere l’arte alla portata di tutti («cet arte estoit necessaire à ceux qui font profession de faire sermons... ou quelque trafic de marchandise »), Belot propone di asso- ciare la combinatoria alla chiromanzia sostituendo alle figure della combinatoria e alle immagini della mnemotecnica cice- roniana, le figure e i termini in uso nell'arte chiromantica. Nonostante le pretese di assoluta novità, le ruote delle quali [Cfr. Les Oeuvres de Belot contenant la chiromance, phy- sionomie, l'art de mémoire de Raymond Lulle, traité des devinations, augures et songes, les sciences steganographiques paulines et almadelles et lullistes..., Lyon, chez Claude de la Rivière (Triv. Mor.). Oltre a questa edizione è da vedere l’altra di Rouen, chez Pierre Amiot, (Triv. Mor.) poi ristampata a Liegi. Sulle arti « paulines et almadelles » si veda la nota di L THoRnpikE, A/fodhol and Almadel: hitherto unnoted books of magic in florentine manuscripts, in  Speculum Le opere del Belot, che si mostrò favorevole alla teoria copernicana e parla di rourbillons de matière, andrebbero esaminate più detta- gliatamente di quanto non abbia fatto il Thorndike (History of magic and experimental science) anche perché in esse sono presenti evidenti tracce delle posizioni ramiste. A BRUNO, come ad uno dei maggiori teorici dell’arte, Belot si richiama più volte: cfr. Note bruniane, Rivista critica di storia della filosofia. Les oeuvres de ]can Bellot, ediz. Per la connessione tra chiromanzia e arte mnemonica cfr. l’opera di MARAIOTO (si veda)] Belot si serve appaiono ricavate dai commenti lulliani di Agrippa, mentre non mancano, in più punti, echi della trat- tazione bruniana. Proprio da Agrippa e da Bruno egli trae infatti la convinzione — in seguito sostenuta con maggior ampiezza nella RAetorigue — di una stretta connessione tra retorica-dialettica da un lato e lullismo ed arti segrete dal- l’altro. Il titolo del suo trattato è, da questo punto di vista, assai indicativo: La rhetorique par laquelle on peut discourir de ce qui est propre en l’oraison et de disputable par dialecti- que, selon la subtilité de l’art lulliste et autres arts plus secrets qui sont icy compris par une seule legon necessaire en tout art ».5° Le finalità di una retorica e di una dialettica fondata sul lullismo e sulla tradizione magico-alchimistica vengono presentate, non a caso, come coincidenti con quelle che già furono proprie dell’antica sapienza ebraica e dei sostenitori della cabala: Ce que l’antiquité a recherché avec beaucoup de labeur toutesfois sans en avoir acquis la parfaite connoissance, je te le donne tout entier: c'est ce qu'ont voulu acquerir les Prophetes, Mages, Rabins, Cabalistes et Massorets, et depuis eux le docte H. C. Agrippa. Portando la retorica e la dialettica sul piano dell’arti segrete, mescolando la combinatoria alla cabala, all’astro- logia, alla medicina magica, facendo corrispondere alle cinque partizioni della retorica nuove partizioni attinte alla tradi- zione ermetica,°® Belot porta così all’esasperazione, intorno alla metà del Seicento, una tematica che aveva avuto le sue più fortunate espressioni nell’opera di Agrippa, di BRUNO, di CAMILLO (si veda). Cfr. Les oeuvres, cit., p. 1 della seconda parte. °l Les oeuvres, cit., prefazione. Les oeuvres, cit., p. 3 della seconda parte: « Pour les parties, elles regoivent toutes les cinq pour bonnes et utiles, mais il y en a cinq autres particulieres aussi: car pour la memoire, elle a l’Art notoire...; pour l’action ou pronunciation, l’art Paulin et pour les autres parties, a pour l’elocution l’art d’Almadel; pour la disposition la seconde par- tie de la Theurgie et pour l’invention l'art des revelations, que Tri- theme dit venir d’ Ophiel, esprit Mercurial] qualche anno prima Bacone e Cartesio avevano assunto un atteggiamento fortemente polemico contro questo tipo di let- teratura. Su un punto essi avevano concordemente insistito: su questo piano la combinatoria lulliana e le arti della me- moria si risolvevano nell’inutile costruzione di giochi stupe- facenti atti a ingannare il volgo anziché a far progredire le scienze. L’eredità delle discussioni quattrocentesche sull’ ars me- morativa non era stata tuttavia raccolta solo dagli esponenti della magia e dell’ermetismo. Su un diverso terreno, quello di una rigorosa trat- tazione dei temi della dialettica e della retorica concepite come scienze mondane, in ambienti diversi, attenti alle dispute lo- giche, interessati agli sviluppi della matematica e della geo- metria, era andato maturando il tentativo ramista di inserire i problemi attinenti alla memoria e le regole della mnemotecnica entro una più vasta ri- cerca concernente la riforma dei metodi di invenzione e di trasmissione del sapere. Il problema degli « aiuti della memo- ria » giungerà per questa via ad acquistare una singolare risonanza anche nei testi dedicati, ed una riforma del metodo: Bacone vedrà nella ministratio ad memoriam un elemento costitutivo del nuovo metodo delle scienze; Cartesio parlerà, a proposito della enu- merazione, di un movimento continuo del pensiero che ha lo scopo di recar soccorso alla naturale infermità della memoria. Più che in Francia, dove pure vedono la luce non pochi testi di ars memoraziva, la tradizione ciceroniana CICERONE che si ispira in tutta Europa all'opera di TOMAI, trova in ITALIA, come abbiamo visto, i suoi più fortunati e clamorosi sviluppi. Per quanto riguarda la Francia è dunque il caso di insistere — trascurando testi come la Memoria artificialis di CAMPANO (si veda) e l’Ars memorativa del Leporeus (Parigi) che si [Non ho visto l'opera di CAMPANO da Novara (si veda) delle cui caratteristiche discorre il Morhofius; dell’Ars  memorativa Guglielmi Leporei Avallonensis ho visto l'edizione parigina in Chalcographia Iodoci Badii Ascensii (Triv. Mor. limitano a riecheggiare stancamente l’opera del Ravennate TOMAI — sulla posizione assunta, di fronte al problema dell’ars me- moriae dal maggior esponente degli studi logici e retorici di questo periodo della cultura francese. Invece di teorizzare l’arte mnemonica come una tecnica autonoma, costruita in vista di fini pratici ben determinati e indipendente dagli svi- luppi della retorica e della logica, Pietro Ramo si preoccupa proprio dei rapporti che intercorrono fra la « memoria » da un lato e la dialettica e la retorica dall’altro. La sua opera di riformatore intende dar luogo a questo risultato: staccare de- cisamente la memoria dalla retorica, alla quale una secolare tradizione la aveva assegnata, e servirsene come di uno degli elementi costitutivi della dialettica o della nuova logica. Ramo, com'è noto, amò presentare la sua riforma come un ritorno agli insegnamenti della filosofia classica, come una semplificazione e una chiarificazione di quell’insegnamento aristotelico che era stato a suo avviso corrotto dalla confu- sione terminologica degli scolastici e da quella tradizione retorica che fa capo agli scritti di Quintiliano. Il filosofo che, in una brillante esercitazione, aveva inteso mostrare la falsità di tutte le proposizioni aristoteliche, non esiterà poi a dichiarare in modo significativo: « Libros veterum conservemus et ad eos, cum fuerit opus, recurramus: philosophiamque ex eorum libris collectam puram veramque doceamus ».° Né esiterà a rintracciare, negli stessi testi aristotelici, i fondamenti delle sue proprie partizioni della dialettica (« Qui partitur logicam in inventionem et dispositionem, Aristoteli authore partitur. Per qualche indicazione sulla bibliografia intorno a Ramo cfr. la mia rassegna Ramismo logica e retorica Rivista critica di storia della filosofia HI, pAgli studi indicati in quella sede vanno aggiunti i seguenti: M. Dasson- viLLe, La genèse et les principes de la Dialectique de P. Ramus, in « Revue de l'Université d’Ottawa; La dialectique de Ramus, in « Revue de l’ Univ. de Laval Dion, L'influence de Ramus aux universités néerlandaises du XVII siècle, in Actes du Xle Congr. Int. de Philosophie, Louvain, 1Tuve, /Imagery and logic, Ramus and methaphysical poetics, Journal of the history of ideas, Ramus, Scholae in liberales artes, Basilea,Scholae in liberales artes. Ancora ad Aristotele, del resto, egli faceva risalire quella con- giunzione di filosofa ed eloquenza che verrà teorizzata in una celebre orazione: Aristoteles intelligendi prudentiam cum dicendi copia coniunxit: et cum antea matutinis ambulationibus philosophiam solam doceret, pomeridianis etiam rhetoricam docere coepit ».* Per ricostruire nel suo vero significato il senso dell’insegnamento aristotelico, per portare alla luce le verità che nei testi aristotelici sono presenti, anche se solo accennate, è necessario, secondo Ramo, rifiutare ogni indebita commistione di grammatica dialettica e retorica: alla prima andranno riferiti solo i problemi attinenti alle etimo- logie, alla seconda soltanto l’arte dell’invenzione e quella del giudizio, mentre la terza dovrà limitarsi alla trattazione delle tecniche dello « stile » e del « porgere », alla capacità di ador- nare e trasmettere il materiale prodotto dalla ricerca dialettica. Nella storia della logica e in quella della retorica si è verificato, per Ramo, un errore fondamentale che ha finito per snaturare profondamente il senso della prima e della seconda. Si è ammesso con Aristotele e si è poi sostenuto con Cicerone e con la Scolastica che fosse possibile costruire due diverse logiche valide l'una nel campo della scienza, l’altra nel regno dell'opinione e del discorso popolare, adatta la prima ai sa- pienti, la seconda al volgo. Proprio questa duplicità viene energicamente rifiutata da Ramo: la teoria della inventio e della dispositio è una sola, valida in ogni campo e in ogni tipo di discorso.® Aver creduto all’esistenza di due diverse logiche ha condotto a un’ibrida mescolanza di concetti e di termini affine a quella della quale si è reso responsabile Quintiliano quando, oltre a confondere dialettica e retorica, ha aggravato ulteriormente la situazione mescolando ai temi della retorica quelli propri dell’etica: Duae sunt universae et generales homini dotes a natura tributae: ratio et oratio; illius doctrina dialectica est, huius grammatica et rhetorica. Dialectica igitur gene- [Cfr. la Oratio de studiis philosophiae et eloquentiae coniungendis Lutetiae, riedita nelle Brutinae quaestiones in Oratorem CICERONE, Parisiis, apud Jacobum Bogardum, Padova, Antoniana. Cfr. Dialectique] rales humanac rationis vires in cogitandis et disponendis rebus persequatur; grammatica orationis puritatem in ctymologia ct sintaxi ad recte loquendum vel scribendum interpretetur. Rhetorica orationis ornatum tum in tropis et figuris, tum in actionis dignitate demonstret. Ab his deinde gencralibus et universis, velut instrumentis, aliae artes sunt ceffectae... Aristoteles summae confusionis au- thor fuit: inventionem rhetoricae partem primam facit, falso, ut antca docui, quia dialecticae propria est; sed tamen rhetoricae partem facit et eius multiplices artes primo artis universae loco conturbat in probationibus. Quintilianus concludit materiam Rhetorices esse res omnes quae ad dicendum subiectac sunt. Dividitur rhetorica in quinque partes: inventionem, dispositionem, clecutionem, memoriam ct actionem. In qua partitione nihil iam miror Quintiliamum dialectica tam nudum esse, qui dialecticam ipsam cum rhetorica hic confusum non potucrit agnoscere, cum dialecticae sunt inventio, dispositio, memoria; rhetorica tantum clocutio cet actio.? Sulla separazione della dialettica dalla retorica Ramo ebbe ad insistere instancabilmente; di fronte all’obiezione che il retore non potrà non servirsi degli argomenti elaborati in sede di dialettica rispondeva che la congiunzione dialettica-retorica, presente nei vari discorsi umani, non escludeva affatto, anzi esigeva, una distinzione ed una separazione precisa fra la teoria della dialettica e quella della retorica: Non potest... sine numeris Geometria, Musica, Astrologia consistere: an propterca hae artes numeros explicare et sune professioni subiicere debebunt. Usus artium, ut iam toties dici, copulatus est persacpe. Praecepta tamen confundenda non sunt, sed propriis et separatis studiis declaranda. Le artes logicae comprendono dunque per Ramo la dialettica o logica e la retorica: la prima si articola nella inventio e dispositio, la seconda nella elocutio e nella pronuntiatio. Identificando, sulle traccie di Quintiliano e di CICERONE, la dispositio con il iudicium (il secondo libro della Dialectica, ® Cfr. Rhetoricae distinctiones in Quintilianum, Parisiis, apud An- dream Wechelum; CICERONE Ciceronianus ct brutinae quaestiones, Basilea, Petrus Perna; RAetoricae distinctiones, Scholae in tres primas liberales artes, Francofurti, apud Andrcam Wechelum (Fir. Naz.). noto come la Secunda pars Rami, tratta appunto De iudicio et argumentis disponendis), Ramo fa rientrare nella tratta- zione della dispositio quelle parti della dialettica che si rife- riscono all’assioma o proposizione, al sillogismo e al metodo: Duae partes sunt artis logica: topica in inventione ar- gumentorum, id est mediorum principiorum elemento- rum, (sic cnim nominatur in Organo) et analitica in corum dispositione.... Dispositio est apta rerum inventarum collo- catio.... Atque haec pars est quae iudicium proprie nomi- natur, quia sillogismus de omnis iudicandis communis regula est.... Dialecticae artis partes duae sunt: inventio et dispositio. Posita enim quacstione in qua disserendum sit, probationes et argumenta quaerantur; deinde, iis via et ordine dispositis, quaestio ipsa explicatur.® In uno dei brani precedentemente citati il termine memoria è comparso, accanto a quelli di ‘nventio e dispositio come uno degli elementi costitutivi della dialettica (« cum dialecticae sunt inventio, dispositio, memoria; rhetoricae tantum elocutio et actio »). Proprio alla memoria spetta, secondo Ramo, un com- pito preciso: essa costituisce un indispensabile strumento per introdurre ordine nella conoscenza e nel discorso. Come tale essa non può essere omessa o trascurata: Dicis oratori tria esse videnda: quid dicat, quo quidque loco, et quomodo: primo membro inventionem, secundo collocationem, tertio elocutionem et actionem comprehen- dis. Memoria igitur ubi est? Communis est -ais - multa- rum artium, propterea omittitur. Enimvero, inquam, inventionem et dispositionem communescum multis esse (ais), cur igitur haec recensentur, illa contemnitur? 1° Tenendo presente la funzione ordinatrice attribuita da Ramo alla memoria, appare molto significativa la identificazione so- stenuta da Ramo, della memoria (che nella tradizione era una delle cinque “grandi arti” costitutive della retorica) con la dottrina del giudizio appartenente alla dialettica o logica. Dispositio, iudicium, memoria diventano in tal modo, in molti ° Animadversionum aristotelicarum libri XX, Parisiis, 1553-1560, vol. II, prefaz. ai libri IX-XX, p. 1; Institutionum dialecticarum libri tres, Parisiis (rBraid.; Ambros.). Brutinae quaestiones, testi ramisti, termini intercambiabili, giacché al giudizio spetta appunto il compito di collocare o disporre le res inventas entro un ordine preciso e razionale: Dialectico inventionem, dispositionem, memoriam merito assignamus; clocutionem et actionem oratori relin- quamus... Iudicium definiamus doctrinam res inventas collocandi, et ca collocatione de re proposita iudicandi: quae certe doctrina itidem memoriae (si tamen cius esse disciplina ulla potest), verissima certissimaque doctrina est, ut una cademque sit institutio duarum maximarum animi virtutum: iudicii et memoriac... Rattonis duae par- tes sunt: ‘nventio consiliorum et argumentorum, eorum- que iudicium in dispositione... dispositionis umbra quae- dam est memoria. Tres itaque partes illae, inventio in- quam dispositio memoria, dialecticae artis sunto. Nonostante i dubbi avanzati da Ramo sulla possibilità di una disciplina della memoria come arte autonoma, anzi, pro- prio in forza di questi dubbi, la sua concezione del metodo come disposizione sistematica e ordinata delle nozioni ten- dente alla costituzione di un ordine unitario delle conoscenze appare in grado di assorbire molte di quelle « regole » che avevano trovato un’esplicita teorizzazione all’interno della mnemotecnica tradizionale. L’ assorbimento della memoria nella logica operato da Ramo, la identificazione da lui sostenuta del problema del metodo con quello della memoria se- gnava l’atto di nascita di quella concezione del metodo come esercitante una funzione classificatoria nei confronti della realtà che avrà grandissima fortuna nel pensiero europeo dei secoli successivi. Questo tipo di considerazione, mentre anti- cipava l'atteggiamento che nella discussione di questi temi Bacone assumerà mezzo secolo più tardi, avvicinava non a caso la posizione di Ramo a quella di Melantone che negli Erotemata dialecticae aveva visto nel metodo un habitus videlicet scientia, seu ars, viam faciens certa ra- tione, id est, quae quasi per loca invia et obsita sensi- bus, per rerum confusionem, viam invenit et aperit, ct res, ad propositum pertinentes, eruit ac ordine promit. Scholae in tres primas liberales artes; Dialecticac institutiones, cMELANTONE, Erotemata dialecticace, in Corpus reformatorum] Ad un sistematico ordinamento delle rotiones e degli ar- gumenta, ad una ordinata collocatio dei luoghi, alla costru- zione di enciclopedie intese come classificazioni totali degli elementi naturali e delle operazioni umane, alla creazione di una sopica universale avevano del resto mirato non pochi tra i più significativi testi della mnemotecnica ciceroniana e della tradizione lullista. Il fatto che un giovane studioso boemo, Nostiz, potesse pensare a una nuova logica fon- data sugli insegnamenti di Lullo, di Ramo e di BRUNO può suonare conferma di questa fondamentale unità di impostazioni e di intenti. Per concludere: ciò che soprattutto è da sottolineare nella posizione di Ramo è il tentativo di inserire i problemi atti- nenti alla memoria in un discorso assai più vasto che non riguarda solo la elaborazione di una particolare tecnica utile agli oratori, agli avvocati, ai poeti, ma concerneva più delicate e complesse questioni attinenti al metodo e alla logica, la semiotica, e la semantica – filosofia del linguaggio. Più che ai testi degli storici moderni della filosofia, che hanno a lungo equivocato sul significato della riforma ramista, gio- verà richiamarsi alla precisa affermazione di Talon (si veda) (Audomarus Talaeus), grande teorico della retorica cinque- centesca, discepolo devoto e collaboratore di Ramo: « quest’ul- timo — egli scriveva — ha ricondotto alla logica, alla quale propriamente appartengono, la teoria dell’inventio, della dispositto, della memoria ».'* E gioverà anche rileggere, a chiarire possibili equivoci, il preciso giudizio di Gassendi: Cum observasset enim quinque vulgo fieri partes Rhetoricae, inventionem, dispositionem, elocutionem, memoriam et pronunciationem, censuit ex ipsis duas solum pertinere ad rhetoricam: clocutionem puta et pronunciationem seu actionem; duas artes esse proprias Logicac: inventionem puta et dispositionem, quibus, quia memoria iuvatur, posse illam eodem cum ipsis spectare. Quare et Logicam seu Dialecticam... in duas partes distribuit: inventionem et iudicium (sic enim potius dicere quam dispositionem maluit...) atque idcirco artem totam duobus libris com- plexus est.!4 sa i È i . i Petri Rami professoris regi et Audomari Talaci collectaneae  pre- fationes, epistolae, orationes, Marburg, Sa P. Gassenpi DiniensIis, Opera omnia in sex tomos divisa, FIRENZE. De logicae origine et varietate, Logica Rami] Della portata rivoluzionaria e delle gravi conseguenze che ebbe nella storia della logica una riforma dall'apparenza tanto inoffensiva ci si è cominciato a render conto solo in tempi molto recenti. In questa sede e in vista dei limitati fini che qui ci proponiamo, basterà notare quanto segue: l’atteggia- mento assunto da Ramo segna una svolta radicale; nella sua stessa direzione, quella di un assorbimento della dottrina degli aiuti della memoria entro i quadri più generali della logica e della dottrina del metodo, si muoveranno, sia pure con intenti estremamente diversi e talora addirittura divergenti, Bacone, Cartesio e, più tardi, Leibniz. 2. Bacone E CARTESIO: LA POLEMICA CONTRO I GIOCOLIERI DELLA MEMORIA. Bacone pubblicò l’Advancement of Learning nel 1605, Novum Organum (la cui stesura era stata iniziata intorno al 1608) c il De augmentis scientiarum rispettivamente nel 1620 e nel 1623. Le Cogitationes privatac di Cartesio risalgono al 1619, le Regulae ad directione ingenit furono composte fra il 1619 e il 1628, il Discorso sul metodo fu pubblicato nel 1637. Nello stesso trentennio il filosofo inglese e quello francese giungono, relativamente all’ars combinatoria e all’ars me- moriae, a conclusioni che presentano una concordanza sin- golare. Sia nelle pagine di Bacone, sia in quelle di Cartesio !* è rintracciabile la documentazione di una conoscenza diretta dei testi cinquecenteschi di arte memorativa. Bacone accenna più volte alle « raccolte di luoghi », alle « sintassi » che gli è avve- nuto di leggere, alla « memoria artificiale », fa esplicito rife- rimento alla « dottrina dei luoghi » c alla « collocazione delle immagini », alla «tipocosmia » di derivazione lulliana. Car- tesio, che è assai più parco di espliciti riferimenti e non ama le citazioni, accenna tuttavia alla sua lettura dell’Ars memo- 15 Le citazioni dai testi di Bacone e di Cartesio rimandano rispettiva- mente a: Ocuvres de Descartes, ed. C. Adam et P. Tannery, Il voll., Parigi, 1897 - 1909; Tie Works of Francis Bacon, ed. by Spedding, Ellis,  Heath, Londra, 1887-92 qui di seguito indicate con le abbreviazioni Oeuvres ec Works] rativa dello Schenkelius, ritorna più volte sull’ars memoriae, sulla funzione che esercitano le « immagini sensibili » in vista della rappresentazione dei concetti intellettuali, parla, secondo una tipica terminologia, di catena scientiarum, si interessa vivamente alle mirabili scoperte di un ignoto seguace di Lullo, si rivolge all'amico Beeckmann per aver notizie e chiarimenti sui testi lulliani di Agrippa, sul significato e sulle possibilità reali dell'Arte. Questi temi e questi interessi esercitarono, com’è noto, una notevole suggestione sul pensiero baconiano c su quello del giovane Cartesio. Ma c’è di più: alcuni ele- menti attinti alla tradizione dell’ars memiorativa e dell’ars combinatoria ebbero ad agire in profondità all’interno della stessa formulazione, baconiana e cartesiana, di un nuovo metodo e di una nuova logica. Di questo più avanti. Ciò che qui interessa di porre in rilievo è il significato del rifiuto, che troviamo presente in Bacone e in Cartesio, verso quelle tecniche memorative che si erano ridotte a giochi intellettuali e si erano andate caricando di riferimenti a quella mentalità magico-occultistica contro la quale entrambi i filosofi presero energicamente posizione. La valutazione dell’arte lulliana che troviamo presente da un lato nella lettera a Beeckmann e nel Discorso sul metodo e dall’altro nell’Advancement of learning e nel De augmentis è, da questo punto di vista, quantomai significativa. Di fronte al vecchio seguace dell’ars Srevis che si vanta di poter parlare per un'ora intera di un argomento qualunque e di poter poi proseguire per altre venti ore parlando sullo stesso tema in modo sempre diverso, Cartesio, che pure è fortemente inte- ressato al problema, ha l’impressione di una loquacità fon- data su un’erudizione tutta libresca e di un’attività intesa a suscitare l'ammirazione del volgo anziché al raggiungimento della verità. Questo « sospetto » cartesiano si trasforma di- ciott'anni più tardi, nelle pagine del Discorso sul metodo, in una certezza: l’arte di Lullo serve a parlare, senza giudizio, di ciò che in realtà si ignora anziché ad apprendere verità non conosciute o a trasmettere verità note. A identiche conclusioni cra giunto Bacone nel testo, poi tradotto in latino; il metodo lulliano, che gode di grande favore presso alcuni ciarlatani, non è degno della qualifica di metodo, mira all’ostentazione anziché alla scienza, fa sembrare dotti gli uomini ignoranti; fondato su una caotica massa di vocaboli esso sostituisce la conoscenza dei termini a quella, effettiva, delle arti, assomiglia alla bottega di un rigattiere ove si trovano molti oggetti, nessuno dei quali ha un grande valore: Bacone, De augmentis, VI, 2, in Works. Neque tamen illud praetermitten- dum, quod nonnulli viri, magis tumidi quam docti insudarunt circa Methodum quandam, legiti- mae methodi nomine haud dignam; cum potius sit methodus imposturae, quae tamen quibus- dam ardelionibus acceptissima pro- culdubio fuit. Haec methodus ita scientiae alicuius guttulas aspergit, ut quis sciolus specie nonnulla eru- ditionis ad ostentationem possit a- buti. Talis fuit Ars Lulli; talis Typocosmia a nonnullis cxarata; quae nihil aliud fuerunt quam vo- cabulorum artis cuiusque massa ct acervus; ad hoc, ut qui voces artis habeant in promptu, ctiam artes Cartesio, a Bceckmann; Ocuvres, A. et T.; Discours (ed. Gilson). Repperi nudius tertius cruditum vi- rum in Diversorio Dordracensi, cum quo de Lulli arte parva sum loquutus... Senex erat, aliquantu- lum loquax, et cuius eruditio, ut- pote a libris hausta, in extremis labris potius quam in cerebro versabatur... Quod illum certe di- xisse  suspicor, ut admirationem captaret ignorantis, potius quam ut vere loqueretur. Je pris garde que, pour la logi- que, ses syllogismes et la plupart de scs autres instructions servent plutòt à cexpliquer à autrui les choses qu'on sait, cu méme, com- me l'art de Lulle, à parler, sans Jugement, de celles qu'on igno- ipsas perdidicisse.existimentur.Huius generis collectanea officinam referunt veteramentarium, ubi pracsegmina multa repcriuntur, sed nihil quod alicuius sit pretti. re, qu'à les apprendre. L'accusa di « ostentazione » rivolta alla combinatoria lul- liana assumeva, in pagine come queste, un significato storico di grande rilievo: ciò che qui si mirava a colpire era proprio quella riduzione dell’arte sul piano della magia sulla quale avevano a lungo insistito non pochi dei commentatori cinque- centeschi. Quest’accusa non era in realtà cosa nuova, anche se nuovo è il significato che essa viene ad assumere nelle pagine di Bacone e di Cartesio connettendosi alla polemica baconiana e cartesiana contro la tradizione magico-occultistica. La valu- tazione presente nel testo baconiano, che potrebbe forse essere posta in relazione con quella poi presente nel Discorso sul metodo, sembra in realtà ricalcataproprio sul giudizio di uno dei grandi commentatori di Lullo che non aveva nascosto la sua simpatia per le arti magiche, Cornelio Agrippa: Hoc autem admonere vos oportet: hanc artem ad pom- pam ingenii ct doctrinae ostentationem potius quam ad comparandam eruditionem valere, ac longe plus habere audaciae quam efficaciae. Fin qui ci siamo riferiti alla combinatoria, ma anche nei confrontidell’ars memorativa di derivazione “ciceroniana” le prese di posizione di Bacone e di Cartesio risultano oltre- modo precise e utilmente confrontabili. Cartesio non esita a definire « sciocchezze » le conclusioni cui era pervenuto lo Schenkel in un testo sulla memoria nel quale, ac- canto ai consueti canoni dell’ ars reminiscendi ciceroniana, comparivano i ben noti riferimenti alle fonti aristoteliche e tomistiche, alla medicina galenica, i richiami a Simonide, Temistocle e Ciro, ad Agostino e a PICO (si veda), a TOMAI (si veda) e al lulliano Bernardo di Lavinheta. L’autore di quel libro gli appare, senz'altro, un «ciarlatano »: a quella falsa arte inutile alle scienze, egli contrappone la cono- scenza delle cause.'* Non dissimile da questa, anche se molto più articolata e ricca di riferimenti culturali, è la posizione assunta da Bacone: egli non nega che coltivando la memoria artificiale sia possibile pervenire a risultati mirabili, né afferma (come si fa volgarmente) che le tecniche memorative possano influire negativamente sulla memoria naturale. Nel modo in cui l’arte viene impiegata, essa gli appare tuttavia assoluta- mente sterile, serve a far brillare l’arte mentre è in realtà priva di ogni effettiva utilità. Essere in grado di ripetere subito, nello stesso ordine, un gran numero di parole recitate una sola volta o comporre un gran numero di versi estemporanei su un argomento a scelta è possibile sulla base di un'educazione di alcune facoltà naturali che, mediante l’esercizio, possono essere portate ad un livello miracoloso. Ma di tutto ciò — pro- dì H. C. AcriPPa, Opera, Argentorati, Zetzner, Cfr. ScHenkEL, De memoria liber, Leodii, poi ristampato nel Gazophylacium arti: memoriae, Argentorati (An- elica, Sulle sue opere e sui suoi rapporti con Leibniz cfr. qui le, Ocuvres, segue Bacone — non facciamo più conto che della agilità dei funamboli e della destrezza dei giocolieri. Fra i metodi e le sintassi di luoghi comuni che mi è capitato di vedere — egli scrive —non vi è nulla che abbia un qualche valore; gli stessi titoli di quei trattati risentono più delle scuole che del mondo reale, le pedantesche divisioni dei quali i loro autori fanno uso non penetrano in alcun modo nelle midolla delle cose. Bacone. Il passo baconiano al quale ci siamo ora riferiti ha, senza alcun dubbio, il tono di una esplicita condanna. Tuttavia una cosa va subito posta in rilievo: in Bacone è presente la con- vinzione che sia possibile fare, delle arti della memoria, un uso diverso da quello tradizionale. Anziché servirsi di quelle arti per ostentare il prodigioso livello al quale può esser fatta pervenire una facoltà dell'animo umano, anziché piegarle a fini miracolosi e ciarlataneschi sarà possibile servirsene in vista di seri e concreti usi umani; sarà anzi possibile, secondo Ba- cone, migliorare e perfezionare, in vista di queste nuove fina- [Bacon, Works: « Neque tamen ambigimus (si cui placet hac arte ad ostentationem abuti) quin possint praestari per cam nonnulla mirabilia et portentosa; sed nihilominus res quasi sterilis cst (eo quo adhibetur modo) ad usus humanos. At illud interim ei non im- putamus quod nazuralem memoriam destruat et super-oneret (ut vulgo objicitur); sed quod non dextre instituta sit ad auxilia memoriae commodanda in negotiis et rebus seriis. Nos vero hoc habemus (for- tasse cx genere vitae nostro politicac) ut quae artem iactant, usum non pracbent parvi faciamus. Nam ingentem numerum nominum aut verborum semel recitatorum eodem ordine statim repetere, aut versus complures de quovis argumento extempore conficere; aut quidquid occurrit satirica aliqua similitudine perstringere; aut seria quacque in iocum vertere; aut contradictione et cavillatione quidvis eludere; et similia; (quorum in facultatibus animi haud exigua est copia, quaeque ingenio et cxercitatione ad miracula usque extolli possunt); haec certe omnia et his similia nos non maioris facimus quam funambulorum et mimorum agilitates et ludicra... Verum est tamen inter methodos ct syntaxes locorum communium quas nobis adhuc videre contigit, nul- lam reperiri quae alicuius sit pretit; quandoquidem in titulis suis fa- ciem prorsus cxhibeant magis scholac quam mundi; vulgares et pae- dagogicas adhibentes divisiones, non autem eas quae ad rerum me- dullas et interiora quovis modo penetrent.] lità, le già esistenti tecniche della memoria. Intorno alla me- moria — egli scrive nello stesso capitolo del De augmentis (c questo passo è assente nel corrispondente capitolo dell’Advancement of learing)  si è finora indagato pigra- mente e languidamente. Non mancano certo scritti sull’argo- mento intesi all'ampliamento e al rafforzamento della memo- ria, e tuttavia sia la teorica che la pratica dell’ars memorativa potrebbero essere ulteriormente perfezionate mediante l’elabo- razione di nuovi precetti o regole.?° Un’arte memorativa così perfezionata nei metodi e rinnovata nelle finalità appare a Bacone non solo legittima e possibile, ma necessaria su un duplice terreno: quello delle «scienze antiche e popolari » e quello « completamente nuovo » del metodo scientifico di indagine sulla natura. Questa distinzione fra le due diverse funzioni o i due diversi campi di applicazione dell’arte me- morativa è esplicitamente teorizzata in un passo del De aug- mentis nel quale ritroviamo presente anche la distinzione, cara a tutti i teorici della mnemotecnica, fra memoria natu- rale e memoria artificiale. Sostenere che nella interpretazione della natura — scrive Bacone — possano bastare le forze nude e native della memoria senza che la memoria stessa venga soc- corsa mediante tavole ordinate, sarebbe come sostenere che un uomo, senza l’aiuto di alcuno scritto e affidandosi alla sola memoria, possa risolvere i calcoli di un libro di efemeridi. Ma, lasciando da parte la nterpretatio naturae, che è dottrina com- pletamente nuova, un solido amminicolo della memoria può essere di grandissima utilità anche nelle scienze antiche e po- polari.*! 2° Bacon, Works, Circa Memoriam autem ipsam, satis segniter et languide videtur adhuc inquisitum. Extat certe de ea ars quaepiam; verum nobis constat tum meliora praecepta de memoria confirmanda et amplianda haberi posse quam illa ars complectitur, tum practicam illius ipsius artis meliorem institui posse quam quae recepta est». Bacon, Works, Atque omnino monendum, quod memo- ria sine hoc adminiculo (scriptio) rebus prolixioribus et accuratioribus Impar sit; neque ullo modo nisi de scripto recipi debeat. Quod etiam in philosophia inductiva et interpretatione naturae praecipue obtinet. Tam enim possit quis calculationes ephemeridis memoria nuda absque Scripto absolvere, quam interpretationi naturae per meditationes et vires memoriae nativas et nudas sufficere; nisi eidem memoriae per [Della funzione esercitata dagli aiuti della memoria (mi- nistratio ad memoriam) nella logica baconiana e dell'influenza dei trattati rinascimentali di mnemotecnica sulla costruzio- ne baconiana del nuovo metodo delle scienze (la :interpre- ratio naturae) parleremo più oltre. Ci limiteremo qui ad indi- viduare l’eredità delle discussioni rinascimentali sulla memoria artificiale in quella parte della ricerca baconiana che fa riferi- mento alla logica tradizionale. Quest'ultima, secondo Bacone, mantiene la sua piena validità nel campo dei discorsi, delle dispute, delle controversie, delle attività professionali, della vita civile; l’altra, la nuova logica induttiva, è invece indispen- sabile nell’ambito della progressiva conquista, da parte del- l’uomo, della realtà naturale. La prima di queste due logiche, secondo Bacone, esiste di fatto, fu creata dai Greci e in seguito, per molti secoli, ripresa e perfezionata; la seconda si presenta invece come un progetto o un'impresa non mai tentata. La trasformazione di questo progetto in una esecuzione effettiva presuppone che venga radicalmente modificato l’atteggiamento dell’uomo nei confronti della natura e che mutino, di conse- guenza, le stesse definizioni di filosofia e di scienza. Ma nell’ambito degli scopi che si propone la filosofia tradi- zionale la vecchia logica nor si presenta come un fallimento. Su questo punto Bacone è assai chiaro: ove si vogliano sol- tanto coltivare e trasmettere le scienze già esistenti; ove si desideri insegnare agli uomini a restare aderenti alle verità già dichiarate e a far uso di esse, ad apprendere l’arte di in- ventare argomenti e di trionfare nelle dispute, quella logica si mostra perfettamente funzionale, anche se bisognosa di integrazioni e perfezionamenti. Là ove si occupa dei caratteri della logica nuova, Bacone dichiara ripetutamente di non inte- ressarsi affatto, in quella sede, delle arti popolari o opinabili, né di pretendere in alcun modo che la nuova logica possa ser- vire a realizzare quei fini per i quali fu costruita la logica tradizionale. Nelle scienze fondate sull’opinione e sui giudizi tabulas ordinatas ministretur. Verum, missa interpretatione naturae, quae doctrina nova est, etiam ad veteres et populares scientias haud quicquam fere utilius esse possit quam memoriae adminiculum soli- dum ct bonum; hoc est, Digest probum et eruditum /ocorum com- muntum. Il passo ora citato non figura nel corrispondente luogo dell'’Advancement of learning, in Works, HI, probabili, nei casi cioè in cui si tratta di costringere non le cose, ma l’assenso, l’uso delle anticipazioni e della dialettica, afferma Bacone nel Novum Organum, è buono (bonus) men-tre esso appare condannabile dal punto di vista della logica nuova. La dialettica ora in uso, si afferma ancora nella pre- fazione alla Instauratio magna, non è assolutamente in grado di «raggiungere la sottigliezza della natura », ma essa può essere usata efficacemente nel campo delle cose civili e delle arti che concernono il discorso e l’opinione ». Solo quando si voglia trionfare non degli avversari, ma delle oscurità della natura, giungere non a cognizioni probabili, ma a conoscenze certe e dimostrate, non inventare argomenti ma opere, sarà necessario far uso della interpretatio naturae che è infinita- mente diversa dalla anzicipatio mentis o logica ordinaria. Nell'ambito di questa logica ordinaria, del tipo di discorso che mira alla persuasione o al raggiungimento dell’altrui as- senso, che non mira all’invenzione delle arti e delle opere, ma degli argomenti, le tecniche memorative esercitano una pre- cisa funzione. Nel capitolo quinto del quinto libro del De augmentis dedicato all’ars retinendi ricomparivano in tal modo, nella trattazione baconiana, i motivi, ormai ben noti, dell’ars memorativa “ciceroniana”: la dottrina dei loc: e delle 1m2a- gines, la tesi di una necessaria convenienza tra le immagini e i luoghi, il riconoscimento della necessità di rappresentare sensibilmente i concetti mediante immagini ed emblemi. Il tema di una topica o sistematica raccolta di luoghi veniva ri- preso in queste pagine: si è soliti affermare — scrive Bacone — che la raccolta dei luoghi può essere dannosa al sapere; la fatica necessaria ad effettuare tali raccolte viene al contrario sempre ricompensata perché nel mondo del sapere non è pos- sibile giungere a risultati ove manchi la solida base di una vasta conoscenza. I luoghi «forniscono dunque materiale all'invenzione e rendono più acuto il giudizio consentendogli di concentrarsi in un sol punto ». I due principali strumenti dell’arte della memoria sono laprenozione e l'emblema. La prima ha il compito di porre dei limiti ad una ricerca che # Per le differenze fra la logica ordinaria e la logica nuova cfr.: Par- fis instaurationis secundae delineatio et argumentum, Works; Distributio operis, Works; Praefatto gene- ralis, Works; Novun: Organum, risulterebbe altrimenti infinita, di limitare il campo delle no- zioni e di stabilire confini entro i quali la memoria possa muo- versi agevolmente. La memoria ha infatti soprattutto bisogno di limitazioni: l'ordine e la distribuzione dei ricordi, i luoghi della memoria artificiale «già in anticipo preparati » i versi sono per Bacone le principali di queste limitazioni. Nel primo caso il ricordo deve accordarsi con l'ordine stabilito, nel secondo porsi in specifica relazione con i luoghi usati, nel terzo deve essere una parola che si accordi con il verso. Nella for- mulazione delle immagini i luoghi introducono quindi ordine e coerenza, ma le immagini, a loro volta, possono essere più facilmente costruite facendo ricorso agli emblemi. Questi ul- timi, secondo Bacone, « rendono sensibili le cose intellettuali e poiché il sensibile colpisce più fortemente la memoria, si imprime in essa con maggiore facilità ». Del tutto simile alla funzione esercitata dagli emblemi è quella dei gesti e dei geroglifici: gli emblemi non hanno dunque una funzione limitata allo specifico settore della memoria, ma funzionano come veri e propri mezzi di comunicazione. Nel caso dei gesti ci troviamo in presenza di «emblemi transitori », nel caso dei geroglifici di « emblemi fissati mediante la scrittura ». Il rapporto gesti-geroglifici è identico, da questo punto di vista, a quello che intercorre fra linguaggio parlato e linguaggio scritto. Mentre i geroglifici, in quanto emblemi, hanno sempre qualcosa in comune con la cosa significata (sinzlitudo cum re significata), i caratteri reali o ideogrammi non hanno nulla di emblematico. Il loro significato dipende solo dalla conven- zione e dalla abitudine che su di essa si è in seguito istituita. Il carattere della convenzionalità accomuna i caratteri reali alle lettere dell’alfabeto, ma i primi, a differenza delle seconde, si riferiscono in modo diretto alla cosa significata, rappresen- tano cose e nozioni, non parole (nesther letters nor words,... but things or notions). Un libro composto con caratteri reali può quindi essere letto e compreso da persone appartenenti a differenti gruppi linguistici e parlanti lingue diverse che accettino per convenzione i significati dai vari ideogrammi. Proprio alle discussioni sulla memoria artificiale si erano 29 Cfr. Advancement of Learning, Works; De augmentis; Works, collegate, nel Rinascimento, le considerazioni sul gesto c sul geroglifico. L’approfondimento del problema delle immagini conduce PORTA (si veda), nella sua ARS REMINISCENDI a prendere in esame questo tipo di problemi. Una volta definita l’immagine come pittura animata che rechiamo nella imaginativa per rappresentare così un fatto come UNA PAROLA, PORTA si trova di fronte ad una grave difficoltà. Non nel caso di tutti i termini linguistici ne nel latino ne nell’italiano — PORTA nota — è possibile la costruzione di immagini appropriate. LE PAROLE che ci occorrono a ricordare altre hanno le loro immagini, altre ne stanno senza. Nel caso di un termine che NON simbolizza una cosa materiale -- come « perché », «ovvero », « tanto » ecc. -- è necessario ricavare le immagini dalla scrittura: far corrispondere cioè immagini adatte alle singole lettere o gruppi di lettere che costituiscono un termine. In altri casi è invece possibile il ricorso al SIGNIFICATO e a questo proposito torna opportuno il parallelo con i geroglifici. Gl’egizi non avendo lettere con che potessero scrivere i concetti e a ciò che più facilmente si tenessero a memoria le utili speculationi della filosofia, ritrovorno lo scrivere con pitture, servendosi d’imagini di quadrupedi, d’uccelli, di pesci, la qual cosa noi habbiamo giudicato molto utile per le nostre ricerche, che altro noi non vogliamo ch’usare imagini IN VECE DELLE LETTERE per poterle dipingere nella memoria. Altri significati, prosegue PORTA, potranno essere espressi mediante un gestio alla Sraffa. Potremo parimenti con un gesto esprimere alcuna significatione di parole. Conclusioni di questo stesso tipo si trovano presenti nel THESAVRVS ARTIFICIOSÆ MEMORIÆT PHILOSOPHIS di ROSSELLI (si veda) e nel De memoria artificiosa libellus d’Austriacus che, proprio come Bacone, fa rientrare un gesto – H. P. Grice, HAND-WAVE HW] e un geroglifico nella più generale categoria di “segno.” Cfr. L’arte del ricordare di PORTA napoletano, tradotta da latino in volgare per FALCONE (si veda) da Gioia, Napoli, Mattio Cancer (Braid.): sulla scrittura degli Egizi, sui gesti; ROSSELLI (si veda), THESAVRVS ARTIFICIOSÆ MEMORIÆ, Venezia; JoHanNnES AustRIACUS, De memoria artificiosa libellus, Argentorati, Antonius Bertramus (Braid.; Angelica). Sulla Egittomania e sulla diffusione c la moda degli emblemi nella cultura dei secoli XVI e XVII si vedano le considerazioni precedentemente svolte.  La trattazione baconiana appare dunque, dopo quanto si è detto, profondamente influenzata da una veneranda lettera- tura concernente i segni e le immagini, ma l’eco delle discus- sioni rinascimentali sui luoghi e sulle immagini risulta ancora più evidente nel Novum Organum ove Bacone giunge a ripetere la tradizionale partizione dei /oci: «loci in memoria artificiali... possunt esse loci secundum proprium sensum, ve- luti janua, angulus, fenestra, et similia, aut possunt esse per- sonae familiares et notae, aut possunt esse quidvis ad pla- citum (modo in ordine certo ponantur), veluti animalia, her- bae; etiam verba, literae, characteres, personae historicae et caetera; licet nonnulla ex his magis apta sint et commoda, alia minus. L’uso dei /oc: appare a Bacone in grado di esaltare le forze della memoria al di sopra dei suoi limiti na- turali («huiusmodi autem loci memoriam insigniter iuvant, camque longe supra vires naturales exaltant »). Accostando l'ordine, ai luoghi e ai versi, insistendo sul valore delle immagini sensibili (quicquid deducat intellectuale ad ferien- dum sensum — quae ratio etiam praecipue viget in artifi- ciali memoria — iuvet memoriam), Bacone mostrava inol- tre di accogliere pienamente i risultati essenziali cui erano pervenuti i teorici della memoria artificiale. Più sottili, meno espliciti, e quindi più difficilmente de- terminabili sono, sempre relativamente a Bacone, i rapporti con la tradizione della combinatoria. A Lullo Bacone accenna soltanto una volta, in una frase che suona — ab- biamo visto — esplicita condanna. Tuttavia chi ponga mente ad alcuni temi caratteristici della filosofia baconiana, non potrà non esser portato a rilevare la concordanza di certe so- luzioni con quelle presenti in quelle sintassi universali, di precisa derivazione lulliana, alle quali Bacone fa più volte esplicito riferimento. All’immagine lulliana dell’ardor scien- trarum, presente nel del De augmentis, si connette, non a caso, il progetto di una scienza universale o filosofia prima o sapienza (Scientia universalis, Philosophia prima sive Sapientia) ben distinta dalla tradizionale metafisica. Quest’ul- tima si configura per Bacone come una fisica generalizzata fondata sulla storia naturale » che mira da un lato alla de- terminazione delle forme e dall'altro a quella delle cause fi- nali. La filosofia prima concerne invece quella porzione dell’albero delle scienze che è come una « parte comune della via », che precede la partizione e la suddivisione dei vari rami del sapere. Gli assiomi che non sono propri delle scienze particolari, ma comuni a molte scienze non sono in alcun modo riducibili a semplici similitudini: essi appaiono invece a Bacone segni e vestigi della natura impressi in materie e soggetti differenti: neque similitudines merae sunt — quales hominibus fortasse parum perspicacibus videri possint — sed plane una eademque naturae vestigia et signacula diversis ma- teriis et subiectis impressa ». Attraverso quella organica rac- colta degli assiomi, della quale Bacone lamenta l’assenza, sa- rebbe possibile porre in luce l’unità della natura. Per concludere: la vivace polemica baconiana contro i fu- namboli della memoria non investe le tecniche memorative in quanto tali, ma i ripetuti tentativi che erano stati fatti per ridurle sul piano delle arti occulte e della magia. Pie- gata alle più serie finalità della retorica, inserita nella logica della persuasione, l’ars memorativa conservava ancora un suo posto ed una sua precisa funzione nella nuova enciclopedia delle scienze. Infine il progetto baconiano di una scientia uni- versalis, mater reliquarum scientiarum si presentava, proprio come era avvenuto nella tradizione lulliana, come volto a de- terminare un’unità del sapere che trova la sua giustificazione e il suo fondamento nell’unità stessa del mondo reale. b) Descartes. Intorno alle discussioni sulle immagini e sui simboli pre- senti in taluni testi cartesiani si son scritte, anche di recente, cose assai acute e stimolanti anche se non sempre storica- mente esatte. A proposito di alcuni passi degli Olympica con- cernenti la rappresentazione, mediante corpi sensibili, delle cose spirituali, un insigne studioso di Cartesio ha parlato dell’« idée aristotelicienne de la philosophie qui n'est pas mise en cause» altri, riferendosi a quelle stesse note cartesiane e cercando di coglierne «la résonance intérieure et profonde», Per il già ricordato giudizio su Lullo cfr. De augmentis, Works; sulla filosofia prima De augmentis, Works, Sulla distinzione tra la filosofia prima baconiana e la tradizionale metafisica è da vedere il preciso giudizio d’Anperson, The phi- losophy of F. Bacon, Chicago] ha visto in esse l’espressione di un uomo «qui est à la re- cherche de l’inspiration pure »; altri infine, riferendosi alla immagine cartesiana dell’albero delle scienze, ha lungamente dissertato sulle ragioni della scelta cartesiana dell’immagine di una realtà vivente e sulla « circulation de la vie » presente nell'albero stesso.?* Ove si abbandoni il progetto di rintrac- ciare il senso di interiori risonanze e si tengano invece pre- senti i risultati cui erano giunti quegli enciclopedisti e quei retori del Cinquecento che si erano occupati delle immagini e dell’immaginazione, dei simboli e della memoria, dell’unità delle scienze e delle tecniche combinatorie, sarà forse possibile — pur raggiungendo più modesti risultati — illuminare al- cuni testi particolarmente oscuri e dare, a molte delle affer- mazioni ed osservazioni del giovane Cartesio, un senso pre- ciso e ben determinato. Una cosa va subito notata: la “condanna” cartesiana delle arti della memoria, alla quale abbiamo fatto riferimento nel precedente paragrafo, è, così come quella baconiana, assai meno recisa di quanto non possa a prima vista apparire. In un passo, volto a commentare e a criticare l’Ars memorativa dello Schenkelius, Cartesio mostra infatti di accertare e la terminologia c la stessa impo- stazione del problema della memoria presenti nella trattati- stica di derivazione “ciceroniana”: non solo egli attribuisce all’immaginazione la stessa funzione mnemonica che ad essa attribuivano i teorici della memoria artificiale, ma riconosce che quest’ultima non è, in quanto tale, priva di reale efficacia. All’Ars memorativa dello Schenkelius egli infine contrappone, ed è questo il punto che presenta un interesse particolare, una vera arte della memoria della quale offre, in una pagina circa, le regole fondamentali. All’ordine solo apparente pre- 26 Cfr. H. Gounier, Le refus du symbolisme dans l'humanisme car- tesien, in Umanesimo c simbolismo, atti del IV convegno internaz. di studi umanistici, Padova; CORTE, Lu dialectique poétique de Descartes, in « Archives de Philosophie: Autour du Discours de la méthode; P. Mesnarp, L'arbre de la sagesse, nel vol. miscellanco, Descartes, Cahiers de Royaumont, Paris, Nello stesso volume è da vedere, su questi problemi, il saggio di M. TH. Spoerri, La pwuissance métapho- rique de Descartes. Cfr., per un più ampio esame, GouHier, Les premières pensées de Descartes, Paris, Vrin,  I sente nell’opera dello Schenkel egli intende sostituire un retto ordine che deriva, a suo avviso, dalla costruzione di imma- gini poste, l'una con l’altra, in un rapporto di reciproca di- pendenza: dalle immagini di oggetti connessi tra loro ver- ranno ricavate nuove immagini o almeno, da tutte quelle im- magini, se ne ricaverà una sola; ogni immagine andrà inoltre (a differenza di quanto avveniva nell’opera dello Schenkel) posta in rapporto non solo con quella a lei più vicina, ma anche con le altre. L'immagine di un'asta gettata a terra farà così da collegamento fra la quinta e la prima immagine, quest’ultima sarà collegata alla seconda da un dardo scagliato verso di essa, alla terza da un qualche altro rapporto reale o arbitrariamente costruito.”’ In questo suo breve progetto di un nuova tecnica me- morativa, Cartesio appariva evidentemente influenzato dai ri- sultati dell’ars reminiscendi. Proprio a questi suoi interessi per l'Arte, che non si esauriscono affatto sul piano della semplice curiosità intellettuale, appaiono infatti da collegare alcune si- gnificative espressioni presenti in quelle pagine di diario note come Cogitationes privatae. In esse ritorna una dottrina cara a tutti i trattatisti della memoria artificiale da TOMAI (si veda) a Schenkel, quella relativa all'impiego delle immagini corporee o sensibili in vista della rappresentazione dei concetti astratti o « cose spirituali »: « come l’immaginazione [Descartes, Qeuvres. Perlegens Lamberti Schenkelii lu- crosas nugas (lib. De arte memoriae) cogitavi facile me omnia quae detexi imaginatione complecti: quod sit per reductionem rerum ad causas; quae omnes cum ad unam tandem reducantur, patet nulla ope esse memoria ad scientias omnes. Qui enim intelliget causas, elapsa omnino phantasmata causae impressione rursus facile in cerebro formabit. Quac vera est ars mermoriae, illius nebulonis arti plane con- traria: non quod illa effectu careat, sed quod chartam melioribus occupandam totam requirat et in ordine non recto consistat; qui ordo In eo est, ut imagines ab invicem dependentes efformentur. Ipse exco- gitavi alium modum: si ex imaginibus rerum non inconnexarum ad- discantur novae imagines omnibus communes, vel saltem si ex om- nibus simul una fiat imago, nec solum habeatur respectus ad proxi- mam, sed etiam ad alias, ut quinta respiciat primam per hastam humi proiectam, medium vero, per scalam ex qua discendent, et secunda per telum quod ad illam proiiciat, et tertia simili aliqua ratione in rationem significationis vel verae vel fictitiac. Sulla scrittura e gli altri aiuti alla memoria cfr. Entretiens avec Burman, Paris, si serve di figure per concepire i corpi, così l'intelletto si serve di taluni corpi sensibili, come il vento e la luce, per raffigurare le cose spirituali. Cose sensibili possono aiutarci a concepire quelle dell'Olimpo: il vento significa lo spirito, il moto con il tempo la vita, la luce la conoscenza, il calore l’amore, l’attività istantanea la creazione. Il fatto che Cartesio, nell’età matura, giunga a un radicale rifiuto di ogni simbolismo, non elimina, per lo storico, il compito di andar rintracciando le origini, spesso legate a temi culturali assai “torbidi” di una filosofia che si svolse sotto il segno della distinzione e della chiarezza razionale. Non a caso, negli stessi anni in cui escogitava una nuova tecnica memorativa, Cartesio pareva anteporre i risultati dell'immaginazione e della poesia a quelli della filosofia e della ragione; si dilet- tava, come già tanti fra i “maghi”, alla costruzione di «automi» e di «giardini d’ombre »; si in- formava del significato dei commenti lulliani di Agrippa; si interessava all’ordo locorum;?* insisteva, come già avevano fatto tanti fra i commentatori di Lullo, sull’unità e sull’ar- monia del cosmo: « Una est in rebus activa vis, amor, cha- ritas, armonia... Omnis forma corporea agit per harmo- niam ».°° Non si trattava solo di giovanili concessioni ad una moda filosofica. Molti anni più tardi, dopo aver letto e meditato il Pansophiae Prodromus di Comenio, Des- [Descartes, Ocuvres, Ut imaginatio utitur figuris ad corpora concipienda, ita intellectus utitur quibusdam corporibus sensibilibus ad spiritualia figuranda, ut vento, lumine: unde altius phi- losophantes mentem cognitione possumus in sublime tollere... Sensibilia apta concipiendis Olympicis: ventus spiritum significat, motus cum tempore vitam, calor amorem, activitas istantanea creationem. Mirum videri possit, quare graves sententiac in scriptis poctarum magis quam philosophorum. Ratio est quod poctae per enthusiasmum ct vim imaginationis scripsere: sunt in nobis semina scientiae, ut in silice, quae per rationem a philosophis educuntur, per imaginationem a poctis excutiuntur magisque elucent » (Oeuvres). « On peut faire un jardin des ombres qui representent diverses figures, telles que les arbres et lcs autres... dans une chambre faire [que] les rayons du soleil, passant pour certaines ouvertures, representent diverses chif- fres ou figures» (Ouvres). « Inquirebam autem diligentius utrum ars illa non consisteret in quodam ordine locorum dialecticorum unde rationes desumuntur. (Oewvres, Descartes, Ocuvres] cartes insisteva ancora (pur rifiutando come impraticabile il disegno comeniano) sullo stretto parallelismo intercorrente tra una conoscenza unica, semplice, continua, riducibile a po- chi princìpi » € la «una, semplice, continua, natura » rispetto alla quale la conoscenza si pone come una pittura o specchio. Quemadmodum Deus est unus ct creavit naturam unam, simplicem, continuam, ubique sibi cohaerentem ct res pondentem, paucissimis, constantem principiis clemen- tisque ex quibus infinitas propemodum res, sed in tria regna minerale, vegetale et animale certo inter se ordine gradibusque distincta perduxit; ita et harum rerum co- gnitionem esse oportet, ad similitudinem unius Creatoris et unius Naturae, unicam simplicem, continuam, non interruptam, paucis constantem  principiis (imo unico Principio principali) unde caetera omnia ad specialis- sima usque individuo nexu et sapientissimo ordine deducta permanent, ut ita nostra de rebus universis et sin- gulis contemplatio similis est picturae vel speculo uni- versi et singularum ceiusdem partium imaginem exactis- sime repraesentanti.5! Comunque sia da valutare il senso di queste caratteri- stiche espressioni cartesiane, certo è che il programma del giovane Cartesio — un uomo che non ha ancora « preso partito sui fondamenti della fisica» e che è solo «un ap- prenti physicien-mathématicien sans métaphysique » — può apparire, da questo punto di vista, singolarmente vicino a quello presente nelle sirtassi e nelle enciclopedie lulliane del tardo Cinquecento: dietro la molteplicità delle scienze, il loro isolamento, si nasconde un’unità profonda, una legge di connessione, una logica comune. Una volta liberate le sin- gole scienze dalla loro maschera, sarà possibile rendersi conto di una carena scientiarum nel cui ambito le singole scienze [Descartes à Mersenne in Ocuvres, Supplément. La lettera fu in precedenza pubblicata in Spisy Jana Amosa KomensgeHO, Korrespondance, a cura di Kvacala, Praga. Il Zbro cui faceva riferimento Cartesio in una lettera (Oexvres): «j'ai lù soigneusement le livre que vous avez pris la peine de m' envoyer... » era il Pansophiae Prodomus di Comenio (Cfr. Oeuvres, Supplément, ove si ricorda anche una lettera di Mersenne a Haak nella quale Cartesio è segnalato come uno dei filosofi più competenti a parlare intorno all'opera del Comenio). potranno essere ritenute con la stessa facilità con la quale si ricorda la serie dei numeri: Larvatac nunc scientiac sunt: quae, larvis sublatis, pul- cherrimae apparerent. Catenam scientiarum  pervidenti, non difficilius videbitur cas animo retinere, quam seriem numerorum.?? Il problema dell’enciclopedia appare qui, una volta an- cora, collegato in modo oltremodo significativo a quello della memoria. Questi stessi termini e gli stessi concetti ritroviamo  attribuiti a Cartesio  nel Commentatre ou remarques sur la Methode de Descartes del Poisson, mentre, nella prima delle Regulae, Cartesio afferma che la connessione sus- sistente fra le singole scienze è tanto stretta da rendere l’ap- prendimento di tutte le scienze insieme più facile della se- parazione di una di esse dalle altre: il legame di congiun- zione e di reciproca dipendenza tra le scienze, esclude che, in vista di un apprendimento della verità, si possa scegliere una scienza particolare: «credendum est, ita omnes [scien- tias] inter se esse connexas, ut longe facilius sit cunctas simul addiscere, quam unicam ab aliis separare. Si quis igitur serio rerum veritateminvestigare vult, non singularem aliquam debet optare scientiam: sunt enim omnes inter se coniunctas et ab invicem dependentes »."° Se ci volgiamo ai testi del lullismo seicentesco, ad opere che sono ben lontane dall'atmosfera cartesiana, permeate di magia e di occultismo, miranti alla fondazione della medi- cina universale e dell’enciclopedia totale, piene di riferimenti alle fonti della tradizione ermetica, troviamo presente la stessa insistenza sulla catena scientiarum, sulla molteplicità solo ap- parente delle scienze, sulla corrispondenza tra un armonioso e ordinato sapere e un’armonica natura, sulla necessità di una sapienza che superi la fittizia parzialità dei singoli rami del sapere. Il medico e mago Jean d’Aubry, seguace e tradut- tore di Lullo, mentre si difendeva dall’accusa di aver operato 9? DescarTEs, Ocuvres. Sono da vedere, su questo passo, le precise osservazioni di R. KLIbansky, The philosophic character of history, nel volume miscellanco P/ilosophy and history, Oxford, Descartes, Oeuvres, secondo magia, accennava proprio a questi concetti. A pro- posito della catena scientiarum egli si richiamava in modo assai significativo al commento alla creazione di Pico condotto secondo gli insegnamenti della cabala: P. Poisson, Commentaire, p. 73 Il regne je ne sgai quelle liaison, qui fait qu’une verité fait décou- vrir l’autre, et qu'il ne faut que trouver le bon but du fil, pour aller jusqu'à l’autre sans inter- ruption. Ce sont à peu-près les paroles de M. Descartes que j’ay leies dans un de ses fragmens manuscrits: Quippe sunt conca- tenatae omnes scientiae, nec una Jean D’AuBry, ipologie, 1638. Qui doute que les parties de la doctrine (que les sots et les igno- rants appellent sciences, comme sil y en avoit plusieurs) ne se trouvent  enchainées  l’une avec l’autre, qu'il est impossible d’estre entendu en la moindre sans avoir une pleine connoissance de tou- tes; l’Eptaple de Pic de la Mi- rande sur les jours de la création perfecta haberi potest quin aliae et l’armonie di monde de Paul sponte sequantur, et tota simul Venitien vous le montrent...?* encyclopedia apprehendatur.34 Lo studio delle connessioni esistenti tra il progetto car- tesiano di una scientia penitus nova?" e gli interessi di Car- tesio (evidenti nelle lettere al Beeckmann) per una matematizzazione della fisica, è cosa che esce dai limiti della presente ricerca. Quest'ultima può tuttavia servire a mostrare il carattere eccessivamente semplicistico dei tentativi — che si sono più volte ripetuti — di identificare senz’altro la mathesis universalis cartesiana con una pura e semplice esten- sion del metodo matematico a tutti i campi del sapere.’ La scientia nova deve «contenere i primi rudimenti della ragione umana e far uscire la verità da qualsiasi soggetto »: essa è la fonte di ogni altra umana conoscenza. Il progetto cartesiano, poi tanto ricco di complessi e importantissimi svi- luppi, aveva in realtà tratto alimento, così come quello di [Poisson, Commentaire ou remarques sur la Methode de Descartes, Vandosme (Cfr. Oeuvres). Ausry, Le triumphe de l’archée et la merveille du monde, cit., ediz. parigina del 1661 (Vatic. Racc. Gen. Medicina. IV. 1347): Apolo- gie contre certatns docteurs ecc., in appendice, pagine non numerate. Cfr. Ocuvres, Cfr. per esempio Larorte, Le rationalisme de Descartes, Paris. Per una più esatta valutazione: NOCE (si veda), sulle Meditazioni metafisiche, Padova Bacone, da un terreno storico preciso: quell’enciclopedismo di derivazione lulliana che aveva profondamente imbevuto di sé la cultura e che raggiungerà non a caso, proprio nel secolo XVII, la sua massima fioritura. Nei commenti lulliani di Agrippa, nella Syntaxes del Gregoire, nell’Opus aureum del De VALERIIS (si veda), nella Explanatio del Lavinheta, così come più tardi nella Regina scientiarum del Morestel e negli scritti del d’Aubry, ci si era volti alla ricerca di un «unico strumento » comune a tutte le scienze, di un’unica «chiave » o «sapienza» capace di garantire as- soluta certezza e assoluta verità, di fornire infallibili solu- zioni e risposte, di porsi come regola di ogni possibile scienza particolare. Alla grande diffusione di questo tipo di lettera- tura e di questi testi, noti e celebrati, più volte tradotti e più volte riediti nei principali centri della cultura europea, alla conoscenza diretta o indiretta che di essi ebbero Bacone e Cartesio, va fatta risalire l’immagine, comune ai due filo- sof, dell’ardor scientiarum. Da questo terreno storico traeva anche origine la loro ricerca — destinata poi ad orientarsi in maniera così profondamente divergente — di una scientia universalis o sapientia madre e fonte e radice unitaria di ogni ramo del sapere: Bacone, De augmentis, in Works. Quoniam autem partitiones scien- tiarum non sunt lineis diversis si- miles, quae cocunt ad unum an- gulum; sed potius ramis arbo- rum qui coniunguntur in uno trunco (qui etiam truncus ad spa- tium nonnullum integer est cet continuus, antequam se partiatur in ramos); idcirco postulat res ut  priusquam  prioris  partitionis membra persequamur, constitua- tur una Scientia universalis, quae sit mater reliquarum ct habetur in progressu doctrinarum  tan- quam portio viae communis an- tequam viae se separent cet di- siungant. Hanc Scientiam Philo- Descartes, Regulae, c Pref. ai Principes, in Ocuvres. Quicumque tamen attente respe- xerit ad meum sensum facile per- cipiet me nihil minus quam de vulgari Matematica hic cogitare, sed quamdam aliam me expone- rc disciplinam, cuius integumen- tum sit potius quam partes. Haec enim prima rationis humanae ru- dimenta continere, et ad veritates cx quovis subiecto cliciendas se extendere debet; atque, ut libere loquar, hanc omni alia nobis hu- manitus tradita cognitione potio- rem, utpote aliarum omnium fon- tem, esse mihi persuadco... Ainsi toute la philosophie est comme un arbre, dont les racines sont sophiac primae, sive etiam Sa- la méthapysique, le tronc est la pientiac.. nomine insignimus. physique, et les branches qui sor- tent de ce tronc sont toutes les autres sciences. Gli aiuti della memoria nel metodo baconiano: tavole, to- pica, induzione. Ponendo mente alla dottrina ramista secondo la quale la memoria si presenta come una delle parti o sezioni della dia- lettica, acquista particolare significato la classificazione ba- coniana della logica presente nell’Advancement of learning e in seguito ripresa nel De augmentis scientiarum. Per Bacone la logica comprende quattro parti o sezioni de- nominate arzi intellettuali: tale quadripartizione è fondata sui fini o gli scopi che l’uomo si propone di realizzare. L'uomo: trova ciò che ha cercato; giudica ciò che ha trovato; rittene ciò che ha giudicato; trasmette ciò che ha ritenuto. Siamo quindi in presenza di quattro arti: l’arte della ricerca o dell'invenzione (art of inquiry or invention); l’arte dell'esame o del giudizio (art of examination or judgement); 3) l’arte della conservazione o della memoria (art of cu- stody or memory); l’arte della elocuzione o della comunicazione (art of elocution or tradition). In questa classificazione Bacone si richiamava da un lato alle tradizionali partizioni della retorica, dall'altro alle posizio- ni ramiste: si discostava da entrambe queste posizioni quando dava al termine « invenzione » un significato molto più ampio di quello tradizionale distinguendo nettamente fra invenzione degli argomenti e invenzione delle scienze e delle arti. In quest'ultimo settore Bacone riscontra le maggiori deficienze: Advancement of Learning, Works,; De augmentis, Works mentre per l’invenzione degli argomenti è più che sufficiente la logica tradizionale, per consentire all'uomo l’invenzione di nuove arti e quindi il dominio della natura è necessario procedere ad una riforma del metodo scientifico fornendo alla conoscenza umana un nuovo organo o strumento logico."° La interpretatio naturae o la nuova induzione, teo- rizzata da Bacone nel secondo libro del Novum Organum è quindi solo una delle due parti nellequali si articola l’arte dell'invenzione la quale è, a sua volta, una delle quattro parti nelle quali si suddivide la logica baconiana. La riforma dell’induzione scientifica è quindi solo un aspetto e una sezione di quella generale restaurazione del sapere che Bacone ha in animo di realizzare. Quando si cera mosso sul piano delle «scienze antiche e popolari o della logica ordinaria, Bacone cerca di chiarire la funzione della memoria e delle arti memorative nell’ambito di quella parte dell’ars inveniendi che mira non ad inventare opere ed arti, ma si limita ad inventare argomenti e si pone come una tecnica della per- suasione. Il problema dell’ars memorativa e della memoria si porrà tuttavia, per Bacone, anche nell’ambito della inter- pretatio naturae o della nuova logica. Le considerazioni svolte da Bacone nella Delineatio sulla totale e assoluta diversità fra la logica ordinaria e la logica della scienza, sulla radicale differenza di fini e di procedi- menti delle due logiche, non gli impediranno di richiamarsi, nel caso della ministratio ad memoriam (che è parte inte- grante e costitutiva della nuova logica) a un ordine di con- siderazioni assai simile a quello al quale aveva fatto riferi- mento muovendosi sul piano delle «arti del discorso » 0 della «logica ordinaria ». Nel caso dei discorsi ec della in- venzione degli argomenti, le difficoltà nascevano dalla pre- senza di una molteplicità di termini e di argomenti; sul ter- reno delle opere e del metodo scientifico, le difficoltà nascono dalla presenza di una infinita molteplicità di fatti. La dot- trina baconiana degli aiuti della memoria, svolta nella Delt- neatto e più tardi ripresa nel Novum Organum, risulta da un adattamento a questa diversa situazione delle regole che 39 Advancement, Works] guidavano l'invenzione degli argomenti e che costitutvano l’arte del ricordare e disporre gli argomenti. Per realizzare discorsi coerenti e persuasivi, per inventare argomenti era necessario, secondo Bacone: 1) disporre di una raccolta di argomenti estremamente ampia (promptuaria); 2) disporre di regole atte a limitare un campo infinito e a determinare un campo di discorso specifico e limitato (topica). Il compito attribuito all’arte della memoria consisteva nella elaborazione di una tecnica (fondata sull’uso delle pre- nozioni, degli emblemi, dell’ordine, dei luoghi, dei versi, della scrittura, ecc.) che mettesse l’uomo in grado di realizzare con- cretamente le due possibilità ora indicate. In sede di metodologia scientifica (nterpretatio naturae) le cose non procedono per Bacone in maniera molto differente: «Gli aiuti della memoria — egli scrive adempiono al se- guente compito: dalla immensa moltitudine dei fatti parti- colari e dalla massa della storia naturale generale, viene di- staccata una storia particolare le cui parti vengono disposte in un ordine tale da consentire all’intelletto di lavorare su di esse e di esercitare la propria funzione... In primo luogo mo- streremo quali siano le cose che devono essere ricercate in- torno ad un dato problema: il che è qualcosa di simile ad una topica. In secondo luogo in quale ordine esse vadano disposte e suddivise in tavole... In terzo luogo mostreremo in qual modo e in quale momento la ricerca vada integrata e le precedenti carte o tavole siano da trasportare in tavole nuove... La ministratio ad memoriam si articola quindi in tre dottrine: l’invenzione dei /oci, il metodo della tabula- zione, e il modo di instaurare la ricerca ».!° 4° Partis instaurationis secundac delineatio, Works, IMinistra- tio ad memoriam hoc officium praestat ut ex turba rerum particula- num, ct naturalis historiae generalis acervo, particularis historia excer- patur, atque disponatur eo ordine, ut iudicium in cam agere, et opus suum exercere possint... Primo docebimus qualia sint ca, quae circa subiectum datum sive propositum inquiri debeant, quod est instar topicae. Secundo, quo ordine illa disponi oporteat, et in tabulas digeri... Tertio itaque ostendemus quo modo et quo tempore inquisitio sit reintegranda, et chartae sive tabulae praecedentes in chartas novellas transportandae... Itaque ministratio ad memoriam in tribus (ut dixi- mus) doctrinis absolvitur: de locis inveniendis, de methodo conta- bulandi, et de modo instaurandi inquisitionem. La memoria abbandonata a se stessa, afferma ancora Ba- cone nella Delineatio, non solo è incapace di abbracciare la immensità dei fatti, ma non è neppure in grado di indicare gli specifici fatti dei quali si ha bisogno in una ricerca par- ticolare. Di fronte alla storia naturale generale (che corri- sponde a ciò che in sede retorica è la promptuaria o indiscri- minata raccolta di argomenti) sono dunque necessarie regole per determinare il campo della ricerca e per ordinare i con- tenuti di questo campo. Per rimediare alla situazione di na- turale fragilità della memoria e metterla in grado di funzio- nare come strumento di conoscenza ci si richiama dunque: 1) ad una topica o raccolta di luoghi che insegna quali siano i fatti sui quali bisogna indagare in relazione ad una data ricerca; 2) alle sadelae che hanno il compito di ordinare i fatti in modo che l'intelletto si trovi di fronte non ad una realtà caotica e confusa, ma ad una realtà organizzata. Quanti da Ramo a Melantone, da Pietro da RAVENNA (si veda sotto TOMAI) a ROSSELLI (si veda), dal Romberch a GRATAROLI (si veda) avevano rivolto la loro attenzione ad una discussione dei problemi attinenti alla topica e alla memoriaartificiale, avevano insistito proprio sulla funzione dei /uoghi come mezzo per delimitare un campo di ricerca altrimenti infinito e per introdurre ordine in questo campo. Per Melantone (ma molti altri autori potrebbero es. sere citati al suo posto) i /oc; admonent ubi quacrenda sit materia aut certe quid ex magno acervo eligendum et quo ordine distribuendum sit. Nam loci inventionis tum apud dialecticos tum apud rhetores non conducunt ad inveniendam materiam, quam ad cligendam postquam acervus aliquis... oblatus fuerit. La Partis instaurationis secundae delineatio, alla quale ci siamo ora riferiti, risale al 1607 circa; ma nelle opere della piena maturità Bacone sarà su questi temi altrettanto espli- cito: nel decimo paragrafo del secondo libro del Nowvum Organum si afferma: «la storia naturale e sperimentale è tanto varia e sparsa da confondere e quasi disgregare l’intel- letto ove non sia composta e ridotta in ordine idonco. Bi- sogna pertanto dar luogo a tavole e a coordinationes instantiarum in modo che l’intelletto possa agire su di esse ».‘! Le ce- lebri sabulae baconiane costituiscono, anche nel Novum Or- ganum, parte integrante della ministratto ad memoriam. Ad esse spetta un compito preciso: organizzare e ordinare i con- tenuti della storia naturale. Dopo che il materiale è stato or- ganizzato nelle tre tabulae l'intelletto si trova di fronte ad una serie ordinata di fatti, non è più «come smarrito »: da questa situazione trae inizio quel procedimento che Bacone chiama la nuova induzione. L’intero procedimento induttivo baconiano  che non è certo il caso di fermarsi qui ad esporre  ha senza dubbio i suoi fondamenti proprio nella dottrina delle tabulae. Que- stultima appare costruita in funzione di un ordinamento della realtà naturale capace di introdurre nella molteplicità caotica dei fatti fisici una disposizione e un ordine tali da con- sentire all’intelletto di andar rintracciando connessioni reali. In questo senso la compilazione delle sabulze si presenta stret- tamente connessa a quella invenzione det luoghi naturali che attirerà per lunghi periodi l’interesse di Bacone. Il primo, or- ganico tentativo compiuto da Bacone di gettare le basi di una invenzione di luoghi naturali e di un metodo di tabulazione risale al 1607-1608 e non a caso, in questi anni, Bacone usa i termini topica e tabulae (o chartae) come sinonimi. Nei Cogr-tata et visa del 1607 troviamo annunciata con molta precisione la funzione attribuita alle tavole : Ante omnia visum est ci tabulas inveniendi sive legi- timae inquisitionis formulas, hoc est materiem particula- rem ad opus intellectus ordinatam, in aliquibus subiectis proponi, tamquam ad exemplum cet operis descriptionem fere visibilem. Nel Commentarius solutus, egli annota rapidamente: « The finishing the 3 tables, de motu, de calore et frigore, de sono ». Se ci volgiamo a considerare gli appunti del Commentarius ci troviamo in presenza di una elencazione Ja Liu i > Novum Organum. Historia vero naturalis et experimentalis tam varia est et sparsa, ut intellectum confundat et disgreget, nisi sista- tur et comparcat ordine idoneo. Itaque formandae sunt tabulae et coor- dinationes instantiarum, tali modo et instructione, ut in cas agere possit intellectus ». 4° Works] di veri e propri luoghi naturali raggruppati in diverse carte.!? Non diversamente sono strutturate le tre brevi opere che risal- gono a questo periodo e che rappresentano la prima realizza- zione del programma indicato nei Cogitata et Visa e nel Com- mentarius solutus: la Inquisitio legitima de motu, la Sequela chartarum sive inquisitio legitima de calore et frigore, la Historia et inquisitio prima de sono et auditu."' Nella prefazione alla prima di queste tre operette Bacone, mentre poneva in luce la funzione essenziale che spetta alla topica c alle tavole, distingueva due differenti tipi di tavole: quelle che devono riunire i fatti più visibili e che si riferiscono a un determinato oggetto di ricerca (machina intellectus infe- rior seu sequela chartarum ad apparentiam primam) c quelle che hanno il compito, più alto, di aiutare l'intelletto a cono- scere « ciò che è nascosto penetrando in tal modo fino alla « forma » delle cose (machina intellectus superior sive sequela chartarum ad apparentiam secundam). Le diciannove tavole elencate da Bacone nella Inquisitio legitima de motu costitui- vano una topica o «sistemazione provvisoria » che avrebbe dovuto consentire il passaggio alle tavole del secondo gruppo. Queste ultime (la machina superior) non sono in realtà che le tabule presentiae, absentiae, graduum del Novum Organum. L'immagine baconiana dell’universo come labirinto e come selva, la sua convinzione che l’architettura del mondo « sia piena di vie ambigue, di fallaci somiglianze, di SEGNI, di nodi e di spirali avvolti e complicati, condiziona, in modo radi- cale, la dottrina baconiana del metodo. Uno dei compiti, se non il compito fondamentale, del metodo è, per Bacone, quello di introdurre ordine in questa caotica realtà. Nella Delineazio Commentarius solutus, Works. Tria motuum ge- nera imperceptibilia, ob tarditatem, ut in digito horologii; ob minu- tias, ut liquor seu aqua corrumpitur ct congelatur cte.; ob tenuitatem, ut omnifaria aeris, venti, spiritus... Nodi et globi motuum, and how they concur and how they succeed and interchange in things most frequent. The times and moments wherein motions work, and which is the more swift and which is the more slow ». 44 I tre scritti sono rispettivamente in Works; Inquisitio legitima de motu, Works. Praefatio gencralis, Works] troviamo, a questo proposito, un'ammissione quanto mai significativa : la verità, scrive Bacone, emerge più facilmente dalla falsità che dalla confusione (« citius enim emergit veritas e falsitate quam e confusione »). Il compito, essenziale e fondamentale, di una eliminazione della confu- sione figurava, nella stessa opera, fra gli aiuti della memoria.*' « Eliminare la confusione », porre rimedio alla povertà di conoscenze fattuali dando luogo a raccolte di istanze certe: questi appaiono a Bacone i compiti fondamentali del nuovo metodo di interpretazione della natura. Di fronte a questi compiti le sue stesse tadulae gli appaiono nulla più di semplici esempi di un gigantesco lavoro che attende di essere realiz- zato (« neque enim tabulas conficimus perfectas, sed exempla tantum »).'* La stesura di una logica del sapere scientifico, alla quale Bacone aveva dedicato non poche delle sue fatiche fino dagli anni del Valerius Terminus, fu addirittura inter- rotta perché Bacone era fermamente persuaso che la costru- zione di tavole perfette costituisse l'elemento decisivo in vista della fondazione di un nuovo sapere scientifico. La storia na- turale, la raccolta organizzata dei fatti, la limitazione e la delimitazione dei diversi campi di ricerca, la costruzione di una serie di elenchi di luoghi naturali appartenenti ad un campo specifico (le Aistoriae particulares): tutto ciò gli apparve così importante da indurlo a interrompere la stesura del Novum Organum e a parzialmente svalutare quella stessa « macchina logica » che era stata per molti anni al centro dei suoi interessi.‘ La ordinata raccolta di materiali, la costruzione di una organizzata enciclopedia di tutti i fatti naturali raccolti nelle storie particolari, l’apprestamento di una raccolta di fatti o «storia generale » che fosse in grado di fornire nuovi mate- riali alle stesse storie particolari (Sylva silvarum): tutti questi progetti apparvero a Bacone, almeno al termine della sua 4° Delineatio, Works, cfr. anche Novun Organum, Novum Organun. Sul significato, da questo punto di vista, dell’ ultimo paragrafo del libro I del Novum Organum cfr. B. FarrINGTON, F. Bacon: philosopher SCIA science, New York, 1949, trad. ital. Torino] vita, assai più importanti di ogni indagine volta a perfezio- nare l’apparato teorico delle scienze. Ognuna delle storie par- ticolari alle quali Bacone lavora affannosamente (il suo progetto comprendeva centotrenta storie) risponde a una duplice esigenza: eliminare le opinioni tradizionali muo- vendosi entro un campo di fatti accertati; disporre i fatti entro i campi particolari dando luogo ad una raccolta ordinata. Ove si passi da una considerazione generica ad una diretta lettura di queste « storie » baconiane, ci si renderà conto che esse si presentano appunto come raccolte di luoghi naturali e che esse rappresentano il tentativo di portare a compimento quel lavoro di raccolta già iniziato nella Inquisizio legitima de motu, nella Inquisitio de calore et frigore, e nella Historia et inquisitio prima de sono et auditu. Sostituendo alle raccolte di luoghi retorici una raccolta di luoghi naturali, piegando l’arte della memoria a fini differenti da quelli tradizionali, concependo le sabulae come mezzi di ordinamento della realtà mediante i quali la memoria prepara una « realtà organizzata » all’opera dell’intelletto, Bacone ave- va introdotto, entro la sua logica del sapere scientifico, alcuni tipici elementi derivanti da una precisa tradizione. Da questo punto di vista la sua « nuova » logica era assai più vicino di quanto egli non ritenesse alle impostazioni che un Ramo o un Melantone avevano dato alla dialettica quando l’avevano con- cepita come lo strumento atto a disporre ordinatamente le no- zioni. Vale la pena di ricordare ancora una volta la definizione che Melantone aveva dato del metodo quando lo aveva quali- ficato un’ars che quasi per loca invia et per rerum confusionem trova e apre una via ponendo in ordine le res ad propositum pertinentes e la definizione ramista della dispositio (che si identifica per Ramo con il iudicium e con la memoria) come apta rerum inventarum collocatio. AI di là di tutte le grandi differenze che si possono senza dubbio elencare, il concetto baconiano del metodo della scienza si muove ancora su questo terreno: // metodo è un mezzo di ordinamento e di classificazione degli elementi che compon- gono la realtà naturale. La dottrina della ministratio ad me- moriam aveva esercitato, da questo punto di vista, un peso decisivo sulla costruzione baconiana di una nuova logica e di un nuovo metodo delle scienze. Gli atuti alla memoria e la dottrina dell’ enumerazione nelle Regulae. Gli echi della trattatistica rinascimentale sulla memoria artificiale ricompaiono, oltre che nei frammenti del giovane Cartesio, anche nel testo delle Regulae. Quando, nella regole, Cartesio concepisce la scrittura come un'arte esco- gitata a rimedio della naturale labilità della memoria e parla di un intelletto che « va aiutato dalle immagini dipinte dalla fantasia » non fa che ripetere nei loro termini più tradizionali, luoghi comuni presenti in quasi tutti i testi della mnemotecnica di derivazione ciceroniana: Anonimo  (Marciana, lat. ). vVescarTEs, Regulae, in Ocuvres, X, p. 454. . operae practium est omnes alias Sicut enim invenerunt. homines [dimensiones] ita retinere, ut fa- diversas artes ad iuvandum di- cile occurrant quoties usus exigit;  versis modis naturam, sic enim in quem finem memoria videtur videntes quod per naturam me- a natura instituta. Sed quia haec sacpe labilis est... aptissime scri- bendi usus ars adinvenit; cuius ope freti... quaccunque erunt re- stituenda in charta pingemus. moria hominis labilis est, conati sunt invenire artem aliquam ad iuvandum naturam seu memo- riam... et sic adinvenerunt scrip- turam... A questa stessa assai antica tradizione si era del resto ri- chiamato Bacone nel De augmentis quando aveva visto anche egli nella scrittura il principale aiuto alla memoria: adminiculum memoriae plane scriptio est, atque omnino monendum quod memoria, sine hoc adminiculo, rebus prolixioribus impar sit, neque ullo modo nisi de scripto recipi debcat.5! Il ricorso cartesiano alle « immagini corporee », ai simboli, alla scrittura acquista tuttavia, all’interno della complessa me- todologia delle Regw/ze, un senso particolare. La scrittura e la «rappresentazione sulla carta » servono a sgombrare l’animo da ogni sforzo mnemonico, a liberarlo da esso, in modo che °° A queste conclusioni, sulla base di una trattazione più analitica degli scritti baconiani, ero già pervenuto nello studio  Bacone, dalla magia alla scienza, Bari, Works, la fantasia e l’intelligenza possano essere completamente ri- volte alle idee o agli oggetti presenti: fiduciosi nell’aiuto della scrittura  afferma Cartesio  non affideremo nulla alla memoria, ma, lasciando libera e completa la fantasia alle idee presenti, rappresenteremo sulla carta qualunque cosa si vorrà ricordare; nessuna di quelle cose che non richiedono perpetua attenzione, se può esser messa sulla carta, deve essere impa- rata a memoria, affinché un ricordo inutile non sottragga parte della nostra intelligenza alla cognizione dell'oggetto prc- sente. Ai segni o simboli arbitrariamente scelti (a, b, c. ecc. per le grandezze note; A, B, C, ecc. per quelle ignote) è affi- data questa funzione mnemonica: essi saranno proprio per questo « brevissimi » di modo che « dopo aver scorto distin- tamente le singole cose, possiamo percorrerle con un moto celerissimo di pensiero e insieme quanto più è possibile simultancamente. Il problema della notazione o della scrittura e quello, Qeuvres: nulla unquam esse memoriac mandanda ex iis, quac perpetuam attentionem non requirunt, si possimus ea in charta deponere, ne scilicet aliquam ingenii nostri partem obiecti prae- sentis cognitioni supervacua recordatio surripiat... nihil prorsus memo- riac committemus, sed liberam et totam pracesentibus ideis phantasiam reliquentes, quaecumque erunt retinenda in charta pingemus; idque per brevissimas notas, ut postquam singula distincte inspexcrimus... possimus... omnia celerrimo cogitationis motu percurrere et quamplu- rima simul intucri. Quidquid ergo ut unum ad difficultatis solutionem crit spectandum, per unicam notam designabimus, quae fingi potest ad libitum. Sed, facilitatis causa, utemur characteribus a, b, c, etc. ad magnitudines iam cognitas, et A, B, C, etc., ad incognitas cexpri- mendas... ». 53 Ancor più chiaramente che nelle Regulae (si veda il passo citato nella nota precedente) il problema della notazione o dell'impiego dei simboli algebrici si collega, nel testo del Discours de la méthode (cfr. Ocuvres; ediz. Gilson) al problema della ritenzione e della memoria: « Je pensai que, pour les considérer micux en par- ticulier [si fa riferimento ai rapporti c alle proporzioni], je les devais supposer en des lignes, à cause que je ne trouvais rien de plus simple, ni que je puisse plus distinctement représenter à mon imagination et à mes sens; mais que, pour les retenir ou les comprendre plusieurs ensemble, il fallait que je les expliquasse par quelques chiffres, les plus courts qu'il serait possible ». Il termine chiffres è tradotto, nella edizione latina, con «characteribus sive quibusdam notis» (cfr. Oewvres) ad esso strettamente connesso, degli aiuti della memoria (« utendum est... memoriae auxiliis », dice il titolo di una delle regole) vanno in tal modo a intrecciarsi strettamente, nel pensiero cartesiano a quelli dell’intuizione e di quel « moto continuo e non interrotto del pensiero » nel quale consiste la deduzione. Nel corso della regola III Cartesio chiarisce le ragioni della presenza, accanto all’intuito, di un altro « modo di conoscenza che avviene per deduzione ». L'’intuito, che è «un concetto della mente pura tanto ovvio e distinto » da escludere ogni possibilità di dubbio, è richiesto non per i soli enunciati (« ognuno può intuire che egli esiste, che egli pensa, che il triangolo è delimitato soltanto da tre linee » ecc.), ma anche per qualsiasi tipo di discorso: 2 e 2 fanno il medesimo di 3 e 1; non soltanto si deve intuire che 2 e 2 fanno 4 e che 3 e 1 fanno pure 4, ma anche che quella terza proposizione si conclude necessariamente da queste due.?* La deduzione, di principio, si riduce dunque a intuizione. A tale riducibilità di principio non corrisponde tuttavia una riducibilità di fatto : di qui la necessità di introdurre un diverso termine, quello di deduzione. Molte cose vengono sapute con certezza nonostante non siano evidenti di per sé: una verità, di per sé non auto- evidente, può essere infatti la necessaria conseguenza di una ininterrotta catena di verità autoevidenti attraverso la quale, con un moto continuo di pensiero, « passa » la nostra mente. Ogni passo di questo moto o ogni « anello della catena » viene afferrato mediante una intuizione immediata, ma la conclu- sione, vale a dire la necessaria connessione tra il primo e l’ul- timo anello della catena non è presente alla mente con la stessa evidenza che caratterizza la intuizione intellettuale. Sappiamo che l’ultimo anello è congiunto con il primo. Non vediamo tuttavia, con un solo e medesimo sguardo, tutti gli anelli intermedi dai quali la connessione dipende: ci limitiamo per- tanto a passarli l’uno dopo l’altro in rassegna e a ricordare che i singoli anelli, dal primo all’ultimo, stanno attaccati ai 34 Qeuvres. At vero haec intuitus evidentia et certitudo, non ad solas enuntiationes, sed etiam ad quoslibet discursus requiritur. Nam; exempli gratia, sit haec consequentia: 2 et 2efficiunt idem quod 3 et 1; non modo intuendum est 2 et 2 efficere 4, et 3 et |] cf- ficere quoque 4, sed insuper ex his duabus propositionibus tertiam illam necessario concludi ». più vicini. La distinzione fra intwstus e deductio è fondata ap- punto su ciò: nella deductio si concepisce un movimento o una successione che è del tutto assente nell’ /nzetzs; alla de- duzione non è necessaria quella attuale evidenza che è pre- sente nell’intuito: la deduzione mutua in certo modo la sua certezza dalla memoria.” Nel caso di deduzioni non particolarmente complesse o di brevi « catene » è sufficiente la memoria naturale; ove tut- tavia le « catene » siano così ampie da oltrepassare le nostre capacità intuitive e le deduzioni corrispondentemente com- plesse è necessario per Cartesio « soccorrere la naturale infer- mità della memoria » (« memoriae infirmitati succurrendum esse »). La conoscenza di una necessaria connessione tra il primo e l’ultimo anello della catena richiede infatti la dedu- zione dell’ultimo anello: dedurlo vuol dire pervenire ad esso passando «con moto continuo e non interrotto del pensiero » da anello ad anello. Ove venga trascurato anche un solo anello la deduzione apparirà impossibile o illegittima. In questo senso va soccorsa la memoria: La deduzione si compie talvolta mediante una così lunga concatenazione di conseguenze che, quando perveniamo ad esse, non ci ricordiamo facilmente di tutto il cammino che ci ha condotto fin lì: per questo diciamo che si deve > Qeuvres. Hinc iam dubium esse potest, quare, prae- ter, intuitum, hic alium adiunximus cognoscendi modum, qui sit per deductionem: per quam intelligimus, illud omne quod cx quibusdam aliis certo cognitis necessario concluditur. Sed hoc ita faciendum fuit, quia plurimae res certo sciuntur, quamvis non ipsac sint evidentes, modo tantum a veris cognitisque principiis deducantur per continuum ct nullibi interruptum cogitationis motum singula perspicue intuentis: non aliter quam longae alicuius catenae extremum annulum cum primo connecti cognoscimus, etiamsi uno eodemque oculorum intuitu non omnes intermedios, a quibus dependet illa connexio, contemplemur, modo illos perlustraverimus successive, et singulos proximis a primo ad ultimum adhaerere recordemur. Hic igitur mentis intuitum a deduc- tione certa distinguimus ex co, quod in hac motus sive successio quac- dam concipiatur, in illo non item; et praeterea, quia ad hanc non ne- cessaria est praesens evidentia, qualis ad intuitum, sed potius a me- moria suam certitudinem quodammodo mutuatur ». (Cfr. anche le regole, Ocuvres.] portare aiuto alla debolezza della memoria mediante un continuo movimento del pensiero?" Quel processo che Cartesio chiama enumerazione o indu- zione (enumeratio sive inductio) costituisce appunto questo giuto alla memoria. Il fine che si propone questa minsstratio ad memoriam (per usare il termine baconiano) è l’acquisizione di una rapidità o celerità nella deduzione tale da ridurre al minimo, pur senza totalmente eliminarlo, il ruolo esercitato dalla stessa memoria e tale da conferire ad un insieme di co- noscenze troppo complesso per essere abbracciato da una sola intuizione, l'immediata evidenza che è privilegio della stessa capacità intuitiva: «Se mediante diverse operazioni ho conosciuto quale sia il rapporto tra la grandezza A e B, poi tra Be C, poi tra C e De infine tra D e E, non per questo vedo il rapporto tra A e E, né lo posso ricavare con esattezza dalle cose già cono- sciute se non mi ricordo di tutte. Per questo le percorrerò tante volte con una specie di moto dell’immaginazione che in- tuisce le singole cose e insieme si trasferisce nelle altre, finché abbia imparato a passare dalla prima all’ultima con tanta celerità che, quasi non lasciando alcuna parte alla memoria, mi sembri di intuire tutto insieme. In tal modo, mentre si aiuta la memoria, si corregge anche la tardità dell'ingegno e si amplia in qualche modo la sua capacità ».' E’ tuttavia possibile, ritengo, mettere in luce alcuni punti le) di contatto più profondi di quelli finora rilevati tra il testo % Qeuvres. Hoc enîm sit interdum per tam longum conse- quentiarum contextum, ut, cum ad illas devenimus, non facile recor- demur totius itineris quod nos co usque perduxit; ideoque memoriae infirmitati continuo quodam cogitationis motu succurrendum esse dicimus ». Ocuvres: « Si igitur, ex. gr., per diversas operationes cognoverim primo, qualis sit habitudo inter magnitudines A et B, deinde inter B et C, tum inter C et D, ac denique inter D et E: non idcirco video qualis sit inter A et E, nec possum intelligere praecise ex iam cognitis, nisi omnium recorder. Quamobrem illas continuo quodam imaginationis motu singula intuentis simul et ad alia tran- seuntis aliquoties percurram, donec a prima ad ultimam tam celeriter transire didicerim, ut fere nullas memoriae partes reliquendo, rem totam simul videar intueri; hoc enim pacto, dum memoriae subveni- tur, ingenii ctiam tarditas emendatur, ciusque capacitas quadam ra- tione cxtenditur.] cartesiano delle Regulae e quella tradizione di ars memorativa alla quale ci siamo fin qui richiamati. Beck, che sulla metodologia delle regulæ ha scritto pagine assai acute, ha nettamente (e a mio avviso giustamente) distinto due diversi significati o due differenti accezioni del termine enumerazione in Cartesio. Quando fa riferimento, nel Discorso, alla enu- merazione Cartesio parla infatti da un lato d’enumerazioni complete, denombrements entiers, e dall'altro di revisioni generali, revues générales. La traduzione latina del Discorso, rivista come è noto dallo stesso Cartesio, chiarisce ancor me- glio la distinzione qui adombrata: l’espressione denombrements entiers viene tradotta con singula enumerare, quella revues générales con omnia circumspicere. Comunque sia da considerare la distinzione fra questi due diversi aspetti o queste due diverse funzioni dell’enumerazione, resta il fatto che con questo termine Cartesio sembra far riferimento: a quel rimedio alla memoria che deve essere presente, abbiam visto, nel caso di deduzioni particolarmente complesse o di catene  troppo lunghe; all’ordinamento delle condizioni dalle quali dipende la soluzione di un problema particolare e a quell’iniziale ordinamento dei dati che è preliminare ad ogni ricerca e che mira all’ « isolamento » e alla determina- zione del problema stesso. « Enumerazione o induzione — scrive Cartesio nelle regola — è una diligente e accurata ricerca di tutto quanto concerne una questione proposta, sì che da essa si possa con- cludere con certezza ed evidenza che nulla è stato ingiusta- mente tralasciato. La funzione attribuita alla enumerazio [Beck, The Method of Descartes, a study of the regulæ, Oxford. Sull'enumerazione cartesiana: Husert, La théorie cartesienne de lenumeration, in « Revue de metaphysique et de morale ; Sirven, Les années d'apprentissage de Descartes, Paris; Gitson, ediz. del Discosrs, Paris; N. KeMr SMITH, New Studies in the Philosophy of Descartes, London, Qetivres Qeuvres. Est igitur haec cnumeratio sive inductio, corum omnium quae ad propositam aliquam quaestionem spectant, tam dili- gens et accurata perquisito, ut ex illa certo evidenterque concludamus, nihil a nobis perperam fuisse praetermissum ». appare qui assai diversa da quella alla quale abbiamo fin’ora fatto riferimento. Enumerare vuol dire qui procedere ad una classificazione logica (che si svolge normalmente prima del processo deduttivo) in vista di una determinazione e limita- zione dei problemi. Si tratta, come dice esattamente Beck, di un « preparatory making-out of the field of knowledge in which a proposed investigation of some particular problem is presently to take place. A Beck, che è esclusivamente interessato ad un esame della struttura formale del metodo cartesiano c delle relazioni intercorrenti tra i vari scritti di Cartesio, è sfuggita (così come agli altri interpreti)? la sostanziale affinità tra questa accezione del termine enumerazione e la topica baconiana che si presenta anch’essa, non a caso, come un aiuto alla memoria. Il prin- cipale compito degli aiuti alla memoria consisteva per Bacone nella costruzione di regole atte a limitare il campo infinito. Ad una perfetta conoscenza dei testi cartesiani non corrisponde, così nel caso di Beck come in quello del Gouhier, una altrettanto perfetta conoscenza dei testi filosofici e non filosofici circolanti nella cultura francese ced europea del primo Seicento. Si veda per esempio (per re- stare nei limiti dei problemi qui trattati) come Gouhier, nel suo bel libro su Les premières pensées de Descartes, liquidi in due righe il problema dei rapporti tra Cartesio e la tradizione del lullismo senza aver preso visione dell’unico studio sull'argomento e senza rendersi conto che il giudizio cartesiano su Lullo (parler sans jugement des choses qu'on ignore ») non è che la ripetizione di un luogo presente nei testi filosofici da Agrippa a Bacone. Anche l’espressio- ne cartesiana «in quodam ordine locorum dialecticorum unde ratio- nes desumuntur » fa riferimento, contrariamente a quanto mostra di credere Gouhier, ad un ben preciso tipo di letteratura; così come l'affermazione una est in rebus activa vis ecc.» e il proposito di servirsi di «cose sensibili » per raffigurare lc « spirituali » ec l’imma- gine della catena scientiarum risultano del tutto incomprensibili e gra- tuiti, pur prestandosi ad eleganti considerazioni di carattere specula- tivo, ovc non vengano intesi nei loro rapporti con un ambiente e con una tradizione. Cartesio, che aveva letto le pagine dello Schenkel, non aveva certo bisogno di ricorrere a Keplero per concepire le cose corporee come simboli di quelle spirituali. Ma del passo cartesiano che fa riferimento all’ars memoriae dello Schenkel, Gouhier elimina la seconda metà (che risulta difficilmente comprensibile a chi non abbia visto il testo di Schenkel) senza poter spiegare in alcun modo in che cosa consiste il « nuovo procedimento » che Cartesio ritiene di aver inventato.] della conoscenza umana e a determinare quindi un campo di conoscenza specifico e limitato: « dalla immensa moltitudine dei fatti viene distaccata una storia particolare le cui parti vengono ordinatamente disposte... in primo luogo mostreremo quali siano le cose che devono essere ricercate intorno a un dato problema, il che è qualcosa di simile a una topica; in secondo luogo in quale ordine esse vadano disposte e suddi- vise. L’enumerazione, come aiuto alla memoria, ha quindi per Cartesio il compito di svolgere una accurata ricerca di tutto quanto concerne una questione proposta; quella sorta di  topica che costituisce per Bacone il principale aiuto della me- moria ha esattamente lo stesso compito e la stessa funzione: mostrare quali siano le cose che devono essere ricercate intorno a un dato problema. Dopo aver preliminarmente isolato e determinato un problema o una questione (proprio questo, ab- biam visto, era il compito che la tradizione retorica affidava ai loci) si doveva, secondo Bacone, procedere ad un ordina- mento, ad una suddivisione e ad una classificazione delle cose concernenti la questione proposta. Su questo punto c da que- sto punto di vista la posizione di Cartesio non è in alcun modo differente. Se si dovessero considerare una ad una le singole cose che riguardano la questione proposta non sarebbe sufficiente la vita di nessun uomo. Ma se tutte le cose vengano disposte nell'ordine migliore, in maniera che siano ridotte il più pos- sibile a classi determinate, sarà sufficiente vedere esattamente una sola di queste, oppure qualcosa di ciascuna, o almeno non ripercorreremo mai niente due volte invano; ciò è di tanto giovamento che spesso, in base a un ordine bene stabilito, si compiono rapidamente e senza difficoltà molte cose che, al primo aspetto, apparivano immense. Qcuvres. Addidi etiam enumerationem debere esse ordinatam... si singula quae ad propositum spectant, essent separatim perlustranda, nullius hominis vita sufficieret, sive quia nimis multa sunt, sive quia sacpius cadem occurrerent repetenda. Scd si omnia illa optimo ordine disponamus, ut plurimum, ad certas classes reducentur, ex quibus vel unicam exacte videre sufficiet, vel cx singulis aliquid.  Non è qui nostro compito esaminare le differenze inter- correnti tra l’induzione baconiana e la inductio o enumeratio cartesiana. Al di là delle differenze si voleva qui sottolineare, nel pensiero dei due « fondatori » della filosofia moderna, la presenza e la persistenza di temi legati ad antiche e recenti discussioni sulla memoria. A queste discussioni vanno colleate non solo gli interessamenti di Bacone e di Cartesio per i problemi della mnemotecnica, non solo l’immagine dell’arbor scientiarum e i progetti di una scientia universalis o sapientia, ma anche la dottrina, baconiana e cartesiana, degli «aiuti della memoria. Non si tratta dunque solo dei « residui » di una tradizione veneranda, degli echi ultimi, ormai privi di importanza e di significato storico di un fortunato genere letterario; né si tratta di concessioni ad una « moda » assai diffusa. Nella l’nterpretatio naturae di Bacone e nelle Regulae ad directionem ingenti di Cartesio ci sono apparse presenti al- cune tesi legate alla tradizione retorica dell’ars  memorativa: al necessario isolamento di una questione si giunge mediante una preliminare classificazione degli elementi costitutivi del problema; l’ordine è elemento ineliminabile e costi- tutivo di tale classificazione; queste ordinate e artificiali classificazioni costituiscono il necessario rimedio alla insufficienza e alla labilità della memoria naturale. Come già aveva fatto Ramo, anche Bacone e Cartesio avevano dunque inserito, nella loro logica, una dottrina degli aiuti della memoria: en- trambi considerano una tecnica del rafforzamento della me- moria strumento indispensabile alla formulazione e al “fun- zionamento” di una nuova logica o di un nuovo metodo. Con Ramo, Bacone e Cartesio l’antico problema della memoria artificiale che aveva per oltre tre secoli appassionato me- dici e filosofi, studiosi di retorica, enciclopedisti e cultori di magia naturale, aveva fatto in tal modo il suo ingresso, sia pure piegato a nuove esigenze e profondamente trasfigurato, nei quadri della logica moderna. Attraverso l'influenza eser- citata dal pensiero baconiano sulle ricerche linguistiche che si vel quasdam potius quam caeteras, vel saltem nihil unquam bis frustra percurremus; quod adeo iuvat, ut sacpe propter ordinem bene insti- tutum brevi tempore et facili negotio peragantur, quae prima fonte videbantur immensa.] svolsero in Inghilterra nella seconda metà del Seicento, attra- verso l’opera di Alsted e di Comenio questo stesso problema apparirà ancora una volta essenziale alla costruzione di dizionari totali, di linguaggi perfetti e di universali enciclopedie. Non a caso nella tradizione lulliana si era lungamente insistito sulle connessioni che intercorrono tra la memoria, la logica e l’enciclopedia. « Si igitur ordo est memoriae mater, logica est ars memoriae » scriverà lo Alsted; e non a caso, avviando i suoi progetti di una caratteristica uni- versale, Leibniz si volgerà — oltre che a Bacone, Alsted e Comenio — a Lullo e ai suoi grandi commentatori del Rina- scimento e si richiamerà a non pochi e non secondari testi di ars memorativa. L'ideale enciclopedico che, da Bacone a Leibniz, domina la cultura del secolo XVII si mostra operante, con forza sin- golare, nell’opera vastissima di Alsted, maestro di Comenio a Herborn [cf. H. P. Grice, “Harborne”], editore di testi del BRUNO, seguace di Lullo e di Ramo, riformatore dei metodi dell’edu- cazione e dell’insegnamento. Percorrendo i molteplici scritti, i numerosi manuali e infine il grande Systema mnemonicum dello Alsted, ci si rende ben conto che dietro la sovrabbon- danza delle citazioni, la ricchezza strabocchevole dell’erudi- zione e l'apparenza antologica delle opere, dietro la mesco- lanza spesso caotica di temi di logica di retorica di fisica e di medicina, sono presenti motivi essenziali: destinati a eserci- tare un'influenza decisiva sul costituirsi, agli inizi del Seicento, dell'ideale pansofico e dell’enciclopedismo. Riformare le tecniche di trasmissione del sapere; dar luo- go ad una classificazione sistematica di tutte le attività ma- nuali e intellettuali: entrambi questi progetti si risolvono, per Alsted, in quello della costruzione di un nuovo « sistema » che riunisca in un unico corpus, in un organo totale delle scienze, i princìpi di tutte le discipline. Solo attraverso l’enci- clopedia, che rivela i rapporti tra le varie discipline e porta alla luce la sistematicità del sapere, potrà essere costruito un nuovo metodo, potrà essere definito un nuovo, organico pia- no degli studi.’ L’esplicita adesione di Alsted alla tematica del lullismo, la sua insistenza sul valore della memoria come tecnica dell'ordinamento enciclopedico delle nozioni, possono essere intese solo in funzione di questo suo grande progetto. ! Per i rapporti fra l'enciclopedia e il piano degli studi cfr. GARIN, L'educazione in Europa, Bari. Sul lullismo di Asted cfr. Carreras y ARTAU, La filosofia cristiana, Madrid; V. OsLer, s.v. in Dictionnaire de Théologie Catolique. Molte opere inedite in Niceron, Mémoires, Parigi. Alla ricerca di una via compendiosa capace di dischiudere all'uomo il possesso di un sapere totale si volsero, secondo Alsted, i tre maggiori studiosi di logica che siano apparsi sulla terra: Aristotele, Raimondo Lullo, Pietro Ramo. Essi si rivolsero agli uomini, che erano alle origini della storia, « pror- sus feros et cyclopicos » e, quasi tenendoli per mano, li condussero verso i pascoli amenissimi della scienza ». Al di là delle differenze, i tre grandi filosofi ebbero uno scopo e un me- todo comune «ad quem collinearunt, licet in modis dissi- deant »: in questo senso le loro dottrine possono e debbono essere conciliate.? Nella Panacea philosophica seu... de armo- nia philosophiae aristotelicae lullianae et rameae® Alsted tenterà, con grande ricchezza di riferimenti, una con- ciliazione dei tre metodi, ma già nella Clavis artis lullianae che qui più da vicino ci interessa e che risale all'anno prece- dente, troviamo presente questa stessa preoccupazione. Nel terzo capitolo dell’opera, De tribus sectis logicorum hodie vi- gentibus, Alsted volgeva la sua attenzione alla situazione, in Europa, degli studi di logica. Dopo aver tracciato un breve quadro dell’aristotelismo e aver ricordato, fra gli aristotelici contemporanei, MELANTONE (si veda) e Goclenius, SCALIGERO (si veda) e ZABARELLA (si veda), PICCOLOMINI (si veda) e  Suarez, egli lamentava lo scarso vigore della setta dei lullisti tedeschi e paragonava la triste situazione della logica tedesca, intieramente dominata dalle controversie fra aristotelici e ramisti, al fiorire degli studi lulliani in ITALIA. I grandi commentatori di Lullo, da Agrippa a BRUNO, dal Gregoire al De VALERIIS (si veda), non sono stati in grado di chiarire il complesso funzionamento della combinatoria, hanno aggiunto oscurità ad oscurità, hanno mescolato i loro sogni alle tenebre del lullismo. Per risollevare le sorti 2 Cfr. Clavis artis lullianac et verae logices duos in libellos tributa, id est solida dilucidatio artis magnac, generalis et ultimae quam Raymun- dus Lullus invenit... edita in usum cet gratiam corum, qui impendio delectantur compendiis, et confusionem sciolorum qui iuventutem fatigant dispendiss, Argentorati, Sumptibus Lazari Zetzneri Bibliop., prefazione, (Copia usata: Triv. Mor.). Panacea philosophica seu Encyclopaediae universa discendi methodus. De armonia philosophiae aristotelicac, lullianae et rameae, Herbornae, Braid. della setta lulliana è necessario richiamarsi all'opera del La- vinheta, di Fernando de Cordoba, di Lefèvre d’Etaples, di BOVILLO (si veda), dei fratelli CANTERIO (si veda), di PICO (si veda) e riprendere dai fondamenti il grande progetto di Raimondo: trovare una scienza, conosciuta la quale, tutte le altre possano essere senza fatica né difficoltà conosciute, e che, come il filo di Teseo, costituisca il criterio di verità di ogni aspetto e di ogni manifestazio- ne del sapere. Quest’ars generalis, che Alsted avvicina ripetu- tamente alla cabala, potrà essere realizzata mediante la de- terminazione dei « termini generalissimi » e dei « princìpi ge- nerali » presenti in ogni singola scienza e la successiva indivi- duazione dei termini e dei princìpi « comuni », costitutivi cioè di ogni possibile sapere." Esistono quindi, per Alsted, assiomi o princìpi universali comuni a tutte le scienze, operanti in ogni ricerca. Le scienze e le tecniche si presentano, ad un primo sguardo, come un [Cfr. Clavis artis lullianae: Tantum de Rameis restant philosophi in Germania minus celebres Lullisti. In Germania, dico quia in Hispaniis, Galliis et ITALIA sunt quamplurimi de hoc grege, ct nominatim quidem in ITALIA sunt speculatores... qui huic arti sunt deditissimi... Haec duo sectae, Peripatetica dico ct Ramaea in pracsen- tiarum sunt florentissimac, superest tertia, puta Lullistarum, quae hodie ferme "Multis pro vili, sub pedibus jacet”. Il giudizio sui commentatori era particolarmente aspro: Nam commentatores (utinam fuissent commendatores) lulliani, tenebras potius et nebula offu- derugt quam lucem ‘attulerunt, aut facem practulerunt divino operi. Aut enim sua somnia immiscuerunt, aut obscura per acque obscura explicarunt ». Lo scopo della divina arte di Lullo fu di «talem inve- nire scientiam, qua cognita, reliquae quoque sine difficultate ulla labo- reque magno cognoscerentur, et ad quam, tamquam lydium lapidem, flum Thesci ct Cynosuram omne scibile examinaretur ». L’avvicina- mento dell’arte lulliana alla cabala è, nell'opera di Alsted, continuo e insistente. Si veda per es. la Tabula ad artis brevis cabalae tractatus et artis magnac primum caput pertinens c il giudizio su Lullo: « Quum Lullius fuerit mathematicus et kabbalista, impendio delectatus est me- thodo docendi mathematica et kabbalista, ideoque circulus adhibuit, quos non nemo concinne vocavit magistros scientiarum. Et huc facit tritus versiculus: Omnia dant mundo Crux, Globus atque Cubus. Può essere di qualche interesse notare che, fra i cultori dell'Arte, Alsted ricorda anche POLIZIANO (si veda) «qui, opino per hanc artem, se disputare posse de omnibus pollicebantur ». Per i richiami di Alsted a BRUNO cfr. le mie Note bruniane, Rivista critica di storia della filosofia] insieme caotico, come una disordinata foresta: dietro quel caos apparente sono rintracciabili le linee di un ordine pro- fondo; la rigida separazione fra le scienze è solo provvisoria; quell’intricata foresta potrà rivelarsi l’ordinata ramificazione di un unico, comune albero del sapere dal quale si dipartono, secondo una razionale successione, i rami delle singole scienze e delle differenti tecniche. In vista della costruzione di un nuovo metodo universale è necessario riportare ordine, coe- renza e sistematicità in quel caos, penetrare coraggiosamente in quella foresta per chiarire l’ordinata struttura dei suoi rami, per svelare l’esistenza di un tronco comune e portare infine alla luce le comuni radici. Da questo punto di vista, il problema del metodo si risol- veva integralmente in quello di un ordinamento delle nozioni, di una sistematica classificazione degli oggetti che co- stituiscono il mondo e dei concetti che sono stati elaborati dall'uomo. La logica, strumento del metodo, ha il compito di ordinare e di classificare: La sola logica è l’arte della memoria. Non si dì nessuna mnemotecnica al di fuori della logica. E pare che di ciò si sia accorto Raimondo Lullo che, nel suo opuscolo De auditu kabbalistico, scrisse queste parole: Il metodo vien costituito non solo per l’esercizio dell’umano intelletto, ma anche perché fornisca un rimedio alla dimenticanza”. Se dunque l’ordine è la madre della memoria, la logica è l’arte della memoria. Trattare dell’ordine è infatti il compito della logica ».* L’intera enciclopedia si presenta in tal modo come un grande Systema mnemonicum e la logica si presenta come una directio intellectus che è, al tempo stesso, una confir- matto memoriae. Precisamente su questo terreno Alsted tenta di realizzare una conciliazione tra la dialettica rami- [Cfr. Systema mnemonicum duplex... in quo artis memorativae prae- cepta plene et methodice traduntur: et tota simul ratio docendi, discendi, Scholas aperiendi, adeoque modus studendi solide explicatur et a pseudo-memoristarum, pseudo-lullistarum, pseudo-cabbalistarum im- posturis discernitur atque vindicatur, Prostat, in nobilis Francofurti Paltheniana (Angelica). Systema mnemonicum duplex, Logicae duplex est finis et duplex obiectum; primus est directio intellectus, secundus est me- moriae confirmatio] sta e la combinatoria lulliana. Non a caso, nel System mne- monicum duplex, dopo aver definito il metodo come instrumentum mnemonicum quod docet progredi a ge- neralissimis ad specialissima » egli inserisce nella sua trattazione le tre fondamentali leggi della dialettica ramista: Prima lex est lex homogeniae... secunda lex dicitur coordinationis tertia lex dicitur transitionis. Eredità lulliane ed influenze ramiste, echi delle ormai secolari discussioni sull’arte della « memoria locale, andano in tal modo a congiungersi in funzione dell’enciclopedia. Ma più che a una riforma della logica Alsetd era indubbiamente interessato ad una riforma della pedagogia: una nuova organizzazione dell’insegnamento, delle scuole, dei metodi didattici doveva corrispondere, punto per punto, al nuovo ordinamento del mondo del sapere. Riducendo a sistema — come scrive Bayle — tutte le parti delle arti ? Cfr. Systema mnemonicum duplex. Seguendo una tradizione che risale al Lavinheta, Alsted avvicina i circoli dell’arte lulliana ai «luoghi » della mnemotecnica di derivazione ciceroniana di CICERONE: « Circulus in arte lulliana est locus et quoddam quasi domicilium in quo instrumenta inventionis collocantur. (Clavis artis lullianae). Ma, oltre alle opere già ricordate sono da vedere: Artium liberalium, ac facultatum omnium systema mnemonicum de modo discendi, in libros septem digestum et congestum, Prostat; Encyclopaedia septem tomis distincta, Herborni Nassaviorum (Angelica; Braidense). Fra le opere di carattere religioso € pedagogico si vedano: Theatrum scholasticum, Flerborniae, 1610; (che contiene un Gymnasium mnemonicum; Trigae canonicae, Francoforte (contenente una Artis mnemologicae explicatio); la Dissertatio de manducatione spirituali, transubstantiatio- ne, sacrificio missae, de natura et privilegiis ecclesiae, Ginevra (cfr. Padova, Antoniana). Un certo interesse presenta anche la classificazione delle scienze matematiche contenuta nel Methodus admirandorum mathematicorum novem libris exhibens universam ma- thesin, Herbornae Nassaviorum, Mathesis est pars encyclopaediae philosophicae tractans de quantitate communiter... Ordo scientiarum mathematicarum hic est. Scientiac mathematicae sunt pu- rae vel mediae. Purae sunt quac occupantur circa solam quantitatem: quales sunt arithmetica et geometria. Mediae sunt quae occupantur, circa quantitatem haerentem in corpore: ut cosmographia, uranoscopia, geographia; vel in qualitate ut in optica, musica et architectonica, Padova, Civica). pi Bayle, Dictionnaire historique et critique, Amsterdam, e delle scienze, Alsted intendeva in realtà lavorare — come poi Comenio — per un sapere unitario capace di riscattare e di liberare gli uomini. La ricerca di un metodo, di una logica, di un linguaggio che consentano all’uomo di penetrare e di dominare tutto, che garantiscano all'uomo il possesso dell’enciclopedia, della sapienza universale: questo fu la pansofia. E nell’ideale pansofico, proposto alla cultura di tutta Europa (ma la /anza linguarum fu tradotta anche in arabo e in persiano e pene- trò fin nell’ Estremo Oriente) dall'impeto riformatore di Co- menio ritroviamo chiaramente presenti non solo gli insegna- menti di Bacone e di Alsted, di Ratke e di Andrei, ma anche molti dei temi derivati dalla tradizione dell’ars memorativa e da quella, essai più vigorosa, dell’enciclopedismo lullista.'° Mentre andava chiarendo le linee fondamentali del suo pensiero, nella Conatuum pansophicorum dilucidatio, Co- menio enumerava gli autori che lo avevano preceduto, le opere dalle quali il suo tentativo poteva trarre conforto e ispirazione. Fin dall’antichità uomini insigni tentarono di raccogliere il complexum totius eruditionis; in questo senso operò Aristotele indicando le tre leggi necessarie al raggiun- gimento di quella onniscienza che è possibile all'uomo: la principiorum universalitas, l’ordinis methodus vera, la ve- ritatis certitudo infallibilis. A queste stesse leggi — prosegue Comenio — si son richiamati quegli studiosi che, nell’età moderna, si sono fatti autori di enciclopedie, di polimatheie, di sintassi dell’arte mirabile, di teatri della sapienza, di pa- nurgie, di grandi restaurazioni, di pancosmie. I titoli cui Comenio fa riferimento ci rimandano ad opere ben note: agli scritti di De VALERIIS e del Gregoire, alle opere di CAMILLO e di Patrizzi che vengono accostate (e l’accosta- [Sulle origini della pansofia: PeuckeRT, Pansophie. Ein Versuch zur Geschichte der weissen und schwarzen Magie, Stuttgart. Sugli ideali pedagogici: L. Kvacata, }. A. Comenio, Berlino,  c ora GARIN, L'educazione in Europa. Sul lullismo di Comenio brevissime, insufficienti annotazioni in CARRERAS Y ARTAU] mento è significativo) alla /nstauratio magna di Bacone. Di fronte a questa eredità, Comenio ripete il solenne motto di Seneca: Molto fecero quanti vennero prima di noi, ma essi non terminarono l’opera; molto resta e molto resterà ancora da fare; neppure fra mille secoli sarà preclusa ad alcuno fra i mortali l’occasione di aggiungere ancora qualcosa. Ri- chiamandosi a questa eredità Comenio intende dunque rea- lizzare un’opera universale e anch’essa, come già quella dei suoi predecessori, non è costruita solo per l’uso degli eru- diti ma per quello di tutti i popoli cristiani. Muterà il destino stesso della razza umana quando sarà realizzata quella pansofia che è « universae eruditionis breviarum solidum, intellectus humani fax lucida, veritatis rerum norma stabilis, negotiorum vitae tabulatura certa, ad Deum denique ipsum scala beata. I richiami di Comenio ai teatri, alle sintassi, alle enciclopedie basterebbero da soli a documentare l’esistenza di una effettiva continuità di temi e di motivi, il persistere di interessi comuni fra i maggiori esponenti dell’enciclopedismo lullista e i teorici della pansofia. Ma non meno evidenti — anche se assai meno noti — sono i rapporti che legano l’opera comeniana a quella dei maggiori teorici dell’ars me- morativa per tanti aspetti connessa alla rinascita del lullismo. Solo chi abbia presenti le discussioni sulla funzione mnemonica delle immagini, tanto diffusa fra gli esponenti dell'Arte, potrà rendersi conto dell'ambiente nel quale ebbe a maturare il tentativo come- miano di fondare sulle figure e sulla visione ogni duraturo e stabile apprendimento. La prima parte dell’ Ordis  sensualium pictus si presenta, non a caso, come una omnium principalium in mundo rerum et in vita actionum pictura. Per quanto qui esposto cfr. Philosophiae prodromus et conatuum pansophicorum dilucidatio. Accedunt didactica dissertatio de sermonis latini studio perfecte absolvendo, aliaque erusdem, Lugduni Batavorum, Officina David Lopez de Haro. La prima edizione dell’opera è Londra, L. Fawre et S. Gellibrand. Ho visto l'edizione nell’esemplare dell’Angelica al quale è stato legato assieme il FABER FORTVNA sive ars consulendi sibi ipsi ttemque regulac vitae sapientis, Amstelodami, ex officina Petri van der Berge] et nomenclatura », e chi ne scorra le pagine piene di figure e di simboli troverà appunto, ovunque presente, la tesi che la realtà delle cose dev'essere intuita e vista attraverso le immagini delle cose. Fondamento di un erudizione non astratta e scolastica, ma « piena e solida », non oscura e con- fusa, ma «chiara e distinta e articolata come le dita della mano », è la «retta presentazione, ai sensi, delle cose sensi- bili ». Solo per questa via, la via dell'immagine, del senso e della memoria, sarà possibile giungere poi alla più alta educazione dell’intelletto. Alle immagini vien dunque attri- buita una funzione decisiva: esse sono «le icone di tutte le cose visibili dell’intero mondo, alle quali, con modi appro- priati, saranno riducibili anche le cose invisibili ». Riprendendo il motivo centrale della Cirsà del Sole campanelliana di CAMPANELLA Comenio giunge a significative conclusioni: al nostro fine servirà validamente anche questo: dipingere sulle pareti delle aule il sunto di tutti i libri di ciascuna classe, tanto il testo (con vigorosa brevità) quanto le illustrazioni, ritratti e rilievi, che esercitino ogni giorno i sensi e la memoria degli studenti. Sulle pareti del tempio d’ Esculapio, come ci hanno tramandato gli antichi, erano scritte le regole di tutta la me- dicina che Ippocrate, di nascosto, copiò da capo a fondo. Anche Dio infatti dovunque riempì questo grande teatro del mondo di pitture, di statue e di immagini, come vive rap- presentazioni della sua sapienza ». Non si trattava solo della generica accettazione di mo- tivi diffusi: l’« alfabeto filosofico » proposto da Comeniocontro quella « permolesta ingeniorum tortura » che è la sil- labatro, nel quale le lettere son riprodotte accanto all’imma- gine dell'animale «cuius vocem litera imitatur »,!” non fa che riprodurre, con intenti solo in parte diversi, quegli « al- fabeti mnemonici » che troviamo presenti in tutti i testi quattrocenteschi e cinquecenteschi di ars reminiscendi. A questa stessa tecnica del raffrozamento della memoria (lar- [Orbis senstalis picti pars prima. Hoc est: omnium principalium in mundo rerum et in vita actionum pictura et nomenclatura, cum titu- lorum iuxta cetque vocabulorum indice, Noribergae, Sumtibus Joh. Andr. Endteri haeredum, anno salutis. Si vedano, in particolare, le pagine della prefazione. Cfr. Orbis sensualis picti pars prima, cit., prefazione] ghissimamente impiegata dallo stesso Comenio nel DE SERMONIS LATINI STUDIO), ai teatri del mondo, alla ca- bala si richiamano poi quelle numerose pagine di Comenio nelle quali vien presentato quel Theatrum sapientiae cui dev'essere attribuito, per la nobiltà degli oggetti che racchiu- de, il più solenne nome di Templum. Il tempio della panso- fia cristiana è costruito secondo le idee, le norme, le leggi divine, è consacrato a tutte le genti di ogni lingua: in esso sono « collocati » le facoltà, gli oggetti prodotti dalla forza naturale presenti nel mondo visibile, l’uomo e i prodotti dell'ingegno umano, le realtà interne dell’uomo, Dio e le potenze angeliche, i prodotti della vera sapienza: di fronte a queste pagine comeniane è difficile non ricordare le mac- chinose costruzioni emblematiche di De VALERIIS (si veda) e di CAMILLO, le grandi rassegne della realtà universale presenti nel Thesaurus artificiosa memoriae philosophis di ROSSELLI (si veda). Anche il progetto comeniano di una enciclopedia totale » appare del resto profondamente legato alle impostazio- ni del lullismo, alle discussioni sulla catena scientiarum, ai progetti, così numerosi nel Cinquecento, di una scienza uni- taria o arte universale. L’oggetto della sapienza — scrive Comenio nel Pansophiae prodromus — è stato di volta in volta attribuito alla filosofia, alla medicina, alla teologia, al diritto; è stato concepito come oggetto di una scienza par- ticolare; identificato con una visione parziale che allontana ogni speranza di pervenire alla totalità, alla comprensione dell’unità del mondo. Alla visione totale, alla lettura del gran libro dell'universo si potrà giungere attraverso un pro- cesso graduale che va dall’enciclopedia sotto la specie sensi- bile (orbis sensualis) all’enciclopedia sotto la specie intellet- tuale (orbis intelletualis): alla visione unitaria, che è lo scopo più alto del sapere, non si potrà invece mai giungere me- [Il testo della Dissertazio didactica de sermonis latini studio in Pan- sophiae prodromus. Per il tempio della pansofia cristana cfr. Pansophiae christianae templum ad Ipsius supremi Architecti Onnipotentis Dei ideas, normas, legesque Istruendum, et usibus Catholicae Iesu Christi Ecclesiae, ex omnibus gentibus, tribubus, populis et linguis collectae et colligendae consecrandum ». Cfr. anche la Pansophiae Diatyposis iconographica, Amstlelodami] diante la successiva aggiunta di considerazioni parziali. Tutti i tentativi di giungere all'unità mediante l’enumerazione e la collezione delle soluzioni e delle tecniche particolari, sono miseramente falliti: da un lato si son confezionati gigante- schi ma inutili elenchi che volevano esaurire, in una mint- tiarum confectatio, la totalità delle parole e delle cose; dal- l’altro si son costruite ordinatissime enciclopedie simili più ad eleganti catene dai molti anelli che a macchine capaci di funzionare in modo autonomo e cocrente. Ne son derivati ordinati mucchi di legna disposti con gran cura e pazienza, ma non si è riusciti a dar luogo a quell’albero vivo delle scienze verdeggiante di fronde e ricco di rami e di frutti che trae alimento e vigore dalle sue proprie radici. Dar vita a quell’albero («at nos scientiarum et artium radices vivas, ar- borem vivam, fructus vivos desideramus »), sarà possibile solo attraverso la visione unitaria del tutto, la pansofia che è insieme possesso del tutto e viva immagine del vivente uni- verso: Pansophiam dico, quae sit viva universi imago, sibi ipsi undique cohaerens, seipsam undique vegetans, seip- sam undique fructu applens. A quegli inutili, pedante- schi elenchi di parole e di cose andrà quindi contrapposto il promptuarium universalis eruditionis, il libro della pan- sofia: qui la compendiosità, la chiarezza, il rifiuto di ogni oscurità, la « perpetua connexio causarum cet effectuum » la ordinis continuo fluentis series a principio ad finem» so- stituiranno la caoticità e l’oscurità delle precedenti compila- zioni.!’ In realtà l'enciclopedia comeniana, per quanto attiene ai motivi di fondo, non si muoveva su un piano molto diverso da quello sul quale si erano mossi Cfr. Pansophiac prodromus, e le considerazioni svolte a questo proposito da GARIN,  L'educazione in Europa,  Cfr. Pansophiae prodromus: Quas adhuc vidi Encyclo- paedias ctiam ordinatissimas similiores visae sunt catenae annulis mul- tis eleganter contextae, quam automato rotulis artificiose ad motum composito et seipsum circumagente; et lignorum strui, magna quadam cura et ordine eleganti dispositac similiores, quam arbori e radicibus propriis assurgenti spiritus innati virtute se in ramos et frondes expli- canti, et fructus edenti. Cfr. Pansophiae prodromus gli “enciplopedisti” di ispirazione lulliana. Questa comu- nanza di impostazioni, che sussiste al di là delle differenze, delle critiche e dei polemici rifiuti, risulterà chiara ove si prendano in considerazioni alcuni problemi caratteristici) quello dei rapporti intercorrenti fra la logica e l’enciclope- dia; 2) quello della corrispondenza fra l’universo dei segni c l'universo delle cose; quello dell’unità del mondo (ritma- to secondo l'armonia delle leggi divine) rispetto alla quale l'enciclopedia si pone come uno specchio; infine quello della logica-enciclopedica come «chiave universale » capace di dischiudere all’uomo i segreti ultimi della realtà. Su ciascuno di questi punti la posizione di Comenio è precisa: il vocabolario o la fanua linguarum coincide con la enciclopedia («januam linguarum et encyclopediam debere esse idem ») e si pongono come una intellectus humani cla- vis che consente la lettura dell’alfabeto divino impresso sulle cose; l'ordinamento rigoroso delle nozioni, l’immagine uni- taria e gerarchica dell’universo sono il frutto più alto del nuovo metodo che è in grado di ricondurre ogni nozione al suo genere e alla sua specie ut quicquid de ulla re dicendum est, simul et semel de omnibus dicatur de quibus dici potest »; l’intera enciclopedia appare fondata su un numero ridottissimo di «assiomi » o di «sententiae per se fide di- gnae, non demonstrande per priora, sed illustrandae solum exemplis »; l’intero mondo del sapere apparirà in tal modo simile a una «catena » la cui struttura appare simile a quel- la in uso nella matematica. Il rimedio sarà: una conformazione di tutte le arti e le scienze tale che ovunque si inizi dalle cose più note e il processo verso quelle ignote avvenga con lentezza e gradatamente, così come, in una catena, ogni anello sostiene e trascina l’altro anello... Come, presso i ma- tematici, dimostrato un teorema segue il sapere e dimostrato un problema segue l’effetto, così, nella pansofia, dimostrata una qualche parte dell’universale dottrina, ne conseguono certezza e infallibilità. Cfr. Pansophiae prodromus. Sulla coincidenza della Janua linguarum e dell'enciclopedia cfr. la Janua linguarum reserata aurea, Lugduni Batavorum, prefazione e l' Eruditionis scholasticae atrium rerum et linguarum ornamenta exhibens, Norimbergae, Braid.,  e Angelica. L’infinita varietà delle nozioni e delle cose è dunque ri- ducibile ad un numero limitato d’assiomi o di princìpi. Questa riducibilitù —che rende possibile la stesura del libro della pansofia — appare chiaramente fondata, anche in Comenio, su alcuni tipici presupposti: le strutture del di- scorso e quelle del mondo reale si corrispondono pienamente; le stesse, identiche rationes sono presenti in Dio, nella natura, nell’arte. Le raziones rerum sono in ogni caso le stes- se: in Dio sono ut in Archetypo, in natura ut in Ectypo, nell’arte ut in Antytipo. Di fronte ai dubbi che possono essere avanzati sulla possibilità di rintracciare una «chiave univer- sale », Comenio fa appello alla riducibilità del mondo a pochi fondamentali elementi e allo stretto parallelismo intercorren- te tra le res da un lato ce i conceptus, le imagines, i verba dall’altro: Per quanto le cose poste al di fuori dell’intelletto sembrino qualcosa di infinito, tuttavia esse non sono infi- nite perché il mondo, opera stupenda di Dio, consta di pochi elementi e di poche forme differenti e perché tutto quanto è stato escogitato mediante l’arte può essere ricondotto a determinati generi e a determinati punti principali. Poiché dunque fra le cose e i concetti delle cose, fra le immagini dei concetti e le parole si dà un parallelismo, e poiché nelle cose singole sono presenti alcuni princìpi fondamentali dai quali tutto il resto risulta, io pensavo che quei princìpi fon- damentali, che sono egualmente nelle cose, nei concetti e nel discorso, potessero essere insegnati. Mi veniva anche alla mente che i chimici avevano trovato il modo di liberare le essenze o spiriti delle cose dalla superfluità della materia in modo da poter concentrare in una piccola goccia una forza ingente di minerali e di vegetali e che questa goccia era, nelle medicine, di maggior efficacia che i corpi mine- rali e vegetali nella loro integrità. E non potrà essere escogitato nulla (pensavo) per radunare e concentrare in qualche modo i precetti della sapienza ora sparsi per i così ampi ter- reni delle scienze ed anzi, al di là dei loro stessi confini, sparsi Eadem proinde sunt rerum rationes, nec differunt, nisi existendi forma: quia in Deo sunt ut in Archetypo, in natura ut in Ectypo, in arte ut in Antitypo Pansophiac prodromus. all’infinito? Allontaniamo ogni sfiducia perché ogni atto di sfiducia è una bestemmia verso Dio. Determinando i princìpi e le essenze, ponendosi come specchio fedele della natura, l’arte ha il compito di rivelare la profonda armonia che lega gli elementi dell’universo: Omnis harmoniae fons, Deus, harmonice fecit omnia i musici chiamano armonia la piacevole consonanza di molte voci e tale, in verità, è l’armonioso concerto delle virtù eter- ne in Dio, delle virtù create nella natura, delle virtù espresse nell’arte; in Dio, nella natura, nell'arte si dà armonia e c’è armonia divina e l’arte è immagine della natura. Di qui nasceva la fede di Comenio nella possibilità di una partecipazione di tutti gli uomini a una comune salvez- za, la sua convinzione che, attraverso la conquista della pansofia, potessero terminare per sempre le guerre, le liti, i dis- sidi dei quali fin’ora si è nutrito il mondo: «cederent etiam non invitae tam claro lumini errorum tenebrae et hominibus facilius cessarent dissidia, lites, bella quibus se nunc conficit mundus. L'eredità dell’ enciclopedismo lullista, la fede nella possibilità di un’arte capace di porsi come strumento di razionale convivenza tra le genti, l'aspirazione a un metodo universale o scienza unitaria che riveli la coincidenza tra le strutture del pensiero e quelle della realtà erano ormai state integralmente accolte, in quanto avevano di più valido, dai maggiori rap- presentanti della cultura europea. Bacone, Cartesio, Alsted, Comenio (così come più tardi avverrà con Leibniz) avevano accolto alcuni temi presenti nella tradizione lullista e li ave- [Pansophiae prodromus, Pansophiae prodromus. Ma su que- ste conclusioni cfr. anche la Janua rerum reserata hoc est sapientia pri- ma (quam vulgo metaphysicam vocant) ita mentibus hominum adaptata ut per cam in totum rerum ambitum omnemque interiorem rerum or- dinem et in omnes intimas rebus coeternas veritates prospectus pateat catholicus simulque et cadem omnium humanarum cogitationum, ser- monum, operum fons et scaturigo, formaque et norma esse appareat. Pansophiae prodromus] vano inseriti in un più vasto discorso concernente la logica, la funzione della filosofia, i rapporti fra le scienze, l'educazione del genere umano. In molti dei testi, numerosissimi, dei sequaci e dei commentatori di Lullotroviamo invece solo la ripetizione di motivi ormai tradizionali, l’insistenza su temi ormai trasformati in luoghi comuni, la pedantesca riesposizione delle regole della combinatoria. Le discussioni sull’enciclopedia, sulla trasmissione del sapere, sul metodo, sul linguaggio si andavano ormai svol- gendo, a più alto livello, in ambienti differenti. E tuttavia anche di questi testi — non pochi fra i quali furono ammirati c celebrati in tutta Europa e amati e studiati da uomini insigni — gioverà tener conto. Non solo per sottolineare la presenza operante di un tipo di ricerche che ebbe eco vastissima, ma anche per rendersi conto di come, su quelle stesse ricerche, andassero riflettendosi alcune esigenze caratteristiche della cultura del Seicento. Abbiamo già ricordato i progetti di unificazione delle scienze presenti nelle opere di Morestell, di Meyssonnier, d’Aubry, ma altri casi sono, da questo punto di vista, non meno indicativi. A Parigi, veniva pubblicato da R. L. de VASSI (si veda), consigliere del re, Le fondément de l'artifice universel... sur lequel on peut appuyer le moyen de pervenir à l’Encyclopedie ou universalité des sciences par un ordre méthodique beaucoup plus prompte et vrayment plus facile qu aucun autre qui soit communement receu. Il libro, nonostante le mirabolanti promesse contenute nella lettera dedi- catoria, conteneva in realtà solo la parziale traduzione di alcuni scritti di Lullo. Ma è significativo che l’opera di Lullo venisse allora presentata come l’strumento atto a consentire il metodico ordinamento delle scienze e la realizzazione del- l'enciclopedia. In una situazione che il de Vassi giudicava assai poco favorevole agli studi lulliani («la pratique artift- cielle du Docteur Raymonde Lulle, mis en oubly par la plus grand part et rejetté communement du commun des Docteurs) i testi della combinatoria venivano riproposti in fun- 29 Traduit par Sicur de Vassi, conseiller du Roy, A Paris, dans l'imprimerie d’Ant. Champenois (Triv., Mor.] zione di un problema che era, in quegli anni, estremamente attuale. E’ un atteggiamento, questo, che ritroviamo presente anche negli scritti (ben noti a Leibniz) di Jano Cecilio Frey, medico della regina madre di Francia, au- tore, oltre che di scritti di medicina e di fisiognomica, di un compendio di filosofia aristotelica e di una Via ad divas scientias artesque, linguarum notittam, sermones extemporaneos nova et expeditissima. Nell’edizione postuma delle sue opere ® troviamo, accanto ai consueti interessi per la retorica e per il linguaggio, per la logica (via ad scienttas) e per l’enciclo- pedia (scientiae et artes omnes ordine distributae et desumptae), il tentativo di ridurre ad assiomi i princìpi di tutte le scienze (ariomata philosophica) e di tracciare le linee di un ordina- mento degli studi. Le regole dell’arte della memoria di origine ciceroniana vengono riprese dal Frey e inserite — sulle tracce del Lavinheta — nella tematica dell’ars combinandi. Non a caso la pAilosophia rationalis viene ripartita dal Frey in logica, dialettica e arte memorativa -- philosophia rationalis est logica et dialectica et ars memorativa. La costruzione di una assiomatica delle scienze (riduzione di tutti i termini fondamentali delle singole scienze ai prin- cìpi di una combinatoria riformata), la determinazione dei rapporti fra i vari rami del sapere sono i temi centrali anche [L'opera e pubblicata a Parigi (excudebat Langlaeus)  (Braid.). Del Frey sono da ricordare il Compendium medicinae e | Onmnis homo, item amor et amicus, item Physiognonia Chiromantia Onciromantia, Parigi. Di questi ultimi due scritti e del panegirico com- posto dal Gaffarcl (Lacrimae sacrae in obitum Ilani Caecilii Frey medici, Parigi) dà notizia il THORNDIKE, History of magic and experimental science, New York. È da vedere anche l'Universae philosophiae compendium luculentissimum, ad mentem ct methodum Aristotelis concinnatum, Parisiis, excudebat D. Langlaeus (Par. Naz.). Jani Caecitu Frey, Opera quae reperiri potuerunt in unum corpus collecta, Parisiis, J. Gesslin (Copia usata: Angelica). Philosophia rationalis est logica et dialectica et ars memorativa. Dialectica quidem dans materiam disputandi et argumenta. Logica dans formas argumentandi. Dialectica vel lullistica, vel peripatetica, vel ramea » (Opera). Per la ripresa dei tradizionali motivi della mnemotecnica ciceroniana si vedano] del macchinoso Digestum sapientiae (di Ivo de Paris e del grande Commento all'arte lulliana di PACE (si veda), scolaro di ZABARELLA (si veda) e profugo a Ginevra, professore a Heidelberg e a PADOVA. Quest'ultimo testo, compilato da uno fra i più acuti e più noti traduttori e commentatori dell’Organon aristotelico, da un uomo che e, oltre che logico insigne, giurista di gran fama, sarebbe, di per sé, meritevole di un lungo discorso. Ma giove invece soffermarsi con una certa ampiezza su un testo  che ha immediata risonanza curopea e godette poi di fortuna grandissima: il Pharus scientiarum d’Izquierdo. Alla costruzione dell’arte universale o «scienza delle scienze — afferma Izquierdo — hanno lavorato nei secoli Aristotele e CICERONE, Quintiliano e Lullo. Quest’antica aspirazione verso una logica prima che possa illuminare, come un faro, il cammino ai naviganti nel mare della sapienza, ha trovato espressione nella Sinzaxis di Gregoire, nel Digestum di Ivo de Paris, nella Cyclognomica di GEMMA (si veda), da Flandre, nel Novum Organum di Bacone. Per condurre a termine l’opera da questi autori avviata, è necessario rendersi conto di tre cose: 1) l'enciclopedia (la scienzia circularis o orbicularis degli antichi) non consiste in un aggre- [L’opera di Ivo De Paris, Digestum sapientiac, in quo habetur scien- tarum omnium rerum divinarumn atque humanarum nexus et ad prima principia reductio, fu pubblicata a Parigi. Un'altra edizione, più nota, a Lione. Cfr. CarrERAS y ARTAU, Op. cit.. Pace, L'art de Raymond Lullius esclaircy... divisé en IV livres ou est enscigné une méthode qui fournit grand nombre de termes universels d'attributs, de propositions et d’argumens par le moyen desquels on peut discourir sur tous sujets, Paris, F. Julliot (Par. Naz.); Artis lullianac emendatae libri IV, Neapoli, ex typ. Secundini Roncalioli (Par. Naz. Rés.). Sul grande commento aristotelico - In Porphyrii Isagogen et Aristotelis Organtm commentarius analyticus, Aureliac - si vedano, fra l’altro, le considerazioni di Colli, introduzione alla versione italiana dell'’Organon, Torino; SepastIan IzquierDo S. ]., Pharus scientiarum ubi quidquid ad cognitionem humanam humanitus acquisibilem pertinet, ubertim juxta atque succincte pertractatur, Lugduni, sumptibus C. Bourget et M. Liétard (Par. Naz.). Cfr. Carreras Y Artau, Cenat, E/ P. S. Izquierdo y su Pharus scientiarum, « Revista de filosofia] gato di tutte le scienze, ma in una scienza speciale (« in spe ciali quadam scientia consistere ») che comprende in sé la totalità di tutte le scienze ivi compresi i princìpi della stessa scienza speciale o universale; alla logica parziale di Aristotele, va sostituita una logica integra che comprenda, oltre all’ars intelligendi perfezionatrice dell’intelletto, un’ars memorandi che soccorre alla memoria, un’ars imaginandi e un’ars experiendi che si volgono ad accrescere le capacità della fantasia e quelle dei sensi esterni; a metafisica deve procedere con assoluto rigore dimostrativo secondo il modello delle scienze matematiche: se i metafisici avessero ragionato dimostrativamente muovendo, al modo dci matematici, da princìpi evidenti, avrebbero già costruito gran parte della me- tafisica ». In questo modo di concepire la funzione della filosofia prima e in questa auspicata estensione del metodo mate- matico alla metafisica, operavano senza dubbio suggestioni cartesiane. Che si fanno ancor più evidenti quando l’Izquierdo (dopo aver criticato l’arte di Lullo per la barbarie della sua terminologia, l'insufficienza delle combinazioni binarie e ternarie, l'incapacità a discendere dai termini universali a quelli particolari) identifica la combinatoria con un calcolo. Solo la matematizzazione dell’ars combinandi potrà consentire la creazione di quell’unico strumento di tutte le scienze « per quod immediate fabrica scientiae humanae construitur et absque ullo termino semper augetur ». L’idea di avvicinare l’Ars magna ai procedimenti della matematica, assimilando la combinatoria ad un «calcolo », sarà ripresa, com'è noto, dal Leibniz e sarà feconda di importanti sviluppi. Ma negli anni nei quali Leibniz si volgeva alla combinatoria, si tratta, contrariamente a quanto molti han ritenuto, di idea non peregrina. La ritroviamo per esempio, chiaramente formulata, negli scritti di quel singolare venditore di fumo che fu il padre gesuita Atanasio Kircher,*° celebrato per le sue mirabili competenze [ Sul Kircher cfr. Carreras Y Artau, THORNDIKRE, History of magic, Couturat, La logique de Leibniz, FriepLanpER, A. Kircher und Leibniz. Ein Beitrage zur Gesch. der Polyhistorie im XVII Jahrh., Atti della Pontificia Accad. romana di archeologia », Rendiconti, in fisica e in archeologia, in filologia e in egittologia, in storia e in teoria del linguaggio, autore, fra l’altro, del celeberrimo Mundus subterraneus e di un trattato, altrettanto noto, sui mi- steri dei numeri.?° Ed è significativo, importante per l’inten- dimento di un ambiente culturale, che l'accostamento dell’Arte ai procedimenti matematici, l'esaltazione della combinatoria di Diofanto (« Diophanti nobilis mathematici ars combinato- ria ») alla quale veniva ravvicinata la combinatoria di Lullo, ci appaia presente non solo negli scritti di logici insigni, come l’Izquierdo, ma nelle opere confusissime di un uomo come il Kircher per tanti aspetti legato ai temi della tradizione erme- tica e della sapienza gnostica, ai motivi della magia e della cabala, alle speculazioni sui misteria numerorum. Nonostante le sue tirate retoriche sul valore del metodo sperimentale e la sua difesa della nuova scienza, Kircher credeva alle qualità occulte, alle « simpatie » e ai poteri dell’immaginazione, riat- fermava la teoria della generazione spontanea, era convinto dell’esistenza di demoni girovaganti per le miniere, era pronto, in ogni caso e in ogni circostanza a sottolineare gli aspetti « miracolosi » e meravigliosi » della realtà. Quando l’impera- tore Ferdinando III, durante le aspre polemiche suscitate in Germania dall’apparizione del Pharus scientiarum dell’ Iz- quierdo, fece appello alla dottrina del Kircher per essere in- formato sulla reale utilità dell’arte lulliana e sulla possibilità di una sua ulteriore semplificazione, il gesuita tedesco elaborò una complicata riforma che si rifaceva in gran parte al Pharus dell’ Izquierdo.?! Mentre riprendeva le critiche del suo pre- decessore, Kircher si volgeva però, con prevalente interesse, alla costruzione delle immagini, alle allegorie, alla elaborazione di figure e di simboli, ai misteri dell'alfabeto. Negli ultimi decenni del secolo, soprattutto ad opera dei °° KircHer, Mundus subterraneus, Amstelodami, apud Joannem Janssonium et Elizeum Weyerstraten; Arithmologia sive de abditis numerorum mysteriis, Roma,  KircHer, Ars magna sciendi in XII libros digesta, qua nova et universali methodo per artificiosum combinationum contextum de omni re proposita plurimis et prope infinitis rationibus disputari omniumque summaria quaedam cognitio comparari potest, Amsterdam, gesuiti, il lullismo si legava ancora una volta all'atmosfera, ormai torbida ed equivoca, dell’ermetismo e della magia. Nei farraginosi scritti di un altro gesuita, il padre Caspar Knittel, troviamo solo un’ampia esposizione delle regole della combi. natoria e la stanca, monotona ripetizione delle tesi del Kir- cher.*° Nei primi anni del Settecento, un grande erudito, il Morhofius, esprimeva, su queste riforme e questo tipo di pro- duzione magico-filosofica, un giudizio che può essere ripreso: « illa vero consistit in eo nel Knittel emendatio, quod nova comminiscatur Alphabeta, aliis literarum formis alioque or- dine, quae mihi res exigua videtur »." In tutt'altro senso, intorno alla metà del secolo, aveva par- lato dell’ « alfabeto » Bisterfield che aveva progettato un alfabeto filosofico dopo aver raccolto e ordinato, in accuratissime tavole, tutti i termini tecnici e tutte le definizioni impiegati da ciascuna scienza. Nella creazione di 22 Sull'ipotesi di una presa di posizione dei Gesuiti in favore della magia contro la nuova scienza cfr. L. THorNDIKE, History of magic, KNITTEL S. J., Via regia ad omnes scientias et artes, hoc est ars universalis scienttarum omnium artiumque arcana facilius pene- trandi, Pragae, J. C. Laurer (Par. Naz.); ma è da ve- dere anche la Cosmographia elementaris, Norimbergae, J. A. et Endteri (Angelica) MorHorius, Polyhistor literarius philosophicus et practicus, Lubecca, Ho fatto uso dei due volumi delle opere: Bisterfieldus redivivus, seu operum Bisterfieldi... tomus primus-secundus, Hagae Comitum, ex typographia A. Vlacq, 1661. Il primo volume contiene: Alphabeti philosophici libri tres; Aphorismi physici; Sciagraphia Analyseos (pp. 191-211); Parallelismus analy- seos grammaticae et logicae; Artificium definiendi catho- licum (pp. 1-104); Sciagraphia Symbioticae (pp. 3-144). Il secondo volume contiene: Logica; DE PVRITATE ORNATV ET COPIA LINGVA LATINAE; Ars disputandi; Ars combinatoria; Ars reducendorum terminorum ad disciplinas liberales technologica; Ars seu canones de reductione ad praedica- menta (pp. 42-46); Denarius didacticus, seu decem aphorismi bene discendi; Didactica sacra; Usus lexici. (Angelica). Del Phosphorns catholicus, seu queste tavole, nella ricerca di perfette definizioni si esauriva per Bisterfield la stessa enciclopedia, quel pictum mundi amphitheatrum che è « ordinatissima compages omnium disci- plinarum ».'° Più che sulla logica e sul metodo (inteso come regola dell'intelletto e rimedio alla naturale debolezza della memoria) Bisterfield insiste infatti sull'importanza decisiva della praxis logica che è una «artificiosa coniunctio » dei ter- mini della logica e di quelli dell’enciclopedia, una mescolanza degli instrumenta della logica con l’universale enciclopedia. Alle radici dell’enciclopedia stanno i termini trascendentali (« termini trascendentales sunt primae universae encyclopae- diae radices »): da essi muovono l’analisi (che è riduzione di un discorso o di un testo ai suoi termini semplici) e la genesi (che è simplicium combinatio): come per una scala si potrà pervenire a quell’artificium definiendi che consente una esatta definizione di tutti i termini dell’enciclopedia e una risolu- zione di tutti i termini nei termini primari o fondamentali.?* ars meditanti epitome cui subjunctum est consilium de studiis felici- ter instituendis ho visto l'edizione Lugduni Batavorum, H. Verbiest (Angelica). Alphabeti philosophici libri tres, Cfr. Alphabeti philosophici libri tres, Praxis logica consummatur, si omnes termini logici, cum universa encyclopaedia misccantur; Logica. Usus seu praxis logica est artificiosa instrumentorum logicorum ct terminorum enciclopaediae coniunctio... In praxi logica singulos terminos logicos cum singulis singularum disciplinarum terminis conferri debere. Cfr. Alphabeti philosophici libri tres. Termini trascendentales sunt primae universae encyclopaedia radices; Sciagraphia analyscos, Analysis est accuratum de textu seu dissertatione in sua principia resoluto iudicium. Totuplex sit analysis quotuplex in textu adhibita fuit genesis, idque ordine retrogrado. Analysis autem upote praxis frugalem compendiorum ac tabularum cognitionem prae- supponit; A/phabeti philosophici libri tres, p. 110: «Praxis logica est vel simplicium combinatio vocaturque Genesis, vel combinatorum reductio vocaturque analysis, vel denique mixta estque vel Genesis- analysis vel Analysis-genesis cuius varietas est infinita; Artificium definiendi, Artificium definiendi catholicum est quod do- cet modum omnium encyclopaediace terminorum definitiones accurate inveniendi ac diiudicandi. Scopus huius artificii est foclix id est facilis, solida ac practica, et quoad in hac vita fieri potest, certa perfec- taque universa encyclopaediac cognitio. Definitiones sunt omnis ge- neseos et analyseos claves et normae. Omnis enim mentis et entis, cum Sull’importanza delle definizioni che sono claves et normae della praxis logica, Bisterfield insiste senza posa. Tantum scit homo solide quantum scit definire: per giungere a deft- nire esattamente gli enti reali e gli enti di ragione, gli enti separati e quelli collettivi, gli enzia positiva e quelli priva- tionis, è necessario in primo luogo un dizionario (romencla- tura) dei termini impiegati nei vari discorsi propri delle sin- gole discipline. Sulla base del dizionario verranno costruite le tavole che sono «totius mundi totiusque encyclopaediae re- praesentationes ». Mediante le tavole verranno posti in luce i termini omogenei, quelli subordinati e quelli coordinati. La costruzione di una tabula primitiva, comprendente i termini comuni a tutte o alla maggior parte delle scienze, avvierà alla comprensione di quell’armonia delle scienze che, Bisterfield se ne rende ben conto, è insieme basis et clavis della prassi logica. L’armonia delle scienze è la base e la chiave della prassi logica. Quest'armonia è quella soavissima convenienza per la quale non solo tutte le scienze concordano con tutte, ma anche le parti con le parti di ciascuna; ed è così grande quest’armonia che uomini valorosissimi credono che non si diano più scienze, ma una sola scienza, o piuttosto che sia unico il corpo e il sistema di tutte le scienze.Per realizzare quest’unico systema, per giungere alla indi- viduazione dei termini trascendentali cui tutti gli altri appaiano analiticamente riducibili, Bisterfield aveva ritenuto indispensabile una elencazione minuziosa e accuratissima delle reductionem, tum deductionem complectuntur, si singula definitionum verba in primos terminos per scalam descendentem et ascendentem resolvantur, sic enim erunt omnigenae reductionis claves, argumento- rum compendia, propositionum fontes, syllogismorum et methodorum lumina. Sulle definizioni’ cfr. Artificium definiendi. Sulle tavole cfr.: Tabulae fundamentales (quae sunt certae terminorum homogcanorum subordinationes et coordinationes) sunt faciles, sed accuratae totius mundi totiusque encyclopac- diae repraesentationes. Universa illa inductio ac structura tabularum nititur panharmonia tum rerum tum disciplinarum. Tabula primitiva est prima simplicissima universalissima adeoque brevissima  totius mundi totiusque encyclopaediae repraesentatio... cam vocabimus catholicam ». Logica, p. cose e delle nozioni. Il teatro del mondo, con le sue tavole che rappresentano tutto ciò di cui può discorrere la mente umana, si poneva ancora una volta a fondamento dell’arte, della logica, della scienza delle scienze: «I termini trascen- dentali sono le radici prime dell’universale enciclopedia che è ordinatissima raccolta di tutte le discipline o anfiteatro di- pinto del mondo. L’universale artificium definiendi insegna ad accuratamente rintracciare e giudicare le definizioni di tutti i termini dell’enciclopedia. La prassi logica viene realizzata quando tutti i termini logici vengono mescolati con l’enciclopedia universale. Le tavole universali costituiscono il no- bilissimo alfabeto di tutte le discipline. Esse devono contenere tutto e devono rappresentare tutto ciò di cui la mente umana può discorrere e chi meglio possiederà le tavole avrà più fermi i semi della scienza. Esse sono le attrezzatissime officine di ogni pensiero e ci pongono sotto gli occhi tutto ciò intorno a cui e muovendo da cui si può discorrere. Di qui possono essere ricavati tutti i temi, tutti gli argomenti, tutti gli as- siomi, tutti i sillogismi, tutti i metodi. Cfr. ARTIFICIVM Grice (non-natura) definiendi; Alphabeti philosophici libri tres; Logica. All’inizio del suo Essay towards a real character and a philosophical language, pubblicato a Londra, sotto gli au- spici della Royal Society, Wilkins, chiarendo le linee fondamentali del suo progetto di una lingua « filo- sofica », « perfetta» o «universale », rimandava il lettore a quellepagine dell’Advancement of learning e del De aug- mentis scientiarum nelle quali Bacone aveva enumerato le 1 An essay towards a real character and a philosophical language by Witkins, D. D. Dean of Ripon and Fellow of the Royal Soctety, London, printed for Sa. Gellibrand and for John Martyn printer to the Royal Society,  (Ambros., Villa Pernice). Su Wilkins, vescovo di Chester e membro della Royal Society, autore del celebre scritto The discovery of a wordl in the moone, cfr. Niceron, Mémoires, Paris. Fra i contributi di maggior rilievo sono da segnalare: HENDERSON, The life and times of }. Wilkins, London, Stimson, Wilkins and the Royal Society, in «Journal of modern history,  Jones, Science and language in England of the mid-seventeenth century, in « Journal of Engl. and Germ. Philology, poi ripubblicato nel volume The seventeentài century, Standford; C. AnpRrape, The real character of Bishop Wilkins, in « Annals of science; F. ChÙristensen, /. Wilkins and the Royal Societys reform of prose style, Modern Language Quarterly; R. H. Svyrret, The origins of the Royal Society, in « Notes and records of the Royal Society of Lon- don; C. Emery, John Wilkins universal lan- guage, in « Isis»; B. De MotT, Comenius and the real character in England, in « PMLA; Science versus mnemonics, în « Isis. Scarso interesse presen- tano le osservazioni contenute nel noto volume citato da H. P. GRICE, di Ogden e Richards, The meaning of meaning, London. Sulle idee astronomiche di Wilkins sono da vedere i saggi di McCottey, in « Annals of science », PMLA e in « Studies in Philology. Una parte dell’Essay di Wilkins fu ripubblicata in TecHmer, Beitràge zur Geschicthe der franzòsischen und en- glischen Phonetik und Phonographie, Heilbronn] differenze esistenti tra i geroglifici e i «caratteri reali ».? I primi, in quanto emblemi, « hanno sempre qualcosa in co- mune con la cosa significata »; i secondi — aveva scritto Ba- cone — «non hanno nulla di emblematico », sono caratteri costruiti artificialmente il cui significato dipende solo da una convenzione e dall’abitudine che su di essa sì è andata in se- guito istituendo. Anche le lettere dell'alfabeto derivano da convenzione, ma i caratteri reali, a differenza delle lettere alfabetiche, rappresentano non lettere o parole, ma diretta- mente cose e nozioni (« neither letters nor words... but things or notions »): « È da qualche tempo cosa assai nota che in Cina e nelle regioni dell’ Estremo oriente sono oggi in uso dei caratteri reali, non nominali; che esprimono cioè non let: tere c parole, ma cose e nozioni. In tal modo genti di diver- sissime lingue, che consentono su questo tipo di caratteri, co- municano tra loro per scritto; e in questo modo un libro, scritto in quei caratteri, può essere letto da chiunque nella sua propria lingua... I caratteri reali non hanno nulla di emble- matico e sono in qualche modo sordi, costruiti in modo ar- bitrario (ad placitum) e poi accolti per consuetudine come per un tacito patto. È chiaro poi che questo genere di scrittura esige una grandissima quantità di caratteri che devono es- sere tanti quante sono le parole radicali (vocabula radicalia)». Alla creazione di una lingua universale e artificiale, che climini la confusione delle lingue naturali e ne superi le de- ficienze e le imperfezioni, contesta di simboli che fanno ri- ferimento non ai suoni, ma direttamente alle «cose », si de- dicheranno, nella seconda metà del secolo, non pochi cul- tori inglesi di logica e di problemi del linguaggio : esce a Londra uno scritto di Francis Lodowick: The grundwork or foundation laid (or so intended) for the framing of a new perfect language; appare il Lagopandecteision, or an introduction to the universal language di Urquhart- Cfr. Bacon, Works, by J. Spedding, Ellis, Heath, Londra; HI, Sui linguaggi universali nell’Inghilterra: O. FunckE, Zum Weltsprachenproblem in England, Heidelberg, c le brevi indicazioni contenute in L. Coururat-L. LeAau, Histoire de la langue tniverselle, Paris (cfr. la recensione di VAILATI (si veda), Scritti, Firenze] quhart, il notissimo traduttore di Rabelais; quat tro anni dopo Beck pubblica la sua opera The universal character by which all nations may understand one ano- ther's conceptions; le Tables of the universal character e V Ars signorum, vulgo character universalis et lingua philosophica di Dalgarno vedono la luce, sempre a Londra; infine, Wilkins pubblica il già ricordato £Essay towards a real character and a philosophical language. Per comprendere il significato di queste opere (e delle altre dello stesso tipo) e la funzione storica da esse esercitata, per intendere l’atmosfera culturale dalla quale esse trassero alimento e dalla quale derivarono le ragioni della loro dif- fusione e del loro successo, bisognerà tener conto di tre grandi fenomeni storici che caratterizzano (per quanto qui ci concerne) la vita intellettuale inglese. Si tratta: 1) in primo luogo della profon- da, decisiva azione esercitata in Inghilterra dall’opera di Ba- cone e dai gruppi “baconiani” della Royal Society, impe- gnati in una dura lotta contro la retorica del tardo umanesi- mo e in un'appassionata difesa della nuova scienza; 2) in se- condo luogo di quella grande “rivoluzione” (che non fu solo « mentale » perché investì non solo le idee e la cultura, la letteratura e il modo di pensare, ma anche le istituzioni accademiche e scientifiche, il modo di insegnare, di impa- rare e di vivere) che conseguì ai grandi progressi della “fi- losofia sperimentale” e degli studi fisico-matematici; 3) in terzo luogo, infine, della profonda risonanza che l’opera, l'insegnamento, le utopie, le speranze di Giovanni Amos Co- menio ebbero su molti ambienti della cultura filosofica, poli- tica, religiosa dell’ Inghilterra del Seicento. Cominciamo dunque da Bacone, anche perché le sue af- fermazioni sui caratteri reali (il termine avrà, in Inghilterra e fuori, una fortuna grandissima), la posizione da lui assunta nei confronti del problema del linguaggio, costituiscono, in tutte queste trattazioni di lingua universale, dei presupposti implicitamente (ma quasi sempre esplicitamente) presenti. Sul carattere « materialistico » delle teorie linguistiche di Ba- cone, Richard Foster Jones ha scritto pagine di grande rilie- vo nelle quali, fra l’altro, è stato anche dimostrato il gran peso esercitato dalle tesi baconiane su quella « rivoluzione stilistica » che caratterizza, in Inghilterra, durante la Restau- razione, gli sviluppi della prosa secolare (testi di storia, di filosofia naturale, di politica) e religiosa (libri di edificazione, prediche, preghiere). Foster Jones ha parlato di una «an- tipatia di Bacone per il linguaggio». In realtà si tratta di qualcosa di più che di una «antipatia: l’atteggiamento di Bacone è fondato sulla convinzione che il linguaggio, come del resto gli altri prodotti dello spirito umano, costituisca o possa costituire un ostacolo, del quale tuttavia in quanto crea- ture umane non si può fare a meno, alla autentica compren- sione della realtà, sia, in altri termini, qualcosa che s! frap- pone fra l’uomo e i fatti reali o le forze della natura. Per « avvicinarsi alle cose » è necessario da un lato rifiutare i nomi che non corrispondono a cose reali, dall’altro impa- rare a costruire parole che rispondano alla realtà effettiva delle cose. Gli :4ola che si impongono all’intelletto per mezzo delle parole — afferma Bacone nel Novum Organum — sono di due generi: o sono nomi di cose che non esistono, o sono nomi di cose che esistono, ma confusi, mal definiti e astratti dalle cose in modo affrettato e parziale. I primi sono legati a determinate teorie fantastiche (la for- tuna, il primo mobile ecc.) e, mediante un rifiuto di quelle teorie è possibile liberarsi da essi. Nel caso dei secondi il problema è molto più complesso perché qui si ha a che fare con una inesperta « astrazione dalle cose » che ha dato luo- go a nozioni confuse. Queste affermazioni di Bacone ci consentono di chiarire ulteriormente la sua posizione di fronte al linguaggio: le no- zioni devono essere astratte correttamente dalle cose e corrispondere ad esse; ove la nozione sia stata costruita in modo vago e impreciso il nome risente di questa vaghezza e im- precisione. Inoltre i nomi attribuiti alle cose, le parole, eser- citano a loro volta un'azione sull’intelletto: le parole indi- canti nozioni vaghe «ritorcono e riflettono sull’intelletto la [Oltre al saggio qui sopra indicato si vedano: Science and english prose style in the third quarter of the seventeenthà century; Saence and criticism in the neo-classical age of english literature] loro forza » e condizionano negativamente la sua stessa ri- cerca di nozioni precise. In tal modo le parole « riflettono i loro raggi e le loro immagini fin dentro la mente e non solo sono dannose alla comunicazione, ma anche al giudizio e all’intelletto. Quando, attraverso un'osservazionepiù ac- curata e una più attenta opera di «astrazione », si tenta di far meglio corrispondere le parole alla natura, «le parole si ribellano » e danno luogo a infinite, sterili controversie che hanno per oggetto non la realtà, ma solo i nomi e le parole. Il tentativo di impiegare definizioni precise del tipo di quelle usate dai matematici non appare a Bacone molto utile: « trat- tandosi di cose naturali e materiali, neppure le definizioni possono rimediare a questo male, perché le stesse definizioni constano di parole e le parole generano altre parole ». Era, questa, una conclusione assai significativa e la critica (svolta da Bacone nel Novum Organum) del termine « umido » è preziosa per intendere il suo punto di vista: la equivocità del termine « umido » dipende per lui dalla equivocità della nozione di « umido » che indica una molteplicità di comportamenti diversi e che è stata « astratta superficialmen- te e senza le dovute verifiche soltanto dall’acqua e dai liqui- di comuni e volgari ». Di fronte a questa varietà di signifi- cati, non si tratta, per Bacone, di dare una definizione che determini il campo di applicazione del termine « umido » predeterminando l’uso possibile di quel termine e limitan- done il senso, ma di elaborare, sulla base «di uno studio dei casi particolari, della loro serie e del loro ordine », una nozione che riconduca ad unità la diversità dei comporta- menti e serva da criterio per spiegare questa diversità. La validità di questo criterio sarà però, sempre e in ogni caso, dipendente dalla maggiore o minore corrispondenza alle cose della nozione così elaborata. Si comprende in tal modo come Bacone possa giungere ad una identificazione dei termini “ nozione » e « parola » (« mala et inepta verborum imposi- to », « nomina temere a rebus abstracta » ecc.) che è in contrasto con gli accenni convenzionalistici pur presenti nella sua trattazione del linguaggio. In conclusione: ciò che Ba- cone non è in alcun modo disposto ad accettare è una teoria che identifichi la verità di una proposizione con la coerenza logica tra i termini che compongono la proposizione stessa: la ricerca si riporta di continuo alle cose, alle qualità sensibili e alle proprietà dei corpi materiali. L'ispirazione fonda- mentalmente « materialistica » di questa concezione del lin- guaggio si fa particolarmente evidente quando Bacone crea una specie di graduatoria rispecchiante «i diversi gradi di aberrazione e di errore presenti nelle parole »: il genere di nomi meno difettoso è quello dei nomi di alcune sostanze ben note (creta, fango, ecc.); più difettoso è il genere di nomi indicanti azioni (generare, corrompere, ecc.); più difettoso di tutti è il genere dei nomi di qualità (grave, denso, leg- gero, ecc.).° Bacone aveva dunque contrapposto le «cose» alle parole, aveva insistito sulla necessità di un linguaggio che rimandasse, il più direttamente possibile, alla realtà e alle operazioni o forze presenti nella natura, aveva accentuato i pericoli presenti nell’uso del linguaggio, aveva pensato ad una lingua artificiale, composta da simboli di tutte le parole radicali  che potesse climinare alcuni o molti di questi pericoli. Ma Bacone — e questo è altrettanto importante — era stato anche il /eader dell’anticiceronianismo, si era fatto assertore dei brevi aforismi contrapponendoli al corposo pe- riodare dei seguaci di Cicerone, aveva sostenuto la necessità di un ritorno allo stile «attico» o «senechiano » mirante alla espressività e alla chiarezza, vicino alla « brevità » degli Stoici, « grave » e « sentenzioso », lontano dagli abbellimenti retorici, dalle fioriture stilistiche, dall'impiego delle analogie ce delle metafore, Bacone polemizza contro le scolastiche dispute di parole e aveva contrapposto al linguaggio in uso nelle scuole – Bologna e i mertoniani -- una lingua breve ed essenziale, precisa e cruda, capace di rimettere nuovamente l’uomo — dopo tanti secoli di tenebre e di volontario acciecamento — a contatto con il mondo. ® Cfr. Bacon, Works (Redargutio philosophiarum); sugli idola fori:  (Advancement); HI, (Cogitata et visa) e Novum Organum, Cfr.M. W. CroLt, Attic prose in the seventeenth century, Studies in philology; Artic prose: Lipsius, Montaigne, Bacon, in Schelling anniversary papers, New York; The baroque style of prose, in Studies in English philology; a miscellany in honour of Klaeber, Minneapolis, Negli scritti dei seguaci e degli ammiratori di Bacone, nelle opere di molti fra i maggiori difensori della nuova scienza troviamo, energicamente riaffermate, le posizioni ora delineate. Basterà qualche esempio. Webster, cap- pellano nell’armata del Parlamento, acceso sostenitore della filosofia baconiana, attacca con estrema violenza nell’Academiarum Examen (Londra) la retorica e l’oratoria che servono solo per adornare e sono soltanto l’abito e la veste esteriore di ben più solide scienze, respinge gli studi grammaticali che gli appaiono inutili ad un reale progresso della conoscenza e insiste sulla opportunità di una symbolic and emblematic way of writing che superi la confusione e le imperfezioni delle lingue naturali. Nelle Considerations touching the style of the holy scriptures di Boyle troviamo lo stesso disprezzo per ogni inutile abbellimento dello stile. In un interessante brano autobiografico lo stesso Boyle contrapponeva la sua propensione per la filosofia sperimentale e per la conoscenza delle cose alla sua avversione e al suo disprezzo per lo studio delle parole insistendo anche sull’ambiguità e licenziosità dei termini scientifici che è esiziale al progresso della vera filosofia: my propensity and value for real learning gives me such aversion and contempt for the empty study of words. Boyle si e a lungo interessato ai problemi di una lingua artificiale; sui danni che derivano alla scienza dalla confusione delle lingue naturali si sofferma a lungo un altro fervente baconiano, Childrey, che nella sua Britannia Baconia (Londra) afferma che il volto della realtà non va sfigurato imbrattandolo con il belletto del linguaggio (not disfigure the face of truth by daubing it over with the paint of language). Anche Sprat, la cui History of the Royal Society rispecchia anche le opinioni dei suoi illustri colleghi, condanna l’uso delle metafore, la viziosa abbondanza delle frasi, la continua variabilità delle lingue come altrettanti mali dai quali gli [Wessrer, Academiarum examen, Londini, cfr. R. F. Jones,  The works of the honourable  Boyle, ed. Birch, London] uomini di scienza debbono liberarsi.’ Difendendo la Roya! Society dagli attacchi di Henry Stubbe che aveva osato assa- lire tutti i « true-hearted virtuous intelligent disciples of our Lord Bacon », George Thompson scrive: "Tis Works, not Words; Things not Thinking; Pyrotechnie [chimica], not PhAilologie; Operation, not merely Speculation, must justifie us physicians. Forbear then hereafter to be so wrongfully satyrical against us noble Experimentators, who questionless are entred into the right way of detecting the True of things. Le ricerche tendenti alla costruzione di una lingua filosofica o perfetta  trovarono un terreno oltremodo favo- revole nell’atmosfera culturale che abbiamo ora delineato. E queste diffuse esigenze di chiarezza e di rigore, questi progetti di una lingua simbolica trassero senza dubbio alimento dagli sviluppi degli studi matematici, anche se sarebbe impresa disperata sostenere che i progetti di una lingua universale, ai quali qui si fa riferimento, dipendano o storicamente derivino da quegli sviluppi. Il rigore delle dimostrazioni matematiche, il largo impiego, in matematica, di simboli contribuì però senza dubbio a rafforzare l’idea che fosse possibile, per gli scienziati, ridurre il loro stile a quella mathematicall plainess di cui parla, nella History of the Royal Society, il baconiano Sprat: essi hanno avuto la costante risoluzione di rifiutare tutte le amplificazioni, digressioni e ampollosità dello stile: hanno voluto far ritorno alla primitiva purezza e brevità, a quando gli uomini esprimevano molte cose all’incirca con un egual numero di parole. Hanno richiesto a tutti i membri della So- cietà: un modo di parlare discreto, nudo, naturale; espres- sioni positive; sensi chiari; una nativa facilità; la capacità di portare tutte le cose il più vicino possibile alla chiarezza della ® THoMas SpraT, The history of the Royal Society of London, London,  Cfr. H. FiscH and H. W. Jones, Bacon's influence on Sprat's History, in « Modern Language Quarterly Grorce THomprson, Mtooxoplag. Londra, Cfr. R. F. Jones] matematica; una preferenza per il linguaggio degli artigiani, dei contadini, dei mercanti piuttosto che per quello dei dotti ».!! A conclusioni più precise di quelle dello Sprat giunge- vano quegli studiosi che avevano, almeno in parte, subito l'influenza delle posizioni di Hobbes e accolto la sua definizione dei termini come simboli di relazioni e di quantità e la sua concezione del linguaggio come calcolo. Da questo punto di vista è tipica la posizione di Ward, professore di astronomia ad Oxford, che vede nella symbolicall way invented by VIETA (si veda), advanced by Harriot, perfected by Oughtred and Des Cartes il rimedio migliore alla verbosità eccessiva dei matematici. Quel tipo di scrittura, secondo Ward, può essere esteso all’intero linguaggio in modo che, per ogni cosa e nozione possano essere trovati simboli appropriati e tali da eliminare ogni confusione: «I was presently resolved that symboles might be found for every thing and notion ». Con l’aiuto della logica e della matematica (0y the help of logic and mathematics) tutti i discorsi umani potranno essere risolti in enunciati (resolved in sentences), questi in parole (words) e, poiché le parole significano nozioni semplici o sono in esse risolvibili (eszher simple notions or being resol- vible into simple notions), una volta rintracciate le nozioni semplici e assegnati ad esse dei simboli, sarà possibile rag- giungere un discorso rigorosamente dimostrativo tale da ri- velare (e l’aggiunta è importante) le nature delle cose (the natures of things). « Un linguaggio di questo tipo — conclu- deva Seth Ward — nel quale ogni termine sarebbe una de- finizione e conterrebbe la natura della cosa, potrebbe non ingiustamente essere denominato un linguaggio naturale, e potrebbe realizzare quell’impresa che i Cabalisti e i Rosa-cruciani hanno invano tentato di portare a compimento quando ricercavano, nell’ebraico, i nomi assegnati da Adamo alle cose. A una lingua universale, composta di caratteri « incomparabilmente più facili di quelli attuali » e a un “dictionary of sensible words” che fornisse la necessaria terminologia al meccanicismo hobbesiano, lavora anche, dopo la metà [Sprat, The history, Warp, Vindiciac academiarum, Londra, Cfr. R. F. Jones, in The seventeenth century, Petty, membro della Società reale e gran- de pioniere negli studi di economia politica. « Il dizionario di cui ho parlato — scrive in una lettera a Southwell — ave- va lo scopo di tradurre tutti i termini usati nell’argomentazione e nelle materie più importanti in altri termini equiva- lenti che fossero signa rerum et motuum ».'* Anche Boyle, in una lettera, aveva visto nel carattere interlinguistico dei simboli matematici, una prova della possibilità di costruire una lingua composta di caratteri reali. In verità, poiché i caratteri che impieghiamo in matema- tica sono compresi da tutte le nazioni europee nonostante che ciascuno dei tanti popoli esprima questa comprensione nella sua lingua particolare, non vedo alcuna impossibilità a fare, con le parole, ciò che già abbiamo fatto con i nu- meri. Gli stessi cultori di algebra e di matematica non furono del tutto estranei a queste discussioni sul linguaggio, sulla scrittura, sui simboli. Abbiamo già visto quali fossero, su questi argomenti le opinioni dell’astronomo e matematico Seth Ward, ma anche negli scritti del grande matematico Wallis il problema dei carazteri o delle note da impie- gare nell’algebra veniva presentato come un aspetto del più generale problema dei segni, delle cifre e delle scritture. For- temente interessato agli sviluppi storici dell’algebra, Wallis metteva chiaramente in rilievo, nelle pagine del De algebra, i vantaggi che presentavano, di fronte alla troppo prolissa simbologia di Viète i characteres o le notae compendiosae di William Oughtred. Nella Mazhesis universalis troviamo, numerosissimi, i riferimenti al problema della scrittura in genere e della scrittura occulta in specie: haec qui- dem occulte scribendi ratio, flagrante nuper apud nos Bello intestino, admodum erat familiaris». Non a caso, nel De loquela sive sonorum formatione, premesso alla sua Gram- 1° Cfr. The Petty papers, ed. Marquis of Lansdowne, Londra; Petty-Southwell Correspondence, cd. Marquis of Lansdowne, Londra. Ma è da vedere anche l’Advice to Hartlib, Londra, nel quale si accenna al problema dei caratteri reali. Lettera allo Hartlib, in Works, ed. Birch, ly ip; matica linguae anglicanae, Wallis si era a lungo soffermato sulle questioni attinenti alla grammatica e ai suoni. Infine nel De algebra, accanto ad un ferocissimo attacco alla in- competenza matematica di Hobbes (turpissimis paraloismis ubique scatet liber iste), troviamo un ampio capi- tolo dedicato ad illustrare i vantaggi che presentano, per il matematico, le tecniche dedicate al rafforzamento della me- moria. L'influenza esercitata dall’insegnamento di Comenio sui progetti miranti alla costruzione di una lingua universale è stata ampiamente e minuziosamente documentata.'* Nessun libro dedicato alla lingua perfetta era apparso in Inghilterra prima del viaggio di Comenio a Londra; dopo quel- l’anno si ebbe una vera e propria fioritura di questi testi. E non si trattava di una coincidenza: Hartlib — che !5 Il De algebra tractatus historicus et practicus ciusdem origines et progressus varios ostendens è contenuto nel secondo volume delle Opera mathematica, Oxoniae, ex Theatro Sheldoniano (Braid.). Sui caratteri di Viète e di Oughtred cfr. . Per i riferimenti alla scrittura presenti nella mathesis universalis, sive arithmeticum opus integrum tum philologice tum mathematice traditum cfr. nella stessa ediz. delle opere. Per l'attacco ad Hobbes cfr. Opera (ma su questo argomento e sui numerosi scritti antihobbesiani del Wallis cfr. SortaIs, La philosophie moderne depuis Bacon jusqu'à Leibniz, Paris), sulla memoria è da vedere il capitolo del De algebra (in Opera) intitolato De viribus memoriae satis intentae, experimentum. La prima edizione della Grammatica linquae anglicanae cui pracfigitur de loquela sive sonorum formatione tractatus grammatico-physicus. Ho visto l’ediz.: Oxoniae, typis L. Lichfield (Braid.). Sul Wallis matematico cfr., oltre ai correnti manuali di storia delle matematiche, ]. F. Scort, Mathematical work of |. Wallis, London, l’opera gram- x maticale è stata studiata da M. LeHNERT, Die Grammatik des ]. Wal- lis, Breslau. 1 Cfr. StiMson, Comenius and the Invisible college, in « Isis»; Scientists and amateurs. New York; B. Mott, Comenius and the real character in England, cit.; sui rapporti Comenio - Wilkins cfr. M. Spinka, /. A. Comenius, that incomparable Moravian, Chicago] era stato per lunghi anni in corrispondenza con Comenio e che apparve, agli uomini del suo tempo, il difensore e il diffusore, in Inghilterra, dell’opera comeniana — fu il più appassionato sostenitore ed editore di opere sulla lingua uni- versale. Hartlib pubblicò nel 1646 l’opera del Lodowick (A common writing); incoraggiò numerosi tentativi per la crea- zione di un vocabolario dei termini essenziali; fu in corri- spondenza con Boyle su questi problemi; contribuì alla pubblicazione dell’Ars signorum del Dalgarno. Espliciti riferimenti a Comenio troviamo presenti negli scritti di Henry Edmundson (Lingua linguarum) e di Webster (Academiarum examen), mentre Wilkins, il più noto e celebrato fra questi teorici della lingua perfetta, fu aiutato e incoraggiato da un altro discepolo inglese di Comenio con cui egli ebbe rapporti di viva amicizia: Theodor Haak. Lo stesso Comenio, dedicando nel 1668 alla Royal Society la sua Via lucis vestigata et vestiganda, affermava che l’opera di Wilkins, pubblicata in quello stesso anno, rappresentava la realizzazione dei suoi programmi e delle sue più alte aspi- razioni. Proprio nella Via Zucis, che circolava manoscritta in Inghilterra, Comenio aveva ripreso, con ampiezza molto maggiore, le osservazioni di Bacone sui « caratteri reali ». I caratteri simbolici usati dai Cinesi — scriveva — consentono a uomini di differenti lingue di intendersi reci- procamente: se tali caratteri sembrano cosa buona e vantag- giosa, perché non si potrebbero dedicare i nostri studi alla scoperta di un «linguaggio reale », alla scoperta cioè « non solo di una lingua, ma del pensiero e delle verità delle cose stesse? ». Se la molteplicità delle lingue «è derivata dal caso o dalla confusione, perché non si potrebbe, facendo uso di un procedimento consapevole e razionale, costruire  un’unica lingua che sia elegante e ingegnosa e appaia in grado di su- perare quella dannosa confusione? Se abbiamo la possibilità di adattare i nostri concetti alle forme delle cose, perché non dovremmo avere quella di adattare il linguaggio a più esatte espressioni e a più precisi concetti? ».!” 17 Per la Via lucis, che non sono riuscito a vedere nel testo originale, ho fatto uso della traduzione di Campagnac: The Way of light of Comenius, London. Il problema di una lingua universale si era posto come centrale nell'opera comeniana: nel suo pensiero era senza dubbio presente l'esigenza di una maggior precisione termi- nologica, di un linguaggio più chiaro, accessibile e rigoroso, ma alla base del suo progetto non stavano preoccupazioni di “logica” o di “metodologia”; stavano quelle aspirazioni e quelle esigenze tipicamente “religiose” che avevano trovato espressione nei testi del lullismo e del neoplatonismo, nelle idee di universale pacificazione — sulla base di una comune lingua — sostenute dai panteisti, dai cabalisti e dai Rosa- cruciani. Più che i testi dei lullisi — ai quali abbiamo spesso fatto riferimento — sarà opportuno ricordare qui la fede di uno dei maestri di Comenio — Johan Valentin Andrei — in una mistica armonia delle nazioni (la respublica christia- nopolitana) realizzabile mediante un nuovo universale lin- guaggio e le osservazioni di Jacob Boehme, un pensatore ben noto a Comenio, su un originario linguaggio della natura (Natursprache) che è stato sommerso dalla confusione delle lingue e che va ricostruito e ricompreso per la salvezza del genere umano.'* Anche per Comenio — come già per i se- guaci di Lullo e per l’Andreîi — il linguaggio reale o «la perfetta lingua filosofica » ha dve scopi fondamentali: 1) porre l’uomo a rinnovato contatto con la divina armonia che è presente nell’universo mostrandogli la piena coincidenza tra il ritmo del pensiero e quello della realtà, tra le cose e le parole; porsi quindi come base, l’unica possibile base, per una piena riconciliazione del genere umano, per una du- ratura, stabile pace religiosa. Nella moltitudine, varietà e confusione delle lingue, Co- menio aveva visto il maggiore ostacolo alla diffusione della luce e alla penetrazione, presso tutti i popoli, della pansofia. Quando sarà costruita «una lingua assolutamente nuova, !* Cfr. J. V. Anprea£, Fama fraternitatis, pp. 3, 12-13 cit. in B. De MotT, Comenius and the real character; Jacos BoEH- ME's, Simmiliche Werke, ed. a cura di K. W. Schiebler, Leipzig, assolutamente chiara e razionale, una lingua pansofica e uni- versale, allora gli uomini apparterranno a una sola razza e ad un solo popolo. Sulla par pAilosophica, sulla concordia mundi, sull'unità del genere umano avevano a lungo insistito, nei secoli del Rinascimento, PICO (si veda) e Sabunde, Cusano e Guillaume Postel ed è precisamente a questa tradizione che si richiamavano le speranze millenaristiche di Comenio. Ma sull'importanza e sul significato dei dissensi di carattere ter- minologico, sulla necessità di una lingua comune, sull’opportunità di preservare gli elementi comuni della fede ab- bandonando le vane « dispute di parole » si era lungamente e ampiamente discusso, durante la Riforma, negli ambienti più diversi. Non è certo il caso di affrontare qui un problema così complesso, ma vale certo la pena — anche se in vista di scopi assai limitati — di indicare qualche posizione ca- ratteristica. Bedel, che fu in Inghilterra uno dei maggiori sostenitori dell’irenismo e della conciliazione fra luterani e calvinisti, attribuiva carattere soprattutto ver- bale alle controversie fra le sètte ed era fortemente interessato ai progetti di lingua universale di Comenio e dei comeniani inglesi. Ma anche negli scritti dei teorici della lingua uni- versale questo interesse “religioso” appare quasi sempre in primo piano. La lingua filosofica — afferma Wilkins — chiarirà le attuali divergenze in materia religiosa ed esse si riveleranno inconsistenti, una volta che il linguaggio sarà stato liberato da ogni imperfezione ed equivocità. L’eliminazione degli equivoci linguistici contribuirà grandemente, secondo Beck, al progresso della religione nel mondo. Petty vuol tradurre tutti i termini usati nelle argo- mentazioni in altri termini che siano signa rerum (« tran- slate all words used in argument and important matters into words that are signa rerum »), sostiene energicamente una distinzione fra termini significanti e termini privi di significato, e concepisce l’intero suo dizionario in funzione di una chiarificazione dei termini della vita religiosa. Determinando l’esatto significato di God e devill, angel e wordl, heaven e hell, religion e spirit, church e christian, catholic e pope, si giungerà alla conclusione che le liti e le guerre fra le di- verse sètte si sono fondate solo su divergenze terminologiche e che esiste invece la possibilità di una effettiva intesa sulle nozioni e sulle cose. Anche nell’Ars signorum di Dalgarno troviamo presente un tentativo di questo genere realizzato mediante un complicato sistema di divisione dei concetti e di appropriati simboli. Nella History of the Royal Society, Sprat parla di una filosofia dell’umanità che su- eri le differenze e le ostilità di carattere religioso: «not to lay the foundation of an English, Sotch, Irish, Popish [ROMANA] or Protestant philosophy, but a philosophy of mankind ». Non si tratta solo della convinzione che la nuova « filosofia speri- mentale » possa affratellare gli uomini al di là delle separa- zioni politiche e delle differenti convinzioni religiose, si tratta anche della speranza (ed è questo aspetto che si vuol qui sot- tolineare) che la stessa organizzazione scientifica possa costi- tuire un potentissimo mezzo per il ristabilimento della concordia mundi, dell’unità religiosa e spirituale del genere umano. Non diversamente, del resto, la nuova scienza era stata intesa da Bacone come uno strumento di universale redenzio- ne dal peccato originale.? Ove si rinunci a proiettare all’indietro nel tempo i nostri interessi e i nostri problemi per attribuirli agli uomini che scrissero ed operarono alla metà del Seicento, bisognerà ren- dersi conto che i progetti di una lingua « perfetta » o « uni- versale » sui quali in quegli anni si affaticarono non pochi studiosi, traevano senza dubbio alimento dall’atmosfera cul- turale legata alla nascita della nuova scienza, dai progressi della fisica e da quelli della matematica, ma non intendevano certo limitarsi a fornire chiarimenti semantici agli studiosi di filosofia naturale. Quelle «lingue » avevano scopi assai più vasti e più ambiziose finalità: intendevano essere stru- menti di redenzione totale, mezzi per decifrare l’alfabeto divino. Si connettevano storicamente ai sogni di pacificazio- !° The Petty papers; Datcarno, Ars signorum, in The works of G. Dalgarno, Edinburgh. Per il passo di Sprat, cfr. The history, cit., p. 63. Sull’unità religiosa quale fine dell’organizzazione scientifica insi- ste anche Hartlib. Per questa posizione cfr. TuRNBULL, Hartlib: a sketch of his life and his relations to |. Comenius, Londra; Harglib, Dury and Comenius, Londra] ne e alle utopie millenaristiche di quegli autori che abbiamo fin qui — nel corso di questo libro — preso in esame. Nell’Ars signorum di Dalgarno e nell’Essay to- wards a real character di John Wilkins troviamo considera- zioni sui geroglifici e gli alfabeti, sulle scritture normali c cifrate, capitoli dedicati a discussioni sul linguaggio e sulla logica, sulla grammatica e sulla sintassi, pagine e pagine nelle quali si procede ad una minuziosa classificazione degli ele- menti e delle meteore, delle pietre e dei metalli, delle piante e degli animali, delle attività umane e delle arti liberali e meccaniche, dizionari dei termini essenziali propri delle varie lingue, dizionari « paralleli », troviamo infine la pro- posta di una lingua artificiale. E’ lo stesso intreccio di temi, per noi moderni così sin- golare e caotico, del quale abbiamo tante volte riscontrato la presenza in tutte quelle opere e quelle enciclopedie che, di- rettamente o indirettamente, si richiamano al filone logico- enciclopedico del lullismo. Per amore di chiarezza e di bre- vità, oltre che per facilitare il lettore, si cercherà, nelle pagine che seguono, di individuare, enumerandole successiva- mente, alcune tesi concernenti la lingua perfetta o universale che rivestono un'importanza centrale e che appaiono re- ciprocamente connesse. L'esposizione del contenuto delle va- rie opere servirà di volta in volta a documentare e a chiarire il significato di ciascuna delle affermazioni che seguono. I teorici della lingua perfetta, filosofica o universale  muovono dalla contrapposizione tra lingue natu- [L’opera di Wilkins è suddivisa in quattro parti: Prolegomena; Universal philosophy, Philosophycal grammar, Real character and. philosophical language. Il titolo dell’opera del Dalgarno è il seguente: ARS SIGNORVM: VVLGO CHARACTER VNIVERSALIS ET LINGUA PHILOSOPHICA QVA POTVERVNT HOMINES DIVERSISSIMORVM IDIOMATVM SPATIO DVARVM SEPTIMANARVM OMNIA ANIMI SVA SENSA NON MINVS INTELLIGIBILITER SIVE SCRIBENDO SIVE LOQVENDO MVTVO COMMVNICARE QVAM LINGVIS PROPRIIS VERNACVLIS PRAETEREA HINC ETIAM POTVERVNT IVVENES PHILOSOPHIAE PRINCIPIA ET VERAM LOGICES PRAXIN CITIVS ET FACILIVS MVLTO IMBIBERE QVAM EX VVLGARIBVS PHILOSOPHORM SCRIPTIS, Londini, cxcudebat J. Hayes sumptibus authoris (Ambrosiana, Villa Pernice, e Par Naz.).] -rali e lingue artificiali e intendono costruire una lingua artificiale o sistema di segni che risulti comunicabile e comprensibile (quindi adoperabile sia nel linguaggio scritto che in quello parlato) indipendentemente dalla lingua na- turale che effettivamente si parla. I caratteri dei quali la lingua è composta, sono effables in ogni distinct language, in ogni caso le regole della lingua universale non è detto che coincidano con quelle proprie delle lingue naturali. La lingua artificiale è resa possibile dal fatto che le nozioni interne o apprensioni delle cose (internal notions or apprehension of things) o immagini mentali (mental ima- ges) sono comuni a tutti gli uomini, mentre i nomi attribuiti alle nozioni e alle cose sono, nelle varie lingue naturali, suo- ni o parole (sounds or words) nati dalla convenzione o dal caso mediante i quali si esprimono, diversamente da lingua a lingua, le nozioni interne o immagini mentali. A nozioni comuni, non corrispondono quindi, allo stato presente delle cose, espressioni (expressions) comuni: creare artificialmente queste ultime è appunto il compito che si propongono i teo- rici della lingua universale.” 3) La lingua artificiale (che farà corrispondere all’ac- 22 J. Witxins, Essay, cit., To the reader. 23 J. WiLkins, Essay, As men do generally agree in the same principle of reason, so do they likewise agree in the same internal notion or apprehension of things. The external expression of these mental notions, whereby men communicate their thoughts to one another is to the EAR -- by sounds, and more particularly by articulate voice and words. That conceit which men have in their minds concerning a horse or a tree, is the notion or mental image of that beast or natural thing, of such a nature, shape and use. The NAME given to these in several languages – such as Latin, or Italian --, are such ARBITRARY sounds or words, as nations of men – such as the Romans -- have agreed upon, either causally or designedly, to express their mental notions of them. The written word is the figure or picture of that sound. So that, if men should generally consent upon the same way or manner of expression, as they do agree in the same notion, we should then be freed from that curse in the confusion of do with all the unhappy consequences of it.] -cordo già presente nella sfera delle immagini mentali anche l'accordo nelle espressioni) costituisce dunque un efficace rimedio alla babelica confusione delle lingue – dopo la scolastica latina -- e potrà eliminare le assurdità e le difficoltà, le ambiguità e gli equivoci di cui son piene le varie lingue naturali, come il italiano e il francese. Tutta prima parte (Prologomena) dell’opera di Wilkins è dedicata a un esame, assai ampio e minuto, della situazione in cui versano le varie lingue, dei mutamenti e delle corruzioni (changes and corruptions) che in esse si verificano, dei loro difetti (defects), del problema dell'origine del linguaggio. Wilkins parte dal presupposto — comune del resto a tutti questi studiosi — che ogni lingua naturale sia di necessità imperfetta. Ogni mutamento che si verifica nel patrimonio linguistico coincide per lui con un processo di graduale corruzione. Every change is a gradual corruption – witness the passage from Cicero’s Latin to Alighieri’s Italian! Nel mescolarsi della nazione romana mediante i commerci, nei matrimoni tra sovrani, nelle guerre e nelle conquiste, nel desiderio di eleganza dei dotti che conduce a respingere la forma linguistica tradizionali, egli vede altrettanti fattori di corruzione. Tutte le lingue, ad eccezione di quella originaria di ROMOLO, sono state create per imitazione (‘mitation), derivano dall’arbitrio o dal caso. In tutte le lingue sono quindi presenti difetti che, con l’aiuto dell’arte, possono essere eliminati. Neither letters nor languages have been regularly established by the rules of art. La non artificialità delle lingue, quella che noi chiameremmo la loro spontaneità, appare a Wilkins una specie di vizio d’origine e di peccato originario, la fonte di un inevitabile processo di degenerazione, la radice di una confusione sempre maggiore. In poche centinaia di anni — egli afferma — alcune lingue possono andare completamente perdute, altre si trasformano fino a diventare inintelligibili. La grammatica (unica arte che po: trebbe introdurre ordine nel linguaggio) si è costituita più tardi delle lingue stesse e si è quindi limitata a prendere atto di una situazione dominata dall’ambiguità dei termini che assumono, a seconda dei contesti, una enorme varietà di si- gnificati. Identica è, su questo punto, la posizione sostenuta da Dalgarno: l’arte ha il compito «di porre rimedio alle difficoltà e alle confusioni di cui son piene le varie lingue, eliminando ogni ridondanza, rettificando ogni anomalia, togliendo di mezzo ogni ambiguità ed equivocità. La lingua artificiale – DEUTERO-ESPERANTO -- vien presentata come un mezzo di comunicazione enormemente più « facile » di tutti quelli attualmente in uso. Nelle pagine di Dalgarno e di Wilkins ritroviamo presenti quelle mirabolanti promesse che aveva- no riempito, per due secoli, i frontespizi delle opere lullia- ne e mnemotecniche. Nello spazio di due settimane, afferma Dalgarno, uomini di differenti lingue potranno giungere a comunicare per scritto e oralmente « non minus intelligibi- liter quam linguis propriis vernaculis ». In un mese, secondo Wilkins, un uomo di normali capacità intellettuali può im- padronirsi della lingua universale ed esprimersi in essa con la stessa chiarezza con la quale si esprimerebbe in latino dopo quarant'anni di studio. La lingua artificiale esercita una funzione terapeutica nei confronti della filosofia che puo esser liberata dalle sue malattie (l’uso dei sofismi e l’abbandono alle logomachie) e, per la sua esattezza, può porsi come valido strumento per un ulteriore perfezionamento della logica. In una parola l’Ars signorum non solo rappresenta un rimedio alla confusione delle lingue, non solo offre un mezzo di comunicazione più facile di qualunque altro finora conosciuto, ma anche cura la filosofia dalla malattia dei sofismi e delle logomachie, e la provvede di più elastici e maneggevoli strumenti opera- tivi (c0/edly and manageable instruments of operation) per definire, dividere, dimostrare ecc. Dall’adozione della lingua artificiale risulterà facilitata la trasmissione delle idee fra i popoli. I confini della conoscenza potranno in tal modo essere allargati e potrà esser perseguito, con nuovo vigore, quel bene generale dell’uma- 24 Per quanto qui esposto cfr. Witkins, Essay. Sulla grammatica cfr.: The very art by which a language such as Italian should be regulated, viz. grammar, is of much later invention than the language itself, being adapted to what is already in being, rather than the rule of making it so. Per Dalgarno, cfr. Funke, Weltsprachenproblem, WILKINS, Essay, Datcarno, Ars signorum] nità (general good of mankind) che è superiore a quello di ogni particolare nazione. La nuova lingua puo contribuire in modo decisivo allo stabilimento di una vera pace. Questo progetto contribuirà grandemente a ri- muovere alcune delle nostre moderne divergenze in religione smascherando molti stravaganti errori che si nascondono sotto le frasi affettate; una volta che queste saranno filosoficamente spiegate e ritradotte secondo la genuina e naturale importanza delle parole, si riveleranno inconsistenti e contraddittorie. I segni dai quali è costituita la lingua universale sono caratteri reali nel senso attribuito da Bacone a questo termine): segni convenzionali che rappresentano o significano non i suoni e le parole, ma direttamente le nozioni e le cose. Riprendendo le tesi di Bacone e richiamandosi alle discussioni allora assai diffuse sui geroglifici, Wilkins distingue dalle normali lettere dell’alfabeto (originariamente inventate da Adamo – o Romolo – o Ennea – o il fondatore di Troia) le note (rotes) che sono for secrecy e for orevity. AI primo tipo ‘appartengono la Mexican way of writing by pictures e i geroglifici egiziani che sono rappresentazioni di creature viventi o di altri corpi dietro i quali gl’Egiziani nascosero i misteri della loro religione »; al secondo tipo appartengono quelle letters o marks dei quali ci si può servire, come di una forma di scrittura abbreviata, per esprimere una qualsiasi parola. In tutto diversa è la fun- zione del « real universal character » che « should not signi- fie words, but things and notions, and consequently might be legible by any nation in their our tongue ».?* Tutti i caratteri, secondo Wilkins, significano naturally o by institution. Quelli che significano naturalmente sono pictures of things o altre immagini o rapppresentazioni simboliche. Gl’altri derivano il loro significato da una conven- [Wikkins, Essuy, cit., Epistola dedicatoria. 28 Sulle note e i geroglifici egiziani J. Witkins, Essay; parlando dei caratteri reali Wilkins fa riferimento a Bacone (« hath been reckoned by learned men amongst the desiderata) e alle pagine di Bacone sulla scrittura cinese: mediante i caratteri reali « the inha- bitants of that large kingdom, many of them of different tongues, do communicate with one another, every one understanding this common character, and reading in his own language.] zione ARBITRARIA LIBERAMENTE – pel libero aribtrio -- ACCETTATA. A quest’ultimo tipo appartenono i caratteri reali che dovranno essere semplici, facili, chiaramente distinguibili l’uno dall'altro, di suono gradevole e di forma graziosa, come nell’ITALIANO, e, soprattutto, dovranno essere methodical. Rivelanti cioè la presenza di corrispondenze, di relazioni e di rapporti fra segni. Fra i segni e le cose esiste una relazione univoca ed ogni segno corrisponde al una cosa o azione («to every thing and notion there were assigned a distinct mark): il progetto di una lingua universale implica dunque quello di una enciclopedia, implica cioè la enumerazione completa e ordi- nata, la classificazione rigorosa di tutte quelle cose e nozioni alle quali si vuole che, nella lingua perfetta, corrispon- da un segno. Poiché la funzionalità della lingua universale dipende dalla vastità del campo di esperienza che essa riesce ad abbracciare e del quale riesce a dar conto, al limite la lin- gua perfetta esige una preliminare classificazione di tutto ciò che esiste nell'universo e che può essere oggetto di discorso, richiede una enciclopedia totale, la costruzione di « tavole per- fette ». In vista di questa classificazione totale, di questa riduzione a tavole delle cose e nozioni, viene elaborato un metodo classificatorio fondato sulla divisione in categorie ge- nerali, in generi e in differenze. Solo mediante questa grande costruzione enciclopedica ogni segno impiegato potrà fun- zionare come il segno di una lingua perfetta: fornire cioè una esatta definizione della cosa o nozione significata. Si ha infatti definizione quando il segno rivela il « posto » che la cosa o azione (indicata dal segno) occupa in quell’insieme ordinato di oggetti reali e di azioni reali rispetto al quale le tavole si pongono come uno specchio. Inizialmente i costruttori di queste lingue universali segueno una strada in parte differente. Iniziano la raccolta di tutti i termini primitivi (primitive o radical words) contenuti nelle varie lingue per giungere alla costruzione di un dizionario essenziale. In questa direzione si e mosso lo stesso Wilkins in un’opera che riecheggiava nel titolo una espressione di Co- [Sugli alfabeti cfr. J. Wilkins, Essay, sulla distinzione dei caratteri e sulle loro caratteristiche] menio: Mercury or the secret and swift messenger. I termini radicali apparivano qui a Wilkins in una relazione meno ambigua con le cose di quanto non fossero i derived words.° A questa stessa ricerca dei termini primitivi (si ricordino a questo proposito le tavole dei termini fondamentali del Bister- field) si erano dedicati, in Inghilterra, Lodowick nella sua opera sul linguaggio perfetto e Beck nell’Ur:iversal character. Quest'ultimo aveva impiegato, come caratteri, i numeri arabi dallo 0 al 9; le combinazioni di tali caratteri, esprimenti tutti i termini primitivi di ciascuna lingua, erano disposte in ordine progressivo da 1 a 10.000, un numero, questo, che appariva a Beck sufficiente ad esprimere tutti i ter- mini di uso generale. Ad ogni numero corrispondeva un ter- mine di ogni lingua: ne risultava un « dizionario numerico » i cui termini venivano poi disposti alfabeticamente (a seconda delle varie lingue) in un altro dizionario alfabetico. Ciascuno dei due dizionari serviva in tal modo da chiave  all’altro.?! L'adozione dei caratteri reali con l’annesso progetto di una costruzione di « tavole complete » fece poi passare in se- conda linea la ricerca dei radicals words: si trattava ora di procedere alla riduzione di tutte le cose e le nozioni alle ta- vole («the reducing all things and notions to such kind of tables »). Costruire una raccolta di questo genere apparve a Wilkins un’impresa più adatta ad una accademia e ad un’epoca che a una persona singola: la principale difficoltà consisteva proprio nella completezza (« without any redundacy or deficiency as to the number of things and notions ») e nella siste- maticità (regular as to their place and order). Il problema dei termini primitivi o radicali non poteva tuttavia essere eluso: le tavole non potevano evidentemente contenere dav- vero tutto. Le cose e le nozioni in esse classificate ed enume- rate erano solo quelle che rientravano (si era deciso di far rientrare) nella lingua universale o « cadevano all'interno del discorso »: «a regular enumeration and description of all [ J. WiLkins, Mercury or the secret and swift messenger, ahewing how a man may with privacy and speed communicate his thoughts to a friend at a distance, London (ediz. London). Cfr. EMery, Wilkins' universal language, those things and notions to wich names are to be assigned... enumerating and describing all such things and notions as fall under discourse... ».?* La completezza della lingua veniva fatta dipendere dalla completezza delle tavole che erano presentate come uno spec- chio dell'ordinamento del mondo reale, ma per realizzare una completezza che non fosse irrealizzabile (enumerazione com- pleta) Wilkins riprese l’esigenza che era stata alla base della ricerca dei radical words. Le tavole non dovevano contenere tutto, ma soltanto le cose di « a more simple nature »; quelle di «a more mixted and complicated signification » dovevano essere ridotte alle prime ed espresse mediante perifrasi (per: phrastically). Il dizionario alfabetico inglese posto da Wilkins in appendice alla sua opera intende rispondere a questo scopo: mostrare come tutti i termini della lingua inglese possano essere in qualche modo riportati a quelli elencati e ordinati nelle tavole. Per realizzare l’ordinamento in tavole di tutte le cose e nozioni Wilkins fornisce un elenco di XL generi, ciascuno dei quali viene poi suddiviso secondo le differenze che (fatta eccezione per alcune classificazioni zoologiche e bota- niche) sono sei di numero. I primi sei generi, che compren- dono « such matters, as by reason of their generalness, or in some other respect, are above all those common head of things called predicaments », sono: I. Trascendentale generale 4. Discorso 2. Relazione trascendentale mista Dio Relazione trascendentale di azione 6. Mondo Gli altri trentaquattro generi sono ordinati come segue sotto i cinque predicamenti : 22 J. Wikins, Essay, cit., pp. 20-22 e numerosi passi contenuti nel- l’epistola dedicatoria. % Wilkins, Essay: An alphabetical dictionary wherein all english words according to their various significations are either referred to their places in the philosophical tables, or explained by such words as are in the tables. Wilkins, Essay. Per l'esposizione che segue cfr. anche .; c il riassunto delle varie parti dell’opera. Erba considerata secondo: Animali: Parti : Sostanza Elemento Pietra Metallo Foglia Fiore Seme Arbusto Albero . Esangui . Pesce . Uccello . Bestia . Parti peculiari . Parti generali QUANTITÀ (Cf. Grice) Grandezza Spazio Misura Privata : Pubblica : QUALITÀ (Cf. Grice). Potere naturale Abito Costumi Qualità sensibile Malattia Azione Spirituale Corporea Movimento Operazione RELAZIONE (Cf. Grice). Economica Proprietà Provvigione Civile Giudiziaria Militare Navale Ecclesiastica Ciascuno di questi XL generi viene suddiviso secondo le sue differenze e si enumerano poi le varie specie ap- partenenti a ciascuna delle differenze «seguendo un ordine e una dipendenza tali che possano contribuire a una defini- zione delle differenze e delle specie, determinando il loro si- gnificato primario ». Dell’ottavo genere (pietra) vengono per esempio enumerate sei differenze: Le pietre possono essere distinte a seconda che siano: Volgari o senza prezzo Di prezzo medio Preziose: Meno trasparenti Più trasparenti Le concrezioni terrestri sono: Solubili Non-solubili Ciascuna delle differenze è suddivisa nelle varie specie. Le « pietre volgari » (prima differenza) comprendono per esem- pio otto specie che non vengono (questo accorgimento è essen- ziale alla tecnica di Wilkins) semplicementeelencate, ma variamente raggruppate, all’interno della tavola, e classificate a seconda della maggiore o minore grandezza, dell’uso che se ne fa e dell'impiego nelle arti, dell'assenza o presenza di elementi metallici, ecc. Di questo tipo sono le tavole di Wilkins, che occupano poco meno di trecento pagine, in corpo fittissimo, della sua opera. Mediante questa ordinata classificazione delle cose e nozioni alle quali « devono essere assegnati i nomi in accordo alle loro rispettive nature, si è realizzata quella universal philosophy che sta alla base della lingua perfetta e che indica l'ordine, la dipendenza e le relazioni tra le nozioni e tra le cose. Mediante l’uso di lettere e di segni convenzionali è ora possibile dar luogo a un linguaggio universale che è il corri- spettivo della « filosofia universale ». I generi (ci limitiamo qui ai primi nove) vengono indicati come segue: Trascendentale generale Ba Relazione trascendentale mista Ba Trascendentale di azione Be Discorso Bi Dio Dx Mondo Da Elemento De Pietra Di Metallo Do Per esprimere le differenze vengono indicate, nell’ordine, le consonanti B, D, G, P, T, C, Z, S, N; le specie vengono indicate ponendo, dopo la consonante che indica la diffe- renza, i segni seguenti: a, a, €, i, 0, ò, Y, yi, yo. Per esempio: Di significa « pietra »; Did significa la prima differenza che è « pietra volgare »; Diba indica la seconda specie che è « ragg »; De significa elemento; Ded significa la prima differenza che è « fuoco »; Deba denoterà la prima specie che è « fiamma », Det sarà la quinta differenza che è « meteore » e Dera la prima specie della quinta differenza che è « arcobaleno ». Individuando la posizione che un dato termine occupa nelle tavole si potrà definirlo, determinare cioè con sufficiente chiarezza il “primary sense of the thing’. Le tavole di Wilkins forniscono senza dubbio non poche informazioni: per esempio il significato del termine « diamante » risulterà, in base alle tavole, esser quello di una sostanza, di una pietra, di una pietra preziosa, trasparente, colorata, durissima, bril- lante. Ma varrebbe la pena di soffermarsi su alcune tipiche definizioni come quella di «bontà » 0 di « moderazione » v di «fanatismo ». La formazione del plurale, degli aggettivi, delle preposizioni, dei pronomi, ecc. consente a Wilkins di giungere, sia pure assai faticosamente, alla costruzione di una vera e propria lingua. Dell’uso di questa, impiegando prima le lettere alfabetiche poi i più complessi « caratteri reali » egli ci offre un esempio con la traduzione del Pater noster e del Credo. In modo non dissimile aveva proceduto Dalgarno quando aveva costruito, nell’Ars signorum, vulgo character universalis et lingua philosophica, una classificazione logica di tutte le idee e di tutte le cose dividendole in diciassette classi supreme: A. Essere, cose M. Concreti matematici ». Sostanze N. Concreti fisici E. Accidenti F. Concreti artificiali I. Fsseri concreti B. Accidenti matematici (composti di sostanza e acci- ID. Accidenti fisici generali denti) G. Qualità sensibili O. Corpi P. Accidenti sensibili v. Spirito T. Accidenti razionali U. Uomo K. Accidenti politici (compesto di corpo e spirito)  S. Accidenti comuni Ciascuna delle diciassette classi supreme veniva suddivisa in sottoclassi che si distinguevano per la variazione della se- conda lettera. Ecco, a titolo di esempio, la sottoclasse di K : Ka. Relazione di ufficio Ko. Ruolo del giudice Kn. Relazione giudiziaria Kwv. Delitti Ke. Materia giudiziaria Ku. Guerre Ki. Ruolo delle parti Ska. Religione I termini, compresi in ciascuna delle sottoclassi, si distin- guono per la variazione dell’ultima lettera. In questi termini la lettera s, non iniziale, è « servile » e non ha un senso logico determinato, r indica l’opposizione, / il medio fra gli estremi, v è l'iniziale dei nomi di numeri. Sotto Ska (religione) sono compresi i termini seguenti: Skam: grazia Skag: sacrificio Skan: felicità Skap: sacramento Skaf: adorare Skat: mistero Skab: giudicare Skak: miracolo Skad: pregare L'introduzione della lettera ” consentirà la determinazione degli opposti che sono, in questo caso, natura che si op- pone a grazia; miseria che si oppone a felicità; profanare che si oppone ad adorare; lodare che si oppone a pregare. Riproducendo nei dettagli questa classificazione Leibniz comporrà quelle ampie tavole di definizioni che costituiscono il più importante documento del suo progetto di una universale enciclopedia. La funzionalità di queste complicate lingue artificiali è evidentemente legata (sia nel caso di Wilkins sia in quello di Dalgarno) alla maggiore o minore funzionalità della loro macchinosa classificazione delle cose e delle nozioni. A proposito di quest’ultima, resta da sottolineare una tesi caratteristica delle posizioni delle quali qui ci occupiamo e alla quale abbiamo più volte accennato. L’enciclopedia, l’in- sieme delle tavole — e quindi la lingua artificiale che ne è il correlato — appaiono valide in quanto costituiscono lo specchio dell’ordine presente nella realtà. La classifica zione dev'essere fondata sull’ordine delle cose; i rapporti di relazione fra i termini riproducono rapporti e relazioni reali: apprendendo i caratteri e i nomi delle cose, verremo istruiti similmente nelle zazure delle cose: questa duplice conoscenza dev’essere congiunta. Per realizzare davvero ciò è necessario che la stessa teoria, sulla quale il nostro progetto è fondato, riproduca esattamente la natura delle cose Couturat, Opuscules et fragments inédits de Leibniz, Paris  (Phil. Witkins, Essay. By learning the character and the names of things, we should be instructed likewise in their natures, the knowledge of both which ought to be conjoyed. For the accurate effecting of this, it would be necessary, that the theory itself, upon which such a design is to be founded, is exactly suited the nature of things. Non a caso Wilkins, che pure dedica ai problemi del linguaggio non poche delle sue energie, ripete, con Bacone e con i baconiani: as things are better then [sic] words, as real knowledge is beyond the elegancy of a speech like the Italian speech. I segni della lingua perfetta o universale consentono dunque di individuare con la massima precisione il posto che ciascuna cosa (o azione) occupa nelle tavole, permettono cioè di collocare esattamente ogni singolo oggetto naturale in quell'ordine universale che è rispecchiato dalla ewrniversal philo- sophy o enciclopedia. Mediante questa collocazione si possono individuare le relazioni tra la cosa significata e le altre appartenenti alla stessa classe o specie, si possono determinare i rapporti intercorrenti tra la cosa stessa e le differenze c i generi dai quali essa è contenuta come elemento. Perché si potesse giungere con la necessaria rapidità a realizzare queste collocazioni, giungendo in tal modo a precise, esaurienti de- finizioni, Wilkins aveva elaborato tutta una serie di accorgimenti di tipo mnemonico: « Se questi segni o note vengono costruiti in modo da essere in un reciproco rapporto di dipen- denza e di relazione conveniente alla natura delle cose signi- ficate, e similmente se i nomi delle cose vengono ordinati in modo da contenere nelle lettere o suoni che li compongono una specie di affinità e opposizione in qualche modo rispon- dente alle affinità e alle opposizioni delle cose significate, si avrebbero ulteriori vantaggi: oltre che aiutare la memoria (helping the memory) in modo ottimo, l’intelletto verrebbe grandemente rafforzato Mott, commen- tando questo passo, ha scritto con molta chiarezza: «era fa- cile richiamare alla mente il termine atto a indicare l'oggetto salmone se si sapeva che il termine era composto di due sil- labe e cominciava con Za, il simbolo del genere pesci... Una volta ricordato il termine Zara lo studioso, data la sua fami- liarità con la progressione alfabetica dei caratteri, avrebbe [Witkins, Essay, cif., cpistola. 38 J. Witxins, Essay, avuto chiaro il posto del salmone all’interno del genere pesci e, in ultima analisi, entro l’intero schema della creazione dr * L’insistenza sul valore mnemonico della lingua univer- sale, presente nell’opera di Wilkins, non era casuale : una lingua di questo genere sembrava in effetti esaudire le spc- ranze e realizzare le aspirazioni di tutti quei teorici della me- moria artificiale che avevano inteso « disporre ordinatamente — entro i loro complicatissimi teatri — tutti quei luoghi che possono bastare a tenere a mente et ministrar tutti gli humani concetti, tutte le cose che sono in tutto il mondo. Tutti i maggiori teorici della lingua universale insistono del resto, concordemente, sul valore mnemonico dei linguaggi perfetti. Cipriano Kinner, che collabora con Comenio c che per primo aveva formulato nei dettagli il progetto di una lingua artificiale, concepiva la sua lingua non solo come un rimedio alla « babelica confusione delle lingue naturali », ma anche, e soprattutto, come un potente, prezioso « aiuto alla memoria ». Col suo metodo gli studiosi di scienze natu- rali avrebbero potuto ritenere le nozioni più complicate e dif- ficili: «quale botanico, anche espertissimo, potrebbe impri- mersi nella memoria, fra tanta varietà di autori in contrasto, le nature e i nomi di tutte le piante?  L'adozione della lingua artificiale i cui termini indicano la natura c le qualità di ogni singola pianta e il posto che ciascuna pianta occupa nella clas- sificazione per generi e specie, renderà quest’impresa, in apparenza disperata, possibile e oltremodo facile: « mediante la lingua artificiale tutto potrà essere ricordato e recitato senza interruzioni, così come in un’aurea catena, composta di un migliaio di anelli, se vien mosso il primo anello, si muovono tutti gli altri, anche se noi non vogliamo affatto che essi si muovano ».°! Non diversamente da Kinner, anche Lodowick, Edmundson e Dalgarno metteranno in luce il valore mnemo- nico della lingua universale, mentre Wilkins presenterà più volte, nel corso del suo Saggio, la sua lingua come un aiuto °° B. De MotT, Science versus mnemonics, Cfr. G. CAMINO (si veda), Opere, Venezia, A. Griffo. Il testo del Kinner è contenuto in una lettera a Hartlib pubblicata da B. De Mott, The sources of the philosophical language, Journal of Engl. and Germ. Philol.] alla debolezza della memoria naturale. I tremila termini dei quali la sua lingua è composta, sono certo in numero assai minore di quelli impiegati in una qualunque lingua cffetti- vamente parlata e tuttavia questi tremila termini « sono ordi- nati in modo da poter esser ricordati più facilmente di mille termini propri di una qualunque lingua naturale ».'? In una lettera scritta a Boyle, Beale, membro della Royal Society, raccomanda l’uso dei mnemonical characters (così egli chiama i caratteri reali) giacché essi gli apparivano in grado di introdurre finalmente ordine in tutte le possibili combinazioni di lettere, di sillabe e di parole.] Come Kinner aveva ben visto, il problema della funzione mnemonica delle lingue artificiali si presentava strettamente connesso a quello della classificazione dei minerali, delle piante, degli animali. Proprio su questo argomento si apre un’interessante discussione della quale fu prota- gonista John Ray, l’autore della monumentale Historia plantarum generalis, uno dei maggiori scienziati. Congiuntamente al Willoughby il Ray collabora attivamente all’opera di Wilkins, elaborando una classi: ficazione delle piante rispondente agli scopi e alle esigenze proprie della lingua universale. Alle tavole della grande enciclopedia contenuta nell’Essay towards a real character and a philosophical language non spettava certo, secondo Wilkins, una funzione meramente ausiliaria. Nei suoi propositi e nei suoi intendimenti le tavole « soprattutto quelle concernenti i corpi naturali » avrebbero dovuto « promuovere e facilitare la conoscenza della natura » contribuire cioè in modo diretto al lavoro di ricerca svolto dai membri della Royal Society. Rivolgendosi al presidente e ai membri della illustre accademia Wilkins affermava: « nelle tavole ho disposto le cose in un ordine che potrà essere appro- vato dalla Società: in esse potrete trovare un ottimo metodo per la costruzione di un repository che servirà da un lato a ordinare le cognizioni già possedute e dall’altro a supplire le eventuali lacune ». Le ambizioni di Wilkins dovevano essere 42 Per i riferimenti alla memoria: WiLkins, Essay. La lettera è ripubblicata in R. BovyLE, Works, cir.] presto deluse, ma è certo che il suo tentativo di una ordinata, completa classificazione dovette interessare fortemente quanti erano impegnati, in sede di scienze della natura, alla costru- zione di classificazioni riguardanti campi limitati di esperienza. E’ stato notato, molto acutamente, che Wilkins si proponeva di fare con le parole ciò che Linneo farà più tardi con le piante: * « scopo principale di queste tavole — scriveva il buon vescovo di Chester — è di offrire una enumerazione sufficiente di tutte le cose e nozioni e contemporaneamente di disporle in ordine tale che il posto assegnato a ciascuna cosa possa contribuire alla descrizione della sua natura indicando la specie generale e particolare entro la quale la cosa è collo- cata e la differenza per la quale essa è distinta dalle altre cose della stessa specie ».! Sulla base di questa convergenza di interessi e di problemi si verificò, di fatto, una collaborazione fra Wilkins da un lato e Willoughby e John Ray dall’altro. Le classificazioni di ani- mali e di piante, presenti nell’Essay, sono infatti opera dei due illustri scienziati. Ad essi si era rivolto nel 1666 lo stesso Wilkins per poter inserire nel suo testo una « regular enume- ration of all the families of plants and animals ».‘*° L' inte- resse del Ray al progetto dello Wilkins non era certo margi- 41 C. EMery, /. Wilkins universal language, cWiLkins, Essay, Si veda la lettera di John Wilkins a Willoughby in W. DerHax, Philosophical letters, London. Il piano di Wilkins relativo alla lingua universale circola; sui contatti di Wilkins con Ray c Willoughby si vedano le considerazioni di Mott, Science versus mnemonics. Sull’opera scientifica di  Ray che e detto il Plinio inglese e che fu il primo a far uso del termine specie nelle classificazioni botaniche cfr. E. GuyenoT, Les sciences de la vie, Paris, OtLiver, Makers of british botany, Cambridge; Raven, /. Ray naturalist, London, ma sì vedano anche le precise osservazioni di MarceLLA RENZONI, nell'ampio e preciso commento a Burron, Storia naturale, Torino] La celebre classificazione del Ray, presente nel Mezliodus plantarum nova del 1682 non è che una rielaborazione di quella già pubblicata nell'opera di Wilkins. Sull’opera congiunta di Ray e di Willoughby (autore della Orzitfologia; della Historia piscium; della Historia insectorum, cfr. anche E. GurExor, Biologie humaine et animale nel secondo vol. della Histoire générale des sciences, Paris] nale: l’insigne scienziato si sottopose all’ingrata fatica di tra- durre in latino, per renderlo accessibile a tutta Europa, l'intero testo dell'Essay. Le sue divergenze con Wilkins nasceno però sul terreno del metodo, riguardano proprio gli aspetti mnemonici della lingua universale. Nella costruzione di queste tavole — scrive Ray a Lister — non mi si è richiesto di seguire i comandi della natura, ma di adattare le piante al sistema proprio dell’autore. Io debbo dividere le erbe in tre classi il più possibile eguali, suddividere poi ciascuna classe in differenze stando attento a che le piante ordinate entro ciascuna differenza non superino un dato numero fisso. Chi potrebbe sperare che un tal metodo sia soddisfacente? Esso appare assurdo e imperfettissimo, debbo dire francamente che si tratta di un metodo assurdo perché attribuisco più valore alla verità che alla mia personale reputazione. Anche Wilkins, proprio come Ray, aveva inteso che i suoi schemi « seguissero con esattezza la natura delle cose », ma, a diffe- renza di Wilkins, Ray trovava assai difficile iceordare: almeno in sede di botanica, l’a/fabeto e la natura, l'ordine della me- moria e l’ordine presente nella realtà. Di fronte alle difficoltà di una classificazione degli animali e delle piante entrava in crisi, in realtà, quella assoluta regolarità delle tavole che era essenziale al funzionamento della lingua perfetta: i quaranta generi « may be subdivided by its peculiar differences, which, for the better convenience of this institution, I take leave to determine (for the most part) to the number of six. Unless it be in those numerous tribes of herbs, trees, exanguious animals, fishes, and birds, which are of too great variety to be com- prehended in so narrow a compass »."* Sul metodo come ordinata classificazione, come divisione, costruzione di armoniose tavole e di regolarissime gerarchie, avevano concordemente insistito, per secoli, i teorici dell’ars reminiscendi. Proprio nella costruzione dei «teatri » e degli 4? La traduzione di Ray, che fu effettivamente condotta a termine, non fu mai pubblicata. Cfr. Select Remains of the learned Ray by Derham, ed. G. Scott, London, The correspondence of Ray, ed.Lankester, London. Sul significato di queste riserve cfr. Mott, Science versus mnemonics, Wikins, Essay, «alberi », negli ordinamenti e nelle classificazioni essi ave- vano visto i più importanti strumenti per realizzare una me- moria artificiale che potesse soccorrere aila debolezza delle naturali facoltà ritentive. Da questo terreno storico aveva tratto alimento l’idea, così diffusa, di una logica memorativa, di una sostanziale affinità tra la logica (il metodo) e la memoria (come facoltà di ritenere l’ordinato si- stema di tutte le scienze). In questo senso Ramo aveva attri- buito alla memoria una funzione ordinatrice e aveva visto nella memoria una parte o sezione del metodo; in questo senso Bacone aveva concepito la min:istratio ad memoriam (cui spet- tava il compito di « eliminare la confusione » e di procedere alla costruzione delle tavole) come parte integrante della nuova logica; in questo senso, infine, Cartesio aveva inteso la enu- meratio come un soccorso alla naturale fragilità dell’umana memoria. In questi stessi anni Alsted aveva visto nella me- moria una «tecnica dell’ordinamento delle nozioni » e aveva sostenuto la piena risoluzione della memoria « madre dell’or- dine » in una logica intesa come arte del classificare, come metodo per la costruzione del systema mnemonicum o uni- versale enciclopedia delle scienze. In modo non dissimile concepirono il « metodo » gli uomini che si volsero alla non facile impresa di una integrale, ordinata, coerente classificazione dei minerali, delle piante, degli animali. Metodo voleva dire per essi « metodica divisione delle diverse produzioni della na- tura in classi, generi, specie», capacità di costruire una no- menclatura i cui termini fossero significativi di rapporti fra il singolo elemento e i generi e le specie di appartenenza, chia- rissero il posto di ciascun elemento in un sistema più vasto. Proprio nel momento in cui, alla metà del Settecento, i « metodi » entrarono in crisi e vennero rifiutate le classificazioni tradizionali troviamo esplicitamente teorizzata, in polemica contro un recentissimo passato, la funzione mnemonica delle classificazioni e dei metodi. Rifiutando, in nome di una esatta descrizione, l’idea stessa del « sistema» e polemizzando contro la tradizione della botanica, Buffon rifiutava energicamente «tutti i metodi che si sono compilati per aiutare la memoria ».°° E proprio su questa [Burron, Storia naturale] funzione mnemonica dei metodi insistono concordemente i maggiori esponenti della botanica del Settecento: « l’immensa quantità di piante cominciò a pesare sui botanici — scrive lo Adanson nella prefazione alla Famulles des plantes — quale memoria poteva bastare a tanti nomi? I botanici, per allegge- rire questa scienza, immaginarono perciò i metodi ».°! E Fontenelle, nell’elogio pronunciato all'Accademia per la morte di Tournefort, scriveva: «egli permise di mettere ordine nello straordinario numero di piante disseminate alla rinfusa sulla terra e anche sotto le acque del mare e di distribuirle nei di- versi generi e nelle diverse specie che ne facilitano la memoria e impediscono alla memoria dei botanici di crollare sotto il peso di una infinità di nomi »°° Non si tratta di accostamenti casuali: per rendersene conto basta leggere la voce Botanigue della grande enciclopedia il- luministica: «il metodo serve a dare un'idea delle proprietà essenziali di ciascun oggetto e a presentare le relazioni e i contrasti esistenti fra le differenti produzioni della natura... per chi si avvia allo studio della natura il metodo è un filo che serve da guida entro un complicatissimo labirinto, per gli altri (già esperti nelle scienze) è un quadro che rappre- senta taluni fatti, i quali possono farne ricordare altri nel caso che già li si conosca un solo metodo è sufficiente per la nomenclatura: si tratta di costruirsi una sorta di memoria artificiale per ritenere l’idea e il nome di ogni pianta giacché il numero delle piante è troppo grande perché si possa tra- scurare un tale soccorso; a questo scopo qualunque metodo è buono ». La violenza di questa polemica, il vigore di questi rifiuti costituiscono, di per sé, una conferma della persistenza, per tutto il secolo precedente, di una concezione del metodo come memoria. È contro una concezione di questo tipo che pole- mizzano gli enciclopedisti: queste divisioni metodiche — è scritto nelle pagine dedicate alla voce Histoire naturelle — aiutano la memoria e sembrano venire a capo del caos for- M. Apanson, Familles des plantes, Paris, 1763, p. XCV. B. DE FonteneLLE, E/oge de Tournefort, Hist. Acad. Sci.. Questo e il passo precedente sono cit. da M. Renzoni nelle note a Burron, Storia naturale] mato dagli oggetti della natura... ma non bisogna mai di- menticare che questi sistemi sono fondati solo su arbitrarie convenzioni umane e che essi non sono d'accordo con le in- variabili leggi della natura ». Qui non venivano solo rifiu- tati quegli « aiuti della memoria » che erano stati teorizzati e difesi da illustri esponenti della filosofia e della scienza; qui veniva rifiutata, in nome di un deciso conven- zionalismo, anche l’antica idea di una piena, totale corrispon- denza fra i termini dell’enciclopedia e la realtà delle cose. Anche il matematismo di derivazione cartesiana ha senza dubbio contribuito a creare un’atmosfera favorevole alla costruzione di una lingua artificiale – Grice’s DEUTERO-ESPERANTO], ma l’azione esercitata da Cartesio sui progetti di una lingua universale è, quantomeno, difficilmente determinabile. In una lettera a Mersenne pubblicata a Parigi nella raccolta di Clerslier e che poté quindi essere letta da qualcuno dei teorici del linguaggio universale -- ma siamo sul piano delle ipotesi e di questa lettura non ho trovato alcuna documentazione --, Cartesio, pur chiarendo con molta precisione le caratteristiche e gli scopi di una lingua filosofica, si era mantenuto su un piano assai ambiguo. L'impresa di una lingua filosofica gli e apparsa, almeno teoricamente, possibile: stabilendo un ordine in tutti i pensieri che possono penetrare nello spirito umano, allo stesso modo che esiste un ordine naturalmente stabilito nei numeri, potrebbe costruirsi una lingua composta di caratteri apprendibili con grande facilità e rapidità. L'invenzione di questa lingua — aggiunge— dipende però dalla costruzione della vera filosofia, perché sarebbe altrimenti impossibile enumerare tutti i pensieri degl’uomini e metterli in ordine. Una lingua di questo genere, fondata sulla individuazione di quelle idee semplici che sono nell’immaginazione degl’uomini e delle quali si compone tutto ciò che gli uomini pensano », sarebbe facile da apprendere e da scrivere e, cosa fondamentale, aiutera il giudizio rappresentando le cose così distintamente che sarebbe impossibile ingannarsi, mentre al contrario le parole dell’italiano delle quali attualmente disponiamo hanno quasi solo significati confusi ai quali da lungo tempo si è adattato lo spirito degli uomini – cf. H. P. GRICE, MODERNISM/FORMALISM. A causa di ciò quasi nulla viene inteso perfettamente. Ma poco più avanti Cartesio ha messo in luce il carattere utopistico di un'impresa di questo tipo e manifesta il suo radicale scetticismo sulla possibilità di una pratica realizzazione. Je tiens que cette langue – DEUTERO-ESPERANTO -- est possible, et qu’on peut trouver la science de qui elle dépend, par le moyen de laquelle les paisans pourroient mieux juger de la verité des choses, qui ne font maintenant les philosophes. Mais n’esperez pas de la voir jamais en usage, cela présuppose de grands changemens en l’ordre des choses et il faudroit que tout le monde ne fust qu’un paradis terrestre, ce qui n'est bon à proposer que dans le pays des romans. [cf. H. P. GRICE – IDIO-LECTO]. Una cosa Cartesio vede con chiarezza: lo stretto rapporto tra la lingua perfetta e la vera filosofia -- quella che Wilkins poi chiam la universal philosophy o enciclopedia. Cartesio aveva concepito questo rapporto come un rapporto di dipendenza. L’assenza di un ordinato elenco di tutti i pensieri degl’uomini dal quale ricavare l’elenco delle idee semplici rende impossibile e illusoria la costruzione di una lingua universale come il DEUTERO-ESPERANTO. Dalgarno e Wilkins avevano tentato l'impresa di una classificazione totale delle nozioni e delle cose. Leibniz, largamente utilizzando questi tentativi, rifiuta esplicitamente, proprio commentando la lettera a Mersenne ora ricordata, la posizione cartesiana: « Quantunque questa lingua dipenda dalla vera filosofia, essa non dipende dalla sua perfezione. Vale a dire: questa lingua può essere costruita nonostante che la filosofia non sia perfetta; a misura che crescerà la scienza degli uomini, crescerà anche questa lingua. Nell'attesa, essa costituirà un aiuto meraviglioso: per servirci di ciò che sappiamo, per renderci conto di ciò che ci manca € per trovare 1 Mezzi per arrivarci, ma soprattutto servirà a eliminare, sterminandole, le controversie negli ar- gomenti che dipendono dalla ragione. Perché, allora, calcolare e ragionare saranno la stessa cosa. Descartes, Oesvres, ed. Adam et Tannery (ediz. Clerselier. Coururat, Opuscules ct fragments inédits de Leibniz. In una lettera scritta a Francoforte Leibniz esprimeva il suo entusiasmo per l’opera di Wilkins. Ho letto da poco il Caraztere universale del dottissimo Wilkins; le sue tavole mi piacciono moltissimo e vorrei che egli si fosse servito di figure per esprimere quelle cose che non possono essere descritte che mediante la pittura, come per esempio i generi degli animali, delle piante, degli strumenti. Quanto sarebbe desiderabile una traduzione in latino della sua opera! ». La stessa speranza in una rapida traduzione, Leibniz esprimeva due anni più tardi, in una lettera all’Oldenburg. Dobbiamo arrivare a dopo gl’anni del soggiorno parigino e londinese, per trovare espresse alcune ri- serve di fondo: « Sento che quell’uomo illustre [Hoock| tiene in gran conto il Carattere filosofico di Wilkins che ho anch'io nella meritata considerazione. Non posso ta- cere, tuttavia, che può essere realizzato qualcosa di molto più rande e di molto più utile. Di tanto più grande, di quanto i caratteri dell’algebra sono migliori di quelli della chimica ».' Il contatto con l’analisi matematica era stato, da questo punto di vista, decisivo: per Leibniz non si trattava più sol- tanto di costruire una lingua che fosse in grado di facilitare la comunicazione tra gli uomini, ma di dar luogo ad una scrittura universale mediante la quale si potessero, così come in algebra e in aritmetica, costruire infallibili dimostrazioni. La differente posizione assunta da Leibniz in queste lettere conferma ancora una volta, dal punto di vista di un problema particolare, la validità di quella interpretazione che vede nel soggiorno a Parigi e a Londra una « svolta » nel pensiero leibniziano. In questi anni Leibniz si dedica allo studio della matematica ed entra in contatto con il cartesianesimo e con le correnti più vive del pensiero euro-[GerHarDT, Die philosophischen Schriften von Leibniz, Berlin] peo. L'attenzione per gli aspetti sintattici del linguaggio, la scoperta della « magia dell’algoritmo » o della « funzionalità » dei procedimenti puramente formali, l'affermazione della pos- sibilità di una scienza generale delle forme: questi temi e queste discussioni sono posteriori agli anni della giovinezza, presuppongono l’accostamento dei metodi della combinatoria a quelli della matematica e dell’algebra. Il progetto leibniziano di una caratteristica universale era fondato — com'è noto — su questi tre princìpi: le idee sono analizzabili ed è possibile rintracciare quell’alfabeto o ABECEDARIO dei pensieri che è costituito dal catalogo delle nozioni semplici o primitive; le idee possono essere rappresentate simbolicamente;  è possibile una rappresentazione simbolica delle relazioni tra le idee e, mediante opportune regole, è possibile procedere alla loro combinazione. Questo progetto di Leibniz non nacque certamente sul terreno dell’algebra o del formalismo logico. Kabitz ritrovato nella biblioteca di Hannover l’esemplare, annotato da Leibniz, delle opere di Bisterfield ed è certo a quest’ultimo autore, oltre che più genericamente alla tradizione del lullismo, che va fatta risalire l’idea, fondamen- tale per lo stesso costituirsi della combinatoria leibniziana, di un alfabeto o ABECEDARIO dei pensieri umani o di un catalogo delle nozioni primitive dalla combinazione delle quali si possano ricavare tutte le idee complesse. In una lettera scritta probabilmente al barone di Boineburg e che contiene una delle prime for- [Per 1 rapporti con Bisterfiecld e la presenza di motivi attinti alle correnti mistiche-pitagoriche: Kasirz, Die Philosophie der jungen Leibniz. Untersuchungen zur Entwicklungsgeschichte seines Systems, Heidelberg; per i rapporti con la pansofia: Leibniz’ Verhaltnis zur Renaissance im allgemeinen und zu Nizolius im besonderen, Bonn, 1912; per i rapporti con Alsted c con Henry Morc: D. MaHNKE, Leibmizens Synthese von Untversalmathematik und Individualmetaphysik, Jahrb. fur Philos. u. phinomenologische Forschung . FeitcHenFELD, Leibniz und Henry More, Berlin  G. Couturat, Opuscules et fragments inédits de Leibniz, Paris, Alcan (di qui in avanti indicato con la sigla Op. seguita dal numero della pagina); LEIBNIZ, Textes inédites publiés et annotés par Grua, voll. 2, Paris (di qui in avanti si userà la abbreviazione Grua, seguita dal numero delle pagine] mulazioni della caratteristica, Leibniz mostrava di accettare, nella sostanza, il progetto di Kircher: ai concetti e alle nozioni fondamentali vanno sostituite figure di circoli, di qua- drati, e di triangoli variamente disposti; mediante la combi- nazione delle figure potranno essere espresse le relazioni e le combinazioni fra le idee. Accanto a quelli del Bisterfield e del Kircher, troviamo ricordati, nella Dissertatio de arte combinatoria, i nomi di Lullo e di BRUNO, di Agrippa e di Grégoire, di Alsted, di Bacone ec di Hobbes. La critica che Leibniz rivolgeva a Lullo non concerne minimamente il principio ispiratore della combinatoria: riguardal’arbitrarietà delle classi e delle radici, la insufficienza delle combinazioni. Il riferimento a Bacone e giustificato dal fatto che il Verulamio pone fra i desiderata una logica inventiva. Quello a Hobbes dalla identificazione di ogni operazione mentale con una computatio. Il riferimento a Hobbes non deve trarre in inganno. Leibniz si limita ad approvare l’accostamento, presente nei testi di Hobbes, ma larghissimamente diffuso anche nei testi del lullismo, della logica ad un calcolo – cf. H. P. Grice, “first-order predicate calculus with identity. The Merton Calculators. Speranza. Come ha mostrato con abbondanza di argomentazioni Couturat, il peso esercitato d’Hobbes sull’idea della caratteristica è assai scarso e, nella interpretazione del calcolo, Leibniz si allontana in modo radicale dalle posizioni hobbesiane. Prevalgono in ogni modo, tra le fonti indicate da Leibniz, i testi dei lulliani e degli enciclopedisti: richiamandosi agli saggi di BRUNO, d’Agrippa, di Alsted, Leibniz fa riferimento alle più note e celebrate esposizioni e ai più diffusi commenti dell’Ars magna; nella Sintassi del Grégoire aveva trovato, vigorosamente espressa, l’aspirazione ad una scienza generale fondata sulla determinazione di una serie limitata di princìpi e di assiomi; dalla Technica curiosa sive mirabilia artis di Caspar Schott, uno dei testi più caratteristici della « magia » dei gesuiti del Seicento, aveva infine attinto notizie sulle lingue universali. Cfr. Op.; G. Coururat, La logique de Leibniz d’après des documents inédits, Paris, 1901, tutta la appendice Il e in particolare le pp. 458 - (Qui di seguito abbreviato con CouTuRaT). ® Caspar ScHotT, Technica curiosa, sive mirabilia artis, Norimbergae (Triv. Mor. H.). Il problema fondamentale della logica inventiva, quale viene esposta nella Dissertatio de arte combinatoria, è quello, ben noto, di trovare tutti i possibili predicati di un dato sog- getto e, dato un predicato, trovare tutti i suoi possibili soggetti. Trascurando, come è legittimo fare in questa sede, tutta una vasta serie di problemi più strettamente tecnici, ci si limi- terà a fornire, sulla traccia della esposizione del Belaval, un esempio del modo di procedere di Leibniz. Per risolvere il problema sopra indicato è necessario individuare le idee semplici e primitive che possono essere indicate con un SEGNO convenzionale, in questo caso con un numero. Siano i termini della prima classe: 1: il punto; 2: lo spazio; 3: l’interposto fra; 4: il contiguo; 5: il distante; 9: la parte; 10: il tutto; 11: lo stesso; 12: il diverso: 13: l’uno; 14: il numero; 15: la pluralità; 16: la distanza; 17: il possibile ecc. Combinando a due a due i termini della prima classe -- com2natio -- si ottengono i termini della seconda classe. Per esempio la quantità -- il numero delle parti -- sarà rappresentata dalla formula: 14709 (15). Mediante la combinazione dei termini a tre a tre -- com3natio -- si otterranno i termini della terza classe: per cs. intervallum è 2.3.10, vale a dire che l’intervallo è lo spazio (2) preso in (3) un tutto (10). E così di seguito procedendo per comA4natio, comSnatio ecc. Per trovare i predicati di un determinato soggetto basta suddividere un termine nei suoi fattori primi determinando poi le possibili combinazioni di questi fattori. I predicati possibili di intervallo sono: lo spazio (2), l’intersituazione (3), il tutto (10) presi uno ad uno; poi, presi per com2natio, lo spazio intersituato (2.3), lo spazio totale (2.10), l’intersituazione nello spazio (3.10); infine, per com3 natio, il prodotto 2.3.10 che costituisce la definizione di :ntervallo. Per trovare tutti i possibili soggetti di intervallo (predicato) bisogna individuare tutti i termini le cui definizioni contengono i fattori 2.3.10. Tutte le combinazioni risultanti da questi fattori apparterranno necessariamente alla classe delle nozioni complesse di ordine superiore alla classe cui appar- tiene intervallo (che appartiene alla terza classe). La linea, che è definita come un intervallo tra due punti, appartiene alla quarta classe giacché per definirla occorreranno quattro ter- minì primitivi: 2,3,10 e 1 -- il punto. Dati n termini semplici e indicando con 4 (2>4) il numero dei fattori primi costituenti un predicato si daranno 2 "-k soggetti possibili (la pro- posizione tautologica «un intervallo è un intervallo » è evi- dentemente compresa in questo numero). La caratteristica, come ha notato con esattezza il Couturat, non fu tuttavia inizialmente concepita sotto la forma di un’al- gebra 0 di un calcolo, ma sotto la forma di una lingua o scrit- tura universale.* L’uso XI dell’ars combinatoria consiste in- fatti per Leibniz nell’invenzione di una «scrittura universale, intelligibile cioè ad un qualunque lettore esperto in una qual- siasi lingua ». Tra i testi di lingua universale a lui contempo- ranei, Leibniz ricordava — fondandosi sull’esposizione che ne aveva fatto Schott — uno scritto anonimo pubblicato a Roma  nel quale il metodo era abbastanza ingegnosamente ricavato dalla natura delle cose: l’autore distribuiva le cose in varie classi ed ogni classe era formata da un deter- minato numero di cose »,° per designare un oggetto qualunque bastava indicare il numero della classe e il numero dell’ og- getto. Le altre due opere ricordate da Leibniz sono: il Character pro notitia linguarum universali di  Becher (Francoforte) e la Polygraphia nova et universalis ex combinatoria arte detecta di KIRCHER (si veda) (Roma). Entrambi questi testi sono costruiti sulla base di un dizionario numerico del tipo di quello al quale si è fatto riferimento a proposito dell’Universal Character di Beck. E diventato una specie di luogo comune, nella storiografia leibniziana, quello di contrapporre agl’informi abbozzi o ai vaghi e confusi progetti di lingua universale costruiti dai « predecessori, il limpido, scientifico, coerente piano di una lingua filosofica costruito da Leibniz. In realtà le cose (quando non si attribuisca a qualcuno la qualifica di prede- [G. e cfr. Betavat, Leibniz, Paris; Couturat; e, per una più ampia esposizione,  BARONE, Logica formale e logica trascendentale da Leibniz a Kant, Torino; Couturat,  G. Nella Technica curiosa di Schott, per titolo Mirabilia graphica, sive nova aut rariora scribendi artificia (ediz. di Norimberga) è contenuta una dettagliata esposizione dell’opera anonima  e del volume del Becher. Le brevi considerazioni svolte da Leibniz sembrano esclusivamente fondate su questa esposizione.] cessore per evitare la fatica di leggerne le opere stanno un po’ diversamente. Quando Leibniz formula, nella Dissertatio de arte combinatoria, il suo progetto di lingua universale, egli non conosce né l’Ars signorun di Dalgarno. In quegli anni, Leibniz concepiva ancora, sulle traccie di Bacone e di Kircher, i caratteri della lingua universale come composti di figure geometriche e di pitture del tipo di quelle usate un tempo dagl’egiziani e impiegate oggi dai cinesi; pitture che non vengono ricondotte a un determinato alfabeto o a lettere, il che è causa di incredibile afflizione per la memoria. Le riserve che egli avanza a proposito dell’opera di Becher erano, d’altra parte, assai simili a quelle che formula, indipendentemente da Leibniz, lo stesso Wilkins: l'ambiguità dei termini che, nelle varie lingue, hanno diversi significati; la impossibilità, data la mancanza di esatti sinonimi, di una precisa corrispondenza fra i termini di due lingue; la impossibilità, data la diversità delle regole sintattiche, di una pura e semplice traduzione dei termini uno in fila all’altro; la difficoltà infine di ritenere a memoria i numeri corrispondenti non solo alle classi, ma ai singoli oggetti appartenenti a ciascuna classe. – cf. H. P. GRICE’S EIGHT DESIDERATA OF A FORMAL LANGUAGE of the MODERNISTI – versus the eight defences of the ORDINARY LANGUAGE of the neo-traditionalists like Strawson --. Speranza, “Implicatura conversazionale.” Una scrittura o lingua universale che volesse evitare questi pericoli doveva quindi essere fondata su un’analisi completa dei concetti e sulla loro riduzione ai termini semplici. Leibniz legge il Saggio sui caratteri reali di Wilkins e, probabilmente nello stesso giro di tempo, l'Ars signorum di Dalgarno. Il suo entusiasmo per l’opera di Wilkins, il suo desiderio di vedere il Saggio TRADOTTO IN LATINO e diffuso in Europa appare, dopo quanto si è detto, pic- namente giustificato. Nell’Essay e nell’Ars signorum egli trova (almeno in parte realizzato) il tentativo — già da lui stesso auspicato ed avviato nella Dissertatto — di costruire una lingua universale che fosse anche artificiale e filosofica, costruita cioè non sulla base di una corrispondenza tra dizionari, ma sul fondamento di una classificazione logica dei concetti. Le critiche di Leibniz a Dalgarno e a Wilkins G.1V, 73. n G.] nasceranno, abbiamo visto, solo negli anni del soggiorno a Parigi: in una nota apposta al suo esemplare dell’Ars signorum e in una lettera all’Oldenburg (scritta da Parigi) Leibniz criticava i due autori inglesi affermando che, più che a costruire una lingua davvero filosofica, capace cioè di indicare le relazioni logiche tra i concetti, essi si erano preoccupati di dar luogo a una lingua che potesse facilitare il commercio fra le nazioni. La lingua internazionale — aggiunge Leibniz — è solo il più piccolo dei vantaggi offerti dalla lingua universale : essa è prima di tutto un instrumentum rationis. Ma nel modo di concepire la lingua universale (il termine caratteristica reale, sovente impiegato da Leibniz, deriva in modo evidente dalla terminologia baconiana ripresa anche da Wilkins) Leibniz non si discostava di molto dalle posizioni tradizionali. Da questo punto di vista alcune delle sue affermazioni appaiono particolarmente significative e valgono a mostrarci la effettiva vicinanza di alcune delle sue tesi con quelle sostenute dai teo- rici inglesi della lingua artificiale. La lingua universale o caratteristica reale risulta da un sistema di segni che rappresentano direttamente le nozioni e le cose, non le parole (« peindre non pas la parole, mais les pensées »), tali quindi da poter essere letti e compresi indi- pendentemente dalla lingua che effettivamente si parla. La costruzione di una lingua universale coincide con quella di una scrittura universale -- nihil refert, an scripturam tantum universalem, an vero et linguam condere velimus; facile enim est utrumque eadem opera efficere. Pur dichiarando di volersi discostare dalla tradizione, Leibniz vede nei geroglifici egiziani, nei caratteri cinesi, nei segni impiegati dai chimici, gli esempi di una caratteristica reale -- hieroglyphica Aegyptiorum et Chinensium et apud nos notae chemicorum, Characteristicae realis exempla sunt, fateor, sed qualis hactenus auctores designavere, non qualis nostra est. G.; Couturat] La lingua universale può essere appresa in un tempo brevissimo (in poche settimane, ripete Leibniz con Dalgarno) e serve anche, seppure non principalmente, alla propagazione della fede cristiana e alla conversione dei popoli (cette Eesinure ou langue pourroit estre bientost receue dans le monde, parce qu'elle pourroit estre apprise en peu de semai- nes, et donneroit moyen de communiquer par tout. Ce qui seroit de grande importance pour la propagation de la foy, et . pour l’instruction des peuples eloignés. L'apprendimento della lingua universale coincide con l'apprendimentodella enciclopedia o del sistematico ordina- mento delle nozioni fondamentali. Il progetto dell’enciclopedia è organicamente legato a quello relativo alla lingua universale e da esso inscindibile -- qui linguam hanc discet, simul cet discet encyclopaediam quae vera erit janua rerum. L'apprendimento della lingua universale costituisce, di per se stesso, un rimedio alla debolezza della memoria -- qui linguam hanc semel didicerit, non potuerit eius oblivisci, aut, si obliviscatur, facile omnia necessaria vocabula ipse sibi reparabit. La superiorità della lingua universale sulla scrittura cinese sta nel fatto che le connessioni tra i caratteri corrispondono all’ordine e alla connessione esistenti fra le cose -- on la pourra apprendre en peu de semaines, ayant les caracteres bien liés selon l’ordre et la connexion de choses, au lieu que les Chinois. Su due punti, entrambi di importanza fondamentale, Leibniz si discosta però dai precedenti tentativi. I caratteri della lingua universale hanno il compito d’esprimere i rapporti e le relazioni che intercorrono tra i pensieri. Come nel caso dell’algebra e dell’aritmetica, i caratteri devono servire all’invenzione e al giudizio. Questa scrittura, scrive Leibniz, e una specie di algebra generale e offre il modo di ragionare calcolando, di modo che, [G.] invece di disputare, si potrà dire: calcoliamo. E si trova che li errori del ragionamento sono soltanto errori di calcolo individuabili, come nell’aritmetica, per mezzo di prove. Il pro- getto di una lingua universale o filosofica, ripreso da Leibniz con nuovo vigore dopo la lettura delle opere di Dalgarno e di Wilkins, puo in tal modo essere accostato a quello già avviato nel De arte combinatoria e tendente alla costruzione di un’ars inveniendi concepita come calcolo. La costruzione della lingua universale conduce in tal modo non solo alla realizzazione di un MEZZO DI COMUNICAZIONE, ma contribuirà anche, in modo diretto, alla realizzazione dell’ars inveniendi. Il nome – segno -- attribuito nella lingua universale ad un determinato oggetto o ad una determinata nozione non serve solo a individuare le relazioni intercorrenti fra la cosa significata e le altre appartenenti alla stessa classe o specie e a determinare i rapporti tra la cosa stessa e le differenze e i generi nei quali essa è contenuta come elemento. Il segno non serve solo a indicare la posizione che l’oggetto occupa nello schema dell’universo. Serve anche ad indicare l’ESPERIENZE che devono essere razionalmente intraprese per estendere la nostra conoscenza. Equidem fateor et res ipsa clamat, non posse nunc quidem ex nomine quod auro (exempli causa) imponemus, duci phaenomena quaedam chymica quae dies et casus detegent, donec sufficientia phaeno- mena ad reliqua determinanda nacti simus. Solius Dei est, primo intuitu, huiusmodi nomina imponere rebus. Nomen – SEGNVM -- tamen quod in hac lingua imponetur, clavis erit eorum omnium quae de auro humanitus, id est ratione atque ordine sciri possunt, cum ex eo etiam illud appariturum sit, quaenam experimenta de co cum ratione institui debeant. Nel lungo frammento intitolato LINGVA GENERALIS, un sistema di CALCOLO logico concepito da Leibniz, puo in tal modo presentarsi come il fondamento del progetto leibniziano di una lingua universale. Per trasformare la caratteristica (facente uso di simboli numerici) in una lingua che potesse essere parlata  Leibniz n fa ricorso, come ha chiarito anche Couturat, ai metodi n G. e cfr. Grua, 263 - 64. 2! G. VII, 13; Op. 277-79. ?2 CoururaT] teorizzati da Dalgarno e da Wilkins, indica con le nove prime CONSONANTI (B, C, D, F, G, H, L, M, e N) -- i numeri dall’Ia IX, e con le cinque VOCALI – A, E, I, O, ed U -le unità decimali in ordine ascendente -- 1, 10, 100, 1000, 10000 --  per le unità superiori ammetteva l’impiego di dittonghi. Così il numero “81.374” si scrive e si pronuncia “Mubodilefa”. Poiché ogni sillaba indica, mediante la vocale, il suo ordine decimale, il valore della sillaba stessa è indipendente dal posto occupato nella parola. Lo stesso numero può essere espresso con il termine “Bodifalemu,” che significa “1000 + 300 + 4 +70 + 80000 = 81.374.” Non è il caso di esporre qui le dottrine di Leibniz concernenti la GRAMMATICA RAZIONALE, né i suoi tentativi di una semplificazione grammaticale e sintattica del LATINO CLASSICO al quale egli, dopo i ripetuti insuccessi cui è andato incontro, fa ricorso com’intermediario fra le lingue viventi e la futura lingua latina universale. È ben certo, tuttavia, che il problema che necessariamente Leibniz doveva porsi, della costituzione di un dizionario pone Leibniz di fronte ad una questione nella quale si sono già imbattuti non pochi fra i teorici della lingua perfetta. Perché il nome di ogni oggetto o nozione possa esprimere la definizione dell’oggetto o della nozione in modo che i termini della lingua artificiale divengano simboli adeguati e trasparenti simili a quella della lingua di Adamo o ROMOLO, è necessario aver individuato gl’elementi primi e semplici che compongono l’alfabeto del pensiero. Ma per individuare quest’alfabeto o ABECEDARIO è necessario un inventario di tutte le conoscenze umane; è indispensabile disporre di un’enciclopedia nella quale tutte le nozioni siano classificate nell’ambito di un sistema unitario e appaiano quindi riconducibili ad un NUMERO LIMITATO di categorie fondamentali. La caracteristique que je me propose ne demande qu’une espèce d’encyclopedie nouvelle. L’encyclopedie est un corps où les connoissances hu- [Cfr., su questi argomenti, Coururat, c, dello stesso autore, Histoire de la langue universelle, Paris. Per una ri- presa, da parte di Couturat, di questi temi leibniziani cfr. Des rapports de la logique et de la linguistique dans le probleme de la langue internattonale, Atti del Congr. di filosofia, BOLOGNA] maines les plus importantes sont rangées par ordre. Cette En- cyclopedie estant faite selon l’ordre que je me propose, la Caracteristique seroit quasi toute faite ».° In una serie numerosissima di abbozzi, di frammenti, di piani, di capitoli o sezioni offerti come provvisori specimina, Leibniz, rivolgendosi alle società e alle accademie, ai principi e ai sovrani, andò elaborando durante l’intera sua vita, il pro- getto di un'enciclopedia universale che non si presentasse sem- plicemente come una classificazione o un bilancio delle cono- scenze già acquisite, ma avesse valore dimostrativo, serve cioè di guida alla ricerca scientifica in atto.? Sulle fonti di non pochi tra questi progetti appaiono essenziali le testimonianze dello stesso Leibniz. Nella Nova methodus iurisprudentiae troviamo precisi riferimenti a Lavinheta cui vien riconosciuto il merito di aver individuato quei termini giuri- dici fondamentali mediante i quali potrà venir costruita la tavola enciclopedica del diritto.?” In una lettera del 1714, rife- rendosi agli anni della giovinezza, Leibniz parlava dell’in- flusso esercitato su di lui dal Digestum sapientiae di Paris. Sull’opera di Alsted, già ricordato nella Dissertatio per i suoi scritti lulliani, Leibniz ritornò più volte: nel 1681 par- lava di lui con ammirazione, dieci anni prima aveva dedicato un breve scritto a migliorare e perfezionare la sua grande enciclopedia. Ancor più profondo è il debito verso Comenio: la mia propria enciclopedia, non differisce molto da quella di Comenio  ed a Comenio Leibniz aveva attinto la tesi di importanza centrale di una sostanziale, profonda identità fra la lingua universale e l’enciclopedia. G. Sul carattere dimostrativo dell’enciclopedia latina e dell’enciclopedia italiana leibniziana cfr. le utili precisazioni contenute nel saggio di R. McRae, Unity of the sciences: Bacon, Descartes, Leibniz, in « Journal of the History of Ideas, Dutens, G. G. Leibmtii Opera Omnia, voll. 6, Genevae, ec cfr. Carreras y ARtAU, La filosofia cristiana. 2° G. IV, 62; G. VII; Cogitata quaedam de ratione perficiendi et emendandi Encyclopaediam Alstedii in Dutens, Leibnitit Opera, cit., V, 183; cfr. Op. 354 - 55. 3° Cfr. Carreras y ARTAU, II, p. 320; Couturat, 571 -73; /udicium de scriptis comenianis in Dutens, Leibnitii Opera. Facendo riferimento al commento leibniziano alla lettera di Cartesio sulla lingua universale, abbiamo visto come Leibniz si rendesse ben conto del perfetto « parallelismo » esistente tra il progetto della lingua universale e quello concernente l’enciclopedia. In quel passo, di incerta datazione, egli si era rifiu tato di far «dipendere» la caratteristica dall’ enciclopedia: « Quantunque questa lingua dipenda dalla vera filosofia, essa non dipende dalla sua perfezione. Vale a dire: questa lingua può essere costruita nonostante che la filosofia non sia per- fetta ».*! Ma, su questo punto, la posizione di Leibniz pre- senta non poche incertezze : in una lettera a Burnet egli afferma, muovendosi in una direzione completamente opposta, che i caratteri presupporrebbero la vera filosofia ed è solo al presente che io oserei dare avvio alla mia costruzione.  Questo duplice punto di vista, nota BARONE, corrisponde al duplice punto di vista da cui Leibniz guarda alla caratteristica, considerandola rispettiamente, come strumento metafisico assoluto o come strumento per la costruzione di particolari sistemi o calcoli deduttivi – come il sistema Q di H. P. Grice, “a first-order predicate calculus with identity.” – cf. Myro, SISTEMA G. L'osservazione è molto esatta. La caratteristica come strumento, come calcolo modellato sul formalismo dell’algebra, non richiedeva la preliminare fondazione della vera filosofia: caratteristica ed enciclopedia si risolvevano l’una nell’altra e procedevano di pari passo. Continuando però a concepire la caratteristica come chiave universale come lo strumento atto a disvelare le essenze e a decifrare quell’alfabeto del mondo che corrisponde all’alfabeto dei pensieri, Leibniz si ritrova-di fronte allo stesso problema che hanno dovuto affrontare i teorici della lingua perfetta: costruire una universal philosophy che serve di base e di fondamento alla lingua filosofica. Per rendersi conto di ciò basta considerare quelle ampie tavole enciclopediche che furono composte da Leibniz. Al termine della sua attività, dopo aver steso e abbozzato piani e frammenti numerosissimi di enciclopedie,Barone, Logica formale e logica trascendentale] Leibniz torna a muoversi, ancora una volta, sul piano stesso sul quale si erano mossi Wilkins e Dalgarno. In queste pagine l'enciclopedia si configura come una classificazione logica fondata sulla distinzione scolastica delle sostanze e degl’accidenti dei principali concetti di tutte le scienze -- dalla matematica, alla morale, alla politica --, di tutti gl’oggetti naturali -- dai minerali, alle piante, agli esseri viventi -- e di tutti gl’oggetti artificiali – gl’utensili e gli strumenti costruiti dalla mano dell’uomo. La classificazione leibniziana riproduce, con trascurabili differenze, quella dell’Ars signorum di Dalgarno: Res: Concreto matematico Accidentia: Accidenti comuni Concreto fisico Accidente matematico Concreto artificiale Accidente fisico generale Concreto spirituale Qualità sensibili Accidenti sensitivi Accidente razionale Accidente economico Accidente politico. Anche all’interno delle varie classi e sottoclassi veniva riprodotta la stessa classificazione. La classe degl’accidenti politici comprende per esempio, anche per Leibniz: la relazione d’ufficio, la relazione giudiziaria, la materia giudiziaria, il ruolo delle parti, il ruolo del giudice, i delitti, la guerra, la religione. Anche nell’elencazione dei singoli ter- mini compresi in ciascuna delle classi e sottoclassi, Leibniz si discostava in misura assai limitata dallo schema costruito da Dalgarno. Il progetto di una enciclopedia dimostrativa — storicamente così importante — sembra qui abbandonato. Le ragioni di questo mutamento di prospettive richiederebbero un'analisi particolare. Qui ci si voleva limitare a far rilevare che l’influenze delle posizioni dei teorici inglesi della lingua latina come lingua universale non sono presenti soltanto negli scritti di Leibniz. Facendo riferimento ai testi dedicati alla costruzione delle lingue filosofiche, abbiamo notato come essi insistano tutti, concordemente, sul valore mnemonico delle lingue universali: i numerosi riferimenti a questo problema, presenti nelle opere di Leibniz, risultano anch'essi, dal nostro punto di vista, oltremodo significativi. Come già Bacone e Cartesio, anche Leibniz era al corrente o era interessato al problema, così a lungo dibattuto in Europa, della memoria artificiale. Di questo suo interessamento per l’ars reminiscendi resta traccia in un gruppo di carte leibniziane ancora inedite: Phil. VI.19, che è una raccolta di appunti avente per titolo Mremonica sive praecepta varia de memoria excolenda, e Phil. che contiene una seconda raccolta di appunti e di riassunti di opere di ars memorativa. Alla carta 5r. del primo di questi due manoscritti troviamo teorizzata una serie di accorgimenti che possono essere usati per ricordare facilmente, facendo ricorso alle lettere alfabeti- che, una serie qualunque di numeri: Sr. Arcanum: qua ratione omnes et singulos nmumeros, prae- sertim cos quorum usus est in chronologia, atque aliorum infinitorum, memoriae mandare, corum citra omnem in- genii cruciatum recordari, ac nunquam oblivisci possis, ne dicam, ulteriora et infinita queas deducere. Si quis multos numeros citra cruciatum memoriae atque ingenii memorare cupit, omnino opus est ut subsidio ali- quo utatur. Sunt qui varie rem tentarunt, absque tamen singulari effectu ac successu, donec non adeo pridem hunc modum quispiam excogitando invenerit, multis rationibus ipsaque experientia reddiderit probatum. Alphabeti elementa sunt XXIV: haec dividuntur in vocales et consonantes. Vocales hac in re vicariam nobis tantum praebent utilitatem, consonantes vero primariam. / 5 v. Consonantes autem sunt hae: BCDFGKLMNPQRST, his adiungantur WZV. Numeros habemus hos: 1234567890. Si plures dantur numeri, ex hisce componuntur, ut ex | et 2 fiunt 12 quemadmodum res est plana. Iam vero nihil memoriam adeo torquet quam res referta numeris, quos tamen scire memoriaque comprehendere ma- ximi interest itaque hocce subsidii, ut utaris, valde pro- dest et conducit memoriam. Reduc consonantes istas ita, et puta quod sint numeri, sic facile te extricabis: 1234567890 BCFGLMNRSD PK WQ Z LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA. Il ricorso ai versi, così diffuso nei testi di mnemotecnica dal Quattrocento fino a Bacone, è presente in un altro di questi fogli di appunti nel quale Leibniz traduce in latino i versi 33-42 della Geografia di Marciano d’Eraclea: Haec ergo visum est explicare carmine facili atque claro, quali utuntur comici. Nam sic iuvatur memoria nec sensus perit et simile quiddam vita nobis exhibet. Qui vult solutam ferre lignorum struem prohibebit aegre ne quid illi decidat sed colligatam facile fasciculo geret Oratio soluta pariter diffluit comprehensa versu mens fidelius tenet. Accanto ad una critica al Lexicon d’Hoffmann (Anversa), questo stesso concetto ritorna in un’altra brevissima nota sulla grammatica d’Alvarez (Dilingae, Venezia) e sulla Grammatica philosophica di Scioppio (Amsterdam). Eos quos in grammatica sua habet Emmanuel Alvarez Societatis Iesu, ipse Scioppius in GRAMMATICA FILOSOFICA laudat et disci suadet. Ait cum centum et sexaginta versibus hexametris feliciter complexum omnes regulas de verborum praeteritis et supinis et omnem prosodiae latinae rationem centum sexaginta aliis versibus. Hofmanni lexicon universale maxime nominum propriorum utilis liber. Unum desidero: cum non posset autor ob rerum multitudinem cuncta plenis edisserere, praeclare fecisset si ubique indicasset autorem aliquem unde cele- rior in studio peti possit. Nelle pagine che hanno per titolo Artificium didacticum ed Exercitia ingenti troviamo, esplicitamente teorizzati, altri caratteristici precetti dell’arte mnemonica: Artificium didacticum. Semper cognita incognitis miscenda et temperanda sunt ut labor et molestia minuantur. Ita optime discimus linguas per parallelismum cum linguis nobis notis, ita scriptum non satis cognitae lecturae, discendae linguae causa, sumamus librum familiarem nobis cuius sensa pene memoriter tenemus ut Novum Testamentum. Hinc etiam si cui musicam docere possem aut vellem, monstrarem cantiunculas sibi notas posset in charta exprimere si vereretur oblivisci.Cfr. Geographi graeci minores,  llr. Exercitia ingenti. Ut Rhetores exercitia habent orationis, Grammatici exercitia styli, ita ego in pueris exercitia ingenii institui desidero. Exercitia ingenii nec gratiora nec efficaciora reperiri posse nititur quam ludos verba quo ordine turbato iterum recitare ope mnemonices cuiquam facilis, inverso etiam si placet aut per saltus, historias ab aliis recitatas iterum recitare, extempore describere proelia, itinera, urbes quorum ipsis via ante audita, historias ab aliis recitatas resumere et denuo recitare, fingere preces et iubere ut quis ex duorum disputationibus et concertationibus patrias causas cuiquam implicatas discat facere aut solvere. Alle carte 16r-16v. è infine presente un ampio e analitico riassunto del Simonides redivivus sive ars memoriae et obli- vionis di Adam Bruxius (Lipsia). Ma accanto all’esposizione di tesi tradizionali ricompaiono in questi appunti i nomi dei teorici del metodo geometrico. Ad essi Leibniz rimprovera di non aver messo sufficientemente in luce quelle proposizioni primarie che stanno a fondamento di tutto il discorso. Video cos qui geometrica methodo tractare scientias, ut P. Fabrius, Joh. Alph. Borellus, Benedictus Spinosa, R. des Cartes, dum omnia in propositiones minutas divellunt, efficere ut primarias propositiones lateant inter illas mi- nutiores, nec satis animadvertantur, unde saepe quod quae- ris difficulter invenies.?6 Su questi appunti inediti di Leibniz ci siamo soffermati così a lungo non perché essi presentino un particolare interesse, ma perché essi valgono a mostrare — e la cosa non era stata finora messa in rilievo — come i numerosi riferimenti di Leibniz alla memoria e alla mnemotecnica nascano non tanto, come si è fin qui creduto, dalla lettura delle confuse pagine del Kircher, ma dalla conoscenza effettiva c dettagliata di al- cuni testi di arte mnemonica, come quello del Bruxius, ben noti e celebrati nella cultura del Seicento. Questa conclusione riceve d'altra parte nuova conferma da un csame delle pagine 26 Gli autori cui Leibniz fa riferimento sono, accanto a Cartesio € Spinoza, il padre gesuit FABRI (si veda), feroce anti-copernicano ed autore dei Dialoghi Physici, Lyon, e BORELLI (si veda) il cui Euclides restitutus sive prisca geometriae elementa e pubblicato a Roma] contenute nel manoscritto Phil. In una nota della quale conosciamo la precisa data di composizione troviamo, accanto ad alcune regole per la costruzione di una grammatica razionale, la descrizione dei mezzi mnemonici dei quali far uso per ricordare una serie qualunque di idee. L'antica dottrina dei luoghi e delle immagini; la tesi della necessaria riduzione dei concetti e delle idee sul piano delle figure sensibili; le figure dei patriarchi, degli apostoli, degli imperatori; i precetti relativi all'ordine e alla collocatio in locis; le immagini degli animali; gli accorgimenti relativi ai ter- mini delle lingue «barbare » ricompaiono in questa pagina leibniziana. Certo è che Leibniz, oltre al Simonides redivivus del Bruxius, lesse e commentò con una minuziosa (come risulta dalle carte 1r.-4v. di questo manoscritto) gli scritti di Schenkelius soffermandosi particolarmente su quella parte del- l’opera che è dedicata all’apprendimento del latino, all’educa- zione dei fanciulli alla retorica, alle numerosissime regole del- l’ars reminiscendi.! Questi interessi di Leibniz, queste sue letture non furono senza influenza sulla soluzione di problemi di carattere più ge- [Schenkel, cui tocca in sorte di essere brevemente discusso da Cartesio e studiato da Leibniz, è figura particolarmente interessante: fortunato insegnante c DIFFUSORE dell'arte mnemonica IN ITALIA  (artem hanc — scrive il Morhofius — magno cum successu suo mec sine insigni suo lucro exercuit») fu accusato di stregoneria durante un suo soggiorno all’Università di Lovanio, riuscendo poi ad ottenere protezione ed appoggio dalla facoltà teo- logica di Douai. La prima edizione della sua opera, poi spessissimo ristampata: De memoria liber secundus in quo est ars memoriae, Leodii, Leonardus Straele. Insieme ai tre opuscoli sopra ricordati d’Austriacus, di Marafioto e di Spangerberg l’opera e ristampata con il titolo Gazophylacium artis memoriae, Argentorati, Antonius Bertramus (Angelica. SS.). Fra i suoi scritti, che comprendono una Apologia pro rege catholico in calvinistam, Anteverpiae, e una raccolta di Flores et sententiac insigniores ex libris de Constantia Justi Lipsit (Par. Naz.), è stato ristampato, in edizione moderna, il Compendium der Mnemonik, con testo latino, cur. Klùber, Erlangen. All’insegnamento di quest’autore si richiama la curiosa enciclopedia di ApRIAN LE Cuiror, Le magazin des sciences, ou vrai art de mémotre découvert par Schenkelius, traduit et augumenté de l’alphabet de Trithemius, Paris, J. Quesnel, che amplia molto il testo originario (Par. Naz.).] nerale: è indubbio che per Leibniz l’arte della memoria conserva un suo posto ed una sua precisa funzione nel mondo del sapere e viene più volte accostata alla logica: nella Nova methodus di- scendae docendaeque iurisprudentiae la mnemonica, la topica e l’analitica costituiscono le tre parti della didattica; nel Consilium de Encyclopaedia nova conscribenda methodo inventoria, la mnemonica viene collocata fra la logica e la topica; negli /ritia et specimina scientae novae generalis la sagesse o « perfetta conoscenza dei princìpi di tutte le scienze e arte di applicarli » viene suddivisa in art de bien raisonner, art d'inven- ter e art de souvenir; in una lettera a Koch Leibniz giunge ad accogliere la tesi avanzata da Ramo e ripresa poi fra gli altri da Bacone secondo la quale l’ars memoriae costi- tuisce una parte o sezione della logica. Sulla funzione mnemo- nica della lingua universale, dell’enciclopedia, delle tavole, della stessa caratteristica Leibniz insiste più volte: i caratteri c le figure venivano concepiti anche da Leibniz, in pieno accordo con la tradizione, come mezzi per rafforzare l’immaginazione; le tavole gli apparivano, come già a Bacone, ad Alsted, a Comenio, a Wilkins indispensabili aiuti alla naturale fragilità della memoria. Combinatoria: his qui imagi- natione firma non valent ad res attente considerandas succur- ritur figuris et characteribus, ita his qui memoria non valent nec multa simul exhibere possunt, succurritur ope tabula- rum ».5 Nell’elaborazione dei suoi numerosi, grandiosi progetti con- cernenti la caratteristica, la lingua universale, l'enciclopedia, Leibniz si era dunque richiamato di continuo a quelle discussioni sulla combinatoria e sull’enciclopedia, sull’alfabeto dei pensieri e sulla LINGVA LATINA come LINGVA VNIVERSALE, sui caratteri reali e sulla memoria che avevano avuto in tutta Europa un'eco vastissima. Non si trattava di una lieve eredità. Ad anni di distanza dalla pubblicazione della Dissertatio de arte combinatoria, dopo il soggiorno a Parigi e a Londra, dopo le grandi « scoperte » matematiche, Leibniz parla ancora della [Per questi riferimenti alla memoria artificiale cfr. Durens, Leibnitii Opera.; Op. Sull'uso mnemonico delle classificazioni cfr. anche la lettera a Wagner in G. e, sui caratteri, palpabili e sensibili: Gaua -- sua invenzione con accenti caratteristici, con un tono che appare singolarmente vicino a quello « miracolistico » e «magico » di tanti fra i lullisti e i maestri di memoria. La mia invenzione contiene, tutto intero, l’uso della ragione; un giudice delle controversie; un interprete delle nozioni; una bilancia per le probabilità; una bussola che ci guiderà nell’oceano dell’esperienza; un inventario delle cose; una tavola dei pensieri; un microscopio per scrutare le cose presenti; un telescopio per indovinare quelle lontane; un cal- colo generale; una magia innocente; una cabala non chime- rica; una scrittura che ciascuno potrà leggere nella sua propria lingua; infine una lingua che puo venire appresa in poche settimane e che avrà presto corso nel mondo portando, ovun- que potrà giungere, la religione vera. Non sono parole dettate dal desiderio di adattarsi a una moda culturale o a un linguaggio corrente: come già i seguaci di Lullo e i teorici della pansofia anche Leibniz resta sempre convinto che fosse possibile rintracciare un metodo che costituisca la chiave della realtà universale; che e possibile dar luogo ad una scienza generalissima capace di scoprire la piena corrispondenza tra le forme originarie costitutive della realtà e la catena delle ragioni o dei pensieri umani. La scienza generale non abbraccia soltanto la logica ma è ars inventendi e methodus disponendi, è sintesi e analisi, didattica e scienza dell’ insegnare, è noologia e arte del ricordare o mnemonica, è ARS characteristica o SIMBOLICA, è GRAMMATICA FILOSOFICA, arte lulliana, cabala dei sapienti e magia naturale. Dalla tradizione dell’enciclopedismo lullista, da quella della pansofia, dalle teorie sulla lingua universale Leibniz non accoglie soltanto una serie di temi di importanza secondaria e marginale. Quella tradizione operava potentemente su uno dei punti centrali e fondamentali della sua filosofia: sul concetto stesso di una scienza generale che è anche una, sia pure «innocente », magia naturale, che è in grado cioè di rivelare le ragioni presenti ed operanti nel cosmo, di chiarire la strut- [Leigniz, Samtliche Schriften und Briefe herausgegeben von der Preussischen Akademie der Wissenchaften, I. R., Darmstad, Introductio ad Encyclopaediam arcanam, in Op.] tura ontologica della realtà. Su questo punto, che è di importanza decisiva, i testi sono oltremodo precisi. L'arte — scrive Leibniz nella Dissertatio — conduce con sè l’animo obbediente attraverso quasi tutto l’infinito e abbraccia insieme l’armonia del mondo e le intime costruzioni delle cose e la serie delle forme. La lingua latina come lingua universale, d’altro lato, scopre le interiori forme delle cose 4° e l’astrazione ha il suo fondamento nella trama ideale della realtà. Se il nostro animo non trova il genere delle cose lo sa Dio, lo trovanno gl’angeli e preesiste un fondamento a tutte queste astrazioni. Nella Confessio naturae Leibniz insiste sul concetto di un’armonia universale che proviene dallo spirito divino,‘* mentre, in una lettera, troviamo esplicitamente teorizzata una concezione platonico-pitagorica della realtà nel cui ambito la matematica diviene veramente lo strumento per penetrare i lineamenti più intimi e segreti del mondo. Qual'è la ragione dell’armonia delle cose? Nulla: ad esempio, non si può dar nessuna ragione del fatto che il rapporto di 2 a 4 sia eguale a uello di 4 a 8, neppure movendo dalla volontà divina. Ciò dipende dalla stessa essenza o idea delle cose. Le essenze delle cose sono infatti numeri, e costituiscono la stessa possibilità degli enti, che non è fatta da Dio, che ne fa invece l’esistenza: poiché, piuttosto, quelle stesse possibilità o idee delle cose coin- cidono con lo stesso Dio. Essendo Dio mente perfettissima, è impossibile che non sia egli stesso affetto dall’armonia per- fettissima. Temi di questo tipo ritornano, con ampiezza molto mag- giore, in quella serie di saggi che Jagodinski ha raccolto e pubblicato. G. IV, 56. Il passo è stato sottolincato dal Kasitz, Die p/ulosophie der jungen Leibniz, G. Lersniz, Sdmtiliche Schriften und Briefe. Su questo passo hanno richiamato l’attenzione il KaÒitz, Die philosophie der jungen Leibniz,  e BARONE, LOGICA FORMALE E TRASCENDENTALE. La lettera fu pubblicata dal TRENDELENBURG, Hist. Beitrige zur Philos., Berlin. JacopiINSsKI, Lerbriziana. Elementa philosophiae arcanae. De summa rerum, Kasan; dello stesso autore cfr. Leibniziana inedita: a proposito dei quali si sarebbe davvero tentati di dire, con il Rivaud, che «il principio di armonia è stato il centro in- torno al quale tutte le idee di Leibniz si son venute cristalliz- zando, c questo stesso principio appare, fin dall’inizio, non una semplice legge logica ma una necessità estetica e mo- rale. Negli Elementa philosophiae arcanae non troviamo solo l'affermazione che « existere nihil aliud esse quam harmo- nicum esse », ma vediamo esplicitamente affermata la dottrina di un ordine logico del cosmo secondo la quale ciò che distingue una sostanza dall’altra è la sua situazione nel con- testo razionale dell’universo ».°* Su questo stesso terreno si muoveva Leibniz quando scrive a Federico di poter dimostrare l’esistenza di una ratio ultima rerum seu harmonia universalis o quando afferma, in una lettera alla duchessa Elisabetta, la piena coincidenza tra i caratteri reali e gli elementi semplici costitutivi della realtà: «la caratteri- stica rappresenterebbe i nostri pensieri veramente e distinta- mente e, quando un pensiero fosse composto da altri più sem- plici, il suo carattere lo sarebbe egualmente... i pensieri semplici sono gli elementi della caratteristica e le forme semplici le sorgenti delle cose.‘ confessio philosophi, Kasan (testo lat. con traduzione russa a fronte. Rivaup, Textes inédits de Leibniz publiés par Jagodinski, Revue de Met. et de Morale. JAGODINSKI, Leibniziana. La lettera a Federico in G. I; quella ad Elisabetta in Sdngliche Schriften und Briefe. Sulla presenza di motivi metafisici anche in quei temi di logica che sono alla base dell’interpretazione panlogistica cfr. JasinowskI, Die analitische Urteilslehre Leibnizens in ihrem Verhiltnis zu seiner Metaphysik, Vienna. Pur muovendo dall’accettazione delle tesi di Couturat e di Russell, PRETI, Il cristianesimo universale di Leibniz, Milano, è giunto a conclusioni che mi pare vadano sottolineate. In realtà Leibniz non è giunto mai ad uno sviluppo completo della sua logica ed è rimasto impigliato in gravissime difficoltà perché non ha saputo mai abbandonare completamente il suo originario platonismo: il criterio dell’evidenza (intuizione immediata delle idee), il rea- lismo logico (per cui esistono idee in sé primitive e in sé composte), la concezione secondo la quale il gioco formale dei simboli doveva riprodurre i rapporti ideali eterni sussistenti fra le idce le quali erano nella mente di Dio, hanno impedito a Leibniz di svolgere fino in fondo le sue intuizioni logiche, che pur sono tanto geniali e nel seguito si mostreranno tanto feconde. In realtà Leibniz crea una logica sempre con la PR di creare un’ONTOLOGIA e una metafisica. Ma per creare la logica occorre svincolarsi del tutto da ogni preoccupazione ontologico-metafisica, e seguire una gnoseologia (quella che, nascendo da Hume, arriva al positivismo del circolo di Vienna) che Leibniz non avrebbe seguita. A conclusioni non dissimili, da queste di PRETI, è giunto BARONE, Logica formale e logica trascendentale, che parla di una « fondamentale differenza  fra la logica formale e la logica leibniziana sempre inglobata e sorretta, anche nelle ricerche più modernamente tecniche, dall'ideale metafisico della pansofia e che ha sottolineato la presenza, nel pensiero di Leibniz, di una concezione platonico-pitagorica delle forme che è a fondamento della formalità degli schemi logici. A conclusioni fortemente divergenti da queste ora csposte è giunto CORSANO -- Lerbniz, Napoli -- che acutamente analizza le influenze esercitate sul pensicro di Leibniz dalle opere di Suarez e ha sostenuto la tesi di un’intima e quasi intera adesione al nominalismo, dalla quale avrebbe preso le mosse il pensiero di Leibniz. Con questa tesi, per le ragioni sia pur brevemente accennate nel testo, non mi pare di poter concordare anche perché non credo, come ritiene CORSANO, che agl’arcaici e decrepitti motivi di misticismo platonico-pitagorico Leibniz e costretto a inchinarsi in omaggio alle opinioni dei suoi maestri (Weigel) e per parlare con un linguaggio accessibile all’arretratissima cultura filosofico-scientifica della Germania barocca -- Corsano, rec. a Barone, Logica formale e logica trascendentale, Rivista critica di storia della filosofia. Mostrare la presenza e il non indifferente peso esercitato da quelle arcaiche sopravvivenze — che non mi paiono in alcun modo riducibili ad una specie di espediente accademico o retorico — è in ogni caso il fine che in queste pagine mi sono proposto. IL AD MEMORIAM CONFIRMANDAM DI LULLO Il Liber ad memoriam confirmandam e composto a Pisa. A Pisa, Lullo era giunto da Genova, dopo un viaggio assai avventuroso ed un naufragio del quale egli stesso ci dà notizia. Saraceni ipsum [Lullum]) miserunt in quandam navem tendentem Genovam, quae navis cum ma- gna fortuna venit ante Portum Pisanum; et prope ipsum per decem millaria fuit fracta, et Christianus Lullus vix quasi nudus evasit, et amisit omnes libros suos et sua bona» (cfr. Disputatio Raymundi Christiani et Hamar Saraceni, ediz. di Magonza) A Pisa, Lullo portava a compimento, fra l’altro, la stesura dell’Ars magna generalis ultima iniziata a Lione e progettava una crociata appoggiandosi al governo della Repubblica per ottenere racco- mandazioni per il Pontefice e per i cardinali. Troviamo Lullo di nuovo a Genova e poi a Montpellier. La data di composizione dell’opera indicata da S. Garmes: (cfr. Dinamisme de R. Lull, Mallorca appare quindi oltremodo probabile. A que- sto studioso si deve una breve ma accuratissima biografia del Lullo: Vita compendiosa del Bt. Ramon Lull, Palma de Mallorca. Il testo dell’operetta lulliana del quale si dà qui di seguito la trascrizione è conservato in tre mss.: il cod. dell’Ambrosiana (qui indicato con la sigla B); il cod., ff. 1 v.-3v. della Staatsbibl. di Monaco (indicato con M); il cod. lat. della Nazionale di Parigi (indicato con P). Il ms. B appartiene senza dubbio ad un ramo della tradizione diverso da quello cui appartengono gli altri due mss. i quali presentano, rispetto a B, caratteristiche in parte comuni (diverso incipit, assenza della suddivisione in capitoli, lacune comuni rispetto a B, diversa terminologia ecc.). In P sono presenti lacune che non sono in M. Oltre che una derivazione di M. da P, è tuttavia da escludere anche una derivazione di P da M: le divergenze fra i due mss. dipendono nella maggior parte dei casi da diffe- renti interpretazioni dovute alle abbreviature presenti nel testo originario o in un subarchetipo comune. Si vedano a titolo di esempio le varianti corrispondenti alle note. In nomine Sanctissimae Trinitatis incipit liber ad memo- riam confirmandam. Ratio quare presentem volumus colligere tractatum est ut memoria hominum quae labilis est et caduca modo rectificetur meliori. Ipsum quidem dividimus in duas partes principales, subsequenter in plures. Prima igitur pars est Alphabetum ABECEDARIVM ideo ut sequitur ipsum diffinimus. Alphabetum ABECEDARIVM ponimus in hoc tractatu ut per ipsum possimus memoriam diffinire ct in certis et  terminatis princi- piis ipsam in duabus ponere potentiis. Primo igitur significat memoriam naturalem, significat capacitatem, significat discretivam. Quid tamen sit naturalis memoria, quid capacitas, quid discretiva, vade ad quintum subiectum per b.c. d. designatum in libro septem planetarum quia ibi tractavimus miraculose et notitiam omnium habebis entium naturalium, quapropter ipsorum prolixitatem et sermonem declarationis hic ad prae- sens exprimere praetermitto, cum intellectus per unam literam plura significata habentem sit generalioret possit in memoria plura significata recipere quam per aliam largo modo sumptam. Sequitur nunc secunda pars quae memoriam dividit in partes speciales pariter et generales de generali tractans ad specialia postea descendendo. Primo igitur ut laborans in studio faciliter sciat modum scientiam et ne, post amissos quamplurimos labores, scientiae huius operam inutiliter tradidisse noscatur, scd potius labor in . requiem et sudor / in gloriam plenarie convertatur, modum scientiae decet pro iuvenibus invenire per quem non tanta gravitate corporis iugiter deprimantur, sed absque ni- mia vexatione et cum corporis levitate et mentis laetitia ad scientiarum culmina gradientes  cquidem propere subeant. Multi enim sunt qui more brutorum litera- rum studia cum multo et summo labore corporis prosequun- tur absque exercitio ingenii artificioso et continuis vi- gilits maceratum corpus suum iuxta labores proprios inuti- liter exhibentes. Igitur decet modum per quem virtuosus studens thesaurum scientiac leviter valeat invenire et a gravamine tantorum laborum relevari possit. Oportet nos igitur conservare ante omnia quaedam prin- cipia et praccepta necessaria et postrmodum ad specialia condescendere. Primum ergo oportet praeceptum legis observare, idest diligere Deum ciusque Genitricem beatissi- mam virginem Mariam. Nam Spiritus Sanctus dat scien- tiam cum magnitudine ut sit magna, Beata Virgo Maria dat scientiam cum bonitate ut sit bona. Spiritus Sanctus dat B. 36r. scientiam ut charitas duret, Domina nostra beatissima dat P. 438v. P. 439r. M. 2r. B. 36v. P. 439v. scientiam ut pietas duret. Spiritus Sanctus dat scientiam cum potestate ut sit fortis, Domina nostra virgo beatis- sima dat scientiam ut recolatur. Spiritus Sanctus dat scientiam contra infidelitatem, Domina nostra virgo Maria dat scientiam contra peccatum. Spiritus Sanctus dat scientiarp cum ratione, Domina nostra pia dat scientiam cum patientia Spiritus Sanctus dat scientiam cum spe, Domina nostra sanctissima pia Virgo Maria dat scien- tiam cum pietate. Spiritus Sanctus dat scientiam cui sibi placet, Domina nostra dat scientiam omnibus illis qui ipsam rogant. Spiritus Sanctus dat scientiam ad rogandum, Domina nostra dat scientiam petendi. Spiritus Sanctus dat scien- tiam divitibus, Domina pia dat scientiam pauperibus. Spiritus Sanctus dat scientiam cum gratia, Domina nostra sacra- tissima virgo Maria dat scientiam cum petitione Spiritus Sanctus idiomata dat pariter et consolationes ab ipso quidem divino Domino nostro Jesu Christo omnia prospere procedunt et conceduntur et sine ipso fac- tum est nihil et placa ipsum per devotissimas orationes maxime per orationem Sancti spiritus. Secundo est OPTIMVM observare modum vivendì in potando et come- dendo praccipue ex parte noctis vel etiam in dormiendo quoniam ex superfluitate horum corpus gravitate ponde- rositatis ultra modum aggravatur et anima, corpori adherens, illius dispositionem sequitur. Nihil enim tam praecipuum scientiam inquirenti ut moderationem ponat ori suo et palpebris suis non concedat multam dormitionem et inor- dinatam. Tertium praeceptum invenio quod nunquam deficiat quin maiorem partem sui temporis scientiae operam tribuat cum affectu quoniam ex hoc sequitur capacitas, ex hoc memoria, ex hoc discretio naturalis. Sequitur nunc secunda pars ad specialia descendens. In artificioso studendi modo distinguo tres potentias natu- rales: una est capacitas, alia est memoria, alia est discretio. Prima stat in prima parte capitis quae dicitur phantasia, secunda stat in posteriori, tertia stat  in summitate capitis quae aliis velut regina dominatur. Et bonum est habere bonam capacitatem, sed melius est habere bonam memoriam, sed multo melius  habere bonam discre- tionem. Modo restat videre de singulis, et primo viden- dum est de capacitate, secundo de memoria, tertio de discretione. Si igitur aliquis capacitatem lectionis cuiuscunque facultatis audiendae ambit, regulas quas infra dicam debet diligenter  observare, quas si observaverit quod sibi eveniet experientia demonstrabit in brevi tem- pore. Primo enim, antequam ad scholam accedat, lectionem statim tam de grammatica quam de logica tam de iure civili quam de iure canonico et ita de omni- bus aliis scientiis audiendam, si potest de iure canonico aut civili textum et glossas alias solum textum, et videbit si credit  intelligere; adhuc non confidens de proprio intellectu dabit tibi materiam speculandi, dum legat, utrum bene vel male intellexcrit, ct postmodum, quando legetur, erit attentus lectioni ut intelligat per alium id quod per se ignorabat. Item postquam semel in domo viderit, facilius postca intelliget, et tali modo ego scientiam mcam multiplicavi, et ita faciet artista meae artis quoniam sic acquiret / scientiam quam voluerit. Item secundo dico quod dum erit in scholiis habeat intellectum ad id quod doctor vel magister tam in sacra pagina quam in artibus dicet, quod si non, faciliter mens eius spargitur et potius videtur esse in loco ubi habet mentem quam in scholiis ubi est tam- que / frustra. Ex hoc tamen  multi perdunt offi- cium capiendi. Item quia dum fuerit casus vel scientia, legere mentaliter in se revolvat et dum questionem se- cundam vel argumentum cuiuscunque facultatis dicit doctor vel magister vel artista meae artis, primam eodem modo revolvat, et interim quando dicetur tertia reducat ad memoriam secundam et sic de caeteris, et sic habebit intentionem capiendi totam lectionem. Posito quod non, nec partem accipiat quarum paulisper argumentabitur, non autem uno momento poterit habere. Item quando per sc vel per alium quis vult habere bonam capacita- tem, debet ponere ordinem in legendis. Nam si vult intelligere unam legem vel decretalem vel gramaticae vel logicae lectionem, dividat ipsam in duas / tres quatuor partes secundum quod lectio fuerit parva vel magna quoniam ad capacitatem multum et forsan magis quam aliud operaretur. Et de primo haec sufficiant. Venio igitur ad secundam, scilicet ad memoriam quae quidem secundum antiquos alia est NATVRALIS alia est artificialis. NATVRALIS est quam quis recipit in creatione vel generatione sua secundum materiam ex qua homo generatur et secundum quod influentia alicuius planetac superioris regnat et secundum hoc videmus quosdam homines meliorem memoriam habentes quam alios sed de ista nihil ad nos quoniam Dei est illud conce- dere. Alia est memoria artificialis et ista est duplex quia quae- dam est in medicinis et emplastris  cum quibus habetur et istam reputo valde periculosam quoniam interdum dantur tales medicinae dispositioni hominis contrariae interdum superfluae et in maxima cruditate qua cercbrum ultra modum desiccatur et propter defectum cerebri homo ad dementiam demergitur ut audivimus et vidimus de multis (138) et ista displiciet Dco / quoniam hic non se tenet pro contento de gratia quam sibi Deus contulit unde, posito casu quod ad stultitiam non perveniat, nunquam / vel raro habebit fructum scientiae. Alia est memoria artificialis per alium modum acquirendi nam dum aliquis per capacitatem recipit multum in memoria ct in ore revolvat per se ipsum quoniam secundum Alanum in parabolis studens est admo- dum bovis. Bos enim cum maxima velocitate recipit herbas et since masticatione ad / stomachum remittit quas postmo- dum remugit et ad finem cum melius est digestum in sanguinem et carnem convertit, ita est de studente qui moribus oblitis capit scientiam sine deliberatione unde ad finem ut duret, debet in ore mentis masticare ut in me- ‘moria radicetur et habituetur; quoniam quod leviter capit leviter recedit et ita memoria, ut habetur in libro de memoria et reminiscentia, per saepissimam reiterationem firmiter confirmatur. Lectionem igi- tur diei lunae revolvat die martis et studeat et die martis et die mercurii et sic de cacteris et talia faciendo scientior erit uno anno audiens illo qui sex audierit annis et artistae hoc consulo meae artis caeterisque ad- discere volentibus invenire attingere et habere. Venio ad tertiam videlicet ad discretivam et dico quod discretio est duplex ut de memoria dixi: alia NATVRALIS, alia  artificialis. Naturalis est quam quis habet ex dono Dei et de ista non loquor. Alia est artificiosa et ista acquiritur aliquibus modis. Primo enim acqui- ritur si ea quae in memoria retinemus diligenter servemus, cum enim aliquid in mente memoramus sive textum sive glosam sive auctoritatem sive rationem per alium dictam et de illo vel de simili a nobis petatur, per €a quae iam sunt in nostra notitia et memoria radicata Z P. 443r. B. 39r. P., faciliter indicabimus cuicumque respondendo, verum et certum est quod melius discernit sciens quam ignarus propter scientiam quam habet iam cum memoria acquisitam. Postquam de memoria et capacitate et discretiva tam in speciali quam in generali pariter et singulari dictum est, nunc videndum est de memoriac recitatione, et ad multa recitanda consideravi ponere quaedam nomina relativa per quac ad omnia possit responderi . quoniam quodlibet corum crit omnino generale ad omnino speciale et habet scalam ascendendi et descendendi de non omnino generali ad omnino speciale et de non omnino speciali ad omnino generale. Ista cnim sunt no- mina supra dicta: quid, quare quantus et quomodo. Per quodlibet istorum poteris recitare viginti rationes in 0ppositum  factas vel quaecunque advenerint tibi recitanda et quam admirabile est quod centum possis rationes retinere et ipsas, dum locus fuerit bene recitare. Certe hoc auro comparari non debet, ergo qui scientiam habere affectat ct universalem ad omnia desiderat, hoc circa ipsum tractatum laboret cum diligentia toto possc quoniam sine dubio scientior erit aliis quia nomina sine speciebus aut sine magistro non possumus recitare ideo ipsas pono: primo cnim quid habet tres species quas hic propter carum prolixitatem ponere non curo, sed vade ad quintum subiectum per b.c.d. SIGNIFICATVM in libro septem planetarum quoniam ibi videbis miraculose ipsas aliqualiter declarare hic intendo, et sic dictum de primis tribus ita intelligi potest de aliis sequentibus. Primum igitur per primam speciem nominis quid, poteris certas quacstiones sive rationes sive alia quaccunque voluerisrecitare evacuando secundam figuram de his quae continet, per secundam vero poteris in duplo respondere seu recitare ct hoc per cvacuationem tertiae / et multiplicationem primae, et si per primam tu recitas viginti vel triginta nomina seu rationes, per secundam poteris quadraginta vel sexaginta recitare et hoc semper per evacuationem et multiplicationem. Tamen est multum difficile nisi sit homo ingeniosus et intellectu subtilis et non rudalis. Per tertiam vero centum poteris recitare evacuando primam et multiplicando secundam et de aliis poteris sicut de ista cognitionem habere. Quare firmiter et ferventer praedictas stude species in praclibato septem planetarum libro quem nunquam eris studere defessus immo eris gaudio cet laetitia plenus; in dicto libro multa sunt studenti necessaria quae si nota essent et bene intellecta non possent ullo modo extimari; ideo consulo cuicumque ut istum habeat prac manibus et P. 444r. prae oculis suae mentis. Ad laudem et honorem Domini nostri Iesu Christi et publicae utilitati compositus fuit praesens tractatus in civitate Pisana in monasterio sancti Dominici per Raymundum Lullum ut prius dominus Iesus Christus in memoria habeatur et verius recolatur. Cfr. il Doctrinale minus, alias Liber parabolarum magistri Alani (uno degli auctores octo) in Micne, P. L., 210, col. 585 (DD): Denti- bus atritas bos rursus ruminat herbas Ut toties tritae sint alimenta sibi / Sic documenta tui si vis retinere magistri Sacpe recorderis quod semel aure capis. De memoria et reminiscentia. Sulla multiplicatio et cvacuatio figurarum cfr. Ars brevis e Ars magna, Zetzner. In nomine... confirmandam Perutilis Raymundi Lulli Tractatus de Memoria B.  hominum ] om. B. ] hominis P. meliori ] et melioretur B. (4) principales ] et add. B.  diffinimus  definimus M. Cap. I (e tutte le successive intitolazioni dei Cap.) om. MP. diffiniredefinire M. et ] om. B. ipsam  ipsum P. Primo ] prima P.  significat ] om. B. tamen ] autem B. subiectum ] librum B. designatum om. B.  designata M.  in libro septem ] in libro octavo positum B.  in libro septimo P. omnium ] omnem B. ipsorum ] ipse MP. sermonem ] cc- riem M.  scientia P. intellectus  generalior sit add. MP. per unam literam plura significata habentem sit generalior  pariter in memoria pro litera significata habentem B.  ponit in memoria plura significata P. et possit in memoria plura significata recipere  om. BP. quac memoriam dividit ] quac est de memoria et dividitur B.  speciales  spetiales B. specialia  spetialem B.  ut laborans in studio laboranti in studio virtuose B. laboranti in studio studiose P. faciliter ] facile B. scientiam ] scientiae P. huius huiusmodi M. tradidisse  credidisse B. plenarie ] plenariam M. cum  etiam P. gradientes ] gradus BM. equidem  eiusdem B. ] cosdem M. propere subeant ] properari sublimiter B. absque  nullo add. B. artificioso ] artificiosi B.  sed add. MP. labores proprios inutiliter exhibentes ] labores proprios exercentes conservare MP. Igitur  Considerare igitur B. decet  docet P. laborum ] aliquando ad4. B.pos- sit ] om. MP. Oportet nos igitur conservare ] Nos igitur conside- ramus B. principia et praecepta ] praccipitata B.condescendere  condescendentia B. beatissimam virginem ] perbeatissimam gloriosam B. Maria dat scientiam ] om. MP. dat scientiam per sapientiam add. B. cum potestate ] cum pietate B. ] in po- testate P. virgo ] om. B. cum ratione ] in ratione P. nostra ] Maria B. cum patientia ] in patientia P. cum ] in P.  nostra sanctissima pia Virgo Maria ] sacratissima pia virgo B. cum ] in P. petendìi ] poenitenti BP. cum gratia ] in gratia P. cum petitione ] in petitione P. Sanctus ] om. MP. et om. B. divino ] Deo pio MP. prospere ] prospera MP. ct conceduntur ] om. MP. placa ] placare B. orationes Sancti Spiritus ] orationem spiritus B. Secundo est opti- mum ] Secundum est B. quoniam ] cum BM. horum ] corum B. inquirenti ] acquirenti B. ut moderationem ponat ori suo ] ut ponat custodiam in somno B. ] ut moderate ponat ori suo P. invenio ] om. B. nunquam ] nunque B. quin ] ut B. temporis ] spiritus B. operam ] opera M. (76) cum affectu ] in af- fectu P. quoniam ] cum M. in artificioso studendi modo ] in artificio secundo studendi P. quae dicitur phantasia ] om. B. stat ] om. B. stat ] om. B. summitate ] sanitate P.  sed me- lius est habere bonam memoriam ] sed multo melius est habere bonam discretionem P. melius ] plus B. discretionem ] discretivam B. primo videndum ] providendum M. de capacitate ] de bona capacitate M.  aliquis ] vult habere bonam 444. B. ambit ] om. B. diligenter ] diligentia B. evenit ] quod add. B. tempore ] om. B. Primo ] Secundo B. (94) tam ] quam MP. iurc ] om. B. audiendam } auditum M. } audiendum P.  civili ] simili MP.  adhuc ] ad hoc MP. de proprio intellectu ] proprii intellectus B. ] de primo intellectu P. tibi materiam speculandi et ut viam studendi MP. utrum bene ] num vel benc B. (per sc ] per ipsum B. Item ] quia add. MP.  ego ] om. B. quoniam sic ] cum B. ] quoniam P. quod ] om. B. intellectum ] inventionem M. faciliter ] facile B. ] facilius P. tamque frustra } tamquam frustra B. ] om. P. tamen ] tam P. perdunt officium capiendi } per dictum officium capientur B.  Item quia dum fuerit casus vel scientia, legere mentaliter in se revolvat et ] Item dum sciat causam vel scientiam litere mentaliter inter se revolvat ut B. ] Item quod dum fuerit casus vel sententia litterae mentaliter in se revolvat et P. dum questionem secundam vel argumentum ] dum questionem vel scientiam vel argumentum B. ] dum questionem sciendam vel argu- mentum P. dicetur tertia ] docetur tertia MP. reducat ad memoriam secundam ] ducat ad memoriam secundam B. ] ducat ad memoriam sciendorum P. nec ] nisi B. quarum ] quaerere MP. autem ] enim ad4. B. quando ] si secundo B. secundo P.legendis ] agendis MP. et est MP. quam aliud ] quam quodvis aliud M. operaretur ]} om. MP. primo ] priori M.  quae quidem ] Memoria quidem B. secundum antiquos ] in capitulo de memoria add. P. artificialis ] artificiosa M. secundum materiam ex qua ] ex materia qua B.  et ] etiam MP. secundum quod influentia alicuius planetae superioris regnat ] secundum que influentia alicuius planetae inferioris regnat B. ] secundum quod influentia actus planetarum supe- rioris regnat M. ] secundum quod influentiam accipit planetae supe- rioris regnat P. sed ] et MP. emplastris ] epistolis M. ] eplis P. cum ] in P. dantur ] dammantur B. dispositioni hominis contrariae )] dispositio hominis quae contrariae MP. cruditate ] quantitate B. ] caliditate P. qua cerebrum ] quod certe bene B. ] quod cerebrum P. de multis ] multos B.  tenet pro contento ] contentat B. stultitiam ] insaniam B. perveniat ] deveniat MP. habebit ] consequetur B. fructum ] fructus B.  scientiae ] suac add. B. Alia est me- moria artificialis... revolvat per se ipsum ] om. B. Alanum ] Alo- nium M. ] Aristotelem P. finem ] seriem B. (148) moribus ] munibus B. ] modis M. quod ] om. B. capit ] ct add. B. et ita memoria ] 0m. B. ut habetur in libro de memoria et reminiscentia ] om. B. firmiter confirmatur ] firmiter conti- netur B. ] firmiter confirmiter confirmetur P. studeat et die martis et ] om. B. talia ] taliter B. faciendo scientior ] faciendo quis scienter B. illo qui sex audierit ] illud quod sex annis audiverit B. attingere ] ctiam add. M. ad ] om. BM. alia ] est. MP. alia ] est add. MP. est ] om. MP. habet ex dono Dei ] debet dono Dei B. (164) et de ista ] de qua B. aliquibus ] duobus B. diligenter ] dili- gentia B. cum ] quando P. sive textum sive glosam sive auctoritatem sive rattonem per alium dictam ] sine textu sine glossa sine auctoritate sine ratione per aliud dictum MP. radicata ] radicantur B. cuicumque respondendo verum ] cuiuscunque unde B. discernit discerit BB. propter scientiam quam habet ] nam rationem quam habet B. acquisitam ] acquisita M. Postquam ] visum est ad4. B. et ] om. MP. discretiva ] dis- cretione P. dictum est ] om. B. recitanda } recitandum B. eorum ] illorum B. et habet scalam.... ad omnino speciale ] om. B. non Jom. B. quantus ] quotus, totus B. quatenus M. oppositum ]oppositionem P. quam admirabile ] quoniam mirabile M. ] quam mirabile P.  quod ] quia M. possis ] possit P. fuerit ] adfuit B. bene ] om. MP. debet ] potest MP.  universalem ad omnia ] utilis omnia B. universalis ad omnia M. hoc ] homo esse B. ipsum ] istum B. cum diligentia ] cadem diligentia B. ] in diligentia P. Quia ] quoniam M. aut ] aliquid B. ideo ] labore adeo B.  Primo enim quid primo quo B. earum ] illarum B. ponere om. B. subiectum ] librum B. (201) significatum ) desi- gnatum vel significatum B. septem ] septimo P. quoniam ] cum B. miraculose ] iam add. B. aliqualiter ] aliquan- tum B. declarare ] volo add. M. hic intendo... potest de aliis ] om. MP. sequentibus ] in sequentibus MP. quid ] quod B. recitare evacuare secundum de his quae continet per scientiam positis add. B. secundam ] secundam corretto in primam da mano più tarda B. secundam figuram de his quae con- tinet, per secundam vero poteris ] 0m. B. duplo ] duo P. (214) seu recitare et ] on. B. si ] sic P. recitas ] duo vel tria nomina seu rationes add. M. duo e tria sono correzioni più tarde di secunda e tertia. viginti vel triginta nomina seu rationes } om. M. vel sexaginta ] om. B.  intellectu ] multum B. rudalis ] naturalis B. ] non ruralis M. recitare ] om. MP. et ferventer ] om. B. stude } audire B. quem nunquam eris studere defessus ] quem nunquam eris audire fessus B ] quoniam eris studendo defessus M. ] quoniam nunquam eris studere defessus P. multa ] nulla B.  studenti ] alia evidenter B. ullo modo ] modo aliquo B. ] modo P. cuicunque ut ] quoscunque quod B.  oculis suae mentis ] oculis et suae mentis ferveat B. Lullum ] Lulli MP. UN TRATTATO IN VOLGARE. Il trattatello in volgare sulla memoria artificiale composto da autore ignoto e qui di seguito riprodotto, è contenuto nei Codd. Palatino e Conv. Soppr. I 1.47 (carte non numerate) della Nazionale di Firenze. Contrariamente a quanto afferma Yates (T%e ciceronian art of memory) questo scritto non può essere attribuito con sicurezza a Bartolomeo da San CONCORDIO (si veda). Questa attribuzione oltre che al Manni, risale a TIRABOSCHI, ma come già ha osservato Tocco (Le opere latine di BRUNO), nel corso del testo si fa riferimento al Rosarum odor vitae (contenuto negli stessi codici sopra indicati) e probabilmente composto da CORSINI (si veda), priore della Repubblica fiorentina (cfr. l’edizione del Rosa:o della vita a cura di Polidori, Firenze, Soc. Tipograf. Ital., 1845). Anche se l’anno di composizione del Rosaio può presentare qualche incertezza resta il fatto che l’opera fu composta da un contemporaneo del Petrarca (Ediz. Polidori). A quanto osservato da Tocco si può qui aggiungere che nel suo riferimento al Rosato l’autore del trattato sulla memoria parla di 84 capitoli mentre, sia nel Palat. che nel Cod. I, 1, 47. L'attribuzione a San CONCORDIO appare dovuta al fatto che in entrambi i codici gli Ammaestramenti degli antichi di Bartolomeo sono preceduti da una traduzione del capitolo sulla memoria della RAetorica ad Herennium e seguiti dal trattato sulla memoria artificiale. Nel Palat.1 testi sono così disposti: Testus memorie artificiose vulgariter scilicet super quandam partem rectorice.: Bartolomeo da S. Concordio gli ammaestramenti degl’antichi; Ars memoriae artificialis. Il volgarizzamento del testo della retorica ad Erennio forma la seconda parte o il sesto trattato del Fior di Rettorica di GIAMBONI (si veda) (Magliab. Palch., Riccardiano. Cfr. Tocco. ll bro di leggere cui si fa riferimento nelle prime righe del trattato può essere, come vuole Tocco, il  trattato della pronunzia che è il terzo del Fior di Rettorica nella redazione di Guidotto da BOLOGNA (si veda) e in quella di GIAMBONI. Il trattato sulla memoria artificiale fa dunque parte, con ogni probabilità, di una qualche redazione del Fior di Rettorica. La trascrizione è condotta sul Palat. 54, ma si è fatto spesso ricorso anche all’altro codice indicato. Si sono apportate modifiche, oltre che alla punteggiatura, a talune grafie (per es. nolla = non l’ha; lo = l’ho; vene = ve ne; a = ha ecc. Poi che aviamo fornito il libro di leggere, resta di poter tenere a mente, e però qui di sotto si scrive l’arte della memoria artificiale in si facta forma che non offende la naturale che ha sifatto ordine il libro da sé che con questa memoria si può d’esso grande parte imparare a mente se solamente il libro si legge cinque volte ct fra l'una volta et l’altra sia spazio di mezzo di quello che vuoi tenere a mente, et observando le regole di questa me- moria non si potrà errare solo in una lettera di tutto questo libro che tutto non si imparasse a mente. La memoria artificiale sta solamente in due cose, cioè ne luoghi e nelle imagini. Luogo non è altro a dire se non come una cosa disposta a potere con- tenere in sé alcuna altra cosa, sicome una casa, una sala, una camera o simili cose a questa come ab octo dieci anni a te dicte. Le imagini sono il proprio representamento di quelle cose che noi vogliamo tenere a mente. Due sono le maniere de luoghi, cioè NATURALE e artificiale. NATURALE luogo è quello che è facto per mano di natura come c il monte e il piano e gli albori che per sé sono. Artificiale luogo è quello che è facto per mano d’huomo sì come è una camera o un cammino, uno versatoio, uno studio, una finestra, una casa, uno cofano et simili luoghi a questi. Non intendere però tutte le masseritie minute de la camera però che non ti riverebbe la ragione, ma vogliono essere masseritie grandi come sono cassoni, soppedani, fortieri, et se pure alcuna masseritia ci vogliamo mettere, conviene che sia molto riconosciuta et stia in luogo continuamente palese, come è una barbuta, uno cappello lavorato, uno elmo da campo v vero cimiero e cose simili a queste. Intorno a luoghi convengono / più cose avere. In prima avere dentro molti luoghi, cioè quanti sono i nomi che vogliamo tenere amente però che ogni luogo ha la sua imagine a pigliare ciascuna imagine e rapresentamento da una cosa sola per sé, ct però se aremo a tenere a mente XX nomi si pogniano XX imagini per luogo. Et come dico di XX, così si potrebbe fare di cento, CC, CCC, CCCC, pure che luoghi assai aviamo. Non obstante che io dica qui di CC e LII, posto che di questi CCLII viene facta non poca fatica che sono nel librecto dinanzi decto del rosaio odore della vita capitoli LXXXIIH et ad ogni capitolo si possono leggiermente accattare tre nomi sì che tre via LXXXIII, CCLII. Ma di più nomi dire qui di sotto più pienamente. Apresso questo, ci conviene avere e’ luoghi ordinati, cioè che per ordine l'uno vada dietro a l’altro. Et se quella persona che vuole usare quella memoria in man- cino, cominci e’ conti de luoghi a mano mancha et se queste sopra da la drecta mano, se a diricta vada sopra la mano diricta, in questo modo: che se in una sala aremo da poter pigliare cin- que luoghi, el primo sia uno camino, el secondo un uscio o un armaro da vasi, el quarto una colonna overo uno pilastro, el quinto uno versatoio. Incominciamo dal primo come è il ca- mino, poi il secondo come è un uscio et così per ordine l'uno dopo l’altro et non si dee mai passare niuno luogo se non che si debbono sapergli bene a mente come sono ordinati da sé. A presso si conviene che i luoghi sicno numerati cioè che ogni nego quinto si segni; cioè a questo modo: che al primo quinto i ponga una mano d'oro che per le cinque dita ripresentino ji luogo essere quinto; poi il secondo quinto, cioè il decimo luogo, ripresenta in questo modo o trovata per sapere subito a quanti nomi sta Piero. Subito puoi avisare se alle due mani sarà il decimo se a due nomi dopo le due mani sarà il duodecimo / 142r. ct così seguitando si può sapere di molti. Ma questa regola di queste mani abbi posta qui perché la insegnia Tulio CICERONE et non vorrei che altri credessi che io non la sapessi, però l’ho posta qui, ma a me pare uno poco faticosa per tale quale persona. Imperò potiamo lasciare andare testé questo affanno delle mani del oro, et fare in questa forma: cioè che i luoghi sempre cag- gino o in cinque o in dicci; în questa forma che se in una sala sono sci o septe luoghi non tenere a mente se non cinque, et se fussino quattro forzati tanto che sieno cinque che leggier- mente viene facto poi che si mette in pratica. Et così similmente vuole andare de decti che se aremo una sala o una camera dove sieno nove luoghi, forzati tanto che ve ne aggiungi un altro si che sieno dieci. Se ce ne fussino da dieci in su in sulla sala, non ne tenere a mente se non dieci. Adunque se arai in una tua casa una sala et in questa fussino cinque luoghi, una camera et in questa camera fussino dieci luoghi, uno verone et in questo fussino pure dieci luoghi, un’altra camera et in questa fussino cinque luoghi, uno terrazzo et in questo fussino dieci luoghi, una grotta et in questa fussino dieci luoghi, raccogli tutti questi luoghi et vedi quanti sono, et, quanti sono i luoghi, tanti sono i nomi che puoi tenere a mente. Sì che se i dicti luoghi sono L, et L nomi potrai tenere a mente sanza faticha di memoria, et così similmente chi la volessi fare più in grosso, potrebbe avisare dieci case delle dita sue dove trovasse L luoghi ciascuna casa et così la farà di cinquecento et di mille et di diecimila sanza fallo, però che troviamo che Seneca fu giovane esso la fe' di dumilia, ritornando allo inanzi et allo indietro, come fanno i fanciulli ad a.b.c. quando la dicono alla dietro. Ancora vogliono essere dicci luoghi noti cioè che bene gli conosciamo etc. Apresso non vogliono essere troppo grandi né troppo piccoli, ma di mezzana fog/gia come si richiede alle imagini che qui si pongono. Ancora vogliono essere i luoghi temperati dove non usi troppa gente però che la troppa gente guasta il luogo et la nostra memoria. Ancora vogliono essere né troppo chiare né troppo ob- scure però che la troppa chiarezza et la troppa obscurità fa noia agli occhi della mente sì che vedere non possiamo i luoghi. An- cora conviene che i luoghi non si rassomiglino troppo l'uno a l’altro, ma quanto più sono variati meglio è. Ancora non vogliono essere troppo apresso l'uno a l'altro né troppo di lungi, ma intorno di cinque o di dicci piedi l'una da l’altra. Et questo è tutto quello che bisognia a’ luoghi. La imagine non è altro se non, come di sopra è detto, come il proprio representamento di quelle cose le quali vogliamo tenere ad mente. Questa imagine ha due proprietà: cioè che ella ha a ricordare il nome et il sentire. Ricordare il nome è ricordare a mente MARTINO (si veda) per ordine ciascuno per sé, ricordare sententie è in questo modo che se io mi voglio ricordare come Troia fu presa  Greci con ferro con fuoco con ruina per cagione di Elena, io pongo in uno luogo la imagine di Troia come ardeva e come in lei sieno entrati cavalieri armati. Ancora se io mi volessi ri- cordare della hedificatione di Cartagine la quale hedificò una donna chiamata Dido, porrò una imagine d’una con molti gua- tatori di intorno, et così va di simile a simile di molte et infinite sententic. Hora d'intorno alle imagini sì come di nomi et di sententie vediamo quante cose sono di necessità. Mostra che sieno sei per ordine. In prima si richiede che le imagini sieno pro- prie, cioè che se io mi voglio ricordare di Piero solamente ponga in uno luogo la sua propria imagine, et se io voglio tenere a mente MARTINO, quello medesimo. Ancora conviene che la imagine non sia / equivoca cioè che rapresenti più cose di quelle che vogliamo tenere a mente. Ancora conviene che le imagini non sieno troppe, cioè più che non sicno di bisogno non si pon- gano nel luogo, che se io voglio tenere a mente Piero, solamente porre una imagine che rapresenti Piero, la quale cosa è contro alla doctrina di Tulio CICERONE. Ancora conviene che la imagine non sia varia, cioè che abbia alcuna varietà in sé e questa è delle più utili cose che si possa avere. Questa memoria però sempre ci doviamo studiare di porre imagini di nuove foggie. Ancora conviene che la imagine sia segnata da alcuno segno il quale si convenga a la cosa per la quale è facta, cioè che la imagine del re pare che gli si convenga il segno de la corona, et a’ cavalieri il segno dello scudo, al doctore il segno del vaso et ad cui uno segno ad cui uno altro come la fantasia della memoria comunemente si vuole dotare. Ancora conviene che a la imagine si faccia alcuna cosa cioè la proprino quanto agli acti quelle cose che a loro si convengono, sì come si conviene ad uno lione dare la imagine apta et ardita et alla golpe l’acto sagace et abstuto, al sonatore l'apto di sonare stromento. Adunque veggiamo sempre che ne’ luoghi si convengono porre le imagini sì come nelle carte si convengono porre le lectere. Qui finisce delle sententie et de’ nomi abbreviato. Ancora doviamo tenere questo modo il quale è molto utile: che poi che abbiamo imparato C 0 CC nomi et recitargli, non per tanto dobbiamo conservargli, più inanzi ci doviamo studiare più che possiamo che ci escano di mente e così facendo escono di mente e i luoghi rimangono voti per gli altri che volessino imparare. Finis. Deo gratias. Amen. MSS. DI ARS MEMORATIVA Il Cod. lat. ambrosiano sup. (di carte) contiene i seguenti scritti : Tractatus brevis ac solemnis ad sciendam et ad consequendam artem memoriae artificialis ad M. Marchionem Mantuae. Inc.: Iussu tuo princeps illustrissime. [È il trattato di RAGONE (si veda) da Vicenza del quale abbiamo citato vari passi nel testo, conservato in due esem» plari di diversa mano anche nel Cod. marciano cl. VI, 274 ai ff. 15-34 e 53-66 e in un terzo esemplare nel marciano 159 della stessa classe. Il nome dell’autore (artificialis memoriae regulae per Jacobum Ragonam Vicentinum) e la data di com- posizione (Kal. Nov.) risultano dal marciano. Tractatus solemnis artis memorativae. Inc.: Artificiosie memoriae egregia quaedam. [Di questo scritto si dà qui di seguito la trascrizione. Si è omesso l’elenco in vol- gare dei « luoghi » che occupa i ff. Exp.: Trespo da tavola. Zovane fameglio. Tractatus artis memorativae eximii doctoris artium et medicinae magistri Girardi. Inc.: Ars commoda na- turae confirmat et auget. Nella trascrizione che segue si è fatto ricorso anche al cod.  dell’Angelica che reca lo stesso trattato con il titolo, di mano più recente, Hic traditur preclarus modus conficiende memoriae. Inc.: Ars commoda natura e confirmat et augct. Excerpta ex libris CICERONE de memoria. Inc.: M. T. CICERONE de oratore haec de memoria scripta sunt. Gli excerpta sono tratti dalla Rhetorica ad Herennium. La data di composizione della miscellanea si legge in fine al codice al f. 45: Anno scriptus pro Raphael de Fuzsy. Tractatus solermnis artis memorativae incipit. Artificiosac me- moriae egregia quaedam atque preclarissima praecepta in lucem allaturi, non invanum esse duximus quod ipsa sit primum effin- gere cum, iuxta CICERONE sententia in primo De officiis, omnis de quacumque re sumitur disputatio a diffinitione proficisci debeat ut sciri possit quid sit id de quo disputatur. Est igitur artificialis memoria dispositio quaedam imaginaria vel localis vel idealis mente rerum sensibilium super quas natu- ralis memoria reflexa per ea summovetur atque adiuvatur ut prius memoratorum facilius, distinctius atque divitius denuo va- leat reminisci. Vel sit artificialis memoria est decentium imagi- num quaedam industriosa collocatio qua corum quae in his debite applicantur ad tempus memorari valeamus. Tertio vero ex menti CICERONE, Rhetoricorum tertio, sic eius diffinitionem im- plecti possumus: memoria artificialis est artificium quoddam quo naturalis memoria praeceptoris voce confrmatur. Differt autem memoria naturalis ab artificiosa. Harum naturalis est una quae nostris animis insita est et simul cum ipsa creatione nata. Artificiosa vero est quaedam inductio et praeceptionis ratione confirmatur. Haec autem ars duobus perficitur: locis videlicet et imaginibus, ut CICERONE sentit in tertio rhetoricorum a quo non dissentit beatus Thomas illud addiciens oportere ut ea quae vult quis memoriter tenere ordinata consideratione disponat, ut ex uno memoratu ad aliud facile procedatur. CICERONE vero sic inquit: oportet igitur, si multa reminisci volumus, multos locos domus comparare, ut in multis locis multas imagines comprchendere atque amplecti valeamus. Aristoteles vero in eo que de memoria scripsit a locis inquit reminiscimur. Necessarii itaque sunt loci ut res seriatim pronuntiare et memoriter tenere valeamus. Dif- ferunt autem loci ab imaginibus quia loci sunt imagines ipsae su- per quibus tamque super carta imagines delebiles, quasi literae, collocantur. Habeant igitur sc loci sicut materia, imagines vero ut forma. Differunt quasi ut fixum et non fixum. Et quoniam haec ars, ut dictum est, duobus absolvitur, locis videlicet et imagini- bus, primum locorum precepta attingenda videntur. Nam cum ars imitetur naturam in quantum potest, volenti autem scribere  primum carta et cera preparanda est, quibus loci simillimi sunt. Imagines autem literis, dispositio autem et collocatio imaginum scripturac, pronuntiatio autem lectioni comparantur. Illud merito fit ut ex his locis primum diffiniamus. Locus enim, ut quibusdam placet, est spatium quidam domus proportionatum et condi- tionatum quo conditionari debet; vel melius, secundum CICERONE, locos appellamus eos qui breviter perfecte et insigniter manu aut natura absoluti sunt ut eos facile naturali memoria comprendere atque amplecti valeamus. Haec autem ars centum locis perficitur. quos hoc pacto nobis constituere poterimus si decem domos nobis comparare poterimus in quarum singulis decem loci affigantur in diversis ipsarum domorum parietibus, vel paranda nobis erit una domus quae computatis cameris co- quina et scalis constituatur centenus numerus apponendo cuilibet camerae vel scalae quinque locos. Locorum proprietas multiplex est: primo locorum multitudo, locorum ordinatio, locorum solitudo, locorum meditatio, locorum signatio, locorum dissimilitudo, locorum mediocris magnitudo, mediocris lux et distantia. Sequitur de imaginibus. Ima- gines sunt rerum aut verborum similitudines in mente conceptae. Duplices autem similitudines esse debent, ut ait CICERONE, una rerum, alia verborum. Rerum autem similitudines constituuntur cum summatim ipsorum negotiorum imagines comparamus, verborum autem similitudines exprimuntur cum uniuscuiusque vocabuli memoria a nobis imagine notatur. Verborum quidem similitudines aliae sunt notae, aliac ignotae, notabilius aliae animatac, aliae inanimatae. Animatarum quaedam propriae quaedam communes. Propriarum quaedam duplices, quacdam simplices. Communium vero tam animatarum quam inanimatarum quacdam simplices, quaedam ex duabus pluribusne partibus constituuntur, de quibus omnibus dicetur inferius. Et primo videndum est de nominibus propriis simplicibus et duplicibus. Et premicto pro generali regula imaginum collocandarum quod in locis semper collocandae sunt imagines cum motu et acto ridiculoso crudeli admirativo aut turpi vel impossibili sive alio insueto. Talia enim crudelia vel ridiculosa aut insueta sensum immutare solent et melius excitare eo quod animus circa prava multum advertat. Secundo vero noto collocandam circa imaginem ut aliquid agat vel operet circa se vel circa ipsum locum. Si igitur daretur tibi ad memorandum nomen proprium, puta Petrus vel Martinus, debes accipere aliquem Petrum tibi notum ratione amicitiae vel inimicitiae, virtutis vel vituperii vel precellentis pulcritudinis aut nimiae deformitatis, non ociosum sed se exercitantem motu aliquo ridiculoso. Si nomen non adsit tibi notus capias aliquem factum et si non fuerit, recurrendum erit ad regulam dictionum ignotarum. Duplicia vero sunt cum duo ex istis simplicibus sumptis in recto casu quae veniunt ad significationem unius simplicis ut Jacobus Philippus, Johannes Maria. Preniomina vero sunt cum unum preest alteri in unico nomine quae prelatio semper est in obliquo cum dependentia, ut Johannes Andrec, Matheus Tomasii. Cognomina autem et agnomina sunt quae parentelae vel ab cunctu faciunt ad singularem notitiam vel alicuius indi- vidui: ut Franciscus BARBARO et SCIPIONE Affricanus. Duplicia sic collocanda sunt ut cadem facias etiam ipsam imaginem ordinate operari. Item de prenominibus ita tamen quod actus attributus recto habeat se in minus et actus attributus obliquo in maius. Agnomina autem et cognomina secundum primam sui partem ut traditum est de nominibus propriis. Secundum vero secundam sui partem prout tradetur de nominibus ignotis. Pro clariori doctrina notandum est imagines, cx quibus simi- litudines capiuntur, formari posse dupliciter: aut ex parte rci, aut ex parte vocis. Si ex parte rei et tunc dupliciter: aut respectu rei propriac in se, aut ex parte methafisicac. Ex parte rei propriac in se similitudo capitur ut rem ipsam formando in propria forma et naturali, ct hoc modo in rebus naturalibus maxime convenit. Secundo modo similitudo capitur ex parte rei methafisicac et secundum eius officium quod operatur aut secundum instru- mentum cum quo operatur, et isto modo praccipue operamus in rebus invisibilibus. Si igitur rerum invisibilium vis tibi imagines servare, si sint res pertinentes ad virtutes vel vitia duplices possumus similitudines capere scilicet aut capiendo rem in qua est per excellentiam ut pro superbia Luciferum, pro sapientia Salomonem; secundo modo methafisice. Divina autem ut dictum et angelos a pictoribus didicimus collocare. Item de sanctis, ut virtus iustitia angelus anima deus, scilicet Petrus et cetera.Nominum accidentalium similitudines ita capiuntur indifferenter videlicet ponendo picturam aut similitudinem aut realem rem cuius coloris qua nota collocanda demonstratur. Nota vero dignitatum officiorum et artium mechanicarum sic collocatur, capiendo similitudinem secundum signa et principalia eorum si- gnificata demonstrativa et declarativa ipsorum, ut si volumus collocare papam Martinum tibi notum secundum regulam de propriis habentem unam mitriam trium coronarum et sic de singulis secundum signa convenientia suis dignitatibus officiis et artibus. Si vis memorari inanimatas duobus modis id efficere poteris. Primo modo ipsius rei inanimatae similitudinem capiendo ut aliquid operetur, imaginandus est homo sub concepto naturali non sub spetiali, nota et talis operatio fiat contra locum vel contra se. Secundo modo cligendo ordinem alphabeti et ad unum / quemque locum ponendo unum hominem tibi notum suprastanterm tamque custodem et operarium loci qui operetur quando necesse est cum re inanimata ut dictum est in praccedentibus capitulis. Finalis regula de collocatione prosarum versuum am- basiatarum et ceterorum huiusmodi. Ad apte figendas certa mente epistulas orationes sermones versus et cetera collocandi ratione potissimum opus esse percipi- tur, ut videlicet primum res ipsa universa rectissime teneatur ea quae naturali commendata memoriae congrue despiciatur. In primis enim rei totius summa simplici imagine vel nota aut ex pluribus aggregata contineatur quae quidem deinceps partes in suas idonee recitetur. Deinde illae partes in alias subdividere licebit. Finalis tamen divisio loco uno vel multiplicato capiatur. Principales autem divisiones ipsis quinariis applicentur, earum vero partes reliquas in aliorum imaginibus accomodentur. Versus spetialiter vocari possunt si praeter eorum summam figurationem principio annotentur aut spetiali imagine aut sillabis vel litteris. Historiac vero per actus annotari possunt ctiam parte tibi nota. Rubricae collocari solent aut corum summas perstringendo imagine accomodata aut per verborum similitudines. Ambasiatas vero si commode volueris recordari ipsas, pro quo ambasiata collocanda est, imagines capies sive ipsumet in quo pacta sive promissa repones et ex adversis autem illum cui facienda est ambasiata in illo petita repones, et si sumuntur plu- res res sive capitula seriatim conclusive per loca dispones. Argumenta possumus congrue argumentibus applicare quibus absentibus locorum custodibus affigantur. Si enim sologismus fuerit, maiorem dexterae, minorem sinistrae accomodemus, aut potuerimus pro maiori tenere imaginem notatam vel medii aut conclusionis. Si vero fuerit entimema satis erit primam proposi- tionem notare; in iure aut rubricam cum lege aut scilicet cum cius mente notare ut fucrit. TeAog. Il. Tractatus artis memorative eximii doctoris artium et medi- cinae magistri GIRARDO. Ars commoda naturae confirmat ct auget, ut inquit egregius Tullius CICERONE in tertio rhetoricae, cuius experientiam habemus in duplici arte scilicet domificatoria qua artifex finalis per hanc intendit defectui naturae providere; in arte etiam medicatoria minister salutis conatur proposse superflua naturae expellere ac defectus eiusdem restaurare. Que quidem ars minime foret in- venta si natura auxilio non cgerct. Verum quia anima nostra in principio sue creationis nascitur defectuosa in tribus suis po- tentiis clarioribus: scilicet memoria, intellectu et voluntate. Non tamen dico defectuosa sit quod anima nostra in principio creationis suac non habeat omnes potentias sibi concreatas, sed dico defectuosa sit quod in principio nostrae nativitatis anima nostra nequaquam potest per has potentias suos actus exercere. Non igitur parum utilis est artificialis memoria, quae commoda naturae amplificat ratione doctrinae. Huius quippe artis multi fuerunt inventores inter quos quidam nimis occulte, alii nimis confuse cam tradiderunt. Sed ego zelo sapientiac dilatandae / hanc artem compendiosis et utilibus verbis declarare intendo, hoc opusculum dividendo per novem capitula. In capitulo primo ostendetur breviter et succinete quac sint instrumenta quibus utendum est in hac arte. In secundo tradetur ars memorandi terminos substantiales.In tertio dabitur ars memorandi terminos accidentales. In quarto dabitur ars memorandi auctoritates ct quascumque orationes simplices. In quinto tradetur ars memorandi epistolas collectiones et quascumque historias prolixas. In sexto tradetur ars memorandi argumenta ct quascumque orationes sillogisticas. In septimo tradetur ars memorandi versus. In octavo tradetur et dabitur ars memorandi dictiones igno- tas, puta graecas, hebraicas, sincathagoremata et capita legum. In nono et ultimo dabuntur sccreta huius artis. Unde versus: Sedibus humanis trita stans filia celsi Inexculta cibo mens grave tenet in albo Sed si concipiat post sernen arca volutum In varias formas parit similia monstro Qui igitur volet perfectam gignere prolem Promptam facetam recte natam in ordine membri De multis tractum subiectum forbeat haustum. Pro expeditione primi capituli prenotan- dum est quod finalis intentio nostra in hac arte est componere librum mentalem qui quid se habeat ad instar libri artificialis. Nam quemadmodum in libro artificiali duo sufficiunt instru- menta duntaxat scilicet carta et scriptura, ita ct non aliter in hoc libro mentali quem intendimus per hanc artem conficere duo sufficiunt instrumenta: scilicet loca ct rerum similitudines. Unde egregius Tullius in sua rhetorica loca inquit carte simil- lima, sicut imagines literis. Dispositio vero imaginum in locis lectioni comparatur. Sed quia vari sunt modi accipiendi loca in hac arte, sufficiet ad presens tres modos notare. Primus modus est secundum Tullium, et hic est satis grossus, accipiendo videli- cet domum realem vel imaginariam in qua diversa signa noten- tur inter angulos illius contenta. Secundus modus est servando ordinem scalarum. Tertius est servando ordinem mense vel alium quemvis artificialem huic consimilem. Verum est tamen quod de novo praticantibus in hac arte bonum est in primis modum Tullii imitari ut a facilioribus ad difficiliora facilior sit transitus. Unde versus: Tipicha fortificat poliniam vallis locorum. Hec per ambages deserti querere noli Que rapuit pacifex iam lux perdit vel atro Invisaque spernit fugit gravissima quecque Huius vero plus placuit medios habuisse penatos Incultos natos diversos noto placentes In quorum costis fingantur ordine quino Que fixa maneant signa distantia tractu.? ® Grosse INTERLINEARI: Sedibus humanis: in corpore humano; trita: afflicta; filta celsi: scilicet dci; inexculta: scilicet impleta; grave: graviter; in albo: scilicet memoria. Giosse INTERLINEARI: Tipicha: figurata; poliniam: memoriam; vallis loco- rum: scilicet ordinatio; Haec: loca; per ambages: per loca dubia; pacifer: scilicet intellectus; ian: lux perdit vel atro: per nimiam lucem vel obscuritatem. Secundum capitulum. Si vis memorari terminos substantiales scire debes quod tales sunt duplices. Quidam sunt proprii et qui- dam communes. Si igitur vis memorari terminos communes suf- ficit pro quolibet tali accipere similitudinem agentem aliquid mirabile vel patientem ct illam memento in suo loco collocare, praesuppositis his quae dicta sunt de locis in precedenti capi- tulo. In propriis autem nominibus non sic fit quoniam multorum hominum una est similitudo communis, accipere igitur pro quolibet nomine proprio aliquem tibi notum ratione laudis, vituperii vel conversationis et illum memento in suo loco collocare. Et notatur  dictum cst supra quod similitudo rei memo- randae debet agere vel pati aliquid mirabile quoniam quanto actio vel passio fuerit mirabiltor aut magis ridiculosa tanto diu- turnior crit memoria. Unde versus: Usia post rerum recte ponatur in istis / Cum voles hanc disce viam quac plana patebit Subiectis propriis proprias est darc figuras Communes aliis: cythara noscetur Apollo.? Tertium capitulum. Si vis memorari terminos accidentales, quia accidens non habet esse per sc sed totum esse eius dependet a substantia, pro quolibet tali accidente debes accipere substan- tivum in quo est per excellentiam: ut pro rubeo rosam, pro albo lilium, pro fortitudinem Sansonem, pro sapientia Salomonem. Et nota hic tres regulas solemnes. Prima est quod omne nomen significans substantiam in qua est aliquid accidens per excellen- tiam significat duo: scilicet substantiam primo et accidens poste- rius et secundario; et sic monialis significat feminam et castita- «tem, lupus animal et voracitatem, philomena avem et cantorem. Secunda regula est quod a tali nomine significanti duo descendit nomen adiectivum vel verbum, ut de rosa descendit roscus rosea roseum et roseare quod est rubcum facere. Tertia regula est quod ad commemorandum artificiose derivativa sive fucrint nomina sive verba aut participia / vel adverbia sufficit habere memoriam primitivi, et ratio est quoniam omnem derivativum virtualiter includitur in primitivo et capit  naturam ciusdem. Unde versus: Quod pendet fixum de se vult capere plenum Si varias uno profers multis ne licebit In derivativis quae sit origo notabis.4 Invisa: loca; gravissima: dissimillima; quecque: loca; medios habuisse penatos : scilicet manifestas domos; Incultos: non habitatas; diversos: scilicet colore vel figura; noto placentes: scilicet voluntati; In quorum: penatum; costis: parie- tibus; fixa: firma. ì GLossi INTERLINEARI: Usig: scilicet forma; recte: sub ordine; in istis: sci- licet costis; Subiectis: nominibus; communes: similitudines. Gtosse INTERLINEARI: OQtiod pendet: illud quod est auribus pendens; fixum: subiectum; de se vult capere plenum: scilicet in quo est per excellentiam. Quartum capitulum. Si vis memorari auctoritates ct quascum- que orationes simplices accipe pro qualibet obiectum principale eiusdem et illius memento in suo loco collocare praesuppositis his quae dicta sunt supra. Ratio autem huius est quoniam signum et signatum sunt corrclativa. Unde versus: Complexum si vis obicctum indicat illud. Quintum capitulum. Si vis memorari epistulas et quascum- que historias prolixas divide per suas partes principales ct rursus quamlibet per suas partes donec perveneris ad clausulam; quo facto age ut dictum est in capitulo praecedenti de orationibus simplicibus. Et ratio huius est quoniam divisio valet ad tria. Primum animum legentis excitat, secundo intelligentiam confir- mat, tertio memoriam artificiose corroborat. Unde versus: Ut plerique volunt tribus divisio valet Animum legentis excitat mentem quoque probat Intelligentis memoriam roborat atque. Sextum capitulum. Si vis memorari argumenta et quascum- que orationes sillogisticas sufficit pro quolibet argumento habere memoriam medii et ratio est quoniam, ut dicit Aristoteles in primo priorum, medium est in virtute totus sillogismus. Sed quia difficile est medium invenire secundum doctrinam quam tradit Aristoteles in fine primi priorum, sciendum est quod medium in proposito nihil aliud est quam causa conclusionis, idest illud inferens in quo virtualiter consistit argumentum. Unde versus: Qui nescit causas nihil scit, quia nulla Res est nota satis, cuius origo latet. Septimum capitulum. Si vis memorari versus hoc potest fieri altero duorum modorum: primo accipiendo a quolibet versu sententiam meliori via in qua fieri potest et cum versus bis vel ter replicando; secundo accipiendo duas vel tres dictiones prin- cipales cuiuslibet versus et cum illis ipsum versum bis vel ter repetendo. Sic enim ars suppedit naturae et ratio huius est quo- niam versus ex sua natura valet ad tria. Unde versus: Metra iuvant animos, comprehendunt plurima paucis Pristina commemorant quae sunt tria grata legenti. Si vis memorari dictiones ignotas hoc potest duobus modis fieri. Primo per viam similitudinis, acci- piendo videlicet pro qualibet dictione ignota dictionem nobs notam habentem aliquam similitudinem cum tali dictione ignota. Secundo fiat hoc per viam divisionis sillabarum, dividendo scilicet dictionem ignotam per suas sillabas, et pro qualibet sillaba accipiendo dictionem tibi notam incipientem ab ca. Unde versus: Ignotum memorari si vis barbarum nomen Aut summas apparens per partes divide totum. Ultimum capitulum. Pro cxpeditione completa huius artis facien- dum quod bcatus Thomas in secunda secundae, quaestione et capitulo. Ponit quatuor documenta quibus proficimur in bene memorando. Primus est ut eorum quae vult aliquis me- morari quasdam similitudines assumat convenientes nec tantum omnino consuetas, quia ca quae sunt inconsueta magis miramur et sic in eis animus magis et vehementius detinetur. Ex quo fit quod corum quae in pueritia vidimus / magis memoremur. Ideo autem magis necessaria est huiusmodi similitudinum vel imaginum adinventio, quia intentiones simplices et spirituales facilius ex animo elabuntur nisi quibusdam similitudinibus corporalibus quasi alligentur, quia humana cognitio potentior est circa sensi- bilia. Unde hacc memorativa ponitur in parte sensitiva. Secundo oportet ut homo ca quac memoriter vult tenere sua considera- tione ordinate disponat ct cx uno memorato facile ad aliud procedat. Unde dixit philosophus in libro de memoria a locis videtur reminisci aliquando, causa autem est quia velocitate ab uno ad aliud veniunt. Tertio oportet quod homo sollicitudinem apponat et affectum adhibeat ad ca quae vult memorari, quia quanto magis aliquid fuerit impressum animo co minus elabitur. Unde Tullius dixit in sua rhetorica quod sollicitudo conservat integras simulacrorum figuras. Quarto oportet quod ea frequen- ter meditermur quae volumus memorari. Undec philosophus dixit in libro de memoria quod meditationes servant / memoriam, quia, ut in codem libro dicitur, consuetudo est quasi natura. Unde quae multoties intelligimus cito reminiscimur quasi natu- rali quodam ordine ad uno ad aliud procedentes. Sed quia tota difficultas artis memorativac consistit in difficili et laboriosa io- corum acceptione et in illa laboriosa adinventione imaginum convenientium, in hac arte notanda sunt duo pro secretis huius artis. Primo est notandum pro facili et prompta locorum acceptione quod tota perfectio huius artis ex parte locorum consistit in centum locis familiaribus quae pro certa loca habere poterimus duplici via. Primo accipiendo decem domus reales a nobis opti- me frequentatas in diversibus civitatibus vel in eadem, itaque in qualibet domo notentur decem loca distincta loco situ et figura ac in convenienti ordine et aliqua distantia. Secundo possunt ha- beri centum loca familiaria accipiendo viginti imagines divisa- rum rerum quac tamen sint ordinatae secundum ordinem lite- rarum alphabeti: ut pro A accipiamus arietem, pro B bovem, pro C canem, pro D dromedarium, pro E cquum, pro F folium, pro G griffonem, pro H hircum, pro I idolum, pro K Katerinam, pro L leonem, pro M monacum, pro N nucem, pro O / ovem, pro P pastorem, pro Q quiritem, pro R regem, pro S sapientem, pro T turrim, pro V vas olci vel vini. Ita tamen qued in qualibet istarum imaginum notentur quinque determinata signa quae facient quinque loca in qualibet, ct hoc quidem facillimum est ut patebit in pratica. Secundo est notandum cx parte imaginum sive similitudinum quod permaxime perficit in memorando arti- ficiose servare imaginibus colligantiam. Talis autem colligantia dupliciter intelligitur. Primo ut quaclibet imago se exercitet ali- quo modo cum suo loco. Secundo ut una imago se exercitet cum alia: sic prima cum secunda, tertia cum quarta et sic de aliis. Et est diligenter advertendum in hac arte quod attestatur egregius Tullius in tertio Rhetoricorum videlicet quod artis huius preceptio est infirma nisi diligentia et exercitatio comprobetur. Unde versus: Doctrinae pater est usus doctrina scolaris Interscissa perit, continuata urget. DOCUMENTI SULL'ATTIVITÀ DI PIETRO DA RAVENNA Al testo della sua Phoenix seu artificiosa memoria, Ravenna premette, nella prima edizione a stampa, alcune lettere di previlegio: del Comune di Pistoia; di Bonifacio marchese del Monferrato; di Eleonora d’Aragona duchessa di Ferrara. Oltre al testo della lettera di Eleonora, si riproducono qui i versi scritti da EGIDIO VITERBO in onore del Ravenna e alcuni passi della prefazione che si riferiscono ad cpisodi della vita del Ravenna. Si è usata la copia della prima edizione a stampa contenuta, insieme ad altri tre incunaboli, nel Cod. marciano lat. della classe, ai ff. Elconora de Aragona Ducissa Ferrariac etc. quod ab omnium bonorum datore immortali deo generi humano concessum est placrique in orbe terrarum a constitutione mundi usque ad hanc aetatem excellentes viri evasere, quos inter nunc adest spectatus miles auratus et insignis utroque iure consultus dominus Petrus Tomasius Ravennas harum literarum nostrarum exhibitor, qui, practer alias corporis et animi dotes, ita omni doctrinarum genere et tenacissima memoria refulget ut nedum superiorem, sed etiam in his parem minime habere videatur. Quod quidem nuper latissime re ipsa comprobavit non solum nos, sed etiam omnis haec civitas nostra testimonium perhibere potest. Qua ex re factum est ut cum singulari admiratione precipuaque charitate complexae inter nostros praeter alios familiarem et domesticum habere constituerimus. Quamobrem serenissimos reges, illustres principes, excellentes respublicas et alios quosqunque dominos patres fratres amicos benivolosque nostros precamur et oramus ex animo ut quotienscunque ei contigerit ipsum dominum Petrum / tam  optime meritum cum suis famulis et equis usque ad numerum octo cum suis bulgiis forceriis et capsis cum pannis ct vestibus suis libris vasis argenteis et aliis cuibuscunque rebus suis ac armis per eorum urbes oppida vicos passus aquas et loca die noc- teque liberrime et expeditissime absque alicuius datii gabellae ct alius cuiuslibet oneris solutione amoris nostri et potissimum tam maximarum huius hominis virtutum causa transire permittant commendatissimumque ipsum semper habentes ci providere velint de liberrimo expeditissimoque transitu et idonca cohorte ut opus fucrit et ipse requisiverit. Quod quidem nobis iucundis- simum semper cerit atque gratissimum, paratissimis ad omnia corum qui sic in eo sc habuerint beneplacita. Mandamus autem omnibus et singulis magistratibus quoruncunque locorum nostrorum ct potissimum custodibus passuum reliquisque subditis nostris ut praedicta omnia ct singula in terris et locis nostris in- violabiliter servent servarique faciant. Sub indignationis nostrae incursu et alia quavis graviori poena pro arbitrio nostro eis imponenda; ad quorum robur et fidem has nostras patentes litte- ras ficri iussimus et registrari ct nostri maiori sigilli munimine roborari. Datas Ferrariae in nostro ducali palatio anno nativitatis dominicae Millesimo quatringentesimo nonagesimo primo, indic- tione nona, die decimo mensis Octobris. Severius. Il Paduae Domino Petro memoriae magistro. Qui modo pyramides, quid iam Babylona canamus Quid Iovis et triviae templa superba deae Non magis immensum mirabimur amphitheatrum Nam summe facerent hoc quoque semper opes Scipio non ultra iactet quod fecerat usus Agmina qui proprio nomine tota vocat Petrum fama canat quam nobilis ille Ravennae est Gloria, qui plusque docta Minerva potest Quid magni facere dei mirabile dictu Nam retinet quicquid legerit ille semel Effatur triplici quaecunque orator in hora Protinus hic iterum nil minus ore refert Sic reor hunc genuit doctarum quinta sororum Cui pia musa nihil non meminisse dedit Frater Egidio VITERBO heremita. Bononiae, Papiae, Ferrariaeque legi et qui me audierunt mul- ta memoriter scire incoeperunt, et quamvis mea artificiosa me- moria aliorum auctoritatibus sit comprobata, peccare tamen non puto si acta mea in hoc libello legentur quae ipsam mirabiliter approbabunt. Dum essem iuris auditor, nec vigesimum vidissem annum, in universitate patavina dixi mc totum codicem iuris civilis posse recitare; petii namque ut mihi leges aliquae ad arbi- trium astantium proponerentur, quibus propositis, summaria BARTOLI dicebam, aliqua verba textus recitabam, casum adducebam, tacta per doctores examinabam, lexque ista tot habet glosas dicebam et super quibus verbis erant positae recordabar, / contraria allegabam et solvebam. Visum est astantibus vidisse miraculum; Alexander Imolensis diu obstupuit, nec fabulam narro: ego palam locutus sum in universitate Paduae ex qua in ore duorum vel trium stat omne verbum; testes huius rei tres habco: magnificum dominum Pasqualicum senatorem venetum et iuris utriusque doctorem excellentissimum apud illustrissimum Mediolani ducem nunc legatum, clarissimum doctorem dominum Sigismundum de capitibus listae civem nobilem patavinum cuius predictus Franciscus fuit acutissimi ingenii iuris consultus, specta- bilem dominum Monaldinum de Monaldiniis Venetiis commorantem in quo virtus domicilium suum collocavit. Lectiones etiam Alexandri Imolensis Paduae legentis copiosissimas memoria tencbam et illas ex verbo ad verbum in scriptis redigebam, illas etiam postquam finierat, astante magna audito- rum copia, a calce incipiens recitabam ex suisque lectionibus dum in scholis audirem carmina faciebam et omnes carum partes in carminibus positas statim replicabam; et qui hoc viderunt obstu- pucre: huius rei testes habeo clarissimum equitem et doctorem dominum Sigismundum de capitibus listae et filium Alexandri Imolensis qui nunc est iuris consultus celeberrimus. Centum et quatraginta quinque auctoritates religiosissimi fratris Michaelis de Mediolano Paduae praedicantis immortalitatem animae probantes, coram eo memoriter et prompte pronunciavi, qui me amplexus est dicens: vive diu, gemma singularis, utinam te religioni dicatum viderem. Testis est tota civitas patavina, sed magnificum dominum Ioannem Franciscum Pasqualicum et do- minum Sigismundum de capitibus listae et dominum Monal- dinum de Monaldiniis testes habco. Petii ego doctor creatus in universitate patavina, ut mihi in cathedra sedenti, aliquis de universitate auditor unum ex tribus voluminibus digestorum quid eligeret praesentaret locum- que in quo legere deberem designaret. Dixi enim supra rc proposita innumerabiles leges allegabo. Testes sunt clarissimus iuris utriusque doctor dominus Orsatus Paduae iura canonica legens et doctissimus dominus Prosper Cremonensis Paduae commorans. Semel in schachis ludebam et alius taxillos iaciebat aliusque omnes iactus scribebat ct ex themate mihi proposito duas epistolas dictabam. Posquam finem ludo imposuimus omnes iactus schachorum cet taxillorum et epistolarum verba ab ultimis inci- piens repetii; hacc quatuor per me codem tempore collocata fuerunt. Testes sunt dominus Petrus de MONTAGNANO et NERVOLINO nobiles patavini cives. Dum cssem Placentiae monasterium monachorum nigrorum intravi ut illud viderem, in dormitorioque cius comitante mona- cho quodam bis deambulans monachorum nomina quae in ostiis cellarum erant collocavi; deinde congregatis eis nomine proprio quemlibet salutavi, licet quem nominabam digito demonstrare non potuissem. Mirabantur monachi quo pacto ego peregrinus nomina eorum memoriter proferrem, ipsis mirari non desinenti- bus, dixi tandem: hoc potuit mea artificiosa memoria, quorum unus dixit ergo hoc Petrus Ravennas facere potuit et non alius. In capitulo generali canonicorum regularium Paduac, prac- dicationem domini Deodati Vincentini co ordine quo ipsam pronunciaverat recitavi astante ipsius praedicationis auctore. Sc- mel me traxit ad sui contemplationem Cassandra, fidelis veneta virgo excellentissima, quae dum legeret litteras  serenissimae coniugis regis Ferdinandi ad se missas, illas collocavi et recitavi; testis est illa doctissima virgo, dominus Raimusius doctor excellens ariminensis et Angelus Salernitanus vir clarus. De mea artificiosa memoria testis est illustrissimus marchio Bonifacius et eius pulcherrima uxor quae me egregio munere donavi; testis est illustrissimus Hercules dux et illustrissima uxor Eleonora; testis est tota Ferraria duas enim pracedicationes cele- berrimi verbi dei pracconis magistri mariani heremitae recitavi, quo audito obstupuit dictus magister et dixit: illustrissima du- cissa hoc est divinum et miraculosum opus; testis est universitas patavina: omnes enim lectiones mceas iuris canonici sine libro quotidie lego ac si librum ante oculos haberem, textum et glosas memoriter pronuncio ut nec etiam minimam syllabam omittere videar. In locis autem meis quae collocaverim hic scribere statui et quae locis tradidi perpetuo teneo, in decem et novem litteris alphabeti vigintimilia allegationum iuris utriusque posui et codem ordine sacrorum librorum septem milia, mille OVIDIO carmina quae ab co sapienter dicta continent, ducentas CICERONE auctoritates, trecenta philosophorum dicta, magnam  VALERIO partem, naturas fere omnium animalium bipedum et quadrupedum quorum auctoritatum singula verba collocavi, et quando vires arti / ficiosae memoriae experiri cupio, peto ut mihi una ex litteris illis alphabeti proponantur, super qua pro- posita allegationes profero, et ut clare intelligas, exemplum ha- bes: proposita est mihi nunc littera A in magno doctorum vi- rorum conventu, et statim a iure principium faciens, mille alle- gationes et plures proferam de alimentis, de alienatione, de ab- sentia, de arbitris, de appellationibus et de similibus quac iure nostro habentur incipientibus a dicta littera A; deinde in sacra scriptura de Antichristo, de adulatione et multas allegationes sacrae scripturae ab illa littera incipientes pronunciabo, carmina Ovidii, auctoritates Ciceronis et Valerii non omittam, de asino de aquila de agno de ‘accipitre de apro de ariete auctoritates allegabo, et quaecumque dixero ab ultimis incipiens velociter repetam. MSS. DI ARS MEMORATIVA. Una posizione come quella del Rosselli, che pure si muove nell’ambito della tradizione “ciceroniana” e non ha contatti con il lullismo, appare per molti aspetti assai vicina a quella che verrà poi assunta da Bruno. Non mancarono tuttavia, an- che sul finire del secolo, trattazioni di ars memorativa con- dotte secondo i canoni più tradizionali della mnemotecnica “classica”. Più che altro per amore di completezza, si dà qui conto di tre testi manoscritti che risentono fortemente di que- ste impostazioni tradizionali. Nel primo di questi testi, con- servato nel ms. Palatino della Nazionale di Firenze (Cod. cart. miscell. di carte. Ai ff. è un anonimo trattato di mnemotecnica: /Inc.: Queritur primo, quare, antequam hanc, artificialem memoriam non in aperto tradiderunt. Expl.: Vox continua est de quantitate continua. Grafia) ritorna, secondo gli schemi ormai ben noti, la trattazione dei luoghi e delle immagini. Nel secondo, l’ashburnhamiano della Laurenziana (Cod. cart. in folio di carte) riscontriamo quel feno- meno, che abbiamo visto tipico, di una trasformazione dei trat- tati di retorica in una ordinata e sistematica classificazione di nozioni. L'arte della memoria non è qui fatta oggetto di spe- cifica trattazione; gli intenti mnemonici risultano chiari dalla disposizione della materia, ordinata in tavole. Si veda per cs. al fol. La Rhetorica è un’arte di trovare ciò che in ogni cosa sia acconcio a persuadere. Le fedi con le quali si per- suade sono: Dell’arte cotai sono: nella vita e nei costumi dell’oratore, in mover l’animo del giudice, nell’oratione quando si prova o par che si prova alcuna cosa. Questa maniera di fede si prova e si tratta dall’oratore. Fuori dell’arte cotai sono : leggi, patti, testimoni, tormenti, giuri. Quest’altra maniera di fede si tratta solamente dall’oratore. Del manoscritto, già Magliab. della Nazionale di Firenze, Cod. cart. in folio grande di carte) già segnalato da Yates, si cono- scono invece sia l’autore, sia il luogo e la data di composizione. Scritto da RICCIO (si veda) Riccio nel Convento di Santa Maria Novella, il trattato si rivolge « alla gioventù fioren- tina studiosa di lettere. Yates (The CICERONE Ciceronian Art of Memory, in Medioevo e Rinascimento, Studi in onore di Nardi, Firenze) ha visto in questo scritto « qual- cosa di meno astratto che i trattati del Romberch e del Ros- selli ». In realtà l’operetta del Riccio appare in tutto convenzionale, ultima eco di una tradizione che si andava ormai spegnendo. Tuttavia, anche in questo testo, non manca un elemento di novità rispetto alle fonti classiche. Allo scopo di imprimere meglio nella mente del lettore le regole dell’arte della memoria, vengono qui impiegati immagini e simboli: in altri termini, per esprimere i precetti che insegnano a collocare le immagini, ci si serve di altre, più complesse imma- gini. Dello stesso accorgimento già aveva fatto uso inella Explicatio triginta sigillorum. Ir. Essendo la memoria madre delle scienze poi che quello che vera- mente si sa che si ritiene nella memoria impresso, utilissima è l’arte che rende perfetta questa natural potenza. Di essa da molti sono stati scritti vari libri, ma non però ho stimato ch’a me sia negato il formare questo trattato nel quale sotto la simi- litudine d’un potentissimo Re ch’appresso di sé ha due consi- glieri e tre valorosi capitani et un servo che provede ciò che fa di bisogno, brevemente e chiaramente ho ridotto in sette precetti la somma di quest'arte et a voi la dono. Seconda regola o Primo consiglier o luoghi, son nominati da me, ché tutti questi tre nomi significano una cosa medesima come si dichiara per la figura dipinta a uso d’huomo consigliere del Re, ché detto consigliere tiene una mano sopra a un map- pamondo dipinto nel quale si vede città, terre, castelli, case, botteghe, così anco chiese, palazzi, vie, piazze, conventi di religiosi e a molte altre cose. Però io ho fatto molti Alfabeti diversi acciò che tu gli legga e vi facci pratica, un Alfabeto è di fiumi laghi e pesci, un di pietre preziose e tutte l'altre pietre insieme, un d’'erbe c piante piccole, un di fiori, un d’alberi e frutti grandi, un d’animali grandi e piccoli... un di città, un di casati fiorentini, un d'arti meccaniche e liberali o exercitii o servitù che si faccino per guadagnare, un d'huomini honorati. PETRARCA MAESTRO DI ARTE DELLA MEMORIA In un saggio più volte citato nel corso di questo libro (The ciceronian Art of Memory, nel vol. Medioevo e Rinascimento, Studi in onore di NARDI, Firenze) Yates ha segnalato una serie di testi di ars memorativa nei quali compaiono espliciti richiami a Petrarca. Nel Congestorium artificiose memorie, pubblicato a Venezia, Romberch si richiama più volte a PETRARCA attribuendogli anche la paternità di non poche affermazioni di carattere tecnico sui /oci e sulle imagines; nella Plutosofia di GESUALDO (si veda) (Padova) il Romberch viene addirittura qualificato un seguace della mnemotecnica del Petrarca; nella Prazza universale (Venezia, Disc.) Tommaso Garzoni include il Petrarca fra i più noti cultori di mnemotecnica; Schenkel nel Gazophylacium artis memoriae (Argentorati), dopo aver riportato un lungo passo dei Rerum memorandarum libri (ediz. di Basilea; ediz. Billanovich, Firenze), fermi che l’arte mnemonica fu da PETRARCA «avide susceptam et diligenter excultam. Gli sparsi accenni alla memoria, alla memoria artificiale, agli illustri esempi di prodigiosa memoria presenti nell’opera del Petrarca sono stati elencati, con la precisione che le è consueta, da Yates: nessuna specifica regola di mnemotec- nica, né alcuna esaltazione o raccomandazione dell’ars memo- riae — della cui divulgazione il Petrarca era tuttavia a cono- scenza («Itaque minus miror tantis nature preditum mune- ribus artificiosam memoriam contempsisse, que tum primum in Grecia reperta, apud nos hodie vulgata est », Rerum mem. libri, ediz. Billanovich) — è presente nell'opera dell’autore del Canzoniere. La tradizione che vede nel Petrarca un “classico” della letteratura sulla memoria non nasce tuttavia dal semplice desiderio — così diffuso negli autori di questi trattati — di invocare sempre nuove “autorità”. Essa ha origini precise: I think one can see how the tradition about PETRARCA as an advocate of the classical mnemonic arose. Everyone knew that the great scholastics in treating memory as a part of prudence had recommended the artificial memory. It was therefore supposed that when Petrarch treated memory as a part of prudence by giving amongst his exempla the me- mories of great classical rhetors in which he made allusions to the classical mnemonic, he thereby meant — though in his own ’humanist’ way — to recommend it. And it was probably further supposed that in the description of the memory of his friend he was describing the feats of a modern ’ artift- cial memory” based on the practice of the ancients. This was certainly the assumption made by Lambert Schenkel, in the passage referred above. Con le conclusioni della Yates sembra difficile non concor- dare, anche se l’unico passo del quale disponiamo per renderci conto delle origini di questa curiosa tradizione, contiene affer- mazioni che solo parzialmente confortano le affermazioni ora citate. Qui autem aequus rerum aestimator, considerans quae ex Francisco Petrarcha hic citata sunt, nempe artificio- sam memoriam sua aetate vulgatam fuisse, militem illum ami- cum ab adolescentia multorum itinerum individuum comitem ipsi fuisse, saepe totos dies et noctes colloquiis traductos, alias- que circumstantias, ac maximam occasionem consequendae huius artis, vel ab ipso, qui eam tali amico, viro tam docto, negare non putuisset, vel ab aliis, iudicet illam ab ipso esse neglectam; praesertim cum memoriae illius excellentia, com- muni omnium fama, celebretur et a scriptoribus in numerum illorum relatus sit qui admirabili memoria insignes fuerunt, ac scripta facile testentur quantus ille orator, quantus poeta latinus, quodque italorum poetarum princeps habeatur, unde recte colligitur artem memoriae avide ab illo fuisse susceptam et diligenter excultam, atque maximo sibi in studiis omnibus adiumento et ornamento fuisse ». (Gazophylacium). Comunque stiano le cose, è certo che la tradizione di PETRARCA maestro e teorico della memoria artificiale si estende molto al di là dei limiti cronologici indicati dalla Yates (« the tradition of associating Petrarch with mnemonics goes on even into the early seventeenth century). Negli scritti di Jean Belot pubblicati e in seguito riediti, il nome di PETRARCA compare accanto a quelli di Pietro da RAVENNA (si veda) e di BRUNO (Les oeuvres de M. Jean Belot contenant la chiromance, physionomie, l'art de memoire de Raymond Lulle, Lyon). Nella lunga nota integrativa apposta da DIODATI D alla voce Mémotre del- l’Enciclopedia di Diderot (Ediz. di Lucca) ritro-viamo, accanto a quelli di Pietro da RAVENNA (si veda), di Jacopo Publicio, del Romberch, di Cosma ROSSELLI (si veda), il nome di PETRARCA. UN SAGGIO DI CAMILLO (si veda). Di carattere teologico e cabalistico è uno scritto inedito di CAMILLO (si veda) sul quale richiama l’attenzione GARIN (si veda), Giornale crit. della filosofia italiana. Cfr. E. MANDARINI, I codici manoscritti della Biblioteca Oratoriana di Napoli, Napoli, e il Ms. Pil. XV, n. ll, in 4°, di cc. non numerate. Lo scritto di CAMILLO (si veda) inizia con un proemio caratteristico nel quale fra l’altro si afferma: « Et perché né più degno soggetto, né più alto si tratta del sommo divino, contenendo la presente opera l’interpretazione dell’Arca del Patto, per la quale si ha la vera Intelligenza delli tre Mundi, cioè Sopra-Celeste, Celeste et Inferiore, onde ne risorge la vera Cognitione Theologica, over Divina che dir vogliamo, qui è esponuto il Senario Canone Pitagorico et sforbito dal Ternario, cioè Artifex, Exemplar, Hyle. Qui è dichiarato cos'è Materia, Forma et Privatione. Qui più luoghi delle Sacre pagine enodati et de oscuri fatti chiari. Qui vedrai accordata la Pitagorica di CROTONE, et Platonica disciplina, con la philosophia et theologia nostra. Di questo stesso testo di CAMILLO (si veda) ho trovato un altro esemplare nel Ms. Aldino della Bibl. Univ. di Pavia (Ms. cart., di cc. scritte e numeate, legatura in cartone, mm.). Anche qui, come nell’esemplare napoletano, segue un trattato De Transmuta- tone. Tre esser le une transmutationi, cioè: la Divina, quella delle Parole, et quella ch'è pertinente alli Metalli. Et tutte tre fra loro haver una maravigliosa corri- spondenza. Sono ricordati Agrippa e Giovanni da RUPESCISSA (si veda). Le cc. segg. contengono una trascrizione dall’edizione veneta della Porta della luce santa. ESERCIZI DI MEMORIA NELLA GERMANIA. Com'è noto, i testi mnemotecnici di Pietro da Ravenna prima, e di Giordano Bruno poi, ebbero grande risonanza negli ambienti della cultura tedesca. Il brano qui di seguito trascritto costituisce un singolare documento dell’interesse, prc- sente anche in ambienti accademici, per quegli esercizi di memoria che avevano avuto gran voga SOPRATUTTO IN ITALIA. A questi divertimenti (recitare per esempio indifferentemente dal principio alla fine o dalla fine al principio una filza di qualche centinaio di termini o di espressioni inusitate) si dedicavano del resto anche non pochi fra i maggiori emble- matisti del Seicento. Come ricorda PRAZ (si veda) (Studi sul CONCETTISMO, Firenze) il gesuita padre Menestrier, celebratissimo autore di un centinaio di opere di emblematica, fa mostra della sua prodigiosa memoria davanti a Cristina di Svezia servendosi di esercizi di questo tipo. Il testo che segue è tratto da Paepp, Schenkelius detectus seu memoria artificialis hactenus occultata, Lugduni, Trivulziana, Mor. M. Negli scritti di Paepp (cfr. anche Artficiosae memoriae fundamenta ex Aristotele, CICERONE, AQUINO, ecc., Lugduni, e Introductio facilis in praxin artificiosae memoriae, Lugduni) è particolarmente interessante il tentativo di fondereinsieme le figure della combinatoria lulliana e quelle in uso nella mnemotecnica ciceroniana. Goclenius, nominato nel testo, è personag- gio assai noto. Si vedano su di esso: Morhof, Polyhistor literarius philosophicus et practicus, Lubecca, e Thorndike, History of Magic and Experimental Science, New York. Die XXIX Sept., styli veteris anni, MDCII, hora octava matutina convenerunt ad aedes celeberrimi ac magni illius philosophi et profes- soris D. Rudol. Goclenii, clariss. vir ac D. Henricus Ellenbergerus praeclarus medicinae doctor et professor, Mathias à Sichten Dantiscanus Borossus, ct M. Christophorus Bauneman Maior stipendiarorum. Petitque Schenkelius a Goclenio er  Ellenbergero dictari XXV sententias, quas ipsc calamo excepit, pracposita cuique nota arith- metica, deinde intro vocavit ingenuum ac doctum adolescentem Dn. lustum Ingmannum, Cassellanum Hessum iuris ac philosophiae studio- sum cui cae omnes ordine prelectae sunt a Schenkelio, singulae bis interiecto aliquantulo more, omnibusque dictis tacitus aliquantisper sedit. Deinde exorsus loqui a prima ad ultimam ordine recto et retro- grado ab hac ad illam sine mora, haesitatione aut errore recitavit. Cum vero bis terve evenisset ut dictionem unam alteri pracponeret, ac bis ut synonymum pro synonymo in quibus facillimus est lapsus ita pro sic, limites pro fines, unico hoc verbo admonitus, dic ordine dixine ita? synonymum ponis: statim et eadem substituit vocabula et suo ordine. Postremo intercalari ordine quolibet expresso numero statim sententiam, aut dicto primo cuiuslibet sententiae vocabulo confestim numerum indi- cavit. Tum rogavit Dn. Iungmannum Schenkelius an vellet aliquas praeterea sententias adiici. Alacri animo XXV alias addi optavit. Verum Schenkelio respondente nimis multas fore, quindecim pettit; quas arti applicatas eadem dexteritate promptitudine qua superiores quolibet or- dine et separatim et cum aliis coniunctim intercalari repetiit. Fuerunt autem sententiae sequentes: Omnia sunt fucata, nihil candoris in aula est. Animus philosophi debet esse in sagina, corpus in macie. Ut planctae saepius translatae raro perveniunt ad frugem, sic et ingenia vagabunda. Timiditas ignorantiam audacia temeritatem arguit. 40. Iuvandi non oppugnandi sunt qui nobis iecere fundamenta sa- pientiae. Si inter alias a Dominis aliquae dicerentur sententiae paulo tritiores quas coniiciebat D. Iungmannum antea memoriter scire, id sincere Do- minis indicavit Schenkelius aliasque illarum loco accepit. Si quoque aliquae iusto breviores videbantur petivit addi aliquid. Ut factum in XXIII et XXIV. Sequenti die XXX Septembris denuo convenerunt su- pra nominati domini ad acdes D. Mathaei Schrodij pharmacopolae hora nona et ab cisdem dictata sunt quinquaginta vocabula a Schenc- kelio excepta; et intro vocato Dn. Iungmanno singula semel praelecta, relicto ipsi paululum morae ad cogitandum et applicandum arti, deinde a primo ad ultimum ordine recto ab hoc ad illud retrogrado, postea intercalari quocunque numero dicto subiecit vocabulum, et contra nominato quolibet vocabulo numerum sine mora, haesitatione vel errore. Interrogavit Schenckelius an placeret dominis plura dare. Videlicet: numerum illum duplicatum? Quod desiderabat quidem Dn. Iungman- nus, sed responderunt sufficere, nec se dubitare quin possit multo plura codem modo recitare. Postea Schenckelio conquestus est Dn. Iungman- nus dolere se quod non ad quinquaginta sententias et centum vocabula esset processum, haud dubie se optime repetiturum fuisse; fuerunt autem sequentia:  I. Gobius, 2. Peristroma, 3. Ficedula, 4. Ephipium, 5. Phalerae, 6. Canabis. Mantica. Locaria. Rursus oblatis a Schenckelio Dominis ducentis sententiis in quibus sc exercuerat, Dn. Iungmannus dum specimini se praepararet, et quas iam memoria tenebat; una cum quadraginta heri pro specimine dicti- tatis, quibus pracpositac crant notae arithmeticae. Rogavit ut expri- merent quemlibet numerum et Dn. Iungmannus statim corresponden- tem diceret sententiam quod factum est feliciter, non sine praesentium admiratione. Cum praesertim magno id fieret numeri intervallo. E. g. dic 235, dic 27, dic 9, dic 240, dic 228... etc. Postremo Dominis sunt oblata 250 vocabula scripta in quibus partim se privatim ad specimen praepararat, partim cum Schenckelio cexercuerat ita ut illa quoque memoria tencret; quibus iam cadem hora erant apposita 50 alia, ut cum prioribus trecenta efficerent; et petivit Schenckelius ut Domini quem vellent numerum proferrent. Quod ita ut modo dictum est de sententiis fecerunt et statim Dn. Iungmannus vocabulum quodque red- didit. Si semel aut bis non diceret ipsam sententiam aut vocabulum servato prorsus ordine vocum, monitus rem acu non esse tactam, veram aut sententiam aut vocabulum illico restituit. Dic subsequenti primo Octobris interfuit Dn. Iungmannus concioni publicae R. D. Doc- toris Winckelmanni Concionatoris ac Professoris celcberrimi quam etiam valde attente audiverunt, ut certius de specimine iudicare pos- sent Eximius Med. Doctor et Professor Ellenbergerus et D. ac M. Chris- tophorus Baunemmannus, qui una cum Schenckelio concione absoluta iverunt recta ad aedes pracclariss. D. Goclenii, ut coram ipsis cam repcteret, quod fecit ita prompte ct exacte ut nihil ex tota concione esset practermissum. Haec omnia ita ut supra fideliter relata sunt se habere testamur cum ea nobis praesentibus, videntibus sententias et vocabula dictanti- bus, gesta sint et probata, omni fraude et dolo seclusis. In quorum fidem hoc veritati non minus quam equitati debitum testimonium nominibus nostris subscriptis siglillisgue munitum libenter Schenckelio vel non roganti dedimus. Marpurgi Hassorum anno, mense, die supra- positis. Rod. Goclenius L. Professor Henricus Ellenbergerus Med. Doctor et Professor Mathias à Sichten Dantiscanus Borossus Cristophorus Bauneman Maior stipend. LA VOCE ART MNEMONIQUE NELL’ENCICLOPEDIA ITALIANA DI DIDEROT Commentando la voce Mémoire della grande Enciclopedia, DIODATI rimpiangeva che l’autore della dotta dissertazione non avesse fatto seguire alla trattazione della memoria naturale una esposizione, altrettanto ampia e precisa, delle regole della memoria artificiale (Ediz. di Lucca). Per rimediare a questa lacuna DIODATI (si veda) ripete alcuni dei più tradizionali concetti della mnemotecnica di origine “ciceroniana”; aggiorna l’elenco degli uomini dotati di prodigiosa memoria aggiungendo ai nomi di PLINIO (si veda), di Aulo GELLIO (si veda), di Cinea, di Ciro, di Seneca e di PICO (si veda), quello di MAGLIABECHI (si veda). Si richiamava ai nomi dei maggiori trattatisti; elencava infine alcune regole di medicina della memoria e i principali precetti dell’arte della memoria locale. La lacuna che aveva scandalizzato il buon DIODATI, non esiste affatto nell’ Enciclopedia italiana. Nel primo volume dell’opera (che lo stesso DIODATI aveva annotato e pubblicato nove anni prima) un’intera sezione della lunga voce Art appare dedicata alla trattazione dell'Art mnémonique. Del testo, che è opera dell’Yvon (sulla cui figura e posizione intellettuale cfr. F. VEx- tuRI, Le origini dell’ Enciclopedia italiana, Roma-Firenze) si trascrivono qui di seguito le parti essenziali. Nella identificazione dell’arte mnemonica con la logica, nell’appello alla chiarezza e alla distinzione, nell’idea di un ordinamento delle idee in una catena di premesse e di conseguenze, infine nel deciso rifiuto di ogni forma di “memoria artificiale” tradi. zionalmente intesa sono evidenti le influenze delle posizioni cartesiane. Le due opere alle quali l’autore fa riferimento sono: Marius D’Assicny, The Art of Memory, London, e Wix- KELMANN (che è pseudonimo di Stanislaus Mink von Venussheim), Logica mnemonica sive memorativa, Halae Saxonum. On appelle ar: mnemonique la science des moyens qui peuvent servir pour perfectionner la mémoire. On admet ordinairement quatre de ces sortes de moyen: car on peut y employer ou des remedes physiques, que l’on croit propres à fortifier la masse du cerveau; ou de certaines figures et schématismes, qui font qu’une chose se grave mieux dans la mémoire; ou des mots techniques, qui rappellent facilement ce qu’on a appris; ou enfin un certain arrangement logique des idéesen les plagant chacune de facon qu’elles se suivent dans un ordre naturel. Pour ce qui regarde les remedes physiques, il est indubitable qu’un régime de vie bien observé peut contribuer beaucoup à la con- servation de la mémoire, de méme que les excès dan le vin, dans la nourriture, dans les plaisirs, l’affoiblissent. Mais il n'est pas de méme des autres remedes que certains auteurs ont reccomandés... qu'on peut voir dans l'art mmnemonique de Marius d’Assigny, auteur anglois. D’autres ont eu recours aux schématismes. On sait que nous retenons une chose plus facilement quand elle fait sur notre esprit, par les moyens des sens cxtérieurs, une impression vive. C'est par cette raison qu'on a tiché de soulager la mémoire dans ses fonctions, en réprésen- tant les idées sous de certaines figures qui les expriment en quelque facon. C'est de cette manière qu'on apprend aux enfans, non seule- ment à connoître les lettres, mais encore à se rendre familiers les principaux évenemens de l’histoire sainte et profane. Il y a méme des auteurs qui, par une prédilection singuliere pour les figures, ont appliqué ces schématismes à des sciences philosophiques. C'est ainsi qu'un certain Allemand, nommé Winckelmann, a donné toute la logique d'Aristote en figures. Voici aussi comme il définit la Logique. Aristote est représenté assis, dans une profonde méditation : ce qui doit signifier que la Logique est un talent de l’esprit et non pas du corps; dans la main droite il tient un clé: c’est-a-dire que la Logique n'est pas une science, mais un clé pour les sciences; dans la main gauche il tient un marteau: cela veut dire que la Logique est une habitude instrumentale; et enfin devant lui est un étau sur lequel se trouve un morceau d'or fin et un morceau d'or faux pour indiquer que la fin de la Logique est de distinguer le vrai d’avec le faux. Puisqu'il est certain que notre immagination est d’un grand secours pour la mémoire, on ne peut pas absolument rejetter la méthode des schématismes, pourvà que les images n’ayent rien d'extravagant ni de puérile, et qu'on les applique pas à des choses qui n’en sont point du tout susceptibles. Mais c’est en cela qu'on à manqué en plusieurs fagons: car les uns ont voulu désigner par des figures toutes sortes de choses morales et métaphysiques; ce qui est absurde, parce que ces choses ont besoin de tant d’esplications, que le travail de la mémoire en est doublé. Les autres ont donné des images si absurdes et si ridi- cules, que loin de rendre la science agréable, elles l’ont rendu dégot- tante. Les personnes qui commencent à se servir de leur raison, doivent s'abstenir de cette méthode, et tàcher d’aider la mémoire par le moyen du jugement. Il faut dire la méme chose de la mémoire que l'on appelle teckni- que. Quelques-uns ont proposé de s’immaginer une maison ou bien une ville, et de s'y représenter différens endroits dans lequels on pla- ceroit les choses ou les idées qu'on voudroit se rappeller. D'autres, au lieu d'une maison ou d’une ville, ont choisi certains animaux dont les lettres initiales font un alphabet latin. Ils partagent chaque membre de chacune de ces bétes en cinq parties, sur lesquelles ils affichent des idées; ce qui leur fournit 150 places bien marquées, pour autant d'idées qu’ils s'y imaginent affichées. Il y en a d’autres qui ont eu recours è certains mots, vers, et autres choses semblables: par exemple pour re- tenir les mots d’Alexandre, Romulus, Mercure, Orphée, ils prennent les lettres initiales qui forment le mot armo; mot qui doit leur servir à se rappeller les quatre autres. Tout ce que nous pouvons dire là-des- sous c'est que tous ces mots et ces verbes techniques paroissent plus difficiles à retenir que les choses mémes dont ils doivent faciliter l'étude. Les moyens les plus sùrs pour perfectionner la mémoire, sont ceux que nous fournit la Logique; plus l’idée que nous avons d'une chose est claire et distincte, plus nous aurons de facilité à la retenir et à la rappeller quand nous en aurons besoin. S'il y a plusieurs idées, on les arrange dans leur ordre naturel de sorte que l’idéc principale soit suvie des idées accessoires, comme d’autant de consequences; avec cela on peut pratiquer certains artifices qui ne sont pas sans utilité: par exemple, si l’on compose quelque chose, pour l’apprendre ensuite par coeur, on doit avoir soin d’écrire distinctement, de marquer les différen- tes parties par de certaines séparations, de se servir des lettres initiales au commencement d’un sens; c'est ce qu'on appelle la mémotre locale... Les anciens Grecs et Romains ROMANI parlent en plusieurs endroits de l'art mnemonique Cicéron CICERONE dit, dans le Liv. II de Orat. que Simonide l’a inventé. Ce philosophe étant en Thessalie, fut invité par un nommé Scopas; lors qu'il fut à table, deux jeunes gens le firent appeller pour lui parler dans la cour. A_peine Simonide fut-il sorti, que la chambre où les autres étoient restés, tomba et les écrasa tous. Lorsqu’on voulut les enterrer, on ne put les reconnoître, tant ils étoient défigurés. Alors Simonide, se rappellant la place où chacun avoit été assis, les nomma l’un après l’autre; ce qui fit connoître, dit Cicéron, que l'ordre étoit la principale chose pour aider la mémoire. La voce “caractère” della grande Enciclopedia -- i caratteri tipografici vengono trattati da Diderot in un'ampia voce, “caractères d'imprimerie”) risulta dalla collaborazione di vari filosofi. Dopo alcune brevissime definizioni d’Eidous che distingue fra suoni e SEGNI o figure e fa risalire l’origine dei caratteri ai primi rozzi disegni tracciati sui corpi materiali, Alembert tratta brevemente della scrittura in generale cinviando: per una trattazione più analitica, alle voci “langue” e “alphabet”. Ai caratteri egiziani accenna in poche righe, rimandando alle voci “hiéroglyphe” ec “symbole”, il celebre grammatico Marsais. Seguono nell’ordine: una colonna c mezzo d’Alembert dedicata ai caratteri reali e al problema della lingua universale; una descrizione dei caratteri dei vari alfabeti e dei segni impiegati in geometria e trigonometria di Chapelle; una breve voce sui “caractères dont on fait usage dans l' arithmetique des infinis ancora di d’Alembert; infine una colonna circa del Venel sui Caractères de la Chimie. Si vuol qui richiamare l’attenzione sul secondo dei tre “pezzi” scritti dal d’Alembert. In questo testo troviamo pre- sente la contrapposizione baconiana dei “caratteri reali” (che esprimono non suoni o lettere, ma cose) ai “caratteri nomi- nali” (o normali lettere alfabetiche. Vediamo ripreso il parallelo, presente nel “De augmentis” di Bacone e nell’”essay” di Wilkins, tra gl’ideogrammi cinesi e i caratteri reali che possono essere letti e compresi indipendentemente dalla lingua che effettivamente si parla. Vediamo brevemente esposti i risultati cui sono giunti lo stesso Wilkins, Dalgarno e Lodowick. Le riflessioni di Leibniz sulla caratteristica e sulla lingua universale -- di questi interessi non fa cenno la voce “erbnittanisme ou philosophie de Leibniz” -- vengono infine poste in un rapporto di diretta derivazione con le dottrine dei due autori inglesi e scozzesi. Le opere di Dalgarno, di Wilkins, di Lodowick alle quali Alembert fa riferimento nel testo sono nell’ordine: “Ars signorum, vulgo character universalis et lingua philosophica, Londra; Essay towards a real character and a philosophical language, Londra; The grundwork or foundation laid, or so intended, for the framing of a new perfect language, Londra. Les hommes qui ne formoient d'abord qu'une société unique, ct qui n’avoient par conséquent qu’une langue et qu'un alphabet, s'étant extrémement multipliés, furent forcés de se distribuer, pour ainsi dire, en plusieurs grandes sociétés ou familles, qui séparées par des mers vastes ou par des continens arides, ou par des intéretéts differens, n'avoient presque plus rien de commun entr'elles. Ces circonstances occasionnerent les différentes langues cet les différens alphabets qui se sont si fort multipliés. Cette diversitt de caracteres dont se servent les différentes nations pour exprimer la méme idée, est regardée comme un des plus grands obstacles qu'il y ait au progrés des sciences: aussi quelques auteurs pensant à affranchir le genre humain de cette servitude, ont proposé des plans de caracteres qui pussent ètre universels, et que chaque na- tion pùt lire dans sa langue. On voit bien qu’en ce cas, ces sortes de caracteres devroient étre réels et non mominaux, c'est-a-dire exprimer des choses, et non pas, comme les caracteres communs, exprimer des lettres ou des sons. Ainsi chaque nation auroit retenu son propre langage, et cependant auroit été en état d’entendre celui d'une autre sans l’avoir appris, en vo- yant simplement un caractere récl ou universel, qui auroit la méme signi- fication pour tous les peuples, quels que puissent étre les sons, dont chaque nation se serviroit pour l’'exprimer dans son langage particulier : par cxemple, en voyant le caractere destiné à signifier Sorre, un An- glois auroit lù o drink, un Frangois dorre, un Latin bidere, un Grec riverv, un Allemand trincken, et ainsi des autres; de méme qu'en voyant un cleval, chaque nation en exprime l’idée à sa maniere, mais toutes entendent le mème animal. Il ne faut pas s’'imaginer que ce caractere réel soit une chimere. Le chinois et les japonois ont déjà, dit-on, quelque chose de semblable: ils ont un caractere commun que chacun de ces peuples entend de la méme maniere dans leurs différentes langues, quoiqu’ils le prononcent avec des sons ou des mots tellement différens, qu’ils n’entendent pas la moindre syllabe les uns des autre quando ils parlent. Les premiers essais, ct méme les plus considérables que l’on ait fait en Europe pour l’institution d’une langue universelle ou philosophique, sont ceux de Wilkins et de Dalgarme: cependant ils sont demeurés sans aucun effet. M. Leibnitz a eu quelques idées sur le méme sujet. Il pense que Wilkins et Dalgarme n’avoient pas rencontré la vraie méthode. M. Leibnitz convenoit que plusieurs nations pourroient s'entendre avec les caracteres de ces deux auteurs: mais, selon lui, ils n’avoient pas attrapé les véritables caracteres réels que ce grand philosophe regardoit comme l’instrument le plus fin dont l’esprit humain pùt se servir, et qui devoient, dit-il, extrémement faciliter et le raisonnement, et la mémoire, et l’invention des choses. Suivant l’opinon de M. Leibnitz, ces caracteres devoient ressem- bler à ceux dont on sc sert en Algebre, qui sont effectivement fort simples, quoique très-expressifs, sans avoir rien de superflu ni d’equi- voque, et dont au reste toutes les variétés sont raisonnées. Le caractere réel de Wilkins fut bien regu de quelques savans. M. Hook le recommande après en avoir pris une exacte connois- sance, et en avoir fait lui-méme l'experience: il en parle comme du plus excellent plan que l'on puisse se former sur cette étude, il a eu la complaisance de publier en cette languc quelques-unes de ses décou- vertes. Leibnitz dit qu'il avoit en vàe un alphadet des pensées humaines, et mèéme qu'il y travailloit, afin de parvenir à une langue philosophi- que: mais la morte de ce grand philosophe empécha son projet de venir en maturité. M. Lodwic nous a communiqué, dans les transactrons plulosophi- ques, un plan d’un a/phabet ou caractere universel d’une autre espece. Il devoit contenir une énumération de tous les sons ou lettres simples, usités dans une langue quelconque; moyennant quoi, on auroit été en état de prononcer promptement et exactement toutes sortes de langues; et de d’écrire, en les entendant simplement prononcer, la prononciation d’une langue quelconque, que l'on auroit articulée; de maniere que les personnes accoùtumeées à cette langue, quoiqu'elles ne l’eussent jamais entendu prononcer par d'autres, auroient pourtant été en état sur le champ de la prononcer exactement: enfin cc caractere auroit servi comme d’étalon ou de modele pour perpétuer les sons d’une langue quelconque. Dopo aver accennato a tentativi più recenti (Journal Littéraire, sul quale cfr. Coururat-Leau, Historre de la langue universelle, Paris), Alembert conclude. Mais ici la difficulté est bien moins d’inventer les caractères les plus simples, les plus aisées, et les plus commodes, que d’engager les différentes nations à en faire usage; elles ne s’accordent, dit Fontenelle, qu’ì ne pas en- tendre leurs intéréts communs ». La sua sfiducia concerneva quindi, esclusivamente, la possibilità di una realizzazione pra- tica. Su questo punto le opinioni dei collaboratori all’Enciclopedia si configurano variamente. Per rendersene conto basterà confrontare la voce Langage nella quale veniva esplicitamente rifiutata la possibilità, anche teorica, di una lingua universale («Puisque du différent génie des peuples naissent les diffé- rents idiomes, on peut d’abord décider qu'il n’en aura jamais d’universel ») con la voce Langue nella quale veniva esplicita mente riaffermata la speranza in una pratica realizzazione della lingua universale. Mon dessein n’est pas au reste de former un langage universel à l’usage de plusieurs nations. Cette entreprise ne peut convenir qu’aux académies savantes que nous avons en Europe, supposé encore qu’elles travaillas- sent de concert et sous les auspices des puissances. Firenze Hannover : Innichen Milano Monaco Napoli Laurenziana Ashb. Nazionale (già Magliab.): Conv. Soppr. Magliab. cl., cod. Magliab. Palch.: Palat. Palat. : Riccardiana Ricc. Ricc. Phil. Phil. VII. B. mi, Ambrosiana D. 535 inf.: sup.: inf.: inf.: sup.: N. 259 sup.:  R. 50 sup.: sup.: Staatsbibl. Oratortana Pil. XV n. IT: Parigi Pavia Ravenna Roma Torino Venezia Bibliothèque Nationale lat. lat. lat. lat. Universitaria Ald. Ald. Ald. Classense Mob. Angelica (B.5): Casanatense Vaticana Ott. lat. Urb. lat. Urb. lat. Vat. lat. Vat. lat. Vat. lat.Vat. lat. 5437: 70. Vat. lat.  Vat. lat. 6295:. Nazionale Marciana lat. cl. lat. cl.  lat. cl. lat cl. VI, : 25. lat. cl. Paolo Rossi. Paolo Rossi Monti. Monti. Keywords: Cattaneo, Aconzio, Vico, Galilei, nato Paolo Rossi, adottato dalla zia materna, Monti, Vico, Vinci, Garin, Banfi, la storia della nazione italiana, Vico e la storia della nazione italiana, favola antica, dalla magia alla scienza, bruno.  – Refs. Luigi Speranza, “Grice e Rossi: l’implicatura di Vico” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rosso: all’isola -- la ragione conversazionale all’isola -- a Sicilia – la scuola di Palermo – la scuola di Corleone -- filosofia siciliana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Corleone). Flosofo siciliano. Filosofo italiano. Corleone, Palermo, Sicilia. Scrive tre saggi. Il primo e “Varie cose notabili occorse in Palermo ed in Sicilia”. Il secondo e “Descrizione di tutti i luoghi sacri della felice città di Palermo”. Descrive le chiese di Palermo. Questo saggio è ricordato in vari altri saggi. Il terzo saggio e “Diario Palermitano”. Il comune di Palermo gli dedica una via.  Biblioteca storica e letteraria di Sicilia: Mira/bibl Siciliana. Ciccarelli e Valenza, La Sicilia e l'Immacolata. Atti del convegno,  Pugliatti, Pittura del Cinquecento in Sicilia, Electa, Roma. Istituto di studi bizantini e neo-ellenici, Rivista di studi bizantini e neo-ellenici. Marzo, Biblioteca storica e letteraria di Sicilia: Opere storiche inedite. Valerio Rosso. Rosso. Keywords: filosofia siciliana, filosofia italiana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rosso” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rota: la ragione conversazionale e la lavagna del gruppo di gioco – la scuola di Vigevao -- filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Vigevano).  Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Vigevano, Pavia, Lombardia. Italian philosopher. Grice: “Many Italian philosophers would not consider Rota an Italian philosopher seeing that he earned his maximal degree without (not within) Italy! And right they would, too!” Saggi: “Pensieri discreti” (Garzanti). Dizionario biografico degl’italini. Palombi, “La stella e l’intero – la ricercar di Rota tra matematica e fenomenologia” (Boringhieri); Senato, “Matematico e filosofo” (Springer). Gian-Carlo Rota. Rota. Aune: “I left the play group when I realised that Grice could care less about blackboards!” -- Keywords: il primate dell’identita, Whitehead, fenomenologia, Husserl, Heidegger, tra fenomenologia e matematica, la stella e l’intero, discrezione, indiscrezioni, combinatoria e filosofia, la lavagna del gruppo di giocco. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Rota," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rotondi: la ragione conversazionale a Roma antica – la scuola di Vivocaro -- filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Vicovaro).  Filosofo lazio. Filosofo italiano. Vicovaro, Roma, Lazio. I primi anni di attività della sua “libreria delle occasione” sono piuttosto travagliati in quanto le autorità fasciste, infastidite dalla tipologia eterodossa dei testi in vendita, operano diversi sequestri e infliggono sanzioni. Costretto a chiudere la libreria per evitare il richiamo alle armi della repubblica sociale. Considerato disertore, si rifugia con la famiglia a Vicovaro. Individuato in seguito ad una delazione, riesce fortunosamente a sfuggire alla cattura e si allontana verso le montagne che circondano il paese, inseguito dappresso da tedeschi. Disperando di potersi salvare, si nasconde nei pressi di una casa abbandonata, popolarmente ritenuta abitata dagli spiriti e qui avviene l'evento fondamentale sopra descritto che cambia la sua vita e le sue convinzioni, aprendolo alla conoscenza del mondo spirituale. Improvvisamente ha una visione folgorante nel nielo. Sedetti a contemplare la scena. Una catena di globi luminosi dall'alto scendevano fin giù, penetravano nella terra, poi altri che risalivano e poi ridiscendevano come per riunirsi in un misterioso convegno. Si senteno delle voci indistinte. Si trattiene ad osservare tale spettacolo misterioso salvandosi, in questo modo, dal rastrellamento in corso nel vicino paese di Roccagiovine. Questo primo decisivo contatto con il para-normale  raccontato in "Il protettore invisibile". Tale evento rappresenta l'inizio del suo studio e del suo interesse nei confronti dell'esoterismo e della spiritualità. Pubblica massime, proverbi e aforismi di Roma antica. Dà alle stampe “L’arte del silenzio e l’uso della parola”, un originale e lungimirante saggio il cui intento si manifesta già dalla dedica, firmato con lo pseudonimo di Vico di Varo, derivato chiaramente dal suo paese natale. Viene incaricato di redigere un opuscolo commemorativo in occasione dell'inaugurazione in Vicovaro del Monumento in onore delle vittime della strage nazista delle Pratarelle. Svolge una funzione di aggregazione e catalizzazione culturale in anni difficili in cui certi ambiti di studio venivano guardati con sospetto, quando non con manifesta ostilità.  Partecipa e svolge un ruolo tutt'altro che secondario nel Cerchio Firenze, una delle più importanti esperienze para-psicologiche collettive italiane. Lui la sua libreria,  sono ormai un punto di riferimento di tutto un mondo culturale in espansione e finalmente libero da ogni censura. Pubblica  titoli presso diverse case editrici -- Mediterranee, Astrolabio, Sugarco, S.A.S. --, firmandoli oltre che con il suo vero nome con il pseudonimo ‘Amadeus Voldben’, acronimo di “Volontario del Bene”. Tale nome d’arte sta ad indicare la missione che si e prefisso e che delinea nel libriccino “I volontari del bene”, vera e propria bibbia per tutti coloro che si riconoscono nel progetto di diffusione del bene.  Oltre al valore intrinseco degli scritti, sono le riunioni e la sua stessa presenza in libreria a suscitare curiosità e interesse presso un pubblico molto ampio che vede in lui una guida spirituale in grado di fornire suggerimenti mai banali e, da educatore, sempre comprensibili. Dietro la sua apparente severità, che è semplicemente rifiuto della superficialità, traspare la disponibilità e l'umanità, accessibili a chiunque si sforzi di varcare un civico di via Merulana. Si caratterizza da una produzione culturale ed una serena consapevolezza. Regala gemme di saggezza e consigli. Oltre ai testi pubblicati lascia altri scritti, alcuni pronti per la stampa altri bisognosi di revisione, che vengono pubblicati da i quali si sono impegnati a proseguire l'attività in libreria, mantenendosi fedeli all'impostazione originaria da lui delineata. La libreria riceve il riconoscimento di "negozio storico" da parte del Comune di Roma.  Opere: Saggezza ” (I della collana Le Perle, ristampato da Astrolabio. L'arte del silenzio e l'uso della parola, ristampato dalla Libreria Rotondi; Saggezza di Roma antica, collana Le Perle). Saggezza dell'antica Grecia, collana Le Perle). Amore e saggezza nel pensiero, collana Le Perle). Il giardino della saggezza, collana Le Perle). “Dopo Nostradamus: le grandi profezie sul futuro dell'umanità” (Mediterranee); “Un'arte di vivere: via segreta alla serenità” (Mediterranee); “La coppa d'oro: insegnamenti dei maestri, fonte di luce e di energia, SAS; Le influenze negative: come neutralizzarle, SugarCo,,  Il protettore invisibile: la guida che ci aiuta nei momenti difficili della vita, Mediterranee, La voce misteriosa, Astrolabio; Lo scopo e il significato della vita: perché si nasce, perché si vive, perché si muore, Mediterranee, I prodigi del pensiero positivo: il suo potere e la sua azione a distanza, Mediterranee, Il destino nella vita dell'uomo, Mediterranee, La re-incarnazione: verità antica e moderna, Mediterranee, La potenza del creder e la gioia d'amare: i prodigi della fede e dell'amore, Mediterranee,  Una luce nel tuo dolore, Mediterranee); “Guida alla padronanza di sé, Mediterranee, La magica potenza della preghiera, Mediterranee); La chiave della vita, Mediterranee,  La presenza divina in noi, Mediterranee, Le leggi del pensiero: l'energia mentale e l'azione della volontà, Mediterranee); Le grandi profezie sul futuro dell'umanità, Mediterranee. La potenza creatrice del pensiero, Mediterranee, Pensieri per una vita serena, Mediterranee); “Ricordo dei nostri martiri. Commemorazione in occasione dell'inaugurazione del monumento ai martiri delle PratarelleVicovaro, Tipografia Seti, Roma); “I Volontari del Bene” (Libreria Rotondi Editrice, Roma); “Reincarnazione e fanciulli prodigio, Mediterranee, Roma, La reincarnazione: verità antica e moderna, Mediterranee); “La voce misteriosa”; “Le perle”. L’arte del silenzio e l’uso della parola. La Libreria Rotondi è segnalata in molte pubblicazioni, tra cui la Guida ragionata alle librerie antiquarie e d'occasione d'Italia, C. Messina, Roma); A. Voldben, Il protettore invisibile, Edizioni Mediterranee, Roma,  La sua partecipazione agli incontri del Cerchio Firenze è ricordata in “Oltre l'illusione, Roma, Mediterranee, e “Oltre il silenzio” L. Campani Setti, Roma, Mediterranee). Dopo Nostradamus, I prodigi del pensiero positivo, Le influenze negative, Il protettore invisibile: Molte persone si rivolgevano a Rotondi per ricevere consigli. Una testimonianza letteraria di questa consuetudine si trova nel romanzo di  Giovetti Weimar per sempre (Mediterranee, Roma) in cui il personaggio si reca presso la Libreria delle Occasioni per ricevere suggerimenti su questioni spirituali e libri. Libreria Rotondi, Libreria delle Occasioni (La libreria fondata da Rotondi) La piccola miniera (da Il Corriere della Sera) Il libraio di via Merulana e i globi luminosi (da La Repubblica) Cerchio Firenze  (Esperienza parapsicologica collettiva) Andiamo alla scoperta (da La Piazza di Castel Madama.  ‘Vico di Varo’. Amedeo Rotondi. Rotondi. Keywords: Roma antica, antica Roma, le perle, Vicovaro, filosofia fascista, il veintennio fascista. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rotondi” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – Grice e Rotta: la filosofia del linguaggio, la filosofia della lingua, AQUINO e compagnia  – filosofia italiana (Milano). Filosofo italiano. Muore a Milano. Il frontespizio di "Passeggiate storiche, ossia Le chiese di Milano dalla loro origine fino al presente" (1891) Paolo Rotta è stato un filosofo, presbitero e storico italiano. Fu autore di varie pubblicazioni relative alle chiese di Milano fra le quali il celebre Passeggiate storiche, ossia Le chiese di Milano dalla loro origine fino al presente. Si adoperò in particolar modo per il restauro delle antiche basiliche della città sulle quali scrisse il volume Sulle sette antiche basiliche stazionali di Milano: cenni storici ed illustrativi. Fu, insieme all'ingegner Andrea Pirovano Visconti, protagonista del salvataggio della Basilica di San Vincenzo in Prato che venne restaurata e riconsacrata. Al sacerdote la città di Milano ha intitolato la via R. nei pressi dell'Ospedale di Niguarda.  Opere principali Passeggiate storiche, ossia Le chiese di Milano dalla loro origine fino al presente, Milano, Tipografia del Riformatorio Patronato. Sulle sette antiche basiliche stazionali di Milano: cenni storici ed illustrativi, Milano, Tipografia del Riformatorio Patronato. Cronaca annuale dei ristauri e delle scoperte della basilica di s. Eustorgio in Milano, dall'anno 1862 in avanti: con Appendice sui fasti memorandi della basilica, Milano, Tipografia del Riformatorio Patronato. Cenni illustrativi intorno all'antica basilica di S. Vincenzo in Prato in Milano, Milano, Tipografia Alessandro Lombardi. Gite e rilievi storici archeologici nei dintorni di Milano, paesi e città limitrofe, Milano. Note ^ Vedi, per esempio, il restauro della Basilica di Sant'Eustorgio R., su www.cassiciaco.it. URL consultato l'11 aprile 2025. ^ Autori UniCatt nel “Fondo La Scuola” 5 – P. Rotta – Raccolte storiche, su brescia-raccoltestoriche.unicatt.it. URL consultato l'11 aprile 2025. ^ Agostino Gemelli, In Onore Di Paolo Rotta, in Rivista di Filosofia Neo-Scolastica. Libri di R., su vitaepensiero.it. Opere di Paolo Rotta, su Open Library, Internet Archive. Biografia Portale Biografie   Portale Milano Categorie: Presbiteri italiani Presbiteri italiani Storici italiani Storici italiani Nati a Milano Morti a Milano Sepolti nel Cimitero Monumentale di Milano [altre]i>ott ipaolo R. La filosofia della lingua nella patristica e nella scolastica ^peta premiata Dalla nr MC- caDcmia Oi iciense /H^orali e |^oliticbe t)i i^>apoU. t:^ M Ci  Cerino  Dott paolo I R. La filosofia della lingua nella patristica e nella Scolastica pera pi-emiata Dalla IR- Bc- caDemta DI sctense /Iftoralt e ipoUticbc Di IfapoH- ^W cM ;ifratelll :aaB BDitoci = tToctno  =: 23084S . jfrancesco Ifiovati nel 6U0 (BiubUeo ITlnivereitario con animo riconoscente e evoto iRovcmbre. Il saggio di R. è presentato e premiato al Concorso bandito nell'anno 1906 per ranno 1907 dalla Societ reale di Scienze Morali e Politiche di Napoli. È la terza volta che il tema :  La filosofia del linguaggio nella Patristica e nella Scolastica , veniva proposto dalla suddetta societ, la quale ben due volte aveva dovuto dichiarare che nessuna delle memorie presentate meritava premio. Riproposto per V anno 1907 con altri due temi, questa memoria di R., che, anonima, è allora contrassegnata dal motto del Petrarca : Pulcra movent oculos, sed prosunt apta fruenti, /w dichiarata meritevole del premio, il quale per nella sua entit materiale fu per met attribuito ad altra memoria, in cui è trattato un altro dei tre temi a concorso. La commissione esaminatrice è formata d’Ovidio, Mosci, e Petra ne relatore, il quale, dopo aver esposto i motivi per cui non potevano premiarsi gli altri lavori presentati sul medesimo tema da noi trattato, in merito al nostro cosi si esprime ^) ; 1) Reale Accademia di Scienze Morali e Politiche di Napoli, Relazione del Socio Iginio Patrone sui concorsi a premi, Napoli. Pi fausto giudizio la commissione pu esprimere della memoria sulla filosofia della lingua.  segnata colle parole Paler movent oculoSj sed prosimi apta fruenti, ed un manoscritto che numera 164 pagine di formato grande, in caratteri fitti e cos poco chiari, da sembrar quasi una spensierata sfida alla pazienza dei lettori.  Per fortuna 1' affanno dell' averlo letto  compensato neir insieme dalla bont del contenuto. Comincia dal trattar di proposito della speculazione ellenica sulla lingua, esorbitando dal tema cui poteva convenire solo un breve e lucido riassunto delle speculazioni classiche, il quale fissasse bene il punto di partenza del lavorio medievale.  Ma tratta molto bene il soggetto che non è tenuto a trattare, specie delle dottrine dell’accademia nel Cratilo, e, sebbene i lavori del Bonghi e del Gussani gli abbiano dato un aiuto efficacissimo ad orientarsi, mostra una larga conoscenza di opere straniere. La disamina che fa di poi della filosofia della lingua nella Patristica e nella Scolastica attesta larghissima informazione, acume sufficiente nell’interpretare e nell’argomentare soda dottrina. R. vde direttamente il carattere storico espositivo del tema ed ha serbato fede in complesso all'assunto. Nei due capitoli che consacra alla patristica tratta del problema storico delle origini, come è posto e dibattuto dai padri, e discorre della psicologia patristica e tratta del sermo interno e dei rapporti fra lingua interna e lingua esterna e tra pensiero e parola. E V esposizione ed il discorso  ben fatto, ed  raccolto e connesso secondo 1' ordine della materia e secondo la successione del tempo. Nei due ampi capitoli che seguono e che formano una buona mezza parte del volume, R. tesse r esposizione e la disamina della filosofia della lingua nella scolastica, chiarendo assai bene il perch ed il come i destini della filosofia riguardante le parole sieno, nella tradizione della scuola, intrecciati e saldati con quelli della logica e della dialettica, e vedendo da vicino la connessione di quella filosofia col problema degli universali. Indugia quindi neir analisi dei rapporti fra pensiero e parola specie in riferimento alla teoria gnoseologica d’AQUINO (vedasi), ed espone il processo delle speculazioni sulla lingua in Pietro Lombardo, FIDANZA (vedasi), ed AQUINO (vedasi).  In tre pagine finali accoglie in forma schematica brevi, ma plausibili conclusioni generali suggeritegli dal dibattito del tema. Intercalate ed aggiunte nella relazione si trovavano alcuni appunti, dei quali si  tenuto calcolo prezioso per rendere questo nostro lavoro pi degno e completo. Sopra tutto si colmata la lacuna, cos giustamente notata nella prima redazione, per non aver noi fatto cenno della dottrina d’ALIGHIERI (vedasi) sulla lingua, dottrina, come ha scritto Ovidio, non da semplice poeta n affidata solo al divino poema. Abbiamo perci cercato di mettere in evidenza quale sia il pensiero fondamentale svolto d’ALIGHIERI (vedasi) in alcune delle sue opere minori, e specialmente nel De vulgari eloquio, approfittando per tale intento della lucida e perspicace memoria scritta in proposito dal Ovidio stesso. In quanto poi air aver dato sviluppo forse pi di quello che si sarebbe aspettato alla speculazione della lingua, quale si intessuta nella filosofia ellenica, siamo ancora del parere che ci era necessario, essendosi appunto determinato in quella ed il problema delle origini e della natura della lingua e quelle sue soluzioni, intorno a cui non poco si  affaticata la riflessione dei Padri e delle scuole. Per ci tenendo sotf occhio i lavori di Lersch, di Steinthal, di Susemihl, di Bonghi^ del Giussanij del Prantl, di Chaignet, di Zeller e di altri abbiamo anzi in questo rifacimento del nostro allargato di un po' quanto gi era contenuto nella memoria manoscritta, cercando anche per quella parte, come per tutto il resto, ove ci siamo studiati da un lato di rendere pi raccolto e preciso il discorso, e dall’altro di metterlo maggiormente in raffronto con le speculazioni ulteriori, di raggiungere quel termine ideale di perfezione, a cui, per parere stesso della Commissione, che ci ha giudicato, la memoria nostra per i suoi notevoli pregi di tanto gi era vicina. Intanto approfittiamo di questa occasione per ringraziare un'altra volta ancora gli illustri della Commissione, che con tanta benevolenza ci hanno giudicato, ben lieti dichiarandoci se anche per essa si sar di un po' chiarito nelle sue ragioni storiche quel problema della lingua che Origene fin da' suoi tempi giudica profondo ed impenetrabile, e che Du-Bois-Reymond or sono pochi anni chiama uno dei sette enigmi del genere umano. DOTT. R. Professore di Filosofia nei RR. Licei. La questione dell'origine e della natura della lingua ben presto s' impone alla speculazione greca, certo pi presto di quello che non creda CROCE (vedasi) 0, che la vorrebbe discussa per la prima volta in Grecia dai Sofisti. certo che nell'antico ilozoismo ionico, come in genere in quasi tutta la filosofia pre-socratica, una discussione d'ordine cos psicologica, quale poteva essere quella riguardante la lingua, difficilmente avrebbe per s potuto trovar luogo: quei filosofi infatti, preoccupati principalmente dal desiderio di conoscere quale fosse r origine, la causa, il principio e l' ultima realt delle cose, che cosa cio rimanesse sempre immu- [Croce, Estetica come scienza dell' espressione e linguistica generale. Parte U, Storia, Milano -Palermo -Napoli] labile ed identico a se stesso nelle infinite vicende di nascimenti e di morti, non avrebbero trovato modo di connettere alla loro speculazione, cos piena della fiducia che la realt fosse cos come essa si presentava allo sguardo, alcunch che toc- casse tanto davvicino le condizioni soggettive del sapere, come poteva appunto essere la questione della lingua, ed iniziasse cos quella critica della conoscenza, che occup e preoccup poi tanto il pensiero ellenico dai Sofisti e da Socrate in poi. Il periodo per psicologico - dialettico, afferma- tosi colla sofistica come reazione spontanea delle forze della subbiettivit contro 1’abuso delle forze dell'oggettivit, non sorse ad un tratto, e come da una parte verso 1' avvenire noi vediamo che di tale profondo mutamento i Sofisti non hanno ancora coscienza scientifica, dall' altra verso il passato noi sappiamo che indizii di ricerche psicologiche, fatte an- cora senza uno scopo diretto, ma subordinate a specu- lazioni d' ordine cosmologico e cosmogonico, si sono intrecciate e nel cosmologismo pitagorico, e nel!' ontologismo eleatico, e nel dinamismo eracliteo, e nel mecanismo democriteo;  naturale quindi che accenni a speculazioni suH' origine e sulla natura del linguaggio gi nei sistemi presocratici teste citati, oltre che nelle vaghe espressioni dei primi poeti ^), si possano per quanto faticosamente ed in modo ancora incerto rintracciare. Cratilo.  Pitagora, che per la storia della filosofia ha grandissima importanza per aver egli preconizzato il principio platonico di stabilire V essenza delle cose in qualche cosa di pensato, sicch al suo si- stema i numeri stanno come al sistema platonico le idee, davanti al fatto meraviglioso del linguaggio gi deve aver provato quel senso profondo di me- raviglia ^), che  per se stesso impulso a soddisfare la curiosit ed a creare la scienza. Pare che egli inclinasse all'opinione, sostenuta pei, come vedremo da Cratilo nel dialogo platonico, che da lui prende il nome, che i vocaboli hanno un significato naturale e necessario "-), e che credesse opera singola di uomini sapientissimi V imposizione dei nomi alle cose ^), per quanto non mancano dati per credere  Si tratta di quella meraviglia, di cui parla per es. con tanto entusiasmo Galileo nel dialogo dei massimi sistemi, in cui si dice che la lingua il sigillo di tutte le ammirande invenzioni umane. MARCHI, Origini e vicende dell' alfabeto, Milano. Si  detto pare, che le notizie riferentisi alle spiegazioni date da Pitagora sul linguaggio si trovano nel neoplatonico Proclo, il quale, come dice il Bonghi, ha avuto cura di accompagnarle con spiegazioni, che sentono di un pitagorismo molto posteriore al filosofo di Samo (Cfr. R. Bonghi, Dialoghi di Platone, Voi. V. Il Cratilo, Roma, Proemio, cap. V. pag. 136).  anzi in base a ci che contrariamente a quanto afferma Rothenbiiecher Rothenbuecher, Das System dar Pyfliagoreer nach den Angaben des Arisi. Berlin Zeller (E. Zeller, Die philosophic der Griechen nega che gli inizi delle ricerche linguistiche si debbano riferire a Pitagora. Anche l' as- serzione di Simplicio {Catcg. Scliol. in Arisi. 43, b. 30) secondo cui i Pitagorici avrebbero fatto nascere i nomi cf uos'. e non issasi, non rico- noscendo per ogni cosa che un solo nome indicato dalla sua natura  dallo Zeller dichiarata di nessun valore e da attribuirsi alle categorie falsamente attribuite ad Archita (E. Zeller, op. cit. I, 450, nota 2). CiCEROMS, Tusecnl. \, 25, 62, ELLENO, Var. liist. IV 17.  che fra i Pitagorici stessi si pensasse che inventrice dei vocaboli  un' attivit spirituale diffusa in tutti, cio la o-/Yj concepita come un ricettacolo d' imma- gini e quindi di vocaboli, che sono appunto immagini, in contrapposto al voc, concepito come ricettacolo di tipi e di cose '). Evidenti allusioni a speculazioni degli Eleatici sulla genesi del linguaggio si trovano nel teste citato dialogo di Platone ~), mentre pili precise no- tizie abbiamo in proposito intorno al pensiero di Democrito, che, contro la probabile sentenza di Pitagora, e come vedremo anche di Eraclito, soste- neva essere il linguaggio invenzione artificiale del- l' uomo ''), invenzione, per non gi arbitraria e causale ^), ma sibbene s razionale e necessaria '^ che la natura stessa ha costruito gli organi pi atti a quello ^). 1) Cfr. Bonghi Bonghi Bonghi op. cit. pag. 146, ZOPPI, La filosofia della grammatica, Verona. Democrito cos si esprime " AvS-ptOTio'. X'r/r^c, s'iocoXov 7i?vaavxo upcpaaiv ITiC, po'jXTic:. (Dem, fras-. mor. 17, ediz. MuUach. pag. 167, e 383.) 5) cco le precise parole di Democrito (Fra^. phys. 41); Oov p^[ia iidxTjV yrfvzza,'., XX -iidvza % Xyou ts xal bTz' va";'- y-riQ- (Cfr. Bonghi, op. cit. pag. 358 - 359). 6) Cir. E. Zeller, op. cit. I. 807. Ha senza dubbio ragione Zeller di notare la contraddizione tra il disprezzo mostrato da Democrito per qualsiasi concetto teleologico, e tale corrisponden za da lui con tanta compiacenza notata tra organi e funzioni. Tale contraddizione per non ci pu far dubitare dei testi, da cui il teleologismo democri- teo ci si rivela.  Negli scolii al Cratilo, attribuiti a Proclo, si riportano i quattro argomenti su cui Democrito a- vrebbe appoggiata la tesi di cui si  discorso ; essi sarebbero : cose diverse si denominano cogli stessi vocaboli ; pii vocaboli si adattano a significare una stessa ed unica cosa : i vocaboli si mutano ; non tutti i vocaboli danno luogo agli stessi derivati. Il Bon- ghi per con quel suo solito acume, che fa di lui uno dei pii esaurenti interpreti e dilucidatori del pensiero ellenico, che abbia relazione coi dialoghi di Platone, dimostra che tali argomenti non pos- sono essere stati veramente di Democrito ;  certo per che questi si  occupato dell' origine del si- gnificato dei vocaboli, ed ha ad esso assegnata una ragione non oggettiva espressa nella natura, come pur r indirizzo del suo mecanismo potrebbe far supporre, ma sibbene soggettiva, posta nel!' arbitrio dell' uomo, tale sua tesi appoggiando sopra alcune osservazioni concernenti le relazioni rispettive dei vocaboli, considerati nel loro uso, se non cos espli- cite come quelle indicate dallo scoliaste e da noi poco sopra ricordate, certo per non troppo da esse diverse. Non meno importanti devono essere state le spe- culazioni di Eraclito sull' argomento, di cui si di- scorre.  noto come il tenebroso pensatore di Efeso abbia forse per il primo in modo esplicito saputo innestare al problema cosmogonico, che, come si  detto, era allora il fondamento per ogni scuola, oltre che 1' antropologico ed il morale, anche il pro- blema gnoseologico, che egli risolveva nel senso che bisogna prescindere dai dati dei sensi, i quali ci danno le sole apparenze : ci che importa  la conoscenza razionale dell' universale, cio dell' ar- monia dei contrasti, la Sixyj od il xoiv? \ry(oc, per usare le parole stesse di Eraclito, hi rapporto ed in effetto di tale soluzione come poteva Eraclito risol- vere la questione della natura del linguaggio ? Evi- dentemente egli non poteva che affermare che i nomi in fondo mostrano la natura delle cose da essi significata ^), e che unico studio, che sui vo- caboli si pu fare, si  di scrutare questa natura, che  appunto la cognizione razionale nascosta sotto le parvenze diverse dei suoni : questi adunque entrerebbero nella grande corrente del tutto, mentre il loro significato profondo  la realt di carattere razio- nale, in cui verrebbero ad identificarsi i contrarli come nella ragione suprema dell' essere -) Pur troppo, dati gli scarsissimi frammenti del ^acro poema di Eraclito, da lui stesso, secondo la leggenda, deposto nel tempio di Diana quasi allo scopo che le proprie opinioni non venissero diffuse, noi per nulla sappiamo per quale processo dialettico Eraclito abbia cercato di dimostrare quanto sopra : se dovessimo riferire a lui tutto quanto il suo se- Anche Zeller quantunque non creda, contrariamente all'opinione del Lassalle, che si debba riferire ad Eraclito la dottrina, se- condo cui il nome delle cose ci rivela le loro origini, riconosce per che essa s' accorda perfettamente colle altre dottrine del grande filo- sofo di Efeso (cfr. E. Zeller, op. cit. I. 659). 2) Cfr. in proposito LASSALLE, Die Philosophie Herakleitos des Dunkeln, Berlin 1858, H. part. pag. 412.  guace Cratilo nel dialogo platonico espone per ri- battere r opposta sentenza di Ermogene, dovremmo conchiudere che gi Eraclito era abbastanza pene- trato neir analisi dei vocaboli per dimostrare anche con essa i punti fondamentali delle proprie dottrine ; anche qui per dobbiamo convenire col Bonghi ^) che  ben difficile, se non impossibile, discernere quanto di ci si debba attribuire al maestro e quan- to allo scolaro ; comunque suU' appoggio di alcuni frammenti del poema della natura di Eraclito, e so- prattutto in base ad un passo dell' interessantissimo commento di Ploclo al Parmenide platonico, in cui si afferma che come della scuola eleatica era proprio r insegnare mediante concetti, e della pitagorica il condurre alla cognizione degli enti mediante nozio- ni matematiche, cos era di Eraclito la via mediante i nomi ^), si pu conchiudere che la ricerca della realt mediante V analisi etimologica delle parole gi da Eraclito stesso era stata iniziata e condotta a buon punto. Naturalmente nel sistema eracliteo, Bonghi op. cit. pa^. 140. Lo Zeller (op. cit. I. 659, note 2 e 3) ci pare troppo radicale nel negare qualsiasi rapporto tra le dot- trine sul linguaggio quali appaiono formulate da Cratilo nell' omonimo dialogo di Platone, e quali a lui sono riferite oltre che da Proclo nel passo citato pi avanti, anche da Ammonio {De Interpr. 24 b ; 30 b), ed Eraclito stesso. Sar difficile distinguere quanto si deve al maestro e quanto agli scolari suoi, in ci conveniamo col Bonghi, ma negare a priori qualsiasi rapporto ci pare eccessivo, perch nella deficienza di testi precisi non  lecito anteporre le negazioni nostre alle afferma- zioni degli antichi,  perci che oltre checol Bonghi noi andiamo d' ac- cordo in proposito anche collo Schuster (P. Schuster, Heraklit von Ephesus, Leipzig Procli, Comm. ad Parm. Ediz. Stallbaum, pag. 479.  come Cratilo stesso riconosce nel rispondere alle incalzanti domande di Socrate ^), non era esclusa r idea di un qualcheduno, che ai vocaboli abbia dato origine, di una specie cio di legislatore, il quale per, date la concezione panteistica del dinami- smo fenomenista eracliteo, per cui il fuoco  il dio stesso mutantesi ovunque in grazia di un' energia intrinseca a lui stesso, energia che  anche intel- ligenza, non poteva essere altro che 1' essere uma- no, neir anima del quale appunto tale fuoco divino si conserva nella sua forma pi pura. La questione della natura e delle forme del lin- guaggio divenne per cos dire d' attualit, quando essa della sfera serena delle speculazione astratta discese neir ordine dell' utilit pratica per opera dei Sofisti.  noto quale sia stato il significato del mo- vimento sofistico, e come in esso e per esso dal re- lativismo logico, che suonava la pi grande sfiducia nella soluzione del problema della conoscenza di se stesso, impostosi allora con tutta la sua importanza, si sia ben tosto arrivati al relativismo morale, che tanto bene s' accordava colle condizioni di quei tempi, nei quali in Atene, divenuto il cervello della Grecia, ribollivano sfrenatamente le ambizioni di raggiungere in qualunque modo i primi posti, sicch si vide tosto la critica pratica infrangere i sacri le- gami delle tradizione, e tutte o quasi le abitudini di pensiero sciogliersi per lasciar posto al libero Cratilo esame. La convenienza di studiare le parole ed il linguaggio allora s' impose come uno dei mezzi per raggiungere lo scopo pratico dell' esistenza : di ci abbiamo testimonianze concordi in Senofonte ^), in Isocrate '') ed in Platone ), il primo dei quali anzi dichiara che tale studio era fatto tutto a scapito delle vera ricerca degna di filosofi. In ordine al pensiero, quale fu l' indirizzo se- guito dai Sofisti nelle loro speculazione sul lin- guaggio ? Anche qui per rispondere noi dobbiamo soprattutto interrogare Platone. Le due sentenze gi considerate di Pitagora e di Eraclito da una parte, e di Democrito dall' altra ormai tenevano il campo, e come in fondo intorno ad esse  tutte la discus- sione di Socrate nel Cratilo platonico, cos intorno ad esse deve essersi svolta V investigazione dei Sofisti, in senso realistico, come vedremo, quella, in senso nominalistico questa. Gorgia poteva ben meravigliarsi come mai mediante suoni si potessero significare colori e cose non udibili ""), e molto probabilmente Ippia d' Elide, e non lui soltanto, approfondire lo studio delle due teoriche delle lettere e dei ritmi, quali saranno poi svolte anche nel Cratilo di Platone, e di cui Aristofane prender occasione per aggiungere un altro dileggio al Socrate, quale  dipinto nelle 1) Senofonte, De venatione, 13. 2) ISOCRATE, De permutatione, 48. 3) Platone Euthyd, 305 A. Cfr. in proposito : Prantl, Geschiclite der Logik, Leipzig 1855, Voi. I, pag. 11. 4) Gorgia in De Xenoph. Mei. et Gorg. (in Arist. ed. Didot) cap. 56 Cfr. : B. Croce  Nubi.  ^), Protagora e Prodico si trovavano ancora alle prese col problema se il linguaggio fosse per natura o per convenzione. Di Prodico Socrate nel  Cratilo  ricorda due scritture, in cui si discorreva del perch e del come del significato dei vocaboli -), ed in parecchi passi di Platone ^) viene sottilmente derisa V arte di Pro- dico di distinguere quelli non gi secondo il con- cetto di una somiglianza reale tra il suono e la cosa espressa, sicch ogni vocabolo sia appropriato ad esprimere un solo oggetto e non altro che quello, ma sebbene, secondo una felicissima induzione del Bonghi ^) pienamente conforme all' indirizzo generale della Sofistica tutta quanta, in relazione al semplice uso delle singole parole, sicch  lecito conchiudere che Prodico traesse appunto dell' uso il motivo e la ragione in genere del significato dei vocaboli. Protagora invece, a proposito della questione del linguaggio, segu ed approfond l' indirizzo stesso di Eraclito, del quale in fondo si pu ritenere un seguace non solo in rapporto all' argomento, di cui stiamo trattando, ma anche in genere per tutta quella sua concezione relativistica-scettica, che  deriva- zione legittima della risposta data al problema gno- seologico da Eraclito stesso ^). L' etimologizzare, 1) Aristofane, Nubi, verso 638. 2) Cratilo, 384 B. 3) Protag., 337 A. 340 C, 358 A., Menon. 75 E., Charon. 163 D. Euthid. 277 E. 4) Bonghi, -op. cit. pag. 151. 5)  Platone stesso (Teeteto, 152) che parla di rapporti tra Eraclito e PRIMA DI PLATONE 13 per esempio, era comune nella speculazione prota- gorea e tale operazione, fatta anche per ottenere il retto uso delle parole ^), in essa si faceva in rap- porto a quella dottrina che Platone attribuisce ap- punto a Protagora nel dialogo, che da lui prende il nome e che si pu formulare cos : V intelletto umano crea i vocaboli secondo V impressione che riceve dalle cose, secondo cio 1' opinione che se ne forma, per il che essi sono diversi -).  evi- dente che con tale dottrina male si accordava il concetto fondamentale di Protagora : essere ognuna cosa ci che a ciascuno pare, questo concetto be- nissimo si sarebbe accordato coir antica opinione di Democrito, sostenuta nel Cratilo da Ermogene, che ciascuna cosa abbia quel nome qualsiasi che le si mette. Coir antica opinione di Eraclito invece, con- divisa pienamente da Protagora e da lui applicata anche in certe sue dottrine grammaticali sui generi dei nomi e sulle varie specie di discorsi ''), si ve- niva in fondo ad ammettere che ad ogni cosa cor- Protagcra, e senza dubbio tali rapporti sono molto pi verosimili di quelli che da Epicuro (DIOGENE L. IX, 53 ; X, 8) si credeva fossero intercorsi tra Protagora e Democrito (Cfr. F. Ueberwegs, Grnndriss der Geschichte der Philosophie, Siebente Aufgabe, Berlin Platone, Phadr. 267. C. 2) Protagora, 332 A. 3) Cfr. Aristotele, Rhet. HI, 5 ; Poet. 21 ; Elenc, Sophist. I ; Ari- stofane, Nubi 666, 851, 1251; QUINTILIANO, Inst. III. 4: (Cfr. BON- GHI V, op. cit. 152, -e 359). Diogene Laerzio, per es., (IX. 53) dice che Protagora per il primo distinse il discorso in quattro forme e modi e cio : s'/wY], ponvjaic;, Ttywp'.o'.c;, svxoXi^,  risponda un' essenza sua propria sempre costante e coerente a se stessa, s da rispecchiarsi sempre ed egualmente nel vocabolo che V esprime. Platone nel Cratilo ^) tale contraddizione ha notato, senza per insistervi, o perch a lui bastava mettere un' altra volta in iscacco il famoso Sofista, o perch anche egli nel Cratilo stesso in contraddizioni  caduto, senza potersi da esse liberare in modo esauriente. V eco di tante discussioni sulla natura del lin- guaggio  sino a noi arrivato per opera di Platone, che di esse, come dice il Croce, ci ha lasciato il mo- numento eterno nel  Cratilo,  miracolo di luce e di tenebre, come  chiamato dal Bonghi '-), il quale di esso ha tentato di spiegare il significato profondo, dopo d' aver fedelmente riassunte le spiegazioni, che del medesimo hanno, tentato i diversi chiosatori ed interpreti nel corso dei tempi. Fra r ondeggiare delle diverse soluzioni che suir origine e sulla natura dei nomi si avvicendano nel Cratilo platonico, ci che risulta in modo evi- dente  la connessione della questione, di cui vi si discute, con un' altra ben pii larga e di ordine pre- giudiziale e cio la questione gnoseologica della cono- scenza, da Platone discussa, come  noto, anche nel Teeteto, in cui appunto si tenta di dimostrare che la cognizione non sta n nella sensazione, n nell' 1) Cratilo, 385 E ; 386 D. 2) Bonghi, op. cit. pag. 31.  opinione, n nell' opinione giusta, n nell' opinione giusta e provata, e si lascia indirettamente in- tendere clie la vera cognizione sta nella visione delle idee. E perci che di tutte le interpretazioni date del Cratilo la pi probabile pare a noi quella del Giussani ^), il quale, allargando quanto in pro- posito il Susemihl ~) e lo Steinthal ^) gi avevano intui- to, viene a dichiarare che il problema posto da Platone nel Cratilo  questo : Quale  il valore del linguaggio rispetto alla cognizione ? e ci per confutare quanto i Sofisti, e Cratilo, probabilmente perch seguace di Eraclito, affermavano ^) che i nomi sono non solo il migliore, ma il solo mezzo, che conduca alla co- noscenza delle cose, giacch al contrario di ci sta il pensiero nucleo di tutto il dialogo : la cogni- zione viene dalle idee e non dalle parole ; in altri termine  il realismo socratico in contrapposto al nominalismo sofistico '0. Le due tesi, ormai tradizionali, come abbiamo visto, nel pensiero ellenico presocratico, vengono nel Cratilo nuovamente esposte, Cratilo, da buon eracliteo, vi vuol sostenere che il linguaggio  '^osl 1) e. GIUSSANI, La questione della lingua secondo Platone e secondo l’orto, Memorie del R Istituto Lombardo di Scienze e di Let- tere, Susemihl, Entwickelung der platonischen Philosophic, Leip- zig 1860, H. voi. pag. 144 e sgg. 3) H. Steinthal, Geschichte der Sprachwissenschaft, Berlino 1890, pag. 76 e sgg. 4) Cratilo, 436 A. 5) Cfr. in proposito O. WiLLMANN, Geschichte des Idealisms, Braunsweig  non gi nel senso che cpcjsi sia V origine del mede- simo, ma bens nel senso che il nome deve corri- spondere in s stesso alla r^baic della cosa nominata, altrimenti esso non solo non sarebbe nome giusto, ma un non nome affatto; Ermogene invece, in questo seguace piuttosto di Democrito, sostiene che i nomi sono affatto arbitrarli senza alcun bisogno di una relazione qualsiasi tra essi e la cosa nominata, nulla importando se anche vi  opposizione tra un senso inerente per s al vocabolo e la natura del nominato.  evidente che ambedue le tesi concordavano in questo che non pregiudicavano per nulla la que- stione deir origine prima del linguaggio, questione che vedremo direttamente affrontata da Epicuro, o per lo meno presupponevano entrambe in linea pregiu- diziale che gli uomini stessi avevano posto i nomi alle cose, cio il linguaggio era per tutti Qkazi, ma questo mettimento di parole per alcuni era stato fatto seguendo la natura (^fast), per altri invece per un semplice accordo ( aDvi^r^vc-^j).  vero che nel  Cratilo  e'  anche un accenno all' ipotesi di- vina del linguaggio ^), ma tale ipotesi, per quanto accennata anche da Socrate,  posta avanti da 1) Cratilo, 438; Cr.. Devtschle, Die platonische Sprachphilo- sophie, Marburg 1852, pag. 48. In merito a tale opinione dell' origine di- vina del linguaggio, vale la pena che noi ricordiamo anche 1' opinione espressa da Protagora nel dialogo omonimo di Platone (322 A), secondo la quale l'uomo avrebbe prima avuto cognizione degli Dei, e poi avrebbe imparato ad usare il linguaggio.  Cratilo stesso nella discussione come un vago so- spetto, su cui Socrate crede inutile insistere e non vi insiste di fatto, anche perch non  quello il pro- blema che interessa direttamente Platone, il quale in tutto il dialogo mostra non gi di negare il pro- blema primo dell' origine del linguaggio, ma sibbene di averlo sorpassato, per convergere tutte le risorse della sua dialettica a liberare il problema gnoseolo- gico di un altro ostacolo, forse pi pericoloso di altri discussi nel Teeteio, che alla soluzione di esso si opponeva, quello cio che derivava dalla presunta naturalezza dei nomi, analizzando i quali si sarebbe, secondo alcuni, arrivati a conoscere l' intima natura delle cose da essi significati. Quale  la conclusione a cui arriva Socrate nella lunga discussione sostenuta per la maggior parte del dialogo ^ con Ermogene e poi col vero suo avversario Cratilo ? Anche qui, come in altri dia- loghi di Platone, la conclusione, se pur v' ,  di carattere piuttosto negativo. Dapprima Socrate di- scute la teoria di Ermogene e sulla base di moltis- sime etimologie contesta a lui diritto di ammettere che i vocaboli siano una pura ed arbitraria inven- zione dei primi uomini, e giustamente a nostro cre- dere, perch se fosse vero che i pi sapienti degli uomini, i dialettici, come sono da Socrate stesso chiamati '), avessero creati i vocaboli, come era ipo- 1) Di 44 capi, di cui risulta il  Cratilo  ben 37 sono impiegati nella discussione con Ermogene. 2) Cratilo  tesi pregiudiziale di Ermogene e di Socrate,  un fatto che tale creazione essi avrebbero fatto dietro certi criteri, e con alcune norme risultanti loro dal- l' impressione fatta sulla mente loro dalle cose da nominarsi ; ci adunque Socrate tenta coli' etimo- logie di spiegare ad Ermogene, e lo fa tanto piii volontieri in quanto che ammettendo come ragione del vocabolo il fatto psicologico dell' impressione comune fatta dalle cose da nominarsi sulla mente degli uomini, veniva a battere un' altra volta in breccia il relativismo di Protagora, che ammetteva ogni cosa avere un oooia pienamente soggettiva, mancando di ogni base oggettiva, il che era ne- gato dall' impressione uguale fatta dalle cose per tutti, impressione che presupponeva un elemento oggettivo sempre uguale e coerente a se stesso, mentre d'altra parte sfatava anche 1' opinione di Eu- tidemo, secondo cui ogni cosa pu in ogni momento parere ed essere ad ognuno in ogni modo ^). Senonch salva cos la controtesi di Socrate in raffronto alla tesi di Ermogene, non resta per salvo per nulla il modo che Socrate adopera per dimostrare quella : nella prima parte infatti delle sue etimologie egli non fa altro che scindere i vocaboli nei loro presunti componenti, nel che fare egli sposta il problema, facendolo, per cos dire, in- dietreggiare, senza punto risolverlo ;  vero che pi avanti egli parla anche degli elementi primi, 1) Cratilo 368 B-E.  le lettere, i singoli suoni, e le sillabe ^), collo scopo esplicitamente affermato di dare ad ognuno di tali elementi un valore specifico -'), ma evidentemente nel far ci Socrate tentava spiegare obsciimm per ob- scurus, e non riesce a far sprigionare alcun sprazzo di luce ad illuminare le incognite formidabili del problema, che egli aveva preso a discutere, inco- gnite che egli intu, ma che non pot risolvere anche per le condizioni stesse della scienza d' allora. Si  disputato se tutto il lavoro etimologico, quale si mostra nel Cratilo, non fosse in fondo in fondo che un continuo gioco di ironia ') ; alcuni passi del Cratilo stesso conforterebbero una tale opinione, specialmente quelli in cui Socrate col sor- riso sulle labbra dice ad Ermogene che in quel giorno egli veramente si sentiva in vena di etimo- logizzare, perch invasato di sapienza divina, infu- sagli quella mattina da Eutifrone ^), e gli altri nu- merosi in cui egli e di fianco, e di fronte, ed alle spalle colpisce con sottilissima ironia i seguaci di Eraclito a proposito specialmente della loro teoria del perpetuo divenire del tutto '") ; riflettendo per bene ci dobbiamo convincere che se V ironia so- 1) Cratilo 426 C-427 D. 2) Tra 1' altro Socrate sostiene che 1' /  dalla lingua adoperato ad indicare ci che  sottile, orbene un tale riflesso suU' esilit del suono i rimase poi comune nella grammatica medioevale Ovidio, ALIGHIERI (vedasi) e la filosofia della lingua, in Studi sulla D. C, Milano - Pa- termo. GIUSSANI Cratilo 39(5 D. 5) Notiamo che la famosa formola eraclitea Tidvxa ps si legge ap- punto nel Cratilo (412 A), come anche nel Tceteto (181 A).  cratica  rivolta forse contro V abuso nel!' etimo- logizzare, non lo  affatto contro V uso ^), tanto pi che u n tale lavorio d i ricerche Socrate sparge qua e l osservazioni seriissime e profondissime in istretto rapporto col problema nucleo di tutto il dialogo, proposto pi avanti da Cratilo stesso sotto la formola : i nomi si danno per ragione d' insegnamento, perch essi rispecchiano veramente la natura della cosa nominata ~). Se badiamo bene infatti tutta la prima parte del dialogo coir occhio rivolto alla seconda, vediamo che tra le due vi  un legame pi stretto di quello che a prima vista non paia, appunto perch nella seconda non sono che messe in luce da una parte le conseguenze e dall' altra i principii di tutto quanto a mo' di esemplificazioni si  andato nella prima svolgendo. Socrate nel rispondere al semplicismo di Ermogene, che i vocaboli calcolava come mere in- venzioni artificiali ondeggianti a caso nel mare delle conoscenze umane, dimostra tutto il lavorio riflesso, che sotto le parole s' asconde : essi sono i termini che fissano e legano ed irrigidiscono tutte le note costituenti i concetti, esse non nel loro suono ma- teriale, ma sibbene nelle loro esigenze formali sono r esponente necessario del pensiero umano, quello pu essere qualsiasi, come qualunque pu essere il 1) E noto che anche oggi si ammette che il processo delle ricerche linguistiche riposa in gran parte sulo studio delle etimologie e sulla storia individuale delle parole e dei loro elementi WHITNEY. La vie dii langage, Paris 1875, pag. 257). 2) Cranio  colore di una medicina, non essendo il colore parte dell' essenza di un farmaco, una volta per fissato, il suono  strumento necessario nell'espressione del con- cetto, non gi per quello che esso , ma sibbene per quello che esso esprime nell' accordo o per lo meno nell' abitudine di tutti ^), tanto  vero, ag- giunge ripetutamente Socrate, che  il quello che   del nome pu variare e trasformarsi s da perdere il primitivo valore significativo : ci ben poco im- porta, purch, rimanendo 1' accordo nell' intendere date cose significate da date parole, tali parole adempiano sempre il loro ufficio tra gli uomini -). Come si vede, tale ordine di considerazioni se sono importanti per noi^ non risolvono per nulla la questione proposta da Ermogene, mentre sono im- plicitamente negazione della tesi di Cratilo ; per ri- spondere a quello, Socrate avrebbe dovuto, come dice benissimo il Giussani '), fare quello che ha fatto poscia Aristotele, distinguere cio il doppio aspetto sotto cui si deve considerare 1' essere della parola, il suo essere come prodotto storico ed il suo essere come prodotto di pensiero ; ci non avendo fatto, per tutto la prima parte del dialogo Socrate continua a confondere V esser suo come prodotto storico, predicando di questo ci che in realt non si doveva che predicare di quello.  1) I passi del Cratilo, da cui soprattutto crediamo si pu dedurre quanto sopra, sono : 386 E, 300 A, 393 D, 394 A, B ; 411 D. 2) Anche qui le parole di Socrate sono esplicate, cfr. Cratilo, 435 B-D. 3) Giussani, op. cit. pag. ni.  perci che Ermogene non ha una risposta definitiva sulla propria tesi, appunto perch se ad una con- clusione definitiva e sintetica Socrate avesse voluto venire, avrebbe nella medesima visto vaneggiare quella contraddizione stessa eh' -egli aveva qua eia sparso per tutta la discussione pur tra le risorse pi attraenti del suo spirito e la suggestione pi pene- trante de' suoi sorrisi. Egli  che, come gi si  detto, la vera que- stione non era gi quella esposta da Ermogene, ma sebbene quella sostenuta da Cratilo, che Socrate ha sempre di mira anche quando s' indugia a ri- spondere al primo. Nella discusrsione infatti soste- nuta con Ermogene il protagonista in fondo non fa altro che prepararsi la strada su cui poter cam- minare pi spedito, quando pi tardi direttamente si trover di fronte il vero avversario ; dimostrando il tesoro di pensiero che sotto e dietro le parole si appiatta, egli solo in apparenza piglia di fronte la tesi di Ermogene, dalla portata della quale esorbitava il problema della produzione logica dei concetti, il passaggio cio dalle immagini singole alla formazione del concetto astratto ed universale, bastando solo ad essa una risposta negativa o positiva sulla somi- glianza tra cosa e persona, cosi leggermente negata da Ermogene ; tutto ci invece aveva rapporto stret- tissimo colla tesi di Cratilo, ed  perci che So- crate insiste neir etimologizzare, cercando di ridurre dapprima i nomi propri e particolari a nozioni co- muni e pi generali, e queste poi a nozioni pi ge- nerali ancora su su fino a quei concetti universali, che Aristotele avrebbe chiamato categorie, e che Socrate, sempre coli' occhio rivolto ad Eraclito e per esso a Cratilo, riassume tutto ironicamente nel concetto di moto. Come si vede adunque  tutto un lavorio sulla sostanza delle parole e non sulla forma della medesima che fa Socrate, il quale, pur ammettendo anche una certa giustezza nel suono delle parole, gi ammessa del resto anche da Protagora ^), il che era perfettamente logico, giacche, come gi si  detto, dovendosi e volendosi in qualche modo spie- gare r origine dei vocaboli, era naturale V ammet- tere che nella scelta di essi avesse pur presieduto un criterio qualsiasi, quando sopra questa giustezza vuol ragionare, opponendosi con ci direttamente all' opinione di Ermogene, usa di due argomenti teorici che proprio non hanno alcun valore. Uno  che come le cose hanno un' essenza loro oggettiva in- dipendente dalla nostra cooperazione, e per le o- perazioni che si fanno sulle cose, per es. il bruciare ed il tagliare, sono determinate da codesta loro na- tura, cosi  r opinione dei nominare '), a proposito dei quale argomento, come osserva giustamente il Giussani ),  il caso d' opporre : paragone non  ragione, giacch col dare un nome ad una cosa non si fa proprio nessuna operazione sulle cose. Anche 1' altro argomento non  meno debole ; Socrate dice infatti : ogni proposizione  vera o I) Cratilo, 391 C. 3) Cratilo, 386 E e sgg. 3) Giussani, op. cit. pag. 109.  falsa, dunque per esser vera bisogna che ogni sua parte sia vera, quindi una certa giustezza ci deve essere nei nomi, che sono appunto le parti della proposizione ^), al che gi benissimo ha obbiettato Aristotele col dire che solo un giudizio pu esser vero 0 falso, mentre un nome da solo non  n vero, n falso, esso  quello che , ed  solo col- r aggiunta dell' idea dell' essere o non essere che pu derivare la verit o la falsit del rapporto sta- bilito tra due o pi nomi. Siamo adunque qui in presenza di un vero sofisma, il quale per prova un' altra volta come a Socrate importava soprattutto trascinare la discussione sul valore non materiale, ma bens formale dei vocaboli, in quanto sono ter- mini espressivi di concetti, e tutto ci per esser pi pronto ad opporsi alla tesi di Cratilo sul va- lore materiale dei vocaboli in quanto esclusivi e- lementi didattici sulla natura delle cose da essi e- spressa. Il ragionamento usato da Platone per combat- tere tale tesi cos si pu ridurre in forma schema- lica. I nomi sono espressioni di concetti, quindi essi sotto di s nascondono la vera natura delle cose, la quale appunto si trova riassunta n suoi caratteri essenziali e generici nel concetto ; tale rap- porto intimo e necessario per tra nome e concetto non  gi da riferirsi al nome come composto di quei dati suoni, ma sibbene al suo carattere formale 1) Cratilo, 385 B, C.  di essere quel nome diverso da altri ;  falsa quindi, 0 per lo meno enormemente eccessiva la tesi di co- loro che, come Cratilo e gli Eraclitei in genere, dall' analisi del nome vorrebbero arrivare alla natura della cosa : perch essi partono da ci che  nella maggioranza dei casi puramente accidentale e relativo per arrivare a ci che  eminentemente generale ed assoluto ; per giungere a questo ci vuol ben altro criterio estraneo e superiore al linguaggio, criterio che Socrate nel Cratilo non espone, ma che tosto ci fa pensare alia teoria platonica delle idee. Esposto cos il ragionam.ento opposto a Cratilo, si capisce subito quanto valore per esso abbia la discussione fatta precedentemente sui moltissimi nomi, colla quale Platone ha voluto mostrare entro quante limitazioni vada inteso il principio che i vo- caboli sono 'fasL a quante cause d' errore vada soggetta la formazione cpasi delle parole, a quanti svisamenti vadano soggette le originarie formazioni 'fasL ed a quante incertezze quindi vada incontro r indagine della nozione o valore predicativo origi- nariamente contenuto nei vocaboli. Ora se ci , e si noti che a tale risultato So- crate  giunto pur partendo dall' idea di opporsi alla sentenza di Ermogene, che negava appunto qual- siasi rapporto naturale tra cosa e vocabolo, e se anche coli' analisi degli elementi primi delle parole, che pur dovrebbero rispecchiare in se maggiormente la natura delle cose, gi Socrate era venuto a ve- dere tutta r incertezza, anzi tutta la falsit di accet- tare gli elementi od i vocaboli primi quali strumenti  di cognizione ^), in che modo si poteva sostenere, co- me faceva Cratilo, che i nomi solo ci insegnano, per- ch essi soli sono non gi il migliore, ma 1' unico mezzo di arrivare alla cognizione degli oggetti ? ^) A tali argomenti d' indole, diremo cosi, pratica Platone ne aggiunge ben altri d' indole piuttosto teo- rica, che senza dubbio rappresentano la parte pi seria e pi profonda di tutto il dialogo, appunto perch confutazione solenne di quella tesi, che, una volta ammessa, avrebbe suonato opposizione fortis- sima alla teoria nucleo di tutto il sistema gnoseolo- gico di Platone. Anzi tutto Socrate combatte il con- cetto di Cratilo, su cui evidentemente la sua tesi si fonda, della costante e piena ed essenziale giustezza dei nomi, in apparenza riducendo i nomi a ritratti, in realt riducendoli, mediante il confronto coi ri- tratti, quasi a simboli dotati di una minima ed insi- gnificante virt espressiva "). Inoltre egli oppone a Cratilo quest' altro argomento : chi mise i nomi, li mise secondo il concetto che s' era fatto lui delie cose, ma se questo concetto era sbagliato ?  evi- dente che noi corriamo gran rischio di esser tutti in- gannati, cercando gli oggetti dietro le scorte dei nomi *). Cratilo allora, che credeva tutto il linguag- gio formato sul concetto eracliteo del moto essen- 1) Cfr. Cratilo 424 C ; si veda in proposito la sottile ironia di So- crate nelle parole : Le cose in veste di suoni vocali, che bella figura! (425 D). 2) Sulla portata cos esclusiva della tesi di Cratilo cfr. Cratilo 436 A, 3) Cratilo, 432 E, 435 C. GlUSSANI, op. cit., pag. 121. 4) Cratilo. 439 B.  ziale delle cose, ed al quale tale credenza pareva confermata da tutta la precedente indagine etimolo- gica, risponde che il pericolo d' inganno nei primi nomenclatori appare manifestamente escluso da quella coerenza del linguaggio con un unico concetto fon- damentale ^) ; ma Socrate gli mostra in primo luogo che quella coerenza non gioverebbe, perch po- trebbe esser tutto sbagliato coerentemente ad un principio sbagliato, poi gli fa vedere che la coe- renza non esiste, e che alcuni nomi sono fondati non gi sull' idea di moto, ma piuttosto di stare ~), d' altra parte se e'  bisogno dei nomi per conoscere le cose, con che nomi le avranno conosciute quelli che primamente crearono i nomi per le cose ? '). Cratilo se la sbriga dicendo che chi ha imposto i nomi sar stato un essere sovrumano, ed allora devono essi esser tutti giusti per forza ; ma Socrate di rimando : allora la divinit si sarebbe contraddetta, perch e'  contraddizione nei nomi, supponendo gli uni un con- cetto delle cose, gli altri un concetto opposto, per il che 0 gli uni o gli altri non sono giusti. Cratilo 1) Cratilo, 436 C. 2) Cratilo, 436 D-437 D. Per decidere la questione tra i nomi che accennano moto e gli altri che accennano stare, Socrate ironicamente propone il criterio della maggioranza, e cio dice:  vediamo se quelli che indicano moto sono i pi, se si, quello sar il vero. Naturalmente Cratilo rifiuta di accettare un tale criterio Cratilo. Notiamo che questo  forse il primo caso in filosofia in cui si propone un tale cri- terio della maggioranza, criterio che, come  noto, lo Stuart-Mill ha poi sostenuto, come qualche cosa di legittimo, nel campo morale per la stima, che si deve fare per certe azioni, le quali saranno buone se sa- ranno come tali stimate ed attuate dalla maggioranza degli uomini. 3) Cratilo, 438 C.  allora col solito ritornello risponde : quelli che sem- brano i nomi falsi non sono nomi. Quali ?, incalza Socrate, gli uni o gli altri, quelli che indicano moto 0 quiete ? Non sapendo Cratilo che dire, Socrate si affretta a venire alla conclusione di tutto quanto il dialogo ; dunque, egli dice, poich e'  guerra fra i nomi, per decidere fra essi e quindi anche per de- cidere sulla natura degli enti,  necessario un ben altro criterio che non sia il nome stesso, criterio su- periore, discutere sul quale per  cosa ben mag- giore che da te e da me, per ora e'  da conten- tarsi per lo meno di questo che gli enti non gi dai nomi, ma molto da essi stessi si devono e ricercare ed apprendere ^).  questo un velato accenno alla teoria delle idee ? Gi abbiamo risposto in modo affermativo, neir opinione che ben poco significato avrebbe il Cratilo di Platone, se non avesse alcun rapporto col problema gnoseologico, risolto da Platone appunto colla teoria delle idee in genere, e colla dottrina della reminiscenza in ispecie, n pi n meno di quello che sarebbe del Teeteto se tale rapporto non esistesse anche in lui e per lui. E cos, date le due note tesi tradizionali sulla natura del linguaggio e- sposte da Ermogene e da Cratilo, Socrate non ha accettato n 1' una, n 1' altra, egli ha combattuto la prima per poter meglio far giustizia della seconda ; il problema a poco a poco sotto V assillo della sua 1) Cratilo dialettica si  spostato ed ingrandito, da psicologico esso si  fatto metafisico. Ermogene e Cratilo da Socrate dopo la disputa di quel giorno se ne saranno dipartiti non troppo soddisfatti : anche noi dopo la lettura del Cratilo, pur ammirando 1' arte squisita dell' autore, non ci sentiamo per nulla persuasi della soluzione negativa data al problema, sembrandoci piuttosto che s sa- rebbe dovuto cominciare l dove il dialogo invece finisce ; per riflettendoci pi bene, tosto ci accor- giamo che r agnosticismo di Socrate era forse il meglio che ci si poteva in proposito offrire, perch qualunque soluzione poteva infatti esser impedimento ad arrivare l donde solo ha potuto o potr deri- vare a noi di tale problema una soluzione adeguata. L' indirizzo cos alto e diremo quasi generoso seguito da Platone nella discussione sulla natura dei nomi, la ricerca sui quali entr cos per lui definitivamente nel campo sereno della filosofia, dove, come avremo occasione di vedere in seguito, essa rimase poi a lungo sempre con dignit e de- coro, era senza dubbio frutto diretto dell' insegna- mento di Socrate, il grande paladino appunto della personalit pedagogica della parola, per usare un' espressione del Franti ^). Ciie ci sia, lo si pu anche dedurre da quanto sulla natura dei vocaboli si disput nelle altre scuole, germinate dall' inesau- 1) Prantl, Geschichte der Logik, Leipzig 1855, Voi. l, pag. 29. " ribiie tronco socratico come altrettanti rami minori di fianco al ramo principale della scuola di Platone. Considerassimo per i Cinici Antistene e tosto, come ci dice Aristotele ^), vedremmo ben chiara la distinzione tra conoscenza per concetto ed astra- zione mentale, e ben riconosciuta V incompatibilit di questa ad esprimere la complessit di quella ; considerassimo invece per i Megarici Diodoro, e tosto vedremmo che da lui si accentua quel sistem.a noto nella storia della filosofia colla denominazione di Nominalismo, che gi accennato nei Sofisti, gi gii attraverso gli Stoici ebbe poi tanta importanza anche nello svolgimento della filosofia cristiana me- dievale ~). Ammetteva tra 1' altro Diodoro che gi nella parola come tale sta in modo pienamente definito il momento significativo del concetto, tanto che  impossibile che vi sia parola ambigua ed incerta, e quando nella parola e nel sentire pare che non ci sia accordo, egli  perch si tratta di espressione oscura, non gi per ambigua, ambigui enim verbi natura illa esse debiiit, ut qui id diceret, duo vel plura diceret, nemo autem duo velplura dicit, qui se sensit unum dicere ").  per soprattutto in Aristotele che noi troviamo ancor magnificamente affermata la nobilt che alla questione dei nomi gi Socrate e dopo di lui Pla- 1) Aristotele, Metapli. V. 20, VHI. 3 ; anclie Diogene Laerzio. VI, 3. 2) Cfr. Prantl op. cit. pg. 36, 37 3) Gellio  tone avevano accordata, e come quegli per ci che riguarda la logica ha pienamente compresa e svolta e sistematizzata la grande intuizione socratica del concetto in contrapposto all' antico particolarismo sofistico ^), cosi per ci che riguarda i vocaboli, egli appronfond maggiormente la loro vera natura, quale solo era stata appena adombrata da Platone neir ultima parte del Cratilo, stabilendo appunto quella differenza a loro riguardo tra contenuto sto- rico, ed il loro essere come instrumento di comunica- zione, di pensiero che fu poscia feconda di tanti risultati indiscutibili. La dottrina aristotelica sulla natura del linguag- gio si pu cos riassumere : sono suoni vocali tutti quelli in cui la voce o sola od accompagnata  strumento 0 ; sono quelli simboli o note, per usare la parola di Cicerone^), delle affezioni, '^at-viixaia, dell' animo, come i caratteri sono note dei suoni vocali ; ora le affezioni dell' animo sono in tutti le medesime, come medesimi sono gli atti, 7rriY{j.aia, che ad essi corrispondono : diversi invece sono per i diversi uomini i suoni vocali che li , possono esprimere, come diversi sono i caratteri : quelli adunque, cio gli atti, sono vere immagini delle affezioni ed hanno. 1) Cfr. Prantl, op cit. Voi. 1 pag. 95, Aristotele, De Interpretatione 2. 16 e sgg. Avremo occasione pi avanti di conoscere l' importanza di questo passo dello Stagirita in rapporto alla Patristica ed alla Scolastica. 3) Cicerone, Top. 8. 35, dove si legge : Itaque hoc idem Aristoteles ojiPoov appellai, quod latine est nota. per dir cos, carattere al tutto oggettivo, questi invece, cio i suoni, non ne sono che i segni pura- mente arbitrari e soggettivi ^). Da ci derivava per Aristotele 1' altra dottrina importantissima, gi anche questa accennata da Pla- tone, che dell' uso e dell' abitudine fa parecchie volte accenno, senza per dare alla loro portata una base sicura di stima; se le parole sono segni arbitrarli,  evidente, diceva Aristotele, che il loro valore, come strumento di pensiero, non sar frutto che di un accordo di quelli che le usano : -) ; nessuno vocabolo in altri termini ha significazione per na- tura ^) ; ci  certo per Aristotele, il quale per non ha voluto spiegarci poi perch essi sieno quel che sono, se cio essi sieno (p^si o {>ast, per na- tura 0 per r opera di alcuni uomini, come pure era 1) Giustamente il Bonghi (op. cit. pag. 178) mette a confronto con tali dottrine aristoteliche le contrarie dottrine accennate da Platone, che i vocaboli furono trovati non per imitare gli altri suoni, ma per imitare il concetto delle cose che indicano {Cratilo 423 B.), e che il nominare  un atto come ogni altro atto (386 D. e sgg.) ; ci pare per che a confortare la propria tesi che Aristotele abbia veramente conosciuto il Cratilo, il Bonghi avrebbe potuto ricordare quella parte di questo in cui si parla degli atti, con cui 1' uomo pu manifestare le sue affe- zioni (Cra///o 422 E -423 B.), che molto probabilmente  lo spunto primo della dottrina aristotelica dei 7tpdY[iaxa |i!.|JLr^|Jiaxa in contrapposto ai vocaboli semplicemente aYjiis!,a. 2) Vale la pena che anche qui noi richiamiamo le parole stesse di Ari- stotele : ioxi Xfoz auas |Jiv aY]|iavx'.>tc oOx w^ opyayov Ss, XX' oOTZBp s^pYjxai %ax oovS-txtqv. (De Interp. IV. 4). 3) Aristotele nel passo citato del De Interpret. dice : ^lias'. xiov voaaxtov oSsv saxu  ammesso da Platone ; il contenuto storico dei sin- goli vocaboli, pur essendo distinto dal loro essere come strumento di pensiero, non  curato dalla Stagirita che nega perci. alcun valore alla decom- posizione del vocabolo per la ricerca del suo si- gnificato ^), come nega, e giustamente, come gi si  detto a proposito dell' opposta dottrina accen- nata da Platone, che vi possano essere nomi veri 0 falsi. Sbarazzato cos il campo di tutti gli impacci che derivavano dalle considerazioni riguardanti le parole in quanto suoni, Aristotele in un passo fa- moso del De anima -) stabilisce la differenza tra la parola dell' uomo, ed i suoni emessi dagli altri ani- mali, differenza che sta appunto nel significato im- presso a quella della immaginazione (t aviaaia). Tanto quella per come questi hanno comuni certe con- dizioni fisiche, tra cui la pi importante  la presenza dell' aria, e certe condizioni fisiologiche, sulle quali ritorna spesso Aristotele, segnando in proposito al- cuni insegnamenti, che poi restarono come punti fissi della scienza ulteriore ^). La parte per pii importante delle dottrine di l)Cfr. Bonghi op. cit. pag. 180, e Giussani op. cit. no. Notiamo per che tale affermazione di Aristotele, la quale pure ebbe fortuna neir et di mezzo, fu in certo qual modo infirmata dello Stagirita stesso laddove egli ha formato parole nuove per dare colle etimologie ragione di un dato concetto, pensiamo per es. al S-.j^aoTr^g ed al Zlyjx'.oc, oxi ScXa ax ( Eth. Nic, V. 4. 9). 2) Aristotele, De anima U, 8. 3) Aristotele, De hist. anim. II, 17 ; De pari. anim. II, 17 e sgg. ; De physiognom, 2 ; Problem. XXXIII, 4. Aristotele riguarda le parole in quanto instrumenti del processo intellettuale. Memore della diminutio capitis inflitta al vocabolo da Antistene, e contrario all' ottimismo manifestato in proposito da Platone 0, Aristotele confessa che il linguaggio  purtroppo un espediente difettoso ed incerto per la ragione dell' uomo ~) ; oh se si potesse, dice lo Stagirita, nel ragionare presentarci gli uni e gli altri le cose stesse, senza passare attraverso i simboli di essi : le parole ^) ! Ci per  impossibile, le parole adun- que sono da stimarsi come utile all' acquisto della scienza ^), anzi esse stesse devono essere oggetto di studio, da qui, per esempio, la distinzione prima- mente affermata da Aristotele tra voci con senso ('^covai arj(j.avTrx,a') e voci prive di senso (-^tovai aor^- ^at ^), tra nome e verbo, tra ovofia cio e p'?)[j.a ^). Quello che vale soprattutto per per Aristotele  r agitarsi del pensiero, la formulazione cio del giudizio come rapporto negativo e positivo di con- cetti e r attuazione del ragionamento come rapporto 1) Cratilo 384 B. 2) Aristotele, El. Sopliist. 164 A. B. 3) Anche questo  un riflesso che dur poi, come vedremo, poi per tutta r et di mezzo fino al Cusano (Cfr. NICOL CUSANO, De docta ignorantia, Lib. I, cap. II). 4) Aristotele, De sensii et sensibili, cap. I. Notiamo che la ne- cessit del linguaggio per ' uomo fu poi sostenuta, come vedremo, an- che dalla Scolastica, la quale per pot corroborare 1' argomento ari- stotelico con un altro, la non necessit della parola negli angeli ; su tale questione si pu leggere quanto ha scritto Dante, anche in ci fedele interprete degli insegnamenti delle scuole, {De vulgar eloquio I, 3). 5) Cfr. G. B. Zoppi op. cit. pag. 84 : con senso sono p. es. i nomi ; senza senso sono le particelle e 1' articolo. 6) Cfr. Bonghi op. cit. pag. 179.  tra giudizii, da qui V insistenza di lui ad approfon- dire la differenza tra dialettica, retorica ed apo- dittica, tutte e tre unite nel fatto puramente estrin- seco del linguaggio, ma divise profondamente per r uso, r attrito, e la relazione dei concetti e dei giudizii, di cui ogni discorso risulta ed ogni verit discorsiva emana, tanto che mentre la prima non ci pu dare che verosimiglianza e V incertezza dell' indistinto, e la seconda non  per Aristotele, come dice il Boutroux *), che 1' applicazione della dialet- tica ai fini della politica, cio a certi fini pratici, la terza ci d invece la verit e la certezza univer- sale e necessaria della scienza '). Anche in Platone si possono trovare tracce di tutto ci, ma solo Ari- stotele, come vero creatore dell' analitica dello spi- rito, ha saputo di tali cognizioni fare un sistema completo e sicuro, in cui i vocaboli entrano come elementi secondarli in rapporto ai diversi suoni, di cui risultano, e come elementi essenziali in quanto espressioni abitudinarie e concordate di tutte quelle operazioni fondamentali dello spirito, per cui 1' uomo acquista la scienza e garantisce a se stesso di essere arrivato al possesso della medesima. E cos con Aristotele e per Aristotele le sorti del linguaggio, considerato come materia di discus- 1) Boutroux, tudes d'histoire de philosophie, Paris 1901, pag. 184- 2) Su queste differenze stabilite da Aristotele tra dialettica ed apo- dottica e sui rapporti delle medesime colla retorica, la quale colle aUre due ha pure comune il linguaggio (STtiaxigjiYj aTiaaa [lex Xyoy s- ox, dice Aristotele xnAnal. post. II, 19),cfr.PRANTL, op. cit. pag. 76 e sgg. sione filosofica, furono sempre pi unite alla sorte della logica, per quanto non manchino anche in lui, come ben nota il Croce ^), alcuni passi, in cui lo Stagirita pare accenni ad isolare la funzione lingui- stica della funzione propriamente logica, ed a porla insieme colla funzione poetica ed estetica ; essi sono quello -), in cui V autore dichiara che oltre le pro- posizioni enunciative che dicono il vero ed il falso logico, ve ne sono altre che non dicono ne il vero n il falso, come le espressioni delle aspirazioni e dei desiderii (s/yj), e 1' altro '), in cui Aristotele critica un certo Busone, il ^uale aveva affermato che una cosa turpe resta turpe con qualunque parola la si designi, ribattendo che le cose turpi si possono esprimere e con parole che le mettono sott' occhio in tutta la loro crudezza, o con parole che le velano. Dopo Aristotele la filosofia dei linguaggio ebbe ancora nella tradizione filosofica ellenica cultori insigni, tra cui principalissimi gli Stoici ed Epicuro, pi ligi quelli all' indirizzo logico formale cos rigidamente affermato da Aristotele, tanto da riu- scire i veri concettualisti dell' antichit, pi libero e geniale questo nelle sue intuizioni profonde. Riattaccarono infatti gli Stoici il linguaggio alla mente (^^.vota), e diedero origine a quella com- 1) Croce op. cit. pag. 174. 2) Aristotele De Interpret. cap. IV. 3) Aristotele Rhet. ni. 2.  plessa ed ancora oscura teoria del Xs^iv. col quale  ben difficile credere che essi volessero distinguere la rappresentazione linguistica dal con- cetto astratto, come pare accenni il Croce e prima del Croce lo Steinthal *). Partivano gli Stoici da un nominalismo tanto assoluto quanto in contrap- posto al realismo di Platone. Zenone nega infatti risolutamente che le idee possano esistere in se stesse e per se stesse, esse sono v:rarjZT:GL, cio senza realt, senza obbiettivit, noi per possiamo acquistare le nozioni di qualit accidentali, di cui queste idee sono suscettibili, e per conseguenza dar loro dei predicati, TrpocjTjYopLa? '). Da tale premessa e dalla teoria sensistica gno- seologica per cui si affermava 'dagli Stoici la sen- sazione essere il principio di ogni conoscenza, dalla sensazione nascere il ricordo, dai ricordi mul- tipli 1' esperienza, dai ragionamenti sull' esperienza e dalla combinazione finalmente dei concetti la scienza, rampolla la teoria del Xs^tv. Di fronte alla trattazione delle forme delle parole come tali, cio co- me semplici suoni, la quale formava una delle parti del- la dialettica, ponevano gli Stoici la dottrina del aTj[j.aL- v[ivov, che entrava nel dominio della logica, dei rapporti cio tra le parole e le cose (l 7cpY[j.aTa), che gli Stoici credevano veri rapporti di natura, dati i quali ne derivava per essi la concezione di qualche cosa 1) H. Steinthal, Geschichte der Sprachwissenschaft bei dea Grie- chen und Rmern, Berlin 1890-1 Voi. I, pag. 289-90, 293, 296, 2) Stobeo, Ed. I, 12.  di intermedio tra il pensiero e le cose, in cui le esigenze di entrambi venissero come ad associarsi e diventare elementi di conoscenza ^), mediante ap- punto il carattere della dicibilit. In altri termini Xsxr erano per gli Stoici le cose espresse o suscettibili di essere espresse, di essere cio trasportate nel mondo esterno per quel sistema di segni, che si chiama appunto linguaggio ; tali Xs-z-r non erano le rappresentazioni o le immagini delle cose, come si potrebbe credere a prima vista, perch le imma- gini sono lo spirito stesso in questo od in queir altro stato ; essi sono ancor meno le cose oggettive che il linguaggio cercherebbe di elevare all' essere cio di ipostasiare in qualche modo, perch le cose esistono per se stesse e dalla sfera del loro essere non possano uscire ; no, Xs/tiv, come gi si disse, era un qualche di intermedio tra soggetto, ed oggetto, incorporeo per, vuoto di ogni contenuto come il tem- po e lo spazio -) ; mentre la voce ed il suono della voce e r oggetto sono dei corpi, i Xsxt non hanno esi- stenza che per la rappresentazione della ragione, e rappresentazione della ragione  tale per cui 1' og- getto presentato  presente alla ragione stessa,  suscettibile di essere accettato, e di prendere una forma razionale in base appunto all' oggettivazione 1) Ammonio {Ad Arisi. De interpret. f. 15 b.) chiama appunto il Xsxxv degli stoici [lrjov tra vor^iiaxa e upayiiaxa (Cfr. C. Prantl, op. cit. pag. 416). 2) Sext. EMP. Adv. Mat/iematicos, Vili. II (Cfr. C. PRANTL. op. cit. pag. 416). delle nostre idee generali, sotto V assillo delle quali gli oggetti si trasformano, assumendo anche il modo della loro espressione, che, come gi si  detto,  qualche cosa di eminentemente naturale ^). Il processo adunque conoscitivo risultava per gli Stoici composto, come ben dice il Chaignet -), di questi diversi elementi : 1' oggetto, il soggetto, il pen- siero, che non  altro che uno stato dello spirito in quanto tende a prendere come sua materia quel dato oggetto ^), il XcXTv, cio la trasformazione completa dell' oggetto in entit razionale dicibile, la parola finalmente che  il segno che il Xs^tv esprime. II Franti mette in relazione il Xsxtv degli stoici col XYo? sjj/p'r/o?, cio innato, di Platone e di A- ristotele, e veramente esso quella concezione richia- ma, per quanto sopra di essa non si pu dire che si sovrapponga del tutto, giacche il X^oc s[jl^d/0(; dei due filosofi citati, come vedremo a suo tempo il sermo interior degli Scolastici, riguarda piuttosto il rapporto tra pensiero e parola, il Iato cio interno del linguaggio rivolto alle psiche, mentre la teoria del XsvwTv degli Stoici concerne piuttosto una vera facolt speciale dell' uomo, in cui s' appunta il mec- canismo della parola, come qualche cosa di natu- 1) Tale interpretazione del Xsxxv degli Stoici non  un fondo molto diversa da quella in proposito data dallo Zeller (cfr. E. Zeller, op. cit. IV pag. 78, pag. 86 della terza edizione Lipsia 1880). 2) A. Ed. Chaignet, Histoire de la Psychologie des Grecs, Paris 1890 Voi. II pag. 140. 3) Sulla differenza tra pensiero e Xsxxv negli Stoici cfr. Plutarco, Placit philosoph. IV. 11.  rale : in altri termini paragonando il linguaggio ad una superfice curva, il Xygc sjx'po/oc ne rappresenta la parte concava interna, ed il linguaggio espressivo la parte convessa esterna, mentre il Xsxxv di quella curva sarebbe come la generatrice. Alla teoria dei XsTti gli Stoici connettevano le loro dottrine logiche e le loro dottrine grammaticali, il che era perfettamente naturale, perch dato che le idee ed il linguaggio non sono che le due facce del medesimo fenomeno psicologico, il che ammette- vano anche gli Stoici, ne derivava per essi la con- seguenza che i Xs'^t erano per le parole ci che il giudizio interno ( X70? svO-i^sTo?) era per la pro- posizione che la formula ( X^o? Tupocfopizf;). Noi non insisteremo troppo su tali rapporti, solo ricor- dando la distinzione fra i XsTcu completi e che ba- stano a s stessi (atoTeX-^), e gli altri a cui manchi qualche cosa (iXXtTcr^), fra quelli si ponevano le pro- posizioni categoriche (^u'xaTa), le interrogazioni, le questioni ^) e secondo Filone anche le imprecazioni ed i giuramenti ~), fra i secondi invece si mettevano i predicati ( y.axTiYOfy/^jiata ), da distinguersi in acci- dentali od indiretti, ed in essenziali 0 diretti. Come si vede, qui siamo arrivati in piena grammatica, contrariamente a quanto era avvenuto in Aristotele, che dalla grammatica invece molto probabilmente era partito per arrivare alla teoria delle categorie lo- 1) Cfr. su ci Sex. Emp., Pyrrh. Hyp., I, 14. 65. e A. ED. Chai- GNET, op. cit. Voi. II. pag. 107. 2) Philonis, De Agricult., 161. giche. Notiamo per che in fondo la teoria dei Xsxi aSyzoxsXri pu sotto un certo aspetto ricongiungersi anche alla dottrina delle TcrjoXri^Bic, o nozioni pri- mitive ammesse dagli Stoici, come qualche cosa di innato, essendo ormai indubitabile che essi erano, in rapporto appunto alla TupoXrj'psic, innatisti, contra- riamente a quanto affermavano lo Zeller, e lo Stein, che pretesero di fare dei seguaci di Zenone non solo dei materialisti, ma anche degli empiristi senza riserve 0- Un' ultima osservazione a proposito della filo- sofia del linguaggio quale si  svolto tra gii Stoici riguarda 1' origine che ai vocaboli essi attribuivano. Di essa gi abbiamo fatto menzione, ricordando come tre cose e linguaggio si ammetteva dai se- guaci di Zenone un vero rapporto di natura, aggiun- giamo ora che esso era interpretato come un rap- porto di imitazione. Il Bonghi a tale proposito af- ferma -) che con tale dottrina gli stoici si allontana- vano da quanto Platone nel Cratilo ^) affermava sul- r impossibilit di una relazione tra suoni che le cose possono dare ed i suoni con cui le parole sono 1) Cfr. su ci A. Ed. Chaignet, op. cit., pag. 128 e sgg. Notiamo che anche perci che riguarda il criterio della certezza gli Stoici ricor- revano alla loro teoria dei Xsxxcc, giacche pur ritenendo come pura- mente soggettivo tale criterio, concepito come la forza di convinzione (vtaxaXTjTixixv) inerente ad una rappresentazione, il potere cio che possiede una conoscenza di provocare la nostra adesione invincibile, attribuivano per, contraddicendosi in modo strano, tale forza non gi alla senzazione. ma ai Xsxxa 2) Bonghi, op. cit. pag. 181. 3) Cratilo, 423. C. composti. Ci  vero, dobbiamo per aggiungere che nel Cratilo stesso si pu trovare il primo spunto della dottrina stoica per una certa somiglianza ori- ginaria della parola coli' oggetto da essa espresso. Non aveva forse detto Socrate che, per esempio, Tra cagione della sua mobilit serve benissimo per esprimere il moto, che il suono / invece  op- portuno per rendere tutto ci che e fine e sottile, che le sibilanti rappresentano benissimo il concetto di tutto ci che fa fiato e cos via ') ? Ora non si ammetteva implicitamente con ci una somiglianza tra suono e cosa, pressoch simile a quanto era poi affermato dagli Stoici ^) ? Del resto abbiamo in pro- posito un passo di S. Agostino ) sulla dottrina stoica dell' imitazione che non ci lascia nessun dubbio 1) Cratilo, 426 C-427 D. 2) Cfr. A. QiESSWEiN, DicHaiiptrobleme der Sprachwissenschaft, Freiburg 1893, pag. 168. 3) Ecco il passo di S. Agostino (De Dialectica 6).  Stoici autiimant nullum esse verb'nm, cuius non certa ratio explicari possit. Et quia hoc modo suggerere facile fuit, si diceres hoc infinituni esse quibus verbis alterius verbi origineni interpretaris, eoriim rursiis a te origi- neni qiiaerendani esse, donec pcrveniatar eo, ut res cum sono verbi aliqua similitudine concinnai, ut cum dicimus, aeris tintinnitum, equo- rum hinnitum, ovium balatum, tubarum clangoreni, stridorem catena- rum ; perspicis enim haec verba ita sonare, ut ipsae res, quae his verbis significantur. Sed quia sunt res, quae non sonant, in his similitudinem tactus valere, ut si leniter vel asperc sensum tangunt, lenitas vel aspe- ritas literarum ut tangit auditum sic eis nomina peperit : ut ipsuni lene, cum dicimus leniter sonai, quis item et asperitatem non et ipso nomine asperam iudicet ? lene est auribus, cum dicimus voluptas, a- sperum, cum dicimus crux. Ita res ipsae afficiunt, ut verba sentiun- tur. . : Haec quasi cunabula verborum esse crediderunt, ubi sensus re- rum cum sonorum sensu concordarent . sulla portata di questa ^) e sulla somiglianza sua con quanto gi era stato sostenuto da Platone -). Per trovare per una dottrina sulF origine del linguaggio ben pi precisa, che nei nostri tempi ebbe un' influenza ben maggiore di tutte quante le altre formulate dall' antica speculazione ellenica, dobbiamo venire ad Epicuro. Il Bonghi ammirando r altezza del concetto platonico sul linguaggio, in cui egli vede il predominio di un elemento intellet- tuale, in quanto vi si afferma un' intima relazione del vocabolo e dei suoni articolati colle affezioni dell' animo e coi concetti della mente, giudica meno nobili le posteriori teorie stoica ed epicurea, perch in esse quella relazione  sciolta e cos 1' elemento intellettuale  sopraffatto dal suo elemento natu- rale ^). Abbiamo gi visto come ci non sia perfet- tamente vero per ci che riguarda la dottrina stoica, consideriamo ora la dottrina epicurea e tosto ci convinceremo, come gi ha dimostrato il Gius- sani ^) che non lo  nemmeno per essa. 1) Dubbi invece ci sarebbero ancora se noi in proposito non aves- simo che il passo di Diogene Laerzio (VH 83), in cui di tale imitazione si trova pure un accenno. 2) Da quanto sopra si  detto ci pare di poter dedurre che non riper- cussione di dottrina platonica si'deve vedere nelle parole di Giovanni Sa- lisburiense citate dal D' Ovidio (op. cit. pag. 436), come appunto questi vorrebbe : Ipsa quoque nominum impositio aliarumque dictionum, etsi arbitrio humano processer, naturae quodamuoo obnoxia est, quam pr modulo probabiliter imtatur ; in tali parole noi piuttosto sentiamo r eco della dottrina stoica dell' imitazione, la quale nell' et di mezzo doveva essere conosciuta se non altro per il tramite di S. Agostino, autore tanto letto in tale et. 3) Bonghi, op. cit. pag. 182. 4) C. GiUSSANi, op. cit. pag. 129. Anzitutto dobbiamo dire che il problema che Platone ed Epicuro risolvono non  lo stesso. Per Platone, come si  visto, era un naturale sottinteso che il linguaggio fosse l>as'., tutta la questione era di vedere se la d^nK; dei vocaboli fosse ^shr^zi o aovO-fjX-^], se cio nel porre i vocaboli i legislatori avessero rifranta la natura delle cose da nominarsi, 0 li avessero invece posti per un accordo tra gli uomini stessi ; abbiamo poi visto come per Platone tale questione tradizionale nella filosofia ellenica abbia servito come occasione a trattarne un' altra ben pi importante per lui, quella cio che si rife- riva alla conoscenza della natura delle cose mediante il linguaggio. Ora ad Epicuro tutto ci non interessa che in linea diremo cos subordinata : la questione vera, fondamentale per lui  quella che si riferiva veramente all' origine del linguaggio, era cio quella di vedere se tale origine si fosse iniziata per natura, come un fatto fisiologico e non piuttosto come un' operazione pensata e voluta dagli uomini, e a risposta a tale questione, risposta che noi tro- viamo recisamente formulata nella lettera di Epicuro ad Eudoto,  che 1' embrione del linguaggio  stata cpasL ; ossia i primi suoni espressivi furono emessi per fisiologica necessit, tale embrione per gli uo- mini all' intento di farsi un utile strumento di co- municazione hanno sviluppato a vero linguaggio ponendo (^aei) dei nomi alle cose, ma nel porre questi nomi essi non hanno proceduto ad arbitrio. 46 LA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO ma ragionando (Xoyi?sx()) e dietro certe ana- logie ^).  inutile che noi cerchiamo qui di indagare quanto anche in rapporto all' origine della lingua sia stato divinatore Epicuro, e come in fondo in fondo egli non si discosti molto nella seconda parte della sua teoria da Platone ; pi interessante sar in- vece per noi vedere sopra quali appoggi di prin- cipii e d esperienze una tale teoria poteva, secondo la mente di Epicuro, posarsi. Anzitutto spiegava egli i suoni della voce u- mana in relazione alla sua dottrina fondamentale degli atomi -), tali suoni cio sono in rapporto a reali emissioni di atomi, chiamati da Lucrezio  primor- dia et principia vociim , i quali emanano dai tessuti degli organi aventi diretta comunicazione coli' aria esteriore ^). Quello  1' elemento naturale del linguag- gio, a cui ben tosto se ne aggiunge un altro, che Lu- crezio ancora chiama utilitas ^), il quale posto di fianco al primo, come impulso alla sua attuazione, spiega abbastanza bene per Epicuro ed i suoi il sorgere prima del linguaggio e poi l' intervento della ragione nello sviluppo di quello. Come si spiega 1' utilit di cui fa cenno Lucre- zio ? Essa si spiega come un vero bisogno psico- 1) e. QiUSSANi, op. cit. pag. 120. Sopra il linguaggio in Epicuro cfr. anche E. Zeller, op. cit. HI, 416, e A. ED. Chaignet, op. cit. Voi. II pag. 363 e sgg. 2) Lucrezio, De rerum natura IV, 535. 3) Diogene Laerzio, X. 53. 4) LUCREZIO, op. cit. V, 1026. logico integrato dalle suaccennate condizioni fisio- logiche . Gli uomini, in altri termini, subiscono affezioni (:ri>r|) e ricevono impressioni mentali (cpav- TGixara) e queste per naturale necessit fanno loro emettere dell' aria, la quale esce dalla bocca in di- versi suoni foggiata da quelle affezioni e rappresen- tazioni mentali. Il linguaggio perci  una vera fun- zione naturale, pressapoco come lo  il volare per r uccello, r usare delle corna per il toro. Tutto ci per non basta, perch due obiezioni formidabili potevano sorgere, e sono sorte difatto, in contra- sto alla spiegazione data e cio : Se con essa si spiega come i suoni si sono originati, per nulla per si capisce come a tali nomi si sia dato un senso speciale si da poter diventare essi ben tosto segni delle cose ; d' altra parte se 1' emissione dei suoni  qualche cosa di naturale, come si spiega la diversit dei linguaggi presso i diversi popoli ? Alla prima obiezione si rispondeva da Epicuro col dire che le cose hanno esse stesse una voce ^), il che vuol dire secondo 1' interpretazione del Chai- gnet -) che la presenza delle cose e la loro azione suir uomo strappa, per cos dire, dal di lui appa- rato vocale dei suoni naturalmente legati alle rap- presentazioni anteriori o simultanee di quelle cose-'). 1) Diogene Laerzio, X. 31. 2) A. Ed. Chaignet, op. cit. pag. 349. 3) E evidente che questa dottrina di Epicuro si riconnettc al suo modo di risolvere il problema della conoscenza mediante le emanazioni atomiche, tracce delle quali noi possiamo trovare, oltrech in Democrito. Deriva da ci la conseguenza che ogni parola con- tiene in s un significato che gli  intimamente per natura associato e che  evidente per se stesso a tutti ^) . Nessuna meraviglia adunque che Epi- curo, come ci dice Cicerone ~), tanto insistesse sulla considerazione dei significati delle parole ; ammet- tendosi infatti che l' imposizione d' un nome ad una cosa suppone la conoscenza immediata della mede- sima, conoscenza che, come si disse,  offerta dalla natura stessa, implicitamente si veniva a dire che le parole in fondo sono i segni di nozioni generali ^) : la conoscenza adunque  possibile anche coli' analisi di esse, senza cio le risorse della logica, concepita come arte di ragionare, appunto perch condizione logicamente anteriore al linguaggio  un' idea prima prodotta per le cose e concepita per un riguardo diretto, senza la quale 1' uomo si troverebbe perduto in una moltitudine infinita di impressioni e di sen- sazioni individuali, istantanee ed isolate, e parlando non potrebbe pronunciare che suoni vuoti di senso ^). anche in Empedocle ed Anassagora. D' altra parte in certo qual senso anche Aristotele aveva opinato che non si pu pensare senza immagini (Cfr. A. ED. ChaigNET, op. cit. Voi. II pag. 373), orbene Epicuro a tale opinione diede un fondamento pi esplicito, per conchiudere che non vi pu essere pensiero non rivestito d' immagine, e che una rap- presentazione vi  tanto per gli intellegibili, come per i sensibili (Cfr. PLUTARCO, Plact. Phil. IV, 8. 9). 1) Cfr. Diogene Laerzio, X 33, dove si dice: Tiavxt ouv viiaxt x Tig&ioc, uTtoxsxayiivov vapys saxi. 2) Cicerone, De Finibm II. 2. 3) Diogene Laerzio, X. 35. 4) Diogene Laerzio, X. 31 (Cfr. anche A. Ed. Chaignet, op. cit. pag. 350). Come si vede Epicuro viene per una via ben diversa e molto meno arbitraria ad ammettere la tesi sostenuta da Cratilo, ed oppugnata da Platone nel dialogo che da quello prende nome, che cio le parole sono il migliore anzi 1' unico modo che noi abbiamo per arrivare alla conoscenza della natura delle cose ^). Alla seconda obiezione riguardante la diversit di linguaggio per i popoli diversi, Epicuro rispon- deva che tale diversit era in funzione delle 'diver- sit fisiologiche che distinguono nazione da nazione, per cui diversi erano le affezioni, diverse le rappren- tazioni e quindi diversi anche i suoni. Ogni lingua, in altri termini,  il prodotto diverso di razza, di clima e di luogo, nel senso che questi tre fattori colle loro esigenze peculiari hanno determinato esi- genze fisiologiche e psicologiche diverse, sicch anche il linguaggio naturale delle cose per adattarsi ad esse diversamente risuona in paesi dove dissi- 1) Notiamo che ad una conseguenza pressoch simile  arrivato an- che Giambattista Vico nella sua  Scienza nuova  ; seguace anche egli dell'origine naturale del linguaggio, come poco dopo in modo pi espli- cito lo furono ed il Dugald Stewart (cfr. Dugald Stewart, lmcnts de la Philosophie de l'esprit huinain Paris i845, Voi. MI, Sect. I pag. 2 e sgg.) ed il Cesarotti (Melchiorre Cesarotti, Saggio sulla filosofia delle lingue. Padova 1802, part. pag. 3 e sgg. ), egli nega che le parole pos- sono significare ad libitum, come era appunto l' insegnamento di Aristo- tele, ed in genere, come vedremo, di tutta la filosofia medievale, per sostenere che le parole debbono avere significato naturalmente (Cfr. GiAM- BATISTA Vico, Principio di scienza nova, Milano 1831, Voi. I, lib. II, corollari, pag. 276). Non  forse inutile ricordare qui tutta l' importanza della speculazione sul linguaggio di Cartesio (Principe de Philosoph. Part. I, . 74), del Reid {Rcchexcher sur l'Esprit huniain, cap. IV. sect. II), e delle Libniz, chiamato appunto il Copernico della linguistica (Cfr. D ' OVIDIO, op. cit. pag. 50G).  mili sono quelle *). Esistevano adunque diversit pri- mitive neir emissione dei suoni, gi fin quando tale emissione era semplicemente spontanea, come spon- taneo  ancora negli animali -), in seguito poi gli uo- mini raccolti sempre pi in gruppi sociali ed accortisi sempre pi del grande vantaggio di quella scambie- vole comunicazione di sentimenti e pensieri, per rendere queste manifestazioni pi chiare e precise, ed insieme pi brevi e fisse, posero di comune ac- cordo i nomi alle cose, ogni nazione i suoi.  evi- dente qui, come dice il Giussani "), l'errore di pro- spettiva storica, per cui troppo presto dalle condizioni prime si sarebbe venuto alla civilt, comunque  importante anche quest' ultimo tratto dalla dottrina epicurea perch con esso si ammette direttamente r intervento della ragione, che, dopo aver esaminato le invenzioni e le scoperte spontanee della natura, 1) Questa obiezione della diversit del linj^uasgio per i popoli diversi ritorner anche pi tardi ad affacciarsi nella speculazione; Dante la ri- solver in confronto alla variet delle classi sociali ed alla diversit delle professioni (Dante, De vulgari eloquio, Lib 1. cap. VII), pi tardi il Vico verr in proposito alla medesima conclusione di Epicuro, affermando anch' egli che le lingue sono frutti diversi dell' ambiente, clima od abitudini dei popoli diversi {Principii di scienza nuova, ediz. cit. Lib. II, pag. 277). 2) LUCREZIO, op. cit. V. 1061 - 1070 3) C. Giussani, op. cit. pag. 133. Epicuro avrebbe potuto mitigare un po' questo suo errore di prospettiva storica, se, come momento in- termedio tra il linguaggio dei primi uomini selvaggi, della condi- zione dei quali tanto bene parla Lucrezio, (Lib. V, 922-1008) ed il lin- guaggio delle nazioni civili avesse posto le condizioni, in cui secondo Erodoto si trovavano, per ci che riguarda la favella, gli Etiopi, i quali pi che parlare stridevano (Cfr. ERODOTO, IV, 183. Cfr. anche Plinio, VII. 2, e Pomponio Mela, I. 8). pu correggerle, completarle, sistematizzarle, ele- varle cio air altezza di una scienza metodica e di un' arte riflessa. Aggiunge finalmente Epicuro che anche cose non viste da quelli, che pur le avevano viste, e- rano importate nella cognizione e nella lingua dei loro connazionali, perch essi le manifestavano con de' suoni, che dapprima erano istintivamente emessi per il naturale effetto delle ricevute impressioni, e poscia probabilmente ripetute per l' impulso del4a volont. Anche in tal caso tali parole erano capite e per la generale e nota analogia tra suoni e cose espresse, e perch scelte col ragionamento dietro appunto questo generale analogia stessa. Tale  in breve la dottrina di Epicuro sull' ori- gine, sulla natura e sullo svolgimento del linguaggio, dottrina senza dubbio importante non solo perch  forse la sola completa che la Grecia antica ci abbia dato, ma anche perch in armonico sincretismo si trovano in esse fuse insieme e le tradizionali spe- culazioni dell' ellenismo antico sulla questione se la posizione delle parole sia '^gs'. o o'^vO-r^y/^^. e le teo- ria di Platone sul linguaggio e sui suoi rapporti col problema logico e col problema gnoseologico.  La dottrina di Epicuro fu, come in generale avven- ne per tutti gli insegnamenti della sua scuola poco com- presa dai posteri: gi di essa Lucrezio diede troppo importanza al fattore naturale per lasciare un po' neir ombra il fattore razionale '). Ci si accentu 1) Cfr. A. ED. Chaignet, op. cit. pag. 348. tra gli antichi e neil' epicureo seriore Diogene di Enoanda '), ed in Proclo -), che tale fattore di ra- gione riguardante la dirne dei vocaboli dimentica- rano affatto, come avvenne poi generalmente nell' et di mezzo. , Con Epicuro ben si pu dire finito il periodo costruttivo dell' antica filosofia ellenica ; le di lui dot- trine, come quelle degli Stoici, si protesero in avanti attirando a se coli' andamento quasi di una fede re- ligiosa gli spiriti pi grandi ; fuori di esse Io scet- ticismo e r eclettismo incrostarono il pensiero, tar- pando a questo le ali per librarsi in alto nelle pi serene sfere della speculazione riflessa. Era naturale che nel periodo di diffidenza, che s' inizi cos in Grecia in contrapposto al periodo di confidenza, che aveva dato gii ultimi splendori nelle due scuole citate, si dovesse anzi tutto intaccare la fiducia nella facolt conoscitiva dell' uomo, per ritor- nare cos a quel relativismo logico dei Sofisti, donde Socrate e Platone ed Aristotele e Zenone ed Epicuro avevano cercato, per quanta in modo diverso, di al- lontanare gli spiriti. Date le strette relazioni tra il problema gnoseo- logico ed il linguaggio, delle tendenze scettiche, in- 1) Cfr. Rheinisches Museum, 1892, pag. 440. 2) Procli, Scholia in Cratylum, ediz. Boissonade, Lipsia 1820 pag. 6 Ecco le parole di Proclo:  ^[p 'Euxoopos l\z^zv oxi o/J sTiiaTYjtivcog o'xo', sB-svTO x v|iaxa, XX cp'ja-.xw; xlvo- tjisvoi, (b? ol pr^oaovTsg v-cd Tixatpovxsc; xac |au%w|Jisvoi xal OXax- X0VXS5 xal oxsvd^ovxsg. generatesi nella trattazione di quclio, risentirono le speculazioni riguardanti la natura di questo e cos noi vediamo, per esempio, gli scettici domandarsi : Se le cose non si possono conoscere, a che ser- vono i segni con cui noi le t'issiamo, le affermiamo e le comunichiamo ? '). Come si vede siamo qui ancora in presenza dell' antico scetticismo del vec- chio Gorgia, che per opporsi alle dottrine eleatiche sosteneva appunto che 1' essere non esiste, che an- che se esistesse non sarebbe conoscibile, giacche dovrebbe essere una cosa sola col pensiero, nel quale caso sarebbe impossibile 1' errore ; anche se fosse conoscibile, esso non sarebbe insegnabile, giacche lo si dovrebbe insegnare con segni, i qua- li potrebbero avere valore diverso da uomo ad uo- mo ; per evitare ci bisognerebbe conoscere pri- ma con qual segno si vuol intendere 1' essere, il che suppone gi ci che si deve fare. Un argomento per lo scetticismo, cos aperta- mente professato da Pirrone, e poi da Enosidemo e da Sesto Empirico, era la diversa soluzione data del problema dei segni dal pensiero contemporaneo di Epicuro e degli Stoici -'). Epicuro concepiva il segno e quindi la parola come qualche cosa di e- minentemente sensibile, gli Stoici invece, come si e visto, ponendone 1' essenza nel ='/,tv, specie intel- 1) Ctr : A. EU. Chaignbt, op. cit. pa^. 512, 516. 2) Ricordiamo che gi per lo scctUcisino sofistico ciano stato arj^o- inento le diverse soluzioni date del problema cosmologico e cosmogo- nico dal pensiero precedente degli Ionici, Eleatici, Pitagorici e Meca- nisti. ligibile intermedia tra V oggetto ed il soggetto, la con- cepivano come qualche cosa di intelligibile. Quale di quelle due teorie cos inconciliabili e contrarie contiene la verit ? '). Per accettare 1' insegnamen- to di Epicuro, bisognerebbe prima in linea pregiu- diziale, dice Sesto Empirico '), dimostrare che i sensi sono infallibili ; ci  senza dubbio ammesso da Epicuro, ma  negato in modo assoluto da De- mocrito, dice ancora Sesto Empirico, e prima di lui, aggiungiamo noi, da Eraclito. Ammettiamo pure che i sensi non ci ingannino, resta sempre insoluta la domanda : per quale ragione noi adotteremo per questo e per quel segno, e quindi per questa o per quella parola, questo o quel significato e non un altro ? '). Riguardo poi alla dottrina stoica, gli scettici avevano buon gioco nel dire che proprio non ci sono argomenti sufficienti per decidere se i Xsv.x veramente esistono ; d' altra parte per poter arrivare a saperlo bisogna pur ancora usare di prove, che in fondo si appoggiano ancora suH' interpretazione di segni : siamo adunque in un circolo vizioso, di cui gli Stoici hanno avuto il torto di non accorgersi *). Quale  adunque la conclusione ? La conclusione si  che anche rispetto alla questione dei segni e quindi del linguaggio bisogna essere agnostici, sospendere 1) Cfr. Sext. Emp, Matli. VHI. 177. 2) Sext. Emp, Math. VUI, 293. 3) Sext. Emp, Math. VHI 201. 4) Sext. emp, Math.YlU.26\.  cio il nostro giudizio, non potendo noi in modo alcuno formularne uno qualsiasi '). Anche nello scetticismo della media e della nuova Academia di Arcesilao e di Cameade non meno fortemente si attacc qualsiasi soluzione po- sitiva del problema gnoseologico e per ci stesso qualsiasi speculazione sul linguaggio, che con quello avesse relazione alcuna. Poteva pur Cameade, come dice Cicerone -), rinnovare 1' antica distinzione di Eraclito tra una conoscenza perfetta ed assoluta ed una conoscenza inferiore e relativa, ma soggiun- gendo che questa solo  concessa all' uomo, che perci si deve solo accontentare della probabilit, non gi della certezza, svisava il concetto di Era- clito, che la prima delle due conoscenze credeva per lo meno possibile al sapiente e senza dubbio dava origine a dottrine, a cui, secondo Cicerone stesso ") , non mai avrebbe dovuto esser rivolta la giovent. Vero si  che Filone di Larissa, rifacendosi pi direttamente, come dice Cicerone *), all' insegnamento platonico, appena dopo Cameade tenta di salvare qualche punto fisso nella conoscenza, ma ormai 1' indirizzo scettico eclettico aveva gi pervaso ogni fremito di pensiero : gli Stoici andavano rabberciando le loro dottrine con materiali presi qua e l cam- 1) 'Avyy.Yj xai y^ii? srioy/?/ ;isvs:v, ciicc in proposito Sesto Empirico (Math, VMI 259). 2) Cicerone, Acad. Pi: 2. 30 e 31. 3) Cicerone, De repiiblica MI. IG. 4) Cicerone, Acad. Post. I, 4 e HI, 18.  biandone solo i nomi '), altri, insofferenti forse del presente, si diedero allo studio delle fonti, dei mo- numenti originali del passato, specialmente di Pla- tone e di Aristotele, donde la frase di Seneca : Quae philosophia fiiit, philologia est facta ~) ; i Pe- ripatetici eclettici, forse meglio che i Platonici, ten- nero un po' alto il vessillo della speculazione spe- cialmente per ci che riguarda il problema appunto gnoseologico e le questioni logiche '). Sulla que- stione, per esempio, delle dieci categorie aristoteli- .che, dagli Stoici, com' noto, ridotte a cinque *), si accese forte disputa tra Alessandro Afrodisiaco, di cui purtroppo sono andati per(juti i commentarli al De Interpretatione di Aristotele '), del quale per Andronico di Rodi, capo della scuola esegetico-e- ciettico-peripatetica negava V autenticit '^), Eustazio, Ermino, Aspasio ed altri peripatetici eclettici e pi tardi Porfirio, credendo alcuni che le categorie ri- guardano solamente le parole (tcs^I 'fcovcv), mentre altri, Porfirio per esempio, sostenevano che esse ri- guardavano vere nozioni prime dello spirito. Si tratta qui de! primo sviluppo della famosa contesa tra Nominalisti e Realisti, a proposito della quale vale la pena di ricordare come gi Ermino giudi- 1) Tale  1' accusa che Pisone, il quale personifica i Peripatetici nel  De Finibiis  di Cicerone, fa appunto agli Stoici {DeFin. V. 25). 2) Cfr. A. ED. Chaionet, op. cit. Voi. HI, Paris 1890, pag. 85. 3) A. Ed. ChaionI'T, op. cit. pag. 222. 4) Cfr. C. Franti., op. cit. Voi. I, pag. 426 e sgg. 5) C. Prantl, op. cit. Voi. I, pag. G21. 6) C. Prantl, op. cit. Voi. I, pag. 547. cava che le categorie hanno rapporto alle cose, giacche le parole non sono mai vuote, e sono sem- pre dette intorno alle cose ^). -Ci che per maggiormente interessa il nostro argomento  l'interpretazione che rmino stesso dava di quel passo al principio del De Interpretatione di Aristotele, in cui si dice che i fenomeni psichici, che sono espressi dal linguaggio, sono identici presso tutti : ecco il passo ^) : iori [xv oov r sv if] 'f tov-^j :rav}"/5{xara tf^? 'J>'V/i?-  evidente, secondo Ammo- nio % quale sia il senso dil tali parole : Aristotele cio stabilisce da una parte che le lettere e le pa- role non essendo identiche presso tutti gli uomini sono frutto, come simboli delle affezioni umane, di una convenzione (\>a'.?), mentre le idee e le cose essendo identiche per tutti sono V opera della natura {'sh'jic). Ermino pare contesti anche tale uguaglianza degli stati di coscienza in tutti gli uomini, giacche ponendo nel testo greco al posto dell' ossitono xat il perispomeno tora viene a dire che le pa- role sono bens note dell' affezioni dell' animo, le quali, se si trovano in tutti, non sono in tutti iden- 1) Notiamo che tale opinione di Ermino, che si legge negli scol/'i anonimi di Aristotele,  contradetta da quanto Porfirio dice che Ermino pensava intorno alla questione appunto delle categorie, le quali non sarebbero gi i generi primi e pi universali degli esseri naturali e le differenze prime e fondamentali dei termini, ma piuttosto le attri- buzioni verbali proprie a ciascun genere di esseri reali (Cfr. A. Ed, Chaignet, op. cit. pag. 222). 2) Aristotele, De Interp. IG. 2. 3) Ammonio, Sch. Arisi.. 101, b. 1-12 (Cfr. A. ED. Chaignet, op. cit. pag. 223).  tiche, perch identico  il solo fatto del trovarsi di esse in ognuno ^). Del gi citato Alessandro Afrodisiaco  pur importante per noi oltre che la distinzione de^ lin- guaggio interno (vootV^svov), che solo apparentemente richiama il Xsxiv degli Stoici e che  piuttosto un'altra anticipazione del sermo interior degli Scolastici, del linguaggio espresso ( sy/f (ovo'jjj.svov), e del linguaggio scritto (vpa'xjxcvov). di cui il terzo  simbolo del se- condo, come guesto  del primo ''), anche la dottrina sulla parola, dottrina che gi nei tempi antichi Am- monio svisava, dicendo negli scolii ad Aristotele ") che Alessandro sosteneva essere 1' origine del lin- guaggio esclusivamente naturale -e spontanea.  evidente che tale opinione era troppo contraria agli insegnamenti in proposito di Aristotele, perch potesse essere professata da chi nei tempi antichi fu dello Stagirita l'interprete pi fedele, tanto da essere chiamato un secondo Aristotele ; ed infatti leggendo il  De Anima  dell' Afrodisiaco vediamo che egli la pensava ben diversamente da quanto asserisce Ammo- nio : la parola come suono, egli dice,  una specie d rumore prodotto dall'animale in quanto animale, cio il suono prodotto in seguito ad una rappresentazione qualunque o di una eccitazione qualsiasi, giacche tutto ci che r animale fa in quanto animale  il risultato di una rappresentazione (-^avraaia) o di 1) Cfr. Zeller, op. cit. Tomo IV. pag. 700. 2) Prantl, op cit pag. 548. 3) Ammonio, Sch. Arisi 103 b 23.  un'eccitazione interna istintiva {y^:fi.) La natura adun- que ci ha fatto capaci di stabilire le parole, d' imporre nomi alle cose, ma il rapporto tra i vocaboli e le cose non  gi opera della natura, ma bens il risultato di una convenzione. 11 linguaggio non  gi innato ci che  innato  la facolt speciale che lo crea ^). Se i risultati fossero il risultato della natura, tutti gli uomini avreb- bero lo stesso linguaggio, e 1' ordine, con cui per for- mare le parole i suoni elementari si succedono e si rag- gruppano, sarebbe dappertutto identico -). Ora i fatti provano che cos non , e che la differenza neir ordine del raggruppamento dei suoni elementari e delle sillabe costituisce una delle differenze pro- fonde, se non la sola, delle lingue '). Poco prima ed attorno ad Alessandro di Afro- disia ben poco noi abbiamo che meriti di essere ri- cordato a proposito del nostro argomento ; quando noi infatti ricordassimo 1' opinione di Apuleio sull' orato prominciabilis, che forse pi del Xs-^tc stoico richiama il X&70C -o-xavrr/.:: dei commentatori ari- stotelici ^), le dieci categorie, corrispondenti alle dieci parti del discorso, escogitate dal neopitagorico Nicomaco di Ceraso '), le sottili distinzioni di ca- 1) Come si vede, abbiamo qui un'anticipazione non solo di quanto la Scolastica ha pensato intorno ali' origine appunto del linguaggio, ma di quanto pi tardi ancora Cartesio ed il Leibniz diranno della facolt cono- scitiva dello spirito umano in genere. 2) Abbiamo gi visto che questa era un' obiezione fatta anche agli Epicurei. 3) Cfr. A. Ed. Chaignit, op. cit. pag. 255. 4) Prantl, op. cit. Voi I, pag. 580. 5) Per ottenere queste 10 parti del discorso Nicomaco ed i Pitago* rici vi facevano entrare il nome appellativo [Ti^oor^^oplT.) e la parti- cella espletiva (Tiap uy^p-oiia, Cfr. Chaignet, op. cit. pag. 305.  ratiere tutt' affatto estrinseco fatte da Boeto tra vo- caboli tautonomi ed eteronomi, di cui i primi erano suddivisi in omonimi e sinonimi, ed i secondi in eteronomi in senso stretto, ed in polionimi e paro- nimi 0, e quando noi aggiungessimo quanto poco originali si sieno in genere mostrati i Romani anche a proposito della filosofia del linguaggio, noi avre- mo detto tutto quanto ci pu interessare.  vero che Cicerone come gi prima Varrone -), e Quintiliano dopo ^), in parecchi luoghi parla della dialettica e de' suoi uffici ^),  vero che egli, come anche Quin- tiliano '"), riconosce tutta V importanza dell' etimolo- gizzare per la definizione perch ex vi nominis argii- mentiim elicitiir '^), ma una vera dottrina sul lin- guaggio noi possiamo ben dire che il genio romano non ha saputo darci in modo alcuno, mentre la co- scienza religiosa popolare, come al solito, interpret anche il fatto del linguaggio come opera degli Dei e specialmente di Mercurio '^). Dalle scuole eclettiche, di cui abbiamo teste fatto parola, passiamo ora a far rapido accenno a quanto 1) PRANTL, op. Cit. pag. 547. 2) Cfr. su Varrone ISIDORO, Origines, li. 23. 3) Quintiliano, Inst. XH. 2. 4) Cfr. Cicerone, Brutus 417 ; Acad li 58 ; Top. II 6 ; T^e Orat. II, 38 ; De Finibns I, 7, 22. 5) Quintiliano, Inst. I, 6, 26 ; V, 10. 58. G) Cicerone, Top. VIII, 35; e Acad. II. 18, 56. Cfr. Prantl, op. pag. 517. 7) Cfr.-S. Agostino, De Civit Dei, VII, 14, e Zeller. op. cit. IV- 67. Tutte !e favole intessute nell' antichit classica per spiegare 1' ori- gine del linguaggio si trovano lucidamente riassunte dal Vico (VICO, Scienza nova, ed. cit. pag. 261 e 293 e sgg.). IN FILONE 61 in relazione al nostro argomento hanno pensato e Filone ed il Neoplatonismo. Di Filone  inutile che noi richiamiamo la soluzione mistico -razionali- stica data da lui al problema gnoseologico, solo ricordiamo come il medesimo ammettesse neh' anima due parti, 1' una irrazionale, e muta (Xovov), 1' altra invece razionale e dotata di voce ('fojvY^v). anche quella per concorre alla formazione del linguaggio nella sua parte fisiolgica, in quanto questa  fun- zione della vita : il vero principio per della parola  data dallo spirito, perch il linguaggio non  gi solo un suono, ma sibbene  un suono a cui si connette un pensiero che si vuol comunicare agli altri, e che talvolta esce incoscientemente come nelle esclama- zioni ^). In virt di tal privilegio 1' uomo impone lui stesso i nomi alle cose, il che fa nel medesimo i- stante in cui le concepisce nella loro natura, nella loro essenza e nelle loro propriet. Perci la conce- zione delle cose si confonde per cos dire, o per lo meno  intimamente legala alla parola, e quindi, con- clude Filone, rinnovando un pensiero degli Stoici e di Epicuro, a cui per egli  giunto per vie ben diverse, il linguaggio esprime esattissimamente le cose e le loro propriet specifiche -). 1) Abbiamo gi visto che anche Aristotele dava importanza speciale alle esclamazioni, le quali dal Vico furono poi considerate come una delle manifestazioni prime del linguaggio umano (Giambattista Vico, op. cit. pag. 289). 2) Le dottrine suesposte di Filone sono da lui svolte nell'opera sua : De mundi opificio ; la conclusione riportata snona cos in Filone : s'i'^sa'.vo'jaa xc T(v O-ox'.usvcov iTr^xa^ [.ia Azx.d-r,v'X'. xs y.a vor^iVr^vai, Cfr. A. ED. Chaignet Voi. HI. op. cit. pag. 467.  Per ci che riguarda il Neoplatonismo, diciamo subito che grandissima fu l' importanza che ebbe specialmente Porfirio in tutta 1' et di mezzo, dovuta in gran parte alla traduzione che della sua : Etaavovr^ lU zac 'Arj'.aTOTsXooc VvarY^vcif^iac. detta anche, Tisr ^vrs zovOv ^), fece Boezio : d' altra parte  noto che la famosa lotta cos lungamente contesa, come vedremo pi avanti, nel M. E. fra Nominalisti, Reali- sti e Concettualisti storicamente prese origine diretta da un passo appunto di tale opera, in cui Porfirio si era accontentato di porre i termini del problema, senza per nulla indugiarsi e risolverlo. Orbene an- che a proposito della questione del linguaggio il grande scolaro di. Plotino esercit poscia una grande influenza, prima di tutto perch per opera sua si rinsald definitivamente il contatto gi stabilito da Aristotele e dagli Stoici tra filosofia del linguaggio e le disquisizioni logiche, avendo egli considerato lo studio dell'  Organon  di Aristotele come un' in- troduzione necessaria alla filosofia di Platone, in secondo luogo perch avendo egli nella questione sopra i rapporti del linguaggio scritto ed orale col pensiero dato un grande peso alla percezione interna gi preformata dei concetti, s da stabilire, come dice Boezio -'), tre specie di discorsi od orazioni, una 1) Le cinque voci, di cui parla Porfirio, e che ebbero poi tanto se- guilo nella storia della logica (e per convincersene basterebbe pensare alla .grande importanza che ad esse d Marciano Cappella nella sua A rtes liberales ) sono : genus, forma, differcnto, accidens, proprinm (cfr. C. Prantl, op. ct. Voi, I pag, 674.). 2) Boezio, De Inferprct II, 12. NEL NEOPLATONISMO 63 qiiae litteris contine tur, secunda qiiae verbis ac no- minibiis personat, tertia quam mentis evolvit intel- lectuSy diede luogo in modo diretto a quella conce- zione della  lux interior  di cui parla S. Agostino, la quale a poco a poco si trasform nel sermo inte- rior di alcuni Padri e degli Scolastici. Dopo. Porfirio ed i suoi seguaci pi nulla ab- biamo nella filosofia antica ellenica, che valga la pena di essere ricordato : la logica s' and man mano impaludando nel puro campo formale, e se ancora si continu degli ultimi commentatori di Aristotele a discutere intorno alle distinzioni di opo; 'sL'j'.z. ovojxa, pf^jxa. '-')) ^o si fece in modo che nes- suna scintilla di pensiero rigeneratore e costruttore brillasse e si tramutasse alla sua volta in impulso per speculazioni ulteriori. Solo Giamblico continu a sostenere V origine naturale ed il significato neces- sario dei vocaboli, mostrandosi anche in ci se- guace di Platone e di Filone, e contro Aristotele, la di cui teoria sulla significazione ad placitum delle parole era stata in tempi a Giamblico pi vi- cini ripresa e sostenuta da Galeno-). Ormai il Cristianesimo e come religione e come fatto sociale aveva gettato nella sfera del pen- siero riflesso nuovi fermenti di speculazioni e di vita. Tolto di mezzo ormai il tentativo di Filone di congiunzione del pensiero ellenico col Giu- 1) Prantl. op. cit. Voi. I. paj;. 651. 2) Cfr. in proposito VICO, Principii di scienza nova ed. cit. pag. 259 e 276. 64  daismo, e pi tardi lo sforzo del Gnosticismo a che tale congiunzione si facesse col Cristianesimo, il pensiero cristiano a poco a poco si eresse libero e fiero per contendere le posizioni occupate ancora da Scettici, Eclettici , Neopitagorici e Neoplatonici ; in ci esso riusci a qual prezzo e con quel van- taggio di contenuto lo vedremo, sempre a pr' del nostro argomento, pi avanti. Ben profonde sono le distinzioni tra Patristica e Scolastica, come profonda  la differenza tra la tattica di chi sta per conquistare un paese nemico, e quella di chi cerca di, organizzare secondo ogni ordine civile e politico le conquiste fatte. La Patri- stica infatti, ben diversamente dalla Scolastica, di cui avremo occasione di parlare pi avanti, ha anzi- tutto, come ben dimostra il Wulf ^), un carattere frammentario, appunto perch i suoi atteggiamenti sono determinati dalle diverse contingenze di tempo di luogo, di minaccia, di offesa e di difesa, in cui essa si trovava. Mostrare quale sia il dogma, difen- 1) M. De Wulf, Histoire de la Pliilosop/iie medievale, 2. ediz Lonvain 1905, pag. 93.  derlo da ogni attacco dell' eresia, o da ogni com- promesso col Giudaismo e col Paganesimo, conser- vare in mezzo a divergenze pericolose 1' unit di disciplina nel governo della Chiesa, ecco gli scopi di quei primi scrittori del Cristianesimo, i quali per- ci la filosofia posero senz' altro al servizio del dogma, non solo in relazione al primato della dogmatica sul pensiero riflesso , dovuto al pri - mato della rivelazione sulla ragione , ma anche per lo scopo di trarre da quella unicamente i soc- corsi e gli appoggi per la migliore spiegazione ed accettazione di questo.  evidente che cos essendo le cose non ci poteva essere unit nello svolgimento di tutta la Patristica ; manca infatti della medesima una sintesi filosofica , come invece pi tardi si ebbe e potente una sintesi filosofica scolastica ; si po- sero,  vero, allora alcuni principii, che diventa- rono tosto e si perpetuarono poscia come il centro di ogni palpito di speculazione cristiana, le dif- ferenze nella quale furono in rapporto appunto alla lontananza maggiore o minore da quel centro ; ci furono inoltre argomenti che quasi da tutti in quei primi secoli di fervore e di lotta furono trattati con abbastanza coerenza ed uniformit di deduzioni, ma anche tale coerenza, oltre che dai rapporti inevitabili che esistono ed esisteranno sempre tra un certo nu- mero di questioni religiose ed alcune esigenze della filosofia, era determinata da una non minore coe- renza neir attacco e nel!' offesa da parte dei nemici ed interni ed esterni della nova religione di Cristo.   per questo che la scelta degli argomenti tanto negli apologisti quanto nelle prime scuole cristiane di Occidente ed Oriente  il pi delle volte indipen- dente dagli autori, i quali li trovavano, per cosi dire, belli e preparati dalle movenze dei nemici, che per un elementare principio di tattica non si potevano lasciar senza risposta. E le risposte venivano infatti, pronte, rigide, veementi e contro il Paganesimo, che, agonizzando nella sua configurazione ideale tentava negli aneliti dell' agonia gli ultimi sforzi per non morire del tutto, e contro il Gnosticismo, che, come protesta della religione, della scienza e della filoso- fia del mondo pagano contro 1' universalit della fede e della morale, contro 1' uguaglianza dei doveri e dei diritti per tutti gli uomini promulgati dal Cristo e da suoi seguaci, tent appunto di strozzare il Cristianesimo nella sua povera culla, e contro tutte le altre -eresie, che in ogni parte del mondo cerca- vano rompere queli' unit di disciplina e di pensiero, da cui solo poteva derivare il trionfo completo. E si noti contrasto delle cose : il fermento primo di si aspra per quanto naturale opposizione al Cri- stianesimo stava in gran parte nella tradizione del pensiero filosofico antico , specialmente platonico e neoplatonico ; orbene anche la Patristica, che si svolse appunto in un tale periodo di civilizzazione cos imbevuto di idee greche, all' influenza di queste non pot sfuggire, pur tentando essa co' suoi rap- presentanti migliori e specialmente cogli spiriti magni della scuola catechistica di Alessandria Clemente ed Origene e poscia con S. Agostino di indirizzare  tanto tesoro di sapienza antica verso i nuovi de- stini indicati da Cristo, e da quanti il suo pensiero avevano per i primi interpretato e spiegato. Potevan ben e Lattanzio ^) e Tertulliano -) colla rigidit e 1' esclusivit del loro pensiero opporsi a tutto ci, e maledire quasi 1' antica filosofia greca ; questa pigliava non di meno la sua vendetta allegra, perch di essa era ormai impregnata 1' aria tutta che si respirava, di essa ormai parlava qualsiasi palpito di vita, avendo essa ormai segnato quelle traiettorie, che qualsiasi speculazione riflessa per esser e rima- ner tale doveva per forza seguire. Or cos stando le cose, come si presenta a noi la Patristica in rapporto alla questione che ci ri- guarda, e cio in rapporto alla filosofia del linguag- gio ? Per rispondere a tale domanda dobbiamo anzi- tutto considerare il fatto che essa era per nulla di natura tale da richiamare a s le menti dei primi scrittori e pensatori cristiani, perch nessuna insidia vi si annidava,* che il Paganesimo potesse offrire a propria difesa contro il Cristianesimo, e nessun pericolo a cui questo si dovesse opporre. Gi lo si  detto, la Patristica nel suo svolgimento non fu in gran parte, e specialmente nei primissimi secoli, che un ininterrotto gioco di controtattica contro gli assalti dei propri nemici, siccome questi dall' argo- 1) LATTANZIO, Diviiae insiitiitiones, Libro III, cap. 21, 22 (MiGNE, Pai. Lai. VI pag. 417). 2) Tertulliano, per esempio, chiamava Platone : omnium haeretico- rum condimentariam (Cfr. Tertulliano, De anima cap. 23 (Migne Pat. Pat. W, pag. 729).  7 1 mento del linguaggio ben poco vantaggio alla pro- pria causa potevano trarre, di esso non usarono, e su esso perci la Patristica ben poco ebbe a che pensare e decidere. D' altra parte badiamo bene : in fondo in fondo neir economia del sapere antico le ricerche riguar- danti il linguaggio non erano speculazioni, dire- mo cos, d prima necessit, ma sebbene specula- zioni quasi di lusso. Solo con Platone esse assun- sero un' importanza maggiore di quello che per s potevano avere, perch fatte allo scopo evidente di rendere pi lucida e tersa la soluzione del pro- blema gnoseologico ; dopo di lui, dopo gli accenni troppo fugaci di Aristotele ed accanto alle tendenze troppo astratte degli Stoici, esse ebbero una svi- luppo originale con Epicuro, ed i suoi, ma Epicuro ed i suoi furono come i grandi scomunicati dell' Ellenismo, e la congiura del silenzio, che tanto presto travolse, per esempio, Lucrezio, dur anche pi tardi nei secoli. Dopo Epicuro la questione del linguaggio troppo supinamente un il proprio de- stino con quello della logica e della grammatica. Ora  evidente che non di logica o di gramma- tica potevano discutere quei primi scrittori cristiani, che la propria fede, condivisa con tutto V entusiasmo e con tutto il candore compatibile coli' anima umana, vedevano offesa in nome di speculazioni ben pi profonde e feconde !  per questo che mentre la Patristica ha trattato, per esempio, dei demoni, del XYoc. del ::v50>xa. per non parlare che di argomenti speciali, appunto perch la diversa interpretazione data sopra tali questioni dai filosofi non cristiani passati e contemporanei potevano in modo imme- diato essere d' ostacolo all' ortodossia, ed impulso air eresia, non ha trattato se non incidentalmente del linguaggio, appunto, perch nessuno effetto d'or- dine pratico sarebbe da una tale discussione deri- vato. In base ai tali motivi finora ricordati ben pos- siamo dire che per gli scrittori di quei primi secoli di nuovo fervore religioso e sociale, dato che tanto sot- tile era il filo della tradizione classica sui problemi linguistici, il linguaggio doveva in un certo senso apparire un' altra volta cos stretto e compenetrato alle cose ed ai concetti da non poterlo considerare astrattamente come un mero segno estrinseco, del quale vi fosse da dire chi 1' avesse inventato e come altri r apprendesse. Il D'Ovidio pensa che tale fossero le condizioni, in cui si trovava chi in modo cos frammentario ed incerto del linguaggio ha parlato al principio del Genesi ^), orbene qualche cosa di si- mile si pu pensare anche per gli apologisti^ ed i primi Padri, i quali pure sempre si trovavano nelle condizioni di dover tendere a qualche cosa di ben pi concreto di quel che fossero per se stesse le parole. Si aggiunga poi che in relazione alle domande pili facili ed elementari che la ricerca sul linguaggio poteva far sorgere, specialmente per ci che riguarda la sua origine, gi le Sante Scritture rispondevano in 1) D. Ovidio, op. cit. pag. 490. modo che, per quanto magro ed incerto in se stesso metteva per in evidenza alcuni principii su cui r accordo non manc tosto a formarsi. Conside- riamo per esempio ci che si legge al principio del  Genesi  '), Dio avrebbe egli stesso imposto il nome alla luce (ym) ed alle tenebre (laylh). Ci noi possiamo benissimo spiegare pensando, come dice il Minocchi '-) che secondo la filosofia ingenua del linguaggio presso gli antichi popoli ") solevasi pensare e dire che il nome di una data cosa fosse non un' espressione relativa e soggettiva, come diremo noi, ma bens una designazione della sua propria essenza: ognuno perci degli antichi popoli era propenso ad affermare che la sola sua lingua fosse r essenziale e precisa designazione delle cose e che invece le lingue d' altri popoli fossero altret- tante designazioni del vero linguaggio, come per balbuzie. Il concetto di lingua barbara e di popolo barbaro, (alla lettera balbuziente), si riscontra infatti non meno tra i Greci ed i Latini che fra i Babilo- nesi e gli Ebrei '). E perci che lo scrittore sacro si adatta all' esigenze popolari della scienza con- temporanea, dicendo che Iddio stesso pose quei 1) Genesi, 1, 5. 2) S. Minocchi, Genesi, cap. i (Studi Religiosi, Gennaio -Febbraio 1907 pag. 8). 3) Osserviamo ciie ci non avveniva solo nel pensiero dei popoli, 1' o- rigine divina del linguaggio abbiamo visto accennata anche nel  Cratilo  di Platone, in cui si afferma pure la naturalezza dei vocaboli, nel senso che essi esprimono la natura delle cose, come sostennero poscia anche ed Epicuro, e gli Stoici, e Filone. 4) Cfr. Salmo CXIV. 1. nomi, di cui si  parlato. Evidentemente queste con- siderazioni, che potremmo in modo analogo ri- petere anche per l' imposizione dei nomi fatti da Adamo, e per la confusione delle lingue avvenuta dopo la torre di Babele, non erano fatte dai primi scrittori cristiani, a tutt' altre cure rivolti, i quali perci accettavano fedelmente e senza discutere o discutendo in modo tutt' affatto superficiale ed inci- dentalmente quanto la Scrittura diceva in proposito. Anche pi tardi, nei secoli cio della Scolastica, come vedremo, il racconto biblico coi suoi tre punti fondamentali : 1' esplicita affermazione cio che la molteplicit degli idiomi fosse stato un castigo di Dio, e gli impliciti sottintesi che il parlare fosse una facolt primaria ed immediata dell' uomo e che la favella prima fosse stata 1' ebraica ^), fu sempre il punto di partenza per la speculazione d' ordine lingui- stica, il che avvenne anche per Dante, che pur fu cos ardito e geniale nelle sue dottrine sulla lingua. Tali sono i principali motivi, per cui noi pos- siamo affermare non esservi stata una vera filosofia del linguaggio, nel vero ed esteso senso della pa- rola, in tutto lo svolgimento della Patristica ; spunti per qua e l di essa non mancarono, rapidi ac- cenni a speculazioni, che, approfondite, avrebbero a quella per la strada maestra condotto, non sono rari, il che cercheremo appunto di dimostrare, per quanto ci sar possibile, in questa parte del nostro lavoro. 0 Cfr. in proposito FR. OVIDIO, op. cit. pag. 492.  Il primo accenno alla questione del linguaggio in scrittori cristiani possiamo trovare in Clemente Ales- sandrino, che nato al principio del III secolo d. C. e successo a Panteno nella direzione della gloriosis- sima scuola di Alessandria, centro allora della scienza cosmopolita, ne' suoi otto libri degli Stromati espose la dottrina di Cristo in relazione al pensiero filosofico antico e contemporaneo pagano, verso il quale pur tanta deferenza egli, come in genere tutti della sua scuola, nutriva. Comincia egli in un passo di quelli a stabilire il numero delle lingue a 72 contrariamente a quanto altri storici, appoggiandosi su un passo del  Genesi  '), affermavano portandolo a 75 -). Parla egli poi dei dialetti della Grecia, 1' attico, l' io- nico, il dorico, r eolico, ed un quinto comune a tutti, accenna all' opinione di alcuni Greci, tra cui ricorda Platone, del quale pi avanti cita espressamemte il Cratilo, che anche gli Dei avessero un loro dialettp speciale, deducendo ci dai responsi da quelli dati nei sogni e negli oracoli ') ; tocca del bisogno d' or- dine biologico che spinge gli animali a manifestare con segni gli stati loro interni, s da poter essi avere aiuto da quelli della medesima specie ; rifacendosi poi infine in modo evidente a quanto Cicerone af- ferma in uno dei primi capi del libro primo delle Tu- 1) Cfr. Genesi, XLVI. 27. 2) Clemente, ales., Stromatuni, I, 21 (Migne, P. G. VUI paj>. 878 e sgg.). 3) Quest' opinione del linguaggio degli Dei ritorna anche nel Vico nella sua triplice divisione del linguaggio in lingua degli Dei, degli eroi, 0 degli uomini, divisione che corrisponde alla sua tripartizione della storia in genere. (Cfr. VICO, op. cit. pag. 267 e sgg.). scalane che gli uomini primitivi, perch pi vicini in ordine alla divinit, da questa furono maggiormente illuminati su alcune verit fondamentali, espone Cle- mente r opinione, convalidata anche questa volta da quanto Platone dice nel Cratilo, a proposito dei nomi ::brj e xv*? ^), che i dialetti barbari sono YVL7.ai, e che in essi i nomi sono posti veramente da natura Tali sono in breve gli accenni al linguaggio fatti da Clemente Alessandrino, accenni che meritano da parte nostra che vi indugiamo sopra alquanto, perch essi ci daranno modo di esporre nel modo pi sistematico possibile ci che per se stesso nes- sun ordine avrebbe. Anzitutto a proposito di quanto afferma Cle- mente in relazione alle 72 lingue, diciamo che esso rappresenta uno dei punti comuni della Patristica, per quanto diverso fosse il motivo, per cui quel nu- mero era giustificato. Alcuni, appoggiandosi su pa- recchi luoghi delle Scritture, lo traevano dalle 72 genti in cui era diviso il mondo, a cui sarebbero stati dati come protettori altrettanti angeli '), altri lo traevano dal numero dei figli di Giacobbe, che entra- rono in Egitto '). S. Epifanio invece lo derivava dal numero di quelli che tentarono di costruire la torre di Babilonia ^), S. Isidoro lo metteva in rela- 1) Cratilo 410 A. B. 2) Le stirpi erano appunto 72, 32 discendenti da Cam, 15 da Sem, 25 da laphet (Cfr. S. Epiphanii, Adv. Hacr Lib I, 3. (MlGNE, P. G. XLl, pag. 674). 3) Cfr. Deutoronomio XXXII. 8. 4) S. Epiphanii op. cit. Lib, I, 1-4 in Migne, P. G. zione al numero dei seniori, super qiios cecidit spiritiis Dei ') : alcuni finalmente lo ponevano in rapporto alle 72 generazioni che, secondo S. Luca, sarebbero intercorse tra Adamo e Cristo -) Comunque sia di ci, il fatto si  che il racconto biblico della torre babilonica fu nella Patristica accettato e tramandato cos com'  ; S. Agostino lo amplific con partico- lari angelologici ^), altri particolari vi aggiunse pi tardi S. Prospero d' Aquitania ^), Teodoreto di Ciro lo pose a fondamento delle sue teorie sull' origine delle lingue '), S. Giovanni Crisostomo lo accett per proclamare formalmente la monogenesi del lin- guaggio "), di cui del resto nessuno allora non ha mai dubitato : mentre d' altra parte esso si tramut in argomento per la glorificazione dell' opera di Cristo. S. Massimo '), per esempio, mette in rapporto la divisione delle lingue col ricongiungimento di tutte le genti fatto per mezzo della parola divina di Cristo, e col miracolo di cui si parla negli Atti degli Apo- toli ^) della discesa dello Spirito Santo, per cui gli Apostoli coeperunt loqiii alils lingiiis proiit Spiri- 1) Ctr S. Clemente, Stromatuni, Lib. I cap. XXI, nota (AUgne P. G. VHI pag. 879). 2) S. IRENEO, Adversiis Hacrescs, Lib. Ili, cap. 23. 3) S. Agostino, De Civit. Dei, XVI. 5. 4) S Prosperi Aquitani, De vocatione omnium gcntium, Lib. II cap. 14 (in MlGNE, P. L. LI, pag. 699. 5) Theodoreti, Quaest. in Genesim (in AliGNE P. G. LXXX pag. 166). 6) S. Giovanni, Crisostomo, Doemones non gnbernare mundum, Homil., I. cap. 2 (in Migne, Patrologia Graeca, XLIX pag. 256). 7) S. MAXIMI T.\UR., Sermo, 4 (in A\IGNE, P. L. ILVIII pag. 636, 8) Atti Apost. II, 2-4. 78tiis dahat eloqui illis. Anche S. Cirillo Alessandrino ') insiste sopra una tale relazione, per la quale cos anche il fatto della diversit delle lingue assumeva un carattere religioso a maggior gloria dell' opera redentrice ed unificatrice di Cristo e de' suoi disce- poli 0- Col racconto biblico della confusione delle lin- gue, conseguenza della superbia degli uomini, andava per i Padri congiunta la questione della lingua pri- mitiva. Quale cio dei linguaggi umani era stato il primo ad esser parlato dagli uomini ? o per meglio dire, quale era stato il linguaggio di Adamo ? Sulla credenza alla monogenesi delle lingue, non e' era dubbio '), tutto stava a vedere quale fra tutte le lingue si poteva dire 1' originaria, e la risposta era facile ; la lingua matrice era l'ebraica, cio quella delle Sante Scritture, ci  dichiarato esplicitamente da S. Ge- rolamo ^), da S. Giovanni Crisostomo ^), ed anche 1) S. CiRYLLi Alexand, Conim. in loelem prophet, I. XXXV (in MIGNE P. G. LXXI pag. 378). 2) Notiamo che i Padri, per meglio giustificare una tale relazione fra la dispersione delle lingue ed il potere miracoloso degli apostoli di parlare qualunque lingua, potevano far appello a parecchi passi delle scritture che di ci contenevano accenni (Cfr. Isaia, XXVIII, II ; Amos, Vili. 11, 12; Ezechiele III, 26; Psal. CXVII. 27; S. Paolo I Cor ^IV, 22, 27, 31). 3) Per ci che riguarda tale argomento anche noi col D' Ovidio (op. cit. pag. 505) crediamo che Dante stesso abbia pensato che l'azione diversificante che ha sulla lingua il suo diffondersi nello spazio non venne in campo che dopo la confusione babelica. 4) S. Gerolamo, Comm. in Sopii, cap. III fin Migne P. L. XXV. pag. 1384). 5) S. Giovanni Crisostomo, Honiilia XXX in Genesim (Migne P . G. LUI. pag. 287).  da S. Agostino '), per quanto il giudizio di questo non sia dato in forma decisiva. A tale opinione per se ne opposero nella tra- dizione patristica altre, quella, per esempio, di Teo- doreto che sosteneva esser prima la siriaca ; Gregorio di Nissa, appoggiandosi su quanto si dice in un passo dei Salmi -), credeva che gli Ebrei abbiano comin- ciato a parlar V ebraico solo dopo V esodo dall' E- gitto '), finalmente altri credevano che la lingua principe fosse P aramaica '^). Efremo di Siria aveva dunque ragione fin da' suoi tempi di dire che solo di alcuni Padri era 1' opinione che la lingua matri- ce sia stata 1' ebraica '). Il curioso si  che le diverse risposte date al problema della  Ursprache  si appoggiavano tutte su ragioni etimologiche. Se per alcuni la lingua ebraica fu la prima, essa per non si chiamava originariamente, cos non essendoci bisogno,  S. Agostino che parla ''), di un nome speciale, esi- stendo alle origini una lingua soia ; fatta la di- visione delle lingue, essa assunse quel suo no- me da Eber, al tempo del quale si attu appunto il grande delitto della torre di Babele ; dopo di lui la lingua ebrea si tramand come qualchecosa di 1) S. Agostino, De civitate Dei, XVI. II. 2) S. Gregorio Nisseno, Contra Eunomium, 1, 12. (Migne, P. G. XLV, pag. 997). 3) Salmi, LXXX, 6. 4) Cfr. GURIEL, Elemento lingiiae chaldaicae, Roma 1850, paj?. 1 esgg. 5) S. EPHREMI, App. Siriae, I, 134. 6) S. Agostino, De civitate Df/, XVIU. 39; cfr. anche Deciv.Dei XVI, 11.  sacro, tanto  vero, dice ancora S. Agostino, che Mos dovette nominare alcuni che spiegassero al popolo tutto ci che alla lingua ebraica apparteneva. Ora tutto ci  negato da Teodoreto Siriaco, che, pieno r animo delle nobili tradizioni della sua patria, in cui fin dal tempo di Alessandro Magno era pe- netrato il soffio della speculazione greca, e da cui uscirono pi tardi le scintille prime, che illuminarono il sorgere della civilt araba ^), dice invece che i nomi delle Sante Scritture, come quelle di Adamo, Cam, etc. sono di origine prettamente siriaca, perch siriaca era la ling.ua prima dei primi uomini : ed al- lora come si spiega V origine della lingua ebraica ? Cos : essa non  una lingua naturale, ma sibbene doctrina et arte comparata, non  'poaiy.T^, ma otoay.r/^. cio Dio don 1' uso di essa a Mos, che la ridusse come a lingua sacra per il codice delle leggi ;  per questo che Mos, il grande legislatore, dovy/.xj). di quella degli Stoici che i nomi invece sieno per natura, piimis vocibus res ipsas, qiiibus siint nomina, imitantibus, e, degli Epicurei, secondo cui i nomi sono per natura nel senso che primi homines quasdam voces de rebus ipsis temere ejectarunt ^). Come si vede anche in O- rigene si attu quella parzialit nel giudicare delle teorie di Epicuro, tentando anch' egli di far passare 1) Origene, Adv. Celsum Lib. I, cap. 24. (Migne P. G. Voi. II pag. 242).  r antico filosofo come un semplice sostenitore dell' origine naturale del linguaggio, e dimenticando cosi tutta la seconda parte della dottrina di lui, gi da noi considerata, parzialit che gi abbiamo visto in Diogene d' Enoanda ed in Proclo. A voler esser giusti, dovremmo anzi dire che anche la prima parte della teorica epicurea sull' origine naturale del lin- guaggio, determinata dal bisogno d' ordine fisiolo- gico e psicologico, si trova nella Patristica molto meglio riprodotta in Eusebio -di Cesarea ^), laddove riportando ed allargando un passo di Diodoro di Sicilia -) e forse avendo sott' occhio anche un altro passo analogo di Vitruvio ^), oltre che i gi citati di Lucrezio, viene efficacemente a descrivere lo stato fermo degli uomini primitivi con queste parole : ciimqiie vocem UH confiisam primum et ab omni si- gnificatione vaciiam effunderent, singiilis paulatim vocibiis articulata proferendis, signisque rerum qiiae occurrebant inter sese constitutis, notam eoriim sibi omnium explicationem interpreiationem fecisse. Jam vero quod coetus eiusmodi ioti passim orbe confla- rentur singulique voces proni cuique temere ac for- tuito visum erat componerent, non eandem idcirco loquendi rationem cum universis communem fuisse. Atque hunc formae linguarum multiplices, primaeque illae hominum societates omnium parentes et capita gentium extiterunt. 1) EUSEBII Caes, Praep. Evang. Lib I, cap. VH. (MlGNE P. G. XXI pag. 54). 2) DiOD. Sic, Bibliot., hist. I, 8. 3) Vitruvio, De Architect., II, 1. Del Cratilo platonico gi abbiamo visto ac- cenno neir opera di Clemente Alessandrino, di esso qualche secolo dopo parl ancora S. Teodoreto ve- scovo di Ciro, che di quello riporta ed approva al- cune etimologie ^), d' altra parte gi si  ricordato -) come nella grammatica medievale sia rimasto il con- cetto dell' esilit dell' /, concetto che eminentemente platonico, come si  visto a suo lungo parlando appunto del Cratilo, trov nell' et di mezzo la sua espressione pi efficace in Isidoro di Siviglia ) ; possiamo dire per che un' esposizione chiara della teoria platonife del linguaggio nella Patristica non fu fatta, anche per la difficolt enorme di trovare un filo conduttore in mezzo alle apparenti e reali con- traddizioni di quel dialogo di Platone. Chiara invece appare in Origene 1' opinione di Celso, sul linguaggio solo che quegli, forse per ra- gione di polemica, pone questo tra gli aborriti Epi- curei, ^) mentre in realt Celso fu uno di quei pla- tonici eclettici 0 pitagorici che portarono in avanti gli insegnameati dell' Academia per un giro di tempo ben maggiore di quello che non abbia cre- duto Seneca "'). Celso adunque, secondo Origene, credeva, ed in questo si mostrava piuttosto aristo- telico che platonico, nil referre lupiter dicas an 1) THEODORETl Epis., Gracc. affect. Gap. III. (MlGNE P. G. LXXXIII, pag. 863 e 875). 2) Cfr. del nostro lavoro. Gap. I. pag. 19. 3) ISIDORO, Orig., I, 4. 17. 4) Gfr. A. Ed. Ghaignet, op. cit. Tomo UI, Paris 1890, pag. 191. 5) Seneca, Nat. guaest., VU. 32.  Diespiter art Adonaeus, an Sabaot, an Animus, an Pappaeiis, appunto perch poco importa il suono dei vocaboli, solo interesssando il significato dei' medesimi ^). Alla presenza di tali dottrine degli antichi suH' o- rigine e sulla natura del linguaggio come si  compor- tata la Patristica ? e caso mai che cosa ha essa alle medesime contrapposto ? Possiamo anzitutto affer- mare che in genere la Patristica fu contraria all' arbi- trio ammesso nell' uomo da Aristotele per la posizione dei nomi, venendo in proposito ad opinione ben di- versa da quanto in merito a tale questione ammetteva, come vedremo la Scolastica. La Patristica, in altri ter- mini, fu piuttosto per la spiegazione platonico-stoica che non per quella dello Stagirita, per cui invece, e le ragioni le vedremo pi avanti, si dichiar in genere la Scolastica. -) Le parole di Origine in pro- posito sono recise ; Et nane idem repetimiis nominum naturam non esse ad hominum placitiim, ut visum est Aristoteli. Tale predilezione della Patristica per l' indirizzo platonico, che i nomi corrispondono veramente alla natura delle cose, si comprende benissimo, oltre per il rifiorire del Neoplatonismo in quel giro di tempo anche per il fatto che tale indirizzo meglio si accor- dava con un punto comune di tutta la Patristica stessa che cio anche il linguaggio, come tutto il resto, 1) Origene, Contra Celsuni, Uh. V. 2) Avremo occasione a suo tempo di discorrere dell' opinione di Dante in proposito, il quale in un passo della Vita nova (cap. XIII) mostra di accettare la dottrina : nominum sunt consequentia rerum. E l'intervento divino nell'origini 87 viene da Dio. Gi in proposito Origene, rispondendo a Celso, e con lui agli altri epicurei, parla di un occulta quaedam thcologia qiiae iiniversitatis opifici congruat, qua propter nomina sunt efficacia ;  questa per una concessione alle antiche superstizioni del Paganesimo, perch quella theologia, di cui parla il grande scolaro di Clemente di Alessandria, riguarda non solo le sacre parole della religione nuova, ma sibbene anche quelle di altre religioni , che usate secondo le superstizioni antiche producevano, per il fatto appunto di essere quel che erano, cose mi- rabili. Pi esplicito, 0 per meglio dire, pi cristiano  Eusebio di Cesarea, che a commento di quelle parole che, poco sopra citate, erano state tolte, come si disse, da Diodoro in Sicilia, lamenta appunto che in luogo di Dio si sia voluto in esse parlare di una fortuita quaedam ac sponte odiata huius universi di- sposino, .il che egli ripete anche pi avanti nell' opera sua  De praeparatione Evangelii ^)  . Contempora- neamente S. Basilio r origine divina del linguaggio chiaramente afferma -) e dopo lui S. Gerolamo ), S. Agostino ^), S. Giovanni Crisostomo '), e molti altri, i quali interpretando in modo letterale il rac- 1) Eusebio Caesar, De prepar. Evang., Lib. H, 3. 2) S. Basilio, Homilia li in Oeut. XV. 9 (Migne P. G. XXXI, pag. 198 3) S. Gerolamo, Comm. in leremiam, Lib. IV, cap. XX (Migne P. G. XXV pag. 839). 4) S. AGOSTINO, De civitafe Dei, VII 25. 5) S. Giovanni Crisostomo, Doenwnes non gubernare mundum Hom., I cap. 2. (MIGNE P. G. XLIX pag. 24G). LA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO conto biblico dell' imposizione dei nomi da parte di Adamo a tutte le specie di animali, hanno veduto in ci r opera evidente di Dio ^). Vero, si  che il gi citato S. Basilio in un suo discorso ') chiama il linguaggio munas naturale, la quale espressione si pu benissimo spiegare pensan- do non solo alle parole sulla naturalit del linguag- gio che S. Basilio gi poteva leggere in S. Clemente in rapporto appunto alle teorie degli antichi filosofi in proposito, ma probabilmente anche a quanto nei tempi antichi aveva narrato Erodoto, accogliendo nelle sue storie ^) V episodio del re egiziano Psam- metico , il quale volendo sapere quale fosse la prima parola, che naturalmente poteva uscire dalla bocca di un bambino, per poter decidere quale fosse la nazione matrice, seppe che un bambino, mandato in una solitudine con una nutrice muta, pronunci per prima la parola Bxxoc, che in linguaggio frigio vuol  dir pane ^). Abbiamo detto che molto probabil- mente la conoscenza di questo aneddoto pu aver determinato il grande Basilio, eruditissimo luminare della Cappadocia, a credere naturale il dono del linguaggio, e tale probabilit la deduciamo per ana- logia del fatto che 1' aneddoto suggestivo di Ero- 1) Cfr. B. Pererio, op. cit. Tomo I, Lib. V, pag. 202. 2) S. Basilio, Senno n De Doctrina et admonitione (MIGne P. G. XXXn pag. 1134). 3) Erodoto, Historiae U, 2. Di casi pressoch simili avvenuti in tempi moderni discorre a lungo lo Steinthal (Steinthal, Ursprung der Sprache, Berlino 1888 pag. 277-281). 4) Sul valore di tale e consimili esperimenti cfr. D' OVIDIO, op. cit. pag, 491 e sgg. E l'ipotesi tradizionalistica 89 doto ci  tramandato anche da Tertulliano '), il quale pure, volendo poi spiegare 1' origine del linguaggio, fa derivare questo, secondo il suo grande principio : magistra natura, anima discipula, dalla natura stessa ') Comunque per sia di ci, non si deve credere che le espressioni e di Basilio e di Tertulliano sieno in contraddizione all' opinione comune dell' intervento divino neir origine del linguaggio, Tertulliano stesso ci toglie qualsiasi dubbio su ci, quando nel passo stesso citato chiama Dio magister ipsius naturae ; se questa adunque ha operato immediatamente nella for- mazione del discorso umano, in modo mediato 1' ori- gine di questo si deve per sempre attribuire a Dio. Ora tutta la questione sta a vedere come i Pa- dri potevano o sapevano spiegare tale intervento di Dio nella produzione della favella dell' uomo. Il Re- nan ha affermato che l' ipotesi tradizionalistica, per cui il linguaggio sarebbe stato infuso da Dio, sicch r uomo da questo avrebbe insieme ricevuto e rice- verebbe ed essenza e parola,  tradizionale nella teologia cristiana ') ; orbene, per ci che riguarda il periodo patristico, dobbiamo assolutamente negare che ci sia, che anzi durante un tale periodo ab- biamo argomenti per dire come una tale ipotesi sia anzi stata solennemente oppugnata. Gi S. Agostino afferma che l' imposizione dei 0 Tertulliano, Ad nationes, Lib. I cap. 8 (Migne P. L, Voi I, pag. 284. 2) Tertulliano, De testimonio animae, cap. V (Migne P. L. I, pag. C89). 3) Renan, Origine da Langage, Paris 1858, pag. 8. nomi  opera della ragione umana, e lo afferma in modo esplicito, ecco infatti le sue parole ') : Illud quod in nobis est rationale, id est, qnod ratione uti- tur et rationabilia vel facit vel seguitar, quia naturali quodam vinculo in eorum societate astringebatur, cum quibus UH erat ratio ipsa communis, nec homini homo firmissime sociari posset, nisi colloquerentur atque ita sibi mentes suas cogitationesque quasi refun- derent, vidit esse imponenda rebus vocabula, id est significantes quosdam sonos : ut quoniam sentire ani- mos silos non poter ant, ad eos sibi copulandos sensu quasi interprete uterentur. Nel grave dibattito per avvenuto nel IV secolo tra Gregorio di Nissa ed Eunomio si rileva meglio r opposizione a qualsiasi tendenza tradizionalistica in proposito. Eunomio ebbe, com'  noto, una grande impor- tanza nella storia del pensiero religioso cristiano, perch egli fu grande fautore dell' omoioousia cio delle sola somiglianza tra il Figlio ed il Padre, contro la dottrina dell' omoousia, cio parit di na- tura tra quello e questo, sostenuta con tanto calore dai Padri dell' ortodossia. Per ci che riguarda il nostro argomento noi possiamo dire essere stato Eunomio un seguace quasi fedele di Filone 1' ebreo, dal misticismo del quale  molto probabile abbia direttamente attinto le proprie opinioni sul linguag- gio, data r influenza storicamente provata di Filone sullo svolgimento del pensiero ulteriore, e special- 1) S. Agostino, De ord. Il cap. 12. mente sul misticismo neoplatonico nel secolo IV, r et appunto di Eunomio, pienamente in fiore/ D' altra parte egli pu essere considerato come un lontano antecessore della teoria tradizionalistica, che affermatasi gi in alcuni teologi dopo il Rinasci- mento '), trov la sua pi completa espressione nel De-Bonald del quale sono le parole : // est nces- saire qiie V homme pense sa parole avant de parler sa pense -), appunto perch il a falla que le cra- teiir donnt a V homme et V instrument de la parole et la manire de V empio yer et de s' en servir'). Opinione pressoch simile era fin dal secolo IV manifestata da Eunomio, il quale pure era favore- vole ad una soluzione ultra naturale del problema delle origini del linguaggio : i nomi, egli diceva, sono come 1' essenza delle cose, quindi dipendono anch' essi direttamente da Dio ^). La tesi contraria di S. Gregorio era cos da lui stessa riassunta : Nos asserimus nomina ad res declarandas et signifi- candar fiumana sollertia inventa esse ^), a cui per- fettamente corrispondono quest' altre : inventio ver- borum singulorum ad rerum significano nem a nobis 1) Cfr. Steinthal, Ursprung der Sprache, Berlin 1888, 4 Aufl. pag. 45. 2) De Bonald, Lgislatiom primitive, Paris 1803, parte I, pag. 54. 3) De Bonald, Grammaire generale, Paris 1799, parte l. pag. 117. 4) Gregorio Nisseno, Cantra Eunomium, Lib. XM. (Migne P. G. XLV, pag. 906). 5) Gregorio Nisseno, Cantra Eunomium, Lib. XII. (Migne P. G. .XLV, Pag. 963) 6) Gregorio Nisseno, Cantra Eunomium, Lib. XII. (Migne P. G. XLV, pag. 990) ipsis excogitata est''). Gli argomenti portati in campo dal santo per ribattere la tesi dell' avver- sario a vantaggio della propria, sono di due or- dini, e cio naturali e teologici ; i naturali sono trat- ti dalla costituzione dell' uomo : in fondo la spie- gazione ultrarazionale di Eunomio che il linguaggio sia stato infuso da Dio neir uomo, spinta a suoi estremi limiti, portava alla conseguenza che i nomi potevano essere preesistenti all' uomo 0, ora il santo aveva buon gioco nel rispondere che per la pro- nunzia delle parole ci vogliono organi e che perci : proprium est corporeae naturae per verba cordis et a- nimi sensiis emmtiare~), tanto  vero soggiunger pi tardi Teodoreto ^), che in cielo non esister pi linguaggio, come  concepito ed attuato da noi. Gli argomenti d' ordine teologico erano escogitati in contrapposizione a quanto affermava Eunomio sul discorso attribuito dalle Scritture a Dio : se que- sti ha parlato, concludeva egli, vuol dire che la parola  qualche cosa che appartiene a Dio, e di cui questi pu disporre a vantaggio di altre crea- ture ^), al che S. Gregorio risponde che le parole di Dio non sono che  divinae voluntatis indicatio- nes, aliter atque aliter ratione eoriim qui gratiae fi- 1) Gregorio Nisseno, Cantra Eunomium, Lib. xn. (Migne P. G. XLV, pag. 966). 2) Gregorio, Nisseno, Cantra Eunamium, Lib. XH. (Migne P. G. XLV, pag 979). 3) Theodoreti, //z^erp. Epist. I ad Carinth. cap. XIV. (Migne, P. G. LXXXH, pag. 335). 4) Gregorio Nisseno, Cantra Eunamium, Lib. XH. (Migne, P, G. XLV. pag. 998).  iint partlcipes, sanctonim puro et ratio nes tenenti principatiim intellectni illucesccntes . Se adunque Mos ha parlato del linguaggio di Dio, lo ha fatto non in rapporto a reali discorsi di lui, che in modo ben diverso avr manifestato i suoi divini voleri, ma sibbene propter pnerilem imbecillitatem eorntn qui ad Dei cognitionem adducebantur. D' altra parte dove mai Mos dice che Dio diede il codice completo del linguaggio umano ^) ? Si deve dunque ritenere, con- cludeva il santo scrittore, che Dio non infuse gi il linguaggio beli' e fatto in noi, ma sibbene fece r uomo come capace di ogni scienza cos capace anche di discorso '-). Parr a prima vista che questa soluzione data al problema delie origini del linguaggio da Gregorio di Nissa sia in opposizione a quanto si affermava poc' anzi suir interpretazione piuttosto platonica che aristotelica data dalla Patristica in genere della na- tura dei vocaboli, ora ci non  in realt, giacche se  pur vero che Gregorio ammetteva il linguaggio come opera ed invenzione logicae humanae facul- tatis "), nel che egli sembrerebbe un seguace della spiegazione di Aristotele sul linguaggio posto ad placitum hominis, aggiunge per tosto queste parole : res autem secundum naturam et vim cuique inditam 1) Gregorio Nisseno, Cantra Eunomium, cap. XU (Migne P. G. XLV pa^'. 1002). 2) Gregorio Nisseno, Cantra Eunomium, cap. XII (Migne P. G. XLV pag. 990). 3) Gregorio NIsseno, Cantra Eunamium, cap. XII (Migne P. G. XLV pag. 994). significative voce aliqiia nominantur, colle quali pa- role  evidente che anche Gregorio di Nissa, nel dare ragione della parola, segue l' indirizzo di Pla- tone, seguito poi in certo qual modo dagli Stoici ed anche da Epicuro, che le parole sono veramente per natura, perch vi  un nesso reale tra suono, con cui esse si esprimono, e la cosa, che da esse vien nominata. Capitolo IV. La filosofa del linguaggio in rapporto alla psicologia patristica. Sommario : La questione del linguaggio ne' suoi rapporti psicologici.  Il linguaggio dell' uomo e la manifestazione dei sentimenti nei bruti.  Elementi fisiologici nella produzione dei suoni.  Ele- menti psicologici del linguaggio e loro rapporto colle facolt dell' anima.  11 sermo interior secondo la Patristica.  Rapporti tra linguaggio interno ed esterno, e rapporti tra pensiero e parola.  La questione del linguaggio ne' suoi rapporti morali. Quanto nel capitolo precedente si  detto  tutto quanto la Patristica ha saputo o potuto esco- gitare intorno alla questione del linguaggio consi- derata nel suo aspetto storico ; vediamo ora che cosa essa ha saputo o potuto dire intorno al mede- simo argomento considerato ne' suoi riguardi psi- cologici , cio nei suoi rapporti col pensiero : siamo qui in un campo che pi direttamente tocca la cos detta filosofia del linguaggio, riguardando questa sopra tutto le relazioni del linguaggio col problema in genere della conoscenza. Abbiamo visto a suo luogo come il  Cratilo  di Platone si debba interpretare come una prepa- razione alle teorie delle idee ; essendosi, infatti in esso mostrato che dalle parole non si pu conoscere la natura delle cose, vi si veniva esplicitamente ad accennare ad un altro criterio di conoscenza, alla teoria cio delle idee.  evidente che, cos in- terpretato, il Cratilo risolveva una questione che rimaneva pregiudiziale anche per quegli scrittori della Patristica, che ammettevano la teoria delle idee e con essa 1' altra teoria della reminiscenza come spiegazione delle origini delle idee stesse, e della conoscenza che noi possiamo avere di esse, hiten- diamo soprattutto parlare di S. Agostino, il quale, come  noto, dapprima si era appunto risolutamente pronunciato in favore della reminiscenza platonica ^).  vero che pi tardi egli ritratt tale sua ideologia '), il che fece per respingere la teoria platonica della preesistenza delle anime, restando per sempre per- suaso dell' innatismo delle idee, spiegando questo 0 per r intervento successivo di Dio, a misura che la nostra intelligenza si svolge, o per un' azione unica del medesimo, che al momento dell' unione del- l' anima col nostro corpo avrebbe deposto in quella un tesoro latente di sapere % Sotto un tale punto di vista, cio direttamente dal problema fondamentale dell' origine delle idee, ben avrebbe potuto la questione del linguaggio, considerata sempre ne' suoi riflessi psicologici, es- sere attaccata nel suo punto sostanziale, invece cos non fu : la Patristica infatti per essere coerente 1) S. Agostino, De gnantitate animae, 20. Cfr. De Trinitate, XH, 15. 2) S. Agostino, Re t rad., I, 8. 3) Cfr. F. Martin, Saint Augustin, (Los grands philosophes), Paris 1901, pag. 5.  alle ragioni della sua esistenza, di cui gi si  di- scorso un po' addietro, anche la questione del lin- guaggio affront in modo accidentale e saltuario, man mano la foga della discussione e soprattutto r entusiasmo della fede offriva il destro. Anche qui 1' impulso primo a trovare quel filo, che possa unire le frammentarie speculazioni dei Padri suir argomento che e' interessa, ci  offerto, come gi per la parte storica di esso, da S. Cle- mente di Alessandria. Egli infatti nel passo gi ci- tato in altro luogo parla di ^lazToi X^m C^wv, del che fa accenno in un passo, riportato da Ori- gene *), anche Celso, il quale al sistema di segni, ricordati da S. Clemente, in uso tra gli elefanti, scorpioni ed alcuni pesci aggiunge i colloqui de- gli uccelli. Una manifestazione adunque di ci che si attua dentro  possibile anche negli animali, solo neh' uomo per essa, associandosi alla riflessione pu assurgere all' importanza di discorso, cosicch la differenza tra questo e quella  la stessa che S. Agostino con molta precisione dimostra esistere tra il modo di conoscenza degli uni ed il modo di cono- scenza degli altri. -). Ci  chiaramente affermato da S. Basilio, il quale mette benssimo in confronto r elemento, diremo cos, fisiologico del linguaggio col di lui elemento psicologico. Quello non  asso- . Ultamente necessario al linguaggio, tanto  vero 1) Origene, Contra Celsnm. IV. (Migne, P. G. XI, pag. 222). 2) Cfr. S. Agostino, De civitate Dei, XI, 27.  che si constaremus anima nuda statini certe cogita- tioniun ope inter nos congrederenmr,^) colle quali parole sono in rapporto quelle altre di Origene, con cui si afferma, come gi aveva fatto Aristotele, che si possono talvolta proferire suoni senza che abbiano significato alcuno, mentre  anche possibile di- scorrere intra nos ipsos, senza pronunziare parola al- cuna'), il passo gi citato di Teodoreto, in cui si sostiene che in paradiso i linguaggi si renderanno perfettamente inutili, e le parole di S. Agostino, in cui si spiega il modo col quale possa parlare Iddio non gi per corpus et interposito corporaliiim lo- coriim intervallo, sed ipsa veritate, si qiiis idoneiis sit od audiendum mente non corpore''). Finch per si  su questa terra, dove 1' uomo rimane sempre un composto di anima e di corpo '^), anche 1' elemento fisiologico ha la sua importanza, che la Patristica riconobbe con Nemesio, per e- sempio, il quale nel suo trattato di Psicologia De natura hominis, parla appunto degli instrumenta vo- cis, fra cui egli cita et museali qui intus sunt in mediis lateribus et thorax, et palmo, et aspera ar- teria, et larynx, et horum maxima quod cartagilo- nosum est, et nervi recurrentes, et lingula, et os, et 1) S. Basilio, HomiUa in Deut. XV, 9. (Migne, P. G. XXXI, pag. 198). Opinione pressoch di simile gi abbiamo visto in Aristotele, e vedremo pi tardi nella Scolastica. 2) Origene, Comment. in Ioannem, U, 26 (Miqne, P. G. XIV, pag. 170). 3) S. AGOSTINO, De civitote Dei, XI, 2. 4) Cfr. S. Agostino, De civitate Dei, XIII, 24.  omnes musciili qui has partes movent '), con Gre- gorio Nisseno, che in un commentario all' Eccle- siaste descrive il lavoro fisiologico che senza fa- tica, in effetto dell' abitudine, compie la lingua per pronunciare le parole -), con Lattanzio ') che nel  De opificio Dei  mette in evidenza gli atteggia- menti degli organi vocali, con S. Ambrogio ') che neir Hexaemeron, loda in modo nobilissimo la pre- cisione degli organi diversi del petto e della bocca nella formulazione dei suoni diversi, con S. Ago- stino ^), e con altri, i quali tutti s'indugiano nella descrizione anche degli elementi fisiologici del lin- guaggio per spremere nel loro inalterabile e fecondo ottimismo un argom.ento di lode per 1' opera ma- gnifica del Creatore ''). Anzi  questa colorazione religibsa che distingue profondamente 1' ottimismo dei citati autori della Patristica dal teleogismo delle fonti, donde essi attinsero quei rilievi di ordine fi- siologico, fonti che noi possiamo facilmente rin- tracciare nel  Timeo di Platone, dove questi, in- segna esser la voce una certa pulsazione dell' aria '), 1) NEMESI!, De natura liominis, cap. 14. (Migne, P. G. XL, pag. 667). 2) Gregorio, Nisseno, In Eccles. Hom. I. (Migne, P. G. XLIV. pai;. G30). 3) FiRM. Lattanzio, De opificio Dei, cap. 15. (Migne, P. L. vn, pa^'. 620. 4) S. Ambrogio Hexaemeron, lib. VI, cap. 9. (Migne, P. L. XIV, pag. 269. 5) S. AGOSTINO, Confessioni, I, Vili. G) Bisognerebbe leggere in proposito per convincersene quanto hanno scritto Lattanzio e S. Ambrogio nei passi citati 7) Questo elemento fisico dell' aria indicato da Platone, e fissato  arrivante al cervello ed al sangue per mezzo delle orecchie, nel  De Generatione animalium, nel  , colla 1) Sulla rationes seminales ammessa da S. Tommaso nell' intelletto umano cfr. Quaestiones disputatae, De veritate, quaest. XI, De ma- gistro, art. I.  conclusione evidente che  cogitatio nihil aliud est qiiam interior lociitio '). In un altro passo del  De Trinitate, citato da S. Tommaso'), si trova la seguente espressione che pienamente concorda con quanto sopra : Verbiim nihil aliud est quam cogita- tio formata. Son questi trasparenti accenni alla teoria del sermo interior, corrispondente pressapoco al lavoro discor- sivo che r intelletto nostro compie per passare da una verit generale a verit particolari attraverso a tutti i rapporti di convenienza che si possono stabilire tra quella e queste. S. Agostino, sempre al passo del XV libro del  De Trinitate, citato da S. Tommaso, aggiunge che  verbum quod foris sonat signum est verbi quod intus latei, cui magis verbi competit nomen, nam illud quod profertur tronsiens, alias carnis ore vox verbi est verbum, quia et ipsum dicitur propter illud a quo ut foris apparet assum- ptum est. Mettendo in relazione tutto ci con quanto sap- piamo dell' innatismo agostiniano in rapporto ai principii generali, e pensando a quella lux interior, di sapore evidentemente neoplatonico '), che S. Agostino ammetteva dentro di noi come rifrazione della potenza di Dio, che cos concorre alla cono- scenza intellettuale^), possiamo conchiudere che il 1) Cfr. S. Bonaventura, Sentent. Lib. H, Art. HI. quaest. 1. 2) S. Tommaso. De ventate, in Quaest. disp. quaest., IV, art. 1. 3) Cfr. Prantl, op. cit, Voi. I pag. 63G. 4) Son parecchi i passi di S. Agostino che alla lux interior si pos- sono riferire, cfr. SoUl. I. 1, 8; De Trinitate, XII, 15; De Magistro, passim.  santo d' Ippona ammetteva come inseparabile la pa- rola dal pensiero nel processo discorsivo della mente nostra, mentre forse cos non credeva che fosse per le cognizioni d' ordine eminentemente intuitivo. Era questo un argomento importante, che la Scolastica poi assunse per decidere la questione se in Dio ci possa essere linguaggio, argomento che oltre che in S. Agostino quella poteva rintracciare anche in S. Giovanni Damasceno, del quale appunto S. Tom- maso nel luogo citato riporta questo ragionamento in merito alla questione di cui sopra : in Deo non potest poni nec motus nec cogitatio quae discursu quodam perficitur, ergo videtnr et verbiim nullo pro- prie dica tur in divinis. Poteva sorgere la questione della diversit dei nomi presso i popoli diversi in apparente contrasto coir indissolubilit tra pensiero e parola, ma ad essa gi aveva fin da' suoi tempi risposto Tertulliano con quelle sue significantissime parole : omnibus genti- bus una anima varia vox, unus spiritus varius so- nus, proprio cuique genti loquela, sed loquelae ma- teria communis ^), appunto perch, come dice altrove Tertulliano con una di quelle frasi incisive, che caratterizzano il suo stile, sermonis corpus est spiri- tus, tanto  vero che prior est animus quam litera, come prior est sermo quam liber, prior sensus quam siylus, et prior homo ipse quam philosophus et poeta ~). 1) Tertulliano, De Testimonio animae, cap. VI (in Migne P L. I pag. 691. 2) Tertulliano, Adv. Praxeam, cap. VU. (Migne P. L. \\, pag. 187). il che viene perfettamente a spiegare 1' altro passo del forte scrittore africano : quodcwnqiie cogitavcris, senno est : in te enim secundiis qiiodammodo est sermo per qiieni loqaeris cogitando, et per qiieni cogitas loqnendo ^), con cui oltre clie mettere gi in evi- denza la concezione del  si ricono- scono anclie gli intimi rapporti tra pensiero e parola. Anche S. Gerolamo parla in una sua epistola di taciti animi cogitatio, e di arcanus eius sermo '), mentre nel commentario al profeta Geremia parla di conceptus animo sermo divinus, nec ore prolatus qui ardet in pectore '). In modo per pi evidente del sermo interior parla S. Massimo confessore, uno dei primi ammi- ratori ed imitatori della filosofia neaplatonica della Pseudo Dionigi. Divide egli, come gi gli altri, di cui si  parlato, il linguaggio in quanto  sem- plice manifestazione degli affetti concitati dell'animo da porsi, sotto una tal forma, alle pari coi cinque sensi, di cui  formata la parte dell' animo priva di ragione, dal sermo interior o Xyo? che rappresenta la stimma hominis perfectio, anzi il commercio dell' uomo collo spirito divino *). Del Xyoc sv^iO-sio? parla il medesimo autore in uno de' suoi opuscoli. 1) Tertulliano, Adv. Praxeom, cap. V. (Migne P. L. U, pas. 183). 2) S. Gerolamo, Epistola XCVm (Migne P. L. XXn pag. 808). 3) S. Gerolamo, Comni. in lercmiatn Lib. IV cap. 10. (Migne P. L. XXIV pag. 837). 4) S. Maximi Confessoris, Alia ex vatic. cap. 19 (Migne P. G. XC, pag. 1400).  dando per a tale espressione un significato pi largo di quelli che non le abbiano dato gli Stoici, egli lo concepi,sce infatti come un vero sermo cordis et animi, cio un motus animi plenissimus, qui fif ea parte quae ratiocinatar, nulla prolatione ac vocis sono expressus, ex quo senno, qui ore profertur prodit *), mentre gli Stoici colla denominazione di Xyj(: ivoiO-sTOi; volevano significare a preferenza il vero ed esclusivo giudizio logico. In un altro opuscolo pi esplicitamente ancora il medesimo autore mette in relazione il sermo in mente repositus, qui est animi sermo in ipsa rationis facultate emer- gens absque ulla pronunciatione, che si trova in tutti, anche nei muti, coli' altro qui ore profertur, il quale  alcunch di puramente accidentale rispetto al primo assolutamente essenziale '^). La dottrina per del sermo interior solo col gi citato S. Giovanni Damasceno assume la sua formula completa, formola che si trova in quella parte della di lui opera principale  De fide orthodo- xa, che  come un pccolo ed esauriente trattato di psicologia.  in essa infatti che 1' autore divide, si noti bene, la parte ragionevole dell' uomo in due cio nel discorso interno (Xyoc voii^-s'uo?) e nel discorso esterno o prolatizio (jrpo'f opizc.) per quello noi siamo esseri Xoyixol, per questo XaXvjTiywOi ''), 1) S. MAXIMI CONFESSORIS, Opuscula  8 (MlGNE P. G. XCl pag. 22). 2) S. MAXIMI CONFESSORIS, OpiiscuU,  153 (MlGNE P. G. XCI pag. 278). 3) S. Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa. cap. XXI (Migne P. G. XCIV, pag. 935).   cio forniti della facolt di parlare. Anche qui le denominazioni sono stoiche, ma il loro significato per  pi largo, perch riguarda non solo la pro- duzione 0 r espressione del giudizio logico, ma sibbene 1' attuazione e la manifestazione di qualsia- si moto conoscitivo dell' animo. Anche per ci che riguarda il sermo interior, facile  il rintracciarne le fonti nella speculazione greca : abbiamo gi sopra citato il Xyoc voiO-EToc degli Stoici : baster che noi accanto ad esso ri- cordiamo il Xgyoc s!j/{;'r/G^ di Platone e di Aristotele e soprattutto la triplice distinzione di cui parla nella sua  Isagoge  Porfirio, tanto noto e studiato per tutti quanti i secoli dell' era cristiana, e cio, per usare le parole stesse del di lui traduttore e com- mentatore Boezio, r oratio, quae litteris continetiir, seciinda quae verbis ac nominibus personat, tertia quam mentis evolvit intellectus ^). Dopo aver stabilito nel modo indicato la no- zione del sermo interior in contrapposto al prela- tizio, la Patristica passa a studiare le relazioni fra r uno e r altro, ed ecco che in proposito S. Cirillo, per esempio, riconosce la velocit nella cognizione interna discorsiva dell' intelligenza e la lentezza in- vece del discorso esterno ~), mentre d' altra parte S. Basilio osserva che talvolta la lingua in certe con- 1) Cfr. C. Prantl, op. cit. Voi. I pag, G36. 2) R. Cyrilli, HlEROS. Catechesis VI  2 (MlGNE P. G. XXXVI pag. 539). E forse questo un' eco di queir insufficienza della parola rispetto al pensiero, di cui gi parlava Aristotele, e che fu notata anche dalla Scolastica gi gii, come si  visto, fino al Cusano. no LA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO dizioni tumultuarie dell' animo precorre il palpito della riflessione '), sicch mentre talvolta quello  come un telnm pacatissimiim, altrevolte  un teliim semper carrens ''), per il medesimo S. Basilio poi i discorsi sono vere immagini dell' animo ^), mentre per Teodoro Mopsnesteno non ne sarebbero che un'ombra^). Sono questi, come si vede, accenni alla questione del nesso tra pensiero e parola, a proposito della quale vale la pena che noi ripor- tiamo i gludizii di Tertulliano, e di S. Agostino, perch abbastanza espliciti e precisi. Il primo in- fatti ^), apertamente dichiara che  impossibile pen- sare senza associare alle diverse rappresentazioni del pensiero anche le parole con cui noi le sappiamo e le possiamo esprimere ; ecco le sue parole : Vide Cam tacitiis seenni ipse eongrederis ratone hoc ip- siim agi intra te, occurrente ea Ubi ewn sermone ad omnem cogitatus motiim, et ad omnem sensus fui pulsimi. QiiodcLimqiie cogiiaveris sermo est; qaod- cumque senseris ratio est. Loquaris illiid in animo necesse est, et diim loqueris, conlocutionem pateris sermonem, in quo inest et haec ipsa ratio, qua cum co cogitans loquaris per quem loquens cogitas. Ita secundus quodammodo in te est sermo, per quem lo- queris cogitando et pei quem cogitas loquendo. 1) S. Basilio, Homilia in Psalmum XXVHl (Migne P. G. XXIX, pag. 374). 2) S. BASILIO, Moralia, cap. 34 (Migne P. G. XXXVH pag. 1307). 3) C. Basilio, Epistolae, Classe I Litt. IX (Migne P. G. XXXiI pag. 267) 4) Theodori Mopsnesteni, Comment. in Oseni, cap. VII (MIgne P. G. LXVI, pa^. 165). 5) Tertulliano, Adv. Praxeam, cap. V (MIgne P. L. Il pag. 183). Agostino in uno splendido passo delle sue Confessioni ') affronta un problema diverso da quello accennato da Tertulliano : questi sostiene infatti che il pensiero dentro di noi non  possibile sen- za r associazione delle parole alle diverse rappre- sentazioni di quello, S. Agostino invece dimostra come le cose stesse si apprendono coi loro nomi, quali si pronuciano da chi ci circonda, tanto che a poco a poco questi si associano indissolubilmente colla conoscenza di quelle dentro di noi. Il santo d' Ip- pona parla di se stesso e dopo aver efficacemente detto che le prime manifestazioni dell' animo si e- sprimono quasi istintivamente ciim geniitibus, et voci- bus et variis membrorum motibiis, aggiunge : prensa- bam memoria, cum ipsi appellabant rem aliquam, et cam secandum eam vocem coi pus ad aliqnid mo- vebant, videbam et tenebam hoc ab eis vocari rem illam qaod sonabant, cum eam vellent ostendere. D' al- tra parte i sentimenti altrui si possono interpre- tare anche dalle espressioni spontanee dei mede- simi, quali possono essere le diverse contrazioni del volto, et nuius ocalorum et coeterorumque mem- brorum actus ; a ci si aggiungono i diversi suoni delle voci indicanti le diverse affezioni e cos a poco a poco il materiale delle espressioni si va arricchendo et ita verba in variis sententiis locis suis posita et crebro audita, quorum rerum signa essent, paulatim colligebam, measque jam volunta- tes, edomito in eis signis ore haec enunciabam . 1) S. Agostino, Confessioni Lib. I capo Vili. Da tale acquisto per della conoscenza delle cose associate in tal modo ai loro nomi non deriva affatto per S. Agostino la^ conseguenza che essa basta, no, perch veramente nos non discimus ver- bis fors sonantibus, come egli stesso dichiara in un passo interessantissimo del De Magistro ^), sed do- cente intus ventate. Pare che in tale sua opera anche S. Agostino abbia voluto portare altri argomenti alla dimostrazione di quanto Socrate aveva sostenuto nel Cratilo, non poter le parole essere V unico ed esclu- sivo mezzo per arrivare alla conoscenza della natura delle cose : tesi questa che noi gi abbiamo detto esser pregiudiziale anche per S. Agostino data la soluzione sua del problema gnoseologico. 11 pensiero in proposito di S. Agostino  esplicito : la cogni- zione delle parole  possibile solo dopo la cogni- zione delle cose : rebus cognitis verborum quoque cognitio perficitur, verbis vero auditis nec verba di- scuntur. Nella storia psicologica del proprio spirito egli aveva trovato, come si  visto, argomenti d' or- dine pratico a conforto di tale sua opinione, nel De Magistro invece egli scruta la questione del la- to filosofico, per togliere, come gi aveva fatto Platone in relazione alla teoria gnoseologica delle idee, un altro degli ostacoli che fosse opposizione alla sua idea fondamentale di carattere quasi onto- logico dell' interna et directa illuminano, da parte di 1) S. Agostino, De Magisiro, XI. 3C. Avremo ancor occasione di parlare pi avanti del De Magistro, di S. Agostino in proposito della questione De Magistro di S. Tommaso Dio nella produzione dell' umana conoscenza. Ecco le parole del santo in proposito : Non enim ea verba quae novimus discimus, aut qiiae non novimus di- dicisse nos possumus confiteri, nisi eorum signfica- tione percepta, quae non auditione vocum emissarum, sed rerum significatarum cognitione contlngit, per il che, conclude il santo, quando sono pronunciate delle parole o noi 'sappiamo che cosa esse signifi- cano, 0 non lo sappiamo : se lo sappiamo si tratta piuttosto di un ricordare che non di un imparare, se poi non lo sappiamo, allora non si tratta nem- meno di un ricordare, ma solo di un impulso a sco- prire che cosa mai quella parola udita voglia signi- ficare. Come si vede, trattando pressapoco del mede- simo argomento, S. Agostino viene ad una conclu- sione ben pi positiva che non Platone, il quale si  accontentato di abbattere sotto i colpi e della dialettica ed anche dell' ironia la tesi di Cratilo, senza per conchiudere con una dichiarazione pre- cisa del valore che si deve concedere alle parole come strumento di conoscenza ; in S. Agostino in- vece tale dichiarazione noi troviamo chiara e pre- cisa. Un argomento che ha relazione con quanto so- pra  quello che riguarda l' innominabilit da parte dell' uomo di ci che, considerato in rapporto alla sua sostanza e non gi in rapporto a suoi possi- bili accidenti, soverchia la potenzialit della sua in- telligenza : intendiamo qui parlare della innominabi- lit per substantam di Dio, sul quale argomento, se tanto ha poi insistito, come vedremo la Scolas- stica, abbiamo larghissimi accenni anche nella Patri- stica, la quale pure, come per esempio noi troviamo esplicitamente dichiarato in S. Dionigi Areopagita ^) ed in S. Isidoro Pelusiota-),  concorde nel soste- nere tale innominabilit. Ed a proposito del con- cetto di Dio ricordiamo qui quanto Tertulliano ha scritto intorno a ci che egli chiama il linguaggio di lui.  noto che uno degli ostacoli ad ammettere il monoteismo era per la coscienza religiosa pagana la solitudine in cui si sarebbe trovato il Dio unico ; orbene Tertulliano oppone che il Dio unico non  mai affatto solo, perch egli  essere per eccellen- za razionale, come tale quindi va continuamente ri- volgendo dentro di s tutto quanto si trova nell' in- finita onniscenza sua ; tale continuo rivolgimento  il suo linguaggio, linguaggio che si  attuato e si attua sempre in lui, anche quando il prodotto di esso egli non ha ancora manifestato fuori di s '), pressapoco come si attua anche nella nostra mente un vero linguaggio, anche quando noi siamo soli, 0 non intendiamo affatto di esprimerci a parole. Altre considerazioni d' ordine psicologico sul linguaggio noi possiamo trovare qua e l nella Pa- tristica. Teodoreto, per esempio, in un passo de' suoi commenti alle S. Scritture mette sufficentemente in evidenza il meccanismo delle espressioni dei senti- 1) S. Dionigi Areopagita, De divinis nominibus, cap. V. 2) ISIDORO PELUSIOTA, Epist., lib, IV, epist. 211. (MlGNE P. G. LXXVIII, pag. 1306). 3) TERTULLIANO, Adv. Praxeam, cap. V. (MiGNE P. L. II, pag. 184). menti umani, tra cui appunto si devono annoverare le diverse modulazioni del linguaggio *). Degli ef- fetti delle emozioni e delle passioni sul linguaggio SI da potere od accelerarlo o sospenderlo, parla S. Giovanni Damasceno -). SuH' efficacia del discorso come mezzo di comunicazione anzi come condizione importantissima di vita sociale ha efficaci accenni il gi citato S. Basilio, che riconosce tutta 1' utilit dell' uso della parola ut alter alteri cordis Consilia aperiamiis, eaque unusquisque propter naturae socie- tatem communicemns ciim proximis ex abditis cordis recessibus velut ex cellis qnibasdam penariis depro- mentes ^), alle quali parole fanno eco altre non meno efficaci di S. Ambrogio e nel commentario ai Salmi ^), in cui riconosce che il nome est quo pro- prie unusquisque significatur quod ei non sit com- mune cum coeteris, e nell' Hexaemeron ^), dove con forma poetica a proposito sempre dell' efficacia del discorso cos si parla : lingua vero plectrum lo- quentis 9 est, vox quoque aeris quodam remigio ve- hitur et per inane portatur eademque vis quae aerem OTeodoreto, Comment. in Micliaeam,cap. I.(Migne,P.G.LXXXI, pag. 284;. 2) S. Giovanni Damasceno, De Fide orthodoxa, cap. XVI. (Migne P. G. XCIV, pag. 910). 3) S. Basilio, Homilia ad Deut., XV. 9. (Migne P. G. XXXI. pag. 193). 4) S. Ambrogio, In Psalmum XLIII. (Migne P. L. XIV, pag. 1100). 5) S. Ambrogio, Hexaemeron, lib. VI, cap. 9. (Migne P. L. XIV, pag. 269). 6) Notiamo che questa metafora del plettro ricompare, dopo S. Ambrogio, anche nell' Hexaemeron di Giorgio Pisida. (Cfr. Georgi Pl- SIDAE, Hexaemeron verso 651 in Migne P. G. XIV, pag. 1485). verbcrat, nane commovet, mine demulcet aiidientium affectum , iratiim mitigat, fractum erigit , solatiir dolentem. Anche sull' origine non del linguaggio in ge- nere, ma dei singoli nomi la Patristica ha manife- stato qualche opinione, cos, per esempio, S. Gio- vanni Crisostomo riconosce che tante volte certi nomi sono dati non per un motivo intrinseco, ma per una casaulit puramente accidentale ^), il che  con- fermato ripetutamente anche da Teodoreto, laddove dice : Nomen rei ioti a parte saepe tribuitur ~ ), mentre di solito, come dice Isidoro di Pelusio ^), 1' imposizione del nome ad ogni cosa si fa ab eo quod praecipuam vim in ea habet, il che conferma un' altra volta V opinione che realmente, secondo la Patristica, tra nome e cosa corra un rapporto in- trinseco di convenienza. Dalle considerazioni fatte dalla Patristica sull' efficacia della parola era facile per essa il passag- gio a considerar questa ne' suoi riguardi morali, sui quali infatti quella, memore di quanto in propo- sito ripetutamente si legge nelle Sante Scritture, insistette a lungo. Sermo sine actu atque officio suo nihil est, leggiamo nel De Gubernatione Dei di Sal- viano, prete di Marsiglia del V secolo ^) : tutto 1) Giovanni Crisostomo, In Genesim, sermo 7. (Migne P, G. LIV, pag. 614). 2) THEODORETI, Epist. 33. (MlGNE P. G. LXXXIII, pag.- 1347). 3) S. ISIDORI PELUSIOTAE. Episf., lib. IV, lett. 114. (MlGNE P. G. LXXVIII, pag. 1187). 4) Salviani Massiliensis, De Gubernatione Dei, lib. II. cap. I. (Migne P. L. LXX, pag. 70). stava a vedere quale poteva essere tale  offichim  ed ecco che fin da' suoi tempi di esso parla S. Clemente Alessandrino, proibendo i vanos sermones, le contentiones loquaces, e simili '). S. Basilio rac- comanda di riflettere molto prima di parlare -j, al- trove esplicitamente dichiara : unum vitae indicium esse sermonem ^), mentre in una delle sue generose omelie benissimo raffronta il linguaggio dell' uomo saggio e sincero con chi mostra animo dubbioso e mendace : sermo quidem verus et a sana mente proficiscenSy dice egli in proposito, simplex est et unius eiusdem rationis eadem de iisdem semper affir- mans ; varius vero et artijciosus, cum multum im- plexus sit et praeparatus, sexcentas formas assumit, seque ad gratiam colloquentium conciliandam trasfor- mans versutias animo versa/ ^). S. Ambrogio nel suo  De fficiis  , imitazione cristiana dell'antico De offi- aYs di Cicerone, spesse volte parla della misura e del- la giustizia che sr deve conservare in ogni occasione neir uso della parola, perch questa corrisponda adeguatamente al suo scopo '). S. Giustino pone invece in guardia contro le lusinghe di linguaggio di certi dottori, che coli' incanto della parola vor- 1) S. Clemente, Constitutiones apostolicae, lib. H, cap. X. (Migne P. G. I, pag. 587). 2) S. Basilio, Epistolae, Classe HI, Epist. 332. (Migne P. G. XXXII. pag. 1703). 3) S. Basilio, Homilia in Psul., XLVllI. Migne P. G. XXIX, pag. 435). 4) S. Basilio, Homilia in principium Proverbioruni  7 (Migne P. G. XXXI, pag, 399). 5) Cfr., per esempio, S. AMBROGIO, De fficiis, lib. I, cap. X, ^MIGNE P. L. XVI, pag. 37). 118 La filosofia del linguaggio rebbero trascinare all' errore 0, e cos via via po- tremmo continuare ancora a riportar altre sentenze d' indole morale dei Padri, se non credessimo suf- ficenti quelle finora ricordate. Con esse noi crediamo d' aver reso nel modo piia preciso che ci  stato possibile quale veramente sia stata la speculazione della Patristica intorno alla questione del linguaggio ne' suoi riguardi storici psicologici, e morali. Quanto valore essa abbia in s, lo si vedr meglio dal confronto colle specula- zioni analoghe della Scolastica. 1) S. Giustino, Dialogiis,  36. (Anione P. G. VI, pag. 306). PMTE III. La filosofia del linguaggio nella Scolastica Capitolo V. La filosofia del linguaggio e i suoi rapporti colla logica in genere e colla questione degli universali in ispecie Sommario : Carattere specifico di differenza tra Patristica e Scolastica in riguardo al nostro argomento.  Il posto della logica in rapporto ai programmi di studio nelle scuole medievali, ed alla conoscenza delle opere di Aristotele.  Rapporti di dipendenza tra logica e filosofia del linguaggio nella Patristica.  Le speculazioni in proposito di Fortunaziano, Marciano Capella, Giovanni Damasceno, Boezio, Al- enino, Isidoro, Scoto Erigena.  La questione degli universali e suoi rapporti colla logica in genere e col problema del linguaggio in ispecie.  La speculazione pi elevata di S. Anselmo, Abelardo, Giovanni di Salisbury, Gilberto della Porretta, Adelardo di Barth, Ugo di S. Vittore. S. Tommaso, Pietro Ispano. Molto discussa fu la questione delle origini della Scolastica, la quale ancora in oggi, nel concetto di molti e forse dei pi,  interpretata come una mescolanza di teologia e di filosofia, quasi che neir et di mezzo una distinzione ben profonda non fosse stata fatta tra quella e questa. Non tocca certo a noi porre i termini riguar- danti la questione delle origini ed esporre gli argo- menti per dimostrare tutto 1' errore storico di quella confusione di cui si  parlato, tanto pi che per il nostro argomento abbiamo un carattere specifico per cui possiamo distinguere ben nettamente nella 122 LA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO Speculazione cristiana il periodo patristico dal pe- riodo scolastico. Parlando della speculazione ellenica sul lin- guaggio abbiamo visto come essa abbia finito per saldare insieme i destini della filosofia riguardante la parola coi destini della logica : durante il periodo patristico tale congiungimento non perdur non gi perch rotto coscientemente da un nuovo indirizzo di speculazione suir argomento che ci interessa, ma perch sciolto dalle ragioni stesse di esistenza di un pensiero religioso cristiano in raffronto alla so- pravvivenza e perci alle minacce ed alle insidie di una tradizione di pensiero pagano. Man mano per questo and dileguando e nella sua contenenza positiva, e nella sua influenza sullo svolgersi dell' eresia, anche la Patristica and per- dendo la sua ragione di essere e di manifestarsi sotto quelle forme che per necessit di cose aveva assunto fin dal principio, e quando dopo le tri- stezze dei primi secoli dell' et media, in cui in un tenebroso silenzio parve affogare il pensiero riflesso, nel secolo IX risorsero i liberi studi col sorgere delle scuole nella loro triplice forma : monacali, episcopali e palatine, allora una delle prime scienze a ristabilirsi fu appunto la logica, anche perch questa, specialmente per opera di Boezio e di Cas- siodoro era stata una delle ultime a naufragare neir oblio ; e la logica cos risorgendo trasse con s anche quella parte della filosofia che la tradizione aveva con lei associato, e cio la cosi detta filoso- fia del linguaggio, e la trasse sotto quella forma E LA SCOLASTICA IN GENERE 123 eh' essa aveva quando colla logica appunto era momentaneamente svanita. S' intende che tale decadimento e tale risurre- zione non vanno intesi come qualche cosa di cate- gorico e di assoluto. Se da una parte infatti nella Patristica addentellati tra logica e filosofia del linguaggio si possono rintracciare, dall' altra anche dopo r avvento della Scolastica discussioni d' ordine prevalentemente psicologico intorno al discorso si sono susseguite, come pure si sono attuati rapporti tra la questione del linguaggio e la teologia. Quello che  certo si  che in tutto lo svolgersi della Scolastica, cio, per dirla col Wulf ^), di quella sintesi di pensieri, in cui tutte le questioni che la filosofia pu proporsi sono trattate, e dove tutte le risposte sono armonizzate s da allacciarsi e da sostenersi 1' un 1' altra, trionf a proposito dell' ar- gomento che e' interessa piuttosto V indirizzo ari- stotelico, che non V indirizzo platonico, del quale abbiamo riscontrato invece la prevalenza per tutto quanto il periodo patristico.  noto che di Aristotele nella prima parte del M. E. non si conosceva che il  De Interpretatione * nelle traduzioni di Marco Vittorino e di Boezio, del quale pure fu pii tardi conosciuta anche la tradu- zione delle  Categorie . Nella prima met del XII se- colo si venne a conoscere in Occidente il primo libro dei Primi analatici, la Topica, ed i Ragionamenti sofistici, e cio tutto 1'  Organon  ad eccezione 1) M. De Wulf, op. cit. pag. 127. dei  Secondi analtici  e del secondo libro dei ^ Primi analitici, i quali furono noti solo nella 2^ met di quel medesimo secolo ^). Gli Scolastici adunque dei primi tempi non videro e non consi- derarono in Aristotele che un logico ed un logico oscuro-^), tanto che dall' Organon suo poterono nascere, come dice il Fiorentino ^), le dispute famose del Realismo e del Nominalismo, e l'insegnamento di Abelardo. Aggiungiamo a ci che la biblioteca filosofica de- gli Scolastici conteneva per la massima parte libri di logica e di dialettica, tra cui importanti l' Isa- goge ed il trattato delle cinque voci di Porfirio, che quelli credevano un semplice seguace di Ari- stotele, non potendo, per mancanza di fonti, sup- porlo infeudato ad una specie di panteismo, i Com- menti di Boezio alle Categorie ed al  De Interpreta- tione  dello Stagirita, ed i- suoi trattati originali sulle diverse parti della logica, i commenti eclettici .di Calcidio al Timeo, che potevano col loro anda- mento metafisico correggere un po' 1' influenza e- sclusiva ed esagerata della dialettica e della logica aristotelica, le opere dialettico-retoriche di Cicerone, quelle logiche dello pseudo S. Agostino, le artes li- 1) Cfr. in proposito : Clerval, Les coles de Chartres au moyen ge Mem. de soc. archol. Eure et Loir, 1895) pag. 244. 2) Boezio chiama Aristotele  turbator vcrborum , mentre un autore sconosciuto del secolo X parla di labirinto aristotelico, cfr. V. Baum- Gartner, Die philosophie des Alanus de Insulis. MUnster 1896, pag, lOesgg. 3) Franc. Fiorentino, Saggio storico sulla filosofia greca, Firenze 1864 pag. 364. berales di Marciano Capella, il trattato dei nomi divini dello pseudo S. Dionigi ^), e tosto capiremo come la logica, specialmente come era stata con- cepita e fissata da Aristotele, dovesse veramente informare il risorgere della filosofia in genere e qualsiasi questione riguardante il linguaggio in i- specie. Nei programmi di studio, cio nella classifica- zione delle cos dette arti liberali, volgarizzata da Boezio, Cassiodoro, Marciano Capella ed Alenino, la logica ebbe a poco a poco il sopravvento sotto il nome di dialettica a svantaggio delle altre due parti del trivio ; la grammatica e la rettorica.  vero che al trivio ed al quadrivio si aggiunse poi, come qualche cosa di pi, la filosofia e come fastigio supremo la teologia, essendo assurda 1' o- pinione del Ferrre -) e del Marietan ^), che vor- rebbero far rientrare la filosofia nel trivio. La lo- gica per rimase come una specie di propedeutica dello spirito, utile e necessaria per qualsiasi cam- mino questi avesse voluto intraprendere e come introduzione alla logica rimase Io studio della gram- matica, alla sua volta creduta ratio et origo om- mium artium liberaliiim, come  chiamata da Ilde- 1) Su tale argomento della biblioteca filosofica medievale cfr. : WULF, op. cit. pag 149-157. 2) Ferrre, De la divisioii de sept arts liberaux (Ann. de Phil. Chrtien., luin 1900) 3) Maritan, Problme de la classification dcs sciencesd' Aristote a S. Thomas, Paris 1901. L'opinione contraria invece  sostenuta dal Willmann (OTTO WiLMANN, D/rfa/c/ZA: als Bildungslelire, Brunswik 1903, Tom. I, pag. 267 e sgg).rico di Montecassimo, scolaro di Paolo Diacono ; anzi nello studio di essa tanto si esager, special- mente degli Italiani, i quali, come dice Radulfo Gla- ber ^), lasciarono ogni sorta di studio fuorch la grammatica, che Gregorio Magno credette suo pre- ciso dovere di opporvisi -). Date adunque tali precise disposizioni di fatto,  evidente perch la filosofia del linguaggio per quel poco che valse e si attu nel medio evo, o per meglio dire nella prima parte del medio evo, si ritrov legata un' altra volta alla logica ed alla dialettica, il che simbolicamente  gi indicato nella figurazione poetica di Marciano Capella, che rappresenta appunto le sette arti liberali sotto la forma di vergini donzelle al seguito di Filologia, fidan- zata di Apollo, la grammatica vi  invece descritta come una figlia di Memfi, portando su un piatto degli istrumenti per sciogliere la lingua ai bambini, mentre la dialettica vi  rappresentata come una donna dal viso emaciato tenente in una mano un serpente. Abbiamo poco sopra affermato che gi nel pe- riodo patristico si possono rintracciare momenti di congiunzione tra filosofia del linguaggio e la logica. La questione gi accennata della innominabilit di Dio di ci sarebbe una prova, perch in fondo considerata bene tale questione, che, accennata gi 1) Rodolfo Glaber, Historiarum, Uh. U. cap. 12. 2) Cfr. Gaspary, Storia della leti, italiana, Volume I cap. 1.  nelle Sante Scritture in un passo della  Sapienza  ') nella Patristica oltre che dai gi citati autori venne discussa da S. Anastasio Sinaita "), da S. Ago- stino ) e da S. Febadio ^), entrava direttamente nel campo della logica, riguardando essa appunto r imposssibilit di applicare un termine a ci che soverchia le potenzialit dell' intelletto umano, a quello ci che  indefinibile, cio irreducibile a ter- mine maggiore in estensione e perci minore in comprensione, perch categoria non solo d' ordine logico, ma anche categoria d' ordine morale. Ci per non basta ; il Franti ci ricorda infatti in proposito V estratto dell'  Organon  fatto da Gregorio di Nazianzo ad uso delle scuole ^), i libri di logica che S. Gregorio stesso ^) dice di aver tentato di scrivere nella sua giovent, e soprattutto la  Dialectica  di Fortunaziano, la quale contiene qualche passo di non dubbio interesse per il nostro argomento, quello, per esempio, in cui in certo qual modo si ristaura la vecchia teoria stoica del asztc. Dopo aver infatti Fortunaziano ') definito la parola dicendo : Verbiim est uniusciiiusqiie rei signiim, quod ab audiente possit intelligi a loqiiente prolatiim, et 1) Sapientia, XIV, 21. 2) S. Anastasio Sinaita, Viae dux, cap. il (Migne P. G. LXXXIX pag. 54). 3) S. Agostino, De Trinitate Lib. V cap. 5. 4) S. Febadio, De fila divinitate, cap. VI (Migne P. L. XI pag. 42). 5) Prantl, op. cit.VoI. I pag. G57. 6) S. Agostino, Retract. I. G. 7) C. Consulti Fortunatiani, Dialectica, Basilea 1542. cap. 5, cfr. C. Prantl, op. cit. pag. 568.  loqui est articiilata voce signum dare, aggiunge : omne verbum sonai, sed quod sonai nihil ad dialec- iicam, et tamen cum de his disputatur praeier dialec- iicam non est ; quidquid autem ex verbo non aiiris sed animus sentii, ex ipso animo tenetar incliisum, dicibile vocatnr, cum vero verbum proceda non prop- ter se, sed propter aliud aliquod significandum, dic- tio vocatur ; res autem ipsa, quae iam verbum non est ncque verbi in mente conceptio, niiil aliud quam res vocatur proprio iam nomine : haec ergo quattuor distincte teneantur : verbum, dicibile, dictio, res. Come si vede il dicibile di Fortunaziano, concepito appunto come  id quod ipso animo tenetur inclusum  ,  un evidente derivazione del Xsxtg? degli antichi Stoici come stoico, per quanto gi volto nel Cratilo plato- nico,  r opinione del medesimo autore che ogni parola possa esser ricondotta per via etimologica al suo vero significato, essendovi una ccta simili- tudine tra cosa significata ed il suono con cui quella  espressa similitudine che poteva essere estesa fino al contrasto (Incus a non lucendo).  perci che For- tunaziano cerca di stabilire il vero concetto di ver- bum che fa derivare da verbero, cio da verum bum. che sta per bombum suono ^), derivazione questa che ha avuto fortuna nel medio evo, tant'  vero che la troviamo ancora in S. Tommaso, che cos si esprime in proposito : Unumquodque nomen illud praecipue si- gnificai a quo imponitur, sed hoc nomen verbum impo- 1) Fortunaziano, op. cit. cap. 6. (cfr. Prantl, op. cit. pag. 669)  aitar a verberatioae aeris vel a boata, qaasi verbum aoa sit aliaci quam veram boaas ^). Questo passo di S. Tommaso appare tosto come una concessione fatta all' indirizzo platonico dell' eti- mologizzare secondo il rapporto di natura tra cosa e suono, e quindi sembra esso in contrasto alla tendenza aristotelica, la quale negando un tale rap- porto veniva a negare uno degli effetti primi dell' eti- mologizzare : ci  difatti, e se ne capisce il perch. S. Tommaso deve aver ricevuto quell' etimologia bella e che fatta dalla tradizione stessa dell' insegna- mento medievale ; siccome per essa trovava le sue origini in autori vissuti in pieno rifiorimento plato- nico, come appunto Fortunaziano, fiorito nel V se- colo, cos era naturale che di tale indirizzo plato- nico ne risentisse ; di ci  prova anche quel  ver- beratio aeris  di cui parla S. Tommaso stesso, ver- beratio che trova le sue fonti, come gi si  detto, in filosofi antichi, tra cui Platone stesso nel Timeo, per quanto non manchi anche in Aristotele. Non si tratta adunque di uno strappo volontario all' indi- rizzo in fiore neh' et di mezzo, ma d' una conces- sione volontaria imposta come un luogo comune nella tradizione scolastica -). Ritornando ora al nostro argomento, possiamo dire che 1' autore, che, pur appartenendo ancora al 1) S. Tommaso, Quaestiones dispiitatae. De veritate Quaest. IV. De verbo, art. I. 2) Notiamo che anche nella filosofia del Rinascimento si continu 1' e- timologizzare per scoprire la ragione dei termini ; curiosa fra le etimologie di quei tempi  quella del Bohme, il mistico calzolaio-filosofo di Gorlitz che faceva derivare qualitas dal tedesco Quelle (fonte). Cfr. H, HOEFF- DING, La storia della filosofia moderna, Tomo 190G, voi. I, pag. 70. 130 LA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO periodo patristico, ha saputo trattar del linguaggio in rapporto alla logica sistematizzando le proprie investigazioni sopra uno schema definito e preciso, fu S. Giovanni Damasceno. Il Willmann ^), come  noto, fa appunto comin- ciare la Scolastica alla prima met del secolo VII! colla ;c7j7Tj Yvcasox; di S. Giovanni di Damasco basandosi sul fatto che le parti di tale opera sono precedute da zscpXaia '^LXocjo'fLx, o prolegomeni filosafici, s da riuscir essa come il primo saggio di quelle sistematizzazioni teologiche che si succes- sero pi tardi col nome di  Sentenziarli , anche sulla sostanza dei quali la tut^yy] Yvcbasto? del Dama- sceno ebbe influenza, come dimostra il Wulf ~) a proposito del pi celebre dei sentenziari, quello di Pietro Lombardo. La citata opinione del Willmann a noi pare accettabile, perch  precisamente in queir opera che il grande scrittore di Damasco, in contrasto ai frammentarli accenni di tutta la Patristica sulla que- stione del linguaggio, ha saputo, stando sul terreno della logica, costruire una teoria chiara e definita. Vale la pena che noi ne riportiamo qui i passi che pi interessano il nostro argomento ^). Comincia l' autore a distinguere i suoni che hanno un significato da quelli che un significato non hanno e continua : vox quae nihil significai ani 1) O. Willmann. Geschichte des Idealismus, Brunswch 1896, Tomo n. pag. 342. 2) Wulf, op. cit., pag. 214. 3) S. Giovanni Damasceno, Fons scientiae, cap. V. (Migne, P. G. XCIV, pag. 539 e sgg.). art/culata est, (e sarebbe quella che si pu scrivere, per es. azivSa'f o?). aiit articulata non est (quella che non si pu scrivere, per es. quella che si ingenera dair incontro di due sassi) ; di entrambe le catego- rie nulla philosophiae cura est. Vox autem significans aut non articulata est (quello che non si pu scri- vere, per es. un latrato di un cane), aut articulata est (il linguaggio umano). Significative articulata vel est universalis (homo) aut particularis (Petrus) ; sed ne particularis quidem vocis rationem habet philosophia, sed significantis, et articulatae, et universalis. Come si vede qui sia- mo in pieno campo della logica, in quanto che col- r ultima distinzione siamo arrivati alla concezione del vocabolo come termJne del concetto. E di logica risente anche quanto vien dopo, in cui lo scrittore divide il termine significativo arti- colato ed universale in sostanziale, ed adiectizio, quello est qui essentiam, hoc est naturam rerum de- clarat, adiectitius est qui accidentia indicai ; il santo poi continua ancora, sempre su terreno logico, a parlar di genere, di specie e di differenza, il che non pi interessa il nostro argomento *). 1) Ecco in un quadro le divisioni logiche del Damasceno a propo- sito dei suoni : ( Sostanziali / A .v.i.t. ^Universali / Adiectizie Articolate ^particolari / Significative l y ( Non articolate Voci \ / i Articolate \ Non significative \ (Non articolate   certo che tali distinzioni e divisioni di S. Gio- vanni di Damasco esercitarono non piccola influen- za sullo sviluppo della Scolastica, egli infatti fu fra gli scrittori bizantini uno dei primi ad essere cono- sciuto per la traduzione, che della sua opera prin- cipale Tzrfcq 7VWC5SCOC fece ben presto Burgondio da Pisa. Influenza non piccola esercit neh' et di mezzo anche Marciano Capella, di cui gi abbiamo avuto occasione di parlare poc' anzi : pu darsi che tale influenza, come appare al Wulf ^), sia stata per nulla meritata, essa per non si pu in modo alcuno ne- gare, essendo stato, come si  visto, tale autore uno dei pii!i alla mano nella biblioteca filosofica dell' et di mezzo specialmente per ci che riguarda l'opera sua sulle  artes liberales , in cui a pro- posito della dialettica egli discorre a lungo delle sei parti della medesima, quali gi erano state fissate nella tradizione, s che esse, per esempio, gi si trovano in S. Agostino ~) : esse sono : de loquendo, de elo- qiiendo, de proloquendo, de proloquiomm stimma, de indicando, ed ultima quae dicenda rhetoribiis commo- dafa est. La fusione della logica colla speculazione sul linguaggio in Marciano Capella appare pii che mai evidente, quando si veda quali oggetti egli* sot- topone a ciascuna di tali parti della dialettica. Nella prima, per esempio, de loquendo egli si domandava quid sit genus, quid forma, quid differentia, quid 1) Wulf, op. cit. pag. 155. 2) PrANTL, op. cit., Voi. I, pag. 672.  accidens, quid definitio, quid totum, quid pars, tutte questioni d' ordine logico, insieme per ad esse ecco le domande, quid sii univocum, quid plurivo- cum e specialmente quae rebus verba sua sint, quae aliena et quot modis aliena sint, colle quali ultime domande si affronta il problema dei rapporti tra cose e nomi, secondo la tradizionale traiettoria della filosofia greca intercorsa da Pitagora gi gi fino agli Stoici, che ancora in quel giro di tempo, se- condo la parola esplicita di S. Gerolamo *), erano creduti come gli inventori della logica. Nella se- conda parte poi Marciano Capella discende alla grammatica, il che pure era gi avvenuto nella spe- culazione stoica, ed ecco le domande : quid sid no- men, quid verbum, quae subiectiva pars sententiae sit, quae declarativa e cos via, mentre nella terza si ritorna ancora alla logica colle questioni : quae sint differentiae proloquiorum in quantitate, in quali- tate, quid sit universale, quid particulare, e cos via anche nelle altre parti  un intrecciarsi continuo di grammatica, di logica, di speculazione sul linguaggio, quale appunto gi si era verificato al tempo della decadenza del pensiero ellenico, e si verific poi nelle origini e nello svolgimento della Scolastica.  L' autore per che pi di ogni altro ebbe in- fluenza in tutta r et di mezzo, fissando in modo decisivo il trionfo di Aristotele nelle ricerche d' or- 1) stoici, logicam sibi vindicant, dice S. Gerolamo (Contro Riifi- num, Lib. I,  311 in Migne P. L. XXIII, pag. 442).  dine logico, e quindi anche nelle speculazioni su queir argomento di cui stiamo trattando, fu Boezio ^). Vale quindi la pena che noi ci fermiamo alquanto sopra di lui, che da tutti gli autori del M. E. fu conosciuto, studiato, sunteggiato, discusso, confu- tato e difeso. Importanti in modo speciale per noi sono i di lui commenti, a noi arrivati sotto due forme di re- dazione, del De interpretaiione  di Aristotele, a proposito del quale se Cassiodoro pot dire che quando Aristotele lo scriveva calamiim in mente tingebat '), noi potremo aggiungere che tutti i trat- tatisti medievali, quando i loro trattati di logica e di dialettica s' accingevano a scrivere, la loro penna tingevano appunto nei commenti che di quel- r opera dello Stagirita aveva fatto Boezio. Il processo conoscitivo-dialettico  anzitutto cosi riassunto da Boezio : Res ab intellectii concipi- tnr, vox vero conceptiones animi intelledusque -') si- gnificai, ipsi vero intellectus et concipiunt subiectas res et significantur a vocibiis, cum igitiir tria sunt haec. . , quartam quoque quiddam et quo voces ip- sae valeant designari, id aateni sunt litterae scriptae namque litterae ipsas significant voces : quae quat- tuor ista sunt, ut litterae quidem significent voces, 1) Cfr. in proposito Ueberwegs, Grundriss etc. Voi. I, pag. 332e sgg. 2) Prantl, op. cit., voi, I, pag. 723. 3)  evidente che qui la parola intellectus  presa in senso diverso della prima volta, mentre allora essa rappresentava una facolt attiva dello spirito, qui invece  considerato come un prodotto dello spirito, nel qual senso tale parola rimase anche dopo nella Scolastica,  voces vero intellectiis, intelledus autem res concipiant ^). Per, aggiunge Boezio, non  qui tutto, giacche come tu puoi trovare suoni che non hanno senso, puoi anche trovare suoni a cui nulla corrisponda nella realt, cio intelledus sine alla re sibi subiecta, il che Boezio, anticipando quanto poi pi diffusa- mente e pi sottilmente dir in proposito Duns Scoto, spiega col fatto che /' animus hominis non soliim per sensibilia res incorporales intelligendi est artifex, sed etlam fingendi sibi atqiie mentiendi. Stabilito cos il rapporto tra pensiero e parola, Boezio affronta 1' altra questione gi tanto contro- versa nella filosofia greca, sulla posizione del nome, ed anche qui commentando la famosa definizione di Aristotele: nomen est vox significativa secundum pla- citum sine tempore, cuiiis nulla pars significativa est se- parata, egli si mostra strenuo sostenitore della per- fetta indipendenza di natura tra nome e cosa ; ecco in- fatti le sue parole, quali si leggono nella sua introdu- zione Ad Categoricos Syllogismos -) ; secundum pia- citum veto adiunctum est in definitione, quoniam nullum nomen natura significai, sed secundum placitum ponen- tis constituentisque voluntate. Illud enim unaquaeque res dicit quod ei placuit qui primus rei nomen impres- sit. Aliae sunt enim voces naturaliter significantes, ut canum latratus iras canum significai, et alia eius quaedam vox blandimenta gemitus etiam dolorum, 1) Anitii Manlii Severini BOETHii, De interpretatione, in Opera, Basilea 1570, pag. 296. 2) A. M. S. BOETHii  sed non siint nomina, qaod non designant secundum placitum, sed secundum naturam, alle quali parole fanno riscontro quest' altre pi esplicite ancora che si leggono nel commento al  De interpretatione  ^) : Aristoteles dicit placitum quod nullum nomen natura- liter constitutum est, ncque unquam sicut subiecta res a natura est, ita quoque a natura veniente voca- bulo mmcupatur ; sed honiinum genus, quod et ratione et oratione vigeret, nomina posuit, eaque quibus libuit litteris syllabisque coniungens singulis subiectarum rerum substantiis dedit, ed a modo di conclusione Boezio aggiunge a favore della sua tesi queir argo- mento appunto, che tanto aveva affaticato Epicuro, ed a cui questi aveva dato una soluzione per quei tempi ardita : Hoc autem ilio probatur, dice Boezio, quod si natura essent nomina, eadem apud omnes gentes essent, ut sensus quoniam natnraliter sunt, iidem apud omnes sunt. D' altra parte si domanda ancora l' autore : non  forse vero che noi alla stessa substantia  diamo nomi diversi, sicch, per esempio, usiamo dei termini gladius, ensis, mucro, per esprimere la stessa cosa ? Ora ci sarebbe pos- sibile, se veramente i nomi fossero per natura ?  evidente come quest' ultimo argomento sia piuttosto specioso che forte, giacch se non altro sarebbe ri- torcibile, perch si potrebbe dire : se i nomi sono dati dall' arbitrio dell' uomo, perch questi per e- sprimere la stessa cosa ha inventato nomi diversi ? 1) A. M. S. BOETHII. De interpretatione Lo Spunto poi dell' altra argomentazione a cui gi fin da' suoi tempi aveva, come si  visto, ri- sposto Epicuro, si trovava in Aristotele stesso e precisamente in quel famosissimo passo del De In- terpretatione che, integrato da un altro non meno famoso del De Anima, tante discussioni e com- menti ebbe nell' antichit e nel medio evo. Noi lo riportiamo qui nella traduzione stessa di Boezio, perch  appunto sotto una tal veste che esso fu maggiormente conosciuto ^) : Quae siintin voce sunt notae passionimi quae sunt in anima, et quae scribuntur sunt notae eorum quae sunt in voce, atque ut litterae non sunt apud omnes eaedem, ita nen vo- ces sunt apud omnes, eaedem sunt etiam res quarum hae passiones sunt simulacra. Un altro punto di Aristotele Boezio ha pur creduto di largamente commentare, per quanto a' suoi tempi, in cui nessuno ormai sosteneva ancora r antica opinione di Platone concernente la naturale giustezza dei nomi, esso avesse perduto della sua importanza ; intendiamo parlare di quel pa^so, in cui lo Stagirita sosteneva che la verit o la falsit non sta tanto nei nomi quanto nella composizione di essi, cio nel giudizio, al quale proposito cos Boe- zio si esprime ') : omne nomen iunctum cum verbo enunciationem reddit et suscipit mendacii veritatisque naturam, ed altrove : non homo vero non est nomen atqui non est constitutum nomen quo oporteat id 1) BOETHli, De interp. ediz. cit. pag. 297. 2) BOETHii, ed. cit. pag. 560. 138 La filosofia del linguaggio appellare: quia nec est orato nec negatio, sed est nomen infinitum, quia srmiliter in quovis inest tam ente, quam non ente, tantoch, per esempio, egli aggiunge, hircocervus significai quideni aliquid non- dum tamen verum quidpiam aut falsum, nisi esse aut non esse adiiciatur vel simpliciter, vel secundum tempus : dato ci, cos Boezio integra la vecchia definizione di nome data da Aristotele : Nomen est vox significativa, secundum placitum, sine tempore cnius nulla pars coniuncta faciens enunciationem aut falsitatis aut veritatis. Boezio si diffonde a commentare di tale defini- zione la parte che riguarda il nessun senso che hanno le diverse parte dei nomi, sieno esse sillabe, sieno esse veri vocaboli, come succede nelle parole composte, tutto ci per gi si trovava chiaramente indicato da Aristotele ; pi interessante invece  la spiegazione di quell'inciso sine tempore^. Aristo- tele aveva fatto, come gi abbiamo detto a suo luogo, distinzione tra ovo[j.a e pr^[xa, cio tra nome e verbo e Boezio, sulle di lui orme, sostiene appunto in parecchi luoghi ^) che due sole sono le parti del discorso, il nome ed il verbo, giacch ceterae non partes, sed orationis supplementa sunt. La differenza specifica tra questo e quello sta appunto in ci che il primo cio il nome  espres- sivo sine tempore, il secondo invece esprime cum tempore, la definizione infatti di verbo  da lui 1) Cfr. BOETHii, De SyU. Cat., ediz. cit. pag. 583; De interpr. pag. 310 (Cfr. Prantl, Voi. I. pag. 693).COS formulata sempre sulle traccie dello Stagirita : verbum est vox significativa secundum placitum cwn tempore, cuius nulla pars significativa est separata, ali- quid finitwn designans et praesens ; in altri termini, spieghiamo noi, il nome della categoria di tempo non  toccato, giacche ci che esso esprime  vero tanto al di qua come al di l di tale categoria, potendo esso trovar luogo e nel campo infinito della possibilit, come in quello della realt e della necessit ; il nome cio rappresenta come una condizione statica possibile 0 reale, o necessaria, sempre in lelazione al lavoro logico pi 0 meno perfetto, di cui esso  il termine ; il verbo rappresenta invece un' attuazione qualsiasi dinamica o di un' azione o di una passione, per ci esso deve per forza concepirsi come alcunch che s' inizii e quindi come alcunch che si consumi, quello adunque che il verbo esprime fieri sine tem- poris notatione non potest, conchiude Boezio, met- tendo cos in evidenza anche uno dei motivi fon- damentali, per cui alle due classi e di nomi e d verbi tutte le altre parti del discorso si possono filosoficamente ridurre. Da tutto quanto abbiamo finora esposto ben si vede quanto sia vero ci che  stato affermato : essersi gi nel periodo patristico del pensiero cri- stiano formata una tradizione sui rapporti tra logica e filosofia del linguaggio, per quel tanto che que- sta allora poteva valere, cosicch quando la Patri- stica cadde, ed a poco a poco i nuovi orientamenti della vita civile e politica ingenerarono quelle condizioni da cui usc poi la Scolastica, questa pot to- sto attuare i suoi caratteri specifici, attaccandosi a quel filone di pensiero filosofico aristotelico, che gi aveva saputo tanto bene prodursi nei secoli- precedenti intorno all' Organon dello Stagirita. E si noti condizione speciale in cose: dal se- colo Vili al XII secolo, cio nel periodo delle ori- gini e delle prime manifestazioni della Scolastica, tutto fu ancora incoerente ed incerto. La Metafisica, come ben dimostra 1' Espenberger, ^), vi  ancora frammentaria ed ondeggiante bizzarramente tra idee aristoteliche e platoniche : la dottrina seducente delle idee, madre del Realismo ad oltranza, tosto si trova di fronte alle contrarie teorie aristoteliche di so- stanza, di natura, di persona : i concetti fondamentali del Peripatetismo di materia e di forma, chiave di volta' di tutta la sintesi scolastica-tomistica posteriore, vi sono ancora mal compresi, la materia, per esempio,  il chaos per Alenino,  1' atomo materiale per Gio- vanni di Conches,  una massa qualitativamente co- stituita e dotata di moto dinamico per le scuole di Chartres e se qualcuno, come dice il Wulf '), rico- nosce in essa il carattere di indeterminato assoluto e di passivit che vi riconosceva Aristotele,  per incapace di approfondire tale nozione : la forma poi non  gi considerata come il principio sostanziale 1) M. ESPENBERGER, Die Philosophie des Petrus Lombardiis, Miin- ster 1901, pag. 36. Cfr. anche Domet De VORGES, S. Anselnie, Paris 1901 pag. 149 e sgg. 2) Cfr. Wulf, op. cit. pag. 139. dell' essere, ma piuttosto come una somma di pro- priet ; in altri termini in quel periodo si agitano le formule antiche, ma chi pi chi meno, tutti si mo- strano incapaci di interpretarle secondo lo spirito loro. Qualche cosa di simile avviene per le dot- trine cosmologiche, a proposito delle quali si o- scilla tra due tesi inconciliabili : quella della vita au- tonoma della natura, trasvestimento inaspettato dell' antica teoria platonica dell' anima del mondo e della concezione del fatum stoico, e 1' altra tesi della individualit di ogni essere naturale contenuto nell' universo, sostenuta da Abelardo e da Giovanni di Salisbury. Cos in psicologia nel campo della qua- le  vero che -fino al secolo XII regn indisturbato S. Agostino, e quindi per mezzo suo un indirizzo platonico, non per questo per mancarono e dubbi ed incertezze ed errori : creazionismo e traduciani- smo, per esempio, come gi nello spirito di Ago- stino, vi si alternano e vi si confondono, si vuol salvare 1' indipendenza dell' anima e si arriva d' al- tra parte a riguardarla come una propriet della materia ; cos in morale dove tutto si riduce ad una descrizione delle virt particolari ricalcandosi malamente ci che gi avevan fatto gli Stoici, cos in teodicea, e cos in genere per qualsiasi altro palpito di pensiero. La parte invece del pensiero riflesso che non fu toccata ne da incertezza n da dubbio, e che si tramand sotto una forma gi rigidamente compo- sta a sistema fu appunto la dialettica, dove Aristo- tele regn senza rivali, e regn secondo verit e giustizia, perch conosciuto nel suo vero essere, o per meglio dire nelle genuine opere sue. La tradi- zione intessutasi gi nel periodo patristico tale re- gno prepar con tutte le arti del buon ordine e della coerenza ; S. Agostino ') stesso col tessere nel De civitate- Dei V elogio dello Stagirita lo pro- clam degno della corona, che poi a questo fu data e conservata, tanto pi che 1' elogio del santo d' Ip- pona si congiunge all' elogio che egli fa della dia- lettica per la spiegazione stessa delle Scritture, e cosi la dialettica aristotelica fu il solo punto fisso e sicu- ro fino al secolo XII circa, in mezzo all' ondeggia- re di tutto il resto nel campo infinito del pensiero riflesso. Vale la pena che noi di questo regno passiamo tosto a considerare alcuni momenti, quelli che ci interessano, lasciandone nelT ombra tutte quelle de- viazioni 0, per meglio dire, tutti quegli eccessi di potere, a cui esso ha pur dato luogo, fra i quali il pi grave fu senza dubbio quello messo in luce dal Baumgartner -'), per cui essendosi abusivamente trasportata la teoria del giudizio dal dominio logico al dominio metafisico si  dato luogo ad una falsa interpretazione della teoria ilemorfica, che fu poi motivi di tante incertezze ed errori. 1) Aristotele in tutto  citato tre volte dal vescovo d' Ippona, che nel De civitate Dei, (Vili. 12) lo chiama; vir excellentis ingenii. 2) V. BAUMGARTNER, Die Philosopliie des Alanus de Insiilis (Bei- jrage zur Geschichte der Phil. d. Mittelalters U, 4). MUnster 1896, pag. 57 e sgg. Intanto vediamo che in Alenino *), il grande interprete ed esecutore delle riforme pedagogiche escogitate dal genio di Carlo Magno in quella fresca primavera di rinascenza attuatasi nella sua corte, nella sua opera  De dialectica  e nella sua  Gram- matica  nulla si trova che non si possa gi rintrac- ciare nelle opere di Boezio, di Cassiodoro, ed anche di Isidoro di Siviglia, il quale per quanto cos ' poco nei suoi 20 libri delle  Origini od Etimologie,  ragioni intorno a questioni di logica, di dialettica, e di linguistica, pure abbastanza chia- ramente dimostra tutto l' indirizzo tradizionale ari- stotelico da lui seguito anche per tali questioni. Le differenze, per esempio, nella dialettica tra Platone ed Aristotele sono da lui ben notate, come trasparente  la sua preferenza per quest' ultimo ~). Riportiamo di S. Isidoro questo passo solo, che pressapoco si trova riprodotto poi anche in Aleni- no ^) : Nomen dictum quasi notamen qiiod nobis vo- cabulo res notas ejficiat, nisi enim nomen sciers, cognitio rerum perit, concetto questo che troviamo oltre che in Alenino, come si  detto, anche in Fre- degiso, scolaro di Alenino, laddove dice : omne no- men finctum aliquid significat, ut homo, lapis, li- gnum : haec enim ubi dieta fuerunt simul res quas significant intelligimus '). Parrebbe a prima vista di trovarci qui davanti 1) Cfr. WULF, op. cit., pag. 144. 2) ISIDORO, Origini, lib. I, 1; I, 7; U, 22. 3) Cfr. Prantl, op. cit., Voi. II, Leipzig. 1861, pag. 17. ad una derivazione platonica ^) a base di rapporto di natura tra nome e cosa nominata, ma ci non  ; il fatto che, detto un nome, noi veniamo a cono- scere la cosa che con esso viene significato, s' ac- corda infatti benissimo anche colla teoria fonda- mentale di Aristotele che nessun rapporto di natura vi  tra quello o questa, trattandosi solo di un rap- porto stabile o per convenzione o per abitudine, tanto pila che Fredegiso ha quel finctum, il quale la- scia nessun dubbio in proposito ; per Platone infahi e per i suoi seguaci, gli Stoici, Filone, Eunomio, i nomi non si possono in alcun modo chiamare fincta  , cio foggiati od inventati dall' uomo, giacche essi sa- rebbero posti dai pi abili, dai pi periti, da quelli cio, che avendo meglio studiate le singole cose ne hanno visto meglio la natura, e per ci da questa, come da un elemento oggettivo, spillato, per cos dire, il nome. Una deviazione invece, per quanto fugace, dall' indirizzo peripatetico preponderante, come si  detto, in quei tempi nel campo della logica, troviamo in Scoto Erigena. Non  qui il luogo di mostrare tutta la grande influenza che I' Erigena ha esercitato sullo svolgimento del pensiero filosofico medievale ulte- riore. Egli che per il primo in pieno secolo IX colla sua opera principale  De divisione naturae  ha sa- puto elaborare una sintesi completa di filosofia, fu 1) Ricordiamo a questo proposito l' insegnameuto, evidentemente d' origine platonica, di S. Isidoro suH' esilit dell' /, di cui gi si  par- lato. (Cfr. del nostro lavoro, cap. HI, pag. 85). senza dubbio il padre di tutto quel fermento razio- nalistico-mistico, che gemmazione del Neoplatonismo antico si and fissando secondo le due traiettorie del Panteismo e dell' Emanatismo. A noi basti qui ricordare come V Erigena, il quale la propria specu- lazione cominci ad esercitare commentando le opere del pseudo Dionigi, di cui papa Paolo I aveva inviato un esemplare a Pipino di Francia, da esse ritrasse tutto V andamento largo e maestoso del suo filosofeggiare, diventando e rimanendo poi sempre un neoplatonico convinto, per quanto le sue dot- trine cercasse mai sempre di conciliare coi dogmi della Chiesa, e coi dettami delle Scritture, non dubi- tando per di tormentar queste sotto le audacie di interpretazioni allegoriche per addattarle alle proprie dottrine, come, per esempio, egli ha fatto a proposito della creazione del mondo, che, secondo il suo con- cetto, doveva invece essere stato ed essere ancora una creazione fatta da Dio di se stesso nell' uni- verso tutto.  evidente che con tali liberi ed arditi intendi- menti mal si potevano conciliare le strettoie a cui la tradizione aveva ridotta la logica e la dialettica di Aristotele : l' interpretazione che della natura della parola aveva dato Platone molto meglio s' ac- cordava coi fondamenti di tutta la sua speculazione, ed infatti ad essa egli ader, ed  sua, per esempio, la sentenza : ci che noi conosciamo nelle parole  necessario che noi conosciamo anche nelle cose da esse significate*: qiiod de nominibns cognoscimus necessarium est ut in his rebus quae ab eis significantar cognoscamus '), in cui  evidente 1' afferma- zione di un rapporto di natura tra nome e cosa si- gnificata ; dall' Erigena, per esempio,  conservata la derivazione areopagitica di O-i? da O-w, io corro, fatta collo scopo di mostrare che veramente la di- N^init corre nelle viscere del mondo, sicch questo non  che una vasta ondulazione del divenire di- vino. Anche laddove -) T Erigena fa 1' elogio della grammatica e della retorica, descritte velati qaae- dam membra dialecticae, tiene alta 1' estimazione fi- losofica s dell' una come dell' altra, in quanto le concepisce sempre in relazione ad rerum nataram, sicch trattando di esse gli argomenti devono ap- punto esser tratti ex rerum natura. Le stesse defini- zioni che r Erigena d della grammatica e della re- torica ') e della dialettica 0, i rapporti tra nomi e cose indicati anche dalle seguenti sue parole '') : no- mina apposita e regione sibi alia nomina respiciunt, necessario etiam res qaae proprie eis significa ntar, oppositas sibi contrarietales obtinere intelliguntur, i raffronti tra i cos detti nomina lucis colle species reram visibiles ed intelligibiles ed i nomina tenebra- ram colle cause omnem sensum et intellectum sape- rantes ''), tutti insomma gli accenni ad una specu- lazione qualsiasi sul linguaggio rivelano nell' Eri- 1) Scoto Erigena, De divisione natnrae, I, 14. 2) Scoto Erigena,   V, 4. 3) Scoto Erigena,   l, ^7. 4) Scoto erigena,   v, 4. 5) Scoto Erigena,   l, 14. 6) Scoto erigena,   ni, 29. gena un largo senso d' interpretazione platonica a proposito della natura dei nomi e dei loro rapporti alle cose. L' Erigena ebbe, come  noto, una grandissima importanza nella storia della filosofia per il fatto d' aver egli, partendo dal suo concetto fondamentale dell' identificazione dei gradi dell' astrazione coi gradi dell' intelligenza 0, rimessa, per cos dire, all' ordine del giorno quella questione degli universali, che se idealmente risale a Platone ed ad Aristotele, storicamente si inizia da un passo dell' Isagoge di Porfirio. Anche qui dobbiamo intenderci ; vi furono degli autori quali 1' Haureau ed il Taine che tutta la Sco- lastica vorrebbero ridurre ad una disputa continua ed ininterrotta intorno agli universali, ora ci non  vero, per quanto la lotta sia stata combattuta strenua- mente da una parte e dall' altra da realisti, concet- tualisti e nominalisti, i quali talvolta offrivano di s uno spettacolo, che pot strappare sorrisi ad uo- mini relativamente spregiudicati come Giovanni di Salisbury '). Noi non possiamo certo seguire tutte le mo- venze assunte in relazione a tempi ed a luoghi di- versi da tale contesa, dovendoci solo accontentare di mettere in evidenza le relazioni necessarie che il problema degli universali doveva avere ed ha avuto di fatto colla speculazione sui nomi. 1) Cfr. in proposito Ueberwegs, Gnindriss etc, Voi. U pa.ii. 139. 2) Giovanni di Salisbury, Polkraticus, lib. VU, cap. 12. (Ioan- NIS SARESBERIENSIS, Opera, Lusduiii Batavoruin, 1595, pag. 385). Anzitutto notiamo il fatto che la questione, di cui stiamo parlando,  nata appunto sul terreno della logica, da cui a poco a poco  arrivata a quello psicologico, per invadere finalmente quello metafi- sico, dove solo poteva avere una soluzione ade- guata ; ricordiamo i precedenti storici : Porfirio si era domandato : i generi e le specie esistono nella natura, o non sussistono che in pure costruzioni dello spirito ? Dato che essi sieno delle cose, sono esse corporee od incorporee ? Esistono essi fuori degli esseri sensibili o sono realizzati in esse ^) ?  evidente che la domanda fondamentale  la prima ri- guardante appunto r obbiettivit dei generi e delle specie, che in fondo non sono che gli oggetti dei nostri concetti , produzione questi della no- stra facolt astrattiva, i di cui risultati noi fis- siamo appunto coi termini del nostro linguaggio. Se noi infatti non avessimo questi, noi saremmo sempre daccapo, ed inutile sarebbe tutto il lavoro lo- gico dello spirito nostro, come sarebbe inutile, per usare alcune note similitudini dell' Hamilton, quello di chi volesse scavare una galleria nella sabbia senza so- stenere con sostegni la parte di scavo gi composta, o di chi volesse penetrare in un paese avversario da conquistare, senza assicurarsi alle spalle le con- quiste gi fatte con opportune fortezze. 1) Ecco le parole di Porfirio : Mox de generibus et speciebus illud quidem sive subsistant, sive in nudis intellectibus posita sitit, sive subsistentia corporalia sint an incorporalia, et utnim separata a sensibi- libus an insensibilibus posita et circa haec consistentia, dicere reca sabo. (Cfr. BOETHii, Opera, Basilea 1579., pag. 53), Boezio ne' suoi commentarii all' Isagoge di Porfirio non seppe dare alle domande del filosofo neoplatonico che risposte poco coerenti e poco precise, e cos la questione si trascin rimanendo sempre sott5 la forma : gli oggetti dei nostri con- cetti esistono nella natura (subsistentia), o si ridu- cono a delle pure astrazioni (nuda intelleda) ? Sono si 0 no delle cose ') ? Quante e quali furono la risposte ? Il Mercier, a tale riguardo nella sua Criteriologia generale ~) dice che esse furone quattro : abbiamo prima il Rea- lismo esagerato, copia di queir antico di Platone, secondo il quale vi  armonia tra concetto e realt oggettiva, la quale quindi esiste nello stesso stato di universalit che riveste la realt pensata : all' e- stremo opposto vi  il Nominalismo, il quale al con- trario del Realismo ad oltranza, il quale sogn il mondo reale secondo gli attributi del mondo pen- sato, modell il pensiero sulle cose esteriori, negan- do perci l'esistenza dei concetti universali, e rifiu- tando air intelletto il potere di dar ad essi origine. In mezzo a tali due estremi sta : I" il Concettualismo, che ammette 1' esistenza ed il valore ideale dei con- cetti universali, non il valore loro reale ; i concetti hanno per termini mentali oggetti \xmvQ:x?>dA\{oggettivit ideale), ma noi non sappiamo se essi hanno un fonda- mento al di fuori di noi, e se nella natura gli indivi- dui posseggono distributivamente {oggettivit reale, 1) Cfr. LOKWE, Kampf zwischen Rcalismiis iind Nominalsmiis in Mittelalter, Prag 1876. pag. 30. 2) D. Mercier, Criteriologie generale, Louvain, 1900, pag. 300 et sgg. l'essenza che noi concepiamo come realizzate in ciascuno d' essi ; IF il Realismo moderato, aristote- lico, 0 tomista, che ammette il valore ideale, ed il valore reale del concetto : le cose, usiamo ancora le parole del Mercier, sono particolari, ma noi abbia- mo il potere di rappresentarcele astrattamente ; ora il tipo astratto, quando l'intelligenza lo scorge per rifles- sione e lo mette in rapporto coi soggetti particolari in cui esso  realizzabile,  attribuibile a ciascuno d' essi ed a tutti : quest' applicabilit del tipo a- stratto agli individui  la sua universalit. Tali sono le quattro risposte alle domande for- mulate da Porfirio in un trattato di Logica, come  appunto r Isagoge, il Wulf ') dice che il Realismo assoluto  contro il buon senso, ed  vero, esso per aveva avuto uno splendido campione in Pla- tone ; d' altra parte ricordiamo che 1' esemplarismo agostiniano nella sua forma primitiva gi gi fino alla species intelligibiles da S. Bonaventura e da S. Tommaso ammesse negli angeli, ) alla rationes semi- nales ammesse da S. Tommaso stesso era una gran- de concessione fatta all' antica teoria idealogica di Platone : ben pi strana a noi appare invece la ri- sposta nominalistica, e non solo a noi, ma anche ad altri, i quali messisi a giudicare di essa sul ter- reno storico hanno potuto convincersi che in realt non  mai esistita nell' et di mezzo una scuola di filosofia, la quale si sia formata e raggruppata in- 1) Wulf, op. cit. pag. 162. 2) Cfr. in proposito : P. ROTTA, La coscienza religiosa medievale, Angelologia, Torino 1908, pag. 74, torno ad una tesi cos inetta, quale poteva esser quella, secondo cui 1' universale non  che una ri- sonanza dell' aria, il soffio materiale della voce, o^ flatus vocis  0. Comunque per sia di ci resta un fatto che tutta la contesa degli universali si  iniziata e per non poco si  svolta su terreno grammaticale logico e non avrebbe potuto esser diverso : tutta la que- stione infatti stava nel decidere quale doveva essere il contenuto per i singoli nomi, concepiti con sim- boli necessari dei singoli concetti. Considerata anzi sotto questo punto di vista, noi possiamo dire che tale lotta rappresenta lo svolgimento di uno dei ca- pitoli pi interessanti di qualsiasi filosofia del Pn- guaggio.  noto che si  discusso a lungo se prima tra gli uomini abbiano avuto corso i nomi comuni o non piuttosto i nomi proprii ; Adamo Smith nella sua  Teoria dei sentimenti morali  ~) ha sostenuto che prima ci devono essere stati nomi proprii, cio no- mi individuali, il Leibniz invece pensava il con- trario, pr axiomate habens, sono le sue stesse paro- le, omnia nomina quae vocamus propria aliquando appellativa fiiisse, alioquin ratione nulla cstarent. ') Questa opinione fu validamente difesa in tempi a 1) Cfr: Groeber, Gnindriss d. roman. Philol., U, pag. 550, n. 1, dove si riporta in proposito l'opinione dei Windelband. 2) Cfr. Dugald-Stewart, Elementi de la Pliilosophie de V Espri, humain, Paris 1845, voi. Ili, pag. 21. 3) L'opinione del Leibniz  riportata pure dal DuRald - Stewart (loc. cit). 152 La filosofia del linguaggio noi pi vicini dal Max Muller ^) dal Rosmini "-), dal Darmesteter ^) dallo Zoppi ^), 1' opinione dello Smith fu recentemente difesa, per quanto in parte modificata, dal Fonsegrive '). Una tale questione non fu per nulla direttamente posta in tempi anti- chi, per quanto, secondo il Giussani ^) V opinione che ogni nome in origine sia stato un predicato, e quindi ogni nome proprio sia stato comune,  il presupposto necessario di tutta la discussione quale si  svolta nel Cratilo di Platone. Neil' et di mezzo se tale questione non fu po- sta sotto il suo aspetto storico fu per, per cos dire, coinvolta nel problema pi largo e generale de- gli universali. Prima di decidere cio se prima ci furono i nomi generali, i nomi cio che possono cor- rispondere ad una serie estesa di cose, che per la loro eguaglianza logica in ordine a comprensione ed estensione possono essere comprese in un solo concetto, e quindi essere espresse con un termine solo, o se non piuttosto prima ci furono i nomi particolari, nomi cio che possono corrispondere ad un individuo solo, era necessario risolvere la que- stione pregiudiziale : il genere e la specie esistono poi come qualche cosa di reale fuori di noi, o esi- 1) May Mueller, The science of Thought, London 1887, pag. 432. 2) Cfr.G. MORANDO, Corso di Filosofia, voi. I, Milano 1898, pag. 225, e sgg. 3) H. Darmesteter, La vie des mots, Paris 1887, pag. 41. 4) ZOPPI, op. cit., pag. 166, 167. 5) G. Fonsegrive, lements de Philosophie, voi. I, Paris 1890 pag. 243. 6) C. Giussani, op. cit., pag. no. stono solo come qualche cosa allo stato ideale dentro di noi 0 non esistono affatto, o sono semplicemente flatus vocis ? Per il Nominalismo, per esempio, non avrebbe potuto aver valore che la tesi difesa poi dallo Smith, giacche come si sarebbe potuto par- lare di nomi comuni, quando si negava per fino r esistenza dei concetti universali ? evidentemente quelli non sarebbero stati in tal caso che etichette sopra dei recipienti vuoti. Per il Realismo invece le cose sarebbero andate ben diversamente, e le mo- dalit stesse della speculazione di Platone ne sono una prova. La tesi, sostenuta poi dal Leibniz, ha detto, come si  visto, il Giussani,  il presupposto del Cratilo platonico, noi possiamo aggiungere che essa  il presupposto di qualsiasi soluzione realistica, ed anche solo concettualistica della questione degli universali. Una volta infatti che si ammetta il concetto, e lo si ammetta come produzione della facolt astraente dello spirito nostro in rapporto a reali caratteri di so- miglianza tra le diverse serie delle cose, una volta che tale concetto lo si creda applicabile non di- ciamo ai tipi delle cose relativamente esistenti, co- me avrebbe potuto dare un Realismo qualunque ad oltranza, ma lo si creda applicabile agli individui stessi in quanto in questo lo spirito riscontra quel tanto di comprensione con cui per astrazione ha plasmato il loro tipo ideale, quando tutto questo si ammetta secondo i dati di un semplice Realismo moderato, allora, e solo allora, la parola avr tutta la sua importanza e tutto il suo valore, allora e solo allora essa sar etichetta di quei recipienti di 154 LA filosofa del LINGUAGGIO cui tutti conosceranno il contenuto, allora e solo allora il linguaggio sar veramente il complesso di quelle tessere che son utili e necessarie per il com- mercio degli animi. In caso contrario la parola non sar pi termine fisso di un lavoro comune coe- rente ed omogeneo, ma sebbene semplice descrizione fugace che colla cosa, a cui sar momentaneamente applicata, dovr scomparire nel caos dell' indistinto mfinito, sicch tutti allora ci troveremmo nel caso del Sofista greco, il quale ebbe la bizzarria di por- re ad un suo schiavo un nome nuovo chiamandolo  neppure , e se ne vantava credendo cos di aver dimostrato che ogni parola potesse diventare signi- ficativa ad arbitrio, senza capire, nota il celebre linguista Max MUller, che con quel  neppure  po- teva benissimo chiamare un dato individuo, ma che mai quel nome avrebbe potuto istituire il nome co- mune  schiavo  , perch questo era gi ormai tra- dizional termine di un dato concetto, sicch facendo quella sostituzione nessuno pi V avrebbe inteso, perch si sarebbe tagliato il ponte, su cui era pos- sibile la comunicazione tra gli uomini di quella bricciola di sapere raccolta amorosamente nel seno di quel dato concetto. Queste sono le ragioni di ordine logico per cui noi crediamo conglobata nella questione degli uni- versali anche un grande problema di filosofia del linguaggio, nel che andiamo d' accordo col Croce *), il quale pure crede che in quella disputa secolare 1) B. Croce  non si pot non toccare in qualche modo la rela- zione tra il verbo e la carne, tra il pensiero e la parola. Certo si  che ben diverso sarebbe stato lo svolgimento di tutta la contesa, che, nata su terreno logico, sopra di questo rimase per tanto tempo, se oltre che 1' Organon dello Stagirita si fossero presto conosciute anche quelle altre sue o- pere, in cui egli, integrando la metafisica di Eraclito con quella di Parmenide, scioglie la questione dei rapporti tra individuale ed universale in quel modo che fu uno dei punti specifici e caratteristici di tutto quanto il Peripatetismo. Ed ora da tali considerazioni d' indole generale veniamo a vedere un po' pi da vicino qualcuno di questi autori che si sono gettati nella disputa, e ci allo scopo di avere la contropprova di tutto quanto abbiamo poco sempre affermato. Gi si  discorso di Fridigiso, uno dei primi campioni del Realismo, a cui tosto s' aggiunsero, per non citare che i principali, Remigio d' Auxerre, Gerberto, Fulberto, fondatore della scuola di Char- tres, Oddone di Tournai, scrittori tutti di logica e di dialettica : trattarono essi qualche volta anche di metafisica, ma in modo frammentario, rivolgendo tutto, r acume della loro speculazione a quelle que- stioni di logica, in cui, trattandosi dei concetti e dei giudizii, tosto si ingenerava l'addentellato per discutere intorno all' oggettivit di quelli, che essi, come realisti, ammettevano assicurando cos non solo il contenuto ideale, ma anche reale della parola in quanto manifestazione di concetti.  E COS accadde anche nell' altro campo, cio in quello degli antirealisti, i quali, badiamo bene, quando del dilemma di Porfirio si attaccarono alla seconda parte dicendo che gli universali non sono gi delle cose realizzate allo stato universale nella natura, ma solo pure costruzioni dello spirito ( nuda intellecta), cio astrazioni verbali, non vollero gi prendere posizione in quel Nominalismo di cui si  parlato prima, il quale molto probabilmente  stato pi una finzione posteriore fatta quasi per una ra- gione di contrasto al Realismo ad oltranza, che un reale sistema di una determinata scuola. L' Antirea- lismo ebbe piuttosto un carattere negativo, cio esso fu negazione dell' esistenza di una realt universale, solo pi tardi esso affront direttamente il vero problema, che era al di sopra del dilemma di Porfi- rio, acni troppo ligia si tenne la speculazione degli universali nei primi secoli, cio il modo con cui si potevano conciliare in motivi pi larghi e profondi la sostanzialit degli- esseri individuali, i soli esistenti, e r esistenza in noi di concetti universali. Per i primi secoli, in altri termini, gli antirealisti si accon- tentarono di ammettere i concetti anche universali, concetti eh' essi chiamano nomi di cui riconobbero tutta r importanza in quante espressioni rigide delle astrazioni umane ; ed  strano che giudicando le cose e risolvendo la questione, che tanto allora affaticava le menti da un tal punto di vista, non avessero sentito anche il bisogno di approfondire anche la natura di tali nomi, le loro origini, il loro significato, di fare cio anche un po' di filosofia del linguaggio, dato appunto che col linguaggio si pote- vano fissare quei termini, a cui corrispondeva, come contenuto, il solo esistente nella grande economa del tutto ! Invece questo non avvenne ; anche in antirea- listi come Rabano Mauro ed Heiric d' Auxerre, scrittori anche questi soprattutto di logica e di dia- lettica secondo il solito indirizzo di Aristotele, Por- firio e Boezio, nessuna traccia noi troviamo di un pensiero nuovo intorno al linguaggio. In Heiric tro- viamo,  vero, un passo in cui ben si distinguono i tre elementi, qiiibus omnis collocutio dispiitatioque perficitur, e cio : res, intellectns, et voces : res sunt qtias animi ratio ne percipimus, intellectns vero qno ipsas res addiscimus, voces qnibns quod intellecta capimus significamus . Come si vede siamo qui an- cora alle medesime distinzioni gi stabilite da Boe- zio. Poi Heiric aggiunge : Praeter haec autein tria est alind quoddam quod significai voces, hoc est litterae, harum enim scriptio vocum significano est . Rem concipit intellectns, intellectam voces designant, voces autem litterae significant. Rarsus hornm quat- tnor duo sunt naturalia, id est et res et intellectus, duo secundum positionem hominun, hoc est voces et lit- terae *), il quale ultimo rilievo richiama evidente- mente tutto quanto Boezio" aveva ripetutamente scritto a suffragio della teoria aristotelica della po- sitio nominum secundum hominis placitum. Eppui'e doveva essere cos spontaneo il problema dell' ori- 1) Prantl, op. cit., voi. II, pag. 41. gine e della natura dei nomi stessi per chi come Heiric d' Auxerre credeva che con essi si esprime- vano i concetti universah, gH unici esistenti nel campo dell' universalit ! eppure date le res e l' in- tellectas, come cose naturali, doveva essere cos spontanea V investigazione intorno all' essenziale u- nit del linguaggio siccome segno degli umani concetti, intorno alle istintive espressioni dei bruti ed intorno ai rapporti di quello colle cose stesse e colla verit ! Ed invece tutto ci non fu sentito ne da Rabano Mauro, ne da Heiric d' Auxerre, ne da Roscellino, il quale pure, secondo di contemporaneo suo Ottone di Frisinga : primiis nostris temporibus sententiam vocum institiiit ').  noto che Roscellino pass sempre come il rappresentante genuino del pi puro e perci del pi netto Nominalismo, ora, secondo le felici in- duzioni del Wulf, anche tale luogo comune delle solite storie della filosofia si deve credere ne pi n meno che una leggenda, giacch il fatto si  che' egli ha lasciato troppo poco dell'opera sua, perch noi possiamo questo poco interpretare nel modo voluto ed imposto dalla tradizione. Di lui infatti abbiamo solo una lettera indirizzata ad Abe- lardo e poi parecchi passi che a lui si riferiscono nelle opere di S. Anselmo, Abelardo, Giovanni di Salisbury, i quali tutti affermavano che per Roscel- lino i generi e le specie non sono che  voces . Come si deve interpretare quel voces ? Forse nel 1) Wulf, op. cit., pag. 171. senso voluto da un Nominalismo puro, per cui le voces non possono gi esser termine del concetto, e cio di un pensato universale ? Il Wulf non crede che si deve interpretare cosi il sententia vociim, di cui parla Ottone di Frisinga, noi crediamo che egli abbia perfettamente ragione appoggiandoci anche sopra quanto troviamo in S. Anselmo "'), in cui si dice che per negare 1' esistenza del colore all' in- fuori degli oggetti Roscellino diceva che il colore sta agli oggetti come la saggezza sta all' anima, in cui se  vero che si tende ad affermare la realt dell' individuale e'  per anche manifesta la neces- sit mentale di un substrato, a cui far aderire nel- r intelletto ci che appunto  individuale. In pi  spirabil aer per ci che riguarda il no- stro argomento veniamo con S. Anselmo. Fu questo un pensatore davvero insigne nella collana degli scrittori cristiani dell' et di mezzo, e se la sua fa- ma per i pi si trova specialmente attaccata alla formula credo ut inielligam -), che in linea sto- rica da S. Anselmo fu applicata esclusivamente a questioni teologiche, mentre  pur concetto di lui che anche la ragione  una sorgente indipendente e propria di sapere, d' onde il suo grande rispetto per la dialettica ^), in realta egli, seguace del lu- minoso pensiero di S. Agostino ^), fu il primo che 1) S. Anselmo, De Fide Trinitatis, l. 2) S. Anselmo, Proslogium, cap. I. 3) Cfr. DOMET DE VORGES, op. cit., pag. 135. 4) Lo dice S. Anselmo stesso nella prefazione al Monologiiim : Nilil potili invenire me didicisse qiiod non catlwliconim patnini et maxime beati S. Augustini scriptis cohaereat. seppe sul terreno dell' ortodossia scolastica dar corpo alla prima sintesi filosofica, che fosse reazione sapiente alla sintesi antiscolastica ed in non piccola parte eterodossa di Scoto Erigena. S. Anselmo per ci che riguarda la questione degli universali si de- cise per il Realismo, un Realismo pieno e completo che talvolta nel  Monologio  si manifesta con for- mole tali da far sospettare quasi un Panteismo. Partendo da un tale punto di vista S. Anselmo ha visto il nesso che si poteva filosoficamente stabilire tra la questione degli universali e la filosofia delle parole, anzitutto egli nel Monologio pressapoco con- formamente a quanto dir pi tardi Alberto Magno, fautore, come creatrice della parola dell'imaginazione, che per gli Scolastici poca differenza ha della memoria, stabilisce per quella cme origine la memoria ; in se- condo luogo egli ha visto molto bene la questione del linguaggio sotto il suo aspetto psicologico ; la mente, egli dice, trae da se stessa 1' imagine di ci che pensa, imagine che naturalmente  fatta a pro- pria somiglianza, e che solo idealmente noi pos- siamo disgiungere dalla mente, che l'ha concepita ; tale imagine  la parola della mente, e 1' agitarsi ed il susseguirsi di tali parole  ci che costituisce il linguaggio mentale ; su tale concetto S. An- selmo insiste molto a lungo : per esempio, egli dice, quando si pensa alcunch extra mentem, la pa- rola mentale della cosa pensata non nasce gi dalla cosa stessa, ma sibbene dall' imagine della cosa, che  gi nella memoria di chi in quel dato momento pensa, o che per il tramite dei sensi si trae allora dalla cosa reale fuori di noi 0- Per il che, dice al- trove il santo, rem unam tripliciter loqiii possumiis : 1) sensibiliter, usando di segni sensibili, 2) insen- sibiliter rivolgendo tra di noi tali segni , 3) nec sensibiliter, nec insensibliter, rivolgendo tra di noi non gi i segni, ma le cose stesse, o per meglio dire le immagini delle cose quali la memoria ha in s, o quali i sensi ci vanno continuamente offrendo. Di queste tre specie di linguaggio, naturale  soltanto la terza, inquantoch i suoi elementi sono uguali per tutti : tali parole naturali sono molto pi vere che non le altre non necessarie con cui noi ci espri- miamo, perch molto pi simili alle cose, di cui tentano di esser copia precisa ~). Come si vede qui siamo alla presenza di una profonda dottrina d' ordine psicologico per ci che riguarda la fa- colt del parlare nell' uomo : che cosa  infatti essa ? non altro se non un' espressione estrinseca di ci che naturalmente avviene, in noi, in cui e'  un vero linguaggio espressivo per immagini, cio per parole che sono vere immagini delle cose formate nel nostro pensiero. In base a ci S. Anselmo affronta anche la questione gi discussa da Platone nel  Cratilo  suir efficacia della parola , quale  pronunciata, nel produrre la cognizione ; S. Anselmo nega, come gi Platone, una tale efficacia perch la cognizione pu nascer solo in noi dal linguaggio naturale 1) S. Anselmo. Monolosium, cap. 63. 2) S. Anselmo, Monologium interno, non gi da quello artificiale esterno, nes- sun rapporto esiste infatti tra le parole del no- stro discorso colle cose, mentre le parole mentali da una parte colle cose hanno un rapporto di na- tura, e dall' altra sono omogenee alla nostra stessa facolt conoscitiva, e non ci pu essere cosa pen- sata da noi senza che abbia il suo corrispondente motto verbale, tantoch conclude S. Anselmo : Tot sunt verba in mente cogitantis, qiiot siint res cogi- tatae '). E forse superfluo far osservare quanto bene una tale teoria psicologica di S. Anselmo s' accordi colla soluzione realistica da lui data del problema degli universali : sulla questione poi dell' efficacia della parola come mezzo di conoscenza il santo ritorna nel dialogo De Ventate'), dove troviamo un passo di una certa importanza : Il maestro in esso ha parlato della lectitudo enunciationis, ma il discepolo sente tosto una difficolt nascergli nella mente, quella difficolt cio che pi tardi, come ve- dremo, vedr e risolver anche Duns Scoto, e cio egli cos domanda al maestro suo : Video qnod dicis, sed doce me quid respondere possim, si quis dicat quia etiam cum oratio significai esse quod non est, significai quod debet, pariter namque accepit significate esse et quod est et quod non est, nam si non accepisset significare etiam quod non est, non id significaret, quare etiam cum significai esse quod non 1) S. Anselmo, Monologium, cap. 63. 2) S. Anselmo, Dial. de veritate est, significai qiiod debet, ac si qiiod dcbct signifi- cando recta et vera est, siciit ostendisti, vera est oratio etiani ciim enantiat qiiod non est. Al che il maestro risponde : Vera qaidem non solet dici cimi significai esse qiiod non est ; veritaiem tamen et recti- tudinem habei, quia facii qiiod debet. Sed ciim signi- ficai qiiod est, diipliciter facii quod debet, qaoniam si- gnificai et quod acceoit significare, et ad qaodfacia esiy sed seciindum ha ne reciitudineni et veritaiem, qua signi- ficai esse quod est, usu recia est et vera diciiur enun- ciano, non secundum illam, qua significai esse etiam quod non est. Alia est igiiur reciiiudo et veriias e- nunciationis, quia significai ad quod significandum facta est, alia vero quia significai quod accepii si- gnificare, qnippe isto immutabilis est ipsi raiioni, illa vero muiabilis. Come si vede, qui  ancora, come gi si  detto, r antica questione della giustezza dei nomi trattata da Platone, e da S. Anselmo lumeggiata sotto un aspetto nuovo cio sotto il suo aspetto logico ; e' era, come  noto, la soluzione data da Aristotele, secondo cui la giustezza  data dall' aggiunzione del verbo essere, riguardando verit e falsit non gi la parola, ma sibbene il giudizio. S. Anselmo invece riconosce una giustezza ne' nomi in questo senso : i nomi hanno comunque un significato, cor- rispondono essi quindi sempre ad una realt, perch corrispondono sempre ad un concetto, che , per quanto re.ilt ideale, pur sempre qualche cosa di positivo. Pu d:irsi che a questa realt ideale cor- risponda si 0 no una realt oggettiva fuori di noi, e S. Anselmo nel suo Realismo ad oltranza era largo neir ammettere una tale oggettivit ; quando una tale corrispondenza esiste tra concetto ed oggettivit, allora la parola pu veramente dirsi e retta e vera in doppio senso, prima di tutto perch significa ci che deve, in secondo luogo perch esprime ci che  : quando invece tale corrispondenza non e' , la pa- rola rimane pur sempre vera, perch serve sempre ad esprimere un concetto, negativo nell' ordine della realt. Tutto ci in modo molto incerto era stato veduto anche da Scoto Erigena ^), ma quanto pi chiaro ed esauriente  la spiegazione in proposito di S.- Anselmo ! Anche il dialogo  De Grammatico  di S. Ansel- mo si svolge tutto intorno ad una questione di lo- gica, perch in fondo non  altro che una ricerca sottile intorno a comprensione ed estensione dei due concetti di uomo e di grammatico per metterne in evidenza le reciproche relazioni : osservazioni qua e l di una certa im.portanza non mancano anche in tale dialogo, che solo nei primi paragrafi a noi si presenta con carattere discretamente sofistico : pii avanti invece, per esempio -), S. Anselmo viene a dichiarare che il nome esprime molto meno delle cose, il che dal lato logico  perfettamente vero, perch il nome  termine del concetto, ed esprime solo r essenziale, mentre le cose, essendo singole, oltre che quei caratteri essenziali, per cui esse sono quel 1) Scoto erigena, De div. natiirae, \\\. 5. 2) S. Anselmo, De Grammatico, cap. XH.  che sono, hanno anche quelle parvenze specifiche, per cui sono diverse dalle altre della medesima specie ^). Altrove il nostro autore, ripigliando una distinzione gi fatta, come si  visto, da S. Gio- vanni di Damasco, divide e nomi e verbi in sostan- ziali, ed accidentali '), ed approfondisce tale distin- zione Vi da giungere a trattare delle categorie ari- stoteliche, a proposito delle quali scrive ^) : Sed quoniam voces non significant nisi res, dicendo quid sit qiiod voces significent necesse est dicere quid sint res. Come si vede abbiamo qui il riflesso di quella fiducia nella realt oggettiva che caratterizza il decalogo categorico di Aristotele in raffronto, per esempio, al tetralogo delle categorie Kantiane, espressioni delle forme a priori della mente nostra. A proposito finalmente della divisione fatta, come si  visto, da Aristotele di nomi e verbi, basata, come poi in lungo e in largo ha spiegato Boe- zio, sul significare alcuna cosa sine tempore o cum tempore, S. Anselmo osserva che hodiernum a ri- gor di termini dovrebbe appunto essere un verbo, ap- punto perch significai aliquid cum tempore ^). L' andamento largo introdotto da S. Anselmo anche a proposito delle speculazioni sul linguaggio, fu tosto seguito da altri spiriti luminosi di quel 1) Ci  confermato da S. Anselmo stesso, laddove dice che tutte le accidentalit sono della cosa e non del nome. Cfr. S. Anselmo, De Grammatico, cap. XVII. 2) S. Anselmo, De Grammatico, cap. XV 3) S. Anselmo,   cap. XVH. 4) S. Anselmo, giro di anni : notiamo prima fra essi Giovanni di Sa- lisbury, che assurgendo dai secchi ed aridi studii della Grammatica, a cui molti si erano allora ridotti accontentandosi di analizzare pedestremente la gram- matica di Prisciano ^), arriva ad una concezione larga e quasi umanistica del trivio e del quadrivio, da lui chiamati come le sette voci che conducono r anima nel santuario della scienza, il di lui trat- tato  Metalogiciis   tutta una carica a fondo con- tro tali esseri chiusi ad ogni soffio geniale in ri- guardo agli studii della dialettica : egli restituisce alla logica il suo impero, ma vuole che non sia sempli- cemente un vano formalismo sterile ed esangue -), essa  necessaria perch  la scienza formativa per eccellenza, appunto perch offre il miglior insegna- mento al pensare ed al parlare, senza di cui ogni filosofia  impossibile ). Per ci che riguarda le sue dottrine logiche, egli si riferisce, e lo dichiara lui stesso, ad Aristotele ed a Porfirio ^) in riguardo per al nostro argomento ha qualche osservazione di una certa importanza : dal lato filosofico Giovanni di Salisbury fu un rea- lista moderato aristotelico : l' analisi della cono- scenza astratta ad un tale Realismo lo ha condotto ") ; ora partendo da un tal punto di vista egli ha ca- pito tutta r efficacia del nome rispetto alle cose ; 1) Cfr. Giovanni di Salisbury, De septem septenis, cap. 2. 2) Cfr. Giovanni di Salisbury, Metalogicus, H, 9, 10. 3) Cfr. Giovanni di Salisbury,  n, 20. 4) Cfr. Giovanni di Salisbury,  n, il ; IV, 17: etc. 5) Cfr. Giovanni di Salisbury,  n. 20, queste sono singole ed individue, ma il nome  tale che pu invece convenire anche agli universali (rei nomen latiiis patet ut possit iiniversalibiis convenire '), r universalit per del nome  possibile e sicura quando sia frutto di analisi di particolari, sia cio r espressione dell' astrazione fatta dalla mente sulle parvenze singole delle singole cose, senza di cui anche V universalit non sarebbe possibile, e quindi non sarebbe possibile il concetto e col concetto il nome : ora la dialettica tende appunto a rendere manifesta la forza del discorso e delle parole, cio a mostrare il loro grado di universalit in rapporto alla singolarit delle cose realmente esistenti fuori di noi ~). Opposto in certo qual senso a tale modo di concepire V universalit dei nomi  quello indicato da Abelardo, secondo cui V universalit non sta gi nelle cose e nelle parole, ma sebbene nel discorso, il quale solo  universale (sermo soliis est praedicabilis) , quan- tunque cio i discorsi sieno composti di parole, pure non queste ma quelli si possono ritenere universali ^). Questa soluzione di Abelardo merita senza dub- bio di essere approfondita, cio di essere messa in relazione ai fondamenti primi di quel sistema, che, da lui iniziato, ebbe nella storia del pensiero il no- me di concettualismo, bagliore primo di qualsiasi forma di criticismo ulteriore. 1) Cfr. Giovanni di Salisbury, Metalogiciis, II, 20. 2) Cfr. Giovanni di Salisbury,  III, 2. 3) Tutto ci si trova in un passo del Reinusat citato dal Prantl, ^op. cit., pag. 175). Per capir meglio ci che vogliamo spiegare ri- portiamo anche quest' altro passo di Abelardo : Neqiie enim substantia specierum diversa est ab es- sentia individiiorum, nec res ita siciit vocabula di- versas esse contingit ^), parole queste che confer- mano quanto abbiamo pi indietro affermato a pro- posito appunto di concettualismo. Si  affermato al- lora che secondo i concettualisti, ed Abelardo fu il pi illuminato di essi, esiste il valore ideale dei con- cetti universali, non esiste per, o per lo meno non si sa se esista il loro valore reale, cio se nella na- tura gli individui posseggano distributivamente V es- senza che noi concepiamo come realizzata in cia- scuno di essi. Le parole quindi, in quanto sono ap- punto denominazioni delle cose, non possono es- sere dotate di universalit, perch appunto sono r espressione psicologica di ci che non sappiamo se abbia in se tale universalit, quelle quindi non possono valere pi di quello di cui sono simbolo. Le parole per sono anche espressioni di concetto e come tali possono essere universali, ci  vero, a patto per che esse s' intendano solo come qual- che cosa di ideale, cio non si riferiscano alle cose, ma consumino la loro potenzialit entro di noi, nel nostro intelletto, in altri termini nei nostri giudizi!, e quindi nel nostro discorso.  cos, a nostro credere, che si devono inten- dere le suesposte opinioni di Abelardo, ed  cos che un' altra volta resta comprovato quanto l' inter- 1) Cfr. M. De Wulf, op. cit. pag. 204.  prelazione filosofica del valore delle parole abbia seguito passo passo iicll' et di mezzo le diverse soluzioni del problema degli universali. L' altezza a cui la logica era stata portata per opera dei citati autori a cui potremmo aggiungere Gilberto della Porretta, integratore di Aristotele colla sua opera  Liber sex principionim  e Thierry di Chartres, altro illuminato campione contro i Cor- nificiani, che nella storia della filosofia passarono nei secoli XI, e XII come i retrogradi della logica, perch verbalisti e sofisti, nugiloqiii ventilatores, come li chiama Giovanni di Salisbury, che li boll nel suo Polycraticiis, dando loro il nome da un Corni- ficio -), che di quelli fu uno dei poco nobili rappre- sentanti, tale altezza, diciamo, non venne mai meno, specialmente quando in Occidente si venne a cono- scenza delia speculazione bizantina orientale, e di quella degli Arabi, i quali con Avicenna e con A- verro tanto impulso avevano dato alla logica, libe- ramente commentando Aristotele, s da portar quella nella sfera della speculazione viva, non lasciandola impaludare nella morta gora di un puro formalismo senza moto e senza risorsa ! Ormai intanto la questione degli universali a- veva perduto il suo agreste sapore di novit : il Rea- lismo ad oltranza ingenuamente inconseguente della prima met del secolo XII, per cui si attribu un' en- tit universale ai nostri concetti specifici e gene- rici, senza per sottoscrivere all' unit panteistica 1) Giovanni di Salisbury, Polycraticns, VU, 12.  delle cose, che pur ne era una conseguenza logica, rappresent per breve tempo una delle tendenze preponderanti nella Scolastica, propriamente detta, la quale si trov cos sospinta fra le dottrine di Guglielmo di Champeaux, secondo cui V essenza u- niversale  unica ed identica in tutti i subordinati, in ciascuno dei quali quella  contenuta secondo la totalit del suo essere, non essendo V individualit che una modificazione accidentale della sostanza specifica, e la specie un accidente dell' essenza ge- nerica ^), e r indifferentismo di Adelardo di Barth, secondo cui ogni esistenza  individuale, ma in ogni individuo si riscontrano insieme delle determinazioni che gli appartengono in proprio e costituiscono la sua qualit differenziale (differens) e delle realt specifiche e generiche, che si ritrovano non differenti (indifferens) negli altri individui subordinati al me- desimo titolo di genere e di specie ;  adunque il medesimo essere, che secondo il diverso punto di vista con cui lo si considera,  chiamato individuo, specie e genere.  tale dottrina, come si vede, un tentativo di conciliazione tra Platone ed Aristotele, alla quale Adelardo aveva potuto arrivare, partendo dalla con- siderazione appunto del come possono venir presi i nomi : ecco le parole di Adelardo : si res consi- deres, edem essentiae et generis et speciei et indi- vidui nomina imposita sunt, sed respectu diverso ') ; 1) Tale dottrina fu combattuta da Abelardo. Cfr. ViCT. COUSIN, Oeu- vres indites de Abelard, Paris 1839, pag. 513, 514. 2) H. WiLLNER, Das Adelard von Barth Traktat : De eodem et di- erso, Miinster 1903, i^g. 11.  dal che appare che siccome il medesimo nome pu esser preso in diversi significati, cio come nome di individuo, di specie, e di genere, e siccome sotto tale diverso aspetto, esso si pu applicare alle cose, queste sotto un certo punto di vista possono adun- que essere nel medesimo momento ed individui, e specie, e genere, secondo appunto la dottrina poco sopra esposta. A sollevare il pensiero in sfera pi alta e pi feconda venne in Occidente nella seconda met del secolo XII e nella prima del XIII, la conoscenza di quasi tutte le opere di Aristotele, e dei commenti che di esse gi avevano fatto i pensatori arabi ^). Fu quello un fermento nuovo, che gettato in mezzo alla contesa di elementi diversi produsse ben tosto indirizzi nuovi non solo in ordine al pensiero filo- sofico, ma anche e forse pi in ordine al pensiero teologico. Gi fin dal secolo IX alcune controversie avevano ingenerato nuovo impulso alla speculazione teologica in riguardo a suoi addentellati colla filosofia e spe- cialmente colla questione degli universali : ricor- diamo la questione sulla predestinazione e la li- bert sollevata dal monaco Gottschalc, combattuto a proposito del determinismo teologico da Rabano Mauro, e da Hinemaro di Rheims, quella della trans- substanziazione sollevata da Berengario di Tours, combattuto da Lanfranco di Pavia, quella finalmente 1) F. Fiorentino, op. cit., pag. 318. sulla Trinit sollevata da Roscellino, combattuta da S. Anselmo e da Abelardo insieme. Aggiungiamo a ci l' indirizzo mistico di S. Bernardo e dei Vittorini, 1' atomismo di Guglielmo di Conches, il panteismo di Bernardo di Tours e di Almorico di Bena, il materialismo dei Catari e ve- dremo quanti elementi si erano gi in Occidente ela- borati nel campo del pensiero riflesso, e quanta ef- ficacia adunque avrebbe potuto esercitare sopra di esso il nuovo impulso aristotelico alla determina- zione di nuovi indirizzi e di nuove traiettorie. Non per questo la logica e la dialettica vennero meno nella stima e nello studio di quei tempi : essa, secondo la concezione araba, divenne come V in- strumentum preliminare di ogni filosofia, costituendo di questa la prima parte, preceduta solo dalla scientia litteralis o grammatica e dalle scientiae civiles : poe- tica e rectorica ^), Ugo di S. Vittore pot intorno alle origini di quella discutere attribuendo il me- rito a Platone di avere istituito per il primo  logi- cam rationalem '). Commenti* intorno al De Inter- pretatione di Aristotele si continuarono a scrivere, ad imitazione di quello che gi avevano fatto Boe- zio e di poi gli arabi ); ed in uno di essi, anonimo del secolo XI, di cui parla il Franti ^), si trova 1) Tale, per esempio,  il compito attribuito alla logica da Dome- nico Gundissalinus, uno dei pii influenti precursori del Tomismo, e dei pi rimarche\ oli traduttori di Aristotele, (Cfr. M. De Wulf, op. cit., pag. 287). 2) Prantl, op. cit., Voi. H, pag. 111. 3) Prantl, op. cit., Voi. H, pag. 300. 4) Prantl, op. cit.. Voi. Il, pag. 204. questa frase che per noi ha una certa importanza ; Duplex est significato vociim, una quidem de rebus, altera vero de intellectibus, la quale distinzione vif^|xaTa), di cui parla Aristotele, si devono intendere le conceptiones inlellectns, anzi aggiunge in proposito che Andronico di Rodi negava 1' autenticit del  De intepretatione  per il fatto appunto che Aristotele chiama passiones ci che ; invece  conccptio, od intellectiis , e cio il nostro concetto ^). Per trovare per il trattato di logica che meglio riassuma le idee di quei tempi, perci che riguarda Tommaso, Dante poteva forse conoscere le inclinazioni gi da noi consi- derate a suo luogo e di Scoto Erigena ed anche d! S. Anselmo ad am- mettere un certo rapporto di convenienza necessaria tra le cose ed i loro nomi; in fondo anche la ratio innoiescendi ammessa, come ve- dremo, da S. Bonaventura come terzo elemento nei nomi accanto alla voce, ed al significato, e tutto 1' indirizzo della speculazione del mistico di Bagnorea poteva essere impulso a spingere Dante ad ac- cettare quella sentenza del nomina siint consequentia rerum, a propo- sito della quale se noi non conosciamo la fonte, possiamo per conoscere abbastanza da quanto sopra si  detto, i motivi della sua accettazione da parte di Dante. Del resto anche qui l'Alighieri non  stato coerente a s stesso, come lo vedremo pii!i avanti anche per ci che riguarda 1' origine divina del linguaggio; in un passo infatti del De Vulgari Eloquio. {Uh. I, cap. 3), egli parla di significano ad placitum delle parole. Possiamo adunque concludere che se da una parte  vero quanto dice il D' Ovidio (op. cit., pag. 493) che in Dante si assomma tutto quel che di pi e di meglio diede la speculazione linguistica medievale, dall' altra  pur vero che in lui si trovano anche quelle discontinuit che in tale specu- lazione r et di mezzo ha segnato 1) S. Tommaso, De interpretationc, lib. I, sect. IV. 2) S. TOMMASO.   lib. I, sect. V. 3) S. TOMMASO,   lib. 1, sect. II.  non solo la logica, ma anche il nostro argomento, dobbiamo arrivare alla  Siimmiilae logicales  di Pietro Ispano, cio di colui che, diventato poi Gio- vanni XXI, ordin nei 1277 all'arcivescovo di Parigi di procedere ad uu' inchiesta sulle dottrine insegnate nelle scuole di quella citt, inchiesta da cui risult la condanna di ben 219 popolazioni, in cui, oltre che r Averroismo furono anche condannati alcuni de- gli insegnamenti del Tomismo, di quel sistema cio che meglio di ogni altro aveva saputo interpretare e ricreare 1' antico Peripatetismo secondo 1' esigenze della pili severa ortodossia. Nella Summiilae, diventato poscia il testo pi diffuso di logica, noi troviamo sistematicamente e- sposto tutto ci, che, secondo i programmi dell' Universit di Parigi, si divideva in logica vetus, contenente le dottrine svolte dai libri logici di Por- firio, e di Boezio, logica nova, contenente le dot- trine della Topica, degli Elenchi, degli Analitici di Aristotele, a cui si aggiunsero poi alcuni ulteriori svolgimenti che furono chiamati  logica novissima ^). Per ci che riguarda il nostro argomento Pietro Ispano si riferisce del tutto agli insegnamenti dello Stagirita : inizia egli infatti 1' opera sua dalla defi- nizione di dialettica, di cui interpreta a suo modo il nome dicendo : Dicitur aiitem dialectica a dia, quod est dna, et logos, qiiod est sermo et ratio, quasi diiorum sermo vel ratio, scilicet opponentis et 1) Fr. Ueberwegs, Gmndriss der Geschichte der Philosophie, voi. II, pag. 190, 301.  respondentis in dispiitatione ^), poi continua : sed quia disputano non potest haberi nisi mediante ser- mone, nec sermo nisi mediante voce, nec vox nis mediante sono, (omnis enim vox est sermo) ideo a sono tamquam a comnmniori inchoandum est. Data la definizione di suono, egli viene ad assumere que- sto come genere di cui una specie sarebbe la vox, che definisce alla sua volta : somis ab ore animalis prolatus naturalihus instrumentis formatus. Coeren- temente a quanto gi si sapeva, passato come un luogo comune nella tradizione patristica e scola- stica come una derivazione degli antichi insegna- menti fisiologici di Aristotele e di Gallieno, Pietro Ispano parla appunto di tali strumenti della voce e, noti in tutto il resto del M. E. furono questi suoi distici, in cui di essi si parla : Instrumenta novem sunt : guttur, lingua, palatum, Quattuor et dentes, et duo labia simul, oppure : Instrumenta decem sunt: guttur, lingua, palatum, Quattuor et dentes, pariter duo labia pulmo '). Delle voci alcune sono significative ed altre no, significativa est illa quae auditui nostro aliquid repraesentat, ut homo, equus, vel gemitus infirmorum qui significai dolorem, vox non significativa est illa quae auditui nostro nihil repraesentant ut bu, ba, bap), 1) Petri Hispani, Summnlae logicales cum Vensorii Parisiensis expositionem, Venetiis 1622, Tract. I, paj;. 7. 2) Cfr. PRANTL, op. cit., voi. HI, Leipzig 1807, pag. 41. 3) Petri Hispani, op. cit., pag. 12.  Ci detto, viene 1' autore a quest' altra distinzione ben pi importante per il nostro argomento : Vocum significativ amili alia significai nataraliter, alia adpla- citum : vox significativa nataraliter est illa qiiae apud omnes homines idem repraesentat, ut latratus canum et gemitus infirmorum, vox significativa ad placitum est illa qiiae ad voluntatem primi instituentis aliquid repraesentat, ut homo, equus etc. Come si vede siamo qui ancora alla presenza dell' antica dottrina di Aristotele, del vocabolo si- gnificativo ad placitum primi instituentis, come pure gi acquisito alla tradizione era quanto possiamo leggere pi avanti : il nostro autore parla della di- visione delle voci significative, e dice : vocum si- gnificativarum ad placitum alia complexa ut ratio, alia incomplexa, ut nomen et verbum, il che vuol dire che alcuni suoni sono composti e sarebbero tra i si- gnificativi gli umani discorsi, altri invece sono semplici e sarebbero i nomi ed i verbi, non ammettendo Pietro Ispano altre parti semplici originarie essenziali del di- scorso air infuori delle due indicate, ne pi ne meno di quello che gi abbiamo visto fatto da Aristotele, Boe- zio, S. Tommaso ed altri ; di Boezio anzi il nostro au- tore ripete quasi alla lettera gli insegnamenti in propo- sito colle parole: etsciendum est quod dialecticus solum ponit duas partes orationis scilicet nomen et verbum, alias autem omnes appellai syncategoremativas, idest consignificativas '). Anche le definizioni di nome e di verbo sono le tradizionali tramandateci da A- 1) Petri Hispani, op. cit., pag. 19.  ristotele, colla differenza specifica tra quello e questo del cum tempore et sine tempore, gi da noi spiegata a suo luogo parlando appunto di Boezio ; dopo di che Pietro Ispano entra direttamente nel campo della logica, nel quale  proprio inutile che noi lo se- guiamo. In quel frattempo intanto si era acuito il desi- derio della pi grande precisione possibile neir uso dei termini da usarsi s in filosofia che in teologia. Gi nella logica bizantina massima era stata la cura della cos detta propriet dei termini ^) ; in Occidente di una tale precisione gi aveva parlato Boezio nel suo trattato  De diiabus animis  e S. Anselmo verso la fine del suo . Bonaventura, Sent. lib. H, dist. H. Pars. I. art. I e dist. VIU, art. I, quaest. I). Ci ammettcjva S. Bona- ventura per salvaguardare il principio d' invduazione anche negli angeli. Su tutto ci vedi quanto si  detto nell' altra opera nostra. La coscien- za religiosa medievale- Angelologia- Torino 1908, cap. UI, pag. 27 e sgg. Sulla differenza tra la dottrina della materia, e della forma in Ari- stotele e l'interpretazione data di essa nella Scolastica, cfr. H. Hoeff- DiNG, op. cit., Voi. I, pag. 7 e sgg.  possiamo molto meglio conoscere quale sia stato il pensiero di tali filosofi in rapporto al nostro argomento. Cominciando dal mistico pensatore di Bagnorea, possiamo anzitutto dire che accenni frequenti per quanti sempre frammentari relativi al nostro argo- mento troviamo nell' opera sua filosoficamente pi importante, il commento cio alle sentenze di Pie- tro Lombardo. Cos, per esempio, a proposito del nome di Dio egli dichiara che i nomi si possono studiare sotto due aspetti e cio uno oggettivo in quantum ad id c,ui imponitur, e V altro soggettivo in quantum a quo imponitur ') ; vero si  che tale duplice aspetto S. Bonaventura riferisce in modo speciale al nome di Dio, a proposito del quale gi Pietro Lombardo aveva cercato di interpretarne il senso per trovare in esso la sostanza di ci che egli , ci non di meno questo cercar di studiare r essenza sia pure di Dio basandosi sullo studio dei nomi (e questi nomi sarebbero V ego sum quisum della Bibbia, ocjia, substantia, persona e simili) ha un certo sapore platonico, che ben s'addice del resto all'indirizzo speculativo - mistico - agostinia- no di S. Bonaventura. Tale inclinazione verso il Platonismo nello stu- dio dei nomi appare ben piia evidente nella trattazione 1) S. Bonaventura, in Sententianim libros (Venetiis 1580) lib. I, (list. II. 2) Pietro lombardo, Sententiae, lib. I dist. 2. Prima di Pietro Lombardo ci aveva fatto S. Ambrogio nel I libro De Trinitate, S. Gio vanni Damasceno (De fide ortlwdoxa, 1,12), il quale fra le altre etimologie porta quello di ^zc, da i^oj, che gi abbiamo visto in Dionigi Areopa- gita, ed in Scoto Erigena; cfr. anche S. AGOSTINO, De Trinitate V. 16-  del problema : an Deus nominahilis sii *). La risposta  naturalmente negativa, conformemente a quanto gi avevano pensato, e 1' abbiamo visto a suo luogo, parecchi Padri. S. Bonaventura per non s' accon- tenta deir autorit dei Padri, e trova argomenti di ragione per confortare la sua opinione, e tali argo- menti sono per noi di non piccola importanza. Prima di tutto il santo dice : Nomen proportio- nem et similitudinem aliquam habet ad nominatum, ut vox ad significatum, ma Dio  infinito, la voce in- vece  finita, dunque non vi  ne vi pu essere pro- porzione tra quello e questa, dunque non ci pu es- sere nec expressio nec nominatio Dei per vocem. In se- condo luogo : omne nomen imponitur a forma aliqua, ma in Dio non si pu porre nessuna forma, dunque egli  innominabile, d' altra parte omne nomen si- gnificai substantiam cum qualitate, ma in Dio est mera substantia sine guantate, per ci egli non pu essere giustificato da un nome. Non tocca ora a noi considerare il valore di tali argomenti di S. Bonaventura in rapporto air es- senza di Dio ; fermando piuttosto brevemente la nostra attenzione sulla portata di essi per quel che valgono in s e per s, troviamo che con tali argo- menti S. Bonaventura vien ad ammettere un vero rapporto di proporzione e di somiglianza tra nome e cosa nominata : ecco un problema che Alberto Magno aveva risolto, come si  visto, in senso ne- gativo, tenendosi ben saldo alla tradizionale opi- 1) S. Bonaventura, lib. I, dist. XXH, art. I, quaest.  nione della positio nominis ad placitiim, mentre S. Tommaso insiste ed a lungo solo sulla somiglianza tra la cosa ed il concetto, che di essa forma 1' in- telletto nostro 0, il che noi abbiamo gi visto in merito al verbum cordls da lui ammesso in Dio, a proposito del quale vale la pena che noi ricordiamo come nella Sum- ma cantra gentes egli apertamente dichiari che intellec- tus autem divinus nulla alia specie intelligit qiiam essen- tia, sed essentia sua est similitudo omnium rerum, dal che deriva che verbum ipsius est similitudo non solum sui intellecti sed etiam omnium quorum est divina essen- tia similitudo '). Perci invece che riguarda il rapporto tra concetto e nome esterno anche S. Tommaso  ri- gido sostenitore della dottrina di Aristotele. S. Bonaventura invece pare sia del parere che suono e cosa hanno tra loro una proporzione, anzi una somiglianza, la quale vi dovr essere tra il no- me e la forma per cui esso s' impone. Che molto probabilmente tale sia 1' opinione di S. Bonaventura lo possiamo dedurre, oltre che da quanto gi s  ripor- tato di lui, da quest' altro passo ') : egli, riassumendo  suoi concetti, dichiara che nel nome ci sono tre e- lementi e cio la voce, il significato ed un terzo e- lemento : la ratio innotescendi. Mettiamo ora a con- fronto questa triplice inclusione di elementi nel no- me coir esclusione assoluta nel nome di qualsiasi elemento significativo od intentio rei fatta da Al- berto Magno, e poi si veda se non abbiamo ragione 1) S. Tommaso, Summa cantra gentes, I, 53. 2) S. TOMMASO, op. ct., loco citato. 3) S. Bonaventura, Sent. lib. I, Dist. XXn, quaest. per sospettare che nella concezione del santo di Bagnorea vi  probabile il riflesso non diciamo del- l' opinione di Platone in proposito, ma per lo meno dell' indirizzo suo nel risolvere V ardua questione dei rapporti tra nome e cosa nominata. Tralasciando altre distinzioni poste da S. Bo- naventura sulla relativit dei nomi, relativit che pu essere intrinseca (come nel nome incarnatus), ed e- strinseca (come nel nome similis) '), sulla loro po- sizione ex tempore et per accidens ~), distinzioni queste che riguardano piuttosto la cosa significata che non il rapporto fra nome e cosa, veniamo a vedere quale sia stato il pensiero del nostro autore sulla que- stione : an lociitio angeli idem sit quod eiiis cognitio ") ; la soluzione che egli d di tale problema  da lui cosi formulata : Non idem est angelis locutio quod cogitatio ; nam locutio sapr verbum addii respec- tiim ad alteriim, scilicet protendendo speciem intelligi- bilem ad altenim ; com.e si vede il rapporto stabilito tra cogitatio e locutio non  d' uguaglianza, ma sib- bene di differenza, che questa  quella pii^i 1' estrin- secazione mediante segno di ci che nel pensiero  solamente intrinseco. Anche qui a noi poco importano gli argomenti d'ordine metafisico riferentisi direttamente agli an- geli, solo interessandoci quella che riguardano i rap- porti in genere tra pensiero e parola. Anzitutto S. Bonaventura mette in evidenza il concetto di locutio 1) S. Bonaventura, Seni. lib. I, Dist. XXH, quaest. 4. 2) S. Bonaventura, Sent. lib. 1, Dist. XXX, quaest. I. 3) S. Bonaventura, Sent. lib. il, Dist. X, art. 3, quaest. I. sprihialis, non potendo affatto discorrere di altra specie di linguaggio negli angeli. Tale lociitio spi- ritualis non  in fondo che il verbum cords di S. Tommaso, quindi qualche cosa in pi che non la cogitano formata di S. Agostino, che oltre ad essa vi  la manifestatio . Ci  esplicitamente detta da S. Bonaventura colle parole: locutio non est aliud quam conceptiis manifestatio, e pi avanti : loqui non est aliud quam verbum gignere sive formatto : sed cogitatio nihil aliud quam verbi formatto, vel verbi conceptio : ergo cogitatio est nihil aliud est quam in- terior locutio. Come si vede in queste parole di S. Bonaventura vi  implicito il concetto che il fatto stesso del pensare mentre si attua si traduce gi neir intelletto in qualche cosa che pu essere og- gettivato in un simbolo od in un segno : cogitatio egli dice infatti, e con lui molti altri, come si  visto,  interior locutio, ora una locutio non  conce- pibile se non in rapporto ad un sistema di azioni interne, che si susseguono, si accavallano, si alter- nano pressapoco come nel linguaggio esterno si susseguono, si accavallano e si alternano i vocaboli, segni estrinseci dei concetti intrinseci : tanto  vero che S. Bonaventura ha prima detto : cogitatio nihil aliud est quam verbi formatto o verbi conceptio. Forse qui il santo si riferisce allo stato solito della mente nostra, per cui noi non possiamo mental- mente dividere il concetto dalla parola ; forse per  anche implicito nel suo pensiero la considerazione che anche quando la parola non esiste per un dato concetto, questo stesso tende per sempre ad oggettivarsi in qualche cosa che non sar un suono pronunciabile, ma sar sempre un' immagine, un sim- bolo, che entrando poi nella serie degli altri segni mentali degli altri concetti, Scjr anch' esso un nu- mero di quella gran somma, che  appunto V inte- rior locutio : quello che  certo si  il nesso pro- fondo tra pensiero e parola da S. Bonaventura ri- petutamente affermato, tanto che pi avanti leggia- mo ancora queste sue parole : dicere in se idem fit quod cogitare vel cogitando intelligere. Per discendere pi profondamente nel pensiero del nostro autore possiamo forse dire che se la cogita- no  come la materia, su cui si attua il magistero della nostra ragione, la locutio invece  la forma sotto cui si trova esternamente limitata la materia dalla ragione nostra elaborata, forma che  visibile dal nostro occhio interno, perch fissata o fissan- tesi sotto un simbolo afferrabile. Locutio quae dif- fert a cogitatione addii aliquod signum exprimens, dice S. Bonaventura, non riferendosi solo al lin- guaggio umano, ma sibbene anche al linguag- gio angelico, in cui  escluso qualsiasi elemento materiale ; sopra la natura di un tale signum molto sottilmente insiste il santo scrittore, e vale la pena di seguire il suo ragionamento, perch in fondo si tratta di modalit che si avverano anche nella parte spirituale del linguaggio umano. Un tal segno, spiega S. Bonaventura, est aut species, aut res ; si species ergo pari ratione indiget alio signo, et similiter quaereretur de ilio alio tertio, nec erit ibi status sicut nec in primo. Si aukm est res ani intelligibilis aiit sensibilis, sensibilis non quia quidqmd est in angelo est spirituale; si intelligi- bilis, quaere quare magis Ulani apprehendit angelus , cui sit sermo, quain ipsam speciem quae est in intellectu angelico et iter uni illa res, quae est in uno an- gelo, non p test fieri in ver itale in alio angelo ; ergo oportet quod fiat secundwn similitudinem, et lune pari ratione species existens in intellectu unius an- geli potest generare sui similem in alio, aiit si non, quaeritur quare non, Neir uomo invece il segno  sensibile, pur ri- manendo sempre fisso che anche nel!' uomo, per discendere un grado dall' angelo, ed anche in Dio, per salire invece di un gradino, locutio non est a- liiid quam cogitatio ; I' uomo infatti quando parla con un altro non solo pensa, ma il suo pensiero interpreta e spiega all'altro formando una voce sensibile, la quale  appunto come il mezzo di comunicazione tra uomo ed uomo, il che si spiega col fatto che nel- r animo altro  1' atto della conversione sopra s stesso, ed altro  1' atto della conversione a qual- che cosa d' altro : nel pensare si tratta di atti della prima specie, il linguaggio invece  atto della se- conda specie. Cosi adunque si aggiunge al pen- siero il discorso mediante segni sensibili; finche 1' anima infatti  col corpo, non pu ricevere impres- sioni che mediante la forza dei sensi. Come si crea tale segno sensibile? Qui S. Bo- naventura s'accorda con Aristotele e con Alberto Magno neir ammettere 1' intervento dell' immagina- zione {mediante via imaginaria) nella creazione dei segni, approffitta anche qui dell' occasione per ri- chiamare la sua idea di un rapporto tra nome e cosa, giacch trova in quello una similitiido intelligi- bilis o signatiim intelligibile che per illud sigmim a- scendit mediantibus sensitivis ad intellectum alterius. E cos conclude il nostro autore, conveniens est ut sicut homo compositiis est ex anima et corpore, eiiis locutio aliqiiid habeat spirituale (cio il linguag- gio interno, la cogiiatio formata ed il suo riflesso nel segno esterno) et aliqnid corporale (e cio il se- gno come suono). Tale  quanto d' interessante abbiamo trovato in S. Bonaventura in relazione al nostro argomento, vediamo ora di mettere a confronto colla specula- zione del santo di Bagnorea quella parallela di S. Tommaso. Gi abbiamo avuto occasione in questo stesso capitolo di ricordare parecchie delle opinioni dell' Aquinate, ricordiamo ora prima di tutto questa os- servazione di lui che richiama quanto gi abbiamo riscontrato in S. Bonaventura : Verbum alicniiis di- centis vdetur esse similitudo rei dictae in dicente ^), in cui pare ci sia l'indirizzo di un rapporto tra pa- rola e cosa significata, per quanto ci sia quel videtur che lascia la cosa in sospeso ; forse in quel passo di S. Tommaso e'  come un' anticipazione del con- cetto espresso da S. Agostino, e da quello riportato poco dopo sul verbo interno a cui, secondo il ve- 1) S. Tommaso, Qimest. disput. De veritate, quaest. IV, De ver- bo art. L  SCOVO di Ippona meglio conviene il nome di verbo, contrariamente e quanto in proposito pensa S. Tom- maso, come si capisce dalle parole : verbo qiiod est in voce magis convenit ratio verbi; certo si  che fugace e solitario  queir accenno ad una simi- litudo tra il verbiim e la res dieta, sicch per nulla esso ha dato luogo ad uno svolgimento ordinato e coerente, quale abbiamo visto in S. Bonaventura. Pi avanti nella medesima  quaestio  troviamo questa constatazione di fatto, che il verbnm exterius ciim sit sensibile est magis notuni nobis quam inte- riiis, il che se si capisce quando si pensi che per S. Tommaso, come gi si  visto, // verbum exte- rius est id quod est intellectum, non ipsum intelligere, mentre il verbo interius est ipsum intellectum, d'altra parte pare in evidente contrasto con quanto dice subito dopo r Aquinate, richiamando la ben nota dottrina di Aristotele, e di quasi tutta la Scolastica, cio che il verbum est significativum ad plactum. Come infatti si pu dire sia pi noto ci che  arbitrario, mentre necessario in certo qual modo  il concetto, sostanza appunto del linguaggio interno ?  questa un' obbiezione gi cos formulata dal commentatore delle Summulae logicales di Pietro Ispano ^) : Illud quod ad placitum est variabile in infinitum, varietur ergo si vox significet ad placitum, sua significano erit variabilis in infinitum, et sic nulla erit certa cognitio de significatione vocis si- gnificativae, al che il medesimo risponde : Illud I) Petri Hispani, Simmulae logicales, ed. cit., pag. 15.  quod fit ad placitum ciiinslibet indifferenter variatar, non tamen quod determinate fit ad placitum unius, sicut et vox significativa, quae significat solum ad placitum primi instituentis. Comunque per sia di ci, resta un fatto che S. Tommaso esclude affatto alcun rapporto di natura tra nome e cosa significata, il verbo esterno espri- me il concetto, cio il verbo interno, appunto perch, come si legge in un passo della Summa contra gentes, sunt omnia nomina imposita ad de- signandum speciem rei creatae ^), talvolta poi un nome solo pu significare parecchi concetti per una certa loro ragione di affinit ~), ma tutto ci arbitrariamente tanto che, come avrebbe detto 'Ari- stotele, poco importa sia questo o quello il nome con cui quel dato o quei dati concetti si esprimono ; r importante  che poscia esso od essi si esprimano sempre con quel nome, il quale cos a lungo andare, si fonde insieme al concetto per formare pratica- mente una cosa sola, mentre razionalmente sono due cose ben distinte ed indipendenti. Che tale veramente sia in fondo il pensiero di S. Tommaso lo si pu anche rilevare dallo studio con cui egli investiga la parola in raffronto alla precisione del concetto che essa esprime. Vi sono due modi di conoscere, egli dice, uno per perfec- tam comprehensionem, e l' altro per simplicem co- gnitionem, cos il dicibile e quindi il detto sar di 1) S. TOMMASO, Summa contra gentes, I, 30. 2) S. Tommaso, Summa contra gentes, IV, 42. due specie : uno per perfectam expressonem, l'altro per siinplicem narrationem : noi parleremo di Dio, per esempio, per simplicem narrationem ; Qg^W invece, sibi soli intelligibilis, sar sibi soli effabilis et nomi- nabilis non alio nomine quam ipse sit, nec alio verbo quam ipse sit. Come si vede in tale distinzione dell' Aquinate  escluso qualsiasi studio della parola in se e per se : il valore di quella, qualunque sia il suo suono, perfettamente arbitrario, dipende dalla precisione o meno del concetto che esprime ; ci  ancora pi evidente in quanto leggiamo pi avanti sempre nella medesima  quaestio , quando cio S. Tommaso nega che ci sia altro rapporto tra cosa e nome all'infuori di quello che risulta dalla totalit o meno del concetto che in esso si riflette, come in una forma che non gli  certo essenziale ; vi , in altri termini, una proportio  tra cosa e nom.e dipendente appunto dal grado di espressione della parola, riferentesi al grado di cognizione del relativo concetto. Ci che si conosce nel nome lo si riconosce per modnm qiiietis , dice 1' Aquinate, quasi volesse dire che in esso si scorge come il deposito estrinseco ed irrigidito di ci che  vivo e vibrante nel concetto. Come si vede, non si poteva meglio mettersi in contrasto, per quanto piuttosto apparente che reale, coir antico intendimento di Eraclito, con tanto fine ironia messo in evidenza da Socrate nel  Cratilo  di voler cio anche nei nomi, in quanto nomi, trovare un riflesso del moto perpetuo delle cose ! Un' altra questione delle  Disputatae  merita  da noi di essere accennata, quella che porta il titolo: De Magistro ^), questione proposta in questa formula : Niim homo docere aliiim possit et dici ma- gister vel Deus soliis.  la trattazione d tale pro- blema rivolta in modo speciale contro S. Agostino il quale, come  noto, nel  De Magistro  rappre- senta appunto Dio come il maestro interiore dell'a- nimo. Era questo un problema, che rasentando i confini di un ontologismo pericoloso, alla mente di S. Agostino doveva apparire circondato da un' urgenza d' ordine pratico, dato lo scetticismo in cui gli ultimi eredi dei sofisti avevano, come si  visto a suo luogo, affogato il pensiero anche in effetto all' arbitrario e non sicuro uso delle parole. Aristotele in proposito gi si era espresso molto espli- citamente con queste parole ; Per accidens magnum adfert adiumentum sermo ad acquirendam sapientiam prudentiamque ~). Anche S. Tommaso risolve la questione in senso positivo dicendo : Cam non sunt in anima ipsae scientiae concreatae, dici potest unus homo a- lium docere, et illiiis esse mogister, causando in ipso scientiam lamine naturalis rationis illius, qui addicit exponendo illi per signa discursum quem facit. Vero si  che pi avanti V Aquinate dichiara che cognitio rerum in nobis efficitur non per cognitionem signo- rum, sed per cognitionem aliquarum rerum magis certarum, sicut principiorum, Come si vede,  questo 1) S. TOMMASQ, Qiiaest. dispai. De veritaie, quaest. VI, art. I. (Z Aristotele, De sensii et sensibili, cap. \.  UH ritorno dell' antica tesi s lungamente discussa nel Cratilo, che le parole per se non sono mezzo, anzi il mezzo migliore per giungere alla nozione dell'essenza delle cose ; Platone conchiudeva il suo dialogo con un accenno fugace ed incerto alla dot- trina delle idee, S. Tommaso invece  ben pi e- splicito in merito, parlando egli ampiamente della ratlones seminales quarum cognitio est nobis natii- raliter insita quasi sint semina qnaedam omnium se- quentium cognitorum. hi tale concezione di S. Tommaso  evidente r influenza di S. Agostino il quale pure ammetteva le rationes seminales '), eco vivo dei Xyol GTs^ofiaT!- y.Qi ammessi dagli Stoici, e forse anche riflesso in- diretto delle idee platoniche, il che si pu sospet- tare dalle parole stesse di S. Tommaso : Formae intel- ligibiles, ex quibus sapientia consista, et sunt rerum similitudines, et sunt formae perficientes intellectum. Ed ora veniamo brevemente a vedere come si sia svolto il pensiero di S. Tommaso in rapporto alla questione del linguaggio negli angeli. Vera- mente il problema in proposito affrontato dall' A- quinate  diverso da quello discusso da S. Bona- ventura : questo ha ricercato infatti se la co- gnizione degli angeli idem sit quam locutio, pre- supponendo gi che la locutio negli angeli esista ; S. Tommaso invece affronta direttamente la que- stione dell' esistenza del linguaggio negli angeli stessi : ecco infatti come egli formula un tale pro- I) S. AGOSTINO, De genesi ad Utterani, VII, 28.  blema : Num iinus angelis alteri loquatur ^) e la sua risposta  affermativa : dicitar angelus iinus alteri lo- gia, manifestando ei interiorem mentis conceptum ~). Come ai solito anche qui S. Tommaso pone prima tutti gli argomenti contrarli alla sua tesi per ribatterli dopo ad uno ad uno, e cos provare la verit della soluzione proposta : di tali argomenti consideriamone due che hanno interesse con quanto stiamo trattando. Anzitutto si poteva obbiettare : In ornai lociitione oportet esse aliquid, quod excitet aadientem ad attendendnm verbis loqtientis, quod a- pud nos est ipsa vox loquentis, hoc autem non potest poni in angelo ergo nec locutio, al che S. Tommaso risponde che silentium privai locutionem vocalem qua- lis est in nobis, non spiritualem, qualis est in ange- lis, giacch se i segni in noi sono sensibili, perch la nostra cognizione, che  discorsiva, nasce dalle cose sensibili, un segno pu essere qualunque carattere, per cui una cosa si possa conoscere : anche una forma intelligibile pu adunque essere un segno di ci che per essa si conosce, cio pu essere una species in cuius actione intellectus fit in or- dine ad alium, come appunto avviene negli angeli. Altra obbiezione  quella che S. Tommaso trova in Avicenna sotto questa forma : in nobis causa 1) S. TOMMASO, Qiiaest dispai. T>e veriiaie quaest. IX, art. IV. 2) Notiamo che tale specie di comunicazione tra angelo ed angelo direttamente per conceptus era ammesso anche in Dante {De valgavi eloquio I, 2), il quale anzi nel passo citato ricorda tutte e due le specie di conoscenza e quindi di comunicazione della cognizione ammesse dalla Scolastica negli angeli, la vespertina e la mattutina (Cfr. in proposito ?. Rotta, La coscienza religiosa medievale - Angelologia, Torino 1908, pag. 74).  lociitionis est multitudo desideriorum, quam constai ex miiltis defcctibus provenire, quia desideriiim est rei non habitae, ora negli angeli non e'  difetto di nulla, dunque non e'  desiderio, e quindi non v'  linguaggio ; al che S. Tommaso risponde : dicendwn multitudo desideriorum pr tanto dicitar esse causa locutionis, quia ex multitudine desideriorum sequitur multitudo conceptuum, qui non possunt nisi signis valde variis exprimi : ora i concetti esistono anche negli angeli, ed anzi la moltitudine di essi n//o a//o desiderio requirit desideria comunicandi alteri quod ipse mente concipit, quod desiderium in angelis im- perfectionem non ponit, *) nella quale risposta di S. Tommaso notiamo l' accenno ai vincoli, ormai tradizionali al tempo di lui, tra la questione del lin- guaggio e la logica : esistono desiderii, dice 1' Aqui- nate, ma questi non si possono tradurre in segni se non quando si sieno mutati in concetti '), il che in certo qual modo gi era stato affermato e dimo- strato, come si  visto, anche da Alberto Magno. Gli altri argomenti discussi riguardano piut- tosto il lato metafisico, che il lato psicologico della questione ; come conclusione possiamo dire che an- che qui S. Tommaso insiste nel dimostrare che il segno esterno, la parola, non  un elemento essen- 1) Ricordiamo che anche il Leibniz nella sua Teodicea anunettova che negli angeli, come nei beati, dovessero manifestarsi desiderii da inte- grare e resistenze d' ordine intellettuale da vincere, e ci per render possibile l'esercizio dell'attivit loro, in cui sta appunto la loro perfe- zione. (Cfr. H. HOEFFDING, op, cit., voi. I, pag. 355). 1) Ci  detto anche nella Su.mnia cantra ij;cntes, (IV ^)) : rei ali- cuiiis inteUectimUs conce pt io dicititr verbiim.  ziale nel linguaggio : si intellediis noster posset- ferri in intelligibilia immediate, anche in noi la lo- cutio non sarebbe per segni esterni, dice S. Tom- maso, ripetendo implicitamente l'antico desiderio e- splicitamente formulato, come si  visto, da Aristotele colle parole : oh! se si potesse rpel ragionare presentarci le cose, senza passare attraverso ai simboli di esse ! Un altro punto messo un' altra volta in rilievo da S. Tommaso , per dir cosi, 1' espressibilit ine- rente e quasi essenziale dei concetti tanto negli uomini quanto negli angeli ; anche in questi, come in Dio, la cognizione non  discorsiva, ma sebbene intui- tiva ^), eppure anche in essi  implicito ci che S. Tommaso chiama ordinatio cogitationis ad alterum, la quale in noi non  che Vintentio reisimlis colla ten- denza ad espandersi anche fuori di noi ^) : ogni palpito di pensiero  tale anche perch in certo qual modo  esprimibile tanto alla coscienza nostra quanto agli altri : se 1' uomo non lo sa tante volte esprimere all' esterno,  perch  incapace di formu- lare o trovare il segno con cui esprimerlo : per la sua coscienza per 1' espressibilit, cio l'assunzione di una forma rappresentabile, si attua sempre, pi 1) Il problema della conoscenza negli angeli fu uno dei temi pre- diletti dalla teologia cristiana ; S. Agostino (De Gen. IV, 24), S. Bona- ventura, (Sent. lib. II, dist. IV, art IV, quaest. I e II) e S. TOMMASO, {Summa Theol. I, LXII, art. 8) l'ammettono con un carattere intuitivo per quanto sotto due forme, la vespertina e la mattutina. Sarebbe in- teressante un confronto tra la distinzione di cognizione discorsiva ed intuitiva ammessa dagli Scolastici per ci che riguarda gli uomini, gli angeli e Dio, e la distinzione parallela fatta in proposito dallo Spinoza. Probabilmente s tratta anche qui di un punto di contatto che spiega meglio nelle sue origini storiche il panteismo dello Spinoza stesso. 2) Cfr. S. Tommaso, Summa cantra gentes, I, 53.  0 meno confusamente poco importa ; ncgii angeli in cui non vi pu essere incapacit di sorta, anche perch non esiste impaccio alcuno di materia, V e- spfessibilit ossia la tendenza a diffondersi dei con- cetti dall' uno all' altro si attua sempre ed attuandosi d appunto luogo a quello eh'  il linguaggio loro, e che sarebbe anche il linguaggio dell' uomo, se an- che egli fosse una pura forma, senza materia alcuna. Prima di passare a Duns Scoto, ricordiamo ora brevemente il pensiero di Dante in relazione al no- stro argomento. Abbiamo gi avuto occasione di considerare alcuni punti delle dottrine in proposito dell' Alighieri, il quale pi che tutto ha considerato il problema del linguaggio sotto il suo aspetto sto- rico, introducendo per nella soluzione di tale pro- blema essenzialmente storico alcuni elementi d' or- dine filosofico, che formano appunto la genialit e la novit della sua dottrina. Intendiamo alludere alla gran legge della indefinita divariazione delle lingue nello spazio e nel tempo, dalla quale Dante fu per via logica condotto a detronizzare I' ebraico stesso da lingua originale, s da credere, come egli stesso fa dire ad Adamo nel XXVI del Paradiso, che nel- r epoca della confusione babelica gi parecchie de- generazioni della lingua primitiva si erano attuate, degenerazioni che quasi pi nulla avevano lasciato d'intatto nel linguaggio di Adamo, sia che da Dio esso gli sia stato infuso, sia che dal primo uomo esso sia stato trovato.  in altri termini una conce- zione essenzialmente dinamica di un divenire continuo da Dante surrogata, prima assai che dal Vinci e dal Leibniz, a quella d'ordine catastrofico ammessa allora dai pila in base al fatto indiscutibile della confu- sione babelica. Anche Dante ammetteva tale fatto, ma i motivi che determinarono il grande effetto della molteplicit della lingua  da lui posto in un fenomeno d' ordine perfettamente naturale, e cio nelle condizioni diverse delle diverse specie di lavo- ratori che alla gran fabbrica delle torre attesero ^). Le lingue cosi nate seguitarono poi, secondo Dante, s per la loro diffusione nello spazio e s pel vol- ger del tempo a scindersi e suddividersi ciascuna indefinitivamente in un numero ognor crescente di dialetti ognor pi degeneri, dando cos luogo alla sterminata variet delle favelle umane. La qual va- riet appunto f un giorno sentire il bisogno d' in- ventare una lingua convenzionale e regolare, non soggetta all' arbitrio individuale, non imitabile, a- datta a trasmettere i pensieri anche ai lontani ed agli avvenire. Tale V ebbero i Greci ed altri, ma non tutti i popoli, e tal fu la Grammatica, ossia il latino. Questo  il modo con cui Dante concilia i due elementi, il naturale e 1' artificiale del linguag- gio :  in fondo V antica questione della zbaic e della Gov&rj7,rj elaboratasi nella antica filosofia el- lenica, e risolta dal nostro poeta-filosofo in modo ben pi profondo di quello che non avesser fatto ed 1) Cfr. Dante, De Vulgari eloquio I, 7; sull'origine psicologica di tale spiegazione dantesca vedi quanto ha scritto il D'Ovidio, (op. cit. , pag. 494), il quale ha ben ragione di credere che ad un fiorentino di quej tempi la trovata di affidare alle Arti la confusione delle lingue dov balenare assai naturalmente e parer felicissima.  Isidoro di Siviglia, e Brunetto Latini per salvare la dignit del Greco e del Latino accanto alla priorit dell' Ebraico ') ; sono i diritti della natura salva- guardati in rapporto alle esigenze della civilt, ed insieme armonicamente fusi a spiegazione di quella legge del divenire continuo delle lingue, che, fissata da Dante, per quanto gi prima di lui vista dalla filosofia greca, da sola, come ben dice il D'Ovidio '-), basterebbe ad assicurargli il vanto di essere stato uno dei veri precursori della linguistica. Ed ora dopo aver fatto accenno alia soluzione del problema storico sul!' origine del linguaggio quale  stata formulata da Dante ritorniamo a veder quali altre speculazioni la Scolastica abbia saputo attuare intorno al linguaggio in quanto espressione di pen- siero, cominciando da Duns Scoto. Non tocca a noi designar qui tutta V importanza del formalismo peripatetico agostiniano di Duns Scoto in relazione al suo contrasto col pensiero tomistico, contrasto riguardante in filosofia la so- luzione specialmente dal principio d' individuazione e dei problema gnoseologico.^) Fortunatamente abbiamo di Duns Scoto un' o- pera speciale riguardante il nostro argomento, e cio quella dal titolo  De modis significandi, a cui molto probabilmente fu aggiunto dopo dagli editori l'altro ti- 1) Cfr. in pj:oposito: D'OVIDIO, op. cit. pag.493. 2) D'Ovidio, op cit., pag. 507. 3) Su ci cfr. Fr. Fiorentino, Pietro Pomponazzi, Firenze 1868 pag. 137 e sgg. e del medesimo autore : Bernardino Telcsio, Firenze 1872, Voi. I, pag, 187.  tolo di Grammatica speculativa ^). Da essa soprattutto potremo ricavare quali sieno state le idee di Duns Scoto in rapporto al linguaggio, quantunque la sot- tigliezza eccessiva, e la lingua poco chiara ren- dano penosa la lettura di quel libro, il che del resto avviene di tutti gli altri del medesimo autore. hi essa anzitutto Duns Scoto sostiene che due sono i modi nel significare, uno attivo, 1' altro pas- sivo : il primo  quello per cui la voce significa la propriet delle cose ; il passivo invece  quello per cui la propriet delle cose viene significata per mez- zo della voce ; in altri termini, spiegheremo noi, nelle significazioni fatte dall' uomo vi  un elemento soggettivo che si diparte da noi e va alle cose, ed un elemento oggettivo che parte dalle cose e viene a noi : il primo elemento si termina nel segno, il secondo invece nella cognizione, quello  perci ma- teria di studio anche nella Grammatica, questo invece  materia di studio esclusivo dalla filosofia -) salvo per per quella parte che vi  anche in esso di formale.  evidente che i due elementi s' integrano, non per nel senso che mancando 1' uno debba man- care anche l'altro, perch continua lo Scoto, priva- tiones etfigmenta sub nullis proprietatibus cadunt, cum non sint entia, et tamen voces significativae privaiio- num et figmentorum modos significandi activos habent, ut coecitas, chimaera, et similia. Come si spiega ci ? Si spiega col fatto che non  proprio sempre neces- 1) JOANNIS Duns Scoti, De modis significandi sive Gramatica spe- culativa in Opera omnia, Lugduni 1639, Voi. I, pa^. 45 e sgg. 2) Duns Scoto, op, cit., cap. in.  sario che il modus significandi activns tragga la sua ragione d' essere da una propriet speciale di quella cosa, di cui  significazione, che talvolta lo si pu trarre da propriet di altra cosa che alla prima non ripugni ; cos, per esempio, noi non possiamo per- cepire le sostanze separate, eppure noi le chiamia- mo, imponendo ad esso nomi che derivano eviden- temente da alcune propriet sensibili, appunto per- ch esse per s non possono essere per noi ele- menti passivi, su cui proiettare 1' attivit nostra si- gnificante. Delle cose finte da noi poi troviamo la ragione della significazione dalle parti con cui noi le abbiamo composte, in tesi generale si pu dire che noi attivamente possiamo nominare anche enti che non sieno positivi extra animam, perch essi sono sempre positivi in anima, e quindi sono enti secimdiim animam ; la ragione quindi della loro significazione sta precisamente nella ragione del loro essere. Certo si , dice lo Scoto '), che i modi significandi adivi immediate a modis intelligendi passivi sumuntur. Per capir ci ricordiamo che lo Scoto divide anche un modus intelligendi activus da un modo intelligendi passivus, il primo riguarda la facolt del- l' intelletto di concepire le propriet e quindi di e- sprimerle, il secondo invece  la propriet stessa in quanto  appresa dall' intelletto : ora che il se- condo debba essere la fonte per 1' attuazione del primo  evidente, quando si pensi che le ragion} dell' essere non possono in modo alcuno diventare materiali di elaborazione nostra se non quando esse 1) DuNS Scoto, op. cit., cap. I, pag. 46.  Siene state da noi apprese. Dal che deriva che se l modus significandi passivo ed il modus intelligendi passivo sono materialmente la stessa cosa, dal lato formale non lo sono affatto, che quello riguarda la propriet delle cose absolute, cio oggettivamente considerate, questo invece riguarda tale propriet in quanto  gi stato appresa dall' intelletto, cio soggettivamente considerata : materialmente quindi riguardano la medesima propriet, dal lato formale invece presentano caratteri diversi '). il modo invece essendi et modus intelligendi activus et modus signi- ficandi activus differiscono fra loro e dal lato for- male e dal lato materiale, ed infatti il modo essendi riguarda la propriet delle cose in s, cio sotto la ragione stessa' dell' esistenza, il modo intelligendi activus riguarda l' impressione e 1' elaborazione di quella propriet nell' intelletto, il modo significandi activus 0 consignificandi (quando si tratti non pi ^ di un nome, ma di una dictio) rappresenta la ridu- zione di quella propriet sotto la ragione di voce. Abbiamo adunque tre gradi : la ratio rei extra ani- mam, ratio intellectus, ratio vocis. V Lo Scoto continua ancora a mostrare che il mo- dus intelligendi activus ed \ modus intelligendi passi- vus, come pure il modus significandi activus ed il modus passivus differiscono fra loro dal lato mate- riale e convengono invece tra di loro dal lato for- male, il che si pu dimostrare con ragionamento analogo ai gi fatti. Dati tali precedenti  chiaro quale sia la ragione della voce significativa per Duns Scoto: essa come  causa efficiente remota avr la propriet o le propriet delle cose da essa significate, mentre nel!' intelletto avr la sua causa efficiente prossima ') ; d' altra parte sar pure evidente la differenza che il mede- simo autore fa tra voce e segno : voce  il suono considerato come tale, cio  la materia, mentre se- gno  il suono in quanto manifestazione dell' ela- borazione dell' intelletto attivo, cio  la forma : i ^grammatici studiano evidentemente le voci solo inci- ^'dentalmente come suoni, ma essenzialmente in quanto esse sono i pi abili segni per significare le cose -) Dopo tutto ci Duns Scoto, sempre con quella sottigliezza, che fa di lui uno dei pii astrusi e diffi- cili filosofi, viene a distinguere i modi attivi del significare in essenziali ed accidentali. La ragione di tale divisione, come in quella parallela fatta da Gio- vanni Damasceno e poi da altri, come si  visto,  di carattere evidentemente logico ; e cio essenziale  H modo per cui quel dato termine, considerato come segno 0 quella parte di discorso, considerato come consegno, esprime semplicemente 1' essere o secon- do il genere, o secondo la specie, V accidentale  quello che non esprime semplicemente da solo l' es- sere 0 secondo il genere o secondo la specie, ma ha bisogno dell'integrazione di gualche altro elemento : tale modo accidentale quindi  ben diverso dalla nozione, comune nella scolastica, del nome espri- mente suhstanflain ciim qiialitate. Il modo attivo essenziale  poi suddiviso in 1) Duns Scoto, op. cit.. cap. IV. 2) Duns Scoto, op. cit., cap. VI.  generalissimo, quando 1' essenza della parola si rife risce a tutto ci di cui essa  termine, in specialissimo quando si riferisce solo ad una parte di ci di cui essa  termine ; vi  poi il modo significandi essenziale subalterno, che  come intermedio tra quello e que- sto; il modo accidentale si suddivide anch' esso in assoluto e rispettivo ;  assoluto quando 1' espres- sione  costruita in modo da non aver alcun rap- porto con altro,  invece rispettivo quando la co- , struzione  tale da aver alcuni rapporti di dipendenza 'anche con altro. Tali sono i fondamenti su cui Duns Scoto poggia poi r analisi di tutte le parti grammaticali, comin- ciando dal nome, a proposito del quale ^) egli ap- profondisce la fondamentale distinzione aristotelica di nome e verbo, mettendo questi in relazione alla dl- ^stinzione tra modus entis, e modus esse, e definendo il primo : modus habitus et permanentis rei inhaerens ex hoc quod habet essentiam, mentre il modus esse est modus fluxus et successionis rei inhaerens ex hoc quod habet fieri, col primo sta il nome ed in subor- dine il pronome, mentre col secondo sta il verbo, ed in subordine il participio. Giunti a questo punto  inutile che noi seguiamo nelle sue ulteriori elucubrazioni il nostro autore, riguardando esse la grammatica in ispecie, piuttosto che il linguaggio in genere: ci che a noi maggiormen- te interessa di far rilevare  come in rapporto con tutto quanto sopra stia la tendenza dimostrata da Duns Scoto nel libro delle sentenze (Opus oxoniense) 1) Duns Scoto, op. cit., cap. vm.  di garantire all' intelletto la percezione immediata della realta individuale. Duns Scoto infatti, come dice il Wulf ') am.mette oltre la conoscenza astratta ed universale delle cose, frutto del sapere distinto, una conoscenza intuitiva, che ci rappresenta confusamente 1' essere concreto e suigolare (species specialissima) ~). Questo concetto del singolare sorge al primo contatto dell'intelligenza col di fuori e si forma parallelamente alla cono- scenza sensibile dell' oggetto. Ora  evidente che quando nella sua  Grammatica speculativa  Duns- Scoto, come gi si  visto, parla del modus intel- ligendi passivus, si riferisce appunto alla species specialissima, che  nel concetto dello Scoto diversa dalle percezioni sensibili. Queste infatti per se stesse non bastano ad attuare in noi il modus intelligendi atti- vo, bisogna che anch' esse, individuali come sono, sieno trasformate in concetto: l'individuale per non pu in linea immediata che dare l'individuale, olo arri- vandosi all'universale per via mediata, a proposito della quale Duns Scoto, ribatte aspramente le teorie dell' illuminazione o lux. interior, che accennata da S. Agostino, era stata svolta eccessivamente da Enrico di Gand s). 1) Wulf. Notiamo il contrasto tra Duns Scoto e Spinoza ; se per quello la coscienza intuitiva ci d l'essere concreto e singolare, per questo invece essa ci d l' essere in genere, cio la nozione della sostanza fondamen- tale, substrato di tutti gli attributi di cui per noi non ne possiamo co- noscere clie due : materia e spirito, e di tutti i modi. 3) Cfr. DUNS SCOTO, Sentent. II, Dist. Ili, quaest. Il modo significandi passivo adunque pi essere il correlativo immediato dell' attivo per mezzo del modo intelligendi attivo anche nel caso si tratti di realt individuale. Di tutto ci abbiamo la conferma in alcuni passi delle otto questioni, che Duns Scoto scrisse sui due libri  De interpretatione  di Aristotele. La questione prima di essa  : Art nonen signiflcet rem an pas- sionem ^), e si riferisce alle ben note parole di Ari- stotele ~) : Snnt ergo ea qiiae siint in voce earum qiiae sunt in anima passio nam notae, et ea quae scribuntur earum quae sunt in voce. Duns Scoto sostiene la sentenza di Aristotele dando per, ne pila n meno di quella che abbiamo visto fatto da S. Tommaso nel commento del De Interpretatione stesso ed in altri passi ^), all'espressione pass/ones animae il signi- \^ ficato di conceptiones intellectus : anche Duns Scoto ammette che il nome significhi non la cosa, ma il concetto della medesima*). Le cognizioni nostre possono essere di tre spe- cie e cio abbiamo le vere species intelligibiles come actus primus in sua propria natura, poi le species intelligibiles come il prodotto delle prime e deir apprensione delle qualit delle cose, poi le cogni- /^ zioni particolari delle cose sub condicionibus indi- viduantibus Ora queste non possono essere espresse 1) Duns Scoto, De interpretatione, ediz. cit., voi. I, pag. 212 e sgg. 2) Aristotele, De interpret., lib. I, cap. I. 3) Cfr. S. TOMMASO, Siinima, part. I, quaest. 13, art. I. e quaest. 8, De potentia, art. I. 4) Res non sigiiificatur ut existit, sed ut intelligitur, (DUNS SCOTO, De interpret., quaest. Ili, . 3, ed cit., pag. 189).  come sono, o per lo meno come a noi risultano nelle percezioni sensibili che ne possiamo avere, bisogna che anch' esse, per cos dire, si trasformino in una species del secondo ordine, resteranno sempre in- distinte, perch avranno ragione sempre d' una realt individuale, come tali per potranno essere nominate.  perci che Duns Scoto rifiuta assolutamente la teoria platonica che il nome significhi la cosa come esiste, no, esso esprime la cosa anche sin- gola in rapporto sempre al concetto sia pure indi- stinto che noi ce ne facciamo ; donde la formola dello Scoto nomina siint similia intelledui, il che per non esclude anche una certa somiglianza colla cosa, perch pi avanti ^) sostiene il nostro autore che in fondo vi pu essere somiglianza tra cosa e passio, giacch la. passio oltre che un accidens quid- dam in subiedo pu anche considerarsi come signum rei in mente, ed allora poich la parola  segno della species, e questa  segno della cosa mediatamente, quella pu considerarsi anche signum delle cose. Duns Scoto procede poi a dimostrare, ci che del resto sosteneva gi Aristotele e dopo di lui altri di cui abbiamo parlato, che il segno e quindi la parola non pu essere n vera n falsa per s, ritorna poi egli all' impositio ad placitwn -) e cos si spiega: dicunt quod vocesfunt notaeper impositionem; impositio vocis cum fit ad placitum potest esse ipsi similitudini exsistenti in anima, secundum quod si- militudo est signum rei, sicut potest imponi rei, ut 1) Duns Scoto, De interpret., quaest. I,  8. 2) Duns Scoto, De interpret., quaest.  intelligitiir et sic ratio concliidit, quod nomen potest significare rem utintelligitur. Su ci ritorna anche nella questione IV 0, in cui combatte la tesi di coloro che sostenevano essere il nome qualche cosa di naturale e come tale significare naturalmente, a cui contrappone quest' altra che le cose ed i concetti sono signa natiiraliter, quod est enim a natura est idem apud omnes, ma i nomi non vengono da na- tura, dunque non sono naturali, perci gli uomini sono aeque scienteSy ma non aeque loquentes. Tale  quanto in Duns Scoto, se pur bene abbia- mo saputo interpretare il di lui pensiero, si riferisce alla filosofia del linguaggio:  certo che quella conce- zione delle species speciatissimae, integrata dal modo intelligendi passivo, e dal modo significandi aivo, ha avuto, come riconosce anche il Croce '), una grande influenza sullo svolgersi del pensiero ulteriore per ci che riguarda 1' Estetica : possiamo dire per che anche di tale concezione nella storia della Scolastica si sono avuti dei precedenti, e precisamente in Guglielmo d' Alvernia ed in Matteo d' Acquasparta. Anche quegli infatti, contrariamente ad Aristo- tele, ammetteva che tra le forme intelligibili l' intel- ligenza conosce anzitutto le sostanze individuali '), mentre Matteo d' Acquasparta, dichiarando insuffi- ciente la teoria tomistica secondo cui  intellectus 1) Duns Scoto, De interpret.-, quaest. IV, , 1 (pag. 190 ediz. cit.)- 2) B. Croce, op. cit., pag. 179. ^3) Al. Baumgartner, Die Erkennislehre der Wilhelm voti Auver ne,'Miinster 1 893, pag. 48 e sgg.  singulare cognoscit per quandam reflexionem  , am- mette invece che noi conosciamo le cose individuali intuitivamente per delle species singolari proprie ^). Dopo Duns Scoto due altri autori meritano un breve accenno da noi : 1' Occam e Ruggero Bacone. Gi abbiamo discorso della teoria gnoseologica di quello, la quale diede luogo a quel terminismo concet- tualista, che fu r ultima risposta importante alla questione degli universali, come pure abbiamo di- scorso della cos detta teoria dei segni, e del passo in cui si definisce la natura del verbum mentale ; aggiungiamo ora che l'Occam cos definisce le voci : dicimus voces esse signa subordinata conceptibus vel intentionibus animae^ non quia proprie accipiendo hoc vocabulum  signum  ipsae voces significent ipsos conceptus primo et proprie, sed quia voces imponuntur ad significanda illa eadeni, quae per conceptus mentis sgnificantur, tanto  vero, aggiunge, che se un dato concetto mutasse il suo contenuto, o, per usare la paro(a stessa dell' Occam, il suo significato, anche la sua espressione senza una nuova institu- zione muterebbe il significato suo : d' altra parte appunto perch si tratta di un'instituzione volontaria i nomi possono cambiare il significato loro, mentre COSI non pu succedere per il concetto '-) Ruggero Bacone finalmente merita un accenno per aver col suo concetto, richiamante la lux interior 1) Mathaeuts ab Aquasparta, Qimest. dispatatae, Tomo I, quaest. de fide et de cognitione, ed. Quaracchi 1903, pag. 307. 2) Occam, Summa totiiis logicae, lib. I,cap. U. Ci t ripetuto anche nel proemio del commento al De inlcrpretat., Cfr. Pemntl, op. cit. voi. HI, pag. 339.  agostiniana, dell' incapacit radicata nell' uomo di raggiungere il vero, e della necessit per ci di una rivelazione divina, offerto argomento allo sviluppo posteriore di quel tradizionalismo, che culmin, come gi si  detto nel De Bonald; tra questo per e Bacone sta questa differenza che mentre per il De Bonald la rivelazione  primitiva, ed il linguaggio trasmette i suoi dati, per Bacone invece la rivelazione divina  speciale, e varia da uomo ad uomo ^). Dopo i citati autori ben si pu dire finito il periodo glorioso e fecondo della Scolastica, la de- cadenza della quale fu senza dubbio accelerata dal terminismo dell' Occam da una parte, e dallo Scoti- smo dall' altra. Un fremito di vita nuova si va, contemporaneamente ai citati maestri e poscia svol- gendo nel pensiero, come nelle coscienze, ed un grande rinnovamento vi si va lentamente preparando. L' umanit civile sembra abbia allora sofferto tutte le ansie e tutti i dolori di una nuova creazione : il periodo infatti umano della storia nostra si  iniziato poco dopo, periodo nello studio e nel giudizio del quale non tocca ora a noi di entrare. 1) WULF, op. cit. pag. 426.  Vale certo la pena che a conclusione del nostro lavoro si espongano qui in forma sintetico - schema- tica i risultati positivi, a cui crediamo di esser giunti colla nostra analisi particolareggiata : 1) Anzi tutto  certo che nella Patristica e nella Scolastica, come del resto nella speculazione elle- nica, non si sono viste tutte le parti della filosofia del linguaggio. 2) Le parole nella Patristica e nella Scolastica furono a torto giudicate sempre come qualche cosa di fisso e di rigido, uscite belle e fatte dalla testa di un primo institutore di esse, dimenticandosi affatto la lenta elaborazione collettiva di cui esse sono pro- dotto sempre evolventesi '). Si  specialmente nella Patristica tentato di risolvere sopra una base monogenetica il problema questo appunto il carattere di differenza tra la filosofia della lingua quale si  svolta nel M. E. e quella iniziatasi dal Rinascimento. Nei tentativi fatti da NIZOLIO (vedasi), e da Pietro Ramo per abbattere la dialettica Aristotelica, essi si mantennero ancora ligi ad una specie di concezione statica della lingua, il primo die intravide il carattere dinamico di esso determinato dal suo continuo evolversi in effetto alla diversit di tempi, di luoghi, di condizioni storiche, è VINCI (vedasi) da  delle origini storiche del linguaggio, ma lo si  fatto in forma esegetica, a spiegazione cio dei dati di fatto contenuti nella Bibbia, il che d'altronde era inevita- bile essendo impossibile il pretendere che il problema delle origini fosse studiato, come  studiato oggi nel suo duplice assunto per rispondere alle domande I) quali parti costitutive delle lingue reali sieno da ritenersi per originarie ; il) da quali espressioni prelinguisti- che sia nata la lingua stessa ^). 4)  falsa, per Io meno per ci che riguarda e Patristica e Scolastica, 1' opinione del Renan che la tesi tradizionalistica dell' origini del linguaggio sia stata la preferita dai teologi, dovendosi piuttosto Vinci (Cfr. GIOVANNI Piumati, Note viadane sulla lingua, in raccolta Vinciana fascicolo IV, 1907-903, pag. 68), che determin cos queir indi- rizzo seguito poi con tanta larghezza e con tanto frutto da alcuni dei nostri cinquecentisti (cfr. Fr. Fiorentino, Bernardino Teiesio, Firenze 1872, voi. I, pag. 143) e dal Leibniz (cfr. H. HOEFFDING, op. cit., Voi. I, pag. 328), anche per tale argomento avversario dell' Hobbes, il quale, come gi si  detto, fu partigiano di una concezione del linguaggio, in cui troppa parte era concessa da un lato al ragio- namento cosciente e dall'altro all'arbitrio. Abbiamo gi avuto oc- casione di dire come l' indirizzo dinamico del Vinci e del Leibniz sia stato poi seguito dal nostro Vico e dal Dugald - Stewart.  inu- tile aggiungere che esso  quello seguito oggi nella psicologia mo- derna specialmente per opera del Wundt, ^ia per ci che riguarda la formazione del linguaggio nel suo triplice aspetto fisiologico, psichico e sociale, sia per ci che riguarda le facolt mitopeiche dell' uomo in ge- nere, cio le creazioni mitiche, dette nel loro complesso dal Renan il secondo linguaggio. Si  anzi tanto approfondita una tale concezione dinamica, che il Du-Bois in quel suo libro suggestivo : L' education de soi-mme, or non  molto ha parlato persino della necessit di un in- ventario delle parole, per vedere quali servano ancora e fino a che mi- sura, e quali no. (DUBOIS, L' education de soi-mme, Paris 1908, pag. 22). 1) Cfr. W. Wundt, Vlkerpsychologie, U, 584,  credere che tesi pregiudiziale per questi sia stata quella per cui Dio avrebbe dato all' uomo col resto anche la facolt di parlare, ma che le parole sono frutti dell' elaborazione umana. L' influenza da una parte di Platone ed in subordine del Portico ed in certo qual senso di Epicuro, e dall' altra queilo di Aristotele a propo- sito della questione del linguaggio si  perpetuato an- che nella filosofia cristiana, prevalendo la prima nella Patristica, e la seconda nella Scolastica. 6) Fino a S. Tommaso si  visto di quando in quando rinascere la questione nucleo del  Cratilo  platonico se le parole sieno il migliore anzi 1' u- nico mezzo per conoscere la natura delle cose, questione dagli Scolastici risolta in senso negativo come gi un tempo da Platone. 7) La Scolastica ha approfondito la differenza tra nome e concetto, linguaggio esterno ed interno, arrivando perci con sottile analisi psicologica al pro- blema fondamentale della espressibilit dei concetti. 8) Che tesoro di conoscenza, come dice Io Stuart Mill, e come in parte riconosce anche di Manzoni nel suo dialogo  Dell' invenzione  si possa trovare nell'etimologie non fu mai negato n dalla Pa- tristica n dalla Scolastica, pur essendo quasi tutti, e specialmente gli Scolastici, persuasi della teoria aristo- telica della positio nominis ad placitum. 9) Accejini anche diffusi e nella Patristica e  pi nella Scolastica, come gi in Aristotele, si pos- sono rintracciare sui rapporti tra funzione del nomi- nare riguardante cognizioni d' ordine intuitivo, e funzione estetico -espressiva in genere, per. quanto specialmente nella Scolastica il destino della filosofia del linguaggio sia prevalentemente stato unito al destino della logica, come gi era avvenuto da A- ristotele in poi nella filosofia greca. Come conclusione sintetica poi si pu dire che la formula generale della Scolastica perci che ri- guarda la filosofia del linguaggio  questa che leg- giamo in S. Bonaventura ^) : bJon sermoni res, sed rei sermo est siibiectus. Dal lato storico poi aggiungiamo che le nostre ricerche sulla filosofia del linguaggio nella Patristica e nella Scolastica ci hanno un' altra volta persuasi della sentenza di Jules Simon : Il Medio Evo  ben pi profondo di quello che non sembri a prima vista ~). 1) S. Bonaventura, Sentent., lib. I. Dist. XXH, quaest. l. 2) J. Simon, Ablard et la Pfiilosophie aii douzime siede (Revue des deux Mondes, 1846, I Genn., pag. 64). Ef^KAlfl - CORI^IQE Pag. 6, riga 15, invece che causale leggi casuale.  16, riga 18, invece che x>cjs'. leggi d-ozi.  49, riga 33 e 34, invece di Rechercher si legga Recherches, ed invece di delle Libniz si leg- ga del Leibniz.  63, riga 13, invece di ovojxa si legga ovopia. * 64, riga 7, invece di a pr' si legga a pro- posito. 100, riga 7, invece di Ypaix'j.aGTc, si l^gga - Ypfx'xaro? e piuttosto di pretosissimum si legga pretiosissimum.  128, riga 15, invece di come stoico, per quanto gi volto si legga come stoica per quanto gi svolta.  174, riga 27 invece di e citata si legga 5/ ri- porta e pi sotto invece di in proposito anzitutto si legga in proposito ; anzitutto.  191 riga 7 invece di /' una e V altra si trova per poter si legga /' una e V altra per poter.  245, riga 5 e 6, dopo le parole nella Patri- stica e nella Scolastica si aggiunga /worc/z in Dante. Per gli altri errori od omissioni, che si possono trovare nel testo o nelle note, V Autore si rimette all' indulgenza ed all' intelligenza dei lettori. DEL MEDESIMO AUTORE : La Coscienza religiosa medievale - Angelologia Torino, Fratelli Bocca 1908, lire 6. Di prossima pubblicazione : La teoria dell' istinto nella filosofia greca /^ Date Due ^ 1 rAC/yifj^ ^ snTufu^ - lOiolHia :.^7 i uUiu> Sufttdu Oat, n. 1137  Rotta P r6 XOScQ m ITLE LaXilQ sof ia_del linguaggi ft'i^jk__i:mnir /25/67 3-10-69 V/77 %l/p^ ILL to Cornei ILL to Un: P 105 r6 Rotta 2 3o^4; Paolo Rotta. Rotta. Keywords: philosophy of language, semantica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rotta.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rovatti: la ragione conversazionale dei giocchi e gl’uomini – la scuola di Modena -- filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Modena). Filosofo Emiliano. Filosofo italiano. Modena, Emilia-Romagna. Grice: “I do not know any other philosopher other than me or Austin who, like Rovatti, is obsessed wiith the concept of a ‘game’!” Studia fenomenologia a Milano con PACI. Insegna a Trieste. Si occupa dei rapporti tra fenomenologia e marxismo pubblicando “Critica e scientificità in Marx” e poi focalizzando in vari saggi il tema dei bisogni con riferimento anche alla psico-analisi. Le questioni concernenti il “pensiero debole” diventano il punto di partenza di “La posta in gioco: il soggetto” (Bompiani, Milano); “Abitare la distanza”, “Il paiolo bucato: la nostra condizione paradossale” (Cortina, Milano); “La follia in poche parole” (Bompiani, Milano); “L'esercizio del silenzio”; “Possiamo addomesticare l'altro? La condizione globale” (Forum, Udine); “Inattualità del pensiero debole” (Forum, Udine). Queste questioni riguardano soprattutto la possibilità di una «logica paradossale» e si articolano intorno ai temi del gioco, dell'ascolto e dell'alterità, tutti collegati alla questione della soggetto. Saggio su PACI.  Dalla filosofia del gioco nascono anche “Per gioco: piccolo manuale dell’esperienza ludica” (Cortina, Milano); “La scuola dei giochi” (Bompiani, Milano); “Il gioco di Wittgenstein” (EUT, Trieste). Si interessa alla consulenza filosofica, con “La filosofia può curare? La consulenza filosofica in questione” (Cortina, Milano). Altre saggi: “Il coraggio della filosofia” in «aut aut».  Tiene una rubrica sul quotidiano "Il Piccolo" di Trieste, “Etica minima”. Racoglie "scritti corsari" (cfr. Pasolini) in vari saggi: “Etica minima – saggi quasi corsair sull’anomalia italiana” (Cortina, Milano); “Noi, i barbari – la sotto-cultura dominante” (Cortina, Milano); “Un velo di sobrietà” (Saggiatore, Milano); “Accanto a una sensibile sintonia”. Si manifesta nella sua filosofia una particolare attenzione sul rapporto tra potere e sapere; “Gli ego-sauri” (Elèuthera, Milano); “Le nostre oscillazioni” (Collana Edizioni alpha beta Verlag, Merano); “L’intellettuale riluttante” (Elèuthera, Milano); “Restituire la soggettività. Lezioni sul pensiero di Basaglia” (alphabeta, Merano); “Consulente e filosofo. Osservatorio critico sulle pratiche filosofiche” (Mimesis, Milano); “Abitare la distanza. Per una pratica della filosofia” (Feltrinelli, Milano); “Scenari dell'alterità, Bompiani, Milano); “Il decline della luce” (Marietti, Genova); L'università senza condizione” (Cortina, Milano); “Fare la differenza” (Triennale di Milano, Milano); “Introduzione alla filosofia contemporanea, Bompiani, Milano); “Lettere dall'università, Filema, Napoli); “Trasformazioni del soggetto: un itinerario filosofico” (Poligrafo, Padova); “Dizionario dei filosofi” (Bompiani, Milano); “Elogio del pudore: per un pensiero debole” (Feltrinelli, Milano Intorno); “Il pensiero debole” (Feltrinelli, Milano); “Bisogni e teoria marxista” (Mazzotta, Milano); “Critica e scientificità in Marx: per una lettura fenomenologica di Marx e una critica del marxismo di Althusser (Feltrinelli, Milano);  “La dialettica del processo” (il Saggiatore, Milano). aut aut. R.: il pensiero debole, sul  RAI Filosofia. Grice: “As Rovatti shows, it is possible to conceive of conversation as a GAME, with its own RULES, and MOVES. Pier Aldo Rovatti. Rovatti. Keywords: i giocchi e gl’uomini --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rovatti” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rovella: FILOSOFO SICILIANO, NON ITALIANO -- all’isola -- la rgione conversazionale all’isola -- querce, o della filosofia siciliana – l scuola di Acreide – la scuola di Siracusa – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Acreide). Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Acreide, Siracusa, Sicilia. Studia a Ispica e Catania sotto CARBONARA, laureandosi con un saggio di estetica, sul rapporto fra contenuto -- o materia -- e forma. Insegna a Noto e Palazzolo. Pubblica “L'uomo” (Giannini, Napol). In una serrata discussion affronta la meta-fisica ed espone il suo convincimento che la ricerca senza condizioni, attraverso l'intelligenza attiva e creatrice può aprire all'uomo orizzonti creativi, seppur rischiosi. La meta-fisica imprigiona in schemi rigidi e vincolanti. Pervenire all'auto-coscienza è il compito più degno degl’uomini, che pur problematico in sé non rimaneno imprigionati nel problematicismo. Altre opera: “Deneb” (Caltanissetta, Roma), romanzo filosofico che narra la pulsione verso l'oltre, attenuando, così, la precedente critica verso la meta-fisica e aprendo verso il mistero che comporta il confronto con tre donne che rappresentano tre volti diversi della verità. La stella “Deneb” è metafora della pulsione verso l'alto. Abbondano i riferimenti autobiografici da cui emerge l'attaccamento alla casa natia, che non abbandona, alla famiglia e soprattutto ad un modello di vita contadina morigerata e sobria. Lo stile   è affabulante. L'auto-coscienza e il trionfo della morte  in GENTILE in Il pensiero di Gentile (Enciclopedia Italiana, Roma). Qui si esamina il momento finale della vicenda umana e filosofica di GENTILE alla cuia filosofia è legato. “L'errore del cerchio” (Siracusa). Predomina il colloquio interiore, lo scavo nella coscienza e nella memoria. Procede come un giallo. Un tema attraversa gl’avvenimenti, la libertà e la necessità di un suo contenimento. “La fattoria delle querce” (Caruso, Siracusa). L’epopea della famiglia siciliana Capobianco, governata da una donna e sviluppata attraverso un intrigo di personaggi e di vicende. I discendenti Capobianco sono identici agl’ante-nati, e la ricerca della genealogia è il problema più assillante per i personaggi. Il mito dell'eterno ritorno dell'identico li e caro. Rimane sempre legato ai miti. Fisiognomica, astrologia, venti, odori e turbamenti fanno di questa opera un esempio di scrittura immaginifica e personale. Filosofia di non di facile consume traccia una “Imago siciliae”. Nella stessa aura de La fattoria sono scritti i racconti. Cambia di nuovo argomento, inizia quella che lui chiama “la fase cristica”, in cui la figura di Cristo e il rapporto fra le religioni sono il tema dominante. “L'ora del destino, dramma in due atti” (Accademia Casentinese di Lettere, Arti, Scienze ed economia, Castello di Borgo alla Collina, Arezzo,  L'Ora in persona di una donna consola il crocifisso che muore quando una congiuntura astrale perviene al suo compimento. In “Vita di Gesù” (Prospettive d'Arte, Milano) Gesù è visto nella sua umanità. La narrazione segue lo sviluppo dei vangeli sinottici, con qualche incursione negl’apocrifi. L'autore, che pur ne ha le competenze, si tiene lontano dalle problematiche gesuologiche e cristologiche. Vuole narrare un Gesù “così come parla al cuore”.  L'Angelo e il Re, con prefazione di Pazzi per i tipi di Palomar Bari. I nove mesi di gravidanza di Maria vergine sono narrati con un andamento che si mescola di esoterismo e sapienza umana. Maria spesso, nel mistero del suo concepimento, nella sua realtà quotidiana, vive le vicende del suo quartiere, con le sue amiche, con qualche momento di gioia esaltata e prorompente, con un tratto zingaresco. Attratto da zingari e vagabondi di passaggio, come incarnazione di una libertà che abbiamo smarrita. “Le Madri” (Utopia, Chiaramonte Gulfi). Vi si sente l'eco di Bachofen. Breve raro capolavoro, pieno di mistero e poesia, di un potere magico. “Asvamedha” (Utopia, Chiaramonte Gulfi) raccoglie racconti; “Inizio d'amore” (Studi Acrensi, Palazzolo Acreide) raccoglie altri racconti che l'autore pubblica in varie riviste letterarie nazionali, a cura dell'Istituto Studi Acrensi Palazzolo Acreide. I racconti, dice l'autore, vivono nell'aura dei romanzi di questo periodo.  “La vigna di Nabot, dramma in IV quadri” (Associazione Amici di Rovella, Palazzolo Acreide) narra le vicende del ersonaggio che incontriamo nel primo libro dei Re Cap. 21. La prepotenza dei potenti e la sacralità della terra dei padri sono il filo conduttore del dramma. Nabot muore per una questione di coerenza. Scuderi, La fattoria delle Querce, in Le Ragioni critiche, Menichelli in Esperienze letterarie,  Jacobbi, Il miracolo Deneb, in Arenaria, Palermo, Vettori, Il miracolo di Deneb e le profezie di Ruggero, Arenaria, Monachino Ester, Considerazioni su un romanzo di Rovella, in Le Ragioni critiche, Catania, E. Messina, Dal bagolaro alla sequoia” (Romeo, Siracusa); Messina, Alle radici del pensiero. La presenza dei suoi maestri” (Romeo, Siracusa). Giuseppe Rovella. Rovella. Keywords: romanzo filosofico, querce. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rovella” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Rovere. (Roma). Filosofo italiano. Proposta del provenzale come lingua internazionale. Alberto Rovere.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rovere: la ragione conversazionale, o le confessioni di un meta-fisico romano – la scuola di Pesaro -- filosofia marchese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Pesaro). Filosofo marchese. Filosofo italiano. Pesaro, Marche. Essential Italian philosopher. The family originates in Albisola, Savona, Liguria. Filosofo. Il giure civile del popolo italiano ha nel testo della legge positiva e speciale autorità sufficiente da soddisfare la giustizia ordinaria e da risolvere i dubii e acquetare le controversie intorno agl’interessi e agl’ufficii d'ogni privato cittadino. Di quindi nasce che possono alcuni curiali riuscire segnalati e famosi al mondo con la sola abilità del pronto ricordare, dell’acuto distinguere e dell'interpretare acconcio e discreto. Al giure delle genti occorre, invece, assai di frequente la discussione delle verità astratte. Perocché esso è indipendente e superiore all'autorità della sopra-citata legge. Si connette immediatamente al giure naturale che è al tutto razionale e speculativo. Spesso gli è forza di riandar colla filosofia sulle fondamenta medesime dell’ordine sociale umano, e spesso altresì non rinviene modo migliore per risolvere i dubii e acquetare le discrepanze fuor che indagare i grandi pronunziati della ragione perpetua del diritto, chiariti, dedotti e applicati mercé della scienza. Poco importa se i meta-fisici si bisticciano. Ma non va senza danno del genere umano il discordare e il traviare de' pubblicisti. E già si dice che il fine criterio degl’uomini illuminati coglie il certo e il sodo della scienza, ma non la crea e non l'ordina. La demenza degl’uonini fa talvolta scandalosa la verità. Laonde ella ha a pronunziare di se medesima. Non venni a recare la pace in mezzo di voi, sibbene la spada. Lo stato romano essere certa congregazione di famiglie la qual provvede con leggi e con tribunali al bene proprio e alla propria tutela -- tanto che sono competentemente adempiuti i fini generali della socialità e i particolari di essa congregazione. Lo stato romano non esiste per la contiguità sola delle terre e delle abitazioni, ma per certo congiungimento e unità delle menti e degl’animi dei romani. Il che riconosciuto e fermato, se ne ritrae ciò che pel diritto è primo principio ed assioma, non potersi da niuno e sotto niuna ragione arrogare la facoltà di offendere e menomare l'autonomia interna ed esterna dello stato romano insino a tanto che questo non provoca gl’altri ad assalirlo con giusta guerra. Ed eziandio in tal caso è lecito di occupare temporalmente il suo territorio e dominare il suo popolo nei limiti della difesa e dell'equo rifacimento dei danni. L'uomo individuo può nel servaggio e nelle catene serbare con isforzo la libertà dello spirito e compiere in altro modo e sotto altre condizioni certa eroica purgazione e certo mirabile perfezionamento della sua parte interiore e immortale. Ma ciò è impossibile all’intero popolo romano, il quale nel servaggio di necessità si corrompe ed abbietta, e quindi GRAVINA chiama assai giustamente la libertà della nazione romana sacro-santa cosa e di giure divino. L'anima non è vendibile e non è nostra, dicevano i teologanti per dimostrare da più parti la iniquità del CONTRATTO. E neppure la libertà è vendibile. E se l'usarla e abusarla è nostro, non è tale la facoltà e il principio infuso dal divino con l'alito suo divino e che al dire d’Omero vale una mezza anima. Lo stato romano possiede onninamente se stesso. Niuno fuori di lui può attribuirsene la padronanza. Quindi il popolo romano o vivono in se od in altri. Cioè a dire, o provedono al proprio fine con la legge e ordini propri e componendo un individuo vero e perfetto della universa famiglia umana. Ovvero entrano a parte d'altra maggior comunanza con ugualità di diritto e d’ufficio, come quelle riviere che ne' più larghi e reali fiumi confondono le acque e perdono il nome. Questa è la generale e astratta dottrina che danno la ragione e la scienza. La patria romana, impertanto, significa quella contrada e quella congregazione d’uomini a cui ciascuno degli abitanti e ciascuno dei congregati sentesi legato per tutti i doveri, gl’istinti, i diritti, le speranze e gl’affetti del vivere comune. La patria romana, considerata nella sua morale e profonda significazione, è il compiuto sodamento di ciascuno verso di tutti e di tutti verso ciascuno. Se la patria romana non ha debito né possibilità di nudrire del suo ogni giorno tutti i suoi indigenti, spietata cosa sarebbe inibire a questi di procacciarsi altrove la sussistenza. Prediletta opera delle mani del divino e la nazione romana. La nazione romana è pura, domandano essi, e tutta omogenea. Questo e il puro principio della nazionalità romana. Lo stato romano, dipendente come si sia da un altro non è, a propriamente parlare, autonomo. E e perciò, a rigore di definizione, neppure la denominazione di stato romano gli si compete. I prìncipi non sono, del certo, scelti dal divino immediatamente, ma sono dal divino immediatamente investiti della sovranità romana. Il popolo romano indica l'uomo a cui vuole obbedire e in quell'uomo è subito la pienezza della sovranità romana che dal divino gli proviene. Perocché come dal divino è istituito IL FINE della socievole comunanza, così è istituito IL MEZZO nella autorità del comando. È sicuro che nella lunghezza dei secoli le volontà e i giudizi umani si accostano all'assoluto del bene sociale, quanto che la via che viene trascorsa non procede diritta e spedita ma declina e torce continuo fra molti errori e molte misere concussioni. La libertà della nazione romana, essendo naturale ed essenziale agl’uomini e necessaria concomitanza d'ogni bontà, è doveroso per tutti il serbarla integra nella sostanza. E perciò, né il privato individuo si può vendere ad altro privato, né tutto il corpo de' cittadini assoggettarsi pienamente e perpetuamente al dominio d’altro stato. Poco o nessun valore ha il dissentimento dei piccioli e deboli, quando anche piglino ardire di esprimerlo; e CHI INVESTIGA LA STORIA DELL’ANTICA ROMA RI-TROVA che DELLE PROTESTE loro giacciono GRANDI FASCI dimenticati negl’archivi delle Cancellerie. Dacché siete i più forti, correte poco rischio di vivere ex lege alla maniera dei ciclopi. Ma confessare il diritto e contro il diritto procedere, non è conceduto a nessuno. E parlavano meglio quegl’ateniesi che alle querele dei milesi rispondevano senza sturbarsi. Il diritto è cosa pei deboli e non già pei forti e pei valorosi. Il popolo romano è autonomo. Con altri vocaboli, lo stato romano, vero è libero ed inviolabile. E la patria romana, nel significato morale e politico, è *sinonimo* di STATO romano -- in quanto questo compone uno stretto e nativo consorzio in cui ciascun cittadino ha debito e desiderio insieme di effettuare il grado massimo di unimento sociale e civile.  S’incominci dall'avvisare chi sono costoro che si querelano della libertà dello stato romano e ne temono danni così spaventevoli. Costoro sono i medesimi da cui si alzano lagni e rimproveri cotidiani per qualunque libertà, eccetto la propria loro. Vogliono limitare la stampa, limitare la libera concorrenza, limitare IL PARLAMENTO e in fine ogni cosa col pretesto volgare ed ovvio che il parlamento, il commercio, la stampa abusano di loro facoltà e trasvanno più d'una volta e in più cose. La volontà umana, dite, è corrotta e inchinevole al male. Può darsi. Ma privata di libertà so che depravasi molto di più e i padroni non meno che i servi. Non è lecito agl’uomini di esercitare nessun diritto qualora difettino pienamente delle facoltà e dei mezzi correlativi. Perciò il fanciullo, il mentecatto, l'idiota cade naturalmente sotto l'altrui tutela, e per ciò medesimo la parte meno educata del volgo ed offesa di troppa ignoranza, o posta in condizione troppo servile, non ha nel generale facoltà e mezzi proporziod esercitare diritti politici. Esaminato il fine del viver comune, fatta rassegna d'alcuni principii direttivi, più bisognevoli al nostro intento e poco o nulla NOTI AGL’NTICHI ROMANI, segue senza più che noi trapassiamo a contemplare l'ottimo ordinamento civile. Cosi noi delineeremo qnalche fattezza dell'incivilimento umano, contemplandolo nella natura primitiva ed universale del popolo romano, ed avvisandoci di non iscambiare l'alterato e il mutabile col permanente ed inalterato; e per converso, di non dar nome d'errore emendabile e di accidente transitorio a ciò che appartiene alle condizioni salde e durevoli della comunanza civile. Chè nel primo difetto cadono i troppo retrivi ed i pusillanimi; nel secondo, i novatori audaci e leggeri. GL’ANTICHI ROMANI con molto senno incominciano dall'insegnar quello che spetta al buono stato della famiglia, perché della comunanza umana l'individuo compiuto non è lo scapolo, ma l'ammogliato con prole o vogliam dire la famiglia, rimossa la quale non rimane intermezzo alcuno che tempri l'amor proprio e la fiera e violenta natura nostra.  L'organizzazione tanto è più eccellente quanto meno cede alle esterne azioni ed impressioni ed anzi modifica con maggior efficacia ed appropria a sé quelle azioni. È da confessare che un gran trovato fece lo spirito umano e giovevole soprammodo alla prosperità del viver sociale, quando mise in atto quello che fu domandato GOVERNO RAPPRESENTATIVO o parlamentare. Se dirai: carattere della nazione romana è la continuità e circoscrizione del suolo d’Italia. E la nazione e nella lingua romana, la letteratura e le arti. Se le origini e la schiatta; le colonie sono tal membro e così vivace del corpo della patria onde uscirono, da non potersene mai dispiccare, e la guerra americana è dalla banda dei sollevati iniqua e parricida. Gran questione poi insorge sulle genti di confine, le quali compongonsi il più delle volte di schiatte anfibie, a cosi chiamarle. Quindi noi vogliamo, per via d'esempio, i nizzardi essere italiani – ROMANI -- e i francesi li fanno dei loro. La compagnia civile comincia là solamente dove gl’animi si accostano, e sorge desiderio di regolato e comune operare. La giustizia apre e chiude i congressi degli dei, non quelli degl’uomini. La voce “nazione romana” nel suo peculiare e pieno significato vuol dire unimento e società d'uomini che la natura stessa con le sue mani à fatta e costituita mediante il sangue e la singolarità delle condizioni interiori ed estrinseche. Per talché quella società distinguesi da tutte l’altre per tutti gl’essenziali caratteri che possono diversificare le genti in fra loro, come la schiatta, la lingua, l'indole, il territorio, le tradizioni, le arti, i costumi. “Nazione romana” vuol significare certo novero di genti per COMUNANZA DI SANGUE, conformità di genio, medesimezza di linguaggio atte e pre-ordinate alla massima unione sociale. Lo stipite umano è ordinato esso pure a spandere discosto da sé le propagini e i semi. E ogni germe nuovo dee nudrirsi del terreno ove cade, non del tronco da cui si origina. Sieno rese grazie publicamente da tutta l'Italia a voi, o Valdesi, che l'antica madre mai non avete voluto e potuto odiare e sconoscere insino al giorno glorioso che è dal divino coronata la vostra costanza, e un patto comune di libertà vi riconciliava con gl’emendati persecutori.  S'io credessi quelle armi che assiepano IL FORO, DICE CICERONE, starsene qui a minacciare e non a proteggere, cederei al tempo e mi terrei silenzioso. Ma il fatto è che quelle armi NEL FORO induceno per se sole una fiera minaccia, tanto che CICERONE parla poco e male, e la paura ammazza l'eloquenza. Dal riscontro, per tanto, di tutte le storie, senza timore mai d'eccezione, e più ancora dalla ripugnanza intima di certi termini, quali sono felicità a servitù, spontaneità e costrizione, ricavasi questa assoluta sentenza che in una nazione civile come ROMA, nessun governo straniero – come Cartagine -- non può vantarsi mai né della legittimità interiore, né della esteriore che emana dall'assentimento espresso o tacito della popolazione romana. Non può aver luogo prescrizione, dove i diritti innati o fondamentali dell'uomo ricevono sostanziale ingiuria ed offesa; e di si fatti è per appunto la indipendenza o dimezzata o distrutta. Ogni cosa nell'uomo è principiata dalla natura e poi dalla ragione e dall'arte è compiuta.Voi stesso l'avete udito? Poerio: E come nò, se rinchiuso è con lui in una prigione medesima? Pignatelli: E è la vigilia della sua morte? Poerio: Appunto è  la vigilia. Sapete che valica la mezzanotte, una voce improvvisa e sepolcrale veramente rompevane il sonno chiamando forte per nome alcuno di noi; e quella chiamata voleva dire: vieni, ti aspetta il carnefice. La notte pertanto che seguitò quel mirabil discorso di Pagano gli sgherri gridarono il nome suo, e fu menato al patibolo. Pignatelli: Sta per mezzo a voi quell'omerica figura del conte di Ruvo? Poerio: Nò, ma in Castello dell'Uovo insieme con altri uffiziali e con l'intrepido Mantone. Nel Castel Nuovo e in quella carcere proprio dove è Pagano, sta il fratel vostro maggiore, principe di Strangoli, sto io, il Conforti, Cirillo, Granali, Palmieri, Russo e due giovinetti amorevoli e cari, cioè l'ultimo figliuolo dello Spanò ed un marchese di Genzano, bello come l'appollino e di cui sente Pagano particolare compassione. V'à una cagione suprema di tutte le cose, cagione assoluta e però insofferente di limiti e incapace d'aumento e di defficienza. Ma se niun difetto può stare in lei, ella è il bene infinito e comprende infinitamente ogni specie di bene. Ciò posto, la cagione suprema è altresì infinita bontà che raggia il bene fuor di sé stessa e ne riempie la creazione ed ogni ente se ne satura, a dir così, per quanto è fatto capace. Tale contenenza di bene è poi sempre difettiva perché sempre è finita. Di quindi si origina il male. Non si chieda dunque perché il divino è permettitore del male, ma chiedasi in quella vece perché piacque al divino, oltre all'infinito, che sussistesse pure il finito. Se il vivere nostro presente è condito di molto diletto e noi incapaci di conoscere e desiderare con ismania istintiva l'eternità, forse potrebbesi giudicare senza paradosso aver noi sortito quella porzioncella sola e frammento di beatitudine, brevissima ma sincera e inconsapevole della propria caducità. Col presupposto della immortalità, bene avverte BRUNO, alcun desiderio naturale non è indarno e alcuna lacrima non cade senza conforto. Con la immortalità non è affetto generoso perduto, non ferita dell'animo a cui non si apparecchi altrove copioso balsamo. Per entro il corso interminato e magnifico de'nostri destini, ogni male vien riparato, ogni speranza risorge, ogni bellezza rifiorisce, ogni felicità si rinnova e giganteggia ne'secoli. Poerio: Quando è possibile strappare dal cuor dell'uomo il concetto e la speranza della immortalità, il consorzio civile medesimo pericolerebbe di sciogliersi e i piaceri e le utilità stesse della vita presente verrebbero gran parte impedite o affatto levate di mezzo. I dotti e i legisti barbareggiavano sempre peggio, e pareva in loro una sorta di necessità tramutata in diritto, e niun discepolo mai se ne querela; e le lettere cadevano in tale grettezza, che nelle prose di Giordani si appuntavano parecchie mende di stile, ma nessuno accusava la tenuità dei concetti e la critica angusta e slombata. Colletta è stimato dai più uno storico sovrano e poco meno che un Tacito redivivo, ed altri istituivano paragone tra il Guicciardini e il Botta, tra Goldoni e Nota. Tale il gusto e il criterio comune. Pochi grandi filosofi non mancavano neppure a quei giorni. Basti ricordare Bartolini nella scultura; Leopardi e Niccolini nella poetica; Rossini, Bellini, Donizetti nella musica. In Italia scemando il sapere e la potenza meditativa, crebbe l'amore spasimato ed irragionevole della bellezza dell'abito esterno, lasciando a digiuno la mente e poco nudriti e mal governati gli affetti. Letteratura e filosofia vasta, soda e ben definita, e parimente larghe scuole e ben tratteggiate e scolpite mancano alla patria nostra da quasi tre secoli e piuttosto ne abbiamo avuto cenni e frammenti, e ogni cosa a pezzi, a sbalzi e a modo d'assaggio. Miei degni signori, il cibo che v'apparecchio è scarso, scondito e di povera mensa, ma è letteratura e non meta-fisica. Non appena l'esilio mi astrinse a lasciare l'Italia e fui spettatore d'altro ordine di civiltà e uditore d'altri maestri, subito mi si aprì dentro l'animo l'occhio doloroso della coscienza, ed ebbi della mia ignoranza una paura ed una vergogna da non credere. Per giudicare alla prima prima che tutto è vecchio e trito in un libro convien sapere dell'autore se nel generale à l'abito di pensar di suo capo. Ed egli evoca nuovi spiriti di più sublime natura, i quali entrano a uno a uno dentro la torre. Spirito del mare. Che vuoi? Barone. Sapere l'essenza del bene e la fonte della felicità. Spirito del mare. Perché lo chiedi al mare? Barone. Perché tu sai o puoi sapere ogni cosa; tu nei silenzj della notte tieni misteriosi colloquj con la luna e con le stelle che in te si riflettono; e tu pur ricevi nell ' ampio tuo seno i fiumi tutti del mondo, i quali ti raccontano le geste antiche dei popoli e le più antiche vicende dei continenti per mezzo a cui essi fluiscono senza posa. Spirito del mare. lo non so nulla (sparisce). Barone. Che tu venga malmenato in eterno dallo spirito delle procelle, e che i tuoi membri immortali sieno rotti e squarciati mai sempre dalle taglienti creste degli ardui scogli.  La coda del cavallo bianco dell' Apocalisse. Che vuoi? Barone. Sapere in che consiste il bene, e dove è la fonte della felicità. La coda. Perché lo chiedi a me? Barone. Tu sai la fine ultima delle cose, e tu comparirai poco innanzi della consumazione del secolo. La coda. Quando io comparirò, io ondeggerò nelle sfere, simile alla caduta del Niagara e più tremenda della coda delle comete. Ogni mio crine rinserra un destino; e ogni mio moto è un cenno di oracolo; ò trascorsi tutti i cieli di Tolomeo e i cieli di Galilei e i cieli di Herschel; ò lambita con la mia criniera la faccia delle stelle, e l'ò distesa sulle penne de' turbini; molte cose ò conosciute, ma non quel che tu cerchi: io non so nulla (sparisce). Dagli Arabi si travasò il mal gusto ne' Catalani e ne' Provenzali, e una vena non troppo scarsa ne fu derivata ne' primi nostri verseggiatori. ALIGHIERI egli pure non se ne astenne affatto; e noi peniamo a credere che a quel genio sovrano venisse scritta la canzone lambiccatissima della Pietra. Sa ognuno che nel seicento, con lo scadere dell' arte, ricomparvero quelle freddure e mattie, e ogni cosa fu piena di acrostici, d'anagrammi, d'allitterazioni e altrettali sciempiezze. Ma per buona ventura cotesta sorta vanissima di pedanteria non sembra ai moderni pericolosa; e dico ai romani, perché appresso gli stranieri non ne mancano esempj; e molti anno letto in un vivente poeta francese di gran nomea certi capricci di metri e di rime i quali dimostrano come in lui siensi venuti rinnovando tutti gli umori e le vertigini dei seicentisti. E nemmanco ci pare immune dalle stranezze di cui parliamo quel concepimento del Goethe di ordire la tragedia del Fausto con questa singolar legge che ogni scena fosse dettata in metro diverso ed una altresì in nuda prosa, onde potesse affermarsi che niuna maniera del verseggiare ed anzi dello scrivere umano (per quanto ne è capace il tedesco idioma) mancasse a quel dramma; nuova maniera e poco assai naturale e graziosa di porgere idea e figura del panteismo. Non può né deve il poeta scompagnarsi mai troppo dalle opinioni e dai sentimenti comuni dell'età sua; chè da questi principalmente è suscitato l'estro di lui, con questi accende e innamora le moltitudini. D'ogni altro pensiero ed affetto, ove li possieda e li senta egli solo, avrà pochi intenditori, pochissimi lodatori; e la favella delle Muse langue e muor sulle labbra se non suona ad orecchie benevole e a cuori profondamente commossi. In Inghilterra il Milton fierissimo repubblicano e segretario eloquente del gran Cromvello, à quasi sempre poetato di cose mistiche e teologiche e nulla v'à di politico, nulla d'inglese e di patrio, né nel Paradiso perduto, né in altri suoi canti. Riuscirà sempre a gloria grande e invidiata d'Italia che la Gerusalemme del Tasso compaja tanto più bella e mirabile quanto più in lei si contempla e considera intentivamente la perfezione del tutto. Certo, il Valvasone è meno forbito ed armonioso del Tansillo, meno fluido del Tasso seniore, meno corretto, proprio e limato de' più corretti e limati rimatori toscani; ma non per ciò si capisce come questa minor perfezione di forma, abbia potuto oscurare nel giudicio de' raccoglitori e de' critici il gran merito dell'invenzione. Che il Milton siasi giovato dell' Angeleide non so, quantunque fra i due poemi si vengan trovando molti e singolari riscontri che non è facile a credere casuali; ma questo io so bene che a rispetto della guerra degli angeli episodicamente introdotta nel Paradiso perduto, il Valvasone non perde nulla ad esser letto dopo l'Inglese e con quello essere paragonato; il che non avviene del sicuro né per l' Adamo dell'Andreini né per la Strage degl'Innocenti del cavaliere Marino, due componimenti che dicesi aver suggerito a Milton parecchi pensieri e l'ideal grandezza del suo Lucifero. L'ingegno poetico, in versificare ciascuno di quei subbietti, tende a spiegare una novità, un' altezza e una leggiadria suprema di concetto, di sentimento, di fantasia e di stile. Dove mancasse l'una di tali eccellenze, l'arte sarebbe difettosa e quindi increscevole. Ci venne osservato (cosa che per addietro non ben sapevamo) la critica letteraria incominciata in Italia con ALIGHIERI essere morta col Tasso e gli amici suoi; e come cadde con quel mirabile intelletto la nostra primazia nel ministero delle Muse, così venne meno la filosofia estetica; e il nuovo dell' arte non fu capito, l'antico fu dalla pedanteria svisato e agghiadato. L'arte critica antica ebbe ultimi promulgatori due grandi ingegni, il Muratori e il Gravina. Della critica nata dipoi con le nuove speculazioni e con le nuove forme di poesia, non conosciamo in Italia alcun degno scrittore e rappresentatore. Dopo Omero nessun poeta, per mio giudicio, può alzarsi a competere con l'Alighieri, salvo Guglielmo Shakspeare, gloria massima dell'Inghilterra. E per fermo, ne' drammi di lui l'animo e la vita umana vengon ritratti così al vero e scandagliati e disaminati così nel profondo, che mai nol saranno di più. Ma le condizioni peculiari della drammatica e l'indole propria degl' ingegni settentrionali impedirono a Shakspeare di raggiungere quella perfetta unione sì delle diverse materie poetiche e sì di tutte l'eccellenze e prerogative onde facciamo discorso. E veramente nelle composizioni sue la religione si mostra sol di lontano e molto di rado; e tra le specie differenti e delicatissime d'amore ivi entro significate, manca quella eccelsa e spiritualissima di cui si scaldò l'amante di Beatrice. Il poeta è dall'ispirazione allacciato e padroneggiato sì forte, da non saper bene sottomettersi all'arte ed alla meditazione. Il troppo incivilirsi dei popoli aumentando di soverchio l'osservazione e la critica e affinandovisi l'arte ogni giorno di più per effetto medesimo dell' esercizio e dell' esperienza e per desiderio di novità, mena il poeta a scordar forse troppo l'aurea semplicità degli antichi, il sincero aspetto della natura e i veri e spontanei moti dell'animo. Il compiuto e l'ottimo della poesia consiste in racchiudere dentro ai poemi con vaga e proporzionata unità di composizione tutto quanto il visibile ed il pensabile umano per ciò che in ambedue è più bello e più commovente. Consiste inoltre nel figurare e ritrarre cotesto subbietto amplissimo e universale con la maggior novità e la maggiore sublimità e leggiadria di concepimento, di fantasia, d'affetto e d'elocuzione che sia fattibile di conseguire. Laonde poi il concepimento, così nel complesso come nelle sentenze particolari, dee riuscir succoso, vario ed inaspettato e pieno di recondita dottrina e saggezza; l'affetto dee correre, quanto è possibile, per tutti i gradi e le differenze, e toccare il sommo della tenerezza e commiserazione e il sommo della terribilità. Tasso, anima pia e generosa, ma in cui (non so dir come) nulla v'era di popolare. Quindi egli s'infervorò della maestà teocratica dei pontefici e aderì alla nuova cavalleria cortigiana e feudale; quindi pure accettò con zelo e con osservanza scrupolosa l' ortodossia cattolica, e nella vita intellettuale quanto nella civile, fu dall' autorità dei metodi e degli esempj signoreggiato. Da ciò prese nudrimento e moto il divino estro suo e uscirono le maraviglie della Gerusalemme. Nel Tasso poi sono tutti i pregi e tutta quanta la luce e magnificenza della poesia classica, e spiccano altresì in lui alcuni attributi speciali del genio italiano in ordine al bello. In perpetuo si ammirerà nella Liberata ciò che l'arte, i precetti, l'erudizione e la scienza possono fare, ajutati e avvivati da una stupenda natura poetica. L'ARIOSTO significa la commedia umana quale la veggiamo rappresentarsi nel mondo, laddove ALIGHIERI fece primo subbietto suo il soprammondano, e in esso figurò e simboleggiò le cose terrene. E come il gran Fiorentino nelle fogge variatissime de' tormenti e delle espiazioni dipinse i variatissimi aspetti delle indoli e delle passioni, il simile adempiva l'Ariosto sotto il velo dei portenti magici e delle strane avventure. Ma certo qual narrazione di fatti umani riuscirà più vasta, più immaginosa e più moltiforme di quella dell' Orlando furioso? Quivi sono guerre tra più nazioni, nascimenti e ruine di molti regni, conflitto sanguinoso di religione e di culto, infinita diversità e singolarità di costumi, e tutto il Ponente e il Levante offrono larga scena e strepitoso teatro a cotali imprese e catastrofi. Quivi sono dipinte la vita privata e la pubblica, le corti e le capanne, i castelli ed i romitaggi; quivi s'intrecciano gradevolmente la cronica, la novella e la storia, e ciò che il dramma à di patetico, l'epopeia di maestoso, il romanzo di fantastico. Non credo che in veruna straniera letteratura possa come nella nostra volgare annoverarsi una sequela così sterminata di poemi eroici e di romanzeschi, parecchj de' quali brillerebbero di gran luce, ove fossero soli e non li soverchiasse la troppa chiarezza di Dante, dell'Ariosto e del Tasso. Né reputo presontuoso il dire che, per esempio, la Croce racquistata del Bracciolini o il Conquisto di Granata di Girolamo Graziane sostengono bene assai il paragone o con l'Araucana dell' Ercilla o coi medesimi Lusiadi di Luís Vaz de Camões ai quali ànno accresciuta non poca fama le sventure e le virtù del poeta; e per simile, io giudico che l' Amadigi del Tasso il vecchio o l'Orlando innamorato del Berni, non temono di gareggiare con la Regina Fata di Spenser e con quanto di meglio in tal genere ànno prodotto l'altre nazioni. Ma non è da tacere che in quasi tutti questi nostri poemi riconoscesi agevolmente l'uno o l'altro dei tipi che nel Furioso e nella Gerusalemme ricevettero perfezione, ed a cui poca giunta di novità e poche profonde mutazioni si fecero dagl'ingegni posteriori; e ne' poemi eroici singolarmente a niuno è riuscito di ben cantare i difetti del Tasso, molti in quel cambio li esagerarono. Scusabile mi si fa Marino e scusabili gl'Italiani, quand'io considero lo stato di lor nazione sotto il crudele dominio degli Spagnuoli, e fieramente mi sdegno con questi medesimi che nella patria loro ancor sì potente e sì fortunata, plaudivano a que' delirj e incensavano il Gongora, meno ingegnoso assai del Marino e di lui più strano e affettato. In fine, gioverà il ricordare che all'Italia serva, scaduta e dilapidata, rimaneva pur tanto ancora di prevalenza intellettuale appresso l'altre nazioni che de' trionfi più insigni e delle lodi più sperticate del cavalier Marino furono autori i Francesi; e per lungo tempo assai nessuno de' lor poeti seppe al tutto purgarsi della letteraria corruzione venuta d'oltre Alpe; testimonio lo stesso Cornelio, alto e robustissimo ingegno, ma nel cui stile nondimeno avria dovuto il Boileau ritrovare assai spesso di quel medesimo talco del quale parevangli luccicare i versi del Tasso. Dal Marino incominciò a propagarsi nel mondo una poesia fantastica e meramente coloritrice, la quale cerca l'arte solo per l'arte, fassi specchio indifferente al falso ed al vero, alle cose buone ed alle malvage, alle vane e giocose come alle grandi e instruttive; sente tutti gli affetti e nessuno con profondità, e nell'essere suo naturale od abituale, canta di Adone, come di Erode e così delle favole greche come delle bibliche narrazioni] Fiorirono in tale intervallo tre ingegni eminenti che forse mantennero alla lirica nostra una spiccata maggioranza su quella d'altre nazioni. Ognuno, io penso, à nominato ad una con me il Chiabrera, il Filicaja ed il Guidi. Dal solo Chiabrera fu l'Italia regalata di tre nuove corone poetiche; mercechè veramente nelle sue mani nacque e grandeggiò prima la canzone pindarica, poi la canzone anacreontica e infine il sermone oraziano; né mal s' apporrebbe colui che attribuisse al Chiabrera eziandio la rinnovazione del Ditirambo. Il Filicaja venne a tempi ancora più disavventurati, e quando più non era possibile discoprire ne' suoi Fiorentini un segno e un vestigio pure dell'antica fierezza repubblicana. Ma il senso del bene morale e la pietà religiosa fervevano così profondi nell'animo suo che bastarono a farlo poeta. Mai né in questa nostra patria, né fuori sonosi udite canzoni così ben temperate di splendore pindarico e di maestà scritturale come quelle del Filicaja. Nel Guidi allato a concetti ed a sentimenti spesso comuni e rettorici, splende una forma non superabile di novità, di bellezza e magnificenza. Certo, se a Guidi fosse toccato di vivere in seno di una nazione forte e gloriosa, non ostante la poca fecondità e vastità di pensieri, io non so bene a qual grado di eccellenza non sarebbe salita la lirica sua; perché costui propriamente sortì da natura Yos magna sonaturum, e ce ne porge sicura caparra la sua canzone alla Fortuna. A me sonerà sempre caro ed insigne il nome di Varano, perché da lui segnatamente, a quello che io giudico, s'iniziò il corso della poesia moderna italiana; e forse la patria non gli si mostra ricordevole e grata quanto dovrebbe. Chi trovasse non poca similitudine tra la mente del Varano e quella del Young, credo che male non si apporrebbe. Anime pie e stoiche ambidue, e dischiuse non pertanto agli affetti gentili, diffondono ne' lor versi un religioso terrore e un' ascetica melanconia che nell'Inglese riescono cupi, inconsolati e monotoni, e nell'Italiano s'allegrano spesso alla vista del nostro bel sole, e dai pensieri del sepolcro volano con gran fede alla pace e serenità della gloria immortale. Varano poi insieme col Gozzi restituì alla Divina Commedia il debito culto; Gozzi con li scritti polemici, egli con la virtù dell' esempio; ed ebbe arbitrio di dire a Dante ciò che questi a VIRGILIO: Tu séi lo mio maestro e il mio autore. Se non che il cantore delle Visioni chiuse e conchiuse l'intero universo nel sentimento della pietà e nei misteri del dogma, e non ben seppe imitare del suo modello la nervosa brevità e parsimonia, la varietà inesauribile e la peregrina eleganza. Se taluno dei suoi piuttosto scarsi scolari volle talora celebrare in R.. l'ultimo anello della catena che da GALLUPPI si continua in SERBATI e GIOBERTI, unanime e il consenso dei suoi maggiori contemporanei e dei posteri nell'affermare il valore pressoché nullo della sua vasta produzione filosofica. SERBATI e più scolastico, R. più civile. Quello quasi sterile in politica, questo R. molto feconda, risolvendo i problemi più ardui e interessanti della vita sociale. Quello è timido, questo R. Coraggiosa. Quello arriva a rifiutare sul terreno pratico le conseguenze de' suoi principii per un pregiudizioso rispetto di casta non evitando il disonore di una ritirata e la deformità del sofisma; R., per lo contrario tutta intrepido si sostenne colla gloria di una vittoria, colla dignità di una rigorosa coerenza, e colla bellezza di una vera argomentazione. SERBATI in un bel momento di sua ragione scrive stupende pagine sulla riforma del clero; poi ha la debolezza di ritirarle, impaurito dalle minaccia dell'indice. R. è oggi quel che era ne' primi giorni della sua vita pubblica, e non sa temere altro autorevole indice che quello del buon senso. Nel suo saggio, intitolalo “Del diritto” (Scolastica, Torino) i ammira il coraggio della coscienza di un filosofo, e la prudenza d'un uomo di stato. Riguardo poi ai pregi della forma, SERBATI è semplicemente filosofo, R. è un filosofo-oratore. Nel primo spicca la pura meditazione, nel R. si unisce il genio che feconda il deserto delle speculazioni metafisiche, delle avanzate astrazioni. In SERBATI vi ha una ricchezza povera, cioè una stiracchiatura di poche idee in molte parole, quasi diffidi della memoria, e dell'abilità del lettore. In R. vi ha una povertà ricca, cioè molte idee in poche parole; il che appaga l'amor proprio del lettore, e ne fa liete tutte le potenze della ritentiva e della ragione. Altri saggi: ““Dell'ottima congregazione umana e del principio di nazionalità romana e italiana” (Subalpina, Torino); “Pagano, ovvero, della immortalità”; “Dai Torchi della Signora De Lacombe”; “Prose letterarie” (Barbera, Firenze). . HN NHEH I  I 4 4 ''bil H-n^.1 *^3 l^'l 4//. ^7 ^^YC49 ^'iyc. A  v^/SKtk ^- FIRENZE, G. BARBRA EDITORE. 1865. TJ^jJ^ ^4 170.-7,33 1^ HARVARD COLLEGfc IIHK;;r H. NELSON GAY IISORGIMENTO COLLECTION COOUDGE FUND 1931 LIBRO PRIMO. DEL FINITO IN S. JA>UIII. - II. CAPO PRIMO. ALTRE INTIME CONFESSIONI. I. 1.  Sebbene la cronaca (a volerla cos chiamare) dei miei pensieri, delle mie mutazioni e delle conclu- sioni mie intorno alla metafisica dovesse avere compi- mento col primo volume, dapoicb questo secondo non  altro pi che un'applicazione dei principj gi fermi e accettati, pure v' alcuni concetti e alcune opinioni importanti in filosofia che possono grandemente pro- fittare di quella storia. E voglio significare che giova r andar raccontando con semplicit e con ordine co- m' esse sbocciarono a poco a poco dentro alla intellet- tiva e crebbero a competente maturit; e per quali vicende di dubj, di pentimenti e di emendazioni per- vennero alla serenit d'un convincimento perfetto, quasi fior che tra le nebbie ed i temporali si aprirono in ultimo alla patente luce d'un bel sole di primavera. Io, dunque, allora che sentir il bisogno di illu- sanare conjai chiarezza e persuadere con pi forza alcune dottrine, user ancora di questo mezzo di esporre y\ 4 LIBRO PRIMO. altrui brevemente le occasioni, V esitanze, le correzioni e le risoluzioni finali e gagliarde, in fra le quali la mia povera mente pervenne alla verit non mai con prestezza e sempre con travaglio penoso dell'animo. Attesoch egli mi sembra di poter dire con ischiettezza non presuntuosa ch'io mai non  tenuto in picciolo conto ne valutato come poco saldi e poco fruttiferi i sacri studj della filosofia e massimamente quelli della Scienza Prima. 2.  Sappiasi, impertanto, che avendo io da lungo tempo ordito in mente la tela di questa mia cosmologia, volle fortuna che io capitassi in paese il pi ricco forse e glorioso d' antiche memorie di quanti se ne incontrano sulla superficie del nostro pianeta. E un giorno fra gli altri procacciando alcuna distrazione piacevole alla protratta meditazione, salii ad un colle dove grandeggiano ancora gli avanzi augusti e venerabili del tempio maggiore e pi bello che l' arti umane ab- biano saputo alzare e dedicare alla Dea della scienza. Di quivi girando l'occhio all'intorno e avvisando con pi attenzione quella pianura che stendesi di l dal Ceramico e rasenta la colonna sepolcrale del Mtiller (il lettore conosce ora di che luogo si parla), io vi cer- cava con desiderio melanconico e inutile qualche vesti- gio visibile degli orti celebratissimi di Accademo, i quali si sa con certa notizia che dentro quella landa nuda e polverosa fiorivano. Se fossi poeta o scrivessi roman- zi e impressioni di viaggi, curerei di descrivere con vi- ve/za le ricordanze solenni e le immagini non volgari che risorgevanmi in mente al cospetto di quella terra deserta, ma pure insigne e ossequiata da tutto il ge- nere umano. E s' un bel dire: col non resta pi nulla e la venerazione tua  del superstizioso, o per lo man- co, dello astratto. Quella ten*a che tu vedi e puoi DEL FINITO IN S. 5 toccare e passeggiare, sostenne i piedi di Platone e ri- cevette l'orma de' suoi sandali, e quivi scrisse, o con- cep per lo manco, i suoi dialoghi divini e dispens ai dwcfipolHl_ifiS!Qr(Ldelle sue dottrine eccelse ed impe- riture. Che se in ogni tempo tali riflessioni e ramme-  morazioni m'avrebbero commosso altamente e legato > l'animo di parecchi affetti sublimi, giudichi il lettore  quali fossero i miei pensieri ed i miei sentimenti in quel punto della mia vita in cui, cessando da ogni- dubiezza, avevo con persuasione non piii alterabile ab-- bracciate la verit della dottrina delle idee, e dopo - Pittagora salutato Platone siccome il solo maestro e il solo fondatore dell'ontologia. 3.  Ma se descrivere una commozione profonda e quasich religiosa dell' animo non  facile, n riu- scirebbe gran fatto opportuno, credo d'altra parte che la sostanza dei miei pensieri in quella congiun- tura  facilissimo d'essere indovinata; perocch alla mente mi si affacciavano due contrarj troppo vi- sibili: la caducit e mina delle opere materiali del- l' uomo e la eternit e gloria dell' opere dell' intel- letto. Caddero le mura, io diceva, della tua patria, o figliuolo di Efestione, e i platani e le fontane della tua silenziosa Accademia non potettero venir custo- dite e salvate d quelle Muse che tu invocavi con- servatrici delle tradizioni n da quelle Grazie il cui simulacro ponevi sulle soglie medesime del tuo ri- cetto innocente e ospitale. Ma dopo venti e pi se- coli il fulgid' oro e incorrotto delle tue dottrine ca- vato dalla pii schietta e profonda miniera della- verit mantiensi bello ed immacolato come quel pri- - mo giorno che tu il traevi dallo stampo della tua mente ispirata; e in ci pagano gli uomini un giusto tributo non pure alla tua sapienza e facondia non pa- 6 LIBRO PRIMO. reggabile, ma si alla dignit e grandezza del nostro .essere da te rivelata. Perocch tu infondendo quasi tun colino immortale nelle umane pupille facestile ca- mpaci di avvisare e discernere le forme ideali e spiri- tualmente toccare la realit loro eterna e assoluta. 4.  Ne contento a questo e pieno ancora tutto l'animo della filosota Italica e levato sopra te dalla solenne armonia degli inni di Cleante, annunziasti agli uomini il governo amoroso d Dio sul mondo e ogni cosa rivocasti potentemente all'idea del bello e del buono. Fortunato me, se un qualcl^e raggio del tuo divino intelletto si spanda su questo mio libro che la ^teorica delle idee studia di rinnovare con quei comple- X menti ed emendamenti che rec per s medesimo il /tempo e il variare e il permutarsi di cento scuole. II. 5.  Cotesti pensieri, com'  naturale, mi s'aggirava- no allora per la fantasia; quando sopravvennero i dubj. cosa che sempre m'accade, e fecero poco meno che naufragare le mie speranze. Platone  sommo, dissero # i successivi pensieri, ma non gli  conceduto di preoc- 'cupare le vie nuove ed intentate dell'umana medita- zione. Se tu porgi orecchio alle cose strane e diverse che suonano oggi nel mondo dei metafisici, udirai parlare di Platone per incidenza e solo perch indovin la im- manenza dell'idea in tutte le cose, e disse che la dia- lettica simigliava al movimento generativo di quelle. Ma quanto al povero libro tuo che va sulle orme an- tiche e pretende di romper guerra cosi spietata agli avversarj del teismo, persuaditi bene ch'egli sar ^o non letto o, subito letto, dimenticato. In tale disposi- zione di animo io scendevo quel giorno dal Partenone e. DEL FINITO IN SE. 7 poco alloro de^ miei studj, volgevo la mente a cure molto diverse e remotissime dalla filosofia. 6.  Il di dopo gli stessi pensieri mi risorgevano in animo e la stessa amaritudine li accompagnava. Oh la bella scoperta che avrai ta fatto, dicevo io in fra me, dopo tanto meditare e leggere e scrivere; ecco alla fine i provato che il senso comune  ragione e in ci si raccoglie tutta la sostanza di tua dottrina ! Invece, il mondo  sete di novit; e chiede non cosi il vero come l'inaspettato e il fantastico a quegP ingegni in- ventori che s'arbitrano d'insegnare al genere umano in che guisa sia costruita la fabbrica dell' universo. Platone e Aristotile furono poco meno che gittati via tra i vecchiumi appena quel francese fortunatissimo si pose con gran sicumera a promettere agli uomini che egli avrebbe con lo stropicciamento dei dadi e la ma- teria sottile da indi cavatane mostrato il modo pre- ciso col quale furono fatti i mondi e quello che ci sta dentro e cio le piante e gli animali; n dubit con li suoi dadi vertiginosi e la sua materia sottile costruire persino le forme organiche e insegnare una notomia e tisiologia tanto diversa dal vero, quanto un orvolo dall' uomo. 7.  Ora tu di cotesta sorta di novit e di ardimenti non i vestigio ; ed anzi tu presumi in filosofia di po- ter ripetere con sincerit il detto di Newton hypotheses non fingo, che  il detto medesimo stato pronunziato da Galileo mezzo secolo prima. Smetti dunque ogni fidu- , bene pu rivestire a mano a mano aspetti infiniti, nien- tedimeno in ciascuna forma particolare, colto che sia j . e delineato l'archetipo suo rispettivo, tu di pensare che / J ufi non v' salita al migliore e al diverso; avvegna prin-i cipalmente che in quell'archetipo  la intenzione me- desima della natura e quindi v' l'assoluto di l dal quale non pu cercarsi e ritrovarsi che il falso. ^ Ma il vero non imbattendosi nei limiti della materia " come ci  forza che accada alla bellezza figurativa, ri- t/ . ,- ,/ sulta infinito e nelle parti e nel tutto. Il perch nel- l'uomo  naturale quanto legittimo voler sempre salire alla novit nello studio del vero. Ma tal novit, bada qui bene al nostro concetto, debb' essere rintracciata nella ascendente perfezione e dee risplendere dentro una sintesi ognora pii larga e feconda tuttoch uguale e coerente a s stessa ne' suoi principj e ne' suoi svi- luppi. 12.  Dopo ci, considera che quel proverbio che dice, ^ vox populi^ vox Dei non  valore solamente nei ne-  ./- .* gozj civili e politici ma serba la certezza sua eziandio \ *' nella scienza. Per fermo, se tu avviserai la riposta . saggezza dei parlari antichissimi nel modo che il Vico  insegnava a noi Italiani segnatamente, conoscerai che mentre i Latini non avrebbero mai asserito essere r uomo partecipe di volont od anche del pensiero o della libert, perch in essi atti  troppo manifesta 10 LIBRO PRIMO. r attivit nostra, ei dissero invece che noi siamo par- tecipi di ragione, dichiarando con questo che la ragione non  punto opera nostra, ma  divina rivelazione. Che qualora tu ti rammemori dei lavoro dello spirito intorno alle idee e come guardando nei loro concetti e nell*^ loro attinenze, noi componiamo i giudicj ed i raziocini e tutto questo nel fatto sia opera umana, io ti verr altres ricordando che di tutto quel cumulo di ope- I razioni mentali, parte risulta dalla riflessione varia / fluttuante e meditativa del filosofo, parte  comune ad ogni sorta d' ingegni in quanto la forma stessa innata delle facolt nostre mena quelli necessariamente e con metodo uguale a riconoscere e persuadersi di certo no- vero di supreme verit. Cos V uomo partecipa alla di- vina ragione, in quanto  dotato della visione delle idee e imita come pu per felice istinto il divino discorso 0 l'eterno Verbo che tu il domandi. Conosci da ci essere verissimo che il senso comune  voce di popolo e similmente  voce di Dio. 13.  Per quando la filosofia con isforzo inaudito del meditare e dimostrare perviene per le sue vie al ri- sultamento medesimo cui giunge di balzo la mente del popolo mediante certa divinazione arcana e pas-  discorrono assai volentieri dell'azione reciproca delle sostanze, egli si pu sfidarli alla prova del dar ra* gione sufficiente delle cause esteriori operanti in noi con violenza, di qualit che l'anima ncstra vi rilutta ^ con ogni forza e con fatica angosciosa e infruttifera. Strana cosa, davvero, che 1' ente uno ed universale voglia patire la propria azione e continuamente addo- lorarsi e straziarsi. IV. . 30.  Raccogliendo le cose discorse, abbiamo che la * causa  latamente sinonimo di sostanza attiva, sinonimo di potenza e di forza, la quale se opera,  attuale; se non opera,  virtuale. E quando non esce dal proprio 20 LIBRO PRIMO. essere piglia (si disse) nome di formale; quando esce, di .efficiente. Ed  formale ed efficiente nei tempo stesso quando per ispiegare T efficacia sua al di fuori in al- cun subbietto esteriore  d'uopo di passare innanzi dentro di s dallo stato virtuale alP attuale e sussi- stente. ^ ' 31.  Vollero alcuni dialettici cbe qualcosa tramez- zasse fra la potenza e V atto e la chiamarono conato. Noi non conosciamo il conato se non l dove Teifetto o vogliam dire V esplicazione deir atto  impedita eate- riormente o per lo manco ne  impedita la manifesta- zione sensibile; come Tatto di gravitazione  sempre in conato ne' corpi cui  impedito da altre forze di ^ cadere verso il centro. Ogni rimanente  sottigliezza ^^ed equivoco di parole. jj 32.  La causa trae sempre qualche cosa dal nulla, 'eziandio se produce da tutta l'eternit. Perch, dove la causa non operasse, l'efipetto non sarebbe in nes- suna maniera, ovvero uscirebbe dal nulla senza ca- gione. E sia pure preesistefnte la facolt, ovvero la materia, l'esplicazione dell'atto nell'un caso e la forma determ inata nell' altro saranno esse dedotte dal nulla. Se entrambe poi esistevano, il modo, l' accidente o che altro viene causato escir parimenti dal nulla. Pe- rocch se tutto debbo preesistere e nulla cosa  pro- dotta, non v'  pi causazione, ovvero la causazione stessa diventa impossibile, come sembr affermare la scuola Eleate. Produrre adunque alcuna cosa vuol dire condurla dal non essere all' essere. E appunto perch la causa  creatrice e l'atto onde qualunque essere od anche qualunque modo di essere esce dal nulla  misterioso, noi non avremo mai concetto chiaro e ana- litico della nozione di causa, e intendo causa propria- mente efficace. DEL FINITO IN S. 21 33.  Menare, per altro, una cosa dal non essere air essere, nchiude, chi ben guarda, nna potenza infi- nila; perch  infinito V abisso che separa Pente dal nulla. Ogni specie adunque di causazione o sostanziale o modale che sia, opera in virt d'una potenza infinita.^ 34.  Di qui si traggo che una sola causa sussista nelFuniverso a cui tal nome compete veramente e asso- lutamente ; perch due infiniti di potenza sono impos- sibili, e questa causa prima ed ultima  Dio. 35.  Da ci rampolla (e sia qui detto per transito) una dimostrazione assai rigorosa e poco avvertita cos dell' esistenza di Dio come del principio di causa. La quale dimostrazione appena vuoisi affermare che pro- ceda a posteriori, bastando a costituirla qualunque atto del pensiero. E per lo certo, si noti il legamento delle infrascritte proposizioni. Io penso, dunque esisto. Tal mia conclusione  un secondo pensiero diverso dal pri- mo ; io esisto, adunque, mutando. Ma ogni mutamento o sostanziale o modale  una nuova esistenza ; ed ogni si fatta ricerca un potere il quale la tragga dal non essere all' essere; e perch dall'uno all'altro corre in- tervallo infinito, lo pu solo riempiere una potenza infinita. Va dunque l'infinito che crea e determina tutte le esistenze nuove e fornisce altres al pensiero la facolt di mutarsi. 36.  Impertanto, dopo Dio tutte le altre cause "^ sono per partecipazione e si domandano cause seconde. Nel vero, se pu esistere il finito possono ezian- dio esistere le cause finite o seconde; e se esiste una sola causa assoluta, non perci non possono esistere cause relative e cio a dire partecipi di virt effettrice.^ 37.  Ma v'  chi sostiene che il mondo creato  in- finito ed  intrnseco alla sua cagione.  prova il primo 22 LIBRO PRIMO. enunciato con questo, che da causa infinita' pu solo provenire effetto infinito. T, i*vt[ n^ r 38.  Al che si obbietta col presente dilemma ; o le ^ ss^/^i^ cose create sono consustanziali con Dio o non sono. Chi afferma il primo, cade nel gran paradosso dMm- medesimare il finito coir infinito; poich T esperienza ci prova che nel mondo  il finito. Chi afferma il se- condo e tuttavolta sostiene la infinitudine della crea- zione, ammette due infiniti T uno fuori dell' altro ; e poich r uno debbe all' altro mancare, ei sono finiti ambedue. N si scampa dal dilemma dicendo con Hegel la cagione e l'effetto essere a un dipresso identici; espressione, che torna a ripetere, sotto diverso sem- biante, il gran paradosso della parit dell'ente e del nulla. Ma in realt cagione ed effetto differiscono tanto quanto il finito dall' infinito. Conciossiach questa  vera e assoluta cagione, come vero effetto  1' universo creato. N giover di vantaggio il pronunziare insieme col Bruno o con altri pi moderni che l'effetto dimora nella cagione come l' atto nella potenza, ovvero che la cagione infinita ed implicata diventa esplicita uell' ef- , ietto pur rimanendo uguale a s stessa. Cotesto ambi- f gue parole di atto e potenjsa e di estrinseco e intrin- , seco anno corto dominio laddove si ragiona schietto e preciso. 39.  Quando l' effetto non trapassi per niente fuori della sostanza divina, la risposta fu gi espressa e chia- rita pili d' una volta. Quando trapassi al di fuori, r effetto non  spiegamento ed emanazione, ma crea- zione reale dal nulla. Quindi la potenza rimanendo scissa dall' atto, e l' implicazione dalla esplicazione, la causa non pi possiede l' infinito determinato nel pro- prio effetto e quindi  incompiuta e manchevole. j r Adunque, dicendosi che da cagione infinita pu DEL FINITQ IN S. 23 solo uscire effetto infinito, ei si fa impossibile al tutto la creazione e si nega la esperienza la quale atte- sta invittamente a ciascuno che il finito esiste. E sia questo un mero fenomeno; ci non lo confonde col nulla. V  nella natura serie e specie di modi, serie e specie di affezioni, atti e accidenti che si succedono e passano e dei quali si pu aver il numero, la quantit e la misura. Ma la quantit e il numero sono sempre limitati e per nessuno sforzo e nessun miracolo si con- vertono neir infinito, ed anzi  provato evidentemente che ci racchiude una logica ripugnanza. ^ 40.  D' altra parte, V efficienza infinita mostrasi tale eziandio nell' effetto, in quanto tragge le cose dal nulla. Cavarne un granello di sabbia od un infinito  sotto questo rispetto un medesimo. Altrettanta potenza infinita vi vuole a conservare la creazione in ciascun attimo di tempo, altrettanta a partecipare agli enti finiti alcun grado di causale efficacia. 41.  Da ultimo, ci che davvero riuscirebbe defi- ciente e per non divino e non infinito nella virt crea- trice, sarebbe se la natura non diventasse tutto quello che mai pu essere a rispetto del fine ; il che non fu mai dimostrato da alcuno ed anzi fu dimostrato il fontrario, e noi ne terremo speciale e lungo ragiona- mento. 42.  Giordano Bruno aiuta vasi di provare con venti diversi argomenti la infinit del mondo. Ma prima avrebbe dovuto liberar la sua tesi dalla logica impos- \ sibilila che racchiude ; e intendesi che gli conveniva \ mostrare la compossibilit di due infiniti, V uno dei quali  fornito di tutte le perfezioni e ci non ostante ueir altro  certa positiva infinit che vuol dire per- fezione. Poi gli conveniva mostrare come una serie di finiti pu costituir l' infinito, e il sempre manchevole 24 LIBRO PRIMO. costituire il perfettamente compiuto. N solveremo il Bruno da tali contraddizioni ripetendo quello che abbiamo test ricordato e combattuto e cio ch'egli concepisce in fondo un solo infinito distinto per altro in potenza ed in atto ; la natura naturante essere una infinita facolt o virtualit; la natura naturata, un atto infinito. Ma oltre alle ragioni esposte qua poco addietro, subito ricorre alla mente la contraddi- zione manifesta di chiamare facolt o potenza ci che dee permanere mai sempre in atto ; ed  un voler fare a forza certa distinzione e certo separamento dove non pu sussistere. La distinzione tra facolt ed atto  luogo unicamente (chi non lo sa?) nelle cose finite dove del sicuro l' atto non sempre accompagnasi alla facolt, e dove 1' atto  pur sempre una esplicazione di lei; e come altri disse  un atto secondo o perfetto a riscon- tro della facolt che  un atto primo e iniziale. Certo nella natura, parlandosi al modo di Bruno, le mani- festazioni dell' atto assolutissimo sono diverse e succes- sive. Ma se queste sono altrettanti atti separati, 1' As- soluto  composto e finito; se escono da un solo infi- / nito atto, riviene l'opposizione qui innanzi toccata. Per tale rispetto, il sistema dello Schelling e quello del- l' Hegel tornano nella sostanza un medesimo col si- / stema del Bruno; tutti tre fondamentano il loro edificio % sopra una distinzione assai positiva di potenza e di atto che  impossibile nell' Assoluto. 43.  Quindi si badi che in fondo upa sola e per- petua  la questione la qual pende fra noi e costoro. Noi concepiamo ed asseveriamo un vero infinito ed una pienezza intera ed assoluta di essere; quelli un infinito che vassi facendo e compiendo, e cio qual cosa di ri- ^ pugnante con la germana definizione del concetto e col ^valore del vocabolo. DEL FINITO IN S. 25 V. 44.  Le cagioni seconde come sono tali per sem-^ plice partecipa/ione cosi non possono contenere una effi- cacia diversa o maggiore di quella che  loro infusa originalmente e la quale costituisce la loro essenza. Di quindi gli assiomi che valgono solo per V or- dine delle cagioni di cui parliamo; e i principali sono: Che nelle cause formali l'efiFetto esser non pu dif- ferente di natura e di essenza ; e nelle cause efficienti che il tutto diverso non opera sul tutto diverso: Che l'efiFetto non pu superare di quantit ne di qualit la cagione, come non pu essere minore e in- feriore, se parte dell'efficienza causale non  impedita: e? /^^^nr Che se l' essere della cagione  meramente facolta- tivo o potenziale che voglia dirsi, il principio il quale determina la facolt o la potenzialit all' atto non  insidente nell' essere stesso, ma gli viene dal di fuori : Che ogni atto  ricevuto secondo il modo del ri- cevente. Vi sono altre massime pi agevolmente apprensi- bili, derivandole per egual maniera da ci che doman- deremmo la proporzione delle cause con gli effetti, e delle cause in fra loro. 45.  Ripetiamo poi che tutte le cagioni seconde si , adunano nei due grandi ordini delle formali e delle effi- cienti od efficaci che le si chiamino. Nelle prime mi sem- bra di non ravrisare distinzione di genere sebbene si di- stinguono per la natura dell' atto. Conciossiach la ca- gione formale talvolta opera spiegando la facolt e attuando la potenza ; talaltra, ricevendo l' azione este- riore nel modo determinato e speciale della propria indole; dacch in quanto l'estrinseco atto  ricevuta 26 LIBRO PRIMO. cosi o cosi la sostanza passiva opera in s medesima ed  cagione formale. 46.  Invece, noi giudichiamo che delle cagioni effi- cienti sieno da notare se non tre generi diversi, certo tre gradi molto distinti, e sono l'efficienza fattiva, la pro- vocativa e r occasionale. Do il primo nome a quelle t cagioni che modificano direttamente e profondamente \ un subbietto per la insinuazione del proprio atto. Per centra, do il secondo nome alle cagioni efficienti, le quali, meglio che imprimere in altri la virt propria /particolare, suscitano nel subbietto passivo alcuna po- tenza latente ovvero alcuna mutazione nelle qualit e maniere attuali. In fine, cotesta provocazione pu tanto scostarsi dalla natura della sostanza da onde muove che meriti nome di pura virt occasionale. 47.  Ma d'altra parte cotesti tre gradi o sorte di ^ azione efficace si mescolano di leggieri insieme, ed i loro /Confini a mala pena si discernono. Anzi tratto si pu di- . sputare se v'  mai cagione propriamente fattiva e non sieno in quel cambio tutte cagioni provocative. Per fermo, se ogni mutazione nel mondo fisico accompa- gnasi col movimento e questo  promosso e non gi trasfuso, tutte le cagioni fisiche, quando pure sieno fat- tive, riescono altres provocative ed occasionali. Queste ultime poi alterasi mostrano nelFessere proprio, quando n provocano n modificano ma tolgono V impedimento a qualche azione diretta; ovvero, sebbene cooperano a qualche effetto notabile, lo fanno per solo accidente e per caso o con atto remotissimo dalle ultime effettua- zioni e troppo da loro sproporzionato. 48.  L' esperienza induce chiarezza, precisione e mi- sura in tutte queste gradazioni; invece, la speculativa giunge a mala pena a riconoscere alcun che di assoluto, per la ragione che quanto  certo l' operare delle cause DEL FINITO IN S. 27 efficaci altrettanto  oscuro il lor modo di penetrare le sostanze e modificarle. Nondimeno,  lecito di affermare nel generale che tra essenze omogenee interviene un'azio- ne fattiva e fra le meno ed anche eterogenee quasi al tutto succede V azione provocativa e l' occasionale. J 49.  L' oscuro modo di operare delle cagioni pro- veniente dal fondo ignoto ed inconoscihile delle sostan- ze, dette agio agli scettici di negare a dirittura l'ef- ficienza delle cagioni. La contesa ci appare quetata ed ; estinta per sempre, argomentando dai fatti e conclu-  dendo in una cognizione, certa, sebbene di forma, spe- rimentale. Nel nostro agire e patire e nelle intuizioni che sempre lo seguono  dimostrato con evidenza che noi siamo causa formale e causa efficiente e che a vi- cenda il nostro corpo e le forze ambienti sono causa efficiente sull'animo nostro, senza distinguere ora la sorta e il grado della loro virt effettrice. 50.  Ma volendosi intorno al proposito ragionare a priori e con ordine deduttivo, credo che dovremo ri- strngere ogni conclusione in questi pochi pronunziati. 51.  Esservi una potenza infinita determinatrice di ogni finito; e per esservi una cagione suprema ef- fettrice dell' universo. Il perch quando anche si po- tesser negare tutte le cause seconde, sarebbe necessit riconoscere una causa efficiente perenne ed universale per tutte le sussistenze finite e per ogni lor mutamento. 52.  Nessuna delle condizioni e limitazioni che debbonsi attribuire alle cagioni seconde, qualora esi- stano, conviee di assegnare alla efficienza infinita, a ; cui sono possibili tutte le sorte di relazione causale fra lei ed il mondo, salvo quelle che implicano ripugnanza logica manifesta. Per l'Assoluto potr effettuare ad extra il simile quanto il diverso; ed anzi il creato avr del sicuro essenza diversa da lui. 28 LIBRO PRIMO. 53.  E cotesta  dottrina teistica. Invece nel panteismo, in quella maniera che poco o nulla si pu' concepire la causa operante fuori di s, del pari non vi s' intende com' ella efiFettui ancora il diverso da s ; in fatto, nel sistema della sostanza una ed insepara- bile ogni mutazione debbe da ultimo essere un atto e un modo di quella sostanza. Ora, chi pu farsi capace di questo che il modo e 1' atto non sieno d' una es- senza e d'una natura col subbietto e l'agente? 54.  Dicemmo, ed or confermiamo, poter esistere le cause seconde e cio alcuna specie e grado di ef- ficienza partecipata. 55.  Atteso poi che ogni sostanza per operare al di fuori conviene sia fornita di attivit e questa di- mora in due stati diversi, e vale a dire in implicazione di potenza, ovvero in esplicazione; seguita che ogni causa efficiente sia innanzi tratto causa formale entro s medesima. 56.  Da ultimo, considerando che la creazione esce dall' assoluta bont di Dio, e che per ella dee contenere tanto bene quanto il finito ne sia capevole, deesi giudicare che, merc d' una meditazione intensa e rigorosa sulla dispensazione divina del bene, la mente  facolt di costituire la certezza scientifica della esi- stenza delle cause seconde e ben definire i modi es- senziali d'ogni loro operato; il che appunto procaccer d' indagare e fermare la nostra cosmologia ; fondan- dosi precipuamente su quel gran vero che la sola e mera passivit nelle cose non  nettampoco apprensi-* bile e che il bene risolvesi in attivit essenziale e per- manente. Questo poco  lecito di argomentare intorno ^alla categoria delle cause per sola virtii discorsiva. I 57.  Altre analisi pi minute della materia sono ) da lasciare ai grammatici e ai logici, nelle cui distin* DEL FINITO IN S. 29 zioni, per altro, incontrasi le pi volte una chiarezza ^ apparente ed  mantenuta V occasione di molti dubj  e la noia dell' ambiguit. N credere, per via d'esem- % pio, che dopo studiate le trattazioni loro tu avrai netta dentro al pensiero V idea della causa generale e della particolare, ovvero V idea d' una efficienza che opera sostanzialmente e d' altra che opera per accidente. 58.  Sul che diremo pur di passata essere generali (come suona il nome) le cause che operano in tutto un genere e nel comune delle cose, laddove sono par- ticolari quelle che operano nelle specie e nel proprio. Le prime appariscono in ogni atto del genere e per sono continue. Le altre o sono discontinue e appari- scono qua e col; ovvero, se operano sempre, non di- morano in tutte le specie. Fondamento delle prime  la identit, la diversit delle seconde. In ogni cosa y' il mutabile e T immutabile. Nel primo sono gli accidenti, nel secondo sono le essenze. Gli atti del primo sono cause accidentali, gli atti dell'altro sono cause sostanziali. E perch il mutabile e l'immutabile anno spesso del relativo, cos le cagioni cambiano non rade volte il nome di sostanziale e d'accidentale; e perch gli accidenti per la^loro incostanza non la- sciano spesso conoscere le cause minute e fuggevoli alle quali appartengono, di tal guisa sono chiamate cause fortuite; sebbene alcuna volta paiono condur seco effetti di suprema importanza, il che avviene per virt occasionale, come pi sopra fu notato. VI. 59.  Le cause finali non esistono nella natura, in quanto le cose sfornite di ragione obbediscono solo alla intrinseca necessit della loro forma. Per ogni 30 LIBRO PRIMO. ycosa d' altro lato  causa finale in quanto  governata /da una perenne mentalit che le coordina, o a dir piii esatto, le preordina ; onde esse cose operando fatalmente /giusta le necessit della propria natura si conformano /a capello all' attuazione del fine. Chi afferma che Dio opera nell' universo creato senza rispetto a fine viene ad affermare ch'egli opera senza ragione; perch la causa propria del diventare delle cose  nella natura di esse, ma la ragione  nel allegamento loro all' ordine od al fine che voglia dirsi. Rimane di chiarire questa idea medesima del fine. 60. ~ Certo, la idea del fine non  applicabile a Dio considerato nella sua eterna e perfetta esistenza; conciossiach V infinito non diventa e non si perfeziona. Del pari, la idea del fine non  applicabile alla na- tura se questa  necessariamente tutto ci che pu essere e non v'  distinzione tra il bene ed il male, in quanto il bene ed il male sono entrambo necessarj, en- trambo debbono venire all' atto sino allo esaurimento ultimo della possibilit assoluta e sono manifestazioni parziali e transitorie di Dio. 61.  Invece la distinzione profonda tra il bene ed il male  cos propria dell'intelletto quanto quella del vero e del falso, dell' essere e del non essere. Ora il bene si converte col fine, e ci che non  bene ed al bene non / serve, usurpa il nome di fine ma tale non  in sostanza. Il fine adunque  il bene conseguibile dell' universo, v'^ Im pertanto per compiere lo intendimento del concetto di fine  bisogno intendere il termine col quale essen- zialmente si converte, io vo' dire il bene. Ci posto, io affermo che il bene assoluto in Dio si conveite con l'essere. Ma nell' Universo creato mescolandosi il male al bene  impossibile convertire quest' ultimo col puro essere. ^ DEL FINITO IN SE. 31:  convertendolo di tal ^uisa  chiaro che non y'  pi modo di distinguere il mezzo dal fine; e se ogni cosa  fine, il fine pi non esiste. 62.  V  dunque nel creato il bene ed il male e' delle cose che conducono al bene ma che il bene non SODO. Da ultimo, egli non si pu concepire il bene in una forma positiva e quindi desiderabile, qualora non sia si- nonimo di beatitudine; e la beatitudine vuol dire la pe- renne coscienza, soddisfazione e armonia di tutte le fa- colt deir ente personale nel colmo deir attivit loro. Tutti gli altri beni sono un vestigio di questo, salvo il bene morale in quanto  legge divina prescrivente l'or- dine secondo il quale V universo creato aggiunge il suo fine, e per  bene assoluto e convertesi con esso Dio legislatore supremo. Oltrech, la beatitudine e il bene morale come eziandio la perfezione dell' essere sono termini i quali da ultimo debbono insieme incontrarsi ed unificarsi; imperocch sotto un rispetto umano e finito r uno  mezzo e V altra  fine, e 1' una  un po- stulato della assoluta ragione dell' altro. 63.  I vecchi panteisti, conseguenti a s stessi, quanto fu loro possibile negarono la distinzione del bene e del male e per negarono le cause finali ed ogni progresso come ogni moralit. I panteisti moderni incoerenti ad ogni tratto con s medesimi pongono Tindefinito sviluppo dell'Assoluto e per l'ordine dei mezzi e dei fini. Vedemmo altrove che le nozioni o idee sono le eterne possibilit delle cose e quindi le loro vere cagioni efficienti. Ma rispetto al pensiere umano e in quanto elle porgono a lui r esemplare di ci che attua nelle opere d' arto e di pratica, torna piii convenevole registrarle nell'or- dine delle cause finali, facendo parte essenziale delle intenzioni dell' uomo. 64.  Le altre condizioni proprie e specificate del 32 LIBRO PBIMO. principio causale nei secondi agenti o vogliam dire nelle cause create e finite, verranno descrtte nel Capo che segue. I cenni dati qui sopra ci paiono convenienti e bastevoli a chiarire e ordinare quanto bisogna il pr* gresso della trattazione. 65.  Malebranche, gran filosofo, conforme fu detto nel Libro quarto dell'ontologia, neg a dirittura le cause seconde per la ragione che nemmanco Dio pu loro fornire V assoluta causalit. Ci prova troppo dav- vero ! E perch potr egli il Signore Iddio partecipare r essere, la bellezza la mentalit ec. e non V efficacia causale? Noi siamo sempre allo stesso discorso. Oltre r infinito pu esistere il finito. Dunque oltre la po- tenza ed efficienza infinit possono esistere gradi e ma- niere finite di efficacia causale; e come Dio  imma- nente nelle sostanze e pure non le immedesima a s, del pari egli  immanente nelle efficienze finite che sono air ultimo non altra cosa che attivit sostanziali. Che se al Malebranche manca ardimento di ricusare air uomo la facolt degl' impotenti desiderj e conati, come non s' avvede che impotenti o no, que' conati e que' desiderj sono cause formali ? Ora, introdotta nella natura in qualunque via e maniera una poca parteci- pazione di causalit,  lecito di supporre una parteci- pazione maggiore e il quanto ci verr discoperto e in- segnato dalla coscienza e dair esperienza. 66.  A rispetto poi del sapere come un atto pe- netra in altro subbietto e lo modifica, concedo che mai non vi perverremo, perch converrebbe avanti disvelare l' ultima essenza delle cose. Quindi tale impossibilit di conoscere non  maggiore intorno le cause che in- torno a tutte le essenze. Chi conoscesse intimamente il subbietto dell' anima, scorgerebbe il perch dell' esser ella fornita di certe facolt e non di certe altre. Perci DEL FINITO IN SE. 23 quando dicesi che nei finiti il diverso non a balia ^ d'operar sul diverso,  ragionevole d'intendere che sono diverse compiutamente due cose della quale Tuna non pu farsi passiva dell' altra, ovvero che non v'  fra loro n somiglianza di natura ne possibile rela- zione di causa e di efiFetto. Quello, pertanto, che " ac--' eettahile nella teorica del Malebranche chiamata occa- sionalismo, si  che noi vfediamo tra esseri, i quali giu- dicheremmo diversi affatto, sussstere una relazione causale e ci non per un atto speciale della potenza di Dio, ma per una originale disposizione e costituzione di quelle sostanze ; il che torna a dire che la diversit loro non va sino al punto di fare impossibile ogni ef- ficacia causale dall' una all' altra. 67.  In mano poi degli occasionalisti il concetto medesimo di causa occasionale si va alterando e fal- sando; dacch significa una relazione di contempora- neit e concomitanza determinata per arbitrio non per necessit delle cose. Nel vero e nel fatto, pur le ca- gioni occasionali operano con necessit intrinseca le- gata e connessa all' estrnseca di tutti gli enti. 68.  Ma nel generale  da dirsi che la categoria di causa fu la peggio trattata in filosofia ; e Aristotele ne parl felicissimamente da logico, scarsamente da metafisico ; e mentre negava a Platone l' intrudersi delle idee nelle essenze effettive, chiamava del pari cause formali le nozioni e il principio attivo e interiore delle cose. Onde per lui le definizioni erano cause ; e dedurre per sillogismi era dimostrare dalle cagioni. N mai sospett che dovesse farsi luogo alla controversia pro- mossa dall' Hume tanti secoli dopo. E se nell'undecime della metafisica discorre delle cagioni con maggiore pro- fondit e le quattro classi riduce a due, sembrami avere egli concluso bene intorno al concetto della ragione Mamufii - H. S 34 LIBRO PRIMO. prima assoluta, ma lasciare incerta e incompiuta la dottrina delle cause seconde. Kant, postosi a rifare, come ognun sa, il libro dei Predicamenti e venuto a parlar della causa, la estenu di maniera che le tolse persino il principio attivo, convertendolo in un concetto appli- cabile a tutte le mutazioni che accadono con qualche legge. CAPO TERZO. AFORISMI DELLA FINIT DELLE COSE. Aforismo I. 69.  Ora seguono gli aforismi annunciati pi so- pra intorno alla condizione e natura della finit in s medesima considerata. E primo nelP ordine dialettico viene l'infrascritto. r II finito in quanto tale si diversifica necessariamente dair infinito. E se questo  l' uno, l' altro  il molte- plice. Quindi il finito per se opponesi altres all' unione e va diviso e disgregato. 70.  Del pari, non  omogeneo, ma eterogeneo e diverso. Perocch l' unione e la somiglianza contiene certa effigie di unit. Non  ordinato, concorde ed ar- monico, ma confuso e discorde per la ragione medesima che la concordia e 1' armonia, e per M ordine inchiuso in entrambe, s'accostano all'unit ed anzi sono certa ^ unit relativa. Oltrech l'ordine e l'armonia dovun- que appariscono fanno forza al pensiero di ricouo- /Scere quivi entro certa mentalit e certa intenzione finale. Mentre nelle cose contingenti a s medesime abbandonate si dee concepire o la immobilit o il tu- DEL FINITO IN S. 35 multo; e quando nella immobilit si scorgesse qualche ordine, sarebbe per accidente e senza alcuna razionalit. Perci se nella creazione tu scorgi spesso l' omogeneit, la somiglianza, la concordia e cos seguita, non di guari attribuirle al finito siccome tale ed a ci che no proviene immediatamente, ma s ad un altro principio che  necessario di riconoscere, onde sia possibile di spiegare e d' intendere la natura. 71.  N si obbietti che l' uno pu molto bene sus- sistere nel finito salvo che non ci pu stare perfetto e senza limitazioni. Conciossiach l'unit  per se mede- 1 sima qualche cosa di assoluto, ed  carattere eminente deir Infinito ; talch uno e infinito sono termini che si convertono. Adunque il finito siccome tale aver dee il carattere della moltiplicit. E se tu fingi che esista un solo finito e quindi non altro che certa unit relativa e finita, certo ch'ella rimane smisuratamente indietro dalla possibilit del finito, il quale pu essere ripetuto innumerevoli volte e cio a dire che pu sussistere come moltiplicazione e reiterazione. Perch quell'uno finito che pure i finto cosi solitario sar molteplice nelle mutazioni de' suoi fenomeni o negli atti di lui necessariamente suc- cessivi o nelle stesse qualit che s'aggiunge e s'ap- propria 0 per ultimo nella possibilit di venir replicato. 72.  Il simile discorso torna per le diversit. Con- ciossiach se tu le sopprimi, tu abolisci quasi tutta la creazione; e se tu le ammetti e le vuoi sussistenti, le dovrai disgregare ; perch 1' uno e il diverso per s me- desimi si respingono. 73.  Qui si vede quanto errano coloro i quali danno al mondo per primo ed essenziale carattere la 36 LIBRO PRIMO. unit, e coloro che vi cercano certa causa prima e sem- plice e conosciuta la quale (dissero gli enciclopedisti) l'intero universo sarebbe spiegato. Intanto la scienza che ancora bambina sperava di risolvere tutto il creato corporeo in quattro soli elementi ne confessa oggi ol> tre a cinquantasei, non contando g' imponderabili. 74.  Cosi pure incontra che appena stimiamo di avere raggiunta certa unit di causa e con essa ci poniamo a render ragione d'innumerevole variet di fenomeni, insorge la difficolt di spiegare il perch delle difiFerenze. Tu afiFermi, per via d' esempio, che i quattro fluidi imponderabili sono uno soltanto. Tro- vami adunque il principio della diversit in ciascuno per se e in ciascuno a rispetto degli altri. 75.  Hegel aggiusta ogni cosa ponendo il contra- rio e il diverso ed anzi la stessa contraddizione nell'Uno. Ma ci sta bene pel solo Hegel il qual disconobbe sem- pre il vero e positivo infinito e quindi sempre laver unit. / Fu eziandio presunto e cercato nella grande sfera / mondiale un centro. Ma esso disparve pi sempre quanto la osservazione nostra venne armata di poderosi stru- menti. 76.  Ne si opponga che i fisici anno mille volte presentita e scoperta la unit e semplicit delle cause; e che rimovendosi questa divinazione dell'uno nel vario e del semplice nel composto, le scienze naturali cadono in confusione e diventano ci che furono lungo tempo, ^ un elenco vale a dire di fatti e fenomeni sdrusciti e scon- / nessi. Noi pi tardi considereremo questa maraviglia in- essante dell'uno e del semplice, apparente in mezzo alle >j) e con Platone Tanima una del mondo, ovvero cercano nel tutto visibile qualcosa di pi vivente e di pi sostanziale che la cospi- razione coordinata delle parti all'effettuazione progres- siva dei fini eccelsi di creazione ; e di l dal visibile . non credono ad altri mondi alieni da noi ed affatto esclusi da quella unit che possono attingere in qualche grado mediante la nostra geometria e la nostra fisica. Ma di questo si parler meglio pi tardi. Giova poi di osser- vare (e altrove se ne far alcuna parola) che l' anima del mondo descritta dal Timeo pu essere interpretata sanamente, perch forse nel concetto di Platone quel- la anima  la idea del mondo, e cio la eterna efficienza e la eterna mentalit che regge ed anima la natura tutta quanta e di cui mostreremo in fra breve potersi anzi doversi dire che vive immanente in essa natura. 40 LIBRO PRIMO. C. 84.  Il sistema dell'Hegel d air infinito le limi- tazioni del finito e a questo il potersi mutare nel suo contrario. Ma se taluno andasse pensando di applicare cotali concetti alla ^ola natura o (parlandosi col dizio- nario hegeliano) al solo diventare, potrebbeglisi consen- tire ? Non gi, perch colui ne formerebbe certa entit universale e universalmente feconda che non pu esistere. AroBisMo IV. ^ 85.  Discende per altro dal sopradetto che sono ipipossibili solamente le nature universali attive (v perfette. Ma quelle che fossero universale sostegno di modi sempre finiti e costituenti con esse una entit inferiore e valessero come un limite ed una negazione* allato air universale vero e perfetto ? Affermo che in simili universali non giace veruna con tradizione logi- ca ; e penso ve ne sia forse un esempio nel subbietto dello spazio che  una virtuale ed universale capacit ^d' indefinite estensioni. Ma di ci si discorse altrove. 86.  Se non che un subbietto universale e cio infinito pu egli essere negativo? 0 possiamo concepire un che positivo il quale torni ad imperfezione assoluta  introducendolo nell'infinito? Certo sarebbe tale un sub- bietto uni vereale (quando esister potesse) di tutte le cose deformi ossia se fessevi il brutto universale effettivo come altri va pensando del bello; il simile si dica se tutte sorte di mali fossero un che positivo e congiunto e si risolvessero sostanzialmente in vera unit. La natura finita, appunto perch finita, incontra certe condizioni e opera certi atti che sono contrarj alla perfezione seb- DEL FINITO IN SE. 41 bene sieno positivi e in mera negazione non si conver- tano. Il dolore, per esempio, non  mera negazione ; ma  un positivo che parte si concorda con l'ordine e parte proviene dalla iinit delle cose. Del pari, il mal mo* rale non  semplice negazione tuttoch provenga fon- talmente da negazione; imperocch, sarebbe impossibile in ogni maniera, se gli enti morali avessero cognizione perfetta deir infinita verit sapienza e bont. Il sentire in generale  cosa ben positiva ma del sicuro non  in Dio. 87.  A quell'assoluta asserzione adunque di pa- recchi metafisici che tutto il positivo della creazione e dell' uomo esiste infinitamente in Dio, conviene apporre la distinzione tra il positivo che convertesi con una perfezione e V altro che  cagionato fontalmente da qualche condizione d' insufiicienza e di finit. Le quali conclusioni si ragguagliano esattamente con quelle del primo e secondo Libro della nostra ontologia. 88.  Ora, seguiterebbe forse il considerare se nella virt estensiva, o nello spazio in potenza che altri lo chiami, dimora mai un universale che possa stare nel- l'Assoluto, e vogliam dire se in quella virtii di esten- sione giace un positivo che sia perfezione; o per lo contrario, debba venir registrato fra le esistenze le quali procedono dall' assoluta finit delle cose. Ma questo venne trattato da noi largamente in altra scrittura.^ 89.  Pel rimanente, dal non potersi negare un subbietto infinito di spazio e cio capace d' un inde- * Appeadice I. 42 LIBRO PRIMO. finito numero di estensioni particolari dovrebbesi ri- trarre senza dubitazione che il subbietto delle esten- sioni  un positivo che in ninna guisa  convertibile in una perfezione divina. Gonciossiach il nudo e maro capiinento, sfornito di attivit, non  perfezione e non pu diventare mai tale con V aumentazione infinita o superlazione che s'abbia a dire. Laonde il concetto pi confacente a cogliere la natura della immensit di Dio consiste, per nostro avviso, nel figurarci la onnipotenza e la ubiquit, per cos chiamarla, dell' atto creativo. 90.  Ad ogni modo, per dissipare qualunque dub- biet e qualunque pericolo di riuscire a dottrine incoe- renti, giova di aflfermare che quando la virt estensiva abbia in s alcun principio perfettivo, ella del sicuro non  infinita, e se diventa capace d'ogni indefinito numero di estensioni, ci le avviene per infusione rin- novatale perpetuamenle dall' atto creativo. a ^ 91.  Questo negare a dirittura gli universali nella creazione e non far luogo che ai soli particolari, con- tradicendo opinioni inveteratissime debbe offendere molti ingegni e dispiacere ai moltissimi partigiani delle cosmologie animate ed organiche, i quali recitando di gusto quel virgiliano spiritiis intus alit et tota se cor- pore miscet non cercano guari pi l e scambiano la scienza col lor sentimento. Nondimeno confidiamo che a poco a poco si ve^r la necessit e certezza dei no- stri pronunziati. E d'altra parte, crediamo ogni ge- nerazione di fisici starsene dal nostro lato e ripetere in coro che nel creato visibile non sussistono salvo che i singoli esseri perfettamente individuati. Il concetto delle specie e dei generi oltre all'insegnare intorno DEL FINITO IN S. 43 alle cose quello che  sostanziale od accidentale e la maggiore o minore larghezza e profondit dell'opera delle cagioni piii dififuse e frequenti, rivela eziandio la realit d' infinito numero di attinenze col nostro spirito e con le possibilit eterne. Il che sia detto per coloro i quali reputassero la nostra teorica troppo in ci dissomigliai! te dalla platonica. Del divario poi tra il positivo della specie e il positivo dei generi si parler in altro luogo. Aforismo V. 92.  Le precedenti proposizioni esprimono del finito ci che dobbiamo considerare come una aliena- zione da Do e una confusione e discrepanza intestina . del Caos. E V attuazione di tutti i possibili se dee co- minciare dal meno e salire per grado a maggiore acqui- sto di essere, principier del sicuro da una specie in- - fima di sussistenze in cui le angustie del finito sieno . le pi appariscenti, e cotale  la materia. Ma questo co- . minciamento debbe venir contemplato piuttosto in senso logico di quello che in cronologico. A ninna sostanza originale ed elementare pu dar nascimento un'altra sostanza. Quindi escono tutte immediatamente dal- l' atto creativo. Nondimeno vi escono giusta 1' ordine di Convenienza, conforme verr spiegato nel Libro secondo. 93.  Nella stessa materia, per altro, v'  diversit e gradazione di essere. Conciossiach i metalloidi sono al certo superiori di attributi a molti metalli e l'ossigeno primeggia senza paragone fra i metalloidi medesimi. Oltrech, si pu immaginare alcuna cosa pi bassa e 44 LIBRO PRIMO. pi limitata d' ogni metallo ; ma V esperienza non ci consente di conoscere n cosa pi alta dell' uomo n pi infima delle basi metalliche. Aforismo VL 94. Pure bisogna che il particolare, il diviso, il  zioni affermiamo, che questo dipendere continuo dal- l' esterno e cercare la dilatazione o dell' essere o del- l' efficacia propria mediante la congiunzione coi simili e la partecipazione dei diversi; questo incessante biso- gno di rinvenire e coordinare i mezzi gli strumenti e gli aiuti al conseguimento parziale del fine ; questo dovere ad ogni tratto superare gli opposti ; e da ultimo, nel modo che verr significato piii avanti, questo dover procedere sempre con grado e misura e alternando lo scomporre al comporre e i decrementi agli incrementi e resistendo ai conati gagliardi e assidui delle potenze distruggitive, fa e mantiene lo stato generale e perpetuo della na- tura materiale ed organica, e ci domandiamo con pro- priet di vocabolo il suo diventare. Espressione esatta, (vuoisi ripeterlo ancora) nella sola natura; e cos l' in- tendeva Aristotele laddove scrisse : tra V essere e il non essere trameBea pur sempre la generazione, come ira Venie e il non enie ci che va generandosi,^ Ma il di- ventare medesimo quale V abbiamo descritto, riesce fat- tibile in virt d' un principio superiore e diverso dalla natura, com^  proposito nostro di venir dimostrando, j Mela/itien, libro II, cap. 3. f \ 58 LIBRO PRIMO. 122.  A ogni modo, vedesi per ciascheduno quanto / tutto ci differisca dalla teorica la gu_ale spstiene che non pure la diversit e l' opposizione, ma la ripugnanza compiuta dei termini  intrinseca all'ente ; e che il sem- pre diventare e mutare dell'assoluta esistenza esce per intero da questo scorrere essa uniformemente per V arco d' una eterna cicloide varcando e tornando infinite volte sotto diverso sembiante dall' essere al nulla ovvero dal- l'essere in s all'essere in altro. Di guisa che le necessit ^ invincibili le quali rampollano dalle viscere del finito e ^ lo violentano a guadagnar l' essere con fatica e lentezza t e ognora imperfettamente ne gli consentono di muover I piede salvo che tra forze contrarie e mediante un con- ^ ftitto durissimo e interminabile, cotesto necessit, dico, delle finite e caduche esistenze vengono invece attribuite alla sopraeminente natura di Dio, il quale non conosce contrari n opposti, non sostiene trapassi n alienazioni e in cui il diventare, qual che si fosse, varrebbe il di- scendere nella impotenza e nella caducit. Lo Schelling pens a far precipitare dal cielo empireo certo numero d'idee. Ma presso Hegel la divinit intera rxiit ad in- teritum. CAPO QUARTO. dell'azione dei finiti. Afobismo I. 123.  Le proposizioni tutte quante, per altro, le quali escono dal supposto del legamento dei finiti in fra loro, mediante la congiunzione, e intendesi dire me- DEL FINITO IN SE. 59 diante ci che intramezza fra la identit e la separa- zione, inchiudono la possibilit, anzi il fatto dell' azione e passione reciproca ; essendo che il solo combacia- mento delle sostanze sfornito d'ogni atto reciproco, qnando pure non si riconosca impossibile, lascia del sicuro i snbbietti contigui, per cos chiamarli, nell' iner- zia ed inefficacia anteriore. Ma intorno a ci non avendo noi pronunziato nulla di rigoroso e apodittico, facciaitio luogo a questo aforismo ed ai susseguenti ripigliando il filo delle deduzioni l dove fu stabilita la necessit per le cose create d' un subbietto onninamente impar- tibile e semplice {Afor. V e VI). 124.  Posto che il semplice e l'impartibile costi- tuisca r ultimo fondo dell' ente finito, segue che ogni ente finito in questa sua forma non capace di divi- sione  pure non capace di mutazione ; e che mutare per lui varrebbe quanto annullarsi. Per fermo, l'ente rimane integro non ostante le mutazioni, ognora che lueste sieno atti, modi e accidenti di quello. Ma il subbietto concreto ed ultimo che non racchiude alcuna composizione e non  nulla di pi occulto e di pi intrinseco e tutto consiste in certa forma peculiare e immediata di essere, debbe o rimanersi qual , o la mutazione reca un altro essere in luogo suo. Del si- curo A quantit incomposta non mutasi in B senza cessare di essere A. Quindi mal si direbbe ch'egli  mutato ; ma parlandosi con rigore dovrebbe esser detto che r ente B  succeduto all' Ente A. A. 125.  Hegel a ci non pensava, quando dalla no- zione pura dell' ente e del nulla (elementi semplicis- simi) volea ritrarre una mutazione che fosse il diven- 60 L[BRO PRIMO. tare di quelli. Ma ci era invece una evidente surro- gazione. Il diventare o significa il suo contrario ov- vero implica di necessit una permanenza di essere anteriore alle mutazioni e poi simultanea con esse. Quindi r essere astratto e puro e tanto indeterminato da pareggiarlo e scambiarlo col nulla non pu diven- tare nessuna cosa; stantech conviengli per ci esi- stere innanzi del diventare ed esistere identicamente cos nella forma anteriore siccome in quella che in- duce le mutazioni e per cui pu essere detto eh' egli diventa. E nemman'co si pu qui pensare all'antece- denza d'un ente possibile o di qualsivoglia astratta virtualit. Perocch 1' ente puro e iniziale dell' Hegel  appunto il mero possibile. 126.  Adunque, insino a che certi vocaboli serbe- ranno intatte le loro significazioni comuni a tutte lo ^lingue, niyna sottigliezza dialettica torr gli Hegeliani /alle dure morse entro cui li stringe la logica d'ogni uomo /Sensato che  pur la sola conceduta al genere umano. Afobismo n. 127.  Ogni cosa, importante, nell' ultima sempli- cit ed attenuazione del proprio essere rimansi perpe- tualmente quella che  ; n pu venire annullata salvo che da Dio. E Dio (vedremo ci meglio nel progressc di questo trattato) non annienta le sue creazioni, s -bene le moltiplica in infinito e in infinito le differen- zia. Egli crea sempre e mai non distrugge. AroRisMo III. 128.  Certo  poi che cotesto ente impartibile pu sottostare ad alcune qualit od a molte. Qualora le DEL FINITO IN S. 61 mancassero tutte le qualit e modificazioni possibili, gi non sarebbe un che di determinato e di sussi- stente. A. 129.  Ai Panteisti succede non radamente di porre in dimenticanza questo sostegno uno e imparabile delle determinazioni. Notammo ci nel terzo Libro dell' on- tologia rispetto al Dio di Spinoza ; e potrebbesi, sottiliz- zando un poco Tanalisi, scoprire forse la deficienza me- de^ma nel Dio di Hegel. Imperocch se il fondo fondo di tutte le cose  V idea e tutta la idealit nel sistema hegeliano spunta e germoglia dalla nozione dell'ente puro e indeterminato, le determinazioni che seguono ri- mangono tutte in aria come tetti e camere senza so- laio. E perch quel diventare dell'Assoluto non  vera- mente principio di successione e il tempo e l' eternit in lui s' immedesimano, noi dovremmo reputare che le ultime forme non cancellino gi le anteriori ma tutte compongano il maraviglioso sviluppo dell' ente, il quale sebbene acquista coscienza chiarissima della identit propria nella Idea, nella Natura e nello Spirito non per dimeno  per fondamento e sostrato l' essere in- determinato e identico al nulla. 130.  Errore forse non meno grave ci sembra quello del Kant di convertire i subbietti quali che sieno in forme e rappresentazioni del nostro spirito. Nel vero, se i fenomeni non anno subbietto sono essi medesimi un reale subbietto. Per fermo, il fenomeno apparisce e 1' apparire  un atto e l' atto inchiude r agente. E quando si neghi essere un atto, conviene ammettei*e per lo manco che sia mutazione d qualche cosa ; e perch giusta il Kant lo spirito nostro riceve 62 LIBRO PRIMO. ma non produce il fenomeno a cai impone le forme del sentire e dell' intendere ; seguita di necessit che il fenomeno sia o mutazione od atto di qualche sub- bietto diverso e separato dal nostro. Afobismo IV. 131.  Ma se l'ente finito  un che di determina- to, non si riconosce che debba essere altres necessa- riamente determinabile e vogliam dire capace di mu- tazione. Muta egli poi da s ovvero per efficacia este- riore? e il mutar suo  un nuovo agire e un nuovo patire, o semplicemente un mutare di qualit senza alterazione e partecipazione del subbietto ? Come, per esempio, sarebbe un atomo di materia nel quale la forma esterna cambiasse non per atto di potenza pro- pria 0 d'altrui, ma in virt solamente di certo or- dine fatale prestabilito ? Per vero, supporre un ente finito e determinato incapace di qual che sia cambia- mento e modificazione nuova non  concetto contra- dittorio, ma ci riesce inesplicabile. Conciossiach non vedesi a che servirebbe in tal caso l' atto creativo. Si dica il simile nel presente nostro subbietto di altri supposti non impossibili, ma di cui la scienza non trae costrutto nessuno. Invece,  importante e profittevole a ricercare se l'ente finito  sempre e necessariamente una forza e intendiamo dire un principio attivo come sembr a Leibnizio. Afobismo V. 132.  Per primo, dal concetto del finito in quanto finito esce piuttosto la necessit del patire che del- DEL FINITO IN SE. 63 r agire ; badando anzi tutto che il principio attivo as- soluto non pu risedere fontalmente ed essenzialmente in nessuna creatura ; mentre in lei pu risiedere il prin- cipio contrario e intendesi quella passivit che senza implicazione logica non pu essere traslatata n punto n poco neir infinito. Certo  che tutto il creato  as- sunto dal pensiero assai convenevolmente come la generale e perpetua recettivit dell' azione divina ; e tale apprensione ebbero gi della materia i filosofi antichi. Senza di che, baster porre in considerazione che dire cosa finita viene a significare cosa la quale non determina s medesima ; s veramente  determi- nata ; e ci esprime passivit e impotenza piuttosto che altro. 133.  Ad ogni modo, perch V infinito  atto pie- nissimo e assolutissimo e determinante ogni cosa, se- guita che r attivit nel finito trasfusa mai non riesca n originale, n intera, n indipendente, ma sempre mescolata di mera potenza e circoscritta per ogni parte e vale a dire che contenendo tale facolt manchi di tale altra e toccando questa misura desideri vana- mente di raggiunger quell' altra. 134.  N arbitriamoci di affermare che il patire medesimo inchiude una qualche sorta di agire, essendo tale, per ultimo, la facolt recettiva. Fondasi tutto ci, a parer nostro, nella equivocazione del vocabolo, il quale cavato dalle espressioni che tengono riferi- - mento al sentire degli animali trae seco mai sempre . un qualche vestigio, a cosi parlare, delle vitali reazio- ., ni. Ma neir universale, e ri movendo ogni significazione , traslata, perch una cosa operi efficacemente in un' al- ^ 64 LIBRO PRIMO. ,tra, basta che cotest' altra sia naturata e congenerata la Quella penetrazione di atto, il che induce una dispo- sizione e non guari una facolt. Cos ninno vorr man- tenere che lo spazio operi un qualche atto passivo nella recezione dei corpi. E dico ci per coloro i quali opinano come noi che lo spazio, o vogliam dire il sub- bietto comune delle estensioni, non si risolve in mera entit subbiettiva e in certa relazione di ordine. 135.  L da stimare il medesimo jer rispetto della congiunzione della mente con la verit, la qual con- giunzione essenziale ed originaria accade per una di- sposizione recettiva innata del nostro spirito e indi- pendente da qualsiasi movimento ed atto speciale dalla parte di lui. Sebbene non avvt^nga poi senza un atto dello spirito l' accorgersi eh' egli fa di avere pre- sente l'idea, e del pari non sono inattive le forme diverse d'intuizione ed ogni lor mutamento. Aforismo vi. 136.  Nondimeno, se negli enti finiti in fra loro considerati esiste la passivit nel senso, per lo manco, di ricevere alcun' azione esteriore, bisogna altres che vi esista un' azione respettiva e corrispondente ; il patire, chiama senza meno l'agire. Per escludere, adunque, dalla creazione l' attivit, occorre che la pensiamo o tutta e per ogni dove incapace di mutamento o che Dio lo produca egli stesso con azione immediata entro ai sub- bietti sostanziali. Nel primo supposto, la natura inope- rante ed immobile non  alcuna ragione di essere. Nel- r altro supposto, cessano di esistere tutte le cagioni DEL FINITO IN S. 65 Heconde e mediate e la creazione non partecipa nem- manco in minimo grado della potenza infinita. E per- ch d' altra parte, il bene  potenza ed attivit, man- cherebbe di nuovo il creato d' ogni ragione d' esistere. Afobismo vn. 137.  Per le distinzioni che precedono egli si dee pertanto fermare che altra cosa  un essere qualificato o determinato, altra un essere passivo nella pi astratta accezione, ed altra un essere fornito di attivit. Un ente qualificato  sostanza; un ente passivo  natu- rato con certa recettivit; l'ente attivo  causa; pe- rocch, se non altro, egli  causa immediata della espli- cazione del proprio atto. Ora, abbam conosciuto che privando gli enti finiti d'ogni virt causale e per d' ogni specie d' azione, essi perdono la capacit del bene e quindi non anno ragione di esistere. Ma d'altro lato, essere essenzialmente causa e principio  ci pro- priamente che all'infinito appartiene, quindi i finiti deb- bono per se medesimi possederne sol qualche grado; e le cagioni che usiamo chiamar seconde riuscir deb- bono poverissime, ciascuna per se, di eJEcacia ; perocch . r efficacia cresce con la cooperazione, l' ordine, l' ar- monia e r unificazione tutte cose opposte all' indole dei finiti in quanto finiti. Occorrer, dunque, una mente i, la quale preordini la cospirazione delle cagioni seconde, , come si verr sponendo nei Libri successivi. A. 138.  Con tutto questo non sembrami da negare^' la possibilit d' un ente capace di sola passivit e d'ogni potenza spogliato a un dipresso come Aristotele con- Uaiiam - 11. 5 66 LIBRO PRIMO. cepiva la universale materia per contrapposto della forma o del principio attivo che la si chiami.  a noi sembra eziandio un parlar tropologico quello che af- ferma 1' essere doversi manifestare ed ogni manifesta- zione voler dire un atto ed ogni atto emanare da qual- che energia causale. L' ente finito  gi manifesto per s con r esistere determinato e qualificato cos o cos ; la qual cosa non inchiude alcuna necessit logica che la determinazione e specificazione di lui esser debba un atto della sua propria energia ovvero che a qual- che energia debba a forza andare congiunta. Vero  che r esperienza non ci fa im battere in niun subbietto for- nito di sola recettivit. Imperocch eziandio nella na- tura meccanica niun corpo mostrasi privo per intero d' elasticit, niuno di virt attrattiva e tutti obbedi- scono a certe leggi e impulsioni speciali e diverse di affinit chimica. Ci non ostante, egli  lecito d' imma- ginare che alcune sostanze appunto per la condizione infima di loro essere e la mera e nuda passivit in cui dimorano non mai venissero avvertite e considerate da senso 0 da mente umana. Atteso che noi conosciamo gli enti esteriori per ci propriamente che operano in noi e vogliam dire per le reazioni loro inverso le azioni nostre. 139.  Comunque ci sia e pur concedendo che ogni sostanza in natura sia pr veduta d'alcuna specie d'at- tivit, non se ne dee concludere che tale sia di neces- sit la forma dell' ente finito, siccome parve a Leibni- zio, il quale, peraltro, mai non ne dette dimostrazione. V  il mutamento nel mondo, disse egli, e questo dee provenire o solo da Dio e cadesi nello spinozismo fa- DEL FINITO IN S. 67 cendosi Dio autore unico d'ogni azione e operazione nel mondo, ovvero dee provenire dalle cause seconde ; e qualunque ente finito sar una causa si fatta perch r una monade non opera dentro V altra e ciascuna  principio d' ogni mutamento suo proprio. Ognuno vede? che negandosi tale ultima supposizione  pur negata la necessit per gli enti finiti di essere tutti provveduti di attivit. E in tale sentenza di Leibuizio avvi ancora un altro supposto non dimostrato, e cio che non possa nel creato sussistere cosa immune al tutto da muta- mento. Dall' altro canto, perch alle cause seconde s'attribuiscono tutte le mutazioni degli enti creati, ba- ster supporre che abbiano facolt di promovere scam- bievolmente i loro principj attivi nel modo che sar in fra breve significato ; e ci importa un ordine al tutto contrario a quello che pigli nome di armonia presta- bilita. C. 140.  Giova di ricordare a cotesta occasione la prin- cipale differenza che corre tra la dottrina nostra e quella del Leibnizio o d' altri assai metafisici che tengono dalla sua. A noi sta in cospetto innanzi ogni cosa la natura del finito e come essenzialmente si diversifica dallo in- finito. In quel cambio Leibnizio piglia le mosse da una presunta simiglianza dell' ente finito con Dio. Dal cho discendono tre pronunziati eh' io reputo falsi in gran parte ed i quali poi informano Vel loro carattere la cosmologia tutta quanta cos appo Leibnizio, come app( una schiera numerosissima di filosofi antichi e moderni. L' un pronunziato dice che qualunque ente creato rac- chiude certo principio attivo di spiegamento e perfe- zionamento, un che d' infinito, una semenza immortale 68 LIBRO PRIMO. donde pu uscire ogni cosa ; perocch tutto  virtual- mente in questo e in cotesto ma vi si attua in modo diverso. Il secondo pronunziato' afFerma che il fondo d' ogni qualunque entit  il medesimo e dichiara esso Leibnizio ci costituire una massima la quale regna in tutte le parti della sua filosofia. Il terzo pronunziato ne fa sapere che noi giudichiamo tutte le cose per si- militudine con r animo nostro. Ora, la finit in ogni condizione di esistenza e i germi dell'infinito non posso- no naturalmente combinarsi in un essere qualchessia. La medesimezza generale e comune delle esistenze  con- tradetta da ci che dentro al finito padroneggia invece il diverso e non gi l'identico; stantech la vera moltipli- cit sempre inerente al finito risolvesi nel diverso e non  gi nel medesimo. La terza massima fu dissipata da noi neir ontologia, laddove mostrammo che la percezione degli oggetti esteriori accade immediatamente e per contatto spirituale fra il conoscente ed il cognito. Afobismo Vili. ^ 141.  Tenendo, impertanto, l'occhio mentale bene addirizzato ed aperto sulle necessit e limitazioni delle cose create in quanto seguono la cieca natura o ne- cessit inconsapevole che tu la dimandi, affermiamo nel generale che le cagioni seconde possederanno : Primo, -un' attivit potenziale pi presto che viva e attuosa ; e ci importa che bisogner loro un esterno eccitamento e il concorso d'una cagione, per men che sia, di virt occasionale. Secondo, il termine dell' attivit loro non sar in se medesimi tutto e compiuto e spesso j nemmeno in parte; onde ella  sempre qualcosa che  cerca il suo complemento e da chiamarsi appetizione con miglior senso ed uso che non fece Leibnizio di DEL FINITO IN S. 69 questa voce. Terzo; l'efficacia produttiva di lei sar modale e non mai sostanziale. Quarto ; andr operando per gradi e ognora imperfettamente a rispetto dell' ec- cellenza archetipa la vuoi di genere e la vuoi di spe- gne alla quale pu venir riferita. Quinto ; sar sempre e tutta particolare; avvegnach, come in cosa niuna finita pu dimorare l'universale che  infinito, cos nemmanco nella virtii eflfettrice delle cagioni seconde. A, 142.  Aggiungasi che l'esperienza in conferma di tutto ci non rivela alena subbietto operante solo da se e non conoscendo stato di mera virtualit. Aristotele, gi si disse, oltre alla natura perennemente attiva ed univei-sale che pose n^i cieli, od almeno nel primo mobile, parl eziandio d'un atto perpetuo ed essen- ziale del nostro intelletto. Il che mi sembra fosse imitato dai Cartesiani, ponendo la essenza dell' anima umana nel continuo pensare ; e parecchi platonici opi- nano avere la mente nostra una intuizione innata di certe idee originali e anteriori a qualunque atto di senso e di percezione. Tutto questo, per altro, non si dimostra; e quanto al supposto ultimo delle idee in- nate potrebbesi ad ogni modo aflfermare che la mente nostra viene eccitata continuamente all'atto di sua visione. Oltrech in quel fatto e in altri consimili l'intuito e contemplazione intervenendo un congiun- gimento speciale e immediato dell'anima con l'Asso- luto abbiamo altres l' intervenimento d' un altro prin- cipio che non  il finito e l' efficienza creata. E perch la volont non si move e la libert non si determina senza la cognizione anteriore, perci il libero arbitrio medesimo, tuttoch partecipi dell' assoluta causalit. 70 LIBRO PRIMO. /ricerca V antecedenza dell' atto conoscitivo, e, questo /rimosso, giace eternamente in istato di mera virtualit. B, 143.  L'esperienza afifermail medesimo per la se- conda necessit e limitazione notata nell' aforismo. Conciossiach in nessun luogo ed in nessun tempo manifestasi a noi nelle cose finite un atto il quale non abbia o in tutto o in parte fuori di s il termine suo. Nulla  pi intimo e piii personale e per meno espan- sivo e comunicabile, quanto 1' amore di noi medesimi e il desiderio ed il godimento del nostro bene indi- viduo. Eppur nondimanco nell' esercizio di tale atto la materia ed i mezzi non sono immediati ed intrinseci e r una e gli altri il pi delle volte sono cercati fuori dell' anima o nel senso mediante i corpi o nella so- cialit mediante gli altri uomini o nel vero e nel bene assoluto che sono tanto all' uomo superiori quanto esteriori. 144.  Afifermasi che la materia corporea qualeches- sia determinata ad un qualche moto da qualche impulso esterire proseguirebbe a moversi perpetuamente nella immensit dello spazio per una retta infinita e cio nella direzione della forza impellente; il quale atto parrebbe quindi non pi dipendere se non da s stesso e non pi ricadere nello stato di semplice virtualit. Forse pi avanti discorreremo di tale attivit motrice interiore. Basti per al presente avvertire che nel Cosmo a noi visibile neppure un sol movimento accade di corpi siderei il quale manifesti di non venir governato dall' attrazione, e cio a dire il cui termine non sia fuori di ciascuno di essi corpi. Quanto al supposto del moto incessabile e rettilineo,  pur degno di av- DEL FINITO IN S. 71 vertimento che se nel vuoto infinito nulla cosa lo pu mutare o interrompere esso avrebbe sembianza di quiete perfetta e ninna potenza nel mondo riuscirebbe pi improduttiva; ed infine, T effetto manterrebbesi identico a s medesimo in maniera tale da potersi affermare eh' egli  mai sempre quella passiva deter- minazione che fu nel momento primo del moto. 145.  Ma lasciando la materiale natura e consul- ' tando i fatti pi proprj del nostro spirito, l' esperimento cotidiano e comune ci apprende che gli atti medesimi della coscienza inchiudono un qualche termine estemo e diverso dalla intima attivit loro. Per fermo, egli si  coscienza o del pensare o del percepire o del volere. Ma gli oggetti del pensiero speculativo, come qua addietro avvertimmo, si compiono in un che di esteriore; la percezione  dai sensi e dagli organi, e la volont ap- petisce il di fuori. Solo per astrazione e dimezzando r oggetto della consapevolezza nostra giungiamo a tutta radunarla e addensarla 6oj>ra materia interiore ; come quando riflettesi sulla volont in quanto tale e non sulla cosa voluta; ovvero, riflettesi suU' atto cogitativo in disparte dall' oggetto determinato della cogitazione. N opponsi minimamente a ci queir affermazione nostra nel Capo primo del Libro che ogni subbietto sostanziale in cui succeda lo spiegamento di un atto  causa formale dell'atto medesimo; imperocch questo sebbene s' inizia e sustanzia dentro al proprio subbietto pu in altro avere il suo termine e in altro avere il principio. AfobismoIX. 146.  Dicemmo l'attivit del finito non mai poter contenere l'energia creatrice delle sostanze; il che par- 72 LIBRO PRIMO. landosi empiricamente non sembra bisognevole di mag- gior prova oltre quella fornita dalla pi costante e comune esperienza d tutti gli uomini. Nientedimeno una diinostrazione a priori intorno al proposito non  agevole a rinvenirsi. Veramente, tra Tessere e il nulla correndo intervallo infinito, ricercasi per riem- pierlo un potere eziandio infinito o che si tratti di creare subbietti sostanziali o semplici modi e feno- meni; perocch questi ancora sono fatti trapassare dal niente alla realit, secondo venne notato da noi altra volta. Come, dunque, daremo al finito la po- test del creare i modi e i fenomeni? E se questa gli diamo, perch interdirgli quell'altra del creare le sostanze, non cadendo d' altra parte alcuna contrad- dizione nel supposto che Dio faccia operare ad un ente finito la creazione di finite sostanze, converten- dolo in istrumento immediato della onnipotenza sua? 147.  In tutto ci  dimenticato, per nostro avviso, che noi meditiamo al presente sulla natura peculiare dei finiti in disparte dall'infinito, o, per dir meglio, in con- trapposto con esso; e da una banda consideriamo tutto quello che proviene dal contrapposto medesimo^ dall'altro tutto quello che  pur necessario all'ente finito onde possa esistere ; e vi si aggiungono le rela- zioni del molteplice in fra s o vogliam dire dell' un finito con l'altro, e da ultimo quel minimo che con- viene attribuire al molteplice per la minima ragion suflficiente della esistenza de' suoi componenti. Ricor- date cotesto cose sulla natura dei finiti, abbiamo ar- bitrio di affermare che non possedendo essi verun principio informativo e dispositivo del proprio essere e della propria energia, non solamente sono inabili a crear le sostanze, ma ninna maniera di creazione pu loro competere. Ci che producono i finiti, in quanto DEL FINITO IN S. 73 li consideriamo quali subbietti attivi e passivi, risol- vesi in emanazione appunto di atti immutabili, i quali se vengono ricevuti da altri finiti, condizionano e va- riano costantemente i modi e gli atti di cotesti altri; essendo primamente state naturate le cose a queir agire ed a quel patire. Aforismo X. 148.  Le altre due necessit menzionate qui sopra delle cause seconde, e cio di dover progredire grada- tamente e dover essere particolari e singole, sono ma- nifeste per s medesime. Di vero, del non essere uni- versali n come sostanze n come cause videsi il per- ch nel secondo aforismo del terzo Capo. Una causa finita poi non vale a produrre effetto infinito. Quindi, se cresce di produzione e di quantit, ci accade per suc- cessione e vale a dire gradatamente. AroBisMo XI. 149.  La emanazione degli atti poc'anzi accennata non pu differire dalla essenza del subbietto operante; eonciossiach quella emanazione  da ultimo esso me- desimo il subbietto in quanto opera; ed ogni opera- zione  poi ricevuta nel subbietto passivo secondo il modo del ricevente e vale a dire con tenore immutabile. 150.  Di quindi, quella universale persuasione degli uomini che tra la facolt e Y atto e tra la cagione e V ef- fetto proprio e immediato debbo sussistere compiuta omogeneit di natura. Di quindi pure l' altra sentenza comune che i subbietti causali non mutano ne alte- rano comecchessia la loro essenza e gli atti loro essen- ziali. Per fermo, da noi non s'ignora che il subbietto 74 LIBRO PRIMO. intimo e sostanziale  semplice e il semplice assoluta  incapace di mutazione; e perch tal subbietto  causa formale de' proprj atti ninna mutazione pu entrare in questi se in quella non entra. A, 151.  Qui cade, per verit, uno de'punti pi astrusi deir ontologia, perch quasi non sembra possibile scam- pare dalla contraddizione. Si afferm il finito essere mol- teplice e per essere ancora diverso, in quanto il di- verso scostasi dall' unit pi che il simile. Pure, se neir ultima attenuazione del finito o vogliam dire nel- r ultimo elemento suo impartibile egli non racchiude il diverso, tutta la natura convertesi in certa unifor- mit infeconda ed immobile. Tu dirai: ponvi dentro non il diverso ma il vario. Rispondo che il vario diver- sifica dal diverso in quanto  pure il diverso ma iden- tificato con certa unit di subbietto. L' omogeneit, im- pertanto, fra tutto quello che statuisce certa natura determinata di cosa, altro non vuole significare se non certa temperanza originale primitiva ed inalterabile del diverso e dell'identico. D' altra parte, non  concepibile che ogni qualunque diverso possa unificarsi con ogni qualunque identico, ma debbevi esistere qualche ragiono di attinenza e qualche perch unitivo di tali forme e se- parativo di tali altre; ci appunto noi esprimiamo col vocabolo omogeneit. Tengasi, adunque, per sicuro che il solo infinito unifica e semplifica eminentemente ogni perfezione infinita quantunque diversa. Ma per opposto nel finito bisogna che tal diverso escluda cotale altro e quello che  omogeneo escluda una serie innumere- vole di forme a s eterogenee, e tale esclusione avvenga olla pure per gradi tenendo l' ultimo luogo quelle so- DEL FINITO IN S. 75 stanze in cui il diverso  tanto da escludere ogni qua- lunque reciprocazione di causa e di efiFetto, il che esa- mineremo di nuovo pi tardi. B. 152.  Ci si accorda con quanto si disse nel primo e secondo Libro dell' ontologia intorno alle facolt dello spirito nostro, le quali rinvenir debbono nel piii secreto di nostra essenza quella omogeneit di forma che negli atti non apparisce. Ck>nciossiach chi non procaccia di x violentare il significato delle voci e il valor delle cose  dee tenere per evidente che la volont, l'intelletto ed il senso differiscono intimamente in fra loro bench sieno facolt d' uno stesso principio attivo. ApomsMO Xn. 153.  Per  manifesto che se un ente finito  con- dizionato ad un atto, quell'ente permarr sempre in queir atto; e per simile, se le disposizioni primigenie di lui in risguardo di certi atti sono meramente virtuali, egli non rinverr mai in s medesimo le cagioni che lo determinino a trapassare dalla potenza all' attualit. , Conciossiach supponendo tali ragioni insidenti nell'es- sere suo, elle vi opererebbono sempre o non mai; ov- vero converrebbe cercare una terza cagione la qual traesse la prima dal virtuale all' attuale e cosi all'in- finito.  poi manifesto eziandio che qualunque sorta d' azione quando verr esercitata dal di fuori nell' ente finito di cui si parla, sar ricevuta sempre ad un modo, e cio secondo lo stato e l' indole della propria pas- sivit. 76 LIBRO PRIMO. Aforismo XIII. 154.  Questo perseverare nelle condizioni assortite, qualunque sieno, fu dai fisici domandata legge d'iner- zia. Ci riscontrasi parimente con l' assioma popolare che dice le leggi della natura riuscir tutte e sempre e in ogni dove immutabili; ovvero, com' altri signific la cosa con pi eleganza, le leggi della natura essere iden- tiche a s medesime in ogni spazio ed in ogni tempo. Per fermo, considerandosi gli aforismi di gi esposti, non pu sorgere dubbio veruno che le monadi o subbietti sostanziali che si domandino, qualora sortiscono la es- senza medesima, non ripetano in qualunque punto dello spazio i medesimi atti e fenomeni, mancando loro per ogni dove la ragion sufficiente per riiutare in se stessi 0 l'uno a rispetto dell'altro. E del pari, in ogni lun- ghezza di secolo non alterandosi per niente le essenze degli esseri e ricevendosi in modo invariabile tutte le azioni esterne secondo la natura propria e l'altrui, debbe proseguire in perpetuo la precisa reiterazione de' medesimi atti e fenomeni. Aforismo XIV. 155.  Vero , nondimeno, eh' egli non sembra farsi contradittorio il concetto d' una forza, la quale fosse originalmente costituita a mandar fuori una serie di atti r uno diverso dall' altro. Il che sarebbe, tuttavolta, un serbarsi costante e identico alla natura propria; e tutte le simili monadi nella lunghezza del tempo ed in ogni spazio riprodurrebbero identicamente la serie stessa di mutazione : come, per via d'esempio, dee dirsi costante e medesima la natura del filugello, il quale trapassa DEL FINITO IN SE. 77 pure con vicenda non alterabile dallo stato di verme a quello di crisalide e dalla crisalide esce trasmutato in farfalla. 156.  Ma chi ben guarda nell' intimo della cosa, ^ dovr procedere con pi distinzioni ; e innanzi a tutto > supporr le forze finite operanti da se e per s ; nel qual caso, tali forze saranno in un primo tempo tutto ci che possono essere giusta la propria essenza immutabile. Per fermo, nel secondo tempo e ne' successivi, non interve- nendo dal di fuori alcuna cagione efficace, come spie- gherebbero esse forze un diverso atto e di seguito molti atti diversi, mentre nulla non  cambiato nella form**) intrinseca del subbietto o vogliam dire nella forma es- senziale della cagione? e certo si rimanendo che gli atti emanati debbono riuscire infallantemente a quella omogenei, anzi dovendosi dire che sono la stessa forma causale in ispiegamento di atto? La qual cosa apparisce pili chiara con questa considerazione che l'ultima muta- rione supposta giaceva anteriormente in potenza entro al subbietto causale; come dunque tal mutazione trapass dalla potenza nell' atto? quando non operava, secondo il supposto, alcuna cagiono esteriore n superiore? 157.  Ma non si  diflFerenza nessuna nell' altro supposto di un' azione esteriore. Perocch questa opera sempre con lo stesso tenore e con lo stesso  ricevuta ; e per nel secondo momento non accade azione este- riore diversa da quella che nel primo si compieva. 158.  Rimane il supposto dell' azione superiore di- vina, alla quale certo non  impossibile il recare per entro i subbietti finiti una serie di mutazioni eziandio diverse tutte e slegate. Salvo che in questo caso non opera il subbietto finito ma la potenza infinita imme- diatamente, e in quel subbietto  soltanto una conforme disposizione di recettivit. 78 LIBRO PRIMO. 159.  Mirandosi, impertanto, alle forze attive finite per ci che possono in s medesime e V una a rispetto ,deir altra, ei si debbe con gran saldezza affermare ed x asseverare che in ogni tempo ed in ogni luogo sono identiche con s medesime e quindi manca loro ogni facolt di emanare in successivi momenti diverse forme di atti e fenomeni. 160.  Scorgesi da questo aforismoe dagli anteriori quanto sia bizzarro il sistema leibniziano delle monadi non gi solitarie ma al tutto isolate e le quali per effet- tuano il mondo intero delle mutazioni per una serie inter- minabile e variatissima di atti successivi, spontanei. E molto strano  quel dire che una percezione nasce dal- l'altra, quando sono diverse tra loro e il subbietto cau- sale  semplice ed immutabile. Stranissimo poi in par- ticolar modo per esso Leibnizio negante a dirittura ogni realit obbiettiva di spazio e per ancora di moto, che  la sola efficienza, come tra poco sar conosciuto, onde pu scaturire la mutazione. Vero  che il Leibnizio impone a tutto ci il bel nome di armonia prestabilita, e vale a dire una serie di fatti diversi che in s me- desimi non racchiudono l' efficacia del proprio esistere ma l'anno superiormente dall'atto assoluto e immediato di creazione. Quindi non provengono da spiegamento naturale e omogeneo di atti o vogliam dire da cause me- diate 0 seconde come si usa chiamarle, ma s provengono senza mezzo da causa divina che opera continuamente ne' subbietti immutabili e semplici; di diretto contrario a quello che voleva e cercava con massima cura l'autor del sistema, desideroso anzitutto di costituire l'ente finito in certa perenne essenziale e spontanea operosit. DEL FINITO IN S. 79 161.  Che se l'ente qualechessia pu differire di mano in mano da se medesimo e quindi operare e mu- tare senza cagione, Hegel non debb' essere rimprove- rato di far diventare V ente suo astratto ogni cosa senza anteriorit di cagione; salvo che conveniva perci risol- vere quella specie di mezza infinitudine che appresso il Leibnizio ripetevasi in monadi innumerevoli, risolverla, io dico, in una monade sola ed universale. Altro esem- pio del travasarsi gli errori di et in et pel potere > e >r influsso d' un nome grande e riverito. Afobismo XV. 162.  Non pertanto, se il naturale e perenne princi- pio di mutazione non  insito ne'subbietti finiti n s'invo- CB, rintervenimento immediato della efficienza suprema, da onde il trarremo noi ed in qual maniera saranno di- leguate le incongruenze che paiono andar seco di compa- gnia? Perocch, nel modo che gi venne accennato nei superiori aforismi, sebbene si forniscano gli enti finiti di certa virt di operare V uno nell' altro quali cagioni provocative o modificatrici, nientedimeno, noi non ve- dremo da ci suscitate le mutazioni e moltiplicata la variet degli effetti. Per fermo, posti i finiti in presenza r uno dell'altro, egli  chiaro che subito emaneranno la loro efficacia causale reciproca e subito saranno indotte da ogni parte tutte mai le modificazioni ed eccitazioni convenienti all' essere loro; le quali, non mutandosi punto i subbietti n le facolt passive ed attive, rimar- ranno identiche e inalterabili dal primo istante del 80 LIBRO PRIMO. proprio apparire insino alla estrema consumazione del tempo. A questo dimando della ragione risponderanno gli aforismi del Capo seguente. A. 163.  Ad ogni modo e trovato anche il principio naturale e perenne di mutazione, la immutabilit delle essenze e degli atti essenziali dee comparire nel fondo medesimo dei cambiamenti. E non soltanto la immu- tabilit delle essenze, ma la immobilit degli atomi e dei loro composti, laddove dal di fuori non sopravvenga azione nuova causale. Guardisi alla immobilit delle roccie di primitiva formazione, e, con maggior maravi- glia, guardisi ai composti organici piii delicati, ognora che non sia mutevole l' ambiente dove dimorano ; il che si avvera nei gracili semi di grano stati sepolti noi sarcofagi egizj o nelle buste delle mummie, e quivi du- rati un qualche migliaio d'anni senza cambiare un mi- nimo che della propria struttura, di qualit che con- segnati di poi alla terra e in debito tempo inumiditi e scaldati svolsero il germe racchiuso e maturarono il frutto loro aspettato per almeno quaranta secoli. 164.  Per lo certo, cotesta immobilit  relativa e non assoluta; ma ci rende figura di quel che sarebbe ' tutto il finito, qualora gli accadesse di dover ritrarre , dalle sue condizioni proprie e non declinabili un prin- I cipio perenne e fruttuoso di attivit e di mutazione. DEL FINITO IN S. 81 CAPO QUINTO. PBINCIPJ DI MUTAZIONE E DI CONGIUNZIONE E LORO INSUFFICIENZE. Aforismo L 165.  Adunque mantenendoci nella considerazione di quello che possono e fanno i finiti per se e posto che sieno vere cagioni seconde e per autori immediati degli atti proprj, noi dobbiamo escludere la efficienza di Dio quale operatrice diretta delle mutazioni del mondo creato e ci conviene indagar novamente da che e come possa procedere cotal principio perenne del mutar delle cose. E ci risolviamo a supporre che la mutazione debba essere insita nello stesso atto primo essenziale ed ori- ginale di quelle; talch per esse la causazione for- male intema consista per appunto nel sempre modifi- f^ar s medesime in certa maniera identica ad una e diversa ; e cio a dire, che per un lato Tatto loro essen- ziale in un primo attimo di tempo consista in certa mutazione determinata la quale nel secondo momento ripetendo s stessa in ugual maniera e aggiungendosi al- l' altra di gi compiuta divenga di l a qualche tempo, per la somma degli aggiungimenti, causa provocatrice od occasionale, od anche efficiente d' altre mutazioni. Poniamo caso, impertanto, di un atomo o di piii atomi insieme congiunii il cui atto essenziale consista in tra- scorrere da un punto dello spazio al punto pi pros- simo. i non si avvisa in tale ipotesi alcuna contraddi- zione col detto di sopra. Atteso che questa virti di moto  congenita ed essenziale all' atomo, anzi compone la Mkmini II. 6 82 LIBRO PRIMO. forma stessa dell'atto di lui.  certo altres cLe giunto r atomo neir istante primo ad occupare l' attiguo spa- zio, quivi la natura medesima della sua forza costitu- tiva permanendosi identica, lo sospinge a ripetere lo stesso trascorrimento di spazio ed occupare il luogo immediatamente contiguo, e cos di seguito. A. 166.  Non occorre qui di avvertire che sebbene in ogni molecola risiede un essenziale principio di moto il che vuol dire di mutazione, esso vi pu risiedere in atto ovvero in semplice facolt; nel qual caso  biso- gno d' un' azione esteriore per far trapassare il detto principio dalla mera virtualit all' atto. Ma di ci verr proposito di ragionare piii oltre. Afobismo il 167.  Appar manifesto eziandio che movendosi due atomi ovvero due molecole l' una inverso dell' altra per iscambievole eccitazione e determinazione, e aggiungen- dosi d' ambo le parti all'impulso primo il secondo e a questo il terzo e cos di seguito, cresce nella istessa mi- sura la intensione del moto e scema altrettanto lo spazio interposto. 168.  Del pari, ei si pu fingere che alcun' altra specie di azione e passione reciproca rimanga virtuale ed occulta insino a che due molecole noti sieno venute per un maggiore accostamento prssimissime l' una al- l' altra ovvero non si tocchino o non si urtino. Da tutto questo risulta una serie di mutazioni e una serie di variet nelle mutazioni medesime, il cui vero e comune principio dimora sempre nella essenza del moto. N la sopraddetta finzione  suppositiva al tutto DEL FINITO IN S. 83 e arbitraria. Gonciossacb, 8e lo spazio il tempo ed il moto sono elementi inseparabili, e per ancora inse- parabili dal principio di mutazione, questo apparir tanto pi attuoso, quanto non solo nel moto ma nelle distanze e in altri accidenti di estensione e di durata mostrer in diversa guisa l'efficacia sua. Quindi si pu statuire a priori che l' azione vicina o remota, lenta o spedita, suscitata per entro gli atomi ovvero per entro le masse, riuscir differentissima e ne pr* verr una lunga serie di differentissimi effetti. 1G9.  Nessuna cosa  pi abituale e quasi a dire pi domestica alF uomo quanto vedere le mutazioni ed il moto. Eppure, come test avvisammo,  difficilissimo di rinvenirne il principio speculativo; e l'essenza stessa del moto racchiude una sorta di antilogia; perocch mette insieme un subbietto immutabile il quale  per atto proprio essenziale una certa guisa uniforme di mutazione. Dal che si disceme quale stima dobbiamo pur fare d' alcune cosmologie audacissime in cui pre- tendesi di fabbricare a priori la costituzione intera della materia e tutte le leggi della meccanica e della chimica. Nessuna necessit logica sospinge la mente a figurare e affermare che gli atomi materiali, o a dir me- glio i loro aggregati, divisi e distanti si attraggano mu- tuamente e sieno forze accelleratrici V uno inverso del- l' altro, e che venuti in contatto spieghino virt diverse di coesione e d affinit chimica. Parlandosi con rigore, r antecedente aforismo ne dichiara solo in modo apo- dittico la possibilit astratta, e quindi prova ancora la possibilit della varianza indefinita e interminabile dei fenomeni e solo v'aggiunge l'efficacia d'alcune prove 84 LIBRO PRIMO. indirette e d'alcune giuste illazioni. NuUameno, Tedremo nel progresso della trattazione come oltre ai cenni dati qui sopra e in virtii di nuovi prncipj quelle astratte supposizioni e possibilit una volta trovate e pensate nei loro elementi  necessario se ne effettuino tutte le conseguenze. E per qui pure avremo un nesso stretta- mente dialettico. Ma quello che mai non pu provenire a priori si  la forma speciale delle nature corporee; e giudichiamo eziandio impossibile di dedurre per legge assoluta d'identit e causalit il concetto del moto dal concetto della materia e dai due insieme il concetto dell' attrazione e da questo ultimo il concetto delle af- finit chimiche. Afobisho m. 170.  Nella impulsione motrice dei corpi non di- mora certo una efficacia infinita; e d' altra parte, come nei finiti ogni cosa procede gradatamente, cosi accade per la impulsione motrice. Avremo dunque che i corpi movono l' uno inverso V altro con certa ragione di di- stanza, la quale tanto sar maggiore e tanto far mi* nore il grado deir impulsione e da ultimo segner un termine all'impulsione medesima. 171.  Non cade dubbio che oggid la meccanica non sia razionale tuttaquanta e dimostrativa e per la non si annoveri tra le glorie maggiori e pi salde della scienza umana e della umana speculazione. Non per- tanto, ella pure  i suoi postulati e questi non s'in* dovinano. Onde Cartesio, che volle tentarlo, fu dai filosofi sperimentali trovato in errore e con ci solo man- darono a fondo il sistema. Gli Hegeliani, a cui non  DEL FINITO IN S. 85 lecito d' ignorare le leggi del moto, mi sembra che ado- perino peggio di Cartesio, interpretandole in modi strani e facendo sembiante di dedurle a priori col talismano di quelle loro generalit della nozione este* riore a s stessa ovvero della materia che cerca una forma, ovvero anche della idea che alienandosi in mille particolari e in mille individualit procaccia di pervenire alla vita, al senso ed air intelletto. Ma non si tratta, o signori, di adattare ai casi concreti quelle vuote concezioni che tutto abbracciano e nulla strngono. La difficolt, o parlandosi con esattezza, la impossibilit giace in quel punto in cui converrebbe dedurre a priori le specie peculiarissime delle cose ; e intendiamo quella entit singolare, onde la materia ed il moto, per via d' esempio, differiscono da ogni altra esistenza ; e cos d' ogni rimanente.  Avvi una prima e astratta manifestazione della ma-  teria; e come questa possiede una esistenza distinta  dalla natura, avvi una relazione della materia con  s medesima, la quale in tal guisa si pone in istato ^ d' indipendenza a rimpetto delPaltre determinazioni.   simile identit universale della materia  la luce.  Con queste parole delPHegel tu, mi penso, i chiarissima in mente, o lettore, Tidea della luce, e comprendi a mera- viglia quello che sia e la vedi procedere dal concetto di ma- teria con la necessit logica che il rettangolo esce dalla somma dei tre ! Con gli stessi vocaboli pi universali e indeterminati del mondo e col metodo stesso di deduzio* ne  spiegato e dimostrato a priori quello che sia V aria, il fuoco, la terra, l' acqua, il calore e va' discorrendo. 172.  Scherza coi fanti e lascia stare i santi, dice un proverbio italiano: ed io volgendomi agli Hegeliani 86 LIBRO PRIMO. direi loro per amicizia: scherzate con le nozioni e le concezioni, se v'aggrada; ma i fatti lasciateli stare; che nonostante che vi rimaniate sempre nelle inaccessibili astrazioni della vostra idea che va viene e non si trat- ^ tiene, pure non iscanserete le smentite dei fatti e sbii- ^giardarli non  possibile e dalla loro sentenza non e' e appello ; e quando anche vi pronunziate sopra cose non possibili a sperimentare, la evidenza dei teoremi geome- trici vi condanna. Citiamo un sol caso per mille. Hegel asserisce che se il pendulo dopo alquante oscillazioni si ferma, ci non proviene per V attrito e per V aria am- biente, ma s perch la gravitazione supera ed annulla in poco di tempo la forza accidentale contraria. L'esem- pio fu scelto con finissimo accorgimento. Gonciossiach X il fatto non dar mai prova sensata della perpetuit e inalterabilit del movimento del pendulo. Nientedime- no, scord il grand' uomo che l' impulso accidentale suscita bens e determina nel pendulo la forza motiva ma non la crea. Ne pose mente che ogni qualunque forza meccanica  questo carattere di perseverare uni- forme ed inalterabile appunto perch l' impulo este- riore opera occasionalmente e non efficientemente. II perch le forze meccaniche, o picciole o grandi, acci- dentali o no, sono valutate a capello e in anticipazione dal calcolo. Ed eziandio, rispetto al pendulo, pu il cal- colo misurare con esattezza squisita, quanto saranno (poniamo) pi veloci o quanto pi durevoli le oscil- lazioni secondo che V aria verr rarefatta o sce- mato r attrito od altre circostanze mutate. Quindi la legge che apparisce nel moto del pendulo (per chi non nega la intera fisica matematica)  la stessa ne- cessit e permanenza di tutte le altre moderatrici del sistema solare e le quali tutte non cambieranno tenore ^ Se r universo pria non si dissolve.  DEL FINITO IN S. 87 Afomsmo IV. 173.  Gli antichi per virt di traslato fecero il mo- vimento sinonimo di mutazione; ma bene  manifesto che dove non fosse spazio n corpo, nemmanco sarebbe il moto; e pure vi si potrebbe concepir mutamento o per dir meglio tornerebbe strana cosa e non concepibile che in un mondo spirituale si ma finito non accades- sero mutazioni. Imperocch ei si rimarrebbe inferiore d'assai al mondo corporeo, in quanto questo mediante le mutazioni potrebbe ampliare e perfezionarsi. Noi dobbiamo adunque aggrandire e universaleggiare il con- , . cetto di mutazione e cercarne un principio applicabile a ^ tutto il creato. 174. ~ Ora cotesto principio non pu consistere salvo che nel riporre la mutazione nell'atto essenziale me- desimo del subbietto operante, al modo che fu avvi- sato per le forze corporee. Sar dunque il subbietto operante una causa conforme sempre a s stessa e cau- sante sempre ad una maniera; se non che questa sar per appunto costituita in un certo mutare uniforme- mente ripetuto.  per via d' esempio, gli enti spirituali per una mutua promozione usciranno prima dal loro essere potenziale e troverannosi in certo atto e grado di volont. Poi nel secondo momento per la essenziale natura dell' atto medesimo il grado sar replicato e cos -nel terzo ed in seguito; di maniera che, conforme accade fra i corpi ne' quali prosegue tuttavia il moto per aggiungimento d'impulso e d spazio, cos pro- segua tra gli spiriti l'incremento del volere; il quale con Io incremento suo stesso pu quindi venir promo- vendo altre facolt e vogliam dire altra sorta di mu- tazione. 88 LIBRO PRIMO. Afobismo V. 175.  Tuttoci per altro  suppositivo non solo ma puramente analogico e piuttosto che discoprire le leggi del mondo spirituale dimostra la insufficienza della fantasia umana, che sentesi astretta a pigliare dalle figure del mondo corporeo il concetto e V immagine di quel mondo spirituale  Dove chiave d senso non disserra.  176.  Ed anzi quanto pi guarderemo dentro l'ipo- tesi, piti parr malagevole a intenderla per non dire affatto impossibile. Attesoch imparammo non molto addietro V attivit degli enti finiti trovare al di fuori r oggetto od il termine suo ; e simile oggetto o termine doversi proporzionare all' attivit siccome questa a ' quello. La volont, pertanto, svegliata nel supposto ente spirituale ricerca non solo un oggetto, ma eziandio certa proporzione e convenienza con esso. E per fermo, sente ciascuno che per volere, bisogna voler qualche cosa e un piii forte volere seguita a pi forte impulso ^ oggettivo. Perch, dunque, nell'ente spirituale cresca via via il grado di volont, occorre che cresca in antece- denza l'oggetto di quel volere. Ma quando poi cotal moto dell'animo non conseguisca n poco n molto l'oggetto suo, la relazione costituita fra que'due ter- mini  falsa, e quindi viene abolita fra loro ogni pro- porzione ed ogni convenienza. Forza  dunque che- l'oggetto, 0 parte di lui per lo manco, sia conseguita. E per accade non solamente che vi sia un potere proporzionato all'oggetto e alla volont, ma che va- dano tutti e tre in infinito. Dappoich, se il volere soddisfatto si ferma, non v'  pi mutazione. Se ri- comincia nel modo stesso anteriore, del pari muta- DEL FINITO IN S. 89 zone non  pi luogo. D^ altro canto, ogni successione progressiva ed interminabile  suo fondamento neir in- finito; il che sta fuori della nostra considerazione; dac- ch noi intendiamo per al presente conoscere quello che i finiti sono e valgono l'uno a rispetto dell'altro. 177.  Quando poi si ricorra all' ipotesi d' un in- cremento limitato e nondimeno si fatto che avendo mu- tate le condizioni dell' ente spirituale diventi cagione promotrice d' altro cambiamento e poi d' altro, noi av- vertiamo per prima cosa il soverchio cumulo di sup- posti che accade di mettere insieme per ricavare da essi tutti un principio di mutazione; e quanto somigli ctal principio al presupposto non guari accettabile del- l' armonia prestabilita. Indi ci rechiamo al pensiere che tal principio non  perpetuo. Conciossiach, provocata che sia da lui la serie intera dei supposti incrementi e quelle altre mutazioni che abbiam figurato a quelle connettersi, torna la necessit o di ricominciare ogni cosa nella maniera stessa o di fermarsi.  ci  n vero, che Leibnizio volendo perpetuare le serie delle mutazioni pose a dirittura nelle monadi una specie d' infinito. AroBisMo VI. 178.  V  per altro un' altra forma pensabile del principio di mutazione in un mondo al tutto spirituale ed  soprammisura pi alta e pi confacevole a quella grande maggioranza che tener debbo lo spirito sulla materia ; e la forma consiste nell' attribuire ad esso spirito parte della causalit prima e incondizionata o YOgliam dire la libert. Per lo certo, ponendosi iu un'anima la potest di accrescere, sminuire, interrom- pere o proseguire a sua posta quell'impulso operoso ch'ella diffonde nelle sue facolt e negli organi, ovvero 90 LIBRO PRIMO. resistere od agevolare ad arbitrio suo Tefifetto delle azioni esteriori, ne ridonda una serie di mutamenti che pu quindi eccitarne ed occasionarne innumerevoli altri. E posto ancora che non si conceda cotesta sequela non ter- minabile d'innovazioni, certo  che la libert muta ed innova sempre le cose in tale significato eh' ella  nel- f V arbitrio continuo di volere o disvolere, di romper il' azione o di proseguirla; nel che risiede un principio opposto alla necessit per la quale ogni cosa dee pro- seguire identicamente e invariabilmente nell' atto o nella virtualit in cui trovasi. 179.  Ma contro cotesta forma sublime di causa, o tu la chiami partecipazione di prima e incondizionata efficacia, insorgono le necessit tutte e le insufficienze del finito che abbiamo discorse; onde occorrono altre nature di fatti e altre considerazioni per rimoverle e superarle cos nell' ordine delle realit come del pen- siero. Rimanga qui dunque per al presente cotesto cenno e ripigliamo la trattazione al termine dov'  pervenuta. E veggasi, intanto, come la pura speculazione intomo air attivit e spontaneit del finito conduca il pen- siere a fermarsi nel supposto del libero arbitrio; ri- mosso il quale, viene sottratta al finito incorporeo perfino la possibilit del mutare e quindi la possibi- lit di accrescere e perfezionare s stesso. AroRisMo Vn. 180.  Visto e fermato che la forza motrice  in- sita negli atomi e nelle molecole, almeno quale facolt, se non quale determinazione, diciamo ch'ella non  mai trasferibile in altro; perch ninna sostanza vale H trasmettere l'attivit in un subbietto non attivo o non fornito di quella speciale efficacia. Trasmettere o DEL FINITO IN S. 91 infondere un' attivit vuol significare che s' infonda in altri una forza o principio eflSciente e per si crei den- tro a un subbietto sostanziale un nuovo subbietto. E ci significa o produrre una sostanza la quale sia modo o produrre un modo il qual sia sostanza. Di pi ; torna oontradittorio asserire che la sostanza divenga attiva per uno stato passivo; conciossiach quello che si ri-  non per dimostrano senza velo e senza intermezzo giammai la fonte sublime ed inaccessibile da onde pro- vengono. Quindi ella non  intuita ma propriamente argomentata. Mi sembr del pari discernere allora con distinzione e chiarezza che quando lo spirito umano senza buona preparazione e senza spiegamento propor- 134 LIBRO SECONDO. f lionato di attivit e di opera venisse in contatto im- . mediato con la verit o la bellezza o la santit od I altra perfezione divina, questa a se il rapirebbe e in ( s medesima il terrebbe assorto invasato ed immobile .come per povera similitudine fa la nostra terra delle stelle cadenti e il Sole delle comete che gli cascano } dentro. VII. 21.  Pervenuto a questo punto della mia medi- tazione intorno al principio dell' universo, mi persuasi della verit e certezza delle massime infrascritte. C 22.  Che, cio nell' universo spiegasi l'indefinito della possibilit non per ciecamente e per la sola necessit del dovere ogni potenza venire all'atto, ma in maniera a Dio convenevole e in virt del decreto della bont infinita, la quale, scorgendo che il bene finito  fattibile, lo chiam all' esistenza e di quanti esseri cava dal nulla nessuno vuole che sia onnina- mente alieno dal cooperare all'attuazione del bene. 23.  Quindi non si dee chiedere perch la natura comincia da questo grado dell'esistenza ovvero da quello. Perocch nella catena degli enti creati qualun- que punto sia scelto da noi ovvero posto dalP espe- rienza ordinaria nella comune veduta comparir sem- pre, a chi ben lo guarda, ne il primo assolutamente ne r ultimo ; e sempre al pensiere si affacceranno dei possibili antecedenti e interiori come de' susseguenti e superiori non numerabili, i quali tutti, replichiamo, anno qualche attinenza remota o vicina all' attuazione incessante ed universale del bene. Nemmanco si dee cercare in qual parte delle cose tTcate e in qual punto di loro durata si aduni maggior- DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 135 mente o per lo contrario si diradi quel mal positivo che dalle limitazioni proviene come da fontale promozione. -.  se ctal male si spanda invece con poca disparit nel mondo visibile e nell'invisibile. Egli mi parve che inda- ^ gare la giusta misura di tutto ci sia temerario e a qua- \ lunque altezza di scienze non conceduto. Salvo il sapere, \ f^ome altrove fu notato, che nel generale ampliandosi la virt del finito e l' operare coordinato degli enti par- tecipi di ragione debbe al mal positivo venir scemando via via la latitudine e l'efficacia. Quindi mi persuasi che r economia del creato debbe sempre venir divisata nel suo tutto insieme e neir mbito immenso de' suoi contenenti. Ed una cosa essere l'indefinito svariatis- simo e strano e incomposto, a cos chiamarlo, di tutti i possibili ; altra la sapienza infinita che pensa e or- dina le combinazioni loro. Quindi sono come caratteri che mescolati nella grande urna del Caos riescono informi ed incoerenti; ma combinati da una mente espri- mono (poniamo caso) l' Biade o la Divina Commedia. 24.  In secondo luogo, visto e riconosciuto per raziocinio e per induzione che il bene tragittandosi dall'infinito al finito non cambia essenza ne attribu- zione e che il sol modo di possederlo consiste nel farlo e la sua pienezza massima convertesi con la massima attivit ; e in fine che convertendosi egli eziandio con l'Uno, bisogna che il bene creato cerchi tutte le simi- glianze e imitazioni dell' unit mediante ogni maniera di congiunzione e coordinazione e quella segnatamente che piglia nome di strumento o di organo; perci  da giudicare con sicurezza che il mondo creato risulta di una catena immensa e correspettiva d' azione e pas- nione, e parte fa e s' appropria il bene, parte fornisce alcuna materia o alcun mezzo per 1' attivit intorno al bene. 136 LIBRO SECONDO. 25.  In ci si comprende un principio fondamen- tale e fecondo della scienza cosmologica, il quale dice: che Dio nella natura tutto crea e nulla opera, tutto preordina e nulla eseguisce. 26.  Ultimamente, perch la impotenza ed in- sufficienza congenita d'ogni qualunque finito e il mal positivo che ne proviene e la diversit sregolata e di- scorde di tutti i possibili viene pai-te impedita e parte corretta dall' artificio divino delle combinazioni ; ed oltre di ci, i subbietti attivi destinati a partecipare il bene debbono coordinare a s stessi la sene dei mezzi e degli apparecchi, necessario  che nella natura apparisca quasi un' immagine di fatica di tardit e di stento ; mentre invece non pu figurarsi cagione alcuna la quale si muova ed operi con prestezza ed agevolezza maggiore, in quanto n mai si spende nella natura un attimo di tempo di piii n le cose adempiono un solo atto contrario minimamente all'indole loro ed al loro fine immediato. Vili. 27.   raccontato a filo a filo il succedersi de' miei raziocinj intorno al proposito ; ancora che in fatto sia nel corso loro intervenuta pi d' una incertezza ed abbia toccato alla riflessione la cura e il disagio del tornarvi sopra assai volte. Ci non ostante, io vorrei pure che tutte le pagine di queste mie Confessioni as- somigliassero alle qui presenti, non vi essendo occorsa necessit di pentirmi n obbligo di disdire innanzi al ^pubblico il fatto mio proprio ; e quanto all' aver dile- guato dalla mia mente queir errore volgare di credere che il fondamento della felicit sia nel riposo, nella passivit e nel ricevere il bene senza produrlo, io mo- DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 137 strai di stimare il contrari inaino da quando furono mandati fuori i Diloghi di Scienza Prima. 28.  Intanto, egli pare che da coteste mie medi  tazioni rampolli una ragione gagliarda e feconda con- . tro gli scettici, i quali non finano mai di chiedere ai metafisici perch nel mondo  il mal positivo e per- ch il bene potendo essere partecipato alle creature, ci non accade immediatamente e con abbondanza per lo manco s fatta che pareggi il bisogno e il desiderio che se ne a ; ed infine perch la natura sembri dannata a certo travaglio incessante per attingere lo scopo suo e da per tutto compariscano sequele e concatenamenti di mezzi di apparecchi di organi, laddove una potenza e una sapienza infinita ebbe piena balia di costruire ogni cosa nella maturit e compitezza dell'essere proprio. 29.  Noi, dunque, in cambio di argomentare dal solo assurdo come fece Leibnizio ed altri prima e dopo di lui, provando che la spiegazione di tutto ci debbe esstere comunque non apparisca, da poich Dio bont e potenza infinita vuole del sicuro il bene del mondo anzi il massimo bene partecipabile, noi, dico, in luogo di questo inferire e arguire dalla impossibilit del) contrario rispondiamo agli scettici soprallegati con ragioni dirette e palmari tutte ricavate dalla essenza . stessa di ci che riceve l'esistere e dalle relazioni es- senziali tra il finito e l'infinito. ^ 138 LIBRO SECONDO. CAPO SECONDO. DELLA IMMANENZA DI DIO NEL CREATO. I. 30.  AffermaDO i moderni filosofi, segnatamente alemanni, che il maggior pregio de^ panteisti da Gior- dano Bruno a Spinoza e da questi all'Hegel vuol essere riconosciuto in ci che Dio nelle cosmologie ^loro vive presente e immanente nella natura ; come se ^^^ il teismo disgiungesse la creazione dalP autor suo; e . ^^^ noi per la parte nostra gi non avessimo dimostrato o"^' contra ogni sorta di atomisti e materialisti la necessit ^ continua per entro al finito di una mente e d'una ragione nella assenza di cui regnerebbe informe e sconvolto il Caos e la notte perpetua. E sebbene non sia una mente ed una ragione dilatata per le membra infusa per artus a modo di anima,  tuttavolta pi essenziale ed intima ad esse che un'anima dentro ad un corpo; . perocch le fa esistere e le mantiene. Sicch il teismo afferma ed assevera senza dubitazione veruna che tutto ^non  Dio ma Dio  in tutte le cose. NuUameno, per- ch noi d' altra parte affermiamo il moto lo spiega- mento e la vita della creazione uscire dall' opera in- cessante e coordinata delle cause seconde, occorre di \ sciogliere con pi disteso discorso la contraddizione X apparente.  s fatte contraddizioni apparenti, da capo il diciamo, debbono rinnovarsi ad ogni definizione d'alcun principio supremo ed originale; perocch quivi si toccano l' infinito e il finito e i modi nostri abituali DEL FINITO IN RELAZIONE COX L' INFINITO. 139 di ragionare e concludere vi riescono insufficienti. Tal*> che dee bastare ad ogni savia speculazione di sciogliere r incongruenza e concludere in una realit cosi vera e certa, come poco o nulla esplicabile. L'arcano oc- cupa sempre il varco estremo della scienza. II. 31.  In antico, per Aristotele e i suoi seguaci la materia del mondo e la potenzialit sua esistendo ab etemo e indipendente da Dio, ebbesi arbitrio di con- cepire un primo atto efficiente di moto bastevole a su- scitare tutte le forme e dato quasi fuori delle inten- zioni di esso Dio. Ma chi piglia, siccome noi, le mosse * dalla creazione ea nihilo  invece costretto a fare im- manente e perpetua nella natura la efficienza divina, rimossa la quale per ancora un istante, le cose tor- nerebbero al nulla onde uscirono. N simile legamento  parziale o comechessia limitato, anzi limita esso tutte le cose. Per fermo, nulla neir ente finito sussiste che non sia causato, V interno quanto V estemo, il sub- bietto come le qualit, gli accidenti non punto meno deir essenza. Le stesse limitazioni ed insufficienze di lui sono dalla cagione assoluta determinate, ancora che nell' universale la limitazione e V insufficienza sieno cosa negativa e da Dio non provengano; ma che tal limite ovvero cotesto altro accada in un essere e in quella maniera e in quel grado Dio solo prescrive nel- r atto sue creativo ; e da ultimo, perch ogni condizione delle create esistenze  finita, appare manifesto che l'infinito da ogni banda le involge e le penetra. Quando una molecola sola di qual sia corpo e un solo atto d qual^ji spirito valesser^'a slegarsi dalla efficienza di- vina quell'atto e quella molecola o annichilirebbesi. 140 LIBRO SECONDO. come test si notava, o per lo contrario sarebbero tras- mutati subito in enti assoluti e sarebbero Tuna e r altro due Dei. 32.  Ma viceversa cotesta divina efficienza crea e determina delle sostanze emananti certi atti e fornite della capacit di promovere altri atti in altre sostanze. Laonde tuttoc che operano le cause create non  atto divino e non sono esse veicolo delF atto divino ; ancora che la forma, le condizioni, il modo, la misura ed ogni accidente dell' operazione venga determinato da Dio. Il perch, sebbene i subbietti creati sono causa immediata delle proprie azioni e modificazioni, non sarebbe sotto diverso rispetto un parlare sconveniente quello di dire che Dio  cagione pure immediata di qualunque azione e modificazione dacch ogni subbietto operante riceve r esistenza di s e del suo principio attivo eziandio in quel momento in che opera. Ad ogni maniera (e que* sto conviene pur sempre tenersi a mente) V atto crea- tivo e l'effetto, quale che sia, sono divisi sostanzialmente.  poniamo che Dio fosse cagione immediata delle azioni di certe sostanze o di tutte, ci nell' ultimo vorrebbe significare che Dio fa comparire certe forme attive ade- renti a certi subbietti; ma quelle forme attive gi non sarebbero azioni di Dio rimanendo fuori di lui e so- stanzialmente da lui divise. Onde poi seguita che quelle forme non potendo essere azioni di Dio n azioni dei subbietti in cui appariscono o sarebbero non atti ma fenomeni, ovvero conterrebbero in s medesime il principio d' azione, che vale quanto dire che sarebbero un subbietto causale dentro un altro subbietto. Cosa (lo notiam di passata) che Malebranche non avvertiva quando pose in mezzo la sua teorica delle cause oc- casionali e si arbitr di privare d' ogni efficienza i sub- bietti creati. DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 141 III. 33.  Veduto quello che sia la causa efficiente su- prema, e che, non ostante il partecipare ch^ ella fa alle cause seconde il principio attivo, questo medesimo creato e determinato tuttora da lei a lei connette e lega ogni cosa ad ogni momento, sembrA strana la sentenza dei panteisti, la qual non vuole che nel nostro sistema Dio regni e viva presente e immanente nella natura, come se Dio non fosse continuo nell' atto suo creativo e de- terminativo d'ogni esistenza. 34.  Ma oltre di questo nessuna ragione ci vieta d'immaginare che fra le determinazioni, a cos dire, impresse negli enti ve ne sia alcuna o molte od innu- merevoli le quali consistono in qualche modo di con- sunzione di essi enti con Dio. Che anzi di parecchie abbiamo notizia manifesta come delPintelletto congiunto con la infinita idealit. E quelle aspirazioni nostre no- bilissime e cotidiane al vero, al bene, al bello e al santo assoluto dicemmo altrove essere provocate da certo in- flusso od azione divina particolare, la quale, sebbene non intuita nella sua fonte e cagione, pure  sentita da noi nell' effetto mirabile prodotto dentro dell'animo sotto forma di spontaneit, e la quale venir confusa non ' pu con veruna delle cagioni finite in noi operanti. Quindi noi non poniamo limite alcuno cosi al genere di congiunzione delle cose con Dio, come all' intensione e penetrazione di lei. Soltanto affermiamo, che se tali Borte di unimento con Dio corrono al fine universale del bene, porta la necessit che gli esseri creati e con- giunti vi spieghino il supremo dell' attivit e s' appro- priino r unione s fattamente da convertirla in loro fa- colt e possesso. 142 LIBRO SECONDO. Dicemmo pure altrove, e qui ripetiamo, che sebbene o r unimento nostro con V atto creativo od altra spe- cie di congiunzione possa venir giudicata pi intrinseca a noi e alle cose di quello che Y altre tutte congiun- zioni ed unioni delle cose create in fra loro, nientedi- meno ella  di tale essenza e forma, che non trasmuta noi e le cose in modi e azioni di Dio e noi vuole e conserva autori dei nostri atti imputabili e ad ogni snbbietto creato mantiene la inalterabile e sostanziale individualit che sortiva. Del pari, a discorrerla con rigore, non puossi dell' unimento di Dio con la crea- zione asserire n la specie n il quanto, e dire che  pili intrinseco o meno o altrettanto di quelli unimenti fra le cose a noi conosciuti per esperienza. Come non  possibile dire, a modo d' esempio, che i corpi si con- giungono pi strettamente allo spazio di quello che noi con essi quando li tocchiamo ovvero li sollecitiamo al moto ; perocch sono due maniere di unimento af- fatto diverse ed incomparabili. ) , IV. 35.  Dopo tali dichiarazioni non avvi dubbio nes- suno che il divario capitale che passa tra noi ed i pan- teisti circa al proposito raccogliesi in questo, ch'eglino, incapaci per condizione di nostra mente di intuire per via diretta V azione creatrice di Dio e non concependo altra forma d'immanenza eccetto che quelle manife- stateci dai subbietti e dalle cagioni finite, trasmutarono le operazioni e le leggi della natura in atti necessarj e immediati di Dio medesimo. Quindi la immanenza suona per essi perfetta consustanzialit. N solo Dio  in tutte le cose, ma tutte le cose sono Dio. In co- testa guisa abbassarono, per mio giudicio, la divinit DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 143 altissima insno alla nostra miseria e di piii dimezza- rono e impoverirono la scienza umana. Avvegnach f|uella dai teisti professata oltre alle opere della na- tura ed all'universo creato largheggia nella contem- plazione di un atto infinito che senza moto n succes- sione dalla cima di tutti i secoli fa esistere i mondi e li mantiene e g' innova e da ogni parte g' involge e li penetra, come lo spazio, a parlare per immagini, in- volge e penetra tutti i corpi in qualunque lor parte; e nella maniera che lo spazio rimane esteriore alle forze che sono inestese, del pari l' atto creativo penetrando le sostanze con esso loro non s' immedesima. 36.  Avvi dunque una efficienza che crea e de-^ termina ogni ente finito e lo regge e mantiene. Peroc- ch, dove lo tramutasse in propria sostanza od in pro- prio atto, tanto varrebbe annullarlo. In quel cambio mentre lo produce e dispone e dagli forma e limite e lo circonda e lo penetra, pure lo mantiene fuori di s. 37.  Similmente, mentre fluisce perenne e inces- sabile l' attuazione dei possibili e ciascuno si distingue e scevera da tutti gli altri e tutti gli altri da lui e ne risulta un complesso tanto diverso e bizzarro quanto la pi inventrice fantasia pu andar figurando e nulla tu non ravvisi ne' loro subbietti salvo che le necessit permanenti di loro natura, una mente invisibile e ad essi esteriore senza alterare per niente 1' essere proprio di ognuno e solo ponendo ordine nelle loro combina- zioni tragge quel!' universo di essenze strane, sconvolte, incongruenti ed insufficienti ; le tragge, dico, non consa- pevoli all'adempimento del fine, che  la partecipazione del bene massimo al massimo numero di creature. 38.  Cos  immanente nella natura non solo un atto mirfico di potenza infinita ma una mentalit che mentre non fa nulla, predispone e preordina il tutto o 144 LIBRO SECONDO. mentre le cose non la contengono o non la ravvisano, sono invece contenute e informate da lei, e Virgilio parl esatto e profondo con dire Mens agitai molem. Di tal maniera torniamo ad accertare uno de' fondamentali principj della cosmologia, e vale a dire ogni cosa esser fatta dalle cagioni seconde e queste obbedire in tutto alle facolt ed attribuzioni dell' indole propria, la quale, per altro, non  a caso, ma porta scrtta in s una lettera che unita ad altre ed altre dell' infinito alfabeto compone il poema eterno del mondo creato. Laonde nella natura una cosa  chiedere la ragione immediata di ci che diventa, e una diversa  chiedere la immediata cagione. Questa emerge sempre dalla forma essenziale dei subbietti finiti e particolari; quella  riposta nella suprema mentalit che dispose le com- binazioni e della quale pu dirsi col poeta :  L'arte che tutto fa nulla si scopre,  conciossiach l' arte divina combinatoria che concilia stupendamente la possibilit inesauribile con la infinita provvidenza non pu essere veduta dentro alle cose 1^ salvo che dall'occhio dell'intelletto. 39.  Ora, io non dubiterei di afifermare che tale cagione e tale ragione cos distinte fra loro e per un certo rispetto cos divise e separate sono confuse indebi- tamente nei sistemi de' panteisti moderni; e ci appunto per la immanenza consustanziale di Dio nel grembo della natura. Per fermo, giusta i dogmi hegeliani l'idea dimora essenzialmente dentro le cose; queste anzi, sono la idea medesima in quanto si esterna e per mezzo della vita ricupera la unit dispersa nella materia e DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 145 giunge alla perfetta e assoluta esistenza dello spirito. Quindi gli oggetti dell'esperienza non sono altro che riferimenti e rapporti diversi della idea con se, la quale facendosi astratta o concreta, subbietto od obbietto, me- diata o immediata e cos conoscendo e ripetendo mil- lanta volte le alienazioni sue ed i suoi ritorni, trasmuta e si svolge, tanto che il mondo visibile intero pu esser detto una esternazione della logica, ovvero delle ca- tegorie principali tra cui si muove il pensiere rappre- sentativo. Laonde le sostanze e forze speciali operanti per propria virt e con leggi inserite nella essenza loro immutabile dove sono? Bene si affermava, impertanto, qua sopra che delle due entit che sempre sono da cercare nella natura, la cagione cio e la ragione, quello che costituisce la cosa e 1' atto e quello che ne mostra il perch finale, la prima, che  la cagione, si annulla per mio avviso ne' sistemi de' panteisti moderni ; e la seconda  ragione d' una fatta cos diversa dalla co- mune degli niomini che conviene innanzi metter mano ai vocabolari e le vecchie accezioni cambiar nelle nuove. 40.  Noi dunque, raccogliendo le massime definite l>er entro questi due Capi del Libro secondo e antici- pando un poco su quello che verr dimostrato quando ci avverremo nella necessit che incombe a tutti gli enti razionali di congiungersi in modi particolari con l'infinito, crediamo di poter fermare con ragione sal- dissima i principj infrascritti che sono effettualmente sostegno e luce delle teorie cosmologiche. La efficienza divina crea e determina tutto. La divina mentalit preordina tutto. La natura naturata fa tutto. La infinitudine partecipata termina tutto. 41.  X si vuol negare che tra la prima propo- sizione e la terza non intervenga l'apparenza d'una MAMiAni.  11. 10 146 LIBRO SECONDO. xnsolubile antilogia, e, per dir pi esatto, tali due pr- \ posizioni cos accostate riaifacciano al pensiere con vvivezza maggiore V antilogia perpetua che sembra ne- gare la possibilit della creazione ex nihilo, sembrando negare che V effetto mentre sussiste tutto quanto per la cagione, sussista separato sostanzialmente da lei. Seb- ^bene una miglior riflessione persuade pi tardi la mente che ogni specie di creazione accade dal nulla e per tale rispetto fare esistere un modo e un atto ovvero un sub- bietto operante  sempre arcana cosa e inintelligibile. Salvo che, la necessit di ammettere la creazione so- stanziale dal niente, rivela al pensiere questa verit che tra la cagione e V effetto oltre il legame per espe- rienza conosciuto di modo a sostrato e di atto ad agente debbe venir divisata una terza specie che nominiamo metafisica, non manifestandosi mai nelle cagioni infe- \ rieri ed essendo arguita solo e indovinata dalla virt discorsiva. Per cotesto nesso metafisico, adunque, effetto e ca- gione esistono V uno fuori dell' altro ; e nell' effetto pu radunarsi tutto il cumulo delle cose finite, senza che questo cumulo perda o scemi per niente la sua condizione di effetto. E del pari, nel cumulo detto pu dispiegarsi una serie indefinita di atti senza che uno solo di essi fugga alla determinazione del . primo atto efficiente. La natura naturata, impertanto, opera tutto perch il tutto finito venne in lei predisposto e deter- minato insino all'ultimo apice; e questo predisporre e determinare  atto assoluto universale e impartibile ad intra ;  atto sostanziale successivo e molteplice ad extra E perch il primo non  visibile,  solo din- nanzi a noi la natura naturata e a lei sola dobbiamo chiedere la cagione dei fatti. BEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 147 CAPO TERZO. DEI PROGRESSI DELLA TEODICEA. I. i> f 42.  La natura  il magno volume in cui eia- . ' yV scuna pagina dee portare scritto un segno lucente della . / bont di Dio; perocch nell'ontologia vedemmo la crea- zione fluire da essa bont e divenir necessaria per ci appunto che la possibilit del bene finito era una delle idee archetipe sussistenti ab eterno nel pensiere divino. Ufficio adunque della cosmologia  mostrare come tutti i principi che va trovando e provando confermano quello che dai platonici fu domandato il trionfo della forma sulla materia ovvero il trionfo della bont e men- talit divina, sulle oscurezze, le impotenze, le angustie i e le necessit del finito, gi descritte minutamente da ; noi nel Libro anteriore. 43.  Quivi abbiamo scoperta con troppa chiarezza (ci sembra) la origine vera del mal positivo, il quale per lo certo non risolvesi in negazione e che d' altro canto non fu evitabile nemmanco alla infinita potenza volendo pure che il finito esistesse. 44.  Ora ci si  fatto manifesto eziandio che tale finito o come fu domandato poc' anzi tale natura na- turata opera ogni cosa. Di questo principio accade di ^ avvisare le conseguenze piii rilevate a rispetto della ^ Teodicea, non bastando forse di aver conosciuto che la essenza del bene esige negli enti che ne partecipano uno spiegamento di attivit intensa ed uno appropria- mento continuo del mondo circostante. ] 148 LIBRO SECONDO. 45.  Ricordiamo, dunque, in breve che la natura non  una, anzi quanto alle condizioni sue finite  av- versa delF uno e di ci che all'uno maggiormente si approssima. La moltiplicit, impertanto, assoluta  carattere indelebile del mondo creato, e cio a dire eh' egli risulta di enti divisi sostanzialmente e nell' ul- timo fondo di loro sostanza non penetrabili. Del pari vedemmo nel primo Libro che necessita alle cose finite il permanere nel proprio essere sostanziale invariabil- mente. Quindi nella natura in mezzo a continue mu- tazioni di modi e accidenti serbarsi incomunicabili impartibili e sempre medesimi gli elementi estremi, o vogliansi dire i subbietti primi ed originali. Possono questi aggregarsi e congiungersi e in guise innumere- voli modificarsi l'uno per azione dell'altro; ma le es- senze, giova ripeterlo, n si annullano n si trasmuta- no. Per simile, possono in maniere sublimi ed intrinseche unirsi con 1' Assoluto senza diventare altro subbietto per ci, e senza che il fondo loro sostanziale mai con- vertasi neir Assoluto medesimo e in lui si perda come ^stilla d'acqua dentro l'oceano. 46.  Certo, in questo persistere dei subbietti finiti  il fondamento del nostro egoismo ; che vuol dire di quella finit esclusiva e di quel particolare e individuo onde non possiamo uscire senza annullarci e mettere un ente diverso in luogo di noi stessi. Avremo agio nel- l'ultimo Libro di riconoscere alcune di quelle arti divine per le quali nel modo che ogni ente con l' accompagna- I tura di altri dilata l' essere proprio, cos l' ente umano I scorda e annega la propria individualit e vive ed opera nell'universale e il genere suo tutto quanto sembra farsi DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 140 persona che pensa e vuole e delibera con effettiva unit di mente e di animo. Per al presente, notiamo che il perdurare delle nature finite spianta dalla radice V orgoglio di quei sistemi ontologici e cosmologici a cui piace di per- suader r uomo di essere la vagina di Dio, ed anzi il pensiero e la coscienza stessa di lui. 47.  D' altro canto, questa durata impermutabile dei subbietti finiti porge fondamento a due forme essen- ziali della nostra dignit; e Tuna consiste a perpe- tuare la imputabilit nostra morale e che ninna forza o benigna o nemica pu trasmutarci in automati. La seconda consiste nel non potersi con la mera passivit raggiungere il bene ; e per conseguente noi destinati alla partecipazione del bene e al desiderio indomabile del fine assoluto fummo altres dotati di essenziale energia a quel fine proporzionata, conforme si venne spiegando nel Capo Primo e si vedr in pi luoghi dell'opera. ,^^ 48.  Tutto ci viene anche a mostrare con evidenza r^ ' la nostra vita immortale. Che non solo per necessit di natura debbo eternarsi il nostro essere sostanziale come tutti i prncipj semplici e forniti di quella unit senza cui non avrebbero esistenza e medesimezza propria e incomunicabile; ma debbe sussistere di l dal tempo presente con le qualit essenziali ed ingenite dello spi- rito che sono le determinazioni innate e costitutive di lui, perocch egli non venne all' essere come una cosa astratta, indefinita e ideale ma con certa compita in- dividuazione che sotto il cumulo dei modi e degli ac- cidenti variabili si serba conforme e perenne. E dove in questo mutasse, muterebbe T essenza sua, e ci vale quanto che si annullasse. Rimane che si distingua per via di fatto quello che in un dato essere forma parte delFessenza e quello che no. Sopra il qual.sunto la psico- 150 LIBRO SECONDO. logia risponde con altrettanta precisione quanta evi- denza. E ninno dir nell'anima nostra essere accidentale il volere, il pensare e il saper di pensare; ninno che la visione ideale e l' intuito del subbietto comune della verit non accadano dentro di noi per qualche legame essenziale dell' anima con V Assoluto medesimo ; ninno I che il sentimento e il concetto del bello, del giusto e  del santo sieno accidenze fugaci promosse dalle cose /esteriori finite e senza fondamento veruno in qualche I facolt primogenia di nostra natura. Tutto ci, impertanto, noi rechiamo del sicuro con esso noi di l dal sepolcro^ in quanto almeno sono principio spirituale di azione; e similmente noi vi rechiamo la libert che  quella disposizione essen- ziale dell' anima di poter essere, come disse Platone, principio di moto a s stessa. Vero  che noi im- parammo nel primo Libro alle cose attive finite toc- care questa general condizione di non potere uscire da se medesime d' ogni stato virtuale in cui si ri- trovino, ma s abbisognare d' alcuna cagione esteriore 0 promuovitrice od occasionale. Ed  questione troppo involuta e inopportuna al nostro trattato cercare quello che dentro V animo  attivo per s e quello che  vir- tuale. Che anzi lo stesso libero arbitrio tuttoch parte- cipi della natura di causa prima, nullameno  bisogno per operare che lo preceda la cognizione, e questa non  facile a dire se  sempre in qualche specie di atto ovvero  primamente ed originalmente in sola potenza. 49.  Di quindi nasce che V anima umana, sebbene reca sempre con essolei le sue facolt, pu abbisognare in altro mondo di altra sorta di promozione per giungere all'atto; ma considerandosi che la materia sembra pochissimo idonea a tal promozione, perch  inferiore sommamente allo spirito in ogni qualit ed attribu- DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 151 zione, il naturai criterio ci porge che dovunque vadas lo spirito vivr in ambiente piuttosto pi acconcio che \ meno a spiegare V atto delle sue mirabili facolt.  ^ a noi sembra che a ninna persona assai ragionevole debba venire in capo che esse facolt sieno state al- l' anima distribuite solo per attuarsi nel tempo brevis- simo della vita presente, che al dirimpetto della eter- nit  come un punto nella immensit dello spazio. Lasciando stare cento altre ragioni che V uom deduce dalla filosofia morale e da altre fonti. E noi medesimi nel progresso dell' opera scolpendo con evidenza sic- come nell'universo visibile e intelligibile regna una legge di apparecchiamento di organamento e di svi- luppo, ci sentiremo persuasi ed anzi costretti a pen- sare che la presente vita essendo tutta un apparecchio e un organamento spirituale e mentale dell' anima rivolto all' assoluta finalit, toma impossibile che essa anima se n' esca alla fine senza serbare ed anzi accre- scere a dismisura alcuno spiegamento delle facolt sue pili degne e ricaschi affatto in quel suo stato virtuale e inattivo in cui nacque; posto, peraltro, ch'ella abbia veracemente e con la libera energia propria svolte e ampliate le sue potenze pi nobili, e non invece piegate di lor dritto cammino servir facendole a intenti pravi e bestiali. III. 50.  La natura naturata, si disse, fa tutto ; e questo suo fare apparisce eminente pi che in altra cosa negli esseri razionali e morali. Perocch ad essi appartiene in particolar modo conquistare il bene e con opera  faticosa e travaglio incessante appropriarselo e diven- ^ tare uno con lui. Il che manifesta ad un tempo la 152 LIBRO SECONDO. gran dignit umana e quanto mai le si opponga la passivit e V inerzia. Ma per rispetto al male ed all'origine che con- viene assegnargli giudichiamo di aver provato che esso nasce dalla essenza non emendabile della finit, secondo le definizioni e spiegazioni date da noi; per le quali fu dimostrato che quella essenza non risolvesi tutta in mera limitazione, ma s conduce seco certe forme di realit positiva che sono le forme del mal positivo. 51.  Ci non ostante, come la essenza della finit rimaner poteva giacente nel nulla e Dio ne la cav fuori, Dio certamente per volere il massimo bene finito volle altres il male che vi si meschia. Laonde quelle distinzioni del Leibnizio fra il concorso materiale e il formale, tra il volere e il permettere e tra la volont universale ed antecedente e la decretoria susseguente, trattandosi dell' autore primo e della cagione efficiente / assoluta del tutto, mi sembrano da lasciarsi ai vecchi , disputatori di Coimbra e di Salamanca e a torto un' in- /gegno s alto le and pescando ne'lor volumi. Pi strano mi si rappresenta l' altro sotterfugio del Leibnizio di porre la prima radice del male dentro le forme astratte che sono le idee, perch queste, disse egli, essendo in- create, non si pu affermare che fossero fatte da Dio. / Certo, ci voleva il coraggio d' un metafisico a sbal- larla cos grossa; e fu davvero ordito un assai brutto ischerzo a Domeneddio. Perocch il male da questa valle di lacrime, come si usa chiamarla, fu traslatato non pure in cielo ma nella sostanza divina; che le idee eterne a Dio appartengono ed ogni cosa in lui  sostanzialissima. Salvo che non si potea dir cosa pi contraria alla verit. Le idee del male, chi non lo sa? sono in Dio non per somiglianza ma sbbene per ana- logia, e in che consista colale forma di analogia nes- DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 153 anno lo intende. Che se poi discorriamo della possi- bilit del male, odir si voglia della efficienza divina a lui relativa, baster notare quello che altrove ab- biam dimostrato, e cio che nella onnipotenza divina, appunto perch infinita,  piena balia di creare fuori di s il diverso da s ; quindi nelle cose finite v^  due sorte di positivo, 1' uno capace di superlazione, V altro incapace. IV. 52.  In somma, egli non si dee dubitare dal leale  filosofo di asserire che Dio  voluto il male commisto a bene sovrabbondante, dacch questo senza quello non era possibile; considerato che la essenza del finito  immutabile. Dio  voluto quel poco o molto di male perch di gran lunga  sempre inferiore al bene e per- ch il tempo e la divina mentalit V andr viemeglio attenuando e stremando in qualunque angolo dell' uni- verso, e ogni danno sar compensato e ogni perdita ristorata a larga misura. 53.  Quanto poi al mal morale che di tutti  il peggiore, anzi pu taluno mantenere che sia solo esso il mal sostanziale, Dio volle che apparendo di neces- sit fra gli enti razionali e morali non vi producesse pii guasto che una perturbazione transitoria e sem- pre mai circoscritta dell' ordine universale del bene, e provvide sapientemente perch a grado per grado e in lungo trascorrere dell' et si adempia a capello la legge mirabile annunziata dal Vico, e cio che nel mondo morale e civile quello che  diventi di mano ih mano quel che debb' essere. "^ 54.  Ma intorno di ci accadono schiarimenti pa- s recchi e di somma importanza. Si contenti per il let- ^ 154 LIBRO SECONDO. tore di metter V occhio in un' altra pagina della storia / secreta de' miei pensieri ; ai quali confesso che era 4 mancata consistenza e compitezza circa il proposito prima di pubblicare i Diloghi di scienza 'Prima, Io narrer dunque in breve per che occasioni e ragiona- menti io ne venissi pure a capo. 55.  A poche miglia da Parigi avvi uno stagno che quelli del luogo domandano lago, si perch  molto grande e si per quel fare francese di magnificare ogni cosa. Ma come ci sia, l' industria e 1' accorgimento irancese  pur convertito quello stagno o laghetto in un sito amenissimo e fabbricatovi palazzine eleganti che arieggiano quelle cascine di Svizzera cosi piacevoli a riguardare e comode ad abitare, sebbene tutto sia legno e qualunque parte e ornamento tenga del rustico. Col, dunque, io m' era recato nel 1842 e dalle gio- vinette Frankland, tre signorine inglesi oneste ed ama- bili, era sovente menato in barchetta su per quelle acque maneggiando esse medesime il remo a vicenda; e se r una remava, 1' altre intonavano una romanza con istraordinaria abilit e grazia di canto. Ma questi ac- cidenti che a me sono carissimi a ricordare com'  fa- cile intendere, non importano del sicuro al lettore. Io li sopprimo adunque e mi stringo a dire che la mez- zana delle tre giovinette per nome Elena e a cui nel- r anno vegnente fu dedicato un mio idillio intitolato Manfredi^ piacevasi oltremodo nella poesia e nella filo- sofia quanto conveniva alla sua et e alla sua modestia. Egli avvenne che un giorno, entrato io in certo stu- diolo laddove solcano gli amici di casa essere intro- dotti, trovai la bellissima Elena in atto di chiudere un DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 155 libro, e il libro altre volte da me veduto conteneva i Drammi di Giorgio Byron.  Voi non vi potete staccare da quel poeta, le dissi io allora, e noi tutti che un poco vi corteggiamo sentiremoci obbligati a pigliarne gelo- sia.   Non quest' oggi, rispose ; che sono stizzita pi presto che innamorata del mio poeta. Per vero, io leggo troppo mal volentieri questo suo Manfredi,^ quel con- cetto che gira per tutto il dramma della soverchia po- tenza del male e come il genere umano vi sia dannato senza piet e incappi nella colpa quasi contro sua vo- glia, mi fa spavento e mi agghiaccia l'anima. Oltrech mi  sovvenuto quello che voi mi diceste or fa pochi giorni, che v'  un filosofo, non mi si ricorda il nome, il quale sostiene la massima stessa con formidabile appa; recchio di sillogismi, e conclude che se la ragione mo- lina da s e non bada alle cose reali, trova non po- tere esistere salvo che un solo principio, autore buono e saggio di tutto il creato. Ma per lo contrario, chi studia i fatti e r ordine del mondo visibile noi pu altramente spiegare se non concedendo che sussistono due prin- cipi assoluti, buono l' uno, V altro malvagio.  56.   Ben si vede, risposile io, che avete immagina- zione assai giovanile ed ogni cosa lascia l dentro im- pronta profonda. Oggi i versi di Byron fannovi signo- reggiare quella figura odiosa e terribile di Armane che egli descrive nel dramma ora letto da voi. Domani, spero, immagini pi serene e pi conface voli all' in- dole vostra balzeranno di seggio quell'Iddio fosco e perverso. Il filosofo di cui accennate  francese e chia- masi Bayle. Ne mi disdico sopra il giudicio che di lui esprimevo; che propriamente egli fa sudar freddo a tutti questi scolaretti di logica e di dogmatica. Non pertanto, voi avete a leggere le confutazioni di Leibnizio scritte quasi sempre a maniera conversevole e popolare; e 156 LIBRO SECONDO. quando anche fossero di dettato astruso, l' inclinazione fortissima che v' accosta ogni giorno pi a tale sorta di studj vel renderanno piano ed aperto.  Si convenne che io le avrei procurato quel libro siccome fu fatto; e mentre ella sei veniva sfogliando in sua camera, io re- catomi a posta per meditare pi alla libera nel bosco / vicino di Chantilly ripensavo a tutt' uomo e rivangavo  da ogni parte quella gelosa materia, e parvemi alla fine di averne trovato il bandolo. Ci non pertanto volli aspettare a vedere quello che uscito sarebbe della mente e del cuore d' una giovinetta cos svegliata d'ingegno come religiosa di sentimento, e tanto cu- riosa della verit quanto illesa di pregiudicj e con animo per nulla preoccupato da spirito di sistema.  VI. 57.   Ecco, io vi rendo il libro che mi prestaste a leggere per gentilezza e premura,  mi disse ella un giorno con volto mezzo serio e mezzo ridente.  Che ve ne pare?* soggiunsi io alla prima. Farmene bene,  replic ella,  e forse migliori risposte non potevano esser trovate contro quell' acerrimo oppugnatore. Con tutto ci, vale meglio uscire a un tratto di simile ginepraio e scordare una controversia tanto spinosa; io me ne sentivo pungere e lacerare la pace dell' anima. Onde ieri me la racconciai bel bello col mio libricciolo di preci e col leggere iteratamente e di gusto qualche ca- pitolo del mio Da Kempis.   In buon'ora, le dissi io, il Da Kempis  sempre ottima medicina allo spirito; ma il vostro avea dunque la febbre.    Che febbre ?  rispose ella rizzatasi in piedi e tinta nel viso d' una fugace fiammolina di sdegno.  Gi io non posso non dirla co- m'io l'intendo, e sappiate che io non sono al tutto al DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 157 tutto contenta di Leibnizio.  un gran testone e un ragionatore da sbalordire. Ma quando  ben bene con- futato e sconfitto il Bayle, costui mi sembra piuttosto sopraffatto che vinto e vibra ancora da terra delle stoc- cate che guai se le arrivano.  58.  Si rise da tutti gli astanti della faceta con- clusione ed io ne risi pi degli altri, e voltorai presta- mente alla giovine, ridendo pur tuttavia le dissi :  Bel- lissima Elena, or che pensereste voi di tal caso quando sapeste che il Bayle tacque forse la pi sicura e ga- gliarda di tutte le istanze ; e d' altro canto riferendo il sistema de' Manichei ne guast il concetto ; o par- lando pi giusto, il concetto guast del maestro loro antichissimo e vale a dire di Zoroastro? Prova di que- sta seconda accusa la raccoglierete da un libro che io vi porr in mano scritto da un diligente discepolo di Anquetil du Perron. La istanza taciuta sono per dirvela subito, quando non vi tedii ora di entrare in simili filastrocche.  La giovine punta coni'  naturale da non poca curiosit e scordando a un tratto il pro- posito suo di chiuder la mente ed il cuore a s fatte investigazioni,  Su via, rispose, recitate ora voi la parte di Arimane e di Satana. Forse vi torner men difficile che non sarebbe quella di angelo.  E da capo rise la brigatella quivi adunata e disposesi con silenzio e pa- catezza ad udirmi. 59.   La obbiezione taciuta, ripresi io a dire, sa- rebbe stata, per quel eh' io penso, un modo sicuro d' invalidare l' affermazione continua del Leibnizio che il male veniva permesso a cagione di essere egli in- volto nel gran disegno del migliore dei mondi. Al che dovea replicare il Bayle che se trattasi di mal morale Dio poteva permetterlo unicamente come transitorio e cos ristretto nel danno quanto nella pena; di guisa 158 LIBRO SECONDO. che quel disegno del migliore dei mondi non involgesse la perdizione eterna ed irredimibile neppure di un solo ente razionale e imputabile. In diverso caso  con- tradittorio il dire che tal perdizione possa conciliarsi con r ordine il quale attua il migliore dei mondi. E per fermo, i precetti morali assoluti non sopportano mai eccezione, perch significano propriamente la so- stanza medesima dell' ordine universale e perpetuo me- diante cui la creazione perviene al possesso del mag- gior bene possibile. Quei precetti, impertanto, esprimono dalla parte nostra Y economia stupenda e non mai dis- solubile delle cose tutte quante a rispetto del bene; ed esprimono ad intra, e cio in risguardo di Dio, la saggezza infinita la quale pens quella eccelsa eco- nomia e dispensazione di esso bene. Fa dunque ripu- gnanza nei termini che Dio stabilendo il migliore or- dine di creazione controvenga a quale che sia di quei precetti assoluti, e voglia appostatamente permettere il mal morale per ricavarne il bene e sia pure un bene infinitamente maggiore. 60.   Ora a me sembra certissimo che non tor- nando lecito air uomo, per modo d' esempio, di af9ig- gere un innocente in aspettazione non dubbia di qual- che somma utilit, n tampoco ci debba essere voluto da Dio per accrescere e spandere ogni dose di bene. Del pari, se non  lecito all' uomo di oltrepassare nella giustizia punitiva il paraggio tra i due mali della pena e della colpa. Dio per sicuro non vuole e non pu va- licare cotesti termini. E se gli uomini sono chiamati fn colpa quando pensano di guadagnare il lor meglio per mezzo delle altrui scelleraggini o comandate e pro- curate o pur solamente permesse e non impedite, gli  manifesto che la reit e perdizione piena ed intermi- nabile d' un solo essere razionale e morale non dee DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 159 mai comporre nemmanco tra le mani di Dio una con- dizione di ordine dal quale scaturisca il maggior bene del mondo. Perocch suona ed echeggia per tutti i se- coli questa verit solenne ed irrefragabile che il tne^ non legittima il mezzo; e tanto  impossibile che il bene rampolli dal mal morale, quanto che la retta ge- neri .il circolo. Dio  permettitore del mal morale, per- ch questo aderisce pur troppo al libero arbitrio e nella essenza del finito giace la necessit che il principio di mutazione e d'innovazione delle anime non possa al- tronde venir dedotto che da esso libero arbitrio, senza parlare di altri profitti sostanzialissimi e nobilissimi che la libert porta seco.  Oltre di che, la bont divina fa il mal morale assai circoscritto e soverchiato in immenso dall' abbondanza del bene. E ci nonostante, sarebbe contradittorio che il mal morale, o la colpa che voglia dirsi, esistesse ac- canto del bene semprech ogni autore di quello noi disdicesse e non l'emendasse o presto o tardissimo, e per racquisti quando che sia la potenza e l' abito di rettamente usare della libert, e quindi raggiunga il fine a cui venne creato e sia nei termini della giusti- zia e della misericordia ammesso alla partecipazione del bene. Ondech ninna creatura imputabile perde, ripeto, l'essere suo di fine e serve onninamente per mezzo procacciando col male proprio perpetuo un in- cremento di felicit ad altre creature. In quel cambio ^li medesimo partecipa a tale incremento dopo la convenevole espiazione, e nonostante il mal morale da lui prodotto. VII. 61.   N si schermisca Leibnizio dicendo che bene pu r uomo nei confini della giustizia punire il reo e 160 LIBRO SECONDO. dalla punizione ricavare il vantaggio comune. Il per- ch Dio non controvenne ai precetti morali assoluti traendo il massimo bene da un ordine di cose che im- plica non gi V oppressione dell' innocente ma la pena del colpevole. Facile torna a rispondere, primo, che tal pena prolungandosi nella eternit soverchia di certo ogni proporzione con la finita malizia del reo. Secondo, che la colpa commessa  per causa formale V arbitrio abusato ma per causa prima efficiente il medesimo Dio. E vanissimo sotterfugio  il dire con Leibnizio che (cito le parole sue testuali) :  Si Dieu n'avait pas choisi le meilleur monde ou le pech intervient, il aurait admis quelque chose de pire que tout le pech des cratu- res; car il aurait derog  sa propre perfection la divine perfection ne doit pas s'abstenir du choix du plus parfait et que le moins bon enveloppe quelque chose de mal.  62.   Vanissimo sotterfugio, ripeto,  cotesto, av- vegnach niente  peggio del mal morale assoluto, ed  ripugnante volerlo porre per condizione d'un ordine da cui sorga V ottimo di tutti i mondi, allorch Dio stesso ci fa conoscere che T avversare qualunque pre- scrizione della legge morale  direttamente contrario air ordine. Come dunque Dio permettendo la perdizione finale di un qualche ente imputabile pu far difetto alla perfezione propria ? la verit  nell' opposta sen- tenza. 63.   Quanto poi al trovato di alcuni scolastici che la pena del mal morale  protratta nella intermina- hilit del tempo a cagione che la volont del dan- nato rinnova in eterno la colpa sua ribellandosi ad ogni momento contro Dio e i precetti morali, a me sembra un concetto de' pi paradossi ed orribili che cader possano nella mente d' un uomo. E nulla cosa BEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 161 fa pi oltraggio alla bont infinita di Dio quanto figu- rare ch'egli abbia fornito di esistenza attuale un essere capace di rinnovare in eterno la propria malvagit e rinnovarla continuamente negando la evidenza della verit, della bont e della giustizia; essere inconcepi- bile, assurdit reale e vivente, a fabbricar la quale ap- pena si pu intendere che torni bastevole la potenza infinita, potenza adoperata a produrre un simile mostro ! 64.   Nem manco si obbietti da taluno altro che la legge morale assoluta  alla fine delle fini un punto della libera volont del Signore Iddio. Quindi ei la pu dissolvere e per lo manco non applicarla alle opere proprie. Questo altro paradosso fu detto e scritto da molti, e sarebbe una delle conseguenze del principio cartesiano che Dio pu volere che il quadrato sia me- desimamente rotondo. 65.   Non credo mi occorrano molte parole a sven- tare cotale opinione stranissima; e lasciando di ricer- care se il bene morale sia bene per se ovvero perch Dio volle che fosse, egU mi sembra suficiente il con- siderare che Dio non contravviene ai suoi propri de- creti i quali da ultimo costituiscono la essenza delle cose.  66.  In questo modo io mi provai di far discor- rere il Bayle in confutazione delle confutazioni leibni- ziane. E ancora che le parole abbondassero pi del do- vere e non sapessi svestirle di astrattezza ed aridit, la cortese ascoltazione della giovine e degli altri pre- senti non venne mai meno. 67.  Anzi, finito io di parlare, prosegu ancora un poco il silenzio di tutti, non potendosi la mente disciogliere cos a un tratto di quella non lieve medi- tazione. Pure, alla fine miss Helen, quasi riscossa d' una visione alta e severa, fatto, come mi parve, al- 11amia: creazione esaurisce tutti i possibili o con altri termini se le infinite determinazioni dell' efiicienza diviiia tra- passano all' atto, e se non vi trapassano tutte, quali rimangono escluse e perch. Noi gi toccammo di que- sta materia. Ora cogli aforismi ne discorriamo eoa 182 LIBRO SECONDO. pi rigore di deduzione. E prima, s'intende che l'efiSr cienza divina pareggia la in&iitudine propria non mai fuori di s stessa ma nelle perfezione del proprio essere. Al che badarono poco Giordano Bruno, Spinoza ed altri di simil pensare, allora che riguardando uni- camente alla infinit della causa sostennero con fer- mezza che quando l'eflFetto non si stendesse agli estre- mi confini della fattibilit si rimarrebbe inferiore e sproporzionato al principio suo; e quella fattibilit intesero che non avesse limite alcuno ; e mentre par- lavano del fattibile, e cio di cosa contingente e che principia ad esistere, nondimeno la unificarono per ogni verso con Dio. 110.  Ricaddero qui nella perpetua ed immanente contraddizione del loro sistema, volendo che il finito sia tale e non sia nel tempo medesimo ; e perch infinita  la natura naturante e una sostanza medesima gira secondo essi nella natura naturata, pretesero questa ultima uguagliare all' altra, e cos di necessit si av- vennero nel doppio assurdo o di fare infinito il finito o di dare limiti e contingenza al fondo della natura che ne' sistemi loro  l' essere stesso divino. Ne bada- rono d' altra parte che la possibilit ideale, converten- dosi con la infinita pensabilit,  necessariamente una e semplice; laddove i possibili attuati sono un molte- plice ; e mentre nella pensabilit divina giacciono essi fuori di spazio e di tempo, vanno quaggi spezzandosi in innumerevoli enti secoi^do le leggi della successione e della impenetrabilit. Ora, come non v'  misura nes- suna tra r uno e il molteplice, tra il finito e l' infinito, rimane certo che 1' eflFetto ad extra dell' efficienza di- vina non pu uguagliar la cagione per ampio e im- menso che paia e ))er moltiplicarsi che faccia in tutta la lunghezza dei secoli. DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 183 111.   mirabile a dirsi come la infinit del possi- bile si manifesti al pensiere per ogni dove ed in ogni cosa e dapertutto sopravanzi d'immensurabile intervallo la finita realit. Ecco noi ci avveniamo in certo numero determinato di metalli e di metalloidi; e sebbene ci fallisce la facolt d' immaginare il diverso di altre spe- cie 4' entrambi gli ordini, nullameno ei se ne conce- pisce assai nettamente la possibilit. Poniamo che esi- stano in altri pianeti o in altri sistemi solari. Ma che per d? r opera della concezione nostra non vi si fei^ma; e quando anche si pensi all' indefinito dei mondi at- tuali e futuri, noi ci troviamo sempre al medesimo punto. Conciossiach la mente chiede a s stessa per- ch quelle innumerabili specie non sono replicate in ciascun pianeta, considerato che tal concetto non  nulla di ripugnante in s stesso. Adunque la possibi- lit ideale oltrepassa il fatto mai sempre con la di- stanza dell'infinito; cosa alla quale dovea pur pensare Giordano Bruno, quando volle che la materia e le for- me naturali e i mondi fossero effettualmente infiniti. Afobismo X. 112.  D'altro canto, debbe affermarsi, come fu; espresso altrove da noi, che una cagione infinita vuole almeno riempiere tutta la capacit del finito e che per i possibili vengono effettuati di mano in mano cos nel quanto come nel quale con variet indefinita e senza mai termine. La quale proposizione, parlandosi in ge- nere, debbe accettarsi per vera ed esatta. 184 LIBRO SECONDO. Aforismo XI. 113.  Non per di mano, se per formare un con- cetto ossia un possibile ideale basta la remozione delle contradittorie, altre condizioni sono richieste per at- tuarlo nel tempo. Vero  che a rispetto della potest e sapienza infinita quelle condizioni risolvonsi nella compatibilit delle essenze. La Chimera, la Gorgone e simili fantasie non sono concetti contradittorj, ma il fatto loro racchiuderebbe incompatibili essenze, e ci torna all' ultimo ad una reale contraddizione nei ter- mini ; come se taluno, per grazia d' esempio, vada pen- sando ad un corpo il quale sia grave e leggiero, com- posto e semplice elastico e non resistente. ^ 1 14.  La scienza umana, pur cos incerta e ristretta com'  nel conoscere le essenze e necessitata di muo- versi dietro i sensi e V esperimento nella notizia delle cose di fatto, giunge nullameno assai volte a scoprire che tal natura non pu essere compatibile con tale altra ovvero tal qualit con tale accidente. Ben  vero eh' ella  costretta nel pi dei casi di accettare un certo ordine di cagioni e di atti senza veder chia- ramente il perch. Ma conosce poi in modo assoluto e per sola virtii discorsiva che, presupposto quell'ordine, certi fatti e certi altri anno con esso una convenienza , 0 disconvenienza compiuta ; e la seconda, perch com- piuta,  ancora inemendabile. Cosi data la natura fe- rina e r umana, subito vedesi che in niuna maniera se ne potrebbe fare meschianza ; perocch ogni specie di corpo organato vive per certa unit uscente dalla con- DEL FINITO IN RELAZIONE CON' ^L' INFINITO. 185 sonanza delle parti col tutto; e per quando il princi- pio unitivo  sostanzialmente diverso, il voi r mescolare Tuno con T altro diviene ripugnante, come accadrebbe nel supposto della Gorgone che  serpenti per capel- liera, e del Centauro che  mezzo uomo e mezzo cavallo. Nel Centauro sono due organizzazioni, guasta ciascuna e interrotta, quindi senza unit e quindi non potrebbero supplire a vicenda quello che manca ad entrambe. 115.  Contuttoci di niun altro genere di portenti si  compiaciuta pi volentieri V antichit quanto di questi mostri biformi, e ninna cosa le  appadta quasi a dire pili facile quanto le metamorfosi delle sostanze e le trasmigrazioni delle anime. Il che pro- venne, per nostro giudicio, dalla cognizione troppo scarsa di quello che statuisce e mantiene la unit or- ganica, e cio di quella corrispondenza e omogeneit delle parti col tutto che rende possibile tale vita in tali membra. E per fermo l'antichit, laddove conobbe distintamente il bisogno deir unit e della medesi- mezza, fece tacere la fantasia e pose freno e legge alle stesse favole e allo sbizzarrirsi delle leggende. Cosi accadde che ravvisandosi la necessit d'un principio spirituale impartibile e identico, non si dettero al cen- tauro due anime o tre a Gerione; e Proteo stesso, tut- toch simboleggi il principio trasmutabile universale della natura, nondimeno  sempre lui sotto qualunque forma e trasfigurazione; e se Dafne convertesi in lau- ro e le Piche in uccelli; sotto la scorza dell'arbore vive e sente l'anima di quella fanciulla, e sotto le penne uccelline piangono le Piche la loro temeri- t. Per lo contrario, a convertire le navi d'Enea in ninfe bisogna aggiungere a quelle un'anima e cosi dar loro un principio unitivo e una immortale mede- simezza. 186 LIBRO SECONDO. Afobismo XII. 116.  Tutte le vere essenze, adunque sono attua- bili e sono vere tutte quelle in cui non cade ripugnanza di fatto ; e ci nell' intrinseco di ciascun essere sem- plice come in ciascuna composizione. Se noi poniamo che r oro o il calcio sia semplice e in ogni molecola sua identico, e se reputiamo il simile del fosforo ov- vero dello zolfo, ei non si pu concepire un subbietto impartibile che sia zolfo ed oro o fosforo e zolfo ; seb- bene il calcio, per via d' esempio, e il fosforo facciano insieme molte maniere di composti. Dato poi una tale natura di cosa incomposta e una tale altra, rimane di- mostrato ch'elle non possono entrare in composizione e combinazione con tutti gli esseri, ma s veramente con quelli che serbano qualche convenienza misu- ra ed analogia con l'indole propria. Chiunque per- tanto andr immaginando composizioni e combinazioni fuori di cotal cerchia, figurer l' impossibile o ci che torna a un medesimo porr insieme delle essenze ri- pugnanti. 117.  Noi definimmo nel Libro anteriore il perch il subbietto intimo di qualsia sostanza rimane sepolto per sempre alla mente umana. E per nei casi parti- colari non riesce alla nostra scienza d' indovinare il come da un certo subbietto uscir debba piuttoso tale forma di atto che tale altra e questa qualit ed attri- buzione e non quella. Dapoich la qualit e 1' atto sono visibili, il sostrato invisibile; e tuttoch 1' atto ci sem- bri una espansione della forza e la qualit una espres- sione della natura della sostanza, l' omogeneit e me- desimezza perfetta fra entrambe i termini nessuno la scorge. Ed anzi in parecchi casi ancora che abbia a DE^i FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 187 sussistere T omogeneit, non pu sussistere medesimezza e vogliam dire parit e somiglianza compita. Guarda al volere al pensare e al riflettere umano ; guarda al rammemorare e afir immaginare; ei non sono atti simili e identici, e nondimeno sono tutti certa espansione dell' attivit nostra impartibile ed una compiutamente. 118.  Ma lasciando ci stare, noi ripetiamo che seb- bene non sia lecito alla scienza umana di assegnare a priori tale qualit, potenza ed attribuzione a tale subbietto, ci s'addice troppo bene all'atto creativo; e per  da concludere che quante unioni sono possibili di atto e potenza, di qualit e sostanza, tutte esistono od esisteranno in futuro. E si affermi il simigliante n pi n meno delle composizioni e combinazioni dei subbietti in fra loro. 119.  Adunque, il nostro giudicio terminativo in-"> torno al proposito sar pur questo che l'indefinito della creazione si allarga incessantemente nella immensit dei compossibili. Ma badi il lettore che il prefato vo- cabolo  qui assunto nella accezione sua rigorosa e lo- gica ; considerato che per noi sono compossibili tutte le unioni di atto e potenza, di qualit e subbietto esenti da ripugnanza e tutte le composizioni e combinazioni di esseri separati che similmente non ripugnano nella na- tura degli elementi. Laonde noi distnguiamo il possibile dal compossibile soltanto a rispetto di nostra mente. At- tesoch non  un medesimo per l'intendere nostro il pen- sabile ed il fattibile; e talun concetto ne pu apparire esente d'implicanza e per possibile, mentre nella con- cretezza del fatto riuscirebbe a s medesimo ripugnante. La voce, dunque, compossihile suona per noi differen- temente che pel Leibnizio, al quale apparivano compos- sibili unicamente le cose che convenivano al gran dise- gno del migliore dei mondi; diseguo scelto in fra mille 188 LIBRO SECONDO. altri possibili e pretendenti tutti all'onore dell' esisten- za, conforme us parlare quel metafisico. E insomma, per noi riesce impossibile ci meramente che non pu sussistere in s n in unione con altri; laddove per Leibnizio alle impossibilit reali debbonsi aggiungere eziandio le morali. A. 120.  Provenne forse da tale opinione troppo an- gusta che fecesi Leibnizio del compossibile ch'ei si trov impacciato fuor modo a spiegare come le essenze pre- ferite nella creazione del migliore dei mondi respingano e combattano le innumerevoli altre degli altri mondi, mentre non si scorge ombra d'incompatibilit nella serie infinita dei termini schiettamente positivi; e fu sempre detto e creduto- in filosofia che le realit non si contraddicono. Di questa maniera taluno censur il sistema leibniziano affermando che quivi i possibili, considerato ogni cosa, sono la pi parte impossibili. r 121.  Noi manteniamo invece che i veri possibili, o chiamandoli pi giustamente i fattibili, trapassano tutti air esistenza del mondo creato. Ma si conviene distinguerli e sceverarli dai meri pensabili. E solo per ignoranza l'uomo giudica gli uni e gli altri ugualmente possibili ; 0 forse si pu difendere la stessa umana ap- pellazione, avvisando che nei pensabili  notata unica- mente la possibilit negativa o logica e per s' intende che la rimozione della ripugnanza nei termini leva quivi ogni impedimento alla fattibilit se questa si concilia col fondo intero delle realit pensate da noi; e vogliam dire, se le categorie necessarie ed effettive dell' essere ^ ^^vi stanno tutte d'accordo. Intanto i pensabili sono asso- lute verit come le astrazioni ideali e i concetti negativi DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 189  e simili enti di ragione, e cio adire che rappresentano punti parziali e attinenze distanti o vicine d' alcuna positiva e distinta determinazione dell' Assoluto. 122.  Nel modo che in Dio i concetti formano una - sola infinita idealit o verit, le distinte determinazioni della efficienza divina (fonte e sede dei possibili) si ri- solvono in un solo infinito d'onnipotenza; e certo  che di questo infinito una parte sola, se  lecito cos par- lare e vogliam dire l'indefinito che si spande nel tempo, , trapassa ad extra alla sussistenza; e questa sola; a di- scorrere con rigore,  propriamente possibile; e quelle determinazioni della efficienza divina cui mancher sempre l'atto di esistere ad extra non convenevolmente, per nostro avviso, piglierebber quel nome. Ma perch la possibilit loro  piena dal lato della cagione infinita e l' impedimento proviene dal di fuori e giace nelle limitazioni invincibili del finito, cos  pre- valuto r abito di accomunare l'appellazione medesima ai pensabili quanto ai fattibili ; e a noi sovviene che nel -^ primo libro della ontologia producemmo la prova d' una infinita possibilit; ne al presente ci vogliamo ricredere. Considerato che quivi la possibilit infinita  sinonimo esatto della infinita efficienza. Intanto, sembra che ninno possa ritorcere contro noi 1' accusa fatta al Leib- nizio; perocch nessun possibile vero  giudicato da noi impossibile; e vero lo domandiamo a rispetto nostro quando  fattibile. In altra maniera, egli si rimane, come dianzi notammo, un concetto di cosa attuabile solo in risguardo dell'infinita efficienza che non  li- mite alcuno per s, e la quale debbe mai sempre ve- nire avvisata nella originale e indefettibile sua libert 190 LIBRO SECONDO. di condurre all'atto le cose fluite; perch Dio  perpe- tuamente nel primo atto del suo esistere. Aforismo XIII. 123.  Ignorando noi le intime essenze degli enti creati, ci  forza d' ignorare altres il punto dove inco- mincia la fattibilit loro. Perch i sensi umani non sono pi che cinque, e i colori e le note musicali non pi che sette? E lo spazio  sole tre dimensioni? A ci confessiamo di non saper dare alcuna risposta scien- tifica, e sembra che neppure Hegel si arrischi di darla tuttoch presuma di ben sapere la essenza 'd'ogni qualunque cosa di cui possiede la idea. Vero  che intorno ai colori ed alle note musicali e' insegna per compenso notizie novissime ed inopinate, siccome questa, per via d'esempio, che i colori sono il risulta- mento della scambievole immedesimazione della oscu- rit con la luce, e della luce con la oscurit; n que- sto secondo termine  quivi assunto come sinonimo della nerezza che  pur colorata; essendoch il filosofo stesso ci avverte che il color nero  solo la oscurit materiata e specificata. Consente di poi che il verde  colore composto della mescolanza del turchino col giallo, e ricorda le singolari trasmutazioni di colore variamente operate dagli acidi e variamente dagli al- cali. Salvo che io pretendo che in difetto dell' espe- rienza r uomo avrebbe ignorato per tutti i secoli che il color verde si generi dal mescolamento di due altri colori, e il mercurio si tinga di vivo scarlatto a un certo grado di caldezza e combinandosi collo zolfo. 0 perch r Hegel abbandona molte di queste cognizioni alla scienza empirica? Invece avrei giudicato che sapere quali sono i colori primitivi e semplici e quali i com- DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 191 posti appartenga di ragione a colui che dei colori dice conoscere T essenza e l deduce a priori. 124.  Intorno alle note musicali non curandosi egli di scoprire perch sieno sole sette e non pi, ci regala in quel cambio della notizia assai pellegrina che nel modo che la materia a rispetto semplicemente del suo esser pesante risolvesi da ultimo in luce, cosi la pesantezza o materia specificata che s^ abbia a dire si risoWe prima in suono e quindi pi compitamente in calore. Chi non vede naturalissima ed anzi necessaria la metamorfosi della pesantezza in luce e della sono- rit in calore? Ed affine di chiarir meglio ancora la essenza del suono e farla pi intelligibile col discreto uso dei tropi, Hegel aggiunge che il suono  il grido del- l'ideale che trionfa della opposizione della forza esterna e dimora identico s nel conflitto e s nel trionfo. 125.  Quanto alle dimensioni dello spazio, v'  in geometria la dimostrazione che un punto non potrebbe essere intersecato fuori che da tre linee rette e diverse. Ma quando io non pigli errore, tale dimostrazione con- ferma non pi che il fatto delle tre dimensioni. AroBisMo XrV. 126.  Inteso il possibile come sinonimo del fatti- bile se ne possono ritrarre conseguenze al tutto con- trarie. Perocch ignorandpsi dall'uomo la ragione es- senziale ed originaria della fattibilit delle cose pu taluno soverchiamente ristringerla ed altri soverchia- mente allargarla. Fonderebbesi la sentenza del primo sulle necessit ed insufficienze da noi registrate nel primo Libro di questa cosmologia e sul fatto speri- mentale che nel mondo a noi conoscii^to rinveniamo una sola specie di ente, razionale ^ morale e nella 192 LIBRO SECONDO. materia non molti pi di cinquanta principi semplici o forme originali di esseri che s' abbiano a dire. Il che proverebbe essere indefinita la creazione nel quanto ma non nel quale. E ci indurrebbe alla mente un concetto assai restrittivo della immensit del creato, e qfuasi porrebbe in forse lo indefinito ascendere nostro nella variet e moltiplicazione del bene. Al quale ascendere non par sufficiente la dilatazione nel quanto e la reiterazione del simile. 127.  A cotesti pensieri cos rispondiamo. La espe- rienza nostra intorno ai principj semplici non va pi oltre di questo globo, il quale  minima ps^ie non pure dell'intero universo ma di ci che diventa visibile ai nostri occhi. Intorno poi all' essere razionale e morale giova il considerare che le cause seconde, come altrove fu notato, non pervengono all' attuazione di quello snza apparecchi e filiere assai lunghe e difficili, pe- rocch in lui  un principio semplice insieme e dotato di facolt diverse e mirabili ed  predisposto da un lato a coniugarsi con la materia, dall'altro a potersi unire con la infinita idealit e ricevere dentro se altre sorte d'influssi divini. . manifesto adunque che l'ente razionale e morale di cui ragioniamo non  forma come a dire primitiva ed elementare, ma tiene luogo nella natura d' un alto e molteplice risultamento e troppa gran parte ne raduna in s e compendia. La- onde quello che nell'uomo si scorge sar indovinato per tutte le creazioni complesse e veramente sintetiche della natura, le quali n possono avere intorno di s molta copia di specie analoghe n immensamente mol- tiplicare come alle specie inferiori succede. 128.  Altro concetto accade di fare circa le forme estremamente pi semplici e quali posson fluire dalle tre fonti abbondevoli descritte da noi del simile, del DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 19P diverso e del misto fra le due. Imperocch capaci; dell'esistenza  qualunque subbietto qualificato co- niechessia e contenente alcun grado di attivit o pas- sivit. N le limitazioni ed insufficienze da noi regi- strate nel Libro antecedente difficultano l'apparire e moltiplicare inmenso di que' subbietti ; considerato che sebbene impotenti e d'ogni parte stremati pur nondi- meno possono esistere; e in generale, la reiterazione loro emanando direttamenteiM dall'atto creativo debbe senza contrasto distendersi nella successione del tempo. Altra cosa  poi il lor convenire e disconvenire reci- ]iroco ed altra le composizioni e gli organamenti che possono uscirne, e di ci discorreremo nell'aforismo in- frascritto. Aforismo XV. 129. - Pu taluno per opposto venir divisando che le essenze incompatibili ricordate pi sopra riduconsi ad alcuna contraddizione o intema all'essenze od ester- na, e vale a dire riduconsi a certe essenze falsamente c^oncette nel loro intrinseco, ovvero ne' rapporti loro immediati. Avvengach io mi contradico ad attribuire, l)ouiamo caso, ad A quello che  proprio della natura di B; e similmente mi contradico a voler comporre un tutto di A e di B, se le forme loro non furono predisposte a immedesimarsi. Laonde parlandosi degli enti creati  lecito di asserire che le cose le quali non sono fat- tibili, nettampoco sono pensabili, o con pi esattezza non sono pensabili scansando per ogni lato e per ogni rispetto la ripugnanza logica. E se avviene il contrario, o sembra avvenire, ci accade perch noi pensiamo i concetti il pi del tempo senza definirli o con definizioni nominali ed insufficienti. Nel vero, poniamo ad esempio Mahuri.  II. 1S 194 LIBRO SECONDO. che si definisca l'organismo dei corpi animati e sen- sibili dicendo che sono certa corrispondenza delle parti col tutto da costituire delle une e dell' altro una sola unit. Ci fermato, ei si converr definire il Cen- tauro allegato nell'aforismo XI, un organismo ani- mato e vivente composto di due unit ed anzi di due unit dimezzate ; il che fatto, vedesi per ciascuno che il concetto del Centauro non  propriamente pensabile tuttoch sia capace di rivestirsi di fantasma e pigli figura speciale e ben contornata. 130.  Seguita che si riconfermi il detto qua ad- dietro, e cio nessuna realit contradire se stessa o le altre; quindi tutte sono fattibili. E quindi ancora viene il cercare come possa inti'odursi ordine ed ar- monia perfettissima in questo quasi infinito di realit d'ogni sorta, e in cui le pi vili cose quanto le pi pregiate e non meno le strane e deformi che le bellis- sime e cos le pi inerti ed inutili quanto le maggior- mente operose e feconde debbono esistere. Cotesta  la difficolt in buon argomento fondata. Cerchiamo con raziocinio pacato e rigoroso la risolu- ^ zione del nodo. Aforismo XVI. 131.  Quello che insino a qui fu esposto s' attiene meramente alla onnipotenza divina a lispetto della quale ci occorre d'immaginare un oceano quasi infi- nito di esseri che cresce e dilatasi per altri tre gi*andi oceani delle fatture somiglianti, delle differenti e delle miste. Ora conviene pensare a quello che opera in tale immensit e diversit di esistenze la mente increata e r amore infinito del bene. E per ci comprendere con qualche chiarezza e in maniera meno disacconcia all'al- tezza inaccessibile del subbietto. ci accade di ricordare DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 195 la nostra comparazione delle lettere dell' |Llfabeto git* tate a caso in un mucchio, e le quali di poi collocate a debito luogo pigliano varia e connessa significazione ed esprimono tutte insieme o V Iliade o la Georgica o quale altra composizione onora di vantaggio T umano intelletto. Se non che, fa bisogno d'immaginare im- mensa ed innumerevole la diversit e la replicazione di que' caratteri e piuttosto che al nostro alfabeto conviene meno impropriamente ragguagliarli alle cifre de' Cinesi, a cui basta appena la vita per tutte saperle ; ma sopra ogni cosa occorre di pensare che di quel gran pelago di lettere  cavato fuori un eterno volume che supera di tanto la sapienza di Confucio e di Lao Tseo quanto lo spirito di Dio sopravanza quello di esse due creature. Puossi anche far paragone degli esseri elemen- tari ed originali alla tavolozza dove fossero senz' arte adunati i colori d' ogni ragione e tutte le mestiche loro, e delle quali il genio di Raffaele ricava la Disputa ^,, . del Sacramento e il Miracolo della Trasfigurazione. /. , 132.  Diciamo adunque che la sapienza infinita ' decretando che dentro il Caos nascesse l' ordine, tutte le cose accostaronsi a tutte le altre omogenee, e queste nature che qui cozzavano con coteste, l pi lontano, per modo di discorso, quetarono in compagnia di altre; e come in mano dell' abile musaicista ogni pietruzzola, per disadatta che sembri, piglia acconcezza e signifi- cazione nel luogo ove  posta, cos nel creato presero tutti gli enti significazione e valore dalla convenienza del composto nel quale entrarono e dalla proporzione e reciprocazione de' loro atti. E ci che in principio non pot stare congiunto n dispiegare le insite forze, ottenne di farlo apparendo pi tardi e appresso a molti apparecchiamenti e trasmutamenti. Perocch convien ricordare ohe se l'atto creativo  uno ed eterno, 196 LIBRO SECONDO. gli effetti suoi crescono incessantemente nella lunghez- za del tempo e crescono pure altrettanto le rispon- denze e gli adattamenti delle cose in fra loro. Afobismo XVII. 133.  N mal fu chiamato Iddio da Platone il gran Demiurgo, o fabbro che scabbia a dire, con questo divario dalle nostre fabbricazioni che a noi,  impos- sibile di creare la materia di nostre macchine ed  impossibile altres che, compiuto V ordigno e pi ge- neralmente il lavoro, alcuna parte della materia non sia scartata come disacconcia o guasta o sovrabbondante od inutile. E troppo radamente accade eziandio che la ma- teria con le sue forme naturali soddisfi all'intendimento dell' uomo tanto che l' opera di lui consista nel sola adattarle e coordinarle al proposito. Anzi ci avviene unicamente nella infanzia primissima di ciascuna indu- stria fabbrile, e quando le spine de'pesci servono di qua- drello al selvaggio e le mura ciclopee sorgono e si pro- lungano mediante il combaciamento che pone il caso tra le figure dei greggi pietroni. In cambio di ci, Topi- fice eterno in questa macchina portentosa dell' universo non perde nulla della materia ; conciossiach nulla non vi  inutile; e le forme vi sono adoperate quali ap- punto uscirono dal seno della efficacia suprema; ed anzi, a parlare con espressioni meno improprie, le for- me si cercano scambievolmente e si adattano sotto lo influsso della divina mentalit; in quel modo che noi vediamo nelle officine dei chimici compiersi le lente precipitazioni dove ogni molecola s' adatta alle rima- nenti secondo il suo peso specifico e le leggi di affinit. 134.  Sebbene non ci paia molto profonda nel generale la significazione dei miti e volentieri assen^ DEL FINITO IN RELAZIONE CON L' INFINITO. 197 tiamo al Vico che non vi si debba riconoscere nessun arcano di scienza riposta e sublime; tuttavolta ci ri- corre alla mente queir allegoria d' Anfione e d' Orfeo i quali al suono della lira scorgevano i sassi del Ci- terone andarsi movendo e accostando e del loro adat- tamento risultare la cerchia di Tebe. Che certo non h pu significar meglio il prodigio della coordinazione degli enti la quale fu vera armonia, ed anzi  1' ar- monia santa e perenne che mai non cessa di rsuonare in qualunque parte dell' immenso creato.  se vollero i poeti Orfici rappresentare con quella favola l' accoz- zamento degli uomini e qualmente nelle citt per l'euritmia naturale dei varj ufficj e studj civili cresca e prosperi la comunanza delle famiglie e la partecipa- zione del bene, egli  da avvertire che l' intero universo  la grande citt di Dio dove non pure le forme razionali e morali ma tutte le forme della natura si accostano e si combinano ed esce di tutte loro quella consonanza perfettiva e stupenda la quale  copia esattissima della prestabilita armonia che fa concento eternale, se permettesi questo parlare, nella mente di Dio. 135.  Non  poi dubioso che questa coordinazione del tutto come principio d'ogni bene non fosse divinata ila Empedocle quando per prima efficienza della na- tura nomin l'Amicizia e dir volle la conformit delle essenze in fra loro; e un concetto poco diverso sem- brami uscire dalle piii vetuste teogonie e cosmologie. In fatto, Parmenide sentenziava che Amore fu il primo fra tutti gl'Iddii; ed Esiodo che dopo il Caos appar- vero la Terra ed Amore. 136.  Segno queste antiche divinazioni a prova che la nostra Teodicea pretende soltanto al pregio di met- tere in maggior lume e sotto l' impero del raziocinio i I)i vecchi adagi del senso comune. E come potrebbe la 198 LIBRO SECONDO. mente umana avere aspettato le tarde e penose inve- stigazioni dei metafisici quanto al concetto salutare e fondamentale del pr vedere divino? Afobismo XVIII. 137.  Adunque ci che fu domandato armonia del mondo provenne primamente dalla armonia ineffabile delle perfezioni divine. Perch tanto l'jonnipotenza am- pliava e diversificava il gran fiume dell' essere, altret- tanto la saggezza increata sceglieva a ciascuna cosa il luogo il tempo le accompagnature le occasioni gli incontri le necessit gli stretti legami ed i sciolti le relazioni propinque e lontane ; di qualit che ne usciva alla fine una consonanza e un accordo col tutto. Di quindi poi la bont e l' amore infinito traevano la massima partecipazione del bene al numero massimo di creature compiendo le maraviglie dell'ordine con la maggior meraviglia di accostare a s con infinito richiamo l'anime razionali e morali, conforme verr dimostrato nel Terzo Libro e negli altri. 138.  Da tutte le quali virt e impressioni dell'atto creativo procede la forma intera del mondo che  unica e sola perch nessun' altra  possibile; conciossiach qualunque altra non esaurirebbe o nel quanto o nel quale l' indefinito delle cose ovvero ommetterebbe al- cuna combinazione e rispondenza di esseri, e cio a dire che non esaurirebbe del pari l'indefinito della sapienza. Quindi quella forma  necessariamente ottima^ e Dio la produce fuori di s non per atto di elezione u comparando fra loro innumerevoli idee di mondi possibili, ma si operando congiuntamente con l'infinito della potenza della sapienza e della bont insino al termine estremo della recettivit del finito. Di l dalla DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 139 quale non resta pi nulla di possibile e d'attuabile e per non resta materia veruna da trascurare o da sce- gliere. 139.  Ci differisce, e mi sembra a ragione, dai concetti del Leibnzio, secondo i quali Dio somigliava poco indebitamente ad un Principe che postosi innanzi vari disegni e ingegnosi di qualche nuova citt da fondare, computato bene ogni cosa, attiensi da ultimo a quello in cui le incomodit e gli sconci sono minori e per contrario sono maggiori le magnificenze e gli abbellimenti. Nel che non solo accost di soverchio r operare divino all' umano, ma sentissi astretto a con- fessare che innumerevoli possibilit rappresentanti forme positivissime giacessero inattuabili e come non degne dell' esistenza, la quale esclusione in fondo riesce a dire che elle sono false possibilit. Ma per nostro giudicio nessun altro limite si. pu concepire all'at- tuazione delle diverse nature di cose salvo che il com- parire sparti tamen te nel tempo (essendo l'infinito in atto non possibile al mondo) e il comparirvi senza mai termine, sebbene tale flussione incessabile mai non adegui Pubert sconfinata della efficienza divina. 140.  Ma obbietter forse taluno che di cotesta efficienza le determinazioni essendo infinite e pur do- vendo passare all' atto con successione debbe in ci 4*ssere ordine e per una specie di preferenza e di scelta. 141.  Per lo certo, noi rispondiamo, debbevi es- sere una ragion sufficiente dell' anteriorit e posterio- 200 LIBRO SECONDO. rit neir attuazione. E questa in ciascuna sfera di enti  senza fallo la ragione dell' ordine, e cio a dire che ciascun ente speciale in essa sfera o mondo diverso ed originale apparisce nel tempo e luogo acconcio alla sua natura e alle correlazioni sue con l'intero creato e dopoch le cagioni seconde compiettero i convenevoli apparecchiamenti. Ci tutto si opera con solo un atte impartihile della potenza e sapienza suprema, ond(> ciascun possibile nasce in quell'ora e in quell'accom- pagnamento che porta la necessit della propria es- senza ; e nascere in altro modo sarebbegli ripugnante ; dapoich in quella essenza sono definite eziandio le relazioni particolari anzidette. Aforismo XIX. e 142.  Cna  dunque, ripetiamo, la idea e il di- segno di tutto il creato ed una la possibilit sua. K tutto il male che vi si scorge e l'altro che forse vi esiste, ancora che non visibile a noi, proviene da due supreme necessit ricordate parecchie volte. La prima, che la finit tragge seco certa dose e sostanza di mal positivo e non solamente negativo e il quale circonda gli umani beni come quelle frange di confuso colore che contornano quasi sempre un poco le pi limpide lenti de' gran telescopj. La seconda necessit dimora nella essenza del bene, il quale essendo suprema forza ,ed attivit, debbono le cose finite appropriarsela a grado a grado, combattendo e vincendo le insufficienze naturali ed ingenite. 143.  Ma perch il finito  sempre capacit del pi e del meno e di tal condizione non dee potarsi spogliare DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 201 in nessuna sua amplitudine, sembra altres rtornan* la jstanza che vuole la forme dell'ordine dell' universo creato e finito dover essere molte ed anzi innume- revoli e tutte egualmente possibili. Laonde Leibnizio avrebbe dato nel segno non pure nel suo concetto di attribuire a Dio il proposito di effettuare l'ottima di quelle forme, ma s nell' attribuirgli la contemplazione e cognizione di tutte e quindi un atto di preferenza i* di scelta. 144.  Questo, al nostro parere,  un fermarsi di iioverchio ad osservare i finiti in s stessi e ci che* r uomo vi opera intorno, il quale, dovendo starsi con- tento a certa picciola quantit di oggetti usabili (^ i^uindi a certo computo delle migliori o peggiori com- binazioni in fra essi, non intende di leggieri quello che avvenga nella mente di Dio a cui il tutto  presente e il tutto  operabile allo stesso modo. V  dunque circa al creato una sola possibilit innanzi agli occhi divini nella quale ogni altra  compresa e dalla quale rsulta la forma ottima dell'universo. E tale possibi- lit si  appunto tutto quello infinito di potenza e sa- pienza congiunte e cooperanti che non supera il capi- mento e la recettivit del finito. Laonde se a riguardar le cose dal sotto in su elle compariscono relative in ogni lor punto di prospettiva e soggette sempre a sce- mare od a crescere, invece a guardarle dal colmo della efficacia e previdenza divina debbono radunarsi tutte, al certo, in un solo concetto e in una sola possibilit che  l'indefinito di tutti gl'indefiniti, ed  la crea- zione del simile del diverso e del misto quanta e quale si pu distendere nello spazio e nel tempo e in altri contenenti non misurabili se altri ve n' e sono possibili. 145.  E che tale pienezza di creazione risponda senza fallo al migliore di tutti i mondi fu mostrato 202 LIBRO SECONDO. un poco pi sopra; e baster qui ripetere che vera- mente quanto la onnipotenza divina moltiplica e varia le specie positive degli esseri altrettanto abbonda l'arte ))rovvidissima, a cosi chiamarla, del moltiplicare e va- riare le convenienze gli adattamenti e gli appresta- r menti delle cose; il perch da un lato il bene parte- cipabile trascorrendo per ogni grado ascende ognora pi verso il massimo, e d'altro lato il male non ri- movibile della finit passando di mano in mano per tutti i possibili decrementi va stremandosi di vantag- gio senza che io osi dire s' egli verr costretto giammai nei soli e nudi termini della privazione, che varrebbe come divenire un astratto e per non sensibile e non effettivo in guisa veruna. 146.  Cosi  risoluto il dubio se v'  un solo esemplare del mondo creato o se molti. E diciamo con Platone che Dio ne vagheggi uno solo eterno bellis- simo e il pi somiglievole a lui. Aforismo XX, 147.  Bellissima al certo e somiglievole a Dio  la creazione. Tuttavolta convien ricordare che la so- miglianza  parzialissima e ristrettissima e sempre vi gittano ombra le condizioni e necessit del finito; e delle quali (pi volte il dicemmo) sembrano scordevoli  metafisici nella cui mente rimane salda quella falsa proposizione del Cusano il mondo universo essere un Dio contratto. Ne pensano che tutto ed intero l'universo corporeo in quanto tale non  veruna simiglianza con Dio, e non ne  veruna il moto, che  pur cagione od effetto 0 concomitanza di tutti i fenomeni fisici. Ma lasciando ci stare, egli  ben sicuro che immaginando che l'infinito possa precipitarsi fuori di s e raddop- DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. ^03 piarsi quasi nel mondo, la cosmologia  fatta entrare ^ in un labirinto d'incongruenze dove non appare uscita. ^ 148.  Nell'ultimo scorcio del secolo decimosettimo i l'eruditissimo Ledere ingaggi battaglia col Bayle '^ /V"^' sotto finzione di far parlare ed argomentare un Ori- genista. Disse la libert venir conceduta all' uomo per dargli campo di meritare premj immortali; e se pre- varica, la previdenza e bont di Dio aspettare il suo pentimento il quale succede alla fine; e quindi tutte le creature o innocenti o ripentite ascendere in ultimo al regno dei cieli; e le pene d'espiazione sofferte, quali che sieno, tornare a poca entit in comparazione del bene che mai non finisce. 149.  Rispose il Bayle tremendo pugilatore, che valeva meglio non dare all' uomo la libert posto che dovesse fruttargli prove e danni cos dolorosi, ovvero valeva meglio di situarlo immediate nella condizione degli angeli che anno virt senza vizio e libert senza traviamento. La bont divina, impertanto, fece difetto dacch non volle quel che poteva. Cos il Bayle; ne fu confutato da alcuno che noi sappiamo. E ci che avesse arbitrio di replicare Ledere sotto abito di Ori- genista non sappiamo. Ma la cancellatura compiuta ^ che fa la scienza degli argomenti del Bayle  la qui ^ infrascritta. Al^BISHO XXI. 150.  Sieno dunque come tu vuoi ragguagliati gli uomini agli angioli; la previdenza e bont di Dio  sempre in difetto, perch vi sono o possono essere altre nature pi eccelse di quella degli angioli, e Dio non  voluto investirne gli uomini e nemmanco gli angioli suoi ufGiciali. Oh perch (ricercando visi non pi che un 204 LIBRO SECONDO. atto di buon volere) non convertirli tutti in Ormussi^ inferiori al solo ed unico Iddio nella perfezione e nella potenza? e qualora si aggiunga che la nostra specu- lazione concepisce qualcosa di pi alto e perfetto di Ormusse, noi manterremo costantemente che da cotesto grado sublime di possanza e felicit dee cominciane V ascensione nostra nel bene e non guari da alcuno dei termini anteriori. 151.  Vedesi da ci chiaramente che quando fer- miamo r occhio nel solo infinito della potenza e della bont di Dio come non vi pu entrare limite nessuno, qualunque grado esterno determinato riesce, per si dire, ingiurioso a quella potenza e a quella bont. 152.  Invece la creazione, fu dichiarato in . prin- cipio,  una conciliazione stupenda e perpetua delle necessit del Qnito, descritte da noi lungamente, con la esuberante efficacia della potenza, sapienza e bont del supremo artefice. La risultante, a parlare coi ma- tematici,  l'indefinito di tutti gl'indefiniti nella forma e progresso che la meditaziQi)^ e V esperienza e' inse- gnano, -l .' '.'- f ^ '^'  si tocc in principio degli aforismi e nel Capo Primo del , Quinto libro dell' ontologia. Il discorrere intomo al / diverso riconduceva poco fa la stessa dubitazione la / quale bisogna risolvere con maggior sufficienza e in / modo pi positivo. 163.  Gli Hegeliani se ne disimpacciano nettamente affermando cbe uno de' massimi pregi del lor maestro si  di unificare la scienza in modo perfetto, cosa non potuta mai conseguire dai passati filosofi. E perch la scienza di Hegel non pure  assoluta ma segna una via parallela sempre e in nulla dispari dalla via che tiene la creazione, V unit onde s'informa  quella me- desima dell' uiiiverso e consiste all' ultimo nella iden- tit dell'idea con s stessa. Qual cosa in fatto pi semplice e maggiormente una di questa idea, la quale dalla possibilit o nozione che voglia dirsi varcando all' attuazione estema, che  la natura, diventa consa- pevole di tal tragitto siccome spirito e vi riconosce la ])ropria spontaneit e medesimezza? Beato Hegel di- rebbegli Socrate, come diceva a Gorgia, beato al par  impossibile a Dio di scompagnare il male dalla esi- stenza del finito, egli lo rivolge nondimeno in qualche occasione di bene come il medico fa dei veleni e come insegna il simbolo scritturale di quel leone che tenea nella gola i favi del mle. i/. 201.  Potrebbesi forse per altro verso universaliz- zare il bene e farlo sinonimo di ente reale, quando si tenesse per vero od almanco per verosimile quel sup- posto del Campanella e di molti teologi che il senso stia giacente dentro tutte le cose e debba tal senso nella generalit dei casi avere forma dilettevole. Ma ancora che noi non siamo dentro alle cose e paia dif- ficile di ritrovare alcuna prova apodittica del suppo- sto contrario, ei si risolver il dubbio in altra ma- Uaxuivi. - II. i:; 226 LIBRO SECONDO.  niera. Coloro che danno a tutte le cose un'ombra di ' senso 0 virtuale o in atto, non si ardiscono di accom- ' pagnarlo eziandio con la mentalit; sebbene stimano ; che il senso abbia in s medesimo alcun vestigio di pensiero. Ora noi fermammo pi sopra che sentire pro- priamente non  pensare; e d'altra parte il sentire diviso da ogni consapevolezza e da ogni atto e forma cogitativa ci diventa pressoch inconcepibile e in qua- lunque modo ci toma indifferente a rispetto del bene ; imperocch esso diventa un fenomeno astratto e un nome vano senza subbietto^ direbbe il Poeta. Se dunque il senso  nelle cose, avvi ancora una certa unit di sub- C\ bietto senziente, ed^^ome dire che v' un subbietto che ' esente di sentire."^ nque o bisogna negar T ipotesi o ^ .^J^ allargarla di l dai limiti del verosimile. Aforismo V. / 202.  Ma qui viene il domandare se le cose create , tr* sono fine a s stesse ovvero se V ultimo termine al i. ' - quale aspirano trascende la sfera di creazione e sale inverso il fine assoluto. Per fermo, poteva V autor delle cose far l' universo fine a s stesso, e togliere ad ogni creatura il concetto e il desiderio del meglio. Se non che in tale supposto falliva al mondo creato la forma dell' indefinito pi sostanziosa e desiderabile e cio a dire r indefinito del bene ; talch le altre forme sareb- bersi dilatate nell' infinito quasi senza oggetto e ragio- ne. E perch poi qualunque sorta effettiva d'indefi^ nito  sua radice e suo fondamento nell' infinito, cos progredendo l' universo nel vero e reale indefinito del bene o vogliara dire nel progressivo ed interminabile conseguimento det fine,  necessario che questo si fermi e sustanzii da ultimo nell'Assoluto. DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 2'27 AroBiSMo VI. 203.  Posto impertanto che degli enti capaci del fine la bont eterna debba volere innalzare il maggior nu- mero possibile al conseguimento del fine assoluto, subito si scorge che tutti i modi registrati da noi per lo di- stendimento e progressione del finito riescono inabili a tale sorta di scopo. E dato ancora che essi perven- gano a costruire molte fatture strunentali ed organiche e quindi a servire e giovare grandemente V animalit, questa non pu trascendere la condizione del bruto, quando anche si radunassero in un solo essere tutte le facolt e prerogative che la storia degl' istinti animali ci fa conoscere; quindi il fine sarebbe parziale e transi- torio n potrebbe eccedere mai la sensualit. E quando pure la mentalit e ragione umana emanar potesse dalla natura, il che noi neghiamo assai risolutamente; tut- tavolta, l'uomo rimanendosi nella natura viverebbe sempre fuori del fine. Ed anzi diciamo che raggiun- gimento di altre facolt e potenze dentro il suo spi- rito e ogni fatta di cooperazione e cospirazione del- l'universo dei finiti intorno di lui non lo porrebbero in istato di attingere un fine perenne ed inesauribile, ma lo circonderebbe a forza 1' angustia e caducit dei fini relativi; e poco, sotto tale rispetto, gli giove- rebbero i mezzi pi artificiosi e gli organi pi elabo- rati e squisiti e l'acquistare con essi impero ed arbi- trio sii tutto il mondo circostante.. 204.  - Cotesto vero profondo balen pi d' una volta alla mente dei poeti che sono stupendi divinatori dei 228 LIBRO SECONDO. dogmi morali. Perocch Prometeo, che pu fare ogni cosa e persino mettere un' anima dentro V argilla umana,  doloroso nuUameno e infelice e un avoltojo gli strazia i precordj, perch quella sua potest sulle cose non lo congiunge direttamente con l'Assoluto e tienlo escluso dal cfelo empireo. Per simile, Ercole cbii la fatica supera ogni ostacolo e signoreggia la terra, ma insegue senza profitto nessuno la cerva dai piedi d'oro che  la beatitudine e fagli mestieri con fuoco e tormento spogliarsi dell' umanit suU' Oeta per fruire del bene assoluto. 205.  Forse pi belle o per lo manco pi mani- feste nel loro intento sono le invenzioni de' poeti mo- derni hi proposito. Il Fausto di Goete e il Manfredi di Byron esprimono senza velo la inutilit di poter comandare la natura e fruirne i beni fugaci. La finit li assedia e li crucia. A loro bisogna Iddio sebbene noi cercano laddove si trova. Aforismo vii. f 206.  Al fine assoluto adunque pu solo tornar sufficiente il conoscere e saper di conoscere, la pr- ]^' fonda coscienza morale e l'altre nobili attitudini della personalit che sono disposizioni innate e peculiarissime dell' anima razionale infuse da Dio immediatamente ; perocch nessuna efficienza delle nature inferiori var- rebbe a produrle, sebbene valgono ad apparecchiarne via possibilit e la xionvenienza. E giusta i nostri prin- cipj, alle attitudini della personalit  fondamento una prima forma di congiunzione con l' Assoluto ; perocch conoscere universalmente non  possibile senza visione ideale ; e sapere l' ordine sopraeminente del bene, o vo- gliam dire la legge morale, nettam poco  possibile senza DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 22 r apprensione ed il sentimento del supremo comando. Oltrech, l'aspirazione al fine assoluto ricerca di gi il concetto della essenza del bene e un desiderio infi- nito di lui, tutte cose che si appuntano medesimamente neir infinito. E nel Tero, la incontentabilit umana  disposizione dell' animo tanto nobile quanto lo intel- letto e il senso morale. 207.  Cos il fine assoluto trae seco non pure una condizione di essere atta al congiungimento con Dio, na una predisposizione a ci con qualche forma ini- ziale di esso congiungimento per quell' assioma che il principio non pu discordare di essenza dal fine. j A. . /,,. 208.  Il solo avvisare che dentro di noi  la no- tizia e il desiderio immanente dell' Assoluto ci assicura della immortalit. Imperocch nessun atto vincerebbe di crudelt e di mostruosa malizia quello di far cono- scere all'uomo e desiderare perpetuamente lo affatto impossibile. Considerato che d'altra parte nulla cosa impediva che il tutto procedesse come nell' animale bruto disposto sempre ad adagiarsi nel piacere attuale e neTSne relativo; quindi il pi del tempo vive soddi- sfatto, e dove non fosse muto potrebbe ^ir col Poeta  Io non caro altro ben n bramo altr' esca;  e per egli non  mai propriamente infelice ; perocch questa parola significa desiderio infinito disgiunto da ogni speranza. La infelicit  dunque solo possibile nell' uomo il quale non si chiude mai in nessuna sod- disfazione e similmente va col Poeta dicendo  Del presente mi godo e meglio aspetto. * G30 LIBRO SECONDO. Afobismo Vin. 209.  Ma se per conseguire il fine relativo sono grandemente mestieri que' gradi da noi descritti della congiunzione del simile, partecipazione del diverso, co- spirazione ordinata di mezzi o tu la chiami organizza- zione e strumento, sembra tutto ci riuscire inopportuno ed inefficace quando esso medesimo l'Assoluto  mate^ ria e termine alP attivit del finito. Ed anzi non v' modo di concepire come sarebbe ordinato e costituito un organo confacente a ci. Atteso che, quando non sia pi intelligente e spirituale dell' anima, in che guisa potrebbe esso agevolarle la intuizione e fruizione di Dio? E quando fosse di lei maggiormente perfetto, non sarebbe pi mezzo e strumento, dapoich questo di sua natura  inferiore all' ente che del mezzo e dello stru- mento si provvede. 210.  Ora, ciascuno pu ricordare che in simile ra- gionamento sono dimenticate assai cose. E prima, l'esu- beranza e variet dei possibili fra i quali s' incontrano molte maniere e gradazioni di congiungimento con l'As- soluto. Secondamente, le penurie e necessit del finito alle quali supplisce la legge di concordanza e di Con- venienza col tempo, il luogo, gli accompagnamenti, le occasioni, le transizioni e gli apparecchi. In terzo luogo  dimenticato che se la partecipazione del bene asso- luto adempie ogni cosa, la natura naturata dee fare ogni cosa ; e vogliam dire che tra il principio ed il fine, che sono attinti fuori della natura, il corso intermedio  tutto eseguito per opera delle cause seconde tra le ^ quali  pur l' uomo. Quarto, che il bene  attivit su- prema e risulta di forme attivissime che sono le per- fezioni ; quindi l' nomo rimanendo passivo e nella con- DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 231 dizione di mei-a recettivit mai non potrebbe fruirne, ma gli  necessario di conquistarlo e di appropriar- selo. E perch ogni appropriazione ricerca una con- \emenza ed una omogeneit fra T oggetto e il subbietto, diviene manifesto che lunghe e laboriose preparazioni debbono antecedere perch l'ente finito, comecch do- tato di ragione e moralit, ascenda nel possedimento e nella fruizione del bene assoluto. II quale, perch  perfezione infinita, domanda nell'uomo tutto quell'abito perfettivo di cui lo posson fornire le sue facolt eser- citate sul finito col lume, la scorta e l'intendimento dell' infinito. E del pari, perch il bene assoluto  uni- versalit, debbo l'ente chiamato a parteciparne spo- gliarsi quanto  possibile del particolare, o meglio parlando, infondere nel particolare una volont, un pensiero, un affetto e un proposito universale. 211.  Queste cose accenniamo qui di passata e solo in quanto chiariscono il concetto della finalit. Forse pi tardi torner buona occasione di ridiscorreme ; ed  come vedesi materia speciale dell'etica e della psicologia. AroRTSMo IX. 212.  Si notava pi sopra che quando gli enti razionali non inducessero nel loro spirito quegli abiti di attivit e perfezionamento che il fanno  Puro e disposto a salire alle stelle > V intuizione e la^ percezione immediata dell' Ente asso- luto non produrrebbe altro efifetto, salvo che di un s- bito invasamento dell'anima nel quale si rimarrebbe essa in etemo con passiva immobilit e le mancherebbe forse la consapevolezza medesima del proprio ratto e deir oggetto infinito; conciossiach la chiara e distinta 232 LIBRO SECONDO. coscienza di tutte cose esce dalF attivit nostra, e que- / sta  bisogno di non venir sopraffatta da forza veemen- f tissima che l'occupi tutta e T assorba siccome oceano le , stille di pioggia. 213.  Occorre dunque che il congiungimento con l'Assoluto e la partecipanza delle sue perfezioni, e per del bene similmente assoluto, accada per serie di me- diazioni, e proporzionisi ogni sempre allo stato e 1 progresso della nostra attivit e del nostro perfeziona- mento. Aforisho X. 214.  Non proseguiremo per al presente nella in- vestigazione del fine, perch la materia torner quasi intera a mostrarsi nelP ultimo Libro dove sar ragio- nato del progresso nell' universo. Ci basti aver qui prenunziato una massima che reputiamo cardinale nella cosmologia, e cio, che se il conseguimento del fine non  termine ed  progressivo, il principio di tal progresso uscir non pu mai dalla sola natura ma invece dee scaturire dall' infinito come ogni altra sorta d' indefi- nito ne scaturisce. 215.  Fu avvisato da noi per addietro che nelln creazione non pu stare n l'infinito in atto n l'in- finito in potenza, e Aristotele e Leibnizio che vi ri- posero il secondo (se bene intendiamo la mente loro) caddero in grave abbaglio. Conciossiach il potenziale infinito 0 riesce un nulla ovvero  una specie di atto primo che  tanto pi sostanziale in quanto  da ul- timo la cagione iniziale ed originale del tutto. N monta il dire che simile specie essendo privata della spiegazione dell' atto non  degna dell' Assoluto e in questo non pu dimorare. Conciossiach tale sconve- DEL FINITO IN RELAZIONE CON L'INFINITO. 23B nienza dimostra solo la impossibilit di concepire una mezza infinitudine e attribuirle condizioni che ripu- gnano Tuna all'altra. Una sola sorta d'infinito po- nemmo noi siccome possibile nel mondo creato, ed  delle cose incapaci della perfezione assoluta o supera- zione che tu la chiami. N fu statuito per ci che cer- tissimamente di cotali infiniti sussistano. Afobisho XI. 216.  Nel primo Libro della presente cosmologia fecesi diligente rassegna delle condizioni penuriose e f delle necessit continue e non risolubili in cui verso ( il finito a rispetto di s. In questo secondo spiegammo , V influsso incessante che opera in lui la potenza, sag- gezza e bont infinita di Dio da tutte le quali infini- tudini esce una virt abbondante e perpetua che sempre combatte ed attenua quelle necessit ed insufficienze; / ancora che l'occhio solo mentale possa conoscerla e sue ministre in ogni cosa e per ogni dove sieno le cause seconde; le quali poi si spartiscono nelle due grandi serie dei mezzi e dei fini. Avvegnach la idea stessa del fine an*eca innanzi alla mente il moto di qualche cosa inverso di lui e quel moto  subito na- tura di mezzo. Ma specificando meglio il fine e sco- prendosi il fondo ultimo della sua essenza,  pur subito riconosciuto che nel mondo universo appartiene a quan- tit immensa di esseri la sola natura di mezzo. LIBRO TERZO. DELLA COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL' UNIVERSO. CAPO PRIMO. AFORISMI INTORNO AI METODI DELLA NATURA AF0RI8M0 I. 1.  Di quindi innanzi la parola natura piglier^ spesso un' accezione affatto speciale e per meno estesa, ed esprimer quel complesso di enti in cui  ragione soltanto di mezzo e non gi di fine ; o con altri voca- . boli. in cui non apparisce alcuna attuazione di bene as- soluto ma invece apparisce una potenza mediana a quello conducente. Chiaro  poi che fatta e riserbata tale distinzione e definizione, non sia improprio ed anzi diventi appositissimo l'accomunare al mezzo ed al fine l'appellazione medesima e chiamarli beni am- bidue, dacch la mente non pu non partecipare al mezzo una certa ombra e un certo riflesso della bont e sostanza del fine, essendo termini rispondenti d' una stessa relazione.  certo  che non si pu avere scienza di alcuno dei due separatamente, e noi li ter- remo in cospetto entrambi investigando V essere della natura in quanto (come si disse) ella  coordinazione 238 LIBRO TERZO. di mezzi ed  subbietto generale e continuo della co- smologia fisica. Aforismo II. 2.  Ci sembra evidente che la cognizione dimostra- tiva e come suol dirsi a priori di tale complesso coor- dinato di mezzi non debba originarsi altramente che I dallo studio indefesso ed acuto delle attinenze fra il finito e l'infinito, o come domanderebbeli il Bruno, tra la natura naturata e la naturante; ma formandosi per dei due termini concetto molto diverso ; perch la virt naturante  per noi il vero infinito. Il quale non gi si versa fuori di s per una specie di emanazione e ripetizione di s medesimo ; ma fa comparire nel tempc con divisione sostanziale l'indefinito dei possibili; il cui tutto insieme ancora che differente per intima essenza dall'assoluta infinitudine e per da lei quasi alienato, nullameno cura e imprende d'imitarla siccome pu, e riconducesi di tal guisa a poco per volta inverso il principio onde mosse. Aforismo III. 3.  Dovr la serie lunghissima ed anzi non termina- bile delle mediazioni, a cos chiamarle, procedere dal- l'ente che nel minimo grado coopera all'attuazione del fine insino all'apice dell'organismo; posciach in questo*  la concordanza migliore dei mezzi e la mi- gliore e pi efficiente unit delle parti e del tutto ; e debbe comparirvi la sintesi maggiormente connessa e fruttuosa di tutti i termini anteriori. La quale sintesi, ricordandoci le impotenze e necessit del finito,  senza fallo il travaglio incessante e pi laborioso della COORDINAZIONK DEI MEZZI NELL' UNIVEBSO. 239 natura. E nel dimostrare le arti e i metodi che vi adopera, noi avviseremo altrettante manifestazioni della immanenza di Dio nel creato. Perocch dentro alle ' cose  il fatale, il necessario e l'inconsapevole; ma ; sopra e intorno di esse  la divina mentalit. Afobismo IV. - 4.  Dall' effettuar la natura tutti i possibili o pro^ "" priamente i compossibili risult quell'adagio che af- ferma ch'ella non procede per salti ed  citato e applicato spessissimo dai filosofi sperimentali. Dopo le conclusioni dedotte da noi con rigore (ci sembra) e con diligenza intorno alla fattibilit delle cose, egli non par dubio che veramente se qualche forma di essere pu tramez- zare tra due altre distinte e poco diverse certo ella verr all'esistenza. Ed ecco ragione perch i generi le specie le famiglie e le classi de' zoologi e de' bota- nici assai volte ne' loro confini si mescolano e quegli scienziati penano molto a ben ravvisare dove comin- ciano e dove terminano, tanto i trapassi riescono im- percettibili. 5.  Nondimeno, perch ogni essere  certa essenza determinata persistente e non alterabile e certa ragione necessaria della omogeneit e coerenza interiore della sua forma, egli pu accadere che tra un'essenza ed un' altra diversa non entri interposizione nessuna, at- teso che il contrario varrebbe quanto pretendere che intervenga certa mediet fra il quadrato ed il circolo. Non  da maravigliare impertanto che alcuna fiata i trapassi graduati e minuti faccian difetto. Anzi ag- giungiamo che dovendosi in natura far luogo al tutto simile e al tutto diverso questo del sicuro si spicca o disgiunge assolutamente dalle altre serie di cose. 240 LIBUO TERZO. Ma parlandosi del mondo che noi conosciamo e dove il simigliante e il diverso riescono assai mesco- lati, nientedimeno non  da scordare che vi operano cagioni^ parecchie dififerentisfifime r una dair altra; e se' ci non fosse, il finito amplerebbe la propria efficacia per la sola congiunzione e cooperazione del simile che tra i modi d' ampliazione da noi definiti pi volte  il meno fruttuoso, In quel cambio con la diversit dei principj ottiensi la partecipazione appunto del diverso nel simile e queir artificiosa, cosi la chiamo, unit dei contrarj che giungesi ad ottenere nella cospirazione dei mezzi, nei composti strumentali e nella organizzazione fisica, come si avviser a suo tempo; ed allora vedremo che per incompatibilit di essenze avvi salto necessario e profondo dalla chimica, per via d'esempio, air orga- nizzazione, da questa air animalit e dalla animalit al principio razionale. 6.  Il perch quella legge di continuit predi- cata da Leibnizio e da molti filosofi, tuttoch vera in sostanza quando la natura  considerata come ricet- tacolo deir infinito delle possibilit e quando si pensa che r essere pu variare altres per infinitesimi, riceve per le ragioni anzi esposte eccezioni frequenti e copiose nell'ordine della realit; e segnatamente per ci che nella natura, non ci stanchiamo di replicarlo, il diverso non abbonda meno dei simile; dovech nel cnnr^ptto di Leibnizio il fondo delle cose era da ultimo la identit. 7.  N si biasimano per tutto ci i fisici ch(* pigliano a scorta de' loro studj cotal legge della ; continuit ; e V esperienza ci dimostra che cercando  essi con premura ostinata qualche essere intermedio COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 241 fra uno e altro vivente, perch troppo diversi e di- sgiunti, ranno rinvenuto delle volte parecchie. E nera- manco ignoriamo che numerosi intervalli trovati den- tro le serie degli animali furono riempiuti, /l cosi parlare, da altre specie fossili al presente scomparse. Non per di meno, la ignoranza profonda che noi soste- y^ niamo della essenza dell'organismo fa che il differente v ed il simile delle specie e dei generi sia il pi del tempo riconosciuto e classificato empiiicamente, e nep- pure possiam prevedere e pronunziare con sicurezza una minima variet, ricevendo tal voce nella significa- zione peculiare che dannole i naturalisti. CJerto, quando la paleontologia rivel, non sono molti anni passati, venti e pi mila specie di pesci fossili tra le quali oltre le forme affatto perdute ogni specie ora vivente ritrova innumerevoli variet ed analogie tutte nuove ed inopinate per noi, conviene procedere pi modesti nel [ giudicare della continuit o discontinuit delle cose. , Afoeismo V. 8.  Ancora si pu domandare se tal legge di continuit prosegue a mostrarsi nell' ordine delle mu- tazioni per modo che queste succedano in minimi gradi e solo in gran progresso di tempo manifestino risul- tamenti notabili ; e ci sia vero particolarmente dove non operano se non le cagioni costanti ed universali o le cagioni minute ed accidentarie che sono tutte pas- seggiere e poco eflScaci. 9.  Noi gi fermammo nel primo Libro della cosmologia che le cagioni accidentarie non differiscono dalle sostanziali perch sieno pi contingenti ed ope- rino con leggi meno costanti, ma solo perch sono specifiche ed operano pi radamente e con meno du- Ukuihm. > It i6 242 LIBRO TERZO. revolezza e noi con molto maggiore difficolt ne sco- priamo il tenore e l'indole intrinseca non mutabile. Ma lasciando ci stare, certissimo  che operando nel creato cagioni e principj diversi neppure l'or- dine di successione e di mutazione pu mantenersi identico sempre e trascorrere a minimi gradi da un cangiamento ad un altro ; e ci importerebbe che tutte le variazioni nel mondo si risolvessero in alte- razioni di quantit estensiva o intensiva. Di piii di- ciamo che lo straordinario ed il consueto, il nuovo e r antico, il lento e aspettato e il sbito e affatto im- pensato nella natura anno valore ed importanza non diseguale ; perch l' uno e V altro sono governati dalla stessa necessit, come sotto diverso rispetto sono go- vernati dalla sapienza medesima. Quindi pu benissimo la natura ritrarre effetti strepitosi e immensamente Jecondida cause minime in apparenza ed insufficienti. A. 10.  Mentre ogni cosa nel nostro globo  prin- cipalmente avviata ad apparecchiare V abitazione del- l' uomo e fargli possibile la sussistenza, un picciolo aumento di carbonio nella composizione dell' aria l'avrebbe innanzi impedita ed ora la condurrebbe al niente. Del pari ogni leggier mutazione nella forma dei continenti e dei mari prodotto avrebbe un' indole di nazioni, un succeder di fatti e un corso di civilt so- stanzialmente diverso da quello che insegna la storia. Aforismo vi. '^ 11.  Un grande uso e abuso fanno ora i fisici del presunto metodo della natura di condur sempre COORDINAZIONE DEI VEZZI NELL'UNIVERSO. 243 r opere sue con perseveranza di causa e col minimo di azione. 12.  Il vero di questo principio consiste in ci, ' che da ogni parte in natura l'indefinito tien luogo deir infinito; la qual cosa apparisce con maggiore evi- denza nel quanto; perocch il moto che lo genera o lo manifesta, non salta verun punto intermedio; e di tali punti ve n'  innumerahili in ogni distesa di spa* zio. Da ci proviene, noi ripetiamo, che le cause me- desime qualora agiscano e mutino per sola ragione di quantit, certo spiegano in ciascun istante un minimo di azione. E perch l'indefinito si allarga ed insinua eziandio nelle mescolanze ordinarie del diverso e del simile e per cotal guisa il diverso ed il simile trapas* sano r uno nell' altro con insensibili gradi, ne seguita che qui ancora si mostra molto spesso certo minimo di azione, allato a certa continuazione e medesimezza di causa. 13.  Ma i dotti, al mio parere, scordano da capo che nella natura avvi altres il diverso intero e asso- luto, o poco assai mescolato col simile; e per i tra- passi ed i cambiamenti debbono parecchie volte riu- scire immediati, violenti, e non graduati. Per fermo, nelle fortune di mare, nei terremoti e nelle eruzioni dei vulcani  subitaneit quanti^ pienezza ed energia estrema d' azione. E tu di' il simile delle foreste ame- ' ricane arse ed incenerite; il simile della saetta folgore che percotendo (poniamo caso) in magazzini da pol- vere semina d' improvvise ruine il suolo. Mezza Olanda verrebbe sommersa in pochissimo d'ora, quando si rom- pessero per accidente gli argini al mare col costruiti. 14.  N duranti tutte le epoche geologiche gli  da pensare che mai in nessuna parte non sia stato schiuso all'oceano un varco, pel quale precipitando 244 LIBRO TERZO. avr del sicuro sommerso in tempo brevissimo larghi continenti situati sol poche dita pi gi del livello suo. r 15.  Vero  bene che il simigliante, secondo si spieg altrove,  pi generale ; e il diverso appare pi spesso neir atto delle cagioni particolari. Di quindi av- viene che quanto pi si esamina la natura nella g- neralit dei fenomeni e nella lunghezza del tempo, tanto sembrano sparir maggiormente le differenze e le cose procedere ai fini loro per trasmutazioni uniformi e lentissime. Con tutto ci, nel sistema solare stessa scorgiamo segni d' azioni violente e improvvise, s'egli  pur vero che i pianeti molti e minuti comparsi tra Giove e Marte sieuo frammenti d' un solo astro scop- piato per fuoco interiore o per urto con altro corpo celeste. E chi questa supposizione ricusa, riducasi al- meno in memoria il subito comparire di alcune stelle e lo sparire di altre e il mutar colore di moltis- sime pressoch repentinamente. A. 16.  Non si vuol negare che il Cuvier corse troppo affrettatamente a credere che le mutazioni pro- fonde delle forme animali accadute nelle epoche geo- logiche procedessero quasi tutte da spaventevoli cata- clismi ; e merit bene della scienza il Lyell supponendo air incontro che la maggior parte di que' cambiamenti sia succeduta a minimi gradi e nella lunghezza ster- \ minata dei secoli. Ma non isdrucciola egli forse alcuna \ volta nell'altro eccesso, negando quasi per intero ogni mutazione violenta e rapida o confinandola in troppo ristrette regioni e tra transitrj accidenti? Chi pu, per via d' esempio, negare che gli elefanti della Siberia non perissero tutti a un tratto per rivoltura strana e COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 245 subitanea di clima e per dilurj veementi di acque, da- poich le carni d'alcuno fra essi non soggiacquero a putrefazione e gli scheletri loro giacciono accatastati e in quantit enorme nel fondo delle caverne e sulle ripe dei fiumi? Aforismo vii. ^ ,^ ^ -^tM- -^^T' '^' "' 't^' -er tutti i secoli. Ma di costa e sopra e d' ogni intorno a tale sistema il telescopio ne mena a supporre innu- merabili altri in que's diversi agglomeramenti di ma- teria siderale e in quelle aggruppate costellazioni onde vediamo cosparso e quasi intessuto il firmamento. Error grande sarebbe a credere che la unit e semplicit loro sia simile a quella che noi ammiriamo. E si pensi di vantaggio che tutti codesti sistemi siderei apparten- gono pure a certa essenza comune di corporeit, di spazio, di moto, di figura e di luce. Ma giusta le nostre opinioni, di l da essi e fra essi v'  probabilmente altri sistemi innumerabili d'altre forme di essere ignotissimi a ' noi e da ogni immaginazione nostra separati e diversi. 27.  Se Cartesio come fecesi a indovinare le leggi del moto che gli erano sconosciute in gran parte, cosi avesse dovuto fare per la favella umana quando l'espe- rienza nemmaAco su tale materia V avesse istruito, per lo certo a rendere semplice il suo sistema avrebbe for- nito ogni stirpe e ogni civilt d'una sola lingua e COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 251 d'una^sola grammatica. Eppure, il fatto procede diver- samente ; e tuttoch in ciascuna delle differenti famiglie di lingue la semplicit di costruttura e di svolgimento sia tra le pii singolari ed anzi miracolose produzioni dell'istinto razionale, nientedimeno non sembra egli che la natura operato avrebbe con maggiore sempli- cit facendo inventare all' uomo una sola forma di pa- role e d' inflessioni grammaticali, e agevolando cosi e affrettando in iinmenso la fratellanza dei popoli e lo scambio delle cognizioni? 28.  Per cancludere con tale sentenza, farebbe mestieri conoscere tutte le necessit che impedirono la unificazione delle favelle; poi quanti beni provengono dalla loro diversit mentre noi ne annoveriamo cosi facilmente gli incomodi. 29.  Intanto dal fatto precipuo della diversit delle lingue trarremo da capo questa persuasione che la semplicit nella natura e nei concetti dell'uomo differisce profondamente ; e che d' altra parte, al solo infinito della potenza e sapienza divina dovea riuscire di creare tre o quattro ceppi e tronchi di lingue con indole al tutto diversa e gareggianti nondimeno in fra loro di suprema semplicit. Aforismo XI. 30.  Egli  poi manifesto che le necessit del finito astringono la creazione a proceder mai sempre  contempliamo sotto forma di unit; come quando avvisiamo il genere dei metalli o l'altro pi largo dei minerali o il pi ristretto dei basalti. L'uomo medesimo o l'animale bruto, ancorach sia uno nella realit di ciascun indi- viduo, lascia scorgere pi diversit che variet, parago- nandosi (poni caso) gli estremi, e cio l' embrione con r essere gi formato ovvero la et infantile con V ul- tima; e parimente sono pi differenze che variet la memoria, la volont, il senso, l' istinto. E quelle dif- ferenze sono poste insieme dalla natura ed unificate in certo subbietto mediante una sintesi laboriosa e lentis- sima a cui il finito perviene valicando per innume- revoli composizioni e preparazioni. 96.  Il partecipare poi del diverso, bench sia fattibile ed anzi la natura lo venga efiettuando in ogni momento,  di continuo questo limite che nel ge- nerale r una meschianza impedisce 1' altra, e se av- viene questa, quella non pu avvenire. Lo zolfo me- schiato al mercurio compone il cinabro ; ma se vuole insieme partecipare del ferro non pu, e conviengli per ci abbandonare il mercurio. 97.  La insufficienza del finito produce ancora che la partecipazione del diverso piuttosto fa luogo ad un terzo essere differente, di quello che ad aumen- tazione di propriet e di attribuzioni ; come si scorge nei sali, ovvero negli ossidi metallici, in cui l' ossigeno 280 LIBRO TERZO. sembra perdere ogni sua propriet, e le basi alcaline e i metalli gran parte delle loro. Laonde la mentalit su- prema per giungere al vero incremento dell' essere e ad un mescolamento tale del diverso che T unit vi stia dentro sostanzialmente, apparecchia e addirizza tutte le cose alle sintesi terminative, e vale a dire ai subbietti sostanziali che chiamerei moltiformi, e a quelle compo- sizioni in cui qualche^ente superiore subordina gl'infe- riori siccome accade per entro ai composti organici. 98.  Ma di ci altrove. Qui basti il considerare che due sono nel nostro proposito g' intendimenti della naturar; l'uno risguarda al possibile l'altro alla fina- lit. Rispetto al primo, la natura adempie l'intendi- mento suo, sempre che attua l' indefinito del vario del diverso e del misto, ancora che il misto non duri e le combinazioni si avvicendino senza incremento vero e ordinato dell' essere, in che consiste la sintesi. * Apobismo III. 99.  Con tali considerazioni sul modo assai dil- ferente che pu adoperare il finito nello spiegare l'in- definito trapasseremo a conoscere partitamente l'ap- plicazione di tutto ci nei tre mondi da noi distinti, e cio l'etereo, il chimico ed il meccanico. E facendoci dal primo, che  1' etereo, diciamo che preconosciuti gli ufiicj suoi i quali anno indole generale ed inalterabile e ricordandoci di quanto ne fu definito pi sopra, debbe comparire in lui molto spiccata se non 1' unit di sub- bietto, certo l'unit di forma. Quindi non il diverso propriamente ma il vario vi dee dimorare con isfar- zosa moltiplicazione, tanto che s accosti a quel di- verso neir uno di cui test abbiamo discorso. Della qual cosa fanno fede parecchie scienze. Di fatto, la COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 281 lace, il calore, T elettricismo ed il magnetismo sono argomento di studio e sapere tanto diversificato e Ta- sto che niuna intelligenza umana l'abbraccia mai tutto, e r insegnamento n'  gi spartito fra parecchie cat- tedre nelle universit pi insigni d' Europa. Aforismo IV. 100.  Della variet poi del mondo chimico testi- moniano similmente tre amplissime scienze la geolo- gia, la mineralogia e la chimica propriamente deno- minata.  qui debbe aver luogo non pure il vario. ma eziandio il diverso sebbene non assoluto. Imperoc- ch la natura nel mondo chimico move un passo di pi verso il fine ; e per alla partecipazione del simile o vogliam dire alla comunanza della materia quivi s aggiunge la partecipazione del diverso, che  pure la differenza spiccata e profonda delle specie nel genere ; oltre alle combinazioni di tutto questo col mondo ete- reo. E si noti da ultimo che nei cristalli regolari i quali appariscono in ogni corpo e nelle parti e membra de' gran contenenti ossia delle masse maggiori per Io spazio disseminate  da riconoscere un primo tenta- mento e un inizio primo di forma individuale. A. 101.  Dicemmo in sul cominciare chela congiun- zione del simile  Tatto e il modo pi semplice onde il finito allarga i suoi limiti e sforza la sua insuffi- cienza. In tale congiunzione, pertanto, deesi ripetere il fatto pi universale e comune del mondo creato ; e per nel seno della materia il fenomeno pi frequente debb' essere V accostarsi delle molecole per costruire i 282 LIBRO TERZO. corpi e quindi V accostarsi di questi per costruire le masse. N qui pu fermarsi la cosa ; ma la stessa ne- cessit e la stessa legge verr a mover le masse per entro lo spazio ed avviare l' una all' incontro del- l' altra. 102.  Ora, in questo medesimo fatto dell' attra- zione universale tanto semplice e tanto comune e te- nuto, comesi disse, ne' giusti confini dalla virtii espan- siva dell'etere, la natura introdusse un'altra sorta di variet inesauribile. Conciossiach, lasciando stare i fenomeni dell' affinit da un canto e dell' adesione da un altro che sono i due estremi del meno e del pi nel congiungersi delle molecole, pure nei corpi simi- lari v'  tante sorte di coesione fra le molecole, quante forse le specie stesse dei corpi. Di quindi l'uno si mo- stra tenace, l'altro friabile, un terzo duttile, un quarto rgido e cos prosegui; e ciascuno  eziandio una propria guisa di rompersi non che un peso proprio specifico. Aforismo V. 103.  Ma nelle masse maggiori, o vogliam dire nei / Soli e ne' loro sistemi, proseguir la natura a profon- 4 dere il diverso ed il vario? Certo che s, non potendo / ..>'errare il principio, il qual vuole che sempre e in qua- ^'^ [ ' lunque ragione di enti apparisca attuato l'indefinito del ', ^"^ possibile. Salvo che cotesti sistemi solari sono da ultimo \y ^/ serbato j smisurati e massimi contenenti del mondo ^ \* chimico. Il perch, diversificandosi questo da sistema a sistema vengono le masse medesime a diversificare. 104.  Sopra la qual cosa noi ripetiamo che quan- tunque ne l'ingegno ne la fantasia n altra mai fa- colt umana coglier possa in veruna maniera le novit originali di qualsia specie e quindi riesca impossibile af- COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 283 fatto di figurare e definire la tempra e le condizioni pe- culiarssime del mondo chimico negli altri sistemi solari, tittavolta andiamo persuasi che quivi sfoggia il diverso ed il vario in modo tanto abbondevole quanto incono- scibile a noi. Del che ci giunge pure qualche indizio mediante V esperienza. Conciossiach il colore, la qua- lit e r intensit della luce nei corpi celesti, certo loro appannamento ed annebbiamento, la fosforescenza, le macchine, la scintillazione ed altre contingenze ci appaiono spesse volte diversi da pianeta a pianeta, da stella a stella e da costellazione a costellazione. 105.  Senza che, l' aspetto e figurazione di queste ultime, la rarit e spessezza di loro materia e la po- sizione e il moto di loro parti similmente diverso da una ad altra acervazione di stelle non pu non rispondere a differenze integrali nella natura de' loro elementi ; con- siderato che in nessuna di quelle parvenze  carattere accidentale.  tutto ci in sino al termine estremo dove dura comunanza d corporeit e di moto. 106.  Di l da quel segno principia una diversit di mondi per noi assoluta ed infigurabile, e dei quali sappiamo sol questo che del sicuro sussistono ; perch r infinito della possibilit, certo, non rimane esausto nelle due sfere a noi note della materia e dello spi- rito; o parlandosi pi preciso, nelle due sfere di feno- meni sotto cui ci si rivelano i due principj. il mate- riale vo'dire e lo spirituale. N tutte le forze della ma- teria probabilmente ci sono ancor note come non tutto lo spiegamento essenziale delle facolt dello spirito. A, 107.  Notiamo per incidente che facendo noi pro- fessione in questo volume di dedurre da pochi e certi A 284 LIBRO TERZO. principj quanta maggior notizia si pu dell' ordino della natura,  assai rincrescevole ad ogni tratto il evenir dichiarando la molta ignoranza che sosteniamo t sulla pi parte di questa gran fabbrica dell' universo ; . e conoscere poi di giunta che nel difetto della scienza / argomentativa non ci soccorre nemmanco la scienza sperimentale ed empirica. CJi non ostante, noi ci ter- remo fermi al proposito che le dimostrazioni f^a^i^ sieno scambiate teai^'con le congetture e queste medesimo mii^tras vadano tanto da divenire  Sogni d' infermo e fole da romanzo.  108.  Di cotal tedio ed impaccio vanno esenti gli Hegeliani, i quali negano intrepidamente tuttoci di cui non possiedono la nozione. Cos negano, per via d'esem- pio, che vi sieno sistemi solari somiglievoli ad una e diversi dal nostro ; e gi notammo altrove che il mae- stro loro pensatamente e iteratamente chiam il cielo stellato qualcosa di comparabile ad una specie d'espul- sione cutanea. Vero  che in tale espulsione l'Herchel, 1' Olbers, il Bessel ed altri valentuomini ravvisarono qua un mondo incipiente, l un mondo assai progre- dito, pi discosto un altro che scindesi in due, e pi discosto ancora oceani immensi di materia cosmica, onde usciranno a poco per volta novelle costellazioni. S vero che in nessun luogo  intera immobilit ed anzi ogni parte di quella espulsione si move; e pro- babilmente ogni moto  il suo centro, come del sicuro  la sua legge determinata e indeclinabile ; senza par- lare di que' gruppi di stelle che girano 1' una intornf> dell'altra con periodo certo quanto diverso di tempo e misura. 109.  Simigliantemente, non  da cercare per gli Hegeliani quel che significa la via lattea, le nuvole ma- COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 285 gellanche ed altri membri smisurati della sfera side- rale. E qui un maligno potrebbe riflettere che in quella sorta, come dire, di scabbia celeste il solo caso dee sbiz- '^Z. zarrrsi e tener dominio. 110.  Forse io frantendo non poco i pensamenti degli Hegeliani. Ma sembrami che in cambio di spa- rarle si grosse tornava lor meglio di dichiarare che r Assoluto nemmanco nel cervello di Hegel  molto progredito nella coscienza di se medesimo e nel rav- visarsi una cosa stessa con la natura; e che quindi col tempo conoscer e spiegher per bene tutte le opere gigantesche e bellissime che  lavorate colass senza addarsene troppo e quasi giocando a capanni- scondere. Per un Assoluto che  identicamente nel tempo e nella eternit, nella idea e nella materia, e non  mai cominciato e pur tuttavia diventa e diven- ter sempre, ei si pu indifferentemente affermare che SSL ogni cosa ovvero che non sa nulla o pochissimo. Del resto, non  ufficio nostro di aggiustare le lor partite e sa pi un pazzo in casa propria che un savio in casa d'altri. Ma, per mio avviso, quella corona che portano della scienza assoluta  un triste e gravoso carico; e credo che sentano anch'essi quanto pesa la sovranit, massime in questi nostri tempi. Cartesio ancora ebbe a dire che non v'  fatto nell' universo a cui non trovisi spiegazione pronta ed agevole nei prin- cipj del suo sistema. Ahi parole imprudenti I Venne di i li a poco il Newton e fece piazza polita di que'prin- i cipj e di quel sistema. Aforismo vi. 111.  Ora, tornando al soggetto, chiediamo di nuovo: come avverr il misto, e cio la partecipazione del di- 286 I/IBRO TERZO. verso nelle masse maggiori considerate nel lor tutto insieme e V una a rispetto dell' altra? potranno i si- stemi solari summentovati fare scambio in fra loro di qualit e di attribuzioni, quando anche non ne risulti incremento di essere per ciascheduno? Per nostro av- viso, tal presupposto non pure non  escluso da veruno principio ma confermato in quella vece da ci che fu dichiarato teste circa l' indefinita variet e differenza che la natura desidera e vuole in tutte le cose. 112.  Stimasi, dunque, da noi che i sistemi solari girano 1' uno intorno dell' altro con tal legge di moto e con tale vicenda, che ognuno o la maggior parte visiti gli altri di mano in mano e mutuamente sia visitato, con iscambio successivo dell' influsso proprio e dell' altrui. Quindi si pu immaginare che quello che accadde fra gli astri di una intera costellazione o di parecchie insieme connesse avvenga poi fra le altre non unite ne connesse; e il risultamento sia che cia- scheduno sistema solare abbia trascorsa tutta la serie del suo agire e del suo patire e soggiaciuto al novero intero delle mutazioni convenevoli all' essenza sua speciale e immutabile. 113.  N solo si dee pensare che fra gli astri e le costellazioni diverse accada un avvicendamento e uno scambio d' influssi e d' ingerimenti, ma che da ci derivi V attuazione di molte potenze a cui bisognava un impulso esteriore, come vediamo succedere conti- nuamente nel mondo chimico e nello spirito nostro medesimo. Imperocch, essendo legge del finito che le  facolt non valgono a suscitare s stesse e condursi \ air atto per sola propria energia, cosi  lecito di opi- nare che in qualunque parte della natura sieno forze latenti non ancor trapassate all' atto per mancanza d'impulso esteriore conveniente e proporzionato. Sul COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 287 qaal proposito torner necessariamente il nostro di- scorso avanti la fine di questo Libro. Al-ORISMO VII. 114.  Ma tra le combinazioni del mondo stellare e quelle del mondo chimico interviene la diflFerenza che le seconde si compiono per incorporamento, laddove le prime il pi delle volte si debbono compiere per accostamento ed influsso. Nel vero, nelle grandi masse prevale il principio della stabilit e della resistenza, e perci prevale la coesione. Di quindi nasce che il mondo pi sottile e pi mobile, e in cui la natura pu giungei'e con agevolezza maggiore alle sintesi termi- native dimora alla superficie di quelle, dov'  minor compattezza e pressione. Per ci nel generale non deb- bono gli astri di gi formati incorporarsi l'uno nell'altro, perdendo qualche porzione di superficie e rompendo a mezzo il lavoro intrapreso del mondo chimico. AroRi8>fo Vili. 115.  Del pari, se noi ricordiamo quello che fu fermato nel Libro secondo intorno alle necessit del moto e dell'attrazione e nel primo intorno alla impe- netrabilit e all'agire e reagire dei corpi, noi ci per- suaderemo che gli astri di gi formati e assodati cor- rendo l'uno verso dell'altro con impeto inimmaginabile invece d'incorporarsi ed unificarsi frangerebbero nel cozzo tremendo le loro compagini e de' loro frantumi infecondi saria piena senza frutto una immensa di- stesa di spazio. 116.  D'altro canto, ei si vedr di qui a poco che nella forza passiva dell'attrazione dimora certa virt 288 LIBRO TERZO. occasionale di altra specie di moto diverso ed attivo. Tutto il che combinato con arte divina genera per ogni dove e mantiene V equilibrio degli astri, e intendiamo dire che tutti per una serie coordinata di movimenti ora dittici ed ora iperbolici possono bene visitarsi ma non entrar l'uno nell'altro ovvero infrangersi come vetri e andare in minuzzoli. AroRiSMO EX. 117.  Salvo che le combinazioni del mondo chi- mico debbono riuscire estremamente fine e gracili a petto a quelle dei sistemi solari. N possono da Sole a Sole 0 da costellazione a costellazione mutare g' in- flussi senza che non se ne alteri profondamente e non se ne perturbi e sconvolga tutto l'ordine del mondo chimico respettivo. 118.  Ma bene la natura provvede a ci con due suoi metodi mirabilissimi. E l'uno  di produrre tra i corpi celesti la novit degl'influssi con minimi gradi e impiegandovi parecchi bilioni d' anni, tanto che la mutazione non pu arrecare rivolture violente e con- quassi. L'altro metodo della natura si  di aspettare den- tro a ciascuno membro d' un sistema solare che uu certo ordine del mondo chimico sia trapassato di mano in mano per tutti li suoi svolgimenti; per guisa che la mutazione ed innovazione, tuttoch repentina, riesca opportuna e fruttifera. N manca la divina mentalit di dedurre, secondo i casi e gl'intendimenti dall'uno e dall'altro metodo, ora la semplice diffe- renza che aggiunta alle altre cresce 1' attuazione del possibile ; ora la differenza che a rispetto delle ante- riori segna un progresso e vale a dire qualcosa che COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 289 cagiona un durabile incremento di essere o per lo manco un preparamento inverso di esso. A, 119.  Di queste due arti della natura abbiamo testimoni evidenti le mutazioni sopravvenute nel nostro globo, delle quali alcune si compiettero quasi in un subito ed altre con processo lentissimo. Sebbene nel giudicarle sia molto diverso il criterio usato dagli scrittori; e tu odi, per via d'esempio, il Cuvier che parla d cataclismi molti e veementissimi ; invece il Lyell vorrebbe quasi negarli e procaccia con grande ingegno di accumular le prove onde si mostri l' ope- rare tardissimo della natura ma sempre d'un minimo grado diverso da se medesimo, tanto che nella fuga delle miliaia d secoli gli effetti assommati riescano al- l'ultimo ad una profonda trasformazione. Del resto, par- landosi della natura la rapidit ed anche la subitaneit delle mutazioni non  quella certo che immaginiamo noi con le tenui misure di minuti e d' istanti solo propor- zionale al nostro durare brevissimo e al nostro mu- tare incessante e visibile. Ad ogni modo, saranno esempio della subitezza dei cambiamenti l'eruzioni vulcaniche, le quali arrecarono ruine tanto maggiori quanto i vulcani spesseggiavano oltre misura nel mondo antico. 120-  Puoss anche dire che la vita degli animali pili nobili  cosi delicata e ricerca una convenienza e proporzione cos minuta ed esatta con la natura ambiente, da non resistere ad alcun cambiamento che Mahiari.  n. 9 290 LIBRO TERZO. sopravvenga in un sistema solare, quando anche si operasse a gradi lentissimi e impercettibili. Il perch noi siamo di credere che quando questo nostro Sole verr tanto prossimo alla costellazione di Ercole, verso cui procede, da sentirne alcuna sorta d'influsso, la no- stra specie dovr perire. Conciossiach noi non la re- putiamo atta a trasformarsi organicamente. Ma di ci nel quarto Libro. C. 121.  Uscendo anche dal sistema nostro solare che a petto al firmamento vale un granel di sabbia, il telescopio ci diede avviso di qualche subita rivolu- zione accaduta in altri corpi celesti, e sono quelle stelle segnatamente che od apparirono improvviso o per lo contrario cessarono a un tratto di splendere e di scin- tillare. Altre ve n' a che dopo essere rimaste oscurate alcun tempo s' illuminarono di nuovo. Altre infine mu- tano di colore a certi periodi. In ciascuno di simili casi certo alla superficie di quegli astri sono avve- nuti e avverranno cambiamenti profondi e rapidi e quali abbiamo usanza di domandare cataclismi. Con- ciossiach, quando una mutazione si stende su tutta la faccia d' un astro non minore del nostro Sole, non pu avere per lo certo carattere accidentale ed ineffi- cace e non accompagnarsi con mille cambiamenti par- ticolari ed intrinseci in tutte le materie dove penetra r atto di quella cagione sostanziale e generica onde la mutazione prima  provenuta. Aforismo X. 122.  Ma per compiere questi nostri aforismi in- torno alla diversit e alla novit che dee comparire ne- COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL' UNIVERSO. 291 gli astri mediante la vicenda e permutazione scambievole dei loro influssi, a noi giova di ricordare che ci debbo sempre avvenii-e secondo tutti i principj e le arti della natura di gi descritte. Quindi, sebbene nessuna fissa nel firmamento sia tale davvero e che quando il durare ilei secoli potesse contrarsi e stringersi nell' intervallo di pochi secondi noi le vedremmo cambiare tutto V or- dine e la configurazione della presente sfera siderea, nullameno egli  certo che qualcosa pure fra esse dee sustanziare il principio della saldezza della resistenza e della immobilit relativa, come altra parte delle medesime debbe esprimere il principio contrario della mobilit e della incostanza. Aforismo XI. 123.   da far luogo eziandio a quest'altra con- siderazione intorno al proposito, e vale a dire che po- sto ancora che i cambiamenti de' massimi corpi stel- lari mirassero soltanto ad esaurire 1' indefinito del possibile, tuttavolta fu gi pronunziato che la divina mentalit non concede a verun possibile di essere alieno compiutamente dalla cooperazione remota o prossima diretta o indiretta ai fini superiori ed universali della creazione. 124.  Ma considerandosi poi che i sistemi solari ed i loro aggregamenti sono sostegno e principio per ogni dove delle sintesi terminative non meno che sieno le sostruzioni e i muri maestri ai grandi palagi, egli si fa manifesto che quelli debbono tenere concordanza stretta col mondo chimico respettivo e con tutto ci che da tal mondo debbe originarsi appresso. 292 LIBRO TERZO. Afobismo XII. 125.  Per d medesimo a noi sembra evidente che i sistemi solari le costellazioni e gli aggregamenti di queste essendo costituiti e congegnati per maniera che mediante la coordinazione de' lor movimenti e il vi- sitarsi mutuamente e lo scambiarsi gU influssi vengji cos in ciascuna parte come nel tutto spiegata la infi- nitudine dei possibili per entro i termini della capacit delle parti e del tutto, certo la natura vi  adoperato non solo la congiunzione dei simili e la partecipazione dei diversi, ma quell'altro modo di aggrandire i li- miti e r efficacia dei finiti che noi domandammo l' or- dine e la cospirazione dei mezzi e il quale consiste a fare operare un effetto comune da certa catena di cause insufficienti ciascuna per s, ma bastevoli al con- seguimento del fine in virtii di connessione e cospira- zione. Ed  ci in sostanza che ottengono tutte le macchine a cominciare dalle pi semplici insino alle pili implicate e maravigliose. 126.  L'intero mondo meccanico, adunque, consi- derato ne' suoi gran contenenti e nelle relazioni e coor- dinazioni in fra essi, vuol essere riconosciuto quale un macchinismo portentoso ed inconsumabile, mentre le macchine umane sono temporanee tutte e recano in se medesime il principio loro dissolutivo, non sapendosi rinvenire la guisa di perpetuarne il moto; appunto per- ch da per tutto  moto e gli elementi di resistenza mutano essi medesimi a poco per volta. 127.  Ma nella natura la perpetuazione del moto che non pu essere assolutamente in nessuna parte  serbata nel tutto con questo artificio che all' una mac- china disfatta subentra V altra diversa e pi compren- COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 293 iiiva. Rimaneudo, tuttavolta, incerto per noi se cotesto macchinismo universo mantiensi con la periodicit e r indefinita replicazione ovvero con l' innovazione in- definita ed interminabile. Noi tratteremo di ci am- piamente neir ultimo Libro. A. 128.  Sembra non vera, o per lo manco avven- tata, r affermazione nostra che il mondo meccanico non serbi neppure esso in ciascuno suo sistema par- ziale la perpetuazione del moto, e vale a dire la iden- tit e inalterabilit del sistema medesimo. Per fermo, gli studj profondi degli ultimi gran matematici anno dimostrato che sebbene nel nostro sistema solare sieno cagioni pressoch innumerabili di perturbamento e iV alterazione, ogni cosa da ultimo trova il suo com- penso ed il suo equilibrio. 129.  Ma oltre che vi possono essere cagioni len- tissime ed occultissime di scompaginamento, egli basta di sapere che il Sole si move col suo corteo di pianeti inverso altri centri maggiori perch attingasi la certezza ohe interverranno influenze nuove e gagliarde e nuova energia e intensione di forze attrattive suflicienti se non a scomporre certo a modificare profondamente il sistema nostro attuale. E quando anco volesse credersi rispetto al mondo meccanico a una legge universale e immu- tabile di periodicit, il ricorso delle cose non mai av- verrebbe innanzi di aver quelle incontrato il novero immenso di cambiamenti di cui sono capaci. Perocch la natura (si disse pi volte) non consente di lasciarli nella nuda e perpetua virtualit. 294 LIBRO TERZO. Aforismo Xin. 130.  Ma se le enormi inasse stellari costituiscono un macchinismo vero e fruttifero,  sempre da man- tenere che tuttoci  diversissimo dalla organizza- zione strettamente denominata, la quale, sebbene sia r ultimo termine d' una artificiosa coordinazione e connessione di mezzi, nuUameno  carattere tanti^ proprio e cosi definito che in ninna maniera si dee confondere col macchinismo e con qual si voglia for- ma ed operazione del mondo meccanico. Eppure  ' frequente V abbattersi in trattati di cosmologia i ; quali proclamano con certa enfasi la organizzazione , dell' universo. E qualora affermassero ci per dilata- ^zione di significato, e dir volessero che V universo intero compone un sistema e in ciascun suo membro  cei-ta coordinazione e cospirazione di mezzi, a noi non toccherebbe di dissentire avendo espresso propriamente e in parecchi luoghi il concetto medesimo. E nemmanco faremmo contesa quando ristretto il lor ragionare al mondo nostro visibile giudicassero che il suo tutto insie- me in quanto risulta di astri e costellazioni  coordinato e connesso in modo da produrre pi e meglio di ci che ciascuna parte e ciascuna aggregazione di parti per s non potrebbe. Ma costoro vogliono a dirittura che i gruppi di costellazioni sieno le vere membra maggiori d'un forando corpo animato od almeno vivente; ed anzi I r Owen e il Burdach l' arcano della vita spiegano e disigillano con questo altro arcano certo non inferiore \e non, meno chiuso della universale organizzazione. Laonde, se parlano per metafora e danno questi nomi di organizzazione e di vita a un ordine molto impli- cato di materia e di movimento, trascurano la propriet COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL' UNIVERSO. 295 e la severit di linguaggio convenienti a filosofo, e se adoperano i detti nomi con significazione litterale, af- fermo da capo che non s' appongono alla verit. Afobismo XIV. 131.  Sopra il che non mi bisogna di anticipare il corso della nostra teorica e produrre in mezzo il valor vero ed esatto che debbesi assegnare ai vocaboli vita ed organizzazione quasi sempre mal definiti. M'ab- bondano le ragioni per dimostrare che nel mondo mec- canico in quanto esso  tale e distinguesi onninamente dal mondo chimico non  vita e non  organizzazione, pigliando le due voci fuor d' ogni senso traslato e nel- r accezione comune, poco o molto determinata che sia. 132.  L' organizzazione e la vita da lei proveniente sono le massime sintesi della natura sopra la terra ; conciossiach in esse apparisce l'attuazione perenne ed universale del fine dell'ordine fisico. Per vi con- corrono del sicuro i tre mondi insieme descritti da noi per quanto vi concorre ogni ragione di materia e di corpo, e senza qui risolvere se la materia ed i corpi bastino s o no all'adempimento reale del fine. Ma le sintesi della natura essendo i com])Osti pi elaborati e difficili, domandano la massima variet, frequenza ed agevolezza di moto e il massimo intreccio delle so- stanze e delle mistioni loro. Per lo contrario predomina nelle grandi masse la stabilit, la uniformit e la coesione compatta. Onde nella serie dei mezzi e degli apparecchi il mondo meccanico rimane inferiore e ogni altra serie lo presuppone. 133.  Oltrech, se vogliono que' metafisici al com- plesso delle costellazioni dare un' anima intelligente o per Io manco sensibile, noi gi negammo pii sopra il 21if LIBRO TERZO. senso latente o spiegato appartenere comecchessia agli atomi della materia e negammo pi assai risoluta- mente tra le cagioni seconde qualunque principio reale ed universale dotato di attivit e costituente una effi- cienza altres reale ed universale. 134.  Rimane che si convertano gli aggregamenti di stelle in una celeste e magnifica vegetazione; e cos dai poeti fu domandata; ne io li biasimo;- perocch ad essi appartiene cercare le simiglianze pi appariscenti e gradevoli e per via di tropi arditi e significativi im- primere negli intelletti volgari la cognizione di cose astratte. Certo le costellazioni fondamentano ogni altra sorta di mondi e la vita compare o sopra essi od intorno ad essi. Laonde quelle sono sostegno, difesa e ricettacolo della vita come il fiore e la pianta del seme e del frut- to; e perch in ogni gruppo diverso di stelle immagi- niamo a ragione una forma diversa di ordine e composi- zione mondiale e quindi eziandio d^ organizzazione e di vita, cosi i poeti osano assomigliarli alle specie diverse di piante e di fiori. E che pi? basta alle lor fantasie che un cielo stellato in notte serena e limpida renda qual- che sembianza di campi e pianure dismisurate quando in primavera sono gremite di minutissime erbe e di fiori. Ai poeti s' appartiene di descrivere leggiadramente le nude apparenze, ai filosofi di spiegarle. E i filosofi in questo caso debbon concludere che una vegetazione generale infruttifera, quando pure fosse possibile, non compete alla natura. Quella che noi scorgiamo quag- gi sulla terra  preparazione e sostentamento dell' or- ganismo animale. 135.  Ma per tagliar netto questo nodo e chiu- dere r adito a supposti non ragionevoli, stringiamo il discorso dicendo : o parlasi di vegetazione simile od ana- loga per lo manco a quella che conosciamo, ovvero di COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 297 ultra di costruzione ignotissima ed infigurabile. Se vuoi la prima, io la nego ricisamente salvo che tu non ardissi di paragonare le roccie di granito alle cellule e i filoni di metallo alle fibre legnose; e non so poi dove rinverresti le analogie per le radici e le foglie per la nutrizione e la secrezione, per le semenze e lo sviluppo. Ma se vuoi per lo contrario pensare ad una vegetazione tanto diversa che rimangasi fuori d' ogni nostra esperienza e notizia, io ti risponder in genere che non v'  certo e vero organismo dove non v'  ge- rarchia nessuna di essere e cio non si distinguono le sostanze in inferiori ed in superiori tanto che quelle servano a queste e tutte insieme compongano una tale complessione di corpo da prevalere alle forze ambienti ed esistere con leggi proprie e individuali. Ma nulla di ci non si trova nel mondo meccanico, dove le leggi e le forze operano anzi con estrema conformit e co- munanza, prive di abito ed efficacia individuale e adu- nando e sperdendo i loro aggregati per impulso este- riore e senza nulla che assomigli a sviluppo intrin- seco e a qualche virt unitiva di un cotal tutto e separativa da ogni rimanente. 136.  Questo attribuire al gran complesso dei mon- di creati una organizzazione ed un' anima, provenne del sicuro dal concetto esagerato della unit, secondo che ne abbiamo discorso piii volte. E per fermo, il tutto insieme delle cose non potendo stare senza ordine e connessione compiuta e non parendo ragionevole che dentro all'intero risplenda minore unit e minor per- fezione che nelle parti, ei si dovette pensare che la gran fabbrica dell'universo da ultimo si unificasse in uno 298 LIBRO TERZO. spirito vivente e la materia e i corpi e le forze gli si congiungessero a maniera di organi, per essere in effetto r organizzazione la forma pili eccellente e meglio uni- tiva di un sistema di enti finiti. 137.  Ma costoro non avvisarono che legando un anima al gran corpo organato dei mondi peccavano del sicuro nel poco o nel troppo.  Che non  cosa da pigliarsi a gabbo  la formazione di un' anima cos fatta, e bisogna o com- porne una specie di Dio ovvero un ente difettosissimo e sproporzionato da ogni parte alla sua organizzazione ed incoerente in ogni condizione del proprio essere. N Platone la intese altramente, se pur non volle nel Timeo , sotto la figura di un'anima descrivere la mentalit supre- ,ma, governatrice eterna e immanente della creazione. Certo  che la chiam un Dio beato, stante per la virt propria, nofi bisognoso mai d'altri, unico solo solitario e il quale coiosce ed ama se stesso con su/fi- eienea, Afobismo XV. 138.  Ma lasciando queste opinioni che a noi com- pariscono strane, ricordiamo novamente che nel finito nulla cosa pu cancellare la moltiplicit che gli  es- senziale ; quindi il tutto dell' universo, come altrove si disse, potr riuscire concordante, non uno. E se a tutto lui presiede un sol fine, i mezzi debbono spiegare la infinit del diverso. Per ci medesimo, posto anche un legame ed una cospirazione in tutte le parti del cielo stellato, a noi debbono sovvenire quell'altre regioni  sentirsi avvinghiato e serrato con persistenza e vio- ' lenza, apre la bocca ad esprimer V oracolo e il vati- * cinio che gli si domanda. Potevas egli significare con maggior garbo e insieme con maggior lucidezza Tarte lunga laboriosa paziente e ingegnosa d'interrogar la ' natura e nella congerie de' fenomeni che paiono disciolti ^ e discordi cogliere alcuna legge universale e perpetua ' di certo ordine di fatti? Eppure quel documento di r prisca sapienza non fu praticato a dovere che a far principio dalla scuola di Galileo in gi; e praticato appena, mut la faccia di tutte le scienze sperimen- tali. A chi rimangono ignoti gl'incremenfl prodigiosi delle matematiche e delle fisiche ottenuti in pochissimi anni mediante i metodi nuovi induttivi? Non  per Hamuhi. - II. .91 l 822 LIBEO TERZO. ci da ammirarsi che i dotti e le Accademie non voles- sero udir pi parlare di deduzioni speculative applicate alla cognizione dei fatti, e negassero a dirittura la pos- sibilit di comporre una cosmologia razionale. Ma, d' altro cauto, non v'  sapere sodo senza principj. ne induzione larga e feconda senza virtii di astrazioni e di raziocinio, n frutto generale e scientifico del percepire,  dell' osservare e del cimentare senza menar tutto ci I alla universalit e al nesso discorsivo delle teoriche. ^ 190.  Per tal guisa, ne' nostri giorni la cosmologia razionale  pi che mai divenuta un desidercUo delle menti profonde e niuno ancora pervenne (ch'io sappia) a definirne il giusto carattere, i metodi acconci, i ri- vsultamenti sperabili. Nel cadere del secolo scorso ri- provandosi e deridendosi da ogni parte V ontologia e coltivandosi fra  pensatori pi arditi una specie di culto verso la natura visibile, sorse la fiducia di spie- gare ogni cosa empiricamente e merc delle forze o manifeste od occulte della materia. Per, la cosmolo- gia (se vogliamo cos domandarla) del barone d' Hol- bach consegui fama strepitosa ; la quale oggid sem- bra a tutti pochissimo meritata ed egli ci riesce freddo e ampolloso allato air entusiasmo che or fa due mi- la anni cantava :  ^neadum genitrix, hominum, divumque voluptas, Alma Venus.  I Ma perch ninna forza dell' animo pu ricalcitrare j alle necessit permanenti e agli istinti profondi e noti I cancellabili del pensiere e della ragione, presto gli uomini si persuasero che non ispiegasi nulla col solo accozzamento degli atomi, e bisogn dare alla natura l'intendimento di quel che opera; e si torn quindi al vecchio adagio mens agitai molem. COORDINAZIONE DKI MEZZI NELL'UNIVERSO. 323 191.  Ora cotesta mente che  ella mai? e come costruisce una fabbrica tanto miracolosa? Accadeva, dunque, di sposar novamente alla metafisica e air on- tologi|i la notizia suprema ed universale della natura secondo che fu tentato in qualunque tempo ed in ogni scuola; con, peraltro, questo divario sostanzialissimo che conveniva far caso dei progressi vasti e rapidi di tutte le scienze fisiche; le quali poi quanto pi si di- latano e crescono, pi sembrano disl^arsi e moltipli- care le specie; onde la sintesi loro terminativa e dimostrativa soverchia a gran pezza le forze del- l' umano intelletto. Cosi da una banda le esigenze e tendenze del nostro spirito ci riconducevano alla co- smologia razionale e dall'altra ce ne discostava la quasi impossibilit di metterla in atto. 192.  Ma poco o nulla, invece, se ne sgoment la Germania; e Schelling ed Hegel fra gli altri osa- rono di costruire a priori non che tuttoquanto il creato ma l' autore di lui il quale rinchiusero dentro r opera sua con invisceramento maggiore o minore, secondo portava la lor metafisica, e con sorte inferiore e meno invidiabile, al credere mio, di quella del boz- zolo e d'altre crisalidi le quali sfarfallano alcuna volta e girano liberamente per V aria aperta de' campi; lad- dove il loro Assoluto non  mai tale nel fatto e non  mai compito n libero. 193.  Del resto,  incredibile la disinvoltura, la facilit, r eleganza e la sicurezza con la quale lo Schelling e i suoi passionati discpoli fannosi a costruir la natura idealmente e sillogisticamente e affermano ad ogni tratto la rispondenza perfetta delle legfi^i del pensiero con quelle del mondo visibile e tramutano le une nelle altre e tutte poi le risolvono in certa iden- tit arcana e inescogitabile. Agli occhi loro con*e 3J24 LIBRO TERZO. nn* analogia compitissima tra il peso e la verit e tra la materia e la scienza. Del pari, sono analoghi la bont e la luce, il moto e la religione. Di tal manie- ra, fu introdotta nella metafisica una forma nuoTa di misticismo ; i fenomeni diventarono simboli e una me- tafora abilmente trovata vel con certa leggiadria la ^ignoranza profonda delle vere cause e la impotenza ^inemendabile della mente indovinatrice. / 194.  Non per di meno dalla baldanza inconsi- I derata di quei filosofi usc il vantaggio che venne da capo riconosciuto alla metafisica il debito d' inve- stigare le ragioni supreme dei fatti sperimentali e che non le sia conceduto di starsene sopra ci con le mani a cintola, solo perch la fisica, la chimica e la biolo- gia rifuggono dalla speculativa, o perch l' unit della scienza ogni giorno discostasi di vantaggio e alla no- tizia dei fenomeni non basta oggimai nessuna capacit di memoria e il filo del raziocinio si perde nell' im- menso lor labirinto. 195.  Concedesi volentieri che all' impossibile nes- suno  tenuto. Per il possibile della cosmologia  ancor tanto largo da procacciare non solo onore immortale ai coltivatori pi fortunati ma Ma salvare eziandio la fisica e gli altri studj naturali dalle conseguenze ^maggiormente pregiudiziose del gretto e basso empi- rismo. N perci crediamo che non vi sia altro sen- tiere da battere, eccetto quello segnato dalli Schel- linghiani e da Hegel. Rispetto poi a quest^ ultimo, possiamo passarcene qui con silenzio, considerando che se ne discorre spesso e minutamente nel corso della presente opera. COORDINAZIOKE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 325 Vili. 196.  Dal sommario che abbiam compilato delle sorte diverse di cosmologia succedute in antico e fra noi moderni, risulta, per nostro avyiso, quello che se- gue: Primo; che tal parte nobilissima della metafisica esce dagr ingegni (peculati vi tutta informata per osdi- naro dei sistemi ontologici che V antecedono e a se- conda di questi piglia veste e color diferente. Per, notandosi che in Germania le cosmologie ultime fu- rono derivate dal concetto della identit fra Dio e la creazione e che questa  uno spiegamento ed una ma- nifestazione della sostanza divina, dobbiamo conclu- dere che il teismo difetta ancora della sua propria e conveniente cosmologia. 197.  Secondo; rispetto all'intriseco della tratta- zione doversi persuadere il filosofo che le generalit vuote ed astratte sul fare degli scolastici non soddisfano al d d^oggi neppure a mezzo la curiosit umana che  nudrita  cou abbondanza e meglio assai che in antico dai trova- ' menti cotidiani e stupendi dei fisici e dei matematici. ' 198.  Terzo ; per doversi tener gran conto del pro- gredire sicuro, veloce ed applicativo che conseguiscono tuttod le discipline sperimentali.  dove qualche parte almeno non ne sia spiegata e dimostrata dalia cosmologia, doversi giudicare inutili e quasich pue- rili le sue meoitazioni e i suoi pronunziati. 199.  Quarto; che si pu, cominciando, descrivere i fatti, conforme notammo sull'opera del La Place, e quindi trovar le ragioni assolute ed universali. Ovvero, e ctm- verso stabilire i priucipj e dedurne tali nozioni d' in- tomo ai fatti che il tutto riesca come una larga e bene ordinata ipotesi la quale si avvera con esattezza nella 326 LIBRO TERZO. realit del creato. Questa seconda maniera  pi pro- pria della scienza rigorosa. L'altra  pi modesta e sincera. Ad ogni modo, il metodo della cosmologia ra- zionale dee sempre essere sostanzialmente deduttivo. 200.  Quinto ; che dalle prefate considerazioni di- scende consstere lo sforzo massimo della cosmologia nel rinvenire prove apodittiche non gi delle somme categore e di ci solo che le cose create anno tutte a comune; ma si delle leggi pi sostanziali che reggono l'economia universa del mondo meccanico e chimico e del mondo organizzato e animato. E di quanti pi fatti avviser la ragione vera e propria, di altrettanto diverr fruttuosa e sveglier giusta ammirazione. 201.  Sesto; che oltre alle deduzioni esatte e sicure non crediamo interdetto alla cosmologia metafisica come a nessuno studio speculativo i ragionamenti probabili e le congetture assai verosimili ; con questo, peraltro, che sieno confessate con ischiettezza e le riceva il let- tore ne pi n meno per quel che sono. 202.  Settimo; altre massime direttive cos salde e fondate come fertili e salutevoli provenire dalla ispe- zione stessa della natura e di vantaggio dalla medi- tazione profonda sui caratteri del finito, conforme apparisce nei due Libri gi scritti e seguiter pi che mai a mostrarsi nel sonito. E perci appunto ci  sembrato opportuno contro l'uso corrente accennare il metodo della scienza quando ella comincia con qual- che precisione e nettezza a delinearsi in mente al lettore. 203.  Ottavo; che del danno proveniente dal travi- sare i giusti ed esatti caratteri del finito baster citar per esempio quella persuasione direm naturale appresso molti scrittori di riconoscere nella creazione le forme e le leggi medesime del proprio pensare e del proprio intendere; e segnatamente Tunt rigorosa e certo fondo COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL' UNIVEK80. 327 continuo d' identit e il misurare alla propria stregua la semplicit, la finalit e T ordine intero delle cose. 204.  Nono ; invece il canone giusta il quale dee procedere la nostra investigazione essere questo mai sempre: che la natura non  Tuno, ma  il molteplice e Dio stesso potervi bene introdurre V armonia, non r unit; e che tra le leggi del pensiere e quelle del mondo creato v^  certa rispondenza e certa analogia del sicuro maravigliosa e fedele; ma che, nondimeno, la luce della creazione giungendo alla nostra pupilla mentale ora attraversa parecchj prismi ed ora si ad- densa in parecchj fuochi di lente; il che peraltro mai non accade senza la consapevolezza mediata o imme- diata del nostro animo. 205.  Decimo; nella cosmologia quanto in ogni scienza speculativa le deduzioni e dimostrazioni di- pendere dai principi ; e che questi quando sono pochi ed astratti non bastano, quando molti e specificati o non si connettono o mancano di assoluta certezza. La scienza per al presente non pu se non procedere con riserbo fra tali due opposti ; e radunando copia bastevole di principj procurare di connetterli il pi strettamente che sia fattibile. Undecime ; perci pre- supponemmo noi alla cosmologia nostra i principj infrascritti. In primo luogo ed a comune con gli altri studj speculativi le supreme categorie alle quali ag- giungemmo una chiara teorica dell'atto creativo. In secondo luogo le disposizioni e i caratteri incancellabili del finito ritraendoli dalle dottrine ontologiche pii certe e pi manifeste. In terzo luogo le sue relazioni necessarie e perpetue con V infinito. Di che poi pro- vengono altri principj particolari e fecondi. Perch dai rapporti con la potenza infinita discendono le massima intorno la possibilit. E dai rapporti con la sapienza 328 LIBBO TERZO. deriva la legge di convenienza, scambievole di tutti i possibili. Per ultimo, dai rapporti con la bont in- ci*eata vien fuori la legge di finalit e V altra del pro- gressivo perfezionamento e l'altra che le fa tenore con- tinuo della partecipazione massima del bene assoluto. 206.  Duodecimo; confessarsi da noi schiettamente che i principj surriferiti insegnano molte condizioni e attitudini non pur generali ma particolari della natura e del suo modo di ascndere all'adempimento dei fini. Salvoch vi sono gi introdotte le nozioni pi generali della materia e del moto, oltre a quelle dello spazio e del tempo. E sebbene in questo presente Libro e nei due anteriori abbiamo avvisata una rispondenza perfetta fra essi principj e ' indole propria e gli atti diversi vuoi della forza attrattiva e delle affinit chimiche vuoi della forma peculiare dell' etere e cos discorri per altri particolari, nullameno v' qualcosa in tutto ci di speciale e di originale che i principj astratti non danno, e ci proviene da quella esperienza comune la quale accompagna, pu dirsi, ciascun istante di no- stra vita. Senza dire che la materia in atto e il suo moto e le sue affezioni similmente attuali ci vengono  rivelate dal senso e dalle percezioni facolt differen  tissime e separatissime dagli oggetti ideali. 207.  Ma egli si dee dubitare se con questi sus- sidj medesimi T argomentazione e la deduzione in co- smologia trova modo di assegnare le vere cause e le ragioni assolute a fatti e fenomeni ancor pi speciali, r ovvero le  forza di compiere un tessuto a vergato y attingendo dalF esperienza di mano in mano un certo ^numero di pi-esupposti e derivando ogni rimanente r dalla virt dei principj. Sulla qual cosa proponesi di ^discorrere il Capo che segue. COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 329 CAPO QUINTO. DEI LIMITI DELLA DEDUZIONE IN COSMOLOGIA. I. 208.  Noi siamo tornati delle volte parecchie su questo nostro principio che dalla nozione alla perce- zione ancora che passino molte attinenze, nuUameno guardate nei termini proprj elle non s' immedesimano e non si uniscono, e mal si pretende di farle mescola- ag. 349. Veidtone francese ik\ Pruf. Vera. 336 LIBRO TERZO. IV. 227.  Hegel. N io, dunque, replicher, per farmi incontro sollecitamente al vostro desiderio. L'idea, pertanto, arrivata al termine che io dicevo, guarda fuori di s e fassi esteriore a s medesima ; e tale este- riorit immediata e indeterminata  lo spazio. 228.  Ma il diverso  poi sempre dallato all'iden- tico e la negazione dallato all'affermazione. Per il punto che  un certo limite e un cotale inizio di deter- minazione dee comparir nello spazio.  questo punto medesimo dee diventare anco esso, {Perch ogni cosa principia e diventa; quindi per le massime prestabi- lite, egli negher s stesso e varcher in altro gene- rando la linea, come la linea con processo conforme dee generare la superficie. 229.  Ecco in tal diventare del punto viene ge- nerato altres il tempo, conciossiach questo  uno e identico perfettamente con lo spazio ed il moto. Quel qualche cosa poi che dura e si move  propriamente la materia. Non  egli chiaro, evidente, palpabile? 230.  Angiolo. Oiml filosofo! che se la chia- rezza vostra  si fatta, io sono spacciato, e non inten- der mai buccia della vostra teorica. Di tutto quello che avete esposto io confesso candidamente di aver capito un bel nulla. 231.  Hegel. Non  mia colpa del sicuro; che io parlo netto e preciso; e dopo Aristotele nessuno in ci mi pareggia. Ma quass non intendete per quello che io credo, altro parlar filosofico se non l'usato da san-' t' Agostino e da san Tommaso. Fatemi, per, canoniz- zare da un qualche papa e forse allora mi capirete. 232.  Angiolo. Un po' di pazienza, maestro caro, COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 337 un po' di pazienza! E non vi sarebbe caso d'espri- mere cotesta vostre proposizioni con altre parole, a vedere se mi entrassero meglio? 233.  Hegel. V' ricordato lo spazio, il punto, il moto, il tempo e la materia. Or voi sapete troppo bene quel che significhino tali vocaboli. Atteso che sono concetti annoverati essi pure nella idealit infi- nita di cui godete l' eterna visione. 234.  Angiolo. Cos , filosofo; e il mio danno sta propriamente che voi mi lasciate dentro i concetti, quando io vi prego di cavarmene e condurmi in co- spetto delle realit corporali. Oltrech, badate che quei concetti di materia, di spazio e via prosegui sono ana- loghi e non simili alle cose di cui discorriamo, ten- gono con esse corrispondenza simbolica ma non le ef- figiano e non ne fanno ritratto. Io so, infrattanto, che lo spazio efi^ettivo, il moto e la materia effettivi sono tanto diversi dalla nozione, che perci appunto io essere immateriale non giungo in ninna maniera a capirli. Voi gi cominciaste con la nozione dell'essere inde- terminato e proseguiste via via per tutte le altre ca- tegorie ideali. E sebbene io non abbia notizia del modo come traeste l'una idea dall' altra, nullameno non mi ci perdo e confondo compiutamente dacch rimango pur sempre nella regione dei concetti. Ma voi, venuto ad un certo termine, senza che io scorga il perch n indovini il come, trasmutate la vostra idea in tutto altro essere e le date una natura per me incompren- sibile. Veggo che voi strabuzzate gli occhi in qua e in l come attonito della tardit del mio ingegno. Ma che volete I posso io scambiare le leggi eterne della logica ? Se la vostra idea pur divenendo perfetta e assoluta  sempre idea e nozione, come pu dar na- scimento ad altra cosa che nozione non sia? E quando Mamuni.  n. 33 338 LIBRO TERZO. lo faccia, ognuno io credo s'unir meco a dire che quelle due cose riescono indipendenti affatto e diverse, e r una del sicuro non  ingenerata dall' altra. Qui fra i due termini, adunque, non  veruna necessit, verun trapasso razionale veruna sorta di legame; e lo spazio, il moto, la materia e simili escono fuori dalla idea logica con tanta impertinenza e stranezza, quanto se un cherubino si trasmutasse nel cavai bianco dell' Apo- calisse. 235.  Hegel. Come dite che non v'  trapasso legittimo, mentre lo spazio e indi poi la materia sono la idea esternata?  dunque la stessa cosa e diversa medesimamente. Ma voi sembrate non capire il senso delle parole. 26.  Angiolo. Pu darsi, e per emendarmi ri- peter esatto le vostre frasi. La idea logica, affermate voi, con lo esternarsi produce lo spazio.  dunque la idea logica che esternata si raddoppia; ovvero che fa se oggetto a se stessa. Imperocch in questo sol modo una idea o nozione si esterna. E cos rimaniamo sem- pre nella idealit e non nel concreto corporeo. Che se poi il vocabolo esterno  qui usato non per metafora ma neir accezione sua propria e conveniente alla sola materia, primamente vi dico di non lo intendere; in secondo luogo vi fo avvertire che noi spiegheremmo la cosa con la cosa stessa esplicanda; e il problema si risolverebbe mediante un giuoco di parole. 237.  Hegel. Voi non pigliate la questione pel suo verso; e sembravi aver detto assai provando che la nozione e la natura anno essenza differente. L'abbiano anche opposta; perci proprio 1' una  ingenerata dal- l' altra. Imperocch nel trapasso della idea logica alla natura debbe incontrarsi giustamente una opposizione ed una medesimezza; e questo  sempre e universal- COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 339 mente il processo di tutti gli esseri. Dacch gli oppo- sti si richiamano a vicenda in quel mentre che si di- vidono. Nel processo di cui parliamo conoscete l' oppo- sizione. La medesimezza ben sapete che risiede nella idea la quale tuttoch diventi natura non cessa per di essere idea. 238.  Angiolo. In cotesto modo, non v'  dubio, voi farete nascere il quadrato dal rotondo e ogni cosa verr prodotta da ogni cosa; salvoch, procedendo per simile via, noi ci troveremo molto pi prossimi al Caos di quello che al mondo corporeo. Ma io nego a dirit- tura che gli opposti nascano 1' uno dall' altro, e dico i veri opposti e non gli apparenti. Del sicuro, il male non genera il bene n il brutto il bello n il vizio la virt, e cos seguita. Oltrech, gli opposti da me ricor- dati si pareggiano per lo manco nell' avere a comune Tessere di sostanza. Poich il vizio, pur troppo, e la bruttezza e il male, ancorach mescolati di negazione in sola negazione, non tornano e per isventura parte- cipano della sostanza. Ma la vostra idea logica nep- pur si ragguaglia al mondo corporeo rispetto alla realit; sondo eh' ella principia con 1' essere puro inde- terminato a cui mancano del pari 1' atto e la potenza ; ed  poi manifesto che tale cominciamento primo e assoluto dee serbare l' essenza propria in qualunque sviluppo. Discende da ci che nemmanco  vera quella medesimezza che voi riponete fra la natura e l'idea; non potendo correre nessuna sorta d' identit fra una cosa reale in atto ed una nozione cui la virtualit e r attualit fanno similmente difetto. 239.  Hegel. Io non mi posso pi contenere. E pu far Dio che un angiolo annaspi cos raaladetta- mente? Ma se le nozioni diventano e passano V una neir altra, come dite che non possiedono virtualit al- 340 LIBRO TERZO. cuna? La nozione, sappiate per regola vostra,  attuale e realissima quanto ogni altra sorta di essere; eccet- toch diflferisce dalla realit esteriore o vogliam dire dalla materia con la quale pur nondimeno si sustan- zia ed unifica.  pur tollerato che parlando voi a vo- stra posta usiate la voce nozione al modo volgare. Ma nella mia logica V accezione sua diventa particolaris- sima e vuol significare, invece, la potenza libera e so- stanziale, queir assoluta virtualit esistente per s e dentro cui  come ripiegato ed epilogato l' intero uni- verso. 240.  Angiolo. Chieggovi scusa di cuore e m' av- veggo che ancora non vi siete avvezzo alla nostra fran- chezza paradisiaca. Ma io non potrei per nulla dissi- mulare quello che penso. 241.  Io stimava d'intendervi bene, mantenendo nel principiato la essenza medesima del principio. Che se questo  V essere puro e tanto indeterminato da fare equazione col nulla, come poteva io figurare che in- vece egli sia una potenza infinita da cui verr fuori di mano in mano ogni cosa? Del resto, io sono ormai chiaro eh' io non perverr ad intendere quello che sono la natura ed i corpi. E mi rincresce di ripetervi che per le vostre parole io non veggo spuntare da nessun lato quel mondo materiale di cui fo dimando da lungo tempo; e quando anche mi sforzi di menar buono a me stesso queir esternarsi della nozione e quel diven- tare lo spazio effettivo, non per ci mi si fa intelligi- bile il rimanente. Nel vero, se io debbo aspettare che il mondo della natura esca, nel modo che a voi piace, dal movimento del punto io non ne verr mai a capo. Conosco lo spazio intellettuale e tutte le sue determi- nazioni. Perci conosco eziandio che il punto  mera astrazione e concetto; e quindi il suo moto  altret- COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 341 tanto astratto e ideale. E davvero davvero, vorrei ve- derlo, 0 filosofo, cotesto punto nel moto suo e dico moto effettivo, non mentale e speculativo. Ma v'  di pi ; cb pur concedendo a V astrazione che chiamasi punto la facolt del moto, il meschinello non potr valersene tanto ne quanto. Perch ad ogni facolt  necessario si aggiunga una acconcia determinazione. In fatto, per dove si addirizzer quel moto, domando io? in gi od in suV a destra od a manca? sar lento 0 veloce, ritardato od accelerato? Il punto, a rispetto di ci,  come il centro d^ un circolo; e quanti sono i raggi, altrettante direzioni di moto pu prendere. Il perch, mancandogli dal di fuori la cagione determi- nante, forza  che rimanga in quiete per sempre. 242.  Volea l'Angiolo proseguire a discorrere delle sue dubbiezze intorno al tempo ed alla materia, con- forme sono originati dall' Hegel, ma questo di carat- tere un poco albagioso e stizzoso rompendogli a mezzo le fine argomentazioni gli si tolse davanti e se ne and borbottando fra s e s contro la sua fortunaccia che in terra un solo de' suoi discepoli 1' avea bene inteso e talvolta neni manco lui ; ed ora dovea riconoscere che neppure gli angioli lo capivano. 243.  Provengono da questo dialogo, per mio giu- dido, due massime tanto vere quanto profittevoli assai per la scienza speculativa e per li suoi metodi. L'una insegna di nuovo come sia impossibile trapassare dalla nozione alla realit effettiva della natura per un le- game d' identit fra i due termini e presumendo di trasformare 1' uno nell' altro. 244.  La seconda massima insegna che nella co- 342 LIBRO TERZO. smologia razionale non  dato all'ingegno umano di trapassare i limiti descritti pi sopra da noi; e che dove gi non fossero radunati dentro la nostra mente i concetti di spazio, di moto, di materia, di corpo e simili, giammai il pensiere li troverebbe, come suol dirsi, a priori, cavandoli dalle categorie universali del- l' essere ; n volendo imitare 1' Hegel il quale dopo avere per traforo introdotto nella sua logica l' espres- sioni metaforiche d'interno e d'esterno e l'altre di re- sistenza, di centro, di parti, d'aggregato e simiglianti, prova poi leggier fatica a dedurre dalla nozione del- l' obbietto in universale la nozione tanto divei*sa del mondo materiale e meccanico.* E con tutto questo, le spiegazioni e ragioni addotto dei fenomeni e dei muta- menti calzano cos poco e legansi con nodi tanto ri- lasciati, da dovere per nostro avviso destar pi che spesso la ilarit dei fisici e dei matematici. 245.  A detta dell' Hegel le stelle non sono altro che la materia nella identit sua immediata e nel suo alienarsi continuo da s medesima. In tutto il firma- mento il solo nostro sistema planetario attua in pieno la nozione del mondo meccanico ponendovi un centro assoluto che  il Sole, il quale nega s stesso e per genera altri centri particolari che sono i pianeti. Ol- tre ci, il Sole esprime la indipendenza della materia ; i pianeti, il mischiamento d'indipendenza e di sugge- zione, perch possedendo un centro proprio, tuttavolta ne cercano un altro al di fuori a cui perci si acco- stano a vicenda e se ne allontanano. Invece, i satelliti esprimono il momento della esteriorit, e non avendo centro proprio e cercandolo altrove esprimono altres il momento della dipendenza ; ancora che tale esterio- * Logique, voi. Il, png. 890 e sogiionli. COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 343 rit e dipendenza 8a melto meglio significata dalle comete, le quali non girano sopra s stesse come fanno i pianeti. Il sistema solare poi tutto insieme attua compiutamente, come si disse, la nozione della mecca- nica, atteso che quivi ogni parte  attratta ed attrae respinge ed  respinta,  centro ed  fuori del centro e compone un tutto in cui la materia perviene ad uni- ficare lo in s e lo per s, 246.  S'io voglio parlare con ischiettezza, ogni con- cetto qui mi riesce non pure strano ma discorde dnl fatto.  prima, se v' cosa ormai accertata in fisica si  che le stelle ed ogni materia siderea viene gover- nata dalla legge dell' attrazione n pi n meno di quello che faccia il nostro sistema solare. Senza che, si notano colass movimenti proprj molto diversi, cam- biamenti di colore, scuramenti subitanei, apparizioni di nuove stelle; il che dimostra da per tutto non la identit e certa ripulsione uniforme, sibbene la diffe- renza, la composizione e l' attivit. Lass sono sistemi compiuti di stelle moven tisi 1' una a rispetto dell'altra con quella legge proporzionale di massa e con quel medesimo impulso centripeto e centrifugo del nostro sistema planetario. Oggid si annoverano circa seimila coppie di astri solari e per ciascuna prende nome di stella doppia; e v' pure gruppi di tre, quattro, cinque, sei stelle aggirantisi al modo de' nostri pianeti. Ma come si disse, il maggior numero degli aggregati risulta di due sole stelle e non troppo diverse per massa; onde pesano 1' una inverso dell'altra con equi- librio di gravit e girano bilanciate con movimento circolare scambievole. 247.  In tutto questo, per mio avviso, la nozione hegeliana della meccanica perde la bussola e d a tra- verso. Fra le stelle doppie non v'  pi un corpo cen- 344 LIBRO TERZO. trale ed universale ma due corpi e talvolta parecchi che sono in se ed in altro, dipendenti e indipendenti al tempo medesimo e con eguale misura. 248.  In secondo luogo, se il centro, giusta la no- zione hegeliana, dee respingere se stesso e creare con ci altri centri che sono i pianeti,^ questi per una simile ragione debbono, respingendo s stessi, creare i satelliti. Perch, dunque, i satelliti rappresentano un altro momento della nozione, quello cio della este- riorit e della dipendenza? Per fermo, nei satelliti  il rapporto medesimo coi pianeti che in questi col Sole, e vale a dire che ciascheduno possiede un suo proprio centro, possiede il moto rotatorio (che nella luna  di- mostrato) e il moto di traslazione. Vero  nondimeno, che se nei satelliti si ripete tal quale il momento della nozione attuato nei pianeti, non v' motivo perch quelli non producano a s medesimi altri satelliti e questi altri a vicenda e cos senza termine. D'altra parte, se i satelliti rappresentano un momento spe- ciale e distinto della nozione, perch Mercurio, Marte e Venere ne vanno sprovvisti, e Saturno in quel cam- bio s'incorona di otto lune e di tre anelli? Del pari, si  qualche arbitrio di chiedere perch il Sole e tutti quanti i pianeti e pure tutti i satelliti, eccetto due, girano in un medesimo verso da occidente ad oriente e poco declinano dal piaiao dell' equatore, mentre le comete (salvo quelle comprese nelle orbite planetarie) tagliano il detto piano con angoli piii o meno ottusi ; e mentre per esser corpi che esprimono il momento della dipendenza dovrebbero per lo contrario secon- dare il piano ed il verso del corpo dal quale di- pendono. ' Philotoph. de la tiature, voi. I, pag. S72. COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 345 249.  Per nostro giudicio, non sono queste do- mande troppo indiscrete, addirizzandole a gente la quale  scoperto la scienza assoluta e fanno del nostro si- stema solare il centro vero ed unico dell'attivit e della vita. Similmente, se debbe esservi un centro che attira e respinge perch afferma e nega se stesso e operando ci fa esistere altri centri i quali respingono insieme ed attraggono, il numero e la condizione di cotesti centri non dee rimanersi fortuita. Ma la teorica dell'Hegel se ne passa con silenzio. 250.  Di pi, in essa teorica il Sole  detto centro assoluto ed universale. Per, sarebbe rovesciata ogni cosa, quando si provasse che invece il Sole  centro relativo e particolare, movendosi, come sembra certo, con l'intero sistema verso un centro maggiore locato nella costellazione di Ercole. Ma pi ancora. Provano i matematici che quando la materia del Sole fosse tutta quanta omogenea e per il moto impulsivo var- casse netto pel centro di gravit, il sole medesimo si traslaterebbe d' un luogo in un altro senza rota- zione veruna; e la stessa cosa conviene asserire d'ogni pianeta e d' ogni satellite. Ma l' Hegel di questa ragion matematica non fa nessuna stima, e mette innanzi una certa sua ragione metafisica per la quale il Sole e i pianeti debbono a forza ed in ogni caso girare sopra s stessi ; ed anzi con uguale imperturbabilit (sia qui ricordato per incidente) nega egli ai geometri che un pendulo dove fosse posto nel vuoto e non sostenesse at- trito nel punto d' appoggio durerebbe le oscillazioni sue continue ed invariabili. La ragione poi metafisica del- l'Hegel  r infrascritta, e cio che i punti innumerevoli di materia dipendenti dal centro e pur tenuti lontani da quello non anno luogo ben fisso e determinato; e per ciascuno di tali punti debbe occupare a vicenda ogni 446 LIBRO TERZO. luogo occupabile e ci origina il moto di rotazione. Ma tutto questo, n pi ne meno, si avvera altres nel nucleo delle comete, perch quivi anche sono punti di materia dipendenti che propendono verso il centro e sono dal centro tenuti discosto; ora, perch le comete non ruotano, che si sappia, intorno a s stesse? Che quando poi le comete avessero rotazione, ci scapite- rebbe Hegel per altro lato ; conciossiach le comete in quel caso non esprimerebbono pi il momento della dipendenza, com' egli vuole onninamente che esprimano. 251.  In somma, le sue astrazioni, per arrendevoli che sieno e larghe tanto e comode da calzar bene ad ogni piede, venute alla prova dei fatti non possono mai azzeccar nel vero, e quando s'accordano con un fenomeno, fanno a pugni con un altro. 252.  Da ultimo, sembra all'Hegel che i pianeti sieno il pi perfetto membro di tutta la natura mec- canica formando 1' unit dell' opposizione, e vale a dire che i pianeti sono in s e fuori di s, anno moto e centro lor proprio, ed anno altro movimento regolare intorno ad altro centro. Cotesta perfezione, al parer nostro,  tirata coi denti e ribellasi ai dogmi della logica di quel filosofo, conforme i quali la perfezione di qualsia sfera di enti mai non risiede per entro al particolare che qui si attua nei pianeti, ma s risiede entro al tutto individuato che qui sarebbe l'intero sistema solare. Salvoch, la incoerenza non era evita- bile volendo che le stelle e ogni rimanente sia fatto solo per annidare la organizzazione e la vita in quest' ajola che domandasi orbe terraqueo ed  tanto picciola cosa, che convenne al Poeta nostro sorridere del suo vii sembiante. COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 347 Vili. 253.  Si pu dai lettori intendere facilmente che le deduzioni e g' indovinamenti dell' Hegel fannosi tanto meno rigorosi e determinati, quanto egli s'inol- tra a creare a priori le specialit della fisica e della chimica. Stantech, le cagioni molto particolari intro- ducendo il diverso in mezzo all' identico scemano ognora pi al raziocinio la facolt di trovare i nessi necessarj dei fatti. 254.  La luce  delle cose molto generali e co- muni e pur tuttavia le astrattezze hegeliane non giun- gono ad accalappiarla. La luce per quel filosofo  la manifestazione universale della materia e alla materia appartiene cos essenzialmente come la gravitazione. Ma che vuol dire manifestarsi ? farehbesi forse anche qui abuso di parlar figurato? Se manifestarsi vuol dire qtmlcosa che va dal di dentro al di fuori^^ non v'  mestieri la luce per questo. Perocch il moto de' corpi e le lor mutazioni e fenomeni sono tutte cose che vanno dal di dentro al di fuori e manifestano la materia. E le figure non la manifestano esse continuamente e in modo regolare e costante? Dacch ogni specie diversa di corpo sortiva originalmente una figura diversa di cristallo? Certo la luce manifesta assai meglio i corpi e le loro figure, perch vi sono occhi umani che la rice- vono ed anime umane che la percepiscono. Ma tutto ci non proviene dalla necessit delle cose di mani- festarsi, spiegando cio al di fuori le facolt e dispo- sizioni interne. Qualora poi la luce sia manifestazione delle cose in fra loro e 1' una a rispetto dell' altra, f Philoioph. de la Naturej voi. I, pag. 339. 348 LIBRO TERZO. ci pu essere fatto assai bene da qualunque modo di azione scambievole, e, verbigrazia, dall'attrazione che  quel moto, secondo Hegel, per cui la materia cerca incessantemente il suo centro fuori di s. 255.  La luce, adunque, nel sistema di lui non  origine necessaria n legame alcuno ontologico. Hegel la mette pur fuori, perch in ogni dove V esperienza gli mostra la luce. 256.  Vero  eh' egli sostiene la luce tenere V uh timo luogo tra le determinazioni fisiche della materia ; onde i corpi non concreti, e vale a dire nel suo lin- guaggio semplici e incapaci di sviluppo, sono costituiti di mera luce e fra questi sono le stelle ed il Sole. Egli  scordato il valentuomo che per verit la luce insieme col calore  cagione promotrice, e almeno concomitante, di tutte le mutazioni e disposizioni importanti nella chimica e neir organismo die veggonsi sulla faccia del nostro globo; e dire che le steDe e il Sole sono costi- tuiti di mera luce dee far sorridere tutti gli astrono- mi sparsi per le speculo d' Europa e d' America. L'Hegel aggiunge che la luce per s  fredda e il calore che r accompagna viene suscitato dal contatto di essa luce con la terra e cita in prova il freddo dell' alte mon- tagne e dell'aria atmosferica. Curiosa dottrina anche questa, la quale sembra testimoniare che 1' Hegel non ponesse la debita distinzione fra il calor latente e il rag- giante; n so in qual parte dell' atmosfera e in qual cima di montagna accadessegli di trovare che il Sole non iscalda. Ma certo  che quanto la fisica progredisce, tanto si fa pi difficile di separare luce e calorico per maniera che luce si trovi la quale non dia segno d'alcun calore. 257. L'Hegel afferma eziandio che ruotando il Sole e ruotando le stelle si stropicciano gagliardamente COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 349 6 s' illuminano da se stessi.^ In qual maniera il Sole o le stelle si stropiccino lascer indovinare agli altri, ch'io per me non ne  notizia. Questo io so, che ac- cettando simil dottrina convien mantenere che dove il Sole e le stelle non ruotassero e non si stropic- ciassero insieme non darebbero luce; e intanto le comete, bench non ruotano, a ci che sembra, man- dano luce propria mista di luce riflessa; e per contra i pianeti e i satelliti loro, non ostante che ruotino, per- mangono sempre opachi. 258.  Da ultimo, se tu chiedi il perch di questa opacit perdurevole, mentre il dar luce fu detto pro- prio ed essenziale d'ogni materia quanto la pesantez- za, rispondono col cercare nell'arsenale delle loro astra- zioni uno di quegli ordigni che servono ad usi infiniti e sar il bisogno del diverso e dell' opposto. Se v'  la luce, dicono, debbe esservi anche l' ombra che  la sua negazione e contraddizione; e perch i pianeti sono gli opponenti del Sole, l' ombra dee comparir nei pia- neti. Ci potrebbe passare, se i fatti qui pure non fos- sero impertinenti al segno da dare una smentita inur- bana a simil supposto. Nel vero, i sistemi di stelle doppie ricusano la spiegazione, perch quivi pure v' opposizio- ne e tuttavolta v' luce. Ma di pi, le stelle, a detta di Hegel, sono una continua opposizione della materia con s medesima; perch dunque risplendono? E d'altra parte, se i pianeti sono opachi perch si oppon- gono al Sole, questo a vicenda si oppone ai pianeti ; e se, rispetto ai pianeti, il Sole  virt e funzione di centro, accade il medesimo di ciascun pianeta rispetto ai proprj satelliti ; questi dunque dovrebbero essere opachi e luminosi i pianeti, o per lo manco dovrebbe  Pkito^ph, de tu Nature, voi. I, pag. 353. 350 LIBRO TERZO. correre diversit di ombra e di luce fra cotesti ele- menti. 259.  A noi non sarebbe diflficile il protrarre molto pi in lungo il saggio che diamo della maniera onde r Hegel si studia di costruire compiutamente a priori la scienza dell' universo visibile; e il lettore gi s'in- dovina da per s che ogni rimanente dee procedere allo stesso modo e peggio; perocch quando si esce dai limiti stati prescritti all' ingegno umano e alla po- tenza conoscitiva, quanto pi vigor d' intelletto e d'arte combinatoria sort un uomo, altrettanto crescer il cu- mulo delle apparenti deduzioni e dimostrazioni. Sal- voch, quando la mente vuol calcare una simile via torna forse pi fruttuoso o per lo manco pi grade- vole abbandonarsi a certa mistica ispirazione come fecero Paracelso, Van Helmont, Boeme ed altri parec- chi, de' quali, per verit, l' Hegel parla con rispetto e parzialit e coglie e s' appropria qualche pensiero. Ma dove quelli fantasticavano da entusiasti, egli pretende di esporre una dottrina tanto positiva ed irrefragabile, che  quella medesima che sta nel pensiero dell'Asso- luto. Senza dire che ancora tali apparenze di deduzione sono state possibili per la notizia anteriore di tutti i fe- nomeni correlativi. N v' un sol fatto speciale impor- tante che sia riuscito all' Hefl;el di prevedere, anticipando le osservazioni e gli esperimenti. E certo, per ritornare agli esempj allegati, credo che ognuno si viva persuaso che quando nella mente dell'Hegel fosse unicamente esistita la nozione dell'interno e dell'esterno e l'altra di giudicare necessaria la manifestazione dell' essere e della materia, mai non avrebbe scoperto che tale mani- festazione dovea farsi mediante la luce. Ma sarebbe come il cicco di nascita venuto pensando alle figure tan- gibili ed anche a queste avrebbe volta la mente condot- COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 351 tovi dall' esperienza. E di vero, nella luce la condizione di essere cosa esteriore  la meno propria e qualitativa ch'ella s'abbia; e ci che possiede di eflfettualmente pe- culiare e diverso da tutte mai le esistenze non giace in nessuna nozione e da nessuna pu esser dedotto. 260.  Seguita, che noi ricordando i limiti della cosmologia razionale e le massime del suo metodo, e deducendo dai principj gi fermi e definiti in questo Libro e nei due precedenti descriviamo la genesi del mondo visibile per quella parte che spetta alla coor- dinazione dei mezzi e al grande apparecchio della na- tura verso la vita, il senso, l'animalit e la ragione che sono diversi gradi e aspetti della finalit. 261.  Imperocch tutto quello che fu discusso nei due Libri anteriori e in questo presente guard gli elementi le forze e 1' ordine dell' universo nell' essere loro astratto e pifi generale. Rimane che si considerino nella successione causale e nelle massime particolarit. CAPO SESTO. AFORCSHI GENETICL Atorismo I. 262.  Nel principio d'ogni tempo flu dall'atto  creativo l' oceaju) delle esistenze finite. Cominci quasi un pi^to non percettibile e si dilat e crebbe senza Ax pi mi intermettere ; e dopo milioni di secoli tuttavia ^ si dilata. Perocch lo spazio va allargandosi quanto il suo contenuto^ e di l dall'ultimo luogo che ora Vedi Appendice, I. 352 LIBRO TERZO. possiedono i corpi siderei nuova materia comparisce e nuovi aggregati si formano e cos sempre. 263.  N accade altramente di quelle sorte di gran contenenti dallo spazio differentissimi e di cui non ab- biamo n certa notizia n concetto determinato, ma che pur pensiamo possibili per adequare le nostre idee all'indefinito del diverso. 264.  Flu ogni ragione d' elementi semplici e indivisibili e ciascuno moltiplic senza termine e i pi diflferenti si espansero come oceano in altro oceano senza confondersi e come un suono e un odore riem- piono la medesima aria d' un medesimo luogo. Ma noi di quei mari immensi, che sono forse innumerevoli, co- nosciamo solo due specie distinte, la corporalit e la spiritualit; e di questa seconda conoscian^o per espe- rienza quella forma unicamente che congiungesi alla corporalit. A. 265.  Che il mondo non sia infinito, oltre all'aver- sene prova razionale  confermato pure dall'esperienza, per quanto i fatti possono dimostrare simile sorta di cose. r Quando la formazione e moltiplicazione delle stelle fosse infinita, dovrebbe il telescopio trovar dilBFusa da per tutto certa bianchezza e chiarezza uguale uscente da infinito numero d'astri infinitamente accumulati per ogni banda. Invece, il telescopio rincontra qua e l re- gioni vuote e deserte ed altre in quel cambio fittissime di costellazioni. Del pari, se in alcune parti del cielo avvi ammassi di stelle il cui fondo  occupato da un chiaror nebuloso di altre pi minute e remotissime co- stellazioni, pi spesso accade d'incontrare gruppi di stelle il cui campo  oscuro affatto e nerissimo. COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 353 Afortsmo II. 266.  Meditando sulla essenza del fine quanto sulla essenza del mezzo, fu gi fermato da noi che quello risolvesi in attivit e questo debbe o promoverla od aiutarla o comechessia servirla. Da ci fa dedotto che debbe avervi una serie di esistenze dall'uno dei capi della quale stia la massima attivit potenziale ed ele- mentare e dall' altro la massima passivit ; intercedendo nel mezzo copia strabocchevole di esseri variamente partecipi dell' attivit e della passivit. Riducesi pure a questo ci che venne fermato da noi circa la resi- stenza e la permanenza di fronte alla estrema mobi- lit e trasmutazione. 267.  La passivit, la resistenza e la immobilit pensate nell' essere loro inferiore ed inerte, fanno con- "cepire propriamente certa natura somiglievole alla ma- teria le cui qualit generali sono quel tanto che si fa necessario onde un ente finito sussista e serva di mezzo a cosa migliore. Che quando non tosse esteso, non ap- parterrebbe allo spazio e non avrebbe potenza di moto ; e perderebbe estensione e mobilit quando non fosse impenetrabile. Del pari, negherebbesi a qualunque ufii- cio se fosse al tutto immodificabile e sfornito d' ogni recettivit. 268.  D'altra parte, se noi concepiamo degli esseri spirituali ed attivi e per capaci della finalit e per- venenti a quella mediante la corporalit, dovremo con- siderare in che guisa la corporalit dee venir trasmu- tata in natura organica ossia nella forma pi alta e perfetta di essere strumentale; ed  il punto massimo a cui pu venire condotta qualunque esistenza nella sua condizione di mezzo. Mamuri.  11. 33 354 LIBKO TERZO. 269.  A noi, dunque, s' appartiene di descrivere la generazione dei mondi in quanto a poco per volta di- vennero mezzo e strumento dell'universa finalit e come servirono a tale ufficio la mobilit e la perma- nenza, r attivo e il passivo, il diverso e V identico e attuando in ogni cosa l'infinito della possibilit e la sapienza riposta nel Convenevole. Afobismo III. 270.  Ripetiamo, impertanto, che al principiare dei tempi sgorg il flusso della materia e per legge preordinata di creaziojie mescol in ogni modo fatti- bile il simigliante e il diverso. 271.  Fu generale il simigliante, particolare il di- verso; perch i modi, gli atti e i fenomeni s'informano della sostanza e non al contrario. Quindi non possono i subbietti essenzialmente diversi possedere modi, atti e fenomeni in fra loro identici, se non in parte e per accidente. Imper la materia ebbe tutta quanta certo essere comune e fondamentale, differenziandosi all'in- finito in ogni rimanente. N solo fu varia di qualit ma di forma plastica, n solo di forma plastica ma di numero, posizione e combinazione degli ultimi indi- visibili, perch ninna maniera di variet e differenza  lasciata fuori dalla natura. 272.  Primamente gli atomi, ovvero sia gli ultimi indivisibili, formarono le molecole, queste i cristalli pi elementari che sono molecole approssimate e situate con certa regola ; perch fu visto per addietro da noi principio di mutazione nella materia dover essere il moto, e questo dovendo avere impulso esteriore e certa direzione produce in generale 1' accostamento delle parti della materia; il quale atto poi dee succedere COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 355 secondo legge e vale a dire secondo le originali dispo- sizioni d'ogni specie di materia. Per la forza attrattiva medesima i cristalli elementari composero i corpi e questi le masse. Ci importa che la distribuzione primitiva della materia nel vuoto fosse divei*sa. Che quando fosse stata uniforme, il tutto rimaneva nella immobilit del- l' universale equilibrio. Del pari, dovette la materia essere spartita di guisa da produrre masse divise; pe- rocch altramente tutto sarebbesi conglobato in un acervo immenso e compatto. 273.  Ma la materia spartita corse qua e l ai centri pi prossimi; e questi dovettero rimanere il pi delle volte assai remoti V uno dall' altro. Che qualora fossero stati s prossimi da operare 1' uno neir altro con atto profondo ed assiduo, i moti, g' in- flussi e g' ingerimenti scambievoli sarebbersi tanto moltiplicati e intralciati, da produrre per ogni dove od una confusione perpetua ovvero una cessazione del movimento e della vita. Aforismo IV. 274.  Per, nella distribuzione della materia come in tutte le cose, il diverso apparve nella misura del possibile. In alcune parti dello spazio la materia fu radissima, e questa radezza medesima ebbe ogni grado e combinazione. Di tal materia si composero le comete dalle pi rarefatte alle meno e dalle vaporose e dia- fane alle costruite d' un nocciolo spesso e ben contor- nato. A. 275.  Per la legge della variet non  da stimare che ogni specie di nebbia lucente incontrata dal tele- 356 LIBRO TERZO. scopo debba risolversi in gruppi di stelle ; e forse  rada materia stellare quella nebbia albeggiante che scorgesi in fondo alle nuvole magellaniche ; e della sorta medesima  forse la luce domandata zodiacale. N consentirei a crederla, come vogliono alcuni, certa quantit di etere pi condensato. L' etere, per mio gi- dicio, nella sua distesa immensa e per tutto presente ed equilibrata non d splendore molto n poco ; e sem- pre gli bisogna un subbietto esteriore da cui sieno promossi e in cui appariscano i suoi moti e le sue qualit. AroBisMo V. 276.  Altrove, per la stessa legge del diverso, la materia contrasse la maggior compattezza possibile e trascorse per ogni grado e combinazione intermedia. Nel generale, furono di tal compattezza formate le stelle con densit differente; e di talune si pu pen- sare che gi superarono di durezza il diamante, altre di gravezza il platino ed il ferro e in altre si adem- pievano tutte le misure interposte. Ondech, se in que- gli astri accadde una successiva condensazione come porta l'attrazione molecolare, quivi la compattezza dei corpi trascende ogni termine di nostra immagi- nativa. 277.  In certi luoghi la materia stessa compatta ma tritamente divisa agglomerossi in centri frequenti e vicini, e lo spazio si grem di astri minuti e fitti li quali compongono le nebulose domandate riducibili. Del sicuro, accadde in altri luoghi il contrario e ne uscirono sistemi di poche stelle e talvolta di due sol- tanto. 278.  E se nei sistemi fu diversa la chiarit, il nu- COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 357 mero e la distanza delle stelle non accadde minor diffe- renza nella grandezza di ciascuna, e certo la natura compiacquesi ancora in ci di trapassare dal minimo al massimo. Onde gli astronomi non possono in niuna guisa valutare con precisione il volume dalla distanza e la distanza dal volume o V uno e V altra dalla in- tensione della luce, perch questa medesima segue la legge perjictua della variet. 279.  Per quel desiderio e bisogno che predomina sempre la mente umana di cogliere V unit delle cause e l'uniformit del loro operare, Herchell venne opi- nando che s ogni stella e s ogni congerie di stelle fosse originata e composta al modo medesimo e vale a dire per la lenta condensazione d' una materia radissima ed omogenea, con questo divario che dove erano molti raduni separati di tale materia l comparvero molti astri componenti le costellazioni; e talvolta anche in grembo della materia rarefatta costituironsi uno o pi centri sia per materia pi spessa ovvero per altra cagione. Insomma, suppose THerchell ogni stella essere stata innanzi una nebulosa; e il La Place aggiunse tale essere stata eziandio T origine del nostro Sole e de' nostri pianeti e satelliti. Ma la natura, che vuole il diverso quanto l' identico e pi dell' Uno vuole il molteplice, mostr all'Herchell medesimo che le credute nebulose tornano in vere costellazioni. Tuttavolta pec- cherebbe contro al principio stesso della variet colui che escludesse affatto le nebulose dal cielo, come fu toccato pi sopra, e stimasse che niuna stella e niun gruppo di stelle esca giammai dalla graduata e lenta condensazione di materia rara e omogenea. 358 LIBRO TERZO. 280.  Similmente s' egli non  vero che osservando i noccioli delle nebulose e il pi o meno infittire della loro materia, si cavi pressoch la misura esatta del punto a cui  pervenuta la loro formazione e composizione, tuttavolta non ci  vietato di cogliere la natura in sul fatto del costruire i sistemi solari. Dappoich nella immensit dello spazio visitato dalle nostre lenti v' certo alcune costellazioni ancora incompiute; e fra que- ste, alcune prossime al perfezionamento loro finale, altre appena iniziate ed altre pervenute al mezzo della pro- pria costituzione. Afoeismo vi. 281.  Ma non bastava che la materia cosmica gia- cesse spartita od accumulata per guisa da produiTe sistemi stellari isolati e per la distanza indipendenti r uno dair altro. Occorreva eziandio che le acervazioni degli astri non fossero casuali n dentro dell'ambito loro n fuori ; dappoich dentro, il numero, la posizione e la figura del tutto importava tale condizione d'in- flussi scambievoli, piuttosto che tale altra. Di fuori, il principio ordinatore voleva che que' sistemi, tuttoch indipendenti, non rimanessero tanto slegati ed alieni che in verun tempo e in veruna combinazione e per nessun efiFetto della economia generale potessero eser- citare alcun' azione scambievole. Che tali due estremi vuol sempre fuggire la mente rettrice, 1' uno di con- fonder le cose per l' intralciamento minuto e continuo di tutte le forze; l'altro di fare le parti dell'universo straniere fra loro tanto che non cospirino piii diret- COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 369 tamente o meno alla comune finalit. Il che nondimeno diciamo a rispetto delle esistenze comprese in quei mondi che non s' alienano affatto di essenza e di modi e possono avere Tuno in rsguardo dell'altro alcuna attinenza di azione e passione. Dell' altre sfere di es* sere tanto diverso da rimanere fra loro ignotissime e come non esistenti noi dovemmo fermare la sola pos- sibilit e aggiungemmo che solo Dio le contiene in certa unit e intende la .cooperazione di tutte allo spiega- mento e perfezionamento del creato. L' unit sotto la quale noi g' intendiamo  logica meramente e no:i guari obbiettiva. 282-   manifesto che nella composizione e figura- zione degli adunamenti stellari apparve la medesima va- riet che in qualunque opera della natura. E tale variet corrispose nel tempo stesso ai fini che presiedettero alla distribuzione dei vasti membri (cosi li domande- remo) del gran mondo sidereo, fra' quali la Galassia  notissima e spiccatissima. Il fine principale poi fu di render possibile ad ogni sistema la partecipazione del diverso, come venne toccato nel principio di questo libro e pi tardi sar nuovamente spiegato. La quale partecipazione tende nell' universo sidereo al risulta- mento medesimo che in ogni altra sfera di essere, e cio al fine di svolgere la virtualit tutta quanta ri- posta in ogni sistema, tanto che gli apparecchi e le potest del mondo strumentale tocchino il loro estre- mo ; e le creature capaci in diretto modo della finalit raggiungano per tutto ci il maggior bene progressivo e la variet maggiore di esso bene. 283.  N simili effetti potevano comparire pel solo moto e per le sole combinazioni che escono dall' at- trazione delle masse e coesione dei corpi. Considerato che non torna a ci sufficinte qualunque forma e mo- 360 LIBRO TERZO. r dificazione del movimento circolare od elittico. Le altre sorte di movimento, vuoi il parabolico, vuoi l' iperbo- lico e i composti di essi due, sebbene valgano a porre in comunicazione i sistemi separati, non riescono per s soli a foggiare le moltiibrmi costrutture e le membra smisurate e complesse del mondo sidereo. Elle, dun- que, furono l'opera d'una prestabilita armonia, e ci importa che la materia stellare venne ripartita origi- naliQente e qua e l condensata cpn V apparenza del caso e la verit d' una legge occulta e profonda di provvidenza. 284-  Altrove fu dimostrato perch quegli aduna- menti di stelle cui demmo nome di membra d' un corpo immenso non vogliono essere riguardate quali parti vere d' una vivente organizzazione, contro V uso invalso in molte cosmologie tedesche. 285.  Nondimeno, essendo per sicuro le costella- zioni ricettacolo della vita, debbesi ammirare V istinto profondo del genere umano di aver dato alle stelle figure viventi e sempre avere opinato che dagli astri procedessero influenze prepotenti ed universali. Noi ve- dremo fra breve che in fatto nessun sistema solare va esente da quelle influenze e come in esse convien no- tare la causa maggiore delle innovazioni e trasmuta- aoni mondiali: Afobismo Vn. 286.  Similmente abbiamo veduto nell' anterior libro che le masse esprimono il principio di resistenza e immobilit e per lo contrario nel mondo chimico COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 361 sono i principj attivi e mutabili. Nondimeno, si ag- giunse che per le necessit del Unito anche nel mondo chimico, dopo certa serie di azioni e di reazioni, le so- stanze e i composti tendono a quietare ed equilibrarsi. Imperocch il principio attivo non  loro essenziale per guisa da non bisognare dell' azione esteriore pro- vocatrice e questa di un'altra, e cos di seguito. E per- ch tale catena non s' interrompa e le provocazioni si ripetano e si modifichino senza tregua, occorre un principio generale e perenne di eccitazione. 287.  Del pari, essendo in ogni parte della mate- ria la potenza attrattiva e V attitudine alla coesione perch il finito procura primamente di dilatarsi me- diante la congiunzione dei simili, accade che i corpi tendono da ogni lato a coacervarsi e quindi a cagione dell' inerzia spengono nella coesione il moto e le fa- colt produttive. 288.  Bisogna, impertanto, che nel principio ge- nerale di eccitazione sia perauche una virt espansiva contraria alla coesione. Adunque nei cominciamento dei tempi allato alla materia o rada o condensa parve e si diiFuse rapida- mente un' altra materia immensamente pi sottile ed abile a penetrare per ogni porosit e giungere in contatto degli ultimi atomi. Cotesta materia tanto sottile, dovendo essere da per tutto presente, compose un continuo molto pi puro ed unito dell' aria e di qualunque altra sostanza gaz- zosa, e dovette poter ripigliare immediatamente il suo posto e la forma sua quante volte ne sia rimossa. Ella  per la pi elastica delle sostanze. 289.  Ognuno intende che una materia si fatta, per essere fonte generale e perenne di eccitazione, debbe riuscire il contrario dell' altre sostanze in cui prevale 362 LIBRO TERZO. il principio del permanere e del resistere. Sar dun- que mobilissima ed atta a variet infinite di moto, e il pi minimo impulso esterno la porr in tremori e in oscillazioni; e perch s'insinua in tutti i corpi e giunge sovente insino agli ultimi indivisibili, tali suoi tremori e oscillazioni eccitano ad ogni istante ogni parte di essi corpi con ordine per altro e con leggi determinate. 290.  Ma percli tale materia che domandasi etere debbe diffondersi da per tutto con certa medesimezza di sostanza e di atto, per venne avvertito piii sopra che le  impossibile di assumere un essere individuale e particolare, siccome avviene alle sostanze speciali. Per ninna cosa  composta di etere, sebbene ogni cosa  mescolata con l'etere. 291.  Del pari, come nessuna potenza finita e mas- sime materiale  un principio originale indipendente ed assiduo di attivit, cos all' etere occorre un sub- bietto centrale a cui dare e da cui ricevere in modo uniforme e costante una virt motrice variabilissima, e di tal maniera serbare intomo di s e in tutte le cose r ufficio di promozione e di eccitazione. Quel subbietto centrale a rispetto nostro vedremo essere il Sole. Ma si noti che un subbietto centrale consimile o parecchi in- sieme coordinati debbono sussistere da per tutto dov'  materia attrattiva e dove sono sistemi stellari per le ragioni esposte poc'anzi e altra volta significate. 292.  Ne' suoi libri del Cosmos l' Humbolt pretende che r etere onde viene ritardato e alquanto deviato il corso delle comete non sia un medesimo con l'altro etere il quale vogliono i naturalisti sia diffuso per ogni parte dello spazio, e la ragione che adduce si  COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 363 che questo secondo etere penetrando intimamente ogni corpo insino agli ultimi indivisibili non debba cagio- nare resistenza veruna al moto. Ma gli atomi non sono assolutamente punti matematici, perch sono forze estese o per lo manco operano nell' esteso; e quindi ciascuno occupa certa porzione di spazio non penetra- bile. E sia quello spazio minore d' ogni quantit mi- surabile ed anche se vuoisi percettibile, ci non fa che sia inesteso assolutamente; che in altra maniera i corpi disparirebbero, e l'etere, occupando anche gli ultimi in- divisibili, piglierebbe in tutto il lor posto ed esisterebbe solo ed unico ente nella creazione corporea. Ci veduto e concedendosi che v'  in ogni materia un complesso di punti estesi non penetrabili neppure all' etere, segue che una massa grande di atomi impedisce all' etere di entrarvi per linee rette o poco inclinate ma lo forza a girare, il che importa un qualche grado d' impedi- mento e ritardamento nell' occupazione della massa. Dunque tal massa movendosi velocissima trova con- trasto nell'etere, il quale non pu in istante invaderla tutta. Ne vale il dire che gi la massa nominata  piena di etere; perch questo, raccolto e combinato con le molecole di quella, non  la stessa disposizione ap- punto e forse la stessa quantit dell'etere ambiente; quindi nel muoversi in parte almeno con tutta la massa urta neir altro etere e non cede immediatamente il suo luogo. Perocch l' elasticit e 1' arrendevolezza del- l' etere non  propriamente assoluta che dir vorrebbe infinita. I corpi, massime leggieri e spugnosi, sono bens impregnati d' aria, nullameno movendosi con prestezza ricevono contrasto dall' aria ambiente. Ora, v'  dal- l' aria all' etere diversit immensa di grado nella sot- tigliezza e nella penetrabilit, non nella essenza co- mune ai corpi gazzosi. 364 LIBRO TERZO. Afobismo VIIL 293.  Dovunque, impertauto, furouo corpi, fu ezian- dio r etere, conforme s' ebbe a notare altrove, e perci venne ad essere dopo lo spazio il pi gran contenente della natura visibile. Quindi, perch' egli  nesso e co- municazione di tutte le vaste moli quanto dei minimi corpi trovandosi in ogni luogo e penetrando ogni cosa, per avvertiremo che non soggiace all'attrazione gene- rale delle masse ; o parlandosi pi preciso, le attrazioni esercitate sopra di lui si bilanciano e contrappcsano. 294.  D' altro canto, insinuandosi egli nelle pi compatte sostanze per la minutezza estrema de' suoi elementi e per certa affinit generale che tiene con gli ultimi componenti dei corpi, interdice a questi una coesione permanente e immutabile e vince assai volte le altre specie di affinit. 295.  Egli  poi natura espansiva; e intendesi non solamente che slega e disgiunge ogni diverso ag- gregato penetrandolo a poco per volta e talora con gran veemenza; ma intendesi pure ch'egli vibri ed oscilli per entro i corpi ; e con impulsi finissimi e ra- pidissimi ne ecciti le molecole e di pi in pi le se- pari e le disperda. 296.  Tutto ci porta nell' etere una facilit som- ma ed assidua di moto e di quiete, di combinazione e risoluzione. Perci, sebbene nell' essere suo normale egli forma di s un immenso e perfetto continuo, pu nullameno diradarsi od accumularsi con agevolezza incredibile, e intendiamo senza quello sforzo che occorre a vincere nelle altre sostanze l'adesione delle mole- cole. Ma d' altra parte, egli tende a ricomporre ogni sempre il continuo ed equilibrare i suoi elementi. COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 365 297.  Per simile, come tende nel generale a com- binarsi con tutti i corpi ed anzi con gli ultimi lor componenti, cosi li abbandona assai facilmente ; e per entra esce ritorna ad ogni mutazione miinma di con- dizioni e accidenti, essendo esso medesimo autore ordi- nario d' innumerabili mutazioni ; onde viene ad essere cagione insieme ed effetto con vicenda frequente ed universale. Da tutto il che procede per ultimo il ri- sultamento maggiore e pi generale a cui tende la na- tura, e ci  il moto e la mutazione spessa e diversa di tutte le cose. 298.  Chiaro  poi che di rimpetto a cotesta forza eccitatrice e disgregativa debbono sussistere altre forze di congiunzione, di resistenza, di compattezza e d'im- mobilit, come pi fiate venimmo accennando e si pro- seguir a mostrare nel seguito. 299.  A noi venne riconosciuto per semplice ra- ziocinio che vi debbe essere nell'universo corporeo qual- che principio supremo di attivit e di mutazione e similmente un qualche principio di legamento e comu- nicazione tra le parti pi disgregate. Del pari, scor- gemmo per raziocinio la necessit d' alcuna potenza separativa al_fine appunto di conservare il moto e fre- quentare le mutazioni. Ma che tutto ci si operasse da un solo agente accordando in s medesimo facolt ed atti in apparenza contrarj noi pensiamo che l'espe- rienza sola poteva insegnarlo. Ci non ostante, giova considerare quello che fu avvisato nel Libro anteriore, e vale a dire che mentre la divina mentalit vuole in ogni parte ed in ogni cosa l' indefinito del diverso quanto del simile, tuttavolta in ciascuna cosa parti- 366 LIBBO TERZO. colare studia ella ogni massima unit e semplicit; quindi accoppia in una stessa natura propriet e forze nel primo aspetto contrarie e dalF opposto ritraggo la conformit degli effetti; come talvolta dalle cagioni Jdentiche  Parte di dedurre V opposizione degli effetti. 300.  Ad ogni modo, questo  sicuro e lo vedremo con precisione fra breve, che l' etere conginnge pro- priet e virt di sembiante contrario. Imperocch da un canto egli si comunica a tutte le masse e per le lega a s e pone iu rapporto fra loro; dair altro canto per la sua forza espansiva e le sue vibrazioni tende a sciogliere la coesione dei corpi e, quando non vi fosse contrasto, a dissiparli per lo vano. Egual- mente, r etere mentre scioglie infinite combinazioni ne promove altrettante e pi; e mentre  cagione incessabile di mutamenti, provoca le composizioni pi fine e implicate e le sintesi terminative a cui si ado- perano i tre mondi da noi ricordati, il meccanico, cio, il chimico e l'etereo. 301.  Ma perch ogni cosa creata vedemmo dover serbare la propria natura e in ogni suo cambiamento riuscire identica a s medesima, tanto che il cambia- mento stesso avviene con certo ordine e certa regola impreteribile, non pu air etere accadere diversamente, e a lui debb' essere proprio un certo suo modo uni- forme e costante di agire; il che si avvera principal- mente nel Sole che  il subbietto nel quale l' etere, a cos parlare, si sustanzia e prende corpo regolato nel modo stesso che fa in ciascun' altra stella. Di quindi la gran maraviglia che mentre nel Sole 1' etere opera con ugualit immutabile di atto e d' influsso viene non COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL' UNIVERSO. 367 pertanto a causare nel nostro pianeta una serie non mai discontinua di mutazioni, e ci per queir avvenirsi che fa in complessioni di corpi differentissime e in qualche altro principio formativo di cui si terr di- scorso nel Libro seguente. Aforismo IX. 302.  Apparve, dunque, la materia distribuita come si disse, eccetto che era nel generale pi rada che non al presente, e spazio vuoto per intero non si scorgeva.  mentre di l dagli ultimi atomi V onda delP oceano materiale si dilatava ognora pi, la materia inte- riore, a cosi chiamarla, cominci a muoversi per ogni lato coerendo T una molecola air altra e addensandosi a poco a poco intorno ai centri pi poderosi, e inten- diamo pi spessi e compatti per formazione primor- diale. Cos cresceva V addensamento iusino che v' era materia prossima da assorbire e solo cessava o per interponi mento di vuoto o perch altra materia ac- centrata e discosta facea maggiore richiamo intorno di s. 303.  D'altro canto, le masse appena composte ed arrotondate ognora che non giacevano soie e per inter- vallo immenso disgiunte, incominciarono ad attrarsi e muovere Tuna inverso dell'altra; e perch radamente accadeva che fossero al tutto omogenee, cosi quell'im- pulso attrattivo e quella direzione di moto non trapas- sando esattamente per lo centro di gravit, le masse girarono intorno di s medesime o per lo manco gira- rono quelle che risultavano di materia coerente molto e compatta. La qual rotazione ognun vede come dee cagionare innumerabile variet di fenomeni, dacch ogni principio di moto  cagione perenne di variet. 368 LIBEO TERZO. A, 304.   manifesto che laddove la materia sia tutta d' un modo per la quantit e distribuzione, la linea che descrive la direzione del moto non pu non traversare il centro di gravit del mobile. Di qui forse proviene che le comete con nucleo o senza nucleo sembrano prive del moto di rotazione ; atteso che sembrano co- struite di materia ugualmente rarefatta e in cui il nu- cleo venga formandosi lentissimamente per un regolare accostamento e per certa coesione uniforme delle parti. Il che poi torna forse in contrario al supposto che il sistema nostro planetare pigli origine da una stella nebulosa. Conciossiach nel detto sistema tutte le parti sono mosse da rotazione e i pianeti non meno del Sole e il Sole non meno dei pianeti. Ora, ci importa o che la materia primordiale fosse con molta disugualit ri- partita o che sopravvenissero cagioni ignote e diverse a turbare 1' aggregazione graduata e normale degli ul- timi componenti. Afobismo X. 305.  Ma l'attrazione scambievole delle masse gi divenute astri maggiori o minori a che ultimo effetto pervenne? Conciossiach s'elle erano vaporose e ra- dissime potettero alla per fine congiungersi e incor- porarsi e di due o pi masse formarsene una. Dovec- ch se per origine o per coesione progredente erano compatte e solide o divenivano tali, lo scontro loro veementissimo dovette cagionarne lo infrangimento e lo sperdimento; od anche per virtii del calore espresso dal grande urto dovettero quelle masse risolversi in minuto e acceso vapore. OOOEDINAZIONE DEI BiEZZI NELL'UNIVERSO. 369 306.  Cos a poco per volta T attrazione mutua dei corpi siderei portava di seminare lo spazio dei triti frammenti delle stelle disfatte, ovvero di agglomerarle tntte in una congerie unica, e vale a dire che unica diveniva di mano in mano per tutto lo spazio in cui la materia stellare quivi entro diffusa sentiva il ri- chiamo dell'una parte verso dell'altra. 307.  Salvo che nel progresso di questo medesimo libro indicammo la impossibilit di tale supposto con- trario ai fini patenti della natura. E di pi aggiun- giamo essere contrario ai metodi certi di lei, per li quali non v'  forza nessuna che senza frutto n utile consumi se stessa perpetuamente e non rinvenga nella economia del tutto un contrapposto convenevole e pro- ))orzionato. 308.  Laonde, se accosto alla attrazione e coesione molecolare troviamo una virt disgiuntiva e perci espansiva, del sicuro allato all'attrazione scambievole delle masse trovar dobbiamo alcuna energia opponente o capace di limitarla. 309.  Parecchie volte abbiamo considerato se la na- tura, economica e risparmievole, a cos parlare, nella moltiplicazione dei mezzi, non abbia suscitato all'attra- zione degli astri quel genere stesso di opposizione e di limite che alla coesione molecolare. 310.  Ma sembra evidente che la virt espansiva dell'etere non risponde in ninna maniera all'intento. Avvegnach cotale virt  attissima a dissolvere la materia non a serbarla unita con certa forma e dire- zione regolare di moto. Che se le sostanze aerose spie- gano una resistenza mirabile e poderosissima, ci pro- Maniiii ~ 11. 94 370 LIBRO TERZO. viene dal potersi trovare altre forze e materie capaci d' imprigionarle e comprimerle; il che  impossibile di operare con l'etere che penetra agevolmente quelle stesse forze e materie. Ne T azione espansiva di lui opera esteriormente; ma s opera nel pili intimo e pi compatto di tutti i corpi ; mentre poi da ogni parte li circonda uniformemente e con perfetto eqnilibrio. Seb- bene adunque i corpi compatti nel moversi possono, come si spieg altrove, venir ritardati dall' etere, non sono per ci deviati dal corso loro; nel modo che nell'aria queta un corpo voluminoso e leggiero, sebbene discende ritardato, non si discosta dal perpendicolo. E per non ostante qualunque ritardazione cagionata dall'etere al moto degli astri questi proseguirebbero diritti per la loro via e l' uno nell'altro si abbatterebbe. Senza con- siderare oltreci che la forza ritarda trice dell'etere debb' essere invece la piii piccola immaginabile cos per la estrema tenuit della sua materia, quanto per aver luogo e parte nell' intrinseco d'ogni corpo secondo che venne definito pi sopra. 311.  Certo , pertanto, che la cagione la quale tempera e modifica profondamente l'attrazione reci- proca dei corpi siderei non  riposta nella virt espan- siva dell' etere. Aforismo XI. 312.  D'altro lato persuadesi ognuno che tal ca- gione dovette essere universale e reggere cos i moti del nostro sistema solare quanto quelli d' ogni astro e d' ogni costellazione. E per non l' andremo cercando nel caso speciale d'un' atmosfera che si raffredda come fece il La Place o in altra supposizione di carattere particolare ed accidentale. COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 371 313.  Ella risedette sicuramente nella costituzione medesima della materia ed esser le debbe essenziale ed iogenita. Ora, noi rammentiamo al lettore ci che venne -) fermato nel primo Libro intorno alla comunicazione del mto, la quale negammo assai risolutamente; e ci parve in quel cambio che il moto sebbene ab- "" bisogna di eccitazione esteriore come tutte le forze finite, nullameno abbia sempre origine propria in qua- lunque mobile e vale a dire insita sempre e congenita col mobile stesso; il che ci apparisce tanto pi vero, in quanto nell' universo intero corporeo non si rinviene altro principio fontale e causale di mutazione eccetto che il moto. E quando questo fosse ogni volta comunicato e quasi a dire accattato, converrebbe dietro le poste di Aristotele salir con la mente ad un mobile primo contenente sotto se ogni cosa e quindi naturato d' una virt infinita di moto e per moventesi sempre infini- tamente, il che vale quanto la quiete assoluta. Ne potrebbesi fare diverso concetto eziandio del moto molecolare, al qual pure bisognerebbe una virt im- pulsiva perenne ed universale. 314.  Il moto adunque  innaturato ed essenziale nei corpi, salvo che gli bisogna una qualche esterna eccitazione come di tutte le forze succede. 11 moto, im- pertanto, se possiede in s medesimo alcuna cosa di veramente originale ed attivo, non pu essere tutto e sempre attuato nella sola passivit. 315.  Ci veduto, se noi di nuovo poniamo mente alle masse celesti allorquando si movono per attrazione scambievole, noi vi dovremo ravvisare una schietta e semplice passivit. Considerato che V una massa non cambia luogo se non pel richiamo possente dell' altra. 372 LIIJKO TERZO. e di quest^ altra conviene affermare esattamente il me- desimo. Ne ci accade soltanto nel primo atto di moto ma nel secondo e negli altri ; dal che proviene la legge appunto che lo governa, la quale consiste nella ragione diretta delle masse e inversa del quadrato delle distan- ze. Ma il principio attivo e indipendente di moto dove si mostra? AroBisHo XII. 316.  Mostrasi in quella deviazione normale e pro- porzionata che ora domandasi impulso primitivo, ora forza tangenziale o centrifuga. Ne la direzione di cotal forza potrebbe d' un atomo dilungarsi dalla lnea tan- jj^ente; perocch in lei soltanto la virtii originale attiva dista con intervallo uguale s dal punto dove opera la forza passiva e s dal punto contrario dove le due potenze si eliderebbono compiutamente. Invece non eli- dendosi e perdurando V una e 1' altra nell'atto proprio, il momento loro comune raccogliesi nella diagonale del rispettivo parallelogrammo. 317.  Cos primamente oper nello spazio la forza (li coesione o molecolare che tu la chiami. Quindi pel componimento delle masse venne eccitata la forza col- lettiva e passiva dell' attrazione a grande distanza fra grandi corpi. E quindi pure entr in atto la forza mo- trice propria ed attiva. In cotal guisa abbiamo rinve- nuto d' accanto all' attrazione passiva e scambievole delle masse certa energia opponente e capace di limi- tarla. 318.  Gli astri adunque si mossero, non l'uno di- rettamente inverso dell' altro, ma obliquamente con moto circolare od elittico. Questa la legge del nostro sistema solare e delle seimila stelle doppie insino a COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL' UNIVERSO. 37;:J qui conosciute; questa medesima legge governa il moto delle comete; e niun corpo sar trovato nel cielo in cui non appariscano le due forme di movimento onde discorriamo. Afobismo XIII. 319.  Dopo tutto ci e per applicare pi stretta- mente al sistema nostro solare le leggi e gli ordini gi descritti del mondo meccanico diremo anzi ogni cosa che l' aggirarsi d' ogni pianeta d' intorno al Solo e de' satelliti d' intorno al pianeta loro con poca de- viazione dal piano dell'equatore e pel verso mede- simo, e il rotear tutti eziandio da occidente ad oriento come pure fa il Sole (intendendo i corpi la cui rota- zione  provata) non accade per lo certo in modo fortuito e per cagione accidentaria ; e il La Placo giunse a ci dimostrare per sino con l' evidenza dello cifre riducendo la cosa ad una particolare posizione del calcolo delle probabilit. N si dee credere che simile calcolo perda molto di efficacia perch non di tutti i pianeti conosciamo per anche la rotazione e perch due delli sei satelliti di Urano muovono contrariaraento agli altri da oriente ad occidente e le orbite loro rie- scono quasi perpendicolari al piano dell* eclittica. 320.  Ma ci  avviso che nello stato presente dell(* cognizioni, vuoi cosmologiche, vuoi astronomiche, non pure non sia fattibile assegnarne ragioni fondate mn costruirvi sopra alcuna congettura accettabile. Pel rimanente, ogni fatto procede, mi sembra, se- condo i principj da noi fermati. 321.  Nel cominciamento dei tempi comparvero in questa nostra regione di spazio non diversamente dallo altre ammassi enormi di materia non omogenea e varia- \\ 374 LIBRO TERZO. mente spartita. L dove furono maggiori assai e con parti pi approssimate, V attrazione reciproca e certo grado di coesione li accumul, li restrinse e ne risultava da ultimo il gran corpo del Sole. A differenti distanze da lui con la legge medesima si composero i pianeti e i satelliti. Il Sole poi, chiamato da stella vicina o da un gruppo di stelle, si mosse per doppio impulso, attivo, vale a dire, e passivo giusta V accezione che abbiamo data a simili voci. E perch la materia sua non era tutta omogenea n densa ad un modo cominci pe- ranco nel Sole un movimento di rotazione. Le stesse forze e gli stessi impulsi mossero quindi i pianeti in- torno di lai e i satelliti intorno di questi e ciascuno di tali corpi intorno del proprio asse. A. 322.   Trovo scritto che Argelander credeva il cen- tro di gravitazione dello strato stellare a cui appar- tiene (dicono) il nostro sistema essere nella costella- zione di Perseo. Maedler lo pone, in vece, nel gruppo delle Pleiadi. 323.  A me sembra che se tuttaquanta V acerva- zione stellare di cui siamo parte  un moto comune di traslazione verso l' uno o V altro dei centri indicati, dovrebbesi anche poter discoprire il moto correspettivo dell' uno di essi procedente verso di noi e girante per proprio impulso e per la forza attrattiva nella ma- niera medesima che facciamo noi a rispetto suo. Forse il concepire la necessit di questa forma di movimento circolare scambievole gioverebbe a ordinare le osser- vazioni, i confronti e le congetture. Forse anche il cen- tro comune di gravit dovrebb' esser cercato in ispa- zio vuoto non in Perseo propriamente  in mezzo alte COORDINAZIONE JDEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 375 Pleiadi. Dacch n queste n Perseo lasciano far con- gettura che sieno di massa cotanto smisurata da pre- ponderare d' assai sullo strato nostro stellare e quindi moverlo intorno a loro siccome satellite. Nella costel- lazione di Perseo e delle Pleiadi non c'imbattiamo in nessuna stella di prima e di seconda grandezza. AroRisMo XIV. 324.  Geometri sommi ed astronomi anno di con- certo mostrato che non v'  cagione veruna nel nostro sistema solare la quale accenni alla sua sconnessione ed alterazione ancora che remotissima. Ogni perturba- mento vi si riduce a esatta periodicit di moto e a certi sviamenti che mai non trascendono i confini a loro assegnati ; onde  il caso giustamente di dire che l'apparente eccezione conferma la regola. 325.  N debbe in altro modo, per nostro giudi- ci, operar la natura. Conciossiach ogni sistema so- lare  quasi un formale individuo dell' universo mec- canico.  quando in lui non prevalesse la costanza e perpetuazione dell' essere, nemmanco si presterebbe all'ordine progressivo e sintetico delle mutazioni e combinazioni nel quale debbe aver parte e tener ra- gione di elemento. 326.  Oltrech, nel sistema solare operano due forze soltanto semplici esatte e con sommo rigore commisurate e contrappesate. Non cos nello interno di ciascuna sua parte dove moltiplicano le forze spe- ciali e diverse ed ogni accidente a valore; onde le mutazioni vi sono perpetue quanto minute. 327.  Il nostro sistema solare, impertanto, non caver da s proprio le successive trasformazioni, ma s dagli accostamenti e quasi congiungimenti con 376 LIBRO TERZO. altri sistemi e dallo scambio reciproco delle influenze come spiegher alquanto meglio questo Libro medesimo un poco pi tardi. A. 328.  V  taluno che pensa dovere il corpo solare crescere la sua massa per la caduta incessante dei bo- lidi, per crescere altres la sua forza attrattiva e di tal guisa dopo milioni di secoli i pianeti dovere an- ch'essi precipitare nel Sole; dove poi la combustione loro violenta e subita potrebbe forse rinnovare la con- dizione primigenia di vaporosit incandescente e quindi da capo il Sole produrre dalF atmosfera sua i pianeti. 329.  Cotesta. periodicit di costruzione, distrug- J' gimento e ricostruzione identica ed infruttifera non si v^V,f ,%'9'Ccorda, al mio parere, coi metodi conosciuti della ^M f*^* mentalit creatrice. E se comparisce col dove la per- '^*^ duranza individuale  impossibile come negli esseri organizzati, la natura vi supplisce con la perpetua- zione e inalterabilit delle specie. 330.  Del resto la supposizione anzi espressa pro- viene dal concetto oggimai riprovato che il sistem^t nostro solare esca tutto quanto da una nebulosa. 331.  Ma prescindendo pure da ci, io affermo cho i bolidi non precipitano unicamente nel Sole; ma posta la proporzione delle masse, egli sembra che altrettanti ne cadono sulla superficie dei pianeti ; o parlando con precisione, egli sembra che parte, almeno, delle stello cadenti infiammi e sperda la propria materia nelle pi alte regioni della nostra atmosfera. 332.  E mentre per noi l'entrare delle stelle ca- denti neir mbito della nostra atmosfera  fatto posi- tivo e altres positivo  il precipitare sulla terra di COORDIXAZIOXE DEI MEZZI KELL' UNIVERSO. 377 molti bolidi ; nessuno  veduta quella pioggia che gli autori prenominati asseriscono avvenire nel Sole. Per, ponendo a riscontro del loro supposto una realit costante e bene accertata, diciamo che crescendo con legge di proporzione la massa dei pianeti quanto quella del Sole e con la massa la forza altres tangenziale o la virt attiva del moto che la si chiami, dura e persevera esattamente V equilibrio di tutto il sistema. 333.  Ma quando 1' etere sia dappertutto, e non Ostante la estrema tenuit, penetrazione ed elasticit sua opponga esso in fatto un qualche minimo grado di resistenza al moversi de'pianeti, ed anzi generalmente al moversi di qualunque astro intorno ad un centro; come negare che tal resistenza, per infinitesima ch'ella sia, non cagioni nella fuga dei secoli un effetto misu- rabile ? N questo per le leggi meccaniche pu essere altro che deviazione dalla curva normale trascorsa e quindi, per un moto spirale, violenta precipitazione del- l' astro circolante qualchessia sul corpo dell'astro cen- trale. 334.  Inipertanto, o conviene discredere la diffu- sione generale dell' etere o eh' egli sia materia non resistente o concedere che dopo scorsi bilioni di secoli r ordine meccanico del nostro sistema sar scomposto ed anzi annullato. 335.  Qui avanti ogni* cosa  da domandare se r accorciamento della elissi trascorsa dalla cometa di Encke (per fermarci all' esempio meglio conosciuto) debba recarsi alla resistenza del mezzo ovvero ad altra ragione. Certo, se non  da negare che in si corto pe- riodo d'anni abbiasi potuto avvertire un perturbamento 378 LIBRO TEBZO. sensibile e misurabile, non  allo stesso modo da con- sentire a chi vuol riferirlo alla resistenza d'un mezzo la cui tenuit ed elasticit oltrepassa qualunque im- maginazione umana. 336.  A ci debbesi aggiungere cosa notabilissima che tale resistenza del mezzo non fa segno alcuno di s nella cometa di Halley la quale secondo i calcoli del Rosemberg avrebbe dovuto tardare di sette giorni il passaggio suo nel perielio, quando rinvenisse per via r impedimento medesimo della cometa di Encke; e il simile pare si debba concludere a rispetto della cometa di Faye ; o per lo manco, la resistenza sofiFerta da cotest' ultima non procederebbe con egual pro- porzione. 337.  Oltre di che, scorgendo il magistero maravi- glioso e infinito mediante cui la natura provvede alla conservazione e inalterabilit del nostro sistema contro cause molto maggiori di perturbamento e conquasso, si k buona licenza di dire che ci rimangono ignoti ancora innumerevoli temperamenti e compensi che possono fornirsi dall' arte divina al nostro sistema per ovviare a quel minimo disequilibrio' di cui si discorre. 338.  E forse la mente insino da ora giunge a ravvisarne uno molto evidente per s, tuttoch indo- cile, credo io, alle determinazioni ed alle esattezze del calcolo. Nondimeno mi risolvo ad accennarlo come per saggio, e perch i dotti vadano pi a rilento a giudi- care e concludere in cotesta specie di cose. 339.  Il compenso, dunque, a cui accenno  for- nito dal camminare degli uomini e degli animali, non che dal moversi d'ogni peso trasportato per arte o comechessia e dall' agire delle macchine che risve- gliano in mille maniere la energia di forze latenti. Certo, da tnttoci risulta un impulso contrario alla COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 379 forza attrattiva esteriore. Conciossiach nel generale tutte le sorte del moto di cui parliamo adempionsi du- rante le ore del giorno e per dalla banda del Sole che  il verso appunto e la direzione dello sviamento prodotto (giusta la supposizione) dalla resistenza del mezzo. E perch tutte le regioni del globo giacenti fra i poli sono visitate di mano in mano dal Sole in ogni diurna rivoluzione, V impulso centrifugo da noi indi- cato, sebbene muta luogo, non muta mai verso, ne mai si fa discontinuo. CAPO SETTIMO. 8EGUONO GLI AFORISMI DELLA STESSA MATKRIA. Aforismo I. 340.  N il mondo materiale n la coordinazione che vi s fa degli apparecchi alla vita risulta di sole forze meccaniche. V  le fisiche necessariamente e le chimiche, e si vogliono chiamar di tal nome quelle po- tenze onde sono governate le picciolo masse ovvero anno fondamento in certe native disposizioni dei corpi che non si risolvono in variet di figura d' impulso e di moto sebbene con qualcuno di questi fenomeni si accompagnino. 341.  Chiaro  poi che la separazione la quale fac- ciamo delle forze meccaniche da tutte le altre  me- ramente metodica. Attesoch il mondo preparatorio, per cos domandarlo, usc dal nulla in forma com- pleta rispetto alle forze ed agli elementi costitutivi, ninno dei quali fece difetto od ebbe tardo nascimento. 380 LI imo TERZO. AroKiSMO n. 342.  L' ambizione quanto forse il bisogno di unifi- care la scienza, spinse, quando io non m^ inganni, gli odierni fisici a voler risolvere di nuovo la intera natura inorganica in una di quelle generalit che abbracciando ogni cosa istringono molto poco e dispergendo per ogni dove il simile ed il medesimo ci lasciano al tutto ignoranti del diflferente; mentre la scienza matura e durevole comincia soltanto in quel vero in cui il di- verso ed il simile si connettono e spiegano mutuamente. ^ Di tal guisa ripullula appo i dotti sperimentali ' cotesto concetto pericoloso eh' ei sono prossimi ad ^ agguantare la cagione unica e sola di tutti i fenomeni, scordando assai presto che tale invenzione non puro si sovrappone al termine delle facolt umane, ma s  ^discorde dal vero concetto dell' ordine della natura, la quale intende mai sempre ad effettuare l' indefinito dei possibili nelle cose simili nelle varie e nelle diverse, o che quanto pi si complicano le sue sintesi con la moltiplicit delle cause tanto piii si accosta ella ai suoi fini ed alla perfezione ultima delle sue opere. Del sicuro, come spiegammo altrove, dicendo sintesi diciamo fattura in cui apparisce o certa unit rela- tiva o certa totalit strettamente connessa e cospirante ad un fatto complessivo e terminativo. Ma queste me- desime sintesi diventerebbero impossibili, qualora non intervenissero da ogni parte principj originali e diversi. 343.  Vogliono, dunque costoro che nel mondo tisico e chimico ed altres nell'etereo prosegnano in so- stanza ad agire un po' trasformate le forze del mondo meccanico e ogni fenomeno vi si spieghi per sole leggi di moto; le quali sebbene, a lor confessione, non si COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'Ux\IVER80. 881 lasciano ancora tutte conoscere, nulladimeno  di gi possibile di misurarle nella pi parte de' loro effetti 3 del sicuro si unificano in pochi principj inerenti alla natura comune e universalissima dello spazio e della materia. 344.  Costoro non badano per mio giudizio che affermando ogni fenomeno essere moto e niente altro (he moto annunziano solo il piii generale dei fatti senza spiegare in guisa veruna il miracolo grande che  inchiuso nel lor discorso e ci  come da cotesta cagione s semplice, s comune a tutto, s uniforme con se medesima escono le differenze e le variet innume- rabili dei fenomeni. Perocch tanto  difficile e neces- sario alla scienza scoprire il diverso e il particolare nel troppo simile e troppo comune, quanto per centra nel particolare e individuale tutto differente e speci- tco rinvenire il generale e l' identico. 345.  Il moto, non si nega,  inizio e accompa- gnatura d' ogni mutazione nel mondo inorganico ma non perci ogni mutazione  semplice moto! Simil- mente, le leggi meccaniche come quelle che risul- tano dalla essenza comune e perpetua della materia ricompariscono modificate in qualunque fatto del mon- do fisico e chimico ma non sono le sole; ne, conosciute esse,  conosciuto ogni rimanente. 346.  V  mutazioni atti e fenomeni copiosissimi che del sicuro provengono da ben altra cagione che da mera forza motrice, ma sono invece modificazioni ed esplicamenti di facolt essenziali e diverse dei corpi. Escono certo dalla materia, ma non in quanto  estesa figurata e movibile. N basta il dire che astraendx)8 dalle affezioni speciali de' nostri organi, ci che rimane apparente nella materia  moto estensione e figura ; conciossiach rimane altres apparente nella materia 382 LIBRO TERZO. una continua sproporzione ed incoerenza tra le cause gli effetti, sempre che le prime sieno interpretate da noi per sole modificazioni di moto. Ne Galileo affer- mando egli il primo, che io sappia, che le qualit se- condarie dei corpi debbono venir distinte e sceverate con diligenza dalle primarie, volle affermare queste ultime solamente e negare l'esistenza dell'altre. Per lo contrario, egli confess che v'  nei corpi una es- senza profonda ed occulta, conoscer la quale speri- mentalmente giudicava impossibile. 347.  Ora le qualit e forze della materia diffe- renti dalla potenza motrice dimorano in ci appunto che volgarmente domandasi la natura od essenza dei corpi, e non  giusto dire che a noi si occultano com- piutamente. Considerato che oltre al moto ed a' suoi fenomeni elle si palesano nelle affezioni de' nostri or- gani mescolate peraltro e contemperate alle affezioni medesime, e vale a dire ai modi dell' animo nostro e con altro vocabolo alla natura e passione dell'essere ricevente le esterne azioni. A, 348.  N solo i fisici di cui discorriamo reputano che tutte le forze della natura inorganica si risolvano in qualche atto e maniera di moto, ma s aggiungono che il moto, sebbene si trasforma, non pu estinguersi mai. Onde ripetono oggi queir after mazione ipotetica di Cartesio esistere sempre nella materia una stessa quantit ed essenza di moto. Spesso, dicono, da esterno diviene interno o viceversa ; talora si diffonde e spar- tisce, talaltra si raccoglie e condensa ; una volta da ponderoso e massiccio si fa molecolare e invisibile; un'altra volta adempie l'inverso; ma pure trapas- COORDINAZIONE DKI MEZZI NELL'UNIVERSO. 383 sando da corpo a corpo e da forma a forma si con- serva e perpetua uguale sostanzialmente a s stesso. Che la forza, una volta estinta, non si rinnova e non potrebbe ricominciare l'opera sua. 349.  In tal guisa, aggiungono, tutte le forze sono^ r una all' altra equivalenti e a vicenda si misurano a^ vicenda s'ingenerano. Sopra ogni cosa,  mirabile la^ equivalenza tra esse e il lavoro meccanico divenuto ferma unit di misura per tutte. Di tal guisa la geo- metra comincia a introdurre i suoi calcoli, il suo ri- gore e la sua certezza in materie che ne parevano affatto aliene; e la fisica e forse anche la chimica vannosi convertendo in vasti problemi di meccanica molecolare. E dove un gran genio apparisse pari a quello di Newton, forse la costituzione dei corpi sa- rebbe svelata a' d nostri. 350.  Noi andremo rettificando capo per capo, an- ^ cora che brevemente, le asserzioni o soven*hie o false >^ della scuola sperimentale di cui parliamo. E prima,  v troppo vero che le forze mai non s'estinguono; ma , ora sono in essere virtuale o di facolt, ora in ispie- ^ gamento di atto ovvero in conato che  certa condi- zione di forza, la quale intramezza fra lo spiegamento . compiuto e la schietta virtualit. Gran fatica sar per cotesti fisici il dimostrare che mai nessuna forza mo- trice nella natura non  impedita nello spiegamento dell'atto e si vuol dire nel moto attuale, ovvero che impedita in un luogo rinasce in un altro. Che quando ricorrano, come Cartesio, a un'idea astratta e costitui- scano un bilancio e un compenso continuo fra i moti virtuali ed i moti in atto, noi risponderemo che il calcolo si pu ben cominciare ma non finire, ed avr necessariamente del congetturale e dell' ipotetico. Anzi  congettura pi ragionevole che mentre le forze per- 384 LIBRO TERZO. mangono sempre d'un numero e d'una natura, la somma del movimento si accresca nell'universo, per- ch aumentano qua e l le sintesi terminative, le quali risultano in genere dalla frequenza variet e rapidit infinita di piccioli moti. 351.  Per fermo, le forze estinte non si rinnovano 0 il moto annullato non risuscita da s medesimo. Ma scordano i fisici summentovati che se mancano i moti parziali e individui mai non fa difetto V eccitazione centrale che emana dal Sole e dall'etere, mai la luce e il calore non cessa di piovere di mano in mano sulla faccia del globo, e mai non si quetano le correnti ma- gnetiche e le elettriche correspettive. 352.  Maravigliosa, certo, e feconda scoperta  quella del rapporto misurabile tra il lavoro meccanico e l'azione dell'altre forze, e maravigliosa  l'equiva- lenza e trasmutazione reciproca tra il calore ed esso lavoro meccanico. Ci dimostra di nuovo come ogni cosa procede esattissimamente in pondere et mensura, e intendiamo che le leggi meccaniche uscenti dalla essenza pi generale e comune della materia non ces- sano di operare nei piccioli corpi quanto nei grandi, tra i fenomeni di mera estensione e figura non meno che tra i fisici e chimici. 358.  Ma nel modo che la scoperta dell'universale attrazione non bast guari a porger ragione della fisica universale e spiegare, per via d'esempio, perch il Sole e le stelle rilucano di luce propria e i pianeti di riflessa; ovvero perch il Sole raggi calore perenne- mente e susciti la vegetazione e la vita sopra la terra ; in quel modo, ripetiamo, quando sar discoperta e provata la costituzione meccanica del mondo moleco- lare e le leggi de' suoi movimenti, rimarranno tutta- volta da discoprire le cause e i principj dei fenomeni COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 385 propriamente fisici e chimici. Imperocch, ricordia- moci non essere la stessa cosa il quale ed il quanto. E r avere bene accertato che le forze sono tutte quan- titative e per misurabili l'una con l'altra; od anche l'aver provato che a vicenda si promovono e legano le azioni loro e gli effetti a maniera di catena che a s medesima si ricongiunge, non d arbitrio nessuno / di reputarle della stessa natura ; u porge speranza i fondata di condurle tutte a un solo principio causalo. , Per lo contrario,  ferma nostra opinione che il pro- gresso delle scienze terr da una banda separatissim^ le forze e le essenze e dall'altra mostrer ogni d maggiormente le rispondenze, correlazioni e legamenti loro intimissimi e senza numero; considerato che la natura nel pi generale e comune fa comparire la identit e unit di principio, mentre poi nel partico- lare e diverso fa con la inoltiplicit dei principj e delle cagioni comparire fra tutti essi una stupenda convenienza e armonia. Per un genio tragrande come quello di Newton, quando anche svelasse oggid le vere ed uniche leggi della meccanica molecolare credo che dovrebbe recarle a parecchi principj e cagioni e a diverse nature di cose e non mai vi discoprirebbe il giuoco di sole due forze siccome accade per li movi- menti celesti. 354.  Insomma, l'abbaglio dei fisici , per mio sientire, sol questo eh' io riconosco parecchie forze al tutto separate e diverse; in quel cambio, essi, giusta il vezzo dei tempi, le identificano tutte in una e i feno- meni pi differenti chiamano modi e atti pur differenti d'una stessa virt dinamica. E quando le varie forze si meschiano e proporzionano, e l' una provoca 1' altra 0 semplicemente la occasiona, essi avvisano in tutto ci una continua e commisurata trasformazione di MAMuni. -. II. ^iS 386 LIBRO TERZO. certo principio astratto universale e comune che do- mandano forza. B, 355.  Quella tendenza de' nuovi fisici di tutto spie- gare col movimento la figura il numero e V orietaeicne delle molecole si accrebbe talvolta per modo, che sper convertire tutti gli elementi semplici in proporzioni diverse di una sola sostanza; ne mai finano essi di far notare come i composti chimici cambiano sovente di qualit senza intervento alcuno di forza esteriore e dovendosi perci attribuire la mutazione al diverso aggiustamento che prendono gli atomi Tuno a rispetto dell'altro sia nel numero sia nella posizione. Per nostro avviso ninna scienza quanto la chimica! delude la speranza di convertire in forza meccanica i fatti speciali e molteplici dell' afinit. E gi gli au- tori medesimi della teorica mediante cui si tent di scoprire nelle combinazioni chimiche altrettante diffe- renze quantitative d' un solo elemento desistettero dalla impresa non solo perch certa legge di propor- zione da loro avvisata non riusc compiuta e fedele per tutti i fatti, ma pi, al creder mio, perch quella legge fosse pure verissima ed esattissima non rispon- derebbe per nulla al cumulo delle propriet singolari ed originali che compaiono in ciascun elemento ed eziandio nella maggior parte delle loro combinazioni. 356.  Sostanze composte non pure degli stessi ele- menti ma delle stesse quantit e proporzioni e che non- dimeno producono eflFetti tanto diversi e spiegano qualit singolari e talvolta opposte dimostrano invittamente che v' nell'azione loro un diverso principio, il quale si occulta alle nostre analisi e non pu consistere nel COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 387 isolo mutare il numero e la posizione rispettiva degli atomi. U Isomerismo basta, per mio avviso, a smen* tire la chimica costruita sull'aritmetica e sulla mec* canica. E se mutando gli atomi di numero, di propor- zione e di posizione cagionano mutamento di qualit, conviene non iscordare due cose; la prima, che ci si argomenta nel pi dei casi per congettura non per ve- duta sperimentale. In secondo luogo, che possono altre cause pili intime di cangiamenti accompagnarsi alla mutazione del luogo della proporzione e del numero. 357.  Infine giova di avere a mente ci a cui non pensano forse i naturalisti, ed  che non tutti i fenomeni di mutazione serbano lo stesso carattere; e l'uno pu provenire da causa accidentale 1' altro da sostanziale. E in genere, non dubitiamo di dire che nei fenomeni chimici si svela piuttosto la parte superficiale delle sostanze che la profonda e costitutiva; e sempre ci  sembrato un po' singolare, per via d'esempio che uno dei caratteri proprj essenziali e costanti della gran classe degli acidi sia denotato quello di volgere in rosso le tinture azzurre vegetali e di non alterare la tintura gialla d curcuma; mentre poi l'altra gran classe de- gli alcali o delle basi  per nota qualitativa di mutare in verde la tintura azzurra di viole mammole e di ar- rossare il giallo di curcuma; tanto che se non vi fos- sero viole mammole al mondo n curcume mancherebbe uno de' caratteri pi importanti per isceverare e ras- segnare le sostanze giusta gli ordini della scienza. Forse noi c'inganniamo a partito, ma noi siamo an- cora alla superficie e alla buccia delle cose. 358.  E uscendo della chimica e trapassando alle parti della scienza dei corpi in cui sembra la geome- tria progrech're mirabilmente, parmi nondimeno che sempre c'imbattiamo ad un che il quale sfugge a tutti 388 UBBO TERZO. i rapporti di quantit, di figura, di numero e di movi- mento perch b' attiene in diretto modo alle propriet originali ed essenziali delle sostanze. Qual dottrina appare oggi pi prossima alle spiegazioni meccaniche quanto quella del calore? ci non ostante qualunque parte se ne pigli e qualunque fenomeno se ne consi- deri insorge la difficolt e la differenza che io dico. Quando si paragona, per via d'esempio, la facolt as- sorbente delle sostanze e quanto ella vari^ dair una all'altra s per la diversa natura propria e si pel mu- tare delle sorgenti di calore ninno mi persuade che tutto ci si risolva in semplici diiferenze da un lato de' movimenti ondulatorj, dall' altro di figura e posi- zione di molecole. 359.  N per qualunque parte della fisica sembra a noi doversi fare differente discorso. E ne sia lecito addurre ancora un esempio. L'acustica possiede una sua stupenda geometria. I toni corrispondono con pre- cisine aritmetica alle vibrazioni dell'aria e dei corpi; le vibrazioni alla lunghezza rapidit numero intensione delle onde, ai ventri, ai nodi e altre modificazioni o del mezzo o dei corpi che vibrano. N questi rapporti si negano; e sono movimenti e leggi di movimento parti- colari e immancabili che accompagnano sempre i feno- meni del suono; ma per nostfo parere non bastano a darne ragione compiuta. L'ottava del sicuro  il dop- pio delle vibrazioni d'una corda accorciata della met: e sia pure. Ma l'orecchio sente nell'ottava una forma di suono che  altra cosa della quantit raddoppiata. E questa medesima ottava  infinitamente modificata ne' diversi strumenti che l'arte ritrova e nelle divei-se nature di suoni che genera tale corpo e tale altro. E ci perch mai? per la difi'ercnza forse della materia vibrante? Ma come fa il meccanico a diversificare coi COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 389 noi principj quelle materie medesime? Certo con va- riare il numero la figura V orientMzione e il moto delle molecole. Noi cos ci aggiriamo sempre nelF identico circolo, e per effetti i pi diversi del mondo si offrono cause e modi di operare eh' entrano tutti nella specie medesima. Noi in quel cambio diciamo che allato alla geometria acustica v' un'altra natura di causa con- comitante e cooperante, la qual dimora nelle pro- priet peculiari delle sostanze' e nell'indole specialis- sima ed essenziale di loro forze. 360.  Concludiamo con questo gran pronunziato ^ che nella natura ogni cosa non  moto sebbene col \ moto s' accompagna e si manifesta, e se qualunque ^ fenomeno della materia porta seco di necessit certa ^ varianza di moto, le cagioni dei fenomeni non sono ^ guari quella sola varianza. K ogni moto ricerca un ' movente, ogni movente un perch intrinseco dell' atto proprio: che se tu tramuti eziandio in moto quel mo-\ vente e quel suo perch, tu entri a forza nell' un via ^ lino, e giri in un circolo senza uscita. "^ 361.  Si andr poi pi l della buccia non pur(*\ moltiplicando l'osservazione ma curando di vantaggio^ quella notizia della natura che pu provenire a- nois dalla virt discorsiva. Perch tanto  inetto il razio--^ cinio a rinvenire le specie, quanto l' esperienza a con- nettere gli universali e concordare i principj. Che quando bene le essenze occultino affatto la specie loro profondissima non ne occultano per intero le relazioni molteplici; e di queste  pi sagace conoscitore il gi- \ dicio speculativo che la sensata esperienza. \ 390 LIBRO TBRZO. AroBiSMO in. 362.  Ripigliando, impertanto, quella concisa de- scrizione che impreuderamo di lare dell'epoca gene- tica, ricorderemo di aver afifermato che dovunque ap- parse variamente spartita la materia de' corpi, apparse eziandio l'etere materia immensamente pi fine, quin- di penetrativa d' ogni sostanza, e la quale servir do- vendo di legamento comune e per indifferente pei* certo rispetto alla diversit dei composti, venne diffon- dendosi da per tutto con omogeneit compiuta ed equilibrio perfetto. Del che nasce di necessit che l'etere (da capo il diciamo) sia creduto imponderabile e vale a dire non attraente e non attratto. Perocch dove pure si ponga eh' egli attragga tutti i corpi e da tutti riceva, attrazione, questa generalit medesima  sufli- ciente a colliderne sempre e da ogni banda gli effetti. L'etere dunque non pesa perch non prepondera vei^o tal centro piuttosto che verso tale altro. 363.  Per la ragione stessa l' etere si combin ugualmente con tutti i corpi, o meglio parlando, Peter* laddove non ebbe ostacolo, penetr insino agli ultimi indivisibili, ciascuno de' quali peraltro occupava certc luogo ; e intendiamo, certa estensione impenetrabile; la quale tuttoch minima, riusciva uullameno maggiore di quelle che occupano i punti indivisibili dell' etere stesso. Laonde, ciascuno indivisibile della materia, quando niente non lo impediva, fu circondato da una sferula d'eterea sostanza. E fra P uno e P altra comin- ci subito una vicenda di vibrazioni incessanti, le quali, propagate nell' etere ambiente, vi determinavano quelle libere ondulazioni che nell'occhio umano diventano luce. COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 391 364.  Intendasi dunq ne che cascan atomo di materia circondato dair etere e da lui provocato rispose all' im- pulso con altro impulso. E perch V atomo era pro- vocato egualmente da ciascuna parte non mutava di luogo n restringeva lo spazio suo impenetrabile ad ogni forza. Invece, la reazione uscente da lui rpelleva in giro la sostanza eterea, la quale mobilissima oltre ogni estimazione e supremamente elastica propagava circolarmente e a guisa di onda V impulso ricevuto ; mentre nuova sostanza eterea circondava da capo V in- divisibile sopranotato ripetendo V alternazione degl' im- pulsi e delle onde. Z/^-  ^' .' ' // 365.  Qualora poi simili ondulazioni dell'etere riescano meno fitte e rapide ne si spieghino con libert piena e nella loro interezza, producono semplicemente r effetto che domandiamo calore raggiante. 366.  Di tal maniera, nei primordj delle cose ca- lore e luce furono le prime e pi generali manifesta- zioni della materia ; e debbesi considerare come natu- rale e al tutto comune la combinazione dell' etere con ogni atomo di corpo e 1' azione e reazione incessante fra essi che genera sempre ondulazioni calorifiche e lu- minose, ancora che queste seconde sieno impedite pi spesso e pi agevolmente che le prime. A. 367.  Ogni divisione ed attenuazione estrema della materia corporea sembra' per s sola poter produrre luce e calore; sebbene talun fisico attribuisca ci a tensio'ie elettrica; ma nel vero l'una cagione non estin- gue r altra, e dobbiamo credere che ogni materia atte- nuandosi per insino quasi agli ultimi indivisibili entra per ci solo in quella libera vicenda di azioni e rea- 392 LIBRO TERZO. zioni con T etere che fa comparir la luce e il calorico. E certo  che ognora che la luce balena in mezzo di noi e non proviene dal Sole si pu avvisare una divi- sione ed attenuazione della materia corporea la quale tanto pi si scioglie dalle forme cristalline e moleco- lari e da ogni coerenza di parti, tanto rimane investita e fiSgnoreggiata dall'etere. 368.  Quella intermittenza che sembra accadere nella scintillazione delle stelle e quel vigore e tremore che l'accompagna spiegasi molto facilmente con la con- siderazione che gl'impulsi dell'etere e della materia vibrante non sono continui compiutamente, ma si av- vicendano e si rinnovano con estrema velocit e con isplegata energia; mentre nella luce riflessa il rimbalzo proviene tutto dalla elasticit del raggio luminoso e il piano che lo rinvia appare come passivo nella sua resistenza, e certo non ci  il vigore della vibrazione originale. Afobismo IV. 369.  Intanto, proseguendo, diciamo che qualora l'etere avesse padroneggiato senza contrasto la mate- ria dei corpi, r universo convertivasi tutto in ammassi nebulosi raggianti luce e calore e forse per la elasti- cit del calore medesimo a pdco a poco si disperdevano per lo immenso vano. 370.  Ma gli atomi de' corpi laddove erano pros- simi o poco lontani l' uno dall' altro, sentirono la forza scambievole dell'attrazione molecolare insita, come si disse, in ciascuno. Per, non ostante gl'impulsi e i tre^ COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 39S mori dell'etere interposto si accostarono effettualmente e si strinsero giusta la misura di loro tendenze: quindi composero le prime molecole e poi con queste le se- conde e le terze. 371.  Egli  chiaro che la legge suprema di va- riet e convenienza qui pure dovette operare. Il perch gli atomi o gr indivisibili d'ogni sostanza come dif- ferivano di natura, cosi differirono nella intensit di attrazione e nel modo di aggregazione. Quindi le mo- lecole riuscirono molto diverse dall'una all'altra so- stanza. In questa sorta di molecole entrarono pochi atomi, in quella parecchi; qua si addensarono senza spazio, l con intervalli pi o meno larghi. E di' il si- mile della orientazione loro, il simile delle ligure che ne risultarono e della variet nei contatti, e cos pro- **egui per altri accidenti. 372.  Composti poi con le molecole di diverso ordine i corpi, fu necessario che si svegliasse l'altra tendenza loro primigenia ed essenziale che  l'attra- zione collettiva di masse; e le maggiori chiamarono a se e conglobarono le minori pi prossime, secondo venne descritto pi sopra da noi. Aforismo V. 373.  In tal maniera si bilanciarono le forze nella natura. Che l'attrazione molecolare, o coesione che la si chiami, costituiva i corpi e moderava la troppa virt espansiva dell'etere; mentre questo col suo penetrare ed insinuarsi per ogni dove, mantenne la separazione e impedi che la materia fitta e coagulata rimanesse incapace di movimenti e trasmutazioni intestine. Pe- raltro, nella generalit i corpi pi densi e pi coe- renti volgendo al centro e i pi leggieri e men coerenti 394 LIBRO TERZO. alla superficie, in questi V etere mantenne maggior do- minio, e non vi cessando la reciprocazione degl'impulsi e la libera espansione delle onde calorifere e luminose, parve il firmamento seminato da ogni parte di Soli splendenti ed inestinguibili. Perocch, essendo nato un bilanciamento naturale' fra la coesione molecolare e la espansione eterea, nessuna forza quando non pro- cedesse dal di fuori potrebbe sturbarlo. E insino a che vi sar scambievolezza d'impulso fra la sciolta materia e l'etere circostante in sulla faccia del Sole e dell'altre stelle, mai non cesseranno n altereran- nosi le onde calorifere e luminose che ne provengono. 374.  Vero  che queste onde non sono una sola e mera forma di movimento. Conciossiach V etere rimbalzando dalla superficie degli astri increspa, a cos parlare, la sua sostanza sottilissima e d' un tal poco la condensa. Quindi il corpo che riceve l'ultima onda propagata dell'etere, riceve insieme alcuna condensa- zione di etere. Ma in primo luogo, se trattasi di corpi luminosi con altri als luminosi, l'uno rende all'altro la quantit ricevuta di etere condensato. Invece, se l'onda eterea giunge alla superficie d'un corpo oscuro, la sostanza assorbita parte  compensata da uno ir- raggiamento tardo s e rado ma pure effettivo di esso corpo, parte dalle masse ancor nebulose che trapas- sando per varj gradi di coesione emettono gran quan- tit di calore. Oltrech, l'etere tendendo sempre ad equilibrarsi ripartisce quella sottrazione di sostanza comparativamente minima in tutto il suo immenso perimetro, talch essa diventa propriamente infinitesi- ma. Ad ogni modo tal sottrazione di sostanza gi non accade come si giudica volgarmente nel Sole, ma s veramente nell' etere dal Sole eccitato e fatto ondeg- giare. COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 395 375.  (3oncios8ach queir etere non move dallo interno del Sole na dalF ultima superficie; n raggia air intorno per sovrabbondanza di s, ma per atto normale ed assiduo di, Tirtii repellente. N mutasi nulla nel tenore del moto nelle proporzioni o in altre accidente. Perocch, sebbene la sferula che circonda ogni pi esterna molecola venga respinta e per con- densata, un' altra ondn di etere cme test s disse, a quella succede immediatamente e ristringe da capo la sferula primitiva intorno di ciascun atomo. Che poi r irraggiamento solare si adempia all' ultima superfi- cie non dair interno dell'astro venne comprovato dal- l'esperienza, mostrando che la luce del Sole perviene a noi intatta d'ogni refrazione e per non d segno d'alcuna polarit; contro la quale induzione non mi sembrano senza replica le obbiezioni e i dubj che accampa Giovanni Herchell. A, 376.  Coloro che nelle dottrine circa la luce e il calore seguono la teorica dille ondulazioni, sogliono negare non pure qualunque emissione di materia ma qualunque condensazione. Noi neghiamo la prima non la secontla in tutto. V  per lo certo nel moto circo- lare dell' etere un increspamento e per un qualche addensamento dell' etere. Perch ci non avvenisse, converrebbe tenere per infinita la elasticit dell'etere; e la radiazione allora consisterebbe in una sola e unica onda dal Sole alla terra anzi dal Sole all' ultimo termine dove apparisce la luce sua; n ci  tampoco esatto, perch termine non vi sarebbe e l'immensit di quell'onda ragguaglierebbe solo la immensit stessa dell' etere. 377.  Poich dunque la elasticit  limitata e 396 LIBRO TERZO. v' contrasto ed inciampo fra le parti dell'etere, v' condensazione di sua materia; e com' assorbita la luce e adsorbito il calore dal corpo in cui termina la ondulazione cos l'etere vi si. condensa. Per mio giu- dicio, quando il calore non rechi giammai aumento o \ sottrazione quantitatTa di etere troppo gran fascio \di fenomeni rester inesplicato. B. 378.  Io toccavo qui sopra della radinzione o rimigenia delle proprie molecole. 403.  In coteste sorti di gaz non  luogo emissione naturale e perenne di luce e possono invece i loro ele- menti accostarsi alle materie per le quali sentono affinit, perch a ci non sono impediti dalle vibra- zioni spiegate e libere e dalla espansione prepotente dell' etere. 404.  Cos sulla faccia del nostro globo adunatisi l>er la leggerezza loro gli elementi dell' aria, avven- nero subito le combinazioni dell' ossigeno con le basi metalliche e a mano a mano con altri elementi e altri principj aerosi. 405.  Effetto di simili combinazioni si fu la opa- cit del nostro pianeta e un condensamento molto maggiore dell'ultima scorza di esso. Avvegnach l'ade- sione pi perfetta ed intima fra le molecole  quella del sicuro prodotta dalle affinit chimiche. Ne segui- 406 LIBRO TERZO. tono prontamente azioni e reazioni gagliarde e conti- nue con gli strati inferiori che dififerivano dall' ultima crosta del globo parte per variet di sostanze parte e molto di pi per condizione termica, elettrica e chimica. 406.  Ben altra cagione, adunque, ebbe, al nostro parere, l' indurimento della faccia del globo che quella predicata da molti dello irraggiamento del calor sot- terraneo dair ultima superficie. Nel vero, notammc^ pili sopra che la coesione delF interno del globo di- venne^ maggiore a ogni poco per virt di gravita- zione e di compressione. E per gran copia di ca- lore latente, o di etere condensato che tu il domandi, usciva dal centro e propagavasi a grado per grado alla superficie. Ma occorre di avere a mente che se gran quantit di calore giunta per diffusione alla su- perficie del globo di quindi sperdevasi per forza di contiguit o d'irraggiamento, altra gran quantit suc- cedeva a quella immediatamente pel crescere della coesione e pressione centrale. Onde segue che non do- vette il raffreddamento procedere dalla superficie in- verso del centro ma per lo contrario dalle parti cen- trali inverso le meno. 407.  Che la materia non sia per tutto costituita delle sostanze medesime, si proverebbe assai bene dalle induzioni che i fisici tentano oggi di ricavare dalla luce spettrale. Conciossiach pretendono essi che men- tre nel Sole ardono molte sostanze identiche a quelle del nostro pianeta, altre invece vi fanno difetto; e fra queste seconde citano l'oro, l'argento, il rame, lo zinco, la strontiana, l'antimonio, l'alluninio, il piombo. Ora considerato che il Sole  della terra pi grande quasi COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 407 un milione e mezzo di volte, se ne potrebbe con- cludere che a ragione di massa debbono sussistere dentro al Sole altre sostanze numerosissime che il no- stro globo non conosce. Il medesimo si arguirebbe dall' altro fatto dello spettro solare, di contenervisi cio non meno di tre mila liste oscure le quali sem- brano corrispondere a variet grandissima di sostanze elementari in ai-sione. Ma, per mio giudicio, le analo- gie speciali e strettissime che si vogliono ravvisare tra la materia del Sole e quella del nostro globo argo- mentando dai fenomeni della luce spettrale tengono troppo insino al d d' oggi del congetturale e suppo- sitivo. JB. 408.  Tutto quello che conosciamo intorno alla diversa luce irradiata dai nostri corpi e intorno alle diverse specie di fiamma che si palesano nelle com- bustioni naturali od artificiali, conferma la opinione che bisogna onninamente pel fenomeno della luce un' attenuazione massima della materia ed una intera scomposizione di tutte le forme molecolari. Il che viene a dire che la flangia e la luce provengono dalle spie- gate e libere ondulazioni dell'etere nel modo che fu descritto pi sopra. Afomsmo X. 409.  Perch poi le sostanze gazeiformi non po- terono tutte disprigionarsi dalle masse metalliche e salire alla superficie, rimase tra questa e gli strati pi bassi certo flusso di materie aerose e liquide. Eb- bevi ancora radunamento di quel calore espresso dal 408 LIBRO TERZO. centro e il quale per la compattezza delle roccie del suolo abitato trova crescente difficolt di espandersi. Al che si agf;;iunse I' altro calore emesso dall' involu- ero della terra nel suo condensarsi e il quale parte raggiava nell'atmosfera e parte scendeva per diflfu- sione allo strato dove cessavano le cause della coer sione pi attiva e pi rapida. Di quindi le acque bol- lenti, le lave vulcaniche e i composti minerali che anno origine certa dal fuoco. Di quindi pure i terre- moti e il sollevamento delie montagne; fenomeni gi- ganteschi air occhio dell' uomo ; ma pure, per mio giudicio, assai poco profondi nella cagione ed origine loro se la si ponga in confronto della lunghezza del raggio terrestre. A. 410.  Nessuno qui obbietti che su nella luna, sebbene non sia vestigio di atmosfera gazosa  non- dimeno un involucro il quale appare assai pi com- patto e assodato del rimanente; il che s'arguisce con buona ragione dal sollevamento di enormi montagne e dalla frequenza dei crateri. 411.  Per isciogliere la obbiezione, baster sup- porre che quivi le sostanze aerose^ emerse dal fondo vennero al tutto assorbite dalle combinazioni chimiche con le basi metalliche od altri elementi ; nella maniera che sulla terra il carbonio dell' aria venne pressoch tutto assorbito dalla vegetazione (se  lecito dire) co- lossale ed esuberante delle prime et. Aforisho XI. 412.  Fu posto da noi per principio che all' etere appartiene di suscitare continuamente e in qualunque COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 409 luogo le forze dei corpi, tanto che non s' abbiano fer- mo riposo giammai ; ed anzi varcando d' un cambia mento in un altro pervengano infine a quelle compli- cazioni particolari e sintetiche alle quali intende la divina mentalit. 413.  Gi vedemmo che V etere, ancora che nel generale si equilibri con la forza di coesione, pure ad ogni momento o lo rompe o lo rinnova o lo varia e sempre con la virtii espansiva impedisce di quella forza il dominio soverchio e durevole. 414.  Vedemmo altres che le piii minute e spe- ciali combinazioni delle sostanze provengono dalle azioni chimiche, e intendiamo dire da quelle congiun- zioni e penetrazioni pi intime che accader possono fra materie differenti, onde poi nasce in natura la cooperazione del simile e la partecipazione del di- verso. 415.  Ma come ciascuna sostanza  fornita di c^^to essere inalterabile e le combinazioni di lei sono parimente determinate di qualit e di numero, occor- reva una potenza univei-sale e comune, la quale im- pedisse che, adempiute una volta in questo corpo e in cotesto tale acidificazione e tal combustione ed altri atti di affinit, ne seguitasse certa inerzia immobile e permanente o per lo manco un trasmutarsi ed un moversi troppo lento e troppo parziale. 416.  Quindi per insino dal suo primo apparire l'etere si mostr provveduto di certa efficienza operosa mediante la quale furono da ogni parte pi'omosse le affinit chimiche ; e per contra furono con gagliar- dezza estrema disfatte le pi tenaci affine di abilitare le sostanze ad altre ed altre senza mai numero. 417.  Questo nella natura  V ufficio massimo dello elettro-magnetismo ; e perci le correnti sue 410 LIBRO TEKZO. quanto si svegliano con agevolezza ad ogni mutare di stato dei corpi, tanto sono diffusive ed abbracciano forse anche tutta la terra e la pongono iu peculiare relazione col Sole, conforme accennammo in altra parte di questo medesimo Libro. Afobismo XII. 418.   nostra massima metodica (e T abbiamo scritta delle volte pnrecchie) il combattere vivamente l'abuso frequentissimo cLe fanno i fisici del principio di unificazione, tanto che ad ogni pie sospinto dimen- ticano le ragioni e cagioni del diverso e menano quar lunque cosa alla simiglianza e alla identit. Ci non ostante, trattandosi dell'etere, parvemi che l'unit sua si accordasse troppo bene alle nozioni dell'intelletto circa r originazione e 1' ordine della natura. Quindi noi non dubitiamo di asserire che luce e calore, elet- trico e magnetico sono funzioni e fenomeni d' una so- stanza medesima ; nel che oggimai convengono tutti gl'ingegni. 419.  Occorre per altro che i fisici maggiormente si assottiglino a rinvenire neir etere stesso un princi- pio essenziale ed elementare di differenza ; pel che i fatti spettanti al calore e alla luce rimangano natu- ralmente divisi da quelli che lascia scorgere l'elettro- magnetismo; non si potendo in guisa veruna confon- dere insieme le due serie di fenomeni ; tuttoch si accompagnino volentieri insieme e tengano proporzioni e corrispondenze esattissime in fra di loro e paiano procedere mutuamente l'uno dall'altro. 420.  Ma se il calore, per via d'esempio, suscita o modifica in molti casi l'elettrico e questo a vicenda pro- move il calore, invece di ricavarne argomento per 1 COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 411 loro medesimezza, credo all'incontro che se ne debba dedurre una prova di differenza. C!oncios8acL calore ed elettrico sebbene per mio sentire non si risolvono meramente in forma diversa di moto, certo col moto si manifestano. Ma in che guisa una stessa porzione di etei-e potrebbe in identico tempo pigliare il moto e le vibrazioni che sono proprie del calore e il moto e lo scorrimento che sono proprie dell' elettrico ? Certo, di due impulsi diversi dee di necessit risultare un moto che non sia propriamente nessuno dei due; men- tre nell'esempio allegato calore ed elettrico compiu- tamente si diitingiiono ne si trasmutano in cosa terza ma serbano e manifestano esattamente l'indole propria. Uopo  dunque di credere ad una distinzione e sepa- razione primitiva ed intrinseca nell'etere stesso. 421.  Pure i fenomeni della luce assai dispaiati in fra loro indussero gi alcuni fisici e geometri a credere che nel fluido etereo intervenga alcuna diver- sit originale e costitutiva come sarebbe un grado disuguale di addensamento ovvero di elasticit; ed alcuno pens a dividere l'etere univei'sale in zone va- riamente riscaldate. A noi l' elettro-magnetismo si rap- presenta come qualcosa di generale e comune ma tut- tavolta di men sottile e di pi veemente dell' altro etere. E mentre luce e calore risolvonsi il pi del tempo in moti di elasticit e vibrazione, l' elettro-ma- gnetismo scorre e fluisce con la propria materia quasi un'aria pi grossa che giri e viaggi nella nostra atmo- sfera. Quindi  pur naturale, come fu toccato altrove, che tal flussione di materia meno sottile e per meno elastica e pi resistente scomponga le pi intime con- 412 UlifiO TBZO. giunzioni delle sostanze prodotte dalla chimica affinit e superi la efficienza espansiva dell' etere calorifico. Perocch, s'ella  meno sottile a rispetto dell'altro etereo, vince nondimeno assaissimo la tenuit e mi- nutezza d' ogni forma molecolare. AroRisMo Xni. 422.  Resta che girando da capo gli sguardi della niente pel tutto insieme del cielo stellato e in quanto egli dee servire di mezzo e preparazione al mondo morale o finale che il domandiamo, si determini alcuna cosa di pi intorno al suo destino comune e all'ordine perpetuo delle sue parti. Noi producemmo pi sopra le sode ragioni perch neghiamo di credere che i mondi siderei compongano insieme una vivente organizzazione. Tuttavolta, dicemmo allora che i sistemi solari, le costellazioni e le coacervazioni di astri onde il firma- mento  cosparso non furono del sicuro disposti qua e l e ripartiti alla ventura. Ma i luoghi che tengono, le figure che formano e le connessioni e rispondenze che anno in fra loro tendono come ogni cosa in na- tura ad esaurire il Possibile e il Convenevole della materia strumentale e a moltiplicare e variare insino all'estremo la cooperazione del simile e la partecipa- zione del diverso. 423.  Per  da giudicarsi che tutti que' grandi membri del corpo immenso degli astri, se tal nome pu darsi a tutto il complesso del firmamento, sono chiamati a partecipare ed a ricambiare gl'influssi di- versi che emanano dalla tempra differente di ciasche- duno, come ciascheduno rcambier prima gl'influssi liversi de' suoi membri minori. Al che fare sar pro- veduto che l' un sistema solare circoli o in modo qua- COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 4 IH Ixinque s aggiri intorno o frammezzo ad altri. Poi venga quel sistema e cotesto o da s o con molti insieme rapito e aggirato in qualche sistema maggiore per ef- fetto forse di moti iperbolici, come sembra accadere dei moti erranti delle comete. Cosi  lecito di pensare che in lunghezza di tempo, maggiore assai d' ogni estimazione e computazione umana, ogni parte del firmamento visiter di mano in mano tutte le altre; imitando quanto  possibile a materia inorganica il corso e Taggirazione de* nostri fluidi vitali che trapas- sando per ogni viscere arrecano in quello la propria virti e per contra fanno gli elementi proprj parteci- pare alle qualit di tutti i composti pei quali trascor- rono e ne' quali s' infiltrano. 424.  Quando questa legge non si avverasse nel mondo sidereo, rimarrebbesi egli escluso dalla parteci- pazione del diverso ; mentre per ci che venne veduto ne' Libri anteriori circa all' ordine dei finiti, si conobbe essere legge costante e generalissima d' ogni parte del creato che da per tutto vi sia azione e reazione mediante il simile e il dissimile, l' omogeneo e l' ete- rogeneo, cos dentro a ciascun aggregato come di fuori. In quel modo, impertanto, che nelle picciole masse allato alla coesione opera l'affinit, certo fra i si- stemi solari oltre la legge meccanica del moto passivo ed attivo debbono svegliarsi molte influenze analoghe all'affinit o vogliamo dire all' azione dei differenti. Afobismo XIV. 425.  Dopo ci ed a fine che a noi torni fattibile di concepire una idea men gretta, meno determinata e pi esatta di tale coordinazione immensa e operosa doir universo, buono  di contemplar nel concreto e 414 LIBRO TERZO. per va d' esempio particolare e visibile alcnna di que- ste azioni continue dei mondi nei mondi. E per al- ziamo di nuovo gli ocelli lass nel cielo e rivolgiamoli in quella regione dove  distinta da minori e maggi Lumi, biancheggia tra i poli del mondo Galassia si che fa dubbiar ben aggi.  426.  Guglielmo Herchel, come altrove accennam- mo, scopriva che la Galassia piegasi in forma di anello la cui spessezza  poca, molto masjjiiore la larghezza della sua zona, smisuratamente pi grande la circo- lare lunghezza. A (}uli(^lmo Herchel sonihi eziandio, e il tedesco Argelander il venne poi confcrnuiiido, che il Sole co' suoi pianeti faccia parte della Galassia e che per entro di lei si mova con indicibile velocit verso un punto della costellazione di Eicole indicato dagli astronomi con la lettera Lamda, cio a dire che il Sole trovisi al presente verso il confino interior dell' anello. Ora, egli  da sapersi che Giovanni Plana geo- metra insigne speculando intorno a cotesti fatti e adattandovi ingegnosamente le leggi dell' universale gravitazione,  provato mediante suoi calcoli che una stella posta in sul lembo esterno od interno del gran- de anello della Galassia viene attratta di necessit verso il mezzo della fascia di quella; e quivi giunta poi non si ferma ; da che per effetto della velocit acquistata nel suo correre rapidissimo debbe oltre- passare il punto dell'equilibrio delle attrazioni e inol- trarsi infno al margine opposto del detto anello. Ove pervenuta e subito richiamata dalla gravit del punto mezzano ritorner indietro per l'acquistata accelera- zione e ri varcher da capo quel limite recandosi alla COORDINAZIONE DEI MEZZI NELL'UNIVERSO. 415 estremit esteriore; e cos di continuo e senza mai cessazione possibile discorrer fra i due termini come spola in telaio. 427.  Ma qui  bisogno di ricordare il nostro prin- cipio che pone e heogni corpo sidereo movendosi per ltrza attrattiva suscita eziandio in se medesimo una virt moti-ice che  sua propriamente ed attiva mentre l'al- tra  per eifetto di azione ricevuta e alla quale gli  necessit di obbedire. Da ci segue che il nostro Sole scorrer dall'uno all'altro lembo della via lattea non rincalca ndo le stesse orme ma deviandone sempre in onta misura; e cos avverr che egli per una strada serpepgiante si condurr a visitare tutte le parti del grande anello; e ci non una volta soltanto ma un numero indefinito di volte. 428.  Queste cose presupposte e accettate ognuno intende che elle si applicano molto bene cos al no- stro Sole come a tutte le st'lle che dentro al corpo della Galassia a lui rassomigliano. Laonde conviene figurare nella via lattea un intreccio maravigloso di astri ed anche di sistemi par/jali di astri che scendono e salgono a maniera di meandri e non senza modifi- cazione ed innovazione nelle qualit di ciascuno. Con- siderato che per avvisare un cotale efi'etto di mutazione basta supporre certa variet oiiginale e costitutiva di sostanza nei gruppi numerosi di stelle per mezzo ai quali scender prima e quindi ris^alir il nostro sistema solare o tutto solo od accompagnato con altro maggior sistema. 429.  N qui cadrebbe in acconcio la sentenza platonica che nulla si move dove tutto si move. Pe- rocch nella creazione corporale la quiete e la immo- bilit non essendo termine mai assoluto, baster dire che i movimenti delle parti della Galassia sono a pr- 410 LIURO TfiZO. porzione delle distanze lentissimi e che nel tempo che un astro si move, poniamo, dal lembo esteriore inyeno del mezzo, un altro per Io contrario vi torna onde la massa dell'anello pu dirsi che rimane sempre d'una forma e d' una quantit. Oltrech le stelle mezzane per virt di equilibrio negli impulsi attrattivi poco o nulla si sposteranno del luogo antichissimo, e col pure avverano esse il grande principio che sempre al- lato alla mobilit debb' essere la permanenza e aitato a questa il contrario suo. LIBRO QUARTO. DELLA VITA E DEL FINE NELL' UNIVERSO. IAMr4ni  n. CAPO PRIMO. DEL P&INGIPIO SPIRITUALE NELLA G08MOLOGU. I. 1.  Il finito pu dilatarsi in due modi ; o con la moltiplicit e contemperanza dei simili e dei diversi, e questo in Tane maniere secondo abbiamo avvisato pi volte; ovverq con lo spiegamento e perfezionamento successivo deir individuo, mediftnte una pateffza di facolt priginaro wT individuo inserite-per atto i creatone. Noi insino a qui abbiamo piuttosto accen- nato che definito Tessere individuale fornito d'assai facolt ed invece venimmo designando, come portava il subbietto, le limitazioni estreme e non valicabili entro le quali egli debbe rimanersi per le deficienze generali e non correggibili della finit. Oltrech, era conveniente considerare da prima il finito nella sua moltiplicit essenziale e le relazioni scambievoli delle sue parti, a cosi domandarle, in quanto possono fare uScio di mezzo. 2.  Noi delineammo nel primo Libro i confini estremi e negativi dell' individuo e vale a dire V ul- tima attenuazione dell'essere di l dalla quale pi 420 LIBRO QUARTO. non esiste subbietto alcuno determinato e concreU. Conviene al presente avvisare il termine opposto o cio insino a qual %egno pu venire alzata original- mente la forma individuale e impartibile d'un ente fi- nito e particolare. Conciossiach in questa soltanto dee potersi attuare il fine delia creazione cbe  la dispen- sazione massima del bene assoluto. E la capacit del bene guardato soprattutto nella specie pi alta che  la beatitudine, ricerca gran perfezione di essere. N basta che la natura inferiore aiuti e cooperi tutta- quanta in condizione di mezzo e strumento. Imperocch n i mezzi n gli strumenti valgono a tramutare la essenza del subbietto sostanziale che ne fa uso. Senza dire eh' egli debb' esser fornito della facolt per ap- punto di coordinarli e metterli in opera ; e tanto me- glio vi riesce quanto pi signoreggia i mezzi e gli strumenti. Cotesto finito, pertanto, che dee racchiudere in s una qualche ragione di fine, dee per ci racchiu- dere molta perfezione propria e maggioreggiar gran- demente in fra la moltitudine sterminata degli enti che anno sola ragione di mezzo. 3.  E subito si raccoglie da ci perch entrando a meditare sul Fine l'abbiamo altres chiamato il principio spirituale della cosmologia. L' individuo ca- pace di bene  per necessit incorporeo; stan teche in- dividuo vero non sarebbe, se non fosse impartibile e semplice perfettamente; e non sarebbe partecipe d'al- cun vero bene, quando fosse sfornito di volont e con- sapevolezza le quali sono potenze che non anno na- _ tura estesa e materiale. Per dilatazione poi dimanderemo^ spirituale eziandio l'essere provveduto di virt appo- ititiva piuttosto che di volont, e li cui beni sono cenni ,e vestigi del bene vero come scorgesi chiaramente n(g1i animah* bruti. DELLA VITA E DKL FINE NELL'UNIVERSO. 421 II. 4.  Per incontro alle toccate perfezioni dell' in- dividuo etanno le perpetue necessit del finito che noi rassegnammo nel primo Libro. Egli debbe posse- dere nell'intimo suo, e cio nel subbietto siccome tale, una forma di essere tanto determinata quanto sem* plice. Quindi egli non pu assumere questa entit e quella e quell'altra ad un tempo. A guardar la cosa in astratto, diresti che gli possono Tenire attribuite originalmente moltissime facolt ed anzi innumerevoli. Ma prima, dovendo riuscire omogenee col loro princi- pio 0 subbietto, ognun vede che al numero e alla va- riet loro sono assegnati certi confin di l dai quali quelle potenze e attitudini o comincerebbono a farsi non coerenti e sproporzionate o l'adoperamento loro non tornerebbe agevole, simultaneo e fruttuoso quanto conviene, e diverrebbe di pi in pi complicato e con- fuso. Tutto il che viene a ripetere la sentenza espressa nel cominciamento di questo trattato, e cio che il finito  l'opposto della Unit; e l'individuo non pu aver perfezione se non in quanto partecipa della uni- t; e s' intende della piena unit, non della vuota ed astratta. * ' /   . 5.  In secondo luogo osserviamo che l'individuo del quale si parla non dee venir riguardato rispetto solo all' infinito di potenza che crea il mondo. Impe- rocch simile potenza  quattro termini esteriori in veduta e sono, qualmente si spieg nel secondo Libro, la Possibilit, la Convenienza, 1' Attivit e la indefinita Partecipazione. La potenza increata ricusa per s di riconoscere altri limiti salvo quelli del possibile. E iV altra parte la infinita sapienza ponendo con inefl^a* 422 LIBRO QUARTO. bile arte ogni cosa in suo luogo, tempo e cougiuntiire migliori serve mirabilmente alla latitudine sterminatii dei possibili. Seguita la bont sempiterna, che volendo attribuire la massima fruizione del bene agli enti finiti debbe condurli al grado massimo dell' attivit, che  insieme la pienezza e V apice delkt vita. In ultimo, tutto questo debbe venire distribuito s fattamente, che ne risulti sempre ed in ogni dove il bene maggiore al maggior numero di creature. Quindi bisogna che l'attivit e la vita si compiano nella intuizione e partecipazione diretta dell' Assoluto. Da ci risulta che le molte necessit e angustie avvertite nel pri- mo Libro intorno alla finit, non pure non si dile- guano mai assolutamente sotto gl'influssi dell'infinito; ma nemmanco nel generale possono gli enti finiti ri- moverle e dilungarle a un tratto da s con ismisu- rato intervallo; ma ogni cosa nel mondo comparir procedere verso la perfezione sua con gradazione, tar- dit, contrastamento e lavoro. III. 6.  Pur nullameno, quel quanto di vera unit e di vera individualit che possiede il finito capace di alcun grado di bene lo rende altamente superiore di nobilt, di efficacia e di virt organatrice a tutti gli elementi del mondo meccanico e chimico e a tutti i com- posti loro. Per fermo, ciascuno di tali elementi  agli al- tri simigliantissimo in quanto n li soverchia di potenza e di facolt in modo da subordinarli a s, u molt con Tessere che  ragione sola di mezzo. ' 11.  La serie poi dei principj spirituali debbo riuscire innumerabile nel quale e nel quanto come tutte le serie della natura, non dimenticando noi per altro che laddove apparisce la vera mentalit, la viva / coscienza e simili eccelsi attributi della personalit, co- / mincia una categoria d^ individui supremamente pi nobile per lo intervenimento d'un principio al tutto diverso che  la congiunzione dello spirito con la infi- nita idealit. ^* ^''* -' - ' - '- '. ' 12.  Ora non pu negarsi che ragguagliando ^ l'atomo materiale con uno di tali individui, ci pare di scorgervi una diversit immensurabile. Tuttavolta essa rivolgesi, chi ben la guarda, in negazione piutto- sto che in altro ; e s' intende che l' atomo materiale t manca di tutta quanta la nobilt e splendenza di es- ^ sere notata qui sopra nell'individuo razionale; e nondimeno, 1' atomo  questo di comune con esso in- dividuo che ancora che comparisca sempre esteso e composto, pure convien pensare che termini in punti non divisibili o vogliam dire in subbietti semplici e inalterabili, e che per 1' atomo, o meglio ciascuno di essi punti pu congiungersi all' individuo spirituale 426 LIBRO QUARTO. con varj legami di causa e di effetto; e cio, da un canto con legame reciproco di azione eflSciente in quello che i due subbietti anno di simigliaute (sia poco od assai) e l'individuo  d'inferiore (se pu dirsi) nei Irradi dell'essere; e d'altro canto con legame di ecci- tazione o di semplice occasionalit per le parti supe- riori e le pi differenti dall' uno all' altro. 13.  N gi si nasconde che la materia pur rice- vendo r atto efficiente dello spirito, e quando anche non lo ricambi, rivela con ci solo qualche rapporto di simiglianza; imperocch il tutto diverso nettampoco  passivo e non  facolt di accogliere l' atto este- riore diverso. Ma ricordiamoci che fuori degli op- posti i quali si negano compiutamente, il simile e il differente non sono assoluti, e che il tutto diverso venne per appunto definito da noi quella specie di en- tit che oltre al differire sostanzialmente da altro es- sere, nettampoco gli si connette per qualunque rela- zione causale attiva o passiva. 14.  Nessuna impossibilit metafisica  da ricono- scere per tanto nella congiunzione temporanea ed ac- cidentale dello spirito e della materia. L'atomo ma- teriale sempre si accompagna coi simili a lui; e intendi ch'ei si manifesta e opera sempre come un aggregato { e un composto. Ma ninno  provato e non vi perverr, credo, giammai che al semplice venga interdetto di . congiungersi in una volta con parecchi semplici ossia col conjposto. Che s'egli si pu congiungere, pu ezian- dio ricevere i loro atti, tanto che facciano uno dentro al suo spirito, e fuori dello spirito si dividano nel mol- i teplice. 15.  Vero  che i semplici corporei, o vogliam dire gli atomi, sono sempre estesi laddove lo spirito  compiutamente inesteso. Ma si badi che eziandio gli DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 427 atomi negli estremi loro elementi sono inestesi salvo i cbe sono congiunti allo spazio e nello spazio appari- ' scono ; quindi V azione loro cumulativa si manifesta mai sempre in certa estensione e genera il fenomeno del continuo resistente. E questo medesimo spazio, nel subbietto universale che , riesce cosa impartiiiile, e tutti i suoi modi estensivi e quantitativi risolvonsi in meri fenomeni. Che cosa, irapertanto, debbono venir giudicate le divisioni e separazioni materiali? Certo, disgiungi menti di gruppi di forze accompagnati sem- pre da fenomeni rispettivi di estensione e di spazio e i quali disgiungimenti mai non fanno sparire in com- piuto modo i gruppi medesimi e solo li smembrano e li assottigliano. 16.  Ma le forze corporali o gli atomi per essere immancabilmente congiunti allo spazio non per ci s' immede&imano al tutto con esso. Chi pensa tal cosa, confonde la identit dell'essere con la congiunzione degli esseri. E parimente la espressione che gli atomi sono nello spazio vuole a giusto modo significare certo atto di congiunzione e non mica una sostanziale ine- renza come parrebbe indicare il segnacaso in e come si avvera, per esempio, nella virt motrice ; dacch la virt motrice  inerente in fatto agli atomi o forze movevoli ancorach V eflFetto si manifesti quindi al di fuori per fenomeni di spnzio. 17.  Perch poi ciascun atomo di materia si trovi in questo originale e, a ci che sembra, essen- ziale congiungimento con lo spazio di guisa che ogni operato loro non mai si discioglie da qualche fenome- no di estensione, io non V andr ricercando ; atteso che credo dover rimanere sepolto alla umana meditazione,  e solo  da concederne la notizia e la scienza a coloro che convertono lo spazio nella esteriorit deiridea o ft-" 428 LIBRO QUARTO. creano l'estensione col punto e col tempo; il primo che non  fiato di estensione, il secondo che  succes- sione ma non  spazio ne moto.^ ( 18.  La monade spirituale perfetta del sicuro  . ^ fuor dello spazio e la sua essenza non punto la lega / ad esso a maniera indissolubile. Tutta volta, congiun- gendosi intrinsecamente con gli atomi materiali, si congiunge altres allo spazio sebbene accidentalmente e mediatamente; e ancora che non sia estesa, opera nello esteso. Intendo per monade spirituale perfetta l'anima razionale. Rispetto alle monadi vegetative ed \ organiche, le quali per dilatazione appelliamo principj spirituali, discorreremo tra breve. 19.  Dopo ci, dimostrato avendo che tra la ma- . teria e lo spirito non sono impossibili le relazioni I causali e la penetrazione degli atti, noi per iscansare la. malagevole spiegazione e dichiarazione di tali rap- porti non cadremo in verun paradosso, come fecero pi metafisici, ora negando la esistenza della materia, ora quella dello spirito ed ora trasformando a piacere r uno neir altro, ovvero immaginando teoriche le quali se forse scampano dalla suddetta difficolt, rovinano in parecchie contraddizioni, siccome incontra, per mio giudicio, all'ipotesi dell'armonia prestabilita e alla dottrina che domandano occasionalismo. 20.  Per fermo, qualora si ammetta come verit chiara e patente che la idea o possibilit astratta che / la si chiami tiene facolt di attuarsi nella natura finita e particolare e dall'eterno discendere nel tem- porale, dall'assoluto involgersi nel relativo e farsi larga, lunga e profonda, ogni cosa apparentemente  spiegata e tutto pu uscire da tutto. Ma coleste me- H^gel. DELLA VITA E' DEL FINE NELL'UNIVERSO. 429 tamorfosi sono pi incredibili assai di quelle dei poeti, e coDvien ripetere con V Alighieri  Taccia di Cadmo e d'Aretusa Ovidio. > V. 21.  Ne d'altra parte professandosi invittamente da noi la dottrina delle essenze diverse ed inalterabili possiamo in nulla partecipare alla opinione oltremodo ^ n diffusa al di d'oggi in Alemagna che la materia e lo ^ spirito sieno termini relativi e nulla d'assoluto non sia neir uno e nell' altro. Vero  bene che non accade di porre fra la materia e lo spirito quell'abisso pr- / fondo n quella specie di alienazione e di odio che vi / pone il volgo, tanto che la materia diviene sinonimo di tutti i mali e d' ogni sconcezza e bruttura. Che se fosse tale, nemmanco sarebbe mezzo e strumento a buon fine. 22.  Alla psicologia^ poi appartiene il mostrare . con prova apodttfca cie la sensazione e la percezione porgono notizia certa e scientifica'^della sussistenza dei subbietti esteriori corporei e dovere in questi spiegarsi un ordine di qualit e di atti correspettivi ai feno- n meni eh' essi subbietti medesimi promovono od occa- . sionano dentro di noi. Similmente mostrano le dottrine da me professate che il concetto chiaro e peculiarissimo del fuori di noi ci attesta per s solo la realit dello spazio; tuttoch non sappiasi definire preciso nei fenomejii dell' esteso e del resistente continuo quello che lo spirito v'intro- duce, ossia il modo col qual riceviamo l' atto della re- sistenza esteriore corporea e pi in generale le formo e determinazioni dello spazio. 430 LIBRO QUARTO. 23.  Concedesi volentieri che la distinzione fra le (jualit primarie e le secondane de' corpi non esce da diversit veruna di essenza; e che le une e le altre sorbano l'alternazione di una serie di fenomeni alla quale risponde una serie obbiettiva e reale di qualit, di atti e di relazioni. Per fermo le qualit domandate primarie sono le piii generali e costanti. Laddove le se- condarie dipendono in buona parte dalla costituzione e passione de' nostri organi. Ma questi medesimi organi sono pur fuori dell' anima, e la loro sostanza e disposi- zione soggiace a frequentissime modificazioni dallo spi- rito indipendenti. Egli  il vero, per via d' esempio, che, tolto di mezzo l'apparecchio dell'organo dell'udizione, non si sveglierebbe entro noi la sensazione dei rumori ve dei suoni. Ma eziandio quell' apparecchio mirabile \tornerebbe inoperante ed inutile, quando 1' aria non fosse capace di quei tremori cosi svariati le cui leggi impariamo nei libri di Acustica. 24.  Bimane, pertanto, certissimo che fuori dello spirito sussistono i corpi ; ed ogni genere di percezione rinviene all'esterno un certo ordine correspettivo di fatti e certe rispondenze continue ed esattissime nello stato di essi corpi. 25.  Queste generali distinzioni e definizioni tra la natura di mezzo e hi natura di fine occorrevano al principio del Libro presente; le quali poi ci condussero per legamento logico a discorrere per sommi capi della diversit e dei legamenti causali tra la materia e lo spirito. Seguita che noi raccogliamo, secondo nostro uso, la sostanza del tutto in certo numero di aforismi, porgendo al lettore quel saggio di teorica deduttiva che non  temerario oggi d' iniziare e di esporre in- 'torno al proposito. DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 431 CAPO SECONDO. PBIHI AFORISMI SULLA FINALIT DEGLI ENTI CBEATL AroRiSMO I. 26.  Poich v'  uno stupendo e immenso apparec- chio di mezzi, certo l'universo racchiude eziandio altret* tanta varet e immensit di esseri in cui si attua e splende la ragione del fine. E come per la contempla- zione del fine siamo pervenuti a determinare per ad- dietro la natura dei mezzi e degli apparecchi, ora dalla cognizione di tutti questi proceder la notizia deter* minata e particolare degli enti inverso de' quali sono disposti e coordinati. 27.  Gli enti con ragione d fine parrebbe doves- sero riuscire pi numerosi degli altri in quanto la na- tura pone volentieri in opera un mezzo solo al conse- guimento di pi fini, come la lingua e il palato che servono s . al tatto, al gusto e alla prima digestione e s alla parola ed al canto e quindi al pensiero ed all' arte musica. Ma viceversa, la natura adopera al- cune altre volte pi mezzi in verso ad un solo fine ; come quando nei vegetabili accerta la propagazione delle specie e con la fecondazione e con i tralci e i germogli e persino con le semplici foglie. Ma questo 432 LIBRO QUARTO. computo non  agevole a farsi ed anzi impossibile. Dacch i fini relativi e inferiori sono mezzi e strumenti a fini piii alti e prossimi all'assoluto. E d'altra par- te, se ogni atomo di materia  ragione di mezzo e tu lo consideri com' esistenza separata, la loro moltipli- cit oltrepassa ogni proporzione con l'altre sorte di osseri. Ad ogni modo, l' esperienza ed il raziocinio s'ac- cordano ad attestare che quanto gli esseri sono pi perfetti e per partecipano con pi abbondanza del yfine, altrettanto riescono meno numerosi perch sono vi' ultimo effetto del travaglioso operare di mille cause , minute e l'ultimo risultameuto di lunghe sene di ostacoli superati e d' insufficienze supplite. Afobismo il 28.  Chiaro  che la onnipotenza della cagione spiega eziandio negli enti finali la sterminata moltipli- cazione dei generi e per del diverso; e nei generi la sterminata moltiplicazione delle specie e per del vario ; spiega poi altrettanta moltiplicazione degli individui e per del simile in ciascuna diversit di genere e varianza di specie. 29.  N appo gli enti che chiamiamo finali il di- verso si stringe alla sfera della quale ci  lecito pi- gliare alcuna notizia od alcuna divinazione; ma qui pure noi replichiamo che i confini dell' affatto diverso si stanno estremamente remoti e di l. dal segno d'ogni nostra immaginazione e cogitazione. Eccetto che, trattandosi di esistenze in cui s'adempie il bene vero e reale, forza  che vi apparisca 1' unit del- l'individuo l'attivit e l'intendimento; soppressi i quali,  pure il bene vero soppresso, nel modo che venimmo sponendo in altra parte dell'opera. DELLA VITA B DEL FINE NELL'UNIVERSO. 483 Aforismo in. 30.  Nessun principio ristringe la reiterazione di u medesimo qualora non ne venga impedito ; quindi n la reiterazione, pure degli enti finali  per se alcun termine. Imperocch noi vedemmo nei Libri anteriori che la creazione  incessabile ed  tale in tutte le cose e non meno rispetto alla quantit che alla qualit. I limiti poi dell' una e dell' altra provengono dal dover essere i finiti mutuamente compossibili e del pari dal non riuscir compossibili certe mischianze molto com- plesse e estremamente implicate dell'identico e del differente. Perci nel generale tanto pi di leggieri moltiplicano gli enti organati quanto sono pi sem- plici. 31.  Ma la vita sar da per tutto dov'  materia ca- pace di qualche organismo ed avr limite pi presto dal lato della materia che dal lato dei principj vivifica- tori ; conciossiach a questi non sono prescritti i confini di certo spazio e di certa misura come al pianeta che abitiamo. La qual verit  testimoniata con abbon- danza dal fatto. Che veramente i germi vitali sono in- finiti n v'  minima parte dell' aria, della terra e del- l'acqua dove non dimorino, solo aspettando che le forze e disposizioni ambienti permettano loro di svi- lupparsi. E quello che l' esperienza ci mostra d'intorno a noi dobbiamo pensare che accada in qualunque lato del mondo visibile dove sia materia disposta ad orga- nizzazione e in altri mondi eziandio non visibili, ai quali non pu mancare n l'ordine degli enti finali n certa concomitanza d'idonei mezzi e strumenti. Mamiani. - li. ^M 434 LIBRO QUARTO. 32.  Degl' insetti si conoscono a un dipresso cento ventimila specie diverse e v'  alcuni luoghi in Ame- rica dove sono copiosi e molesti al segno da fare im- possibile all' uomo il viverci. N alcuno ricerchi se le miriadi di tali enti nocivi od inutili adempiono la fina- lit ovvero la contraddicono. Primamente, la forza vi- tale espande se medesima per la necessit sua intrin- seca ; e di tutte le combinazioni fattibili fra la materia e un principio vitale qualchesissia nessuna pu man- care di effettuazione se forze contrarie non interven- gono. E le forze contrarie non punto difettano qualora si volga r occhio alla totalit dei fenomeni. Nel vero, molte specie d'insetti depongono le uova loro sulle, larve di altri iisetti i quali con lo schiudersi di quelle uova rimangono uccisi ; senza parlare del gran nume- ro d' uccelli e d' altri animali che se ne cibano conti- nuamente e pur tacendo della hmitazone che reca assai volte al lor propagarsi la scarsezza delle piante di cui si nudriscono. Ma l'arte e perseveranza del- l' uomo giunge a purgarne l'aria ed il suolo con suffi- cienza; e quando gli fosse spediente di far dimora nelle vallate dell' Orenoco test ricordate, rinverrebbe certo alcuna maniera di liberarsi da quelli sciami fastidio- sissimi. 33.  Del resto, tali cento venti mila specie d'in- setti ci dimostrano da capo la infinit del possibile a rispetto dell' organismo. Ma la saggezza altres infinita che abbiam chiamata arte divina di Conveni'nza ci  sopramodo pi malagevole a discuoprire e ad inten- dere in tale subbetto perch dei rapporti innumera- bili che legi^ quella sorta di viventi alla economia uni- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 435 versale del inondo, appena nna minima parte ci  co- nosciuta. 34.  Venne fatta da parecchi fisiologi una sin- golare investigazione e fu di sapere se la quantit della vita scema sul mondo o s' accresce, ovvero se nei confini medesimi si conserva. E come spunt fuori il pensiere d'introdurre la quantit nella vita? Puoi tu contarla veramente a pezzi e minuzzoli? e di qual mi- sura ti servirai nel tuo calcolo? Certo  impossibile avvisare e sapere la quantit estensiva degli enti or- ganati se intendiamo per ci il numero degl'indivi- dui ; ed esso non  mai fermo un solo momento ; ma varia continuo pel variare degli accidenti. Sapere il numero delle specie  cosa fattibile, sebbene lunghis- sima e travagliosa e sempre mai incompiuta ; che le specie minutissime si nascondono ad ogni ispezione la pili diligente; oltre il dover noi per sempre ignorare le specie innumerabili apparse nell' epoche geologiche e delle quali non  rimasta veruna spoglia e vestigio. Sopra tutto ci riluce una .sola massima generale ac- cennata da noi delle volte parecchie, e cio che l' infi- nito del possibile dee comparire nell'organismo quanto nella materia inorganica. 35.  Meno singolare a noi sembra il chiedere in- torno al proposito la quantit intensiva, e intendiamo se va declinando o crescendo sulla faccia del globo la vita pi ricca di facolt e provveduta di maggioro eccel- lenza di organi. Sotto questo rispetto e ricordando le cose per addietro ragionate non si dee dubitare che sul nostro globo crescendo l' attuazione del fine vi cre- sce altres la perfezione della vita ; al che basterebbe la maggiore propagazione e la migliore civilt dol g- 436 LIBRO QUARTO. nere umano. Ma v' di pi; che Tuomo, conforme si toccher in altro luogo, pur seguitando il proprio in- teresse e l'intento dell'utile, mantiene e propaga ab- bondantemente le specie animali meno imperfette cho sono quelle in cui si aduna, per si dire, la maggiore in- tensit della vita. Afobismo IV. 36.  Coteste esistenze qualichessieno se anno ra- gione di fine sono superiori e pi nobili al risconta) di ogni mezzo. Ma nell' ordine delle realit, ci che  superiore e pi nobile significa una reale maggioranza nelle primalit dell'essere, come la potenza, l'unit, la individualit, la vita e simiglianti. Maggioreggia, dunque, cotesto essere, e vale a dire eh' egli  fornito di pi attitudini; quindi partecipa di qualche grado di pi alla unit vera, la quale consiste non nell'at- tenuazione estrema e indivisibile dell'esistenza ma nella sua pienezza che  tutto e semplice al tempo medesimo. 37.  Simile ente finale avanza in dignit e su- pera d'importanza tutti i sistemi solari aggirantisi per lo spazio. Onde fu molto bene asserito che la gran- dezza smisurata d' un astro e la sua lucentezza con- tinua e la sua durata quasich eterna e la velocit portentosa danno meno da pensare e maravigliare al filosofo che una farfalla od altra sorta di vivente seb- bene non vi risplenda se non il fine relativo e qual pu uscire dalla cospirazione di puri mezzi naturali. 38.  Ancora si pu notar con ragione quanta parte del mondo corporeo piglia nobilt e importanza DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 437 dal nostro spirito per le relazioni che questo v' induce con r assoluto del vero e del hello. N vuoisi dire -con ci che la natura non sia ne vera n bella* Coucios- siach i termini della relazione come possono rima- nersi alieni dalla essenza di lei? E d' altra parte, ogni rivelazione dell' Assoluto nell' uomo non  subiettiva ma sostanziale e obbiettiva. Certo, la soavit e va- ghezza delle armonie non  originata dalle ondula- zioni e vibrazioni sonore dell'aria, s bene dalle in- tuizioni nostre della bellezza musicale ; e si afiFermi al- trettanto per la leggiadria dei colori e la magia delle prospettive.  il diamante carbone impietrito e la perla una escrescenza forse morbosa d'alcuni molluschi. L' oro e l' argento giacciono informi e appannati den- tro le roccie. Ma trapassate queste cose alle mani del- l' uomo acquistano avvenenza, espressione e decoro di arte plastica. Per simile, il fluido elettrico gira le sue ;--. ^c//^/,. . 60.  Sul che quando si voglia discorrere con ar- gomenti sperimentali, credo la scienza conceda di ri- spondere risolutamente di no e mostrare per via di fatto che tra il mondo chimico all'etere mescolato e il principio spirituale perfetto, o vogliam dire l'anima razionale, interviene un' altra efficienza domandata dagli antichi con somma acconcezza anima vegetativa. ' 61.  Ma ragionandosi api/on, come  nostro istituto negli aforismi, non iscorgiamo con quali massime on- tologiche e di assoluta dimostrazione sia lecito di pro- vare la necessit di tale intermezzo. 62.  Salvo che a noi non dee mai cadere della memoria che l' attivit umana intera e tutto V essere suo mentale e morale furono prima unicamente in 446 LIBRO QUARTO. potenza; e per condurli in atto fu senza meno mestieri d' una lunga serie concatenata d* impulsi esteriori ; da poich of;ni forza attiva creata  il primo impulso fuori di s. 63.  Non s' intende, per tanto, come essa anima avrebbesi costruito l'organo intero con le solo sue facolt, le quali nell' ultimo nulla non anno che fare con la materia con le forze chimiche e le figure dei corpi e venendo l'organo stesso fabbricato e foggiato con fine di suscitare e spiegare esse facolt. 64.  Dopo questo, diventa chiaro che la risolu- zione del dubbio test espresso dipende dalla diversi- t dei supposti. Essendo che tu puoi concepire molta, poca e nessuna omogeneit di natura tra il principio spirituale e il mondo circostante in mezzo del quale ap- parisce. Quindi seguita che laddove interviene distanza grandissima fra i due termini, occorre che alcuna cosa tramezzi per accostare gli estremi, e il contrario ac- cada nel contrario supposto. Ci  lecito di asserire in universale e per astrazione. Nel caso, dunque, specificato , dell* uomo e della materia bruta, la scienza non potr  spegnere il dubbio in altra maniera salvoch parago- nando intentivamente i concetti che possiede circa la i natura ed essenza di quei due estremi; e chiamandoli noi di tal guisa, come porta la verit delle loro no- zioni, pensiamo di non lasciare senza risposta positiva o precisa il prefato quesito. 65.  Aggiunge a tutto ci l'esperienza che veramen- te la vita vegetativa apparisce spiegata e in certo modo compiuta eziandio col dove del sicuro non  anima, come nelle piante. E la simiglianza negli elementi, BELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 447 nelle forme e nel processo compositivo  tanta, da fare probabile assai V intervento della cagione medesima nelle due sfere di viventi. Che se Tuomo fabbricasse Finter organo proprio con le sole sue facolt, onde mai procederebbe eh' egli non possa governarlo sovente- mente a sua voglia e la pi parte delle funzioni de' vi- sceri suoi si compiono senza che egli o le cominci o le tronchi o le modifichi in niuna guisa e n' abbia per lo manco un sentimento spiccato e immediato? Del pari, quando sia 1' uomo unico autore e costrut- tore degli organi proprj diventa inesplicabile quella soggiogazione asprissima che talvolta g' impongono e quella specie di sudditanza continua che ad essi lo lega per pili rispetti e in pi cose. J / / AF0BI8M0 Xni. 66.  Debbesi, adunque, affermare che fra il prin- cipio spirituale perfetto e quella materia predisposta di cui facemmo descrizione intervenga un altro prin- cipio non forse materiale ma inetto ancora per s ad effettuare il fine, sebbene lo apparecchia meglio di tutte l'altre disposizioni del mondo fisico; ed  ci che i naturalisti anno domandato pi propriamente organismo o forza vitale. Afobisho XIV. Questo mena il nostro discorso a ragionar della vita che  il subbietto fondamentale e il pernio intor- no di cui s aggira, pu dirsi, tuttaquanta la scienza del Cosmo; perocch ogni ente nella natura vive o i^erve alla vita. 67.  Diciamo, avanti ogni cosa, che la vita nel 448 LIBRO QUARTO. SUO concetto pi universale e pi vero  sinonima essa ancora della finalit e del principio spirituale perfet- to, siccome vedemmo questo medesimo diventar sino- nimo della perfetta individualit. Cotesti termini, adunque, si convertono tutti 1' uno nell' altro, perch esprmono in sostanza una cosa identica. 68.  Salvoch il concetto di vita  degli altri pi sintetico; n solo racchiude la idea del fine attuato o che viensi attuando, ma collegasi in modo strettis- simo all'idea del mezzo e dello strumento. Concios- siach noi dobbiamo definire la vita in universale: la esplicazione e perfezione delV individuo in ordine ai bene mediante un acconcio organismo, 69.  Qui, coin scorgesi a prima giunta, viene contemplato il principio spirituale perfetto, dappoich tale  il vero individuo. Del pari, vi viene contemplata la finalit, perocch questa convertesi in tutto col possedimento del bene ; e V attuarsi di lei importa pre- ciso la esplicazione e perfezione dell'individuo in or- dine al bene. E ancorach la finalit richiami per se medesima il concetto respettivo del mezzo, pur nondi- meno r idea universale di vita lo richiama ad una o lo determina quanto bisogna, perch costringe a pen- sare al mezzo acconciamento disposto e coordinato ad intima unione con l'individuo. Afoeismo XV.  non meno evidente che in questa nostra defini- zione la vita  assunta nella sua verit e pienezza quanto al mondo creato; che della vita sempiterna di Dio non esitiamo a dichiararci molto ignoranti. 70.  Perci, se la vita non prosegue a tradursi in esplicazione e perfezione dell' individuo in ordine al DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 449 bene, noi manteniamo che sar vita dimezzata e non vera, come non vero e dimezzato e solo apparente riuscir il fine ed il bene che debbo quella infor- mare. 71.  Chiamisi pure organismo la vita e facciasi pure tutta la vita consistere nell'organismo; questa accezione  meramente fisiologica ed un accomuna- meuto di nome alla parte strumentale insieme ed alla finale. Laddove poi balena il senso la fantasia ristinto ed altri cenni fugaci di alta e spirituale unit, come appo gli animali bruti, quivi dimora non la pie- nezza ma la pi o meno partecipazione della vita. N di- ciamo diversamente per la esistenza stessa dell' uomo individuo s' egli interrompe ed annulla l' esplicazione e perfezione del proprio essere in ordine al bene. Che se tale svolgimento e progresso adempiesi invece per la maggior parte nel corpo sociale umano e per la virtii e l'opera di esso corpo, noi dobbiamo nondi- meno valutarlo unicamente per quella porzione che ne deriva a ciascun individuo, a cui cresce effettualmente la perfezione crescendo la civilt generale. 72.  Concludiamo che per la nostra definizione l'ente organato vegeta bens ma non vive; l'ente ani- mato non provvisto di ragione e moralit nemmanco' vive ma solo partecipa tanto o quanto all' atto di vita. E che similmente sarebbe da dire partecipe soltanto di vita ogni uomo individuo quando egli non isten- desse nella eterna durata l'esplicazione del proprio essere mediante l' attivit propria sovvenuta da con- veniente organismo. 73.  La vita adunque non  delle cose comuni- cabili ma si ristringe nell'individuo. Quindi se fuori dell' unit sostanziale si spegne, la vita dei generi en- tra nell'ordine delle astrazioni. lliMURi.  n. 99 450 LIBRO QUARTO. Afobismo XVI. 74.  Eziandio, per la definizione addotta, quanto  necessario il concorso dell'organismo altrettanto egli pu risultare di essenza differentissima; e dalle forme materiali ascendere in altri mondi a forme so- praeccellenti e proporzionate a principj spirituali molto pi alti o meglio assortiti. 75. Perci nell' ordine intero del mondo organato e vitale la natura dee procurar sempre di giungere air unimento migliore dell' ottima materia organica e dell' ottimo principio spirituale. Tra questo termine di perfezione e il pi lontano e difettivo cominciamento ogni cosa piglia luogo nella serie degli organismi in- termedj e preparatorj. E vuoisi in ci riconoscere una massima fondamentale della scienza del Cosmo. A, 76.  Se pertanto nel mondo vitale terreno l'uomo  comparso nell'ultima consumazione dei trasmuta- menti materiali ed organici, egli congiunge del sicuro ]ieir essere proprio la perfezione ed unione migliore dei due termini anzidescritti, sebbene noi la giudi- chiamo divisa per troppo grande intervallo dall'arche- tipo eccelso a cui tende egli e sospira, tanto che le reli- gioni pronunziano quasi tutte il dogma della decadenza. Aforismo XVII. 77.  Ma per compire le dichiarazioni che fanno mestieri alla nostra definizione la quale dee contenere tutta la sostanza di questo capo,  bisogno incora DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 451 specular m^lio V ultima frase : mediante tm acconcio > organismo^ e conoscere se v^ rinchiusa ogni sorta e ogni condizione di mezzo, ed  capace di tanta gene- ralit quanta si contiene nella nosione della vita. 01- trech bisogna far disparire qualche apparenza di / incongruit che forse taluno creder scorgere fra V afo- 1 rismo precedente ed il VII. 78.  Senza dubio, il mezzo migliore onde l'ente animato  potenza di operare intorno di s sulle esterne cose  l'organo, il quale si unisce in modo con lui e segue e seconda le sue impulsioni al segno da com- i parire una (fuasi espansione della propria sostanza. Ma  d'altro canto, tale soggezione medesima e tale adatta- mento perfetto importano che la natura dell' organo sia inferiore a quella dell' ente organato. E posto che sia inferiore, non avr efficacia e non recher utile che sopra un mondo altres inferiore. Che  il caso defi- nito di sopra nell' aforsmo VII, e il solo che . porge subbietto ai nostri studj sperimentali. 79.  Ci veduto,  da ricordare che il bene, il quale significa eziandio il fine e per nota il ritorno della creazione al principio suo, distinguesi in^relativo ed in assoluto. Nel primo  un vestigio e una transitoria similitudine del secondo, ed  proprio degli enti finiti in quanto finiti e per ci che operano nella cerchia dei beni creati. Seguita che il pi maraviglioso ed efficiente degli organi, quando anche signoreggi la natura intera e r usufruisca, non attinge nessuna parte del bene as- soluto; il quale poi diviene accessibile a certa schiera di viventi, conforme il modo e il grado di congiun- zione che accade fra lui ed essi, introducendosi nel- l'ordine della finalit un principio diverso e alla na- tura superiore. Da ci discende che l' organo il quale aiuta al conseguimento dei fini relativi non pu non 452 LIBRO QUARTO. differire sostanzialmente da quello che innalza il vi- vente alla fruizione del bene sovraniondano. 80.  N solo questo secondo dee differire sostanzial- mente dair altro, ma occorre innanzi tutto considerare se sia conveniente e fattibile. Attesoch abbiamo fer- mato pi sopra che T organo, quando non muti di so- verchio la significazione del nome, tramezza tra un principio spirituale superiore e una creazione inferiore. Ma trattandosi del bene assoluto, 1' ordine fra il prin- cipio il mezzo ed il fine  invertito ; e il fine essendo superiore d'interminata distanza al principio spiri- tuale, conviene che V ente il quale tramezza partecipi della superiorit del fine ed ecceda per qualche lato la bont e nobilita di esso principio spirituale. In tal caso vede ognuno che il mezzo, o il sistema dei mezzi, non pu assumere convenientemente il nome di orga- no ; perocch non s'intende, e l'accennammo qua ad- dietro, come qualcosa di superiore al detto principio s' immedesimi con esso lui in modo tanto subordinato da perdere ogni individualit propria e divenire effet- tualmente porzione integrale dell'essere altrui. 81.  Barategli, almeno, strumento staccato sebbene docilissimo, in quella maniera che si figurano certi genj dell' aria o del fuoco pronti e obbedienti ad ogni cenno dell' uomo per opera d' incantesimo ? Ci, per mio giu- dicio,  vana fantasia, se non si suppone che quegU spiriti superiori si sottomettano all'uomo ovvero ad altro ente morale per atto di amore e di abnegazione. Ma  pi ragionevole il credere che una interposi- zione s alta ed eterea (per cosi chiamarla) non pi- glier unque mai la forma e l'abito strumentale; ma gli enti superiori che l' operano compiranno invece r ufficio loro con la virtii indipendente di mediatori sublimi. DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 453 A, 82.  Non dicasi che questo tema esce affatto dai termD della cosmologia, dappoich trascende la na- tura e l'universo visibile e tutte le sorte di organi dei quali abbiamo notizia. A noi sembra che volendo la scienza trattare generalmente dell' ordine di tutta la creazione piglia obbligo altres di scrutare l' ordine delle congiunzioni e partecipazioni ascendenti dello spi- rito con l'Assoluto, insno al segno al quale pu il raziocinio salire, ragguagliando continuamente le con- dizioni del finito con gl'influssi salutari e divini del- l' infinito. Afobismo XVIIL b3.  Se non che, abbiamo notato in altra parte della cosmologia dovere l'ente che  ragione di fine pervenire al possesso del bene per isforzo di attivit e volont propria. Quindi gli conviene inflettere sopra s stesso e dispiegare le sue facolt per guisa da cre- scere con esse e a grado per grado la conquista del bene assoluto; ovvero raggiungere il fine medesimo per concorso ed aiuto dei mezzi esteriori. Ma non pu il primo onninamente senza qualche opera del secon- do. Imperocch alle facolt sue pi nobili q, vigorose  spediente ricevere l' eccitazione iniziale fuori di s ed occorre sempre il sovvenimento di qualche sistema di mezzi, onde supplisca alla insufficienza e limitazione innata ed inemendabile del proprio essere. N tale sistema di mezzi n l'eccitazione iniziale gli pu pro- venire immediatamente dall'Assoluto, che  incommu- tabile, e il quale, come si scrisse nel Libro terzo, nien- 454 LIfiBO QUARTO. tre con un atto infinito e perpetuo produce ogni cosa, prescrive similmente che le cause seconde facciano tutto. E d' altro canto, la congiunzione immediata con TAssoluto senza alcuna Tirt intermedia che susciti, serbi e dilati le forze operose della finita creatura, di- cemmo altra volta doverla attrarre e occupare con tal veemenza e tale pienezza da mantenerla in sempiterno nella pi profonda passivit. 84.  Ora, una eccitazione varia insieme ed assi- dua, sempre bene proporzionata e per ogni verso con- veniente e omogenea non pu altronde provenite che da qualche sorta di organo il quale sia parte delU in- dividuo nel mentre pure che  diverso da lui e alterni con esso continuamente la causalit e l' effettualit, r agire e il patire. 85.  Lo inflettere poi dell' anima sopra se stessa a ci dispieghi la propria potenza e proceda gradata- mente e con metodo al conseguimento del fine o del bene che s' abbia a dire, dee produrre esso medesimo una sorta di organo spirituale ; e intendesi che l'anima adempia intrinsecamente una sequela ed una cospira- zione tale di atti che le serva di mezzo continuo e quasi manesco per trapassare regolarmente a innume- revoli altri atti capaci di vera e progressiva finalit. Questo  fatto chiamare organo la logica di Aristotele e Parte induttiva di Bacone; e di questo nome credo potrebbero andar fregiate parecchie altre discipline, secondo sar veduto nelP ultima parte della Cosmo- logia. 86.  Del pari, dimanderemo di tal nome cert' ordine di mezzi esteriori dal quale risulta, per via d'esempio, r assetto sociale e politico d'una citt e d'uno Stato ovvero un esercito condotto a battaglia od altro corpo  nuove e singolari di corpi ; ma s le procura con ogni > industria e sveglia e cimenta continuo tutte le forze , latenti della natura ; onde  pervenuta a produrre , combinazioni di corpi o sceveramnti in natura forse ^ non reperibili e a rifare la costituzione d'innumere- voli minerali e indovinare &cilmente ed esattamente ^ la costituzione di tutti. NuUameno ne la vita vegeta- tiva n cosa che la somigli  mai balzata fuori dalla scienza e dalle industrie dell' uomo. 109.  Oltre di ci, se per suscitare la vita vege- tativa fanno sommamente mestieri le forze della mate- ria e certo concorrimento speciale e particolare di cause e di circostanze altres materiali, egli accade di avere a mente che le azioni particolari e specifiche non occul- tano interamente l' universale a cui appartengono e di cui all' ultimo costituiscono un modo e un atto pi o meno diverso. Di tal guisa, sebbene la virt magne- tica comparisce spiccata e pi assai operosa nelle ca- lamite, si trov col tempo che ogni corpo qualechessia ne partecipa in qualche grado ; e se le afiinit, per  Mamu^i. - Il 30 466 LIBRO QUARTO. citare un secondo esempio, diflferiscono profondamente dalle leggi meccaniche, non per di meno queste fannosi ravvisare contnuamente nei fenomeni chimici, essendo pi generali e pi permanenti e dovendo perci ac- compagnarli e mescolarsi con essi. Rimane, adunque, ^esplicabile come degli atti pi sostanziali e qualita- %vi della vita nessuna generalit e nessuno indizio t comparisca giammai nella materia inorganica. Per / , fermo, in cotesta materia a nessuno venne mai ravvi- ' sato qualcosa che faccia indizio della eccitabilit ov- vero della nutrizione o della prolificazione, qualcosa di simile alla virt formativa interiore ed allo svilup- po, volendosi qui tacere di tuttoci che appartiene, per nostro giudicio, allo spirito come il sentire e il .volere e pi ancora l'intendere e l'altre doti sublimi della personalit. III. 110.  L'aver discoperto i moderni con maggiore esattezza che le leggi comuni della materia proseguono ad operare nei corpi organati, invece di giovare al supposto della vita potenziale universa, gli milita con- tro. Per vero, nessuna di quelle leggi va esente nella vita effettiva da profondissime modificazioni, e talvolta vi dimorano trasmutate per guisa da faticare assais- ^ simo r occhio del fisico e del fisiologo per ravvisarle. . Il che  gran pena a spiegare se le leggi della vita e quelle della materia in essenza non differiscono e sono le une e le altre modificazioni ed effetti delle forze medesime. D' altro lato, che leggi meccaniche e chimi- che non annullino per intero l' opera loro nella ma- teria organata  naturale e necessario, perch V ultimo fondo delle essenze persiste e ninna straniera eflicacia DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 467 le abolisce. Ma bene la modificazione loro sostanziale ed intrnseca addita evidentemente V azione d' una ef- ficienza superiore e diversa. Vedi quello che diventano le leggi idrauliche nei fenomeni della circolazione ani- male e quello che le leggi della capillarit negli ani- mali e nelle piante. Imperocch in queste (per pure un qualche particolare) i succhi, giusta le l -deir attrazione capillare, dovrebbero fermarsi nei vi ad un' altezza determinata e non ascendere mai insini air ultimo vertice.  quando si ricorra ad altro genere di spiegazione meccanica e (poniamo) all' endosmosi, dovrebbe V ascendimento dei succhi avvenire in ogni stagione, considerato che in ogni stagione la costruttura dei vasi non muta. Spenta anzi la vita stessa del ve- getabile, dovrebbe l' ascendimento dei succhi ottenersi artificialmente per tutto quel tempo che i vasi riman- gonsi inalterati. Per simile, se 1' elevazione dei succhi procede da causa meccanica, questa non pu produrre l'effetto inverso della discensione, la quale dentro la Gara si fa ocularmente e succede negli stessi e iden- tici vasi solo che la parete  scambiata. 111.  Del pari, negli animali dovrebbero gli umori fennarsi per ostruzione alle boccucce dei vasi pi sot- tili di un centesimo di millimetro, dovech vi trapas- sano con velocit indicibile e non ostante la loro so- stanza oliosa e viscosa. 112.  Vassi predicando che nella materia organata ogni combinazione di elementi accade per l^gi di af- finit. E cos, ripetiamo, debbe succedere. Considerato che quando quegli elementi si combinassero per una efficienza al tutto aliena dalla forza chimica, ei si do- vrebbe giudicare o che la vita distrugge essenzial- mente le forze mentre queste sono perpetue e incon- sumabili 0 che produce originalmente altre forze e le 468 LIBRO QUARTO. insinua dentro i subbiett che ne sono sprovveduti. Ma venne ricordato pi volte da noi quel principio onto- logico il quale reputiamo assoluto e per universale, e cio che le forze emanano dalla cagione prima e non da veruna causa inferiore, conciossiach queste lignificano bens ma non creano. 113.  Ci non ostante, la ejficienza vitale spiega iieir ordine delle affinit chimiche una tal gagliardezza, che, dove questa non operasse, troppa gran parte di quelle giacerebbesi potenziale e inattiva per sempre, e nel rimanente poi sono indotte modificazioni nuove, sin- golari e profonde. La virt sola vegetativa sceglie dalle sostanze ambienti le convenevoli a se e lascia tutte le altre ; solo essa trasmuta le composizioni binarie in com- posizioni molteplici, genera materie e prodotti infiniti con propriet fisiche e mediche maravigliose; centuplica gli atomi in ogni molecola e porge agli organi difi*e- renti facolt differenti di assimilazione e di secrezione. 114.  Se la scienza  pervenuta con istento e trava- glio grande a produrre fra i metalloidi alquanti compo- sti ternarjle quademarj, prova unicamente con ci che alla forza chimica quei composti non sono impossibili : ma prova altres che V intervenimento solo della forza vitale li sa costringere a venire in effetto continua- mente e in ogni luogo e tempo dov' ella opera. Le altre numerose riproduzioni ed imitazioni che fa essa la scienza delle materie ammali e vegetative abbisognano del fondamento d' una molecola organica ; laonde tutte queste, in cambio di dimostrare parit di natura fra il mondo vitale e il mondo corporeo, ne confermano largamente la essenziale differenza. 115.  La chimica senza alcun elemento organico  pervenuta a comporre l'acido formico, l'alcool ed una specie di grasso. Ma delle sostanze dov' entra l' azoto DELLA VITA E DEL FINE NELL' UNIVERSO. 469 e onde si formano il sangue e i semi di tutte le piante non le  stato possibile di produrre (ch'io sappia) fuor che l'urea la quale, ben fu notato, tiene uno degli ul- timi gradi fra le produzioni animali e sembra poter esser mutata assai di leggieri in composizione binaria. IV. 116.  Spegnesi la vita vegetativa quante volte le ia negato di rinnovare di continuo la sua contenenza ; ed  sommamente probbile che ci provenga dal di- morare gli elementi e i principj di questa fuori dello statp lor proprio e che la energia vitale sia valida a tra- mutarli e predominarli per assai poco tempo. Ora, con- forme il supposto che combattiamo di parecchi fisiologi, il subbietto operoso il quale resiste da un lato alle forze contrarie dell' ambiente materia e dall' altro le assimila a s con flusso continuo, le violenta e le sot- tomette al dominio di leggi diverse e non rado opposte, e prosegue a cos tramutare e governare l' incorpora- mento delle sostanze esteriori pel corso talfiata di pi d' un secolo, cotesto subbietto, noi ripetiamo, sarebbe materia esso ancora in circostanze particolari bens ma non distinta e non separata dalla forma comune per veruna essenza speciale e originalmente diversa. Il che importa all' ultimo che la materia mediante un certo concorso di cause non punto diverse per natura da s medesima ponesi in lotta con le facolt e tendenze proprie e produce effetti diversi e contrarj dalle cagioni. 117.  Nella sola vita poi  capacit e attivit di sviluppo, altra condizione essenziale che ne contiene parecchie similmente essenziali ed originali ed anzi un intero mondo di fatti e fenomeni peculiari ed ignoti al mondo corporeo. Certo, la materia non li conosce. 470 LIBRO QUARTO. In lei tutte le composizioni meccaniche e chimiche sono effetto di altrettante scomposizioni anteriori e le at- tuali debbono disfarsi perch succedano le future. Ol- trech, i corpi che si combinano, sebbene mutano di qualit, non perci si debbo affermare che in essi ac- cade aumento di essere e cumulo di propriet e di potenze. Il ferro combinandosi con V ossigeno e il mer- curio collo zolfo perdono parecchie loro attribuzioni e parecchie nuove e diverse ne acquistano. Parimente, i sali diventano una sostanza affatto dissimile dai com- ponenti; e mentre assumono qualit ed efficienze par- ticolari non serbano quelle che negli acidi e negli alcali si manifestano. 118.  In genere la materia trascorre continuo dalla potenza all' atto nel modo che toma altres continua- mente dair atto alla potenza e non v'  incremento e guadagno. Per contra, nella vita vegetativa accade un reale sviluppo; conciossiach un gran cumulo di po- tenze e di facolt vengono all' atto di grado in grado con ordine con unit con maraviglioso consenso e me- diante la efficienza ed attivit interiore; da onde poi nasce la composizione d' un tutto progressivamente maggiore e migliore e cosi omogeneo nel suo complesso come diverso nelle parti ; il che importa alla fine un' au- mentazione vera di essere e certa individualit com- piuta o per lo manco certa totalit peculiare e dal rimanente mondo separata. 119.  Ora, ci costituendo un fatto non guari ac- cidentale, ma generale e perpetuo, quando provenisse dalle forze sole della materia, questa dovrebbe sempre ed in ogni dove usare e manifestare alcuno sviluppo. Dal concorso speciale che si suppone delle cause e delle circostanze dovrebbe procedere unicamente talo indole particolare e tale altra di esso sviluppo; ma la DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 471 virt sua perenne universale ed ingenita operar do- vrebbe e dimostrarsi in qualunque materia. 120.  Per fermo, tutti i ragguagli e le somiglianze che taluno  procacciato di fare scorgere tra le com- posizioni e trasmutazioni cosmiche e la vita dei vege- tabili e degli animali sono riuscite romanzesche e fal- laci e vie maggiormente anno accertato la differenza ' non dissipabile fra le leggi meccaniche e fisiche e le . leggi proprie ed essenziali dell'organismo. Debbo io consumar tempo a provare la vanit delle nozze che dicono intervenire fra le montagne e la differenza loro di sesso, ovvero gli alti connubj ideati fra la luna e i pianeti e 1' umor seminale raffigurato nelle comete e simili fantasticherie? Per gli scienziati non anno soli- dit, per li poeti non anno eleganza. 121.  Vero  che noi trattando nel terzo Libro del mondo materiale abbiamo accennato piii volte alle sintesi terminative che la natura vi conclude ; e questo nostro globo fu descritto da noi quale una macchina portentosa dove ogni parte risponde al fine del tutto e dove le ultime trasformazioni compendiano, per cosi dire, le precedenti ed apparecchiano con ordine, con legamento e con armonia il letto nuziale alla vita ; il che si dir somigliare grandemente alla virt di svi- luppo da noi descritta poc' anzi ed attribuita solo alla potenza organatrice. 122.  Non ci  malagevole lo sciogliere questo nodo ; a ci bastando il mettere in considerazione che gli sviluppi vitali sono per facolt interiore ed innata dell'essere il quale spiega, figura, costruisce ed unifica s medesimo. Laddove quel concorso vario ed armonico degli elementi materiali del globo accade per effetto d' un ordine prestabilito, al quale obbediscono per ne- cessit interiore le forze corporee disgiuntamente V una 472 LIBRO QUARTO. dair altra e accostandosi Tuna sostanza all'altra mosse da legge che anno a comune con tutto il creato visi- bile, e non alterando minimamente la propria indolo per entro la massa alla quale si uniscono.  insomma intervengono fra. la struttura del globo e la composi- zione organica quelle differenze profonde e qualitative che notammo pi d' una volta fra la migliore delle macchine e la inferiore delle sostanze viventi. 123.  Un sol progresso  da notare nella mate- ria generale che non dipende in particolar modo da fini prestabiliti ma s dalla necessit propria ed inge- nita, e questo  il varcare che fece dalla disgiunzione alla congiunzione ; perocch, accostandosi gli atomi per comporre diversi ordini di molecole e queste per com- porre i piccioli corpi ed i grandi, poterono le virt latenti della coesione e dell' affinit chimica venire all'atto; in quel mentre che per addietro non appa- rivano. Quindi nella materia fu augumento vero di essere e di propriet. Sebbene ci non accadde al si- curo per ogni dove, siccome pu riscontrarsi negli afo- rismi genetici del terzo Libro. Ed anche debbo avver- tirsi che queir incremento di essere  meno verit in se medesimo che rispetto al fine a cui venne coordi- nato; della qual cosa discorrer pi per minuto r ultimo Libro. V. 121:.  Per verit, sonosi parecchi fisiologi di Ger- mania avveduti troppo bene di queste intime discre- panze tra la materia comune e la vita vegetativa. Per, taluno di loro, e il Trivisanus, fra gli altri, affer- mava esistere nella natura certa materia particolare sempre attiva e sempre unita ne' suoi elementi, la DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 473 quale per se  informe ed  nuUameno capace di as- sumere ogni variet di forme; e queste vengono de- terminate in lei e variate dalle cause esteriori ; il per- ch durano quelle forme insino a tanto che durano e perseverano le cause medesime. Mutate queste ed al- tre forze esteriori operando^ subito ella piglia altra costruttura ed aspetto. 125.  Il Trivisanus confessa impertanto che la materia comune non basta a produrre la vita vegeta- tiva o r organismo che si domandi, ma pone in mezzo altro genere di materia con forze proprie ed originali. . N di questo vogliam disputare. Solo neghiamo che il subbietto vivente qualchessia riceva passivamente dalle cagioni esteriori le forme sue. Per lo contrario, egli determina e informa s stesso, parte trasmutando r ambiente natura, cui assimila a s, e parte adattan- dosi e modificandosi, giusta le condizioni diverse di essa natura. Per guisa che, quante volte V accordo fra la virt formativa intrinseca e l' ambiente estrinseco non  conseguibile, la vita non incomincia e i germi stessi attuali e presenti o non sbocciano ovvero periscono. 126.  Altri come il Bourdach con pii elevato con- cepimento non nega n attenua le diversit essenziali che separano la materia organica dalla inorganica. Ma le spiega (secondo lui) con agevolezza, ravvisando nella vita vegetativa una forma e manifestazione finita e particolare dell' infinito organismo dell' universo. Il perch presume di riconoscere nel sistema planetario la pi parte delle disposizioni proprie e qualitative degli enti organati ; e il simile con maggior perfezione immagina che debba succedere nelle innumerevoli ag- glomerazioni delle stelle fisse. 127.  A noi baster il rimetterci che facciamo a rispetto di tal materia alle cose ragionate pi sopra 474 LIBRO QUARTO. intorno al mondo corporeo. Discorrendosi in astratto e per mera supposizione, ninno al sicuro potr negare la possibilit d' un sistema di astri organato e vivente a guisa d' un vegetabile e d' un animale, figurandosi certa complessione arcana ed unificata della sostanza siderea non diversamente forse da quella che appresso Platone costituisce l' anima e 1' organismo del mondo. Ci che affermiamo con certezza in tale proposito si  che l'esperienza non ci abilita insino al d d'oggi ad applicare tale possibilit astratta ai pianeti e alle stelle che conosciamo e in quanto le conosciamo. 128.  Ed  similmente disforme dalla buona dia- lettica il credere che il mezzo e il fine non differiscano^ intrinsecamente ovvero che l' uno si converta nell' al- tro. Imperocch questo accade talvolta per accidente e per relazione e partecipazione, come scorgesi nei ve- getabili e negli animali bruti che oltre ad essere fine a s stessi servono eziandio di mezzo a maggiori viven- ti. Ma ei sono mezzo per indiretto e dopo essere stati fine ; quando la natura meccanica e chimica non  per nulla fine a s stessa ed  mezzo primo e ante- riore ad ogni rimanente. E cos  necessario che av- venga in qualunque ordine di esistenze; perloch se nelle stelle e nei pianeti v' anno enti con ragione e natura di fine,  pur necessario che allato ad essi e prima del lor comparire sieno altri enti costituiti con ragione e natura essenziale di mezzo; e se le stelle e i pianeti sono essi medesimi grandi corpi organati bisogna che altri corpi uguali o maggiori forniscano loro le materie strumentali e gli antecedenti appa- recchi inorganici; e torna da ogni parte la distinzione tra le propriet e le leggi delle essenze organate e r altre onde s' informa ed  governata la comune e universale materia. DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 475 129.  Va un' altra schiera di fisiologi in Italia segnatamente, ai quali non sembra da sostenere che la vita vegetativa  opera generale e continua della materia, mediante un riscontro speciale di ca^goni e di circostanze. Ricorrono invece all' incognito dei tempi genetici, e dicono le forze della materia essere state in quella epoca straordinaria dotate d'una potenza che in progresso si  spenta; e insomma attribuiscono il fatto maraviglioso della vita a cagione insolita e ino- pinabile sotto il cui influsso nacquero i germi e di quindi la rinnovazione giornaliera e normale di essa vita. 130.  N a costoro sarebbe da obbiettar nulla se quella cagione straordinaria invocata fosse di natura diversa dalla materia. Ma se fu materiale anco essa, e d' altro canto le essenze e le forme sostanziali non mu- tano, si  intero arbitrio di chiedere quale delle forze della materia valse a tanta opera e come accadeva che la virt sua portentosa venisse indi al niente. 131.  Parlandosi in genere, lo straordinario  ac- cidentale; perciocch quello che in un essere  so- stanziale e qualitativo opera sempre; e se non sempre, opera almeno con regola ferma di alternazione ; dapoi- ch la regola esce appunto dal fondo costante e sostan- ziale dell' essere. Ma 1' accidente, o dir vogliamo h\ fugace modificazione e congiuntura delle cose, non in- duce se non effetti altres accidentali; e come la ca- gione fu transitoria, medesimamente sono gii effetti. Ma  impossibile attribuire il fatto sostanzialissimo dalla vita vegetativa e il suo rinnovarsi e perpetuarsi a cagioni accidentali e fugaci. Oltrech, la materia avrebbe per accidente operato cose pi perfette e me- glio conformi al fine delle esistenze che quando opera a norma di sua natura propria e costante. 476 LIBRO QUARTO. 132.  Questo medesimo si risponde ai nuovi ma- terialisti tedeschi e in particolare al signor Biichner. il qyale, per nostro avviso, cade due volte in contraddi- zione. L' una, attribuendo alla materia la forza vitale che  d' altra natura e d' altro principio ; la seconda, che mentre V attribuisce, la nega implicitamente per- ch concede che oggid la materia  incapace di pro- durre la vita e questa si mantiene per la successione dei germi. 133.  Vero  che gli avvenimenti i quali a noi compariscono straordinarj ed accidentali perch non veduti mai prima e perch li giudichiamo sforniti di legge e senza tempo determinati, possono al contrario possedere l' una e V altro perfettamente sebbene in modo non apprensibile alla nostra esperienza. Vero  similmente, che posta pure da banda la gretta mate- ria e invocato per dar nascimento alla vita alcun altro principio, nondimeno convien riconoscere che in questo principio medesimo intervenne alcuna cosa straordinaria e non pi ripetuta dappoi. Conciossiach la vita, tuttoch operi sempre ed in ogni luogo, ci fe mediante la successione dei germi; e vedesi che non potrebbe in guisa veruna ripigliare il suo corso, inter- rotta che fosse quella catena riproduttiva. 134.  Noi sopra ci diciamo per al presente che lo straordinario  pur anche accidentale e non esce dal fondo dell'essere qualunque volta la causa che opera non riceve nulla dal di fuori e non intervengono na- ture sostanziose e aflFatto diverse alla produzione del nuovo fenomeno; che era il caso appunto della materia operante da s e per s. Diciamo poi che certamente al principio vitale, affine che venga in atto, bisognano in origine alcune occasioni esteriori ed alcuni apparecchi non dipendenti da lui e levati i quali esso rimane in DELLA VITA E DEL FINE NELL' UNIVERSO. 477 istato di mera potenza; nel modo che tutte le forze ed i componenti chimici giacerebbono inattivi e in solo etato virtuale quando fossero impediti di approssimarsi fra loro dentro quel termine dove l'attrazione di af- finit incomincia. 135.  Quello, pertanto, che il nostro discorso esclu- deva pi sopra in modo assoluto si era che la mate- ria procreasse la vita con la sola materia quali che fossero le attitudini e le condizioni delle sue forze e figurandole a piacer nostro ordinarie o straordinarie, peculiari o comuni, sostanziali od accidentali operanti per efficienza o per occasione; eccetto sempre, che non si muti significazione ai vocaboli e la materia venga ad esprimere cosa troppo diversa da quello che cono- sciamo sotto tal voce. Ma rimanendo fermo il valor del vocabolo e concedendo per esso alla natura dei corpi le qualit sole del mondo meccanico e della chi- mica inorganica noi manteniamo che nulla giova al Biichner ed a' suoi consorti l' appellarsi all' autorit e potenza del tempo e affermare intrepidamente che i bilioni di secoli valsero a condurre una tenuissima cellula, organica allo sviluppo variet e complicazione del presente organismo. Colui che stupiva dell'avere san Dionigi recata sulle proprie palme la propria testa pel tratto di una lega, sent dirsi con ragione che la difficolt consisteva tutta nel primo passo. 136.  Tu mi chiedi nuli' altro che una cellula microscopica con la virt di comporne altre a s si- miglianti, e sembri la persona pi discreta del mondo. Ma invece mi chiedi effettivamente ogni cosa, perch vuoi ti conceda la forza di organizzar la materia e mantieni che quella forza debb' essere d' una stessa natura con la materia medesima. 478 LIBRO QUARTO. VI. 137.  La causa adunque e il principio della vita vegetativa differisce da tutte le forze che operano nella materia comune ed  superiore ad esse, dacch le predomina ed alle leggi sue proprie e particolari le sottomette. 138.  Simile causa non pu risolversi in vuota astrazione ne mancare d' un aubbietto in cui si su- stanzii; e ci che domandasi forza vitale vegetativa debbe riuscire un principio reale e fondamentale di attivit non un modo n un accidente. Quindi da que- sto Iato si mossero censure legittime ai vitalisti che spesso parlarono in guisa da far della vita qual cosa d' indeterminato e d' aereo, una certa generalit che mai non si concreta nel positivo e nel sussistente. 139.  Ma per il subbietto di cui discorriamo nem- manco debb'essere necessariamente uno ; e se uno sotto certi rispetti, non pu essere assolutamente impartibile e indivisibile. Conciossiach V esperienza ne mostra ogni di che il ramo d' una pianta pu metter radice e fare pianta da s ; e molti semplici si moltiplicano mediante ]e foglie loro ; ed eziandio la met d^ina foglia, o meno,  bastevole a ci. Una foglia d'Ornitagalo tirsoide con- servata nelle cartelle d' un erbario spieg dentro al tessuto del suo parenchima gran copia di corpicelli globulosi, alcuno de' quali messo fra terra con modo e riguardo germogli e produsse un nuovo Omitagalo tirsoide. Che pi? Vogliono i botanici che qualunque cellula di pianta, posto che ogni circostanza sia favo- revole, pu convertirsi in gemma e da questa pullulare la pianta novella, e se ne  esempio nella origoma della Linularia e in qualche altro semplice. N ci DELLA VITA E DEL FINE NELL' UNIVERSO. 479 si avvera unicamente nei vegetabili ; che v'  certa, specie di polipi i quali trinciati a minuzzoli ripigliano in ciascuno di questi la vita e ciascuno si converte in polipo nuovo. 140. Ora, se nelle piante e in certi animali infe- riori il principio vitale fosse uno e impartibile, qua- lunque membro se ne staccasse dovrebbe perire, o perir dovrebbe il corpo e vivere il membro; dapoich quel principio vitale non pu rimanere uno e dividersi in- sieme insieme tra il corpo principale e il membro spiccato. 141.  Pu darsi, adunque, una vita ed un orga- nismo vegetativo senza bisogno di sostanziale unit, e per entrambi non procedono da causa impartibile come sarebbe ci che domandasi un' anima. Per altro, quale che sia co tal causa, ella debb' essere tuttora pre- sente e operosa in ogni molecola del corpo organato e debbe almeno costituire un complesso distinto e se- paratissimo dalla natura fisica ambiente, serbando altres fra le parti una specie di nesso comune ignoto alle sostanze inorganiche.  142.  E perch appunto cotesto tutto organato si scevera profondamente per le sue qualit ed atti dalla nuda materia, usurpa il nome di vita e di organismo vegetativo; sebbene la vita vera e perfetta  in esso appena iniziata, come il progresso di questo trattato verr dimostrando. 143.  Imper, cotesta causa, o virtii efficiente che la si chiami, ancora che per gli effetti visibili paia identica a s medesima per ogni parte dell' ente organato, pu, certo, esser molteplice e varia ne' suoi fattori ; e pu eziandio succedere che nell'ente organato non operi e non disponga, come a dire, una monade sola e sovrana, ma parecchie e forse anche innumerevoli, unite insieme 480 LIBRO QUARTO. coordinate e costituenti un sistema particolare di azioni diverse ed ancora opposte all'azione ambiente. Dalla sfera di quelle azioni interiori e diverse  costituito l'individuo vivente di cui discorriamo; e quindi come l'unit sua  relativa cos la sua individualit. La vera e assoluta  luogo nel colmo, a cos parlare, della gerarchia dei viventi nel modo che fu accennato pi sopra e ripeteremo qua oltre. Tale sistema d'azioni, che in sul primo raccogliesi virtualmente dentro i con- fini del germe, diffondesi poi e dilata a reggere la or- ganizzazione intera o della pianta o dell' animale infe- riore. 144.  Teniamo, adunque, per ben dimostrato e ben saldo che i principj attivi d' un ente organato (guar- dandosi alla vita sola vegetativa) sono tanti per lo meno in quante parti si pu quello dividere. E per- ch ciascuna di esse parti divenuta un individuo sepa- rato e vivente pu soggiacere allo smembramento me- desimo ed ai medesimi effetti, cos chiunque non istimi di riporre nel primo vegetabile o nel primo inferiore animale comparso nel mondo un numero effettualmente infinito di monadi sufficiente alla indefinita moltipli- cazione di quel vegetabile e di quell' animale gi pel succedere di tutti i secoli, si sentir violentato ad am- mettere che v'  negli enti organati non pure un flusso perpetuo di nuova materia, ma eziandio un flusso scarso 0 copioso, tardo o frequente di principj attivi o monadi che le si voglian chiamare. Peggior partito sarebbe di credere che ogni germe nuovo ed ogni membro, ramo 0 foglia spiccata, accatta dal germe anteriore e dal corpo e tronco una emanazione o comunicazione di principj vitali attivi. Dacch abbiamo riconosciuto qua poco addietro e cento volte l'abbiam ripetuto nell'Opera nostra che i principj quanto le forze non si emanano DELLA VITA E DEL MNE NELL'UNIVERSO. 481 e comunicano da subbietti sostanziali finiti ; imperoc- ch ci varrebbe come crearli. 145.  Negandosi poi tutto questo, rimane di ab- bracciare per realit le astrazioni. Avvegnach la na- tura  tuttaquanta costituita di enti particolari ; e per ci medesimo noi ripudiamo quelle efficienze individue insieme ed universali, i Genj delle sfere, l'anima del mondo, V Arcbeo e simili esseri misteriosi e d' infinita potenza. Nessuna cosa, al credere nostro, tolse credito alla fisica antica e alle cosmologie del secolo decimo- sesto e decimosettimo quanto cotali supposti di influenze e ingerenze universali ed astratte che in niun subbietto particolare si concretano e si sustanziano. N perch simili fantasie rinascano ora col nome d' Idea Assoluta tragittantesi per varie trasmutazioni legate insieme da sola apparenza di necessit fsica o logica, veggomi astretto di approvarle e accettarle pi volentieri. 146.  Del resto, a noi sembra un voler quasi op- pugnare la evidenza medesima persistendo a negare che nella forza vitale non sia qual cosa di ben defi- nito di sostanziale e d' intrinseco all' ente particolare in cui si manifesta, e il quale  complessionato via via e serbato intiero ed incolume sempre da un atto im- manente di lei. Quindi l' operar suo non  somiglianza con quello, per modo d'esempio, dei fluidi impondera- bili, la cui natura porta che ancora che compariscano per ogni dove e sieno come a dire forze concomitanti e perpetue d' ogni fatto e fenomeno fisico, nullameno per s non costituiscono nessun corpo individuo e non anno forma propria e durevole nella maniera che non ne  r aria od altra sostanza gazeiforme. 147.  Quindi, se la forza vitale dimora ed opera interiormente e sostanzialmente nel corpo entro il quale si palesa; e d'altro canto, non  una di necessit e Mamiari. II. 31 482 LIBRO QUARTO. impartibile ed anzi pu dividersi in tanti principj at- tivi in quanti rami o foglie o semi o membretti si an- noverano in certa pianta e in certo animale inferiore, quegli agenti diversi dalla materia a cui demmo nome di monadi sono cosa reale e provata. Risulta eziandio dall' osservazione generale e costante sui fe- nomeni organici e segnatamente sul fatto del conver- tirsi in nuovo individuo le parti staccate e da ogni banda separate che un flusso di monadi nuove V una air altra succedenti nel corpo organato  verit posi- tiva e non guari suppositiva. 148.  Ora, aggiungiamo che sebbene per la im- materialit loro non s'incontri quella dimostrazione piena e patente che esponemmo di sopra rispetto a un pili alto principio spirituale, non pertanto  assai ragionevole che le si reputino inestese affatto e incom- poste ; perocch, da un lato, elle sono prevalenti mai sempre sulla materia in che operano ; ne dee pensarsi che quando cessa la vita vegetativa soccombano per lo contrario alle forze della materia inorganica; es- sendoch od elle cessano al tutto ogni attivit loro ed ogni passivit, ovvero trapassano ad avvivare altra materia disposta a ricettarle. D' altro lato, si fanno esse conoscere sempre quali forze invisibili ; e voglia- mo significare che niun fenomeno di materia e di spa- zio pu ad esse attribuirsi come loro immediata ine- renza e accidenza ; ma in quel cambio ogni fenomeno corporeo manifestasi esternamente quale pertinenza e modo della materia organata, tuttoch la cagione sua vera efficiente ed intrinseca sia di continuo da rico- noscere neir azione occulta e profonda di quelle forze. 149.  Del pari, il consenso perfetto che lasciasi scorgere in tutti gli atomi d' un corpo vivente sembra convenire all'azione di esseri che non conoscono ma- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 483 terale separazione nel comunicarsi la loro virt e che ponno farsi presenti in qualunque minima parte sic- come nel tutto. 150.  Ad ogni modo, se materiali sono le monadi organatrici, del sicuro la materia loro  differentissi- ma per intima essenza dall' altra comune e della quale  costituito il mondo meccanico e il mondo chimico. Per lo contrario, se tali monadi, com'  giusto di cre- dere, sono sfornite d' ogni materia, operano nondimeno nello spazio e nei corpi e sono congiunte assai stret- tamente a qualche forma di estensione per modo che tolte di l e separate perdono ogni virt attiva e ri- cascano nel nudo essere potenziale. VII. 151.  Cotesto monadi poi sono o diverse in fra loro o diversamente operano l'una a rispetto dell'al- tra o sono e fanno entrambe le cose. N sembra cre- dibile eh' elle discordino dalla legge comune a tutto il creato e la qual pone il contrario dentro alle somi- glianze medesime e che per taluno fu domandata ele- gantemente legge di polarit. Conciossiach negli enti finiti e corporei non si esce dalla impotente medesi- mezza eccetto che per alcuna diversit ed eterogeneit di complessione e di atti. Gi notavasi nelle piante certa specie di polarit fra la pi mula e la radichetta e che il fusto ed ogni altro organo dividesi in due parti conformi e contrarie insieme; perocch in verso contrario vanno a congiungersi. Ma di ci parleremo ad altra occasione, e gli esempj si offrono per s stessi dovunque si guardi. 152.  Si aggiunga che negli enti di maggior per- fezione organica non debbono far mancamento varj 484 LIBRO QUARTO. ordini di monadi alcune prevalenti ed alcune subor- dinate. Avvegnach le parti diverse di un tutto non bene concordano insieme e non compongono forte e feconda unit se non per mezzo della suggezione loro da certa virtii centrale predominante e coordinatrice. La qual virt nondimeno negli enti di cui discorria- mo  di doppio grado. L^ uno  delle monadi bens . prevalenti ma che per essenza dalle altre non si di- . schierano. Il secondo  delle monadi al tutto spirituali e dotate per lo meno di facolt sensitiva ed appetitiva, e sono perci quegli esseri a cui si costuma partico- larmente di dar nome di anime. Tali monadi ciascuno avvisa che non ponno essere pi d'una per ogni vi- vente; e con Tatto di loro presenza originano una forma di vivere superiore e diversa dalla pura vegetativa. Vili. 153.  Il germe compito  ci che risulta dal primo svegliarsi ed operare delle monadi ; quindi  1' azione immediata e scambievole di loro forze interiori ed  un primo dispiegamento della virt ch^ domande- remo plastica e del poter loro sulla materia organiz- zabile entro la quale souosi, come a dire, annicchiate. In questo atto le monadi operando non con altro im- pulso che proprio si equilibrano alla fine e riposano; come accade a qualunque moto proprio e interiore della materia imponderabile, e come per alcun grado di simiglianza pu dirsi che incontra nel regno inorga- nico ai cristalli regolari rispetto alle mutue tendenze ed affinit delle molecole componenti. Il germe  del sicuro un cristallo, ma con questa diversit essen- zialissima che  gravido di virtualit e capace di svi- iluppo e cava le forme plastiche dall'intimo suo fondo, DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 485 mentre nel cristallo inorganico elle succedono pel so- prapporsi regolare delle molecole e portando ciascuna certa sua costruttura e figurazione. 154,  Certo, le monadi organiche non diversamente da ogni principio attivo creato mancano in s stesse del cominciamento iniziale assoluto del proprio operare ; e mancano di quello eziandio delle successive rimutazioni in quanto si legano alle circostanze esteriori. Da ci pro- viene che ogni virtualit loro di moto e sviluppamento pericola o di non passare all' atto o di fermarsi per via in ciascun istante. Anno, invece, in s medesimo la cagion della quiete subito che compiettero e quasi a dire saziarono certe loro essenziali e native tendenze e certa loro scambievole polarit. Cos nel germe quale- chessia le monadi si riposano col minimo grado di azione e il massimo della potenzialit; in maniera peraltro che la forza loro di resistenza riesca tanto maggiore quanto proviene dall'ultimo fondo dell'essere e dalle combinazioni immediate ed innaturate che ne derivano. Il che spiega il fatto costante e comune della perseveranza dei germi tenuissimi e talvolta invisibili contro le forze piii intense e pi poderose del mondo fisico. E appunto, perch 1' atto onde il germe  co- stituito esce dalla energia essenziale ed originale del principio organico torna necessario non che naturale che sempre si rinnovi e ripeta, se altre forze ed ecci- tazioni non lo rattengono ovvero non lo trasformano. Di quindi nasce la propensione generale ed assidua di tutti gli enti organati a riprodurre il germe loro, ossia tornare alla forma primigenia e normale. Cos la forza riproduttiva di simili enti  analoga in per- fetto modo alla forza di elasticit nei corpi inorganici. 155.  Se non che, ogni germe debb' essere altres analogo e proporzionato allo sviluppo ulteriore della pr- 486 LIBRO QUARTO. pria organizzazione. Di quindi la variet dei germi e la costituzione loro talvolta progressiva ; di quindi ezian- dio i metodi differenti della natura per accertarne la ripetizione pronta perfetta e copiosa. 156.  Puossi concepire un essere organico tanto semplice che V atto primo delle sue monadi e la prima esplicazione della sua forza plastica esaurisca quasi la potenza organatrice la quale per flusso di materia e per gli stiraoli esterni debbe pigliare incremento e sviluppo. Noi siamo chiari che in tal supposto il germe, ossia la ripetizione dell'atto primo, consister in qualche forma di cellula la meno composta che sia fattibile e assai bene rispondente alla semplicit estrema del susse- guente sviluppo. Nei casi di pi complicata organiz- zazione il germe porter seco i rudimenti e il com- pendio della pianta o dell' animale futuro; e perch  complessione pi dilicata ed  maggior dipendenza dalla natura esteriore, perci avr seco un apparecchio nudritivo e preservativo; di quindi la costituzione di tutti i semi nelle piante e ogni ragione e contenenza delle uova negli animali ovipari. 157.  Ma perch il germe, ovverosia la struttura iniziale dell' ente organato, racchiude tanta maggiore efficacia quanta  pi viva la eterogeneit de* suoi componenti, e questa risolvesi nell' antagonismo d' un principio attivo e d' un principio passivo contrapposti sempre fra loro e sempre ordinati a quetarsi da ultimo in certa superiore unit, ne segue che la natura nei viventi meno imperfetti e di pi complicato sviluppo divise i due principj attivo e passivo in fra due sub- bietti separati, e dispose nondimeno che venissero alla congiunzione con quella energia e quell' impeto che avvisiamo tuttod nelle scariche elettriche. 158.  In ci, come vede il lettore, consiste la sepa- DELLA VITA E DEL FINE NELL' UNIVEESO. 487 razione dei sessi e il procedimento mirabile della fecon- dazione per effetto della quale al germe primo, troppo debole e male proporzionato al futuro sviluppo, succede altro germe elaboratissimo col nome di sementa o d'uovo o di feto, in cui le monadi organiche non pure rifanno la complessione loro iniziale, ma vi compendiano i rudi- menti del gi conseguito sviluppo in quanto esso dipende dalla efficacia interiore e nativa. Quindi  che le mo- nadi intendono a cotesto lavoro subitoch il travaglio dello sviluppo tocca il suo termine ed elle possono, per via di parlare, tornarsene in dietro e produrre di nuovo quegli atti che loro sono essenziali ed inge- niti con quel di pi di efficacia che rappresenta la virtualit intera d'ogni incremento e dispiegamento posteriore. Cos il fiore ed il frutto sono V ultima ope- razione della pianta gi bene conformata e cresciuta in ogni sua parte, e v'  di quelle che dopo la fecon- dazione ed il frutto appassiscono e muoiono. Simil- mente r uovo e la pregnezza accennano alla compitezza di tutti gli organi e al colmo della vita degli enti nei quali appariscono; e per la ragione medesima l'ap- parecchio generativo degli animali si compie insieme con la maturazione del feto. 159.  Abbiamo discorso qua sopra di quel che ac- cade nelle organizzazioni semplicissime ; in altre meno semplici, ma che risultano di parti per affatto similari (e intendesi quanto alla forma sostanziale), gli  mani- festo che ogni parte verr capace per questo medesi- mo di riprodurre l'intero individuo se le condizioni esterne la favoriscono ; perocch l' intero individuo non  molto pi che espansione successiva ed ingrandi- mento della parte similare. Di quindi la moltiplica- zione di assai vegetabili per ispori, escrescenze, gemme, rami e foglie. Di quindi accade eziandio che qualun- 488 LIBRO QUARTO. que ritaglio di certi polipi si trasmuta esso medesimo in polipo intero. IX. 160.  Dunque della vita vegetativa sono due gli atti e le funzioni principalissime, assimilazione e riprodu- zione. Alla prima gli antichi e fra questi Aristotele dettero pi volentieri nome di nutrizione e di accre- scimento, la quale ultima appellazione risponde con esattezza a ci che modernamente usa chiamarsi svi- luppo. 161.  Della riproduzione abbiamo parlato con suf- ficienza, e rimane fermo questo concetto eh' ella sia sempre la rinnovazione dello stato proprio e iniziale delle monadi organiche, il qual provenendo dalla es- senza vera, costante ed inalterabile di esse e da quel primo atto, per cui si dispongono e uniscono nella so- stanza acconcia ad accoglierle, dee ricominciare e ri- petersi di piena necessit ogni volta che gli stimoli esterni e il flusso della materia ed altri accidenti non costringe le monadi al lavoro incessante del crescere e dello svilupparsi. E perch quel gruppo di monadi a cui . stato fattibile il rintegrare l'essere loro pri- mitivo e normale n pu mantenerlo intatto, mescolato siccome  alle forme dello sviluppamento, n abolirlo e impedire che si ripeta ; perci proseguendo la neces- sit primitiva di lor natura ; si scevera al tutto dallo sviluppo vegetativo di gi compiuto e quindi incomin- cia la esistenza separata d' un nuovo individuo. 162.  Tutto il che  molto diverso dalla spiega- zione mistica messa innanzi dall' intera scuola peripa- tetica, dicendo che i vegetabili e gli animali si ripro- ducono per solo istinto e desiderio d'immortalit; il DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 489 perch, non venendo tal desiderio appagato negl' in- dividui, era provveduto che si appagasse nella conser- vazione e propalazione della specie. 163.   chiaro che ci confonde il fine specula- tivo con la necessit fisiologica degli enti organati. Certo, la natura, e qui intendesi la divina mentalit, mira a perpetuare la vita sotto qualunque sembianza ed abito; ma quello che alla scienza appartiene di scoprire si  il modo positivo e la legge fisica e orga- nica, onde i viventi per forza fatale dell' essere proprio attingono al fine dalla provvidenza voluto. 164.  I panteisti odierni tedeschi trassero in mezzo un' altra sorta di ragione meno salda ancora, per mio sentire, dell'antica d'Aristotele. Dicono, dunque, che r uno perfetto e assoluto dee di necessit palesarsi e dar cos nascimento al composto e al molteplice; ag- giungono che il pi semplice modo di composizione e pluralit  la divisione dell'identico in due parti ugualissime; e in fine, che tal divisione equivale al producimento del simile. Sul che io noto che tal ra- gione generalissima valer dovrebbe nella materia mec- canica quanto nella organata e che intanto la pri- ma non genera nulla di simile a s, ed un minerale si rimarr eternamente con 1' aggregato che per acci- dente si venne dal di fuori formando. In secondo luogo se la cellula genera un' altra cellula per dividere la identit propria in due parti ugualissime, ci dovre'obe proseguire senza mai termine, conciossiach nell' ultima cellula procreata v'  tanta necessit di ripetere s me- desima quanta in ogni altra che 1' antecede. In fine qui si confondono due fenomeni al tutto diversi, e cio la reiterazione delle parti similari con la rinnovazione del germe; e ninno dir, per via d' esempio, che l'uovo degli animali ripetesi in ciascuna cellula del lor tes- 490 LIBRO QUARTO. suto per modo che questo risulti d'una continua ag- glomerazione delle uova germinative. 165.  Quanto all'assimilazione, non par difficile intendere per qual ragione essenziale e perenne l'ente organato pigli dal di fuori la sua materia e l' aumenti e informi di s medesimo, tanto che la conduca a grado per grado a quella misura e figura che pi gli sono confacevoli. Ma non . altrettanto facile intender bene la cagione e necessit del flusso continuo e del conti- nuo permutarsi di sua materia. Nel che, nondime- no, consiste il fatto pi rilevato e il fondamento ge- nerale di tutta la economia del mondo dei viventi a noi noti. ' 166.  Ci non ostante  da porre l' animo a questo ' vero solenne e principalissimo nella scienza della vita, ,e cio che l'organo quando non tramezzi per sua na- tura fra r ente che 1' applica e l' oggetto al quale si applica diventa incapace del proprio ufficio. Cos la mano, perch aflferri i corpi e li stringa o perch gli alzi ed aggiri, conviene sia resistente non meno di essi e con la forza muscolare e la leva del braccio vinca la forza del peso loro e voltandosi li volti e pieghi la palma e le. dita secondo i contorni delle loro figure. Di questo nasce che 1' organo sebbene dee prevalere alla materia comune ed a s assimilarla, pure non pu eccederla al segno da farsi alieno ad ogni pro- priet e forza di lei. 167.  Quindi nasce eziandio che l' atto d' assimi- lazione  una specie di vittoria sopra gli elementi esteriori e non  carattere durevole. Avvegnach l' as- similazione perpetua vorrebbe dire o che la materia  perduta la sua natura o che l' organo poco o nulla differisce dalla materia; due estremi del pari impossi- bili. Stantech col primo l'organo cesserebbe di ma- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 491 neggar la materia esteriore e col secondo cesserebbe di esser vivente. 168.  Rimane che la materia organata fluisca e muti a ciascun istante ; perocch solo in tal caso an- cora che obbedisca per poco alla violenza della forza vitale, tuttavolta permane identica Sr s medesima e serba incessante la comunicanza e la convenienza tra la vita e il mondo esteriore. 169.  Il supposto d'una materia non bisognevole di flussione perpetua ricerca che la non differisca gran fatto dal principio spirituale e per l' assimilazione divenga per lei una tal quale modificazione non molto profonda e in che sia per dimorare senza sforzo nessuno. Il qual supposto mena poi drittamente alla necessit dell' altro supposto, e cio che l' ambiente natura possa ricevere con prestezza ed arrendevolezza tutti gli im- pulsi dell' organo ; il che importa approssimazione e omogeneit di essenza. Tutta questa variet di rap- porti e di proporzioni non  certo impossibile, ma  impossibile che si avveri nella materia che conosciamo. 170.  Nel generale poi il flusso della materia or- ganica costituisce una specificazione molto distinta e qualificata della polarit fisica e della vitale. Perocch eziandio in quel flusso avverasi continuamente certa attrazione del diverso e certa ripulsione del simile ; po- tendosi senza troppo abusar delle voci chiamare di cotal nome la reiezione, la quale adempiesi nelle so- stanze divenute simili all'organismo ma incapaci di mantenervisi e necessitate di ripigliar 1' abito loro es- senziale inorganico. 492 LIBRO QUARTO. CAPO QUINTO. DELLA VITA ANIMALE. I. 171.  Adunque, se  proprio il dire che le piante vivono e qualche animale stremamente imperfetto vive, noi abbiamo di tale atto determinata la causa e il principio e lo domandammo virt e forza vegetativa. Da lei sono creati individui imperfetti e di vera unit sforniti ; onde essi piuttosto compongono certa totalit relativa, in quanto il complesso loro si scevera e diffe- risce sostanzialmente dalla materia circostante e vi ope- rano dentro le leggi meccaniche e chimiche ad ogni mo- mento modiidcate ed anzi trasmutate; tutto il che pro- viene da certa unione operosa di forze coordinate e non materiali che monadi appellammo. 172.  (Poteste monadi, in quanto s' appartiene alla vita vegetativa, sebbene reagiscano inverso gli stimoli esterni, in quel modo peculiare dell' organismo che do- mandiamo eccitabilit od irritazione; sebbene eziandio svegliando insino dal primo atto loro molta e propria e diversa virtualit modifichino profondamente le so- stanze nelle quali risiedono; e tuttoch, infine, per certo sistema di azioni scambievoli e per una coordinazione stretta e continua di moto, di affinit e di forma plastica producano quello che domandiamo comunalmente svi- luppo e giungg^no a costituire un qualche individuo, imperfetto,  v(?ro, ma separato e diverso dall'ambiente natura; ci noli ostante elle operano, a cos parlare, sul DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 493 fondo delle forze della materia, commosse per altro e commutate a maniera che senza quello ngerimento e mescolamento di forze spirituali mai non conoscerebbero l'atto di vita. NuUameno questo atto rivelasi unicamente in combinazioni chimiche peculiari, in forme cristalloidi e in flussione di sostanze incluse od escluse. Ancora in simile sorta di vita non apparisce alcuna cosa d'intera- mente spirituale, e vogliamo dire alcun fatto il quale sebbene occasionato dalla materia organica pure ad essa materia non possa tribuirsi tanto ne quanto e non consista minimamente in una modificazione profonda di lei cagionatale per ingerimento efl5cace ed intrinseco delle monadi vegetative. 173.  Ora, l' atto di vita nel quale ravvisasi pri- mamente il carattere di che parliamo  la sensazianc e la volont; nel primo  la spirituale passivit del principio vivificante, nel secondo  1' attivit; e dicia- mo spirituale per dinotare che sorge dalla essenza in- tima e qualitativa di quel principio; e ancora che ab- bisogni dello stimolo esterno acconciamente disposto e organato, nientedimanco differisce funditus dalla materia stessa organata e da qualunque attribuzione di lei, come da tutte le efficienze che abbiamo insino a qui divisato e descritto dentro le monadi. 174.  Ma tra la sensazione e la volont inter- viene eziandio questa sostanziai diflferenza, che la se- conda non traggo dall'organismo occasione all'esistere se non in quanto tiene dietro alla sensazione; e giunge di poi negli animali perfetti a deliberare ed a moversi per cause molto remote dalla sensibilit. Laonde quel primo grado della facolt volitiva, del quale parliamo al pre- sente e che sorge accosto accosto alla sensazione, dovreb- be, per mio giudicio, pigliar sempre nome di appetito ; ed  il reagire che fa, secondo sua forma spirituale, la 494 LIBRO QUARTO. monade sovrana ed unificante inverso lo stimolo esterno ora fuggendolo ed ora invece accogliendolo con intimo soddisfacimento. II. 175.  Seguita di cercare se la sensazione e quel sensuale volere che  l'appetito domandano la indi- vidualit perfetta, e intendesi V unit compita e asso- lutamente impartibile; e per se occorre di attribuire entrambe a un qualche sistema di monadi, o sola- mente ad una monade superiore od anima che voglia chiamarsi. ^^l^.V ^vw^^'.^  182.  D'altro canto, il sistema nervoso  rgano proprio ed unico della virt sensiva ed appetitiva e per indiretto della volont e del pensiere. Onde pu esser chiamato con gran ragione organo insigne dell'anima; dico nell'ordine istrumentale corporeo e ragguagliato a qualunque altro del medesimo ordine. Il perch  da chiedere se la presenza stessa dell' ani- ma sveglia e incammina le monadi vegetative alla co- struzione di queir organo ; o per lo contrario, l'anima diventa capace di congiungersi a un corpo organato mediante la costruzione d' un organo a lei confacente. E il secondo supposto sembra conformarsi meglio alla ragione. Conciossiach l' anima nelle attinenze sue pri- me con r organo proprio della sensibilit e dell' appe-. tito apparisce compiutamente passiva. E d' altro lato,( come notammo in qualche luogo, l'anima umana su- periore d'immenso intervallo all'anima dei quadruma- ni non che agli altri bruti, quando fosse autrice pri- maria dell' organo suo, costruito l' avrebbe con minore disproporzione da s medesima e alzato a segno mag- giore tutta la eccellenza di cui  capevole la natura corporea e la forza vegetativa. ' ^ Che sebbene noi siam di credere che nel corpo animato umano avvenga la mistione e la tempra mi- gliore del principio spirituale e dell' organismo corpo- reo, noi giudichiamo parimenti che questa tempra mi- gliore sia relativa e non assoluta; e valga solo nel mondo circoscritto e particolare di che siamo parte, e considerata per appunto la gravosa necessit delle ani- me di non potere per s medesime informar la mate- ria con atto iniziale e immediato. AMU.^l.  II. 32 498 LIBRO QUARTO. 183.   dunque la vita vegetativa dell' animale eziandio perfetto opera non gi indipendente dall' ani- ma, sibbene prodotta con altre forze che quelle di essa anima e propriamente da certo sistema particolare e coordinato di monadi ; e ancorach non intendiamo per questo di escludere ogni azione migliorativa dell'anima umana sull' organo proprio e sol confessiamo che ne ' r esperienza n il raziocinio ci chiariscono a sufficienza su tal subbietto. Ma nuUameno, ci chiariscono quanto bisogna per dimostrare la esagerazione della teo- rica domandata appunto dell'animismo e giusta la quale la vita vegetativa sarebbe fattura del nostro spirito. 184.  Non  poi razionale il pensare che una stessa e medesima generazione di monadi componga le mem- bra degli animali inferiori e dei superiori con questo soltanto che mutino le condizioni ambienti o la materia primitiva od altra sorta di accidenti. Ei si conviene  in tutte le opere della creazione revocarsi a memoria due massime normali ed ugualmente vere e feconde. L'una afferma che la natura usa gli stessi mezzi a diversi e variati effetti. L'altra ch'ella in ogni specie di cose e dove non si occultano intrinseche ripu- gnanze introduce ogni differenza possibile tanto di so- stanza quanto di modo. Per lo che ci  lecito per al presente e nel generale di affermare che pi specie originali di monadi e pi differenze di loro sistemi in- tervengono nella serie dei viventi. Quindi v'  molti animali, similissimi in fra di loro per organismo, dis- simili assai per istinto, come ad esempio il cane e lo sciacallo, riuscendo l'uno socievole ed educabile e l'al- tro no; si scorge la differenza medesima tra il cavallo e il giumento ; la medesima e pi tra 1' ape ingegnosis- sima e la maggior parte degl'insetti volanti. Non sem- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 499 bra egli ragoneTole in tanta parit di organi e confor- mit di circostanze recare le differenze al principio loro spirituale? Ma secondo che dar V occasione, torneremo pi d'una volta su questo recondito investigamento. 185.   poi da reputare assai verosimile che in ciascun vvente nel quale si scorge variet grande di parti e subordinazione graduata di funzioni e di atti sieno varie altres le nature di monadi e le une so- verchino r altre di facolt e d' efficacia. E tali senza fallo vogliono essere giudicate le monadi a cui per certa sublimit di essere si d nome di anime e sieno pure irrazionali. Queste del sicuro tengono il centro dell' organismo e lo informano di potente unit, oltre all'essere peculiarmente dotate di sensivit e di ap-^^ petizione. IV. ^..-L. 186.  L' anima umana, fatta capace del pensiere, esce per ci solo dell'ordine di tutte le altre e in infinito le soverchia. Oltre di questo, ella si separa dagli altri viventi per l'atto di coscienza che  il modo pi immediato e spontaneo dell' intima e propria at- tivit sua e le fornisce la possibilit vera del bene ; perocch vedemmo non vi essere bene reale se non conosciuto, n cognizione se inconsapevole di s mede- sima. Aggiungasi il deliberato volere e la intuizione sublime del bello del giusto e del santo come si ac- cenn in altro luogo. 187.  L' anima umana  del sicuro congiuntissi- ma col suo corpo, e vi  attiva ed efficace, ma non tanto, che si debba consentire con Aristotele di chia- marla forma di esso corpo. La qual espressione vuol dire, 0 che l' anima non  una, ovvero che il corpo 500 LIBRO QUARTO. molteplice pu farsi uno; due concezioni ugualmente contradittorie. Aristotele del sicuro volle significare che l'anima con forza propria e iniziale traeva la mate- ria del corpo all'atto; con che toglieva alla materia qua- lunque energia e originava dall' anima sola tutto il Wivere vegetativo. Nel fatto, la forma sostanziale degli organi risulta principalmente dalla virt delle monadi costitutive ; n l' organo della sensibilit  meno de- mentato e plasmato da quella virt. 188.  Invece, l' anima considerata nella sua po- tenza giudicativa e nella volont sua direttrice fu con felicit rassomigliata da Platone al pilota che  dentro la barca e con essa cammina. Imperocch il pilota non  autor della barca e non pu di lei uscire, ma non- dimeno la governa ; salvo che il corpo  certa sua vita ed azione indipendente al tutto dall' anima, come la nave degli Argonauti dicono fosse composta di legni e chiodi viventi e animati. Ma parlandosi con esattezza, r anima umana mentre  congiunta strettissimamente al corpo e alle monadi organiche vive eziandio con- giunta alle idee, e mentre  legata a membra mortali partecipa dell' eterno e dell' assoluto per la congiun- zione spiritale della sua mente. Onde Platone stesso non rappresent con la similitudine sua n tutta la dignit n tutta la natura dell' anima. Per se fac- ciamo che le idee sieno figurate dagli astri perpetui ed incorruttibili a cui guarda continuamente il nocchiero per condurre a bene la nave noi accosteremo la im- magine platonica alla verit. Ma di questo a suo luogo. V. 189.  Per insino dal secolo di Aristotele fu sen- tenziato che le piante crescono ; gli animali bruti ere- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 501 scono, sentono e si movono ; V uomo infine cresce, sen- te, si moTe e ragiona. La qual distinzione ancorach si confonda nei termini estremi, e vogliam dire nei passaggi da nna classe ad un' altra, tuttavolta rimane anche oggi verissima. Forse y'  parecchi molluschi % dotati di certa sensibilit e sforniti di moto locale; e c^JtZA parimente v'  alcuni mammiferi e alcuni quadrumani ^ a cui  forza di assegnare qualcosa intermedia tra la ! sensibilit e la ragione. V  pure alcune mimose dette 1 sensitive e persino pudiche; ma certo il senso e l'ir- ritabilit non sono il medesimo; e se il vecchio * - Darwin interpret bene e con rigore di scienza i fe- nomeni delle piante, la lista dei dotti botanici dee cominciare da Ovidio. Altrettanto sembrami singolare "^ la presunzione di alcuni naturalisti alemanni di appro- priare per anco agl'infusorj pi tenui ed informi la sensazione e la volont senza che mai sia mostrato in essi un minimo cenno di apparecchio nervoso,^ n v atti almeno ed operazioni animali di qualit da co- / stringere il nostro giudicio ad arguire la medesimezza i della cagione per la evidente e compiuta parit degli , eflFetti. 190.  Ci non ostante, fu molto bene asserito che r animale bruto fra l' altre condizioni che lo separano e soprapongono alle piante possiede quella del moto locale. Avvegnach cotal moto guardandolo nella sua origine e ne' suoi effetti proviene dal principio unitivo spirituale, o che s' abbia a dire dall' anima, la quale eccitata dalle sensazioni risveglia in s non pur l' ap- , petito, ma dirige e governa i suoi movimenti locali a , seconda di quello e conforme agli accidenti diversi e ^ mutabili del mondo esteriore. Nel fatto, l' organo di . * Fra gli oltri L. BOijchiier, Forza e Materia. 502 LIBRO QUARTO. que' movimenti  della stessa costruttura e materia che l'altro della sensibilit e ambedue Tanno a metter capo (se  lecito cos parlare) entro V anima, e cio a dire che mentre questa opera nel corpo suo il pi delle volte mediatamente e per indiretto, invece ella  in relazione e contatto spirituale immediato e diretto col sistema nervoso, e quindi l' atto proprio e interiore di lei propagasi senza mezzo ai nervi del moto. 191.  Ma conviene tenersi a mente che la vita iielle apparizioni sue diverse e negli abiti suoi varia* tissimi compone un sol tutto disposto e ordinato a sod- \ disfare al fine generale della creazione. E sotto tale rispetto non peneremo a conoscere qualmente la di* stinzione e distribuzione aristotelica debbo venir per- mutata in altra di pi profondo senso e cosmologico propriamente. Imperocch le piante iniziano la stru- nientalit o V organismo che si domandi, ma non con- tengono in se il fine, perch non anno senso di bene,, non forma vera di unit, non distinzione veruna fra il subbietto ed il suo strumento e servono tutte e per ogni verso alla superiore organizzazione. In quel cambio, negli animali bruti il fine principia ad essere parzialmente attuato non ostante che servono ancora ad un organismo pi alto e per parte del fine  fuori di loro ; ed anche nei meno imperfetti animali  da dire che gli organi, sebbene divenuti veri stru- menti, non colgono il fine salvo che per accidente a cagione della inferiorit del principio loro spirituale. Neir uomo, invece, V organismo non serve fuori di s quale mezzo ad altro superiore e migliore ; e di van- taggio, aiuta il subbietto a raggiungere un termine che sopravanza smisuratamente ogni virt istrumentale diretta ; perocch questa inverso il pensiero, la ragione, la coscienza e l' altre facolt personali  mera causa DELLA VITA E DEL FINE NELL' UNIVERSO. 503 occasionale ; e in esse influisce immediate un principio diverso ed assai superiore non pure allo strumento ma si airanima stessa, e intendiamo la intuizione dell'As- soluto. 192.  Negli animali bruti, se guardasi attenta- mente,  pi presto V attuazione dei fini che del fine ; stantech in ciascun animale bruto il fine visibile  singolare affatto e individuale e risolvesi nella con- servazione fisica di esso vivente. NelP uomo per lo con- trario non solo il fine  positivo ed intero, ma  fine universale o vogliam dire  fine assoluto. Il perch r uomo conosce e adopera secondo Y universale, seb- bene ci avvenga in lui mediante un principio alieno per se dalla vita organica e sensitiva. 193.  Negli animali bruti altres il fine  cos accidentale e ristretto, che l' organismo eccellente di parecchi fra essi gli rimane assai superiore; e inten- diamo che il fine d' una vita fugace ed inconsapevole non si proporziona e non corrisponde al mezzo ed allo strumento maraviglioso. Il che move a pensare che quella eccellenza del mezzo trovi miglior proporzione e compenso nella perpetuazione della specie, nell'or- dine generale e concatenato della intera animalit; e opra ogni cosa, negli apparecchi che dispone e matura all' organismo dell' uomo e nell' ufficio strumentale, sebbene separato, che porge al medesimo uomo. In iiuesto invece l'organo riesce estremamente inferiore al fine, ancora che sia tutto il meglio che la sapienza infinita potea ritrarre dalle materie e forze del nostro globo. 194.  Esce pure dalle cose notate un' altra gra- dazione e distribuzione degli enti organati; e per fermo, la vita si ordina prima negli enti che crescono e si sviluppano entro un tutto senza unit impartibile 504 LIBRO QUARTO. come sono le piante; dipoi negli enti che si svilup- pano con certa unit impartibile come gli animali bruti; e per ultimo in enti, e intendesi gli uomini, che oltre all'anzidetta unit congiungonsi spiritual- mente ad altra unit superiore e assoluta e vogliam dire l'infinito. CAPO SESTO. AFORISMI DELLA VITA VEGETATIVA. Aforismo I. 195.  Seguendo il nostro istituto, noi ripiglieremo per ordine la considerazione delle cose di gi discorse intorno al vegetare, al sentire e al volere, studiandoci di dedurle con rigore scientifico nella maniera che fu usata pi sopra circa 1' universalit della vita ; e co- minciamo dal subbietto particolare di questo Capo. 196.  Come ogni compossibile dee trapassare al- l' atto, il medesimo debbe accadere degli enti finali e per qualunque maniera di vita. Per trattando di que- sta nel generale, fu eziandio supposto che qualche principio vivente e spirituale sussista troppo alieno dalla materia e quindi incapace per s e da s di connettersi a quella e convertirla in istrumento suo proprio alfine di dominare sugli esseri ambienti. 197.  Nondimeno, perch quel tale principio  possibile e la materia altres ; e di pi  possibile un terzo principio detto anima vegetativa, per con essa diventando compossibili gli altri due termini e ope- DELLA VJTA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 505 randovi l' arte divina del Convenevole, avremo un principio vivente spirituale involto nella materia e fornito di organo mediante 1' anima vegetativa. Senza qui risolvere se forse cotesto principio spirituale vi- vente non possa talune volte essere una monade su- periore vegetativa che subordina tutte le altre e da lor differisce di perfezione non di natura. Aforismo n. 198.  Ma gli  chiaro che se V anima vegetativa opera immediatamente sulla materia e con efScacia organatrice, potr sussistere anche sola e attribuire a s stessa certo dominio sugli esseri ambienti. Ei vi sar dunque una vita meramente vegetativa senza connessit e unimento veruno con qualche anima su- periore a cui serva di tempra e legame con la ma- teria. 199.  Certo , peraltro, che tale anima vegetativa mancando di vera individualit (giusta la defini- zione che di questa si scrisse qua addietro) non par- tecipa del fine e del bene; e quindi ancora che sia sostanza organata, nientedimeno la sua dilatazione di essere e il suo predominio sulla circostante materia valgono solo un incremento e un predominio di forze opra altre forze meno gagliarde ed unite. Ma perch simile vita corporea ed inconsapevole  pure peschile e serve immediatamente di anello e scala ad altre finalit, cos dobbiamo pensare e credere che sussista sulla nostra terra; e con diverse forme, in altri diversi mondi. Conciossiach la plenitudine della vita  l'ul- timo gran portato della creazione e debbono essere perci superate infinite volte le limitazioni le insuf- ficienze gli impedimenti e le incoerenze delle nature 506 LIBRO QUARTO. finite. Quindi la divina mentalit moltiplica a pi non posso le esistenze intermedie e le loro combinazioni. 200.  A noi accade, impertanto, di considerare r anima vegetativa nel suo vivere proprio e staccato, come eziandio nelle sue attinenze con un superiore principio. Ma in questo secondo rispetto debbono i particolari che pi importano venire studiati, laddove discorreremo della vita animale propriamente deno- minata e della umana e razionale. 201.  Insino dal principio noi dichiarammo che la deduzione in cosmologia torna tanto meno efficace e sicura, quanto scendesi di vantaggio ai minuti par- ticolari. E per fermo, lasciate che sieno le generalit della vita e procedendo al primo particolare che  la vita vegetativa o in separato o connessa con pi alto principio, la deduzione pena a serbare integro e te- nace il filo dialettico, argomentando dai compossibili e da certo modo costante ed universale di operare dell'arte divina; e avverr il medesimo per ogni sub- bietto speciale e impresso di caratteri peculiari ed ori- ginali. Ci non ostante, noi siam di credere che la scien- za vale a scoprire se non i dati primi di cotesti pro- blemi certo le loro attinenze e dipendenze immediate e profonde e le mostra assai pi intrinseche e pi razionali che altri non giudicherebbe ; e tale  il pro- fitto di simili studj. 202.  In questo proposito della vita vegetativa, noti da capo il lettore come prepondera nella natura DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 507 il principio della diversit contro que' filosofi che s'in- testano di ravvisare in qualunque cosa l' uno e l' iden- tico. E nel fatto vedremo che gli elementi da noi domandati monadi sono un principio nuovo e assoluta- mente sui generis nella maniera che ad ogni passag- gio un po' arduo ed eterogeneo abbiamo incontrato eziandio per addietro un elemento originale e diverso dall'altra materia ovvero una forza al tutto partico- lare della materia medesima. Che se la natura non va per salti e procede e scorre per tutte le possibilit intermedie, ci fa in una stessa ragione di cose. Av- vegnach a lei importa di esaurire tanto il diverso quanto il vario nel simile; e la minutissima variet segna e determina appunto la gradazione delle esi- stenze. Afobismo III. 203.  Nel mondo nostro visibile l'anima vegetativa tramezzando fra la materia e il puro principio spiri- tuale dee partecipare di entrambo.  immateriale ma comparisce ed opera nella materia a ci conveniente- mente disposta. Si unisce di congiunzione immediata e formale con essa materia, ma le rimane superiore e la padroneggia e costringe. 204.  Per tutto questo sar neir opera vegetativa ogni condizione propriet ed accidenza della materia sebbene in modo diverso e non possibile a comparire nella sola natura meccanica e chimica. Quindi nel composto materiale vegetativo saranno leggi di moto differenti dalle ordinarie, non per in maniera che le ordinarie spariscano al tutto e si annientino. Per si- mile le leggi di affinit senza creare elementi nuovi e mutare le essenze incontreranno modificazioni singo- 508 LIBRO QUARTO. lari e profonde per la qualit e il grado di forza. Del pari, dovendo ad ogni composto materiale aderire una forma figurativa, quella del composto organato sar dif- ferente da ogni fatta di cristalli inorganici. Per ultimo, il composto vegetativo accoglier le azioni esteriori in modo altrettanto diverso e speciale, perch il passivo risponde nelle sue differenze all' attivo. Perci quelle azioni domanderannosi stimoli e il modo di riceverli pigli era nome d' irritabilit od eccitabilit. 205.  Si pot scrivere dal Borelli e da parecchi altri una statica del corpo umano giusta i principj fondamentali della meccanica d' ogni materia. Ci non ostante vi fanno eccezione gravissima il moto di sistole e diastole e il moto vermicolare, non che il flusso cir- colatorio pei grandi vasi e per li minimi secondoch accennammo pi sopra. Quanto alla figura dei com- posti vegetativi sembra che si possa intendere non solo perch diversifica dalle altre delle sostanze inorgani- che ma eziandio perch la sua propria risolvesi sem- pre in qualche forma e specie di rotondit. Nel vero, la forza vitale od anima vegetativa che la si chiami attraendo ed assimilando la materia esteriore scioglie questa naturalmente negli ultimi suoi componenti e per toglie loro le forme molecolari angolose da onde risultano i triangoli i cubi i poliedri ed altre figure cristalline dei minerali. Segue che sciolte quelle so- stanze negli ultimi indivisibili e ricevendo uguale at- trazione dal centro di ciascuna monade essi indivisi- bili si dispongono in cerchio e producono le diverse rotondit conforme il diverso moto al quale obbedi- scono. Quindi una stessa ragione opera nel massimo DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 509 e nel minimo, e cio nella rotondit dei corpi stellari, nelle gocciole dei liquidi e nelle minime cellule dei composti vegetativi; e la ragione si  T equilibrato impulso e uniforme delle forze centrali. 206.  A detta del Liebig manca alla forza vitale il potere d' ingenerare qualunque specie nuova di af- finit chimica sebbene valga a modificarla in infinite maniere. Tale sentenza non mi sembra sia stata in- dotta dal Liebig per le vie sperimentali. Stantech r esperienza a rispetto di ci rimane ancora incertis- sima e imperfettissima, e converrebbe innanzi aver ri- prodotto con r arte e i fornelli tutte le sostanze ve- getali e animali. Ma s' io non m' inganno il Liebig pervenne a quella sentenza mediante un giusto razio- cinio. Couciossiach le combinazioni chimiche originali e ogni forza di affinit si fondamentano nella essenza impermutabile dei corpi e non vi appariscono ed ope- rano per accidente. Non pu dunque V anima vegeta- tiva n creare nei corpi una forza nuova ne abolire al tutto le gi esistenti ; perocch le forze n si creano n si distruggono. Apobismo IV. 207.  La forza vitale o vegetativa possedendo, come fu dianzi veduto, alcuna dote spirituale, pu congiungersi naturalmente ad un' anima sensitiva e compiere r omogeneit dei tre termini, dell'anima, vale a dire, della materia organata e della materia ambiente. Ma se la congiunzione si faccia immediate, ovvero dopo certa preparazione della virt organatrice, non pu 510 LIBRO QUARTO. sapersi a priori; e nemmanco in quale termine di preparazione e di sviluppo essa virt diventi capace di svegliare le reazioni, a cosi chiamarle, deir anima sensitiva e lo spiegamento delle forze di questa nella materia organata^ Ma di ci piii distesamente nel capo che seguir. Afobisho V. 208.  Se la congiunzione della forza vegetativa con la materia non  comune e continua a tutto il mondo corporeo, debbo questo venire in certa singo- lare e antecedente disposizione alF effetto proporzionata. N comune e continua pu essere, dacch ci mute- rebbe a poco per volta od anche a un sol tratto il mondo fisico intero in mondo vegetativo, e cio a dire die non sarebbevi una natura deputata ad essere mezzo ed un' altra deputata ad essere fine; il che fu provato impossibile e torna contrario all'ordine e all'intendi- mento pi generale e pi manifesto della creazione; e l'organo e la sostanza onde  fatto e gli esseri ambienti che debbo l'organo usufruttare confonderebbersi all' ul- timo in una sola e medesima cosa. Oltrech, ci torna con- trario eziandio alla povert innata ed inemendabile dei finiti. Perocch questi non pervengono a dilatare e col- mare s stessi, eccetto che per alcuna sorta d' appropria- zione di altri finiti ; la qual cosa distingue da capo in qua- lunque lato dell'universo la serie dei mezzi dalla serie dei fini. 209.  Ancora si avverta che se l'anima vegetativa dee tramezzare tra la materia e il principio spirituale, essa per lo certo partecipa del pi fine della materia da un lato e del meno squisito ed etereo, a cosi par- lare, del principio spirituale. Non ogni materia aduii- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 511 que  disposta a compenetrarsi con V anima vegeta- tiva. E se questa vale con le proprie sue forze ad or- ganar se medesima e il composto organato assume qualit ed attribuzioni sostanzialmente diverse dalla materia, forse da ci solo  lecito di arguire che la condizione primitiva ed originale della materia per con- giungersi col principio organizzatore ebbe dello straor- dinario affatto e dell' eccettuativo a fronte del mondo attuale; e che  trascorsa perci sopra esso mondo un'epoca singolare iniziale e genetica. A. 210.  Questo sar soggetto di lungo e particolare studio nel progresso dell'opera. Nondimeno ci piace di qui notare che ai chimici conveniva di separare pro- fondamente le sostanze organizzabili da tutte le altre. Stantech nelle prime debbono rincontrarsi qualit e prerogative le pi peculiari, quando con sole esse pu la vita vegetativa passare all'atto. N il calcio pu esser confuso con qual metallo si voglia, dacch entra sempre come elemento costitutivo delle ossa degli ani- mali ; e il simigliante si ripeta del fosforo a rispetto di altri organi e in ragguaglio con altri principj semplici. Aforismo vi. 211.  Del rimanente, convien riconoscere che le prime reciproche azioni tra la materia bruta e l' anima vegetativa bastar non possono alla costruttura com- piuta dell' organo per quanto poco sia implicato ed elaborato e ricerchi unicamente qualche progresso e sviluppo delle virtualit sue e del suo composto. N la serie delle mutazioni e degl' interiori incrementi di 512 LIBRO QUARTO. lui pu provenire dalla efficienza estrinseca, la quale, oltre ad essere provocatrice od occasionale soltanto, varia spesso, gli  vero, ma sempre ad un certo modo e non  progresso e coordinato incremento; oltrech abbiamo gi definito che V organismo, quale che sia, opera necessariamente dal di dentro al di fuori e quindi l'efficacia esterna non pu servire. Del pari venne supposto che l'anima propriamente spirituale non sia proveduta di facolt vegetativa ini- ziale ma soltanto perfettiva. Senza dire che la virt organatrice dee poter reggere da s stessa e in di- sparte dair anima test accennata. Si conclude che l'organo qualechcssia non vale a dedurre le ca- gioni prime efficienti del proprio essere eccetto che dall' ultimo fondo di s medesimo. E perch d' altra parte nessun ente finito e semplice dilata e sviluppa s stesso quando pigliar debba da solo s l'impulso iniziale e il principio di diversificazione, per  ne- cessit di affermare che la virt organatrice non  una ma s  molteplice, e vale a dire eh' ella risulta d'un sistema di forze identiche quanto svariate le quali per questo possono intrinsecamente e variamente ope- rare r una inverso dell' altra e tutte operare sulla materia del lor composto e suU' ambiente natura. AroRisMo VII. 212..  Cade, impertanto, l'appellazione di anima vegetativa da noi accettata per forza di uso e vecchia tradizione scolastica. Perocch la voce anima dee sem- pre significare qualche cosa di uno, mentre scorgiamo nella vita vegetativa la necessit del molteplice s a rispetto della materia compositiva e s a rispetto del principio che debbe informarla. Dicasi, adunque, che DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 513 laddove non  un'anima sensitiva e di qualunque altra specie e ragione pu tuttavolta sussistere ed operare un sistema di forze vegetative o monadi che le si chia- mino ; e per tale sistema costituire un tutto organato che parr unito e sostanzialmente individuo a rispetto della materia bruta ed ambiente ma nel quale man- cher ogni principio vero unizzante e quella serie intera di atti che solo appartiene all' individuo reale e com- piuto. Di tal che nel vegetabile non sar distinzione tra subbietto e organo ma desso l' organo sar pure il subbietto. Aforisho Vili. 213.  Anzi quando il sistema iniziale delle forze vegetative ripetasi sostanzialmente nelle parti del tutto organato, ognuno ravvisa che ciascheduna di esse potr separarsi con poco danno o veruno e fare individuo nuovo da s. Il che poi affine si vegga succedere in- numerevoli volte, converr che nell'individuo vivente si moltiplichino le monadi per lo meno quanto le parti capaci di vita propria staccata. 214.  Questo  abbondantemente confermato dal- l' esperienza s nel regno vegetabile e s nel regno ani- male inferiore ; e nel generale  confermato in qualun- que organizzazione assai semplice e che moltiplica per escrescenze; quivi le parti sono similari ed in ciasche- duna  ripetuta la forma iniziale costitutiva; come d' altro lato la connessione dell' una con l' altra reca modificazione poco profonda all' essere proprio d'ogni singola. MAttlANI. - 11. 33 514 LIBRO QUAETO. 215.  Quanto al bisogno di certo antagonismo o polarit nel germe e in qualunque sia rudimento di un composto organizzato, oltre all'aversene buna prova razionale risulta chiaro e patente da ogni osservazione sperimentale. Conciossiach nessun ovicino appare sfor- nito d' altro ovicino minore e di qualche doppia pelli- cola. Del pari, notammo pi sopra come in qualunque organismo le parti si dispongono sempre in certa con- trapposizione simmetrica, e ci si nota eziandio negl'im- perfettissimi esseri. Parlammo qua addietro del Fro- tococcos 0 Discerea nivalis^ reputata l'ente organato pi semplice forse che si conosca. Ed in essa pure si notano quattro cellule minori disposte per guisa che due si contrappongono a due con perfetta simmetria. Un' altra di coteste semplicissime organizzazioni^ am- mirata nel Nostoc, alga marina composta di filamenta .gelatinose ed articolate e ciascuna delle quali in ogni suo minimo articolo si distingue in due parti contrap- poste e ugualissime ; la propagazione si fa con lo stac- camento di una di esse la quale a vicenda non tarda a distinguersi e geminarsi nelle parti suddette. AroRisMO IX. 216.  Per un lato, le monadi vegetative, si disse, partecipano della materia ; per l' altro la predominano e sottomettono e sforzano. Del pari, da un lato la ma- teria non pu resistere alla virt assimilatrice per quella omogeneit di natura che la connette alle mo- nadi ; dall' altro, assorta ed assimilata che sia, dimora in cosi nuova e straordinaria condizione e modifica- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 515 zione, che piglia convenientemente nome di stato ec- cettuativo e come a dire violento. Per  necessario non pure che insorga conflitto tra le leggi dell' organi- smo e quelle generali e continue della materia comune, ma che tal conflitto non possa durare salvo che rin- novandosi molto frequentemente il subbietto passivo e signoreggiato, appunto come le battaglie non durano laddove coji ischiere nuove ed integre non si rinfre- schino. Al qual motivo di mutazione e d'innovazione oc- corre di aggiungere che l'ente organato talora cresce e si esplica, talora si mantiene e resiste, e per, variando sempre e moltiplicando l' azione, moltiplica il moto ; e varia e frequenta eziandio il moto e l'azione, adattar volendo ai proprj fini la circostante natura che  in- stabile e cambia un poco ad ogni luogo ed in ogni tempo. Tutta la quale necessit del moto frequente e diverso cagiona in ciascun istante qualche dispersione di minuta materia e per induce il bisogno continuo d' altrettanta riparazione. 217.  Da ci risulta per ultimo la rinascente ne- cessit del flusso perenne della materia, e vale a dire che r assimilazione e la reiezione debbono tuttod av- vicendarsi e compirsi nell'individuo vivente. Laonde il continuo entrare di molecole nuove nel tutto orga- nato e r uscirne continuo di altre non pi assimilabili costituir debbe la legge fondamentale e non mai in- terrotta della vita vegetativa. 218.  Certo in natura nulla si fa contro la natura medesima e ci ancora che  violento non esce dal termine delle sue leggi. Nondimeno, tal cosa opera se- condo le cagioni pi comunali e in certa misura or- 516 LIBRO QUARTO. dinara, tale altra secondo un particolare concorso di potenze e di atti e toccandosi V estremo della potenza e dell'atto. Ci sebbene pu farsi, non dura; quello e sempre si fa e sempre si mantiene. I fisici a gran pena e con mezzi pi che insoliti anno conseguito di liquefare alcuni gaz. Ma ci per un poco di tempo e solo quanto riuscivano a serbare la unione di molte forze e l'atto estremo della loro energia. Ne potea durare quello che  contrario alla naturale ed essen- ziale tendenza di esse materie gazeiformi. 219.  Quando noi, per addurre altro esempio ef- ficace, mischiamo ferro e potassa entro un tubo chiuso e caldissimo, si vede che noi tramutiamo per arte lo stato ordinario e permanente di affinit in quell'al- cali ; e la base di lui, o vogliam dire il potassio, racqui- eta r essere suo di metallo. Ma ci dura poco prove- nendo da condiziono eccettuativa e straordinaria. L'os- sigeno presto s' incorpora novamente con quel metallo e l' alcali ricomparisce. Onde fare che il potassio du- rasse libero e solo, quando in natura non  mai tale, converrebbe introdur sempre nel tubo rovente nuovo ferro e nuova potassa. Ora ci fanno appunto i prn- cipj vitali nelle combinazioni chimico-organiche me- diante il flusso delle sostanze di mano in mano assi- milate e reiette. 220. Ei non v'  dubbio, impertanto, che nella vita vegetativa le monadi organatrici operano nella mate- ria uno sforzo operando contro le pi comuni ed es- senziali tendenze di lei. V' dunque in tale atto la necessit di riuscir transitorio, ovvero di mutare con- tinuamente il subbietto passivo. E in questo bisogno di sforzar la materia al segno ultimo delle sue pas- sive trasmutazioni, ci si rivela eziandio il principio della caducit della vita vegetativa. DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 517 221.  Probabilmente in altri mondi con mezzi e strumenti fatti e composti con meno straordinariet e violenza la vita organica torna pi facile e pi per- manente insino a che in pi alte regioni divenga per- petua, giovandosi di strumenti affatto spirituali ed in- corruttibili. AroRiSMO X. 222.  A cotesto flusso incessante corporeo biso- gnano altres certi organi in forma di recipienti e che loro servano di condotto e di alveo. Quindi in simili organi recipienti debbe accadere certa maggior fissa- zione di materia. Diversamente i moti del flusso non trovando resistenza veruna si sperderebbero e confon- derebbero tutti. In queste parti adunque meno muta- bili sar meno vivo il conflitto tra le leggi speciali della vita e le generali dei corpi ; ossia che quelle parti dimoreranno in condizione assai meno eccettuativa a rispetto delle forze comuni della materia ; e per minor bisogno sar in loro di venir rinnovate. 223.  Ma poi questa prevalenza medesima delle leggi pi generali dei corpi aumentando lentamente ed a poco insieme l'effetto piglier vantaggio sul rima- nente e condurr in pi o meno tempo la consuma- zione del corpo organato o la morte che voglia dirsi. CJonciossiach per la vita vegetativa  necessario un perfetto equilibrio tra il solido e il liquido. Ma d'altra parte, la vita vegetativa risultando principalmente dal conflitto incessante delle due sorte di forze,  gran me- stieri che dove l'una non prevale e non vince, l'altra la soverchii e gradatamente l'annulli; il che importa che la materia organata ritorni tutta quanta sotto l'impero delle leggi comuni, la qual cosa domandasi appunto la morte sua. 518 LIBRO QUARTO. A. 224.  Negli animali la graduata preponderanza delle leggi comuni entro la parte solida dei medesimi  chiara e patente. Quella porzione delle ossa che i fisiologi chaman terrosa, consiste principalmente di fosfato e carbonato calcareo ; e simili materiali vi stanno in forma di sale, e cio come semplici combi- nazioni inorganiche; e a rispetto del rimanente nella composizione delle ossa quei materiali tengono propor- zione della sola met nel fanciullo, di quattro quinti nello adulto e di sette ottavi nel vecchio. Ma v' cosa ancor pi notabile e vale a dire che negli anni senili le cartilagini tutte ed eziandio la tu- nica dei vasi sanguigni tende a riempiersi di sali calcarei. Visibile  dunque che in tutto ci che nel composto animale domandasi solido predominano le leggi corporali comuni. E quando cotal predominio non esistesse infino dal primo costituirsi del composto ani- male questo non potrebbe in guisa veruna svilupparsi e perfezionarsi. Conciossiach i suoi movimenti varj e molteplici debbono per molta porzione obbedire alle leggi della statica universale, senza il che non potrebbe esso composto operar di continuo sull'ambiente ma- teria adattando lei a s quanto s a lei. Bisogna dun- que neir organismo venga crescendo insino ad un certo segno r assolidarsi di certe parti, il che trae seco la prevalenza delle leggi comuni esteriori; le quali seb- bene trovano nel colmo della vita vegetativa giusto contrappeso nelle forze contrarie, proseguendo nulla meno la propria efficacia debbono in corto tempo sce- mare e quindi rompere affatto quelF equilibrio. 225.  Perch tale equilibrio durasse perennemente DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 519 ei si converrebbe che quanto prevale da un lato l'azione delle forze fisiche e meccaniche altrettanto succedesse nelle forze propriamente vitali. E per fermo, crescono queste e prevalgono insino a tanto che la composizione e funzione dei visceri e degli altri membri vassi com- piendo e perfezionando ; dacch la potenza assimilatrice misura l' efficacia sua al mezzo immediato e bene or- ganato di esercitarla. Di quindi nasce che il corpo ancor tenero cresce e raggiunge in un cotal tempo le proporzioni, la sodezza ed i limiti del proprio sviluppo. Ma gli  manifesto che pi l di quel termine, mentre la virt assimilatrice e l' altre forze propriamente vitali e interiori mantengonsi in una pari intensione ed azione, le forze fisiche e meccaniche test ricordate proseguono a minimi gradi la lor prevalenza ; da poich fu neces- sario alla economia animale il concederla in sino dal primo in certi organi e in certa porzione del corpo vi- vente e che d' altro lato le forze della materia esteriore n cambiano sostanzialmente n scemano. B. 226.  Nei vegetabili ci apparisce altrettanto vera, sebbene in modo meno visibile, la teoria anzi esposta.  di fatto ogni pianta  una connessione di cellule e ad ogni cellula bisogna certo recipiente come pure certa separazione e difesa; il che le  procurato dal proprio involucro o vaso, e cio a dire dalla parte solida del proprio organismo. 227.  N qui vogliamo" celare un nostro pensiere il qual ci sembra disascondere la cagione essenziale 520 LIBRO QUARTO. ed intima dell' introdursi nel corpo organato la pre- valenza parziale delle leggi comuni della materia. E intendiamo la cagione efficiente immediata e non la finale e intellettuale. Conciossiach non cesseremo pur mai di rammemorare ai naturalisti e ai filosofi che la natura in disparte dalle intenzioni supreme opera anzi tutto per cagioni fatali ed intrinseche le quali non sono alP ultimo altra cosa che le sue forze le sue tendenze ed i suoi accidenti, sebbene accada pur sem- pre che tal suo modo di operare combaci esattissima- mente coi fini prepensati e voluti dalla divina men- talit. 228.  Piaccia dunque di avvertire che il germe iniziale d'ogni corpo organato  la cellula e questa si dilata quanto porta l' attivit della monade o delle monadi respettive. Quindi nei punti estremi della cellula stessa egli par naturale doversi formare un involto di materie quasich inerti, cio poco o nulla mosse e im- pregnate dalla virt organatrice e poco altres stimo- late dall' estrinseche forze speciali , dapoich quivi muoiono in parte le une e le altre e come dicesi oggi si neutralizzano. 229.  Prevarr quivi soltanto la forza pi gene- rale ed inestinguibile della materia stessa che  la forza di coesione. Ne nascer dunque una concrezione meccanica e per pi inerte e al resistere pi confa- cente. Aforismo XL 230.  Ma un' altra cagione certo pi generale e non meno vigorosa condur debbe alla distruzione qua- lunque corpo organato e questa  insita nella supre- ma necessit del frequente moto e del frequente mu- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 521 tare. Che sopprimendo cotale frequenza la vita non si sviluppa n si rinnova e modifica quanto bisogna alla sua compitezza e all' adattazione continua che debbe in s medesima indurre verso il variare altres con- tinuo della natura ambiente. Ma frequenza estrema d' innovazione e di moto traggo seco l' azione impli- cata di molte cause particolari e di molti minuti ac- cidenti. E sebbene tuttoci  ordinato con serie mira- bile di compensi di riparazioni di preservazioni e di- fese, saria vanit il pensare che in certo sistema de- terminato di monadi la virt riparatrice e preserva- trice fosse infinita e alla quasi infinitudine delle azioni specialissime ed accidentali potesse far sempre impe- dimento esatto e per ogni parte compiuto. Infrattanto,  legge comune non che necessaria del- l' universo dei finiti che le cause minime ed accidentali cumulino invisibilmente gli effetti loro insino a quel punto che la somma di tutti si manifesta assai rilevata e mena seco altrettanta efficacia di opera. Ora basti il considerare che nel complesso dell'organismo insinuan- dosi a minimi gradi la forza degli accidenti, debbe in ultimo risultarne che le riparazioni e preservazioni ed ogni altra sorta di compensi, mantenimenti e difese non riescano precise esquisitamente ogni sempre e il flusso  le forze naturali che noi conosciamo. Perocch i su- biti accidenti come i terremoti e T eruzioni deWulcani e la furia delle tempeste sono atti Tolenti che distrug- gono ma non creano. Le trasmutazioni poi tardissime accadute sul globo, e che a minimi gradi forse si ope- rano tuttavia, sono per ultimo V accumulazione infinita d' infinitesime forze. Solo V uomo fa ordina compone ^.mmenda e perfeziona secondo i principj e le leggi immutabili del vero, del bello e del bene. A, 293.  La operosit e T industria umana ebbero gi recato mutazioni e modificazioni non poche al clima, alla temperatura, al corso delle acque, alla fertilit del suolo, alla traslazione dei vegetali e degli animali e ad altre contingenze. N si dee credere che il ge- nere umano sia pervenuto neppure al mezzo di tale trasmutazione ; perch gli stimoli stessi della necessit suprema di provvedere al sostentamento proprio costrn- ) gerannolo a dilatare le sue dimore in ogni angolo (della terra e trasformare i deserti in campi ben col- tivati, mentre dalla chimica e altre scienze naturali caver secreti e spedienti maravigliosi per iscemare e combattere la intemperanza dei climi, la malsania delle arie e simili danni e pericoli. Onde non pu ne- garsi air uomo la gran dignit d' essere braccio di Dio e compiere sotto questo rispetto V atto medesimo di creazione adattando s stesso e le cose al fine giusta r arte divina che abbiam domandato del Convenevole. DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 549 294.  Ma cotesta arte nelle mani di Dio, mentre nddixizzsk gli enti inferiori all' attuazione del fine as- soluto, imprime in loro i vestigi del bene e qualche fruizione di qualche fine relativo. Imitano esse in ci le generazioni umane l' arte divina o invece attri- buiscono al proprio lor fine ogni cosa senza badare quello che ne risulta per la vita universale della na- tura sulla faccia del globo? 295.  Certo, sotto le mani dell' uomo e per li progressi della cultura l'aspetto del nostro pianeta si fa i*egolare, ameno, fiorito, elegante e pieno di moto e di vita; e s'egli  vero che la bellezza sia raggio della divinit, noi, recando a poco a poco la terra nella forma . soluto esistere dentro 1' anima e non esstere ; n del pari  concepibile un mezzo senso del retto e del giu- sto n dividere per met l'atto di coscienza. /* ^;^' . Alla stessa maniera egli si vedrebbe che a vol^ tramutare in uccello un mammifero non con- sentivano le leggi onde  governato quest' ultimo che gli si appiccassero le ali nel modo di tutti i pennuti, ma invece si dilatassero le cartilagini tra le falangi delle estremit qualmente si scorge nel vipistrello; ovvero si pot nella bocca simular la forma del becco e nelle viscere costruir la cloaca, seguitando pel rima- nente, cio a dire pel pi sostanziale, la costruttura necessaria al mammifero come si scorge nel genere gi ricordato dei monotremi. 400.  Che, quando tu sopprima in questo animale e in cotesto alcuni ristringimenti od ampliamenti di parti od alcune poche superfluit, tu verresti insieme a fare impossibili, come si disse, alcune funzioni essen- ziali ; e s ancora ad annullare assaissimo svarianze di specie, mentre la natura guarda sopra ogni cosa alla sterminata eflfettuazione del possibile. 401.  Per lo stesso fine e per quelle necessit pro- venienti dalla universalit d' una legge determinata di vita e di organizzazione, consente la natura talvolta a disdire, nell'apparenza almeno, la sua norma eterna e divina del Convenevole, siccome quando  fatto che l'ape DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 595 usando a propria difesa del suo pungiglione t perda insieme la vita; ovvero quando foggi la capsula del papavero e d'altre pianticelle in guisa che rendesi malagevole lo spai^mento del seme, e forn di pappo le semenze che permangono sterili, mentre a parecchie altre germogliabili lo diniego e ad altre lo concesse in maniera che si separa dal granello invece di tras- portarlo seco. 402.  Ma se le specie dimostrano a drappelli per drappelli certa comunanza di leggi e di forme organi- che, ci non induce alcuna prova che 1' una specie sa generata dall'altra; nel modo che le somiglianze, le quali intervengono tra l' oro e il ferro non diede al- l' alchimista veruna ragione buona per credere di tra- mutar l'uno nell'altro. Nel vero alle variet indivi- duali non  assegnabile alcun numero, tante sono e cos volubili 1 Ma non travalicano l' individuo, e sopra tutto non oltrepassano d' un minimo iota la sfera degli accidenti. E sebbene l'industria umana o certa par- ticolare costanza del mondo ambiente pu dare fer- mezza e perpetuazione alle variet, nulla non perviene a cancellare in esse il carattere loro fortuito; quindi mai legittimamente assumono 1' appellazione e quasi diremmo la dignit di specie. E quando sia confer- mato che animali e piante ibride malamente tradu- cono in remoto avvenire la loro fecondit, noi neghe- remo eziandio che esistano vere specie consorelle e di parentela congiunte. 403.  Quanto poi alla dirisione delle gran classi per entro le quali sono rostrate le diverse fami- glie delle piante e degli animali,  facile il preve- dere che i dotti non bene s'accordano fra loro, ap- punto perch la unit di disegno non lasciasi scorgere ancora nei suoi caratteri fermi e ben definiti e forza  596 tilBRO QUARTO. air uomo lo andarli raccogliendo dalle pi esterne ap* parenze. 404.  Nel che per altro, se non  temerario cos giudicare, i naturalisti compiacciono di soverchio al senso ed all'occhio ed assegnano troppo alto luogo alle forze plastiche. Cos sono posti insieme talvolta animali troppo diversi nelle funzioni ed istinti loro e in tutto r abito della vita, solo perch qualcosa di pi esteriore e visibile appartiene ad essi in comune, ovvero perch concorrono in quella sola general somiglianza opportuna e comoda a noi per le nostre ripartizioni. Come quando i zoologi involgono nella stessa dirama- zione, e per in certa medesimezza fondamentale di tipo organico, il granchio, il calabrone, il ragno e la sanguisuga, principalmente per la rassomiglianza che anno nella forma anulare od articolata degP integu- menti i quali, come si not altra volta, differiscono per sino nella composizione chimica elementare; dac* che nel granchio risultano di carbonato calcareo, e negl' insetti di solfati e d' altri principj, e negli anelidi confondonsi con T epiderme. N dovea bastare la tras- formazione mirabile del filugello di verme in crisalide e di questa in farfalla per comporre di esso e degli altri a lui simili un ordine il pi distinto ed originale di tutti ? Nondimeno sono mescolate con loro pi sorte d' insetti che mai non volano n s' incrisalidano. Ma in genere si dee giudicare che le diramazioni e classi nel regno dei vegetabili e degli animali sono aiuto della memoria ed agevolezze e metodi a far meglio avvertire le somiglianze e le analogie. 405.  Solo mi sembra un poco ambizioso il titolo che i moderni lor danno di ripartizioni e classi ordi- nate con metodo naturale, e credo la natura se ne debba alquanto burlare. Ei sembra che a tutte le DELLA VITA E DEL PINE NELL'UNIVERSO. 597 razze canine sa conceduto di accoppiarsi e prolifica- re ; e intanto, se giudichiamo dalle forme esteriori v'  molte specie distintissime di animali fra cui V accop- piamento si rimane infecondo e le quali tuttayolta ap- paiono meno fra loro diversificate che non , ad esempio, il picciol levriere e il cane di Terra Nuova. Tu ti affretti, o zoologo Darvinista, di argomentarne e concluderne che razze e specie sono tntt' uno. Mai no, signor mio, ma invece si dee concludere che v'  nella specie qual- cosa di pi profondo e qualitativo che sfugge non rado alle tue analisi e quindi alle tue divisioni e designa- zioni. 406.  Ripetasi il discorso medesimo per le razze umane tanto diverse e pur tutte coniugabili e tutte fe- conde. Al che dovrebbersi, al parer nostro, aggiungere le variet che facilmente si traducono e si perpetuano e sceverarle da quelle che muoiono con T individuo. Del pari dovrebbersi aggiungere le molte specie che non sopportano mutazioni d'ambiente ancorch leggiero, mentre moltissime altre vi durano e vi resistono. Tali fatti, e i consimili che lungo sarebbe di qui registrare, ci sembrano dar prova abbondevole che l' occhio dei zoologi  insino al d d'oggi non molto penetrativo nella sostanziale e suprema economia della vita. 407.  N voglio nascondere che quando il metodo fosse invertito (e v'  pure chi lo venne tentando) e in luogo delle forme e della testura plastica si ripartis- sero i viventi piuttosto con la norma delle funzioni e degl' istinti, cadremmo in altre bizzarre ripartizioni ed unioni ; perciocch la forza organatrice, sebbene tende ai medesimi fini, adopera mezzi differentissimi, volendo far sempre luogo ad ogni diverso e ad ogni possibile. E per via d' esempio, egli  certo che alla natura pre- me in singoiar modo di operare in larga misura l' atto 598 LIBRO QUARTO. di ossigenazione nei corpi organati, siccome quello che  potentissimo eccitatore delle facolt ed azioni vitali ; ma quanta diversit di funzione si compiace di usarvi ! Peroccb nelle piante si serve del ministero della luce, in molti animali lo efiPettua col sistema polmonare e cardiaco; negP insetti, mediante la moltiplicazione e il prolungamento delle trachee, nei pesci mediante le branchie che mal si presunse dover essere polmoni tras* formati, e fu provato invece che nelle rane le branchie e i polmoni sussistono insieme per qualche tempo. 408.  L'atto del volare non  egli importante? certo che s, e tutti gli abiti della vita, pu dirsi, ne vengono modificati e variati. Nondimeno, se tu pen- sassi di radunare gran parte degli enti organati sotto questa denominazione di volatili, tu porresti insieme le pi dispaiate organizzazioni ; perocch allato agli uccelli dovresti collocare da una banda g' insetti, dal- l'altra qualche viviparo; n vi sarebbero esclusi i ret- tili e i pesci, quelli rappresentati dalla lucertola detta dragone, questi dal datiloptero. 409.  Da tutto ci si raccoglie che quantunque non sia da negare negli enti finali, o viventi che li chia- miamo, certa divisione naturale di organizzazione e certa unit di disegno in pi forme e tipi distinta, vero  d' altra parte che torna difficile sopra modo di coglierla nel suo carattere e nella sua essenza ogni ora che dalle idee scendiamo nei fatti particolari e ben definiti. In ogni maniera, cotesta unit organica cercata e desiderata dai fisici giudichiamo non essere che una forma ristretta e corporea del gran disegno generale della vita nei mondi creati, intorno del quale noi ci faremo di nuovo a discorrere nel Capo che segue. E si riconosca qui pure come l'unit volendola stringere forte con mano sdrucciola via da tutte le bande ; e ri- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 599 mane il diverso ed il vnno e nel tutto insieme certa connessione di cause e certa armonia, ella pure va- riata mai sempre e maravigliosa appunto perche ema- nante da separati principj. IV. 410.  La quale armonia per volerla gustare il pi che sia conceduto domanda di essere ricercata e quasi SI dire ascoltata dalla maggiore altezza dell'universo, e ben compresa nelle sue relazioni con l' ordine intero della finalit che  l'ordine altres della vita. Allora anche i fatti dell'organismo vegetale e animale pale- sano la significazione loro; e quella unit di disegno che l'osservazione e l'esperienza non giungono a co- gliere  ravvisata nella connessione dei principj e dei fini, e tanto supera di perfezione e di bellezza il mondo meccanico e chimico, quanto la natura del fine  pi degna di quella del mezzo. Noi qualcosa ne abbiamo di gi discorso e specificato, e proseguiremo fra breve. Ma, infrattanto, vogliamo notare come nelle dottrine dei moderni naturalisti, consapevoli o no, sia penetrato lo spirito della moderna metafisica ; indizio nuovo ed efficace che lo studio severo dei fatti non dee n pu scompagnarsi quanto vorrebbero molti dalle teoriche speculative ; onde noi speriamo che di queste pagine non sar detto dai fisici, qualora pur le leggessero, che sono astrattezze vuote ed inutili alla positiva scienza del Cosmo. /.yzv- o , .' 411.  Questo  certo che la metafisica impregna- tasi pi che mai in Germania dell'aura del panteismo produsse del pari una panteistica cosmologia. E in- sino a che trattossi delle attinenze pi generali e del comune di tutte le cose, non parve la osservazione em- 600 LIBRO QUARTO. pirica entrare in conflitto manifesto con que' nuoTi concetti. Ma quando venneai ai particolari dell^ orga- nismo, non bast ingegno d'uomo a ridurli tutti al medesimo stampo, e intendiamo che non bast a farli uscir tutti da una sola progressiva generazione e tras- mutazione dello stesso principio; talch si potesse concludere l'organismo essere uno perfettamente dal zoofito air uomo, salvo che sempre ascendente a svi- luppo maggiore e variato, e le specie con moto inces- sabile essersi trasmutate l' una nell' altra e nessuna restare identica a s medesima, e tutte segnare un punto transitorio e un passaggio del divenire perpe- tuo della gran forma vitale. 412.  Oggi subentrano altri naturalisti e ci si provano con erudizione nuova di fatti e con nuova industria di raziocinio. A noi sar debito di tenerne ap- propriato ragionamento. In questo mezzo ci par giove- vole di avvertire come a tutta la schiera dei panteisti speculativi e sperimentali presiede un concetto essen- zialmente fallace intomo all' origine delie cose e alla natura dei finiti. 413.  Il vero  che i finiti sono il diverso, il disgregato e l'insufficiente, e tutto quello che a lor s'appone, apponesi dal di fuori. Chi sempre non tiene dinanzi agli occhi luminosa ed evidente cotesta massi- ma, circa Tessere della finit che  l'essere dei mondi creati, dismetta la speranza d' indovinare e interpre- tare secondo ragione e conforme a realit 1' economia eterna del Cosmo. 414.  Invece, nei panteisti  il concetto contrario che il mondo esce dalla propria potenza mediante un progresso di esplicazione e organizzazione di s mede- simo. Vogliono che nel finito sia un virtuale infinito, qualcosa di perfettamente uno che si svolge e dirama DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 601 nel molteplice interminabile. I pi moderni poi, che sono gli Hegeliani, danno un cominciamento a quella medesima virtualit ; onde a priori non resta pi nulla e tuttavolta n'esce fuori ogni cosa; il perch i pensatori ne rimangono attoniti, come il popolo nei teatri quan- do l'abile giocoliere fa da un cappello yuoto uscir roba e roba senza mai fine, prima fiori e frutta a bizzeffe, poi uccelli, anatre e papere, e da ultimo un grosso agnello e un barbuto caprone. 415.  Noi ripigliando il filo delle deduzioni svolto e disteso per li Libri anteriori aduneremo da capo in alquanti aforismi la somma dei principj intomo alla vita, dappoich le analisi test compiute e la sequela medesima delle conclusioni venutasi spiegando per li passati aforismi ne porge modo di meglio delineare al presente e meglio stringere nelle sue parti la sintesi generale della vita nell'universo. CAPO UNDECIMO. ANCORA DELLA UNIT DI DISEGNO NELLA ORGANIZZAZIONE. Afobismo I. 416.  Assai volte abbiamo veduto nei Libri ante- riori che l'universo  spartito in due grandi ordini e cio in quello dei mezzi e nell' altro dei fini. 417.   chiaro che in ciascuno dei mezzi, per quanto  tale, dimora una entit relativa e la cui esi- stenza rimane in parte (a cos parlare) fuori di s. 602 LIBRO QUARTO. A rincontro nel grande ordine dei fini, che vuol dir della vita, dimora una forma di essere che rispetto ai mezzi  assoluta e in s medesima  consistenza ed e richiamo ed attrazione naturale del rimanente. 418.  I mezzi adunque, come spiegammo per ad- dietro, se accrescono la potenza loro per adunamento ed aggregazione e compongono alcun macchinismo (e ne compongono degli stupendi, arrivano a ci per con- corso fatale di forze, e nulla in essi adempie diretta- mente Vintus smceptio, che  propria ed essenziale alla vita. A. 419.  Dal che risulta, per altro, che se principio di mutazione e d' ampliazione e d'ogni cosa nella ma* teria  il moto, diventa necessario che il moto, nel generale, riesca attrattivo e non ripulsivo, di accosta- mento, vale a dire, e non di rimozione e di fuga. Stan- teche il finito pu solo aggregandosi ai simili fuggire lo sceveramento e la piena impotenza. Troppo  ne- cessario impertanto che V attrazione sia la legge su- prema ed universale non pure dei corpi ma d' ogni esistenza finita. 420.  Dal che si vegga di nuovo siccome, dato il concetto di materia e di moto, il rimanente pu in non picciola parte venir dedotto per metodo dimo- strativo e ontologico ; mentre io persevero nell' af- fermare che dalla nozione sola ed astratta del finito niuno dedurr mai con nesso apodittico la idea speci- ficata della materia, n dalla nozione di questa la idea di moto. DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 603 Aforisho II. 421.  Ma gli enti finali, per chiamarli alla nostra maniera, partecipando alla vita, fannosi centro di at- tivit in qualche grado e rispetto dominatrice all'in- torno di loro ; e ci che pigliano e ci che diventano accade per forza interiore al contrario appunto del concorso fatale di materia e d forza che nell'ordine dei mezzi succede. Laonde nella definizione generalis- sima che proferimmo della vita fu serbato il primo luogo al concetto dell'individuo giusta l'accezione e determinazione che apponemmo al vocabolo in questo medesimo Libro. E appunto perch egli  finito indi- viduo e nel generale  insuflScientissimo a s medesi- mo a lui fa d'uopo di accrescere e invigorire l'entit propria operando sugli altri finiti. Di quindi l'atti- nenza logica che introducesi immediatamente fra il concetto della vita e un qualche apposito organismo ; e per la definizione nostra compievasi con l'esprimer quell'attinenza. Aforismo in. 422.  L' essere finale e vivente pu trovarsi con le circostanti esistenze in queste sole tre relazioni : od egli  lor superiore od uguale o inferiore. 423.  Nel primo caso, lo sforzo dell'ente vitale  di assimilare i finiti ambienti e convertirli nel miglior macchinismo possibile che  la forma strumentale. 424.  Nel secondo caso, e cio quando l'essere finale e vivente imbattesi ne' suoi pari e simili, si fa manifesto ch'egli non  potere di appropriarseli e per- ci rimane che nasca fra essi una spontanea consocia- 604 LIBRO QUARTO. zione e certo organismo razionale comune. Del quale organismo parecchie specie di bruti danno indizj e /cenni nell'istinto lor compagnevole, ma nelle genera- zioni umane  principio e fondamento del consorzio civile, . 425.  In terzo luogo, se quello che all'individuo vivente rimane esteriore  pi perfetto di lui (e l'oggetto rispondente al fine assoluto  perfettissimo), l'individuo in parte organizza s stesso con la potenza riflessiva e ragionatrice ; in parte si giova degli strumenti a lui connessi come di cause occasionali nel modo che ab- biamo spiegato pi sopra; e da ultimo,  potenza at- tiva insieme e passiva ed  mezzo e fine scambievole mente in un pi alto organismo, conforme si verr dimostrando a suo luogo. Afobismo IV. 426.  Seguita da ci, e questo pure fu detto al- trove, che da per tutto dee gomparire il fine o la vita dove sar qualche coordinazione di mezzi; e la vita piglier tanti aspetti quante sono le sorti di mezzi e le loro combinazioni, e quante altre combinazioni rie- sce a creare la vita medesima operando sopra le cose. Ma la divina mentalit tendendo mai sempre alla vita, che  il fine, e tutte le esistenze a ci addirizzando, moltiplica in portentosa maniera i germi; perocch meglio  che un germe o parecchi periscano o si ri- mangano infruttiferi per difetto dell'ambiente, di quello che all'ambiente bene apparecchiato manchi l'essere finale o il germe vivente che tu il domandi. Ci fa che non s'incontri un police d' aria o d' acqua o di terra entro il quale non viva qualche umile anima- luzzo, 0 per lo manco germi varj e copiosi, belli e DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 605 pronti alla vita. N pensiamo dover essere diversa- mente in ogni pianeta e in ogni luogo del creato, per- ch tuttoci  al creato essenziale ed universale. Afobismo V. 427.  D' altro canto, compendiando il gi definito altra volta da noi, ricordiamo che ogni cosa in natura sembra nativa e spontanea e nondimeno esce da certo sforzo del finito contro la propria impotenza ; e la per- fezione vi  raggiunta parzialmente e per gradi col vincere ad ogni poco le insufficienze ed i limiti. Per la natura sebbene tenda a menar la vita al colmo dell'eccellenza, tardi perviene in ciascuna sfera di creazione a porre in unione intima il pi compito in- dividuo col pi perfetto degli organi. E tuttoch la natura desideri di moltiplicare il bene ed accomunarlo al maggior numero di viventi, cotesto numero si va , ristringendo nella proporzione inversa che la eccellenza della vita sopraccresce. Afobismo VL 428.  Ma noi sappiamo dai libri anteriori che eotal serie e prolungazione di termini spiegando tutte le differenze e variet d'organismo serve alla natura per obbedire continuo alla legge dell'attuare i possi- bili; e col procurar di questi ogni fattibile combi- nazione e correlazione la natura ottempera docilmente all' altra gran legge del Convenevole ed insinua certa virt di progresso nella catena smisurata degli enti finali. 606 LIBRO QUARTO. Afobismo vii. 429.  Come poi la vita significa attivit e spiega- mento fruttuoso di forze; e d' altro lato, le leggi della finit vogliono che V attivit di qualsia vivente si com- pia in gran parte fuori di s, e del pari le ampliazioni deir essere sieno cercate al di fuori traendosene ora la promozione delle facolt proprie ed ora la materia da sottomettere ed organare, per tutto ci il concetto della vita non si determina n specifica convenevolmente, quando altri non consideri ogni rapporto particolare dell'individuo vivente con la natura che lo circonda. 430.  La quale, conforme notammo pi sopra, se gli  troppo inferiore, non dilata n migliora l'essere di lui con lui congiungendosi, n tampoco dobbiamo crederla bene disposta a provocarne le facolt. Per opposito, se r ambiente natura accostasi troppo di es- senza e di abito all'individuo vivente, appar manife- sto che non potr essere dominata a posta di lui n diventare strumento suo. 431.  Difficile . dunque trovare che tale indivi- duo valga ad ampliare l'essere proprio e variamente eccitarlo con aggiungersi per via immediata e adat- tarsi le cose ambienti. Ma qui pure  bisogno quanta in ogni altro ordine certa successione e concatenazio- ne, tanto che fra l'estremo del principio spirituale attivo e il contrario estremo d' un principio inerte ed eterogeneo, tuttoch disposto a venir dominato, in- tervenga una forma mezzana, la quale, investendo im- mediatamente di s il principio passivo ed eterogeneo e dall'altra parte congiungendosi in istretto nodo col l)rincipio spirituale vivente, componga di s e delle sostanze passive l' organo pi confacevole. DELLA VITA E BEL FINE NELL'UNIVERSO. 607 Afobismo Vin. 432.  Ma quando corra distanza eccessiva fra il primo e V ultimo termine, il piegarsi questo ad obbedire allo spirito in modo che rechigli utilit e servigio con- tinuo non pu essere proprio ne abituale alla sua na- tura, ma dee succedere in maniera eccettuativa e per isforzo e violenza. Di qui la necessit permanente del ilusso della materia e la consumazione dello strumen- to, secondo che fu spiegato a dilungo altra volta. 433.  Il quale siforzo, per altro, e la qual condi- zione eccettuativa pu del pari avverarsi tra V ultimo termine e il medio, se fra essi due interviene simil- mente molta distanza e la materia non si congiunge spontaneamente all'anima vegetativa ma n' soggio- gata. E di questo parlare per tropi chieggiamo scusa perch reca evidenza e cresce espressione. 434.  Tuttod si osserva e si sperimenta che in fatto se l'anima vegetativa rimane discosta di molto dal principio superiore spirituale, non  minore l'aliena- zione della materia bruta dall' anima vegetativa. Per noi scorgiamo che il flusso della materia accade con- tinuo eziandio nei composti organati, dove non  prin- cipio senziente alcuno e dove si  la congiunzione di soli due termini, la materia, cio, e un qualche sistema di monadi. Salvo che il flusso  tanto pi vario e veloce, quanto l'organizzazione  pi complessa e dil- cata ; il che importa maggiore frequenza e complica- zione di moto ; e questa, maggiore sperdimento di ma- teria e bisogno assiduo di riparazione. 608 LIBRO QUARTO. 435.  Del resto, se la materia bruta  violentata dall' anima vegetativa, noi giudichiamo che avvenga altrettanto a un di presso di questa seconda a rispetto del principio spirituale vivente ; onde non pare impro- babile che nemmanco le monadi rimaner possano sem- pre le stesse ma avvenga di loro una qualche iBus- sione. 436.  Certo e poi che la quasi indipendenza delle funzioni strettamente vegetative dall'impero del prin- cipio senziente dimostra che questo lega e signoreggia le monadi meno assai che le monadi stesse non fanno a rispetto della materia ; tanto manca che possa dirsi con Aristotele l'anima umana essere forma del proprio corpo; il che nel parlare di quel filosofo importa r anima vegetativa essere materia e possibilit di cui lo spirito umano  l'energia e l'atto perpetuo. 437.  Da ultimo andremo notando che l'organi- smo dei vegetabili non trapassa a quello degli animali per virt informativa d'un principio senziente che vi si aggiunge; dacch negl' infimi gradi dell' animalit, come nelle meduse e forse in alcun altro zoofito, si pu senza uccidere il vivente aggregato trinciarlo in parti numerose e moltiplicar l'animale secondo che accade nei vegetabili. V' dunque nelle meduse un sistema particolare di monadi non un vero e vivente individuo; e v' due ordini differenti di esse monadi, le vegetabili propriamente denominate e le animali, e cio a dire le ben disposte a ricevere un qualche principio spirituale senziente. Aforismo IX. 438.  Cotesta necessit del flusso perenne delle sostanze organiche pu cessare in parecchi modi. Pri- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 609 mo, col sottomettere l'ambiente natura senza isfor- zarla e convertendo quella sua congiunzione al prin- cipio vivente in istato affatto ^ormale ed abituale come, per via d'esempio, vediamo il carbonio che nel diamante perpetua la sua solidezza contro l' essere suo proprio di sostanza aerosa. Secondo, col fare che il flusso delle sostanze organiche succeda con tale per- fetto equilibrio di sperdizione e compensazione che ri- petendosi infinite volte giammai non si alteri, ovvero alterandosi vaglia in certi periodi a reintegrarsi com-. piutamente; e allegheremo per un cenno di simiglianza il ringiovanire artificiale di quei parassiti animaluzzi viventi sul musco hypnum purum di cui discorre il Dutrochet. Terzo, col trasformarsi l'organo a grado per grado, ovvero a tempi determinati seguendo i moti e gl'impulsi del principio spirituale a cui serve. 439.  Noi dobbiamo credere che la creazione non vuol riuscire meno varia e meno progressiva nella co- struttura e potenza dell'organismo di quello che nel- r altre specie di cose. Per i supposti surriferiti  gran- demente probabile si avverino tutti o in altre parti dell'universo o nei medesimi esseri alzati a superiore condizione di vita. Onde conviene che la mente si av- vezzi una bella volta a divisare il progresso dell' or- ganismo non nelle sole modificazioni della materia as- similata e delle forme plastiche, ma in trasmutazioni assai pi profonde e assai migliori che le corporee, e per ci medesimo non figurabili ai nostri sensi e ma- 1 nifeste solo al pensiere. 440.  Che l'organo possa ricevere influsso di per- fezione dal perfezionarsi del principio spirituale si Mamuiii. ~ ]I 39 610 LIBRO QUARTO. vede per qualche segno eziandio nella condizione no- stra presente. Perocch gli  certo (come avvertimmo altrove) che nell'organismo nostro il sistema nervoso dopo lunghissima serie di generazioni crebbe di volu- me e di attivit e le sensazioni si fecero per ci pi squisite. Chi poi non sa quanto l industria e il sa- I pere umano affinassero ad una e stendessero la po- I tenza degli organi con istrumenti acconci e ingegnosi per modo che questi paiono recare agli organi stessi quel gran profitto che l'anima suol ritrarre tuttogiorno dal proprio corpo e dal ministero dei sensi? Gotesta I virt strumentale inventata dagli uomini e bene adat- / ta al moto ed agli usi de' nostri membri , per mio avviso, un simbolo chiaro di quello che sar l'organo appropriato ed immedesimato con lo spirito e ricevendo gli influssi del sublimarsi e perfezionarsi di quest'esso. Aforismo X. 441.  Errore grande, peraltro, commetterebbesi a credere che l' uno dei prefati supposti avverandosi non porti seco sostanziai differenza nella economia intera della vitalit e dell'organismo e per rimbalzo in quella dei mezzi e degli apparecchi. Attesoch, il primo supposto del rimanere sempre una medesima sostanza organica abitualmente congiunta e senza sforzo nessuno col principio spirituale non pure  combattuto dalla inferiorit soverchia della materia assimilabile a rispetto cos delle monadi come dello spirito, ma dalla necessit eziandio del continuo moto e delle continue modificazioni senza le quali lo spirito stesso n cam- bia n progredisce n pu adattarsi ad ogni poco al mutare del mondo esterno. Sopprimere adunque il flusso incessante della materia assimilabile impoi'ta DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 611 una generale trasformazione del nostro mondo orga- nico ed inorganico ; e per V attuazione sua debb' es- sere conceduta ad altro sistema di cose in altra re- gione di viventi. 442.  Al secondo supposto dell' equilibrio perfetta ed inalterabile fra l' entrare e 1' uscire delle fluenti sostanze move contraria e invincibile la necessit del dover crescere l'organo e di svilupparsi via via sino alla maturit sua. Perocch, come si vide a suo luogo, se le forze vitali e meccaniche si bilanciano esattamente nel punto di quella maturit, cos non facevano nel corso dello sviluppo ; e se trovano le seconde equilibrio con le altre perch aumentarono a mano a mano di prevalenza, questa  forza che prosegua ed all' equi- librio succeda l' eccesso ed all' eccesso la morte. Con- cioBsiach tali vicende emanano dalla essenza costante ed universale di quelle s fatte forze e sostanze e non dalla parte accidentale e mutabile ; al che poi debbe aggiungersi la variet e frequenza estrema del moto la quale induce la continua intervenzione e cooperazione di mille cause particolari e minute. Di quindi le ine- vitabili alterazioni del flusso che bench minime e tenuissime producono nella lunghezza del tempo un qualche disequihbrio nella bilancia quotidiana dell'as- similazione. 443.  Contro al terzo supposto milita lo stesso. genere di obbiezione, e il lettore la segna e determina da s medesimo. 444.  Salvo che altre difficolt insorgono molto maggiori. Perocch se il perfezionarsi progressivo del- l'organo emerge dalle proprie sue forze, non inten- desi come ci avvenga senza progresso ninno spiri- tuale dell'organo stesso; e quello presunto e aifermato non intendesi come quelle forze possano rimanere eia . LIBRO QUARTO. passive e sottomesse per intero al vivente individuo. Oltrech, due nature diverse quanto sono qui in terra il principio spirituale e Torganico, in qual maniera s' in- contrano a progredire e perfezionarsi nello stesso grado e eeoiz' alterare in nulla il loro rapporto reciproco? ; 445.  Qualora poi si voglia che il perfezionarsi ^ucssivo dell' organo provenga tutto dall' individuo vivnte, occorre di fingere in questo da un lato distanza nulto minore tra esso e l' organo, aflBne di potervi entro operare e influire immediatamente ; dall' altro occorre di fingere clie tale operare e influire torni assai pi pro- fondo e penetrativo di quello che oggi lo spirito nostro Dn fa; e per tale penetrazione l'organo s'informi e s^ imbeva della crescente virtii del subbietto al quale obbedisce. AF0R1S3I0 XI. .. 446.  Questa cosa, nondimeno,  sicura che in ogni sfera diversa di esseri tendendo pur sempre la divina mentalit al congiungimento pi intimo del nniglior principio spirituale con l'organo similmente Wiigliore, e questo punto del meglio non si potendo otte- nere che mediante un progresso in ciascuno dei ter- mini, noi siamo di credere che negli stadj superiori dell' anima razionale, l' organo riceva di mano in mano da lei analogo perfezionamento attalch non perda fa- colt di servirla nella difficile appropriazione ch'ella tenta di fare dell'oggetto assoluto. Aforismo XII. 447.  In simile guisa noi dopo un lungo rivolgi- mento siam rimenati al concetto della vita per ogni DELLA VJTA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 613 verso compiuta e perfetta e la quale dee perci con* sistere in quella energia razionale e morale ^li^e par- tecipa gradatamente del bene assoluto sinonim'della assoluta finalit, e compone a s il ])ropno orgfeno tanto neir ordinare e disciplinare le operazioni* del suo spirito quanto nell' assumere e immedesimarsi il^.amh biente natura; da cui ritraggo talvolta impulfe&>pToi- movitori e pi spesso di mera virtii occasioaaale pfer procedere fruttuosamente nella congiunzion.;8oavo0'a l'oggetto assoluto. Ognuno avvisa che tale srta: di ;ai'- gano debbe crescere in perfezione ad ogni perfezioujarsi della sua causa efficiente immediata; e in questo si- stema ciascuno del pari scorge e ravvisa V inteatO'eH pretto della vita razionale che quaggiii sulla '^ewatrii- , passa in conflitto e in non dissipabile torUideaisa ;ed i incoerenza. Ma la conquista del bene assolutoria^ v pu adempiersi unicamente per mezzo di uril^kiiiwcafv sionale e debbe l'anima essere, come a dir.,n rmti di altro efficiente organismo oltre la rifl^sifae *gi ricordata di s sopra s medesima. E tale effiien^za: di organo nettampoco pu uscire da mezzi inftriori'non ^ partecipi dell'Assoluto. Questa specie di antinomia altre volte indicata vedremo dissiparsi pi 'tardi; i- trattenendoci a ragionare della particolarit! dellaf vita umana razionale e morale. ' . i 448.  Ciascuno da ultimo misurandoi la ^Via/tras- corsa e la rimanente, s'accorge come la -Qnalfitl/o l'atto di vita che tu il domandi, non divcrstameilte.da ogni cosa creata scorre per trapassi variati e >copio8. Principia dalla pura vegetazione dove  organi^sO senza unit e che  fine a s stesso, attesoch noii viene informato e signoreggiato da individuo -^kuno spirituale e non  ufficio di vero strumentoi Qui gli svariati sistemi di monadi provano, per si diife^ e speri*- 614 LIBRO QUARTO. mentano la propria efficacia e sono V apparecchio ultimo fornito dalla natura all' effettiva finalit. 449.  Passa poi la vita al carattere di animalit e di organismo complesso, dove per la potenza inte- riore unificatrice le parti estremamente diverse armo- nizzano insieme e servono ad uno spirito e forse anche talvolta ad una monade superiore, la quale reagendo al suo modo verso gli stimoli esteriori e le svariate provocazioni interiori manifesta senso e appetito che sono attributi nuovi da nuova forza originati e so- vrapposti air anima vegetativa. 450.  Da cotesto punto la vita ascende per valichi innumerevoli di pi perfetta animalit con rispon- denza e proporzione di organi, e perviene insino ad un termine dove, per mio giudicio, non  ancora V intel- ligenza ma un qualcosa che T assomiglia e consiste principalmente in certa virt rappresentativa sebbene tutta fantastica e a maraviglia contemperata a molte sorte d' impulsi e moti interiori che per ignoranza del- l' esser loro domandiamo istinti. 451.  In cotal serie ascendente apparisce nel pia- cere e nel suo contrario alcun vestigio di bene e per alcun' ombra di fine relativo e per transitorio il quale poi per tal suo carattere fugacissimo racchiude di ne- cessit in se stesso una visibile antilogia. Conciossiach operando gli animali bruti maggiori e minori intorno alla propria conservazione che  il fine da Aristotele as- segnato air intero universo travagliansi a non perdere quello che anno, e per il loro intento  in realt di fuggire un male non di conseguire un bene, laddove il fine  qualcosa di superiore e di non ancor conseguito. 452.  Oltre che il fine privo di coscienza e d' intel- ligenza ignora e nega se stesso ; e per tutta la gran famigha degli animali bruti vive per s fuori di qua- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 615 lunque fine e questo risplende solo nella divina men- talit che neir opera generale di conservazione statuisce il contrapposto della mutabilit ed esam'endo tutti i possibili respettivi valica dal senso all'intelligenza, dal- l' appetito alla volont e dai primi indizj del bene e primi segnali del fine al bene vero oggettivo ed aK l'assoluta finalit. 453.  Perci la vita ascendendo pur sempre ne' suoi due termini misti, l' attivo e lo strumentale, perviene da ultimo nella natura nostra terrena e corporea al congiungimento migliore dell'organismo e dello spi- rito, e ci mediante la intervenzione d' un terzo prin- cipio che  la visione ideale. Da questo punto la vita  consapevole di s medesima, veste tutte le am- mirevoli attribuzioni della personalit e riconosce un bene, un oggetto e un fine assoluto sempre in parte conseguito e conseguibile sempre. Allora la voce in- dividuo piglia la significazione intera che intende- vale dare la nostra definizione; e invece di esprimere come in principio di questi Libri l'ultima attenua- zione dell' essere e ci che in esso  negativo, perviene a designare il maggior colmo della potenzialit pro- gressiva che praticamente noi conosciamo. Onde quel primo individuo era semplicemente il non divisibile: questo secondo  l' indivisibile polidinamo. 454.  Allora l' organismo che nella corporalit non pu trascendere il segno di gi toccato muta ne- cessariamente non gli ufficj proprj ma gl'intendimenti ai quali sono rivolti, non potendo essi procurare la congiunzione e partecipazione del bene assoluto salvo che per indiretto e con virt occasionale; e la stessa natura ambiente predominata e connessa alle variabili esigenze dell' essere razionale vivente convertesi in fine relativo e sottordinato. 616 LIBRO QUARTO. 455.  Per ultimo, noi dobbiamo credere ad altra suprema evoluzione della vita la qual consiste, come qui sopra notammo, in certo progredire perfettivo e ordinato del principio spirituale con certa disposta e proporzionata forma di organo ; cotalch sia cessata in fra essi ogni specie d' incompatibilit e d' incoerenza. Laonde V evoluzione di che parliamo, sebbene  V ul- tima, dividesi per sua natura in istadj innumerevoli per tutti i quali la vita cresce e si compie. 456.  Sembrami che adunando insieme e raffron- tando parte per parte le cose discorse per questi afo- rismi il pensiero abbia in cospetto tale maravigliosa unit di disegno da lasciarsi indietro di mille miglia quella cercata dai naturalisti e fisiologi. Aforismo XIII. 457.  NuUameno noi confessiamo che tutto ci  lavoro lento travaglioso e incessante delle forze del- l'universo guidate in alto dalla efficacia divina del Convenevole. Dinanzi da lei  il possibile da esau- rire e il meglio da combinare. Negli esordj della possi- bilit, rispetto alla vita, incontrasi V idea dello spirito amano involto in corporale organismo e operante sulla materia per mezzo di quello. In cotal tenore della possibilit la perpetuazione dell' organo sarebbe la pessima delle condizioni per l'uomo. Dacch impedi- rebbesi con questo solo il progresso ulteriore delle sue forme e attribuzioni spirituali. Senza dire che ci non potrebbe stare con la virtii procreativa e propagativa deputata da Dio ad estendere il bene al numero di creature maggiormente fattibile. Nel vero, sommando insieme le generazioni tutte quante compai*se sul no- DELLA VITA E DEL FINE NELL' UNIVERSO. 617 stro globo, troverebbesi che la terra non  sufficienza di allogf^iarle non che di nudrirle 458.  Cos  provato di nuovo che il timor della morte, sebbene appaia naturalissimo, non  ragionevole, ed  naturale e profondo in quanto esce dagl' impulsi ed istinti ordinarj ed assidui dell' anima vegetativa e del senso. Dappoich la vita, supremo fine dell' essere, comincia sol quando il possesso quieto progressivo e sicuro del bene assoluto comincia. 11 che non  con- seguibile coi presenti organi e nella circostante natura sopra la quale operiamo. Quindi per questo rispetto e i nostri organi e V ambiente natura corporea sono essenzialmente falsi, perch mentiscono al fine vero e assoluto; ed ogni spirito dee sapere che pronunzie^ un giorno le parole del poeta  i miei di fersi Morendo eterni e nell'eterno lume Quando mostrai di chiuder gli occhi apersi. AFpRISIO XIV. 459.  Ma, girando da capo lo sguardo all' unit di disegno la quale si manifesta nel corporale organismo, noi avvertimmo pii sopra quanto bisogna per dimo- strare che forse i fisici ed i zoologi non la intendono nel senso migliore, e talvolta la cercano dove in so- stanza non  e talaltra volta si fermano con soverchio compiacimento nelle forme plastiche od in somiglianze di carattere accidentale. Gi fu derisa non a torto la definizione platonica dell'essere l'uomo animale bi- pede e implume, e vale a dire ugualissimo agli uccelli e al pollame eccetto le penne. Ma forse Diogene fareb- besi beffa anc'oggi a ragione di molte definizioni di specie a cominciare da quella dell' uomo che  detto C18 LIBRO QUARTO. # bimano invece di bipede. A noi sembra che quella unit di disegno onde ragioniamo splenderebbe pi chiara e profonda insieme, qualora fosse additata nel- r ordinamento dei fini sempre correspettivi agli organi e alle funzioni degli organi. 460.  Noi con le cose notate nei Capi anteriori provammo, ci sembra, che non pu la natura inorga- nica diventar capace d'alcuna forma di vita ognora che non entri in atto, e alla materia non s* accompagni un principio nuovo ed originale che monade fu domau- dato. Additammo la necessit della struttura cellulai-e e del flusso della materia; il che porta eziandio la ne- cessit deir assimilare e dell' espellere, poi l' altra di qualche aggirazione di umori, e poi l' altra ancora s del crescere le cause minute di alterazione e s del prevalere il solido al liquido; da entrambe le quali seguita la necessit della morte dell'ente organato il cui posto riempiono i simili a lui pel ritorno naturale d' ogni sistema di monadi all' essere loro essenziale ed ingenito che si compendia tutto nel germe. 4G1.  Ma perch la vita senza unit  solo appa- rente, conviene che nell' organismo vegetativo compaia un altro principio, il quale unificando potentemente ogni cosa dia campo alla massima diversit e compli- cazione delle parti e del tutto. Pel che uon mutano sostanzialmente le funzioni ne crescono ma diventano, a cos parlare, pi laboriose ed artificiali. Quindi r assimilazione e la secrezione fannosi particolari e specifiche per ciascun organo, e il circolo o vogliam dire l'assimilazione compiuta in ogni minima fibra e molecola si compie con diversit e intreccio maggiore di canali e tragetti. 462.  N quell'individuo pu vivere unicamente per allargare intorno di s la sua vigorezza unifica- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 619 trice, ma si dee contenere alcun principio attivo deter- minato, al quale poi si ricerca certo organo peculiare proporzionato e consentaneo affine che l'atto di lui sia ricevuto in qualunque parte della macchina strumen- tale. Di quindi la necessit del sistema nervoso, che mette capo, a cos parlare, nel centro immediato spiri- tuale, e tanto si sviluppa e si affina, quanto lo spinto spiega maggiore facolt e ingerimento maggiore. 463.  Dicemmo il reagir dello spirito verso gli stimoli esterni e verso qualunque impulsione organica dover vestire due forme contrapposte insieme e con- giunte: runa passiva, che  il senso; l'altra attiva, che  l'appetizione e la volont nella quale siccome atto il pi intimo e il pi sostanziale della vita debbe con- sistere naturalmente la forza suprema moderatrice dell'organismo in quanto esso non dipende dalle mo- nadi vegetative. 464.  Perci lo adattar l'organismo alle cose esteriori e queste vicendevolmente a quello sar ufficio proprio e perenne del senso degli appetiti e del moto locale, a tutto il che bisognano gli organi domandati di rela- zione, bisognano i nervi del moto e le membra con- formi. 465.  Cos  perfetto l'animale, in quanto vegeta sente appetisce e vuole e si move, e di tal maniera si produce nell'organismo quel circolo stupendo di cagioni e di effetti in s medesimi riconversi che gi notammo nella economia generale del mondo meccanico e chi- mico. Imperocch, secondo fu accennato pi sopra, i nervi eccitano il senso ed il moto; questo, diretto dagli organi di relazione e dagli appetiti, provvede alla nu- trizione, la quale mediante il chilo e 1' aggiramento del sangue ristaura e mantiene l' intero sistema ner- voso. 620 LIBRO QUARTO. 4G6.  Tutto il rimanente esce dall' anima per via immediata e giovasi della corporale immaginazione per Tia indiretta ed occasionale; quindi u la coscienza n il sentimento morale n la visione delle idee pos- siedono organi proprj non ostante T apotegma famoso dei moderni materialisti che senza fosforo non v'  pensiero n idee. Certo al pensiere bisogna V occasione dei sensi eccitati e la successione dei fantasmi ; e levato il cerebro, gli uni e gli altri sono levati ; in quella guisa che senza mantici e senza tastiera gli organi delle chiese non suonano, ancora che  mantici e le tastiere non sieno per s medesime cagione eflScace de' suoni. 467.  Di tutta questa materia qui e altrove segnata abbiamo sol qualche linea e appena imbastita la vasta tela; ma pure ogni altro subbietto che trattano alla distesa i libri dei fisiologi e dei filosofi naturali vi si raccoglie e spartisce molto facilmente e come raggi a lor centri, e una stessa ragione e argomentazione ne penetra le parti e ne dichiara i nessi e i rapporti. 468.  Esce, come vedesi, il progresso dell'organi- smo da differenti sistemi di monadi e V uno succedente air altro per legge scambievole di preparazione e cor- rispondenza, e ciascuno serba in perpetuo la impronta propria e tutti seguono non consapevoli l'eterno det- tame della Convenienza e della finalit. 469.  Nei panteisti fisiologi invece  il concetto d'una sola generazione e d'un solo sistema di monadi il quale, come la idea hegeliana, non  ma diventa e r essenza sua raccogliesi interamente in questo diven- tare incessabile. Pi timidi, nullameno, del loro mae- DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 621 6tro non osano indicare il nascimento della prima cellula; ma questa data e presunta, ei si confidano di ricavarne tutto quanto il mondo vivente attuale. Cel- lula prodigiosa davvero sar cotesta; perch nel suo fondo  l'infinita virtii di tutte le forme organiche per ogni lunghezza di secolo.  quando si neghi quel- l'infinito, io negher a vicenda che quella cellula possa mutarsi minimamente e qualcosa produrre. Genera essa, per via d'esempio, altre cellule a s somiglianti? Certo  che questo avvenne per potenza causale; e potenza s fatta non era altrove celata che dentro la cellula generatrice. 470.  Ma giova poco il produrre altre cellule a s somiglianti, quando non si leghino insieme con certa legge preordinata ed insita essa pure nella medesima cellula. Se non che le guise di legamento sono copio- sissime e quasich innumerabili. Ponete che le cellule nuove dispongansi due contro due dentro una stessa membrana e avrete la forma del protococcos ; ovvero po- nete che si dispongano invece in fila e una contro una siccome stanno nel nostoc che  quella specie di alga la qual contende col protococcos il primato della sem- plicit nella figurazione e testura organica. In che maniera quella cellula progenitrice potr determinar s medesima all'una delle due forme qualora entrambe dentro di lei si dimorino potenzialmente con diritto uguale di procedere all' atto ? ricorri tu alla diversit dell'ambiente e degli stimoli esterni? Sia come dici. Ma per progredire nella variet delle specie e nella effettuazione degli archetipi superiori, come non basta r aggiungere cellula a cellula e comporre il tutto con parti esattamente similari, ma si occorre profonda- mente modificarle e connetterle in certo ordine pre- stabilito, cos da capo affermiamo che di queste con- 622 LIBRO QUARTO. tinuate e variatissime metamorfosi o convien dire che nascono tutte a caso, o convieu riporre la cagione vir- tuale per entro alla prima cellula. Conciossiacli affermando pure che dalle cellule moltiplicate emergano attitudini nuove e diverse, queste come facolt e principio giacevano in fondo a ciascheduna di quelle e per da ultimo si origina- vano dalla cellula primitiva in cui metton radice le virtualit sparse e moltephci di tutto il composto. 471.  Qualcosa, impertanto, conclude la ipotesi nuova dei panteisti fisiologi ? Questo, per nostro avviso, conclude che parendo non presupporre nulla, presuppone invece il tutto della vita; perocch per entro a quella cellula, se hen si guarda,  un infinito potenziale poco diverso dall' anima che Platone infondeva per l'intero creato e simile affatto all'una di quelle nature uni- versali concrete che Aristotele poneva in cima ai dif- ferenti ordini delle cose e che noi pi volte abbiamo dimostrato non potere sussistere. CAPO DUODECIMO. DELLE GRANDI EPOCHE GENETICHE. 472.  Noi entriamo al presente in una materia la pi difficile, io j)enso, a venir sottomessa alle preco- gnizioni e deduzioni teoriche, e per la quale debb' es- sere conceduto eziandio 1' usare con discrezione delle fondate congetture e fermarsi al i)robabile ognora che il certo sembri non asseguibile. A noi tornerebbe per DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 623 ci sconveniente in tale subbietto la forma rigorosa degli aforismi, sebbene si mostrer pure in esso che la estensione e la vigorezza del raziocinio va forse di l dai confini che altri stimerebbe dovergli assegnare. 473.  La vita, si disse pi sopra, non pu non com- parir da per tutto e sempre dove forza maggiore non r impedisce. Conciossiach la creazione delle monadi vegetative e quella eziandio delle pi alte esistenze spirituali, quando ritrova sufficiente apparecchio, mol- tiplica di necessit senza limite alcuno; stantech ella procede dall'infinito dell'efficacia divina ed attua l'al- tro infinito degli eterni possibili. Va dunque in ischiera con tutte l'altre sorte di creazione ciascuna delle quali non rattenuta gagliardamente da forze contrarie  necessit di crescere e spandersi senza termine. 474.  Per ci, se la materia bruta fosse disposta da per tutto ugualmente a ricevere i principj organizzatori, questi, per lo certo, invaderebbero il mondo intero e la materia bruta scomparirebbe. Dal che poi prover- ria un termine non valicabile al moltiplicare mede- simo della vita, dacch il quanto della materia sulla superticie del globo estendesi in certa misura e non pi. Del pari, posto che la materia bruta fosse ac- concia da per tutto ugualmente a ricevere i detti prin- cipj, ne seguirebbe che l'organismo divenuto abituale e connaturale con lei non potrebbe venir disfatto n lasciar quindi luogo ad altra forma superiore e mi- gliore cos d'istrumento come di vita. Durerebbero gli enti organati con quella perpetuit che scorgiamo nella coesione dei corpi ])ietrosi ; e la vegetazione pi- glierebbe V abito la consistenza e la morta figura delle stalattiti: onde mancherebbe a lei ed all'altre forme di vita quel mutare e riniutare incessante che rende loro possibile la dilatazione e perfezione dell'essere. 624 LIBRO QUARTO. 475.  Che quando non tutta la materia bruta ma certa porzione soltanto fosse stata nella disposizione na* ti va e continua di raccettare la vita, avremmo le conse- guenze stesse or ora significate, e vale a dire che, consumata quella materia speciale, non sarebbe rima- sto spazio nessuno alla ulteriore propagazione della natura vivente e la possibilit delle metamorfosi suc- cessive e sempre ascendenti sarebbe cessata. 476.  Fu dunque mestieri air economia univei-sa della finalit e del bene che l'organismo corporeo co- minciasse una volta sola sopra la terra in virt di certo apparecchio straordinario ed eccettuativo della mate- ria. Di quindi accadde che dileguata quella eccezione, la vita si pot solo perpetuare con la riproduzione successiva dei germi secondo le necessit e le leggi che altrove abbiamo stesamente spiegate. N ai germi nuovi  per mancare il subbietto rispettivo corporeo ; dacch la efficacia di essi medesimi basta a trovare e foggiare la materia organizzabile, la qual dee servire al loro sviluppo e mantenimento. E d'altro canto, le esistenze individuali componendosi e disfacendosi tut- tavia, la materia bruta ripiglia continuamente quello che a tempo fornisce alla vita. 477.  Perch poi l' organismo corporeo si fa e mantiene per mezzo del flusso incessante delle so- stanze assimilabili e da ci deriva la ne.  Fu dunque spediente che i germi dilicati delle pi perfette organizzazioni nascessero in questa successione e in quest'ordine, che cio alquante specie inferiori apparendo e poi disparendo fossero mezzo e apparecchiamento a ci, secondo verr espresso pi chiaramente tra hreve. Ed  il metodo usato per or- dinario dalla natura di procedere prima per lunga sequela di apparecchi e risultamenti e convertire poi questi ultimi in apparecchi pi elaborati d'altri nuovi e pi perfetti risultamenti. 527.  Nella guisa che oggi medesimo ognuno si accorge che gli animali carnivori serbano la specie loro traendo sostentamento da animali inferiori meno gagliardi e pi copiosi e gli erbivori lo traggono dai vegetabili e questi da pose e relitti impregnati di sali e sostanze un giorno organate e viventi ; del pari occorse agli animali vertebrati e segnatamente ai mammiferi una dis'posizione anteriore e particolare di acconcia materia, la quale porgesse ai germi loro- dili- cati e gracilissimi ufficio comodit e uso di placenta e matrice, e somigliasse ai principj del chimo e del sangue; il che dobbiam figurare siccome un lento prodotto di molte generazioni d' animali peculiarissimi a ci destinati e di cui ne' sedimenti geologici non ri- masero mai ne avanzi ne impronte, non avendo per av- ventura sortito essi alcuno integumento pietrificabile. 528.  Per fermo, accumulazioni e ripositorj di quelle organiche sostanze in luoghi bene appropriati potevano allora durare esenti d'ogni fracidezza (secondo fu av- vertito di sopra) per quella cagione medesima la qual DELLA VITA E DEL YISE NELL'UNIVERSO. 645 manteneva alla natura inorganica la facolt di com- porre i misti quadernarj e ternarj; laonde avemmo eziandio a notare che le leggi della fermentazione e putrefazione doveano senza fallo differenziarsi dalle attuali; e certo vi aveano potenza minore d'assai le forze esteriori; e non intervenendo cagioni veementi e straordinarie, qualunque disfacimento e dissoluzione operar si doveva con infinita graduazione e lentezza. Non per che nel generale non vi fosse contrariet e conflitto (quale lo descrivemmo altrove) tra le leggi della vita e le virtii meccaniche e chimiche d' ogni materia circostante; essendoch le combinazioni mol- teplici di essa materia nascevano bens spontanee al- cuna fiata e giovavano soprammodo alia composiziono dei germi e al primo loro coltivamento, ma tutto ci accadeva in tempo e luogo particolare e con ispeciale rincontro di cause e accidenti. 529.  Del resto, non vedesi oggi medesimo che le uova d' innumerevoli insetti e vermi sono covate e nu- drite da sostanze fermentative e dalle carni di morti animali? Ma il fatto che meglio mi persuade e mi fa intendere V avvenimento genetico del quale discorro sono le pregnanze estrauterine le quali accadono nelle donne non radamente e negli animali bruti eziandio. 530.  Anno, dunque, i germi facolt di comporsi e svolgersi in altro luogo che non nel proprio di loro specie, semprech non difetti la condizione essenziale di certa giacitura munita, per cos dire, da ogni sconcio ed offesa 0 di certo calore e umidore ben temperato e sopra il tutto di certi succhi alimentari e dell'atto di assimi- lazione estremamente agevolato. N qui si obbietti la infecondit alla quale sono dannate le copule che suc- cedono tra le specie pi aflini. Perocch, senza dire d'alcune eccezioni alle quali giustamente la sAn-i^a non 64G LIBRO QUAKTO. presta fede, baster ricordarsi la copula non essere altro (chi bene l'esamina) che il compimento stesso del germe il quale per una cotal legge di polarit fisiologica di- stinguesi in attivo e in passivo, nello spermozoide e nel- r ovulo ; di tal che V atto della fecondazione recando alla materia del picciol uovo la potenza formativa a lei propria e la necessaria eccitazione lo fa germe vero e principio efficace di vita. 531.  Ma nel caso di cui discorriamo il germe pre- supponesi gi bello e compiuto; salvoch lo svilup- pamento suo non pu in sul primo non riuscire pi rozzo d'assai e quasi diremmo selvatico in paragone della sua forma al tutto normale ed archetipa. Laonde ogni specie animale spartita di sesso, e per bisogne- vole di venir fecondata, comparve la prima volta da l)i lati imperfetta; considerato che il germe vennesi costruendo per certa polarit e contrapposizione inte- riore e quindi meno distinta e meno efficace di quella prodotta dallo spartimento dei sessi e dal loro con- giungimento. 532.  Tutto questo ne disasconde un altro arti- ficio mirabile adoperato dalla natura nella lunga ra genetica affine di far salire per dritta scala a mag- gior compitezza le sue creazioni organiche ; e il magi- stero consistette nel fare per assai tempo le discen- denze meno difettose delle geniture anteriori, e perci pi prossime alla perfezione loro a cui da ultimo per- venivano in maniera costante e non pi mutabile. 533.  Il che s' intender di leggieri se poniam mente a questo, che ogni specie ben definita  un cotal sistema fisso e determinato di monadi vegetative o solo ovvero accompagnato e sommesso a un principio sen- ziente. 534.  Ora, ciascuno di tali sistemi pu essere inci- DELLA VITA K DEL FINE NELL'UNIVERSO. 647 piente o perfetto, impedito o favoreggiato. Se T impe- dimento  s grave e s perdurevole da snaturare tiinto 0 quanto la essenza delle specie, il germe o non si attua punto o iudozza e perisce. Nel contrario sui]>osto le monadi correlative sforzerannosi pur 6era))re di con- quistare la interezza e pienezza di loro stato normale; e per il germe verr ripetuto con sempre maggior perfezione. E ci insino a quel termine in che, rag- giunto esso l'archetipo proprio e. data alla propria essenza ogni delineazione a s convenevole, il suo moto ascensivo si fermi e invariabilmente si riproduca. 535.  N alcuno si maravigli che questi s fatti trapassi per compiere la costruttura e figura del pro- prio essere non si avverino oggi in nessuna pianta e in nessun animale; perocch i germi in entrambo i re- ' gni sono perfetti e germi nuovi ed orguali non si pro- ducono. Ma bene scorgiamo di tutto ci una chiara similitudine negli animali che s'incrisalidano e molto pi nella stona singolarissima dei vermini intestinali, i quali non giungono al lor compimento salvo che var- cando per tre distinti corpi animati. 536.  Oltrech, uemmanco  lecito di affermare assolutamente che le piante e gli animali al d d' oggi non si perfezionano net proprio organismo, senza dire delle variet e delle razze che 1' arte procura. Miglio- rano le specie per parecchie generazioni migliorando r ambiente e favorendole per ogni lato le circostanze. La diversit fra i tempi nostri e quelli del Genesi con- siste meramente in ci che al d d'oggi le specie si perfezionano in minimi gradi e per accidenti leggieri e quasi diremmo superficiali; ed ogni cosa rimane per entro i confini del proprio archetipo. 537.  N, bene osservando, le mutazioni accadute nel tempo del Genesi uscivano da essi confini. Anzi era 648 LIBRO QUARTO. sola e costante cagione di quelle la necessit di non preterire l'archetipo prestabilito e vincere ad oncia ad oncia le forze contrarie e i tenaci impedimenti. 538. Certo  dunque che gli animali di pi fina e implicata organizzazione e i vegetabili altres ven- nero per lunga pezza di tempo trasmettendo i germi loro con questa vicenda, che V ultimo avvantaggiavasi di qualche punto e per qualche rispetto sopra il pe- nultimo e questo sull'anteriore, e cos prosegui. 539.  Ma non cada per ci in pensiere che per tale miglioramento l'un genere varcasse nell'altro e neppure questa specie in cotesta, per modo che acca- desse (poniamo esempio) che un rettile dopo assais- sime generazioni si convertisse in uccello o l'uccello in quadrupede e nemmeno cotale uccello e cotal qua- drupede in una specie non sua tuttoch affine. Peroc- ch a simili metamorfosi era fatto divieto assoluto dalla differenza del tipo essenziale ed originale o vo- gliate dalla differenza nativa ed incancellabile dei si- stemi di monadi. Laonde, cosi era impossibile in cir- costanze favorevoli interdire a questo sistema o cotesto di non trapassare di grado in grado alla perfezione sua respettiva, quanto il farnelo uscire di poi e tras- mutarlo pi l dei limiti dei proprj accidenti. Il qual limite, gi si notava per addietro,  diverso margine pure esso, e talvolta  largo e arrendevole, talvolta ristretto e inflessibile. 540.  Intanto le copule si adempivano sempre ed in tutto fra i simili; perocch ciascuna delle parti era soggiaciuta a uguale modificazione di compitezza e dirozzamento. Onde, se la prole veniva per certo corso di generazioni mutando in modo assai rilevato, gli autori di quella per niun rispetto si dispaiavano l'uno dall'altro. DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 649 541.  Erra quindi gravemente, per nostro avviso, quella scuola di zoologi che va spacciando con gran sicurezza Tuomo essere stato' T ultimo effetto d'un numero incomputabile d' accoppiamenti e incrocicchia- menti fra le specie pi perfette di scimmie. Imperocch, non ostante ogni mistione di variet e ogni trasmis- sione durevole delle razze intermedie, l' ultima ge- nitura comparsa non potette essere altro che una scimmia perfezionata.  torna il discorso medesimo per li prodigi della scelta naturale che predicano i Darvinisti. 542.  Quando le specie avesser potenza di tra- mutarsi runa nell'altra, l'avrebbero i minerali ezian- dio ed i corpi semplici ; onde V ipotesi darviniana (test dicevamo) sembra a noi ripetere in zoologia l'abbaglio ostinato degli alchimisti nella anateria bruta, con questo solo divario che Darwin aiuta V alchimia sua con la lunghezza sterminata del tempo senza ba- dare che il tempo per s non opera nulla e nulla non crea; e ci che  impossibile oggi sar similmente di l da molti bilioni di secoli, dapoich le essenze non mutano n a grosse porzioni n ad infinitesimi ; e quando mutassero solo un milionesimo di dramma, certo po- trebbero proseguire e pi non sarebbero essenze ma transitori accidenti. ,  543.  Per contra, il raziocinio mi persuade che la specie umana in quanto ebbe organi materiali non and esenzionata da alcuna delle necessit del co- mune organismo, e per giudico ch'ella sia nata la prima volta nel mondo assai difettosa e inferiore pur molto alle schiatte selvagge d' Australia e di Congo. I figliuoli, aiutandoli da ogni parte le forze esteriori o per lo manco non li avversando, nacquero o diventa- rono meno imperfetti dei padri insino a che quel erfezione non mutano; e di tal maniera re- sistono durevolmente alle potenze esteriori che sono parte diverse e contrarie, parte in volubilit ed alte- razione continua. Per fermo, quando ci non fosse per ogni dove e sempre, e ciascuna forma peculiare di or- ganizzazione non possedesse un che d' identico di pri- 652 LIBRO QUARTO. mitivo e di impermutabile^ tutto il regno della vita confonderebbesi ad ogni momento. 549.  N basta il dire, siccome fa la scuola dei Darvinisti, che le mutazioni succedono lentissima- mente ed a gradi minimi. Conciossiacli, se il prin- cipio della mutazione esiste dentro le specie ed  essenziale ed ingenito, la difficolt  capovolta, e con- viene spiegare perch 1' essenziale non opera sem- pre; ed anzi occorre spiegare qual cosa sia quella che opera, e come mutando sostanzialmente e senza mai termine, tuttavolta resta identica a s medesima. 550.  N avvedesi cotesta scuola di porre in ultimo un'astrazione in luogo della realit e la vita; e l' orga- nizzazione convertono in certo ente di ragione e in certo Ile vivificabile, a cos chiamarlo, che  tutto iu potenza ed  nulla in atto e verso le infinite disposi- zioni ed attuazioni che sta per assumere  indifferente in compiuto modo. Per cotal guisa la filosofia loro indietreggia insino alle vuote astrattezze che tolsero credito al Peripato ed alla Scolastica. Ma di ci par- leremo altrove pi acconciamente. V. 551.  Posto che le specie non mutino sostanzial- mente e a vedere sorgere altre specie diverse oltre alle ibride, fa spediente ricondurre sul mondo l' epoca ge- neratrice, seguita di conoscere in che maniere durante l'epoca stessa le forme viventi esaurivano la immen- sit relativa del possibile che  uno dei fini a' quali tende la natura perpetuamente ed in ogni cosa. In- torno di che il raziocinio discopre essere stati non pi di tre i fattori supremi d'ogni diversit di orga- nismo. DELLA VITA E DEL FINE NELL'UNIVERSO. 653 552.  E per fermo ei dovettero sempre consistere o nella materia organizzabile o nella virt informativa o nelle esterne potenze. Ma perch i principj elementari della materia organizzabile sono pochi e semplici ed eziandio si ripetono con poca differenza in ogni genere di animali e di piante; e perch d'altro lato l'ambiente 0 vuoi le cagioni esteriori sono comuni il pi delle volte a gran variet di enti organati, per tutto ci  ragione- vole riconoscere insino dal primo che la cagione preci- pua e molto pi generale e profonda d' ogni divei-sit tra le specie risiede nel diversificarsi fra loro immo- bilmente ed originalmente i principj informativi inte- riori. 553.  La qual cosa  foiose il contrario di ci che pensano e scrivono i pi moderni naturalisti a cui piace di tener saldo sempre quel loro essere informe ad una e proteiforme e ne cavano tante fogge d' ani- mali e di vegetabili, e tante, coni' essi le chiamano, adattazioni diverse quante rivoluzioni e permutazioni succedono nel mondo ambiente. 554.  Del pari, rinvenendosi in quasi ogni specie di vegetabili alcuna sostanza peculiarissiraa la quale men- tre si distingue sopra misura da tutte le altre nelle qualit e negli effetti si ragguaglia invece perfetta- mente con esse pel numero e costituzione degli ele- menti, spiegano ci i moderni fisici con osservare che sebbene gli elementi costitutivi riescono uguali o assai poco diversi, per contra, le combinazioni, la postura e V orientazione loro sono capaci di variet somma e quasi fuor d' ogni computo. Sopra il che avvertiamo essere verissimo che quella variet  nozione esatta e positiva del tutto insieme. 12.  Soddisfare, impertanto, a tale curiosit ed appetizione con qualche sufficienza e misura  opera degnissima di filosofo ed anzi a lui peculiare. Conside- rato che ogni altra generazione di dotti porger con- cetti e notizie o meno generali e meno sintetiche, o troppo specificate e particolari; e guarder la natura (poniamo) da solo matematico o da solo geologo. 13.  Gi fu notato da noi che dove termina il fisico e il chimico, dove il zoologo od altro naturali- sta, l comincia il filosofo razionale e indaga i prin- cipj e i legamenti comuni de' loro studj-; e sotto la luce di poche supreme verit dell' ontologia trasmuta di mano in mano i fatti sperimentali in pronunziati speculativi dedotti l'uno dall'altro a forma di mon- diale geometria. Sebbene poi riconoscemmo nel terzo Libro e negli altri tutte le cause perch cotesta opera maravigliosa di trasmutazione non pure  lentissima e difficilissima, ma si anche ad ogni tratto si spezza e la risaldano a malapena le sensate osservazioni. E dove nemmanco queste suppliscono e la mente agogna pur tuttavia di veder lineato e adombrato in alcuna guisa tutto il disegno dell' universo, subentrano archi- tettori e fabbricatori ultimi e arditissimi del Cosmo alquante congetture e probabilit giudiciose e ingegno- se, simili a quelle parti dei minati edificj antichi che archeologi e artisti figurano e coloiscono di lor capo con pi e meno di felice indovinamento. 14.  S'io vorr poi raccontare quante volte  can- cellato e mutato il disegno di questo abbozzo di mon- 704 LIBRO QUINTO. f diale edificio ; quante mi sono accorto di offendere o , la notizia positiva dei fatti o la severa esigenza delle teoriche razionali e procedenti per lungo filo di de- duzioni; 0 infine, quante volte  veduto spiccarsi i gran membri del grande corpo o mancare i passaggi diritti e legittimi dall' un teorema air altro ; o, infine, il tutto insieme mostrarsi confuso, disciolto e disordi- nato, io scrver una confessione tralunga e tediosa^ e la quale ciascuno preconosce e presente in gran parto vogliamo a cagione della mia pochezza, vogliamo per- eh' ella  storia in qualche modo partecipata da ogni pensatore e scrittore. D'altro lato, se ne avvisano gi troppi segni e prove nelle mie vecchie stampe, se ta- luno va pur degnando di leggerle. : ^-Z IL 15.  Comunque ci sia e rivocando l' occhio men- tale sui punti dialettici pei quali  insino a qui trapas- sata la nostra cosmologia, noi noteremo per prima cosa eh' ella  vero corpo di scienza distinto perch  sub- bietto vero e proprio che  il finito sostanzialmente diviso dall' infinito ; mentre le cosmologie moderne ale- manne sono un' ontologia insieme ed una teologia, e parendo discorrere della natura parlano invece delle membra viventi di Dio. Quindi la mescolanza contra- dittoria e perpetua di assoluto e relativo, di uno e molteplice, d' immobilit e mutazione, di causa ed ef- fetto, di universale e particolare. 16.-^ Tutte discrepanze chein questa nostra cosmo- logia si dileguano naturalmente ed anzi forzatamente per necessit logica impreteribile. E se nei sistemi alemanni il finito non trova mai ragione di essere e balza fuori dall' infinito per un palpabile paradosso e DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 705 uccdendo (sia lecito cos parlare) il suo genitore me- desimo al quale reca mutazioni e limitazioni, qui il mondo esce per ragioni eyidenti dalle mani di Dio, e sebbene Dio lo informa della sua potenza, saggezza e bont e nella immensit sua lo contiene e con Fatto creativo si fa immanente nella natura, ci non ostante non si sustanzia con lei n molto n poco e dimora tuttavia nella primitiya e assoluta sua libert di pen- siero e di atto. 17.  Qui il temporale cominciamento del mondo  con pienezza dimostrato, e del pari  dimostrato il suo fine eccelso, che  il bene quanto no pu ca- pire in essere limitato. Da ci emerge chiara e spe- cificata la notizia del mezzo che dee combaciare da ogni lato eoa con la essenza del fine come con le necessit, le insufficienze e tutta l'indole inemenda- bile degli enti finiti. Laonde segue che la creazione  per noi (conforme direbbe il geometra) una risultante perpetua del mirabile parallelogrammo delle forze eterne e delle mondane; e cio da una banda le leggi non declinabili della finit e dall'altra l'infinita po- tenza, saggezza e bont che influisce contnuo e per ogni dove sul mondo. 18.  Per prima cosa venne provato ne' nostri Li- bri che l'uno ed ogni attribuzione essenziale dell'uno quanto  propria dell'Assoluto, tanto per lo contrario dee rimanersi esclusa dalle nature relative che ognora sono pi, e sono composte e manchevoli. 19.  Per, e sotto tale rispetto almeno, essere al tutto falso che la creazione dall'uno proceda ve mag- giormente al vario e dall' identico vie maggiormente al diverso e dall' indeterminato ed universale al deter- minato e particolare. Noi in quel cambio dimostriamo che la creazione per necessit intrinseca del finito ri- Uamiari. - II. 45 706 LIBRO QUINTO. sulta primamente di cose diverse ed eterogenee, e per- ci separate e sconnesse, ed ogni ente t si trova per s e come singolare e incomunicabile. 20.  Certo, la natura comincia radamente dal- l'atto e quasi sempre dalla potenza, poich il de- terminare se stesso non  proprio del finito n V avere in propria essenza V attivit perennemente spiegata; talch le cose cominciano in atto per ci solamente che  necessario a ciascuna rispetto aiP esistere. Ogni rimanente giace in istato di mera potenza. Ma in co- tale stato non  maggiore unit che in qualunque altro; n l'uovo, per esempio, di tutti i generi dei ver- tebrati  uno e medesimo, perch V occhio non vi sa scorgere le diversit virtuali che dentro nasconde. E la diversit virtuale  gi opposta alla identit, deb- besi anzi chiamarla una specie di atto primo, a par- lare con Aristotele. 21.  Per ci stesso noi sostenemmo che roini- versale non  mai in natura ma  sempre ante rem. E intanto ci  conceduto di contemplare le cose partico- lari e individue sotto il lume degli universali correspet- tivi, perocch in quelle  mai sempre la sostanziale e separata replicazione di certa natura o forma comune. Salvo che, il finito, il quale dicemmo nascere per s im- potente perch isolato e bisognevole d'ogni cosa, venne dalla divina mentalit provveduto della facolt di con- giungimento che  il termine solo mezzano tra il mol- teplice assoluto e l'assoluta unit. Di quindi tra gli enti finiti, le reali attinenze di parte e tutto, di causa ed effetto ; di quindr pure la cooperazione del simile e la partecipazione del diverso ; di quindi infine quelle varie maniere di ordine, di componimento, unione e totalit che noi domandammo cospirazione, macchi- namento ed organizzazione. DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 707 22.  Del pari dicemmo star sopra alla creazione intera un sol fine, che  il bene; e il bene sostanziale non potersi scompagnare dall' attivit e dalla cogni- zione e ambedue queste dal progressivo perfeziona- mento. Avvi dunque un mondo morale comune a tutte le creature, per diverse ed aliene che sieno. Ma perch poi cotesta unit del mondo morale  affatto trascen- dente e si sustanzia e compie fuori del mondo visibile e termina nel vero e nel bene assoluto, per nemmanco per questo rispetto debbo affermarsi che nella -diver- sit sterminata dei mondi avvi qualcosa di comune e d'intrinseco a tutti ed  uno per tutti assoluta- mente. 23.  Per, mentre nel creato V uno e il tutto sono ogni sempre relativi e parziali, il solo carattere della diversit e pluralit gli  peculiare e diremo anche assolato in quanto la finit lo porta seco indelebil- mente, e per spogliarsene converrebbe si trasmutasse nel suo contrario che  l'infinito. 24.  Da ci seguita che la creazione non si rac- coglie nenunanco in un tutto assoluto, il quale da ul- timo tornerebbe a ricostruire l'unit. Il perch fu scritto da noi che la creazione  un tutto unizzante ed armonioso davvero al solo sguardo e al solo intel- letto di Dio; il quale comprende come in un punto lo spazio il tempo e gli altri gran contenenti che sono segni e simulacri dell'immensit sua, e dentro i quali scorge egli ed abbraccia l'indefinito di tutti gl'inde- finiti, e fa in ciascuno di essi e nelle loro attinenze regnare l' arte divina, per cui le cose onninamente diverse e contrarie servono tuttavolta per diretto o per indiretto all'adempimento del fine. 25.  Per vero, nel molteplice della creazione l'uomo per istinto razionale insinua ad ogni tratto certa unit 708 LIBRO QUINTO. mentale o Bubbiettiva che la si chiami. Ed io stesso che la unit reale dei mondi combatto, la penso a ciascun istante e medito le cose finite e sconnesse dentro uno schema sintetico; eccetto che io ne tyo sempre mai consapevole e la mia forma logica distinguo e separo dall'esteriore materia. 26.  Per fermo, fu divisato eziandio da noi che r opera assidua della divina mentalit consiste. ap- punto a condurre il diverso il disgregato e il discorde a una tal quale conformazione e congregazione e a certe sintesi terminative di pi maniere e a passo per passo arricchite di maggior perfezione.  quanto, per via di dire, il Possibile va seminando e moltiplicando le differenze, altrettanto il Convenevole le tempra e le accoppia, vincendo a poco insieme e non mai total- mente le necessit, le scarsezze e ogni ragione d'im- potenze che porta seco il finito. Laonde ei si potrebbe anche descrivere la nostra cosmologia dicendo ch'ella  la natura la quale dalla disgregazione e dalla iner- zia trapassa alPaggregazione ed all'atto ; poscia al- l'automatismo, indi air organizzazione e indi ancora al senso ed all'appetito; da ultimo all'intelletto e per esso alla congiunzione col bene assoluto. 27.  Nelle quali forme avvi del sicuro un moto e progresso di unificazione ma non quale s'intende dal pi dei cosmologi odierni, agli occhi de' quali tutto ci si compone e sviluppa per l^ge d'identit e senza stranieri elementi. Noi all'incontro diciamo, che ninna di queste sintesi esce sostanzialmente dall'altra e con lei s'immedesima. Perocch l'aggregazione, ancorach leghi insieme i finiti, lascia interissima la pluralit dei subbietti; n di poi varca all'automatismo senza far cospirare insieme cause diverse e diversi elementi; e la coordinazione loro e il complicato risultamento che DEL PB00RB8Q0 NELL'UNIVERSO. 709 n'esce  fatale e molteplice,  retto dalle forze comuni e particolari e niente non a d'individuo e d' inseparato. 28.  Del pari, nelP organismo vegetativo appari- sce un altro differente principio ed originale, che, parte sottomette le materie aggregate, parte vi cede e vi si adatta. L'organismo poi che sente e appetisce e quello pi alto che intende e vuole pervengono alla sintesi loro con l'intervento di due prindpj novissimi l' anima senziente e l'anima razionale, troppo dissimili da tutte le forze che operano nei composti inferiori. 29.  Ugualmente, la congiunzione dell'intelletto e della volont col bene assoluto  per s differente ed aliena da tutte le luntesi che la precedono. Il per- che; l'uomo, ultimo effetto sul nostro pianeta della virt creatrice, sebbene si lega intimamente agli or- gani proprj, non fa con essi unit di sostanza; come negli organi, materia e monadi si connettono piut- tosto che s' immedesimino. E la natura automatica, quale sarebbe il nostro globo e il sistema solare e molte catene fisiche di cause e di effetti, quando an- che prepari e atteggi ogni cosa all' organizzazione, non fa un solo subbietto con lei ma opera indipendente e divisa. 30.  D' altro canto, cotesti gradi d' unificazione e coteste serie di sintesi che altro sono nei mondi creati se non particolari e speciali subbietti di una pi di- versa e pi vasta moltplicit? Considerato che di l dalla creazione visibile in mezzo di cui anno effettua- zione quelle relative unit e quelle sintesi di cui si discorre stendonsi altri pelaghi d esistenze tanto dis- simili che ninna potenza fantastica perviene a fingerle e indovinarle- E sebbene eziandio in que' differenti oceani a vincere le necessit del finito il sol modo possibile  di congiungere gli enti e condurli bel bello 710 LIBRO QUINTO. a qualche composto sintetico, nuUameno Tindole di essi mondi  tanto remota dalle nostre esperienze e dai nostri concetti, che ninna parit e ninna conformazione vi corre. III. 31. Il creato, adunque,  consonanza delle parti e coordinazione del tutto, e non  Tuno che si esplica nel y diverso e nettampoco il diverso che immedesimasi a grado per grado con l'uno. Chi si rappresenta di tal maniera la natura naturata, confonde da capo e per due vie contrarie l'infinito col finito. Laddove que- st' ultimo, non mai capace di perdere le sue condizioni essenziali e non declinabili, assume bens interrotta- mente ed a luogo a luogo molte specie di unificazione; ma nel tutto insieme e pel pi ordinario risulta di nu- merose molteplicit separate e diverse. Vero  ch'eziandio queste debbono poi rinvenire un limite necessario nel- r ultima attenuazione dell' essere e perci negli atomi indivisibili e condotti al termine estremo della ne- gazione. 32.  Cotesto ultime e individue sussistenze sono per inconfondibili, perch A ed A formano due e non uno. La individuazione loro esce immediata dal loro esistere primitivo, ed ogni altra cosa accede e s'aggiunge a quello. Perci la nostra cosmologia fa il principio d'individuazione sinonimo dell'esistere finitamente e sciogliesi di tal maniera da tutte le ambagi della Scolastica intorno al proposito ; n suda a cavar V in- dividuo dall' universale e da certa arcana contrazione della materia. 33.  Un altro limite poi dee trovare l' ente finito e individuo nell' ampliazione dell' essere. Conciossiach ' DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 711 la yarianza e la energa delle sue facolt e degli atti non pu trascender quel punto in cui non terrebbe pi proporzione e omogeneit con la energia peculiare deir intrinseco principio attivo. 34.  Fu pure spediente a noi di provare che co- testo individuo vero e spirituale, cui demmo il nome qualitativo di plidinamo,  sforzo supremo della na- tura e vi giunge essa per lunga serie di ostacoli vinti e d' insufficienze supplite, appunto perch in lui si attua il grado maggiore di unificazione del quale sia capace il finito. Di tal che dopo essere trapassati i corpi per tutte le aggregazioni del simile, le partecipazioni del diverao e loro meschianze ed aver compita la sequela degli apparecchi e T automatismo generale e partico- lare, i nuovi principj vegetativi non possono altro in sul primo se non separarsi appena e distinguersi dal- l'ambiente materia. 35.  Poi l'organismo medesimo costruendo altre preparazioni ed altri principj vi fa comparire gradata- mente la unificazione individua col moto locale, la sensibilit e l'appetito, e prosegue con la percezione la volont e l'intelletto; e qui finalmente  l'indivi- duo perfetto dell' ordine nostro terreno, qui accade la congiunzione spirituale dell' ente creato con l'AssoJuto. 36.  Sebbene, per le disposizioni innate ed in- correggibili della finit, esso individuo rimarrebbesi quasich impotente ed inoperoso, quando i principj vegetativi non lo fornissero degli strumenti acconci da un lato ad usuiruttuare il mondo . corporeo e dal- l'altro, non male adatti ad occasionare nella mente di lui la visione dell'Assoluto e il sentimento arcano degl'influssi divini.  37.  Di tal maniera, dopo aver noi dimostrato che parte delle esistenze finite  sola ragione di mezzo, e aver 712 LIBRO QUINTO. descritto le varie categorie per le quali la mezzanit dilata r essere proprio e si abilita ai richiesti prepa- ramenti, indicammo le porte, a cosi parlare, onde entra la vita nel mondo o Togliam dire V attuazione progres- siva del fine. 38.  Guardata poi questa nella sua sostanza pro- fonda e perpetua quanto nella sua estensione a tutte le parti del creato capaci di vera finalit, stimammo doverla definire : Y esplicazione e perfezione dell' indivi- duo in ordine al bene, mediante un acconcio indi- viduo. 39.  E perch nel colmo della vita si attua il colmo della finalit e quivi  la meta dell' universo, ci risult evidente quest'altra sentenza che in ogni sfera di cose rette da leggi proprie e costituenti un mondo particolare e dissimile dal rimanente debba la creazione mirar senza meno a questo effetto termi- nativo di unire e immedesimare al possibile il pi alto principio vitale e la pi perfetta forma degli- strumenti nel grado per e nella sufficienza che  conseguibile a quella sfera e a quel mondo. Salvoch ci avve- demmo la congiunzione e partecipazione diretta del- l' Assoluto condur seco (in qualunque luogo e mondo succeda) un' indole d' organismo nuovo e spirituale, ed ogni potenza d' organismo inferiore (come test si no- tava) pigliar carattere di mera causa occasionale. 40.  L' uso poi dei fisiologi e d' ogni sorta natu- ralisti di chiudere la scienza intera della vita per entro i fenomeni dell' organismo corporeo ci men a discorrerne stesamente e sotto diversi rispetti. Ne defi- nimmo razionalmente la natura e l l^gi; ne indagammo le origini; e quelle teoriche combattemmo che pure in tale subbietto amplificano stranamente il principio d' identit e d' unificazione. DEL PR0GKE8S0 NELL' UNIVEBSO. 713 41.  Dair atto creativo procedono immediate i subbietti sostanziali d' ogni ragione, e ciascheduno ne procede ben determinato e individuato nell'essere suo. Quindi le cagioni seconde, ancora che il possano mo- dificare, mutarlo nella essenza non possono. E del pari non  in loro arbitrio impedire o mutare quelle congiunzioni e composizioni fra essi che dervano drit- tamente dalle forze ed attribuzioni essenziali e native; e sono del novero tutti i sistemi originali di monadi ; e per in ciascuno  costituito la forma perpetua ed inalterabile d' una specie vegetale o animale. 42.  Salvoch a queste forze ed attribuzioni na- tive ed ai loro composti necessario  un cotale ordine di promozioni e certe congiunture di luogo e di tempo ; e sono talvolta V una forza all' altra un conveniente apparecchio. 43.  Quindi non pu, esempli grazia, la coesione apparire innanzi d' un qualche moto ed accostamento della materia in fra s ; n le affinit differenti in- nanzi dell'incontro di certe sostanze speciali ed ete- rogenee; n l'attrazione meccanica innanzi della co- stituzione de' grandi corpi ; n gli ossidi metallici innanzi dell' adunarsi dei principj aerosi sulla super- ficie del globo ; n infine i sistemi delle monadi vege- tative e la formazione dei germi innanzi del combi- narsi a tre a quattro ed a piii gli elementi metalloidi in tempra e misura idonea. 44.  Adunque, da un lato gli elementi che sem- plici sono domandati, dall' altro le monadi e gli altri pincipj spirituali viventi sono i semi eterni di tutte le cose. Perocch dagli elementi provengono onnina- mente e senza giammai fallire i primi composti e le forme molecolari ; dalle monadi, i viventi cristalli ; e da ogni generazione di anime, la certa e successiva effet- 714 LIBRO QUINTO. tuazione degli archetipi organici e gli aspetti e le guise diverse e ascendenti della vita e della finalit. 45.  In cotesti semi eterni  sostanziale separazione dall'uno all'altro ed  insieme fatale necessit di ac- costarsi o repellersi ; e nel lor tutto insieme campeggia la discorde concordia che fa delle parti dell' universo un macchinismo maraviglioso ed immenso, il quale risulta di macchine innumerabili e d' innamerabili organizzazioni disperse nei mondi particolari ma tutte accomodate e corrispondenti al concetto informatore della creazione. 46.  Questo diventano il finito e il molteplice nelle ( mani della natura ; e perci sono chiude ed attutite per i sempre le vane disputazioni sull'anima universale, e se le cose possono o no trasformarsi l' una nell' altra, e se in ciascheduna giace qualche appetizione e vir- tualit d'ogni rimanente e per lo manco i semi del sentire del volere e del conoscere e la facolt rappre- sentativa dell' intero creato ed altre simiglianti imma- ginazioni, che tutte, per nostro giudicio, provengono da intempestivo mescolamento dell'infinito col finito e dal volere a forza che questo secondo in ogni sua parte costitutiva sia copia e simulacro fedele del primo. 47.  Laonde chi studia di cogliere il concetto vero e fruttifero della creazione debbe antecedentemente av- visare (quel che facemmo nel primo Libro) la schietta e germana essenza della finit e scrutarne le condizioni le insufficienze le necessit e le angustie che sono il primo lato del grande parallelogrammo da costruire. 48.  Ci veduto, egli debbe chiedere a s medesimo con lunga istanza per quale arte divina pu il finito e il molteplice congiungere le sue esistenze sconnesse e bizzarre, e l'una fare preparazione alle altre e sce- mare a grado per grado la loro impotenza comune. DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 715 tanto che divenga attuabile V apparizione degl' indi- vidui plidinami e condurre l'accostamento e congre- gamento delle parti semplici insino alla forma stru- mentale, e per ultimo adattarle a ricevere gli alti princpj vitali e far possibile a taluno di questi la congiunzione intellettuale e morale con l' Assoluto. IV. 49.  Certo, nel solo ente che si congiunge con r Assoluto giace la facolt d' imitarlo e divenire suo simulacro; perch l'intelletto e gli altri influssi divini che piovono dentro l' anima innalzano questa a spaziare veracemente nell' infinito ; e in quanto congiungesi ve piti sempre con essolui, sembra perdere i limiti proprj e l'innata fralezza. Ma, parlandosi con precisione, la natura  quivi scomparsa; e quando non si voglia ci affermare ricisamente, sar pur forza di riconoscere che la natura non  quivi in presenza di solo s stessa e non opera coi soli suoi elementi e con la vecchia arte combinatoria. 50.  Nella natura, dopo la moralit e la scienza dell'uomo, quello che men dissomiglia dall'Assoluto e pu senza sconcio soverchio venir dimandato simu- v lacro di lui  senza fallo l' indefinito. Che non potendo i r Assoluto replicar s medesimo e attuare un altro infinito, produce in quel cambio le serie sconfinate e r innumerabile cos nello spazio come nel tempo, cosi nel diverso come nel simile, tanto nell' ordine subal- terno dei mezzi, quanto nell' ordine respettivo dei fini, e, per dir breve, in ogni costituzione variet e progresso di cose quando alla efficienza divina non si contrap- pone con troppi ostacoli la insufficienza mondana. 51.  Per fermo, l'indefinito solo che sempre vince 716 LIBRO QUINTO. e trascende i limiti senza mai poterli del tutto annui- lare,  il termine estremo, il quale tramezza tra V atto infinito di creazione e la finita capacit del creato. E per eziandio ad esso il geometra applicherebbe il nome di legittima risultante tra le forze contrarie. E ognora che nelle cose particolari  impedita la moltiplicazione dei principj sostanziali diversi, la natura provvede con la indefinita replicazione dei simili ; e se questa pure  impedita nelle composizioni implicate e massiccie, sem- bra la natura rivendicarsi di nuovo nel picciolo mondo invisibile ed empie di milioni d' infusorj le goccie d' acqua e di milioni di conchiglie un pugno di arena. 52.  Ad ogni modo, perch gV impedimenti mag- giori, come8 disse, riescono sempre parziali e locali, regna senza dubbio l'indefinito nella immensit delle cose e non pure l' indefinito del simile ma del diverso altres. Quindi, come sa il nostro lettore, la creazione ci apparve quasi un punto impercettibile che segna e comincia il tempo e dilatasi tuttora in oceano smisu- rato con flusso perpetuo ed inessiccabile ; e v'  tanti pelaghi sempre crescenti e V uno diverso dall* altro quanto pu crescere V indefinito dei principj sostanziali diversi e dei semi eterni delle cose. E perch a tutti i possibili contenuti nella efficienza divina compete un valore medesimo, per tutti debbono manifestarsi ad extra nel tempo; sebbene, d'altro canto, essendo infi- niti e non rinvenendo in nessun luogo proporzionata recettivit, egli accade che i compossibili soli vengono air atto, e vale a dire i possibili non ripugnanti o con altri o coi proprj elementi, considerate le necessit e le angustie d' ogni molteplice ed in s medesimo e in quello che gli bisogna al di fuori onde possa coesistere e proporzionarsi con tutti gli altri.^ ^ Vedi Libro secondo. Capo quarto, aforismi XII, XIII, XIV, XV. DEL PROOREflSO NELL'UNIVERSO. 717 53.  In questi termini la creazione rende qual- che tenuissima e parzialssima effigie del creator suo, e cio gli enti morali a rispetto del contenuto, e a rispetto del contenente gV indefiniti.^ Forse taluno dir che ogni discreto e dabben cristiano la pensa al modo medesimo; ne altro intendono i metafisici quandq discorrono della immagine di Dio improntata nel mondo. Tanto meglio, rispondo io, e siamo tutti d' ac* cordo. NuUameno,  mostrato in parecchi luoghi di questi libri che i metafisici anno scordata la lor di* screzione in proposito; e sopratutto anno scordato quello che sia propriamente il finito e le conseguenze certe generali ed ognora presenti che l'essenza di lui tra- manda alla intera cosmologa. 54.  Per tale tendenza delle cose create in verso Y indefinito, scopresi in modo patente V abbaglio di co- loro i quali esagerano fuor di misura quel detto ari- stotelico ripetuto poi da Linneo e dal Tolgo dei dotti che la natura mai non procede per salti. Perocch, se la creazione stendesi nelP indefinito del simile, del diverso e del misto, ella debbe a marcia forza commet- tere salti frequenti e profondi. C!onciossiach i diversi sono divisi fra loro per intima essenza, e il varco dal- l'uno all'altro  di necessit uno sbalzo; e quando paiono trapassare assai blandamente e per minime sfumature, ei sono commisti di simglianza e differenza e producono gradatamente il vario nello identico. 55.  Ma se il creato chiudessesi per entro l' iden- tico, riuscirebbe ristretto e picciolo quanto uniforme e monotono; e troppa gran parte degli enti fattibili si rimarrebbe esclusa per sempre dall' esistenza. Tutto il che piglia conferma amplissima e cotidiana dalla sen- sata esperienza; e noi dimostrammo ne' libri anteriori, * Vedi Libro secondo. Capo quarto, aforismo XX. 718 LIBRO QUINTO. che quante volte pens la natura di ascendere a un or- dine nuovo o di mezzi o di fini le abbisogn eziandio r opera d' un nuovo principio. E nel vero, la coesione l'affinit r attrazione la luce e il calore, V elettrico e il magnetico, le monadi il senso la volont e V intelletto, sono principj diversi e fecondi, nessuno dei quali pu provenire dall' altro per l' indole sua peculiare ed ori- ginale. Onde notammo a parecchie occasioni quanto sia vano sforzo e impotente quello degli Hegeliani e d' altri panteisti di ritrarre, per via d' esempio, dalla materia l' organismo, da questo il senso e da entrambi r intelletto. 56.  Ne debbesi non avvertire che i principj test allegati sono sotto altro nome gli stessi ch'io ram- mentavo nel Capo quinto del libro secondo, chiaman- doli sfere differenti di esseri, e cio la stellare la eterea la tellurica la chimica la organica l' animale e l' uma- na. Salvoch, le posteriori dichiarazioni mi detter li- cenza di introdurvi alcune specificazioni non nuove ma per addietro taciute; e, verbigrazia, mi  stato lecito di distinguere nell' etere i suoi due modi solenni di palesarsi e d'operare : da una banda, la luce e il calore ; dall' altra, l' elettrico ed il magnetico. 57.  In sul cominciare del Libro secondo, a noi vennero pronunziati i principj infrascritti, e cio che La efficienza divina crea e determina tutto La divina mentalit preordina tutto La natura naturata fa tutto La infinitudine partecipata termina tutto. Crediamo le cose partitamente discusse nel seguito aver DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 719 chiosato a sufficienza e applicato con profitto i prn- % cipj suddetti; e crediamo altres che ognuno vi ricono- sca al presente quel grande filosofema di Vico onde pigliammo gi le mosse a discorrere di cosmologa, e il qual dice, che Tuniverso move da Dio, in Dio si sostiene, a Dio si ritorna. 58.  Per fermo, se la natura naturata fa tutto, nondimeno ella non farebbe nulla quando le cagioni seconde non fossero create e determinate dall'efficienza divina. E opererebbero senza pr e discosto dal fine, ognora che la mentalit suprema non dirigesse e preor- dinasse; e per tutto ci  detto assai propriamente che r universo o la natura naturata sostiensi in Dio.  del pari, da ci s' intende come le cagioni seconde mentre operano fatalmente e col tenore preciso e la necessit ineluttabile delle proprie essenze, non per di meno adempiono inconsapevoli i fini particolari ed i generali che la saggezza divina preordinava.  con questo asse- guimento continuato dei fini e col partecipare negli enti morali al bene  Di l dal qual non  a che b' aspiri   troppo vero che l'universo ritorna a Dio. 59.  Cos nella nostra cosmologia viene dimo- strato che tutte le cose non sono Dio, ma Dio  per in tutte le cose ed  il loro principio e fine assoluto ed anche  legamento supremo fra l'uno e l'altro; e intendesi ch'egli eziandio  il mezzo spirituale supremo onde tutte le esistenze procedono verso il fine. Perocch in primo, l'atto creativo perenne e impartbile inizia, cagioi^a e conserva il mondo e in ogni lato lo involge e lo penetra. Onde ogni amplitudine di cose create  contenuto eminenter nella divina immensit e la dura- zione loro nella divina eternit, due forme dell'infinito 720 LIBRO QUINTO. che sono parimente forme essenziali dell'atto crea- tivo. 60.  In secondo luogo, qualmente s' ebbe a toc- care poc'anzi, le cause seconde ancora che facciano tutto, se per legge fatale di lor natura non adempies* sero al punto il disegno preordinato dalla divina men* talit, piuttosto che fabbricare l'ordine e raggiungere il bene atte sarebbero a fluttuare e contendere nello ^scompiglio del Caos, avendo noi divisato nel primo \Libro le infermit e manchevolezze d'ogni finito e co* me il tuttoinsieme di tutti essi riuscendo 1' opposto dell'Uno si alienerebbero di mano in mano da Dio e il caso parrebbe accozzarli, il caso discioglierli quasi immensa congerie e confusa di elementi e principj; e forse a poco a poco dopo innumerabili ondeggiamenti e conflitti ciascuna forza trovato il suo contrapposto si adagerebbe nell'inerzia nativa, e sarebbe nella natura- silenzio immobilit e squallore eterno simile a un mare di vetro e di ghiaccio con dentro una miscea strana in* composta ed infigurabile di infinite essenze di cose. 61.  Perci si disse che a quattro termini princi- palmente mira e intende l'atto creativo supremo, e sono il Possibile, il Convenevole, l'Attivit e l'indefi- nita Partecipazione. Conciossiach il Possibile attuan- dosi porge gli elementi, le materie, i semi e i principj del tutto. Il Convenevole li dispone ed accoppia per guisa da cavarne ordine, corrispondenza e armonia.  perch fine  il bene e il bene torna sempre ad attivit e si concentra nell' individuo, perci l' arte divina del Convenevole accumula, per cosi favellare, e condensa l'attivit nel pi perfetto individuo; e l' attiviti con- densata  pure condensazione di esistenza e di vita co- me il crescere in perfezionamento vale il congiungersi di pi in pi e partecipare dell' Assoluto. DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 721 62.  ila qui cade troppo in acconcio il ribattere novamente * quella obbiezione dei materialisti alemanni contro l'arte divina del Convenevole, e consiste a dire che non si conforma gran fatto ad una sapienza e bont in- finita il salire penosamente a certo grado mediocre di eccellenza e di compitezza e condurvisi per una serie di prove, di assaggi, di tentamenti e di quasi aborti e stroppiature e usando di lunghe catene di mezzi, nes- suno de' quali  bastevole n esente d' imperfezione, proprio come farebbe la povera creatura umana im- previdente e debolissima e non avendo in arbitrio suo un infinito di potenza. 63.  A ci rispondesi primamente argomentando a priori, e ponendo in considerazione che se da una banda la mentalit infinita operante sul mondo  cosa innegabile e dall'altra si avvisano processi lenti e im- perfetti e graduate combinazioni,  forza credere che elle provengono dalla invincibile tenuit, pochezza e difettosit del finito. Imperocch a costoro esce mai sempre di mente che la saggezza e potenza divina non pu trasformare e immedesimare il finito nell'infinito. 64.  Secondamente, si risponde (cosa notata gi per addietro) che tale insuficienza e scarsezza perma- nente ed inemendabile del finito si lascia conoscere al giudicio dell' uomo in pi modi e in qualche nota- bil porzione. 65.  Egli  certo, per via d' esempio, che Dio non poteva simultaneamente largire al finito la pleni- tudine di cui  capace. Atteso che, qualunque termine vario e vasto assegnato gli avesse, rimaneva ancora dietro quello uno spazio immenso da colmare ed anzi incolmabile perch indefinito. * Vedi Libro secondo, Capo primo, Vllf. Mavia^i. -> II. 46 722 LIBRO QUINTO. 66.  Del pari, poich il finito  molteplice e non  mai r uno assolutamente, e vale a dire che in ninna sfera di esistenza  l'uno e il tutto identificato, ma rotto, sparso e incompiuto, rimaneva la mera possibi- lit di congiungere gli elementi del molteplice e di combinarli. Ma eziandio tale congiunzione e combina- zione non poteva accader tutta in istante, perch qua- lunque specie e numero ne fosse mai risultato, quella specie e quel numero si rimanevano sempre capaci di indefinita dilatazione e moltiplicazione. 67.  Qui pure adunque, occorreva un processo, una gradazione, un ascenso. E come il congiungimento e il combinamento che meglio dilata il finito  quello che toma maggiormente sintetico, ed ogni sintesi  pure ca- pace di variet, di aumento e di perfezione, cos scorgesi di necessit la natura non pervenire in istante ma per tempo e per grado alla costruttura, alla variet e al perfezionamento delForganizzazione, la quale in ultimo  propriamente una sintesi di congiunzioni e combinazioni. 68.  D' altro lato, perch il finito non pu con- tener l'infinito n pareggiarlo, ma s pu riflettere e riverberare interrottamente e spartitamente alcuna delle determinazioni di lui, per ci la creazione esten- desi nella diversit delle cose; e tale diversit pari- mente non trova modo di esaurirsi ad un tratto ne ad un tratto compiere la mistione del differente e del simile. 69.  Ancora si metta in considerazione che il Convenevole pone in corrispondenza e armonia le pi diverse ed opposte cose, ma il fa per una trafila non evitabile di essenze ed atti mediani, e quanto  mag- giore la discrepanza originale &a quelle, tanto  pi lunga e minuta la mediazione; e poich gli atti pro- mossi od occasionati sono mutamenti, e questi succe- dono in tempo, cos debbe avvenire che molte con- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 723 temperanze e conciliazioni sembrino cons^uite assai tardamente e con fatica. 70.  Da ultimo, essendo per gli enti morali per- fezione massima e nobilissima l' imitare quanto pos- sono Iddio che  puro e assoluto atto, di tal maniera la natura tende negli enti morali (come notammo pi volte) ad accrescere l'attivit, e s'intende la perfet- tiva. Onde poi la beatitudine, che conseguita al pro- gredire di simile attivit trovi bens l' oggetto ed il termine in Dio, ma per la operosit propria di essi enti morali venga promossa e svolta di mano in mano e alla vita e all'anima loro intrisecata ed assimilata. 71.  Per ci medesimo l' Assoluto non si comunica / agli enti morali per guisa da porli in istato passiva di ratto e di invasamento, ma iniziandone invece la ^ massima spontaneit e l' azione pi profonda e pi in- tima dello spirito e dello intelletto ; ed ancora ci non dee succedere mai in istante, ma per progresso indefi- nito. Avvegnach Dio pu molto bene dare immutabile contentezza, ma pu solo in successione di tempo e variazione di atti concedere tutto l'acquisto possibile del fine e della beatitudine. 72.  Del perch poi, venendo agli ordini parti- colari delle cose, l'ascendere nella scala perfettiva dell'essere cominci da un grado pi tosto che da un altro sembra non potersi dare definizione e ragione assoluta ; e del pari sembra ignorarsi nel generale da che punto sia necessit o convenienza che l'essere incominci il suo movimento dal nulla. Gli  certo, nientedimeno, che a noi rappresentasi come adatto e conformissimo alla sapienza divina l'ordinare l'universo per modo, che quale fu creato da prima basti ad adem- piere tutti i fini della bont increata e infinita, mo- vendosi perpetuamente con le forze e leggi sue proprie- 724 LIBRO QUINTO. 73.  E tale portento pare aggrandirsi al nostro giudicio quanto il finito comincia pi basso e piglia inizio dair ultima attenuazione deir essere. D' altro lato, questo principiare dal minimo per ascendere verso il massimo, il quale si mostra sempre pi alto e mai non sembra fermarsi, d luogo all' attuazione del mag- gior numero dei possibili, giusta le spiegazioni ed i limiti espressi da noi in parecchie parti di questi Libri. 74.  Conchiuderemo osservando che coloro i quali movono le prefate istanze contro il provvedere divino par non s'avveggano di darsi spietatamente della scure in sui piedi. Conciossiach se al finito  necessit evi* dente ed intrinseca il procedere dal meno al pi, dallo slegato al congiunto, dal semplice al composto, da tali mezzi a tali altri e cos prosegui, dimandasi agli He* geliani e a qual s'  scuola di panteisti in Germania e altrove, perch la natura e i mondi non sono in sin da principio tutto quello che anno in potenza e in ar- bitrio di essere, visto ch'ei sono esso medesimo T As- soluto, il quale  uno e tutto compiutamente. 1..X. .. ., 75  Iq dunque li consiglierei di starsene cheti e di non troppo voler trionfare del posto che s'nno usurpato, e intendo di queir Olimpo nebbioso e postic- cio dove collocarono il loro Assoluto simile a Giano trionfante con due capi e un sol busto, e il quale da una faccia rappresenta il finito, dall' altra V infinito. Cotalch, quando bisogna parlare delle cose eterne e discorrere dialetticamente delle infallibili atiaribuzioni dell' ente primo, essi al modo di monna Tessa dei Lo- teringhi girano il collo del grande idolo e il mo- strano dalla parte che significa V infinito. Ma se ta- luno chiede ragione della caducit delle cose e come possono stare nell' Assoluto, rispondono, dato prima una nova rivolta all' idolo bicipite, figliuol mio, non DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 725 vedi l quella faccia che rappresenta illinito ? Neces- sit vuole che quel che comincia eziandio abbia ter- mine. E in fondo quel che comincia  parvenza e fe- nomeno; e noi ci lagniamo a torto delle nostre miserie; e quando si pensi che siamo fenomeni fugacissimi e simiglianti a quelle spume che fervono un sol mo- mento sulla gran distesa dell' oceano, del sicuro senti- remo assai pi l^gieri le afl^ioni, il dolore, le avver- sit, le ingiustizie, le malatte e la morte medesima. 76.  Io non so quanto si fatta maniera di con- solazione torni gradita agli uomini nel generale e pi particolarmente agli sfortunati. Giudico per altro es- sere stata buona ventura che non cadesse in pensiero a Boezio nella torre di Pavia n a Socrate nelle pri- gioni d'Atene. Ma lasciando ci stare, mi sembra che un altro argomento per mantenere in modesto silen- zio ogni sorta di panteisti dovrebbe uscire da questa considerazione, che il loro Assoluto come non  punto adorabile, cosi da alcuno non  invidiato, perch man- cagli la forma vera del bene, che  l'infinito conten- tamento o la perfetta beatitudine che tu la chiami. 77.  E poco vale ch'egli diventi ogni cosa e pro- gredisca nella coscienza di s medesimo. Varrebbegli molto meglio non si conoscere, che sapere a poco per volta che mai non sar beato. Conciossiach il bene vero  supremo  individuo e incomunicabile e vuole per sua compagnia tutte le doti della persona spirituale ; che se questa e quelle sopprimi o dividi e sperdi per l'universo, la beatitudine  spenta. E se, per contra, le unifichi e separi sostanzialmente dal mondo,  salvo il divino, ma il naturale non fa pi uno e medesimo con esso lui. Credo fermamente che da questi rafi non si ^ scampa: o Dio non  beato, o la natura non  Dio. ^ 726 LIBRO QUINTO. CAPO SECONDO. TEORICA DEL PROGRESSO. Aforismo I. 78.  Reputiamo dopo tutto ci di dovere per una volta ancora fermar V occhio dell' animo sulla defini- zione data per noi della vita e conoscere che neir ente morale e fornito di organizzazione corporea quella de- .finizione comincia ad acquistare l' altezza e pienezza .del proprio significato. Conciossiach nell' ente morale  spiegamento e perfezionamento di vero individuo, e il bene a cui mira con V intelletto e col desiderio  il bene assoluto e d' ogni cosa minore non  soddisfatto. Perci appunto l' organizzazione corporllie nella vita, vegetativa  tutto l'essere vivente e nell'animale bruto  mezzo commisurato ed efficacissimo al fine, invece neir ente morale e in ordine al bene assoluto essa opera occasionalmente e al fine  sproporzionatissima. 79.  Se non che, allato a questo s fatto strumento r ente morale ne trova ed acquista parecchi altri di pi nobil natura secondo che verr mostrato fra breve e s'indic per le generali nel libro anteriore. 80.  Di tal maniera nell' ente morale e in quel- r abito di vita che piglia pi propriamente nome di razionale, deesi avverare eziandio quell' ultimo inciso della nostra definizione: mediante un acconcio orga- nismo. AF0RIS3I0 II. 81.  Oltrech, la definizione, com'  assunta in uni- versale e in modo assoluto, deesi parimente avverare nel- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 727 r ente morale in guisa universale e assoluta. Dapoich, quando accadesse altramente, la vita non sarebbe in atto perpetuo, ne consisterebbe neir attivit continua e progressiva dello spiegarsi e perfezionarsi, n vi si scorgerebbe attinenza certa e sostanziale col fine vero, ma tutte le sue condizioni riescirebbono accidentali e caduche e darebbono della realit della cosa nulla meglio che un cenno ed un' apparenza. Quindi o la vita razionale mentirebbe all' appellazione propria o si converria cercare altro genere di enti e altra indole di vita e di attivit superiore e capace di ragguagliarsi con la nostra definizione. 82.  Qualora dunque sia certo (e noi l' abbiam dimostrato) che l' universo ritoma a Dio e per riceve negli ordini suoi superiori tanta partecipazione del bene quanta ne pu contenere, e cio indefinita ed interminabile, dee sussistere una forma e una replica- zione di essere in cui tutto questo si sustanzii ed uni- fichi. La qual cosa da ultimo vuol significare, che negli ordini effettualmente finali della creazione debbo es- stere a diversi gradi e sotto condizioni ed aspetti ezian- dio varatissimi la facolt e l' atto del progredire per- petuamente nella vita nell' attivit nella perfezione e nel bene, tutte espressioni che si convertono e nell' ul- timo fondo loro si riducono ad un medesimo. 83.  A noi, pertanto, conviene, volendo compiere il discorso intorno la vita ed il fine nell' universo, provare innanzi in modo apodittico la teorica del Pro- gresso. 84.  Sia qui detto per incidente che quando r uomo fosse escluso dagli ordini finali dell' universo, 728 LIBRO QUINTO. egli diverrebbe 1' ente fra tutti il pi mostruoso ; non solo perch' egli sembra su questo globo segno e meta delle opere del mondo meccanico e chimico e dell'in- tero mondo organato; ma pi assai perch conoscendo egli il fine assoluto e aspirandovi sempre e conoscendo altres la legge e le norme che vi conducono e studian- dosi di seguitarle, nondimeno nel fatto vivrebbe sem- pre ingannato del fine ; e quella legge medesima e quelle , norme sacre ed incancellabili gli mentirebbero ; il che in sostanza vuol dire che gli mentirebbe la ragione e la verit. 85.  Poc'anzi poi pronunziavasi che all'ente mo- rale (e r uomo  del novero certamente) bisognano di  mano in mano organi molto migliori che i corporali , ond'egli  fasciato. E notammo per addietro che l' uomo ^pur nella vita presente si munisce d' altre sorte di or- , gani spirituali e di superior natura, come l' inflettere ^opra s stesso e armarsi della dialettica. Similmente, egli provvedesi di dogmi morali e gli ordina e dispone per entro una sintesi bene appropriata alla scienza e alla pratica; e s fatto manuale, o saputo a mente o dettato in carta,  organo vero ed assiduo delle ope- razioni dell' anima. 86.  Ma qui s'aggiunge al presente che l'ordine tesso morale e l' espressione di lui fedelissima che  la legge suprema onde il bene  dispensato universal- / mente e della quale la coscienza fa testimonio continuo, servono all' uomo di organo sopraeccellente ed anzi il migliore ed il pi attuoso, in quanto serba efficacia agli altri e li coordina tutti in verso del fine. Per fermo, noi dimostrammo in qualche altro dettato, che l' uomo non  razionale e morale in modo compiuto, salvo che assi- milando i principj dell' etica e trasmutando la volont propria nella volont della legge di tal maniera che DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 729 questa diventi atto e deliberazione spontanea del suo /  spirito e potest informativa della sua vita ; le quali 1 tutte espressioni riescono a dire che assimilando Tuomo la legge morale viene a farla strumento continuo alla perfezione propria ed all' asseguimento del fine. E si  veggono nella natura di tale strumento le due condi-- zioni ottime che Aristotele desidera nell'operazione di vita beata, e sono eh' ella si compia al possibile dentro allo spirito siccome quella di Dio, e non dipenda dai beni estemi ; e qualora eziandio miri alle cose esterne, vi usi un arbitrio e un'autorit architettonica e quindi per l'atto del pensiero si adempia ogni cosa. 87.  Certo  che la perfezione morale e l'efficacia ^ sua propria ed ineluttabile si compiono dentro 1' animo ed anno sostanza nella purezza ed intensit del volere. . . L' attuazione esteriore seguita necessariamente ; e nella somma generalit dei casi e nella massima lunghezza del tempo vince ogni forza contraria; e mentre simile attuazione proviene in diritta via dall' intima essenza dell' ordine della creazione, la inefficacia invece della volont perfetta morale e il non adempimento del- l' ordine e della legge che lo significa avviene parzial- , mente e per accidenza. 88.  Oltredich si metta in considerazione che r uomo sopra la terra praticando nelle cose esteriori la legge del bene, non a il piii delle volte arbitrio di  al senso profondo della infermit e caducit nostra.  Perocch quello che mostrasi universale ed assiduo e"^ intrinsecato sostanzialmente col genere umano  un fatto essenziale e costitutivo del nostro spirito, e le mani , stesse della natura ve lo inseriva ed alimentava; il che , mosse a dire, s' io mal non ricordo, i medesimi Aristo- telici che niun desiderio naturale pu essere indarno, e ' intendesi di quella fatta desiderj che non s' informa di > condizioni speciali e individue, ma in ciascuno  simile, ^ in ciascuno  perenne; e se il combatti, resiste e ri- ' sorge; se il recidi dalle radici, rigermoglia nondimeno  e ribarba ancor pi tenace. 138.  Ondech il discorso qui pure giunge a quel- r ultimo termine in cui lo scettico peraeverante non dubita di affermare che la natura ci m^irt^^ c'in- ganna. Mentre la filosofia che perci appunto noi chia- mammo naturale o del senso comune raccoglie invece l'estreme prove e dimostrazioni in questo pronunziato: la natura n pu ingannare n pu mentire. Oltrech 750 LIBRO QUINTO.  facile ritorcere V argomento e cogliere in contraddi- zione lo scettico, il qual pretende che la natura e' il- lude in certi sentimenti e convincimenti in quel tempo stesso eh' egli usa a ci provare della facolt discor- siva fornitaci dalla natura come tutte le altre. Afobismo ni. 139.  Ma perch la teorica del progresso venga ricevuta dall' alta scienza speculativa  mestieri che la si provveda d' una dimostrazione puranche speculativa e propriamente a priori qual fu la prima significata nel secondo aforismo. Ne di piii si dee chiedere se la dimostrazione non difetta da nessun lato ; che questo vantaggio portano seco le prove razionali di riuscire difficili ad esser trovate e compite ma di bastare pie* namente a s stesse e reggere anzi con autorit e vi- gorezza mai sempre uguale ogni serie di deduzioni e ragionamenti che ne dipendono. 140.  Salvoch la prefata dimostrazione esce pi direttamente dal concetto della causa e dell'infinito; e giover quindi cavarne altra non meno assoluta dal concetto opposto del finito e del causato, e proceder tutta con le nozioni pi comuni ed irreprobabili. Ora, la dimostrazione  si fatta. 141.  L' universo , certamente, creato ad un fine; e le mutazioni ed operazioni che v' intervengono, viste nel lor tutto insieme e quali che sieno le specie loro, debbono essere domandate un, moto rivolto al fine. 142.  Ci posto, se 1' universo non cesser mai di operare e mutare, forza  di concludere che l' universo come opera e muta perpetuamente, per si muove ezian- dio perpetuamente in verso del fine. 143.  Ma ci esige di piena necessit che il fine DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 751 deir universo riesca sempre conseguibile e inesauribile sempre. 144.  Quando il fine fosse tutto conseguito, pi non vi sarebbe moto al fine, e V universo si fermerebbe inoperante e immutabile. 145.  Ma per lo contrario, quando il fine non fosse di mano in mano e parzialmente conseguito, il moto del pari non sarebbe pi moto al fine; sarebbe mu- tare e operare ma senza fine.  il simile  da dirsi ne pi n meno se il fine intero fosse raggiunto ad un solo tratto. Perocch il moto anteriore che stato non fosse mezzo e preparazione sarebbe corso fuori del fine; come ugualmente avverrebbe fuori del fine qualunque moto e mutazione posteriore. 146.  Adunque il perpetuo moto al fine non pu sussistere nell' universo che per via d' un conseguimento successivo e parziale del fine medesimo e rimanendo di l da ciascuno di essi risultamenti un pi largo e nobile fine da conseguire. 147.  Alle prove razionali abbisognano forzata- mente i vocaboli astratti e in questi  cosa agevole il trasandare ed equivocare. Di tal modo potrebbe taluno uscirsene a dire che il movimento al fine debb' esser quello onde il fine  sempre pi avvicinato ; e invece nel caso nostro il movimento essendo perpe- tuo e interminabile domanda uno spazio altres e una distanza interminabile; quindi il movimento a rigor di termini sarebbe sempre d' una maniera distante dal fine e per sarebbe senza fine. 148.  Si scioglie 1' equivocazione avvertendo che in fatto il moto dell' universo  pur sempre ad uguale 752 LIBRO QUINTO. distanza dal bene assoluto, in quanto questo  infinito ed inesauribile 149.  Il che peraltro non vieta che i fini parziali 0 le sempre maggiori partecipazioni del bene assoluto non sieno l' una dopo l' altra accostabili e per V una meno dell'altra distante. Aforismo IV. 150.  Potrebbesi obbiettare, giusta l' opinione degli antichi, e massime di Aristotele, che il moto continuo dell' universo tende al fine di conservarsi e quindi cotal moto non essere propriamente rivolto al fine ma per cagione del fine ; e per questo raccogliersi tutto nella perpetua conservazione di esso universo, che non  pie- ciola bisogna, n da vedersi mai consumata. 151.  Di tal guisa, dicono, ragionava Aristotele e con esso l' antichit quasi intera; i testi chiari e pre- cisi non conosco e non trovo citati. 152.  Ma prima conviene redarguire dicendo che se il moto dell' universo volgesi tutto e semgre alla conservazione dell' universo medesimo, v'  dunque una parte di questo che incessantemente lo combatte e minaccia di distruzione; altramente nessun obbietto avrebbe il suo moto. N la forza che lo minaccia pu essere aliena e scissa da lui, che universo pi non sa- rebbe. Neppure pu essere la forza creatrice assoluta la quale  infinita e nessun riparo vi avrebbe il mondo. Impertanto  da ripetere che se questo s move perpetuamente alla conservazione propria, una sua parte lo minaccia e combatte del pari perpetua- mente. Cotesta parte adunque opera e muta senza fine, 0 pi esatto parlando,  contraria al fine. Non si  quindi licenza di dire che l' intero universo  una ragione sola che lo governa e lo move. DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 75B 153.  In secondo luogo si badi che qui  mutata sostanzialmente la nozione di fine in quanto esso  guar- dato nelle realit e se ne cerca V attuazione. Attesoch il fine praticamente  cosa certo asseguibile, ma non asseguita. E per fermo, stando alla significazione co-  munale ed applicativa del vocabolo, fine domandasi ^ ci che manca e si procura di possedere. Quindi fuor della mente esso  il termine attuabile dell'azione e non  il principio n il mezzo; ed appena attuato,  possedimento e non  pi fine; e insomma egli  qualcosa che sempre rimane futura in verso le cause e le azioni che lo precedono.  quando prosegue ad essere fine eziandio dallato al possedimento, si fa ma- nifesto che al possedimento bisogna conservazione e durevolezza; il che nei casi particolari avviene spes- sissimo per la ragione degli opposti e per quel cu- mulo di forze scorrette e sinistre onde tutte le esi- stenze non semplici anno pericolo di consumazione e mina. 154,  Ma r universo  inconsumabile e inaltera- bile ne' suoi elementi. E in risguardo dei composti, esso nel generale non pu costruirne uno che altro non ne disfaccia, perch qui aggiunge quel che l toglie, qui aduna e l disperde; in un luogo genera in un altre fermenta, in un terzo imputridisce ed invermina ed in un quarto con forse la stessa materia torna ad in- generare ; in tutte le quali opere ogni cosa avviene per leggi fatali e forze determinate ed intrinseche e nulla dal di fuori non sopraggiunge a mutare e disor- dinare d' un iota quello che vi si fa per la natura certa definita e invariabile di tutti gli enti creati. Come dunque per la creazione tuttaquanta conservarsi vuol dire esistere siccome esiste ed operare quello che opera ; che le tornerebbe ripugnante e impossibile esistere in 1Iaiam.  li. 48 A 754 LIBRO QUINTO, altro modo e con altra operazione; per d, se tale  il fine dell' universo, ognuno s' avvede che  mera e vana apparenza o parlando pi preciso  falsa appo- sizione del nome. Stantech o non vi esiste fine veruno od  sempre conseguito in ogni dove e per ogni cosa, il che, rammentandosi i concetti di gi espressi, torna a dire che non v'  fine. D' altro lato, giusta la mente di Aristotele, il fine e il bene esattamente si convertono; ma pel con- cetto attrbuitogli circa al fine delU universo questo  da lui privato d' ogni aspirazione attiva al bene asso- luto, dapoich T opera del conservare significa uno forzo perenne di non perdere il bene relativo che si  e disperando del meglio rimanersi contento di non cadere nel peggio. f 155.  Concludiamo che in far sinonima la conser- ^ vazione al fine si usa della nozione di questo, tal quale esce dalla notizia dei fini relativi caduchi ed acciden- tali degli uomini e si applica inopportunamente al tutto della creazione. Ma chi toglie all' universo l'aspi- rare attivamente e fruttuosamente al bene vero e so- stanziale che  bene assoluto, abolisce d'un tratto l'or- dine intero degli enti morali e leva la finalit dal mondo levandone insieme 1' azione e l' influsso della potenza e bont infinita. Necessario  dunque il moto finale delle cose; e posto un moto s fatto, egli non pu essere differente da quello che abbiamo descrtto pili sopra. 156.  L volentieri da riconoscere che in tutte le scuole del medio evo corse con autorit di assioma questo pronunziato, essere in ogni cosa certa virt di DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 755 preservazione e tutte resistere con pi o meno di ener- gia al proprio annicbilamento.  se intendevano de'corpi semplici, confusero del sicuro con V istinto .conserva- tivo la impossibilit metafisica di menarli al niente; imperocch si domanda per annullarli un infinito di potenza e quella medesima per appunto che li condu- ceva dal niente all'essere. 157.  Ma per rispetto ai composti (e il mondo tutto materiale resulta di composti) la virt {Hreserva- trice della natura inoi^nica  sinonima spesse volte della fonsa elastica e della forza di coesione. Salvo- che d' altra parte le affinit elettive sono il contrario affatto dell' accennata preservazione; e la pirite, per via d'esempio, ama s poco la propria esistenza che risol- vendosi per calore insino all' ultimo atomo, lo zolfo abbandona il ferro od il rame e compone col mercurio un essere nuovo che piglia nome di cinabro ; e la chimica tutta quanta, pu dirsi,  costituita di tali spontanee risoluzioni e nuovi composti ; ne il fuoco potrebbe nulla contro la presunta energia di conservazione qualora nei corpi che ardono non fosse una maggiore energia e un pi spiccato impeto di mescolarsi con Tossigene. 158.  Vero  nondimeno che nella natura vivente ed organica appariscono gli animali forniti assai volte d'istinti maravigliosi mediante i quali fuggono essi quel che loro nuocerebbe e dispongono s medesimi e adattano con artificio non insegnato da alcuno al mondo ambiente che abitano. E perch l'uomo, se- condoch fu notato in altra occasione, assomiglia tutte le cose volentieri a s stesso, di tal guisa volle in ogni parte della natura riconoscere l'istinto della conser- vazione, come volle ravvisarvi una specie di vita e di anima e chiam simpatia l' attrarre delle calamite e vegetazione le miniere dei metalli. 756 LIBRO QUINTO. Aforismo V. 159.  Dicemmo appostatamente di questa dimo- strazione a priori da noi esibita del progresso inter- minabile che usciva per via immediata e propria dal concetto del finito e delle esistenze create come T altra superiore, di cui parla il secondo aforismo, emanava dal concetto contrapposto dell' infinito. Gonciossiach la nozione del fine varia estremamente nei due concetti, e chi non vi bada incorre in non pochi abbagli. 160.  Laonde qui si ripete che dalla parte delle cose create e massime degli enti morali il fine oltre essere un intendimento  pure un principio fattivo e un termine successivo e reale di moto; e ben fu no- tato che per ci appunto egli in quanto  propria- mente fine attuabile,  V essere suo in futuro e si va stendendo nel tempo e cessa e rinasce, per via di dire, assai volte quando trattasi di intento parziale, e innumerevoli volte, quando trattasi del fine assolu- to, e cio della partecipazione del bene sommo. Le quali espressioni, accorgesi ognuno che rispondono a capello alla nostra sentenza che V universo debbesi movere a un fine sempre conseguito e sempre ine- sausto. 161.  Invece, nella divinit mai il fine non s'in- futura, ma  tutto presente ed in atto; e simile at- tuazione ad extra risponde preciso a quel certo ordine di causalit eterna e ideale che ogni lingua suol doman- dare la nozione del fine; e pure nell'intelletto umano tal nozione consiste ad apprendere una certa specie di attinenza causale i cui termini esser debbono necessa- riamente pi d' uno e di due : e vale a dire che fra il nesso ordinario e immediato della cagione e del- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 757 r effetto nterponesi una cagione mezzana, e ci non a caso ma per alcuna mentalit e per un volere in- telligente. La qual cagione poi intermedia pu es- sere semplice quanto composta e dividersi e ripartirsi in molti atti ed agenti annodati e subordinati. E y'k tale divario notabilissimo tra V idea del fine e Y ef- fettuazione sua al di fuori della mente che in questa r anteriorit logica spetta a forza al concetto del fine ; laddove nel mondo reale il fine  posteriore ad ogni altra cosa. Col lume e la scorta di simili distinzioni verranno scansate molte dubbiezze e non pochi sofismi.^ A. 162.  Mancando agli antichi questo concetto ve- rissimo e fecondissimo del progredire indefinito del- l' universo, ei non dovettero accogliere in mente un concetto limpido e da ogni parte compiuto della fina- lit. E forse  da convertere la proposizione e giudi- care che la imperfetta nozione del fine imped loro di ascendere alla idea principe del generale progresso. 163.  Comunque ci sia, scorgesi in Aristotele stesso e nella scuola sua certa fluttuazione di pen- siero intomo al proposito. In un luogo della metafi- sica afferma che il fine  nelle cose le quali operano da natura o dalla mente, con che distingue preciso nel fine il principio speculativo e il principio fattivo. Del pari, scrve pm volte, la natura non far nulla imperfettamente ed inutilmente e il fine convertirsi col bene ; e nella Fisica che il fine non  V ultimo qualunque sia, ma l' ultimo eh' eziandio  l' ottimo ; e 1 Vedi Cosmologia, lib. I, cap. Il, % V. 758 LIBRO QUINTO. nella Politica che la ragione e la mente sono fine della natura; e nell' undecimo della Metafisica parla di Dio, purissimo atto e in verso di cui aspira il mondo e tutte le cose ; per le quali allegazioni parrebbe Ari- stotele fondare il dogma della inesauribile partecipa- zione del bene, e le cose e la natura essere a ci preordinate. 164.  Ma d' altro canto egli assevera troppe volte nella Fisica e altrove che il fine continuo e generale della natura  la perfezione della forma, onde la scuola sua ebbe a dire finis et forma in naturalibus idem habet; ed anzi nel primo della Politica Aristotele giunge a dire che la natura stessa non  altro che fine. E ci si prova^ perch si afferma comunalmente ciascuna cosa avere la sua natura quando la genera- zione di quella possiede la sua perfezione e il suo fine. Nei quali concetti si addentr e persever maggior- mente il Filosofo per ragioni grammaticali, avendo tutte le voci greche d'intorno al fine un significato troppo simile al perficere dei latini e che noi tradu- remmo col vocabolo finimento, e nelle arti domandiamo talvolta finezza o finitezza. Di tal guisa come aito di- vent sinonimo di forma, questa $, vicenda divent sinonimo di fine e in generale il fine volle significare la perfezione dell' atto; e quindi 1' atto compiuto che altro potea fare e volere se non conservarsi? 165.  Egli  manifesto, per mio sentire, che gli antichi e segnatamente Aristotele non distinsero quanto bisogna l'essere fatale delle cose dalla intenzione che le guida. Nel vero, tu cercherai mille anni dentro di esse quello che sia il fine e non potrai nulla scoprire di differente dall' indole loro e dagli atti che ne con- seguono; e similmente gli effetti proprj e gli estemi saranno, per via di dire, una espansione altrettanto DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 759 fatale di que' medesimi atti; quindi avvertimmo al- trove come ai panteisti e materialisti ^rni gradito sopramodo il ripetere che gli uccelli non furono fatti con Tali affin di volare e i pesci con ie branchie e le pinne afSn di nuotare, ma in quel cambio che i pesci nuotano perch anno branchie e pinne e cosi gli uccelli volano perch forniti di ale. 166.  Sul che rispondemmo allora, e qui repli- chiamo, essere vero e saldo l'uno e l'altro giudicio: il primo a rispetto della mentalit direttrice, l' altro a rispetto della natura degli esseri. La qual cosa non  negata da alcuno trattandosi degli oggetti dell'arte; essendo verissimo, per via d' esempio, che i congegni interni dell' orivolo sono costruiti e connessi al fine di mostrar le ore, e queste sono mostrate e indicate per virt della molla intema che sforza i pezzi addentel- lati e ogni rimanente. 167.  Allora, dunque, parl esatto Aristotele, quando il fine ripose nella mente e nella ragione, perch l' es- senza sua prima e verace  nell'intelletto. E simil- mente parl profondo il Filosofo, quando nell'ordine delle realit vide il concetto del fine attuarsi nel bene supremo. Restava solo di avvisare che l' ordine intero delle realit rispondente all' ordine intero dei fini non poteva ad altro riuscire che ad un' ascendente parte- cipazione del bene, e questo dovendo essere attivo, e mediante l' attivit conseguito, si scorgeva ad un tratto che neir ordine degli enti morali il fine dopo essere stato una forma della ragione diventava un sommo principio fattivo e il termine sempre raggiunto e sem pre innovato di tutte le opere. Ogni rimanente nella natura e nell' uomo pigliava ragione di mezzo e par- tecipava al bene ed al fine in quanto il mezzo  ap- parecchio e coordinazione in verso di quelli. y / 760 LIBRO QUINTO. JS. 168.  Poich viene a taglio, non ommgtto di ri- cordare che nella teorica nostra la necessit del pro- gresso e dei gradi e trasmutamenti suoi principali piglia radice razionale in pochi filosofemi nella On- tologia dimostrati e i quali nel corso di questa co- smologia trovano le applicazioni loro e danno prova particolare e apodittica del progresso medesimo. Giudi- chino i lettori se possa e debba affermarsi altrettanto della teorica hegeliana; o se invece ad ogni termine nuovo che vi apparisce non torni bisogno di domandar la ragione e il perch. 169.  L' essere va diventando e perfezionandosi via via. Ma saldo ; per dove si passa e a che riuscia- mo? perch e come questa mutazione e poi V altra e l'altra? Attesoch non le precede un infinito di bont e potenza, ma il nulla assoluto che  certo assai poca cosa. Una necessit arcana, rispondono i pi leali, agita quello essere continuamente e il tragge a mutarsi in tutte le cose. Sta bene; ma non  logica necessit la sua, n metafisica n sperimentale e molto meno morale;  mera necessit del supposto hegeliano. L'ente si dee movere; e quando non volesse scusan- dosi di non potere, dacch  dell' essere V apparenza e il nome soltanto, l'uovo di Brama perisce e i mondi sono distrutti prima di nascei*e. Oltrech, nel vuoto immenso ed interminabile esisterebbe solo l'as- surdo dell' essere astratto eternamente uguagliato al nulla. 170.  Concedesi che l' uguaglianza  sciancata e falsa appunto perch assurda ; ed  vero eziandio che r essere diventando non la raddrizza, e che al diven- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 761 tare medesimo occorre la ricomparsa della paradossa equazione. 171.  Ma lasciando ci stare e accostandoci al tema di cui qui si parla, diciamo che non soltanto il progredire perpetuo dell'ente hegeliano  cosa fitti- zia e suppositiva, ma che dee movei*si forzatamente alla cieca e fuor d' ogni fine. Per lo certo, il fine esige anzi tutto una mente e una razionale intenzione. Occorre perci che l' idea hegeliana mirando sopra tutto a conoscere se medesima e verso tal meta con- ducendo ogni suo diventare, occorre, io replico, che gi ella si pensi e conosca in alcuna guisa ; ed allora tutti quei ponti delle astratte categorie per attingere al* r ultimo r idea dell' idea o vogliam dire l' idea di se stessa perch se li fabbrica?  similmente, quegli altri ponti della materia, dell'organismo e del senso, perch ella travagliasi a costruirli e valicarli quando le torna impossibile di ci fare se non  concetto del termine e vale a dire se gi non conosce di essere identica con la materia l' organismo ed il senso ? Dunque o l'idea hegeliana opera a caso e alla cieca, ovvero insino dal primo passo  notizia di s e della propria medesimezza col tutto e va cercando la sua coscienza come colui che chiedeva affannato ad ognuno della poUedra che cavalcava. ITI.  A questa seconda dimostrazione assoluta . ed irrepugnabile che noi esibiamo del progresso per- 'ELL' UNIVERSO. 837 374.  AsMCurate alla civilt dei moderni le attri- buzioni deir essere libera, attiva, istruita, spontanea e morale, poco avremo a faticare per riconoscere in essa tutte le doti che piii volte toccammo dell'ottima co- munanza degli uomini. Che nel vero ne rimangono due sole da nominare e specificare e cio di eccellere nello stato e neir arte. Ora quale stato  migliore secondo le conclusioni ultime e pi sostanziose della scienza? Quello per appunto che meglio tutela ogni maniera di libert e lascia in tutte cose il pi aperto campo allo svolgimento ordinato della spontaneit umana. 375.  L' arte poi nelle sue fatture ed applicazioni meccaniche non pu far difetto laddove  un buon reggimento civile; dappoich le arti meccaniche sono r organo materiale continuo dello stato e il mezzo ne- cessario ed unico ond' egli adatta la natura al proprio bisogno e fornisce ogni sostentamento e ogni como- dezza ai privati ; senza le quali cose (e intendiamo la copia, la facilit, l' incremento e la perfezione di tutte) troppa gran parte della vita razionale e del progresso civile  impedita. D' altra parte la libert non vuole schiavi n servi adetti al lavoro, e la scienza dimostra patentemente che i tributi e le spoglie dei popoli con- quistati danno ricchezza fugace e corrompitrice. Forza  dunque trattare l' arte e affinarla con libere mani e nobile intendimento e cosi pratica il mondo moderno. Afobismo XII. 376.  Giunse, per fermo, a un gran segno la com- pagnia umana quando pot ordinarsi in guisa da non 838 LIBRO QUINTO. impedire in nulla il moto e l'operazione spontanea del proprio essere. Atteso che allora sembra lecito di affermare che non V uomo veramente ma dessa la na- tura si move ed opera nel consorzio civile e nei pri- vati cittadini. 377.  Ma puossi egli dire che la spontaneit umana scampa con certezza da tutti gli errori funesti al buoQ andamento del viver comune, e perci  ancora da que- sto verso rassicurata la miglioranza e la perfezione progressiva di nostra stirpe? 378.  Nel vero, il genere umano incapp per addie- tro in parecchi errori nocevolissimi al perfezionarsi ed al progredire e i quali parvero nascere spontaneamente neir intelletto e animo suo.  troppo credibile, per via d'esempio, che il politeismo greco pieno di miti cosi scandalosi come eleganti e inettissimo a confermare e purgare le dottrine morali nascesse di mano in mano dai sensi voluttuosi e dalle scorrette fantasie di quel popolo, appresso il quale non fu mai Casta sacerdotale e nemmanco gerarchia estesa e fortemente connessa e disciplinata. 379.  Vedesi anzi come le vecchie e informi teo- gonie che i Greci traevano forse da fonte Ariano o Samotracio vennero a passo per passo frantese nel loro concetto simbolico e fatte pi materiali via via e pi sensuali ; perch ogni tradizione volgare tenevasi buona, purch graziosa e poetica. Ed oggi  poi con- fermato da ogni banda che nei misteri eleusini e ne* gli altri celebrati sul suolo greco non ascondevasi al- cuna pellegrina e severa uQtizia di Dio e di verun altro dogma. 380.  Non potr, dunque, il genere umano errare di nuovo profondamente pur seguitando la propria spontaneit ? DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 839 Rispondesi che il popolo greco e similmente gli altri dell'antichit sebbene forniti di genio divino per molte imprese e molte invenzioni, pure furono giovani e non potettero dilatare la vista dell' intelletto a quello spazio e a quel tempo che in se contiene la storia intera di nostra progenie. Per contra,  dato alla scienza moderna il far paragone di cento nazioni in cento Provincie diverse apparite e fra congiunture dif- ferentissime di religione, stato, arte e costume. Dal che  nato che 1' uomo possiede ora tale consapevo- lezza e notizia del proprio essere e delle proprie ne- cessit ed istinti che mai la simile. 381.  E credere che la cognizione delle storie, comparate d' ogni tempo e d' ogni nazione non sia per- venuta ancora a cogliere e divisare con buon giudi- ci le tendenze vere, sostanziali ed impermutabili di nostra natura quanto, almeno, al viver comune e alle istituzioni fondamentali, non sembra opinione accetta- bile. Senza parlare della scorta che viene con noi sempre del senso comune e del senso morale al cui lume non si erra a far giudicio degli atti sociali e distinguere quelli che valgono a menarci oltre nella perfezione e quelli che ne distolgono. Il perch oggi gli errori del socialismo, sebbene adombrati da bei colori di carit e fraternit, non possono prevalere in niun modo alla scienza positiva ed alla esperienza lunga e consumatissima che l'uom possiede di s medesimo. 382.  Laonde pare da concludere che la spontaneit umana fortemente guarentita cosi rispetto al pensiero, alla scienza e all' ammaestramento come rispetto alle pratiche tutte quante del viver sociale, se non pu accertar s medesima dal traviare tal fiata in errori parziali e forse anche durevoli, debbo nondimeno aver fede che non potr minare in quelle stravolte opinioni 840 LIBRO QUINTO. COS generali quanto pertinaci onde i sentieri della natura sono affatto smarriti; e quando pure ci acca- desse in un popolo singolo, diventa impossibile che si ripeta il medesimo appo tutte le eulte naziofii in un medesimo corso di et. AroBiSBfo Xm. 383.  Pure il fondamento primo e incrollabile di tutti questi ordini del viver civile quali  procurato- descriverli ad uno per uno che  altro "finalmente se non la stessa natura? Nessun' arte umana varrebbe contro di lei, come ogni tentamento nostro per attiq- gere la perfezione tornerebbe indarno senza di lei. Se dunque ci  lecito di salire al segno di perfetta condi- zione civile; e per discorrere piii esatto, se abbiamo desiderio e forze per avvicinarlo di pi in pi, dee fermarsi anzi tutto che questo  proposito assiduo della natura e che il pieno essere nostro  a ci disposto con disegno maraviglioso. 384.  Del sicuro, qual bene porterebbero seco la libert e spontaneit, se noi non fossimo preordinati a trovare le istituzioni migliori del viver comune e non le avessimo' cominciate per saggezza distnto e come studio in ape di fare il mle molto tempo innanzi che la ragione e V esperimento non ce ne venissero additando il perch e quello che ad esse istituzioni conviene aggiungere e quello che torre? Basterebbe egli forse levar le spine e l' erbe nocive d' intorno al grano che spunta, qualora non fossevi dentro la virt formatrice? 385.  Quanto all' essere l' uomo costituito per la verit e non per 1' errore,  cosa evidente e non bi- sogna spendervi intorno parole. Ma bisogna invece DEL PROGRESSO NELL' UNIVERSO. 841 considerare cbe la fede che noi riponiamo negli incre^ menti della scienza procede dalla persuasione medesima ; essere, vale a dire, tutte le cose addirizzate e commi- surate al fine e il fine consistere nella partecipazione massima del bene assoluto. Ondech ogni progresso in qual sia ramo dello scibile crescer le forze umane per adattar la natura alle nostre occorrenze e cre- scer luce all'intelletto per confermarlo pi sempre nei dogmi del bene morale, nell' esercizio del giusto e neir adorazione del Santo. 386.  Certo  che quando il contrario accadesse e per le ampliazioni della scienza fosse dimostrata la va- nit della religione e l'inutile nostro aspettare i premj immortali e il corso perfettivo della vita razionale as- soluta, il genere umano affranto e deluso ricadrebbe a forza nei calcoli dell' egoismo e da ogni cosa do- manderebbe un frutto transitorio di senso voluttuoso e d' interesse individuale appagato. 387.  Di tal guisa la dimostrazione sperimentale del progredire incessante degli uomini, oltre al chiudersi nei limiti di nostra stirpe su questo nostro pianeta, non pu sollevarsi al certo presagio del progresso avvenire se non presumendo che gl'incrementi della scienza mai non disdiranno i principj di fratellanza moralit e reli- gione che il senso comune professa. Il che vuol signifi- care in sostanza l' uomo essere dalla natura fazionato al progresso civile. Ma tal presunzione  cotanto vera quanto difficile, e vorremmo quasi dire impossibile ad esser provata dal nudo fatto, e chiude anzi, al parer no- stro, un' argomentazione in circolo. Attesoch gran parte della interpretazione dei fatti noi l' attingiamo a quel supposto fondamentale; e dapoi per l'indole interpretata di essi fatti ci alziamo a provare la verit del supporto. 388.  Tornando in quel cambio alla severit delle- 842 LIBRO Ql/INTO. dimostrazioni razionali assolute scorge ognuno che il detto supposto proviene per dialettica necessit dal principio nostro formale che il progresso  legge del- l'universo, perch convertesi con la suprema cagione finale cosi a rispetto della infinita virt creativa, quanto a rispetto dei mondi creati. 389.  Per simile, noi pronunziammo, che la legge morale suprema  divina espressione del bene assoluto comunicato e quindi  sinonimo della gran legge del progresso. Conseguita che gli enti razionali e morali cui si fa precetto di fare il bene sul mondo, e per ci attenersi alle norme dell' etica universale assoluta, in- contrar debbono sulla via loro il perfezionamento progressivo dei singoli e di tutta la specie. Oltrech la legge suprema del bene ancora che possa parzial- mente e accidentalmente rimanersi frustrata, certo dee trionfare in ogni parte dell' universo, nel tempo e nella eternit, fra gli spriti puri e fra gli spiriti materiati dapoich questi eziandio conoscono la finalit e incominciano sulla terra la vita razionale assoluta. ^;^,,..T> Aforismo XIV. 390.  Ma d' altra parte, le cose tutte esaminate negli aforismi anteriori e forse troppo minutamente, si possono adunare e risolvere in questi cinque capi. Primo, che veruna nazione fu bastante a s mede- sima per alzarsi a qualche segno glorioso e durabile di civilt. Secondo, che ninna nazione antica o da s o con r aiuto d' elementi stranieri pervenne al possesso di tutte sei le forme sociali costitutive, che sono la scienza r attivit la libert l' arte lo stato e la moralit. E quando pure vi pervenne, che senza forse Roma antica DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 843 vi giunse al tempo dei Cesari, disconobbe i trovati e le discipline difficilissime onde quelle forme s' accordano insieme e onde Passetto loro scambievole tiene rispon- denza e misura col moto naturale e spontaneo del viver comune. Il perch, mentre in Roma, per via d'esempio, una fede nuova religiosa spuntava, rima- nevano della libert le sole apparenze. Terzo, negar non si possono le decadenze non pure apparenti ma sostanziali sopravvenute al progresso civile di molti popoli e durate assai lunghi secoli e la cessazione delle quali (dove ebbe luogo) fu per im- pulso ed ingerimento straniero. Quarto, le decadenze che menano alla profonda depravazion morale non anno riparazione veruna pos- sibile, salvo quella che dal di fuori pu sopraggiun- gere. Atteso che ogni tentato rimedio interiore si av- volge entro un circolo e chiede che il bene germogli dalle radici stesse del male. Quinto, la nostra civilt ristaurata e risorta per principj e forze esteriori  nondimeno progredita in- sino ad un termine che piglia sicurezza intera per r avvenire. 391.  Appresso tutto ci, la logica stringe la mente a concludere che il risultamento finale e durevole del progredire e perfezionarsi di parecchie nazioni non potendo essere giudicato l'opera di nessuna di esse in particolare ed in separato, debbe venire attribuito a certo organismo occulto di tutte, apprestato da lunga mano e condotto a passo per passo nelle con- dizioni presenti per disegno e lavoro maraviglioso della natura. Cotale stupendo disegno e lavoro abbiamo chia- mato r Unit organica del mondo delle nazioni. 844 LIBRO QUINTO. 392.  Si afferma nell' aforismo che niuna antica nazione pervenne a possedere con suflBciente maturit e con vicendevole accordo e misura le sei forme costi- tutive dell'ottima congregazione umana. Il che, seb- bene qui apparisce piuttosto asserito che dimostrato, non pu mover dubio nessuno in coloro a' quali lo studio della storia  famih'are ed abituale. Intanto non se ne fa al presente maggiore dimostrazione, do- vendo il subbietto medesimo venir toccato ad altra occasione. Afobismo XV. 393.  Neir embrione umano avvisano i fisiologi due pellcole tenuissime distinte Tuna dall'altra e producenti ciascuna da s la esplicazione propria ; per modo che in processo di tempo n' escono distinti del pari, sebbene contigui, due sistemi differentissimi il vascolare e il nervoso. Per simile, notano quei fisiologi che in sulle prime l'encefalo  distinto anzi separato in pi divisioni e ciascuna parte sembra crescere e contornarsi indipendente dall' altra ; poi s il cervello e s la midolla spinale e la filza di ganglj si toccano ed uniscono in un sol tutto. Non diversamente avviene dell' ossatura e pi in generale di tutti i legami ed' intrecci che avanti fanno nel feto certo separamento, quindi una complessione sola e un solo sistema con- nesso per ogni verso ed unificato. 394.  Con r artificio medesimo  proceduta la na- tura nel suo gran fatto dell'unit organica del mondo delle nazioni. Perocch aprendo le storie antiche noi vi scorgiamo da ogni banda popoli non consapevoli DEL PROOKESSO NELL'UNIVERSO. 845 r uno deir altro.  quando anche sappiano i nomi e gli usi de' loro vicini, ciascuno yvesi separato ; e se non separato affatto e per ogni cosa, i legami che strnge sono piuttosto di guerra e conquista che di unione morale e di fratellanza. 395.  Col tempo, ancora che i commerci crescano e r odio faccia luogo all' amicizia, rado  che le nazioni non proseguano a vivere a norma del proprio inte- resse. Eppure (mirabile a dirsi) coteste parti cosi dis- giunte di quel tutto insieme cui si d la denominazione di genere umano lavorano inconsapevoli ed organiz- zano a poco insieme la loro unit e il comune pro- gresso civile. Ma ci  proprio dell' uomo, ogni cosa cominciare per istinto e inscienza e (^empierla con no- tizia delle cagioni e unire V intelletto e l' animo alla divina mentalit. 396.  Intanto, dai principj assoluti che nella teo- rica del progresso venimmo sponendo si prova imme- diatamente non potere tale unit organatrice delle nazioni provenir mai da un incontro fortunato ed ac- cidentario di potenze sociali sparse e divise fra varie genti e da un'arte peregrina di civilt trasmessa d' uno in altro paese per opera dei tesmofori. 397.  Conciossiach non v'  nulla di pi essen- ziale al genere umano n di pi inerente alla sua vita razionale e morale quanto questa virt forma- tiva dell' ottimo consorzio civile comparsa imperfetta ed insufficiente nei singoli popoli e solo riuscita effi- cace e feconda nella loro totalit e in quella specie di persona morale di cui sono visceri e membri; tanto che, mentre ciascuno possiede la pienezza virtuale d' ogni grado di eccellenza, l'attuazione compiuta e durevole non pu emanare che dal concorso travaglioso e spesso ignoto ed arcano di tutti. 846 LIBRO QUINTO. 398.  N oggi medesimo le nazioni pi eulte si arbitrano di passarsi delP influsso vario e perenne di molte altre ed ognuna sgomenterebbesi della necessit di rimanere fornita delle sole prerogative . e dovizie proprie. 399.  Certo  poi che la essenza della virtii pro- gressiva riconosciuta non nelle parti ma nel lor tutto, come' si fa per appunto della essenza vitale, rende ra- gione agevolmente di se medesima e scioglie le anti- logie fra le quali pareva test intricata. Che se il pro- gresso civile mostrasi tardi nel mondo e a rispetto della durata egli non occupa maggiore spazio che un giorno entro V anno, d' altro lato chi esamina attenta- mente le storie antiche subito s' avvede che l' organiz- zazione complessiva del genere umano mai non ebbe tregua n interruzione e molto manco retrocessione; quando vi s'includa, com' ragionevole, la sequela degli apparecchi ed ogni cosa sia raffrontata ne' suoi rapporti col risultamento finale. 400.  Quindi negli scadimenti stessi dei popoli rav- visansi certe forme di civilt insufficienti e guaste che s' incrisalidano (a cos parlare) per di poi rinascere e rinnovellarsi sotto l'influsso e l'eccitazione dell'orga- namento comune di tutta la stirpe, la quale pro- paga nelle parti pi caduche 1' azione vigorosa di nuovi principj. E similmente se tal popolo e tale altro non pu per s in modo veruno uscire di corruttela riceve dal di fuori o meglio parlando dalla economia vitale del tutto uno spirito di moralit che a passo per passo lo ammenda e risuscita. 401.  Cos il principio progressivo di nostra pro- genie non  in lei (ripetiamo) per accidente, ma per profonda sostanza, n vi opera in modo qualitativo e a tempo, ma essenzialmente e sempre, ancora che gli ef- DEL PBOaRESSO NELL'UNIVERSO. 847 fetti si occultino ne possa riconoscersi in ogni caso qualunque la necessit insieme e la saggezza del- l' operato. CAPO SETTIMO. UNIT ORGANICA DEL MONDO DELLE NAZIONI. Afobismo I. 402.  Cos r esperienza medesima ci  ricondotti ai principj assoluti della nostra cosmologia. Concios- siach togliendo essi di mezzo, niuna conclusione teo- retica e necessaria poteva ritrarsi dal fatto, come nes- suna dottrinale certezza per l'avvenire. Vacillavano similmeirte i criterj sul valore della civilt e sopra le forme ch'ella riveste, sempre diverse e volubili. Da ultimo, levata la scorta dei principj, ogni modo era levato per conciliare le incongruenze di tutte le storie circa il progresso civile. 403.  Risultamento saldo e terminajj vo della ispe- zione dei fatti quanto della speculazione  stato che la vita del genere umano sopra la terra non pu non essere inizio ed avviamento alla vita razionale asso- luta. Quindi  pure visibile partecipazione alla gran legge del progresso; ed aver la natura predisposto ogni cosa infallantemente, sebbene anche fatalmente, perch il progresso vi si manifesti quanto  lecito alla doppia essenza dell' uomo corporea e spirituale e con questa economia mirabile che il progredire di tutta la stirpe aiuti ed accerti quello dei singoli popoli quanto il progredire di ciascuno di essi aiuta ed accerta il moto perfettivo dei singoli cittadini. 848 LIBRO QUINTO. 404.  Ma per intendere razionalmente quello che procede e consegue da tutto ci accade di ricordare parecchie cose di gi chiarite e ordinate.  prima la definizione latissima della vita che fu: spiegamento e peifezionamento dell'individuo in ordine al bene me- diante un acconcio organismo. Gi si conobbe che ap- plicata cotale definizione al genere pi alto e Togliam dire alla vita razionale purissima, ella ragguagliasi alla gran legge del progresso universale e incessabile ; dappoich T individuo il quale si spiega e perfeziona assolutamente vuol significare che non conosce inter- rompimento n termine a cotale suo atto.  posto che l'incremento vero sia quello rivolto al bene altres assoluto, il progredire dell' individuo viene a significa- re la partecipazione di lui operosa e incessabile del- l'infinito del bene. 405.  Si avvert del pari, qua di dietro, che la vita razionale domanda per s una specie superiore di or- gano molto diversa da quella che le fornisce la vivente materia ed anche tutte insieme le forze della natura fisica esterna. Imperocch tutte queste sorte di stru- menti e di mezzi anno a rispetto del bene assoluto certa virt occasionale e non altro. 406.  Per centra, si vide e conobbe eh' essa vita razionale, ancorach posta in relazione diretta col bene infinito, nuUameno  bisogno di organo conve- niente ossia d' un ordine acconcio e proporzionato di mezzi; avvegnach 1' Assoluto, il qual vuole nell' ente morale un supremo esercizio di attivit in quanto il bene  attivissima essenza, non pu eccitare egli stesso queir esercizio con atto speciale; attesoch l' atto crea- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 849 tivo di lui  uno, eterno, immutato ed universale per ogni effetto reale e possibile, e quindi non si dispiega in verun atto particolare in particolar tempo ed og- getto. 407.  Concede, invece, l'operare alle cagioni seconde e porgesi, per maniera di dire, a termine e oggetto per- petuo delle congiunzioni loro, pi alte di mano in mano e penetrative. Ed anche supposto l' atto speciale del- l' assoluta efficienza, gi notammo che sarebbe s vee- mente da rivolgere ogni forza individuale in una sorta non definibile di stupore e senza moto ne coscienza di- stinta e vivace di s. Dacch la vivace e distinta consa- pevolezza  moto ed attivit nostra e non pu stare in- sieme con quello eccelso e repentino soprafFacimento. 408.  Dopo tali premesse, o, a dir meglio, ramme- morazioni, entreremo a speculare (cosa annunciata per addietro ma non eseguita) sulla forma V essenza e la fruttuosit dell' organo proprio della vita dello spirito, ronciossiach in quello  riposto l'ordine intero del mondo finale. N la unit organica del mondo delle nazioni pu essere altro che applicazione e partecipa- zione dell'organismo supremo avvisandola sopratutto nelle ultime sintesi e nel concetto esemplare a cui pro- cura continuamente di approssimarsi. Aforismo II. 409.  A qualunque organismo guardato nel suo rapporto diretto con l'ente che se ne giova non sono concedute che queste tre sorte di proporzione : od egli riesce inferiore a quell' ente o superiore od uguale.  facile riconoscere che 1' organo onde al presente fac- ciamo inchiesta non dee riuscire n inferiore all' ente morale n superiore. Conciossiach, quando gli sia Mahiaiii.  li. 54 850 LIBRO QUINTO. superiore, e vale a dire di pi estesa intelligenza e mo- ralit, come potrebbe assumere qualit ed ufficio di mero strumento passivo? E se per opposto gli sia infe- riore, come potr sovvenirlo ed abilitarlo all'intento sublime di partecipare in diretto modo al bene asso- luto? 410.  Rimane, adunque, la terza supposizione e cio che r organo pareggi di nobilt di natura V ente morale o finale che il domandiamo. Se non che, par- lando per addietro degli organi corporali cui demmo nome di anima vegetativa, fu concluso prontamente centra il supposto ; essendo che 1' uguaglianza elimina anzi tutto la suggezione assoluta, poi la utilit e la efficacia, non intervenendo alcuna mezzana potenza fra il principio spirituale ed il materiale. 411.  Ora torna il proposito di considerare con molta ponderazione se tali due impossibilit si avve- rano neir ordine della vita razionale purissima e il cui oggetto e il cui termine non  il bene relativo ma la infinitudine del bene. A. 412.  Qui pure volendosi procedere non per no- tizie empiriche ma per via scienziale, dobbiamo ritrarre ogni cosa dai principj per addietro determinati ed esenti da controversia. Noi, pertanto, ricorderemo che ogni qualunque ente finito, per ben provveduto che sia di molte e mirabili facolt ed attribuzioni, non  l'arbitrio di condurle con la energia propria a verun atto ed esplicamento ma sempre  fuori di s la causa efficiente e la causa finale, il principio e il termine del proprio operare. 413.  Ma, per contra, noi scorgemmo che l' un DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 851 finito pu essere all' altro promovitore di azioni e di mutazioni, come 1' un finito congiungendosi all' altro possono tutti insieme rimovere i limiti loro e moltipli- care il risultamento al quale anno volta la mira. 414.  Da ultimo avvisammo assai volte essere tuttoci conseguito con la cooperazione del simile, la partecipazione del diverso, la cospirazione dei mezzi e la strumentalit o vogliam dire il macchinismo e r organismo. In questo secondo fu ravvisato il supremo sforzo della finit per dilatare il proprio essere con variarlo insieme ed unificarlo e vedemmo l' organismo riuscire di tanto superiore alle macchine in quanto queste lo presuppongono e solo mediante lui pigliano vero ufficio ed utilit di strumenti esteriori ; senza che, r organo sa ognuno che s' immedesima s fattamente con la sostanza del finito da comparire una espan- sione e modificazione di lei stessa. 415.  Altra cosa poi sono le immense macchine della natura, eosi denominate da noi per similitudine e consistenti in quelle maravigliose concatenazioni e cospirazioni di mezzi onde ella perviene a certi fatti terminativi complessi ed efficacissimi all' ottenimento dei quali ciascuno dei singoli mezzi tornava scarso ed insufficiente. Onde per tal rispetto, la natura tutta- quanta  da venir domandata una serie e vicenda portentosa di macchine. Aforismo iti. 416.  Vogliamo s noti per prima cosa che nella vita animale inferiore 1' organo  natura privativa e non punto comunicabile ; e che sembrando una espan- sione di essere dell' ente al quale amministra e pale- sandosi in ogni atto per via del senso di cui nulla  pi y2 LIBRO QUINTO. subbiettivo, accresce e afforza per ogni parte l' egoismo di esso ente; il che nel mondo del puro spirito e della assoluta finalit non debbe succedere. Iraperoccb il mirabile di quell' ordine sta in ci espressamente ch'egli nel suo tutto insieme costituisce una specie di unit la pili larga e varia e la pi perfetta possibile, tanto che neir universo finito altra maggiore e migliore non se ne incontra. 417.  Il qual concetto di unit bene e conveniente- mente raccolto e delineato ci rivela da ultimo che V or- dine intero degli enti finali e partecipi dell'Assoluto compone un tale organismo in cui ciascun indivduo  mezzo ed  fine scambievolmente; stavvi come ob- bietto e come subbietto, confonde in se l' universale e il particolare, il bene privato e il bene comune, ap- pare centro e periferia e compone una s fatta persona morale che possiede pi vita, maggior connessione e maggiore unit di quello che ciascheduno individuo con s medesimo. N dice altramente la sentenza di Cicerone laddove egli scrisse: nihil est iwm uni tat simile tam par quam omncs inter nosmetipsos sumns. 418.  Veggasi ora come in questo organismo spi- rituale s avverano stupendamente tutte le sorte d'in- cremento alle quali possono pervenire le esistenze finite. Per fermo, la congiunzione e cooperazione del simile quivi  perfetta in quanto non accade per sola neces- sit meccanica e per una rassomighanza parziale, ma gli enti si accostano s per istinto socievole e s per ragione e moralit, e quanto pi sono progrediti nel- r intelletto delle cose e nel desiderio del bene pi si stringono insieme volonterosi e con libero affetto; e la congiunzione si fa con tutte le supreme e nobili parti dell' essere qual  la mente e Y animo, la virt e la simpatia, l' ammirazione e 1' onore ed altre se ve DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 85o ne a ; e poi che in ciascuno ente v'  certo intrinseco e certo estrinseco, il primo si dee stimare assai mag- giormente unito che il secondo. 419.  La partecipazione del diverso  pur quivi grandissima, perocch veramente ciascun individuo partecipa e fruisce di tutte le variet da natura di- stribuite fra essi e per lo manco di tutte quelle che anno indole comunicabile; e la intera congregazione opera con energia similmente varia e molteplice sul diverso delle cose onde  circondata. N potendo dove sono spiriti razionali mancare i divini influssi del vero del buono del giusto del bello e del santo, e questi emanando e piovendo diversamente negl'intel- letti e negli animi, cos ogni congregato partecipa ezian- dio alla intuizione diversa dell' Assoluto che nei sin- goli avviene. 420.  Quanto alla strumentalit separata e cui demmo appellazione peculiare di macchinismo, egli se ne vede una immagine molto perspicua nel nostro mon- do civile nel quale lo sforzo e V acume d' un popolo intero, ed anzi di parecchi insieme,  prodotto opere meccaniche tanto pellegrine e dotte quanto gigante- sche ed  pervenuto a invenzioni e trovati pi presto divini che umani. Attalch, se laddove regna puramente e liberamente la vita razionale assoluta esiste un mondo ambiente ed una natura da possedere e piegare al pro- ^tto comune, certo col il macchinismo (quando sia lecito serbargli tal nome) dee riuscire miracoloso. Afoiusxio IV. 421.  Infine, trascorrendo a paragonare cotesto organismo di tutto l'ordine degli enti morali con quello particolare de^pi perfetti animali sopra la 854 LIBRO QUINTO. terra, diviene manifesto che il primo guardato ne' gradi suoi superiori in luogo di perdere alcuna efficacia ed attribuzione a ragguaglio dell' altro, si avvantaggia, invece supremamente. Senza dire poi delle attribuzioni oltre numero eh' egli va conquistando e le quali ri- mangono ignote ed inaccessibili all' organismo animale del nostro mondo. 422.  Nel vero, all' organismo spirituale di cui di- scorriamo non manca la forma dell'unit sostanziale e del centro assoluto onde sono forniti i sistemi pi elaborati di monadi nel regno animale. Attesoch quante volte gli enti razionali si sottopongono all' autorit di uno di loro, quest' uno avvera fra essi l' unit sostan- ziale e centrale prenominata. Ma la unit superiore ed effettualmente divina che quivi s' incontra e l' altro organismo ignora,  quella dei pensieri e delle volont, la quale riesce tanto pi salda e compatta, a cos par- lare, e piglia carattere di assoluta in quanto si origina dalla unit delPobbietto infinito in cui si appuntano e in modo perfetto si unificano esse volont ed essi pensieri. 423.  Da ci poi emana quest' altra gran maravi- glia che nei gradi superiori l' azione organica dell' or- dine intero finale sembra un moto ed una espansione dell'essere individuo di ciascheduno. Perocch quivi l'azione organica segue realmente la deliberazione e il volere individuale; e perch questo  conformato alla mente ed all' animo di tutto V ordine, perci l'organismo opera siccome un riverberamento conti- nuo delle azioni immediate e spontanee dei componenti dell' ordine stesso. Non accade diversamente della luce riflessa fra molti specchi regolatamente disposti; che tu non sai bene se ella  data o ricevuta e dove ter- mina e onde si move. Ma intanto la luce  una e ere- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 855 sce d'intensit e splendore, quanto crescono le sue onde ed i suoi rimbalzi. Afortsmo V. 424.  Di tal guisa nell'organizzazione che per som- mi capi abbiamo descritta degli individui alzati all& pura vita razionale si aduna il frutto compiuto del- l' ordine intero dell' universo ; perch il Possibile e il Convenevole, 1' Attivit e la Partecipazione vi si con- nettono in modo tanto perfetto, che la finit raggiunge e fruisce il colmo dell' essere del quale  capace. 425.  Quivi ciascun ente vive ognor meno in se solo e ognor pi nella vita comune, tuttoch cresca di libert e spontaneit e la vita comune rifletta conti- nuamente i pensamenti le volizioni e le calde affezioni di lui. 426.  Per la congiunzione spirituale con l' Assoluto l'ampliazione dell'essere non  pi termine e adem- piesi l'intendimento sovrano dell' ordine universale, che  doversi il bene infinito diffondere e partecipare in proporzione che cresce negli enti morali l'attivit e r ardore per conquistarlo. 427.  Neil' organismo anzidetto gli enti morali si eccitano mutuamente e si aiutano e con tale eccitazione ed aiuto ascendono con efficacia maggiore nell' intuito dell' infinito; e simile ascenso accresce a vicenda la virt eccitativa e il soccorrimento scambievole e cos pur sempre. Laonde dobbiamo ritrarre per conclusione finale che r organo peculiare e ben conformato della vita razionale assoluta  certa morale unit di tutti i par- tecipanti e certa caldezza operosit e perfezione d'amore che insieme li stringe. 856 LIBRO QUINTO. A. 428. -^  osservabile che nell'organismo corporeo V assolutamente passivo ed irrazionale stia intorno al- l' attivo ed al razionale se trattasi d' anima umana e vi sia di necessit la parte soletta e serva e l' altra che sforza ed impera; n queste divisioni possono mai disparir o scemare senza che l' organismo o si annulli 0 grandemente si alteri. Onde l'effetto suo proprio, come accennammo pi sopra, si  di comporre un egoi- smo ampliato e di carattere privativo e spesso anche ripulsivo, nel modo che possiamo conoscere in tutto il regno animale fornito di senso e sfornito di ragione. 429.  Ma neir ordine superiore della finalit l' or- ganizzazione  tale, che attivo e passivo non si distin- guono e il servire non  d' alcuno come V imperare  solo del divino Paracleto, e perci si converte nella necessit dell' amore e della ragione. Quindi il me si confonde sempre col noi e l' egoismo privativo pi non sussiste ; che  la maraviglia massima e il portento mag- giore di tutta quanta la creazione; attesoch l'egoismo nel fondo vuol significare la particolarit e lo sceve- ramento del finito in quanto finito.- 430.  Nell'antichit intera a ninno, ci sembra, lampeggi pi vivo il concetto dell'organismo spiri- tuale, come a Platone e pi tardi a Cicerone che forse lo attinse dagli stoici e da esso Platone. Il vero  che Tullio discorse con parole magnifiche della citt uni- versale di cui tutti siam cittadini e le cui leggi pro- vengono drittamente dalla ragione eterna e dal giure assoluto; e il suo detto citato qua dietro circa l'unit morale del genere umano,  certo una mirabile divi- nazione dell'organismo supremo. DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 857 : 431.  Platone poi lo descrisse, per nostro giudicio, assai stesamente nei libri della Repubblica; la quale non fu pensata come opera pratica ma come specula- zione intorno di ci che esser dovrebbe V organizza- zione sociale quando non intervenissero gli organi corporali ed il senso a rompere con le necessit loro e con r egoismo la eccelsa unit delle anime. E questo profondo significato .della Repubblica ci pare bastevole a serbarle riverenza fra gli studiosi e vendicarla dalle censure troppo facili e troppo vere del suo discepolo. AF0RIS31O VI. -432.  Noi crediamo che alla speculazione stretta- mente scientifica non sia conceduto di oltrepassare le generalit descritte poc' anzi intorno all' ordine univer- sale della suprema finalit. Imperocch questo solo ci  lecito di affermare dei mondi essenzialmente diversi ed ignoti, che qualora s' abbiano per oggetto finale il bene assoluto forza  che lo conoscano e per V attivit propria e l'organismo delineato da noi lo partecipino e godano. 433.  Ma certo debbono essere fuor di numero le disposizioni e i modi speciali con che 1' Assoluto con- giungesi agli enti morali e loro si comunica ; e quelle tutte specialit ne rimangono ignote. Che non sareb- bero differenti davvero quando ignote non rimanes- sero; e posto che differissero solo un poco, la crea- zione distenderebbesi unicamente nello indefinito del simile ; il che sappiamo non potere essere e non dovere. 434.  Scarsa, dunque, e astrattissima  la cogni- zione nostra dell' ordine morale e finale in tutto il di- verso e r inopinabile della creazione. E per soltanto di tal cognizione astratta -e monca ci  lecito di afier- mare ci che il Vico pronunziava con arditezza straor- 858 LIBRO QUINTO. dinaria, e vale a dire, che quando anche esistessero mondi infiniti essi debbono tutti esser fatti alla stessa nonna in quanto al corso ed alle vicende della storia ideale eterna, 435.  Noi pertanto non diremo con Hegel e la sua scuola, ci che non conosco non esiste; ma diremo invece: dell'universo immenso che non conosco le sole notizie esatte sono queste poche, e le piglio dai principj ontologici e dall' essenza morale della natura umana. 436.  Per uscendo dal troppo indeterminato ed universale e proseguendo per li particolari e per le spe- cialit non al tutto ignote, gi noi discoprimmo che sul nostro pianeta dee del sicuro avverarsi la legge del pro- gresso nei confini imposti dalla materia organata e tra gli ostacoli ntolti che v' incontra la vita dello spirito. 437.  Per la ragione medesima, quando anche il fatto noi palesasse, noi saremmo certi che organo prin- cipalissimo di quel progresso  il consorzio civile ordi- nato per ogni verso ad imitare al possibile l'organismo spirituale supremo poc' anzi meditato. 438.  Sul che non c'intratterremo pur molto; da- poich ognuno pu riconoscere da s medesimo che in una congregazione di genti bene e virtuosamente costi- tuita si avvera gran parte dell' ordine sopra descritto e una molto maggiore se ne andrebbe attuando qua- lora non fossero le perturbazioni che v' arreca ogni d r indolenza 1' egoismo e l' errore tre forzo disgregative che mai non sono estirpate dalle radici e onde rampol- lano vizj mancamenti ed esorbitanze d'ogni maniera. 439.  Ci non ostante,  facile di ravvisare che quanto di bello di acconcio di durevole e di magna- nimo fa un popolo, esce tutto dalla concordia per- fetta del suo pensare e del suo volere; da onde la frase vera comech spesso abusata : insorsero, combat- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 859 terono, deliberarono come un sol uomo. La quale con- cordia (si disse qui sopra) compiendosi nella unit delle idee o nel sentimento uno del dover morale e politico o neir apprensione del bello, del buono e del santo infi- nito trova da ultimo quella unit vera e sostanzialis- sma dell'Assoluto che supera infinitamente qualunque unit e concentramento delle organizzazioni corporee. 440.  E come in ogni animale di superior costrut- tura la organizzazione dell' intero individuo vassi spe- cificando e diflferenziando in ciascuno viscere e mem- bro ; cos nel corpo sociale umano all' organamento comune di tutto il consorzio vannosi mescolando gli organamenti particolari delle istituzioni pi vitali e solenni quali sono la pretura l' esercito il sacerdozio e simigliane. Anzi laddove non  gerarchia n leggi scritte ne regole definite a ciascuno dell' operar suo l'organamento  ancor pi mirabile e abbondante- mente efficace, come, per via d' esempio, nella merca- tura e nell'ordine intero economico, entro il quale ogni cosa  governata oggid dalla mera libert e sponta- neit umana. 441.  Nemmanco  difficile a riconoscere nella buona e retta organizzazione civile il doppio genere di attinenze che dee racchiudere, 1' uno de' quali la lega al perfezionamento e progresso d' ogni individuo in quanto individuo; l' altro la lega all' ordine finale uni- verso e all'organismo superiore spirituale. A. J ^ 442.  Error grave, per mio sentire, commettono i socialisti gli utilitarj ed i positivi (tal nome dannosi alcuni filosofi in Francia) credendo che sia possibile studiare il consorzio umano e le leggi che lo gover- 860 LIBRO QUINTO. nauo e i fini ai quali tende, senza in nulla trapassare la sfera dei fatti sperimentali e negando di collegarli col mondo invisibile e coi fini eterni ed universali della moralit ed anzi di tutta la creazione. E gi notammo altrove che rimovendo dal nostro giudicio cotali atti- nenze niuno alto problema di qual sia scienza arte e disciplina rinviene la risoluzione sua ; e ostinandosi a volerla trovare cadesi nel paradosso e nella contraddi- zione. Il che non fu negato nemmanco dal gran mae- stro e capo degli ipercritici Emanuele Kant ; salvo che egli convertiva ogni rapporto con l' Assoluto in un bi- sogno illusorio di nostra mente di pervenire all' idea o voglia dirsi unificazione suprema di tutti i concetti. 443.  Ma lasciando ci stare, veggasi un bello esem- pio d'organizzazione civile con le convenevoli sue atti- nenze nello esercito d' un popolo libero e giusto. E per fermo, non sembra quello il pili del teoipo un gran complesso di' parti animiate da vita comune? e tratto in campo e vicino a far giornata e per pendente dai cenni del capitano, non direbbesi forse eh' egli si move da pi bande con tale desterit e prestezza e con tale regolarit ed unione come userebbe un immenso ani- male capace di rannicchiarsi e di stendersi e con mem- bra oltremodo flessibili? che se tale schiera o tale altra si spicca alquanto da tutto il corpo, ella vi torna similmente e vi si riattacca quasi fosse 1' Grillo del- l' Orlando Furioso? 444.  Ma queste sono troppo materiali compara- zioni. Ci che importa di notare si  che ogni soldato  mezzo ed  fine, e la disciplina e l'unit vi  serbata dal sentimento del dovere e dalla cospirazione degli animi ed ognuno  coscienza di quello che opera ed onorasi tanto dell'obbedire quanto del comandare. Cos ogni milite perfeziona s stesso e dirige le azioni non meno DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 861 a giovare e servire la patia che a compiere la legge suprema del bene e iniziare come pu il meglio quag- gi la vita razionale assoluta. 445. -T- E d' altro canto, nell' esercito sebbene  ilussione e rinnovazione continua di elementi,  pure certa vita perenne e quasi perpetua. Egli  sempre giovine tutto che attempatissimo, e mostrasi altero delle glorie anticamente acquistate sotto le sue ban- diere da veterani gi tutti morti e di cui restano ap- pena le tombe ed i nomi. N alcun rimorso o rincre- scimento perturba le gioie di queste sue ricordanze; perocch egli sa e conosce che ci si connette con r ordine morale universo e che sono lass apparec- chiati seggi immortali ai cittadini onesti che s' armano 0 pugnano a difesa della patria. AyoKisMo VII. 446.  Ma innanzi che le congregazioni umane o per lo manco parecchie fra esse pervenissero a tal per- fezione di organismo ed altre vi si accostassero, di- cemmo avere la divina mentalit preparato sparsa- mente in diversi popoli una virt organatrice comune a cui non erano per venir meno col tempo i risulta- nienti certi e durevoli. Oper essa latente come effi- cace, e nascondendo Tartc e il modo, si rivel negli effetti maggiormente maravigliosi quanto apparvero tardi e additarono ad ogni intelletto non cieco un di- segno preordinato le cui linee sembravano tutte spez- zate e non avere significazione. 447.  Di tal maniera quello che non pot in se- >arato veruna stirpe di uomini sebbene cresciuta oltre numero, lo pot collettivamente e il pi delle volte inscientemente il gran mondo delle nazioni. E fu a 862 LIBRO QUINTO. buona ragione. Perocch volle la divina mentalit che ogni gente si riconoscesse parte e membro costitutivo di una gran persona morale e per sentisse quanto  bisogno dell'amicizia e fratellanza comune e di quanto beneficio riraan debitrice alle vecchie nazioni e alle nuove. 448.  Per vero, la consapevolezza lenta e faticosa che piglia 1' uomo dell' organismo portentoso comune delle varie famiglie umane disseminate, a cos par- lare, nello spazio e nel tempo, giover non poco ad accelerare T amicizia e benevolenza scambievole di tutti i popoli e crescere per ogni dove il senso del r umanit e nel viver civile e nel giure internazio- nale imitare con una specie di religione il supremo organismo della vita razionale assoluta. 449.  Del sicuro, l'organizzazione del pi picciolo vermicciuolo fa inarcare a forza le ciglia e confessare una saggezza infinita volta a correggere la imperfe- zione ingenita e l' abituale impotenza della materia. Nulla meno, lo spettacolo ora patente della unit or- ganica del mondo delle nazioni sembrami testificare Iddio e la sua saggezza e bont ineffabile con tanto pi di efficacia, quanto organare il genere umano di- viso e disperso fu nova mente mettere ordine dentro il caos e da opposti elementi ritrarre la pi nobile e pura delle armonie, e quella intendiamo di cui disse un poeta :  Amore alma  del mondo, amore  cetra Che d'auree corde ed infinite e sante Leva eterna melode al primo amante.  Afortsmo VIIT. 450.  Per ci che nella storia civile splende lucen- tissima r orma di Dio e pi visibile forse ancora che DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 863 nella storia fisica, non  punto da maravigliare se i mistici si addarono prima dogli altri di questo inge- rimento ora occulto ed ora palese dell' un popolo nel- r altro e dell' organismo i)rofondo e comune che ne risulta. Certo, nella Citt di Dio di sant' Agostino  il primo concetto d' un avvicendamento ed intreccia- mento preordinato dei casi umani in tutti i quali vuoisi scorgere certo legame di unit e certa prepa- razione al fine che  di raccogliere in una sola fami- glia le diverse nazioni, e reggerle con una legge su- prema ed universale di giustizia e di amore. 451.  E nella guisa che in sul principio la na- tura  spiegata dagli uomini non per 1' azione delle cause seconde e per l' indole necessaria ed intrinseca delle forze fisiche ma con l' atto immediato e mira- coloso di I)io, tanto che Dio, giusta quella opinione, mo- della tutte le cose particolari e le trasmuta secondo sua volont. Del pari, pel mondo civile i mistici con sauto Agostino a maestro deducono gli avvenimenti a seconda che Dio li fa e li vuole e non dal procedimento causale delle facolt e potenze umane operanti giusta la forma intrinseca dell' intelletto e dell' animo. 452.  Quindi la scienza della storia, parlandosi con rigore, cominci quel giorno che dal Vico si dichia- rava essere il mondo delle nazioni fatto per intero dagli uomini e la notizia delle leggi dello spirito umano por- gere la sola bussola atta a condurre l' ingegno specu- lativo nel mar tempestoso delle vicende dei popoli. 453.  Perloch investigando noi al presente le ra- gioni vere ed efficaci onde vennesi costruendo 1' unit organica del mondo delle nazioni non dobbiamo cercarle altrove che in questi tre gran fattori del vivere umano sopra la terra, e cio la nostra natura comune e per- petua; la diversit delle schiatte e di loro indole, la 804 LIBRO QUINTO. diversit dei luoghi abitati; la quale, parte sforza e soggioga le volont umane, parte ne riceve V impero, e dall' uno e dall' altro esce modificata continuamente la guisa del viver privato e comune. A, ' ' ' '454.  V' una certa schiera di mistici e fra essi lo Schlegel in Germania e il Bonaldin Francia, i quali mantengono la civilt umana essere rampollata dalla tradizione divina che propagossi in ogni contrada e a tutti i popoli divenne comune. Aggiungono essere le corruttele del vecchio mondo state cagionate dalle alterazioni e dimenticanze di quella tradizione, mentre tutto il bene sostanziale quivi comparso d^si recare agli avanzi e ai ricordamenti di essa parola celeste. Onde poi concludono T uomo senza cotal tradizione sarebbe tuttora 0 selvaggio o barbaro ; e inemendabile riusci- rebbe la sua barbarie 0 la sua selvatichezza. 455.  Ora, a cotal dottrina porgendo fondamento e principio un supposto che le storie non ravvisano e non testimoniano ed anzi negano assai nettamente, non occorre di contraddirla con ragioni speculative e pro- priamente filosofiche. E per dare un saggio al lettore della ninna consistenza di quel supposto messo al ri- scontro dei fatti, baster citare una delle tradizioni maggiori e solenni che la scuola sopracitata afferma essere corsa fra tutti i popoli, sebbene poi le supei*sti- zioni e le favole l' abbiano .sconcia e travisata in pi modi. Affermano impertanto costoro, essere statai cre- denza comune del vecchio mondo l' aspettazione certa d' un divino riparatore, 456.  Vero  che in Persia i libri di Zoroastro parlavano senz' ambage d' una redenzione del genere DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 865 umano che Ormuz compirebbe nella consumazione dei secoli.  molto meno sicuro che tal credenza fiorisse nel popolo ebreo prima del suo ritorno da Babilonia. Ma se guardasi all' Indie, troviamo che Visn espri- mente il principio di conservazione e riparazione molte volte per addietro ripar e redense il mondo e altret- tante lo andr riparando con una sequela di vatari od incarnazioni. Il che poi si attiene al concetto della Trimurti braminica, nella quale sono tre potenze su- preme e infinite : l' una crea, V altra distrugge, la terza conserva o ristora, e ci diflferisce sostanzialmente dalla tradizione di cui discorriamo. 457.  Quanto alla Cina, allegano un mito il quale racconta della sposa di Foe che permase ver- gine e salv il mondo perduto vincendo e uccidendo il nero serpente. Non badano costoro che ivi si parla d'una salvazione non gi futura ma trapas- sata e che il serpente, al contrario di noi,  simbolo frequentissimo appresso i Cinesi d'ogni cosa piii ec- celsa e perfetta. Quello che significhi appresso gli Egizj e i Fenicj la morte e il risorgimento di Osiri e di Adone non v'  chi possa ignorare, e cio le rivo- luzioni del Sole e il suo ritornare nella pienezza della potenza fecondatrice. 458.  A rispetto dei Greci si fa gran caso della favola di Prometeo. Ma intanto Omero se ne pass con silenzio; il che basterebbe a provare o la poca vetust 0 la poca diffusione di quella favola; e il suo costrutto che nella trilogia di Eschilo diventa del sicuro pieno di maest e di recondite significazioni  nella forma pi antica molto diverso e meno adatto all' adombra- zione d' alcun mistero. Esiodo descrive Prometeo come un trovatore d' astuzie e di frodi, e narra che ingann Giove a un banchetto imbandendogli un bove intero MiMlARI.- II. 55 866 LIBRO QUINTO. spartito in due pietanze affatto simili al di fuori ma r una composta di carne l'altra di sole ossa. Poi segue a dire che invol il fuoco ma non quello celeste del Sole sibbene il terrestre che arde nelle nostre case e fucine. 459.  S'io volessi allegorizzare alla maniera del Vico, direi Prometeo significare un aristocrata ambi- zioso o bcMiefico che istruisce le moltitudini d' una Casta iuf( riore ed oppressa e fa lor sentire la divi- nit dell'anima nostra e la ugualit delle orgini. Onde la Casta regnante mette in catene questo (mi si lasci dire) Marino Faliero dei secoli eroici; e forse gli accadde di essere indi liberato da qualche pi po- tente 0 pili fortunato capo di popolo. Certo  che nei versi di Esiodo e in quelli pure di Eschilo, Prometo appartiene alla tribi dei Titani in lunga e infelice guerra coi Saturnidi e per da essi calunniata. 460.  Ad Eschilo piacque raffigurarvi l'immagine dei benefattori del genere umano pagati spesso d' in- gratitudine e forse anche la irrazionale prepotenza del Fato, divinit misteriosa ed inesorabile delle religioni antiche. E questo  l' ordine naturale dei pensamenti umani, che prima nelle et eroiche la fantasia smode- rata dei popoli intende ogni cosa sotto forme animate e sotto concetti materiali, poi la mente dei savj crede discoprirvi molta sapienza riposta. Cos il mondo fan- ciullo disse che la terra  legata al trono di Giove con una catena d'oro. E Platone spieg da poi che quella catena  simbolo della congiunzione spirituale degli enti creati col gran Demiurgo. 461.  Ma tornando alla tradizione del futuro libe- ratore del genere umano, Schelling fu tanto poco per- suaso di riffigurarlo in Prometeo, che cerc altre favole e altro personaggio allegorico, e fu Bacco o Dionisio ; e stillosst il cervello a provare che nella celebrazione DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 8G7 dei misteri sotto nome di lacchos era effettualmente rappresentato un Dionisio secondo il quale dovea tor- nare non so bene se dall' Indie o d' altra regione a redimere il mondo. I Tedeschi, troppo istruiti oggimai intorno al poco valore e alla volgare sapienza dei mi- steri antichi, sembrarono increduli a quella prepostera erudizione dello Schelling. 4G2.  In fine, chi non ricorda i famosi versi di Vir- gilio nell'egloga VI, Ultima Cumcei venitjam carminis etas con quel che segue? Ma quale importanza vi si pu annettere quando si sappia che i versi i quali furono spacciati sotto nome delle Sibille vengono ora generalmente riconosciuti apocrifi? E quando si av- verta che Virgilio alludeva a un oracolo strano uscito dal collegio dei sacerdoti etruschi nel tempo di Siila, nel quale oracolo pretendevano che fosse vaticinato come prossimo non la redenzione del mondo ma il ri- cominciare delle otto epoche solenni che al dire di essi Etruschi componevano l'anno grande e di cui la prima era quella di Saturno? Aforismo IX. / 463.  Hegel volendo ritrarre la scienza della storia dalla sua ontologia astrattissima ed anzi dalle formolo vuote e pi generali della sua logica, costru, per nostro giudicio, l'organismo sociale del genere umano me- diante una specie nuova ed inaspettata di misticismo. Conciossiach, a detta sua, i popoli sorgono ed appa- > riscono sulla scena del mondo ovvero ne discompaiono ed operano cos o cos unicamente perch all' Idea  necessit di trascorrere dall'una all'altra categoria dell'essere e della sostanza. 464.  Per tal guisa, mentre ai filosofi di maggior 868 LIBRO QUINTO. polso torna difficilissimo lo spiegare (poniamo caso) la istituzione  perseveranza delle Caste orientali, e sonosi travagliati a darne ragione con supposti di- versi e ingegnosi, Hegel contentasi di aflfermare con gran sicurezza che le vecchie Caste orientali signifi- cano quel primo grado e leggieri di differenza e con- trasto, il quale succede alla oscura e indeterminata sostanzialit della Idea a cui manca ogni notizia di s e della libert propria. Taluno obbietter forse che nelle Caste orientali non  da ravvisare un primo grado e leggieri di dif- ferenza apparente nella oscura medesimezza della so- stanza, ma s veramente la massima diversit e pi profonda che cader possa nel subbietto comune e a petto alla quale ogni altra divisione e disparit fra gli uomini  da giudicarsi minore. 465.  Ma lasciando ci stare e ricevendo dalle mani di Hegel la forma e l' indole degli istituti umani non quali escono dal profondo del nostro essere, ma quali domanda che sieno le trasmutazioni logiche del- l' Idea, occorrerebbe almeno che ogni cosa trovasse il suo debito avveramento nei fatti. Ma la storia pur troppo non vuole obbedire alle deduzioni dell' Hegel e lo smentisce crudelmente ad ogni proposito ; ancora che non sia malagevole ritrovare attinenze ed analo- gie tra un cumulo di avvenimenti d' ogni fatta da un canto e certe nozioni astratte e indefinite dall'altro che si confanno a qualunque oggetto. 466.  Secondo la mente di Hegel i caratteri del momento primitivo ed inconsapevole nella vita dello Spirito compariscono molto chiari e molto spiccati nella Cina, il cui popolo giudica egli superare tutti gli altri di vetust. Ma per isventura le scoperte ul- time degli etnografi, e il Lepsius segnatamente dimo- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 8G0 stia che nnovi nell'Egitto monumenti certi, precisi ed autentici dei re della linea che Manetone computa essere la quarta di tutta la serie e vale a dire ante- riore di 3400 anni all'ra cristiana; laddove la sto- ria non favolosa della Cina, che pure  croniche ed annali si diligenti, comincia appena un 2900 anni pri- ma di Cristo; e quella dell'Indie solo 2204, 4G7.  La ontologia di Hegel esige a marcia forza che nella pi antica delle civilt succeda il massimo annichilamento dell'individuo a cui debbono per ci mancare diritti fermi e riconosciuti e sopra cui dee pesare continuo un' autorit senza limiti ; laonde la libert  di uno soltanto e il servaggio  di tutti. Per la sostanzialit stessa oscura e indeterminata della Idea che vuole mutarsi in Ispirito e cessare la confu- sione dell' oggetto e del subbietto, la moralit dee gia- cersi come sopita nelle coscienze e riesce, quasi a dire, materiale ed esterna, ne si distingue dalla legge ci- vile e poco assai dall'arbitrio di chi tiene l'impero. 468.  A fronte di ci la storia, che (ripetiamo) non conosce i movimenti dialettici della Idea hegeliana e non si studia di rispettarli, racconta invece che prima della presente vastissima monarchia, la Cina and spartita per molti secoli in regni numerosi combattenti in fra loro guerre lunghe e spietate; ai che s' aggiungeva una molto tenace e disordinata feudalit con minuti baroni ed inermi e con grossi ed armati che insorgevano qua e l contro il monarca loro capo non diversamente da ci che accadde nel medio evo appo noi. 469.  Ora, giusta i pensieri stessi di Hegel, la feudalit significa l'uno indeterminato che si frange e sminuzza ed  la trita individualit che distnguesi violentemente dalla sostanza. Le cose adunque proce- dettero in ordine affatto contrario a quello delle ca- 870 LIBRO QUINTO. tegorie. Prima si compiva la distinzione violenta del- l'individuo, poi la indeterminazione della sostanza. 470.  Aggiungi che eziandio nel vasto impero ci- nese succeduto alla feudalit l'individuo scomparve assai meno che in qualunque altra terra orientale. Avvenga che quell'impero si regge da lunghi secoli pel governo de' mandarini o dotti che si possin cliiamare, dai quali  composta una gerarchia fitta ed estesa creata per sola virt di candidature e di esami. Onde il prin- cipio che lo informa si  che il solo pregio individuale pervenga dagli infimi gradi ai supremi ; il che an- nuncia l' opposto dall'annichilazione predicata dall'He- gel. N la somma pedanteria si degli studj e s degli esami n l'arbitrio e la tirannide che vizi spesso in Cina le istituzioni provano, al parer nostro, che il principio elettivo e il merito personale non vi sieno in massima professati e riconosciuti ab antico. 471.  Altra smentita formidabile d la storia ci- nese all' Hegel rispetto alla moralit ; conciossiach parve in quella contrada due secoli avanti Zenone e cinque avanti Epiteto la dottrina di Confucio fondata onninamente sul bene morale assoluto rivelantesi alla coscienza dell' uomo e separata da ogni riguardo al- l'utilit. N rimase quella dottrina un pensamento privato d' alquanti filosofi come tocc a Zenone e a tutti i gran moralisti greci e latini, ma si divenne scienza volgare comune e fondamento fermo ed uni- versale di educazione pubblica. 472.  Bastino questi cenni a mostrare quanto sia vana speculazione il dedurre le leggi storiche dalle prette generalit e astrattezze dell'ontologia e della logica. Dentro le quali astrattezze dimorano al pi le cagioni remote ed universali, ma le prossime ed effi- cienti debbono essere indagate nel fondo dell' essere DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 871 umano poi nella diversit delle schiatte e per ultimo nella diversit della circostante natura. Che se a forza vuoi nel cinese (per ritornare all'addotto esempio) rap- presentare la identit oscura e indistinta della so- stanza, mostra per lo manco in che guisa l'indole di quel popolo e i luoghi da lui abitati menar lo dovet- tero a quella disposizione speciale di sentimenti, di istituzioni e di atti. E se ci intralasci, tu caschi, ri- peto, in una specie singolare di misticismo ; imperoc- ch nella storia il misticismo consiste appunto a ren- der ragione dei fatti umani non por umane cagioni ed intrinseche ma per estrinseche ad essi. 473.  Nullameno, nel libro di Hegel , per mio sentire, da riconoscere un pregio notabilissimo, e cio a dire ch'egli il primo  ravvisato assai nettamente la scienza della storia consistere in principal modo a scoprire e delineare l'unit organica del mondo delle nazioni. Aforismo X. // 474.  V  pure stata una generazione di filosofi ai quali venne creduto che i sommi fattori delle mas- sime rivoluzioni dei popoli fossero per addietro e sieno per essere nell'avvenire non le facolt umane e gli atti che ne derivano ma le forze invisibili della na- tura e certe loro influenze, tanto certe ed efficaci quanto misteriose. Anzi alcuno tra essi prenunzia una prossima palingenesi non pure del mondo civile ma del corporeo ed organico. 475.  Fra gl'Italiani furono di tale schiera il Zorzi, il Pomponaccio il Vanini ed in parte il Campanella. In Germania il Fould e il Boeme, in Francia il Martin e recentemente il Fourier. 476. - Sa ognuno che la scienza positiva dei geome- 872 LIBRO QUINTO. tri e dei fisici men al niente la teorica durata per tanti secoli delle influenze celesti. Quanto alle palingenesi sostanziali della natura corporale ed organica, fa bi- sogno anzi tutto distinguere le trasmutazioni interor dalle esteriori. Che rispetto alle prime, cadono quegli autori in grave errore di credere che i subbietti so- stanziali non permangono immutati. Ma per li cambia- menti causati da forze che sopraggiungono dal di fuori non si nega che pu il nostro pianeta, ed anzi tuttoquanto il sistema solare di cui siamo parte, soggiacere a im- pulsioni ed influssi nuovi; e, come notammo nel terzo Libro, la fuga sua incessante verso altro sistema di astri forse maggiori e pi poderosi annunzia per av- ventura un simile eflFetto. 477.  Ma stante che esso adempiesi in lunghezza di tempo che  fuor di numero calcolabile e i risulta- menti non riescono prevedibili da nessun lato; perci se le palingenesi corporali ed organiche non sono da dirsi per cotal via impossibili, nuUameno dobbiamo solo considerarle come destinate a segnare nelF indefi- nito del tempo alcune apocalissi supreme e il ritorno di epoche generative differentissime dalle anteriori ; tanto che se produrranno creature razionali migliori deir uomo, questi non ne sar testimonio ; dacch avr del sicuro cessato di esistere. f 478.  Per la scienza umana, quando si stanca di errare fra generalit troppo astratte ovvero tra supposti molto speciali ma poco accettabili, debbe pi sicura- mente spaziarsi nello intervallo e fondarsi sulla identit e permanenza di certe leggi conosciute della natura. Onde qui ritoma convenientemente il concetto che la scienza della storia non rampolla da verun^ altra radice salvo che dalla investigazione profonda delle facolt umane e de' loro atti. Considerato che solo esse le fa- DEL PROGRESSO KELL' UNIVERSO. 873 colta umane operando per le proprie necessit fanno il mondo delle nazioni e ne costituiscono passo per passo Punita organica e il gran moto perfettivo e continuo. 479.  Egli  poi manifesto che nominandosi nel caso nostro le facolt umane si debbe intendere che il discorso indaga lo spiegamento l'esercizio e l'ap- plicazione di quelle in modo conforme altres ai luoghi, alle schiatte e ai particolari diversi della circostante natura. Conciossiach parte dell'uomo  l'ambiente in cui vive e da cui gli provengono tutte le cagioni e gl'impulsi esterni dell'operare. 480.  Ne in tutto ci  possibile alla filosofia dedut- tiva di scansare superbamente 'gli aiuti dell'esperienza e i frutti dell'induzione. Allato ai quali, nondimeno, proceder fecondo e sicuro il ragionamento apodittico illustrando i fatti e i fenomeni ; e lo attingeremo sempre alle fonti della nostra ontologia e cosmologia, mirando sopra ogni cosa ai principj nei quali s' imperna e si stende l'ordine della finalit e il necessario spiega- mento e perfezionamento della vita razionale. 481.  Per la causa medesima onde abbiamo negato all'ingegno speculativo ogni potest di dedurre a priori le condizioni peculiarissime delle differenti abitazioni dell'uomo, ci  forza negare altres di poter dedurre raziocinando le schiatte diverse di nostra progenie e l'indole singolare e profonda di ciascheduna. Salvoch, osservando com'elle s'acconciano pi che bene ai luoghi e climi a loro sortiti, potrebbe dirsi per avventura che il sol postulato non deducibile nella storia delle nazioni ristringesi al clima e al figuramento dei luoghi. Ma tuttoci toma vero per le somme generalit e non pi 874 LIBRO QUINTO. oltre. E certo, avremo penetrato assai poco nella ra- gione e concatenazione dei fatti umani quando pro- nunzieremo che sotto la sferza della canicola e verso i ghiacci polari debbono vivere complessioni fisiche nolto differenti; ed anclie indovineremo indigrosso parte y dei loro costumi e delle abitudini loro. cIa^^\ p fifjN 432.  Avanzando ed assottigliandosi gli studj etno- grafici venne a tutti conosciuto che le stirpi umane peregrinarono da un capo all' altro del mondo e perci mutarono sostanzialmente e pi d' una fiata le condi- zioni dell' aria e del suolo e il tutto insieme delle cir- costanze locali. E d' altra parte  forza di confessare eh' esse circostanze determinarono il pi delle volte ogni forma particolare degli avvenimenti d' un popolo. Con queste considerazioni si possono, mi sembra, segnare nella filosofia della storia i giusti confini della dedu- zione scientifica rigorosa. \^ 483.  Ma noi non vogliamo a tale occasione pas-  casse di tale capacit fermerebbe il moto di tutti gli altri, appunto come si scorge negli orinoli che 1' al- terazione ed immobilit d'una sola ruota fa quieti e inattivi tutti gli altri ordigni. Ci veduto, e ripiegando da capo l' occhio mentale sul nostro essere noi vi vediamo non poca n leggiera eterogeneit e c'imbattiamo in un elemento che sempre  il medesimo e non possiede capacit di indefinita mu- tazione ed ampliazione e questo  il nostro corpo or- ganato. Nel fatto, se rimiriamo in particolare alla mente e allo spirito veggiamo che i secoli v'nno re- cato tale differenza di pensieri e di sentimenti eh'  necessario di argomentare la identit del subbietto pel testimonio intimo ed altre -ragioni assolute e non mai per la simiglianza e continuazione degli atti. Sul che baster figurarci i pensieri e le cognizioni d' un pastorello (poniamo caso) della vecchia Arcadia o del- l'Idumea ragguagliati a quelli che volgevano in mente Galileo ed Isacco Newton ; e di' il medesimo a rispetto dei sentimenti, paragonando le passioni e i propositi d' un troglodita con l' animo, per via d' esempio, di Bonaparte e di Washington. 676.  Air incontro il corpo di cotesto persone s dispaiate varia dall'una all'altra per soli accidenti, e il tempo e la civilt non vi possono nulla. Preten- dono bene alcuni fisiologi che l' encefalo sia propor- zionalmente cresciuto di mole e il cervello in ispecie, e che forse proseguir a crescere in virt del mag- giore eserczio. Tutta volta, nessuno si dubiti che tale aumento non rimanga entro certi confini; che altra- mente ne nascerebbe perturbazione profonda nella economia nostra vitale e da ultimo la estinzione di tutta la specie ; non vi essendo cosa pi certa e patente in fisiologia quanto che al vivere sano bisogna l'equili- 944 LIBRO QUINTO. brio del sistema nervoso col sistema muscolare; e pi in generale, bisogna la rispondenza ammodata e am- misurata d' ogni membro e d' ogni viscere. G77.  Adunque, fra gli elementi costitutivi dell'es- sere umano sopra la terra avvi una ruota (per ripi- gliare r esempio allegato) che non segue il moto delle altre n pu seguire. Del che riman di vedere le con- seguenze. A. 678.  Non sembra quasi credibile che gli scrittori . di queste materie intralascino di esaminare la diffi- / colta innanzi alla quale si ferma al presente e s' in- / dugia la nostra teorica. Ma cos  veramente, e citer in prova due autori solenni, un francese e un tedesco. De' quattro volumi di speculativa filosofia che il La- mennais dettava negli ultimi anni, tre versano per in- tero nella trattazione della teorica del progresso. Ma tu non vi trovi parola dell' antinomia che sorge tra la immobilit dell' organismo nostro corporeo e la dila- tazione di essere indefinita e perpetua delle potenze spirituali; e nel silenzio medesimo egli si mantiene rispetto ad altri limiti certi e non valicabili di cui ter- remo discorso tra breve. 679.  N meno silenzioso intomo al proposito  Giorgio Hegel nella sua scienza della storia. E mentre egli incardina la sua intera filosofia nel continuo di- ventare del tutto, dimentica di porre mente alle con- seguenze di questa immutabilit sostanziale della or- ganizzazione umana sopra la terra. Ma forse all' Hegel non bisognano ampliazioni nell'essere umano; da- poich i problemi dello Spirito che sono gli ultimi diveniri dell'idea assoluta mi sembrano oggimai di- sgroppati nel suo sistema e pervenuti al lor termine; DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 945 cotesta, almeno,  la significazione che esce dai lunghi trattati di lui sulla religione sul diritto sulla estetica e sulla storia. Onde il progresso indefinito del lontano avvenire non so bene dove si nasconde, e quello che far ridea per consumar tempo e non si tediare ; quando pure non si adattasse a ripetere s medesima od anche a tornare indietro e salir da capo alla nozione dell' es- sere indeterminato. Che veramente V un moto non  pili necessario dell'altro e sono tutti egualmente pos- sibili ed impossibili. Il fatto sta che un diventare inces- sante ed interminabile incontra paradossi enormi e non risolubili. Perch ci che diventa dee dissomigliare in parte da quello che era. Ma continuando neir in- finito, la dissomiglianza si fa enorme, e la somiglianza, o dir si voglia l'identico permanente,  quasi nulla al paragone. 680.  Onde non  pi l' Idea che muta e diventa, ma un'altra cosa e quindi un'altra e cos prosegui. N giover l'asserire intrepidamente che ogni muta- zione nel suo fondo  certa medesimezza ideale ovvero che sono aspetti forme e rivoluzioni dell'Idea. Consi- derato che le mutazioni e i diveniri o sono mere ap- parenze 0 sono realit; in questo secondo supposto regge interissima e irrefragabile la obbiezione; nel- r altro supposto gli svolgimenti progressivi della Logica della Natura e dello Spirito sono fantasmi variamente larvati per riempiere un sogno perpetuo di non so quale divinit. 681.  Oltredich, il diventare senza mai termine di- stendesi in un futuro arcano ed inopinabile, perch il nuovo quanto pi cresce tanto s fa pi discosto dal noto e pensato. Ma d' altro canto, gli Hegeliani negano la esistenza di tutto ci di cui non ritrovano la nozione. Dunque il progresso non pu andare pi l della Mahiari.  II. M *)46 LIBRO QUINTO. scienza assoluta che gli Hegeliani beatamente possie- dono, e r Idea torner forse nel nulla come l'ente dei Buddisti, e per tal maniera si trarr dair impaccio dell'essersi chiuse tutte le porte del progresso avvenire. Noi trattammo di sopra la difficolt del conciliare la innovazione e la permanenza e medesimezza dell'ente, e la risolvemmo, se il lettore ben si ricorda, col ristrin- gere la innovazione al quantitativo ed escludere il qualitativo. B. ()82.  Si pronunziava da noi senza ninna incer- tezza che il maggiore effetto del progresso futuro dei popoli esser debbe un' ampliazione maravigliosa della vita razionale e quasi un emanciparsi al tutto dalla tirannide del nostro organismo corporeo. Il che non solamente non dovr menomare la vita operosa del- l' uomo, ma si accrescerla di mano in mano e conver- tendo in motivi ed impulsi affatto spirituali e d'animo ([uelli che oggi provengono in troppa gran parte dalla sensibilit e dall' organismo. 683.  Giova, nondimeno, avvertire qualmente ci sia difficile e quasich impossibile l' immaginare la forma di tale energia profonda e operosa e tuttavolta promossa mai sempre da cagioni spirituali e non bi- sognevole delle occasioni e provocazioni dell'organismo. Per fermo, se noi contempliamo i gesti e i pensieri^ poniamo caso, di Marco Aurelio subito vi scorgiamo un' attivit incessante e vigorosissima eccitata e rin- novata ogni sempre da cagioni pure e sublimi di ra- gione e moralit. Nondimeno  da ricordare che le miserie e i vizj del mondo e gl'infortunj crescenti e la crescente corruttela del popol romano davano a DEL PROGRESSO XELL' UNIVERSO. 947 quel giusto occasioni continue e motivi indiretti ma pur gagliardi e sensibili di tenere svegliata e operosa la forza dell' animo. La legge di polarit esercitavasi dentro e fuori di lui con rara potenza e frequenza e il contrasto nasceva da un doppio ordine di elementi, r uno interiore dell' anima sua, V altro esteriore di malvagi e furiosi che la oppugnavano. 684.  Ma nell'epoca lontanissima e progressiva del genere umano della quale disegnammo pi sopra alcune fattezze non intendiamo in quale maniera si esercite- rebbe con gran vigore la legge di polarit e ne scop- pierebbero, a cosi parlare, atti diversi e continui di sem- pre maggiore ed energica operosit. Nel vero, ne' tempi di cui discorriamo le guerre sono cessate e le rivolture violente politiche sono una storia divenuta antichis- sima. Nel generale regnano fra gli uomini la giustizia la concordia e V amichevole intrinsechezza. Tutto ci che tiene del contenzioso dell' ostile e 'dell' ingiurioso sparisce; i bisogni materiali trovano competente sod- disfazione, e il vivere si fa tranquillo ed agevole quanto virtuoso e dalla saggezza governato. 685.  Ora in mondo cotale l' uomo non si stempra non si sgagliarda e non si ammollisce? Ma dov'  la cote delle ire soldatesche, degli affetti traditi, della ma- lizia e perfidia umana per riforbire la nostra costanza e fortezza e promovere la gagliardia estrema dell' ani- mo? Eppure quello stato di pace profonda e di uni- versale giustizia e benevolenza ci  comandato ogni giorno dal senso morale e dai giudicj della ragione. 686.  Concludiamo che debbono fra cotesti estremi intervenire alte cagioni spirituali la cui eificienza e il cui operato non ci  lecito d'indovinare. E insomma da questo lato la finit e immobilit del nostro orga- nismo non sembra far divieto assoluto al cercare e 948 LIBRO QUINTO. trovare il fine in infinito; s ci obbliga a pensare un principio ignoto ed inconoscibile di perfettiva inno- vazione. Afobismo ih. 687.  Dicemmo pur dianzi la tradizione dello sci- bile fondarsi sulla ritentiva, perch scrisse il poeta:  non fa scienza, Sanza lo ritenere avere inteso.  688.  Lasciamo stare che la memoria  soggetta piii che altra facolt spirituale a mille accidenti ed  la prima che soffre del peso degli anni. Tali accidenze dileguansi nel generale degli uomini, perocch mentre qualcuno n'  percosso, molti ne vanno immuni. Ma cre- scendo, come fa, lo scibile, e massime lo sperimentale, in maniera smisurata e rimanendo la potenza memorativa e percettiva in certi confini non valicabili, a che spe- diente avremo ricorso ? e per che guisa manterremo la proporzione tra il contenente ed il contenuto ? 689.  Vero , per detto di Leibnizio, che quanto pi r intelletto profondasi in una scienza, tanto si stringe il novero dei principj che di quella affermiamo e tanto  maggiore il cumulo di cognizioni che in essi principj s' inchiude. Ma tale sentenza  valor relativo e non assoluto. I principj non ci esentano dallo aver notizia dei particolari. E per atto di esempio, nell' astronomia di quanto i principj sono divenuti piii pochi e piii sem- plici da Nev^ton in poi ? Nullameno la notizia dei parti- colari degni d' attenzione e necessarj a sapersi  ormai sterminata e non  possibile paragone con quella pos- seduta da Tolomeo e da Ipparco. 690.  Quindi nessuno confidasi oggi di conoscere DEL PROGRESSO NELL' UNIVERSO. 949 coinpiutamente l' astronomia in ciascuna sua materia. Ma r uno s' appiglia all' osservazione, 1' altro al cal- colo. Questi consuma gli anni a compiere il catalogo delle fisse, quegli delle stelle doppie, un terzo s'addice allo studio delle nebulose e un quarto a migliorare le lenti e altri ordigni da specula. 691.  Ma ci che incontra agli studiosi d'astro- nomia ripetesi in egual modo e forse di vantaggio in qualunque altro subbietto di scienza; e le menti che un giorno bastavano al tutto d'una disciplina, oggi non bastano nettampoco ad una sua parte ; e varcato qual- che secolo, quella parte medesima si spezzer in altre ed altre e ciascuna diverr una scienza vastissima. 692.  Avvi dunque una sorta d' antagonismo non dissipabile fra la cognizione profonda degli universali e la cognizione esatta e compiuta d'ogni particolare. E se r antagonismo cresce col tempo in ciascuna dot- trina speciale, cresce viemaggiormente fra esse dottrine speciali e la sintesi terminativa di tutto lo scibile. 693.  Quindi in genere tutte le sintesi vaste e le vaste unificazioni diverranno di pi in pi impraticabili e ninno ingegno vi riuscir sufficiente e quindi il sa- pere diverr sdruscito e spezzato e cadr nell' empiri- smo ogni giorno di vantaggio ; ovvero le sintesi generali farannosi troppo astratte e indeterminate senza forte e visibil legame coi fatti particolari ; saranno un con- tenente quasich vuoto e sempre meno applicativo. 694.  So bene che gli uomini s'aiutano gi, e s'aiu- teranno pi ancora nell' avvenire, coi lessici i ma- nuali i compendj gli abbozzi d' enciclopedie e simile. Del pari s'aiutano e aiuterannosi maggiormente con lo spezzare gli studj e ciascuno dedicarsi a qualche por- zionucula dello scibile. Ma che perci? Cotesto frazioni non corrono da s medesime ad unirsi dentro la mente 950 LIBRO QUINTO. e neminanco ti puoi giovare d' alcuno portentoso in- telletto che il faccia per te; avvegnadioch bisogna assimilare la scienza che ti si porge, n tu V assimili se non l'intendi a dovere e se non ne conosci i partico- lari e non discerni la lor connessione coi generali e questi non vedi giacersi virtualmente ed unificati den- tro i principj. 695.  Qualora, adunque, non sia trovata V arte di crescere la comprensiva e la ritentiva quanto cresce fuor modo la materia apprensibile e memorabile, certo il sapere umano s' imbatter in limiti di l dai quali in nessun modo non potr ire. Ma tale arte vorrebbe significare da ultimo crescere di mano in mano le po- tenze intellettuali, e cio a dire rifar V anima e modi- ficarne l'essenza; e perch' ella  chiusa negli organi e Tatto delle sue facolt si connette a quelli talvolta strettissimamente che  il caso del percepire e del ricordare, bisogner trovar V arte eziandio di recare mutazione notabile e pi sempre maggiore al nostro organismo. Tutte cose per nostro giudicio impossibili e sopraposfe, direbbe il poeta, al segno dei mortali. 696.  Si prov largamente ne'Libri anteriori quanto sia vana opinione quella dei vecchi enciclopedisti di chiudere all' ultimo tutto lo scibile dentro un solo prin- cipio, conosciuto il quale non fosse ogni rimanente che applicazione perpetua di esso. Coloro volevano trasmu- tare tutte le cose in una sola forma di essere, mentre sono infinite ; e il diverso nella creazione moltiplica ne pi n meno del simile. Ed anche laddove regna la simiglianza e la identit comincia la infinitudine delle variet e delle relazioni sul che testimoniano le ma- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 951 tematiche pure, le quaU nessuno scienziato oggid ose- rebbe dire di conoscere tutte ed anzi confesser Tolen- tieri di conoscerne qualche parte appena. Aforismo IV. 697.  V  un altro segno che V uomo non pu tra- scendere, e sono i termini della terra la quale gi co- mincia a parere molto meno vasta che gli antichi non giudicavano. Per uscirne, converrebbe non vivere di aria e bisognerebbero organi differenti affatto da ogni complessione e forma di animali a noi noti. Laonde n pur basterebbero le metamorfosi immaginate dai Darvinisti. Avvenga principalmente che la ossigena- /ione  necessaria pure alle infime specie. 698.  Infrattanto le popolazioni moltiplicano; o sembra certo che in Russia ogni 43 anni e in America ogni 25 si raddoppiano. Verissima  pure, nel gene- rale, la legge osservata e commentata dal Malthus, che le generazioni umane crescono pi copiose ed in minor tempo dei mezzi di sussistenza ; e pii esatta- mente, che questi moltiplicano in sola ragione aritme- tica, quelle in ragion geometrica. E certo  che il terreno vegetale adunato per avventura da migliaia di iteceli consumasi rapidamente ; e a noi tocca di sup- plirlo con dura fatica. 699.  Ma d'altro canto, l'arte e l'industria umana diventano miracolose. Quindi la nostra specie trarr, per maniera di dire^ il pane dalle pietre e abi- ter climi reputati ora inospiti affatto. Alzer case* sui laghi sulle riviere e sui mari, e additerannosi un giorno assai pi citt e metropoli che borghi e cata- pecchie al presente. 700.  Con tutto ci, Fonda delle generazioni n 952 LIBRO QUINTO. si ferma n torna indietro, ed ogni letto che le si ac* eia torna da ultimo non recipiente abbastanza. 701.  Tre soli rmedj supremi trova possibili il pensiere contro tal crescente marea. Sterilire .le fem- mine ; sconciare i parti ; dannare gran porzione del genere umano a perpetuo celibato. 702.  Una sola obbiezione insorge a combattere tutti tre i partiti. Una sola, noi replichiamo, ma niuDO , la sgruppa e discioglie, perch assoluta. Vogliamo dire che il senso morale a tutti comune e i precetti positivi  ond' esso  norma perpetua rifiutano di approvare al- cuno di quei partiti; e riesce contradittorio il supporre che la stirpe umana prosegua a perfezionarsi col delu- dere un gran documento etico nel mentre che ogni progresso ed ogni perfezionamento fondasi invece nella osservanza maggiore e pi rigorosa dell' ordine morale supremo. 703.  Deesi perci concludere ripetendo fermamente il principio annunciato di sopra, e cio che in una serie connessa di termini e addirizzata al fine di ainpliare incessabilmente l'essere in cui s'aduna la serie,  stretta necessit^ che l' ampliazione divenga fattibile sempre in ciascuno dei termini ; la qual cosa nel nostro subbietto scorgiamo non potersi avverare. Afobismo V. 704.  Ma d' altro lato, la legge del progredire co- stituendo l'essenza stessa dell'organismo delle nazioni, queste, non avendo pi campo al migliorare e perfe- zionarsi, debbono cessare di esistere sul nostro pianeta. Quindi la specie nostra vi sar vissuta progressiva sempre ma non immortale. E diciamo progressiva mai sempre con questa considerazione, che ogni tempo ante- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 953 riorefu consumato nella preparazione occulta ma certa e continua dell'organismo sociale; e a quello scopo conversero per indiretto le decadenze medesime e i deviamenti e disfacimenti parziali dei popoli. 705.  N alcuna porzione dell' essere virtuale umano a rispetto del progredire si rimarr senza esplicazione di atto insino al punto che gli organi materiali e i confini non superabili di certo spazio non faranno manifesto che l' uomo  doppio, e solo nella vita sua razionale pu cercare e trovare il fine in infinito. Quindi  necessario non pure agi' in- dividui liberar lo spirito dagl' impacci della corporalit ma che la specie intera, dopo trascorse innumerevoli combinazioni, arrivi, quando che sia, al dissolvimento di un misto, naturale ma non guari normale perch tem- poraneo di sua essenza e violento, dovendosi tale giu- dicare qualunque composto i cui elementi non sono tutti nella unione migliore e pii confacevole al proprio essere. 706.  Dopo ci vorremo forse giudicare di poco momento il corso perfettivo delle generazioni umane cominciato da molte migliaia d' anni e durabile, Dio solo sa per quante ancora centinaia di secoli? No del si- curo. All' incontro, noi lo diremo cosa immensa e splen- dente di luce divina e la cui grandezza sempre maggiore nella fuga dell' et nessuno ingegno immaginoso per- viene ad abbracciare e delineare. Salvoch, paragonato dalla mente con le ragioni dell' eterno e dell' Assoluto e con la economia superna ed universale del bene, noi dobbiamo nel progresso civile avvisare il temporaneo, il relativo e il particolare, tuttoch mescolato con eie- 954 LIBRO QUINTO. menti sopramondani e porgente inizio alla vita razio- nale pura e assoluta delPuomo. 707.  Intorno di che occorre subito di osservare la conferma solenne che ricevono le nostre parole l ^dove asserimmo non vi essei-e problema veruno circa ! i principj delle scienze e i principj delle cose che trovi ' risoluzione compiuta nella cerchia dell' esperienza, ne- gando di trarsi pii oltre e non si legando all'ordine puro spirituale e alle verit trascendenti. "^ f 708.  Non si dubita che ci dee risonare incresce- vole e strano all' orecchio di tutti coloro, i quali, an- nullando ogni altra specie di dogma e di culto, questo idolo solo anno risparmiato del progresso infinito del genere umano sul nostro pianeta. Deit caduca vera- mente e poco invidiabile, dapoich vedemmo non poter movere un passo fuori del suo tempio che  questa , palla superbamente chiamata mondo. t[* ' Afouismo vi. 709.  Noi crediamo di avere oggimai concluso tutto quello che intorno al progresso civile discorrono di pi certo le massime fondamentali della nostra co- smologia ; e siamo proceduti sempre vuoi col raziocinii speculativo e le astratte nozioni, vuoi col riscontrare alle massime stesse i fatti della natura e le storie umane. 710.  Ma stante che 1' organismo intero del mondo delle nazioni e per il progresso civile che ne consegue emanano nella sostanza loro dalla efficadft suprema ed universale dell'ordine della finalit e sono certa particolare specificazione della gran legge del progredire espansa per tutto dov' ragione e morali- t, fa pur bisogno di rivocare il pensiero alle atti- nenze correnti fra tali due termini e andar divisando DEL PROGKESSO NELL'UNIVERSO. 955 quello che vi 8 pu discernere o di assolutamente vero 0 di sommamente probabile. Non dovendo affatto arrossire i filosofi, se nelle altezze ultime dell' ordine spirituale la scienza trasmutasi in riguardosa e mode- sta divinazione. Considerato che fielle cose celesti e divine (e nella rivoluzione finale degli enti avvi del celeste e del divino) dee contentarsi la mente di ritro- vare e descrivere alcun che di verosimile. Questo scri- veva Platone nel Crisia ad ammonimento dei pensatori ohe dopo lui tratterebbero materie si fatte. 711.  Noi diciamo, impertanto, che il progresso civile  due sorte di attinenze fuori di s ; V una col rimanente mondo visibile, l'altra con lo invisibile, ossia con quell'ordine superiore della finalit dove si effet- tua la vita razionale in modo assoluto e dove la legge del bene spiega immediatamente la plenitudine di sua efficienza. 712.  E quanto al primo genere di attinenze, chi vorr giudicare che di tutta la creazione visibile o corporea che tu la domandi questo solo pianeta nostro contenga un modo completo ed originalissimo del pro- gredire universale; il che porta essere l'uomo esem- plare unico e non mai ripetuto altrove d'un alto principio spirituale rivestito di corpo e servito da organi acconci a farlo signoreggiare sulla natura cir- costante? 713.  Perocch nulla non sussiste nella immensit del creato che non tenga suo luogo tra le fatture le quali anno ragione di mezzo ovvero tra le altre che anno ragione di fine. Ora, se i mondi visibili, e cio a dire gl'innumerevoli sistemi solari diffusi pel firma- mento,, non servono di apparecchio e dimora ad enti morali partecipi del bene assoluto, non essendo altro quei mondi in s stessi che materia e moto mecca- 956 LIBRO QUINTO. nico e chimico, ei non escono dalla natura del mezzo e il fine loro dee venir ricercato altrove e molto di- / scosto da essi. Ma chi non perde affatto il senso del / vero e del convenevole non  mai per estimare che tal fine concentrisi tutto nel nostro pianeta e nell' uo- mo ivi collocato. N, d' altra parte, far giudicio che quella congerie sterminata di mondi venga prodotta con intenzione di essere mezzo efficace e immediato air ordine superiore della finalit, posto che sieno essi non altro che corporalit e movimento, e per inferiori troppo e non consentanei con l'alto ufficio. Cos giungesi alla necessit di concludere che tutto il mondo visibile di l dal nostro pianeta o non possiede alcuna ragione ne di mezzo n di fine, il che  prettamente assurdo, ovvero che serve di apparecchiamento ed abitazione ad enti forniti d' intelletto e moralit e involti e chiusi nella materia organata. 714.  Oltredich, raziocinandosi con la scorta eziandio delle somiglianze strettissime e delle analogie copiose le quali passano tra il nostro pianeta e gli altri come tra la nostra stella centrale e le altre fuor numero disseminate nello spazio, dobbiamo reputare per sommamente probabile che elle compongono siste- mi vasti e differenziati dove abbiano sede creature di essere misto e partecipi al tempo medesimo di corpo- ralit e d'intelligenza. 715.  E giudichiamo anzi impossibile affatto (se- condo si accennava test) che data la esistenza del- l'uomo, e intendesi di tale ente che inizia nel creato un ordine nuovo ed originale di viventi, la natura non esaurisca nell' ordine stesso la immensit dei possibili, 0 se meglio ti piace, dei compossibili. DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 957 710.  N dica taluno : basta per dare un fine pro- prio e immediato ai mondi visibili di farli ricetto di qualche organismo animato ancorach irrazionale, ap- parendo di gi nei bruti un cenno e un vestigio di bene e potendo cotesto fine relativo e manchevole an- nettersi ad altro sommamente maggiore e migliore. Stieno pure le cose di tal maniera ; noi manteniamo tuttavolta che fra la creazione sconfinata della mate- ria mondiale e il nostro pianeta minimo, e quasi non percepibile a ragguaglio di quella, correr sempre tanta disproporzione e inferiorit per essa creazione mondiale, quanta se ne scorge fra la essenza umana e la essenza del bruto. Aforismo Vn. 717.  Nella quale sfera di enti commisti di anima razionale e di corpo, nem manco  credibile che l'uomo tenga la parte suprema ; ed anzi per tutte le cose di- scorse altrove ne' nostri Libri torna maggiormente pro- babile che egli della catena degli esseri soprannotati occupi solo il primo anello. Tanto pi che non toma agevole immaginare molte creature mezzane tra l'uo- mo ed i bruti ; e intendesi (come altra volta fu espresso) di creature le quali vengano a possedere mezza co- scienza del giusto e del retto e mezzo lume dei prin- cipi assoluti del vero. 718.  D' altro canto, ei non  lecito di presupporre l'ordine degli spiriti razionali ad una e corporei come sconnesso in fra s e col rimanente universo; impe- rocch nulla di sciolto e sconnesso incontrasi nella na- tura e massime fra le esistenze pertinenti a un me- 958 LIBRO QUINTO. desimo genere; ma ogni cosa invece si corrisponde e da ogni cosa esce una voce, a cosi parlare, del concento mondiale. 719.  Per simili considerazioni non  disdicevole di pensare che disparendo il genere umano dalla fac- cia del globo e cos rompendosi il corso del perfezio- namento civile, ci accada per far luogo ad alcuna esistenza migliore e pi perfettibile o quaggi sul nostro pianeta medesimo o veramente altrove. E come cia- scuna nazione vedemmo far parte dell' organamento sociale e comune di tutte e venire anco manomessa al profitto e incremento di quello; cosi lo sviluppo suo intero e il perfezionamento finale del suo grande con- sorzio  forse parte d' un organamento sociale pi vasto e sublime, sebbene esterno al nostro pianeta, e di cui non torna possibile definire l'indole propria e parti- colare e descrivere i legami occulti ed assai misteriosi con esso noi. 720.  Basti sapere che esistono. Avvegnach non  razionale, per lo certo, il credere che i pianeti sono attratti dal Sole, il Sole da alcuna costellazione, le costellazioni V una dall' altra, e che tutte mandano lu- me e ricevono e tutte s' aggirano e nuotano, a cos parlare, in un medesimo etere; non  razionale, replico io, il credere a queste rivelazioni dei sensi, e poi giu- dicare che le specie spirituali difi^use per quei gran corpi e variamente organate non abbiano, quando che sia, ad avere legame alcuno reciproco n attrazione e luce comune di anime n altra sorta di scambio e partecipazione. 721.  Noi dobbiamo, adunque, fermarci a questo concetto che  il pi comprensivo e per pi degno della natura, e cio che tra la vita razionale purissima e la irrazionale e vegetativa interviene la creazione di DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 059 enti molto simili all' uomo in quanto risultano di ma- teria e di spirito a cominciare da esso l'uomo infino a quelle sottilissime organizzazioni in cui la materia si stia soggetta e lo spirito signoreggi pur tanto clie le discrepanze fra i due componenti riescano meno f assai travagliose e funeste che nell'uomo non sono.  722.  Perocch quando fu pregato che il regno di lass avvenisse sopra la ferra ci debbesi intender per tutto quanto 1' universo corporale e visibile e deb- besi credere che se le anime intelligenti anno per de- stinazione ultima di salire alla vita razionale perfetta nel cielo, tuttavolta, qualche parte del cielo influisce (^ si manifesta eziandio fra i Soli e i pianeti; dappoich si legge la eterna citt discendere fra i mondi creati bella ed ornata siccome sposa : vidi sanctam civitaiem Jerusalem descendentem de ccelo. ^- Fu avvisato, poco addietro, che il moto perfettivo del consorzio civile umano debbesi accompagnare ezian- dio con r altra sorta di attinenze che guarda l' ordine superiore e sintetico della finalit. Di questa sorta, importante, rimane che si ragioni sotto brevit. E per- ch il subbietto  gravissimo e compie e corona, per via di dire, la nostra cosmologia, perci noi ne trat- tiamo nel Capo che segue come in disparte dalla ma- teria generale in che va compreso. Laonde il Capo sar quanto poco difi'uso altrettanto, se non e' inganniamo, pieno di sostanza. E visto che i concetti compariranno od insoliti 0 nuovi, noi studieremo di appianarli con la semplicit e precisione del dettato. 960 LIBRO QUINTO. CAPO DECIMO. SEGUE LA STESSA MATERIA. Afobismo I. 723.  Quelle attinenze che passano fra il moto perfettivo umano e l' ordine superiore di finalit sono del sicuro comuni a tutto il moto perfettivo, quale che sia, dei sistemi solari onde  pieno lo spario. Im- perocch ogni moto s fatto applica senza meno e particolarizza la gran legge universa del progredire; ' salvoch nei mondi visibili tali applicazioni e spedfi- 'cazioni vengono di necessit ristrette, indugiate e per mille guise impedite dalla corporeit. 724.  Ma la legge del progredire (si disse piii fiate)  sinonima con la legge morale che n' esprime la essenza; ed entrambe sono sinonime con la dispensa- zione provvidente del bene assoluto. Laonde, se il moto perfettivo deUe societ degli enti morali disseminate pei mondi visibili non si compie nel bene, sarebbe vacuit e mentirebbe al suo nome. 725.  Ora, considerando, sotto questo rispetto, il nostro progresso civile e le innumerevoli specificazioni che supponiamo rassomigliarlo negli altri mondi, si raccoglie che del progredire poco meno che indefinito degli enti morali in comunanza di vita gP individui fruiscono appena un punto segnato nello spazio e nel tempo e copiose generazioni si spengono avanti di as- saporare una bench minima particella del bene pre- parato con travaglio immenso ai discendenti remotis- DEL PROGRESSO NELL' UNIVEKSO. 961 siroi. Anzi parlandosi del moto perfettivo umano, dee venir confessato che ottanta o novanta migliaia d'anni sembrano essere trascorsi in dolorosi apparec- chiamenti, e che perci tutta la grandezza e perfezione civile della quale fruiranno i tardi abitatori di questo pianeta non rinfrancher del sicuro il novero incom- putabile e quasi infinito di creature razionali com- parse ed estinte nella fuga di tanti secoli. Se ne ristora bens e se ne ricompensa via via la specie propagata e la persona morale di tutti i consorzj civili, continuando ella ad esistere per tutte le et insino al termine che avr spiegata ed effettuata la facolt intera di miglio- ranza e perfezione in lei contenuta. 726.  Ma nel fatto gP individui soli sussistono e il progresso della persona morale di cui si parla guar- dato in disparte dagl'individui riducesi a qualcosa di astratto o per lo meno a qualcosa di collettivo senza unit e perennit di sostanza ; e perci neppure il bene vi si sustanzia ed unifica. Afjbismo ti. 727.  Nel vero, i singoli uomini procurando il bene della persona morale suddetta, occasionano a s medesimi un premio immortale e vi esercitano nobil- mente le facolt loro, come apparecchio alla vita ra- zionale futura; laonde nel quarto Libro affermammo noi che tutto il bene relativo, il quale  voluto e fatto dall' uomo sopra la terra e conformemente ai precetti morali, gli si converte in una specie di organo per ascendere alla perfezione della vita spirituale migliore. 728.  Ma tuttoci non toglie che il bene dell'in- dividuo e il bene collettivo della social comunanza il quale si forma e cresce nella sterminata lunghezza del Maiuiii.  11. 61 962 LIBRO QUINTO. tempo non sieno termini separatissimi ; e per fermo, r un bene non  continuazione ed espansione dell' al- tro ; e sono cause ed atti connessi ma al tutto diversi. Una cosa  T edificio dismisurato che i lavoranti a coppia a coppia murano e innalzano, e un'altra la buona mercede che vi guadagnano, e V arte e V abilit che vi acquistano. A, 729.  Non si nega che il progredire travaglioso delle comunanze degli enti morali e il prolungarsi d queste nelle migliaia di secoli, e il succedere una mi- gliore ad altra venuta meno, e il compiere tutte insieme ogni diversificazione possibile del vivere oonsorzievole nei mondi inferiori non valga a fornire materia di spet- tacolo maraviglioso a un ente divino il qual possa dal di fuori comprendere, per si dire, ad una girata d' oc- chi la vita compiuta di esse comunanze e i loro lega- menti e succedimenti ; nel modo che  lecito di fare a noi locati in alta vedetta e riguardanti una gran ran- nata di popolo 0 r evoluzioni di uno esercito e d'una armata di mare che sembrano moti e gesti d' un sol corpo gigantesco retto da un' anima sola. N agli Dei della gentilit riusciva forse questa contemplazione poco degna e poco sufficiente ad assegnare alle cose il lor fine. Ma certo ella  indegna e sproporzionatis- sima verso la bont e saggezza infinita dell' Iddio vero, il quale non giudica di assegnare altro fine alle cose eccetto la partecipazione massima del bene asso- luto, e per del bene sostanziato ed unificato; il che non succede nell' essere collettivo ed astratto del con- sorzio civile. DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 968 Ajtorismo IIL 730.  Ci non pu stare; e il bene astratto e quasi a dir nominale di tutta la specie dee convertirsi in bene sostanziale ed unificato; e trattasi di scoprire o per lo manco di accertare cotesto trasmutamento. 731.  Affermiamo, dunque, che il bene collettivo delle comunanze sopra descritte e il quale  flussibile e momentaneo negli individui e si perpetua solo ed allarga nel corpo sociale intero riflettesi neir ordine su- periore della finalit e diventa bene reciproco e non flus- sibile di tutti lass viventi la vita razionale perfetta.  ci accade perch fra le leggi essenziali di tutto V ordine della finalit  la comunicazione continua del bene, da onde venga e comechessia formato. Laonde si vuol giudicare che tal condizione si avvera necessariamente sempre ed in ogni luogo dove la separazione della ma- teria o la tristizia degli animi od altri impedimenti e violenze non difficultino e non interdicano la effettua- zione sua. E quindi per contrario si vuol giudicare che nei gradi pi alti e perfetti della creazione si ra- duna e si affina tutto il bene sincero degl' inferiori per naturale virt espansiva e comunicativa di esso bene. 732.  Oltrech noi dobbiamo aver mente a quello che fu statuito nel Capo quinto e sesto, e cio a dire la vita razionale assoluta confondere insieme l' oggetto e il subbietto, l'universale e il particolare mediante la vicendevolezza compita e perenne d'ogni dote e prerogativa dell' essere. E di qui proviene che il vivere razionale perfetto fu paragonato assai volentieri a un -'convito, dove la festivit di ciascuno  pure festivit e contentezza comune ed eziandio ciascuno sembra 5tt 964 LIBRO QUINTO. trasfondere V anima propria in altrui ; e come nel convito va attorno la coppa incoronata di fiori, cos per appunto va la benevolenza sincera e la letizia pacata e serena ; rimanendo incerto se riesca maggiore quella che si riceve, o V altra che si porge, o se pi vivasi dentro V essere piT)prio ovvero in quello di tutti i consorti. Aforismo IV. *^ 733.  Avvezzi noi alla contingenza dei fatti ed alla caducit estrema delle cose pi care ; e avvezzi altres all'indole privativa dei beni materiali non che allo egoismo profondo e invincibile della vita sensitiva ed organica, peniamo a persuaderci della sentenza solenne che io mi fo debito di ripetere e dappoi dimostrare, e la quale aflFerma che il bene nella sua essenza spi- rituale  natiiralm&nte diffusivo e comnmcabile. Rive- lasi in certi fatti determinati tra certi accidenti sotto l'ombra di certi fenomeni; ma questi venendo meno. la sostanza di lui quasi vapore sottilissimo di arso aroma sorge ed olezza in etere sempiterno. E laddove incontra idonea recettivit quivi si dispande e senza menomazione di s comunica se medesimo. 734.  La prima prova di ci esce dalla conside- razione che quanto le cose perdono di materialit e aquistano del contrario, altrettanto si fanno meno privative ed esclusive e pigliano maggiore virt di comunicazione. 735.  Ogni materia per sua necessit formale  divisa e di tutte le divisioni  causa. Laonde i corpi separati ed impenetrabili in ninna maniera possono dare ad altri senza torre a se stessi. Di qui la signo- ria gelosa delle terre e delle robe, le quali spartite DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 965 e distribuite a ciascuno impoveriscono i benestanti e i malestanti non arricchiscono. 736.  Per contra, avviseremo quelle sostanze che tengono poco o niente della materia, come la luce l'elettrico e l'altre conformi, mostrarsi inesauste e perenni nelle loro potenze e dando ognora di s paiono di se non iscemare. Sebbene tutto ci  simbolo e immagine di quello che adempiesi nelle cose effet- tualmente incorporee. Nel fatto, vediamo le idee, le cognizioni, le opinioni, gli affetti e ogni sorta di scien- za, ogni apprensione di bellezza, ogni magistero di arte trapassare velocissimo da intelletto a intelletto, e non solo non menomarsi cambiando subbietto ma ritornare da quelli ampliato e rinvigorito. Di tal guisa la sa- pienza di Socrate, per grazia d'esempio, non solo non perde a scorrere nella mente de' suoi alunni ma tor- na fecondata dei trovamenti di Senofonte di uclide di Antistene di Menedemo di Cebete di Platone. 737.  Il simigliante si pronunzi con sicurezza di qualunque altra sorta di possessi spirituali. Certo, la virt non sopporta detrimento alcuno versandosi fuori di s con r esempio e l' altre sue proprie efficienze. N succede diversamente all'amore all'amicizia e a qualunque onesta congiunzione ed unione degli animi. 738.  Rimovansi gli ostacoli, diceva Tullio, delle smodate passioni, dileguinsi le separazioni varie ed irremovibili che la materia intromette fra uomo e uomo e tra popolo e popolo, e scorgeremo a un tratto per semplice attraimento delle nature spirituali non che le genti d'un paese ma i regni le nazioni le liii-. gue e insomma la generazione umana intera vivere di una sola vita morale. d anzi dobbiamo recarci a mente che dove non fosse interposizione di spazio, segregamento di p^ 966 LIBRO QUINTO. corpi infermit e differenza di organi, tutti gli enti morali quanti ve n'  per l' universo e popolano le costellazioni lontanissime cesserebbono di occultarsi r uno air altro e incomincerebbe fra i mondi una benevolenza sociale quasi infinita. 739.  Discende dal fin qui detto, che ogni forma sincera di bene e partecipe del bene assoluto come  sostanza pura e interamente spirituale  diffusiva in immenso e comunicabile. Anzi aggiungiamo, che se r indole comune delle cose spirituali porta il non aver nulla in se di ripulsivo e di privativo e il fuggire le spartizioni e le divisioni, ci dee comparire singolar- mente nel bene; che fra le entit spirituali  dignit ed eccellenza maggiore, qualmente fu provato nei Libri dell'ontologia; e la verit stessa non  tutto il com- pimento e l'ultimo termine in s medesima; dacch il bene non  apparecchio alla verit ma s la verit al bene. Laonde non pu concepirsi che una parteci- pazione intima universale perpetua succeda tra le ve- rit e non succeda tra le forme schiette e purgate del bene. 740.  Concludesi, adunque, che nella economia generale e stupenda delle cose create ognuna di quelle forme n mai viene al nulla n si ristringe e chiude in s stessa. Onde lo spirito, a cos domandarlo, d'ogni bont d'ogni bellezza d'ogni scienza d'ogni civilt risorge lucente ed incorruttibile e fassi porzione dell'ultimo perfezionamento delle razionali creature, adunandosi, a modo di dire, e costituendo un'atmo- sfera celeste nell'ordine superiore della finalit e dove, secondo fu notato da noi, la definizione della vita piglia un'assoluta significazione. DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 967 A. 741.  Indizio di questo essere inconsumabile d'ogni buona e leggiadra cosa ci danno quelle industrie stesse dell' uomo onde le belle e fuggevoli creazioni di- ventano permanenti e capaci di vetust. Nessuna crea- zipne mostrasi pi fuggevole della musica ; e se l'arte dei tipi non eternasse quasi le melodie dei grandi maestri, un genio divino avrebbeli ispirati senza pro- fitto. Per simile noi vediamo le cogitazioni umane, e sieno anche le piii labili e momentanee, tragittarsi incor- rotte ed inalterabili per la lunghezza dei secoli ; e certo le pi degne riviveranno in tal modo infinite volte nella mente dei nascituri. L'ossa e le ceneri dei sommi scrittori, bench venerate, non furono potute difendere contro il tempo e le forze disgregative della materia. Ma vive tuttora merc dell'arte d'imprimere e splende vigoroso e fiorito il loro intelletto nei lor volumi e, se  lecito dire, discorre ancora e argomenta con le suc- cessive generazioni e ne scalda gli affetti e la fantasia. 742.  Meglio di tutto ci dee saper fare senza dubbio veruno l' arte divina ed anzi tutto ci proviene pure esso dal partecipare l'arte nostra dell'arte di- vina. 743.  Si scrisse in alcun luogo di questi volumi, il bene nella sua ibrma pi intima che  la beatitu- dine riuscire affatto incomunicabile ; il che pu sem- brare a taluno in contraddizione manifesta coi prece- denti aforismi. Noi crediamo non pure non vi essere contraddizione ma potersene dissipare con facilit le apparenze. T 98 LIBRO'^QUINTO. 744.  Cei'to, la beatitudine siccome tale  intrin- seca air essere ed  una forma interiore e profonda dell' attivit di lui ; e come sempre dicemmo T essere avere certa forma subbiettiva incomunicabile, allo stesso modo  incomunicabile la beatitudine inerente al fondo di quella forma. W non ostante, cotesto me- desimo atto beatifico, volendol cos chiamare, risulta dall'esercizio delle facolt razionali e morali e confor- masi in modo preciso alla legge etica universale ; tutto il che vale siccome dire che l' ente acquista beatitu- dine operando la diffusione del bene e vivendo in al- tri pi ancora che in s medesimo. 745.  Adunque, la beatitudine, in quanto  tale, av- vegnach possa venir replicata e moltiplicata fuori di s in infiniti subbietti, rimane intima all' essere e non pu riuscire interna ed esterna in tempo e con forma identica. Certo  peraltro che cresce la sua intensione col crescere intorno di s la reiterazione e simi- glianza perfetta del suo bene proprio e impartibile. Aforismo V. 746.  Ma che  mai questa essenza del bene espansiva eterna ed inconsumabile e nella quale sem- brano unificarsi tutte le azioni buone elette e magna- nime in quella maniera che in ogni bellezza partico- lare scorgiamo un lampo ed un raggio della medesima luce spirituale eterna ed incircoscritta a cui si d nome^di celeste pulcritudine ? Non v' egli pericolo di scambiare qui le astrazioni con le realit ? Imperoc- ch noi siamo insorti pi volte nell'ontologia e nella cosmologia contro coloro i quali figurano talune essenze create e nondimeno infinite in certa potenza causale e operanti in qualunque tempo e in qualunque spastio. DEL PROGRESSO NBLL' UNIVEJfcO. 969 747.  Avvi una legge morale, tu pronunciato da noi, che esprime con ischiettezza la gran legge del bene, e cio a dire l'ordine prestabilito e immutabile onde la felicit  partecipata nell'universo in quel grado massimo e a quel massimo numero di creature che la finit delle cose pu sopportare e serbare. Tal legge e tale partecipazione movendo da fonte infinita di bont e sapienza  natura assoluta, e perci sono eziandio assoluti i precetti morali e V ordine intero da cui risultano. Perci ancora  assoluta l'efiicienza della legge del bene; e tutte le forze contrarie della finit, della corporalit, dell'arbitrio abusato e d'altri fortunosi accidenti, ancora che possano indugiare o interrompere, deviare o sopprimere nelle apparenze la efiicacia integra ed irrepugnabile di essa legge, non per dimeno ella dee pervenire all' effetto. N questo si adempie accertatamente e secondo l' origine sua quando non piglia unit di sostanza n forma alcuna beatifica ; appuuto perch da ultimo esistono realmente i soli individui che sono sostanze une ; e il bene, d' al- tro lato, per tornare a fine vero e desiderabile assumer deve la forma della schietta felicit e con muta vi- cenda r uno includere e l' altro. 748.  Invocando, al presente, il discorso nostro al progresso civile da cui s' ebbe il cominciamento, dicia- mo che tutte le azioni in esso operate conformemente ai principj del bene del bello del giusto e del santo ebbero valore assoluto e ninna potenza impedisce loro d'incontrare quando che sia la pienezza del loro ef- fetto si particolare e si generale ; imperocch fu ve- duto questi due termini dovere nell' ordine assoluto morale conciliarsi ed unificarsi e con mutua vicenda l'uno includere l'altro. 749.  Di tal guisa il progredire e il perfezionarsi V 970 LIBRO QUINTO. deir essere collettivo e flussibile cui domandiamo pro- genie umana sopra la terra, mentre ci compariscoDo una quasi astrazione e un tutto insieme piuttosto d rapporti e di colleganze che di effettive realit, deb- bono ricuperare altrove la concretezza loro pienissima in sostanze une e singole. E vogliam dire che il bene ii quale si va raccogliendo quaggi ed accumulando di et in et dalla specie intera ed  perduto od ap- pena assaggiato dagli individui e compiutamente per- duto per le generazioni tutte anteriori viene ripigliato da, queste e da quelli pi che abbondantemente nel- r ordine superiore della finalit, dove la vita loro di- venta una e perpetua con la vita della specie che quivi si raduna novellamente e si ricompone. 750.  Dicasi adunque senza ambage ed esitazione che ogni incremento schietto e purgato di bene nella tale civilt o nel tal secolo o nella tale schiatta river- bera, a cos favellare, nelle altezze ultime dell' universo. 751.  Sempre i moralisti anno sentenziato che la retta e forte deliberazione costituisce il proprio valor morale di nostre azioni, e quando T effetto non segue per ostacolo esterno, ci non deroga minimamente al detto valore.  cosi dee stare quanto al perfeziona- mento nostro individuo ed alle sue conseguenze. Tut- tavolta mancando T effettuazione esteriore viene altres a mancare l'efficacia della legge del bene; ma perci che si disse, quella efficacia essendo assoluta non pu dagli accidenti venire affatto annullata; quindi, se non prima, risorge del sicuro nell' ordine superiore della finalit, dove per la comunicazione compita del bene il valor morale e particolare degl' individui si & uni* DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 971 Tersale e questo vicendevolmente aggiungesi aglMndi- vidui. Per cotal guisa il fine subbiettivo confondesi con r obbiettivo e non sono pi separati come nell'opinione volgare; e ci che opera l'uomo singolo da s ovvero opera collettivamente il corpo civile od anche in pi nazioni e tempi tutto il genere umano riviene a un medesimo, considerata la riverberazione eterna che  nell'ordine superiore. 752.  N dee trascorrere inavvertito, come con que- sta dottrina, che a noi sembra verissima, la legge uni- versale di progresso e perfezionamento riesce una da per tutto ; e non ostante la variet forse incomputabile delle applicazioni e specificazioni sue per li visbili mondi, nullameno essa le congiunge tutte quante con nesso strettissimo alla forma sublime della vita razio- nale perfetta. Aforismo vi. 753.   notabile sopra modo nel nostro proposito quello che la coscienza a pur suggerito sempre alle anime giuste e gentili ; io vo' dire che v'  nelle cose buone uno spirito ed una essenza del bene la quale mai non si altera e nel mondo e fuori del mondo si sem- piterna. Per fermo, onde nasce egli quel sentimento profondo e non cancellabile che tutte le cose per ul- timo tornano vane o sazievoli eccetto quella porzione di bene sincero che in s racchiudono? Quando la for- tuna imperversa e agl'imprendimenti puri e nobilissimi seguita efi'etto contrario e le speranze sublimi di una nazione e di un secolo intero falliscono, l' anima si ri- stora pensando di aver voluto il bene fermissimamente e in ninna guisa si persuade eh' esso debba giacere impotente e infruttifero. Senza cotesto riguardamento al pr^o quasi infinito degli atti onesti e magnimi che 972 LIBRO QUINTO. diventa la fama e la gloria umana? Togli di mezzo tale comunicauza arcana del temporale con reteriio. tali divini trapassi e commerci tra l'ordine inferiore ed il superiore della finalit, e tu scorgi immediata- mente rappiccinire e svilirsi le cose che svegliano ma- raviglia e riverenza maggiore; i Romani quanto si dif- ferenziano dai ladroni delle vieV E Cristoforo Colombo, ohe apparisce simile a un Dio quando approda alle Antille e vi pianta il vessillo spagnuolo a nome di Ges Cristo, di re Ferdinando e della civilt occiden- tale, che altro diventa egli se non lo scopritore di una spanna di terra e di mare tenendo V una e l' altro mi- nor proporzione ancora con la grandezza del nostro sistema solare? 754.  N il sentimento delF animo ci assicura del pregio eterno dell' ottime azioni perch gioveramio (]uando che sia con l' essere ricordate ai futuri o ve- ramente perch frutteranno premio agli autori nel mondo di l. Queste e altrettali considerazioni, ancora die possano venire a mente, lon sono la causa imme- diata e particolare di quel sentimento. Perocch ve- dremo, guardando con attenzione per entro alla sua natura, che per moto primo e spontaneo delle coscienz* giudicano gli uomini essere nelle eccellenti azioni ed imprese un che di assoluto di eterno di universale e d' inconsumabile, uno spirito di bene che esiste per s e splende e vive non perituro e in disparte da ogni effetto particolare di altro bene che ne possa provenire. A, 755.  N solo il sentimento morale ci testimonia s gran verit ; che anno fatto il simile i pensieri re- ligiosi e le meditazioni profonde e mature d' intomo al Santo. E nel vero, tutto questo che noi veniamo DEL PROGRESSO NELL' UNn^ER.^0 973 ponendo nel Capo presente col lume della cosmologia la fede cristiana radun ed espresse in quella parte del suo simbolo che domand la Gomtmione dei Santi; e volle eh' effettualmente le opere buone di tutti i cre- denti sulla terra e nel cielo costituissero un tesoro immenso di grazia e di gloria al quale partecipasse ogni giusto e chiunque  annoverato fra gli abitatori della Citt di Dio. AroBiSMO Vn. 756.  Ogni progresso adunque di perfezione che fanno le societ degli enti morali nei visibili mondi si riflette ed insempra nelle alte regioni del vivere razionale migliore. Le dimostrazioni furono date e non ci compaiono leggiere ed invalide. Ma chi domandasse del modo col quale lo spirito e la essenza del bene di quaggi ti-apassa nell' ordine superiore della finalit chiederebbe forse pi assai di quello che*  ragionevole di esigere dalla scienza del Cosmo. 757.  Tuttavolta se noi pensiamo che ogni pro- gresso di perfezione, lo vuoi comune o individuale, ebbe ad autore tale anima o tale altra, noi ardiremo di dire che ogni perfezionamento il pi particolare e speciale impronta eziandio le anime di note speciali ed incan- cellabili e seco le portano esse l dove incominciano vita purissima di ragione e moralit; e perch quivi non sono separazioni e il bene si d e riceve mutua- mente ed assiduamente, perci quelle note e forme par- ticolari delle anime sono tutte partecipate e diventano universali. Afobtsmo viti. 758.  Il bene vero, si disse pi volte, emana dal- l'Assoluto, e perci le anime lo attingono originalmente 974 LIBBO QUINTO. per la congiuuzione loro immediata con Dio e ciaacona r attinge secondo che  fatta e condizionata. CSaacan bene poi cosi derivato si comunica e la comunione ac- cresce facolt nelle anime di azione pi potente e per tornano ad attingere all' Assoluto con maggior Ygore e profitto e cosi in perpetuo. N altramente si compie la diffusione e confunicanza stessa del bene che per un atto assimilativo e per certa acconcia appropriazione ; e vogliam dire che la comuni- cazione  modificata dalla energia dell' essere parteci- pante ed  conformata all' indole peculiare di lui. 759.  Cosi da ogni banda riceve conferma il nostro principio che essenza del bene  V attivit ; e perci nella vita razionale suprema pervengono all' apice lon) i due intenti massimi ed ultimi della saggezza e bont creatrice che noi chiamammo per appunto Attivit e Partecipazione. CAPO UNDECIMO. ULTIMA CONFESSIONE. 760.  Prese questa nostra opera cominciamento dall'Assoluto, perch da lui  il principio e niente non presuppone sopra e avanti di s. Dall'Assoluto poi conseguita, al sentir nostro, la necessit piena e im- mediata dell'atto creativo e per la certa esistenza delle cose finite. Ora, quando si stimi che alla potenza dialettica possa venir fatto di fecondare i prncipj e le somme generalit intorno il creato per guisa da rca- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 975 varne un ritratto ben lineato e rassomigliante della na- tura, noi possederemo una cosmologia razionale dav- vero e apodittica. N questa perder esso pregio in tutto, se alla deduzione intromette alquanti dati spe- rimentali, assunti, per altro, siccome ipotetici e con- nessi ai principj col legamento speculativo della pos- sibilit. 761.  Ci non pertanto, la dottrina dell'Assoluto e qualchesia potenza ed abilit dialettica non anno balia d'affermare che alcuna cosa finita sussista presente- mente. Puossi ben dire, per grazia d'esempio, che debbe esistere necessariamente un essere razionale e morale tornito di anima vegetativa e partecipe del fine asso- luto. Ma che esista oggi ed in tale punto di spazio e che ieri esistesse o no ed abbia seco questi accidenti ovvero cotesti,  impossibile di conoscere per deduzione e come suol dirsi a priori; attesoch cotali notizie vengono attinte da scaturigine troppo diversa quale  il sentire ed il percepire. Tuttavolta, dappoich l'uomo  doppio e misto di senso e ragione e dentro l'animo suo sta la coscienza una s dell'atto percettivo e si dell'intellettivo, egli acquista naturalmente la facolt sicura e preziosa di ragguagliare insieme i due ter- mini ancorch per indole diversissimi e relativi ad og- getti opposti non che diversi. 762.  Di qui succede, che nella interezza del fatto cogitativo r Assoluto non si manifesta onninamente in s e per s, ma come oggetto perenne ed illimitato di una visione ideale. Quindi quel fatto cogitativo assunto e significato nella sua compitezza il che vuol dire quale fatto presente ed umano debbe venire cos espresso : io penso Dio essere ineffabilmente qtiello che , 763.  Ma d'altra parte, tale mio atto cogitativo terminando effettualmente nell'Assoluto e questo esi- 976 LIBRO QUINTO. stendo in s e per s ; ognora che io fo astrazione dal subbietto e annullo e sperdo la mia propria entit nella contemplazione delP obbietto in disparte dal rimanen- te, io sopprimo il finito particolare e attuale ma non danneggio V essenza del vero. Conciossiach il vero e la scienza sono obbietti W e s' immedesimano con l'As- soluto. 764.  Da ci si vede, e l'avvisiam di passata, quanto sia malagevole il chiudere ogni controversia sul metodo dei psicologi e quel degli ontologi. Stante- che Tuomo risultando di obbietto e subbietto avr sempre arbitrio di asserire che incominciandosi dal- r obbietto assoluto e in separato dal rimanente s'inizia il filosofare da mezza astrazione. Ma V error grave poi de' psicologi, qualmente fu dimostrato nel primo volume,  quello di sperare e volere che dal fatto particolare e attuale delle nostre cogitazioni, ed anzi delle mie pecu- liari e individue, proceda con vigore scientifico e valore universale e assoluto la dimostrazione del primo Ente. 765.  Ad ogni modo, egli  certo pure altrettanto che il ragionamento a priori non s' imbatter mai nella percezione e nel fatto come in suoi conseguenti; ed anzi la sola cosa onninamente impossibile a lui di provare  la presenzialit della percezione e del fatto. Onde  che bisogna non gi dedurli, ma ricercarli l dove sono realmente, e cio nell' atto nostro cogitativo di costa alla visione ideale. 766.  Segue che le dottrine ontologiche e cosmolo- giche ricevono il compimento loro nella psicologia. E ci, non perch senza questa sieno mozze e manche- voli in quanto dottrine universali e apodittiche; ma in quanto appartengono ambedue all'uomo; n senza un atto d'astrazione si slegano. originalmente dal sub- bietto individuale. DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 977 767.  Non comincia dunque siccome vogliono molti il filosofare dalla psicologia, ma invece termina in tal disciplina assai regolatamente. E per rispetto a questa mia opera io vi dovrei ricercare con pi perspicacia le nozioni delF uno e dell' essere in quanto sono abi- tuali ed informative dei nostri pensieri ed affetti e stu- diarle con diligenza nei riferimenti loro assidui al no- stro spirito e alla natura esteriore che mai non  identica ed una in qualcliesia cosa e mai non  l'es- sere astratto ed universale; ed anzi negli enti finiti mai questo essere generalissimo non si ritrova ne di- stinto n distinguibile in maniera veruna. Per simile, io dovrei i^cercarvi con indagine lunga e paziente la dottrina bellissima che io domandava dei cinque in- flussi divini e tutta la quale procede mescolatamente di ontologia e psicologia. 11. 768.  A cotesti argomenti io dar mano pi tardi se mi regger la vita e la mente; e seutomi astretto per ora di rimettermi al poco che io n'  discorso nei Libri ontologici e nel secondo segnatamente. Credo il let- tore*sia stanco e tediato di tenermi dietro, quanto io di procedere oltre, si per lunga fatica e s per un crescente scoraggiamento che entrami addosso, e dal quale nes- suna ragione e nessuno artificio  valevole a difendermi. 769.  E dappoich mi son fatto debito in questi volumi d'introdurre chi legge alla storia occulta dei miei pensieri come non dannosa ed anzi giovevole a dare esperienza e buon indirizzo ai giovani alquanto novizj in cotali discipline, siami conceduto di raccontare sotto brevit per che cagioni l' anima mia venuta fuori oggimai dal gran pelago della metafisica  Si volge all'acqua perigliosa e guata. > Mahuni.  11. fd 978 LIBRO QUINTO. E se altri verr stimando che io il faccia per provo- care indulgenza e benignit verso queste povere pagine io non mi sbraccer per provargli il contrario. 770.  Sappiasi adunque che poste insieme, or a qualche tempo, le molte carte dove io ero andato, parte abbozzando e parte sponendo i miei cinque li- bri di cosmologia, m'entr in cuore (come spesso mi accade) un dubbio fierissimo d'aver gittate il mio tempo, e che era miglior senno il mettere li scartabelli in disparte od anche farne un fal in cospetto della effigie di Antonio Rosmini che l pendeva da una pa- rete del mio scrittoio. E mentre io mi rivolgevo in tale umor malinconico, volle il caso che veniss^rmi sotto gli occhi le Memorie del generale Carlo ^wch% un picciolo volume nel quale a pag. 107 l^gevo queste parole:  Bologna era sossopra. Le politiche fazioni febbrilmente s' agitavano ed erano alcuni che speravano vincere tuttavia con 1' aiuto del furore popolare. Fra essi stava il conte Terenzio Mamiani Egli venne da me, mentre fuggivano i suoi colleghi di go- verno per sollecitarmi a mettermi a capo della popo- lazione, onde sostenere per le vie della citt una di- sperata resistenza.  771.  Per prima cosa, io mi sentii commovere l'ani- mo da dolcezza non ordinaria perla menzione cortese che di me volle fare pubblicamente quel veterano insigne dell' armi italiane e il quale pi volte posesi a pericoU estremi per carit della nostranfelice patria. 11 secondo mio moto fu di sorridere di quella baldanza davvero gio- vanile e inconsiderata e paragonarla con la presente pu- sillanimit. Sebbene io sentivo la differenza che passa tra il cimentarsi nelle sollevazioni l^ttime e nelle prove temerarie ma generose d' un popolo e l' affrontare il giudicio dei dotti sopra un lavoro di scienza. Che DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 979 l  glorioso persino il soccombere, e qua invece la disfatta succede immancabilmente con vergogna e con beffa. 772.  Tutta volta, quell'essere stato come a forza rimenato dal detto libro alle memorie di mia giovi- nezza e quel ripensare alla fiducia e serenit dello spirito che io venni allora serbando a Rimini, ad An- cona e perfino nelle prigioni dell' Austria in Venezia, mi rinfusero in cuore pii calma e pi sicurezza che io non era per procurarmi da me medesimo. Quindi ri* pigliata la penna, posimi alacremente a dar compitezza all'opera mia. 773.  Quando ecco un altro accidente mi soprag- giunse di li a pochi mesi che rinnov i dubj e rin- fresc le paure con troppa ragione. Io aveva per ap- punto finito di ricopiare il quarto Libro di questo volume dov'  quasi tutta delineata la teorica della vita, allorch il signor Marco Debrit ginevrino, e del- l'Italia s benemerito, venne a visitarmi col dove io ero (che non ero in Italia), e meco s' intrattenne amo- revolmente pili giorni in conversazioni tanto piacevoli quanto per me istruttive e fruttuose.  Panni, disse egli un mattino, che la condizione vostra presente sia molto pili riposata e benissimo accomodata a ripigliare con agio gli studj intermessi. *   Cos , rispondevagli io. N il corso di mia natura poteva essere impedito e sviato per lungo tempo. Nasce ciascuno sotto sua stella. Io nacqui col prepotente bisogno di investigare, e forse mai sempre a vuoto, l'alta cagione e ragione delle cose. Nondimeno , mi  forza dire che del picciolo ed oscuro mio dramma l' episodio ultimo  stato bel- lissimo e invidiabile a tutti. E cos  confermato quel giudicio dei retori che nella pi parte dei poemi pre- vale e vince indebitamente la bellezza degli episodj 980 LIBRO QUINTO. che sono in fondo iutramesse ed appiccagnoli.  Eutro, riprese il giovine, nel vostro concetto ; e davvero voi do- vete reputarvi felicissimo fra gli uomini di questa et d' essere stato nel governo collega del maggior politico de' nostri tempi e avere con lui sottoscritto i decreti pei quali si accettavano quelle annessioni di provincie e que' plebisciti di popoli che crearono alla perfine il sospirato regno d'Italia.  774.   Voi la intedete pel verso, io risposi, e poco fa che io dovessi parere, come un proverbio dice, la quinta ruota del carro. La fortuna e gloria di quelle sot- toscrizioni chi me le potrebbe strappar di mano? E v' questo di vantaggio ch'essendosi nel 49 rinno- vellato con fiera perseveranza e con acre soddisfazione il decreto del mio esilio lunghissimo, il mio buon ge- nio porsemi il sovrumano compiacimento di cancellai-e io stesso quella odiosa sentenza accettando di conserto con gli altri colleghi e a nome dell' ottimo nostro Re il plebiscito dei Marchigiani e degli Umbri. 775.   Ma usciamo di queste rammemorazioni, per care e onorevoli eh' elle sieno, e torniamo a guardare nel volto celeste della nostra comune amica la Filo- sofia. *   Torniamo, disse egli, eh' io lo fo sempre di gran buona voglia. * 776.  Cos dispiccata la mente dagl' interessi mon- dani, l'alzammo alla contemplazione dei divini para- digmi, e dopo un libero svagamento e discorrimento di l)ensieri speculativi il colloquio si ridusse quel giorno medesimo al subbietto mio geniale ed abituale che  r ordine della natura e i misteri e le origini della vita. Sopra il che io venni a sommo agio sponendo all' amico mio i principj e le deduzioni che avevo rac- colte e proponevo di mettere a stampa. 777.  Al compiersi del mio discorso il Debrit fece DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 981 un po^d silenzio e guardavami tuttavia con aria so- spesa e preoccupata. Alfine , sorridendo, cos prese a dire :  Voi test uscito d' una rivoluzione politica vi figuraste di trovar quiete e riposo nel mar della scienza. E pare, invece, che non sappiate il vento procelloso che ora vi soffia. A voi, se bene v' intendo, seguita sempre di gradire il concetto espresso ne' vostri Dialoghi, gi sono parecchi anni, della immutabilit delle specie. Ma il Darwin, insigne zoologo inglese, pubblicava di recente un volume il cui vero costrutto, levate le reti- cenze, consiste a dire che la vita vegetale e animale sul mondo  un lento vario e continuato trapasso da minime mutazioni ad altre pur minime ; e le specie, non che persistere sempre neir essere loro, si cambiano invece e si trasformano compiutamente, e questa di- venta quell'altra e quell'altra una terza e via pro- seguendo.  III. A tale notizia d' un libro si nuovo e di concetti s arditi e col nome in fronte d' un grande scienziato, io mi rimasi, credo, con aria attonita; e le parole non volevano uscire. Poi rendetti allo scrittor ginevrino grazie particolari d'avermene ragguagliato, scusandomi seco alla neglio della mia grossa ignoranza e sospet- tando di dover forse cancellare e rifare da un capo all' altro la mia trattazione. Del che avvedutosi il Debrit risposemi prestamente :  Voi dovete, del sicuro, leggere e ponderare a dilungo quell' opera ma contur- barvene non dovete. Perch, qualora si trattasse per voi di competere o di scienza o d' ingegno col Darwin, certo neir una non  facile oggi a nessun consumato naturalista di superarlo; e nell' altro, non consente la 982 LIBRO QUINTO. vostra modestia di sperarne vittoria. Ma qui trattasi, per ci ch'io stimo, d' un paradosso abilissimamente proposto e difeso, e chi maneggia di rincontro le armi del vero, trova sempre modo da prevalersi contro qua- lunque avversario.  778.  N pi quel giorno s' intrattenne il conver- sar nostro sul libro del Darwin e sul durare o mutar delle specie. Ma una impressione salda e penosa era gi succeduta nell'animo mio. Che quell' essermi ri- masto occulto uno scritto diventato in poco d' ora fa- moso fecemi a un tratto ripensare alla mia troppa ignoranza, e subito mi rimisi nelle cogitazioni di prima che era pazza presunzione la mia di parlare al pub- blico De rerum natura in sul mancarmi della vita, e cio quando io non poteva n coli' affacchinare in sui libri n col frequentare scuole e accademie erudirmi a sufficienza intorno d' una materia si vasta, si diversa, si moltiforme. E appena fu che vi bastasse l' ingegno e il sapere dismisurato dell' Humboldt. 11 Cuvier non vi si volle provare ; e il Buffon capitato a' nostri tempi e vista la strabocchevole ampliazione degli studj forse avrebbe smesso il concetto di scrivere sulla gran fab- brica del mondo, siccome fece. Ogni residuo di coraggio dileguavasi come neve al lume e al caldo di queste con- siderazioni. E sarei per avventura tornato alla prima de- liberazione di chiudere sotto chiave i miei cinque Libri od infliggere loro la pena che Pomponio Leto usava ogni anno ad onor delle muse negli epigrammi di Mar- ziale. 779.  Ma la vanit degli autori quando ben bene si crede morta d certi guizzi e sbalzi improvvisi da non li credere chi non li vede, e sono men tenaci a vivere le serpi pestate ed arrandellate. Il fatto  che nel fondo dell' animo di essi autori abita uno spirito DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 983 pronto sempre alle riscosse ed alle difese e il quale fa professione di ribattere capo per capo tutte le ra- gioni contrarie al nostw amor proprio ; e davvero che potrebbesegli apporre nome di avvocato dei poveri essendo che egli quasi l' abbia per obbligo non lascia derelitta nessuna causa la pi spallata e disperata del mondo. 780.  N altramente procedette la cosa nell' in- terno di mia coscienza ; che a poco a poco Y avvocato di cui discorro fecesi far silenzio e con voce in sul co- minciare molto rimessa venne cos ragionando. hi prova troppo, niente prova, e quando si tenesse per vero che gli Humboldt soli e i Cuvier e i radissimi pari loro possono tentare di scrivere sulla scienza del Co- smo, diventa necessario di cancellare affatto quella nobile disciplina dal novero delle materie che tratta il filosofo. Dappoich i sommi naturalisti, oltre il ca- pitarne solo uno 0 due ogni secolo, non si curano di me- tafisica o mancano del tempo e dell' agio per meditarvi sopra quanto bisogna; o veramente il sapere stesso pro- fondo che possiedono della natura toglie loro ardimento di farne ritratto compito ; e filosofando si tengono sulle pi generali, come pratic Leibnizio il solo sapiente che nel suo secolo bastasse a congiungere insieme la fisica e la metafisica. 781.  0 non i tu ricercato debitamente e deter- minato questo soggetto medesimo? Non ti risolvevi tu a credere che fra le somme astrazioni ontologi- che e la scienza minuta ed empirica dee procedere coraggiosa una scienza intermedia procedente fra la deduzione apodittica e la induzione sperimentale e tra- vagliantesi a lineare e colorire una qualche imma- gine dell' universo, tanto che le fila sparse sconnesse e disciolte o per lo contrario avviluppate e intricate 984 LIBRO QUINTO. di cento dottrine naturali ricevano qualche ordine e compongano un buon ordito nella gran tela descrttTa dei mondi ? 782.  Non provasti tu. mi sembra, evidentemente che simile scienza intermedia maneggiata da valentuomini dee tornare utilissima quando anche sia costruita d'in- gegnosi supposti ed invochi a sussidio suo le ragionevoli congetture? Ti manca la notizia d' infiniti particolari; e i pochissimi che conosci, conosci male e confusamen- te. Pu darsi. Ma tu non presumi d' insegnare a ninno i fatti minuti e speciali ; che anzi  costume tuo, bene avvisate e fermate le massime, illustrarle con la notizia respettiva di qualche fenomeno. Se questa  spesso in- compiuta e inesatta, rimangono saldi i principj;e in tanto numero di allegazioni, posto pure che tu prenda abba- glio su quella o quell'altra, il tutto insieme della teo- rica non pu soffrirne detrimento, come non si scrolla un vasto edificio e non si sconnette perch tal mattone  fesso tal pietra  smossa e tal travicello  marcito. 783.  Cos dentro l' animo la discorreva intrepida- mente il patrocinatore dei poveri. E s' io voglio dir tutto, io dovr aggiungere che la coscienza, la quale sedeva per giudice, essendo legata, com'io seppi poi, di stret- tissima parentela con V avvocato e non osando tutta- via di darla proprio attraverso alla ragione ed alla giu- stizia, si appigli al mezzo termine consueto e risol- vette di non risolvere pronunziando quei versi famosi :  Pacemi aver vostre ragioni udite; Ma pi tempo bisogna a tanta lite.  IV. 784.  Di tal maniera rimasto V animo quasi pa- drone di s lasciossi pendere dal lato delVamor pr- DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 985 pro e della vanit di scrittore e mise mano a stam- pare i presenti volumi. Abbiali il lettore in misericor- dia ; e perch tra me e lui avvenga onesto comiato, de- sidero narrargli per ultima cosa certo sentimento soave in uno ed elevatissimo nel quale  pur final- mente trovato giusto riposo. E sebbene al lettore non debbono importare nulla le circostanze di tempo e di luogo che occasionarono e forse anche generarono quel dolce sentimento, nuUameno mi voglia scusare il breve ricordo che gliene io, persuadendosi ancora con questo esempio che agli studiosi e meditativi Dio manda il suo spirito, infuso principalmente nell' aperto lume nelle voci armoniose e nell'aspetto vario e simbolico della natura campestre. 785.  Io villeggiava, or fa pochi giorni, vicin di Firenze, per dare buon termine a questo lavoro e fuggire i caldi assai stemperati della citt. Ne qui mi lascer vincere alla tentazione di descrivere le bellezze pittoresche del luogo. Che ninno ignora l' amenit dei dintorni di Firenze, e troppo maestrevoli penne vi si esercitarono. Solo dir che una sera in fra molte altre condottomi in sul largo terrazzo adiacente alla casa da me abitata e godendo la mite frescura che usciva del bosco vicino, m'entr nel cuore, io non saprei bene il come, una talquale mestizia che discordava di so- verchio con la dolce stagione e con le vaghissime pro- spettive che illuminate dal plenilunio mi si schiera- vano, per cosi dire, a gara davanti agli occhi e pare- vano in fra di loro competere di grazia e di gentilezza. Dal prossimo giardino, piante di agrumi, di rose e di catalogni esalavano le loro fragranze. Nel bosco qual- che rosignuolo ripeteva alla distesa il suo verso vibrato e squillante con quel gruppetto soave alla fine. Be- veasi a larghi sorsi e da ogni lato un' aura refrige- 986 LIBRO QUINTO. rante e salubre e tutte le cose parevano liete di ripo- sarsi e contente di esistere. 786.  Ma la luna batteva poco di l discosto e con raggio limpidissimo sulla croce d' una chiesuola e imbiancava le mura e le lapidi funerali dell' annes- sovi Campo Santo. Per la qual vista io dicevo in fra me : pi bella notte e pi dilettevole passar non potreb- be sulla faccia di questo nostro pianeta. Solo vi man- cano i balli aerosi dei silfi e le scorribande e i giochi innocenti d'altri eterei spiritelli; e n pur questo vi manca quando l'uomo lo creda o lo finga. Ma tanta va- ghezza di natura sar muta per sempre a tutti coloro che dormono colaggi in quel cimitero il sonno di morte. 787.  Tu prosegui, o madre divina delle cose, l'eterno corso delle stagioni e rinnovi immancabilmente al debito tempo le ghirlande fiorite e odorose del sacro tuo capo; e perfino tra le macerie fai spuntare vivace e ramoso il caprifico e fra le fessure delle pietre tingi di bel nero morato le bacche dell'edera e aspergi di fine olezzo le ciocchette degli amorini. Ma delle gene- razioni umane tu fai il conto medesimo che delle fo- glie autunnali sbattute dal vento ; e in pi luoghi del mondo e massime nelle Americhe volesti che grandeg- giassero foreste immense ed opache sulle sparse fon- damenta di vetuste metropoli e di regni e d'imperi a cui invidiasti perfino la sopravivenza del nome. 788.  Perfetta vacuit  dunque in ogni nostra impresa e fatica; e se tu guardi quaggi un poco alle nostre bassezze, quanto io devo comparirti cosa ride- vole coi miei lunghi aufanamenti per queste povere carte che io pongo a stampa. Le accetti il mondo o le spregi, incontrino poco onore o nessuno, sar il bisbigliare d'un giorno fra qualche gente in qualche miglio quadrato di paese. DEL PROGRESSO NELL'UNIVERSO. 987 789.  A pensieri s fatti che sono vecchissimi ed ovvj e paiono sempre nuovi era trascorsa la mente mia ; ne se ne poteva disciogliere e barattarli con altri meno gravosi. Intanto, la luna splendeva d'argento pi puro che mai nel mezzo del cielo. Spiravano i fior miglior profumo e dalle cime dei cipressi conti- nuavano gli usignuoli a farsi amoroso richiamo.  in quello stante cominci ad asolare dal colle della Pe- traia un ventolino piacevole che a volta a volta cre- sceva e sarebbesi detto che dentro vi susurravano certe voci blande e inarticolate della natura le quali poi arri- vatemi in fondo del cuore sembravano di suono chiaro e distinto e ne uscirono i concetti che io qui riferisco. 790.  Vana fatica sono gli studj, infruttifera sol- lecitudine le scritture e le stampe, avvegnach la notte dei tempi le invade e consuma. Vanissima pi ancora, s'egli  possibile, la fama degli autori, perch dura meno assai della scienza e la scienza meno assai della vita del genere umano. Ma da tutto questo sorge e vapora lo spirito immortale della verit; e la ve- rit si converte nel bene e il bene ondunque radunato e comunque dall'opere belle giuste sante e magna- nime ripiove nelle alte sfere della finalit e cresce letizia attiva e fruttuosa alla vita razionale perfetta. 791.  Simili sentenze, che ad altri suonerebbero oscure e involute, uuUa non possono avere d' incerto e d' enigmatico al tuo pensiero. Atteso che questa teorica appunto da te si professa e questo  il supremo costrutto della cosmologia tua. La natura che da ogni parte arride, come vedi, e festeggia, qualora tu la intendessi a dovere e il solo orecchio di carne non le schiudessi, farebbeti sentire il salmo che innalza perpetuo per sino dalle tombe e dai recinti dei cimi- teri all'autore sovrano di tanto marayigliosa dispen- 988 LIBHO QUINTO. sazione e comunicazione del vero e del bene. Ma tu nella tua canizie serbi T inettezza e la levit del cuor d' un fancinllo e sospiri con ingegno mediocre e impo- tente dietro la gloria d' un giorno brevissimo. Infrat- tanto temi le censure dei dotti lo sparlar degli scioli la incuria e il silenzio della moltitudine. Che cosa adunque ti rimane da non temere e dove riponi la tua fidanza? Egli sembra davvero che la vanit t^ in- volgesse come una terza placenta nell'utero di tua madre e in forma di sudario scender teco nel tuo sepolcro. 792.  E invece se tu badassi molto meno al pazzo amor proprio che alla coscienza e al dovere, tu avre- sti forse di che coTisolarti e una serenit perpetua di mente e di animo allegrerebbe gli avanzi della tua vita terrena. Imperocch questa giustizia puoi rendere con fidanza e con fermo giudicio a te stesso di aver cercato sempre e voluto la verit e la scienza con pu- rezza d'intendimento e con zelo passionato e sincero. E per la verit e la scienza ti sei fatto romito e quasi selvatico, e per fino ti 'sei sottratto agli allettamenti e agli onori della vita pubblica, in verso i quali ti con- ducevano naturalmente l' indole dei tempi e i casi da te incontrati. Che se fosti desideroso di fama oltre il convenevole ad uomo severo e virtuoso e fuori di pro- porzione col poco vigore della tua mente, mai non de- viasti perci d'un sol passo dal tramite della verit secondo che ti parve di ravvisarlo segnato e dischiusa) davanti a te. N poco ti dei compiacere che la fama medesima ti parve desiderabile sopra misura per cre- scere appo gli stranieri la riputazione della tua pa- tria tanto sbassata e umiliata. Quindi  che se appa- risse nel Bel paese un ingegno peregrino e largamente inventivo atto a riporre in seggio la filosofia antica DEL tROGRESSO NELL'UNIVERSO. 969 italiana, tu in luogo di concepirne pure uu^ ombra di {gelosia inchinerestiti innanzi a lui con gaudiosa^ rive- renza e per poco non baceresti le orme dei suoi piedi ])redicando da per tutto il nome di lui e la glora ri- solata d^ Italia. Questo solo  bello, questo solo  im- mortale ne' tuoi lunghi e sudati studj e vaporer co- me incenso dove nessun bene puro  perduto; e l ibrse per questo solo meriterai che ti si' rivolga il sa- luto caro e affettuoso che Dante salito al secondo cielo udiva farsi con quelle parole:  Ecco chi crescer li nostri amor.  Fine. INDICE. LIBRO PRIMO. DEL FINITO IN S. Capo Primo.  Altre ntime confesBion Pag. 3 Capo Secondo.  Del principio di causalit 13 Capo Terzo.  Aforismi della finit delle cose 34 Capo Quarto.  Dell' azione dei finiti 58 Capo (Jcinto.  Principj di mutazione e di congiun- zione e loro insufficienze 81 Capo Sesto.  Del finito, in quanto  accagionato della esistenza del male 103 LIBRO SECONDO. DEL FINITO IN RELAZIONE OoN l' INFINITO. Capo Primo.  Del positivo negli enti finiti 123 Capo Secondo.  Della immanenza di Dio nel creato. . 138 Capo Terzo.  Dei progressi della teodicea 147 Capo Quarto.  Aforismi delle pi generali attinenze del finito con F infinito 167 Capo Quinto.  Della unit nella scienza 207 Capo Sesto.  Aforismi intorno alla finalit 221 992 INDICE. LIBRO TERZO. DELLA COORDINAZIONV DKI MEZZI NELL' UNIVERSO. Capo Primo.  Aforismi intorno ai metodi della na- tura Pag. 237 Capo Secondo.  Segue la stessa materia 254 Capo Terzo.  Ancora della stessa materia 278 Capo Quarto.  Delle varie sorte di cosmologie apparse infno a' di nostri 301 Capo Quinto.  Dei limiti della deduzione in cosmo- logia 329 Capo Sesto.  Aforismi genetici 351 Capo Settimo.  Seguono gli aforismi della stessa ma- teria 379 UBRO QUARTO. DELLA VITA E DEL FINE NBLL' UNIVERSO. Capo Primo.  Del principio spirituale nella cosmologia. 419 Capo Secondo.  Primi aforismi sulla finalit degli enti creati 431 Capo Terzo.  Confessione d' un errore e definizione della vita 457 Capo Quarto. -^ Della vita vegetativa 462 Capo Quinto.  Della vita animale 492 Capo Sesto.  Aforismi della vita vegetativa 504 Capo Settimo.  Aforismi della vita animale 529 Capo Ottavo.  Dei nuovi materialisti 562 Capo Nono.  Della immutabilit delle specie 571 Capo Decimo.  Unit di disegno nella organizzazione. 580 Capo Undecimo.  Ancora della unit di diseguo nella organizzazione 601 Capo Duodecimo.  Delle grandi epoche genetiche. . . 622 Capo Decimoterzo.  Di C. Darwin e de' suoi discepoli. 679 INDICE. 993 LIBRO QUINTO. DEL PROGRESSO NELL' UNIVERSO. Capo Primo.  Ancora un poco di confessione e di epi- logo Pag. 699 Capo Secondo.  Teorica del progresso 726 Capo Terzo.  Si dimostra la necessit del progresso indefinito.. 746 Capo Quarto.  Ancora della vita razionale 762 Capo Quinto.  Prove sperimentali della teorica del progresso 779 Capo Sesto.  Ancora delle prove sperimentali 813 Capo Settimo.  Unit organica del mondo delle na- zioni 847 Capo Ottavo.  Segue la stessa materia 893 Capo Nono.  Dell' ultima forma del progresso nel- r universo 939 Capo Decimo.  Segue la stessa materia 960 Capo Undecimo.  Ultima confessione 974 UilUlfl.  II. 65 EBRAT-OOBRIGE. Pf^. lim. 2U, 18 simile a quello di Febo simile a quello di Fedro 880, 5 dispargendo 402, 6  diretto e diretto ^ 400. 7 si equilibri faccia equilibrio 4ie, 4 etereo etere 413. 80 meno determinata pi determinata 552, 80 Ghimpans Ghimpanz 570, 24 spirito suo anima sua 583, 1 ad una patera 0 ad una patera 652, 13 e la vita ; e V organiz- zazione ; e la rita e l' organizzazione 664, 80 con radumi raduni 689, 26-27 troppo dlfUcolt troppa difficolt 728, 8-9 cbe conseguita al pro- gredire che consguita al progredire 798, 19 dall'impero di Manete dair impero di Ramsete Aggiunta alla pag, 378, paragrafo 336, Nel mese di settembre di questo anno il Padre Secchi annunciava che la cometa del Faye  ricomparsa giusta le preTsioni e i calcoli del si- gnor Moller il quale non  tenuto in essi calcoli verun oonto della pre- sunta resistenza deir etere. Aggiunta aUa pag, 589^ paragrafo 389. Sono per gran cortesia del signor Professore Cesare D' Ancona ar- vertito che il celebre Owen esaminando test con somma diligenza 1* ani- male fossile di Solenhofen lo giudic essere un uccello e non punto un rettile alato. /r 1' f\^ - y#/^ y 1^ f',.^ *. . IL RINNOVAMENTO IN ITALIA mk musrsrDTiLSttsatD IN ITALU F/OPOSTO DAI. C, T. MAMIANl DELLA R. t/} {ESAMINATO APITOIVIO aO^nii^I-SEROATl MILANO Contrada di sant Alessandro MDCCCJXXyi' fJJ-. THN 'ITAAIRHN 4>lA0S0i6 delle idee, da quella della certecaa delle nostre cognizioni, e segreghi interamente l’una dall’altra. Che queste sieno questioni fra loro diverse, ninno, io credo, il vorr contraddire^ ma non penso, che molti si ac- conceranno con lui, in riputare la questione della certezza al tutto indipendente da quella dell’origine, di niniera die si possa avere una dimostrazione fermissima delle cognizioni senza bisogno di penetrare i prncipj onde a noi derivarono: con- ciossiach fin a qui opinarono il contrario i maggiori filosofi (1)4  A questi risultamenti finali siam pervenuti, egli dice^ ren- (i) Ecco come R. parla di questa opinione comune de’filosofi di tutti i secoli j i quali hanno sempre considerate come questioni S9mma- mente affini quelle dell'orgine e della certezza delle cognizioni  e perci hanno rsguardato anche quella prima come capitale iu filosofia ^ e strada alla soluzione della seconda: n Errano pertanto i filosofi  i quali s'avvisano 9t per un loro giudizio assoluto ed anticipato > non poter rilevare la forma  certa ed essenziale dell' intelletto ^ quando la generazione prima delie sue M idee e delle sue fiult rimanga congetturale. ( P. 1 e XVI , ^.'^ a(or. ). 8 M dendo noi la queattOAQ della realit (i) dello scibile Indlpen- u dente afiatto dall^ altra dell^ origine delle idee n (2). E altrove: u I fenomeni proprii dell^atto conoscitivo, comech rimanes-  sero oscuri ed inesplicabili, non impedirebbero tuttavia di u cercare con buon successo la prova fondamentale di tutto lo  scibile n (3). E per il nostro autore chiama la questione intomo air origine delle idee u tenebrosa ed arcana y> (4) , quando all^ incontro considera quella intomo alla certezza del sapere umano si come atta ad essere pienamente risoluta, e a risolverla mira una gran parte del suo libro. Dice ancora di pi sulle difficolt, che involge la questione circa F origine delle idee: egli avvisa, che, a malgrado che i filosofi di tutti i tempi abbiano trattata la questione del- r origine, tuttavia ninno P abbia potuta risolvere, e che per- ci  quantunque falsa ^ ^ reale. Non si cerca daUa filosofia se lo scibile sia reale in s stesso j. che di questo niuno dubita ^ n meno gli scettici ^ ma se sia vero relativamente alle cose^ cio alto a farcele conoscere. Questa osserva- zione  di grave momento ^ pi ch'ella non paja^'e necessaria di farsi ad qgni pagina  per poco > del libro del Mamiani. (2) P. II > e. XX;, ui. (3) P. II, e. IV, V. (4) f Vedes pure da ci una conferma nuova del grande vantaggio che M si raccoglie a sceverare la quistione della realit dello scibile da quella M tenebrosa e arcana delle sue sorgenti primitive; perch quando pure di w aeune universali idee resti occulta l'origine, non per tal l'alto dee rima- la nere occulta di forza la loro realit, e il modo d bene avverarla m ( P. H^ e. X, v ). (5) P. II, e. IV, V. Anche pi soUo, cio nel e. XI, iv, aflenna il medesimo, cio che * fino al di d'oggi lo sguardo acuto dei filosofi non sa 9t rintracciare con sicurezza n gli atti primitivi , n le forme primitive f delle nostre cognizioni ff, (6) Ivi. CAPITOLO n. Maravigliomi Intanto qui, che il signor Mamiani usi di questa ragione cos in generale. Perocch ella vale assai contro i varj sistemi immaginaci da^ sensisti^ ma che vigore ha ella contro altri sistemi? che vigore ha contilo cpiello da me proposto? I sensisti soli , non ponendo nello spirito umano nessuna naturai luce, di necessit danno nascimento alla conoscenza tutta mediante una scyg di mentali opei*azioni. Ora qual  la obbjezione che io ho fatta loro? Non ho io mostrato, che in quelle loro mentali operazioni appunto, ond^essi vo* gliono dare origine al nostro conoscere, s^ acchiude necessaria- mente Patto conoscitivo? non ho io mostrato, che la prima operazione compita della mente  un giudizio^ che questo sup- pone sempre un^ idea pi^ecedente, e pei*ci che con degli atti mentali, senza pi,  impossibile spiegar P origine delle idee ? Ond'io deducevo, che innanzi al primo atto della mente nostra, cio al primo giudizio, dee stare una idea non acqui- sita: ella dee stare in noi si come un fatto primo, un dono di natui-a , im elemento costitutivo della nostra iutelligenza ( i ). 11 C. Mamiani adunque non poteva affermare cos generalmente, come egli fa, che la generazione dell^atto conoscitivo non si co- nosce per la ragione che porzion di quelP atto sembra gi conte- nuta nella serie di operazioni, ond^esso si vuol derivare^ ma dovea, pare a me, limitarsi a dire, che i sensisti, e tutti quelli che non ammettono nello spirito qualche cosa di pre- cedente agli atti transeunti, non hanno modo di spiegare la generazione delle idee: che alPinconti'O tanto paiu'osa diffi- colt niente incomoda la dottrina di coloro , i quali ammettono nelP anima intellettiva un' intuizione immanente e connatu- rale delP essere. N dopo di ci, egli era obbligato ad abbrac- ciare il nostro sistema: potca rifiutarlo per altre ragioni, eziandioch avesse riconosciuto schiettamente , che nel sistema nostro sulla genesi delle idee non cade quella petizione di principio, che egli rinfaccia troppo largamente a tutti i sistemi in generale. (i) V. Nuovo Saf^io ecc., Sn. li. RosMisfi, // MinnovanuiU} u IO CAPITOLO m. Ma trattando delle difficolt, in cui ci avvolge la questione dell^ origine delle idee , egli procede pi innanzi. Non gli basta aver detto, che fin ora ella non fu potuta risolvere (affermazione che vale quanto la ragione di cui  corredata, la quale non avendo forza che contro i sensisti, d motivo di ti*aduiTc quell'affermazione in quest' altra: non fu potuta risolvere da' censisti )^ dichiara di pi, la questione dell^ orgine esser di na- tura sua conghietturale, e per non potersi mai condurre al positivo ed al certo del suo scioglimento. Eia ella  sempre ima grave asserzione quella, che fa un uomo a tutti gli altri, quando dice loro: Sappiate, che nelle vo- stre ricerche voi vi dovete fermar qui , e che V ingegno di tutti voi non pu passar questa linea che io tiro, usque hoc penies (i). C!onfesso, che il dir questo in alcune cose  pos- sibile: ma chi lo dice, reputo io dovere aver in mano una ferma e invincibile dimostrazione colla quale provi assurdo a pensar pure il contrario di quello che dice.  cresce il (i) U C. Maraiani dichiara francamente impossibili a rsolversi delle aU tre questioni . Al e. XIV della P. II afTenna insolubile la questione u in V che guisa la unit e la multiphcit , la identit e U differenza possono t insieme congiungers . E de' lavori de' filosofi sopra questa materia dice risolutamente cosi : w Tutti i sistemi apparsi fino al di d'oggi col pr** m posilo temerario di spiegare in alcuna maniera siccome l'assoluta unit  si svolga nella rooltiplicit ^ come l'essere identico si differenzii per mille m modi e accidenti > e viceversa come tutta la multiplicit e tutti i modi 1* si riducano all'uno assoluto e all'identico assoluto > finiscono nel pretto 0t assurdo  e dichiarano con deliramenti ingegnosi l'audacia inlellettualo  dell'uomo m. In questo passo e in altri simili egli pare, che il C. Ma-. IBani non dubiti punto che l' essere identico sia quello che realmente si differenzi in mille modi e che l'impossibile stia solo nel dimostrare come ci avvenga. Checch ne sia dell'opinione del sig. Mamiani intorno a ci, sembrami incoerente, che in un altro luogo del suo libro (P. II, e. XIX )^ parlando di questioni somiglianti alla indicala^ si limiti a chiamarle f no*> H tizie le quali non sembrano cadere fin qui sotto l'impero dell'uomo m. Se sono insolubili , come vi caderanno mai? ScntesI adunque in questo titubanze dei G. Mamiani, che ove un autore afferma e non dimostra ^ U coscienza atessa gli dice dentro di non esser sicuro dei fatto suo. 1 1 bisogno di questa ciFCOspe^ione alloca, che il parere comune dei dotti, se non anco il comun senso degli .uomini, tiene il con trario avviso , come egli pare che sia nel fatto della questione nostra intomo all^ origine delle idee. Ora quale  mai P invitta dimostrazione, onde il nostro autore munisce il suo assunto? Questa sola, che io reco nelle sue stesse parole: a Stante che K la nostra reminiscenza non pu rendere testimonio veruno  delle prime cogitazioni, e che fra quelle e gli attuali f*  nomeni non sembra correre alcuna identit necessaria , segue  che la ricerca intomo le origini delF intelligenza sia i  natura congetturale e non positiva  (i) Questa sentenza non semb]^a ella troppo assoluta? Con essa non si dubita punto di dare per ^''^issimo , che una sola via possa esserci di venire a notizia dell^ origine delle nostre idee, cio quella di ricordarci i primi istanti di nostra vita^ quasi avessimo noi stessi assistito colla svegliata nostra atten* zione al processo delle cognizioni acquistate nella nostra in^ fanzia. Da vero , che se ci bisogna ricordarci di tutto ci che  passato in noi ne^ primi momenti del nostro vivere , per venire in chiaro dell^ origine delle idee nostre, la cosa  spacciata^ il problema intomo al quale hanno lavorato tutti i filosofi, ninno eccettuato, e che nella filosofia moderna d considerato il pi importante di tutti ( e tale fu considerato sempre ove fiorirono filosofiche scuole ) ,  ima chimera: tutti i savj si sono limati il cervello vanamente, e preso un er ror da fanciulli; non essendo giunti a conoscere quanto il G. Mamiani trova chiarissimo,  che Puomo cio, non ri^ cordandosi di quanto ha operato ne^ primi istanti della vita^ non pu sapere come le sue conoscenze si sono in esso ori ginate n. n nostro autore trova cos chiaro tutto ci, che non si crede obbligato di darcene alcuna prova. Io per dubito assai, se il comune de^ filosofi gli vorr accordare, ch^egli s fat- tamente filosofando seguiti P ottimo metodo, di cui lunga-* mente ragiona nelP opera sua, un canone del quale sem- (i) P. I , e. XVI , 6 . fon 1 2 brami quello di  non affermare cosa alrtina , che non sia debitamente provata . E ora se v' ha posizione diflcile a provarsi , e per degnissima di prova , egli par quella che pro- nuncia qui il nostro autore, cio, che u non vi abbia via d^ accertarsi dell'origine delle nostre idee, se non ricordandoci de' piimi lavori di nostra mente infantile  ; imperciocch a poter ci affermare senza temerit, converrebbe aver prima tentate tutte P altre vie, e trovatele inutili^ di pii, esser bene assicurati, che ninna delle vie possibili a condiir noi alla soluzione di quel problema , ci  sfuggita : e perch fossimo al tutto cerli , che ninna delle vie possibili a discuoprirsi dal- l'ingegno umano non fu dimentica e preterita, niente meno ci vorrebbe d' una di queste due cose : o che il nostro inten- dimento s' equiparasse a quello di Dio , a cui nulla  nascoso ^ o che potessimo dimostrare cosa intrinsecamente assurda Pa- vervi una via diversa da quella delle reminiscenze dell'in- fanzia, a discuoprire le origini delle cognizioni.  la prima di queste due cose l'autor nostro non vuole esigere sicura- mente : converrebbe adunque che egli producesse la dimostra- zione dell' assurdit ^ ma  appunto questo che egli dimen- tica, lasciando la sua affermazione ignuda d'ogni valore di- mostrativo. N credo mai abbastanza ripetuto, quanto gi osservai, che le cose pi stravaganti , i paradossi pi sformati , che talora s'incontrano ne' sistemi de' filosoQ, il pi delle volte sono l' effetto di una proposizione gratuita non creduta per avventura di gran momento, e ricevuta a principio per vera nella mente del pensatore, senza prender sospetto di lei, n riputarla bi- sognevole di accurato esame. Cos lasciata passare, ed essa messasi dentro quasi di contrabbando nella filosofia , vi deposita il piccolo e fimesto seme dell' errore , che cresce poscia immen- samente nelle conseguenze , guastandola, e tutta snaturandola. Di che si mostra assai chiaro, vigilanza oculatissima che dee avere un filosofo, acciocch non ammetta per buone quelle proposizioni , di cui non ha certa prova , le quali egli non sa di che conseguenze possano andar feconde. E di moltissime e perniciosissime e madre quella del C. Mamiani. Che di vero, e l' origine delle idee pu trovarsi solo per ricordarci noi di i3 (jaello che  passato ne^ primi istanti di nostra vita , i quali certo ricordar non possiamo ^ dmique tutti i sistemi de^ filo- sofi intomo a cpiesta questione son pi che vanissimi : dunque tutte le conseguenze, che i filosofi dedussero dalla soluzione di tanta questione, sono di pari atterrate, seuza bisogno d^ altri ragionamenti: dunque la filosofia intera fin qui conosciuta,  crollata con una sola parola : tanto facilmente il G. Mamiani avrebbe fatto tavola rasa delF umana sapienza, e ci conver- rebbe ricominciare ad apprendere F alfabeto! Io ben credo, ch'egli non prevedesse simiglianti conseguenze. CAPITOLO IV. , E nella serie di queste conseguenze potrei continuare pi innanzi^ e dimostrare, che se quella afiiermazione gratuita dd C. Mamiani fosse per avventura erronea, erronea pui'c esser do\Tebbe la filosofia che la suppone e la seguita quasi stella polare. Ma qui io sono fermato da una risposta che sentomi fare, opponendomisi, che troppo torto io fo all^egregip autore u del Rinnovamento della filosofia antica italiana " , facendolo quasi dispregiatore degli antichi savj. Pure nel .firontispizio deir opera sua T egregio uomo dimostra la riverenza cVegli professa altissima alle opinioni de^ maggiori filosofi , segnata- mente italiani, de^ quali egli vuole, con nobile divisamento', rinfrescare le dottrine nelle memorie de^ suoi connazionali, e trae fuori da per tutto loro savie sentenze. Rispondo, che tutto ci non poco giova il mio assunto, che vuol mostrare danno che conseguita a una proposizione leggei^ mente intromessa ne' ragionamenti. Quella proposizione nuocer all'*atttor suo di tanto, che lo far oppugnatore di s medesimo. E veramente, due cose sono parimente vere nel fatto nostro: la prima, che il C. Mamiani si mostra in pi luoghi, e in tutta Tintenzione del libro, ossequioso agli antichi filosofi. che il precedettero^ P altra, che con quella sua pro}X)sizione spo- glia di tutte prove, che noi abbiam preso a considerare, egli viene a cancellare tutte le filosofie, prima in quella parte che tratta Torigine delle idee^ poscia in quella che a tal questione si attiene , se pure questa  una parte e noa anzi la filosofia 4 tutta intera. E ravvisarsi di potere pur con un motto ^ con una sentenza^ ridurre a nulla i lavori di sommi ingegni, non  cosa che possa per awentui*a cadere nel pensiero del C. Ma^ miani^ e pure  cosa, a cui conducono irrepugnabilmente le sue parole, a cui conduce il suo sistema, che cosi rimane smentito da lui stesso, dal suo intimo sentimento. CAPITOLO V. Vorrei io dimandare se ninno trov mai, che i filosofi ita- liani , a^ quali il nostro autore si fa seguace , e a cui ora vo- lentieri restringo il mio favellare, ponessero quel muro di di- visione che il C. Mamiani vuol posto fm le due questioni deir origine e della dhnostrazione dello scibile : se riputarono la prima solo conghietturale , di piena certezza la seconda ^ o se anzi non videro V affinit strettissima e il legame indisso- lubile che lega insieme quelle due principalissime ricerche: se il vero capo, dal quale difieriscono massimamente i loro si- stemi, non sia il diverso modo da lor preso a sciorrc la que- stione intomo all^ origine del sapere : questione che caratte- rizza e determina, chi a fondo medita in sul nesso delle dottrine, tutte le filosofie^ Io qui spenderei troppe parole, ove volessi anche sol bre* vemente delineare i sistemi principali de^ filosofi di nostra na- zione , e mostrare s come V anima che tutti gV informa , e li fa essere quello che sono ,  la sentenza da lor seguita in- tomo air origine delle cognizioni ; e come il variare di opi- luone intomo a questo punto , produce il variare dell' intero sistema^ il che avvenir dee per lo naturai collegamento delle dottrine, quando anco il filosofo non si fosse egli medesimo accorto , che la tempera e il carattere di sua filosofia gli nasca da questo. Nulladimeno io non voglio trapassarmi al tutto so- pra di ci: ma toccher un motto di quattro di que' filosofi nostri che il Mamiani toglie a' suoi duci , e saranno s. Tom- maso, il Patrizio, il Bruno e il Campanella, i quali io li prendo cos come vengono , senza scelta : il medesimo che di questi, potrei fai'c agevolmente degli altri citati dal nostro autoi*e, aventi ciascuno una opinione sulF origine delle cogiii- i5 noni, la qual dirge o apertamente o copertamente tutto quant^  il loro filosofare. Chi dir che 8. Tommaso abbia stimato non potersi arer notizia certa della formazione delle idee? chi dir cVegli non insegni come quelle nascono in noi, o pure ci faccia per yia di conghicttura anzich di scienza? Il confessa lo stesso Mamiani dicendo  N si stimi arere s. Tommaso paiv  lato troppo in conciso della formazione dei generali e la-  sciar luogo a interpretazioni diverse: imperocch quasi tutta  la seconda decisione della prima parte della sua Somma (i)   occupata da quella materia, senza dire cVegli vi toma  sopra le mille volte nel corso dell^ opera. Laonde tutto quello m che ne sentiva fu scritto e spiegato da lui nettamente e  con difiiso discorso  (a). Il che  un dire assai pi che noi non vogliamo. Perciocch a noi sembra, che di qualche interpretazione abbisogni F Angelico. E il Mamiani medesimo non  coerente a quella sua firanca affermazione. Volendo dire che s. Tommaso  da me dissen- ziente , alquanto dubitosamente egli si esprime cosi : u noi ne-  ghiamo che le opinioni di s. Tommaso militino apertamente  in favore del nostro filosofo  (3): parole, dalle quaU po- trebbe inferirsi, che la dottrina di s. Tommaso , se non aper- tamente milita a favor mio, pure pu a mio favore essere in qualche modo interpretata. EgU stesso il confessa aperto di poi : u al primo aspetto parecchi luoghi di s. Tommaso sem- u brano in verit consuonare pi che molto con lui n (4) Non istaranno adunque que^ luoghi contro d me se non in* terpretandoU, e per d^ interpretazione essi sono bisognevolL Dice anche questo lo stesso Mamiani : (4 fa bisogno notare il (i) La I Parte della Somma di 8. Tommaso non ha prima e seconda decisioDe ; qui dee esserci corso qualche errore. (3) P. 11^ e. XI 9 VI. Il C. Mamiaui parla del sistema di s. Tommaso in* tomo l'origine delle idee in pi luoghi ^ lodandolo a cielo, e fra gli altri  P. II, e. XX, IV > dove egli pare che n l'Aquinate n il suo lodatore il C. Mamiani ritenessero punto per impossibile la soluzione della questioue full' origine , anzi per bella e risoluta. (3) P. U, e. XI, VI. (4) Ivi. i6 u collegamento di quelle idee con le altre aflini, e Interpre- tf tare s. Tommaso con li suoi testi medesimi yy (i). E pi sotto 9 a sottrarre Fappoggio de^ testi di s. Tommaso alla mia filosofia, dice tuttavia:  debbono aduncpie i testi che pajono  concordare con tal dottrina essere intesi non sempre alla M lettera, ma secondo lo spirito loro e a norma delle mas- M 8me direttrici di tutto il sistema filosofico al quale appar* M tengono n (2). Resta dunque, che il dottore d^ Aquino abbia parlato chiaro della formazione delle idee , sebbene d^ inter- pretazione abbisogni, e di conciliazione seco medesimo^ e che nom si possa dirlo a me contrario manifestamente, ma solo mediante Pinterpretazione che ne fa il G. Mamiani , la quale non vogliamo a questo luogo esaminare se possa passar per buona , potendo essere che ci venga V acconcio di farlo in qual- che altro luogo (3) Qui vogliam fermo solo questo , che il grande quinate non riput insolubile e di pura conghiettura Porigine delle umane cognizioni. Il C. Mamiani pretende che s. Tommaso niente ammetta d^innato nella mente mnana, e tutto faccia venire da^ sensi, o immediatamente, o per induzione. Io sarei tentato di di- mandargli, se s. Tommaso insegni essere acquisita, per senso o per induzione , anche quella luce colla quale opera V intel- letto agente: ma noi vo^ fare, che qui non  il suo luogo. Sia pure, che tutto tragga P quinate da' sensi. Come dunque pu scrvere tosto dopo il Mamiani, che u lasci s. Tommaso  le orgini loro ( de' primi prncipj ) in quella incertezza in tf cui giacciono tuttavia n (4)? Se egli deriv da^ sensi anco i primi principi , come lasci nelP incertezza Porigine di questi ? Se poi s. Tommaso credette bens aver trovate e accennate le fonti delP umana cognizione, ma in ci credere cit, perche veramente non ispieg nulla, e lasci le cose nella prima in- certezza^ in tal caso, come pu dire il Mamiani ch'egli  al tutto del parere medesimo di s. Tommaso , e che P angelico (i) P. II, e. XI, VI. (2) Ivi. (3) Questo noi facciamo ampiameote nel terzo Libro di quest' opera. (4) P. n,c.XI, VI. 7 Dottore a s^adagia colla dottrina da lui professata n (i)? O io m'^ inganno, o ^esto  un brancolare nel bujo, dicendo e disdicendo: e questo fare s^ adagia egli col buon metodo filosofico? S. Tommaso credette di aver dato una sufficiente spiegazione dell^orgine delle nostre cognizioni: il C. Mamiani non crede questo problema possibile a risolversi , quanto a soluzione certa e non puramente conghietturalc ; dunque, concbiudo io, il Mamiani e s. Tommaso sono discordi e di opinione contrarj, come il s ed il no: cbi pu uscirne? E non cerco per da cbe parte si sta la ragione , se da quella del conte della Rovere , o di quel d^ Aquino : bastami d man* tenere cbe questi due valentuomini non pensano ugualmente, e cbe il primo non rinnova punto col suo libro, come egli pare ci prometta , V italica dottrina del secondo (2), Ma non solo Pquinate mostrasi sempre persuaso di asse gnare alle cognizioni umane una certa origine; ma ben anco parte da questa origine come da fermo principio, e vien de* ducendo da lei grandissima parte di sua dottrina. Dalla ma* (i) P. II, e. XI, VI. (p) n e. M . mol provare , i discepoli d s. Tommaso aver tenuto che il loro maestro lasciasse nelP incertezza la questione dell' origioe deU l'idee. Dura cosa a provarsi! Vediamone la dimostrazione. Tutta si riduce alla citazione di queste parole di Dante n L onde vegua Io 'ntelletto delle u prime notizie , uomo non sape h. Dante era discepolo di s. Tommaso* Dunque i discepoli di s. Tommaso tennero che il loro maestro non abbia sciolta quella questione, ^o A tal maniera di dimostrare, pi cose io avrei da opporre. Ma lasciandone molte a' lettori , dir solo, cbe Dante non fu discepolo ligio -a s. Tommaso, ma in pi cose si scost da lui. Egli ap^ prese la dottrina scolastica in tutta l'ampiezza sua, non dandosi alla di- sciplina d'un solo maestro; parte scelse fra le opinioni udite, e qualche volta pens da s stesso. Ma lasciamo ci. Pompeo Venturi commen- tatore di Dante opina, che in quel luogo il poeta si scosti al tutto dalle dottrine di Aristotele, w Nella scuola peripatetica m, dice commentando que' versi ^  e. XXV, art. II ). Ivi ho detto, la dottrina ari* tiotelica essere stata intesa in varj modi, perch oscura e non precisa; ed uno di questi modi esser quello di Dante. Ma quale  questo? Non si pu desumerlo se non da tutto intero il brauO| e non daUe poche parole Rosmini^ // JOnnovamento, i i8 niera onde s^ originano le cognizioni umane, s. Tommaso de- tennina quale sia Poperare proprio del nostro intendimento , e da questo modo dell^operar nostro razionale egli definisce spe- cificamente la nostra natura. Definita e specificata la natura umana, egli trae quinci una serie immensa di conseguenze, lle quali costruisce tutto P edificio della teoria delPuomo. Or chi non sa, che la scienza dell^uomo  per poco tutta la filo- sofia? Se adunque la filosofia di s. Tommaso si fonda quasi per intero nella soluzione del problema delP origine delPidce, a dichiarar questa incerta,  un fare alla filosofia del grande italiano di cui parliamo, quello stesso servigio che si farebbe ad ima grandissima mole levandogli di sotto la pietra ango- lare che la sostiene e connette. Di pi; dopo avere determinata nel modo detto la natura mnan, s. Tommaso trae quindi la specifica difierenza fra Taomo e P angelo^ e s^apre la via ad una definizione della na- tura angelica, sulla quale definizione costruisce una mirabile teoria degli angeli^ ed ella gli  poi scorta nobilissima, nel- recise che reca innanzi il M. S' oda dunque^ e si consideri bene , a vedere je r Alighieri suffraghi all' asserzione del nostro autore : \ $t Ogni forma sustanzlal , che setta M  da materia , ed  con lei unita , u Specifica virtude ha in s coUetU; u La qual tonza operar non  sentita , M N si dimostra mai che per effetto , m Come per verde fronda in pianta vita : fc Per , l onde vegna lo 'ntelietto r Delle prime notizie , uomo non sape , H E de' primi appetibili V affetto , V Che sono in voi ,  come studio in ape M Di far b mele : e questa prima voglia H Meno di lode, o di biasmo non cape. * ( Pur^, xvm. ) Qui due cose manifestamenle dice il filosofo poeta. La prima , che la virt propria deU' anima, come di ogni altra forma suslanziaie che ha sus* sistenza propria e setto , cio separata da materia ( scbben trovisi anco unito a materia),  occulto ed incognita fino a tonto che non opera e non i dimostra fuori ne' suoi alti ed effetti. Cosi, a ragion d'esempio, non si saprebbe mai dire se la pianto avesse in s quella virt che chiamasi Vito , 9 Tardine de' suoi concetti, alla sublime dottrina intomo all^es^ sere divino. Tutta adunque rovina la teologia, considerata nella sua parte razionale, dietro alla rovina del trattato del- Tuomo, il cpial gravita e posa sul gran punto delV origine ddle umane cognizioni. E qui bas^i aver detto questo poco deir Angelico. quaiulo non si vedesse il viver suo al di fuori nelle frondi verdi e rigo* girne. Medesiroamente V anima ha in s colletta , o sia accolta una virt , che le d notizia de' primi prncipi ; ma questa virt innata non apparisce , e non si sa ci eh' ella sia in noi , se non allora che noi fiKxiamo uso di essa , mediante gli atti di nostra mente. La seconda cosa  conseguente afla prma. Egli si continua ragionando cosi: quando adunque la mente nostra fa gli atti suoi d'intendere^ di giudicare ecc. , dia trova gi d'aver belli e pronti alla mano i prmi prncipj : onde le sono venuti questi T L'uomo non lo sa , dice: non pu sapere il quando^ e il come gli sono venuti. E perch ? perch non sono a lui venuti onde che sia , non sono io lui acquisiti; do li ha sempre avuti con s; sebbene occulti si stessero  prma ch'essi apparssero ne' loro effetti: la quale occulta esistenza de' prmi principi in noi non dee recarci maraviglia , perocch ogni forza e virt nello interore delle cose si asconde^ fino a tanto che operando non d si d a conoscere negli atti suoi. Non si pu dunque allegare nell' uomo una orgine fattizia de' prmi prncipj : questo  il senso delle parole m l onde  vegna lo 'ntelletto delle prme notizie^ uomo non sape . Ma che perci 7 Se Dante dice irreperbile la formazione delle prime notizie nell' uomo  nega per questo assolutamente, che non si possa assegnare ad esse qualsiasi orgine ? Certo no ; in una parola, l' intelletto delle prme notizie Dante le pone innato, e per, dopo aver detto che non si dee cercare la spiegazione di esse nelle operazioni della mente, come quelle che suppongono quelle notizie prme e le adoperano quasi istnimenti , afferma senza dubitazione alcuna, che quello intelletto delle notizie prime  nell' uomo , come  nel- V ape lo studio di far lo miele, cio come sono g' istinti, i quali sono in# umbri* ideamm impUcanUbus artem quosrendi , ini^nUndi, Judi^ ctmdi , ordinandi, l applicandi ad internam scripturam , ei non vulgares per memoriam operationes , expUcaUs, Parisiis , apud jEgidium Gorbia mun i58a. (a) Da ScheUing. (3) Nel libro De compendiosa arehitectura , et complemento ariis Lulii ^ Parisiis i58aj dicct Conveniens nimirum est atque possibile^ ut eum ia iiodiun quo metaphjrsica unipersum ens , quod in substaniiam diuidilur et occidens, sibi proponit objectum , qutedam unica generaliorque ( ars ) ens r^iionis cum ente reali, quo tandem muUitudo, cujuscunqut sit generis, ad mplicem reduci posse unitatem , compectatuTn a4 nclie nella filosofia dunque di questo italiano la questiono dell^ origine delle idee non si vede o esclusa o riputata impos- sibile^ ma ella sola forma il cardine vero, in cui si volge tutta quanta la nolana dottrina. E potrei entrare particolarmente a mostrare quanto nella mente del Bruno stieno connesse inti- mamente le due questioni delP origine e della dimostrazione dello scibile ^ ma io vo^ anche qui astenermene , primo , per- ch da ci che ho detto appare assai chiaro, secondo, perch mi verr forse altrove in taglio il ragionarne. CAPITOLO Vili. Mi rimane finalmente quarto il Campanella. Veggiamo se al- meno la filosofia di questo pensatore calabrese convenga nel- F opinione del C. Mamiani. Nel sistema del Campanella, non meno che negli altri so- pra accennati, il filosofare prende cominciamento dall^ esame delle facolt onde Puomo conosce, il che  quanto dire, dalla questione dell^ origine delle idee. La sentenza del Campanella intorno a questa questione  il principio, onde dipende tutta la qualit di sua filosofia^ avverandosi anche qui ci che in tutta la storia delle filosofiche investigazioni egualmente . ma- nifesta, che dal modo di risolvere quella questione ricevono colore e forma e vita per cosi dire i sistemi. n Campanella deriva dal senso ogni cognizione. Ecco il punto di partenza. Quale  il cammino eh' egli percorre ? La prima e immediata conseguenza si  quella che risguarda la certezza dello scibile. Secondo costui,  ne'' sensi che si dee cercare la certezza , appunto perch ne' sensi e pe' sensi s' o- rigina e si forma la cognizione. Essendo la memoria, l'im- maginazione, l'intelligenza, tutte le facolt umane alti*ettanti modi di sentire^ ed ogni cognizione generale avendo sempre il suo fondamento e l'origine sua ne' particolari percepiti co' sensi ^ seguita di giusta ragione, che a dar prova e dimostra- zione de' lavori di tutte 1' altre facolt non ci abbia altra via da quella di riscontrare ogni cosa al testimonio de' sensi, i quali hanno 1' oggetto presente, cui realmente percepiscono, a5 per non s^ ingannauo (i). Io non voglio qui approvare o disipprovare simigliante dottrina. Dico per(^, che in essa si vede jnaifestOj come P italiano filosofo sentisse un intimo nesso pas- sare tra le due questioni dell^ origine e della dimostraziont del sapere umano, che il C. Mamiani immensamente disgiunge, e dichiara indipendenti in quell^ opera nella quale ci si pre- senta come rinnovatore delP antica filosofia italica, e nella quale adduce i luoghi di molti filosofi nostri y ma di ninno pi q^so che di Tommaso Campanella. N sta qui tutta T influenza che la questione dell'origine esercita nella filosofia di quest' uomo famoso. Ella vi si fa duce di tutte le dottrine A varie ch'egli svolge in tanti suoi libri: ella fissa il metodo d' investigarle : ella determina V ordine in cui debbono procedere ne' loro sviluppamenti. Appunto perch da' sensi viene il principio del sapere e delP accertarsi, quella filosofia d mano prima di tutto alle cose fisiche o naturali, che cadono solto i sensi. Il trattato dello spazio, che diviene nelle mani del GampanelTa una prima e immobile sostanza recettiva di tutti i coi*pi, le investigazioni del modo onde si fonna e compone l'universo materiale, i principi elementari di esso, sono le ricerche che si afiacciano da pima al nostro investigatore. Il senso, onde muove il suo filoso(ai*e, viene quindi comunicato da lui con varia proporzione a tutte le cose, a^ JjTuti anche quel genere di sentire pi perfetto che intendere  appella. Dopo di ci, egli si solleva a considerare l'ente stesso nella sua intima natura, dove trova quelle tre qualit dette in suo parlare  primalit n , cio potenza, sapienza, e amore: il compimento e perfezion delle quali lo innalza al- Fente perfettissimo, a Dio. Ora chi non vede, come questo si- stema, vero o falso che sia,  tutto per imito fra di s, e intimamente legato? e come questa armonia di sue paj*ti, e consentaneit con s medesimo,  dovuta alla semplicissima sua origine^ cio a dire, alla sentenza professata dal Campanella intomp all' origine del sapere umano ? (i) Duce sensu pki1o9ophandum esse exisiimamus, Ejus enim cognWo tmuis certissima est, quiafii ohjecto presente. Si^um est, quod altee cogiti'- imes dubim ad sensum recurruni ptv certitudinc* Cciiup.j De rerum n^iut^a, Rosmini , // Rinnovamento, 4 CAPITOLO IX. Egli  dunque manifesto , che i principali filosofi Italiani ci- tati dal G. Mamiani considerano la questione delP origina delle idee per cosa di gran momento, e di non Impossibile soluzione:  manifesto, che Parte del metodo ad essi dett doversi premettere la questione dell^ origine a tutte F altre, ie con quella avviarsi a suo viaggio ben sicurata la filosofia: essi medesimamente considerarono siccome affine, e stretta* mente congiunta alla prima, V altra questione del fondamento della certezza. E per chi direbbe, che T antica filosofia ita-* liana rnnovellar voglia il Mamiani , e non pi tosto un nuovo suo domma annunziare, quando egli scomunica la questione dell'origine, e quasi la inimica con quella della certezza, sic* come d'indole al tutto diversa e solo conghietturalc ? CAPITOLO X, Pai il Mamiani non persevera in questa sua nuova opi* nione. Se neUuoghi allegati e in parecchi altri egli pare si lon- tano dal pensare de' nostri buoni antichi 5 loro si avvicina poi in un eguale o forse maggior numero di luoghi del suo libro , e tirato soavemente dalla Ineluttabile forza del vero, s'accom- pagna di nuovo con essi, consentendo loro in ammettere r intimo nesso delle due questioni , e la molto utile se non mico necessaria loro comunione. Io potrei provarlo assai chiaro con una sola sentenza, colla quale egli afierma , che il principio della certezza e II principio della scienza si possono ridurre ad un solo principio. Peroc- ch se d^ un solo fonte dee scaturire la cognizione e la certezza , quanto dunque non sono intime fra loro e per cos dire famigliari queste due questioni? e se si pu trovare uno inedesimo essere il principio di amendue, perch dunque la soluzione dell^ una sar certa , e dell' altra solamente conghiet- turale? Che cosa fu mai detto di pi efficace a dimostrare che o la solu^one della certezza Implica quella dell' origine , o ]fL soluzione dell'origine implica quella della certezza, e che in ogni modo sono questioni soi^Ue^ o pi tosto gemlle? Ma adianio le solenni parole del nostro autore.  Per qualunque miracolo del setmo umano , mai non p*  tra farsi sparire il primo ed essenzial postulato di lui, cio  U fatto della coscienza 99 . Egli qui non parla conghietturaU mente^ ma con piena sicurt di dire il Tero: continua,  Per a  questo sol fatto potrebbero mettere capo insieme e il principio  d^ogni scienza e il principio d^ogni certezza, vale a dire che  i fenomeni costanti e semplici compresi in qualunque atto  d'intuizione, potrebbero addivenire un giorno il solo prin*  cipio sperimentale richiesto alla deduzione intera dell^ u-  mana sapienza  (i). Qui si mettono alla condizione stessa il princpio della certezza e quello della scienza ^ e se la sco- perta del primo  solo conghietturale , non sar pienamente assicurata la certezza umana ^ se poi ella  messa fuori di ogni dubbio , anche il principio o sia F origine della scienza sar txgualmente bene assicurata. Anche altrove dice il C. Mamiani, che alla perfetta teorica del sapere umano sta in cima  un sol dato sperimentale, e  dentro di questo dato si confondono insieme perfettamente  il principio d^ ogni certezza e il principio d'ogni sapienza^ (2)4 Che vogliamo noi di pi? Se i due prncipi si confondano in mio, e per poco s'identificano, forz'  che sieno di egual na tara, e che l'orgine delle cognizioni sia manifestsL di pari alla loro fermissima certezza* U C. Mamiani adunque qui ci toma italiano, raccostandosi alle avite nostre tradizioni filo aofiche da lui da prima abbandonate. CAPITOLO XI. E non  per da ommettere di osservarsi una cosa^ Nelle parole surrferte non si contiene gi una dubbiosa opinione del G. M., ma ima sua ferma sentenza^ la quale sen- tenza ^ che l'intuizione immediata o mediata dello spirto sa il solo fonte delle cognizioni nostre, come  medesima- (I) P. Il, e. XIX, it (a) P. II, e. XX, II. iai 28 mente della loro certezsa. Ora questo vale quanto afTermare che le cognizioni umane aono tutte acquisite coir atto d^ in- tuizione , e negare al nostro spiito ogni notizia congenita. E chi non vede come questo gi sia prendere un pai^tito nelle fazioni de' filosofi, e decidersi per uno de' sistemi che cor- rono nelle scuole intorno alP origine delle idee, escludendo in sieme necessariamente tutti gli altri possibili? A chi restasse qualche picciolo dubbio della mente del C. M^, potrei dir molte cose^ ma per esser breve basti, che se cos non fosse, egli non loderebbe senza condizione alcuna il Telesio per aver promesso di  riconoscere per fonti imiche d' ogni tf sapere il senso, le cose dal senso notificate, o identiche a tt quelle perfettamente  (i), citando ci fi-a i canoni di ot- timo metodo dal Telesio divolgati. Non avrebbe egli n pure dato altissima lode agli Italiani per questo , che a tenerli stretti ad Aristotele poterono assai sopra di essi due cose, u V una di riporre egli la prima fonte d' ogni sapere nel fatto  sperimentale , V altra di pronunciare che gli imiversali tutti  quanti si formano per induzione  (2). Finalmente tutto il libix) dimostra , che il senso e V induzione , o per dirlo in im modo pi generale, gli atti intuitivi dello spirito umano sono pel C. Mamiani la sola indubitata origine di tutto il sapere lunano. Ed ella sia pm^e^ noi non vogliamo qui contendere con lui, ma osservare come egli contende con s medesimo. Se (i) P. I,c IV, VI. (a) P. I , VII , VI. Il G. Mamiani in questo , e in altri luoghi del suo libro, giudica della natura e dello spirito dell'italiana filosofa assar div(>r- sainente da quello > che altri scrittori ne giudicarono. L'opinione che ma- nifesta un altro scrittore recente iutorno ali* indole del filosofare della nostra nazione, riesce dirittamenle contraria a quella del Mamiani. Questi  il prof. Baldassar Poli, di cui sono le parole seguenti : m h singolare la costanza  e eausa del M variabile e del contingimle e non del vero assoluto. Questa tendenza 4J *( Pitagorismo o al Platonismo ci ha sempre preservati, anche nella foga  : ella rimane egualmente vera, quando anco ninno spazio e niun corpo realmente sussistesse. Quella scienza non premette che il concetto dello spazio, o sia  la semplice esistenza possibile dello spazio e delle limitazioni dello spazio  ^ ed allo spazio reale , ed ai corpi realmente sussi- stenti, ella non fa che appUcare i suoi risultamenti, quasi fcm" pre per approssimazione, e nulla pi. Ma non  questa la principale osservazione che intendo fare in sulFassunto del nostro autore. Dico, che la comparazione fra la geometria e la dottrina intomo alla certezza dello scibile da lui usata, non regge a martello. La geometria non  la prima delle scienze ncll^ or- dine logico. Or tutte le scienze inferiori suppongono innanzi di s per belli e dimostrati alcuni principj, la dimostrazione de^ quali si trova in altre scienze precedenti. Ma la scienza prima, a cui appartiene la dottrina intomo alla certezza, ha per isGopo il trattai'e de' principj primi, e per non suppone nulla dinnanzi da s. Cos, a ragion d'esempio, la geometria suppone per dato, come dicevamo, u la possibilit dello spa- zio e delle sue limitazioni ^ n ella quindi  obbligata ad entrare nella discussione della natura intima dello spazio, come n pure delle forze che limitano lo spazio, o de' corpi possibili^ cose tutte, la discussione delle quali appartiene ad una scienza superiore, cio aUa metafisica. Ma se la metafi- sica, invece di investigare la natura intima dello spazio, delle forze e de' corpi, dimandasse, che questi argomenti suoi pro- prj gli fossero dati e conceduti precedentemente quai postu- lati^ ella dimanderebbe quello che non gli pu essere conce- duto, perocch questo sarebbe un dimaudare di essere dispensata da far quello che dee fare;^ e tolto il suo scopo, sottrattasi la sua materia, ella ha con ci solo distrutta se stessa. In somma una scienza pu dimandare per postulato ci che ella stessa non  obbligata di dimostrare; ma ove il postulato che di- manda  cosa che in parte od in tutto entra a fonnare la sua materia, cosa ch'ella si dee acquistare e procacciare colle / 3 me industrie e ricerche^ la scienza, o pi tosto lo scienziato Almsknts*. qaello che non gli pu venire accordato, e che ac- cordatogli, r involge in un circolo, e distrugge la scienza. Ora applicando tali principj al postulato richiestoci dal C y^imaTii per la sua dottrina intomo alla dimostrazione dellcf scibile^ egli mi sembra, che prima di accordargli u Fatto co- noscitivo 99 per bello e fiaitto, senza necessit di sottometterlo a discussione, converrebbe esaminar bene, se nelPatto stesso di conoscere potesse appiattarsi qualche cosa che nuocesse alla dimostrazione della certezza del sapere. Intanto cosa certa , che a voler dare una dimostrazione esatta dello scibile, si conviene che lo scibile tutto intero sia esaiiiinatcy idativaniente alla certezza, e che non rimanga nessxma parte di lai senza chiarezza molta di prova. Ora se noi non sottomettiama a prova e dimostrazione lo stesso atto di conoscere, egli paref die rimanga non solo una parte, ma tutto in lei*o lo scibile sfornito di quella certa t evidente dimostrazione che si ricerca. E in vero, pu egli darsi conoscenza alcuna senza Patto del conoscere? e che cosa  mai essa conoscenza se non Peffetto o' l'oggetto dell'atto con cui si conosce? e dato Patto del cono- scere, non  egli data la conoscenza? e se quello passa per un semplice postulato, e si sottrae alPesame, non verr per On-' seguente, che debba trapassare insieme con lui per bella e ap provata la conoscenza, senza potersi di questa menomamente dubitare? non  questa figlia dell^atto di conoscere legitti^ mata 9 tosto che  conosciuto il padre? perocch finalmente an che circa le conoscenze , chech dica il G. Mamiant , si us' fin qui di riconoscerne la legittimit dall^ esame de' natali^ il che  quanto dire, si prov la verit delle conoscenze dalla bont e veracit delle origini da cui elle derivarono : e questo^ in sostanza  ci che vuol fieure medesimamente Pautor nostro;" sebbene il neghi ^ imperocch a qual fine dimanda egli che gli sia conceduto il padre. Patto di conoscere, se non a quello di{ poter dimostrare con ci legittima la figlia , cio la stessa, conoscenza? RosxiM , // Sirmovamcnto. 34 CAPITOLO XIV- Chi dubita 9 non forse noi con questo ragionamento aggra- diamo di troppo il G. Mamiani, prendendo  il postulato n ck'egli dinianda, in altro ^spetto da quello sotto il quale il di- inanda, non ha che a raggiungere insieme la serie di tutte le dottrine del C. Mamiani, e vedere come noi non ci dipartiamo ponto dall^ unico senso che pu avere la sua dottrina. E certo, se il contesto delle dottrine del nostro autore non mi avesse scorto in tutto ci che ho detto fin qui, io avrei vo- luto intendere il postulato che dimanda, in altro modo: io avrei voluto intendere, ch^^li dimandasse Patto di conoscere non come provato e certo, ma come cosa da provarsi e da ac- certarsi, come materia in somma della sua dottrina, e non come un precedente all^ sua dottrina. Ma ci che mi vieta d^intenderlo a questo modo si  Tosservare, cVegli si dispensa m tutto il libro dal provare e certificare Patto del conoscere, e lo ammette come indubitato e certissimo testimonio della ci^za umana. N poteya fare diversamente, avendo costituita la certezza ^ nella |alit ed eptita della cognizione  : di che dovea av- venire) che data V entit de^^atto di conoscere, fosse pur data la m 9^rtezza. . i ayyerU^ bene, che ft^ anzi appunto perch il C. Mamiani xipqise la certezza nella realit ed enfiti del conoscere, che egli eiclu^e dalla dini^trazione del sapere la questione della sua origlila, u Nenite ci. vien provando, egli dice, che la notizia f deU^ orgip!^ in^ettij^li deU>a intervenire nell^ dimostrazioxiic f(. della presente realit del pensiero stesso " (i). E^ in &tto, se. la realit del pensiero  il m^edesimo che la certezza del pei^- eco, a che gioya indagarne le origini? non basta egli accer- tame^ Q 9a collocarne 6iori di dubl:!^ la presente realit? i pensieri nostri presenti sono reali, dunque sono certi senza pin, on^c^k abbiano proceduto: ec(x> Pargoin^to 4ell nosb^ (0 P. 1, e. XVl,7*for. 35 autore , ecco ridotta a poche parole la sua teoria Intorno alla dimastrazione dello scibile (i). Riassumendo adnncpie : quando  dato V atto Isonoscitiro ,  jata la cognizione^ quando  data la cognizione,  data tf l sua realit ed entit n ^ perocch se la cognlrione noii aress una sua realit ed entit, sarebbe nulla, non potendori esser cosa senza qualche realit ed entit sua propria: quando  data la realit ed entit della cognizione,  data la sua rerit e certezza. Dunque avendo il C. Mamianl dimandato per unico postulato della sua teoria della certezza Patto conoscitivo^ egli dimand con ci Pentita e realit di quest^atto, e per P entit e realit della cognizione , e per la verit e certezza della cognizione medesima, conchiudendo come un geometra^  il che era da dimostrare   CAPITOLO XV- Intendendo io dunque come ho inteso la dimanda del po^ stillato dell^atto conoscitivo fatta dal si^or Mamiaiiii, Pho in (i) Ci duole assai di dover notare nel libro del G. Mamian una con* tinua iocoerenxa di parlare: ma posto che abbiamo tolto ad esaminare Topera som, dobbiamo sottometterci anche a questo penoso incarico. L'in coervosa  conseguente a tutti quelli che non hanno una buona causa alle maoi, Siene pure oltremodo ingegnosi e valenti. Cresce poi l'incoerenza a disBusora per Toscurit delle idee e per un linguaggio improprio. In fatti come sarebbe possibile ad un autore il prendere costantemente questa pa- n>la di w realit dello scibile m nel significato di # verit dello scibile m^ senza addarsi mai dello sbaglio^ senza dar mai segni di conoscere che una cosa  la reafitli, un'altra la verit e certezza , e che la prima non pti costituire la seconda 9 od esseme prova? Per anche nel libro del Mamiani trovo un luogo 9 che mi fa vedere come lampeggiasse a' suoi occhi la distinzione di queste due cose da lui perpetuamente confuse ^ cio la realit delio 8ci' prendendosi la realit dello scibile a sinonimo dell* prova e della certezza dello scibile I 36 tesa coerentemente a tutta la serie de^ suoi pensieri^ ne potevo intenderla altramente anco per altra cagione. Non riduce egli tutto il principio della certezza alP intuizione immediata dello spirito? non afferma egli questa intuizione im* mediata al tutto incapace di prova, e di prova non bisogne- vole? e non  P intuizione quanto a dire Patto conoscitivo^ o come altrove la chiama, il fatto della coscienza (i)? noi ckiama questo  il fatto eminente e primo della intelligenza ti guardata nelle condizioni pure attuali  (2)? Non  questo  ci che dimanda per postulato? Veramente in altro luogo dice che  questo fatto si pu anche cercare e scuoprire r^ (3): ma in tal caso perch di- mandai'lo per postulato? sarebbe ci un tacito avviso del suo buon senso, che la dimanda di quel postulato era alquanto indiscreta ? Ma lasciando passare queste brevi e sfuggevoli confessioni^ il suo costante dimando si  quello, che gli sia dato P atto conoscitivo qual postulato. Onde per crede, che P atto co- noscitivo sia cosi sicuro da non dovere o potere aver bisogno di dimostrazione alcima? Prove di ci non arreca, ma le sue parole a quest^ uopo stanno tutte qui: u Nessuno, pensiamo  noi, vorr credere che la mente affermando la sussistenza tt d^ alcuna cosa , crei quella medesima sussistenza, ma ognuno u invece rester certo che qualunque realit degli oggetti pen- u sabili  indipendente affatto dalP affermare o dal negare di  nostra mente  (4). Egli discende qui, come ognun vede, dalla questione generale della certezza dello scibile, alla que- stione particolare intomo la certezza delP esistenza de^ corpi y che reca come un exempligratia y acciocch si conchiuda da questo caso particolare agli altri tutti. Or bene, accompagnia- moci pure con lui, e seguitiamone i passi. (i) P. II, XIX, IT. Le parole del G. Martiiani furono recate pi sopra. Or  egli il medesimo pel G. Mamiani Tatto conoscitivo , e il fatto della coscienza? Potrei mostrare , che egli stesso in diversi luoghi del libro l prende per cose diverse , e che diverse veramente sono 2 ma basti averne notato qui un cenno. (2) P. I, XVr, 7.* afor. (3) I?i. (4) P. II, e. IV, v. ^7 "PTunieramentG giora riflettere, che quando il filosofo cerca 0 propone una dimostrazione dell^ esistenza de^ corpi, egli non la propone al volgo, il quale non ne abbisogna. Il volgo  certo, e non dubita punto dell^ esistenza reale de^coipi , te- nendo per fermissimo, che la sussistenza delle- cose esteriori sia indipendente affatto dall^ affermare e negare di nostra mente. Alla dimanda adunque del C. Mamiani u Chi metter in tf dubbio ci fi  hi risposta  pronta, e non pu esser altra cbe questa :  Niun uomo del volgo ft . Ma che? sar meno necessaria per ci una dimostrazione della verit delle nostre percezioni o giudizj sulF esistenza de^ corpi ? Io lascio che il nostro autore risponda s , o no , a suo piacimento. S^ egli mi dice di no ^ e bene, gli replico io, perch dunque fabbricare mia teoria della certezza? perch limarsi il cervello a provare contro gF idealisti resistenza attuale de^ corpi? Se mi risponde di s, perch adunque dimandarmi chi la mette in dubbio? perch giudicare, che non ci sia bisogno di provare che la mente affermando i corpi non li crei? Fatto sta, che degli uomini dotti e sommamente ingegnosi ri ebbero al mondo , i quali giunsero a mostrar di credere , che i corpi fossero produzioni dello spirito nostro, la cui virt creatrice opponeva quelle sue creature a s stessa, e cos dalle proprie viscere traeva mirabilmente il proprio oggetto. Non  dubbio, che il G. Mamiani sa tutte queste cose^ non  dub- bio, ch^ egli conosce la storia dell^ idealismo comune e del- r idealismo trascendentale, e che avr letto il celebre libro JeOa Dottrina della Scienza. Perch dunque pronunciare con tanta semplicit, che . nessuno vorr credere che la mente tf affermando la sussistenza d^ alcuna cosa, crei quella me- tf desima sussistenza t) , e che a ognuno invece rester certo che  qualunc[ue realit degli oggetti pensabili  indipendente af tf fatto dair affermare o dal negare di nostra mente n ? per- ch assicurare a questa strana affermazione, siccome a ferreo anello, tutta la teoria della certezza? Per me non so com- prendere in modo alcuno, come un autore, che produce in nn libro una faticosa dimostrazione dell^ esistenza reale de^ corpi, e che crede questa dimostrazione cos difficile, che non QK>lti altri e forse nessuno prima di lui V abbia potuta trofare, possa poi basare tutta la sua dottrina intorno la 38 certezza del sapere, sopra questo singoiar dato, che u mano inette in dubbio che le menti affermando alcuna cosa , la ven- gatio creando a s stesse n . Ma sia, che ninno ne dubiti, o n^abbia mai dubitato. E che perci? Si potr bene indurne per consegunza, che ima teoria della certezza delle cognizioni  inutile , almeno per quella parte che risguarda la reale esistenza de^ corpi ^ ma rester per sempre vero, che ove si voglia comporre una tale teoria r> In forma rigorosa di scienza e dedotta per una  serie di teoremi purissimi, cio somiglianti alla geometria ( i ), non convenga cominciare dal persuadersi, che  ninno dar allo spirito la virt di creare i corpi (2), e che T intuizione im- mediata non abbisogna di dimostrazioni ^ (3): perocch anzi la questione sta tutta qui, a vedere cio, se P intuizione del nostro spirito c^ inganni, se il nostro vedere sia il vedere del sognatore, se un genio maligno, secondo che diceva Carte- ino, sia quegli che ci illuda continuamente^ e relativamente aVorpi, se questi sieno cose reaU, o creazioni e sviluppamenti di un nostro intern principio, e se raffermarli per diversi da noi, non sia forse nulla pi, che un dare sussistenza a* delle chimere. Egli par adunque, che il C. Mamiani non cogliesse bene il nodo della questione della certezza dello scibile, e che molto meglio di lui il cogliesse Cartesio, sebbene dal Conte licenziato tra quelli che non vi s'apposero. Ma torniamo a noi, conchiudendo : il modo onde fu da me intso il postulato chiesto dal C Mamiani,  tutto in coe- renza di sue dottrine, e qul postulato cos iilteso avvolge e perde entro un vizioso circolo i ragionamenti s largamente 6Spo^ti dal nostro autore. CAPTOLO XVI. E pare, che a quando a quando egli medesimo se n^ av- vegga- Chi, avendo letto il libro del C. Mamiani, negher, ch'egli (1) P. l, e. X% , 11. (a) P. n, e. IV, v. (3) P. Il, e. XX, f ^9 ^ ioarga quasi da per tuttp agitato, e quasi malcoutento di s, dopo aver dimandato  quel posti^ato dell^atto conosciti^ TD? Egli sente, e teme la da noi sopra toccata obbjezione: le i misteri dell^atto conoscitivo non si conoscono, non po^ trebber essi racchiudere in s qualche cosa di pregiudioevole alla dimostrazione della certezza dcUa conoscenza? come po ir dire, che quest^atto conoscitivo sia u^l certissimo testimo- nio del vero, quando non so che sis^, q on^c veng^? E toglie anche a rispondere t^ questa difficolt, che gli s^afl&ccia quasi vorrei dire pi alleammo che alla mente, mas- sime in due luoghi del suo libro. L^ unp  dove ipagi^na de) modo col quale si compie la conoscenza (i): T altro  dove tiene discorso degli, universali (2). Mirrta b^ne la pena, che noi veggiaifio accuratamente, come si adopera e si dibatte a cavani d^ impaccio. La via per la quale egli tenta a tutta fqzTa di salvarsi, parm^ alquanto ardua e singolare. Egli si accinge di tutta la sotti^ l^iiezza.a pp^v^ffe^ che Fatto conoscitivo non  assolutamente ne- conno all'intendere ed al sapere, cVegli non  altro che un istnunento di pi sopraggiunto all^ altre facolt intellettive, e che peijci ^ pu^ daire uno scibile che abbia una ^t^t e jreaUi al tutto 4iv^r|aL ^ quella tanto arcana e iifiis^^*io$a d^l t^ libile atto cpnpscitiyo, La cosa  cosi nuova, che se a^Uvvq reco le parole del Itfamjqni per dare evidenza xpaggiore alle mifi ossero a^oni, uiu^ necessit assoluta qui mi stringe a^ farlo, gi^ji^ che il lettpre potrebbe qredere che io volessi per avventura ce-i liare. Elle dunque i^on queste:  I fenomeni proprii 4 fenomenica  (2)^ chi non vede, che il primo fonte delle cognizioni  nel C. Mamiani quest'atto transeunte delFintui- zioi^e, esclusa necessariamente qualsivogUa notizia data a noi per natura? Di pi: chi non vede, che su questo sistema in , in vece che  della verit e certezza  , potrebbesi dii'e , che a (f) P. Il, e. IV e X. (a) P. Il, e. X, VII. 45 praiar qoelU prima , cio a la realit della conoscenza m , non d abbia di argomenti bisogno ^ bastando che ella sia, per esser miniente^ n il giudizio conoscitivo pu impedire la sua rea- lt, anche producendola egli stesso, tuttoch quel giudizio fosse ingannoso nel suo operare^ imperocch il produrla,  un farla reale, senza un bisogno al mondo che sia fornita d** altra cer- tezza e verit. Ma perocch qui non posso permettere al Conte Mamiani , che col mutare la parola o&tezza in quella di realit,  tragga, troppo agevolmente d^ impaccio^ io, uno de^ suoi lettori , sperando' di parlare col pieno consenso di tutti gli altri, gli chieder che egli mi provi, come Patto cono- scitivo, entrando a formare le conoscenze, non ne alteri punto la verit e la certezza^ e senza di questo non gli accorder ponto, ch^egli sia pervenuto a porre insieme, come pretende, una vera dimostrazione dello scibile* Non ci basta adunque ch^ egli abbia u notato n nel Capi- tolo rV, che il giudizio conoscitivo non altera la realit della coBoacenza^ vogliamo, sperando di non essere indiscreti, ch^e-* gli ci  provi 9, che quel giudizio non altera la a -verit e certezza della conoscenza 99 , il che egli ha sfortunatamente di-* menticato di fare in tutto il suo libro. Veramente tutte le parole, che in quel Capo si riferiscono a fiur credere, che Tatto conoscitivo anche entrando a pro durre le conoscenze non ne alteri la verit, si riducono a que- ste semplici gratuite affemfiazioni :  Nessuno creder che la  mente affermando la sussistenza d^alcuna cosa, crei quella me-  desimn sussistnza t ;  Nessuno manterr senza paura di as-  snrdo, che i segni delle idee e delle cose esteriori producano  o cangino la realt di esse idee o di esse cose 9 ; ^ L^ appel-  lazione generica dei predicati non ci asconde le condizioni  individuali con cui quelli si trovano uniti dentro ciascun ft singolare 9 (1): le quali affermazioni destitute di ogni prova salgono, in bocca di un filosofo che vuol edificare una dimo- strazione dello scibile, quanto queste altre u Ninno dubita della projMria cognixicme, e per ella non c^ inganna, f. e. d. n. (i)P. IMV, V. 46 La maniera per colla quale il . Mamiani conchiude queH sue ignude alTermazioni, mostra quello che dicevo, cio che la sua coscienza noi lascia interamente tranquillo sulla loro piena autorit nell'animo de' lettori. Perocch egli corona il discorso con queste parole, le quali non mostrano avere alcuna coerenza colle precedenti: u Discende dal fin qui detto, chei fenomeni proprii dell'atto u conoscitivo , comech rimanessero oscuri ed inesplicabili, non  impedirebbero tuttavia di cercare con buon successo la prova u fondamentale di tutto lo scibile 99 ( s' oda qui bene la ragione che adduce per la prima volta , non avendo toccato punto di ci precedentemente ) ,  conciossiach l' atto di conoscere , dee  venire considerato siccome un istrumento di pi aggiunto alle pongono gi resistenza e Fuso di altri universali, onde pu dubitarsi, se questi idtimi sieno mai stati prodotti da  particolari paragonati, e perdo se rispondano puntualmente  ad alcuna realit  (i). Converrebbe qui osservare, esser falso, che la verit degli universali consista nel riferirsi puntualmente ad alcune realit particolari. Anche quando non vi fosse alcun uomo al mondo, n vi fosse mai stato, anche allora Fidea universale di uomo sarebbe ugualmente vera, perocch ella non ha per oggetto che l'uomo possibile e necessario , e non V uomo reale : che la sus- sistenza di un uomo  un puro accidente, il quale non altera per nulla l'immutabile e semplicissima idea di uomo , necessa- ria, senza contingenza, e indipendente da ogni accidentalit. Che se io applicassi Pidea di uomo ad un cane, affermando che questo bruto  un uomo; io errerei nell'uso dell'idea di uomo, e la fallacia sarebbe mia, non dell'idea. E panni d'avere 2 pieno dimostrato in altri miei scritti , quanto sia vero quello che insegnavano gli antichi, cio che il falso non cade mai (i) P. II, e. X, VII. 48 nelle idee, bens ne^ giudizj nostri, co^ cpiali o malamente le- ghiamo le idee fra di loro, o malamente le applichiamo alle cose reali. E sebbene questo errore del nostro autore sia a lui di grarissimo danno, come vedremo appresso, tuttavia qui non vogliamo maggiormente trarlo in luce, contenti di averlo ae- ceimato al lettore. Lasciamo adunque intatta la obbjezione ch^egU fa a se stesso, ed udiamo come egli procaccia di risolverla. CAPITOLO XXU. Ek^GO fedelmente riferite le sue parole, degne di tutta F at- tenzione: tf Noi nel definire la idea universale abbiamo notato cVella u risponde alla certa realit dei fatti per lo squisito riferimento a che tiene coi termini del paragone, i quali debbono essere u costituiti da alquanti particolari concreti, di cui si giudica u come d'ogni vera e singola realit " (i). S'attenda bene al filo di questo singolare ragionamento. Riassumiamo in prima Pobbjezione. Ella diceva, che m si pu M dubitare se alcuni universali sieno stati prodotti da partico-  lari paragonati, e perci se rispondano puntualmente ad al-  cuna reaht 99. E perch si pu dubitare?  perch essendo  alcuni universali Topera del giudizio conoscitivo, suppongono tf gi resistenza e V uso di altri universali n , de' quaU non si conosce P origine. Or il Manani risponde negando che si possa mai dubitare, che vi abbiano degli universali che non rispondano puntual- mente ad alcuna realit. E perch ? perch a noi nel definire tf la idea universale abbiamo notato ch^eQa risponda alla certa m realit dei fatti ". E come fu, che voi avete ci notato? u per K lo squisito riferimento che tiene coi termini del paragone , w i quali debbono essere costituiti da alquanti particolari con- M creti, di cui si giudica come d^ogni vera e singola idealit . Spieghiamoci pi chiaro. Il C. Mamiani in questo X Capitolo deUa II Parte del suo libro parla degli universali, e toglie a (1) P. U, X, viu 49 duitraTiie rorgiiie mediante  FasioaB aempUce e naturale  lUle &colta ordinarie di nostra mente ^*{i)y cio principaL- amte della facolt di astrarre, e mediante u Patto del a giudicio il quale vi  incluso  (a), atto che u compicsi tf pel dimorare e per Y alternarsi dell^ attenzione sui termini u di esso giudicio 9 (3). In una parola, col paragone de^ par* ticolari si formano gli universali, secondo il Mamiani: la rea* lit o verit di questi nasce appunto dal conservare ch^essi fauno questa relazione coi particolari da^ quali sono nati: u II  volgo e i filosofi concordano in credere che la realit ob ti bjettiva delle nozioni del simile o del dissimile consiste nella tf rispondenza e proporzione squisita che quelle nozioni man- tf tengono coi termini della rtdazione  (4)- Di passaggio osservo, che poco prima egli avea messi alle pese alcuni filosofi col senso comune del volgo, cio tutti quelli che mettono le forme e le nozioni universali a priori^ e che non si contentano di spiegarle per via de^ pariicolari e dell'induzione da quelli^ ed or qui il Mamiani mette volgo e filosofi tutti d^ accordo nel definire in nto de^ particolari. o* joLanMum oi% Disegnilo. Rester dunque il dubbio sulla loro verit, la qual consiste nella rispondenza loro a^ particolari, che sono le iole cose reali. (i) P. II, X, m. (a) Ivi, IV. (3) Ivi. (4) Ivi ,iu. Rosmini , // Jlinnovamento. y 5o C ManUani. Questo dubbio non pu sollevarsi, peluche nel definire la idea universale noi abbiamo gi notato ch^ella r- sponde alla certa realit de^ fatti. Discepolo. Come l'avete provato? C. Mamiani. Ho provato che gli universali rispondono sem- pre alla realit de' fatti, perch essi si riferiscono squisita- mente a' particolari concreti. Discepolo.  perch si riferiscono sempre cosi squisitamente a' particolari concreti? C. Mamiani. Perch questi particolari sono i termini para- gonati, dal qual paragone col giudizio conoscitivo si sono for- mati gli universali. Discepolo. Doh come  questo? Udendo 'io, che gli univer^ sali sono formati, secondo voi, dal giudizio de' particolari pa- ragonati fra loro, io vi facevo appunto osservare, che una tale formazione supponeva degli altri universali precedenti d' altra formazione, de' quali non si potea sapere se avessero quella che voi chiamate vei*it oggettiva , perocch non potevano esser venuti dal paragone de' particolari^ e voi mi rispondete che questo dubbio non pu nascere, perch si riferiscono di neces sita a' particolari, perch da questi sono derivati? Ognuno giudichi di questo circolare ragionamento, che non dimanda certo da noi chiose o commenti^ e decida se ha ra- gione il maestro che insegna, o il discepolo che si trova im pacciato nell' intendere la dottrina di lui. CAPITOLO xxin. Il Mamiani stesso non credo rimanesse contento della so- luone della sua obbjezione. E il deduco da un u adunque y* , col quale egli lega un altro periodo a quello che ho citato di sopra contenente la soluzione deirobbjezione fattasi. Nel periodo primo avea risposto, come abbiamo veduto, al- l' obbjezione , dicendo che era gi stato da lui notato , come la idea universale risponda alla certa realit de' fatti, o sia de' particolari concreti, di cui in formandola si giudica come d'ogni vera e singola realit. Il pei'iodo soggiunto a questa so luzione e legato colla particella  adunque >)  il seguente; Si  Adunque le idee universali j che non lasciassero scuopi*ire fii sj n altre idee universalizzate da cui si originino, n i ir rferinienti loro esatti a qualunque concreto , siccome  ter-*  MISI DI PARAGONE , uou lascicrcbbono credere n tampoco a alla loro certa rappresentanza di qualche fatto, e rimarreb-  bono , all^ occhio del buon giudicio , un puro essere di ra-  gione n (i). Or primieramente non si vede come stia bene in capo a que- sto periodo la particella congiuntiva a adunque n , la quale vuol indicare di slito una conseguenza di ci che si  afTer** mato. Ma tanto  lungi che ci che sta in questo ultimo pe- riodo sia una conseguenza di ci che fu detto nel primo, che anzi  il contrario appunto di ci che fu detto in quello. Nel primo si diceva che  nel definire la idea universale fu notato ch^eUa risponde alla certa realit de^ fatti " , cio de^ particolari paragonati, e che dunque non pu cadere mai caso^ che la idea universale non si riferisca squisitamente a^ partico- lari, perch ci entra nella stessa sua definizione, e perch ogni idea universale ha origine dal giudizio istituito su^ par- ticolari paragonati. Nel secondo periodo si suppone che vi possano essere delle idee universali, le quali non lascino scuoprre di s n altre idee universalizzate da cui si originino, n i riferimenti loro a qiialun Che cosa si volea provare? La realit delle idee univer- sali, o sia la loro verit. Ora questa  collocata dal C. Ma- miani ncUa  rispondenza e proporzione squisita coi termini u della relazione " (i) Perci il torre a provare, come fa il nostro autore in questo Capitolo che abbiamo alle mani, la verit o realit delle idee universali,  il medesimo che il torre a provare che queste sempre si riferiscono a de' parti- colari concreti :  Adunque  , dice lo stesso C. Mamiani ,  oc-  corre alla nostra filosofia dimostrare  che le idee tutte a universali rispondono bene alla realit oggettiva f* (a)^ sona sue parole , dove non parla di alcune , ma di tutte le idee universali, nessuna esclusa. Adunque, dico io, se vi avessero delle idee universali, le quali non lasciassero scuoprire i riferimenti loro esatti ai concreti, e fossero un puro essere di ragione^ in tal caso queste idee non avrebbero la verit oggettiva che il Conte Mamiani assunse di trovare entro a tutte indifferentemente tali idee universali. Ci posto, e dopo aver preso tale impegno, conveniva egli al C. Mamiani, che, venendogli posto in dubbio se tutte le () P. n, X, in. (a) Ivi. 53 Utt universali si foimassero dal paragone de^ particolari e a qaesti si riferissero, conveniva, dico, ch^egli rispondesse, cba e tali idee, se ve ne sono, non lascierebbono credere alla loro  certa rappresentanza di qualche fatto, e rimarrebbono un a puro eaaere di ragione  ? Sia pure tutto ci^ ma rimarrebbe sempre vero, che non tutte le idee universali sarebbero nate da 'particolari, e che non tutte a questi si riferirebbero, e che non tutte avrebbero la realit o verit obbjettiva, e che per il C. Mamiani non avrebbe soddisfatto al suo assunto, il quale era di provare che  le idee tutte universali rispondono bene  alla realit oggettiva " , assunto dichiarato da lui necessario, accioce cono- scinto che appuri esseri di ragione cio alle idee tutte compete il servire di regola e di misura della verit delle cose, e che esse stesse perci non possono esser mai fake^ sebbene.possano malamente venir connesse insieme, e malamente venire alle cose applicate, nella quale connessione e torta applicazione, op9*a del giudizio , cade appunto il falso e V errore. CAPITOLO XXVI- Non  , e non pu essere mio intendimento il descrivere tutta la lotta intima, perpetua, che il C. Mamlani fa necessa* Hamente con s stesso^ perch non  mio intendimento di es- 54 sere infinito. Anzi desidero esser breve ^ e per delle molte osser* vazioni a cui mi d materia questo Capitolo X del N. A., io non addurr che alcuna delle principali risguardanti il princi- pale proposito nostro , che  la relazione che hanno insieme le due questioni dell^ origine e della dimostrazione dello scibile. Certo, egli parr cosa singolare, dopo che abbiamo veduto il C. M. provare la verit obbjettiva, o, come egli la chiama, la realit degli universali dalla loro origine , cio dal confronto de^ particolari concreti^ e dopo aver egli preteso di sciorre le obbjezioni contro si fatta realit partendo di nuovo con vi- zioso circolo dalla medesima origine^ egli  singolare, dissi, r udire il N. A. a vantai*si di aver al tutto eliminata la questione delP origine , e provata la verit degli universali senza entrar punto nel gineprajo di questa questione: ^ Ve- K desi da ci, ecco le sue parole, una conferma nuova del c( grande vantaggio che si raccoglie a sceverare la quistione tf della realit dello scibile da quella tenebrosa e arcana  delle sue sorgenti primitive^ perch quando pure di alcune  universali idee resti occulta P origine, non per tal fatto c( dee rimanere occulta di forza la loro realit e il modo di a bene avverarla rt (i). Tuttavia io vorrei essere indulgente sopra questa intrinseca incoerenza, quando il C. Mamiani, trascinato dalla serie de' ragionamenti, fosse entrato nel campo della questione circa la formazione degli universali, senza accorgersene^ come talora suole accadere a due amici, che passeggiando e in piacevoli ragionamenti intrattenendosi, trascorrono i confini che s'eran posti, senza avvedersene. Quello che io non posso capire n perdonare , si  come il N. A. tanto insista sulla separazione di quelle due questioni, e sull^ indipendenza di quella della dimostrazione dello scibile, da quella delF origine^ quando poco innanzi, non solo per trattare della prima avea preso le mosse dal trattare della se- conda; ma, quello che  il pi strano, prima di farlo, egli medesimo aveva confessato ingenuamente, che ci gli era ne- (i) P. n, X, VII. 55 coaro per le esigente della sua filosofia ! ! Le sue parole oa sono equi^odie, perocch sono queste:  Occorre alla nostra filosofia dimostrare  che: simili idee (universali)  acquistano la universit e immutabilit loro non da foime  ingenite e da giudicii a priori istintivi, ma per Fazione sem- a plice e naturale delle facolt ordinarie di nostra mente (i). Dunque alla filosofia del G. Mamiani, che versa tutta sulla prava ddlo scibile, occorre la questione dell^ origine dellMdee: diuiqoe non pu fisare egli medesimo a meno di questa : dun- que non  vero, secondo lui stesso, ci che tanto ripete, che k prova dello scibile pos^ stare senza conoscersi Forigine, o derivazione delle cognizioni. CAPITOLO xxvn. Nelle parole or ora allegate del C. Mamiani si racchiudono due promesse. La prima di u dimostrare che le idee universali  non acquistano la universalit e inmiutabilit loro ( il che K  quanto dire, non hanno P origine) da forme ingenite e da a giudicii a priori istintivi  ; questa  la parte confutativa^ che intende a ribattere gli altrui sistemi intomo all^ origine degli universali: la seconda promessa  di dimostrare che gli universali si formano  per Fazione semplice e naturale delle K fcicolt ordinarie di nostra mente  ^ questa  la parte con* fiimativa, nella quale Fautor nostro propone il suo sistema circa Forigine degli universali, e il propone per fabbricarvi poi sopra la sua teoria della loro certezza. Non sar mica inutile, che noi sguardiamo un poco attenta- mente alla maniera colla quale combatte i suoi avversai*], cio i filosofi 9 che riputando impossibile il trarre gli imiversali dai sensi e dall'induzione, ammettono qualche elemento di naturai cognizione precedente all' esercizio delle facolt. L'argomento contro di essi  il Seguente: Coloro che esclu-  dono affatto F esperienza induttiva dalle cagioni efficienti . P. 11^ X, vh. 6i talmente diverse producenti uno stesso risultamento, sono die possibili, od involgono pi tosto intrinseca contraddizione? Io per me tengo questo per cosa al tutto ripugnante: e a Jimostrarlo, troncando la via ad ogni replica, cosi discorro: Cbe sono gli universali? quali sono i loro essenziali e pro- prj caratteri? Acciocch nello stabilire questi non si possa ca* Tillare, cercbiamoli nel libro appunto del G. Mamiani. Fra^ caratteri essenziali dell^idea universale, oltre la necessit t Pimmutabilit, v^ba quello da cui deriva il suo nome, cio la universalit: quelle idee dimostrano, dice il G. M., avere m una comprensione (i) senza limite, onde vogliono essere de-  nominate non soltanto generali , ma universali e infinite  (2). Poco JTTiafiM egli reca in esempio Fidea astratta della sfericit. Ella   universale, dice. Imperocch la ragione medesima,  per cui essa idea conviene a ciascuno di quegli oggetti onde  fu ricavata (3), la fa convenire con tutti gli altri reali e a possibili, che fra le condizioni varie del loro essere inclu-  dono la sfericit.  perch il numero di questi non  li-  mitato , ma trascende la creazione medesima e spazia nel-*  l'immensit del possibile, cosi Fidea astratta della sfericit ft  vera idea universale e di comprensione (estensione) in  finita, cio a dire cVella  un tipo e un esempio, nel (i) Volea dire  estensione m. Ognun sa che nellt lingua filosofica fu ge- DeraliDeale convenuto , che sotto la parola di r comprensione delle idee > 1^ indicasse il numero delle note comprese nell'idea^ e sotto la parola di  estensione  il numero degli oggetti possibili a cui V idea si stende : di maniera che  una comune osserfazione che si trova in tutte filosofie quella die la  comprensione e l'estensione delle idee stanno in ragione inversa fra loro M, e che perci le idee di pi comprensione hanno una minor estensione cio s'estendono a minori classi di oggettive viceversa. Sarebbe desiderabile che il C. Mamiani avesse pi famigliare il linguaggio de' filosofi: perocch aolto nuoce al trovamento e all' insegnamento del vero l' impropriet del parlare. (a) P. n, X, ni. (3) Suppone anche qui per indubitato il sistema de' sensisti intomo al- l'origine delle idee e sa di esso innalza i suoi ragionamenti. Sicch se ddl'orgine delle idee non si potesse avere una certa sentenza > come il no- ttro autore pretende ella sarebbe spacciata della sua filosofia : ella rimar* rebbe mortalmente ammalata del malore cronico che si chiana scetticismo. 62  quale vediamo rappresentata una forma di estensione pro-  pria a smisurato numero di soggetti (i) . Dunque, secondo il N. A., ci che forma il proprio, il costitutivo dell'idea universale, si  lo stendersi a tutti gli og- getti possibili da lei rappresentati , i quali sono infiniti. In questo convengono necessariamente tutte le idee universali, e senza di questo carattere non sarcbbevi universale. E per tornerebbe cosa assurda il partire le idee universali in due classi, le une che si stendessero quanto il possibile, cio al- r infinito, le aitile che non abbracciassero se non un certo numero di oggetti finito. Queste ultime non sarebbero pi uni- versali; e ove si desse loro questa appellazione, si abuserebbe con ci delle parole, si mentirebbe filosoficamente, perocch la menzogna de' filosofi  appimto quella per la quale essi travestono un oggetto alla foggia d'un altro, e il fanno pas- sare nel discorso sotto un finto nome e non suo. Si ritenga bene tutto ci, perocch queste osservazioni ci debbono qua e col cader pi volte in acconcio. Per ora basta a noi di conchiudere, che formare un univer- sale, secondo la trovata definizione,  quanto formare  un tipo o im esempio , come dice il Mamiani, ove  rappresen- tato un infinito numero di oggetti, cio tutti i possibili. Or bene: se cos , il processo della formazione di tali idee, dico io, non pu esser che uno. Perocch, lasciando quello che in tale processo pu caderci di accidentale, noi ci dobbiamo finalmente sempre ridurre a questo , di perve- nire colle operazioni dello spirito nostro a formai'ci una rap- presentazione o un pensiero, che si stenda a tutta l'infinit del possibile. Ora o questa operazione colla quale la veduta del nostro spirito si stende all' immensit del possibile con- tiene essenzialmente il giudizio conoscitivo , ovvero non lo con- tiene. Se lo contiene, dunque non ne pu fare giammai a meno; e per non si possono formai'C idee universali senza il detto giudizio. Se poi noi contiene, il giudizio non ha che fare in modo veruno nella formazione delle idee universali, e con- vien dire che si fanno tutte senza di lui. (i) p. n, X, IV. 63 Quando adunque il nosti*o G. M. forma prima le idee me- diante r opera del fpudizio conoscitivo, e poi toglie a mostrar^ che si possono fare anche senza quel giudzio, egli dice un assordo manifesto, nascente dal non avere osservato, opi to- sto dal non aver tenuto costantemente nella mente questo vero^ che la formazione delP universale in ultimo non  che una opera- zione semplicissima, una veduta dello spirito, che in veggendo un oggetto il considera negli spazj infiniti della sua possibilit^ Non si danno dunque nello spirito due facolt degli univer* sali^ ma mia facolt sola, come uno solo  U oggetto suo, una sola la vista dell^ infinito^ e questa facolt degli universali  la facolt appunto che intuisce il possibile. CAPITOLO XXXU, E anche qui dobbiamo notare P incoerenza delle idee del nostro autore. Il Mamiani pone P essenza delle idee universali giustamente nella loro universalit; conosce altres ed insegna , che questa universalit non vi sarebbe, se ella non si stendesse a tutti i possibili^ e perch questi sono infiniti, attribuisce alle idee universali F infinit. In tutto questo si sente il filosofo che cei*ca e che tiova il vero, senza aver preso di lui timore o sospetto, che gli possa sconciare una opinione preconceputa. Ma vuoisi vedere tosta- moite il filosofo disparito , e rimastoci V uomo avviluppato in un pregiudizio sistematico che noi lascia pi scorgere il rag- gio che prima vedeva, riuscendogli troppo acerbo, che a quella luce di verit, la vagheggiata opinione siccome tenebra si di* sgombri? Ecco il nostro autore impegnato a mostrarci come nella formazione dell^ idee non ci bisogni il giudizio conosci-* tivo, venuto in timore, che se questo giudizio (dal quale per egh medesimo dedusse prima gli universali ) ci bisognasse, la sarebbe finita del suo sistema. Veggiamo come conduce la sua dimostrazione. Egli comincia a porre per fondamento di tutto il suo di- corso, che alla fonnazione delle idee universali coucoi*rono  prodotta la medesimezza delle cose il pi- piccol nimiero di voi- te^ tuttavia soprabbasta all^uopo nostro di attenerci alla conl sapere se alla furmaaione degli uuiversali faccia bisoguo si o no il gi* dizio conoscitivo^ nel che sta tutto il nodo della questione. Come annunzia il nostro autore si fatto assunto? Con queste parole: fr Verremo sponendo  sin dove crediamo che giunga l'azione diretta e necessaria At\ giudicto m conoscitivo sulla formazione delle idee universiili m ( P. If^ e. X, vii ). Or chi non vde che quella parola dircUa distrugge l'assunto medesimo? Non si tratta di cercare se il giudizio conoscitivo operi direttamente o ia- direttamente alla formazione degli universali , ma se la sua azione^ in qual- iiasi modo vi bisogni. O sia diretta, o sia indiretta l'azione che egli vi ercita; se questa  necessaria, rimau vero che a formare gli universali iadinpensabile toma d giudizio couottcilivo RosMUii^ // JUnnoyammto. 9 66 ci  verissimo il contrario, cio che le idee universali fatti- zie ne suppongono alcun^ altra universale dinnanzi ad esse non fattizia, coll^ajuto della quale quelle si formino. CAPITOLO XXXUI. Chi volesse rendere una qualche ragione di un si smip surato sgarrare, la troverebbe probabilmente in quel copiosis- simo fonte di sofismi, che  il mutare concetto alle cose di cui si i-agiona, o piuttosto significato alle parole. Cosi nello sragionamento surriferito , egli par verosimile che il nostro au- tore, dopo avere collocato il concetto delPidea universale nello stendersi che ella fa allMnfinito, cio a tutto il possibile , abbia poi smarrito dall^ attenzione questo giusto concetto, per la preoc- cupazione della mente impegnata nel sistema careggiato, pi- gliando in quella vece Fidea universale per una idea di ci che hanno le cose di comune o d^ identico, ripetibile in un certo numero di oggetti, non per infinito. Come che sia, egli  manifesto che non si pu con una sola voce nominar due cose infinitamente distinte fra loro, come sarebbero quelle due specie dUdee (se elle vi avessero), e che la questione non si volge che alla prima specie, dove solo sta il nodo, che non si dee gi nascondere o involare agli occhi proprj ed altrui, ma sciorre. CAPITOLO XXXIV. E qui egli  necessario, che noi notiamo un^ altra cosa. In qual maniera il Maniiani ricorrendo a quel doppio processo di operazioni d^Uo spirito, riuscenti ad uno stesso fine, cio a produrre delle idee universali, crede di poterne persuadere i suoi lettori? Distinguendo i tempi dello sviluppamento umano. Egli liccord^ pienamente, che, parlando dello stato presente del nostro intelletto, noi non possiamo formare Tatto di conoscere 9enza un giudizio, n un giudizio senza idee universali (i)^ 0)P. II, e. IV, V. .6? t per toglie anco ad esporre  la teoria degli universali nel modo che la si pu costruire e praticare attualmente, cio icon r intervenzione assidua dell^atto conoscitivo n (i). Ma se Bon cn fosse stata altra via che questa dell' atto conoscitivo a fannare gli universali ^ se F atto di conoscere fosse sempre stato lo stesso, e avesse avuti sempre i costitutivi medesimi che ha Q^d^ la sarebbe stata imbrogliata assai pel sistema abbrao dito tenacemente dal C. M . Adunque era a lui necessario il ricor-* rare indietro all'et dell'infanzia, e cercar nell'ombre di questa ilsoo rifugio: era necessario, che egli venisse prima ponendo il dnbbio, se forse siasi allora da noi conosciuto senza bisogno dell'atto conoscitivo, e giudicato senza il giudizio che adope ritmo presentemente: proseguendo poi su questa via del dubi- tare, allora avremo forse formati gli universali senz'accorger^ cene, per mezzo d'istinti e d'altre operazioni, che non esigono precedenti imiversali. Non bastava ancora tutto ci: era ne- cessario che questo dubbio si rendesse verosimile^ e che final* BKnte nell' animo de' lettori si venisse insinuando per certo :  cosi su questa certezza si fabbricasse una dimostrazione di tttto lo scibile,  dedotta per una serie di teoremi purissimi ^  somiglianti alla geometria n (2). CAPITOLO XXXV- E quanto al proporre come un semplice dubbio questo, che nell'et infantile avessimo noi un altro mezzo diverso da quello che presentemente abbiamo di formare le idee univer^ sali, egli crede di poterlo fare a sicurt- Perocch a tal uopo ha gi precedentemente insegnato in forma di aforismo, che  la storia dell'intelligenza ha por legge dell' essere suo una  porzione positiva ed un' altra congetturale  , e m stante  che la nostra reminiscenza non pu rendere testimonio ve- it runo delle prime cogitazioni e che fra quelle e gli attuali  fenomeni non sembra correre alcuna identit necessaria ^  segue che la ricerca intomo le origini dell' intelligenza sia  di natura congetturale e non positiva  (3). 0) P. n, e. X, vn. (a) P. II, e. XX, 11. (3) P. I, e. XVI, 6* afor. 68 Su questo insegnamento aforistico potrei fra V altre cose osservare, che se la nostra reminiscenza non pu rendere testi- monio veruno delle prime cogitazioni , e se non ci ha un altro mezzo da conoscerne la natura , in tal caso la cognizione no-* tra intomo alla natura di que^ primi nostri pensieri non  pur conghietturale , ma nulla afiatto. Se poi v^ ha qualche altro ai^o^ mento a poterli conoscere , non si pu pi affermare , che que^ sto argomento sia anzi conghietturale che certo, se non si dice qnal sia, e non si mostra il grado di forza e di autorit che egli possiede. Le riferite parole adunque, fino a che non si fiancheggiano di prove, nulla conchiudono, come quelle che gratuitamente furono dette. Ma or riceviamole per vere , e cerchiamo di conoscere qual profitto possa ritrarre da quelle il N. A. CAPITOLO XXXVI. Tutto il profitto eh' egli pu cavarne, se alcuno ne pu, si riduce a questo ragionamento. Ci che  avvenuto in noi nella prima et, non si sa che dubbiosamente: dunque non si pu n affermare n negare che l'atto di conoscere fosse in quei primi sviluppamenti dell' uomo quale  al presente , o che abbia inchiuso il giudizio, e avuto bisogno del lume di qualche uni- versale: dunque i filosofi, che affermano questo bisogno con- tro di noi che facciamo venire ogni idea da' sensi e dall'in- duzione, r afirmano temerariamente, peccando nel buon me- todo, perch danno per eerto quello che  conghietturale. Ma qui io non veggo, che sicurt possano dare al N. A.- queste tenebre dell'infanzia. Convien considerare in primo luo- go , che per gli avversar) di lui dee valere la stessa logica che per esso ,e che per gli possono ritorcer contro l' argomento in questa maniera: Quando per noi sia incerto che i primi atti di conoscere sieno stati fatti con una precedente idea universale , non dee esser pi certo per voi che si sieno fatti senza di quella. Ma voi fondate tutta la vostra dimostra- zione dello scibile sul supposto , che quegli atti primi non ab- biano avuto bisogno di nessuna idea precedente, e per che non se ne debba ammettere veruna d'innata, ma tutte sicuo  nostra formazione. Ihmqne anco la TOitra prova dello sci- bSe non  pi che congluettnrale^ dunque la oerteua dello jt3>ile *non  dimoetrata, dunqne siete scettico, bench il neghiate di tanta forza. CAPITOLO xxxvn. Che potrebbe rispondere a si fatto ragionare il C. Mamiani? Forse, che la formazione nostra di tutte le idee appartiene a noi , quando anco i primi atti di conoscere che fa il fanciul- letto involgessero il giudizio conoscitivo, e fossero della stessa natura con gli atti di conoscere che fa di presente lo spirito nostro? Non pu ^perocch egli accord che Tatto di conoscere nello stato nostro presente suppone sempre un giudizio, ed un^ idea universale anteriore. Forse non esser vero , ch^ egli appoggi la sua dimostrazione dello scibile sopra la teorica del- Porigine delle idee? Ma noi non abbiamo asserito questo, senza dame le prove cavate dal suo libro, recate nelle sue proprie parole. E se non basta, siamo presti d^'addume altre ed altre , e le recheremo di fatto pi sotto. Forse che la sua dimostrazione dello scibile rimanga intatta, quand^ anco si am- metta qualche notizia congenita 7 Ma egli stesso s^ accorge, ci non poter essere^ egli stesso si fa robbjezione, che se v^ha qualche cosa in noi, non prodotto da noi, questo non ap- partiene alla sua dimostrazione dello scibile, la qual comin eia colla certezza dellMntuizione immediata, alla quale intui- zione precederebbe quella notizia innata, e per non riceve* rebbe prova dalP evidenza della intuizione. Riman dunque fermo, che se  dubbiosa pe^suoi awersarj r origine delle idee,  dubbiosa ugualmente per lui , e in con- seguenza anche la sua prova dello scibile zoppica dello stesso piede, come quella che  un oorollario della teoria dell^o- rgine del sapere. CAPITOLO xxxvm. Ma egli stesso confessa in un luogo, che anche per lui ri- nian dubbiosa la soluzione del problema dell^ origine, dicendo: 70 m non osiamo  credere di avere rimosse le difficolt e le m tenebre che involgono la spiegazione della facolt conosci-  tiva n (i)^ e pi sotto: ulo sguardo acuto dei filosofi non u sa rintracciare con sicurezza n gli atti primitivi , n le a forme primitive delle nostre cogitazioni u (2). Or come saremo noi certi, che la facolt conoscitiva non e' inganna, s'ella  per noi involta nelle tenebre? e se gli atti primitivi, e le forme primitive delle nostre cogitazioni sono sfuggite sin ora allo sguardo acuto de' filosofi? Sfuggite al nostro sguardo, come saprerio eh' elle non ci sono mendaci? se non na veggiamo la natura , come potremo vederne la ve- racit? CAPITOLO XXXIX. In fine, tutte queste parole nostre sono soverchie, dopo aver noi mostrato, che  cosa intrinsecamente assurda l'ammet- tere due processi di operazioni intellettuali nell'uomo, con entrambi i quali si formino le stesse idee universali (3). E perocch il Mamiani ammette per certo, che il processo che noi usiamo di presente a formare gli universali involge il giudizio conoscitivo, e con questo la precedenza di qual- che universale^ dunque non pu pi ammettersi n pure per dubbioso e per conghietturale quell'altro processo della for- mazicme. degli universali cercato nelle tenebre dell'infanzia, o pi tosto supposto in esse come possibile. Egli non  pur possibile, ma si dee al tutto abbandonare^ nasca che sa na- scere delle teoriche del N. . Che se cos non fosse, e rimanesse al G. M. almeno la possibilit di que' due processi di operazioni intellettive ch'egli introduce a produrre gli universali ^ l'uno dello stato nostro presente, l'altro dell'infantile^ io credo tuttavia, che volendo il N, A. compire le parti di buon filosofo , egli non potrebbe a meno di appagare i suoi discepoli o i suoi lettori di alcune risposte a certe loro dimande, che ragionevolmente gh verrebber facendo^ n senza ci, egli potrebbe rendere il dubbio da lui proposto verisimile. (i) P. II, e- XI, IV. (a) Ivi; (3) C. XXXL A ragion d^ esempio,  ben naturale, che la giusta curiosit a alcuno de' suoi uditori gli volgesse queste interrogazioni : ti Voi dite, che nel presente stato del nostro intendimento, noi formiamo gli universali col giudizio conoscitivo, e par mediante degli imiversali precedenti. Io vorrei sapere in qual et, o almeno in quale grado ed epoca di suo sviluppamento, k) spirito dell'uomo abbando^iasse il primo processo di opera- xoni mentali, onde egli formava gli universali senza univer- sali precedenti, e abbracciasse il secondo processo. O se ci non potete determinare, soddisfatemi almeno di un' altra cosa. Voi insegnate , che senza bisogno di giudizio conoscitivo , e di universali precedenti, lo spirito pu formare a s stesso delle idee che rappresentano un certo numero indefinito di oggetti , numero per altro sempre finito. Questi sono gli universali che in fine del conto voi trovate possibili a farsi senza V ajuto di idee universali precedenti, i quali, anche stando alla vostra stessa definizione, universali non sono, n osate pure di la- sciame loro il nome, imponendo ad essi in vece di questo, il nome di generali. Ma non contando ci, vi chieggo, e siete paimi obbligato d'appagarmi, che mi dimostriate possibile il passaggio dello spirito da idee che rappresentano un numero finito di oggetti, ad idee che ne rappresentano un numero infinito quant'  il possibile, senza che lo spirito possegga l'i- dea universale e infinita del possibile stesso ^ e m' acconten- ter se dimostriate la possibilit di questo passaggio, bench non possiate assegnarmi il momento, nel quale lo spirito fece questo salto mortale. Un primo momento ci dee essere sta- to, se ella  vera la vostra dottrina, nel quale un s terri- bQe salto fi tirato dallo spirito. A voi dunque spetta almeno di mostrarmene la possibiht^ perocch uno de' canoni del buon metodo vuole, che ove il filosofo introduce delle ipotesi, prima di tutto provi che sono possibili. Come rispondete voi al mio dubbio y ? U N. A. si troverebbe forte impacciato a trovare non un effigio, ma una risposta legittima alla dimanda del suo udi- tore. E se questi per avventui*a fosse un de' giovanotti acuti e ardltelli delle nostre Universit, cos gli prenderebbe for- 'anco a dire; 7 a Giacch voi esitate, Maestro 'mio, a provarmi eoa chiare ragioni la possibilit di quel passaggio, che volete pure far fare di forza alla povera mente umana, da idee non univer- saU ma finite, a idee universali e infinite^ vi dimostrer io in quella vece V impossibilita in cui voi siete di dimostrar- mela, e cosi vi torr dalla pena che V uom prova sempre, ove tenta di fare ci che non pu. Voi avete messo tutto in opera a rinvenire fin dove possano giungere le facolt in- tellettive, senza Fuso del giudizio conoscitivo e degli univer- sali , e per quanto vi siate dicervellato , per quanto le abbiate spronate queste povere facolt , cacciandole pi innanzi che non potesseit) andare^ tuttavia dove siete alla fin pervenuto?  farle produrre delle idee non universali e infinite, ma delle idee che rappresentano un certo numero di oggetti indefi- nito si , ma sempre per finito. Che si dee conchiuder da ci ? cV elle non possono andare un passo pi innanzi secondo voi medesimo. Perocch non essendo elle riuscite a formarsi degli universali, esse facolt rimangono come prima, destitute di questo ajuto di univei*sali \ e per non possono andare pi di prima.  voi stesso tirate questa conclusione , ove dite che tf colui , il quale raccogliesse qualche concetto d^ identit senza u possedere la idea del possibile e dell^ impossibile , non ver* u rebbe certo a concepire la multiplicazione infinita di quella K medesimezza  (i), e per non verrebbe a concepire idee universali. A che pr adunque, soggiungeremo, entr il G. M. a cercare che cosa le facolt intellettive potessero senza ajuto di imiversali? egli non ne trasse pi'ofitto alcuno al suo sistema, perocch il nodo della questione rimase intatto, il qual nodo  sempre ucome la mente possa formarsi gli universali senza uni- versali precedenti^ ed anzi pi che mai si rose palese, e fu suggellato dalle stesse confessioni ingenue del nostro autore questo vero, che la mente non pu produrre universali, senza l' AJUTO DI UN universale PRECEDENTE, ed  qucUo del possi- bile^ e p^r  che non tutti gli universali sono di nosti'a for (i) P, II, e. X, vu. 73 mazione, ma che uno almeno dee cssem dato da natura  , ed  come fanale della mente. CAPITOLO XL. Ma sebbene ilC.M. dichiari talora e senta, come vedemmo che alla sua filosofia occorre aver dimostrato, lo spirito no- stro intellettivo essere sfornito per natura di ogni prima noti- zia (i), tuttavia in altri luoghi toma poi a far solenni di- duanudoni dell^ indipendenza delle due questioni.  E per fenno , egli dice in un luogo , che la nozione  dell^ essere anteceda ogni altra idea generale., o sia loro tf contemporanea : cV ella sia innata, ovvero sperimentale , tf la certa realit trovata da noi fino qm nelle umane cono- c( scense, e in esse idee generali, rimane tuttavia la medesima:  imperocch questa nozione dell^ essere pensata dal nostro au-  tare (l^Ab. Rosmini) e descritta da lui , come idea affatto in- tf determinata, e che altro non pone se non la possibilit del- tf resistere, non pretende d stabilire a priori alcuna realit (2):  che anzi vien dichiarato da esso Rosmini Pidea delF essere  non avere nulla che fare col sussistere delle cose, il quale  i conosciuto bens per mezzo di quella , ma non affermato tf e posto da quella n (3). ]Ma io non credo, che il lettore ricever per buona tale di-* chiarazione, ma la trover in molte parti viziata. (i) m Occorre alla nostra filosofia dimostrare che simili idee (univertali)  acquistano U universit e immutabilit loro non da forme ingenite e da  giudicii a priori istintivi , ma per V azione semplice e naturale delle fa- m colta ordinarie di nostra mente m. P. II, c. X , in. (a) Vorrei credere uu sospetto non temerario quello , che mi fa dubi- tare se il C. M amiani abbia letto molto innanzi nel Nuovo Saggio sult o- rigine deUe Idee che prende a confutare. La Sezione VII di quest' opera  intitolata DtUe forze, del ragionamento a priori, e vi si dimostra lunga - nenie che a priori si pu stabilire la realit suprema e compiuta , cio* h sussistenza di Dio. Mostravisi ancora , che a ftriori non pu essere diottstrata vertin' ahra realit ; perch tutte le altre sono contingenti, e non ueessarie: ed essendo contingenti > ea^ non possono venir da noi cono* lolite che mediante una cognizione acquisita, e non necessaria. (3) P. II, e. XI, I. Rosmini , // Jnnovamcnto. 1 o 7 (5). In somma avendo stabilito che le nostre facolt operano in due modi, Funo come avviene nell^uomo adulto coll^atto conoscitivo. Tal' xo come avviene nell^infante senza Patto conoscitivo; egli non parla cbe dello scibile prodotto coU^ atto conoscitivo , dello (1) P. n, IV, VII. (a) P. n, X, VII. (3) Questo w quasi mai m dice molto: dice, che il G. Mamiani non  Mro del fatto suo. Fino cbe si tratta di notizie conghietturali, la dottrina  quelle fondata non sar mai certa. Il quasi suol essere per lo pi una gran parola antifilosofica I (4) P. Il, e V, li. (5) Ivi 78 scibile nostro presente^ parendo a lui, che il fondare i suoi ragionamenti sull^ altro modo di conoscere originario e infan- tile , sarebbe stato un fondarli sull^ arena , non dandosi di questo modo che incerte conghietture. Sicch riassumendo in fine la sua teoria della verit dello scibile, si compiace di que- sta solidit di base data al suo ragionamento coir aver tutto dedotto da ci che  essenziale air atto conoscitivo : m A fine, dice, che la dimostrazione s^ appropriasse a tutti i casi  reali e possibili,  abbiamo ogni cosa dedotta non da qual- u che specialit del pensiero, ma da ci che in lui dimora  perennemente, e costituisce Pessenza dell^atto conoscitivo (i). Dove non posso tralasciare un^ osservazione su quella frase  specialit del pensiero . Rammentandomi io , che il N. A. insegn avervi un esercizio delle facolt intellettive, senza Patto conoscitivo^ mi trovo ve- ramente in impaccio a conciliarlo seco stesso, quando in questo luogo afferma non dedurre egli la sua dimostrazione dello scibile da u qualche specialit del pensiero " appunto perch la de- duce dair atto conoscitivo. Anzi quelP atto non pu esser per lui che una cotale specialit del pensiero, dopo che il dichiar a un istrumento di pi t?, aggiunto alle altre fa- colt intellettive, le quali operarono, e possono operare senza di lui. Per conciliare in qualche modo il N. A. seco stesso, non veggo altra via , che quella d' intendere questo suo passo in modo, ch'egli non s'applichi se non al pensiero del- l'uomo adidto, e cosi voglia dire, che l'atto conoscitivo non  una specialit di questo pensiero dell'adulto , perocch non v'ha pensiero nell'adulto senza quell'atto. Ma non posso seguitare a leggere nel suo Ubro le parole che vengono appresso alle citate, senza che io non m'abbatta ad un'altra difficolt maggiore, la quale strugge la concilia- zione da me proposta. Perocch da prima egli annovera quali (i) P. II, XX, II. L'atto conoscitivo lo introduce per forma ch'egli anii il domanda per postulato senza pi.  Si  concluso , - dice , lo scibile M umano  appoggiare ad una certezza immediata e indubitabile , e la di- M mostrazione de' varj aspetti nei quali trasformasi , domandare il sol vono" e LATO dell'atto conoscitivo *> ( Ivi ). 79 imo  le disposizioni peipetue , com^ egli le chiama, delPatto conoscitivo: poi prendendo Fespressione di  giudicio cono- iotivo  (i) per sinonimo di u atto conoscitivo  , cosi con- chiade: a Da si fatti essenziali del giudicio conoscitivo  sca- tt turita nel nostro libro la spiegazione e la prova dei sette e modi costanti del vero, i quali alfine abbiamo veduto riu-  sdre semplici variet e modi dell^ Intuizione immediata, di tf cui il giudicio conoscitivo  pura e frequente specialit i> (2). Questo parlare sconcia intieramente la xx)nciliazione da me tentata. Imperoccli se il ^udizio conoscitivo  una specialit dell^ In- tuizione ^ dunque non abbraccia tutte le specie e tutti i modi d^ intuizione. E se non abbraccia tutte le specie e modi d^ intui- zione, come deducendo il Mamiani la prova di tutto lo scibile dagli essenziali del giudizio conoscitivo afferma poi che questa prova non fi dedotta da una specialit del pensiero^ ma da ci che in lui dimora perennemente? Io non so onde uscire da qaesto labirinto, iui cui il N, A. mi ha preso seco, e fatto smarrire. CAPITOLO XLU. Ma torniamo in via. Dicevasi, che tutta la dimostrazione dello scibile lavorata dal N. A., risguarda quello scibile che (i) Nel cap. ly della P. Il , n,^ y, il nostro autore distngue il giudi* fio Goooscitivo ^ dall'aUo di conoscere, e fa che quello sia il primo ele- meolo di questo. Non si d buon metodo di filosofare ove non s conser* ^ioo i significati delle parole : perocch usando le stesse cose ed espressioni a significare cose difTerent, almeno senza avvertirne il lettore, Ja confiisionQ delle idee  inevitabile^e in questa confusione allignano i paralogismi d'ogni maniera.  molto da osservarsi, che anche nello stesso capitolo dove avea distinto il giudizio dall'atto di cognizione come una parte di questo , riepi- logando poi lo fa presso a poco una cosa con questo ; perocch dice h tutte  quelle ( facolt ) che assistono immediatamente all' atto di cognizione son  contenute ed epilogate nella facolt di giudicare m ( P. II, c. IV^ vn ). Cbi pu spiegare tanta incertezza ne' vocaboli , e nelle frasi ? chi sar ob Uigato di seguitare col pensiero tah frequenti variazioni? W P. II, XX, II. 8o  fonnato dalPatto conoscitivo u tal quale risiede nella presente  costituzione dei nostri intelletti  (i). Ottimamente. Ma  egli questo tutto lo scibile? questo non  se non quello scibile che V uomo si forma colP atto cono- scitivo tal quale presentemente noi Pusiamo. Mi risponda dun- que il N. Autore Tuna di queste due cose: o non vi ha un altro scibile per noi, fuor di quello che vien formato da que- sto strumento delPatto e del giudizio conoscitivo^ ovvero vi ha un altro scibile, che Tuomo forma a se stesso, senza P inter- venzione di quel giudizio conoscitivo : qui non ci ha mezzo. Cosi adunque ragiono : se il N. . mi dice che tutto lo scibile umano proviene dall'atto e giudizio conoscitivo^ e bene, gli dico io, dunque Fuomo usa sempre di quest'atto di cono- scere^ dunque non v'ebbe mai un tempo nell'uomo nel quale egli potesse fame senza, dunque il giudizio conoscitivo non i gi un istrumento di pi aggiunto all'altre facolt intellettive, ma  lo strumento unico , necessario, universale, col quale ope* rano le facolt intellettive, o almeno la prima di esse da cui tutte l'altre dipendono^ dunque  falso, come voi sostenete, che senza il giudizio conoscitivo si possano formare delle idee^ dunque non tutti gli universali sono fattizj , ma ve n'ha almeno uno donato a noi per larghezza di natura, quello che indi- spensabilmente  necessario acciocch si possa fare lo stesso primo giudizio conoscitivo, pel quale voi stesso conoscete la necessit di un precedente universale (2). Se poi il N. A. mi dice, che v'ha uno scibile formato da noi senza l'atto conoscitivo , coU'uso pi elementare delle facolt intellettive, come veramente talor dice e sostiene^ in tal caso io gir rispondo, che dunque lo scibile, di cui egli ha preso a di* mostrare la verit, non  tutto lo scibile mnano, ma solamente una specialit di esso (com' egli suol parlare ), e per, che fugge (i)P. Il,c. IV, VI. (a) Vedi P. Il, IV. EgU dice fra l'altre cose ( P. II, e. IV, v ) die fc rinlinzioDe che presta materia allo scibile umano ha sempre hi forma u generale di conoscenza *. E prima avea detto m Due parti essenziali Cfh f stituiscono la conoscenza: Tatto del giudicare e dell' alfer mare, e l'o^* f getto giudicato e affermato . P. 11^ e. II , lu 8i Ha ma dimostrazione tutto queUo scibile^ che  formato in . Od' prima che cominciamo a far uso delPatto e del giudizio coDOscitiTO. Di pi: il rimanere incerta e indimostrata questa pnma parte del saper nostro, taglia i nervi alla dimostrazione della certezza anche per la seconda parte: conciQ^iach il N. A, non tir una linea di divisione fra li due scibili cosi precisa e sensibile 9 che si possa subito sapere quale delle cognizioni nostre , o quali parti di esse appartengano a quello scibile che lia per suo fonte Fuso delle facolt intellettive senz^ atto cono scitivo, e quali a quello che da questo atto fu generato CAPITOLO XLIIL Un solo effugio potrebbe rimanere aperto al N. A. Egli probabilmente ci verr dicendo, che nel sapere pro  ponga a s stesso fino a principio il problema della dimostra* zione dello scibile: egli dice cosi: (i) n C. M. riconosce in certi luoghi , che non vi ha maniera di certi' ficare il sapere umano , se non mettendo ad esame i mezzi di conoscere  che finalmente sono i fonti, le orgini del sapere. Riassumendo le sue dot* trine , egli stesso dice di averne costruito r le basi sopra la critica dei no- r stri mezzi conoscitivi m ( P. II, c. XX^ nr ). Questo  un riconoscere ma* ni&stameote la necessit di far giudizio m de' mezzi conoscitivi  e per delle origini delle idee , questione , eh' egli dichiara cosi spesso di voler metter da parte. Lasciando ci^ egli  ben certo, che la teoria del G. M., secondo il suo stesso giudizio sar mal condotta , se nel criticare i mezzi conoscitivi, ne abbia omroesso un solo. O convien dunque provare, che non ri abbia una conoscenza prima e naturale (innata); o convien sotto- mettere alla critica anche questa. Ma il G. M. dichiara quella cognizione innata non gi &lsa , ma incerta ; dunque rimane incerta la sua teoria. Il C. M. adunque prende errore, quando dice che la sua teoria riman femui euandjoch l' idea dell' essere fosse io noi naturale e coogenitii. 86  Provare le notizie umane   rimovere ogni dubbiezza  legittima dall^affermazione che includono : e ci non in quanto  ai singoli oggetti di conoscenza, i quali sono infiniti  ^ma  in quanto alla forma loro comune.  Imperocch facciam u caso che la forma generale di ricordanza sia dimostrata certa  ed irrepugnabile, allora la verit di tutte quante le ricor-  danze diviene possibile, e la fabit di alcune  da recarsi ff a cagioni fortuite ed estrinseche r> (i). Ora che cosa  questa  forma comune n di cui si parla? Non altro, che un genere di cognizioni , le quali convengono in certi loro caratteri, che costituiscono appunto quella forma comune (2). Or come dunque sa il N. A., che dimostrata vera una forma di conoscenza, questa dimostrazione vale altres pe' singoli oggetti che sono ordinati sotto la idea generica che costituisce quella forma? E questo un vero tale, che non abbia bisogno di dimostrazione? in tal caso la sua dimostrazione dello scibile ammette prima di s molta parte di scibile non dimostrata, ma supposta e ricevuta gratuitamente per vera. E adunque falso, che la dimostrazione dello scibile esposta dal C. M. richiegga un solo postulato, quello dell'atto conosci- tivo: e che partendo da questo solo dato, ella venga poscia dedotta in una serie di teoremi purissimi simili a quelli della geometria. Qui non si suppone il solo atto conoscitivo , ma si suppongono le cognizioni ridotte in generi, e queste idee g-' nerlche, infallibili^ perocch se ci non si supponesse, non si potrebbe dire gi prima di cominciare la dimostrazione dello scibile, che dimostrata la verit di una forma generica di Co- noscenze, sono dimostrate altres le singolari conoscenze iti quella comprese. Lascio di osservare , che quand' anco ci tutto si dovesse ammettere senza prova alcuna, come pretende dover- glisi accordare il C. M. 5 ancora mancherebbe molto alla certezza: delle singole conoscenze^ imperocch a verificare ciascuna d (1) P. n, e. U, I. (a) Anche il nostro autore charma altrove ** (ortte geuercbe  queste chissi in cui egli parte , per cosi dire, lo scibile. Riassumendo il suo libro dice M E cosi ci avvisiamo di avere compiuta la ricerca difficile di ognf M forma distinta e GNEaiC4 di verit  ( P. Il, e. XVII^ i ). 87 esse, resterebbe a prorare ch^ella  oompresa nella forma di- Bostrata^ e a ehi assume la dimostrazione dello scibile, spet* tcrebbe il provare che questa verificazione  possibile, e non soggetta ad errore, almeno se  fatta colla scorta di certe regole che rimarrebbero a stabilirsi. Ma ci postergando, cosi ragioniamo: il C. M., a dimostrare le cognizioni, prima le riduce in classi^ operazione arbitraria, perocch tale di cui non s^ ancor dimostrata la necessaria Yerit: ma tuttavia s^ ammetta. Or certo  non avervi nes> suna idea, che non possa essere il fondamento di una classe di cognizioni singolari. Pi*endiamo pure la meno indeterminata delle idee, e sia quella d^un cavallo fornito di tutti i suoi ac- cidenti. Questa idea  il mezzo, onde noi conosciamo tutti i cavalli sussistenti che esser possono, aventi quelle note nel- l'idea comprese, e questi cavalli reali e sussistenti possono es- sere infiniti. Quella idea dunque, sebbene idea della massima comprensione y come dicono i filosofi, e della minima esUn^ sione ^  per fondamento a singole cognizioni infinite. Ora se il C. M. non credette suo debito di provare la verit delle idee generiche, che fondano una classe pi estesa di cogni- zioni^ perch si creder poi egU obbligato a provare la verit delle idee specifiche, le quali fondano pure una classe di co gnizioni sebbene meno estesa? L^ arbitraria supposizione della veracit delle idee dee valere per le une e per le altre egualr mente ^ di che si trae la conseguenza, che la dimostrazione dello scibile del C. M* suppone precedentemente la verit di tutte le idee, nessuna eccettuata, come non bisognevole di di- mostrazione. Ora questo  ben supporre di troppo : egli  un farsi nessun caso dello scetticismo critico: e pure questo si pu dire Punica sbtcma scettico, di che sia necessaria la confutazione ne^ no-* stri tempi. Tirisi la conseguenza circa il metodo seguito dalP autor nostro nella sua dimostrazione dello scibile : ella  questa: La via contraila a quella presa da lui  Punica da battersi: le prime che debbonsi dimostrare veraci sono le idee , essendo esse i mezzi di conoscere i sussistenti: quando e converso eglj le vien prima supponendo : fra le idee poi la prima che esigei 68 dimostrazione  la pi elementare di tutte ^ Tidea dell^cssere; ed egli se ne lava le md(xd (i). CAPITOLO XLVI. Ma sdbbene in pi luoghi il N. A. dia alle idee una pie** nissima fede, e quinci muova la dimostrazione dello scibile^ tuttavia in altri luoghi toma ad esse^ e toglie a dimostrarne la realit, cio la corrispondenza loro agli oggetti^ perch, dic^egli, u il reale caduto sotto la facolt nostra conoscitrice, u prende nome di verit  (2). Dimostra duncpie le idee, in quanto, secondo lui, inchiu- dono un^ affermazione del reale (3)^ ma non in quanto ser- vono di principi direttivi della mente , cio in quanto sono fon- damento alle classificazioni delle cose, ecc. Questa distinzione  Punico spediente che mi si dia innanzi a conciliare in qual- che modo una tale contraddizione dell^autor nostro, il quale comincia dal supporre le idee veraci, e poi a provarne la rea- lit loro lungamente favella. Se non che, di vero egli parmi non ben provveduto nella scelta del suo soggetto , quando da ima parte difende le idee rispetto ad un ufficio che esse non hanno, e dall^altra lascia lenza difesa il loro ufficio vero, proprio e naturale. V ufficio che le idee non hanno, e che loro attribuisce erroneamente il C. M.,  quello di rappresentare e affermare i sussistenti^ e in provare il legittimo adempimento di questo supposto loro ufficio egli s^ acuisce e si travaglia : Tufficio che hanno  quello di dirigere lo spirito nostro nella percezione e nel ragiona* mento, del quale esse stabiliscono i principj^ e di questo egli non parla, ma incomincia a dirittura dal supporlo. (i) NoQ fi pu meUere in dubbio , che il G. M. non riconosca le idee anche generali per mezzi di conoscere. Anzi egli dice ^ r Si rileva eziandio fr da ci la cagione che hanno tutti gli uomini di ravvisare nelle idee g* f nerali non un mezzo soltanto di conoscere e concepire ad un tratto nu- * mero stragrande di singolari , ma un' immagine per cosi esprimerci del ff l'essenza stessa delle cose e una sorta di ricostruzione mentale di quella m (P. II y e. XrVf vi). Egli dice adunque di pi che noi non vogliamo. () P. U, e. II. (3) Ivi, 89 CAPITOLO XLVII. In che modo poi il N. A. difende P ufficio che le idee non hanno , e che egli chiama la loro realit ? Non mai altramente , che deducendo questa realit pretesa delle idee, dalla questione tanto hestemmata della loro origine* N solo fa ci^ ma egli insegna che non si pu fare altramente. Dopo essersi proposto la questione della reaUt delle idee in questa maniera  In che guisa mai puossi affer* tf mare dell^ oggetto quel medesimo che della sua idea  (i)? risponde a Noi affermiamo ed asseveriamo che questo si ottiene a o coi &tti del senso intimo, o non altrimenti . E perch ci? s^attenda bene alla ragione che ce ne d:  imperocch tf in quelli soU  il principio della cognizione  (^)^ il che  quanto dire, perch in quelli solo  Torigine delle idee. Bla poich il Mamiani ha si sovente protestato di volere al tutto recidere dal suo ragionamento la questione arcana delle origini ddle idee, il mio lettore, che non avesse sott^ occhio il libro di lui, potrebbe tenersi alquanto sostenuto a credere alk mie parole, sebbene documentate sempre fin qui di fe- deli estratti dell^ opera che esaminiamo. Per ad acquistarmi pieiia fede, non mi sar inutile ribadire il chiodo di ci che osiervo, con una sopraggiunta d^ altre citazioni, che mostrino ({oanto poco abbia il Mamiani attenuta la sua solenne pr* messa di separare interamente le due questioni. CAPITOLO XLVIII. In prima vedemmo aver egli diviso questo sapere in certe classi o generi, o come egli le chiama,  forme generiche di verit  (3)^ e aver poi tolta ciascuna in mano, e datole prova. Ora secondo qual principio, o norma, divise egli queste (i) Dell'oggetto non s pu mai afTermare quel roedesroo, che della sua idea; perch T oggetto di una dea^ e l'idea, sono cose dispara tissl me e iooomunicabilL Quando adunque s* affermasse dell' oggetto quel medesimo cbe delF idem, noo saremmo noi gi pervenuti alla verit , ma si bene pre opitati nell'errore. (a) P. n, e. II, n. (5) P. U , e. XVU, I. Rosxun, B JRinnoyamcnto^ i% 90 sue varie forme del sapere? Principalmente secondo la lei varia origine. Non a me^ ma si creda alle parole di lui, ci riassume questa sua classificazione delle varie forme di sape cos dicendo:  Guardando poi alla cognizione in se stessa e alle sue fom  e ALLE SUE ORIGINI j ella DEE PROCEDERE o dalla intuizione ir tt mediata, ovvero dalla mediata: per giudicio semplice o p tf giudicio dedotto^ dal proprio esperimento ovvero dal det1 a altrui I (i). E secondo quest^ ordine si tolgono a provare nel libro del M miani le varie classi delle cognizioni nostre. La (questione adu] que dell^origine delle idee tanto  lungi che sia eliminata ne r opera del Binnovamento della Jilosojia italiana^ che anz seguitando i passi de^ huoni autori della nazione nostra (a essa d il fondamento a tutta la trattazione. Di pit pel C. M. lo scibile non  vero, se non in graz della sua origine, cio in grazia e in virt di quella origii che egli ad esso attribuisce. Questa origine  V energia del mente, la quale crea lo scibile, e in quanto lo crea, esi scibile  vero, in quanto poi non lo crea , egli riman qui lia tato nella sua verit.  QueUo  che limita  la creazione del vero dalla par  dell^ intelletto si  T estema impulsione ( P impressione d  gli oggetti corporei ) , e a tal confine appimto vien meno \  nostra certezza, stantech se noi produciamo sillogizzan seguilo un passo del platonico Francesco Patrisi ( P. II, e. VII, vi ). (a) P. Il^c. XIII, I. (5) Ivi. 9^ 8 remo ponto alla controyersia mll^estensa delle nozioni m s genite e dei gindicii a priori sintetici  (i)7 Non veggo che rispondere in favor suo, se non, essersi alla sia mente rappresentati due sistemi intomo alP orgine delle idee^ Tnno che ammette qualche prima luce di verit rsplen* der n^^ anima per natura, F altro che d all'anima il potere (sebben cieca a principio) di produrre a s stessa, e for- marsi tutti i veri colle sensazioni, e altre sue operazioni. Ora il C. M. prescinde nlal primo di questi due sistemi , rilegan- dolo nel regno delle conghietture^ ma non prescinde mica dal secondo, anzi questo secondo il fa perno a dovervi inganghe- rare il suo sistema, che tutto si rivolge su di quello^ e questo ^li par che voglia dichiarare, ove afferma di non voler me- scolarsi nella controversia delle origini. Ma onde reputa egli necessario di rigettare il primo di que- sti due sistemi 7  La ricerca intomo le origini dell' intelli-  genza  di natura congetturale e non positiva  (a): per ove su queste origini fosse basata la prova della conoscenza, eDa pure non riuscendo che conghietturale, non sarebbe prova. Il N. . vago di maggiormente giustificarsi $opra ci, e ren- dere questo suo argomento via pi forte, dice ancor pi, so- stenendo che quelle origini sono al tutto inescogitabili^ sebbene Teramente Tessere ad un tempo conghietturali e inescogitabili non s'accordi insieme, come osservammo: Non  nostro intento^  cos egli, n nostro bisogno di svolgere e riandare in nulla  i procedimenti naturali del senno umano nella formazione tf originaria di quelle verit che compongono il senso comune, tf Arcane e inescogitabili sono le genesi tutte della natura ? (3). Sarebbe stato dunque un cattivo metodo il nostro, vuole egli dire, se noi avessimo dimostrato lo scibile partendo da delle orgini che non si possono conoscere.  maraviglia. Ma per la medesima ragione , n anco quelle origini sulle quali il C. M. fabbrica ^ il suo sistema possono essere fermissima base al medesimo,, se non sia provata pri- mieramente la loro certissima verit. E difficilmente elle po- li) P. II, e. m , VI. (2) P. I , e. XVI, 6. afor. (3) P. Il , e. IX , m. k 94 tranno aversi per certe, quando non sieno dimostrate false e impossibili le altre origini delle umane cognizioni ^ perocch la verit non  mai doppia^ e se la scienza in noi ha un^ origine, non potrebbe essa averne un^ altra. E giacch il C. M. non re- puta cosa assurda , che V umano sapere si formi coll^ uso di (pial- che nozione ingenita , ma solo dice non potersi ci ben sapere ; supponiamo che la cosa sia. In tal caso non sarebbe pi vera la deduzione delle idee abbracciata dal Mamlani , n solido riuscirebbe quanto vi edifica sopra. Non d^e adunque bastare al Mamiani u di venir esibendo alcuni probabili, da cui sia u rimossa qualimque assoluta impossibilit " ( i ); perocch quello che si fabbrica sul probabile, none pi che probabile, e quello che si fabbrica sul possibile non  pi che possibile : or il prin- cipio della certezza non s'erige n sul probabile , n sul possibile. N vale il dire, che l'altra strada  congetturale, e imprati- cabile. Questo , se vero fosse , proverebbe, che V uomo non pu giungere alla certezza. Il volere evitare una ricerca necessaria allo scopo del ragionamento che si fa , perch ella  arcana , non appartiene al buon metodo : egli  un voler marciare a dispetto e a ritroso della natura: un voler violentare la verit: un fab- bricarsi innanzi im idolo del vero, anzich trovare lo stesso vero : uno scegliere le opinioni secondo Futile che se ne spera, non secondo il loro valore intrinseco, il quale  indipendente da noi, e da' comodi nostri: perocch il valore delle opinioni  il grado di loro verit^ e questa non  lecito immaginarcela, ma dobbiamo umilmente impararla leggendola tale quale sta scritta nel gran libro della natura (2). (i) P. n, e. XI, IV. {2) n G. M. dice M Alla dimoftriizione della realt dello scil)ile non pos- M sono n debbono partecipare li giudicii istintivi , quando per avventure r alcuno ne esista nell' ordine puro conoscitivo m ( P. II , e. XVIII , ni ). Qui il G. M. vuol sicuramente dire  non conviene prima 95 CAPITOLO U. Molto pi Tale tale osservazione pel caso in cui trovasi il S. .^ il quale confessa, che il solo esser possibile che il sa- pere nmano si formasse in virt di giudizj a priori sintetici, ^istraderebbe la verit dello scibile stesso. Indotto da questo timore, che non si perda questo preadosissimo tesoro della ve- rit dell^ umano sapere, il N. . stabilisce tre massime, che deb- bongli servire di scorta nell^ impresa di dimostrare lo scibile. La seconda  questa: u se i giudicii a priori sintetici esistono,  essi non convincono la ragione, bens la violentano 9. La terza poi:  ogni prova circa la realit dello scibile, perch sia  razionale e produca scienza, non pu appoggiarsi alla con-  vinzione istintiva dei giudicii a priori sintetici " (i). Ognuno vede, che messo in un dialoghetto il modo di ra- gionare del N. A. , riuscirebbe pure alquanto curioso e pia- cevole. C. 3f. Voglio dimostrarvi la verit deUo scibile. D. In che modo il farete voi? C 3f. In prima conviene che mi spacci di quella molesta questione delle origini dello scibile stesso: io la dichiaro con- gfaietturale, e se mi permettete, anco di pi, al tutto inesco- gitabile. coooscere se esistano , e quali seno ? Star in arbtrio di un tal filosofo evitare questioni si necessarie , col pretesto che sieno difficili o solo con- ghietturali? Ancora, il nostro autore accenna sempre a questi giudizj a priori i ed all'incontro evita di toccare^ il pi che pu , le notizie naiU' 'tt^. o toccandole qualche rara volta, le accoppia co' giudizj a priori, )uasi fossero pasta di uua stessa farina. Questo egli > a quanto pare, Qn secreto timore che egli prova di non uscirne troppo hene , se mette in chiara luce la questione delle notizie ingenite^ e per la mantiene in ombra. Convien sapere, che tutto il danno che pu venire al sistema del C M.,  solo da queste; e non da' giudizj a priori, che sono cosa total- ente aliena. Questi ho io lungamente rifiutati , e mostrati assurdi. Bgli non dovea dunque coufonderli colla dottrina del lume innato dell'intelletto, Ula quale sono diversissimi : e quando il parlar di quelli nulla importava , il parbr di questa , e pienamente confuurla , se egli potea , gli era neces* trissimo. (i) P. II, e. IH, vi 96 D,  vostro bel piacere: ma se non si pu saper nulla del modo onde le cognizioni sieno apparite nelle menti nostre ^ rimarr incerto ugualmente ch^elle ci sieno piovute di cielo colla rugiada, o che ci siano spuntate in sul cervello come i funghi su per gli greppi. C, M. No, no* Io non posso ammetter^ i gludizj a priori: queste origini intendo sbandeggiarle interamente dalla mia dottrina. D. E perch non li ammettete voi? per che lor colpa li sbandeggiate 7 C. M.  Perch se i giudici! a priori sintetici esistono, essi  non convincono la ragione, ma la violentano  . Dunque non ci sarebbe pi la verit dello scibile. D. Bene sta^ ma c^ bisogno che questa verit dello scibile ci sia, anche se ella non c^? prima dimostrate che ci sia, e poi ditemi quello che volete della sua utilit e de^ suoi pregi. C M, Non la dimostro Io? D, Scusatemi, se mi vi oppongo. EgH pare a me, che voi non sentiate il bisogno 2K dimostrare la verit dello scibi- le: perocch voi P ammettete senza dimostrazione alcuna. E non cominciate voi dalP escludere i gludizj a priori per Pa- nica ragione, che quelli torrebber via la verit dello scibile? Dunque questa verit prima di tutto P ammettete, e con questo primo dato cVella ci sia, e che non si possa levare dal mondo, voi andate avanti, cacciando In prima i gludizj a priori^ o pi tosto condannandoli come rei di stato alla pena capitale. Ma- nifestamente adunque voi non dubitate di ammetter da prima siccome bella e dimostrata la verit dello scibile , . se vi spac- ciate cosi in favor suo d^ogni cosa che vi d molestia, od im- pedimento al vostro cammino. A che dunque dimostrare quello che avete posto per indubitato nel primo cominciamento del vostro discorso? CAPITOLO UI. N il Mamiani pu replicare , che quelli che si credono gi-* dizj a priori forse non sono altro che fatture nostre istintive rimasteci dall^ infanzia, de^ fatti della quale et non vuol par- lare: perocch 97 i.*" Noi provammo essere assurdo Passeguare al sapere mnano due origini essenzialmente diverse ( i ). 3.* Goll^aver egli detto y che i giudizj a priori ^ se veramente edstessero, gli sconcerterebbero la sua dimostrazione del sapere, ^li s'^ messo da s in obbligazione di mostrare, che quelli non sono, n posson essere^ abbattendoli in giusta e leale tenzone, non pugnalandoli, quasi direi, nelle tenebre. 3.** Dove poi gli accordassimo esser possibile, che nelP in- fanzia il sapere umano proceda per operazioni essenzialmente dlTerse da quelle che Tuomo usa in altra et^ tuttavia non gli basterebbe al suo intento questa mera ipotesi, questo yrse/ ma gli converrebbe provare, volendo trar proGtto dalla nostra concessione, che la maniera onde T adulto si forma lo scibile,  diversa sostanzialmente da quella onde lo si forma il fan- ciulletto. E questo egli noi pu provare: perocch egli vuole, che le origini del sapere nel bambino sieno inescogitabili, o tutt^al pi congetturali : dunque  impossibile di saper mai , o di provare con certezza, che sieno essenzialmente diverse dalle ori- gini del sapere nelP adulto. Possono esser diverse, dic^egli: dimqae possono essere le medesime , dico io. Ed ecco come la sua maniera stessa di parlare non eccede il congfaietturale , o pi tosto il possibile: u Qui ripetiamo,  che le analisi e i ragionamenti prodotti da noi a prova  d^una porzione dello scibile umano possono differenziare  assaissimo da quelle analisi e da quei sillogismi, onde si   tratti la prima volta a credere il mondo esteriore ed il  mondo passato^ conciossiach non  nostro intento, n no  stro bisogno di svolgere e riandare in nulla i procedimenti  naturali del senno umano nella formazione originaria di  quelle verit, che compongono il senso comune r (2). G che panni singolare in questo passo si  il trovare, ch^egli da al fanciullo delle analisi e de^ sillogismi co^ quali a venuto al conoscimento del mondo esteriore, e tutta- via mette in dubbio che le funzioni della sua mente sieno (1) Gap. XXXI. (a) P. II, e. IX, w. RosMUii, // Rinnovamento. i3 9 della specie medesima a quelle della nostra. Or qaelle analisi, e sillogismi, arranno si o no i costitutivi delle analisi e de^ sillogismi. Se no, non erano analisi, n sillogismi; se si, non dif- ferivano essenzialmente da quelli dell^uomo adulto. I costitutivi essenziali non debbono esser sempre i medesimi? I sillogismi del bambino, se sono sillogismi, non doveano essere della stessa forma e natura di quei d' Aristotele ? Tutto al pi pos- sono differire nella cagione che li muove, nascendo al bam bino istintivi i sillogismi o i giudizj, quando quelli dell^ adulto o pi tosto alcuni di quelli cW adulto son liberi o sia mossi da un decreto dell^arbitrio : ma ci per nulla altera o muta la loro natura, e la loro forma essenziale. CAPITOLO LUI. Perci quando dice il C. M.:  a noi non pare verisimile  e IV, art. iv. W P. n, e. IV. 100 del sapere primitivo si contengono nelle forme provate dal C. M. ^ o alla sua dimostrazione sfugge qualche forma di sa pere^ quale  quella del sapere primitivo ed elementare. E pure egli non vuole che gli sfugga bricciolo del saper nostro, che non sia sommesso alla sua dimostrazione , di cendo egli :  Perch V atto conoscitivo , ossia V istrumento u quotidiano ed universale di tutto il sapere veste un modo a costante e proprio , di cui ci conviene esplorare la realit e tf Fuso, accade di dovere illustrare il giudicio conoscitivo "(i). Qui Tatto conoscitivo  chiamato w Fistrimiento quotidiano u ed universale di tutto il sapere 99 ^ il che non pu voler dir altro, se non che non si d sapere senza Tatto conosci- tivo, e che per anche il sapere infantile dee farsi coll^ atto conoscitivo. N pu dirsi, che quest'atto conoscitivo vani ne^ suoi costitutivi essenziali quando si usa dal bambino^ pe* rocche non senza cagione nota il N. A. , ch'egli u veste un modo costante e proprio , il quale non pu variare, perch esser variabile ed esser costante sono cose conti^additorie. Se egli dunque trascura di parlare dello scibile primitivo, e parla solo del presente^ giova credere che il Mamiani ritenga quello esser contenuto in questo, e lo scibile umano non va- riare essenzialmente secondo il vaiiare Fuomo d'et ^ e per av- visi, che dimostrato lo scibile nella condizione in che ora r abbiam presente all' animo , sia anco dimostrato in quella condizione in che l'avremo nell'ultima nostra vecchiezza, o in che l'avemmo nella nosti*a prima infanzia : perocch altramente converrebbe dimandare per quale et della vita umana abbia scritto il N. . la sua dimostrazione dello scibile : cosa che tornerebbe im vero imbroglio a definire. Per me ad ogni modo sto con Cartesio, il qual dicea, che una proposizione vera, sa- l'ebbe vera ugualmente non che veduta da bambini o da vec- chi, ma quando anche noi la trovassimo o la formassimo so- gnando (1) P. II, e. XX, n. 101 CAPITOLO LV. n contrario sarebbe cos strano, come a dubitare se V oc ckio del bambino non vegga allo stesso modo dell^ occhio del- Tadulto, o se Torecchio udendo i suoni, Inodorato fiutando i sapori, facciano nella prima et un^ operazione totalmente di- versa da quella che fanno in noi presentemente. Fondare simi- glianti dubitazioni, come fa il C M., sul non aver noi remini- scenza di ci che ci  avvenuto nell'infanzia,  cosa, a mio avviso, assai fiivola: perocch anco senza ricordarcene ^ possiam per sapere, che le potenze essenziali all'uomo sono sempie le stesse , ed hanno un loro operare proprio e immuta- bile: perci possiamo pure sapere, che quello che ci ha di es- senziale nelle operazioni di esse potenze , non potea nel primo tempo esser diverso da quello che ora troviamo essere, e da quello che sperimentiamo tuttod in noi: perci assai bene e con tutta sicurezza noi argomentiamo a quello che fu jer, o Tanno scorso, o venti anni prima, sebbene or noi l'abbiamo dimenticato^ perocch la mano ha fatto sempre da mano, il piede da piede, e l'intelletto da intelletto. E qui il C. M. stesso ci d ragione.  Errano, dic'egU,  i filosofi, i quali s'avvisano per un  loro giudizio assoluto ed anticipato, non poter rilevare la  forma certa ed essenziale dell'intelletto, quando la genera-  zione prima delle sue facolt e delle sue idee rimanga con-  getturale t (i). Osserver per intermezzo, che alquanto strana sembra quella maniera di dire: u la generazione prima delle sue facolt 9 ^ perocch io capisco assai bene come si possa parlare di una generazione, o formazione d'idee e di cognizioni^ ma in quanto a facolt, io per me le tengo manifestamente inserite nella nostra essenza, e non sopravvenute in noi dopo esser nati. Che forse il Mamiani ritenga ancora nell'animo suo il giocherello della statua condillachiana 1 alla quale potendosi attribuire tatto ci che meglio piace, perocch ella non mena lamento (i)P.I,c. XVI, 7. afor. lOl di sorte , ben piacque altrui di concederle prima le sensazioni che non le facolt di sentire^ e le si fece nascere fin ranima nel morto cuore, mediante certe impressioni esteme che in essa venian creando degli atti di un sentimento che ancora ella non avea? Per me non so come potenze al tutto nuove sur- gano in uno spirito che non le abbia seco a principio, quando il creatore stesso non ve le infonda^ perocch se si formano delle potenze veramente nuove , queste dovrebbero formarsi da degli atti di altre potenze^ e non so come atti di potenze pos- sano produrre delle altre potenze. Tuttavia non oso attribuire al Mamiani queste dottrine , che a me non pajono de^ pi leggeri strafalcioni in filosofia: ma non posso per tenermi dal notare di alquanta ambiguit il passo allegato , come pure que^ luoghi ( e sono frequenti ) ne^ quali scrive : u le origini dell^ intelli-  genza " (i), o  la generazione prima dell^intelletto  (2), ed altre tali maniere ^ in vece di dire : le origini delle idee , 0 delle cognizioni, che sono effetti delle operazioni intellettive. CAPITOLO LVI. Ma ritornando al proposito, nel passo riferito il N. A. man- tiene , che si pu tf rilevare la forma certa ed essenziale del-  Tintelletto . Or questa, se  certa ed essenziale, non man- cher mai, dove vi abbia intelletto^ e per anche ne^ primi (i) P. I, e XVI, 6. afor. (a) Ivi.* Si consideri tuUo intero questo luogo del C. M., e si vedr esser molto difficile , per non dire impossibile , * interamente purgarlo da questo sospetto. Dopo aver egli detto, che la Geologa e la Cosmologia trattano  (a): il che  quanto I dire, convien mostrare che tutte le altre cognizioni hanno ^ (i) Dd Mmmovamenio P. 1, e. XVI, a. afor. (a) IfL  Se vi SODO de' procipj non generati , n possibili a generarsi di niun senso da niun giudizio  da niuna sperienza, onde saranno questi? NoQ farli la natura stessa quella che ce li avr dati senza V opera nostra? '' I Cod il Doitro autore , quando gii bisogna  non si fa coscienza d' introdurre I ^principj innati  che altrove esclude; e ne introduce per avventura pi i dkt noi non gli dimandiamo ; perocch noi non ammettiamo principj in* Diti , na solo an semplice principio de' principi j come  noto. &0SMUI1, // Rinnovamento. i4 io6 mgine da quelle prime^ ma quelle prime non hanno oiigin altre cognizioni ad esse precedenti. Si fa dunque di qui mai bOj che la questione dell^orgine delle idee e delle cogniz  quella sola che rende possibile a trattarsi P altra della tezza dello scibile. Ciascuno gi s^ avvede, che Fargomento or da me reca provarlo, non  solo mio, ma di un autore a cui il C non pu negar piena credenza^ perciocch esso  tolto libro del BinnoyamenU) della filosofia antica italiana^ F C. XVI, a.* afor.^ Adunque, secondo Fautore di quest^ opera, i.^ Le cognizioni mnane discendono le une dalle altre e conseguenze da principj \ ma ve n^ha per alcuna, cui  i  senso , niun giudicio , ninna esperienza  bastevole a  nerare 9. a.^ A dimostrare quest^tJtima, baster far conoscere che non ha origine in niun^ altra cognizione antecedente^ o tre a ^mostrare quelle prime, converr far conoscere la . derivazione da quella prima, a cui come a verit indimof bile ed evidente quelle si debbono rvocare e ragguaglii perci le une e le altre solamente nel discorso della loro gine trovano certa prova e ferma dimostrazione. LIBRO SECONDO DELL' ORIGIIfE DELLE COGNIZIONI UMANE. ( M Ci bisogna provare con la storia fenomenica M dell' intelletto j che niuna idea e niun prin*  cipio rimane soperiore a quelli ( i primi r principi ) , e che muN ssvso , niun oiuoiao , M HIOVA SSFBaiXNZA  B48TBT0LX A OBNBaAai.lM. C. Mjmjn, P. I, e. XVI, a.** afor. tinello elle noi abbiamo fin qui lungamente ragionato fa lo strettissimo nesso che tiene unite fra loro le due filoni dell^ origine e della certezza delle umane cognizioni* pova della verit di questo nesso ci venne offerta dallo stesso niani. In vano protest egli e dichiar troppe volte Tindi- denza di quelle questioni^ che interrogata diligentemente )era sua, egli rimase convinto e confesso del contrario: n lo io, che possa rimanere di ci il minimo dubbio, dopo x>8e dette. l'orse a taluno sar paruto minuzioso e limgo in rilevare M>ntraddizioni delP avversario^ ma lo feci a consiglio, e co^ dire, in prova. Perocch non credo averci una cagion ampia della peipetuit delle dispute filosofiche e del non ir mai i disputanti in uno accordo , quanto quel vezzo tenersi ragionando in sulle generali , e battere, come so- ni noi dire, la campagna: vezzo e modo, a cui e P altre ^ I nostra nazione ancora va oggid debitrice di tanti incerti atHi scrittori. Conciossiach egli non  per avventura difficilis- 0, n fanno uopo lunghe meditazioni, e scienza sincera le- imamente acquistatasi a prezzo di vigilie, e travaglio d^in- ;no, a potere venir dissertando, e ampiamente scorrazzando le crepuscolari regioni delle generalit , mettendo fuori per io8 tmrentura grandi e misteriose frasi, ricucendole in grandi pe- riodi, e nulla finalmente facendone riuscire di chiaro, di pre- ciso, di evidente. Il che per vero  un getto infinito di tanti pronti ingegni, di cui Tltalia  fecondissima madre ^ i quali, dove sarebbero idonei di giimgere ad un saper solido ed utile a^ buoni progress delle scienze , utile alP umanit^ pre- feriscono in quella vece^ male istituiti, e imbaldanziti dal vigore che pur sentono nella immaginazione e nell^ intelletto, di avventarsi a cogliere, anzi che frutti, le prime frasche che rimirano verdeggiare , compiacendosi tosto in s medesimi quasi avesser gi un certo seggio tra^ pi grandi uomini, per solo aver messi, vogliam dire, alcuni articoli in qualche gior> naie, dispensatevi delle palme, versatevi delle idee immature, vaghe, false, e de^ sentimenti giovanili, talor generosi, ma tali, di cui essi stessi non hanno n calcolato il valor reale, n quello, pel quale si po^KSono spendere. * Il qual difetto gravisfssimo procede finalmente da una coiai negligenza e mollezza intellettuale, per la quale chi scrive do^ micchia, e non vigila sull^ esattezza e sulla precisione logica di ci che dice^ ma senza curarsi gran fatto n che le pa- ipole sien proprie, n che i concetti che con quelle esprime sten chiari, netti e costanti, n che i ragionamenti siano filati e conseguenti^ s* accontenta di metter fuori quanto per avventura gli riene in bocca, purch sia cosa che mo- stri e prometta assai, che abbracci in qualche modo P univer- sale, sia gigantesca nel concetto o nella frase, e talora mostruosa. Che se a costui fosse fatta, e facesse a s stesso una cotal ob- bigazione morale di pensare e di scrivei'e logicamente, non iscri- verebbe egli pi quello che non sa , e ogni cosa direbbe con aggiustatezza almeno apparente, almeno intenzionale , e sarebbe una verit, o un prudente e assennato tentativo di trovare una verit. Venuto in tal condizione, lo scrittore ha un fine, un fine nobile, sublime, una importante missione^ ma nella condizion contraria egli scrive, e non sa il perch^ empie di grandi fo- gli, e di grandi volumi, ma non ha per detto a s stesso che cosa si voglia col versamento di tanto inchiostro^  una piet il vedere , che egli non iscrive che per iscrivere, e perch gli altri dicano che egli ha scritto. log E per son io talora venato in desiderio, che come si fanno i^ giornali (mezzo tanto efficace, dal quale non 8^  cavato neora tatto il bene che si potrebbe) che tassano gli errori  lingua^ cosi se ne facesser di qnelli, i quali intendessero lo a castigare negli scrittori gli errori di logica: giornali che Rii8cireU>ero forse alquanto minuziosi , e stucchevoli al palato (Bisto di molti, ma che varrebbero tuttavia assai meglio di tanti altri, i quali taglian si largo, e promettono mari e Bionti; conciossiach per me io antepongo una minuzia sola fi vero , a un monte immenso di falso , di vano, d' ambiguo , ii alterato e di contraffatto. E spero io bene, che un tal gioniale, se si scrivesse da qualche valente e discreto uomo, vonrdibe raddirizzare le gambe torte a molti che scrivono^ e arebbe per avventura una scuola di logica pubblica, solenne, nazionale. Or quali incrementi non potrebbero aspettarsi le seienze, che immenso profitto non dovrebbero averne gP in- teressi delle famiglie e quelli della nazione, ove aggiustassimo anco solo un po^ meglio le nostre teste ? Il perch  da con- ioBure, averci certe cotali minuzie, se cosi si voglion chiamare, le quali arrecano dopo di s delle conseguenze tutt^ altro che minuziose. Volesse Iddio che gP istitutori della nostra giovent posse- dessero tanto di senno da poter insegnare a^ loro alunni questo solo, di essere coerenti ne^ loro ragionamenti ! Chi potrebbe dire spanti mali non s^ eviterebbero pur da questo , che gli uomini s^aOevassero in modo da dover sentire il bisogno di porre una fama coEREirzA ne' proprj pensieri? chi prevedere i beni, che procederebbero da si minimo principio? L'apprendere a' giova- netti questo solo, vairebbe loro assai meglio d'infinite cogni- aoiii positive che lor si dessero, le quali a che pr si danno i quelli, che non han l'arte d'usarle? Or venendo a noi, io debbo confessare, che in traendo a luce aon poche incoerenze del C. M., ebbi in animo, oltre che di noslrare la falsit della sua dottrina, di dare altresi un cotale CMmpio agl'italici scrittori di quella certa pigrizia e lassezza  intelletto, che fa lo selettore indulgente seco stesso, e per filante ne' passi suoi, contrario a s nelle sue affermazioni^ 3  dice  La ragione  awdettfiia, per cui essa idea conviene a ciascuno di quegli oggetti, onde *fii ricavata, la (a convenire con tutti gli altri reali e possibili, che fra le  condizioni varie del loro essere includono la sfericit. E perch il nu-  mero di questi non  limitato , ma trascende la creazione medesima e  spazia nell'immensit del possibile, cosi l'idea astratta della sfericit  1 13 Venendo perci il N. A. a cercare quali sleno gli atti neces- sari alla mente che prende a formare gli universali, insegna, coerentemente a quanto disse Intorno alla natura di tali idee, a tre sorte di atti concorrere (nella loro formazione) conti-  nuamente: la concezione dei termini particolari paragona- te bili: il paragone di quelli e F astrazione dell^ identico: il  giudicio della possibilit d^una ripetizione infinita di esso  identico '^ (i)* Ora in questo terzo atto a me basta di cbia- mar r attenzione^ il quale atto suppone appunto nella mente che il forma, Tidea del possibile, perciocch esso non  al- tro , che il giudizio sulla possibilit (T una ripetizione itfinita di esso identico. Riassumendo adunque queste dottrine del C. M., dico, se- condo la mente sua chiarissimamente espressa, I .^ Che r idea universale si estende a tutti i singolari pos- sibili, i quali sono infiniti^ a.^ Che essa esige un giudizio sulla possibilit infinita di questi singolari; 3.^ Che essa quinci medesimo non pu esser fetta da una mente, la quale non abbia gi in s Pldea del possibile. CAPITOLO n. GOIISEGUEIVSKA DI Ci CHE IL C. MAMIAMI CI ACCORDA: L^IDBA DEL POSSIBILE NON k DI NOSTRA FORMAZIONE. Fin qui siamo pienamente d^ accordo. Ma se il G. M. ci concede, che uno spirito che non pos- sedesse ridea del possibile, non potrebbe mai glugnere a for- M vera idea universale e di comprensione (estensione) infinita  (P. Ut e. Xy IV ) Delle idee astratte complesse dice parimente che  sono eziandio ualf er-  sali^ peit^ riferibili a tutte le cose , che rinchidono in s un grv^ppo m medesimo d'identit integrali e int^ranti: e qualora n manco uno di ft tali gruppi fosse veduto sussistere nel concreto, pur tuttavia appartiene 94 a loro r immensit del possibile m(P. II^cX^v). (i) P. n, X, vn. ii2 le idee unirersali^ onde poi lo spirito trarr o former (jHsta stessa idea del possibile? Eccoci al gran problema della filosofia, nel modo appunto che da me fu proposto nel Nuovo Saggio : ecco il varco , al pale noi aspettiamo i nostri awersarj. Questa idea del possibile non  anch^ella unirersale? non  ani la pi universale di tutte ? pon  quella , chi ben consi- dera, cbe aggiunge all^ altre la universalit? perocch questa BiTersalit , che , secondo il C. M. stesso, se non F infinit propria non delle cose reali, che son tutte finite, ma del 9A0 possibile (1)? Se dunque tutte le concezioni si rendono imiversali unica- mente coll^aggiunger loro V idea della possibilit , questa dee precedere di sua natura tutte Taltre idee o concezioni univer- sali : ella dunque non pu essere di formazione umana , peroc- ch per esser formata avrebbe bisogno di se stessa^ non si forma la possibilit senza la possibilit : questa dunque non  idea che il nostro spirito possa comporre , ma solo immediata- mente ricevere , o intuire, senza processo di formazione alcuna. Tale  la dottrina esposta nel Nuovo Saggio^ la quale scendendo immediatamente da^ principj del C. M., parrebbe non dovesse esser da lui mal ricevuta, o tolta a impugnare. N voglio credere la parola d^ innata^ aggiunta da me a tale idea, essere stata altrui quello che  a^ fanciulletti la befana o altro tale spaventacchio ^ perocch la voce  innata  final- mente non vuol dir altro , se non im! idea non di nostra for- mazione, ma dataci da natura, postaci innanzi allo spirito da imaire immediatamente. E che ella non sia di nostra formazione, si trae, come di- cevamo, da' principi del N. A. La differenza dunque fra lui e ne, star nelPaltra parte, cio nel non voler egli affermarla lalad per natura, 0 sia innata con noi. Quando ci sia, egli mie che la discordanza stia, pi che in altro, nelle maniere li dire. Accorda che vi hanno de' principj, che u niun senso, ( aiim giudicio, ninna esperienza  bastevole a generarli n (2): che cosa vogliam noi di pi? (i) P. II, e. X. (a) P. I, e. XVI, a.* afor. RosMixn , // Rinnovamento, * 1 5 i4 Al C. M. tuttavia sembra di dire qualche cosa di diverso ds noi 9 quando afferma che le genesi di tali idee sono arcane ed inescogitabili 9 e che u la notizia di questi fatti essenziali n (cio di ci che vii a nelFidca d^ immutabile) u non pu emer a gere da un^ esperienza illimitata e perpetua,  e la cagione  prima ed efficiente d quelli resta sepolta all^ occhio nostrG  intellettuale 99 (i). Ma che ? a noi pare di averlo qui pi vicino ch^ egli non creda. Imperocch quando noi abbiam detto, Pidea delPentfl possibile non esser di nostra formazione, e per dataci dalla madre natura; non abbiamo mica voluto spiegare in che guisa e con quale artificio essa natura ce T abbia inserita; ma pia tosto abbiamo solo considerate come identiche queste due pr* posizioni: non essere Fidea del possibile di nostra formazionei e: r esserci quella data per natura. CAPITOLO m. ALTRA CONSEGUENEA: LA NOSTBA DOTTRINA K09 PU ESSERE DAL MAXUVI RIFIUTATA SENZA CONTRADDIRE A SE STESSO. Ma io voglio far rilevare ancor pi, di quanta importana sia la concessione che mi fa il C. M. , convenendo meco in questo, che non si possono in modo alcuno da noi fonnar le idee veramente universali senza che prima noi possediamo Tidea del possibile: questa concessione contiene tutto intero il mio pistenuu E di vero , chi medita quale sia la natura delle idee, tron che non v^ha unMdea sola, la quale non sia universale, cio non 8^ estenda a tutti i possibili in lei rappresentati e detenni* liati: io ho dimostrato questo vero nel Nms^ ^^'ggT'^* Ci che pu far parere il contrailo, si  solo il non confi" derarsi Pidea nella sua purit, ma mescolata con degli cfe* menti a lei eterogenei. Nella prima formazione delle nostre ideO] principalmente di cose corporee, che sono quelle a cui dianM quasi tin^ esclusiva attenzione, Pidea  sempre applicata ad un (0 P. Il, e. X, VI. ti5 essere reale: ella , come dissi nel NuoH) Saggio^ una perce- none, e non unMdea pura (i). Conviene attentamente fissai-e b differenza che separa la percezione dallHdea. Quella  com- postfL di pi operazioni; quando questa  semplicissima. Si attenda a quello che fa il mio sp'ito allorch percepisce in lagion d^esempio un giglio. In me nascono due cose: io ricevo odia mente la forma del giglio, e di pi io acquisto la per- masione che sussiste un giglio reale corrispondente a quella forma da me ricevuta. Queste due cose, sebbene contempora-* nee, sono diversissime di natura; e la prima pu sussistere senza la seconda. E veramente , poniamo che ti*a.scorra buon tempo dopo la vista da me avuta del giglio ; io posso al tutto dimenticarmi di quel giglio particolare da me veduto , posso fin anco perdere la memoria di essere una fiata entrato nel giar^ dino del mio amico, dove vidi e percepii quel candido fiore; e tuttavia mi pu rimanere intatta nella mente la forma , la rappresentazione ideale di lui, rappresentanza che io non so pi riferire a ninno de^ fiori individuali da me veduti, e ritengo pure nell^ intendimento s come ima mera possibilit di fiore* Per tal guisa il tempo ha prodotto nel mio spirito la scompo sizione della percezione nelle due sue parti; Puua  perita^ cio la persuasione che quel fiore individuale e reale di quella Atta natura e in quel dato giardino sussistesse; T altra si  conservata, cio si  conservata quella parte che in s rac- chiude tutto ci che vale a notificare alla mia mente, e rap' presentare il fiore, non a darle la coscienza della efiettiva sus-* sistenza di lui. Or questa parte che soprasta,  evidentemente cosa distinta daDa prima che  perita; e perci ella si vuol segnare con nome diverso dalla prima , e non usare un vocabolo eguale per tatte e due: il che non farebbe, e non fece c^e produrre in- finite equivocazioni ed errori nelle filosofie. n nome che fu posto dall^uso del parlare de^ volghi, non uno die delle scuole, a quella parte che rappresenta alla aente la cosa, senza indurre in essa alcuna persuasione di sua (i) Sei. V, e. IV, ari. v. f ii6 reale sussistenza, fu quello dHdea (elSa)^ e d Grecia cpiesto vocabolo fu comunicato a tutte le nazioni^ da^ Latini fu anco traslatato nelle voci species ^ forma ^ exemplar (i): voci tutte, che nulhi affatto esprimono della sussistenza reale d^una cosa, ma solo indicano la rappresentazione ideale, o notizia di una cosa nella sua essenza, cio nella sua possibilit. Che se poi si cerca di che condizione sia T altra parte della percezione, cio u la persuasione che surge nel nostro spirito della reale e individuale sussistenza dell^ oggetto percepito i . egli sar facile a conoscere, che la natura di essa  quella di un intemo assenso, o sia di un intemo giudizio che noi fac- ciamo sulla sussistenza delPoggetto rappresentatoci nella mente (coir idea). E veramente il persuaderci che un oggetto sussiste, che cosa  alt*o se non una parola intema che noi diciamo a noi stessi, un giudizio che suona cos: u la tal cosa (a me nota per Pidea o rappresentazione ricevutane ) sussiste ? Il giudizio adunque sulla sussistenza reale di una cosa individua, non si pu menomamente confondere colPidea della cosa: questa idea d Finter notizia della cosa, ma non pone ancora la sua reale sussistenza: viene il giudizio, ed afferma a noi, che quella cosa che conosciamo realmente sussiste: questo non aggiunge un minimo che alla cognizione della cosa, ma solo ci fa sapere che ella sussiste in s : tale operazione ha bens bisogno del- Tidea, ma Tidea non ha alcun bisogno, per esistere, di tale operazione del giudizio. Quello che rende quanto facile a intendersi, tanto difficile a ritener bene nella mente una s fatta separazione della idea pura dal giudizio sulla sussistenza della cosa individua , si  il farsi da noi queste due operazioni contemporaneamente, e per cos dire indivisamente, e per il parerci assai facilmente una operazione sola, e non due. Ma convien riflettere che nell^uomo non opera necessariamente una facolt dopo T altra, e Fnna in s^>arato dall^altra-, ma che essendo Tuomo stesso il vero ope- ratore, egli pu mettere, e mette bene spesso in movimento pi faicolt insieme, e fa ad un tempo con un solo decreto ^ (i) Vedi Cic. De Univen. II, Top. vn. '7 con uno stesso impulso pi operazioni. Si spetta dunque alla sa- peit del filosofo il partire quegli atti che in natura sono si- nltanei, Pesaminarli a parte ciascuno da s, stabilire a eia-* scono la propria natura e le proprie leggi ^ e non attribuire ad ODO ci che ad un altro appartiene. Or venendo a noi, dico, che quando si abbia per tal modo scererala Pldea dal giudizio, e considerata quella prima nella sua purit, cio senza raggiunta di questo^ apparir manife^ stissimo, che ella  per sua propria essenza universale, impe- rocch non racchiude in s alcuna persuasione di un individuo come realmente sussistente, ma solo la rappresentazione di un indTiJuo come possibile a sussistere^ e perci apparir, che l'idea pura si distende tanto in l, quanto la possibilit stessa, il che vuol dire, che abbraccia P infinito. Fermate queste cose, egli non  difficile a dimostrare quanto affermavo, che la concessione fattami dal C. M.,  non potersi formare gli universali senza Tidea del possibile n , contiene in i Panmiissione del mio sistema per intero , il quale non para finalmente ad altro, che a questa sentenza:  tutte le idee si formano mediante unMdea prima, che  quella dell^ essere pos- sibile 99, Imperocch noi abbiamo veduto, i.^ che tutte le idee per loro propria essenza sono universali^ a.^ che P universalit di esse nasce dall^ idea di possibilit. Dunque, concludiamo noi, tutte hanno bisogno delPidea del possibile, a poter essere, o, ren- dersi presenti al nostro spirito. CAPITOLO IV. nFKDELTA^ COLLA QUALE IL C XAMIANI ESPONE LA NOSTRA DOTTRINA. Di qui discende, che a torto ed a suo proprio scapito ri- prova il G. M. la nostra sentenza sulla natura degli universali. Tanto pi , che egli la riprova ( dobbiam pur dirlo ) fi*ain- tendendola , o contrafiacendola. Io mi debbo qui un poco in- dugiare, per intramettere alcune parole sulla opinione che il Mamini mi attribuisce, e sul modo onde la rifiuta. Ecco come espone il mio pensiero: ii8 M Egli stima ( r Ab. Rosmini ) , rinnovando in parte la dot** u trina dei tipi platonici , che una idea singolare divenga uni- tf versalissima, con questo soltanto cVella sia guardata come tf esempio d'altre idee infinite, o reali, o meramente possibili, M e identiche a lei pure in ciascun accidente individuale f (i)* In quanto a quel tocco de' tipi platonici, esso  tale, che farebbe nascere il dubbio se il N. A. , di cui per altro apprezzo la dottrina e Tingegno, siasi formato il vero concetto di quellL Ma senza di ci, osservo, essere un vezzo di molti scrittori il far nascere un pregiudizio a danno di quelle teorie che loro non piacciono, colF appiccar loro qualche odore di platonismo, dalla fama del quale odore v' ha di molti , che senza aver mai fiutato Fopere di Platone, fuggono a rompicollo, come il can rabbioso dall'acqua. Sto bene anch'io dunque presso cotestoro, con tanto puzzo adosso che m'ha messo il C. M. ! n credo egli basti a nettarmi di tanta infezione il Gap. I della Sez. IV del Nuovo Saggio ^ dove ho mostro quant' io m' allontani dal Bommo filosofo ateniese^ perocch chi mi assicura che quel capitolo sar letto? In secondo luogo, parmi strano a sentirmi affibbiare, che io ammetta alcune idee esser reali ^ ed altre meramente possibili. Non so dove possa aver trovato il N. A. questa nuova classificazione delle idee^ ma certo tutte altrove, che in cose scritte da me. In queste, e principalmente nel N. Saggio potrebbe aver veduto, se gli fosse bastata la pazienza di leggerlo, che le idee tutte per me sono reali, ove si considerino nella loro propria entit; ma l'oggetto delle idee  sempre meramente possibile, e non mai reale o sussistente (2). N saprei immaginare un' idea pos- sibile^ questa veramente non sarebbe un'idea: ella tutt'al pi potrebbe essere l'oggetto di un'altra idea, quando quell'idea (i) P. n, e. X, IV. (2) Vedi iV. Saggio, Sez. V^ e. XXV , art. 1. La parola idea pigliasi dagli scruori in tre significati: i.* o per indicare l'intuizione delio spirito che termina in un ente possibile; a.* o per indicare l'ente stesso possibile in* tuilo dallo spirito ; 3.^ o per tutte e due queste cose insieme. Io questo ultimo significato molte volte io b uso. Talora per le attribuisco il se* condo significato ( il primo non mai ) ; dove il contesto basta a farlo in- tendere senza equivoco. '9 possibile 8^ immaginasse in una mente non sussistente attuai- unte , ma anch^ essa solo possibile. In terzo luogo non veggo a che gli possa valere quel super- lativo di tf universalissima n ^ giacch troppo potea bastargli r epiteto di  universale n. H che mi bisogna notare non tanto come impropriet di parlare filosofico, quanto come un artificio ch^egli usa a far credere , cVio non mi accontentassi di ag- gimigere di tratto Tuniversalit ad una idea , ma ben anco una somma astrattezza che la rendesse comunissima (i): ma io par* ler di ci pi chiaro fra poco. In quarto luogo egli suppone, che io ammetta delle idee angolari, le quali diventino universali sol col pigliarsi a tipi o rappresentazioni di altri oggetti. Ma egli non i accorge, ben- ch in tanti luoghi io lo ripeta, che le idee singolari per me mm sono che idee impure , cio idee miste con un giudizio , la natura del quale  afiatto aliena da quella delle idee^ e che tali idee singolari o impure , che pi propriamente si chiamano percezioni, considerate nella loro origine, si fanno universali con solamente spogliarle di ci, che non appartiene alla na- tura delle idee, ma che a quella  del tutto eterogeneo. Non  dunque ool solo guardar Fidea come esempio d^ infiniti og- getti, cl^ noi formiamo le idee universali: ma elle sono uni- versali per s , non perch le guardiamo sotto un tal punto di veduta, ma solo perch possono essere da noi in tal modo guardate ed usate, la quale attitudine non gliela diamo noi, Dia  loro intrinseca e propria. Pi tosto potrei ben io rimettere a lui qui la palla, come si suol dire. Perocch io non comprendo, com^egli faccia a me un peccato di ci che egli nel suo libro s chiaro e di frequente insegna. Io ho gi recati pi passi del libro del C. M., dove si rende ragione del perch le idee si chiamano univer- sali; il qual perch non  poi altro, se non il loro riferirsi ad infiniti oggetti possibili {2): se quelli non bastassero, eccone (i) A  avii letto il N, Saggio Jar beo naoifesto che immensa dif- ieretaa oorra fra la (M:okli di universaiizzare le percezioui e quella di vinure le idee. Vedi Sex. V, e. IV, art. 1, } a e S. (9) Vedi add L. I, e. XXXI. un altro:  Taluno pu andar foggiando nell^ animo suo i tipo astratto e auitastico dei mondi creati (i) stringendo  piii idee universali un nesso arbitrario. E non pertanto q  tipo dei mondi  di sua natura nozione immutabile ed v ti versale: conciossiach egli non pu sofirire cangiamento ^  V. Qui si parla di u tipo che il nostro autore chta] non solo composto d'idee universali (che per lui equivalgono a idee astrati ma ch'egli stesso chiama anche  astratto . Ora egli  al tutto impi sibilo che dei mondi o creati o creabili w .si conformino a lui con perfiett  sima identit . Perciocch se il tipo  astratto^ e d'idee astratte eoi posto  egli non potr gi rappresentare se non delle note comuni di qnc mondi, ma esso non conterr mai quelle loro note proprie , che l'un meo dall'altro distinguono. Questo periodo adunque del N. A. contiene di mo inesattezze* (3) Vuol dire estensione. (4) P. n, e. X, IV. n dire qui  smisurato numero di soggetti, m do aver detto che  di  comprensione infinita m,  un parlare inesatto: f rocche uno smisurato numero di soggetti , non e uu numero infinito. G questo vacillar continuo, e tramutar di espressioni, chi  che non veg L^'dca dunque non  universale se non perch ella  un tipo rappresentatore di un infinito numero di oggetti , o sia perch dk tf ha relazione necessaria con quante esistenze reali o e ipotetiche si conformano a lei n . Ma snella  co$ , onde i i mio errore , che non sia anche il suo 7 perch mi pu egli condannare dell^avef io detto ( se pur detto Pavessi ) che una idea  universale quando si rsguarda come esempio d^infiniti og getti? non pare egli simile talora il nostro Conte a quel principe che segnando le sentenze senza leggerle pose il suo nome alla propia condanna? CAPITOLO V. COMTimjZIOHB. Ma io non ho finite le mie osservazioni sul breve passo, onde il C. M. espone la mia opinione sulla natura degli uni- fersali. Io debbo dirgli ancora molte cose^ e il lettoi*e mi per- doni la lunghezza, perocch potr vedere egli stesso, che sono entrato nel gineprajo. Adunque dico, che non io fo universale un^idea, per que- sto soltanto, ch^ella sia guardata da noi come esempio d^ infi- niti oggetti; ma egli bens fa ci, senza che io me gli faccia ccnnpagiio in tale opinione : il perch la sentenza da lui pr- nvnciafta ooljMSce lui solo, e me lascia and^r libero. La opinione di lui non  veramente altra, che quella di CondiUac, da me confutata nel primo volume del Nwsfo Sag* p (i). Il CcHidillac, e non io, si  quegli che sostiene con- Yertirsi Vi&m particolare in una universale, col risguardarsi che si fa quella prima per modello di ci che le assomiglia (2),  II'*' . .  - come il nostro autore vorrebbe asconder sotterra, s'egli potesse > quella terrbile parola d' ft infioito^ j* che gli si presenta da per tutto > quasi om- bra sempre miuaccevole, e inesorabile contro il suo sistema? (1) Sez. IH, e. IL (a)  Noi non abbiamo alcuna idea generale cbe non sia stata particolare.  Un primo oggeUo cbe noi abbiamo avuto occasione di osservare >  u MODULO a cui noi riportiamo tutto ci cbe gii rassomiglia; e questa idea che non  stala a principio che singolare , diventa tanto pi generale, quanto il nostro discernimento  meno formalo , (Condiiiac^ Traile dcs semsations. Prcise) Kosiufii, Jl jRinnoy amento. 16 '191 Io dimostrai, che Pidca non si rende universale per >, perocch  qneQa appunto che forma gli universali. L^operazione della se conda si rivolge sulle idee, gi universali, gi formate dalla ope razton prima, e astrae da esse qualche quaht o essenziale o acci" dentale. Ora si legge ancora in quel libro, che sebbene a tutte e dae queste funzioni possa competere in qualche modo il nome di astrazione, tuttavia questo nome  da lasciarsi in proprio^ a fine di chiarezza maggiore, a questa seconda (i). Dopo di tutto ci, egli  manifesto, che se il G. M., a cui sembrami dover tutte queste cose tornare novissime , non avendone egli fatto cenno nessuno, intende dire dover esser necessaria la prima astrazione perch sgabbiano gli universali^ egli dice ap punto quello che noi diciamo, e per la sua sentenza rispetto a noi  proferita indamo. Se poi intende che faccia bisogno la seconda astrazione a costituire gli universali, egli sMnganna e si contraddice. S' inganna, perch vedenuno che ogni nota di un individuo, tosto che non sia pi nella sua realit ma nella nostra mente , . comune e possibile a replicarsi infini-* tamente. Si contraddice, perocch egli stesso ammette che V u* niversale non sia che il comune, e abbia bisogno, a formarsi nella mente , dcll^ idea del possibile* (i) Vedi il N. Saggio Sex. V, e. IV, art. i, ^ a. CAPITOLO vni. DISSIPATE LE OBBIEZIONI DEL C. MMIAMI, SI COMINCIA L^ ESAME DELLA SUA DOTTRINA, DANDO UN SAGGIO DEGLI ERRORI E DELLE CONTRAD- DIZIONI DI QUELLA. Le qaai cose ho dovuto dire per la difesa del vero. Ma ora io sono astretto di fare anco la parte di assalitore^ im- perocch senza questo, n la difesa fatta sarebbe intera. E ci che mi d lena di mettermi in cotali viluppi si  la speranza, che fra via mi venga il destro d aggiunger qualche grado di luce maggiore a de' veri importanti. Piglier ad esaminare primieramente il Capitolo X della II Parte del Rinnovamento , il quale ha per titolo : Delle idee unwersali^ e poi delle generali.  Dove prima di tutto, noto apparire, quello che ho gi detto, il Mamiani non aver conosciuto quel vero importantissimo, recato a piena luce nel Nuovo Saggio ^ che non avvi una sok idea pura, la qual non sia universale. Egli alF incontro seguita nel pregiudizio condillachiano, che le idee altre sieno vera" mente singolari, altre universali. Quelle prime facilmente le con- fonde colle sensazioni^ queste seconde (cio le universali) le confonde colle astratte. In s fatto modo gli sfuggono dalV at- tenzion della mente quelle idee universali che hanno luogo tra le sensazioni e le idee astratte, e nelle quali convien pur cercare e meditare il concetto della universalit delle idee. Il qual primo errore  della massima importanza , e serpeggia menando guasto in tutta V opera del N. . Or egli s' introduce a parlar degli universali , considerandoli siccome una congiunzione delle cose simili in fra loro. Perci egli dice, u noi entreremo a considerare la relazione che passa  tra le cose conformi e le non conformi, la quale pu de- a nominarsi relazione d^ analogia (i) e di differenza " E a in *  posta qui contro la propriet filosofica, (a) P. n, e. X, II. i33 E noi conveniamo in affermare, che le idee universali sono ome un vincolo che lega le cose simili insieme , purch s^ in- oda per che questo legamento si fa nella sola mente. Ma ci in cui discordiamo dal Mamiani , si  in far consi- terc la legittimit, o realit com^egli la chiama, delle idee miversali, nella relazione di queste colle cose concrete e sussi- tenti, termini della relazione o del paragone onde quero in noi Y origine (i). Avendo io gi detto e mostrato pi opra, che V idea non ha relazione necessaria con nessun essere astente, e che le sussistenze non sono che accidentali, e Tesser ijacste molte, o poche, o nulle, il durar loro lungo o breve, non leca la minima alterazione alFidea pura della cosa, la quale  im- mutabile e necessaria, non dovrei ripetere questa osservazione j ma io stimo di toccarla per aggiungervene un^ altra, la qual netta in chiaro in quanti aggiramenti si perda un autore qualsiasi, quando smarrisce il cammino del vero. n C M. dichiara inutile alla dimostrazione dello scibile F origine delle idee: io mantengo, questa origine essere in istretta connessione con quella dimostrazione. Or bene , chi crederebbe che dopo tali nostre diverse sen- tesze , tuttavia nel fatto il G. M. fosse costretto di fisir uso del- l'orgine delle idee assai pi che io non faccia? La cosa  manifesta, considerando le nostre due dottrine intorno gli universali. H Mamiani vuole che noi formiamo gli universali parago- nando le cose simili, ed estraendo da quelle ci che hanno di nmiglianza, o com^ egli dice , d^ identit. Spiegata in tal modo la generazione degli universali, egli non sa partirsi dal con- aderarli appunto in quest^ atto della loro generazione : egli um sa separare le operazioni e le occasioni in che quelle idee si brmarono in noi , e fissare la sua attenzione nella natura delle idee gi formate. Egli dice: le idee universali son nate nello spirito da de^ concreti, da delle cose sussistenti paragonate (i) Perci il volgo (non so a che fare entri qui il volgo) e i filosofi ' concordano in credere che la reali t2i ohbjettiva delle nozioni del simile o ' del dissimile consiste nella rispondenza e proporzione squisita che quelle 'ooftioni mantengono coi termini dellt relazione  (P. I, e. X, ui). i34 insieme (i)*, dunque le idee debbono avere una perpetua re- lazione con queste cose paragonate , e in questa loro relazione consiste la verit o realit loro. Egli fa come colui, che, dopo essere stato da una femmina partorito un bambino, dicesse, questo bambino non potersi considerare in disparte da sua ma- dre, o neir essenza e realit del bambino entrare perpetuamente la sua l'elazione reale colla donna cbe Fha genei*ato. Considera adunque le. idee universali sempre nelPatto dell'origine, e nelle circostanze della loro formazione. Io all^ opposto non attribuisco tanto all'origine delle idee. Io distinguo i due tempi , quello in cui V idea si produce in me, e quello in cui ella  gi prodotta. La esamino nel primo tempo, e la trovo circondata da delle circostanze cbe erano necessarie alla sua produzione, una delle quali circostanze, trattandosi d' idee positive di cose corporee , fu la presenza di certe sussistenze cbe hanno ferito i miei sensi. Ma poi la esamino nel suo secondo tempo , cio quando ella  gi in me formata^ e m'accorgo, che per continuare a sussistere nel mio spirito, ella non ha pi bisogno di molte di quelle ci^ costanze di che ebbe bisogno nella sua prima generazione, per esempio , ella non ha bisogno della presenza e dell' azione sui miei sensi di quegli esseri sussistenti, n pure ha bisogno della memoria di loro sussistenza, o della persuasione che sieno una volta sussistiti , bastando che nella mente mia si conseni la forma rappresentativa, o come la chiamarono i maggiori filosofi, l'essenza della cosa. Quindi io raccolgo, che quelle circostanze che hanno accompagnato la generazione della mia idea, non formano parte della sua natura, ma sono ad essa estranee^ raccolgo, che quando io percepisco da prima l'idea^ ella  mista con degli elementi stranieri a lei ^  quasi come la statua fusa, che appena uscita del cavo ha d'intorno de' ri- lievi ed escrescenze di metallo , dalle quali ella si dee rimoor dare e limare^ esamino poi quali sieno coteste superfluit, e trovo principalmente essere appunto la connessione cogh og- getti reali, coli' occasion de' quali ella nella mente mia s' (i) Non considera il M. che i sussstenti come tali non si paragonano in- sieme, e che ogni paragone nasce fra oggetti del nostro spirito. i35 mata , e che possono tuttavia perire senza che anch'* ella pe- ea^ A come la forma si pu rompere durando la statua fatane. Io vo molto pi innanzi continuandomi su ^esta i: perciocch argomento, che se l' idea, i>er duraimi nello irito , non ha alcun bisogno degli oggetti sussistenti che la odossero, dunque ella ha un modo d^ esistere suo proprio, ipialche cosa d^ indipendente affatto per natura da^ sussistenti^ mque questi sussistenti non hannole veramente dato nulla di s^ nnque essi non sono. stati vera causa della formazione dell^idea I me, ma solo occasione, per la quale il mio s2)into  ve- ito alla visione di quella idea.  in vero i sussistenti non K)tcano dare quello che non aveano : essi hanno contingenza, ingolarita, limitazione, variet, incostanza^ Pidea all'^incon- Q nella sua natm*a mostra manifestissime le contrarie doti, teoessita, universalit, infinit, unit, immutabiUt. Ma io OBo un soggetto pure contingente, singolare, limitato, vario, Qcostante. Dunque , io conchiudo , V esistenza dell^ idea in me KMi  resistenza all^idea essenziale^  un puro accidente, ri- petto allMdea, ch^ella sia da me veduta: ella  senza di me, aoa nessun uomo , senza tutti gli uomini ^ ella  qualche Ma di etemo. Io non procedo innanzi, perocch non voglio ile di pi del bisognevole: ma dalle cose per dette fin qui IVO le seguenti conclusioni : L^analisi del C. M. non s''avanza tanto che basti a conoscere i vera natura delle idee. Egli non ha alle mani , che le idee icora rozze e impulite, quasi statue uscite appena di cavo, i cui non ha raschiato il soperchio, che sebbene congiunto dia prima formazione con esse, non appartiene per ad esse: Dglio dire, egli non ha separato le idee dagli oggetti acciden- di, che danno occasione a noi di acquistarle. Quindi a torto gli credette cercare e trovare nella relazione delle idee con [Qcsti oggetti la loro realit e veiit^ n vide quanto si le\i i natura della idea al di sopra da quella de^ contingenti , e ^ome questi non possano in modo alcuno esser causa delPidea. Concludiamo: il G. M. sta attaccato alP origine delle idee in latte le sue deduzioni sulla loro verit^ io alFincontro divido ttai queste due cose. Pure egli non fa ninna stima della que ^one delPorigine, e la dichiara insolubile e inutile alla dimo- i36 strazione del certo ^ io all^incontro riconosco almeno aver un intimo nesso colla (questione della certezza, sebben spiale e quanto mostra di tenere nel fatto il C. M. Chi Tede il grande imbarazzo di una cattiva causa? CAPITOLO IX. IL C. M. DOPO AVER NEGATA. L^ITTDIPENDENZA DELLE IDEE DALLE i SUSSISTEKTI, UL CONFESSA 9 SENZA CAVARNE PER GIOVAMENTO Ma rindipendenza degli universali dai particolari sussisti onde trassero P origine, non  ella cosa piana e manifesta egli a credersi che sia sfuggita interamente alla mente del N. No: gli balen veramente questo raggio di luce^ ed egli stc confessa il vero che noi difendiamo, senza per renderi utile, traendone le conseguenze, che gli avrebbero potuto rizzare molti pensieri. Ecco il passo, dove egli fa la confessione di che parliai u Le idee universali avvenga che sieno astratte da pi t e mini di paragone individuali e concreti e che perci . la i u tura loro si adatti puntualmente alle condizioni di essi t u mini, tuttavolta  da osservare ch^elle si mantengono enl M il pensiero, come staccate dai fatti, onde presero orgin u e mentre quelli mutano, o posson mutare, le idee univen  restano identiche a s medesime " (i)* Qui le idee sono st cate dai fatti e dai concreti, sono considerate nella loro p pria natura. Chi poteva dirlo meglio? Le idee si afferma immutabili, le cose da cui sono dedotte mutabili: cose e id di contraria natura: queste adunque non effetto di quelle, i concomitanti a quelle, e da quelle solo a noi occasionate* 1 che perci? Udiamo le singolari parole che il N. . soggiuo immediatamente a quelle sopra riferite:  Per ei bisognerebbe per nostro utile che le idee univi K sali continuassero sempre a rappresentare il comune di ta u i soggetti dai quali sono desunte, perch levata tale rapp (i) P. II, e. X,vi. 37 m sentanza,  levata insieme ogni applicazione loro prossima ai  casi concreti . Ora che  mai quella frase: u bisognerebbe per nostro utile  cbe le idee, ecc. n ? Cercbiamo noi quello che bisognerebbe che fosse per nostro utile, o quello che  in natura? ovvero ci arroghiamo di sapere come dovrebbe essere la natura delle cose, perch ella fosse a noi utile? vogliamo noi dettar legge alla natura? o presiuniamo di sapere immaginare qualche cosa di meglio di quello che  nel fatto? lasciamo a qualche pazzo prepotente il voler dare a Domeneddio de^ consigli migliori di quelli che egli ha creduto di seguitare nella creazione del- l'universo. Da vero, che questo cercare quello che bisognerebbe che fossero le idee universali, anzich quello che sono,  una pia- cefole ricerca! Se non che, quando per dar gusto a noi elle ibasero diversamente da quel che sono, non sarebbero , pi le idee, ma qualche altra rarit di nostra invenzione. Vedesi qui ben chiaro dove ci conduca P amore di sistema. Il C. M. s pose in capo Pidea sistematica, che la veracit e Futilit deDe idee universaU consista nel loro rapporto ai termini con- atti del paragone onde si originarono : s^ accorge per che questo rapporto gli svanisce in mano: conchiude col dire, che  sarebbe per utile e necessario che le idee continuassero a  mantenere un tale rapporto  . Non  egU assai nuovo que- sto ragionamento? Seguitiamo ad udire qualche altro periodo di que' che se- guono nel suo libro :  E nel vero questo si cerca di conseguire ,  serbando il pi che  possibile una relazione costante e uni-  forme fra le idee imiversali e gli oggetti da cui presero na-  scimento come da termini di paragone  . Questa relazione delle idee cogli oggetti da cui presero nascimento, che ha in eduta il N. ., non  dunque cosa bella e fatta dalla natura, ma  una cosa che si cerca di conseguire ^ e la costanza e uni- formit della quale soggiace a molte gradazioni, perocch ella si cerca di conseguire il pia che  possibile. Pertanto questo del C. M. sembra anzi un consiglio che appartenga alFarte di pen- sare, che un fatto appartenente alP ideologia. La natui*a delle idee non c^ entra per nulla^ queste si sottraggono dal tenersi Jlusiu.Ni, // Ainttoyainento. i^ i38 legate cogli oggetti sussistente onde da principio si origina- rono^ perocch conviene u cercare di conseguire questa relazione il pi cKe  possibile n : il che vai cpianto dire, che intera* niente non  possibile a conseguirla. Ed ecco P esempio della 3ua teoria: tf Cosi vuoisi che l'idee astratte di albero, di minerale, u d'uomo, di bellezza, di sensibilit, e infinite consimili, non u istieno dentro di noi quali esseri semplici di ragione, ma  quali rappresentanze continue d^un certo numero di singo- li lari concreti, e qual fonte di notizie vere ed esatte sulle u realit delle cose . Ritolsi? qual  la significazione di questa parola?  un de- siderio?  un comando?  una volont? una velleit? insomma che cosa ? Intanto per quivi manifestamente si confessa, che le idee possono stare nella nostra mente come esseri semplici di ra- gion6^ e che il rimaner elle rappresentanze continue d'un certo numero di particolari concreti , non  pi che un baon desiderio, o una buona volont, almeno nell'intenzione, del C. M^ una cosa che si dee cercare, secondo lui, di ottenere, se non in tutto, almanco il pi che sia possibile: e questo buon desiderio nasce al C. M. dalla premura eh' egli ha che tali idee sieno fonti di notizie vere ed esatte sulla realit delle cose^ ufficio che non presterebbero, a suo parere, se un tal legame co* reali non si tenesse fermo e continuo nel pensiero. Quanto a me, con buona pace del N. ., intendo di dispen- sarmi da cotanta fatica che vorrebbe adossare il C. M. alla mia povera memoria, di tener ben ferma e continua la rela- Kon delle mie idee universali cogli oggetti da cid elle presero nascimento: e me ne dispenso per settantasette ragioni. La prima, e che mi varr per tutte, si , che gli oggetti reali, onde le mie idee universali presero nascimento, non me li ricordo pi ) n saprei pi ritrovarli per quanto indietro mi ri&cessi* Lui felice, se li ha registrati nella memoria! Caso che co^ sia| sar un uomo meraviglioso, il quale non potr pi seri* ttere, quello che spetta al primo sviluppo intellettuale successo a noi neir infanzia non potersi sapere : conciossiach egli al tutto se ne ricorderebbe: giacch la formazione degli univer^ i39 li SI perde appunto In quelle tenebre della prima et , e gli ^tti onde li traemmo furono certamente da noi percepiti ni per tempo. Finalmente, quand'anco io potessi conoscere e rammentare reali oggetti onde principiarono nel mio spirito gli universali i mia formazione, ancora non vorrei mantenerli nella mia lente ^ perciocch io non saprei da vero che fame^ essi mi sa v ). Non vi sono altri oom posti arbitrar) d' idee^ se non quelli che si fanno con idee ripugnanti : pe* roech tali unioni non possono esistere. Tutte le altre idee^ o semplici o OMBpletse, che non nchiudono contraddizione , sono necessarie: i loro og* ietti toa quelli che possono sussistere o non sussistere : il che  pura nenie accidentale.  ^tLnmtot accidemiale , ch'io m'abbia nella mente Tua o l'altra delle molte idee semplici o complesse/ ed  arbitrario ch'io rivolga Fattuale attenzione ad una o ad un'altra delle idee che io m' ho. Ecco ci solo che v' ha d' arbitrario nelle idee i a parlare direUamente , fottio elemento arbitrario non  nelle idee, ma egli  in me, che mi ri* Ivo arbitrariamente di contemplare pi& tosto le: une che le ltre , pi tosto issortite in un modo che in un altro. i4o bono riscontrare a qae^ ^P^? ^ secondo quelli classificarle. Le riscontro io fedelmente? le classifico bene? cio le sottometto a  sale: sotto questo aspetto egli potea avvedersi della contraddi- zione in cui s^ abbatteva; e se di essa si fosse avvisato, sarehbesi trovato incontanente sulla diritta via del vero. Non mi rimane quanto alla fonnazione degli universaU me- diante la giunta del possibile, che a notare una impropriet ii parlare. Il N. A. vuole, che la mente si stenda veramente agP in- finiti casi possibili: ci non regge, non potendosi aire in atto^ ma basta che si faccia ( per cos dire ) in potenza. Ella  r avvertenza stessa da me fatta pi sopra contro il Condillac, che TuniversaUt di un^ idea non consiste nel conoscerla noi per modello d'infiniti oggetti , ma nell' attitudine eh' eli' ha 4 prestarsi a tale ufficio. $45 CAPITOLO XIL ^ BSIMB DE^ QUATTRO GRADI, CHE IL C. M. PONE REIX ASTRAZIONE DELLE IDEE. Ma non posso tralasciare di sottoporre ad esame quei quattro gradi di astrazione, pe^ quali il C. M. vuol pure che la mente nostra quasi per altrettanti gradini giunga all^astrazione completa. Egli dice da prima, clie colFosservare il simile e svincolarlo dal dissimile formasi una nozione astratta, per es. quella di sfericit. Poi dice ( questo  il secondo passo ) che col separare il simile da^ concreti particolari, la nozione di sfericit diviene pi astratta e generalissima. Ma io gli addimando, con sua pace,  egli possibile, che la nozione astratta di sfericit di* TCDga pia astratta della nozione astratta di sfericit? Assai bene io comprendo come vi possano avere pia gradi di astrazione , come vi possano avere delle nozioni pi o meno astratte^ p. e. k nozione di figura  pi astratta della nozione di sfericit, perocch questa  una specie di figura^ e la nozione di figura costituisce il genere di tutte le speciali figure tonde, quadre, trilatere, ecc. Ma ci che non comprendo si , come una no- sione astratta possa divenire pi astratta di s stessa. O con- rien dunque dire, che con quella prima operazione di sceverare 3 simile dal dissimile non si ottenga ancora veramente V astratto die si denomina sfericit^ o che, se si ottiene, egli non ha pi bisogno d^ altre operazioni , perocch non pu acquistare maggiore astrattezza di quella che gli  propria ed ha gi ricevuta. CAPITOLO xm. COlITlllIIAZIOlfE. Che dunque bassi a dire delle tre operazioni che annovera 0 C. M. dopo la prima, e che reputa atte a produrre nelle idee im^astrattezza sempre maggiore? sono esse inutili? non esistono nella natura? Cerchiamo nella natura appunto la risposta, con una diligente osservazione di quanto avviene nel nostro spii'ito. Questa osservazione ci mostra primieramente, che la seconda Rosmini, J7 Rinnovamento, ic) i46 delle operazioni annoverate dal G. M .  anzi la prima di tutte a farsi. La prima cosa che ci suggerisce di fare la natura del nostro intendimento quando noi percepiamo degli oggetti co^ sensi, si  quella di considerarne la forma ricevuta nel nostro spirito separatamente dagli oggetti concreti e sussistenti. Questa operazione non  sempre volontaria in noi^ ma, il pi, spon- tanea: non siamo noi che la facciamo^ ella si fa in noi na- turalmente. E di vero, solamente dopo di aver separato la forma degli oggetti ( idea ) dalla loro realita e sussistenza ,  possibile quella che il Mamiani pone come prima operazione, di sceve- rare da pi oggetti il simile : questa prima operazione suppone la seconda gi formata, ed  una conseguenza di quella. Consideri, chi ne avesse dubbio, che il simile non si estrae dagli oggetti senza paragonarli fira loro^ e consideri bene, che gli oggetti, in quanto sono concreti e sussistenti, non si possono in modo alcuno paragonare^ che paragone non si fa se non fra le idee di quegli oggetti, e si compie non fuori di noi, ma solo dentro il nostro spirito. Io ho dimostrato lungamente nel NuoifO Saggio^ ohe degli esseri concreti in quanto sono con- creti non si possono in modo alcuno paragonare, ma che  necessario, perch sia possibile un paragone, che almeno uno di quelli che dee servir di modello nel paragone, sia spoglio da ogni concrezione: altramente Topera mentale del paragone  impossibile (i). Converi'ebbe rispondere alle prove ivi da me addotte, prima di procedere innanzi. Come che sia, la ragione che impedisce altrui di veder questo vero, si  il prendere assai agevolmente l'oggetto quale  da noi percepito, per l'oggetto quale sussiste in s. Gonvicn badare, che con tutti i nostri volgari discorsi noi crediamo sempre di ragionare delle cose come stanno fuori di noi^ ma veramente non ragioniamo delle cose esterne se non in quel modo che sono da noi conosciute ^ e le cose in quanto sono conosciute^ in quanto sono presenti al nostro spirito, hanno subito da noi stessi una ragguardevole modificazione colFatto del percepirle : sicch Topera nostra noi ialoiala crediamo natura degli oggetti. Questo inganno succede comunemente nel paragone: crediamo di paragonare le cosa (i) Si, in, e, IV > art. xz. i47 reali in se stesse, e veramente paragoniamo le cose reali nella loro esistenza mentale.  disingannarci di ci, fa uopo sottiU mente considerare , che paragone non si d, se le cose non si compenetrano, per cosi dire, se elle non si applicano perfetta- mente a un comune esempio. Ora due cose materiali in nes* sona maniera compenetrar si possono^ n possono essere ap- plicate perfettamente ad uno stesso esempio materiale.  Il geometra vuol vedere se due triangoli sono uguali : egli  s^immagina di soprapporli Puno all^altro, e di osservare se  (pielli si combaciano perfettamente. Similmente, il falegname  soprappone una tavola air altra quando gli  uopo vedera  se due tavole sono della stessa grandezza. Ma V operazione  del falegname  ben altra da quella del geometra. Ci che  vlia di osservabile si , che nulla varrebbe a questo, che t ^elle due tavole si ponessero P una aderente strettamente  coll^ altra, senza pi: con quella sola materiale collocazione  egU non vedrebbe se le due tavole sieno uguali, ove non  possedesse oltracci in se medesimo uno spirito intelligente | ( atto a concepirle compenetrate appunto insieme, cio a dire^  tutte e due occupanti lo spazio medesimo. Se lo spirito vuol fi raffirontar due linee , egli dee mettere una linea nel posto t dell^altra: se vuol rai&ontar due superficie, egli dee imma-  ginar Puna dentro nell^alti*a: se vuol confirontar due solidi,   a lui necessario di concepirli Pun Paltro interamente pe- ti netrati:  cosi, cVegli vede se sono uguali o se son disu-  guaU, quale ecceda de^ due, e quale manchi. Per quanto i  due solidi materiali si facciano vicini e coerenti, rimangono  sempre Pun fuor dell^altro, e perci in se stessi non si con-  frontano veramente. IP uno esiste, e. non ha un riguardo  di sorte all^ esistenza deU^ altro n.   Che fa dunque bisogno alla mente acciocch ella possa  confrontare fira loro due o pi individui , e riconoscere in  che sono uguali , in che sono disuguali , in che sono simili  e in che dissimili?  Perch lo spirito trovi che due indi- te vidui sono simili o sono dissimili,  necessario al tutto  cVessa, oltre le idee individuali (per favellare secondo il  comun modo), abbia altres delle idee generali: ed ecco ^ come ci avviene. i48 u Si tratti di conoscere la simiglianza di due pareti bian-  che, Puna pi, e P altra meno. u Le pareti stesse , n la bianchezza individuale delle pareti  non si pu , come dicevamo , trasportare una nell^ altra ^ se  si potesse , di quelle due bianchezze ne riuscirebbe una terza,  la qual non darebbe ancora il confronto delle due bianchezze ne : non sarebbe un universale \ passerebbe ad essere un particolare: non sarebbe adunque quelP esser di ragione che 1 prima, ma un altro ^ giacch P essenza delP universale sta lidia sua universalit. Andiamo avanti: dicesi che questi esseri di ragione, rappre^ tentati dall^ essenza ideale, seguono i limiti e la contingenza deK^ umano esperimento, e per ci pi non compete loro il nome di universali. Egli  certo, che se a questi esseri di lagione cess F attributo di universalit, non compete pi loro 3 titolo di universali. Ma in che modo degli esseri di ragione, nmutabili come sono, possono tutto ad un tratto seguire i fimiti e la contingenza dell^ umano esperimento? Per me sono tutte fitte tenebre ^ io mi perdo in questa notte profonda. CAPITOLO XVIL CONTinUZIONE* Seguita il C M. :  Noi li chiameremo pi volentieri idee generali, cio tanto  estese quanto il numero degli individui o noto o supposto  del genere reale e concreto, a cui tengono riferimento^ cos  in quelle idee poc^anzi citate dell^alb^o, del minerale, del"  V uomo , della bellezza e consimili sta compreso infallibile*  mente V universale, V immutabile e il necessario , sempre 30 u ch tu le gueurdi nell^ essenza loro mentale e perci ipote ( fica, ma per contrario, guardate nell^ affido , che lor viena a imposto di rappresentare al vero P essenza concreta de^  alberi, dei minerali, degli uomini e cos prosiegui, acquistano  issofatto la limitazione inerente alle notizie sperimentali . Questo periodo esce un po^ dal caosse dell^ antecedente ^ ma la luce non  ancora separata dalle tenebre. Quegli esseri di ragione del primo periodo, in questo secondo sono denominati idee generali. QuelP essenza ideale adunque nominata nel primo periodo, era P essenza ideale deUe idee ge- nerali. LfC idee generali adunque del N. . hanno bisogno di un^ altra idea precedente , o essenza mentale , che le rap- presenti ! Queste idee generali non fanno pi come nel primo periodo^ dove perdono i loro caratteri d^ universalit e di necessit^ in questo secondo uniscono insieme P universale e il necessario, il limitato e il contingente, secondo due viste o rispetti diversi da cui si sguardano : comprendono que^ primi caratteri ove si sguardano nell^ essenza loro mentale , e i loro contrarj guar- dati nell^ ufficio di rappresentare V essenza concreta della cosa. Egli  bene strano, che cose cos contrarie, come ^unive^ ale e il particolare, il necessario e il contingente, P immu- tabile e il mutabile , si possano conciliare in un medesimo essere mentale, in una medesima idea, con pur solo riguardarla sotto due rispetti diversi ! L^ universale, P immutabile, il necessario, dice il N. A., si trovano in quelle idee guardate nella loro essenza mentale: in tal caso P universalit, P immutabilit , il necessario non sa- rebbero in essCy ma nella loro essenza mentale, cio in un'al- tra idea che le rappresenta^ e il rappresentante  pur tutt' al- tro che il rappresentato. n particolare, P immutabile, il necessario si trovano in dette idee generali guardate nelP ufficio che loro viene imposto di rappresentare i concreti. Da chi viene loro imposto questo ufficio? chi pu loro imporlo? Di poi, altro  P ufficio che s'impone ad un essere, altro  P essere stesso a cui s'impone. Se que' caratteri nascono dal- l'ufficio che esercitano queste idce^ dunque non li hanno im tSj t stesse: T ufficio di quelle idee pu riferirsi a de^ particolari , (desse tuttavia rimanersi colla loro natura di universali: come n re non perde mica F autorit su tutto il regno, quando rende giustizia a un particolar suddito. Che  da conchiudersi 7 I caratteri di universalit, di immutabilit e di necessit, non si trovano nelle idee generali del C. M., ma nella es- senza mentale, loro rappresentatrice (i). I caratteri di particolarit, di mutabilit e di contingenza, non si trovano parimente nelle idee generali del G. M., ma solo nel loro ufficio. Dunque le idee generali del C. M. non sono n universali , n particolari, n immutabili, n mutabili, n necessarie, n contingenti. Egli avea dato loro tutti questi contrarj attributi, ed ora a rimangon di tutti miseramente spogliate. CAPITOLO xvm. CSAME DI CI CHB DICE IL MAMIANI SULLA QUESTIONE: SE LA. FORMAZIONE DEGLI UNIVERSALI t^k L^USO DI UN PRECEDENTE UNIVERSALE. Continuando V . N. a ravvolgersi dentro la spinosa que-* sdone dell^ origine degli universali , giunge al gran nodo , alla dimanda a se la formazione di questi esiga V uso di qualche altro universale precedente n . Io procurer anche qui di venir raccogliendo il filo de^ suoi ragionamenti, e di mettere in aperto qual sia il logico valore del suo discorso. Accorda egli, che se a formare gli universali si esige Fuso del u giudizio conoscitivo  , questo giudizio ha bisogno di un universale precedente^ e in tal caso la formazione di un nniversale ne presuppone sempre in noi resistenza di un altro. Di pi, nel dedurre gli universali, e spiegarne la generazione. (i) Se per questa essenza intendesse il M. ci che costituisce le idee ge- nerali , dovea dire la loro essenza reale ; 1* ideale  sempre quella che rap* presenta 4 non quella che costituisce gli esseri.  %^\^ egli area sempre nel suo libro Catto intervenire il giudizio co noscitivo: ma che? T accorgersi che questo giudizio suppone un universale precedoiite (i), il trattiene improvvisamente nd suo corso, e lo stringe a fare ogni sforzo di cacciar via questo u giudizio conoscitivo n che sconcia tutto il suo sistema sulla formazione di s fatte idee. Postosi a tanta impresa , dopo averci molto travagliato , viene a questa conchiusione , che senza questo giudizio si pos- sono formare taU idee, che se non rappresentano infiniti og- getti, cio tutti i possibili, ne rappresentano per di concreti e di sussistenti un numero che m si fa di per s, e a poco a  poco indefinito . gli sembrerebbe che volesse dire, che se non si pu senza giudizio conoscitivo formare a de' veri universali  , i quali cos si chiamano per estendersi alP infinito numero de^ possi- bili^ si possono almeno formare quelle idee d'invenzione tutta sua , che egli disse generali , u le quali seguitano i limiti e la  contingenza dell' umano esperimento n . Ma se il C. M. vuol provare, che  la formazione de' gene- rali che non abbisogna del giudizio conoscitivo, e non quella degli universali^ perch non dirlo chiaro? perch adoperare nella proposta in quella vece il vocabolo di universali ? (a) E egli questo un giocoUno di mano ? Ma poniamo che si trattasse solo de' generali. Il Mamiani ha detto, che questi sotto un aspetto mantengono la loro uni' (i^  Noi siamo venuti esponendo la teoria degli universali e dei generali H nel noodo che la si pu costruire e praticare attualmente, cio con V'vf w Urvenzione assidua dell'atto conoscitivo, pure ci accade di aggiungere H qui alcun' altra riflessione intorno al proposito. E di vero, pu taluno r osservare che essendo gli universali ed i generali formati con 1' opera  del giudicio conoscitivo, suppongono gi l'esistenza e Muso di altri uni- w versali , onde pu dubitarsi , se questi ultimi sieno mai stati prodotti da w particolari paragonati , e perci se rispondano puntualmente ad alcuna  realit * P. II, e. X, vii. (i) M Verremo sponendo , die' egli , sin dove crediamo che giunga l' azione w diretta e necessaria del giudicio conoscitivo sulla formazione delle idee M universali  ( P. Il, e. X, vn ) : parla degli universali ^ e non de' g* strali. i59 forsalit, e immutabilit: riman dunque Posso forte, tanto folendo spiegare senza giudizio conoscitivo la generazione di questi, come volendo spiegare quella degli imi versali: imperoc- di ne' generali, come che sia, P universalit non  intera- mente esclusa, ma anzi in essi supposta. CAPITOLO XIX. TIE TTI BECBSSia, SECONDO IL MKIUEII,  FORMARE GU U1!IIVER SiU. SI. ESAJCUIiL IL PRIMO, GHB k LA GOHCEZIOMB De' TERMIHI PilAGONABILI. s Or poniamo alla prova dell^ analisi il suo discorso. 2 Da prima egli pone questa proposizione: pp.  Diciamo  tre sorte di atti concorrere in questa " ( cio [K nella formazione delle idee universali )  continuamente : la u concezione dei termini particolari paragonabili: il paragone K di quelli e P astrazione delP identico : il giudicio della pos- V sibiUt d'una ripetizione infinita di esso identico " (i). Poscia seguita:  Ora quanto al primo , cio alla concezione dei termini ,  noi nel terzo Capitolo (2) di questa seconda parte facemmo  osservare, che attendere ed avvertire semplicemente un par-  ticolare sensibile non dimanda per s la forma compiuta  ed universale dell^atto conoscitivo, quale  praticato presen-*  temente " (3). Acciocch queste parole avessero la convenevole chiarezza e precisione filosofica , dovrebbe il C. M. avere spiegato assai bene, in che differisca la forma compiuta e unii^rsale dell^alto conoscitivo , dalP altra che suppone essere non compiuta e non universale: dovrebbe pure dichiararsi un po^ su quella parti- cella, per j, che intxamette alla sua proposizione^ perocch ella supporrebbe che per accidente almeno, se non per s, la Ibima compiuta fosse necessaria. Ma di questo ho toccato al- trove. Rechiamoci pi tosto al luogo dovrei ci rimanda, cer- (1) P. 11^ e. X, VII. (2) Yolca dire uel quarto. (5) Ivi i6o cando iti le ragioni che adduce a provare che Toperazione di V attendere e deTiuvertire un particolare sensibile non ha I sogno della forma compiuta delP atto conoscitivo. Gonvien prima vedere la coerenza fra la proposta e la d mostrazione. La proposta era di cercare u fin dove gimi|  Fazione diretta e necessaria (i) del giudizio conoscitivo : La dimostrazione poi parla dell^  atto conoscitivo 9 , e a ferma che non si esige questo nella sua forma compiuta. Pai aduncjue che n il giudizio e V atto conoscitivo f sia il medi Simo. Ma recandoci noi al luogo a cui ci rimette, troviam tutt*' altro: il giudizio conoscitivo non  che una parte delibati conoscitivo, la prima parte di questo: odasi il luogo:  Tre fenomeni si distinguono principalmente nel nostiti u atto di conoscere. Il primo  che noi afiermiamo F oggetto M cui 8^ indirizza F attivit del nostro animo , e cos formiamo  il ffudicio conoscidsfo per cui si aiTerma tale cosa di tak a altra n (i). CAPITOLO XX. GOllTUniAZIOIlE :  FALSO CHE LA CONCEZIONE D^ TERMINI PARAGORllOJ NON ESIGA UN GIUDIZIO. Intanto in questo luogo si dice almeno assai netto, che c(M sia il giudizio conoscitivo : egli   un affermare tale cosa & tale altra f. Riteniam hene questa definizione, perocch ella espriine F essenza del giudizio conoscitivo , che non gli pu mancar mal Quando anco vi avesse quella forma non compiuta e miste- riosa del giudizio, ch^ egli vien gittando improvvisamente frt mezzo alle sue parole, come il pomo della discordia, sena dirci per in che essa consista, anzi dichiarandocela inesplicfr* bile \ quando , dissi , quell^ essere mentale , sconosciuto alk logiche de^ nostri buoni padri, sussistesse veramente^ egli 0 non sarebbe giudizio, o sarebbe  im affermare tale cosa di (i) E qual  l'azione indireUa dei giudzio ? CoDvieae spiegarsi, altri* ment si cammina nel bujo, (Sl)P. II, e. IV, V- i6i a fi ^ perocch fra V afTennarc e il non freimarc non sno di sorte alcuna. e noi vogliamo raccogliere ancora pi chiaramente la el N. . intorno alP essenza del giudizio , consideriamo dice in altri luoghi, e ne troveremo di molti dove consistere nettamente il giudizio nelP affermare che L sia (i). itsa questa chiara definizione del giudizio , veggiamo a arreca a dimostrare quanto promise , cio che a alla me determini pai*ticolari paragonabili non fa hisogno io conoscitivo ". ecco la prova, che non fa bisogno questo giudizio a 5 i termini particolari , perch esso non fa bisogno ad e ad a^ertrcj come ha gi dimostrato altrove. In : reco tutte intere le sue parole:  quello che s* appartiene alla facolt di attendere, noi IO che l'azione sua antecede di forza il giudicio co- vo, imperocch innanzi di affermare che un oggetto e, bisogna avvertirlo pi o meno distintamente n (^ji). i parla, egli e chiaro, di un'attenzione che non ha aggiunto il suo scopo ^ perocch non  arrivata ancora ermare che un oggetto sussista y>. Convien dire pan- che r avvertire , di cui pure parla il C. M. , sia un ) di queir atto incipiente d'attendere che ci descrive I , e. II, li;  e. IV , VI. litano queste altre parole , che tralascio nel testo perch non rac- pro^a alcuna 9 ma che pongo in nota, acciocch forse non mi si iiimo come di una infedelt a tacerle : r L' atto poi di avvertire rodere sembra a noi tanto semplice e nel suo primo moto cosi lente da qualunque nozione, oltre l'oggetto suo immediato, che ^ il contrario e sottoporre quell'atto alla direzione di qualche eriore ci sembra di mente imbevuta d'intempestivo platonicismo, ly^ Vi. Tutto il nerbo di questa afferma:une giace, come ognun in CI SEMBRA. Basta dunque opporgli un altro G SMBUA , riman elisa e annientata. E per sopra pi, le ragioni del nostro na M ognuno pu vederle nel testo, fi j // Riruoy amento. u i i6a senza conclasion e alcuna : perocch egli suppone, che con tutta Tavrertenza data alP oggetto, lo spirito nostro non sia giunti per ad accorgersi cVegli sussista^ conciossiach F accorgere; che vai oggetto sussiste,  un affermare internamente la sua sussistenza; e fino a tanto che non abbiamo detto dentrc di noi che sussiste, egli non  ancora da noi percepito, o pie^ ' namente avvertito. Ci posto, io osservo, che ella  pure una grande impro- priet di parlare il dire che  noi avvertiamo un oggetto  , intendendo, che noi volgiamo a lui l'attenzione nostra, con un movimento di attenzione che  ancora nel suo cominciare^ non bastevole a farci accorti dell'oggetto: perocch nel co- mun parlare, avvertire un oggetto,  quanto accorgerci ddli sussistenza dell'oggetto, e nell' accorgerci di sua sussistenza, appunto V affermiamo'^ nel che sta, secondo il Mamiani, il giudizio conoscitivo. Ma lasciando Vavx^rdre^ che  al tutto impropriamenlc usato, e parlando eW attenderei anch'Io credo, che si possa mentalmente distinguere quel primo volgersi dell' attenzione intellettiva ad una sensazione , da quell' effetto eh' ella poscia consegue, il quale  la percezione dell' oggetto: quello  il principio dell' attenzione, questo n'  il fine: quel principio  antecedente al giudizio conoscitivo ; ma questo fine riposa e si compie nel giudizio stesso conoscitivo , nell' affermazione d un ente, la quale affermazione  appunto la percezione di lui. Ora ci che si cercava non era mica se noi potevamo (A' tendere senza giudizio conoscitivo : questo si sarebbe potalo in qualche modo difendere, restringendoci a parlare di un'at- tenzione incipiente, e non ancora completa: volevasi anzi pr vare, che noi senza giudizio conoscitivo possiamo concepire i termini particolari paragonabili, Parlavasi adimque di un'at tenzione finita : di un' attenzione , che doveva ottenere il suo ultimo effetto , la concezione de' termini : lo spirito nostro adunque dovea accorgersi, in conseguenza d'una s fatta atteii* sione, che gli oggetti sussistevano; dovea dirlo a s stesso, chbe coincidere, almeno in parte , colla concezione de^ teiv uni paragonabili, dal C M. dichiarata il primo de^ tre atti co^ quali perveniamo alle astrazioni. E ella veramente questa intuizione immediata, onde prendon le mosse i ragionari del N. A, il primo principio del vero umano, e del certo? Se ne riprenda la definizione: tf Chiamiamo intuizione la vista intellettuale delP oggetto  pensato , astraendolo da qualunque riferimento a sostanza  e guardato nella sua entit fenomenica 99 (3)^ ovvero: m Patto  di nostra mente , il quale conosce le proprie idee e le atti-*  nenze loro reciproche  (4). (1) Quando al N. A.  bisogno, dice il contrario. E non  sua questa temenza, che * chi osserva ^giudica ? Osservare semplicemente  ancor npDo di avvertire un oggetto, che  1* effetto dell' osservarci e pure in uu luogo vuole , che V avvertire sia senza giudzio ; e in un altro dice assolu* lasente, che m chi osserva giudica >f. Questa ultima sentenza  nel suo libro 1 Dum. V del e. Vili, P. JI. (1) Vedi addietro y Gap. XIX di questo libro. (3) P. Il , e. I, IV. (4) P. II , e. Ili ,1. Or lU'Ua prima di queste due defniziuni, egli pare che rjn- iuiziouc supponga dinnanzi da se P oggetto pensato, e delie astrazioni fatte su questo oggetto. Nella seconda poi chiara niente si pongono le idee belle e formate, e T intuizione non le forma , ma solo le conosce , e conosce pure le loro attinenze reciproche. Il C. M. movendo ogni suo ragionare dalP intuizione imine^ diata, non s^ innalza dunque a cercare quali cose a questa piti- cedano, quali sieno le condizioni che rendano possibile T in- tuizione medesima. Egli ha ragione, in tal senso, di dire ch'egli trasalta la questione delF origine delle idee, perch lo fa ve'- ramente^ ma egli non avrebbe dovuto poi tornare mai pi su questa questione, avendone gi perduto ogni* diritto : j>erocch la questione delP origine  al di l dalle sue ricerche: comin- ciando il viaggio dall'intuizione, non pu egli pi giungere per via retta sul territorio dell'* origine, quand"* anche viaggiasse tutto il cielo filosoGco; peroccli il pi eminente punto da cui discende ,  molto al di sotto della regione in cui si trova la discussione sull'origine delle nostre cognizioni. Tale questione si dovrebbe porre cos:  P intuizione sup- pone ella nessunMdea precedente r> ? Egli alF incontro assume gi per indubitabile, che tutto dalP intuizione cominci: l'in- tuizione  veramente il suo postulato. Ora avendo accordato a se stesso un tanto postulato, qual maraviglia, che in esso trovi tutto ci che brama? Neir intuizione egli trova  la facolt di sentire distintamente u non una sola idea, ma pi, non sempre l'una dopo l'altra 5  ma Puna insieme con l'altra ad un tempo ^  la virt Ji  astrarre, di comparare e di giudicare^  P esercizio della  nostra spontaneit , ecc.  ( i ) : in somma egli ha per bella e spiegata ogni operazione dello spirito : la sua spiegazione sta tutta nel supporre, che gli sia dato per primo principio quel grande atto d'intuire, che, come generalissimo, tutti gli altri racchiude. In somma debbo dire di lui , cpiello che ho gi detto di (i) P. II, e. IV. i65 Locke: egli parte dal fatto, elic Tuomo ha una potenza di pensare, senza attendere che tutta la questione filosofica consi- stea determinare, se questa potenza sia possibile, senza qual- che limie da essa posseduto, col quale ella operi (i). Che la filosofia dunque sia ancora al tempo di Locke? cVella non sia uscita ancora di quella povera fanciullezza? CAPITOLO XXU. L PERCEZIONE  ANTERIORE ALL^ INTUIZIONE DEL C. M* ALLA PERCEZIONE  ANTERIORE L^IDEA DELL^ ESSERE, SECONDO IL MAMIANI. Tidondc gli Oggetti del pensiero sono gi supposti dal N. . Egli non s^ avvede, che innanzi di contemplare gli oggetti for- mati in noi^ v^ha un primo atto che li forma nel nostro spi- rito, e che questa  la percezione. Se egli avesse tolto ad esaminare questo atto del percepire I le cose, precedeute a quello ^intuire le idee, si sarebbe av- [ veduto, ch^esso  il giudizio, onde gli oggetti da. prima si af- \ fermano per oggetti, o, che  il medesimo, per enti (2)^ e che e ^esto giudizio ha bisogno, per farsi, di un^idea precedente, cio deir essere ideale o universale. E di vero,  egli possibile paragonare due oggetti, senza saper prima che essi sono? e il sapere che sono, non  quanto un affermare a noi che sono? e Pafiermare a noi che sono, , non  il giudizio conoscitivo, secondo la definizione del N. A.? e il giudizio conoscitivo, non esige, giusta lo stesso A. N.^ un universale precedente ? Non solo il N. A. insegna, che il giudizio conoscitivo ha (i) V. il M Frammento di leitera sulla Classificazione de' sistemi filoso- fici ecc. M negli Opuscoli filosofici ^ Milano i 8^8, voi. IL (1) Fra i testi di varj fllosot italiani^ che il N. A. pone in testa di ogni capitolo 9 a mostrare ch'egli s'accorda colla filosofa antica italiana, v' ha por questo del Campanella m La percezione delle cose  un giudicio  (Um'i^ers. Philos. P. II, lib. VI, e. ix ). Tale sentenza avrebbe potuto dar molto lume al C. M., se ci avesse atteso. Egli la adduce in principio del e. y. della II Parte della sua opera. bisogno di un universale, ma ben anco accorda ch^egli l bi^gno del pi astratto di tutti, che, a sua detta,  l'essere.* perch questa astrazione, la massima di tutte, non si pu far secondo lui, senza Puso di segni ^ egli insegna di pi, che i giudizio conoscitivo debbono preceder de^ segni. Il possiamo n avere pi mansueto e benigno? Le sue parole ci danno ass pi che non vogliamo, perocch elle dicono cos: u Non si sa comprendere in qual guisa potremmo noi con tt porre una mentale proposizione, e dire per es. a noi stess  la tal cosa  , ovvero noi siamo , senza di gi possedere Pus M di certi segni, che fannosi ajuto alle somme astrazioni: 1 per vero P astrazione delP essere, la quale inte/vierie in ck u scuna proposizione^  la massima di tutte P altre 99 (i). Una proposizione mentale, e un giudizio,  il medesimo. I ogni proposizione mentale interviene la massima astrazione quella dell^essere: dunque questa massima astrazione intervien in ogni giudizio. Ma il giudizio , secondo il G. M., il primo f nomeno delPatto conoscitivo. Dunque Patto conoscitivo fino ne suo principio, nel suo primo fenomeno, ha bisogno dellMde; astrattissima di tutte, dell^ essere. Che cosa possiamo noi dir di pi? che cosa vogliam noi altro? CAPITOLO XXIII. AL PARAGONE DE^ TERMINI  ANTERIORE L^ IDEA DEIX^ ESSERE. Continuiamo: il giudizio  affermare a noi stessi che un cosa . Noi non possiamo paragonare due cose per trovare i esse le note simili , se non abbiamo prima affermato a noi stessi che quelle due cose sono. Dunque Patto del paragonare le cos richiede anch^esso precedentemente il giudizio, che si fa co Pidea dell^ essere universale. Ma il u paragonare le cose, tf astrarre da esse P identico 99 ,  il secondo de^ tre atti ai noverati dal C. M. necessarj alla formazione degli universali (a (i) P. II, e. IV , V. (a) P. Il, e. X, TU. b: 167 Dunque anche il secondo atto che fa la mente in formando gli QiuTersali, suppone prima di tutto nella mente formata Pidea iell^ essere. Q tutto conseguentemente alle premesse del N. A CAPITOLO XXIV. LIDRA DELL^ ESSERE NON  UN PRODOTTO DELL^ ASTRAZIONE, COME TUOLB IL MAMIANI. FALSA DOTTRINA CHE MI ATTRIBUISCE. E&l 11.. P J Ma non posso ancora entrare a parlar di proposito del se- condo atto dichiarato necessario dal Mamiani alla formazione degli universali, cio del paragone delle idee, e dell'astrazione del simile^ perocch giova ch^io mi fermi a considerare quel- . l'asserire, che egli fa nel passo citato, ^ssef necessarj alla for^ inazione delF astrattissima delle idee, de^ segni come ajuto dell^ _ astrazioni (i). Anch^io ho detto che le astrazioni far non si possono dal nostro spirito, senza T ajuto di vocaboli o di segni (2). Ma dubito forte, se il Mamiani abbia colto il mio pensiero circa la natura delle astrazioni. Egli mi attribuisce il fare delFidea dell^ essere P ultimo ter? mine dell^ astrazione (3). Questo  vero, ma in altro senso dal suo. Pretende egli, che colP astrazione si formi quella idea. Io comincio dallo stabilire, che Tessere  intuito da noi natural- mente: pei dico, che non riflettiamo di intuirlo se non solo assai tardi, cio dopo che ci siamo bene esercitati nell^ astrarre, e che siamo venuti, per cosi dire, air ultima delle operazioni che possa fare la facolt astrattiva. Ora  a sapersi, che nessuna idea, secondo il nostro modo di vedere, si forma in noi col- I astrazione: colF astrazione, che  una funzione della n/les'^ ^ne, non si fa che sepai*are l'idea gi esistente, dalle altre notizie e sensazioni, fra le quali  avvolta e confusa nelP animo nostro, considerandola nella sua primitiva purit e sincerit. Lfft il) ] (1) Egli li chianui h astratti m questi segni: ma i se^ni Don sono astraUi* Questa  un' impropriet di parlare. (3) N, Saggio Sez. V^ e. IV^ art. iv, P)P. n,c. XI,M. 168 Ellla  in noi: coll^ astrazione noi la troviamo in noi, la co* nosdamo, fissiamo in essa gli sgaardi del nostro intelletto: insomma ella per F astrazione diventa idonea di essere og- getto alle nostre meditazioni filosofiche , quando da priou si stava pure nello spirito nostro, ma senza tirare a s n molto n poco la nostra osservazione. E quante cose passano o dimorano nel nostro spirito inosservate?  Quando io nel corso di quest^ opera n , cosi si legge nel N, Sa^ioj  cliiamo l'idea deircssere in universale astrattissima,  non intendo per che sia dalla operazione delP astrarre pro- le ciotta, ma solo ch'ella sia per sua natura astratta e divisa u da tutti gli esseri sussistenti n (i). Ora io dissi ancora, che i vocaboli sono necessarj a formare le astrazioni, ed anche quella dell' essere^ ma unicamente per questo, che senza i vocaboli, la mente non sarebbe da prima mossa e tirata a contemplare il simile, disunendolo dal dissimile. 60, che il Mamiani dona alla mente un movimento spontaneo a tali operazioni^ ma questo movimento dee avere una cagione; altrimenti porrebbesi un fatto inesplicabile, un fatto senza ra- gion sufficiente. Or bene : io ho creduto di dimostrare , che questa cagione, che muove l'animo e il fissa nel simile, non pu esser altro che il segno, il quale, posto in certe circo- stanze, fa r ufficio di vicario della cosa. Ma ci verr forse biso- gno di tornare su di questa materia altra volta. CAPITOLO XXV. CONTINUAZIONE. Intanto avendoci conceduto il Mamiani , che in ogni propo- sizione mentale, in ogni giudizio (2) dee intervenire la mas- (i) Sez. VII, e. VI. (a) Secondo il C. M. 9 Ima delle astrazioni , cio V essere ideale ^ ed avendo noi pi*o- ito, che i termini del paragone non si possono percepire aia un giudizio^ conseguita, che nel primo atto de* ti*e idiiesti dal Mamiani alla formazione degli universali , cio nella 3Qcezione degli oggetti da paragonarsi, a esiga V idea dei- essere gi formata. Egli non ha mica atteso, che percepire gli oggetti parago- ahili, equivale a formare a noi gli oggetti^ perocch gli og- ei non sono ancora al nostro spirito , fino a tanto eh* egli lon li abbia percepiti, e affermati. Ora , se egli accorda , senza controversia alcuna , che noi lan possiamo  dire a noi stessi la tal cosa ,  senza  K r astrazione delP essere  che  la massima di tutte Tal-  tre  (i)^ in che maniera poi si l dunque P astrazione dei- veliere? in che modo si acquista questMdea astrattissima ? Egli toma qui al paragone ^ ricorre di nuovo alP astrazione UT identico : parlando appunto della generazione di questa toribile idea, dice essere u aperto e notorio non potere le idee  di medesimezza, ovvero di differenza, essere presenti e formate  nel nosti'o spii*ito innanzi delP atto di paragone , onde sor-  gono fi (2) ^ e censurandomi per aver io rifiutato alla rfles- Mne lockiana il potere di formare V idea delPessei'e, dice:  Quantunque sia vero che la riflessione lockiana non pu  aggiungere n scemare la materia prima dei nostri concepi-  menti , pure non le si pu disdire la facolt del mettere  in paragone pi termini, e con questa T altra d* ingenerare * le idee di attinenze, e di cogUere F identico per mezzo il  vario , cos come il vario per mezzo V identico  (3). Si vede da questi luoghi, e da pi altri del suo libro, eh* egli fatte come da un dato certo, che Pidea dell* essere sia un* idea di medesimezza, e che tutte le idee di medesimezza si formino dal paragone. Dove ci fosse certo, e dove questo appunto fultima nota di questo articolb). Il M. adunque fa pi complicata che noi loo lacciaiiio^ l'operaziooe dei giudizio, e per tanto pi bisognosa di esser receduta da qualche idea universale. (1) P. II, e. IV, v. (a) P. n^ e. XI, m. (3) Ivi, iv. RosMini, // Binnoy amento. 2'ji non fosse ci che bassi a provare, ogiii controversia inton alla genesi di questa idea sarebbe cessata. llMncoiitro in provar questo punto sta il nodo, a questo riduce tutto il problema^ di nuovo, non intese adunque il Mi miani quale fosse il vero stato della questione intomo rorigin delle idee. Trova egli naturalissimo ed evidente, che l'idea dell^ essere come tutte F altre astratte, si formi mediante il paragone de termini. Ma egli non s'accorge, che dovendo i termini essa prima dallo spirito concepiti, acciocch poi si possano pan- gonaife, deesi pi*ima spiegare come questi termini si concepi- scano. Or si dimostra, che questi teimini non possono cono pirsi dallo spirito, se non a condizione di affermarli a it stesso^ e che raffermarli a s stesso,  im dire a la tal cosa  i al che il G M, stesso confessa esigersi Pidea dell'essere. Cgi adunque cozza seco medesimo, e distrugge con una mano & che ftibbrica coll'alti*a. Quando adunque il Mamiani rifiuta l'argomento ch'io trajgo, a provare che l'idea dell'essere non  fattura nostra, dat r esser questa 1' ultima delle astrazioni ^ egli non m' intend6; perocch intendendomi, egli vedrebbe, che la mia prova  fon- data su quegli stessi pringipj che si trovano spaiasi qua e adii nel suo libro, Togliendo io a notomizzare per cosi dii*e un'idea concro- tata, per esempio, come ho fatto nel N. Saggio ^ Pidea di Mak tizio mio amico, il ragionamento che io instituisco  questo: Tale idea. complessa, cio risultante di molte parti. Se di iion fosse, io non la poti*ei anaKzzare^ perocch l'analisi noa larea le parti in un concetto, ma ve le ti^ova. Analizsiaoio , cio scomponiamo quella idea nelle sue parti. Da prima separiamo da lei la sussistenza: non  pi la notizia di un foniiso reale, ma di un amico meramente possibile, seb- benp di quella medesima statm*a, di quelle fattezze, di quel cplore di prima, ecc. ^ con ci l'idea si  appurata, non  pii concretata e priista, ma sincera. Leviamo da quelle forme umane pgni memoria di amicizia : rimane il tipo di un uomo. Separiamc gli accidenti , che finiscono qucst' uoipo : rima;i P uomo in isjie- '7' eie astiratta. Non pensiamo pi alla sua Intelligenza , ma solo aD^aiiImalit : resta nella mente P animale, ehe  un genere a coi Fuomo come specie apparteneva. Seguitiamo a scarnare il ttstro pensiero dell^ animale, non fissandolo pi sull^ animalit ^ a sulla materia bruta, che  parte delP animalit ^ pensiamo tattavia un corpo possibile. Restringendo ancora la vista del-* P intendimento, non veggo pi la corporeit, ma Pentita in genere. Il mio pensiero pensa nondimeno ancora qualche cosa, na cosa che ha pensato sempre, un elemento che ha trovato nell^ idea di Maurizio e In tutte F altre idee : non  stato ag punto nulla all'oggetto del mio pensiero^ ma cpiest' oggetto i tuttavia diminuito , e scamato. L' idea di Maurizio era dunque sommamente complessa^ io vedeva complessivamente tante cose in quella: la ho scomposta, fino a restarmi presente aQ' intendimento un solo elemento semplicissimo di lei , e que- sto  Pente. Posso Io levar quest'ultimo elemento dal pensiero?' Levandolo, non ho pi nulla. Che dunque conchiudo? Che per pensare a qualche cosa, il tnlo spirito abbisogna di ^nel primo elemento col quale s'Inizia II pensai*e: questo ele- nento  quello che si trova colP astrazione, quello che rimane adla mente P ultimo dopo aver da lei tolti tutti gli altri ^ e Pente ideale  appunto desso. Simigllante conclusione  ella tanto aliena dal C. M.? No, certo: perocch equivale a quanto dice il Mamlani appunto^ die tt la massima astrazione che  quella delP essere interviene in ogni posizione mentale  , e che quell' Idea dell'essere  porge  r elemento precipuo del giudiclo conoscitivo , cio il ver-  bo 99 (i): quindi non si. d percezione di oggetti parago* nabili senza di lei L' idea dell' essere non pu dunque formarsi col paragone^ na  quella sola che precede e rende possibile ogni paragone^ Or dopo di ci dicasi, che cosa possa valere l'altra affer-* inazione pure del N. A., colla quale pretende che quest'idea dell'essere sia figlia della riflessione locklana^ perocch  non * si pu disdire a questa la facolt del mettere in paragone (i) p. Il, e. xr. II. 17 M pi termini  . No certamente , non si pu disdirle ci ^ ma si pu ben disdirle di farlo senza V idea delP essere^ si pu ben dire, che la riflessione lockiana  posteriore a quest^idea; e che per, sebbene possa con questa idea far paragone delle cose gi percepite , non pu per dare origine all^ idea stessa che 1^  madre, o certo le  necessario istrumento di suo operare. CAPITOLO XXVI. JL C. M. NON CONOSCE LA NATURA DELL^ IDEA DELL^ ESSERE. Ma il N. A. si adombra assai di quella proposizione, che ala M idea deir essere  comune a tutte le idee singolari, in guisa M cVelle sono semplici maniere e determinazioni di lei n (i). Teme egli questa proposizione per gli assurdi che indi gli sembrano scaturire. Anche qui per il debbo io rivocare entro i limiti del giu- sto metodo filosofico ^ il quale prescrive, che trattandosi di fatti , non si cerchi come debbono essere , ma a dirittura si rilevi e certifichi come sono, se ne studi la natura e le leggi Hassi a sapere, se in ogni oggetto delle nostre idee noi veg- giamo s o no Tessere? mano air osservazione , mano alV analisi, senza tanti raziocinj ^ osservando e' scomponendo , noi vedremo agevolmente, che oggetto dell'idea ed essere  un bel sinonimo. Ci non per tanto udiamo in che consistano i timori del N. A.  Questo , se non erriamo ,  un vero trasmutamento dcl- *t Pidea in sostanza, ed  un ragionare della prima nel modo  e nei termini che  lecito fare soltanto della seconda  (a). Da vero, che se ci fosse , saremmo rovesciati in un dannoso errore I Ma di questa sua deduzione egli non d prova. In quella vece si allarga a mostrare, che, posto per vero che Fidea si cangi in una sostanza, noi siamo nell^ assurdo. tf Le idee sono tutte quante una pm*a modificazione AA ^ nostro principio cogitativo , e non avvi fra loro una idea (i) P. II, e. Xr, H. (a) Ivi. '73  cospicua, che divenga sostegno di tutte le altre e le riceva  in s come attributi e affezioni della propria sostanza  (i).  Diffatto (continua) questo sostegno, quando vi fosse, o f dovrebbe potersi distinguere dalli suoi modi, ovvero non e egli pensato , di-  stinto, e conosciuto da noi  (2) ? Ma a che tanto scialacquo dMngegno? a provare che Fidea dell^ essere non  ima sostanza? Per* rispondere a ci, basta una sola parola : ninno ha mai sognato una simiglievole ga- ^offeria. La sostanza dee avere , acciocch sia tale, quello che io chiamo realit o sussistenza^ ora Pidea (considerata nel suo oggetto ) non  che la possibilit , o sia V iniziamento del mie e del sussistente^ di guisa che, nel N. Saggio ^ essere ideale (idea) ed essere reale (cosa) sono sempre opposti fira kro come principio e fine. Egli  impossibile adunque il con* faidere Pidea colla sostanza. Ma che perci? se Pidea delP essere non  sostanza, sar per questo meno vero che ella si trovi in tutte P altre idee? Per negarlo, converrebbe poter dimostrare, che  se Pidea ^^ essere  in tutte P altre idee, o pi tosto, se tutte r altre idee sono nelPidea dell^ essere, ci dee trar seco per conseguenza inevitabile, che fra quella idea prima e le altre possi quel nesso che  fra la sostanza e gli accidenti  : n ci i pu dimostrare, se non se dimostrando, che tutti i nessi possibili non sono se non quel solo, di sostanza, e di acci- dente. Ora, con buona licenza , io mi permetto osservare , che 3 provare questo,  pur un troppo malagevole assunto. Pe- rocch non si potrebbe venirne a capo, che in due soli modi: 0 col conoscere a pieno la natura di tutti gU enti tanto reali (1) P. II, e. XI, li. (a) Ivi.  che sono idee di MMtanza , ma di tutte le idee di soggetto in generale; e acciocch apparisca ci via meglio, odasi quello che seguita:  Cotesta quarta specie verr * distinta e compresa assai facilmente , se metteremo in ricordo , che cono* (Score vuol dir giudicare, cio (listiijgucre ed afTermarc alcuu attributo ij6 a spiegare come potesse noiare al C. M. il fare dell^ idea di V essere una sostanza , e delle altre idee , degli accidenti quella. Ma io temo, che il lettore si lagni d^ essere in ta filosofiche inezie pi a lungo trattenuto. Per pi breve mi spaccer delle altre parole del N. i colle seguenti osservazioni. i.^ Egli  falso, che le idee tutte quante siano una pur modificazione del nostro principio cogitativo. Il principio co gitativo  il soggetto, e l'idea  l'oggetto: fra soggetto o oggetto v^ ha opposizione ^ dunque V una non , e non pu essere una modificazione dell'altro. Cognizione non v^ ha, i non a condizione, che l'oggetto sia cosa diversa ed opposti del soggetto. Bens la sensazione  una modificazione del sog getto senziente^ e per questo appunto ella non  oggetto ella non  cognizione, ella  cieca. Il N. A. adunque attribni sce alle idee le propriet delle sensazioni : e confondendo quelli con queste , s' aduna colla schiera de' sensisti. a.^ Se egli intende per  una idea cospicua n , una ida che sia una sostanza,  vero che non v' ha nella mente nm idea-sostanza^ come non v'ha n pure un' idea-accidente^ pe* rocche l'applicare alle idee questi vocaboli e relazioni di so- stanza e di accidente,  un mettere le cose fuori di luogo: come chi dicesse che v' ha un suono che pesa dieci libine^ ed un altro che ne pesa cento. All'incontro il negare che fi sia una idea cospicua fra tutte l' altre , che questa sia quella dell^ essere in universale^ il negare, che questa sia la pi uni- versale di tutte, e che le altre in lei si comprendano, non i quel modo che l'accidente aderisce alla sostanza, ma in quel modo proprio e particolare onde una idea meno universak sta nella pi universale (i), una specie nel genere, una con- M d'alcuo soggetto. Laoode oiuna coogiunziooe d'idee o di fatti pu cs- H sere conosciuta da noi , finch non riceve innanzi la congiunzione intcK* r leUuale #. P. II, e. X^ 11. Trattasi adunque d'un soggetto qualsiasi  che regga un predicato. (i) Questo  un vero, a cui ci abbattiamo per tutto ^ involontariamente: senza accorgercL Quando^ a ragion d' esempio ^ il G. M. ci dice che  di- ff mostrare una verit generale si  scuoprire certa sua identit' eoo alln Mguenza nel principio: il negare ci,  negare i fatti pi ma- lifittti di natura ,  sostituire ad essi le proprie ipotesi , ed i poprj dlaci ragionamenti. 3.** L^ alternativa, che le altre idee, se fossero contenute in pella dell^ essere, o dovrebbero distinguersi da quella o non listinguersi,  incompleta* Le altre idee si distinguono, e in ieme s^ identificano con cjuella dell^ essere, allo stesso modo some le q>ecie s^ identificano col genere, e anco si distinguono la lui ^ n in ci v^ha contraddizione alcuna. Ad intendere die non v^ ha contraddizione, basta considerare, che T intel- letto nostro ha pi vedute. Quando con un suo sguardo con Unpla Tessere al tutto indeterminato,  (2). Si soleva credere ; in antico, che la coltura intellettuale degli uomini e delle na- . ibni si misurasse specialmente dal progresso della facolt di aitraire. Ma ora qui il N. A. ci assicura, che questa feicolt ; ghmge al massimo suo sviluppo prima che Puomo abbia pure l anpiistato la minima conoscenza, prima che sia uscito da uno tato intellettuale che sarebbe non solo assai inferiore a quello  qualunque trib di selvaggi, ma molto prossimo a quello degli orang-outang. CAPITOLO XXIX. coHToruzioifE: cinque errori del mmini intorno le operazioni DEL PARAGONARE, E DELL^ ASTRARRE. E pure il C. M. s' obbligato a dimostrar tutto questo! Consideriamo i suoi sforzi: consideriamo come si dibatte per F (i) p. n, e. X, IV. (2) p. n, e. n, n. |8> venire a capo di persuaderci, che P astrarre non esige alcu giudizio conoscitivo. Prima di astrarre convien paragonare. Or egli fa passai per una sola maniera d^atti il paragonare e Pastrarre, dicend che quelli insieme pi*esi sono la seconda sorte di atti necessar alla formazione degli universali. Quanto al paragonare , noi abbiamo gi detto abbastanza i far manifesto, se egli sia possibile senza Videa deU^ essere: e abbiamo veduto, che non solo egli non  possibile, ma sena quellMdea non  n pure possibile la concezione de^ termini che dee precedere il paragone. Veniamo 9X* astrarre'^ ma prinu udiamo il N. . u Riguardo all^atto di comparare e di astrarre notammc u noi-^, che translatare la propria attenzione da un termim  a un altro e da una qualit ad un^ altra  operazione ch(  non domanda di necessit la previdenza d^un qualche scojk tf determinato , e con ci la univcrsal nozione delP attinenzs u del mezzo al fine. Ma in tal modo di traslazione consistt tf appunto il paragonare i singoli termini , e il poiTe mente \  quello che in loro  comune , in disparte da ci che in lon   individuale  (i). Qui il Mamiani fa consistere tutta la operazione del paia gonare e delP astrarre unicamente ne^ trapassi delP attenzioni da un oggetto all^altro^ e crede di provare, che non ci aU bisogno di alcuna idea universale , perch quell^ attenzione si tu sferisca d^ un oggetto alleai tro , movendosi ella per via d^impnli istintivi, senza bisogno delle idee universali di mezzo e di fine Ma basta egli questo a provare, che si pu paragonare 0 astrarre senza idee universali ? Io non posso accordare nessuni delle affermazioni che contiene il brano che ho trascritto dal suo libro, ma sono costretto di parer forse poco cortese ne- gandogliele tutte. Nego adunque, i. Che paragonare ed astrarre sia una sola sorte di atti: a." Che quando bene avess'egli provato, che a trasportare (i) P. II, e. X, VII. sudoiie da nn oggetto all^ altro non si richiedesse V idea rsale di fine e di mezzo, avesse provato perci, che quel sso far si potesse senza alcun^ altra idea universale : Che in quel trapasso consista la operazione del compa- i termini: ' Che molto meno in quel semplice trasferimento di at one si compia quella delF astrarre, assai diversa, come uno , da quella di comparare : ' Che basti un impulso fisico a dirigere P attenzione nel  che  necessario, perch lo spirito venga alle compara- . ed astrazioni maggiori, bono prove di ciascuna di queste nostre negazioni. CAPITOLO XXX, CONTIinJZIONE* .* u Paragonare ed astrarre non  una sorte sola di atti 9> . nfondere due maniere di atti cos distinti,  un errore le a quello che ho notato pi sopra, dove il M. confon- . V attenzione col giudizio.^ i questo mescolamento di pi potenze in una, sarebbe stato pialche modo perdonabile mezzo secolo addietro , quando invalsa P ambizione di giurare nelle parole di Gondillac* sto autore , lodevole per aver commendato V uso dell^ ana- P applic ben poco a discemerc le varie potenze dello ito. Ma or, dopo tanto che s^ detto su questo difetto liUachiano (i), dopo che quel sistema  caduto, non si 91 aspettare dal M. ringiovanito lo stesso errore. [a che il paragone non sia V astrazione^ sar facile a vedrlo, derando, che ^flBcio dell' astrazione  quello di raccorr imile dentro agli oggetti concepiti , e questo simile tuttavia i si pu talora discemere, n anco per molti e molti pa- wii. Quante volte avviene, che mes^ due cose a confronto. ) Yedi solla coofusione sislematica delle potenze che fa il GoDdiilac | . Saggio Sez. Ili, e. II > art. v e seg^. I a;x> ili conchiudere se elle seno della mede- a. a Kuo ? Questo dimostra, che talora il paragone .M.v!uiK> ili due o pi cose, non giunge ad ottenere .ciiw- ^'^^ *^^1 paragone si cerca ^ il paragone non  .K- l mezzo, a cui  poi fine l'astrazione che coglie ojui^; ora mezzo e fow sono cose lungamente diverse; .a vjuaudo il fine non seguita a quello di necessit, ma e -.om riman senza questo. E pure Tesser giunti a scep- ^v>v il somiglianza di due o pi cose, non  ancora avere u>acL&ione compiuta^ compiendosi questa mediante un limi- u^.* e restringere P attenzione nostra alle qualit in cui gli ^>^ctti paragonati si assomigliano, senza ispanderla agli og- :;vCti in cui quelle qualit si ravvisano. Raccogliendo pertanto quello che abbiamo detto innaxui uUa differenza che corre tra V attemlere e il paragoiwie^ e quello che notammo qui sulla diflerenza fi-a il paragonart e V astrarre^ possiamo conchiudere, che v^ha nello spirito nostro lina serie di atti, che sebbene affini e spesso succedentisi, tut- tavia son di diversa natura, ne dal filosofo si posson con* fondere. Conviene adunque distinguersi accuratamente i.^ l'at- tendere intellettivo, 2." il percepire , 3.** P universalizzare , 4 il paragonare, 5.^ il trovare le somiglianze, e 6." rastraiT& a.^  Quando il C. M. avesse pur provato , che a traspo> tare P attenzione da un oggetto all'* altro non si richiedesse r universa! nozione delF attinenza del mezzo col fine, non avrebbe per provato, che ci si facesse senza idee universali  La ragione di ci  chiara. Acciocch P argomento del G. BL fosse efficace, egli dovrebbe aver provato prima, che Punici idea universale che pu rendersi necessaria in que' trasfer* menti di attenzione, sia quella delP attinenza del mezzo col fine. Ma ci non prov egli. Dunque non prov n pure, che que^ trasporti di attenzione far si possano senz^ altra idea uni- versale, come a ragion d** esempio quella dclP essere. 3.^ tf II comparare i teimini non consiste nel trasferire h nostra attenzione dalPuno alP altro frequentemente, come vuole il N. A. . Quando il C. M. parla di un frequente trasporto di nostra attenzione da un termine ad un altro , egli d grandissimo j85 a una circostaiiza che  meramente accidentale. E di vero, il paragone di due oggetti da me si faccia con pi oc- ite, ovvero con una sola^ ci non costituisce la natura del igone. Vorr dire, che se im^ occhiata sola non mi basta mchiudere qual sia la differenza e la similitudine di pi etti chMo miro a fine di raffrontarli, dovr ripetere i miei irdi, o tenerli pi lungamente affisati in essi^ ma questo idente, che mostra il grado di mia ; attenzione, e di mio Offgimento in istringere pi o men - tosto, il paragone , non DOnoscere punto n poco la natDira di paragone medesimo, fa 9 ci che  pi, il paragone non consiste e non pu con- CK tf In tal modo di traslazione n delP attenzione nostra mi termine all^ altro. Se io trasferissi P attenzione mia d^un Bine all^ altro ben mille e mille volte, tutto sarebbe in- no pel paragone^ non solo non potrei conchiuderlo, ma n o incominciarlo. A fine ch^ io possa venire ad im confix>ntu li oggetti , rchiedesi appunto il contrario, di qujsto-firequente ferimento di attenzione da uno lall^altio leriin: io debbo qr anzi ferma fermissima P attenzione sui due o pi oggetti voglio paragonare: debbo non solo attendere, ad essi si- itaneamente, ma dentro al mio spirita, immedesimarli^ ed le^ante questa spirituale immedelttmazicme , ohe io pokso mie loro differenze e lor somiglianze (). Sioci^ sottomessa MSCnnita analisi P operazione ^essa del paragone^ A divide. P9e; :parti , che sono i .^ fissare V attenzione simultaneamente W] oggetti che voglio paragonare, .? immedesimarli  liearli.rono all^ altro nel.iio ^irito, 3'.*^ conchiudere quale xenza o somiglianza sia la loro. L^ essenza > del paragone lotta nella seconda di queste tre operazioni. Una tale ana- k troppo necessaria, a chi non vuol comtnettiere. gravi errori.* quello in cui cadde qui il.C. M.>, provenne mhnifestamente 'aver egli confuso quegli atti estemi, che noi facoiamo ido vogliam confrontare pi oggetti eUsibili^' cgli atti 311 che a quelli in noi cot^ispondono* Abbiamo  noi' i due '...' Vedi il Jf. Set^gio Sei. Ili > e. IV > art. xx.- -...".! .  i : : .' 95M1M, // Jiinoi^aniento, 2 4 qnaHr presso che ugnali, e non sappiamo quale sia la copia quale P originale. Egli  verissimo, che noi li guardiamo e riguardiamo: ora miriamo P uno fisamente, ora P altro, ora sotto un angolo di luce, or sotto un^ altro, voltandoli a tutte b parti. Questo  quello che avviene veramente quanto agli atti nostri estemi. Ma il paragone, non  qui^ egli si consuma tutto dentro di noi. Quegli atti nostri esteriori non fanno che tm raccorre la materia del paragone , che poi lo spirito opera in l stesso: perocch lo spirito non pu paragonare con esatteata, se prima non ha raccolto diligentissimamente la forma di quegK oggetti. L^ osservazione esteriore iterata, alternata, prolungati|  quella adunque che imprime nello spirito distintamente fi oggetti , i quali vi rimangono simultanei : e allora lo spirito K paragona. 4*'* tf L* astrarre non consiste nel trasferire firequentementfl la nostra attenzione da un termine alPaltro del paragone n. Discende da ci che ho detto.  U trasferire P attenzione nostra da un termine alPaltro, non entra di sua natura nel discorso e\ paragomu^ e il^astrarm^ quando non s^ intenda di descrivere con ci non il paragiMii. ma quegli atti estemi che lo precedono e lo preparano.  L^ astrazione succede al paragone. L^ osservazione esterna, dw ai compie mediante gli atti estemi che abbiamo toccato, non' aicora il paragone, ma ne dispone e rende possibile la fonnft* none. Dunque P astrazione  opera dello spirito, assai rimoli aV osservazione esterna^ a cui sola appartiene quel trasferimeaU di attenzione che descrive il M. , e che confonde col /nw gone e cqW astrazione medesima. E non sar per inutile, k noi udiamo le parole onde il N. . descrive la virt P^f stnurre in nn altro luogo, dove abbiamo delle confessioni pi ziose, tutte al nostro uopo. Ecco il passo. M La mente nostra ha facolt di concepire il simile, omzt  il dissimile^  il che riene effettuato dalla virt nobilissiiai  dell- astrarre, secondo atto di nostra mente ^ del quak ci  viene ora il tener discorso  . Ecco il discorso che ne tiene  A chiunque si pone a riflettere sul perenne fenomeno dd  P evidenza intuitiva apparir questo di chiaro , che P atto di 187  gmdicio, il quale vi  incluso., con^iesi pel dimorare 9 per  r alternarsi dell^ attenzione sui tennini di esso giudicio  (i) Or qui convien pure osseiTare, che altro  il dimorare del- Tattenzione sui termini del giudizio, altro il venire a strin- (ere lo stesso giudizio. Potrebbesi dimorare lungbissimamente ni termini del giudizio, e giudicar tuttavia nulla^ come in certi (indizi imbrogliati addiviene, ne^ quali Puomo non si risolve a niuna parte. Non questo per cerco io di notare nelle parole del N A. la quelle mi accorda egli, che Viniuire^ e medesimamente  astrarre si fa col giudicare^ e il giudicare poi  per lui stesso raffermare: ma affermare non si pu senza avere almeno Tidea dell^ essere, che  il vei'bo, com^egli dice, che lega il gmclizio.: dunque non ho bisogno che di lui stesso per confu- tare le sue dottrine. 5.'  Non basta un impulso fisico a guidare P attenzione alle astrazioni maggiori, come  quella dell^ essere, che il N. A. dice la massima di tutte Taltre . Crede il M. di provare il contrario coll^ esempio di un fan- ciullo lattante.  La nuova immagine, dice, che entra per gli  occhi di questo, is vegliando la sua attenzione, la terr volta  a quella parte, donde muovono le impressioni pi vive: e po-  niamo che tal parte sia il volto. La nutrice fa un cenno e  sorride: F attenzione allora del fauciuUetto sar chiamata di preferenza agli occhi scintillanti, o alla bocca atteggiata al riso, e forse alPuno ed all^ altro in pi tempi, secondo die il variare dei minuti accidenti far avvertire ad ima  parte piuttosto che ad un^ altra. Intanto questi diversi tra-  passi dell^ attenzione rendono pi distinta e viva tutta la  forma del volto, la quale non ha mai cessato di farsi pre- sente al pensiero, sebbene in inodo confuso e languido " (2).  Or questo esempio prova tutto al pi, che le impressioni ^li oggetti estemi muovono V attenzione del bambino , e che (1) P. n, e. X, TV. Qui noti afirh> il r dimorare ^ f'W att^oxione sui tcrami d esao giudio ; e questo va bene, se intende un dimorare su tuti* e due i termini simultaneamente; ma T alternarsi che ci aggiunge,  inutde. (a) P. Il, e. IV, VI. i88 il mutare di qusti fa cangiare direzione anche air attenzione di lui. Ci niun filosofo metter in dubbio; ma la questione deir astrarre non si risolve per cos poco. Quando anco potesse provarsi, che il bambino con qael tramutare di attenzione perviene a formarsi qualche astratto; il che pur non si prova : questo astratto si limiterebbe ad es- sere di cose sensibili. Or non si tratta di astratti sensibili, nel discorso del G. Mamiani; trattasi di provare, che Fuomo possa formarsi istintivamente quella astrazione , che il Mamiani me- desimo dichiara per la massima di tutte , per la pi spirituale, per la pi insensibile per cos dire, in una parola T astrazione j dellMdea delP essere. Che il bambino astragga il colore daOa forma della nutrice, passi per ora, sebbene il N. A. n por questo ci prova; ma tutt' altro  quando si tratta dell'idea deir essere: quelPidea non  colore, quella non ha forma cor- porea, non  nulla di concreto, nulla di ci che entra per gli occhi, o per gli orecchi, o pel tatto del bambino, quando vede, ode, o palpa la nutrice. Riman dunque ancora troppo a provare all' A. W. , prima che dall'astrazione di cose sensi- bili , eh' egli suppone farsi dal fanciullo , possa inferire logica- mente, che l'uomo pervenga istintivamente all'astrattissima delle idee fra le insensibili. In secondo luogo, s^ inganna egli a partito^ credendo che i filosofi insegnino che Y asti*aiTe non sia pi che  il dare al- M tenzione ad alcuna cosa in disparte e divisamente dalPal-  tre  (i). Se ci fosse, egli avreblie almeno ragi (a). Vedesi anche qui addurre V esempio di cose sensibili : e to- rda quelle conchiudere alle insensibili (i) Come l'autor Dostro SDHiura l facoltli dell' astrazione cangiandola m ft d poter dare attenzione ad una csa in disparte da iin' altra; ci Kpo TTenire anche entro la fera de > sensi corporei , giacch l'atten- e sensitiva si applica ad una cosa in disparte d'un' altra, o pi tosta i^.pu mai applicare se non ad una cosa singolarmente presa;.' cosi I snatura pure la facoltl^ del giudizio quando pretende che in questa mione per soggetto si debba intendere una totalitii di fenomeni e per riicM una parte di essi : sicch n nel predicato  n nel soggetto amo alcuna idea universale ( P. II e. IV vu ). Io vorrei per cbe piegasse pi chiaro. Vorrei che mi dicesse  se il suo giudizio suona cosi : k 'i parte di B w; perocch in tal caso almeno il verbo  dee contenere ' idea universale anzi, secondo lui stesso la knassima delle astrazioni. Ired quella forma di giudizio conterrebbe' la relazione fra il tutto e pirte ; e questa relazione  idea universale ella stessa  come Ife parola parte m  voce comune ed universale. Con queste riflessioni cade tutto ^ eh' egli fabbrica nel luogo accennato. WP. II,c. X, VII. 9o Di poi, in queste stesse cose sensibili, egli confonde la materur .dell^ astrarre somministrata da^ sensi, colla forma ^' in che coih .siste propriamente la virt dell^ astrarre. Or ninno ha mai ne i;aio, chela materia delle astrazioni risguardanti oggetti sensiUIp non ci venga dal sentimento: ci che il sentimento aoil. poi darci si  Fatto steisso dell^ astrarre, che si esercita su d' quelli materia. Ninno ha mai .negato, ehe la sensazione , 4e^ odori non sia in s stessa diversa da quella de^ suoni; Chi ben If considera converr facilmente , che sono di pi' indipendenti Funa dall^ altra, e che prese come mere sensazioni non con derate colP intelletto ancora, esse non hanno la minima rela zione insieme, sicch Funa non sa nulla delF altra: le due seiir .sezioni adunque col solo esistere loro proprio non si paragonano^. Potrebbe anche avervi un soggetto comune delle due sensa^ .zioni, il quale non. fosse capace di fare questo paragone^ certo jnon  assurdo a pensarlo*^ anzi egli  fuori di dubbio, m .tutte le sensazioni che noi stessi abbiamo, sehben nomini , .non le paragoniamo fra loro^ ed ella sarebbe, a dir vero; tro{^ fatica a paragonarle tutte , ed inutile : eppure abbiamo anco, F intelletto. Dunque F esistere le sensazioni separate, in- dipendenti, F esistere in un medesimo soggetto, F esistere fii anco in un soggetto ii^telletUvo, tutto ci non  ancora Federe paragonate. Che facciam noi? ne paragoniamo alcune, raoca^ gliamo le diiferenze maggiori , quelle che pi c^ interessano^ ^ quelle che pi ci abbisognano: e F altre stanno in noi stac- cate, senza che noi pur badiamo alle loro relazioni, le quali rimangono a noi sconosciute fino a che non ci facciamo attoi- zione. Io m^ astengo qui di parlare del sensorio comune. SA dir, che di questo sensorio altri si forma una assai tolta opinione. Sarebbe un assurdo F immaginare, cVegli fosse simik al senso del vedere, o delFudire, o ad altro organo simgliantfr Egli non pu essere un organo, non un senso distinto^ ntt dee essere un riferimento simultaneo delle sensazioni de^ cinqoa sensi al medesimo essere percipiente. Ma questo ritrimenta \ non  necessario^ pu farsi, e non farsi ^ pu avvertirsi e non avvertirsi: io dico ancora di pi: F essere percipiente, sebbene uno e semplice, pu riferire a s tutte le varie sensazioni, senta che per questo sia assolutamente necessario che insieme k 9 pangoni. l parafftm d^unque degli oggetti e VastMdone del nmile non  ima ^eonseguenza nDessairia u di im tsensorio' comime n di ' vn inteUetto. Se nott  ' ima tonsegcni n^ cessarla, egli niniBii' dunque a mostniisi ili' che modo arrtega^' n egli  sufficiente, a -spiegare qu^ssta opetazione, 1 aver dett ^ lonplioemente be T^ha un senaoro, o ii V^'ha un inteBtetfo. Sebbene, tono troppi al mio assunto questi miei lugionari,* qnaado w ho ai mio 'favore Tautort dello stesso G. M., be,' ove in bisogna,  Sempre presto ^ ab^dldmi 'geneiioiriiihente qnnt desideM^ e nelle qui lo th>vo 'vi^rsb me assai liberale.' Egli incerto lugo'def suo Kbro- Ib fa'cano colla cagna , facciano con ci altrettante astrazioiii tejlettuali? Non bastava dunque al C. M. mostrare il l Giulio che volge gli sguardi suoi e U attento aspetto ora i occhi^ ora al riso, della balia ^ queste esterne dimostrai non. provano abbastanza quello che avviene nella mnte pmauUetto: dovea meglio il ,N. . mettersi dentto, inedia certi indubitati segni dMntelligenza , nell^ intelletto fancullet ^mostrarci il lavoro intellettuale che in quello viene si spiegano. Quand^anco adunque Va. avc^Bse egregiamente provato, che il blunbino mosso .dall^ itti ae^tiyo venis^ f^cej^ido delle astrazioni ^e non  pnto mi c}ie r.intelletto tolga occasione ad operaJre da^ movimenti. , universalizzazione, 5.^ paragone, 6, trovamei^o del si* le, e 7.** astrazione. Eg^  poi evidente, che almeno queste ultime esigono un disio, e quinci stesso un universale preesistente o nelUa* Ilo, o anche nel bambino, se pure si vuole che ancVegli agga ; perocch la natura deU^ operazione , per dirlo di ovo,  una e sempre la stessa. CAPITOLO XXXI. n TRAE CONFERMA ALLA NOSTRA DOTTRINA DALLE ASTRAZIONI CHE FANNO 1 BAMBINI. Par le quali cose tutti i sensitl, e il N. A., voglia apparte^^ re o no a questa scuola, parrebbero dover essere pi ch li impegnati a negarci nel fanciullo ogni astrazione. Porocch questa operazione, come vedemmo,  intellettuale, diiude di forza il giudizio, al quale  necessario sempre rcvbo, che, come dice il G. M.,  la massima delle astra- ili, perch  Tidea dell^ essere. Diinque se il bambino fa delle astrazioni , egli n^ ha prima t stesso la massima, condizione di tutte le altre.  come piegher ella? per qual guisa si mostrer ingenerata? Che on  ingenerata, mi basta; tutto ho ottenuto: se la parola seguente fa noja, si taccia, si seppellisca nelF animo. Alla trina da me proposta  dunque gran favore raccordarmi che fhiiciulletto faccia delle astrazioni:  un accordarmi tutto. ia perch il M. me T accorda bens, ma, accordandomelo, scontenta di affermarlo, senza dimostrazione; mi continuer 1 ragionamento di lui, cio torr a dimostrare y I.* Che il bambino astrae intellettivamente; * Che il bambino astraendo non procede gi nelP ordine  piesuppongono i sensisti, i quali il vorrebbero fare andare U minori alle maggiori astrazioni; ma viceversa e^li discende U massima delle astrazioni gi*adatamente alle minori. RosMifii, // Hirmovaniento^ u5 194 Se mi riuscir di provar ci, egli siir un rincalzo nov alla sentenza da me professata , che ogni iutelligenza ha natura qualche prima visione dclP essere, e per, che an Fuomo, intelligente com' , possiede fin dalP istante cV e. IV,artif> { 6 e 7). La nostra hembDs  arrivata gi alPidea astratta d^ gatto* die  kUa specifica astratta , e da questa come da punto fisso ai slancia >> genere degli animali piccoli , senza punto toccare i gradi intermedii. '97 dipinti, che mediante T astrazione del genere trot identici, e meritevoli dello stesso nome. Tutti gli uomini pulitamente vestiti sono suoi zii^ se dovessimo crederle, perocch il nome zio ella lo applica ugualmente a cascano di loro. E chi vuol vedere come, dopo essersi ella fermato nell^ animo cpiesto genere che racchiude tutte le pu lite persone , e che ella ferma nella sua mente mediante il [ nome di zio, discenda poscia ad una astrazione minore, cio i a&a specie^ badi al nome ch^ella pone alle persone vestite a Mro^ queste non le mescola pi colle altre, ma  giimta og ': gimai a collocarle da parte in una specie separata, una specie '. per altro appartenente al genere de^ zii^ chiamandole zio prete* Quegli adunque che esigono minori impressioni a formarsi Bel suo spirito, minor lavoro di attenzione, minor attivit di mente, sono i generi: dopo questi vengono le specie astratte^ tUL al proprio non discende ella se non quando replicate e continue impressioni sensibili la costringono a fissare in esso k soa attenzione intellettiva , richiamando questa dallo sponta- neo volo che  sempre atteggiata a riprendere verso l'universale. Perci nella nostra Manetta, di parole che sieno determinate t significare il proprio, non ne trovo che due; e queste sono i nomi di pi^ e di mamm : i quali ella non accomuna ad al- tre persone: appunto perch pap e mamm la portano, e Faccarezzano assiduamente, coli' affetto e co' modi proprj de* genitori affettuosi (i). Veniamo a' verbi , de' quali recher due soli esempj. llarietta, o sia che ella brami che l'uscio si chiuda, o che a apra, usa ugualmente la parola imperativa serra. Sar di foori, e picchiando, perch altri da dentro le apraiiio, grider: temu Ecco, come ella si tiene ad una sola parola; perch prima di distinguere il movimento che fa l'uscio quando si chiude, i quel movimento che fa quando si apre, ella considera (i) Aristotele osserv, che i bambini danno a tuUi gli uomini da prin- ^0 il Dome di padre Questo non si avvera nella fanciullina su cui ab- ivK) noi istituite le nostre osservazioni. Forse lo Stagirita avri fatta la "* ottenrazione su de' (anciulU, che non erano tratlati da' genitori si te* **ranjcirte come la nostra. 98 quel movimento pi in generale ^ senza questa specifica dii ferenza. Il verbo becca  pure di grandissimo uso e di estesissimi significato nella bocca di Marietta. S' accosta ella al fuoco u po^ pi cbe non le faccia mestieri? la parola cbe pronimii si  becca ^ per voler dire che scotta^ vede ella un ago, u coltello, e vuole esprimere clic quelP ordigno punge, o eli taglia? dice tostamente becca ^ un bue che trapassi per via, accostandolesi alquanto la impaurisce, becca\ ogni cosa insomn che produca disaggradevole o nocevole sensazione , consid rando ella V effetto suo genericamente senza alcun^ altra d stinzione, dice ugualmente che egli becca (i). E queste osservazioni sono una prova molto evidente, s condo me, che il progresso vero, e non descritto immaghiari mente, della mente umana, si  quello di correre da^ partic lari sensibili immediatamente agli astratti pi estesi che esi vi possano, colPajuto de^ vocaboli, e da questi discendere pose a formarsi grado a grado le idee meno astratte, fino a quel che sono le pi prossime alle sensazioni ^ e ci perch nella i brica delle idee, le sensazioni non sono che V occasione e materia, ma tutto il formale delP operazione consiste nellV giunta dell^ astrattissima idea, di cui la natura stessa ci kst appunto a quest^uso. Il medesimo risulterebbe dalP esame delle lingue de^ selvag delle lingue antichissime, come pure di quelle de' nostri moi tanari, massime de' pi rimoti dalPuso delle citt, che ognui pu fare, come noi facemmo, da s medesimo. Ma perch questo argomento, veniente a conferma della n stra teoria da' fatti pi owii della favella infantile, sia al tntl convincente, io debbo farmi incontro ad alcune opposizion (i) Errerebbe chi credesse cbe un tal nso d vocaboli Rfarietta l'atei imparato dalle donne che la allevano. Elle non sogliono parlarle che lingua comune. E in ogni caso si consideri, che le madri, le nutrici,  che se io 1 dalla sensazione reale qualche cosa , non ho che mezza sensazione ,  terzo  ma per sempre la stessa sensazione di prima. Si prenda un perficie rossa, od il suono d' una canna d'organo. Che cosa posso  vare a quel rosso reale? Io non posso se non o restringere la superi in che egli  sparso^ e considerarlo dentro a pi stretti confini; o imw nara il colore pi languido che non . Tanto nel primo ohe nel secoi caso non mi resta che una sensazione reale , diversa dalla prima, raaf non altro che una sensazione reale. Che cosa posso levare al robusto su di quella canna d'organo? Posso immaginare un suono pi debole j o breve. Non fo che appicciolire la sensazione, anzi propriamente parlan mutarla in un'altra. Non sono adunque uscito dalla sensazione partiool ^ reale. L* operazione intellettiva comincia , quando io aggiungo il perni del possibile : o sia quando io , astraendo dalla sensazione reale tutta ioli la penso come possibile. Solamente sopra queste sensazioni possibili  i essendo elle particolari e reali ^ ma tutte spirituali e ideali , io posso e citare T astrazione intellettiva. Inesattamente adunque il N. A. dice d provare l'esistenza di principj innati r fa mestieri provare che le k u inleUetlive, -*- come a dire, la memoria, l'astrazione , il giudido ed a M non valgono con V opera loro a svestire i fatti sperimentali della con u gonza  della mutabilit e della limitazione m (P. I , e. XVI, i , 3.* ti dovea dire pi tosto, m valgono a vestirli della necessiti, imrootab f e universalit m ; e pi coattamente ancora , r non valgono a produrre aof pertanto della forma possibile della cosa, suppone ohe la mente possegga gi la vista dcIP esser possibile \ e la indeterminazione ^principio maggiore di quelle forme che la mente si fa delle cose (i), snppone che quest^ essere possibile sia nella mente in : m modo scevro da ogni determinazione: perocch se fosse de- terminato nella mente fino a principio, ella niente pi veder potrebbe d^ indeterminato, o di determinato in altra maniei*a. Ma vediamo come il N. A. risponde al ^esito propostosi.  Noi sciogliamo cos la istanza. Le osservazioni snperfi-  ciali e figaci intomo gli oggetti ci persuadono da principio  correi*e fra quelli molte pi somigliante che non comporta  l'essere loro: awegna ci per la fretta dell'osservare, onde  il simile si fa sentire e non il disrsimfte, il quale, come os- e serv Campanella, rimane pi occulto: ovyero succeda per  un bisogno e per un desiderio che abbiamo di trovare do- li nmque frequentissime analogie, senza le quali non avremmo  capacit alcuna di scienza n (2). idee Decessa rie, imrnul abili , uDversali di essi faUt sperimentali m. S. Tom* Quo airiciconlro insegna ci che io dico assai chiaramente: il N. A. Itesso ne reca il luogo, e dice cosi: r Quella natura che nei singolari ri- siede eoo li prndpj individuanti, si fa universale dall' iolelletto astraendo da quei principj e AOGiunofiNDO la intenzione dell' uni ver :h Ut  *>. Convieii dmque aggiungere alle sensazioni , e non solo levare. E che cosa ag- giioger loro T intelletto > se non ha niente da aggiungere? Gonvien poi riflettere eziandio , che cosa sino i prtncipj indMiianti di cai parli .Tommaso. In mille luoghi insegna il S. D., che il princpio individuante  la jwalen'a. Ora che cosa vi resta delle cose sensibili, se loro togliete via la materia? Nulla ^ nulla affatto; perocch non si d cosa sensibile WUM materia. Quando si parla dunque di un oggetto sensibile ^ da cut tini astratta la materia , dee intendersi d' un oggetto di natura inter- OKote diversa dalle cose sensibili; d'un oggetto interamente spirituale, che risiede nell' intelletto ^ non formato dalle cose sensibili^ ma ben.**! atto a rappresentarle a noi> a farcele conoscere. L' esser esso il rappresentantt; a quelle, induce i sensisti in errore , facendo loro credere, eh' esso sia Ma stessa natura delle cose rappresentate. Ma un tale errore troppo vol- are dee finalmente sbandirsi dalla Glosofia (1) Quanto la mente si applica a simiglianze pti estese, tanto piii In fbnna disile cose simili  indeterminata ; p. es. la similitudine dell' umauii bbrccia pia enti di quella deli' umanit gioiwte ; e quella prima  pi io^Herminata di questa seconda. WP. II, e. X, HI. RosMwi, // Rinnovcuneiito. a6 ao2 Il N. A. riconosce il fallo. Le due ragioni poi, cir egli reca a dame spiegazione, sono al tulio per noi. La prima  la fretta dell'osservare. Or questo osservare dee essere una operazione interamente diversa dalle sensazioni, le quali operano necessa- riamente, e con movimento istanlaneo: sono poi incredibil- mente acute e fedeli a rappresentare le differenze anche mi- nime delle cose. Lo spirito nostro tuttavia trasanda queste difTerenze^ ha una tendenza, che il porta ad osservare di pre- ferenza le somiglianze , o a suppome , lasciando neglette di os- servazione le dissomiglianze. Onde questa tendenza dello spirito? Egli pare, risponde il G. M. , che abbia a un bisogno ed un desiderio 9 di trovare ovunque frequentissime analogie, per le quali sole  capace di scienza. Appunto: onde adunque questo bisogno, questo desiderio di analogia? Ecco ci che ti*attasi di spiegare. Egli nop solo non potrebbe avere un desiderio ed un bisogno si fatto, senza avelie nel suo spirito una forma univer- sale a cui riferire le cose tutte, ma n pure aver potrebbe senza una tal forma alcun concetto di analogia e di somiglianza: pe- l'occh V analogia o somiglianza Jellc cose ( lo stesso C. M. ce r accorda ) non pu essere che un elemento intellettuale. Or in questo elemento intellettuale si affigga bene il pensiero, e SI trover, non poter esser altro , che una. forma a cui lo spi- rito riferisca ugualmente tutti gli oggetti che feriscono i sensi SUOI, o a pai'lai'e pi propriamente ancora, a cui riferisca le I* cagioni prossime delle sue sensazioni (i). Cosi la similitudine degli uomini non ist, che nel conve- nir tutti in questa forma che si chiama  umanit y^ , la quale non  che una forma intellettuale, non avendo nessuna sus- sistenza fuori dello spirito. Di guisa che la similitudine degli uomini si pu definire u un riferirsi tutti gli uomini a quella forma che  nel nostro intelletto e che si chiama umanit ^ (1) Ho gii dimostrato, che ?  simililudioe * delle cose ha il suo oikI^ mento in una  e VU ri. vili ? 2, 1 per la quale forma noi tutti li conosciamo ". Ma egli avviene pur troppo, ch^ella sia di6Scilissima a ben intendersi questa rdazione che le cose reali hanno coir universo intellettuale .* credesi comunemente , che elle sieno al tutto indipendenti da questo: e intanto elle hanno da questo una continua ed es-^ somale dipendenza: il che via meglio apparir, ove si consi- deri, che ogni ragionamento che noi facciamo delle cose, in volge questa relazione colle loro forme intellettive^ perocch non possiamo di esse ragionare se non in quanto, mediante appunto queste forme o idee, noi le conosciamo. d H CAPITOLO XXXIII. CONTINUAZIONE. d jg^ Ma facciamoci alle obbjezioni che, come toccammo, po e so ebbero volgersi contro le nostre considerazioni. Quella che un luogo di Tommaso Campanella pu nsve \\ sltre agevolmente nelP animo, parmi di tutte la maggiore^ e alt I per ne faremo diligente esame. Aiconosce il Campanella, e confessa il fatto, che Puomo  ]iif Tolto per natura assai pi a notare le similitudini delle cose^ 1 J che non le loro dissimilitudini. Ma egli ci*ede di poter rendere jsaf di un tal fatto convenevole sj)iegazione col solo gioco de^ sensi* rdiamo il filosofo calabrese : u II senso percepisce meglio il  generale che il singolai*e , perch quello si ripete infinitamente  pi spesso e a s medesimo uguale, e termina per farsi  sentire siccome imo  (i). L^ osservazione del Campanella  giusta: egli  verissimo^ che ci che  comune nelle cose , colpisce pi di frequente i sensi nostri di ci che  proprio: appunto perch  comune^  suppongono per certe molte cose negate tempre dagli avversarj? Certo il buon metodo vieta quel rt- gionare continuamente sopra de' pregiudizj gravissimi, che iu filosofa noa si hanno che per monete false. Ecco un altro de' luoghi dove il Mamianif oufortdendo le idee col soggetto^ sostiene che non V ha seenca se ikh di due cose , cio dell' oggetto e del soggetto : m Lo scibile umano ha v n termini, oltre i quaU non sa dar passo; da un lato ha le idee e dall' al- ci tro ha le cose. Qgni cognizione adunque o versa sopra il subbjetto ipca- 4 sante, o sopra l'oggetto pensabile * (P. Il, e. XX, 11). D'altra parte J^ M-'ieuza uon pu versare sopra altra cosa , che sopra l'oggetto pensabile* hi li tutto in fiiTor suo. Sicch questo benedetto senso comune gio- ver poco ad entrambi invocarlo, quando o Tuno o F altro non dimostri che sia pure per s. Or via dunque, se questi filosofi hanno torto a considerare Fidea astratta del simile, o delP identico, per cosa tutta in- teilettira, e fuor delle cose concrete,^ che pronuncia di essa il N. .7 Udiamo come si continua al rifiuto dato a que^ filosofi:  Bla se invece diremo quello che  di fatto, rappresentare cio tf la idea del colore certa forma d^ identit' vera e reale, ezian- H dio fuordef pensiere, chi pensa il colore, astraendo anche dalla sua idea, pensa una vera e certa realit obbiettiva,  Tale a dire il continuo uno, indiviso e indeterminato, il  ^ale sottost ai colori finiti determinati e divisibili n (i). Questo passo, perch abbia un senso, dee dire il contrario della sentenza di que^ filosofi da lui rifiutati: e per dee voler aSeimare, che non pure il bianco e il rosso e il ceruleo sia qualche cosa di reale appartenente accorpi concreti, ma che lo stesso colore astratto, cio preso in generale, trovisi vera- mente come un elemento componente i detti colori concreti. Il senso comune, a cui egli scappella, decida pure di ci; ma io credo che faccia bisogno ancor meno del senso comune, a disapprovare la contraddizione del Mamiani ne^ passi recati: nel primo de^ quali pronuncia per indubitato, che il simile e Fidentico non formi parte delle cose concrete; e in quest^ ul- timo dice tutto il contrario, temente di detrarre alla veracit delle idee, quando ci, che in esse si trova, non si trovi pa- rimente a puntino nelle cose. Del resto ninno intender mai, come ne^ crpi concreti e Teati non solo vi stia Fimo e P indiviso, ma ben anco Fln- determinato: io, e forse alcun altro meco terr, che tutto ci die  nelle cose concrete e reali, debba essere essenzialmente determinato, e che sia fin anco impossibile a tutto ci che  indeterminato, il sussister realmente: perocch egli dee sussi- stere 0 in un modo o nelF altro , e supposto il modo del suo rassistere indeterminato, egli non sussisterebbe n nelF uno n (i)P, II,c. XrV, VI. Rosmiii, Il Rinnovamento^ 27 dio neir altro modo. E chi potr mal concepire , come sotto al e lore finito e determinato di un corpo , p. e. al color ross v^ abbia pure, o sottostia, come dice il Mamiani, il colore e mune e indeterminato, o come in pi corpi ugualmente ro v^ abbia certa forma d^ identit vera e reale fuori del pensier quando cpiesta identit non pu essere n nelPujio u m r altro di que^ corpi rossi singolarmente presi, conciassiac 88a  un rapporto che passa fra di loro? se dunipie tot qualche cosa di reale , dovrebbe piuttosto trovarsi in mezzo loro, ma sempre per fiori di ciascheduno. CAPITOLO XXXV. CONTINUAZIONE. A tali assurdi conduce indeclinabilmente una mala causa E come trarsi del terribile impaccio? come conciliarsi a g medesimo?' A dover riuscir fuori in qualche modo dalP involto labirint il C. M. s^ apprende ad un di que^ fili, di cui i filosofi sma riti nelle lor vie fanno uso frequente^ il qual filo  una m niera di dire, che sembri aggiustare lo sconcerto delle do trine: tre sole voci compongono questa maravigliosa frase ^ e cola : in qualche modo, u Quelle unit  ( cosi il C. M. u le quali si formano entro la nostra mente per la contes m {dazione del simile, abbiamo veduto essere una riproduzioi  vera e certa delle unit originarie di subbietti e di azioni,  perci darsi in qualche modo T universale in natura " (i). Fa un eifetto mirabile questo in qualche modo , pero che stringe in s stesso le due contrarie sentenze^ si affi o certo vuole affarsi ai due contrarj partiti. A quelli che fauE deir universale (preso dal Mamiani per sinonimo di astratti una parte concreta delle cose reali , dice : io sono con voi. quelli che nella natura non trovano altro che pai-ticolari , r universale non veggono possibile, che nella mente, dice pun (i) P. U, e. XX, I. ( io non son lontano da voi, perocch P universale non Y ho io messo nella natura assolutamente , ma in qualche modo. E pure non mi maraviglierei , se questo i qualche modo^ che vuol ficcarsi in tutte e due le parti j venisse dalP ima e dall^ altra assai male accolto. Ma certo  finalmente, che tutti que' filosofi, i quali nella natura fisica e reale non possono concepire, che il comune, l'identico, F universale esista in nissun modo ^ diranno al C. M. che si spieghi meglio, e che non li tenga cosi travagliosa-* mente in ponte, ma dica senza pi, se T universale  una parte si o no delle cose concrete^ perocch fra il s e il no non pu stare cosa alcuna di mezzo ^ n una maniera avver- biale ha virt d^ introdurre nelF universo una terza natura, che non sia n il si, n il no. Concludiamo colle parole del N. A.: egli ci avea promesso una dimostrazione dello scibile umano, egli avea posta la ve- tacita delle idee nel loro riferimento alle cose concrete, egli ci avea detto che la sua dottrina spiega  molto lucidamente  ' (i) E qui convieu darsi molla lode al C. M. per ci che dice nella P. {l, .1Y 1.^ dove combatte valorosaiuenle quella seuteuza de* seosisli^ i quiili cgano la potenza al pensiero di concepire pi idee fimultaDcament^ af- ietBMDdo li  esaere questa una illusione comune ed assai scusabile^ starnf * cbe la rapidit dei moli nervosi  tale da far parere simultanei i mimmi 'dd tempo che si su^cfdono j*..^  Qualora adunque m (egli coochiude), "oooibrme la sentenza dei fisiolo^isti, le idee non sieno mai simultanee^ M Boi ci facciamo a chieder loro  ^ se al sopravvenire di 6 persevera q  Bt alcuna memoria di A. Nel primo supposto esistono due percezioni' si- nulianei;^ novella Tuna^ l'altra riprodotta,, ovvero coatinata. Nel se^ ooodo supposto abbiamo notato quello che di necessit ne avverrebbe ^i ochc non si potrebbe mai dare alcuu confronto fra loro, giaccli non olirebbe ioniuzi alla mente 'in ogni minimo tempo pi di iui'uuic9 idea. ai6 indicano la sensazione nel suo essere materiale, ma la sens; zione come  percepita dal iiostro spirito intellettivo. E Ter mente, se io dico, il verde di questo prato mi  grato, par! della sensazione attuale e reale. Ma se io dico, mi piace ma questo verde, del colore azzurro ^ io paragono la sensazioi attuale e reale del verde che mi ferisce le pupille , con i colore che non ho presente e che solo intellettivamente coi cepisco : sicch V azzurro e il verde nel mio discorso soi presi in diversi significati. Concludendo adunque, dico es manifestissimo, che le sensazioni reali e attuali non possoi nel loro essere proprio e materiale venir recate a quella uniti in che noi dentro il nostro spirito raccogliamo le diver sensazioni, esteriori, e neUa quale ne formiamo il paragone. Ritenuto adunque per vero indubitato , che le sensazioi ^sterne, come. materialmente esistono in noi, non si possoi in alcun modo trasportare Pima nelP altra, unificare, pan gonare, n per conseguente trovare in esse il comune, Tidei tico^ ed essendo certo pel fatto, che noi pure le unifichiamc le paragoniamo, e ti*oviamo ci che han di comune^ convic dire che noi formiamo questa loro imificazlone non in loro stessi ma in qualche loro forma o rappresentazione , nelP intime e per cosi dire, nel centro del nostro spirito. Resta dunqi che noi esaminiamo, come ci siamo proposto , se questa unioi e immedesimazione delle sensazioni che si fa in noi , aweii| in una forma che sia un sensorio materiale, e bisognevole ( piagano corporeo , o pure in una forma del puro intelletto. Veramente nel libro del C M. vi hanno tali luoghi, i qua non ci dovrebbero lasciar dubitare , essere sua sentenza , d questo assembramento delle sensazioni non si faccia e non possa agre per modo veruno in nessun organo materiale, in nell^ intelletto. Noi tuttavia non vogliamo intralasciare di  scatere brevemente la questione , primo , perch non  uni( mira di questo scrtto V esame del libro del Jflmno^amcnio ddi Filosofia j ma qualche cosa pi in l^ secondo, perch se aku luoghi son chiar in detto libro, altri a noi sembrano no poco oscuri ed ambigui. Ci gioveremo adunque de^ primi a vai taggio del vero^ e li adduiTcmo s, come testimonianze ante revoli, e. s pel poUo dell^ ai-gomcntazione che raccluudoDO n C M. afTerma bene spesso, che u II principio nostro spon-  taneo (i) non cessa mai di radunare le idee In un colai ccn* e tro d^intellezione perfetto ed indivisibile n (2). Qui si pai*la d^un centro d^ intellezione. Se dunque per intellezione si dee intendere ci che la parola suona, Fautorit del N. A. decide la questione, e quel  sentimento indiviso 99 di cui altrove ha parlato, viene adire un sentimento non animale, ma intellettivo. Profittiamo ancora del robusto raziocinio del N, A. Ecco come egli prova la necessit, che le percezioni nostre sieno concentrate in un indivisibile pensiero:  Questa esperienza imi versale e perpetua (3) delPatto d^in* V tnizione insegna di necessita , che le idee simultanee sono un  multiplo raccolto nelP unit assoluta del nostro pensiero, a  cagione che senza unit di pensiero assoluta non pu essere K multiplicit simultanea d^ idee sentite. Diciamo unit vera e  assoluta, o come suole chiamarsi, unit metafisica, esclu*  dente ogni parte fuori di parte , ogni modo e forma di di-* visione reale.  per fermo, se Punita del pensiero non   assoluta, ciascuna delle idee simultanee occupa isolatamente  una porzione di lui : ove dunque risieder la concezione ih inteUet- t?Of sia fornito d'una idea primitiva  e se privo al tutto di questa^ egli fi possa concepire . (a) P. II, e. X, in. . (S) La forza dell'argomento non viene dall' esperienza universale e per ^na^ ma ^ del principio di cognizione, e di contraddizione  il quale nduce necessit. tt> p. n, e IV, I. RQ$imii , // JUnnovamento, aB di8 Bero, e per solo nelle sensazioni cangiate in idee, o per dir meglio^ non nelle sensazioni^ ma nelle loro idee. Tuttavia quando io considero que' luoghi del C. M. dove mi dice, che nelle stesse cose reali avvi l'universale e T iden- tico , e che per esempio sotto al colore scarlatto di questo panno ci sta proprio, quasi appiattato, il colore astratto , uno ed indi- viso^ mi fa tornare il sospetto, che la mente di lui da due venti contrarj sospinta, non abbia trovato ancora pienissima stabilit e pace in una ferma e ben chiara sentenza. Conciossiach se il comune, T identico, P universale esige concentrazione e uni- ficazione di pi cose, forz'  il dire, che se questo identico ritrovasi negli oggetti materiali, gli oggetti materiali abbiano virt, di compenetrarsi , non so come , e d' immedesimarsi ^ e se gli oggetti possono fare tutto ci , ninna maraviglia , che possano simigliantemente rientrare Tuna nelP altra e identifi- carsi le sensazioni esterne, o almeno che questo addentrarsi Tuna nell'altra segua in un certo organo materiale denomi- nato sensorio comune.  perocch ho mostrato, quanto agli oggetti e alle sensazioni esteme, l'infinita assurdit e grossezza di un tale pensiero, non sar inutile, a compimento del di- scorso, che io applichi tutto ci che ho detto, anche al pre- supposto sensorio comune organico. Si consideri dunque, che le sensazioni animali sono, come tali, inerenti all'organo, e che senz'organo aver non si pos- sono^ perocch d'altro non procedono, che da una impres- sione, modificazione, e movimento dell'organo stesso, o certo a questo movimento si accompagnano. Ora questo sens ^ perocch egli dice che u tutte le cose hanno una medesimezza necessaria fra loro riguardo all'esistere f> (4)- L' idea dell' essere si forma adunque col paragone , e coI . Or dopo tutto ci che abbiamo premesso, niente di pia facile che il definire, i. se egli deduca in tal guisa l'idea dell^ essere secondo la promessa fatta, senza proposizioni men- tali, senza affermazioni, e senza giudizio, quando e proposizioni e affermazioni e giudiz) s'acchiudono gi nella unificazione, (i) Vedi U cap. XVn. (3) fv Cotesto ritrarsi che fa l'attenzione da pi cose present nell'aniiiio f per raecorsi tutta e dimorare sopra un soggetto parsale co6tituisoe la fc virt dell'astrarre^ nel cui ufficio l'identico viene contemplato com f sciolto dal vario , e per conseguente il vario come non frammisto all' >-*  dentice  ( P. Il  e. X  iv ). (3) P. U, e. IV, V. nel paragone, e nelF astrazione ^ a.* se esentandolo dalle troppo dure condizioni poste a s stesso, egli tuttavia riesca a dedurre senza paralogismo V idea delP essere, quando egli ad ogni modo lia bisogno, in dedurla, di unicare, paragonare, astrarre, e tutte (pieste operazioni suppongono gi fonnata, come vedemmo, Tidea delP essere stessa, istrumento necessario alle medesime. CAPITOLO XXXIX. GOifTisrnZioifE: avviluppi iii cui si PEans il lUiuAifi. Ma in queste dottrine il Mamiani non  costante: noi dob- biamo tornare al combattimento de^suoi concetti. Ricbiamiamocelo alla mente: in un luogo essendogli venuto iieU^ animo di cercare che fosse T identico delle cose, che co- stitaisce gli astratti, gli parve chiarissimo, quello dover essere m elemento cogitativo, e non alcuna parte reale e concreta delle cose stesse. E a confessarlo allora noi ritenne il dubbio, che le idee astratte potessero perci esser mendaci^ conciossia- che a chi ha mai creduto e pensato, che la identit e la  variet. Pugnale e il disuguale, il molto ed il poco sicno  parti concrete dei corpi n (i)? per non possono ingannare nessuno. Sotto r influenza poi d^ un altro pensiero gliene parve di* Tersanente. Il comprese timor fortissimo, non forse la realit oggettiva, o verit delle idee astratte, se ne andasse in fiuno, quando P identico che quelle in s raccolgono non fosse una parte realmente esistente nelle cose concrete. Vinto allora dalla gravezza del pericolo, cerc di ripararlo colla contraria sen* lenza, insegnando, che sotto al colore particolare e determinato di un corpo sta il cplor comune indeterminato, e pronun- ciando, che u chi dice o pensa questo giudicio: la vostra mano   bianca, percepisce effettivamente due cose, cio: il modo K speciale della bianchezza inerente in quella singola mano, (i) P. II, e. X, ni. Rosmini, H Rirmov^ametUo. %^ 9a6 (licare i( numero delle bianchezze all'infinito. (5)P.n,p.xi,ii, sia7 tone (atta  (2) CAPITOLO XLI. CONTINUAZIONE. Ma va, escluso il paragone de' simili, veggiamo qual si il nuovo processo dello spirito, secondo il quale, giusta il nuoT C. M., viie in noi generandosi l'idea dell'essere. ttenzion a tutte le parole :  Diciamo che il paragone fra i contrarii, da' quali si ori xc gina P idea dell' essere ,  quello che P animo nostro ripct tf infinite volte fra gli stati suoi positivi e gli stati suoi ii( (1) Il C, M. dice anche queste parole:  Se l' essere dee venire guardai u come identico a tutti i modi e a tutte le differenze di cose e d* idee , i f* qual maniera scuopriremo per via di confronto la sua somiglianza da in M cos ad un' altra ^ e da un'idea ad un'altra m. ( P. II, e. XI ^ n); e ce queste parole mostra la difficolta che si scontra a dedurre l' idea dell' e sere dal paragone. Tali parole io confesso di non intendere. Qual marav glia^ che si possa scuoprire la simiglianza dell'essere^ se egli  iden alle cose tutte > e modi e differenze? anzi non si troverebbe si estesa som glianza se identica non fosse. Vorrebbe dir forse , che ponendo V identi dell' essere tanto larga , si struggerebbero le differenze delle cose? ma poi siamo noi fare, che la sua identit sia pi larga , o pi stretta di quei che ? Di poi> le differenze e i modi dell'essere non sono Tessere, n> sue limitazioni; e per a' intende assai chiaro come le differenze ed i flWf coesistano insieme coli' identit , nascendo esse da un principio diverso da un principio di limitazione. (a) P. Il, e. XI, u. 3'* o tf gatlvi, quando cio viene affetto da alcuna cosa, e quando  pi non ne viene affetto. Tal confronto lo muove a sentire,  che mentre gli stati positivi sono diversi V uno dall' altro , tf invece li negativi sono similissimi sempre e in tutto, cio  elle una sola forma di sentimento si ripete per ciascuno  di loro. Ma d^ altra parte li positivi quantunque diversi  hanno questo di comune , clie si oppongono egualmente  tutti a quel senso di privazione che abbiam descritto. L' in-  telligenza nostra considerando in disparte tal forma di op- ti posizione viene a creare (i) Tidea astratta dell'essere. vve-  gnach tutte le cose sono simili in ci, ch'elle differiscono tf tntte egualmente dalla privazione. Questa simiglianza , come  si vede, non  elemento integrale di lor natura, e non si tf distingue per s dalle variet loro individue, ma sorge in tf fondo del nostro animo per effetto del paragone fra li suoi tf stati contrarii ft (2). Ora a quante e quali osservazioni possa dar luogo questo passo,  difficile a dire: io mi contenter di alarne. i.^ U rafirontare gli stati positivi, e gli stati negativi del- r animo nostro, potr bene darci un astratto, che ci dica  quegli stati positivi esser tutti egualmente remoti da' nega- ti?i  ^ ma questa idea astrattissima degli stati positivi del- Panimo nostro, non  mica l'idea dell'essere. L'idea dell' es sere non esprime lo stato dell' anima u concreto , n astratto ^ P animo  un essere particolare; i suoi stati non sono che modi di un essere particolare. Ora da' modi di un essere non si pu dedurre Tessere stesso, n da un essere solo si pu trovare P essale in universale. a." Gli stati negativi dell'animo non sono gi il niente. Il C. M. stesso suppone che sicno sentiti, che sieno un senti- mento , dicendo  una sola forma di sentimento si ripete per K tiascuno di loro ff . Paragonando adunque gli stati positivi dell'animo co' negativi, non si paragona mica il qualche cosa col niente , ma un sentimento con un altro sentimento , un (1) Creare? non  dunque l'idea dell'essere dedotta^ ma creata dalla metile? (a) P. n, e. XI, li. Boniiifi, jR Binnouamento. 3o a34 qualche cosa con un alti'o qualche cosa: e il qualche cos. non  rimoto da un altro qualche cosa, come P essere da niente. Dunque ammesso anche per vero che Pidea delP esser consistesse nelP osservar noi che  tutte le cose sono simi] u in ci, ch'elle differiscono tutte egualmente dalla privazione non si pob'cbbe per cavar mai quest^ idea dal confronto fri gli stati dell'animo positivi, e i negativi. 3.** Egli  poi falso che gli stati positivi delP animo u siem  diversi P uno dalP altro , e invece li negativi sieno simi- a lissimi sempre e in tutto . Perocch fra gli stati positivi dell' animo , e cosi pure fra i negativi si possono osservare molte somiglianze. 4-** Ma poniamo, che non si tratti nel passo del C. M. degli stati dell'animo^ che non sieno questi che si mettano a paragone^ ma che trattisi in quella vece, delle cose che al- r animo stanno presenti, o che dall'animo son rimosse: trat- tisi adunque di paragonare P entit di queste cose col nulla opposto. Rimarr a dimandarsi,  egli il nulla che fa conoscere Pente, o P ente che fa conoscere il nulla? Presso i nostri buoni antichi sempre dicevasi che il nulla era nulla ^ e che paragone non si pu fare se non fra due cose , che per il paragone fra il qualche cosa e il nulla propriamente non  che una cotale illusione delle mente. Dicevasi, che P intendi mento nostro, non potendo concepire cosa alcuna se non me- diante la forma di ente , egli vestiva di questa forma anco il significato della parola nulla ^ e a questa parola aggiungeva un cotal essere mentale che non esisteva fuori della mente (i). Definivasi questo essere mentale denominato nulla cos:  h njgasdone dell'essere  ^ sicch il nulla senza l'essere non po- tevasi concepire, ma solo concepivasi mediante l'essere. Se queste dottrine son vere, convien dire, che prima di parago nar^ le cose col nulla, quell'essere mentale (il nulla) debba (i) Non ens autem, dice s. Tommaso ^ ron habet ex se ut sit verumt 9ed slummodo ex intellectu apprehendente ipsum, S,l, XVI, vii, ad 4* E altrove: Non ens non iahet in se unde cognoscalurs sed cognoscUitr ^ quantum intellectus facit ilud cognoscibic, Unde verum fundalur in ent^ Ivi, tri. ui^ ad 3. !i35 esser formato^ e non formandosi esso se non mediante Fidea Jeir essere a cui si riferisce, conven dire, clie Videa delPes- sere sia formata in noi molto prima che quella del nulla* Egli  adimque assurdo 1 ^immaginare , che Pidea dell' es sere nasca dopo quella del nulla, come sarebbe se fosse vero, cbe essa nascesse nel nostro spirito col confronto che noi Cociamo fra le cose, e la loro negazione. 5.** Di poi, se le cose messe a riscontro col nulla, si tro-* vano tutte convenire in questo, che differiscano da lui^ non si pu mica conchiudere, che u questa simiglianza  non tt  elemento integrale di lor natura n. Perocch il differire dal nulla  necessariamente un elemento positivo ; come il dif- ferire dall' essere  necessariamente un elemento negativo^ Non inganniamoci coli' abuso afille parole , colle quali talora si fa comparire per negativo quello che  positivo, e viceversa* Consideriamo un po', che cosa voglia dire differire dall'es- sere. Chi differisce interamente dall' essere,  nulla. Che cosa vuol dire all' opposto differire dal nulla ? Chi differisce dal nulla ha l'essere. Dunque ci, in cui le cose tutte differiscono dal nulla e dalla privazione,  1' essere, dunque  un che positivo, dunque  certamente  ramente possibile mi suffraga, e m^ajuta a nulla. Ma io penso esserci corso errore di stampa, e doversi leggere a ai termini ti del paragone o reali, o possibili n . Sebbene non molto s* ac- comodi col suo sistema quel paragone, che nasce fra i mera- mente possibili. CAPITOLO XLUI. CONTINUAZIONE. Ma che? dopo tanti sforzi per dedurre V idea universalis- sima dell^ essere, la massima delle astrazioni, come il N. A* la chiama, chi crederebbe che in sulla fine entrando in campo un altro C M. ci atterrasse T edificio ( quand^anco stesse m piedi ) colle proprie mani ? Veramente si aspetterebbe che il N. A., dopo aver dedotta Pidea dell^ essere comunissimo a tutte le cose, col paragone de^ contrarj, cio del qualche cosa e del nulla, ci venisse poi di- cendo  eccovi r idea universalissima bella e fatta n . Tutt^ altro: siamo lontani dalP averla bella e fatta queUft idea universalissima: ci bisognano ancora troppe lisciature , e grafliature d'intorno a questo capo-lavoro. Eccovi intanto buona trafila , per la quale ella dee ancor passare:  La nozione dell' essere acquista poi maggiore astrattezza  e semplicit a proporzione che vien guardata isolatamente u dall' atto comparativo che la produce, e dagli accidenti del a39 a soggetto pensante in cui ella giace , e in fine dalla conside- tf razione del suo contrario, cio del senso di prTazione > (i). Ma noi abbiamo gi esaminato, cbe cosa importino, e quanto conferiscano alla formazione degli astratti gli accidenti del soggetto pensante (2). Pure facciamo intorno a questa povera idea le funzioni cbe vengono prescritte dal N, A.; r avremo finalmente, quale la cerchiamo noi, universalissima ? y^ un G. M. che dice di no. u E non per questo ( cosi si esprime ) diventa universa- K lissima , bens pu ripetersi un certo numero indefinito di  volte , conforme determinammo d^ ogni altra idea comune K la quale venisse ingenerata senza sussidio d^ antecedenti  astrazioni n (3). Non siamo dunque giunti per anco al fine? E bene, tiriamo avanti. E a che miravamo noi, se non a formarci Pidea uni- versalissima dell^ essere 7 Questa non  ancor trovata: ci sa* ranno deUe altre operazioni a farci intomo: dicasi, quali sono, altrimenti ci resteremo a mezza strada. Oib, non c^ verso: il N. A. non va pi innanzi, per ispronar cbe si faccia: qui s^ arresta, qui fa punto. Quale  dunque la conclusione? La  palese: il N. A. non  arrivato a porgerci la generazione delP essere in universale | elisegli cercava, e cbe aveasi promesso di regalarci. CAPITOLO XLIV. CONTINUAZIONE. Ma sebbene nella conclusione il N. A. confessi, che non  riuscito a far quello che di fare erasi accinto^ tuttavia egli si vanta per, che Fidea dell^ essere da lui dedotta  imMdea comune, come tutte Paltre, e ch'egli la dedusse assai conve- nevolmente, senza sussidio d'antecedenti astrazioni! Io non credo bisogno di contraddire a questo. Se le ope- razioni da lui usate, non a formare, ma a tentare di formai^ quell'idea, abbiano si o no bisogno di antecedenti astrazioni ^ ogni discreto lettore il vorr decidere. (ij^ P. n, e. XI, II. (a) Vedi add. Gap. XV. (3) P. H, e. XI, n. Pi tosto noter  gllano? chi limiter il suo uso? la volont d'un uomo? b determinazioni di un filosofo!  Mi appello al C. M. (i) Vedi addielro Gap. XYI. (3) Vedi addietro Gap. XXV. LIBRO TERZO DELLA CERTEZZA DELLE COGNIZIONI UMANE. w  penrenut una volta a distinguere e M definire con sicurezza la forma sem- M plice ed essenziale del Tero^ niuna *( cosa potrebbe impedire di ricono- M scerla per tutto ove sia presente . M AHI AVI, P. II, e XVII, II/ 'ar. Ma egli  tempo che noi veniamo a quello che fonna I (omento proprio e deliberato del libro del Rinnovamento della fksofia italiana^ cio alla dimostrazione del sapere. Perocch deO^ origine del sapere noi vedemmo, che i) C. M. non parl ddiberatamente, ma da necessit indotto e tirato , disvolendolo egli, n accoi^endosene, dopo rifiutata la ricerca dell^ origine Mcome inutile all^uopo suo, conghietturle , impossibile. Che da vero non sempre chi scrve dice ci che vuole ^ talora ci die vorrebbe il meno^ e la lingua delPuomo, e la penna, uh- Misce alla seeretissima e naturalissima forza della coerenza della verit. Noi vedemmo il nesso fra la questione delPongi/ie e quella Ula certezza^ vedemmo, che il certo non pu avere il suo fon- damento che neir eindente y e che V evidente si dee cercare e si pu attigner solo alla solvente prima della cognizione e della iteisa intelligenza (i): ci innalzammo passo passo in cerca di fiesta fonte perenne e pura, seguitandone indietro i rigagnoli die da quella scaturendo discendono^ la trovammo^ n^ abbiamo contemplato, a cosi dire, il zampillo limpidissimo. Videa nella (i)Iib. L BosMiHi, U Rinnovamento. 3i sua purezza, Y intuizione deW essere^ spontanea, anteriore ad ogni esercizio di facolt, immanente in noi, luce sincera che procede dal volto di Dio (i).. Ora noi dobbiam cominciare a mettere a profitto cotesta nobile origine del conoscimento da noi rin- venuta, applicando il principio evidente del conoscere, la cO" gnizione essenziale ^ alla dimostrazione delle cognizioni tutte ac- cidentali e derivate^ richiamando in pari tempo ad esame, col- Tajuto di quella tessera prima ed originaria, le dottrine onde il C. M. tolse a garantire al genere umano la certa e assoluta verit di ci che egli conosce. Ninno  che non s' accorga, come la teoria della certezza an- tecede, in ragione di ordine logico, ogni altra dottrina riflessa e filosofica^ e come la ricerca stessa dell' origine delle cognizioni non acquista effettivo e pieno valore se non a quel punto, che, essendo ella giunta a discoprire Y essenza del conoscere giacente nell'intuizione dell'essere, trova nella luce di questa prima ve- rit e la certezza propria , e quella di tutte Y altre scienze a s inferiori. Sicch Y ideologia e la logica hanno insieme un punto di contatto, in quanto che la prima rinviene il primo vero^ origine o pi tosto sede del sapere, e la seconda usa del primo vero come di regola e di misura a dare una ferma dimostrazione del sapere medesimo, inducendo da esso in noi una persuasione immobile, riflessa e libera. Indi, chi non vede l'importanza della questione che noi trattiamo? e come non all'una o al- r altra scienza , ma giova a tutte colui , che pone l' ingegno e l'opera a cacciare dagli animi lo scetticismo, il quale invidia all'umana famiglia tutto ci che la nobilita  la sublima, il conoscimento^ colui che s'impegna a pronunciare il principio tlella certezza con parole s proprie, s scevre di ambiguit, ve- stite di una foima cos adeguata, che tutti quelli i quali vi dirizzino gli sguai*di, non possano non vederne il fulgore, e con- fessarsene dall'acutissima luce vinti e trionfati? E per lodevole Intenzione fu quella del G. M . , che col suo libro intese a com- porre una cotal difesa e dimostrazione del sapere, al cui vi- gore niupo possa sottrarsi, se non colui che la ignora. Poich (0 l.*. , a43 non si pu certo assicurare agli studj filosofici un progresso ferace, ordinato e diretto, se non per opera di qua' filosofi, i quali sieno pervenuti concordi almeno ad afiermare il prin- cipio deUa certezza. Che da vero, altra cosa  quel progresso continuo che procede indipendente dall' uomo , anche a dispetto dell'uomo, e che non partiene all'ordine delle scienze, ma ad an altro pi sublime, immenso , alle cui leggi , a' cui secreti  profano lo sguardo mortale, e cui tutto accelera, l'umana igno- ranza, l' errore, il delitto^ altro  quel progresso scientifico y quello nrolgimento della verit, che  a noi uomini dalla provvidenza commesso s come un nobilissimo ufficio, e un cotal sacro e dilettoso dovere , perci dipendente in parte dalle libere nostre &tiche, e di cui non deesi abbandonare il corso, volea dire, al caso, come terra senza mano di agricoltore, che colle delicate piante della vite e del fico, produce la lambrusca e lo spino finte esoperchiante,masbene da' buoni sapienti accortamente guidare e indirizzare. Ed egli dovrebbe esser pur tempo, che quelli i quali s' applicano agli studj presso di noi , deponendo una cotal maniera di pensare individuale e a s stessi ristretta, e volentieri accostandosi agli studj, alle meditazioni, alla lingua altmi, intendessero, mediante discussioni serie, di buona fede, e senza tanta lussuria e tant' ombra di pampini, con quella letteraria socievolezza di cui fra noi manca ancoi*a l'esempio, t porre in chiari termini le questioni, a facilitarne, ottenerne, perfezionarne lo scioglimento, a ridurle a quelle forme s adeguate e s naturali , che diventano poi da s stesse comuni , solenni e immutabili. In tal modo l'Italia, questa maestra de^ pc^li, ritornerebbe a cingersi ella stessa le tempie di lauri : perocch in vece di avere de' letterati minuti, divisi, spar- pagliati, che giornalmente rendon pubbliche delle opere non pubbliche per la lor indole e qualit, ma privatissime, cio n^resentanti una maniera di pensare esclusivo, casalingo, ignaro di ci che si dice e che si fa fuori della porta di casa^ airemmo per cos dire la nazione stessa che pubblicamente e solennemente insegnerebbe negli scritti de' suoi letterati : cio vedrebbesi in ciascun libro accentrati e riflessi i lumi di molti, esposte con somma fedelt e chiarezza le opinioni de' conna- zionali, esaminate con sagacit, un darsi carico di tutto ci M4 che merita attenzione e che fu da qualclie patrio scrittore pr* posto, una stima scambievole, un ragionamento sempre accu* rato e rigoroso, almeno quanto alP intenzione ^ e questo spirito di ragionevolezza e di sapienza, incredibile cosa  quanto ami di accompagnarsi con una tranquilla pacatezza di favellare veramente ragionevole e umano, con una benevolenza concilia- trice , con vn amore fraterno, con una franca e piena manife- stazione e propugnazione di ci che si crede, che si sente nell^ intimo delP animo, verit. Laonde vorre' io poter togliere il nome di progresso a cotesto romoreggiare, a cotesto andirivieni di opinioni mal determinate, incalzantisi le une contro le altre, abortite e non partorite^ n la variet immensa di libri filosofici, che ci trapassano giornalmente sotto gli occhi, e dopo aver recitato in pubblico, per cos dire, la loro parte, rientrano tutto va nagloriosi di s nelle quinte, ci pu essere un segno sicuro da doverne argomentare i profitti grandi della vera scienza, e l'ac- cresciuta o diffusa a molti cognizione della verit. Perocch egli  pur vano, e da lasciarsi agli economisti politici i pi materiali^ il cercarsi quanti libri ogni mese si sono pubblicati in una nazione, per indursene la ricchezza scientifica guadagnata: con- vien cercare pi veramente quanti di questi libri sieuo acconci a rendere oscuro quello che prma di essi era chiai'o , quanti a rendere controverso quello che prima d'essi era vero e certo, quanti a falsare il linguaggio, a renderlo indeterminato, flut- tuante, a confondere la lingua semplice, propria, fissata, quanti a cacciare in dimenticanza degli scritti pi sani e pi profondi, . quanti a dar corpo a delle ombi^, quanti a pascere e sollevare r immaginazione giovanile a danno delF intendimento, il quale s* empie a buon^ ora di pregiudizj che gV impediscono il volo , quanti a fare i sensali eloquenti di menzogne, piante diurne, notturne, mensili, annuali, di generi, di specie, e di variet innumerevoli. Ora se questo si chiama camminare, non  per un camminare avanti, non  un andai*e diritto allo scopo: in somma non  un progresso in vero senso, in quel senso in cui gli uomini, fatti per la verit, dovrebbero e potrebbero progre- dire: e Dio volesse che cominciassimo, noi Italiani particolar- mente, a non lasciarci pi illudere come fanciulli al dolce suono i45 li questa parola progresso^ e che inrece della parola^ volessimo a cosa; inyece di lasciarci andare in estasi alle prime apparenze, i fiicessimo ad assicurarci bene bene della qualit della merce emiistata o importata, e poi ci rallegrassimo in ragione del DO prezzo, e non delle grida de^ venditori. Quando fossimo crvenuti a mettere per entro a^ nostri giudizj tanto di matu- It, ci accorgeremmo, cbe il progresso vero talora consiste nel ornare indietro; si, a tornare indietro; nessuno sia cosi scbiz- inoso da riprendermi per questa parola; perocch veramente pelli che abbandonano la verit, convien pure che tornino a idi, se vogliono andare innanzi; conciossiach il progresso del- Pcnore non  finalmente che il progresso del gambero, il quale cammina dalla parte della coda. E questo documento e^ pare che ci volesse dare il Mamiani col suo libro, non mvitando Tltalia ad una nuova filosofia, ma richiamandola aQa sapienza de^suoi antichi maestri, sapienza che, sviati al FOlnisione di \xa falso progresso, noi meno apprezziamo per cerio, che non dovremmo. N quest^ apparente paradosso, che per andare innanzi convenga akima volta tornarsi indietro,  cosa nuova; fi veduto sempre .da quelli, i cui sguardi rompono la corteccia delle cose; ma qoesti sono i pochi , e il secolo  cacciato dalle grida di quelli die sono i molti, e che voglion parere pi molti, che non sono Gi fino dal seicento, epoca delle innovazioni filosofiche occa- sionate in parte dal protestantismo del cinquecento, Leibnizio, con quella sua potenza maravigliosa di mente, veniva di mano in mano scotendo da s i pregiudizj fra i quali fanciullo era cresciuto, e confessava negli ultimi suoi anni, che la prosun- aOQ de^ moderni trapassava il segno, e che a torto aveano essi abbandonate le sentenze deU^ antichit.  Anche noi n , dic^egli in miluogo,  abbiamo atteso, e non leggermente, agli studj delle  matematiche, delle meccaniche, e degli esperimenti naturali,  e da principio confessiamo che abbiamo inchinato V animo  a quelle sentenze (de^ moderni) che accennanmio  ( Cosi ftniene di solito alla giovent, la qual s^ apprende a ci che tit)va il pi nuovo, e se per isventura il nuovo  erroneo, non Kmpre poi nelPet matura le basta la potenza mentale, o la volont di por gi, come fece Leibnizio, le prevenzioni dcll^ et a4G non matura). " Finalmente colla perseveranza del meditare ri u siamo trovati costretti di ripararci ancora ai dogmi dell' an- tf tica filosofia. E se licesse a noi espor qui tutta la serie a delle meditazioni , forse che si conoscerebbe da quelli che u non sono ancora occupati da' pregiudizi della loro immagina- u zione, non esser cos confusi e inetti quegli antichi pensieri, tt come volgarmente si persuadon coloro, a cui i dommi ri- a cevuti danno noja, e che tolgono a vilipendere Platone, tf Aristotele, il divo Tommaso, ed altri sommi uomini, trat- a tandoli come se fossero de' fanciulli  (i). Certamente noi altri Italiani, anteriori a tant' altri popoli ci- vili, ricevemmo un ampio retaggio di sapere da' maggiori nostri, ed egli sarebbe empiet o disperderlo odiando, o non curarlo ignorando. Ne per questo ci si proibisce di aggiungere il frutto delle fatiche nostre all'avito patrimonio^ che anzi ciascimo  tenuto d' imitare i maggiori nell' assiduo investigare della ve- rit, e nel dilatarne a molti il conoscimento^ acciocch e i coetanei ed i posteri ricevano qualche cosa anche del nostro, e noi non ci acquistiamo da essi la riputazione per avventura di uomini da poco , in quella che vogliamo evitare la taccia di te- merarj e di leggieri. Sicch non sia n meccanica n servile l'affezione nostra e lo studio posto negli antichi maestri', ma togliamo da essi per cosi dire lo spirito e il fiore della dot- trina: che n tutto  vero quanto si trova detto da essi, n tutto  chiaro, n hanno detto tutto, n hanno provato tutto ci che hanno detto, n hanno sviluppato nelle interminabili sue conseguenze tutto ci che hanno provato. Nondimeno tutto 81 dee raccogliere, tutto studiare con amore, di quanto essici (i) iUud tamen obiter attigisse suffeceri{, nos quoque non perfmdorii studiis mathemalicis mechanicisque , et naturae experimentis operam di' disse, et inaio in illas ipsas serUeniias quas paulo ante diximus, ineh' nasse Jaiendum estj tandem progressu meditandi , ad veteris philosophiae dogmala nos recipere fuisse coactos. Quarum meditationum seriem si expo nere liceret , Joriasse agnosceretur ab his qui nondum imaginationis sius praejudiciis occupati sunt, non usque adeo confusas et ineptas esse eas co- gitationes f oc iliis vulgo persuasum est qui receptorum dogmatum fastidio tenentur, et Fiatoni, Aristoteli, divo Thomae , aiisque summis viris t^ quam pueris insultani, System. Theolog. j47 lasciarono, tutto sottoporre ad imparziale esame, niente ammet- tere che non sia da noi convenientemente accertato, niente ri- fiutare che a sufficienza non sia riconosciuto per falso. Dove mi si lasci liberamente notare un pericolo, da cui si vuol guardare cautissimamente la nostra giovent bramosa di appli- carsi allo studio della filosofia. Commendevole  P ammirazione de' grandi uomini , ove sia in noi suscitata da quel verace sapere che Puom grande ci comimic qual tesoro prezioso, n v'ha disposizione migliore di questa negli animi giovanili ad appren- dere le lezioni della sapienza^ ella  bella questa ammirazione, cUa  sacra come la virt della riconoscenza, come il gaudio della veriti. Ma egli v'ha un altro afietto, che prende pure il nome di ammirazione, ed  d'indole afiatto diversa da quella: questa falsa anmiirazione noi denunziamo s come alla giovent italica^ che tanto sente, che tanto promette, funestissima. Ella  cieca questa ammirazione, non smla alla vista di un saper vero, ma eccitata ttmiultuosamente negli animi da strepito volgare, da una celebrit cacciata, prezzolata, figliuola d'inettissima vanit, non sincera, divisa da intenzioni secondarie, straniere alla scienza e alla' verit: ammirazione di grandi uomini, sprczzatrice insolente di altri grandi uomini. La giovent nostra, la turba della giovent si travolge talora in questa cotale ammirazione come in un vortice^ e delle impressioni profonde, che lascia in essa anche quando n' passata la stagione, tolgono la libert agli ingegni, e li costringono a raggirarsi d'intorno ad un car cere, dove stanno a fem duri, impediti di spiegar l'ali per gli campi celesti dell'immensa verit. L' entusiasmo adunque non sia che per la verit : allora egli  utile anche alla filosofia. Non e' impedisce allora di notare degli errori in quegli uomini che pi riveriamo, come pure di riconoscere e di ricevere con gratitudine delle verit dalla bocca di quelli, le dottrine de' quali nel loro complesso noi consi- deriamo s come erronee e funeste* Tali massime diressero sempre quegli studj filosofici che a noi ricrearon la vita: e pervenimmo a formarci delle opinioni ferme: e con queste credemmo di potere spesso interpretare senza parte, talora conghietturare le parole, i pensieri, le intenzioni stesse de^ nostri iwggiori, . a48 Or nella riverenza dovuta alla costoro sapienza, ci s ag** giunge compagno Fautore del libro del Rbmoxuxmento. E pure egli rifiuta allo stesso tempo quella filosofia che noi propone* vamo. Non solleva egli adunque una inutile controversia. Gio- ver certamente vedere, se v^ abbia una filosofia d^ orgine italica, e se questa s^ accordi a quella che io sono venuto esponendo ne^ diversi miei scritti, a quella che io pure stimo giacersi nel fondo di tutte le nostre avite tradizioni, risalendo fino a^ se- coli pi rimoti di cui siavi memoria, fino alle prime glorie deUa patria sapienza. N per mi cale tanto, che la filosofia da me proposta sia italiana, quanto ch^ ella sia vera, e per degna di essere italiana : di che io sar sollecito di provare ancor pi questo, che quello. Esaminiamo adunque senza pi, la dno- strazione dello scibile posta dal C. M., e con tale occasione ce^ chiamo di stabilire qual sia, e qual debba essere la vera ita- lica dottrina. ^49 CAPITOLO L DIFESA DB^ FILOSOFI CHB HHIVO CERCATO UN CBJTERIO DEL VERO. Tutta la questione della dimostrazione diel sapere isnand fA riduce, nella sua espressione pi semplice, alla ricerca di un criterio supremo e irrefragabile della verit. Il G. M. vStesso non pu non sentirne, e confessarne il bisogno. Perocch sebbene egli distingua sette forme di ven>, e prenda a dimostrare cia- scuna singolarmente^ tuttavia non consente meno nella sentenza degli altri filosofi, che a voler dare ferma prova detP umana co(pizione convenga muovere da un primo vero evidente, ifi^ negabile. Di che ancVegli si volge prima i tutto a dimandare qoal sa M la cognizione assoluta , o vogliam (re la certezza tf a cui non bisognano dimostrazioni n (i). Questa cognizione assoluta , questa certezza a cui non biso- gnano dimostrazioni,  appunto il criterio della verit, che viene assiduamente cercato da^ filosofi; e come tale, ella diventa un segno, un Indizio della verit, applicabile a tutte P altre parti dello scibile. Non si pu adunque a meno di restarci alquanto maravi- gliati, sentendo il Mamiani medesimo a biasimare  que^ logici  i quali dopo avere scrutate le facolt e le condizioni del- ti r intelletto vogliono trarne alcun documento supremo-, e spe-  rano condursi con esso al rin tracciamento del vcn), quasich  ajatati da un segno visibile, come i piloti nelP alto oceano n (a). Peix)cch questi logici non fanno finalmente, che voler cercare la cognizione assoluta , la certezza evidente , che il C. M. ap- punto afferma doversi prima di ogni altra cosa investigare. N parimente con diritta logica, a mio avviso, egli soggiunge: ^ Non cercano essi dunque con si forte sollecitudine la ve-  rt stessa, quanto cercano un segno e un indizio infallibile ^ per riconoscerla  (3); perocch la prima verit ch^essi cer-  , egU dichiara di non voler provare P in- tolzione immediata con veruno ragionamento! CAPITOLO VII. CONTINUAZIONE. Due pensieri adunque dividono la mente del G. M., e gli manc solo il raffrontare fra loro que^ due pensieri per trovarli npugnanti. (i) Pare che avesse pi tosto dovuto dire^ nou facciam  precedere m. (a) P. n, e. lU, VI. Rosmini , // Rinno^wnerUo. 33 a58 L^uno deMue pensieri gli mostr la necessita, che il criterio del vero e del certo non fosse im semplice indizio o nota ca- ratteristica di lui, ma il vero stesso: l'altro gli sugger, che il criterio del vero non potesse esser altro che V intuizione, e l'evi- denza che Faccompagna^ ci che  quanto dire l'operazione del conoscere , e una nota che nel vero conosciuto perpetuamente si ravvisa , e non punto lo stesso vero. Quel primo pensiero fti teoria nella mente del C. M. , rpiesto secondo fu pratica. Ma due pensieri opposti non possono dividersi l' impero i ima mente umana, senza metterci grande discordia e confusione, e senza che nelle pai'ole dell' uomo non apparisca quella per- petua mischia che hanno in fra loro le sue idee. Se noi vogliamo levare un saggio di questa cotal mischia, mettiamo a confronto ci che il G. M. dice in certi luoghi del criterio della certezza, con ci che dice in certi altri 5 e vedremo in molti prevalere il primo de' due pensieri, e dettare al Mamiani i ragionamenti; e in molt' altri prevalere il secondo, e il suo ragionare da questo interamente derivarsi. E primieramente udiamo la definizione che il C. M. ci d della verit e della certezza, tf II reale, dice, caduto sotto la facolt nostra conoscitrice, u prende nome di verit, e questa, esaminata e trovata cvi-  dente, prende nome di certezza n (i). Questa definizione della verit e della certezza, volendola noi esaminare in tutta la sua estensione , e non solamente al fine di mostrare il contrasto intimo che giace ne' pensieri del N. A., ci potrebbe dar motivo di lungo ragionamento. Perocch ecco tosto sopra di essa tre osservazioni importanti: I. La verit per esistere ha bisogno, secondo una tale de- finizione, di esser conosciuta dall'uomo; perocch ella consi- ste nel reale caduto sotto la nostra facolt conoscitrice. Questo assunto contiene ne' suoi visceri la distruzione deUa verit, e ^mo scetticismo recato all'estremo grado. . 21.^ Se il reale col solo cadere sotto la nostra facolt co- noscitrice costituisce la verit,  inutile quella giunta che o^ (1) P. II, e. II, I. (b*ua Ji esaminare la verit, e trovarla evidente, perch sixangi in certezza. Che cosa si pu bramare di pi della verit? Se dunque basta che il reale cada sotto la nostra facolt di co- noscere per essere verit, egli  anche certezza per ci stesso che  essenzialmente verit. 3.^ Se una verit per cangiarsi in certezza ha bisogno di essere esaminata e trovata evidente, ne verrebbe questa strana conseguenza, che T intuizione immediata intema del N. A. non potrebbe giammai produrre alcuna certezza perse, ma ella avrebbe sempre bisogno di prova, cio di essere esaminata^ circostanza richiesta dal N. A. alP essenza stessa della certezza. Ma lo scopo del nostro discorso non richiede se non che ci fermiamo un poco a considerare quella parola, reale ^ che mtroduce il Mamiani nella definizione del vero e del certo. Secondo noi, la parola u reale  sta bene in opposizione coU^ altra  ideale n: ella risponde a questa, come cosa (res) risponde ad idea. Il C. M. per non mostrasi costante nelP uso di questa parola, cbe gli cade di frequente dalla penna, e di cui non abbiamo trovato nel suo libro un^ accurata definizione. In qualche luogo egli la intende appunto come noi. A ragion d* esempio , l dove iaTella degli universali e degli astratti, che sono mentali pro- duzioni (1)7 e toglie a dimostrarne la verit, egli di tutta possa l'ingegna a persuaderci, che quelli rispondono alle cose sensi- bili^ nella quale rispondenza colloca egli la verit loro ^ e per ossame , che a le idee tutte universali rispondono bene alla e realit oggettiva  (2). Da questo luogo conviene inferire, che la realit  tutta po- sta nelle cose esteriori e sussistenti, e per, che ogni verit delle conoscenze a queste si riferisce. E veramente, se la realit degli wwersali consiste nel riferimento loro alle cose esteme , molto pi in tali realit esteme dee consistere la verit di ogni altro pensamento dell^uomo. Gonciossiach ogni pensamento nostro (t) P. n, e. X9 m. (a) Nel e. y,i9 della P. II, della reaiii oggettiva dice cosi: u Ci che  esiste fuori di noi oello spazio addomaadato dai filosofi realit esterna ^ M ed anco realit obbiettiva m. si parte in due classi: o  singolare ( pei*cczione, giudizio, ecc.), o  universale (idea). I principi stessi, gli assiomi, le dignit, e in fine tutte le proposizioni universali, non sono che on^idea la qual si considera nell'ampia sua applicazione, come ho dimo stilato altrove (i). Se dunque la realit degli universali  in un riferirsi agli oggetti estemi , molto pi (volendo egli esser coe- rente ) dee far consistere in ci la realit delle percezioni sin- golari^ e per non dee avervi altra realit per lui, che que- sta, n altra verit (per la definizione), fuori di quella che consiste nella cognizione di tali realit esteriori Ma d'altra parte, egli  impossibile di non vedere, che non sempre la verit consiste nella realit oggettiva intesa in que- sto significato. Cos la venta di una proposizione consiste ma- nifestamente nella giustezza del nesso che lega insieme i suoi termini, eziandioch ella sia del tutto astratta dalle cose reali e sussistenti ^ p. e. la verit che u il tutto  maggioi*e delle sue parti n^  vera quand'anche niun tutto e niuna parte esistesse, e cos si dica delP altre (2). Parimente le idee universali ed astratte, come ho indicato di sopra, non hanno alcun rap- porto necessario colle cose esterne ^ e credere il contrario ,  un errore in cui cadono non pochi filosofi, i quali non di- stinguono la loro generazione dalla loro natura (3). Veggono, che quasi tutte noi le formiamo mediante operazioni del nostro spirito sopra gli oggetti esterni percepiti co' sensi ^ e per le tengon con questi legate indivisamente : ' non avvedendosi , die gli accidenti della loro generazione non costituiscono punto la lor natura^ guardando nella quale vedesi manifesto, non aver esse niun nesso necessario, se non con oggetti possibili e non reaU. Il qual vero lampeggia anche agli occhi di quelle menti che di vederlo sono schive , e s' intromette in esse na* scosto. (jOS il G. M. confessa in pi luoghi, avervi degli esseri (1) V. il N. Saggio, Sez. V, e. V. (3) Ecco eoo quanta chiarezza il Mamiani confessa che v'hanno de' principj scevri da ogni relazione necessaria alle cose reali: r Ei sono dice, M pur tanto semplici m (i sommi universali)^  che appunto per ci tengono r la cima dell'astrazione , e nulla producono , finch stanno isolati dai x *t particolari j ( P. I, e. XVI, a.^ afor. ). (3) Ved. addietro, Lib. II, e. Vili. i6i puramente mentali, i quali non hanno bisogno di rappresene tare nulla di estemo (i)^ e talora reggendo un tal vero, e Tolendo pur mantenere la definizione da lui data della cer tezza e della verit, vien tirato ad ampliare il significato di (juella parola k reale ^ , in che egli ha collocata la verit, e a supporre che v^ abbia un reale tutto ideale l Tale  l, do v^ egli parla del caso, in cui P oggetto sia tutto presente al pensiero, cio sia cosa soltanto pensata. In tal supposto egli dice, doversi a aflennare che esista, e simile afiermazione non ricever punto tt di dubbio, essendoch la realit sua e la concezione nostra  fanno una cosa sola  . Questa realit  dunque qui una conce" mney u una pura e semplice idea , com^ egli tosto dopo la chiama , 0, come potrebbesi dire pi esattamente, un oggetto ideale. In questo luogo adunque la parola a realit n  usata per sinonimo i^ideiditj il che  non poco strano^ e pure nel periodo pre cedente egli ayea fatto il contrapposto di ci che  reale^ a ci che  soltanto pensato cio ideale (a). Talora dunque il C. M. pone la verit nel concepimento del reale ^ talora egli distrae il significato di questa parola a signi*- ficare ogni oggetto anche ideale e niente a&tto reale. Egli viene con ci ad ammettere, senz^ accorgersi , due serie o ca- tegorie di verit, cio le verit che risguardano gli oggetti esteriori e reali ^ e le verit che risguardano gli oggetti pura- mente ideali. Che dovea divenire da questa incostanza d^idee e di parole? Che dopo aver egli messo per unico criterio del vero Vintui'* one^ mostrasse poi di non accontentarsi punto di esso, e sen- tisse un bisogno di ricorrere a qualche altro ajuto starner dal- r intuizione. E veramente, P intuizione, come dicemmo, non  una verit, ma solamente un segno deUa verit: un tal cri- terio non dice se non:  il vero  quello che s^intuisce . (i) P. II,c. X. (a) r GonsideriaiDo pertanto quello che avvenga entro noi della cono-  aceosa , quando l'oggetto sia tutto presente al pensiero e quando no  m vale a dire quando V oggetto sta cosa soltanto pensata 5 ovvero sia cosa u axALB FUOR BELLA MuiTs m ( Parte II, e n n ). Qui il m reale -  r opposto di t cosa pensata m 262 Dall^ intuirsi si deduce che  vero. La certezza in tal modo viene ad essere non altro , che una pienissima fede che si pre- sta alla facolt d^ intuire. Ma questa facolt non potrebbe ella esser fallace? Il C. M risponde di no. E perch? La ragione che adduce si , che u il vero nelF intuizione si converte colP ente ft ( i ) : V abbiam veduta. Ma chi ci dice che  il vero nell^ intuizione si converta col- r ente  ? L^ intuizione medesima, o una riflessione, un^ analisi che noi facciamo dell^atto dMntuire, di riflettere, di analizzare. Ottimamente. Dunque tutto si riduce a prestare una fede assoluta aUe nostre facolt d^ intuire , di riflettere , di analiz- zare: ma chi ci dice, che questa fede non c^ inganna? La risposta , che  impossibile che noi non prestiamo fede air intuizione. Per quanto si cerchi , si trova sempre che il Ma- niani riassume P ultima ragione delP autorit dell^ intuizione in queste parole: u nessuno, pensiamo noi , vorr credere  che la mente  affermando la sussistenza d^ alcuna cosa , crei 4( quella medesima sussistenza, ma ognuno in vece rester cer- (i) Mi si permetta di osservare > che il significato che il C. M. d a ({ue- sta frase acolastica^ che ottore dice, verum quod est in irUeUectu^ onwer tiiur eum ente, ut manifestativum cum manifestato ( S. I, XVI^ m, ad i) , ci che sipotrdibe anche esprimere cosi: w l'essere ideale (il vero)  manifestativo dell' essere reale  ( la cosa ). 263  to, che qualunque realit degli oggetti pensabili  incUpen- tf dente afiatto dallWermare o dal negare di nostramente (i). Ecco tutto ci che si pu dire in &yore dell^ intuizione : Tuomo non pu a meno di prestarle fede (2). Ma V esser necessitati ad un atto di fede,  egli ragione e ferit? non potrebbe darsi una necessit ingiusta? una ferrea legge di natura ? una forse utile , ma per sempre cieca fa- taUt? Fino che non si va pi avanti col ragionamento, questi dubb) rimangono: e questi dubbj son quelli dello scetticismo (1) P. n, e. IT, V. (a) Nella P. Il , e. II, toglie a cercare qnal sa la prima certexsa , e prova che  quella m d'iotuzione immediata m, o sia, come die' egli, quella che sottieDe co' fatti del senso intimo. Ora questa prova egli la cooduce per VI d'esdusioDe. Dice^ che cinque sole sono le fonti onde possiam trarre dimostrasione del vero, oltre a quella del senso intimo, che  la stessa del- l'intuisone. Ora egli toglie a mostrare, che le cinque prime fonti suppongono tempre qualche verit precedente, da esse non dimostrata. Da d conchiude, che non possiamo aver ricorso se non al senso intimo, a dover noi trarre la dimostrazione di quelle verit , a provar le quali non giungono le altre cin- que fonti di dimostrazione :  Or noi affermiamo ed asseveriamo che questo  tt ottiene o coi fatti del senso intimo, o non altrimenti , imperocch in r quelli soli  il principio della cognizione m. Che cosa vengono a dire tali parole che contengono l'estremo argomento della teoria sulla certezza del N.A.? Che non rimangono se non due vie, cioo di confessare che alcune prime verit rimangono indimostrate, e con esse, lasciandole indimostrate, cide tutta la certezza umana, o di credere al senso intimo , e nella testi- noDiansa di questo porre il sostegno della certezza. Tutta la prova dunque sta nella necessii che non perisca la verit e la certezza umana. Ma questo lappone, che la certezza e la verit umana esista. All'incontro si tratta qui di dimostrare che esiste. Si suppone adunque dal Mamiani quello^ rbe s vuol provare. Lo scettico , a cui faremo tale argomento , si rider iK noi. Egli d dir : il vostro argomento trae forza dalla supposizione che esista il vero ed il certo; vale adunque per voi, che ne ammettete l'esistenza ; per me non vale nulla, perch la niego.  Ma la certezza e la verit  ne- cessaria all'uomo ed alla societ.  Io nego, risponde lo scettico, tale ne- cessit. E quando foss'anco necessaria, che perci? se non esiste verit e eertesza, potrete far voi ch'ella esista, perch' necessana? presumete troppo) converrebbe pi tosto rassegnarsi e fame senza; perocch l'immaginare una illusione e darle nome di verit, non  gi un creare la verit slessa. Che potrebbe rispondere il Mamiani cosi gagliardamente incalzato dagli scettici? a64 il pi& consumato. Veramente il dimostrare la necessit di tu assenso, non  un dimostrare la verit: Tuomo che  forzato , non  sempre giustamente convinto. Riman duncpie molto ancora a fare per la causa del veroj dopo aver prodotto il criterio u eW intuizione  ; perocch con (juesto criterio non si possono solidamente ribattere le op- posizioni degli scettici. Il difetto e la limitazione di un tal criterio vien sempre dalla ragione che abbiamo toccata : dall^ essere egli un^ indi- zo e una nota della verit, e non la verit stessa, la verit evidente, e di prova non bisognosa, la prima, P iniziale verit; e (piesto difetto era impossibile a non sentirsi. L^aver fatto consistere la verit nella realit^ metteva sulla via a porre il criterio  nella intuizione n , perocch la realit si percepisce y come noi sogliamo dire, o, come parla il Ma- miani, s^ intuisce. Un tal pensiero  assai consentaneo a queUo de^ sensisti , i quali riducendo ogni conoscenza alle sensazioni ^ convennero di mettere il criterio del vero nelle testimonianze de^ sensi esteriori. L' avvedersi poi , che oltre gli oggetti esteriori, vi hanno de- gli oggetti puramente mentali,  un avviso salutare che in- cammina la mente ad un altro criterio diverso dall^ intui- zione, ad un criterio che non  gi, come questa, un sem- plice indizio del vero, ma che  una verit prima, una luce che contiene in s stessa la manifesta essenza della verit. E di vero , fino a tanto che noi stiamo nella realit esterna, non abbiamo ancora colta la verit: la realit per s  oscura e cieca ^ mentre la verit  una luce spirituale: la realit ha bisogno di essere conosciuta^ ma la verit  quella che fa co- noscere: la realit  di sua natura aliena dalla mente ^ ma la verit  nella mente: quella in una parola  una forma di essere al tutto diversa da questa , che pel bisogno di sepa- rarle io le chiamo yrma reale ^ e forma ideale delP essere^ Puna delle quali cio la seconda  cognita per s, quando P altra cio la prima  cognita solo pel suo congiungimento e quasi fecondo connubio colla seconda. Non sar dunque inutile, che io faccia osservare nell^ opera del N. A. le traccie di questo tendere continuo della mente 265 ?erso una Verit ^rima e suprema, allorquando le si presen- tano a contemplare degli oggetti puramente ideali , (piali sona gli astratti od universali, o sia in forma d^idee, o in forma di prncipi . Nel Gap. Xn della P. II egli parla de'principj universali. Ora venendo a quelli cV egli denomina assiomi, cos dice:  Parve a parecchi filosofi del nostro tempo, che la dimostra-  zione degli assiomi riesca pi che sovente impossibile ; e  per r evidenza loro essere un fatto primo , non esplicabile c( deir intendimento n . Se fossero un fatto primo, sarebbero d*^ intuizione immediata , e per apparterrebbero al criterio di intuizione proposto dal G. M. Ma qui egli non si contenta, e saviamente dice cos:  Mal si conobbe da quei filosofi, che ce dimostrare una verit generale, si  scuoprire certa sua iden-  tit con altro principio via maggiormente astratto  (i). Queste parole del N. A. dimostrano, che la sua mente nel pro- ferirle era incamminata verso un criterio supremo di tutte le verit , consistente non gi in un indizio di verit , ma in ona verit prima. E veramente , se la dimostrazione di una verit meno generale sta tutta in una verit pi generale colla quale quella prima s^i- dentfica , egli ne dee venire questa consegunza , proseguendosi dietro un tal cenno a ragionare , che, ordinate tutte le verit in una serie secondo il grado di loro universalit , si ascenda finalmente a una idea che sia di tutte la pi universale , e a cui niun^ altra stia sopra in ampiezza. Ora dato per vero, che in questa serie V inferiore o sia meno generale si provi col mostrarla compresa nella superiore e pi generale, ne viene necessariamente, che quella che sta sopra tutte e che  Funi- versalissima, contenga la dimostrazione di tutte, e da ninna di esse possa essere dimostrata. Se si d dunque un criterio su- premo di verit, sar dessa questo criterio. Gonverr pertanto rinvenire questa verit prima e di tutte suprema^ e se noi trove- remo in essa una luce evidentissima, e una virt di provare con necessit, noi diremo d^aver trovato il criterio desiderato. (i) P. II, e. XII, IH. Rosmini, // Jiifmo^ametUo, 34 i66 In tal caso non sarebbe gi pi V intuizione in genere i criterio del vero ^ questo criterio sarebbe la prima e supremi verit da noi intuita^ verit ampissima, che le altre verit ab braccia virtnalmente in s stessa, e che perci  a tutte supe- riore: noi non ci abbandoneremmo pi fiducialmente all^ atte delle nostre facolt, ma ci abbandoneremmo s bene, e da- renuno credenza alla stessa verit: non avremmo un semplici indizio di verit, sempre bisognevole di esser provato tale, ms si avremmo innanzi la stessa essenza del vero. n C. M. adunque mettesi talora sulla via di pcrvenin a qaesto criterio: ma occupato troppo la mente dalP altro non vi perviene giammai. Cos egli non giunge a conoscere che i primi principj si riducono tutti ad un solo, anzi ac una idea sola, e parla di essi come fossero molti. Di questi poi dice bens, che non si possono dimostrare, ma soggiunge che u ci bisogna provare con la storia fenomenica dell^ intel-  letto, che ninna idea e niun principio rimane superiore a ti quelli, e che niun senso, niun giudicio, ninna esperienza i  bastevole a generarli  ( i ) : di che trae V aforismo , che  la storia naturale delF intelletto dee precedere tutte quante  le speculazioni della Filosofia n (2). Questa sentenza ricade nel criterio dell^ intuizione imme- diata, perocch dalP esser dimostrato che quei principj non possono essere generati da niun senso , da niun giudizio e da niuna esperienza, conchiude tosto il Mamiani, che dunque sonc d^ intuizione immediata , e per indubitabile. Io non dir se P aver dimostrati que^ principj non generati da^ sensi, dal giudizio e dalP esperienza , sia quanto un averii dimostrati dMntuizione immediata. Dico bens , che tutto ci, u ibsse, non basterebbe ancora a dimostrarli indubitatamente veri P^x>cch quale illazione necessaria sar questa, che dal non essen un principio generato n dal senso, n dal giudizio, n dalli esperienza, sia perci vero e necessario? Il non potersi spiegan r origine sua, noi rende vero n falso, perocch la verit do essere una luce intrinseca al principio stesso. Noi prova ni (i) Par. I, e. XVI, 2." afor. (a) Ivi. pur vero la sola intuizione di lui^ perocch noi possiamo in- tuire tanto il vero, come il falso. Se dunque si d P intuizione del vero e quella del falso , convien dire che V una si distin- gua dall^ altra solamente in virt della qualit dell^ oggetto intuito^ sicch se F oggetto sia vero, vera si chiami Pintui- lione ^ se r oggetto sia falso , falsa V intuizione. Da che retta- mente dobbiamo conchiudere, che P intuizione per s stessa non pu essere il criterio del vero, ma che criterio del vero dee esser sola P intuizione del vero^ e per ci vorr un altro cri- terio, che ci &ccia poi distinguere questo vero da noi intuito, e che lo distingua dal falso pure intuito. Il vero dunque intuito  quello che rende vera P intuizione, e non P intuizione rende vero il suo oggetto^ come per P opposto il falso intuito rende falsa Tintuizione, eziandioch noi il giudicassimo falsamente per vero. Di che s trae una patente dimostrazione, che il criterio del vero non pu riporsi gianunai n nelle nostre facolt , n nelle loro operazioni o atti ( uno de^ quali sarebbe P intui- zione )^ ma conviene anzi riporlo in un oggetto di esse facolt fssenzialmente vero^ ossia costituente P essenza stessa della ve- rit, il quale oggetto dona egli appunto autorit e valore alle Scolta stesse , perocch noi argomentiamo, ch^ esse hanno que- ste doti solo per la natura delP oggetto a cui si riferiscono, che  la verit.  Aggiunger finalmente, che anche nel brano ultimamente fecato del libro del C. M. giace quella perpetua sua incoe- renza tante volte da noi notata, di rendere la questione della certezza dipendente al tutto da quella delP origine delle idee, dichiarando egli pur questa affatto straniera dall^ altra, e anche insolubile. Perocch come si pu dimostrare, che i primi prin- cipi ^^^ possano esser generati n dal sentimento, n dal- r esperienza, n dal giudizio, se non si rimescola fino al fondo tutta la dotti*ina dell^ origine (i)? (i) Come ho gi osservato^ nella mia filosofia la questione dell'origine  pi staccata da quella della certezza, che non sia nella dottrina del Maroiani. Perocch al G. M.  necessario di risalire alla genesi delle cognizioni per determinare quali appartengMuo all'intuizione immediata , quali no; quando io noo ho bisogno che di trovare l'ordine logico delle idee per iscuoprire qual sia la prima logicamente^ criterio di tutte l'altre. ^6S CAPITOLO Vili. CONTINUAZIONE. L' accorgersi, che la prova di una verit inferiore non con- siste in altro, che in dimostrarla contenuta in una verit su- periore cio pi universale,  quanto un accorgersi , che senza verit universali non si d dimostrazione di sorte. Perocch se noi percorriamo la serie delle verit discendendo dalle pi universali alle meno universali, verremo finalmente alle verit singolain. Ora queste o contengono qualche ele- mento universale, o si vuole che non ne contengano alcuno. Sebbene questa seconda parte del dilemma sia assurda , tut- tavia supponiamola per un momento vera, e ne avremo que- sta conseguenza, che le verit supposte singolari si dimostre- ranno o col farle veder contenute in qualche verit universale, o con altro mezzo qualunque. Se anch'' esse si dimosti'ano ri- ducendole a verit universali , in tal caso il principio della di- mostrazione s de' veri universali, come de' veri singolari,  uno stesso, cio il pi universale di tutti i veri. Se poi si vuole, che i veri singolari sieno dimostrati per qualche altro mezzo , come sai*ebbe per Y intuizione immediata , in tal caso noi avremo due principj di dimostrazione , ossia due critcrjy e non pi uno solo. Il criterio cio di tutte le proposizioni uni- versali consister nella proposizione universalissima, e il crite- rio delle verit singolari in quelP altro mezzo qualsiasi che si propone. Ora V ammettersi due criterj supremi e indipendenti del vero,  assurdo (i)^ dunque convien dire, che anche i veri singolari trovino negli universali la loro dimostrazione e certeau&a. (i) Il C. M. (P. 11^ e. IT) reca molte autorit di filosofi a provare chf una  la verit^ fra l'altre questa d Filippo Mocenigo :  O non v'ha u certezza alcuna nel mondo ^ o se u trova una soltanto, da cui tutte Tal- M tre discendono m ( Universalium Instit. Contempi. I ^ e. II ) ; e in un altro luogo riconosce che u la verit  semplice e identica con s stessa in per- ir fetto grado . P. II, e. XVII^ ii. a69 Questa osservazione riceve maggior forza, ove si consi- deri bene, che non ci hanno veramente verit cos singolari, le quali non contengano qualche elemento universale, come abbiamo voluto supporre. Imperocch ogni verit afferma o nega qualche cosa , e V affeimare o il negare esige sempre il verbo essere o espresso o sottinteso, il quale dallo stesso Mamiani  riconosciuto per V universalissima delle idee , e per la mas- sima delle astrazioni. Di pi, 'A formale della cognizione non ist che nella parte sua universale ^ sicch ella  sentenza co- munissima delle scuole e de^ maggiori filosofi italiani, che il singolare appartenga al sentire ^ e V universale costituisca P m- todere. U incatenamento adunque delle cognizioni non  punto interrotto^ e dalla massima e pi astratta delle verit, egli di- scende gradatamente e senza salto alcuno a quelle che sem- bhno nel primo aspetto al tutto particolari, perch s' appren- dono col sensibile, che ne porge la materia^ e cosi tutti gli anelli di questa catena rientrano gli uni negli altri , di guisa, che le minime verit sono contenute nelle medie, e le medie sono comprese nelle massime, e le une si dimostrano per P altre, e tutte per la prima, che tutte in s le raccoglie. CAPITOLO IX. CONTINUAZIONE. Per non fa meraviglia se il N. A. di pari colP  intui- zione fi intrometta sempre nel discorso alcuni principj uni- versali, che quella ajutino, e sustentino^ imperocch egli  UDpossibile andar avanti collMntuizione sola, senza sorreg- gersi sopra verit, e principj universali. Gi in cima a quel capitolo dove parla della u prima cer-  tezza fi , sebbene per entro ad esso non faccia menzione di principj , ma solo di fatti del senso intimo , tuttavia ci pone una sentenza del Tasso, che afferma avervi de^ a principj che  non possono essere provati, ma sono noti per s stessi, i  quali tutti si riducono ad un certissimo e primo principio  col quale ciascun altro pu esser provato, e questo  che u V affermazione o la negazione sia vera in tutte le cose  ( i ) , che viene a dire il principio di contraddizione. E in vero^ senza questo principio universalissimo non si d ragionamento^ e il N. A. ne fa uso in tutta P opera ^ e sulla fine di essa ne fa la confessione, dicendo : a sola sorgente adun- ca que d^ogni nostra dialettica  stata il principio della con- a traddizione 99 (2) : confessione preziosa, perocch dimostra assai chiaro il bisogno di aver degli universali nella mente, prima di muovere il pi piccolo passo del ragionamento, ne bastare una intuizione desti tuta di universali principi  Vorrei tentare di conciliare su questo punto il N. A. con s stesso. Vorrei dire: la prima cosa che fa la sua intuizione,  r atto con cui vede il principio di contraddizione , e ne sente la forza: quindi lo spirito fa uso di questo principio intuito ne^ successivi suoi ragionamenti. Ma se questa interpretazione  vera , non conviene pi dire che il criterio della certzza sia T intuizione in genere, masi l'in^ tuizione speciale e detcrminata del principio di contraddizione: in tal easo non  pi V intuizione quella che d virt e forza di stringere al principio di contraddizione, ma  il principio di contraddizione che accerta e avvalora F intuizione^ e per il criterio della certezza starebbe in questo principio , e non nel- r intuizione, che non  se non il mezzo di conoscerlo , di pa^ teciparlo. Oltracci se il principio di contraddizione  V universalissima delle verit, e se egli si conosce pure col primo atto delP intuizio- ne, convien dire che questa maravigliosa intuizione giunga di vn salto all^ ultima di tutte le verit, e per ch^ella non cominci gi dal vedere i singoUui^ ma cominci dal vedere V oggetto il pia astratto di tutti: ci che ripugna al sistema del G. M., che deduioe gli imiversali dai singolari^ e non troverebbe verit m altri sistemi, se non nel nostro, il quale pone, che lo spirito abbia gi inerente un primo lume ond^  intellettivo, il qo (1) T. Tasso, // Porzio, ovvero della Virt, (a) P. U, e, XX, I. rimo lume  T intuito, ossia la vista puiissima e astrattissima lVessere. E che  il principio di contraddizione? Si esamini, si ana- Ezi un poco questo principio, come abbiam fatto noi nel ^iKM^o Sa^io{i): e si entrer tosto di piano nel nostro sistema. Noi abbiam fermato, che quando unMdea pia imiyersale si j^ca ad altre idee meno universali, queD'idea prende il ome di principio, sicch u un principio non  altro se non na proposizione che esprime V applicazione di im^ idea n . )s, a ragion d^ esempio, questo principio, il tutto  maggiore leUe sue parti, non  altro che Pidea astratta di maggiorit applicata al tutto e alle parti. Cerchiamo adunque qual sia Fidea che si cangia, in appli- candola, nel principio di contraddizione. Vedesi assai mani- festo dall' analisi di questo principio, che essa non  se non Tidea dell'essere, la qual si applica a tutti gli enti particolari: imperocch col dire : se una cosa , ella ^ ovvero col dire: una cosa non pu essere e non essere neUo stesso tempo ^ che sono le formole del principio di contraddizione^ non si fa che raf- frontare il non^essere all' essere , e vedere la contraddizione che sta fira Puno e l'altro. 12 essere dunque  la misura^ che viene applicata, ossia  la norma secondo la quale si giudica^ e tro- vando che una cosa pensata conviene a questa norma , cio che ha l' esistenza, noi concludiamo , che ella non  nulla , o na, che a quella norma dell'essere non ripugna. Il principio di contraddizione adunque suppone nella mente l' idea dell' es sere universale, ed anzi egli non  altro, che uno de' primi usi che noi facciamo di questa idea. La qual dottrina io gi feci conoscere essere antichissima, e recai a provarla un bellis- simo luogo di Alessandro di Ales, celebre scolastico del se- colo XIH (a). In vero, questo insigne teologo, commentando Aiistotele che pone per supremo criterio del vero il principio di contraddi- zione, s'avvide che a questo principio dovea precedere nella mmmmmmmim^ (i) Set. V, e. V. (a) y. Principi della scienza morale, cap. 1, art. ui, nota ultima. 3ya mente Videa delP essere: e per convien dire o che Aristotele stesso non  coerente nelle sue dottrine , o che conviene inten- derlo assai diversamente da quello che T hanno inteso alcuni, i quali imputavano a lui V opinione, che niun lume n^urale s^ abbia lo spirito umano , ma solo de'' lumi acquisiti ( i ). Andando adunque per questa via, conviene di necessit per- renire a quello a cui pervennero gli antichi , cio a conoscere che lo spirito nostro  informato da un primo lume (2), e che questo non pu essere altro, se non una visione delP essere, sebbene imperfettissima, perch priva delle terminazioni del- r essere stesso , come oggetto veduto in lontananza ^ conciossia- che dal solo essere procede il principio di contraddizione (1) Vedi che cosa noi abbiamo detto sopra di ci nel N. Saggio, Set, IT, cap. I. (a) Credo utile cosa sottoporre qui all' attenta considerazione de* lettori un passo di un celebre filosofo italiano ^ di un traduttore di Aristotele . che s cangia, a ragion d^ esempio, di verme in crisalide, e di crisalide in farfalla. Il principio di contraddizione comparisce da prima ne^ ragionamenti del N. A. come un qualche cosa di particolare: egli esiste in ogni singolo fatto, u bench  in una maniera sempre detcrminata. Per la medesimezza tf poi necessaria che hanno fra loro tutte le cose, riguardo  all^esistere , tal principio diviene subito universale, e questo   il legame logico, onde vanno congiunti l pensieri e le  cose, le apparenze e i noumeni n (i). Lo sviluppo  celere: il principio diventa subito universale: ma per quanta fretta gli dia il N. A., cacciandol ratto dallo stato di particolare a quello di universale, potr egli aggiun- gere tanta firetta altres alle menti de^ lettori sicch trasandino non osservando che quel principio  stato, sebben breve tempo, particolare? e se essi osservano ci, la cosa  fatta ^ il marcio  scoperto^ Passurdo di aver supposto un principio particolare, come a dire un principio non principio,  trovato, e non si pu nasconderne la vergogna. CAPITOLO X. CONTINUAZIONE. Aggiunger una riflessione, che provi via pi chiaro come il criterio del C. M. non sia gi un slo , ma veramente due , ridotti ad una unit nominale. Egli distingue due specie di verit. Le prime sono le feno- meniche, o sia cpielle che appariscono immediatamente al senso intimo; le seconde quelle, che dalle prime sMnferiscono per necessit di ragionamento.  Alle due specie adunque di ve- ce rit fi , egli dice , u abbiamo imposta un^ appellazione me**  desima, e le chiamiamo verit e certezze d^ intuizione. Per  la prima vien detta da noi intuizione immediata, la seconda  intuizione mediata n (a). Or secondo questa maniera abusiva di parlare, tutte le (i) Parte 11^ cap. XX ^ i. (a) Parte 11^ cap. III^ i. 2y6 verit sarebbero verit J' intuizione , e solo si distinguerebbe! due specie d^ intuizione, immediata o mediata. La pai*ola inU zione aduncpie significherebbe Tatto di qualsiasi potenza iute lettiva, il quale abbia ad oggetto il vero^ e se T intuizione r infallibil criterio, verrebbe la strana conseguenza, che og atto delle nostre facolt intellettive essendo intuizione, sarebl dichiarato infallibile. Questa osservazione vale per tutti quei luoghi del libro d Jiniov^amento^ dove si d per criterio V intuizione in general Quegli altri luoghi poi, dove si pretende di richiamar tutl le cognizioni alla sola intuizione immediata , mi somministran la riflessione seguente, che  quella a cui propriamente io tende questo capitolo. L^ Intuizione mediata si pu ella chiamare propriamente in tuizione? Questo  quello che io credo di dovere assoluta mente negare. La intuizione immediata  definita dal N. A.  Y atto i  nostra mente, il quale conosce le proprie idee e le atti  nenze loro reciproche  ; e vien detta anche  una noti  zia pura mentale, ristretta nei soli fenomeni del senso in u timo n (i). Della mediata poi egli d quest^ altra definizione: u L'atte  di nostra mente , il quale per la certezza assoluta dell' intu u zione immediata, prova in modo altrettanto assoluto Tesi  stenza dell' estrinseche realit r> (2). Or qual  questo modi assoluto, onde dalT entit fenomenica, che colla intuizione in mediata  scorta, si trapassa a conoscere le realit esteme sussistenti? Il principio di contraddizione, dice il Mamiani tf II passaggio dair una air altra fu ritro> ato nella impossibi w lit metafisica (3) di negare il fenomeno. Sola sorgente adui  que d'ogni nostra dialettica  stato il principio della coi  traddizione  (4). Chi non vede adunque manifestamente, che tutte le verii ch^ egli attribuisce all' intuizione mediata , non sono veramenl (1) Purte II, cap. Ili, i. (3) Egli volea dir logica. {1) p. ir, e. Ili, IV. (4) Parlo II, cap. XX., i. 377 intuite dallo spirito , ma solo argomentate da quelle altre che intuisce lo spirito? Or la parola intuizione non pu significare, propriamente parlando, che un'apprensione immediata^ e per il dire che v' ha una intuizione mediata ,  un far uso di quelle frasi vaghe, improprie e contradditorie, che sogliono confon- dere e sovvertire tutto il regno della filosofia. Le verit che il C. M. chiama "^ intuizione mediata ^ sono dunque le verit d' argomentazione , e non d' intuizione : e V in- tuione non fa, relativamente ad esse^ che prestare il punto femio, su cui s'appoggia la leva, per cos dire, del razioci- nio. Dunque conviene per queste seconde verit prestar fede al raziocinio , ond' elle si deducono^ dunque conviene aver ri- cevuti per autentici ed efficaci i primi principi, de' quali fa uso il raziocinio, e fra questi , in capo agli altri sta il prin- cipio di contraddizione ^ dunque conviene presupporre gi for- mate le idee universali dalle quali nascono i principj , e prima di tutte quella AxXC essere^ onde procede il principio di con- traddizione^ dunque il criterio del C. M. suppone molto pi, come dicevamo, che non faccia il criterio di Cartesio. Di qui  pertanto manifesto, che il C. M., senza avveder- sene, adopera non un solo principio del vero , ma due , cio I.' r intuizione e 2.** il raziocinio : l'intuizione per la cono- scenza della parte ideale, il raziocinio per la conoscenza della parte reale. L'intuizione  un indizio del vero: il principio di  ( Parte II, cap. I, iv ). Yedrs ^M come all'intuizione generalmente presa egli applica una definizione ,  ( Ivi , ii ). Manifestamente si ved>y ma di t cooperazione m. (4) Non  a farsi veruna conversione , perch ogni oggetto diverso da tioi  per cos dire in direzione diretta della nostra attenzione. (5) La forza alleni iva dee essere stata adoperata fino dui pi itiio istauto che lo spirito ricevette l*aziouc interiore della sensazione. RsMiifi, // RumovamcUo. 36  a&zione (1)9 ^ distiiigue, la giudica^ e neir unita slnteli (a). Qui dunque V intuizione, o il senso intimo delN. A., non  altro che la ragione che prova s stessa, a coi egli ha voluto dare un altro nome , senza che se ne vegga 3 Insogno. Altrove egli oppone al vero assoluto del senso intimo (cio (i) Il C. M.  io confraddsiooe con s stesso nche \k dove dice^ che Vkinno dnque fonti, onde  suol trarre la dimostrazione del vnt>, oitre 9*BMla che sorge mmediatamenie dalia cosdenta: ciu il sillogismo y l' espe* 'loaa de' (atti esteriori ^ 1' aulurit^ gli aMiomi e Tistinto ( P. II, e. Ilyii). Questi cinque fonti non sono fuori della cosciensa, ma dentro. Rispetto poi agli assiomi, che sono i principj pi uni^rsali , questi sono Unto neces- IMJ alla coscienza, che non si d^ cosdutai intellettiva sena di essi, pe* iNch essi formano il precipuo oggel|^'di lei. Non si dee adunque dividere licoscieiisa da' suoi oggetti, come se'quella fosse qualche cosa di separato^ i d'indipendente da questi. (a) P. Il, e. XVIII, HI. i84 deirintuizione) le verit istintive (i). Dunque il senso intim di cui egli parla^ non  quello che appercepisce Istintivamei la Tci*Lt y ma  la vista de^ veri razionali , e di nuovo , in u parola, non  che la ragione (2). Che se egli fosse da per tutto coerente a queste dottrii noi ci potremmo a dir vero di molto a lui avvicinai'e^ e la dii renza fra lui e noi riguarderebbe tutt^ al pi V incatenamei delle verit, che egli non descrive nettamente, n il cond a quella semplicit di principio a cui noi credemmo di nto colle prime, proverebbero 9 elle nella intuizione mediaia non pu avervi il convincimento della ragione. Perocch se questo si ha l dove il cognito ed il conoscente diventano una medesima realit, e se nella me- diata ci non avviene punto, che anzi si distinguono sostan* talmente y o per divisione di tempo ; dunque in vano cercasi in ^esta il convincimento della ragione. . 2. Egli  i^ero che il Mamiani soggiimge: u il passaggio  dall^ una alF altra fu ritrovato nella impossibilit metafisica 0 di negare il fenomeno n (4) ^ la quale impossibilit metafisica appare pel principio di contraddizione. Ma tutto ci non fa mica avvenire, che il conoscente sia ima cosa medesima col ignito, ci che convertirebbe T intuizione mediata nella im^^ ''tediata j e per non procura giammai quella condizione che il Mamiani dichiara necessaria al convincimento della ragione. Piuttosto  dunque da dirsi, che il Mamiant aggiunga all^ in- tnizione immediata, scorgendone F insufficienza , un altro cri- terio, come toccavamo, cio il principio di contraddizione, e che si serva di due criterj in vece che di un solo (5). (i) P. I, e. XVI, i5.' afor. (2) P. Il, e. II, 11. (3) P. II, e. XX, I. (4) Ivi. (5) Gap. X. !i8G 3.^ Gi fu per noi accennato, che il N. A. non intese in che senso gP Italiani antichi, o piuttosto gli scolastici tutti dicessero, che P ente si corn^rte col i^ero : maniera per la quale intendevano che il i^ro si pu prender per Venie ^ e Pente si pu prender pel i^ero^ essendo in sostanza la cosa stessa. Non volevano essi adunque dare con ci alcun criterio dells certezza, quasich questa ci fosse solo l dove Pente e il vero si convertono , sicch cpiando il vero coU^ ente non  converte, non vi fosse certezza. AlP opposto essi con quella sentenza vol- lero solamente esprimere la metafisica natura del vero^ e feri non ammisero giammai il caso, in cui vi avesse il vero senzc convertirsi coll^ ente, ma insegnarono che il vero era sempn convertibile colPente, perocch non era egli altro che Pent^ medesimo conosciuto ( i ). La conversione dunque dell^ ente co vero non si fa nella sola intuizione immediata, ma sempre ovecch siavi il vero^ e non costituisce alcun criterio. 4-* Non veggo poi ragione alcuna, perch il N. A. creda nna cosa medesima il dire che Pente si converte col %^ro ^ e il dire che il conoscitore ed il cognito compongono una sola rea* lit: perocch egli usa a dir vero ora Puna ora P altra di que- ste due maniere a comprovare la veracit delP intuizione im mediata. A doverle interpretare siccome aventi tutte due no medesimo significato, converrebbe prender Pente per sinonimo del conoscitore, e il vero per sinonimo del cognito. Ma se noi stessi, soggetti conoscitivi, siamo quelP ente in cui il vero si con- verte (oltrech ci allontaneremmo vie pi le mille miglia dal modo in che intendevano questa frase gP Italiani antichi)) ne verrebbe , che il vero si convertirebbe in noi , o pare li convertirebbe con noi , sicch noi e il vero saremmo sino- nimi: cosa impossibile a concedersi, impossibile a concepirsi. Oltre a che il vero in tal caso non avrebbe alcuna sua propria entit diversa dalP entit nostra, e quindi sarebbe nulla ^ e come potrebbe il nulla convertirsi in noi o con noi? 5.^ Finalmente non mi parrebbe di passare i limiti della & (i) Convertirsi due cose, vuol dire, secondo il frasario della scuola, po- tersi sostituire V una air altra , potersi dire dell' una ci appunto che i dice dell' altra. 4 i screiione, chiedendo io al C. M. di spiegarmi, come o perch debbflsi aver la certezza solo alkmt che il conoscente ed il co- gnito sono divenuti una medesima cosa* E se non vuol dir* melo, mi dica almeno come sia possibile che vi abbia cei*tezza di scienza, o anche solamente scienza, quando il conoscente ed il cognito ianno una medesima cosa^ perocch io davvero non ci veggo, n intendo pure la possibilit di questa sua albrmazione. Secondo II veder mio, egli  al tutto necessario) acciocch possa darsi una cognizione qiulsivoglia, che il cono* scente ed il cognito non fisicciano una medesima cosa, ma che ri- mangano anzi fira loro perfettamente distinti e inconfusi, sebbene congiunti insieme strettamente. Che se egli awemr potesse una ven immedesimazione del conoscente e dd cognito, come par dimandare rA.N., io non avrei pia n conoscente, n cognito, n (ti), farci vedere come questa cotale immedesima- zione possa e debba essere prova chiarissima di certezza. Di vero, non trovando il C. M. questa immedesimazione del ' conoscente e del cognito in tutte le conoscenze nostre , ma solo in quelle che appartengono alV intuizione immediata, forz^  dire che egli intenda per essa tutt^ altro da quello che intende s. Tommaso, ove afferma che il cognito dee essere nel conoscente^ perocch questo s^ avvera in tutte ugualmente le cognizioni. Egli par dunque che il Mamiani ponga la sua cer- tezza d^ intuizione immediata nelP esser questa un intimo e immediato s^timento ^ il che  consentaneo col chiamarla die fa una  certezza a cui non bisognano dimostrazioni  (3), e molto pi con quella sua sentenza che dice u lo scibile umano u ha il principio suo nel fatto , e a egli  perch , non perch debba essere  (4). Ma in tal caso finalmente, P appagamento (i)  quaod'anco lo dicesse^ non si potrebbe pigliare un tal detto alla Ietterai distinguendo costantemente s. Tommaso U specie della cosa che in* forma T intelletto, dallo stesso intelletto. (a) P. II, e. XX , I. (3) Ivi. (4) P. II,c. XIX, IV. 89 che noi troviamo nell^ intuizione immediata non sarebb^ egli tintiiH>7 non cesserebbe d^ essere razionale? giacch in quel- r intuisione dominerebbe un sentimento senza prova , lui sen- timento dove il rero sarebbe il fatto del sentiinento medesimo, e r oggetto divenuto una cosa col soggetto ? CAPITOLO xm. PAKAGOUE.DEL MAMIUI CO CARTESIO. La teoria per del N. A. vien cangiando colore, al cangiar dell^angolo di luce sotto a cui si ragguarda. Sguardiamola dun- que un poco d^ altro lato: paragoniamo nuovamente P intuizione delCM. col Cogito^ ergo swn^ di Cartesio. E prima diamo di piglio alla censura , che V A. N. fa alF entimema cartesiano. flEerma egli, che dicendo u Io penso, dunque esisto , Car- tesio introdusse nelP intuizione immediata quattro elementi a lei stranieri, cio i.'^il sillogismo, a. la proposizione generale non dimostrata: ci che pensa, esiste^ 3*^ VIo sostanziale, men- tre nell'^jb peiso non si trova che il fenomenico.^ e 4- Puso della memoria necessaria alPatto del sillogismo, senza averne prima dimostrata la veridicit. AlP opposto egli  assai contento d^avere collocata la certezza in una intuizione immediata, pura da ^sti quattro elementi eterogenei.  ella ben fondata questa sua cotentezza ?  egli vero , che Fiotuizione sua sia scevei*a al tutto da que^ difetti? Noi Pab- l^ttmo veduto in parte: abbiamo veduto di qual sillogismo usi il C. M. a provare la sua intuizione, e ci che  il pi, come quel sillogismo stia ne^ visceri delP intuizione stessa, la quale da lui pi^nde efficacia. Perci se il sillogismo ha sempre seco ^ proposizione universale, e se, come crede il C. M., ha l^isogno di memoria, noi dovrem dire che almeno tre degli tementi inchiusi nelP intuizione cartesiana sMnchiudono del pari nella mamianiana , cio a dire , P uso del sillogismo , una proposizione generale non dimostrata, e P uso della memoria (i) (i) RifpeUo al vizio aUribuilo all'entimema di Gurlesiot di contenere una . proposixiooe uoiversale, il C. M. dice:  quesla verit ooo pelea poi con- RosMifii, // Rinnovamento. 3 7 ago Il quarto peccato di cui FA. N. aggrava Cartesio, si  e nell^ entimema do penso , dunque sono , quell^ Io si prcn da Cartesio per un Io sostanziale, mentre non  altro che i lo fenomenico. Vin ella vantaggiata da questa accusa Ab a Cartesio , la causa del Mamiani ? A far conoscere lo stalo di ima tal causa, conviene mette d^una parte ci che suppone vero Cartesio, e dall^alti*a ( che suppone vero il Mamiani. Cartesio suppone, che quando dico Io penso y quest^ Io ci pensa sia una sostanza. Il Mamiani suppone che quest^ Io che pensa sia un pu fenomeno, e non una sostanza, e che la sostanza aderen a quest^/o fenomenico convenga provarla con un ragionament A quale dei due scrittori sar pi favorevole, vogliam creder il senso comune? L^uomo che fa qualche azione, crede eg di essere nulla pi di un fenomeno ? L^ uomo che  consapc vole di s stesso , quando dice Io sento ^ Io pejiso^ Io parlo ^ l motgioy credesi egli conscio di un^ apparenza, credesi nominar un fenomeno, una colai ombra, e di non sentire n nomina nulla di sostanziale?  Il lettore giudichi fra Cartesio e i Mamiani. Quanto a me, parmi che con diritto eguale a quello,  non anco con maggiore, onde il Mamiani chiede a Cartesii M Come voi supponete per vero che V Io che pensa sia so stanza e non pm^o fenomeno  ? possa parimente Cartesio di mandare al Mamiani u E voi , come supponete per vero i contrario , cio che quelP Io che pensa e che parla sia ni puro fenomeno , e non anzi una sostanza  ? Che se r uno o V altro de^ nostri due filosoG pretende che la sua supposizione non fosse bisognevole di prova alca na, gli converrebbe almeno provare questo stesso, che di prof) non  bisognosa : altramente sarebbe pur questa un^ altra dett cose ch^ egli porrebbe di mero arbitrio, con manifestissimi petizion di principio, nel suo criterio della certezza. r sistei^ in altro , salvo che in una generalizzazione del concetto racchius tt oella iniDore e nella sua conseguenza , cosi provando , come  pjilpabil M a ogQiuio, il medesimo col medesimo  ( P. II, e. III, v ). Ma se a me toccasse di dispensare l\mo de^ due dal proTare ia stia tesi) panni da vero, che non potrei mai dispensarne il C. M.; perocch s^ intende assai bene, come questo sentimento che V uomo esprime col monosillabo /o, sia qualche cosa di sostanziale^ ma egli m^ impossibile al tutto di persuadere a me stesso, che Io non sia una sostanza , o pure che sotto al MS v^ abbia un altro me, sicch io non sia pi veramente un solo Jo^ ma due: conciossiach ad altra conclusione non ad- ducono le parole del N. A.  La nozione dell' io , che trovasi  ripetuta nei due membri delF entimema ( io penso y dunque ^ esisto)^ e la quale, secondo Cartesio, esprime il nostro es- '  sere sostanziale , viene confusa erroneamente con la nozione  pura immediata del nostro me fenomenico " (i). Ma veramente io non posso esser giudice competente in ({uesta materia, essendomi gi dichiarato nel N. Saggio per r/o sostanziale di Cartesio, e contro V Io puramente fenome- nico del N. A. Per se non pu valere la mia autorit, val gftno almeno le ragioni che ci ho addotte: ed elle son l per essere esaminate e giudicate (i). Ad esse per io n'aggiunger qualche altra, che mt cade *. (2) P. n, e. n. 11. (5) P. U, e. U, ni. RosMiifi, n Rinnovamento^ 38 onde si raggiunge ad essa quella che  da lui chiamata int zione mediata. Ora ecco le osservazioni che io presento al giudizio de^ sa sopra la dottrina del C. M. esposta ne^ due brani riporta I." Gi ho osservato, che se fosse vero, che la realit d V oggetto pensato , p. e. il triangolo ideale , fosse la nostra pi pria realit, come dice il N. A., ne verrebbe l'assurdo, che i saremmo de' triangoli ^ ilcheniuno dir: o pure che il triangc si transustanziasse in noi, e diventasse uomo, o anima ^ il ci pure ninno dir : o finahnente, che cessindo il triangolo d'c ser triangolo , e noi d' esser noi , di noi e del triangolo uscis un terzo essere misto, che non fosse n noi, n tinangok ma qualche altro nuovo essere ^ il che pure ninno dir. Tanl dunque  lungi, che il formarsi del triangolo e di noi un sola reaKt (i), possa esser prova della realit del triangolo che una tale immedesimazione (2), se fosse possibile, torrebb via a) la possibilit d'ogni cognizione, b) e distruggerebbe 1 due nature immedesimate. i." Tutto il nerbo della certezza intuitiva si trova espressi dal N. A. in queste parole:   impossibile alla nostra ment negare, ovvero dubitare ^ ma la semplice impossibilit di ne gare o di dubitare, quand' anco vi fosse , non sarebbe una di mostrazione del vero. La mente potrebbe dare l'assenso istin tivamente e necessariamente; e il N. A. conviene, che un assensi istintivo non forma alcuna prova di verit. 3.^ Egli parla u di nuove analisi dei fatti del senso intimo Io non conosco queste sue nuove analisi; ma io temo ch'esse qualunque sieno, debbano pregiudicare assai al criterio da lo proposto. Perciocch il pregio di questo criterio non potrebb stare in altro, se non in una somma semplicit, e in non di mandare od esigere altri veri dinnanzi a s. All'opposto dicendi egli che u la storia natm'ale delFintelletto dee precedere tati u quante le speculazioni della Filosofia " (3), e aggiungendi (1) Um spesso questa frase F autor nostro. Ved. P. 11^ e. II, it. (a) Usa il N. A. la parola e adunque  il criterio del vero. Ognuno s^ avvede quanti precedenti dimandi il criterio del G. M.^ ognuno dica se il sorite che inchiude sia pi semplice,  meno esiga dell^ entimema di Renato Cartesio. CAPITOLO XV. conrnru AZIONE. Ma di nuovo sgabbiano sott^ occbio i due passi aUegati. In quelli si afferma, essere impossibile alla mente il dubitare della realit di un triangolo pensato, u attesoch la sua rea- ^ lit  la realit nostra propria , e il conoscente  il cognito ^ stesso . Or ci  quanto dire : come non possiamo dubitare della realit nostra propria^ cos non possiamo dubitare del triangolo, perch la sua realit  la nostra, e il triangolo siamo noi stessi. Che cosa suppone questo ragionamento? L^ evidenza della nostra propria realit, P evidenza di noi stessi. La nostra realit dunque, la nostra entit, la nostra esi- stenza  supposta dal N. A. senza dimostrazione, ed  il vero principio da cui egli partC All^ incontro suppone egli tanto Cartesio? No certamente^ pe- lOcch egli si tiene obbligato di provare la propria esistenza, e la prova che ne adduce si  Vatto del pensiero. Cartesio adunque dimostra pi cose, e ne lascia meno dMndimostrate del C. M. (I) P. I, e. XVI, i6.' afor. 302 Il e. M. mi risponde, esser vero ch'egli suppone nota a ne evidentemente la nostra propria realit, ma solo la nostra red fenomenica (i), non la nostra realit sostanziale. Cartesio all'ic contro dall'atto del pensiero induce a dirittura la nostra en tit e realit sostanziale. Quanto valga questa replica del C. M., si faccia ragione d^ sapersi gi quanto vale la distinzione de' due soggetti y V un sostanziale , l' altro fenomenico , da noi esaminata nel capitol precedente. Ella  arbitraria, erronea, inintelligibile, assurda Se fosse vera una distinzione s fatta , oltre le conseguenze ac cennate ne verrebbe, che l'uomo, la prima volta che disse; s stesso fn Io sono  , avesse inteso di dire: Io sono un' ap parenza , io sono un fenomeno ^ e che dopo essersi tenuto pei un^ omira uana^ fuor che nelP aspetto j dopo essersi creduto, come a dire, una fantasima, un vapore, una cotal magher e sparuta dipintura, finalmente a forza di raziocinio facesse la singolare discoperta di non essere poi egli cotale come si credeva, anzi di esser carne ed ossa vere, di essere una sostanza, seb- bene una sostanza del tutto a se nascosta, misteriosa, imper- cettibile. Mi si dica , se tutto ci sia conforme al senso comune. Mi si dica^ se v' abbia uomo al mondo, che ricordi pur un breve momento di sua vita, in cui siasi egli tenuto per una cotale ap- parenza, o che valga a segnare l'istante nel quale gli riusc di fiaire il grande ritrovamento, che a s stesso, apparenza come , sta per attaccato un altro se stesso, non appai^enza, ma proprio sostanza. Mi perdoni il C. M., se io dico apertamente, avervi qui un errore al tutto materiale. Troppo spesso avviene alla maggior parte de' filosofi, di ragionare dello spirito, secondo l' analogia di ci che essi notai*ono avvenire ne' corpi. Applicano le idee loro assai ristrette, tratte dalla sostanza corporea, ad ogni ar* gomento, ad ogni oggetto, bene o male a proposito. Sperimen- tano essi, che de' corpi noi non sentiamo che le superficie. Il solido o sia l'interiore del corpo noi lo immaginiamo, lo ar* gomentiamo, ma noi possiamo mai n toccare, n vedere, ani (t) Realit fenomenica sarebbero parole che fanno a cozzi, n piti n meo come quest' altre : realit 'tton realit. )o3 non  visbile n tattile, Veniam dunque nella credenza, che sotto agli accidenti corporei, cio sotto quelle qualit che ope rane ne' sensi nostri , stia come appiattato un qualche cosa di resistente, di duro : questo lo immaginiamo di dietro, o di sotto le qualit sensibili, e gli diamo il nome di sub-stans^ volendo indicare quel non so che occulto che si sta sotto. Senza esa minare quanta veracit ella s'abbia una sim3e immaginazione, certo  che noi la facciamo, che P hanno fatta i padri nostri, che hanno essi inventato il vocabolo di sostanza {^'Ctebmc)^ e che noi abbiamo ereditato questo vocabcJo colPidea annessa di un sostrato, e sostegno degli accidenti, r, dopo di ci, il primo movimento del nostro spirito, quando ragioniamo di esseri immateriali,  pur quello d'immaginarceli parimente do- tati a) di accidenti sensibili, e &) di una sostanza insensibile, softegno di tali accidenti. Cosi nel nostro spirito nasce, goffamente  dir vero, il pre- giudizio , che ogni sostanza debba essere occulta e insensibile^ e per, che tutto quello che si sente, non sia gi sostanza, ma puro accidente. Applichiamo tal pregiudizio allo spirito nostro, e ne avremo per risultamento la dottrina del doppio soggetto del C. M. Perocch noi argomenteremo con tutta sicurezza in questo M modo : Io sento me stesso: Ma quello che sento non pu essere sostanza, perocch la sostanza non pu esser sentita , ma ella  qualche cosa di oc culto che si sta sotto a quello che si sente : Dunque lo non sono sostanza^ quest'io sentito non  che un fenomeno, un accidente: Ma ogni accidente chiama una sostanza, come si vede ne' corpi ^ ogni fenomeno chiama un reale sostegno: Dunque sotto YIo sentito, fenomenico, accidentale, dee esi- stere un Jo sostanziale. Ecco tutta la singolare argomentazione! Si potrebbe conti- nuare tirando di molto belle conseguenze, e dire: dunque io sono due /o^ ed alti*ettali corbellerie. Chi non vede da che piede zoppichi questo modo di argo- mentare? per non mi trattengo a fame un pi intimo esame.  Al 3o4 . Dico solo 9 che questa voce  io sono n non pu essere pro- nunciata da un fenomeno, o da un accidente. Un accidenti^ o un mero fenomeno, se parlar potesse, non direbbe mai m i( sono f> : tutto al pi direbbe u  qualche cosa in cui io sono  perocch il verbo essere^ chiamato sostanziale da^ grammatici non pu convenire in modo alcuno agli accidenti ed a^ feno meni , precisi dalle loro sostanze. Oltrech egli  troppo ma nifesto, che non  P accidente che pensa, che parla, chi opera, ma  il soggetto sostanziale che fa tutte queste cose: e per nell^ entimema di Cartesio Io penso, dunque sono n, la conseguenza  dirittissimamente tirata. Pu dubitarsi ch^ ella non abbia i sudragi di ogni classe di persone. Volete consultare il volgo ? udite l'argomento di Car- tesio in bocca di un servo, delP idiota Sosia, il quale seco stesso argomenta : Sed quom cogito ^ eqiddem certe swn idem^ qui senh per fili (i),YoetG consultarci sapienti? udite lo stesso argomento in bocca di s. Agostino, il quale in un suo libro introduce Alipio a parlare con Evodio cos : u Prius abs te quaero^ ut de manifr' stissimis capiamus exordLwn ^ utrum tu ipse sis ^ an tu forte metuis ne hoc interrogatione fallaris ^ cum utque si non esses^ falU omnino non posses (2) ? Egli non  dunque nuovo il modo di argomentare di Cartesio ^ ma quel modo fu usato e tenuto buono molti secoli prima di lui da tutti, cio dai dotti e da^ gV indotti (3). Che anco s. Agostino avesse colto un grosso (1) VeW jinfilrione di Plauto , dove Mercurio prende la figura del servo Sosia, e vuol dargli ad intendere d'essere egli Sosia , questi isguardando d'ogni lato Mercurio tutto simile a s , istupidito , e quasi per uscire del senao seco medesimo ragiona: Certe edepol^ quom illurn contemplo , et formane cognosco meam , Quemadmodum saepe in speculo inspexi , nimium smilis est mei; Itidem habet petasum ac vestilum ; tam consimilist atque ego :  Sunif pes , statura, tonsus, oculi, nasum vel lahra, Malae^ merUum , barba, collum, iotus .... quid uerbis opusi ? Tergwn si cicatricosum , niliil lioc simili est similius, Sed quom cogito , equidem certe sum idem, qui semperfui, A et I, Se. I, V. 285  291. (2) Lib. U, De lib. arbitr. e. III. (3) Giacch ne' nostri tempi s'  riputato necessario ricorrere al senso .comune degli uomini per emendare le dottrine de' filosofi^ nou credo cha % 3o5 marrone, quando egli credette di poter argomentare alla propria esistenza dagli atti del proprio pensiero? che nel secolo XIX gli si debba insegnare la logica , insegnargli che dagli atti del suo pensiero avrebbe dovuto argomentare ad un^ esistenza sua appariscente, fenomenica, non punto sostanziale (i)? Ma almeno avesse fatto un simigliante argomento il G. M. , cpando anco tutto questo argomento P avesse rinsei*rato n^ mondo, come egli lo chiama, fenomenico. Se non voleva pro- vare, come fa Cartesio, resistenza nostra sostanziale, avrebbe potuto provare resistenza apparente, posto che egli s^era messo nell'animo, che esser ci dovesse un' esistenza apparente, anteriore, sii qui a sproposito il riferire un luogo , il quale mi sembra assai sensato, di DO autore che scriveva un po' prima della met del passato secolo: questi  BouUier. Ecco come egli d per ottima prova del vero il consenso de' dotti e degriodotti neJla medesima sentenza: w L' accora des sages uvee le peuple, c'est-'dire , de ceux qui examinent avec eeux qui n'examinent point, et celai des sages entre eux dans une mime opinion^ soni deux signes canctrisiiques de vrit, sous lesquels il est presqu'impossible que ta'reur Si cache. VouUz-vous distinguer exactement le vrai du faux dans un prjuge vui^abre 7 %H)us trouverez x>rdinairement que , dans ce qu'il a de vrai , les ffts s'accordent avec le peuple, et que, dans ce qu'il a dejaux, ib s*ac cctUnt tous cantre lui. Essai philosophique sur Fame des btes. Toni. 11^ Pan. il, chap. v. (i) L'avvitire che l'argomento onde comincia Cartesio la sua filosofa si trova io libri italiani molto prima che quel grand' uomo nascesse , mi sembra veramente una pccola vanit nazionale. Tuttavia esaiuinaiido noi il libro del C. M , che si propone il lodevole fine di eccitare gl'Italiaui a Cir pi stima che non fauno delle proprie ricchezze filosofiche^ recher ^ il principio d' un libro alquanto raro del secolo XVI , scritto da un ^HMDo di Siena moli' anni prima che nascesse Cartesio. 11 libro di cui parlo ^ il CatecJsmo del troppo noto Bernardino Ochino^ stampato in Basilea '3000 i56i ^ il quale comincia con questo dialogo: n Ministro, Se ben Tessere nostro  infinitamente lontano dall'esser di ** Dio , non pu dirsi che l'uomo non sia: anzi  cosa si chiara, che pi *" oota non pu dimostrarsi: et mostra d'essere in tutto privo di giudicio " chi non crede essere; per ti prego ^ Illuminato mio, che tu mi dica ** s'egli ti par essere o no m. w illuminato. Mi par essere; ma per questo non son certo che io sia : ** imperocch in parermi essere, forse m'inganno m. w Ministro.  impossibile che a chi non , gU paja d'essere ; per, poi  ch'ei ti par essere^ bisogna dire che tu sia m. w Illuminato. Cosi  vero . RosMuii, B Rinnovamento^ 39 3o6 e per noi segno della sostanziale. Avrebbe potuto comincia il suo ragionamento dicendo: u io penso, o io sento ecc., du qua esisto fenomenabnente n-^ e quindi procedere innanzi. B quim^t^ Qose in quella vece non lascia egli indimostrate ! quai non ce le d come evidenti , e non bisognevoli di dimosti zione! quante non ne racchiude sotto questa parola u ccrtez assoluta della coscienza n ! Egli ammette per certo assolul mente, ed evidentemente, ed a cui ninna prova abbisogni, i.^ Resistenza del m, sia pur fenomenico se cos gli pai a.^ resistenza degli atti tutti del mb, i quali si compi*endoi pella coscienza, 3. gli oggetti tutti puramente ideali ^ perocch questi, di. egli, hanno una medesima realit con noi, e per identifica con noi hanno pure la stessa certezza del noi. Or in questi 0{ getti ideali molte e molte scienze si comprendono, tutte 1 astratte, e particolarmente le matematiche. Vorr dirci egl ^dunque che tutte queste cose, per appartenere alla intuizione immediata, non abbisognano di dimostrazione alcuna ? voni cacciare dalle matematiche interamente il raziocinio? saraiuK essi contenti i matematici, del N. A.? Vero , ch'egli non ti rer mai queste conseguenze troppo manifestamente assurde ma >ero  altres, che tutte stanno ne' visceri della sua intui* zione inmiediata^ e se egli non se ne dichiara padre, ella, par torendole in faccia al mondo, non pu nascondersi d'essernt madre (i). (i) Da tutto ci si vede che n l'nluizione m del N. A. non  che uoi loQte di veritii innumerevoli , le quali non cessano di essere incatenale fin loro per gli neasi logici di giudisj e di raziociuj. Dunque anche per eoin al mondo dell'intuizione mamianiana e in questo immensi, ansi iofioK Qovero d veritii ch'ella abbraccia , non tuite sono priMtc ; ma alcune sane dedotte da altre. Per es. chi dir che il teorema dell'ipotenusa sia una te rit prima, e non dedotta? e tuttavia ella appartiene ali*  intuizione ini- mediata * secondo il Mamiani^ p*irocch ella  una verit puramesli ideale, ella non  che u attinenze d'idee * , e tutte le attioense d'idee ea traoo nella definizione della intuizione immediata che ci d il N. A. Ora se tutte le verit dell^ intuizione immediala non sono prime; duoque tutte possono dirsi euidenii, e non bisognevoli di dimostrazione^ afferma il G. M. dell'intuizione immediata. Con questa sua ptuiiioDi non  aduuque (atto ancor niente per la diioostrazioue dello scibile, e pc CAPITOLO XVI. GOVflllUAZlOlfE. 3o7 Veniamo alT intuizione mediata ^ e i nesso oh^ elP ha colla Immediata, La pietra di paragone del vero nella intuizine immedia> ta, secondo il N. A^  la realit nostra propria^ di Cui, egli dice, non possiamo dubitare. L^ altre cose, che nelP intuizione immediata s^ accolgono , sono evidentemente certe , perch la loro realit  identificata colla realit nostra propria ^ Don^e sono certe della nostra propria certezza , come sono Itali ddla nostra propria realit. Fra gli oggetti puramente ideali t^  il principio di contraddi'* tione, che secondo il C. M.  come il ponte di comunicazione ffk noi e le realit esteriori ^ fra la intuizione immediata e la mediata. Damjue anche il principio di contraddizione riceve la sua dedita dalla l*elit nostra , la sua certezza dalla certezza nostra. trtnnieiito Jet criterio supremo del vero^ perocch riroane a classifi* c>ni queste verit d' intuizioDe , sott' ordiuando le une alle altre , distin* guend i prncipi dalle conseguenze, e investigando se fra tutte le verit ^ d'abbia una prima , s' ella sia evidente , se abbia in s tutta l' autorit iicoetsari per accertare tutto il sapere. Ecco quanto il N. A. Sia lontano  v'ha pur quello col quale ce la fa un giudizio:  carattere dell' intuizione  abbiatto veduto essere la coscienza d'un giudicio m (P. 11^ e. XIX, i). Ora la convenienza de* termini di un giudizio si pu bene intuire: ma prapriameite pBrbndo,una tale intuitone non  immediata, perch suppone prima di s P intuizione de' termini stessi. L' intuizione poi de' termini aoB purttsa sempre immediata , perocch i termini possono essere un r soltameoto di molte difficili ^ e anche fallaci operazioni dello spirito. 3o8 Dunque non  vero ci che il N. A. dice in molti luoglii che il principio di contraddizione sia il primo e supremo d tutti i principi ^ egli non  pi che un principio subordinato e dimostrato per mezzo della sua immedesimazione con noi duncpie noi siamo pi certi di noi che del principio di con traddizione, certi di noi prima che questo principio sia a no stessi applicato^ o se noi non siamo tali , se noi per awen tura non abbiamo un' intrinseca , necessaria ed evidente cer tezza , forz'  che anco il detto principio partecipi de' nosti difetti , delle nostre limitazioni , della nostra contingenza. -Di pi, noi siamo certi di noi solo fenomenalmente^ peror che il NOI sostanziale, secondo il N. A. non si sente , ma s argomenta col principio di contraddizione (i). La certezza fe- nomenale non  che certezza dell' apparenza. Dunque anche la certezza di contraddizione non avi' in s di certo pi che l'apparenza: il che viene a dire:  certo che a noi appare certo ^ ma non sa|)piamo poi s'egli anche sia veramente, real- mente, sostanzialmente certo. Dunque anche le conseguenze che si cavano dall' applica- zione di tal principio, non eccedono la certezza apparente: e applicato , per esempio, al trovamento del noi sostanziale, il ri- sultato sar:   certo che a noi par certo, che noi siamo so- stanze  ^ applicato al trovamento della realit esterna , il n- sultamento sar pure: w  certo che a noi par certo, che k cose esteme sieno reali ^^ ; e cos si dica di tutte l'altre indu- zioni. Non si uscir mai dal fenomenale, se l' Io primo a noi cognito  puramente fenomenale ; non si giiigner mai alla certezza apodittica^ e noi saremo condannati in vita a vedere la lanterna magica. () Il C. M. dice espressampnlc rosi: t. Intanto queste parole stesse formano per lo meno una presunzione assai eRcace con- tro la sentenza di quelli che dicessero Y Io cognito per s stesso. Conciossiach questa locuzione u cognizione delV Io " ii forma' di due parti, cio i. della cogniziofte che pu esser comune a tante cose, e 2.** dell' /o che  l'oggetto particolare della cognizione. Dunque nella locuzione stessa, nella maniera di esprimersi, specchio del pensar comune degli uomini, si di^ stingne e si separa il conoscere dall' /o, che  la cosa cono* scinta: dunque V Io non e cognito per s stesso. * E chi direbbe mai, che l'idea dell' /o fosse V Io stesso? e senza l'idea d una cosa, si pu ella conoscere una cosa? altro 3ii nnque  il dire, ahe VIo ha sempre seco Tidea di s stesso ^ Itro  il dire ch^ egli sia V idea di s stesso. Chi dicesse la rima di questq due cose, distinguerebbe ancora YJq dalla sua ka, e hqr la confonderebbe insieme- Ci che qui si tratta OD  dellit prima cjue^tione , ma della seconda^ cio se V lo a r idea di s stesso , ovvero se \ idea deU^ /o sia una parte eil^esseuaia delP /o, P^ quantunque strana possa parere una tale dimanda nel rimo aspetto , tuttavia che non giunge a dire il filosofo j Dando si trova impacciato nelle questioni ? da per tutto trova iii&ODlt^ vuol uscirne da qualche parte: egli allora s^appix^nde id mui sentenza, che per s  fuormisura strana, e che ai lU occhi stessi , in altre circostanze , sarebbe sembrata falsa ino all^ evidenza, ma che allora, pel bisogno, per la volont ti prender pure una sentenza ,  la migliore di tutte per lui ^ !^ vi si addimestica , e finisce colP afiermarla sicuramente , d darle &de egli stesso: tanta  la forza dell^umana volont! Garto tale sarebbe la sentenza, la qual dicesse, che Fidea kU' Io entra nelF essenza delP Io stesso* L^ osservazione pia icmplice la smentisce ^ e colP osservazione i accompagna a BOftrarla assurda il ragionamento Quando si dice  idea delF io 99, si distingue manifestamcntt) 1 mezzo del conoscere, Tidea, d^lla cosa conosciuta, F/o.Se del i>eEzo del conoscere e dell^ oggetto conosciuto noi facciamo loa cosa sola, se leviamo la distinzione delle due cose fra lor(>, M^ abbiamo distrutta la cognizione umana, almeno nelW sud peeialit, TessenTia della quale esige sempre che sia distinto '* il conoicente, ji,** il mezzo del conoscere, e 3. T oggetto "^siosciutQ, D'altro lato, o l'idea dell' /o i tutto l7o, 0 solo una pajto ^dla sua essenza. Tutto VIo ella non pu essere^ perocch in tal caso ven'ebbe assurdo, che fra l' Io e l' idea dell' Io non avendovi pia di- "azione alcuna, Y Io non potrebbe conoscere nessuna delle Jtrc cose, giacch l'idea di una cosa fa conoscere quella cosa, u cui  idea, e nulla pi. In vero la cognizione de' cieli, della erra, de' corpi e degli spirili, sono cognizioni essenzialmente b'ierac dlla cognizione dell' /o. Se VIo non fosse dunque ni* 3ia tro che Y idea di se stesso , egli sarebbe per propria natura mitato e determiuato a conoscere solo so stesso, e non potrei ricevere nessun' altra cognizione senza perdere e mutare sua essenza, cio senza cessare dalPessere Io: perocch la  o un mero modo dell' anima stessa. All'opposto egli ne deduce la consegueuu , che noi non conusciamo , e non poisiaroo conoscere l'anima nostra, m Assurda  dunque^ dice, la prelesa  di cona^sto appunto ,  ogni cognizione essere puramente un atto ed un modo ^l' anima , e nulla pi m. (i) Hegel dimostra nella sua m Scienza della Logica, parte oggettiva , ^^. I M, che la filosofia non pu cominciare dall'io, o dalla sua coscienza. ^uilavia non parmi esser giunto n pur egli a separare interamente V Jo ^Ua cognizione dell' /o; imperocch egli pare ammellere una parte dell'io "1^ per se slessa ( Denn Ich , dies unmiUeibarts , Theils als ein in einem ^' hhertn Sinne Bekanntes, als eine sonsiige VorsUUungi tiwas sonst ^^4innUs gehrt zwar dem Ich an , aber isi noch ein von i/un untersclC" '^^^^r, damit sogUich tufklUger Inhaltj Ich hingegen ist die einfoiche Ge- ^^^fieit seiner selbs ) s senza accorgersi dell'assurdo che indi procederebbe. ^^ttava soggiunge, che l'io  anche un concreto, o anzi V Jo  il con ^""^tissimo ! la coscienza di s qual mondo moltiplice all' infinito ( convien '^^pre avvertire che siamo in un sistema d'idealismo) : * pensc e a cui non ho mai pensato. Questa strana proposizione no potrebbe essere pronunciata se non da quelli , che confondoc il sentimento col pensiero ^ e il sentire col conoscere. Io li indubitatamente il sentimento di me stesso : anzi, a parlare co Questo luogo chiama molte osservazioni; ne porr qui alcuna: i. Noe separasi abbastanza V io dalla cognizione sua. a.^ Parlandosi dell'  iot quale si mostra nella propria coscienza , si distingue col modo stesio di parlare la coscienza dall' lo , e per abbiamo due cose in vece di una, il che contraddice alla supposizione del filosofo tedesco d'una pirle eWlo nota per s stessa. 3. Si suppone , che Vlo possa fare un tal atto, col quale purghi s stesjk) da ogni concreto. Or questo parlare avrebbe qualche valore 4 se Vlo fosse il medesimo che sapere, conoscere; perocch in tal caso verrebbe a significare, che si purghi la cognizione da ogni concreto; ma dell'/o ci non si pu m nessun modo. Se e^so si purga da ogni con- creto, non  gi vero solamente che non  pi quell'io che apparisce nella comune coscienza , ma  vero altres che non rimane pi alcun lo di sorte alcuna, io meno lo , uguale a zero. 4*^ Finalmente si suppone che il puro sapere, dal quale si vuol partire , sia un atto dell'/o medesimo che si sol- leva per cosi dire sopra s stesso, e fa sparire le distinzioni dell'oggetto e del soggetto. Ma ci  falso, ed inconcepibile. Fino a tanto che non si tratta se non di un atto dell'/o, quest'atto, qualunque sia, riterr sempre la natun sua soggettiva; ogni atto  di un soggetto, suppone un soggetto agente j e dal soggetto riceve la sua natura. La dottrina hegeliana adunque, seb- bene faccia degli sforzi mirabili per disimpacciarsi dal soggetto, non le riesce per, n le pu riuscire, perocch ella muove sempre da un atto del soggetto, il quale, checch si predichi di lui, o lo si sublimi coll'im- maginazione , riman sempre un atto del soggetto : e ci solo basta a ren- derla ne' visceri suoi soggettiva , comechc si dissimuli , o aperto si ne* gb un COSI fatto peccato d'origine. 3i5 esattezza ) a io sono un sentimento sostanziale n (i): ma si tratta di sapere come questo sentimento passi ad essere cono- sciuto: ed egli indubitatamente diviene oggetto della cogni- zione in quel punto solamente, nel quale  pensato. Se dunque niente pu essere da noi conosciuto di ci che non  pensato, se io stesso ho bisogno del pensiero per conoscermi^ egli  cosa manifesta, che VIo non  conosciuto per s, ma per un suo atto speciale, cio per quell^ atto che si chiama pensiero^ Molti sono trascinati in errore dall^ osservare, che tostoch noi volgiamo il pensiero a noi stessi, ci accorgiamo che ci sen^ iiamo: or egli  assai facile, ripeto, il prendere equivoco fra il sentirci e il conoscerci, e dalP accorgerci che ci sentiamo, conchiudere erroneamente che ci conosciamo. Ci* che dico delP/o, dee dirsi di tutti i sentimenti cHe nell'/o si contengono, e che formano la coscienza, a quel modo che vien presa da alami impropriamente questa parola. Come adunque egli  impossibile , che la filosofia parta dall' Io solo^ cosi  impossibile, che nelP/o solo (isolato dalla coffttxione) si rinvenga il principio della certezza^ perocch ^li solo non  n pur conosciuto : e cos parimente  impos- sibile il collocare ne' sentimenti accolti nella coscienza, cio nella natura sentimentale ^ il criterio :  impossibile, in una parola, collocarlo nella coscienza presa nel senso di un atto di sen- tire, perch ella stessa ha bisogno di un mezzo che la illumini e la faccia conoscere. (2). (1) Io ho proposto diie defoizioni ddla sostanza , che possono > per la loro generalitji  accomunarsi alle sostanze tutte ^ nel iV. Saggio, Sex. V^ e Vii art. X> Tuna delle quali era questa: m una cosa di cui noi ci pos- r siamo formare il primo concetto senza pensare a cosa diversa da quella m. Ora m'  buon conforto a trovare, che il card. Gerdil, uomo di tanto senno^ propose una definizione pressoch simile alla mia:  Tout ce, di* ^'^i> ^"^ f^ous con^euons, ijui a son existence propre et qui est par-la distingue de toute autre chose, e* est une substance. Questa eccellente defi- niaione trovasi nell'opera che il filosofo savojardo fece in difesa del P. Ma- lebranche, P. II 4 Sez. I. Egli non sari difficile applicare questa definizione al seoUmeiito Io, e riconoscerlo immediatamente per una sostanza. (a) Nel. N. Saggio sult origine delle idee ho adoperato anch'io la parola coscienza pel complesso de' sentimenti di un soggetto , accomodandomi alla 3ir> Se la cognizione  diversa dall' Io cognito \ se V idea deW, non  r /o ^ se a conoscere V Io ^ e a conoscere tutti i sen menti cLe racchiude, ci ha uopo di un mezzo di conoscere: mane a cercare qual sia questo mezzo : rimane a vedere se mezzo stesso che ci fa conoscere l'/o, ci faccia conoscere alti r altre cose. E in vero molte sono le singolari cognizioni : j esempio, come diceva di sopra, c' la cognizione del cielo, cognizione della teiTa, la cognizione del mare, ecc. Se queste so tutte cognizioni ^ convengono adunque tutte nelF esser tali, che differiscono? nella diversit degli oggetti a cui si rifc sce la cognizione. Vha dunque nelle singolari cognizioni u rosa in cui convengono tutte, ed  quelP entit per la qu sono cognizioni ^ ve n'ha una in cui si distinguono, e sono oggetti diversi. Ora anche la cognizione di me  una cognizio singolare. In che si distingue e singolai*izza dall' al ti'e ? nelP vere per suo oggetto me, anzich altra cosa. In che si accomin coir altre? nell'essere cognizione. Il cielo, la terra, il man ogni altro oggetto, sono cogniti per la loro propria essenti per la loro propria entit? no certo; e se fosse, la cogn zione non sarebbe pi una:^ non potrebbe esser chiamata co una sola parola, cio colla parola cognizione^ ma dovrebl chiamarsi cielo, mare, terra ecc., co' diversi nomi degli 0( maniera di parlare di alcim filosofi. In una nuova edizione di qneirope intendo di emendare una xAc inesattezza, che ho cercato di evitare nel opere posteriori , come ne' Principi della scienza morale. In questa , io u eccitantemente la parola coscienza uel suo vero e proprio sinificato etimol gico f che  quello di co-scicnza , o sia scienza con noi , scienza riferita noi. In questo preciso significato apparisce^ che se T oggetto delle cogi zioni  un sentimento ( p. e. V Io) , la coscienza  in noi fatta tosto che fetta la scienza di esso: perocch tosloch noi conosciamo un senlimeB nostro, noi siamo di lui consapevoli. All' incontro nella cognizione de rose a noi esterrori non  cos. La cognizione di queste non  un esser codi pevoliy perocch gli oggetti di tah cognizioni non sono noi, n parte di in Si esige adunque iu tal genere di cognizioni, oltre la cognizione direHt anche la cognizione riflessa , acciocch noi n' abbiamo coscienza : la cogi xione riflessa ci rende consapevoli della cognizione diretta. La cosciema m rale finalmente appartiene alla riflessione di pi alto grado. Ved. i Pn tipi della seienza morate, e. VI ^ art. VIL 3.7 getti j nomi Indicanti essenze diverse , incomunicabili ^ non si tratterebbe in una parola di cognizioie^ ma di iforie sostane ze: la essenza dunque che si designa col nome di cognizione sarebbe annullata. Se dunque tutti gli oggetti particolari del conoscere, fira^ quali  pure VIo^ non sono essi stessi per es- senza cogniti, percb non sono essenzialmente cognizione^ con- vien dire cbe v^ abbia un mezzo comune di conoscerli , nel- r unit del qual mezzo consista V essenza unica della cogni- zione. Ma snella  cosi, come indubitatamente ^ ripeto, che con- viene cercare qual sia questo mezzo universale onde si co- noscono le cose e in cui V essenza formale della cognizione consiste, e nella evidente autorit di questo rinvenire la verit e la certezza. Vei*amente se la cognizione del mio esistere  certa ^ non pu questa certezza consistere che nell^ essenza di questa cognizione, cio nel mezzo infallibile pel quale mi co- nosco. Ma dovendo questo mezzo essere uno per tutte le cogni- zioni , egli ne verr che la evidente forza di lui , trovata e conosciuta che sia, diverr il fondamento della certezza uni- versale : si vedr allora , che quella stessa certezza che noi abbiamo deir Io ,  anche quella che giace in tutte V altre cognizioni ^ e che la probabilit delle cognizioni non ha origine se non dal non potersi sempre le cose con quel mezzo infalhbilc sicuramente da noi accoppiare, e dal non poter esser da quello immediatamente illuminate, o sia rese cognite. Qui adunque, in questo gran mezzo del conoscere  da cercare il solo criterio del vero e del certo. N mancarono uomini perspicaci, i quali or vedessero, or travedessero questo vero. Allegher un filosofo francese molto pregevole, del secolo XVII, il quale sent assai bene come V Io non ci  noto per s, ed ha bisogno d^un mezzo che cel renda noto, sebben sia difficile a distinguerlo questo mezzo dalP /o, per chi non ha acume di vedere filosofico^ egli si avvide pure che questo mezzo dovea esser quello stesso pel quale si co- noscono tutte Paltre cose, di guisa che gli d acconciamente il nome di verit': questi  il celebre oratoriano Tomassini. u L'anima (P/o), dice, non pu conoscersi senza conoscere  in pari tempo e colla stessa proporzione la verit' etema e 3i8 u Immutabile di eui ella  una pura capacit (i). Goneiossiacli tolto a difenderlo anche su questo punto. Ved. Sez. Vili, e. III.  GERT il Altri xnis negli ^r I }. i aiti t|3- iiddi(ar',: ARTES10 19 o lo yoglon veduto immc diatarncnte i Dio MALEBRANCin i J 4 - 1 3i9 fa io non potea condurre ad effetto questo pensiero , se non avo prima di fissar bene in che consistesse il criterio pro- to dal C. M. ^ e questa ricerca appunto mi ha condotto in- izi fin qui. Ma ora confesso di trovarmi non poco impac- io. Perciocch con tutta Pindustria che io vi posi, non potei capezzare un concetto semplice e chiaro di cotesto criterio Mamiani, fuggendomi esso continuamente dalle mani sotto ra forma, quando io pensavo sotto la prima averlo ghermi- Di vero noi vedemmo che ne^ var) passi del suo libro, il A. si arrabatta colle sue proprie dottrine, n mai consente  medesimo. E tuttavia per un punto luminoso e quasi direi promi- Qte mi si rappresenta ne^ diversi ragionamenti del Mamiani, [uesto  la ragione che il pi spesso reca della certezza V intuizione , cio che gli oggetti ^ intuizione immediata si ruificano con noij e per a noi sono certi altrettanto quanto stessi. attenendomi perci fermamente a questo concetto, e la- ando andare ogni altra cosa cne con esso non possa avve- n, io mi rifar al primo mio divisamento, di tracciare cio i breve storia deNarj sistmi intomo al principio dell^ umana tezza , inserendo in essa anche quello u dell^ intuizione im- iiata fi. Perciocch questo cotale prospetto de^ pensamenti ani intomo al principio di certezza mi far due buoni uf- all^ intendimento mio mirabilmente opportuni, Tuno di e un mezzo spedito da poter equamente giudicare la dottrina C. M., r altro (e questo pi mi piace) di giovar forse di- amente la scienza filosofica, tentando ad un tempo, se mi ce , d' intendermela bene e fuor d^ ogni equivoco co^ miei reti e cortesi lettori. l comincer dal metter loro a dirittura sott^ occhio le sen- le degli scrittori nella qui annessa Tavola sinottica de^prin- di sistemi filosofici intomo al Criterio della certezza. 320 CAPITOLO XIX. SI COMINCIA AD ESPORRE LA CLASSIFICAZIONE DE^ SISTEMI FILOSOFICI. Or qui noi lasciamo da banda , come si vede volgendo uno sguardo alla tavola , quegli scettici o plrronianl , che e saoDO d^ esser tali , e se ne confessano aperto , ne vogliono perci udire d' investigare o d' ammettere qualche criterio di verit e di certezza. Questi non appartengono alla carta che noi abbiamo di- segnata, perciocch rifiutano ogni sistema^ e non avendone alcuno, ne vero ne falso, n consclenzioso ne subdolo, non v'ha posto a dar loro in cotale descrizione. Quelli airincontro, che o sono scettici senza saperlo , o sapendolo se ne disinfin- gono ^ proferendo pure un criterio, sia qual si voglia, anck vuoto di significato, anche racchiudente P opposto di ci che si pretende con esso, racchiudente lo scetticismo pienissimo; debbono esser segnati nella mappa nostra, se non come teire abitabili, almen come mari o acque correnti. Or dunque la prima, e la maggiore divisione che dob- biam fare di tutti I sistemi,  appunto quella che noi ab- biamo accennata. Alcuni pongono il criterio del vero in una PRIMA verit' da cui tutte P altre discendano^ alcuni altri noi pongono in alcuna singolare verit, ma In un cotale indizio m verit', al quale indizio riportano ogni proposizione, quasi al suo paragone ^ finalmente altri distinguono queste due maniere di criterj, e danno P uno e P altro, come fecero i sottilissimi e a gran torto spregiati maestri della scuola. Insieme per noi osscrvanmio , che due criterj supremi noa ci possono avere , e che ogni criterio qualsivoglia, collocalo itt un indizio di verit ^  sempre sott' ordinato a quello, che n- slede in una prima verit. Perciocch quello che  semplice in- dizio a conoscere la verit, non pu essere per se evidente^ appunto perch non  una verit prima determinata. S in- tende assai bene , come vi possa avere una prima verit en- dente , perocch P evidenza non  che la luce giustissimamente irresistibile di quella verit ^ ma quello che  indizio di venta? 3ai non la verit stessa , ha bisogno della luce di questa a ren- ersi chiaro e giustamente autorevole alP intelletto. Dee adunque dirsi, col nostro C. M. appunto, che tutti ae^ filosofi , i quali hanno proposto un criterio del vero in Q indizio di lui, non sono pervenuti a trovare il criterio su- remo; e quando ce T hanno voluto dare per tale, hanno er- ito. Il ciiterio supremo dee essere immediatamente verit , rima venta, V essenza della irrita. CAPITOLO XX. CONTlZIUAZlOlfE. Tuttavia anche i criter j posti in un certo indizio di verit non nella verit stessa essenziale j bench dipendenti e Infe- iori a questa , hanno un ordine in fra loro , cio sono pi o Beno elevati^ pi o meno vicini al criterio supremo. Perci tentiamo di annoverarli, di classificarli, di parago- Horli insieme brevemente.  poich fra questi viene a cadere 1 criterio del C. M. , potremo quinci conoscere qual posto egli i tenga, e se in questo genere di cri ter) inferiori occupi im Dogo prossimo al criterio supremo, o da questo lontano. Grindizj suggeriti da' filosofi a distinguere il vero, furon XMti o dentro, di noi, in qualche interior fatto dipendente da loisoli^ o in qualche segno al tutto a noi esteriore^ o, cam- minando per una via di mezzo, parte in noi stessi, e parte o cose fuori di noi. Cos questo primo genere si divise in tit grandi classi di sistemi intomo al principio della certezza. CAPITOLO XXI. coirrunrAzioHE. Le due prime per di queste tre grandi classi si suddivisero, ^crocch quanto allaprima, furono immaginati diversi cri ter j di ertezza, secondoch diversi filosofi si fecero un diverso con- etto deir uomo , di maniera che le diverse ideologie y psicologie antropologe produssero, come era necessario, diversi criterj i certezza. fiosMun, // Rinnovamento. 4i 3aa I principali di questi sistemi circa il criterio di certezza si possono ridurre a questi cinque: i. Quelli che deducono il criterio dagli atti delP anima, a.* Quelli che lo deducono dalle facolt^ 3.*^ Quelli che lo deducono dagPwti/itf, 4.* Quelli che lo deducono dalle ybr/we innate^ 5.** Quelli che lo ripongono semplicemente nella evidenza , senza determinare a quali operazioni o condizioni delP anima l'evidenza appartenga. Egli  chiaro, che Cartesio, il quale dice Cogito ^ ergo sum, pai*te dagli atti deli-anima, e per appartiene alla prima di que- ste cinque specie. Cartesio parte dagli atti del pensiero ^ anzi da un atto singolare, non dagli atti in genere. Se alcuno partisse da qualche altro atto, o dagli atti di qualche altra facolt, non dell' intellettiva , questi formerebbe delle differenze che ap pai'terrebbero ad una variet della prima di queste clncpe specie. Quelli che sono compresi nella seconda specie, convengono tutti nel prestar fede alle facolt che ha V uomo di conoscere il verOj che  quanto dire in riputarle infallibili, almeno otc elle s'adoperino secondo natura. Ma si dividono poi fra loro secondoch a pi facolt insieme prestano fede , o ad una sola; e in quest'ultimo caso, secondoch una facolt preferiscono ad un' altra, e ad una pi tosto che ad un' altra danno la loro piena e prima fiducia. A ragion d'esempio, I. Il celebre sofista di Abdera , Protagora , avendo stabilito che l'anima non  che la facolt di sentire ^ non potea met- ter confidenza che ne' soli sensi. Ne' tempi nostri Elveoo rinnov la stessa opinione, come conseguenza di im princi- pio simile , cio che Y anima non sia che un cotal complesso di sensazioni. Chi volesse procedere innanzi colle suddivisioni , troverebbe de' filosofi che non a tutti i sensi diedero ugualmente fede, ma che alcuni o alcuno ne predilessero. La maniera di p^ lare degli antichi e di molti modeiTii, che  propria d'on filosofia ancora volgare, dimostra assai chiaro, che fu attribniW^ 3^3 pili alla vista, che agli altri sensi (i). Si vedono allMnconti*o presso gli antichi i Cirenaici, che tatto diedero al tatto del pia- cere e del dolore (a)^ a cui si accost molto Condillac, che dopo aver ridotto ogni facolt al senso organico, attribu al solo tatto il giudicare y come anco V insegnare a giudicare agli altri sentimenti. II. Epicuro veggendo che Protagora passava per iscettico , e tolendone egli evitare la taccia , aggiunse a^ sensi V anticipa^ aoncy che non  poi altro che P idea ideila cosa, che supponsi provenire da^ sensi ^ il che mi pare dover convenire colle idee della riflessione lockiana. Per in queste due cose mise egli il criterio, nelle sensazioni^ e nelle idee delle cose sensibili, che diiam antic^azioni ^ perch precedono ogni nostro ragiona- mento^ a cui per terzo criterio aggiunse T istinto, o la pas-* Aone, come egli lo chiam, la quale discemesse le cose mo- laU (3). ni. Vebbero di quelli che non risguardarono i sensi esteriori come Pinfallibile testimonio del vero, ma voller tale il sentimento (i) Gli antichi usavano la parola visa per significare ogni impressione ensibile ( Ved. Cic. iii LucuU, X e XI ) : essi parlavano di tutti i senti- xeoti corporei con uu linguaggio^ che in propriet non conveniva che al- Pocchio. Lia parola greca ^afrana, che Cicerone traduce per visum ha tigualroente una relazione alla luce corporea ^ perocch viene da ^Ar, in butrn edo, (2) Quid detactu, dice Gicrone, et eo quidem, quem philosophi iniC' nofwi pocant, aut doloris, aui voluptatis? in quo Cirenaici solo puiant veri fejudieium^ quia sentiatur ( in Lucuti, VII ). Diogene Laerzio in Ari' *fppo dhe, che questo flosofo ammetteva due soli movimenti dell' animo> il dolore ed \ piacerei Ji 9 a^n v^ nel Teeteto. Uno de' mezzi di dar luce alle questioni , si  quello di notare accuraU- niente i diversi gradi pe' quali si avanz l'umana mente nella loro tratta- uone. Ne dar qui un esempio. Tutta l'antichit senti quanto era difficile a spiegare il modo> onde u essere solo e semplice, come  lo spirito, potesse percepire e comprendere tante svariate cose, massime le corporee, che sono fuori di lu. Sembrava, che le cose non si potessero intendere se non portandole nello stesso no- stro spirito, o trasformando lo spirito nelle cose. Furono adunque inven- tati diversi sistemi; ed ecco quale manifesta gradazione tengano fra loro i tre, di Empedocle, di Protagora e di Aristotele, gradazione, dico, dal grossolano e volgare, al pi pensato e filosofico. I. Empedocle ( stando al modo onde lo intese Aristotele ) spieg il fatto mediante la supposizione, che l'anima fosse una composizione di tutti gli elementi dell'universo, ch'egli ridusse a quattro; e che per questo ella po- tesse intender le cose, perch ella avea in s la natura di tutte; sicch colla terra ( di cui  composta F anima ) si percepisca la terra , coli' acqua l'acqua, e cosi dell'altre cose. Aristotele, nel lib. I de Anima ^ reca questi versi del filosofo d'Agrigento : Terrantnam terr, lymph cognoscimus aquam, JEUiera aethere sane, ignis dignoscitur igne; a coi aggiungeva pel discernimento del bene e del male due istinti : Sic et amore amor, ac tristi discordia lite. n pensiero d'Empedocle non era nuovo. I suoi precessori erano pirtiti dal medesimo principio, che l'anima dovesse constare di tutti gli clementi delle cose che ella conosceva; solamente variavano nel l'assegna re il numero di questi elementi. Perci Aristotele dice, che t* quelli che ammettenoo M pi elementi > facevano l'anima da pi clementi risultare, e quelli che db w solo, di questo pure volean fatta l'anima . \j, l de An. 3^7 Nel qual concetto conviene forse riporre il preciso punto , in ni Aristotele si divide da Platone. Questi distinse assai bene oggetto intelligibile dall^ animo intelligente^ Aristotele all^incon n. Protagora fece u passo pi avanti. Egli abbandon un'idea cosi iileriale. I quattro elementi di Empedocle erano enti materiali^ e non rasentavano il senso, l filosofo abderitano pose mente al sentire, e ri- usse tutte le cose ad altrettante modificaoni del sentire. L'uomo non n, secondo lui^ cb^ un sentimento il quale si modificava e cosi conver- iiisi in tutte le cose: quindi Tuomo era il criterio anche del vero e del ilsD secondo Protagora. UL Aristotele (ad intenderlo secondo ci die alcuni suoi passi danno  credere ) fece il terzo passo in questa progressione d' idee. Egli , come idoe primi ritenne cbe l'anima per conoscere ha bisogno d'essere tutto ci che conosce. Senti per l'assurdit d'immaginar l'anima come una Dslura materiale alla guisa di Empedocle: trov anche &lso il ridurre ogni cosa al sentimento  come Protagora ^ accorgendosi che  molto di- imo il conoscere dal sentire, Cbe (a ? Gonchiude  che l' animo intellet- tivo dee essex qualche cosa di diverso da' quattro elementi; che non pu cneren pure un sentimento vario- forme; egli dunque  una essenza pro- pria una quinta essema, la quale ha virt di divenire tutte le cose e d'intenderle. Aristoteles , cosi Tullio , -~ cum quaiuor nota illa genera prin- piontm esset complexus, e quibus omnia orirentur, quintam quamiam no-  e d'una quarta innominata^ che riputava essere M sensitiva e dotata della virt del sentire m (De PlacL lib. IV , e. Ili ). Quest'ultima qualit occulta pu avere svegliato nella mente di Aristotele il pensiero di quel suo quinto elemetito. Ancora osserver^ che non si dee gi credere, che il progresso delle idee mantenga sempre l'ordine cronologico materialmente preso: ci nan li avvera sempre^ e non converrebbe legarvisi rigorosamente ^ a chi volesse essere lo storico della filosofia , anzi che de* filosofi. Per esempio Aristo- tele era stato preceduto da Platone, il quale era andato pi avanti di lui, avendo conosciuto > che le idee non sono gi la mente stessa trasformata ^ ma bea Altro. Aristotele torn adunque indietro; torn a confondere l'og- getto col soggetto, come avean fatto i filosofi jonici che furono primi di Platone  sebbene lo stagirila evitasse i loro errori pi grossi e manifestL Tuttavia l'ordine cronologico si mantiene, ove si consideri Aristotele Gome appartenente ad un' altra famiglia diversa da quella di Platone.  finalmente si noti, che i tre passi indicati ne' tre filosofi, Empedocle, Protagora ed Aristotele , appartengono al progresso graduato dello spinto umano > e che per si trovano ripetuti nella storia della filosofia moderna. E veramente, i.^ Noi veggimo il primo passo ne' materialisti, a ragion d'esempio io Hook, che affermava le idee essere sostanze materiali, e il cervello un com* plesso di diverse materie corporee atte a formare le varie geoeratiooi d'idee. Cosi le idee della vista , egli voleva che fossero d'una materia sioiile a quella della pietra di Bologna.  il pensiero di Empedocle, e anche piili grossolano. a.^ Veggimo il secondo passo ne' sensisti, per esempio in CondillK, che riduce tutto il sapere alla sensazion trasformata. 3.^ U terzo passo  manifesto negl' idealisti trascendentali , per esempio in Fichte, pel quale il principio pensante si trasforma in tutte le cose. La legge dello spirito umano  mantenuta. Non solo v' un progresso nelle funzioni dello spirito sano, ma anco le malattie dello spirito proce- dono con leggi fisse. E tuttavia non si dee confondere il progresso dello spirito sano col progresso dello spirilo infermo, come egli sembra cben voglia pur (are da taluni. larsi in mille dlv;rsi modi, e cosi per una cotale spontanea iri generare di s, senz^ altro principio, la propria scienza. Ma tomo a dire, che il principe delle Scuole non va con- entanco a s medesimo. VI. Finalmente alcuni credettero di dover riporre il criterio lei vero non in una facolt speciale, ma nella coscienza o onsapevolezza di tutto ci che avviene dentro di noi: come leinhold, in Germania, che parte dal fatto della coscienza: e alora il nostro C. M., il quale chiama il suo principio ora ntaizione immediata, ora evidenza del senso intimo, ora cor- iena della coscienza. CAPITOLO XXII. CONTINUAZIONE. bbiam detto, una terza specie di filosofi avervi, i quali diffidatisi delle facolt di conoscere, corsero a porre il criterio del vero in alcuni istinti razionali ^ che diedero alPanima imiana. Dichiararono questi istinti, inesplicabili^ dissero formar essi ^Uo che si chiama senso comune degli uomini, il quale po- sero infallibile. Cos essendo sembrato a questi pensatori, che sarebbe male affidato il tesoro del vero nelle mani delPuomo individuo, il quale lo manometterebbe e sperderebbe, s^ avvisa- rono di assicurarne il possesso col confidarlo alla natura. Felici legislatori del mondo intellettivo, se avessero tanto di potere, |uanto mostrano di buona volont! Ognuno s^ avvede, che qui i parla di Reid e della scuola scozzese. Figlie di questi istinti di Scozia sono e Jbrme germaniche. Egli  manifesto, che se per la filosofia critica c^ una verit, Q qualsivoglia senso prendasi la parola, ella non pu trovarsi 'he nelle Jbrme. In queste adunque pu dirsi , che tali filo- ofi venissero collocando il principio di quel vero, qualunque ia, che concedevano alPuoino di conoscere. Finalmente v'ebbero alcuni , che credettero di aver indicato U sufficiente criterio colla parola  evidenza  : parendo loro, 'he questa evidenza appunto fosse la nota del certo. E ninno pu in questo contraddir loro:^ anzi tutti quelli che rivolsero Rosmini, // Binno^anterUo. 4^ 33o r animo a questa bella parola di evlenza^ non esitarono a confessare, che in essa dee cominciare ogn^ altra certezza: ma non s' accordarono perci meglio in fra loro , come ottima- mente osserva un filosofo nostro molto erudito, del quale (seb- bene io assai giovanetto conversassi con lui gi vecchissimo) m^ carissima la memoria, e gratissimo il ricordare Pailabi- lit, voglio dire, Cesare Baldino tti (i). Quelli adunque che ammettono nel? ev^idenza il criterio, pos- sono appartenere ad ogni altra classe delle annoverate, o di quelle che annovereremo; perocch resta loro a dichiarare in che pongano questa evidenza, e secoudoch in una cosa o nell^ altra la pongano, conviene dar loro compagnia: se poi niente dichiarano, forz^ lasciarli da parte, come cose che non possono &a T altre classificarsi. E per ho voluto accennar cotesti filosofi della evidenza, che restando da s , e dagli altri divisi , possono assai conve- nevolmente formare un di'appello speciale. Se non che forse alla loro schiera si debbono aggiunger di molti, i quali, dopo avere posto il criterio nella evidenza^ credettero di aver definito ab- bastanza dove questa evidenza si trovi, affermando risieder essa nella coscienza. Non s^ accorsero cotcstoro, che la coscienza abbraccia tutte le facolt mnane, tutti gli atti di queste facolt^ anzi non solo le azioni , ma ben anco le passioni tutte; siah col nominare la coscienza, non hanno ancora indicato dove peculiarmente Pevidenza si trovi; perocch la coscienza umana  a guisa del mare, che larghissimo si distende e infinite isole e continenti circonda ; n altri avrebbe fatto conoscere in che parte di mondo si trovi una citt, od una terra, col dire solamente cVella si giace nel mare. Il che abbiamo gi prima notato avvenire del criterio del C. M. (2). (i) CrUerium, sensu quo muto de eo agimus iicceptum , omneSs ^ ^' tentias inUmius perscrutemur, in evidentia esse positum conscnsere, Disse^ sio est de criterio w per quod m, de principio nempe et fonte , a quo '' dentiam derivarunt ( Tentttminum Metaphysicorum Libri III, Tentameli h cp. VII, 2572). (a) Gap. XV. 33 1 CAPITOLO XXIII. CONTINUAZIONE. La seconda delle tre grandi classi di sistemi intomo al cri- terio della certezza da noi accennate,  di quelli, che Pindizio del vero e del certo non posero nelF anima nostra individua, ma fuori di lei. . Questi, ribassata la ragione di ciascuno, danno tutto alP/m- tort'^ e si partono in quelli che danno tutto alP autorit di- Tina, e in quelli che danno tutto alP autorit del genere lunano. I primi nuovamente dissenton fra loro. Perocch ve n'hanno che attribuiscono ogni criterio all'auto- rit divina conosciuta per la rivelazione affidata alla tradizione di una chiesa^ e questi ancora variano secondoch questa chiesa la trovano qua o col, e dichiarano questa o quella societ per tale chiesa. Daniele Huet, a ragione d'esempio, disconobbe ogni principio di certezza, che non fosse posto nella divina rive- lazione in quanto  confidata alla Chiesa cattolica. Altri poi riposero il solo principio di certezza nella divina rivelazione depositata nelle sacre scritture. Altri ancora convennero con questi nelPammettere il princi- pio della certezza nell'autorit divina , ma la vollero conosciuta per immediata interiore ispirazione^ i quali si possono dire ^Ormistici^ o fanatici. Ove bisognasse accennare alcuno di cotestoro fra gl'italiani, pronuncerei il nome di Bernardino Ochino (i). (i) Ecco il panegirico che Ochino fa alla ragione umana :  La ragione adunque naturale , non sanata per la fede ^  frenetica et * aiolta. Si che puoi pensare come possi essere guida et regola delle cose ** soprannaturali^ et come la sua erronea filosofia possi essere fondamento ** della teologia, et scala per salire ad essa. Se la ragione umana non fusse ^ frenetica ben che habbi poco lume delle cose create > pure se ne servi- ^ rebbe, non solo in elevarsi alla cognitione di Dio, ma molto pi in co- ** gDoscere, con Socrate  non solo che non sa, imo n pu alcuna cosa, ** senza la divina grada. Dove ora  si superba, che con deprmere , sotter- ** rare, et perseguitare Ghristo, l'Evangelio, la gratta et la fede, ha sem- 33a Quanto poi a quelli che danno tutto airautorit del genere umano, potrcbbersi suddividere in pi fazioni, delle quali due sono le principali. L^una dichiara infallibile il genere umano, perocch le sue facolt conoscitive collettivamente prese non possono errare. Ualtra dichiara infallibile il genere umano, perch deposita- rio e testimonio veridico delle primitive verit da Dio conse- gnate agli uomini. Reid in Iscozia , e Giacobi in Germania, sembrano apparto- f pre magnHcato l'uomo carnale, il suo lume et le sue forze. Et d pi  per essere frenetica  in modo cervirnsa , che si* per fede non  sanala, M non accetta per vero se non quello che gli pnre, n segli pu dare ad H intendere una verit, se iu prima sindacatH dalla sua frenetica ragione  non  conforme al suo cieco giudizio. La rilosuda adunque sia i^ii bassa, u nella oscura vmIIc de' sentimenti non pu alzare la testa alle cose alte et w soprannaturali, alle quali  id tutto cicca > { La seconda Parte delle Pre- dicfie di Mess, Bernardino Oc h ino y^enese^ Pred. UT ^. E cosa degna di osservarsi ^ che gli eretici del secolo XVI comin- ciarono dal deprimere fino al fondo la ragione', e linirouo coirinnalz^irb al di sopra delle stelle, col dichiararla unica loro guida, col divinizzarla, si come veggiamo farsi oggid. L'Ochino, che tanto umiliava la ragione, in- tendeva in pari tempo T insufficienza della sola sacra Scrittura , senza un lume 'infallibile che la interpretasse. Or avendo egli rifuitata l'autorit delia Chiesa , cadde necessariamente nell' ullra-mistinsino, cio nell' ispirazione privata; non rimanendo veramente altro sistema, che questo, iu cui rifug- giarsi^Achi conosce l'insufficienza della ragione e della Scrittura, e ooo vuole negare all'uomo ogni verit : w Le Ikere sacre non bastano, dice, per avere lume di Dio a suflicieotia, M imper eh' ei potrebbe essere una persona , la quale per la sua felice me- M moria, avesse le scritture sacre et la loro inlerpretatioue a mente, et M per forza d'umano ingegno, l'intendesse humaoamente, et fosse seoia u fede, spirito j et vero lume di Dio. Perci ci bisogna spirito et lutne M soprannaturale, et che Dio col suo favore ci apra la mente et ce le facci w penetrare divinamente. Non abbiamo adunque ad avere le scritture SMre ....  per nostro ultimo fiue, n per uosire supreme regme et imperatriOf M ma per mezi et ancille, che servano alla fede, allo spirito, et alla Tert M cognitione di Dio t mollo pi che le creature.  ^ Di poi, beocb  nella chiesa di Dio , per certificarci , fermarci , et stabilirci nelle verit M divine, re vela te, et soprannaturali, bisogni all'ultimo venire ali'iatemo M testimonio dello Spirito santo , sen?/ il quale non si pu sapere , qu*^ M scritture sieno sante et da Dio, e quali do w ( Ochino, Pred. IV ) 33i re alla prima fazione ( i ). La Mennais e Ronald alla seconda : bbene il concetto di questi ultimi scrittori non sia chiaro, coerente con s medesimo^ perocch ora parlano di una gne della specie umana come infallibile, ora di una tradii' ine universale della verit^ le quali due cose si oppongono UT fra loro , come si oppongono la ragione e F autorit. CAPITOLO XXIV. CONTINUAZIONE. La terza delle tre grandi classi  di que' sistemi, che hanno itto il criterio della verit n dipendente solo dalP anima ndividua, n solo da qualche cosa esteriore, ma l'hanno vo- lto quasi un risultamcnto delle operazioni dell' anima, e di zioni esteriori all'anima stessa. Tra i moderni italiani qui ci si presenta Giandomenico [(Hnagnosi (2). Egli chiama il suo sistema, della compotenza (3)^  anco delV idealismo osociato (4)* Udiamo come egli esponga i fondamenti del suo sistema:  Si pretende n (cio egli stesso cos pretende ) a che il sentire  venga operato mediante la provocazione dei sensi attivamente  corrisposta dalla potenza senziente , talch 1' atto di esterno t sentire non consista n in una visione di specie trasmesse , ( n in una meccanica mozione, n in una percezione passiva- mente eccitata (5) , ma bens nel prodotto di una funzione (1) Solamente che Reid meUe la ragione del senso comune negli istinti , iiiodo Giacohi pi si. avvicina ad un processo razionale, che s' incomincia (r dalla fede naturale religiosa. (3) Il Romagnosi si classifica da s stesso fra quelli che mettono il cri- no non in qualche verit prima, ma si bene in un semplice indizio di tit, dicendo cosi:  siccome tante possono essere le verit quanti sono  giadizj ben fatti , cosi il criterio non insegna veruna verit particolare, na solamente ne assicura le condizioni assolute che riscontrar si debbono nei gindizj positivamente pronunciati, senza le quali non vi pu essere verit . F'edute fondamentali sull'arte logica, lib. I, e. iv , 17. (3) Della suprema economia dell'umano sapere, P. Il, g xxvn. (4) Vedute fondamentali sull'arte logica, lib. II, cap. iv. (5) Non riflette il Romagnosi abbastanza al concetto della  percezione issiva  Quando si dice percezione passiva , si dice tutto. Nella parola JJ4  solidale di provocazione dei sensi (i) fatta alla potenza sen- a ziente, e di nazione di questa potenza, nella quale si verfica percezione si esprme (non v'ha dubbio) un grado di attivit dell' anima. Perci quando si dice m percezione passiva m, non si viene a dire gi uoa mera e semplice passivit. Nessun filosofo ha mai pensato cosi. H Roma- gnosi adunque si oppone ad una sentenza , che non fu mai al mondo. Che se il Roroagnosi intende di aggiungere all' anima nell' atto del sen- tire qualche attivit particolare , diversa da quella che si contiene gi nella r percezione passiva m; egli pone un'attivit al tutto superflua nell'anima senziente, e interamente gratuita. Come prover egli questa sua ipoUsi non per la necessit dell'eifetto^ non per una osservazione di fatto. Si pe- sino le sue ragioni, e si trover sempre^ che non valgbno a provare se non quel grado di attivit, che ogni buon filosofo riconosce nella  per- cezione passiva M. Dovea il Romagnosi uscire dal maestoso padiglione delle tenebre, dalle quali si circonda; e per uscirne, gli era bisogno definire qual natura e grado di attivit egli ammetta nella sensazione; e se egli avesse definito questo, sarebbesi potuto raffrontare il suo sistema a quello degli altri filosofi, e vedere se egli ci dica qualche cosa di nuovo , o se l' attivit dello spirito da lui ammessa nella sensazione sia n pi n meno quel grado e quel genere di attivit che i filosofi ammettono nella  percezione passiva . Ma non dichiarandosi su questo punto , tutto ci che egli propone , vestito di nebulosi vocaboli , rmane incerto ed equivoco ; n si sa ben dire, se nel fondo il suo sistema, quanto a questo punto, sia nuovo j o solo vestito di nuovo. Nel Nuovo Saggio io ho distinte le diverse attivit dell'anima , ed espressi la loro natura. Ho ammesso un'attivit prima nel sentimento fonda rneniaU' la sua natura  definita colla natura del sentimento stesso rivelatoci dalla coscienza. Questa  un'attivit immanente ^ non per un'attivit pura, pero^ che prodotta, quindi mescolata di passivit. Quanto alle sensazioni avven- tizie, ho dimostrato, che l'anima in queste non esercita una attivit nuova, ma quella stessa del sentimento fondamentale sempre in atto. La legge di questo fondamenta! sentimento si  quella di m modificarsi a tenore dell1^ parte adunque degli agenti estemi non pu aver luogo il sistema di comr potenza : perocch i corpi esterni agiscono sulla materia del sentimento, ^ non sul sentimento; questo poi si modifica per una legge sua propria. Ora la ragione, per la quale il Pcomagnosi non pervenne a conoscere e  definire la natura dell'attivit dell'anima nelle sensazioni , si fu perch ooo vide in che consista la essenziale distinzione fra il sentire e il conoscerti  perocch niuno pensa a' suoi atti, ma solamente pensa agli og de' suoi atti: all' incontro nellVo penso di Cartesio,  il filosofo che [ il pensiero, e niente s'intromette senza sua buona licenza, niente s'ii mette se non ci che si vuol porre espressamente all'esame. Non puc sece adunque un buon principio della filosofia l' Io sento di Romag I filosofi tedeschi sono quelli soli, ch'io sappia, che abbiano senti forza di questa osservazione; ed  per ci, che ne' loro iiliri vg| fare tanti sforzi per isolare il pensare, e rinvenire quel sempfice pei che essi chiamano pensare come pensai-c. Conviene che diamo il uier Fichte di tale elevazione in Germania. Questi conobbe assai bene, Reinhold, partendo dal fatto della coscienza, partiva da un vago  moltiplice da uu incognito. Fichte, fra i l'alti della coscienza scelse 337 Egli si fa dunque a porre tutta la sua meditazione nel fatto del sentire. Or veggiamo T analisi elisegli ne fa.  Per primo ed immediato sentimento distinguo le segna-  ture po5zVe 5 per le quali dico odore, sapore, suono, caldo,  freddo^ figura, ecc., dalle segnature razionali^ per oui dico  simile, dissimile, singolare, plurale, maggiore, minore, s,  no, dubbio. Il sentire queste due segnature  un fatto in-  chiuso nel concetto generale del verbo io sento ^ astrazion  fatta da ogni giudizio sulla causa o sulla derivazione del a mio sentire > (i). Vedesi quanto riesca facile a questo filosofo il trovare le idee astratte del simile, del dissimile, del singolare, del pla- nle ecc! Egli le chiama segnature ^ come le sensazioni del- P odore, del sapore, del suono ecc., e le considera come un fatto rinchiuso nel concetto generale del verbo  io sento ". E tutto ci basta a lui di affermarlo, essendo cosa evidente, non bisognevole di prova, cosa che u si distingue per primo ed im-  mediato sentimento " ! Nelle mani di questo autore la ge- Mnplice che potea rendersi cognito da s stesso , e questo non potca esser altro che V atto del pensiero. L'error suo consistette nel non essersi sollevato un passo pi in su: in vece d partire da quello che pub rendersi ^to da s f dovea partire da quello che  noto per s. All'opposto non inteso per nulla il vero importantissirao di cui parliamo "untore delle quinte obbjezioni fatte a Cartesio^ il quale gli oppose: Non ^ideo libi opus fuisse tanto apparata ; quando aliunde certus eros , et ce- 'iMi erat te esse: poterasque idem \hI ex quavis alia tua actione colli' cre: cum lumine naturali notuin sit, quicqud agit esse (In Medit. II). Egli  falso ^ che Cartesio potesse partire da qualche altra operazione  e. Vili, 8. versale n. Come poi distingue i termini di quelle vibrazioni in quelli che non sono suscettibili , e in quelli che sono su- scettibili di versioni ? Se cangiando i termini si cangia la vi brazione , come dovrebbe essere , allora s' intende in che modo quelle vibrazioni or sieno il vero assoluto, or non sieno^ ma in tal caso  falso che quelle vibrazioni non cangino. Se poi ri- mangon ferme le vibrazioni, anche mutandosi i loro tennini: allora egli par che debbano restar sempre quello che sono mia volta, e se sono il vero assoluto, debbano esser sempre il vero assoluto. Non ci veggo mezzo. Ma di nuovo, tiriamo innanzi nell^ esposizione de' pensieri del N. A.^ sperando che il lettore non pretender da noi che gli rendiamo chiaro V oscuro: e s' accontenter se noi , coir esporre qua e col i nostri dubbj. veniamo confessando, che il bujo ci par fitto da non poter in molti luoghi penetrare sguardo, ne pur di nottola. Di quel potere occulto egli favella in un altro luogo, de- scrivendol cos :  Di lui dir si pu ci che scrisse Virgilio, spi'  ritus intus ality totamque infusa per cutus nieris agitai molem.  Questo verbo non  la sensualit , ma risponde alle sue  impressioni. Non  1' immaginazione , ma ne fa sentire le u convenienze e le sconvenienze: non  la cognizione, ma ne u accompagna la formazione. Non  dunque l'intelletto, ma la  podest che ne autentica i prodotti n . u Egli non crea , non produce nulla , ma fa le funzioni di  supremo censore che approva e disapprova, accogUe e n- u getta , ed anche col suo silenzio pone in guardia a non pr- u nunziare verun giudizio definitivo. A lui spetta esclusiva-  mente di accordare la prerogativa del sapere e di investirne u le cognizioni nostre. In breve , V autenticit' scientifica  d u solo ufficio competente di questo potere n (i). Ma se v' ha in noi questo potere intimo , questo giuclice. censore supremo del sapere , che cosa potr egli giudicare, che cosa pronuncier del saper nostro? secondo qual regola lo di- chiarer autentico o non autentico? Se U sapere umano non  che un prodotto necessario oi (i) Vedute fimdameniali suWarle logica, Lib. II, cap. VI, n. i6, ; 34: i principj concomitanti, quel censore supremo non potr ; mai altro, se non: questo sapere  prodotto dalla sua sa mentre ella si trov in istato normale : quest' altro  pro- to dalla sua causa mentre ella fu in istato morboso, ifa lo stato normale^ e lo stato morboso della concausa i si pu conoscere se non dal prodotto stesso ^ cio dalla Jit del sapere prodotto. ^oale sar dunque questa qualit , o indizio della sanit [a causa? ^A Romagnosi trovo accennati due indizj, a cui conoscere il sapere prodotto  generato dalla sua causa in istato nor- ie, o no. D primo: Come la sanit si sente per un cotal diletto che a, cos parimente si sente il sapere se  autentico col senso ionale. Di qui si vede perch il Romagnosi dia nome di no a questo supremo giudice del sapere: u Esso dunque, dice , non  un giudizio intellettivo , ma un sentimento pari a quello del piacere e del dolore. Volendo dunque trovare una denominazione pi propria, io lo chiamerei potere di darsi pace mentale ^ (i). U secondo: Come le potenze operano sempre pi spesso in Etto di sanit , che non sia in istato morboso , cosi ( al- mo secondo V analogia della sanit fisica) si giudicher au- itico il sapere, quando sar conforme a quello che tiene la i^oranza degli uomini: u Se P ordine mentale del tal |i) Vedute fondamerUali sulfarte logica, Lb. II ^ e. YIII^ i3. Poco sotto e: ar Questo sentimento  propriamente pi estetico che razionale . erch dunque chiamarlo senso razionale ? e non dirlo a dirittura estetico ? le perch comparisca io parole razionale , quello che in fatto  irrazio- e?) H Ma sotto qualunque forma ^ egli rassomiglia ad una vibrazione psicologica inevitabile ed irresistibile >. Siamo qui colle vibrazioni! Il x> una vibrazione, il potere che distingue il vero  un'altra vibrazione! 1 DO; egli dice che solo rassomiglia ad una vibrazione. Se rassomiglia ad ^ vibrazione, e non  una vibrazione, che cosa sar dunque ? una quasi- ^one? che linguaggio  cotesto? ha egli nulla di filosofico? No certo; 'odo il linguaggio filosofico non si definisca : degli euigmi, che non ab* ino spiegazione alcuna. 344 u uomo corrlsponcle a quello col quale la natura conforma i a concetti della gran massa degli altri uomini, allora si v^ u rifica lo stato della ragionevolezza. Se poi V ordine mentale u del tal uomo non corrisponde a codesto ordine comune, u allora esiste lo stato di pazzia n (i). Perci la mente sana  quella che ci d il potere di a agire come il pi degli uomini a sogliono fare n (2). Ecco pertanto i criterj del vero di Giandomenico Roma- gnosi. Il vero stesso , secondo lui ,  una cotal manifattura della natura, la quale adopera, quasi due suoi ordigni a formarlo, Fazione estema, e la reazione intema. Il criterio del vero, che ce lo rende certo , sono que' due indizj che ci possono far co- noscere se quella manifattm-a  di buona qualit, o di rea, i quali sono i . il piacere che a noi viene da un cotal senso non tanto razionale quanto estetico, il quale si suppone essere in noi; "a. il consenso colla maggiorit degli uomini. Ho gi detto che non intendo di esaminai*e qui i varj cri- terj del vero, ma di csporU storicamente. Tuttavia , essendo necessario clie V esposizione sia chiara , convien pure accennai*c i passi equivoci , o dubbiosi , dimo- strando che r oscurit loro non procede dall^ espositore, ma che ad essi  intrinseca. Per esempio, una cosa che io espositore non intendo si  questa: I .^ Quando il giudizio che io fo sulP autenticit del mio sa* pere nasce dalla dilettazione che io ne provo , come posso ac- certarmi , come provare che questa dilettazione  segno sicuro che il sapere sia un prodotto legittimo? a.^ Quando poi giudico , che il saper vero  consentaneo al sapere e al fare del genere umano ; io, per eifettuare un tal pa- ragone, e un tal giudizio, ho bisogno pure di adoperare un in- finito numero di cognizioni e sensitive ed astratte. Or cowt posso provare che queste cognizioni , di cui fo uso a confrontare (1) Che cosa  la mente sana? P. II, J XIV. (Q) Ivi, i XV. 345 mio sapere con quello del genere umano, sieno esse stesse utenticlie? forse col paragonai-le anch'esse alle cognizlohi del enere umano? non c'involgeremmo nel solito circolo (i)? CAPITOLO XXV. CONTINUAZIONE. A questa medesima classe di filosofi , che fecero dipendere risultare il vero, e il suo criterio, dall'azione associata di oi e della natura, si possono ridurre quasi tutti quegli antl- iussimi sistemi, i quali fecero del mondo un animale, e gli leder un'anima. Anassagora^ e alcuni venienti dalla scuola italica, rifiutati i aisi, ammisero la mente a criterio del vero, ma voleano essi che uesta fosse purgata, acciocch, diccano, potesse convenirsi ed lrsi colla mente comune. Per simgliante modo Eraclito volea he la mente comune fosse il criterio della mente particolare ^ i quale, dove si unisse a quella, era retta, dove da quella si iridesse , fallace. Di che deduceva la fallacia de' sogni 5 per- locch affcnnava, che nel sonno viene separandosi la mente ngolare dalla comune ^ e in questa cotale secrezione della lente singolare dalla universale poneva lo stato di chi as- )nna. Di qui pure credea di spiegare il senno maggiore de' cechi, dando all'anima nella vecchiaja una relazione maggiore olla ragione . comune e divina: hovv(; xc ^eiOQ ^yog (ti). (0 Chi domaudasse^ se il sistema del Roraagnosi sa suo proprio^ o mu- U); io il manderei a leggere il Leviatan dell'Hobbes^ e. XXXI^ e il Dt ^9 e. XY. Nelle diverse opere del Roraagnosi si vedono manifestissime tede dello studio che egli pose in questo autore^ pel quale scientia et ^i'o nihil uliud sunt , quam animi ab agentilms extemis per corporis ^ani parltS organicas excitatus tumnltus. Lascio a cui piace il fare un ugente confronto fra questi due autori. Io osserver solo, che anche un ro italiano, Ugo Foscolo, deriv dalFHobbes il suo sistema sulla Speranza 'ed. Saggio mila Speranza, negli Opuscoli filosofici, Voi. II). In que* ^pi s studiava quasi direi di furto da certi giovanetti il sofista di Mal- sbury, le cui opere non erano comuni in Italia , e lor pareva di fare un 'ode acquisto di scienza, giungendo a furargli a man salva qualche cou- ^ strano, senza bisogno di citarne il fonte, (a) Ved ArisU De Anima, I, 2, 3. RosMiiii , // Rinnovamento. 44 346 CAPITOLO XXVI. CONTINUAZIONE. Tutti i sistemi accennati fin qui non pongono il criterio della certezza in una prima inerita ^ ma in qualche indizio ddla irrita* Ci conTene ora annoverar gli altri , che cercarono non un indizio del vero, ma la verit stessa, V essenza della verit. Questi sono quelli che posero il criterio del vero nelle idee. Non sar difficile V avvedersi, che qui cadono i maggiori nomi. Volendo per noi classificare anche questo genere di filosofi^ come abbiam fatto del primo , troviamo una difficolt vie mag* giore. Perocch le difierenze loro procedono dalla diversa ideo* logia che suppongono ^ come i precedenti vallavano quasi sem- pre dalla xverssi psicologia che i loro autori avevano abbracciato. Converrebbe adunque sporre in prima i varj sistemi de' filo- sofi di cui parliamo intomo le idee, e venir quindi accennando i criterj che in esse ponevano. Ma questo ci conduiTcbbe oltre- modo a lungo. D' altro lato le diffijrenze di tali sistemi nascono principal- mente da due cagioni : i .^ dalF ammettere pi o meno idee come primitive^ in cui risieda il criterio della certezza^ a.'^dal- r attribuire a quelle idee, che tolgono a fondamento della ce^ tezza, pi o meno interiori qualit e virt. Or alcuni furon pi parchi nel numero delle idee dichiarate fonti di certezza; ma in vece eccedettero in attribuire a quelle pi di entit , che tc- ramente'non abbiano. Il perch non si pu n pure classificare questi sistemi secondo il maggior grado o minore di sempE' cita e di complessit che danno al criterio ; perocch alcuoi sono pi semplici di altri sotto un aspetto , e sono pi com- plessi sotto un altro. Tuttavia possiamo sempre affermare, generalmente parlando^ che r errore di quelli che mettono il criterio nelle idee, * o di eccesso, o di difetto, ovvero dell'uno e dell'altro in- sieme sotto aspetti diversi. Io mi limiter a dare qualche cscd' pio dell'uno e dell' altro sbaglio, pigliandolo si dall'antichit} che dalla storia della recente filosofia. 347 Fra quelli che peccarono di eccesso, per P antichit nomi- r Platone^ pel tempo moderno, Schelling. Fra cjuelli che peccarono di difetto, secondo certe mie con- ietture, penso di poter nominare, fra gli antichi^ Pittagora^ r r esempio poi moderno, Hegel. Tutti questi per sotto un certo punto di vista peccano di xsso. CAPITOLO xxvn. CONTINUAZIONE. Ho gi osservato , che le due grandi scuole in che si parte filosofia antica, la jonica, e F italica, hanno per base Puna speculazione individuale , V altra la tradizione del genere nano (i). Queste sono come due fiumane, che nel loro corso infondono qua e col le loro acque \ le quali per anche eicolate ritengono lungamente il loro colore, e il loro sa- ne originale. Quest^ acque si veggono unirsi e mescolarsi pia abbondanza al tempo di Platone^ ma non si per, che Al li vegga questo grand^ uomo maggiormente avere attinto la scuola italica e tradizionale, come Aristotele alla jonica speculativa. Gi ho notato il progresso che, stando alla testimonianza db.stagirita, si ravvisa da Empedocle, a Protagora, ad Ari-> dtde, circa la dottrina dell'origine e della certezza delle Ignizioni, n principio fondamentale di questa scuola si , che mima stessa conosce le cose per un cotal modificarsi che fa conformarsi ella stessa alla guisa degli oggetti che dee co- Moere, sicch ella diventa ogni cosa in virt della cogni- Mie, T ama icoq ^ma. Questi filosofi non erano adunque giunti a ben distinguere idee dagli old dell' anima, e dall'anima stessa^ ma le con- lenivano ancora come semplici termini dell'atto, della stessa tura dell'atto, modi in somma dell'anima. Nella scuola italica si and certamente pi innanzi : si giunse ;i) Ved. a Nuovo Saggio. Sex. IV, e. I, art. XXIV. 348 a intendere, clic V anima e le idee avevano propriet non solo diverse, ma contrarie^ e per, che potevano queste seconde essere bens unite alP anima , agire nelF anima , divenire ter- mine de' suoi atti^ ma non mai confondersi colPanima^ non potevano mai essere puri modi o accidenti dell' anima. Que- sta distinzione fra la natura delle idee e la natura dell' anima,  II principio fondamentale della scuola italica, da cui, come dissi , discende massimamente Platone. Le idee, in quanto sono nostre, sono unite all'anima nostra; sono termini de' suoi atti. L' aver tuttavia conosciuto che non possono essere puri modi dell' anima , che son di diversa na- tura, che sono un termine distinto dall' anima essenzialmente come  distinto un oggetto che tocco con una mano dalla mano ^ questo era un gran passo : e questo passo si trova dato gi dalla filosofia nostra nazionale fino dalle sue pi vetuste memorie. Tuttavia, dopo che si era fermato questo vero luminoso, in- con travasi tosto una terribile diflTicolt. La difficolt consister nella dimanda,  che cosa sarebbe avvenuto separandosi le idee dalla mente umana; perocch essendo queste due cose di diversa natura, questa separazione non dovea dichiararsi impossibile a concepire. La difficolt di rispondere non istava dalla parte dell'anima umana. Peix)cch si avrebbe potuto dire, che l'anima intellettiva, separandosi da essa le idee, periva, come l'anima ^nsitiva perisce separandosi da essa la sua materia : n ci in- volgeva alcun assurdo, conciossiach la esistenza della nostr'a- nima intellettiva non  necessaria. Con tale risposta si veniva a dire solamente, che le idee congiungcndosi ad un principio sensitivo, erano quelle che il rendevano intellettivo, cioFa- nima intellettiva con tale congiunzione crea vasi. NuUa di as- surdo in ci, nulla di difficile a intendersi. Ma il nodo forte stava dalla parte delle idee stesse. Qaeste non si potevano annientare, perocch la loro propria natala; quale si manifesta dalla sola osservazione , le mostrava fornite di una certa immutabiUt, necessit, eternit. Oltrach,  fossero anche queste perite, non sarebbe stato al tutto rcro eh' elle avevano un' essenza sepai*ata, e de' caratteri opposti  349 deir anima. Che cosa potean dunque rispondere i filo- tanta difficolt? so bene, che cosa poteano rispondere questi filosofi : ma losta non fu trovata, e quella difficolt fu uno scoglio . s' infransero e si sommersero. ^ vetusti filosofi, e dopo di essi Platone, che diede il 0 nome al sistema, veggendo da una parte, che le idee distinte dallo spirito umano che le percepiva, n poteano riamente da lui dipendere^ dall' altra, che quelle idee solate, a quella guisa che splendono nella mente, non po 1 stare, aggiunser loro colla immaginazione la sussistenza, Eulero altrettanti enti per s, ci che equivale a dire, ante divinit (i). listinguere le idee dalla mente umana che le intuisce,  nplice risultamento dclP osservazione. Ma il separare le alla mente, e dare a ciascuna una propria sussistenza,  to dove Platone abbandona il buon metodo delP osser- e, e comincia a fabbricare un^ ipotesi, tone adunque divinizz le idee; e lo spirito, secondo lui, opla in questi Dei, che ad esso si congiungono e si co- ano, P etema verit. ino peccato d'eccesso in tale criterio del vero fu dop- jerocch egli non s^ accorse i. che tutte le idee rien- e s' accolgono in una idea sola, Itune della mente (2); e questa idea, questo lume non manifesta all'uomo, a comimica, una reale sussistenza in s, ma tenuissima- Sgl  vero che ne' Platonici si parla di un Verbo divino; ma questo lo descrivono piuttosto come un complesso di tutte le idee , un Dio to di molti Dei^ che come un'idea prima, un Dio al tutto semplice* ^nroDO chiamati Dei intelligibili, vonroi 9tot\ Erano questi diversi da- inteliettuali voffo/ ^%ot* , e opposti agli Dei sensibili a^^wToi* ihro questo errore non  di Platone: egli  tradizionale, e la sua orl- perde neirantichit. Proclo lo attribuisce a Parmenide. Partendo da! io, che ogni idea sia un Dio, egli argomenta non potersi dare l'idea le, come quella che non potrebbe essere un Dio, omnis enim idea, id iParmenideSfDeus est, w  dice che V animo purgato diveoU un' idea, chi non vede che s'avvicina d'assai alla contraria scuola, che diceva le idee essere altrettanti modi dell'anima? Ecco il passo del filosofo alessan- drino:  L'animo purgato diventa idea, ragione, al tutto incorporeo, iolelli- M gente, e affatto divino. Laonde V animo trasportato ed alzato all' intelletto,  egli  fatto veramente e del tutto animo m) r'vT/* *^vx^ xa^af^ttoait^oif (Enn, 1,1. 6). Non si vede qui molta affinit con ci che diceva lo stoico Possidonio^ cio che Y animo era un'iV^? (Ved. Macrob. in Somn- Scip. I, XIV ) Tuttavia il luogo di Plotino pu intendersi del molto che partecipa della nobilt dell' idea 1' animo purgato che ad essa tutto ade- risce, sebben veramente in essa non si trasformi: il che si concilierebbe col pensare di Platone. (a) V'hanno veramente de' luoghi in Aristotele, dove questo filosofo s' attiene alle tradizioni italiche. A ragion d' esempio , nel lib. XIV dt'MtU' fisici,  Vili, dopo aver recata la sentenza di quelli che tribuivano u divinit agli astri ed ai primi principj delle cose, egli cosi l'approva:  Chi H considera nell'opinione di costoro sola quella parte che pronuncia essere H Iddii le prime sostanze , certamente conceder esser ci detto dino** H mente * t^r / nj x^f'^^i dur Xo/flo/ fuc'vov r Xfrfrair, ot# E0T fevro T?f rfMTa( ovviai i'v^i, 3'itii ap %i^itv^at viu9%tu lo per vo so- spettando , o che questi luoghi di Aristotele sieno stati interpolati pel guasto a cui soggiacquero i suoi libri, o che egli li scrivesse per tempo, quanoo DOD avea per anco ben fermi i pensieri ; se pur, come dissi, li ebbe  lutto fermi giammai. 35 1 CAPITOLO XXVIIL CONTINUAZIONE. Veniamo a Schelling, che  quel moderno che abbiam raf- firontato a Platone. La critica che Schelling fece a Fichte, sembrami che possa ^rsi cos: Il partire dall^ atto dell^ Jo pensante , che contemporanea- mente pone s stesso, e pone il mondo, come faceva Fichte, non  mi cominciare la filosofia da nn^idea semplice, ma da una moltiplicit d' idee. Gi nel primo passo di questa filosofia le idee di imo, di pi, di difierenza , di opposizione sono com- prese, e di esse non si rende ragione; non si sa quale sia prima, e qual dopo : quelF atto cos ampio delP Jo ponente non  dunque provato : quando non  provata la generazione e la feracit delle idee , che ad afiermarlo sono necessarie. G)nvien dunque cominciare la filosofia da mi pensiero primo, semplicissimo, il qual non abbia bisogno di nulla, dove non a trovino differenze , dove perci non si possa distinguere n oggetto n soggetto, n reale n ideale, n essere n sapere, ni spirito n corpo, n finito n infinito, ma tutte queste cose stieno in lui unificate: di maniera che egli per s sia r indifferenza di ogni differenza, sia P identit assoluta del i^e e dell^ ideale, sia ad un tempo essere e sapere, uno e pi&, in una parola sia tutt^-uno. Schelling chiam questo primo concetto, da cui pretese che partir dovesse la filosofia, ^idea delP assoluto. Questo assoluto cos concepito era evidente per s stesso, ^n avendo nulla dinnanzi da s , e per era quello da cui 1^ filosofia dovea muovere per esistere, e a cui dovea essere adotta per dimostrarsi. Or^ una tale idea in cos fatto sistema faceva V ufficio del Spande criterio di ogni verit. La^critica fatta a Fichte, secondo noi, era giusta; ma non ^ben lavorata da Schelling Pidea delP assoluto, molto meno 'dea di quelP assoluto che dovea dar principio e fine alla 'losofia. 352 Sebbene non tolga io qui a fare V esame di questi sistemi che espongo, tuttavia non posso cessare dall' aggiungere alcune riflessioni anche al sistema di Schelling, per non dover poi tornarmi altra volta sopra di esso, o lasciai*e ingombrato di dubitazioni P animo de' lettori. Rifletto adunque, che I.* Schelling fu costretto di ammettere ima facolt, che percepisca immediatamente V assoluto in isti'etto senso : or chi conobbe mai V esistenza di questa facolt? v'ha egli qui evi* denza? o non pi tosto, quando pme si potesse proyane l'esistenza, non dimanderebbe una assai astrusa dimostrazione? 2.^ Schelling allorquando disse che il suo assoluto non dovea essere n oggetto ne soggetto, n alcuna differenza avere in s , fu tratto in errore dalla natura limitata del lin- guaggio. Il linguaggio  pur sempre un fonte infinito d'errori; l' uomo  costretto di fame uso , perch  uno de' mezzi pin potenti dello stesso mentale ragionamento , e se non  som- mamente vigilante in quest'uso, cade in errore.  veramente , il linguaggio moltiplica gli esseri , d corpo ed esistenza a quello che non ne ha. Il nulla, per esempio, si concepisce per un qualche cosa^ mediante questa parola u nulla onde il cb'a- miamo^ sebbene esso sia nulla, o, se si vuole, la rimozione dell^ essere. Il finito e l' infinito ci vengono presentati alla mente come due cose appartenenti quasi direi ad una stessa categora, l'una limitante scambievolmente l'altra. DieesI, a ragion d' esempio , che il finito non  1' infinito , e questo non  quello^ pare adunque che ad entrambi manchi qualche cosa. Intanto non  vero che all' infinito manchi qualche cosa, appunto perch se gli mancasse , non sarebbe pi infinito; come non  vero che all'essere manchi qualche cosa mancan- dogli il nulla, che anzi non gli manca, appunto perch non ha il nulla. Il persuadersi adunque, che a trovare l'assoluto sia necessaro sollevarsi sopra tutti questi opposti, a fine di bx s che questi opposti sicno in lui unificati , e un pensiero al tutto falso ed erroneo. 3.* Schelling credette di partire dal sentimento^ in luogo di partire dal pensiero^ come Fichte^ perocch l'assoluto  e suiPaver voluto da questa dar la mossa alla filosofia. Osservasi riuscire di somma difficolt alle menti de' primi filosofi il peoitre a delle nature puramente spirituali: tutto si vestiva di corpo U loro immaginazione : ed egli pare^ che per Pittagora stesso non si fater anime separale. D'altro lato questi filosofi assai chiaramente vedevano che gli oggetti innediati del pensiero^ le idee> erano al tutto scevre di corpo. Rimossero Inique il corpo ; ma rimosso questo , il primo atto della loro mente fu di ooDcepire de' meri numeri privi di ogni entit spirituale, che venne pQieia aggiunta loro con una seconda operazione della mente. lo fondo questa conghiettura sopra alcuni passi degli antichi scrittori, beone uno. Stobeo ci conserv alcune cose di Mercurio volgarmente detto Tritmegisto. In un luogo ( Serm. XI ), Tazio domanda a Mercurio, che cosa Mi secondo lui la prima verit', rifr vfvriyV mXn'Buav. Questa  veramente la ^Milione del criterio, perocch la prima verit  quella da cui tutte l'altre pren- doDo l'esser vere. Or ecco come risponde Mercurio : m Quell' uno /e solo , che * non consta di materia, non  contenuto da corpo, senza colore, senza figura, * non soggetto a mutazione o alterazione veruna , sempre esistente * CNA ^ HOHOi ri f ^n l'Ic/'Xirc, toV /uv ir atifjiari, rv ax9*''uaf"^9 , riv ^x^' MmrTMr, rv a'rfiTTsy, r9 fu dXXoioo^fdtvw, rv du ivra. In questo passo ^che si renda ragione dell' u/ii/^i/ pare che si mostri come que' filosofi, oHoch astraevano da' corpi, non si poteano fermare colla mente loro, se ^ giunti all' unit astratta. Io so, che si pu render ragione de' numeri di Pittagora sostituiti alle ^, anche mediante la scienza esoterica, o arcana. Ma mi sembra questa 356 D pi, V unit astratta non si pu in alcuna maniera con- cepire prima tV essere ^ da cui ella fu astratta^ e per i filo- sofi, che partirono dalP unit, come dal primo sapere della mente , furon tratti in errore al vedere , eh' essa  pi sem- plice, astrattamente presa, delF essere. Di qui conchiusero, che sia anteriore a questo nella mente. Ma l'argomento non tiene; perocch ella non  cosa che stia sepaiata dall'essere, e * per non  cosa che possa veramente vantare una semplicit maggiore di quello , se non per una cotale Illusione della mente stessa, che si persuade di concepire l'unit distinta dall' essere^ ma veramente non la concepisce se non aggiungendole senza avvedersi V essere stesso , cio concependo l' essere dell' unit , e r unit dell'essere. Quindi , che  filosofi di questa scuola, non potendo fer marsi nel? unit, o nei numeri astratti dall'essere, il che renderebbe la loro filosofia al tutto infeconda, sostituiscono poi all'unit V essere stesso, senza giustificarne il passaggio (i)) e rientrano cosi nel sistema che noi riputiamo pel solo vera via un po' gratuita; e per me sodo pi verisimili ]e due ragioni addottei n credo d'altra parte, che la logica appartenesse alla scienza arcana. Di pi 81 osservi , che il saho della mente di Pittagora nel troppo astratto, non  cosa singolare, ma comune:  una legge della umana mente non ancora forlificata nell'apprensione degli enti spirituali, lo esempio d'nosi* roile errore recher alcuni filosof tedeschi, e fra di essi V HegeL Questi 9\ formale della cognizione, al puro pensiero (noi diremo all' ei^ers ididt) danno il nome di nulla (Hegel, Logik). E perch?. non per altro, se dod perch, levata dall' essere ogni determinazione, sembra loro che non resti altro che il nulla , quando veramente resta ancora un lume preclaro delli mente. Sono poi costretti a distinguere questo nulla da un altro nulla preso nel significato comune, e dichiarare il primo nulla fonte del tulio Questo  un parlare assai improprio. Ma egli mostra come l'intelletto umano dod a fermarsi nella via delle astrazioni : il nulla de' nominati filosofi  no eccesso d'astrazione ancor maggiore de numeri di Pittagora. (i) Plutarco, sponendo il sistema dell'italiano Parmenide , seguitftore in questo di Pittagora, mostra, che la stessa cosa chiarsiava&i da lui fs^ ed ente: uno, per la similitudine o identit che tiene seco steaso, esdndetflo qoalaif oglia dilferenza ; ed ente , come quello che sta etemo  e dentro ^ s a pieno sicuro: ON (uiw, J( aY^tov uai et^a^ov, EN ^i ffiorwri vfK tferf nut* r^ fui ^i^i^^ai ^tapofv, vf03-ar)0f%oca( (adv, Coloten). In questo passo di Plutarco si nomina prima T ente e poi 1' uno. Questo  1' ordioc 357 D fatti, V essere a c\d essi passano (sebben gratuitamente)  tj^unto quello in cui noi facciamo consistere il principio della filosofia, cio non gi Tessere reale (cosa), ma Tessere ideale (idea) (i). Essi esprimono cbiaramente e senza equivoci questa distin- tone, designando quelT essere che sottentra cos furtivamente nella loro filosofia a tenere il luogo di principio , usurpato prima da quello sterile concetto dell^ uno , colla parola i^o^ri^, die possiamo tradurre per essere intelligibile^ o come noi di- ciamo, ideale (2). oalorale, ma la maniera di esprinoersi si diparte in questo da quella di Pittagora. Questa  piuttosto espressa da Jamblico, quando dopo aver ac- cennato il primo bello j e il primo intelligibile viene a dire che cosa sia i|iiesto ramo ad intendersi ed a gustarsi , e dice che  il numeros ri ii 9ffr9v S9 ixivp ( a Pittagon) 1^ rtv ti^i'^futf ri xsi Xoyuv ^Vic AIA IIANTAN AIABEOrrA ( in Fit, Pylkagorae, e. XII ). In queste ultime parole di Jaroblco viene espressamente accennato il modo^ onde si per- venne al concetto del numero ; cio per via di astrazione  perch vi si dice^ r caso si osserva in tuUe le cose m. (i) Il passaggio dai numeri alle idee, viene indicato da Jamblico quando^ dopo aver detto che la dottrina di Pittagora si aggira intorno alle cose in- corporee e intelligibili ( rt9 vowrfv ), con che pare voglia signiGcare i numeri, smunge poi 9 che ella progredisce a trattare di quelle cose che sono sem- pre alla stessa guisa , e non ammettono corruzione e mutazione^ quanto a , con che pare che voglia indicare le idee} Xmicvoa ita ra avtau'r'ov Z9 90tnt'9, aCktif rt xm* Ct'mv ritv Tfox^f**^'^ W9ieyfx%\wy rtv rf ii xaroe rd dura* itoti dvavrt^ ^'*^*^ ^ai oWfVert, 9909 fv* duro^ ^^-Ofv ^ /ufTor- fitlkdw Wtitx9u9i^ 9 9uoiy r^ nnnufAivcti (in Protrept adsimb., e. XXI). E questi soggetti (vvwii/uffyti) a cui sono simili le idee, sembrano essere le sostanze immortali e divine. (a) Plutarco sponendo il concetto di Parmenide dice, che questo filo- fofo riducendo tutte le cose all'uno e sXV ente, non volle gi^ distruggere le diverse nature , come veniva fisicando Colete , ma voleva mostrar quello , onde tutte le nature si rendevano intelligbili , e questa  l' idea dell' uno e deirenfe. Il passo di Plutarco  preziosissimo per noi; conciossiach egli mostra , come la nostra dottrina intomo all' essere universale sia stata assai chiaramente veduta dagli antichi, e come altro non manc loro, se non di tenerla pura dagli errori, il che non seppero fare, a non pochi errori maritandola veramente, sicch ella si confuse col falso, simigliantea gemma rarissima nel fango convolta. Io pmgo i lettori di considerare il passo ori- ginale del filosofo di Cheronea, che reputo utile cosa metter qui sotto i loro occhi: Tkf NOHTOT iifrtfv it^9^ ({^n ^df 9dUfiX rt xoi* drfifiit. 358 Che anzi non contenti di aver cos abbandonata quella \niota unit j da cui banno dato principio, essi ben presto trapas- sano a convertire gli esseri ideali in sussistenze esterne, e pre- cipitano con ci sciaguratamente in quella idolatria delle idee, a cui abbiamo veduto essere stati addetti i Platonici , eredi di tale errore (i). irV yifurov, ti^ euiro^ f *firxf > xor/ Sfuotov iaur^ noi fxvtfxo tv r^ t^rai) rioru auKopavTttv l'x rff pvvn^ 9 KsXwTwf , xai* r^ qn'fjLart ioJxotv, 00 r^i nr^yftrif^ii Xoyw, dfrXti ^nr "wjvra avctifi r^ tw * Jvort'deTrat top Tiaffitriinv. i ^*apfli#fff fA V^trif99 ^9iy f'xarffoe i* nroiiivq r vfovnxov , ElS MEN THN TOT ENOE KAI ONTOr lAEAN TI0ETAI TO NOHTON. Queste ultime parole dicono senza equivoco, che l'idea dell'uno e del- l'ente  quella che fa conoscere tutte le cose. Or questo  quel vero che racchiude egli solo tutto il nostro sistema, e che, come apparisce da tali documenti , non si pu dire gi di fresca data , n d' altra nazione , idi e antichissimo , e italiano. (i) Il dottissimo card. Giac. Sigismondo Gerdil tenta di fare l'apologia di Pittagora , a cui non vorrebbe che fosse apposto l' errore d' aver eoo- ertite le idee in altrettante deit, imputando tale errore al solo Platcoei e anco a questo dubbiosamente. wAfTermando Pittagora*, cosi egli, che * Dio^ quanto all'anima ,  simile alla verit , ne segue per diritta con- Mclusione, che la mente divina fu da lui stimata della medesima natun, M d cui  il vero intelligibile , oggetto della sua contemplazione , ed io M conseguenza scevra del tutto di materia. Il che si conclude pt roaniie- M stamente ancora da questo , che la serie ed etema connessione delle te- w rt intelligibili, la qual serie non  altro che il numero intellettuale, ve- M niva da Pittagora riposta nella stessa intelligenza di Dio , e non gi in w alcune nature esistenti fuori di Dio ; siccome fece di poi Platone, se ha  da prestarsi fede a coloro che hanno seguito Aristotele nella interprela- w zione che questi diede alle idee platoniche m (Introduzione allo studio della Religione, P. I, lib. II, J vui). Se io potessi accostarmi all'opinioDe di questo grand' uomo cosi favorevole a Pittagora, ci mi rallegrerebbe assai, e mi sarebbe nuova prova di quanto affermai , avere Platone pecato per eccesso, e Pittagora per difetto nello stabilire il criterio del vero. Ma l'amore della verit mi stringe a manifestare una opinione contraria; e > porre la divinizzazione delle idee non solo pii!i antica di Platone, ma di Pittagora stesso, non veggendo io modo di purgarne il filosofo di SamOi che ne viene incolpato in tante memorie antiche. I* Questa specie di deit {vonrot* 3'tot') sembra certo che si trovasse presM gli Egiziani. Orale antiche tradizioni affermano, che Pittagora ebbe da questi la sua scienza de' numeri. Potrei recare mohi luoghi di scrUor che d att^ stano. Diodoro Siculo dice, che Pittagora impar dagli Egiziani wtl sermooc  sacro, e i segreti di geometria, e la sua dottrina intomo a' numeri  (Lih. !) 359 CAPITOLO XXX. CONTINUAZIONE. Segei ci s fa innanzi: egli  il filosofo che abbiamo alo a Pitiagora. Questo tedesco fu discepolo di Schei- 3me Platone fu di Pittagora^ ma dipartendosi egli dal i come qui s afTerma , che non solo impar la dottrina de' nu- ancora il sermone sacro, itfw X9ym. Questo esclude la benigna in- ione di quelli che volessero aver Pitiagora tolto bensi dagli Egi- lottrna de' numeri nella sua parte logica  ma averla egli rigettata te roeta6sica e superstiziosa. Che anzi di questa dottrina supersti- ta da Pittagora agli Egizj, fanno espressa menzione per poco tutti r che parlarono di Pittagora. Porfirio nella sua vita narra , che Egitto M co' sacerdoti M. Isocrate {in Buside) di pi aggiunge, lendosi Pittagora recato in Egitto , e datosi alla disciplina di que' port primo in Grecia l'altre parti della filosofia, e pose segna- e uno studio maggiore d'ogni altro ne' sacrificj e nelle consecra- be si fanno ne* templi *. Apulejo parimente (L. II. Florid.) ci di- Itagora come dedito alle superstizioni egiziane : Celebriorjama obli" g sponte Pjrthagoram peUisse ^gjrptias disciplinas, atque ibi a sa* 9 cmremoniarum incredendas potentias ^ numerorum admirandas metra solertissimas formiUas didicisse. Qui non solo si accennano llaioni apprese da Pittagora, ma quelle numerorum admirandae virts i numeri stessi implicati in queste superstizioni.  noto come I deUe idee fosse legata coli' idolatria degli astri. Or non attestano 3 memorie, quanto Pittagora fosse dedito alle superstizioni del- (ia 7 Non rammenta Porfirio , che w iniziato ne' secreti dell' Egitto |eni all'astronomia e alla geometria per ben ventidue anni  (e. 4 )? or di dubbio^ che quinci anche trasse la dottrina delia trasmigra il nostro Vico fa un' osservazione, che mi sembra potersi assai ;ere a dimostrare la somma antichitli dell'idolatria delle idee. Certa lofersi tenere antichissima quella opinione, che si trova passata ara e ne' visceri del linguaggio stesso delle antiche nazioni, senza possa assegnare il quando. Ora Vico pretende, che le essenze  fossero chiamate presso i latini Dii immortales, bench egli cer- ime i filosofi ed attribuire l' errore al solo volgo ( Delt anUchiS" enuL ecc., e. IV). Questo prova appunto ci che noi diciamo dei* i dell'opinicoe che le idee fossero altrettante deit, bene, che Gio. Lorenzo Moshemio s' affatica di purgare dalle dolatriche non solo Piltjtgora , ma ancora Platone , e fino gli scrit- Qici. Ma con quale argomento il fa egli ? nou da buon critico : 36o suo maestro 9 fece il viaggio contrarlo, secondo che a mene pare, da quello clie fece Platone partendosi dal suo. Plttagora cominci dai numeri, da troppo poco^ e Platone cominci dalle idee-sostanze , da troppo. Schelling per V opposto cominci la filosofia dal troppo , cominciando dal suo assoluto ; ed Hegel venne diminuendo il soverchio del suo maestro, riducendosi al troppo poco, al suo essere-nulla. tuUo ai riduce a dire, che m non  a credere che quegli uomini fossero cm goffi dt non vedere V erroneit di tali dottrine, e che per convien dareu altro significato alle loro parole m. Non parmi che una tal ragione posta bastare: se valesse quel suo arbitrario principio a intendere gli autori d modo al tuUo diverso e contrario alle parole che usano costantemente, noi potremmo fare de' grandi e de' be' lunarj su tutti gli scrittori , ed assol- vere la filosofia de' pagani da tutte quante le stravaganze da essa insegnate e professate. Non ha meditato abbastanza il Moshemio in quelF incredibile ma verissima inclinazione che aggravava gli uomini innanzi al cristanesioM verso r idolatria o la divinizzazione di tutte le cose. Questa  un gran frtti che appartiene alla storia della umanit. ( V. Frammenti di una siori Mia Empiet. Milano i834 ). 3.^ N basta, a purgare dall' errore di cui parliamo la scuola di Pittagorii lo scontrarsi negli autori di essa in alcune idee giuste e bellissime rca la divinit. L'errore non  che una corruzione della verit.  nella scuola italica ci massimamente si avvera, perocch ella  d'indole principalmente tradisionale, come abbiamo osservato. Ora qual meraviglia , che framoeffl agli errori rimangano altres i frammenti di una antica verit? Tanto pi^ che  al tutto conforme all' umana debolezza il contraddirsi ; e la contrad- dizione  l'ingrediente di tutte le umane filosofie. Che poi Pittagora abbia collocate le idee in una mente divina^ ci non basta a nettarlo dalla taoaa di aver divinizzate le idee. Perocch egli  noto > che in quella scuola li ammetteva una ragione prima di tutte le ragioni (Xoyew) , che era un altro dio (^saVffoy Mf) : ma questo dio poi veniva descritto come una coogori^ di dei minori i quali come sue parti il formavano; concetto a dir veroi mostruoso. Altri poi spiegarono in altro modo la sentenza pittagorica , do ehe il dio (Xt^^v) primogenito creasse o emanasse egli da s gli altri dfi intelligibili (le idee divinizzate). Cosi Plotino: r il qual dio generato geocv I seco insieme tutti gli enti , tutta la bellezza delle idee , tutti gli dei ifli** t ligibtli; y9fSfitP99 ii Hn rat Srrft 9W avrtS yipfitotti , DAN MEN 1^ TOM lAEnN KAAAON DANTAE AE BEOTE NOHTOTE. Converrei** adunque prima dissipare dalla memoria di Pittagora tutte queste nebbia' che la reodono , a dir vero^ non poco offuscata senza che si rimanga tut* tavia dall'eiier grande il suo merito nella parte puramente filoicficti * logica. lui Prima che io esponga il sistema di Hegel, debbo fare una ooservaiiome sul carattere generale della scuola tedesca. Questa osservazione V bo io gi toccata alla sfuggita , par- lando di Scbelling. I filosofi alemanni banno una grande potenza di mente, e hanno un bisogno di sollevarsi sopra le cose sensibili, e mu- tabili: essi tentano, con isfor/i erculei, di giungere ad un punto fermo, ad un incondizionato, in cui la filosofia trovi ad un tempo e il principio, e la vita, e la sicura quiete. Ma perch non poterono per mai giungervi? Panni di vedere nelP intimo seno della filosofia alemanna la cagione di ci. Questa filosofia eredit dal lockismo pi che non si crede comunemente, o che non dimostci la lingua solenne da essa adoperata. Io V ho gi altrove osservato. Ma il legato fatto dal lockismo alla filosofia alemanna, il legato divenuto un fedecommesso in quella filosofia si  (ninno si stupisca di ci che dico, o lo rigetti prima di avere ben inteso il mio pensiero) si   di non uscire mai quella filosofia interamente dal soggetto, e di ammettere per cosa certa, e non bisognevole di prova, che il sapere sia una produzione o modificazione del (Oggetto pensante 99 . Questo chiamerollo io il pregiudizio della filo- sofia alemanna, la quale ove giunga ad avvedersi di questo ospite entratole in casa illegittimamente, e di furto , sar quel d l'epo- ca, che prender un nuovo canmiino ampio, luminoso, salutare. Nella critica che Wilelmo Krug fa a Giorgio Hegel, dopo aver detto che questi mantiene, che V essere sia puro concetto y  cbe il pfuro concetto sia il vero essere^ aggiunge, che per fin i ^ non ha mai dimos^ata questa unit dell'essere e del con- f cetto, u o sia (come propriamente dovrebbe dire, essendo il  concetto una produzione dello spirito pensante) fSi^ essere '^ e del pensare " (i)- Ecco come si ammette da Krug fuori d'ogni controversia, che  il concetto sia una produzione dello spirito pensante . Tutto P idealismo trascendentale  fondato ^ questa gratuita supposizione. Ho gi osservato , che Schelling {)arti da im pensare senza oggetti^ che  pi veramente un  f (i) Vedi F opera Allgemeines Handwoerierhuch der philosophischen WusenschafUn  all' articolo Hegel, Rosmini, Il Rbmovamento. 4^ sentire y  un soggetto, un soggetto che s oggettiva ^ com'egli dice : indi trasse il suo assoluto. Or dunque il vero riman sem- pre Tatto di un soggetto, in qualsivoglia modo altri cerchi di mantellare o anche di negare espressamente questo peccato. Hegel medesimo dichiara , che P essere da cui egli parte  il pensare (i): ora il pensare indica sempre un aito , e non un oggetto : un atto poi appartiene sempre ad un soggetto quand^anco si trattasse del primo ente ove V atto e il soggetto sono immedesimati. 1 fi- losofi tedeschi hanno una maniera di dire, che a noi manca, per indicare quella operazione supposta dello spirito, colla quale egli produce un proprio modo ^ che  poi il suo oggetto^ e se noi dovessimo tradurla verbalmente, dovremmo inventare una parola nuova , la qual sarebbe u oggettivarsi " ^ che altramente direbbesi u V operare che fa V Io in modo da produrre di se nn oggetto n {obiectxdren des Ich ^ obiectiviren Tlmn des Ich), Que- ste maniere usate anche da Hegel e originate dal criticismo, inchiudono Terrore di cui parlo, perocch suppongono cbe gli oggetti del pensare sieno produzioni dellVo, e che P in- tuizione degli oggetti si debba ascrivere tutta all'attivit delirio stesso. Esse adunque sono false in s stesse^ e la filosofia in Germania non si rimetter sul buon cammino, se ella non si sveste di queste maniere di dire e di pensare, che la legano e la incatenano al soggetto con de^ ceppi ferrei, infrangibili. ^ Io sottometto agli uomini dotti della nazione germanica questa osservazione, che credo importante, sul carattere della (i) Hegel dichiara che h si dee prendere la parola pensare in senso as- r soluto come infinito , separato dal limite della coscienza : in una pirob  pensare , pensare come tale m ( fVissenschafl der Logik. Einleitung. ). Ma io ben intendo come si possa concepire un pensare senza averne cosdenta; perocch ad aver coscienza del mio atto, io certo ho bisogno di ima riflessione diversa dall' atto stesso. Non posso per intendere n concepire n pure per qualsivoglia astrazione r un pensare * che non sia uo atlo: perocch il pensare  essenzialmente un'attivit; e un'attivit non si pu concepire sensa una relazione col soggetto o principio dell'attivit, ift ratto non si pu concepire senza F agente. Per il partire w dal pensare* per quanto astrattamente esso si prenda,  sempre partire da un atto di sb soggetto,  partire da cosa, che involge essenzialmente una relazione ad un' altra cosa , ad un soggetto agente. Indi  che la filosofia germaoici ooo si pot mai liberare, come dicevo, per quanti sforzi ella facesse^ daOa li* mitatione della soggetUi'ii, 363 ilosofia tedesca, acciocch ne giudichino. Gli stranieri non lossono proporre che conghietture^ i nazionali hanno di- itto di decidere se rettamente fu intesa la mente decotti lei proprio paese. Tuttavia ponendo il criterio del vero, io ho collocato Ichelling fra quelli che il posero nell^ oggetto , e non nel sog> jetto^ e ci m^ paruto di poter fare, poich a malgrado d lovarsi egli inceppato dalle tradizioni del criticismo entrate le^ visceri della nazione tedesca, egli per fece degli sforzi ttmordinarj per liberarsene, e se non giunse a farlo intera- mente, il che era pressoch impossibile ad un uomo, giunse per I contraddirsi, il che in tali circostanze  merito. Dico che  merito per lu il contraddirsi , perocch  un arrivare almeno in parte alla verit. Egli part alVidea delTiissoluio ^ questuer partire dall'oggetto^ egli trov questMdea considerando il pen* are spoglio da' suoi oggetti, quest' era partire dal soggetto : la contraddizione adunque  manifesta: ma io mi attenni alla prima parte della contraddizione, alF oggetti wt deiridea del- l'assoluto, e lasciai andare il rimanente, perocch la prima  la pia onorevole al suo autore. E a maggior ragione io credo di collocare l'Hegel fra quelli che posero il criterio del vero nell'oggetto (nelle idee): seb- bene la soggettii^it non cessi d'accompagnar sempre le sue pa- iole e i suoi pensieri, per quantunque dichiarazione in conti*a- rio egli ci faccia. Ecco adunque com'' io concepisco la sua dottrina. Fichte avea tratto tutto dal soggetto^ dall' /o, senza nascon- lere questa derivazione soggettiva della sua filosofia, di cui i?ea avuto il germe in Kant. Schelling fece un passo verso V oggetto ^ dicendo, che conve- dva, volendo porre solidamente il principio della filosofia, ollevarsi tanto sopra l'oggetto come sopra il soggetto, venire ol pensiero ad na^ idea (questa parola tradisce l'autore), dove ! difiierenze del soggetto e dell' oggetto fossero disparite , rag- oaglate in una perfetta identit. Tale fu la critica fatta a Idite, nella quale si vede, che Schelling cerca pure di sfuggire soggetto, sebbene ugualmente pensi di doversi allontanare da gni oggetto. Ma con tutta la buona volont di lasciar da parte 366 M sia UI1O9 II tempo sia uno. la coscienza sia di uno. Indicate u ora come uno di questi tre uni in s stesso si moltipliclii r>(\). Mancava dunque nella ragione pura di Kant il principio del ragionamento, che suppone una pluralit, una moltiplicazione, delle differenze, e per non si potevano dare giudizj sintetici a priori. Conveniva adunque cercare un* idea prima , la quale non fosse cos sterile, ma feconda , e nello stesso tempo semnlice: queir idea dovea contenere in s il germe di tutto Io sviluppo scientifico^ ma quel germe non dovea mostrare differenza al- cuna, alcuna moltiplicit. Il pensiero di Hegel in traccia d^una tale idea si ferm^ credendo di trovarla, in quell'istante, in cui comincia Toggetto a formarsi nella mente: egli vide, o gli parve vedere In qael punto semplicissimo unificato Voggetto e il soggetto^ il pensare e Vesserei vide oltracci il cominciamento delP essere stesso, perocch questo essere  in quel primo atto che la mente lo concepisce. Ma tosto che Pha concepito, quel primo momento  cessato, e trovasi oggimai distinzione dell'oggetto e del sog- getto, trovasi determinazioni, limiti, differenze: cose tutte, cbe in quel primissimo tempo ed atto non sono distinte. Considerando adunque Tessere nell'atto del diventare (werden)^ (e Tesser diventa nel concepirsi, giacch siamo sempre in QS sistema d'Idealismo), egli trova delle proposizioni assai para- dossali, come quella che V essere s'adegua al niente^ e il nifftt 2Vessere; e tutti due si trovano uniti in quell'atto onde l'es- sere comincia o cessa. Non sar inutile recai*e qualche luogo di questo pensatore.  Il comlnciamento , dice in un luogo, non  il puro nulla% tf ma un nulla, da cui dee uscir qualche cosa: l'essere adun sapere sia il puro essere^ e il puro essere ia il ^11710 sapere:  un sapere-essere in perfetta unit, nel nomento del cominciare : e quest^ unit dell^ essere e del sa- xre  , e non  ; perocch ci che comincia non  ancora, se- rond il detto scolastico, in actu actus nonditm est actusj e tut- titia egli , perch non  niente, nel senso volgare di questa rola. Tale, secondo il filosofo di Berlino,  Tidea prima di tutte: m^ idea feconda , che ha una sintesi a priori in s stessa , un nonmento, il principio di ogni essere, e di ogni sapere: in Ma per  contenuto anche T assoluto vero. Oli non vede , che un tale sistema tende pi tosto a stabi- iie qual sia il valore metafisico della verit, che a dame un riterio per rinvenirla? Or troppe cose si potrebbero osservare a proposito di que- to sistema. Restringiamoci alle principali. I.* Mi pare al tutto gratuita la proposizione fondamentale ti medesimo, che a essere e niente in fatto riescano al me- ttimo9 , ovvero, che u non ci abbia cosa che non sia uno stato i mezzo fra essere e nulla 9 (i): proposizione ch^ egli vuol era applicata a tutto senza eccezione , perocch dice espressa- kc&te: a Si dee dire delFe^^er^ e del niente quello stesso, che sopra fu detto del? immediato e del mediato sapere, che iggetio dalla mente ( convien sempre riflettere che siamo neil' ideab'smo ) , quindi chiama nulla ^ o annullato V ideale ^ il pensiero a cui  stato 8ot itto l'oggetto, r Ci che si annulla , die' egli, non diventa nulla m (Ivi): ol dire che nel concetto di ci che  stato annullato s' inchiude la rela- me con ci che prima era , e per non  un puro nulla , senza relazione. (1) Scienza della Logica, L. I^ Sez. I^ e. 1. Dagegen isi aber gezeigi men^ dass Sejn und Nichls in der That dasselbe sind, oder um in jener adite zu sprechen, dass es gar nichts giebi^ das nicht ein MittehmUmd isch$n Sejm und Ifichis ist. 368  nulla v^ha In cielo o in terra che non contenga in s Tes* M sere e il niente  (i). Questa proposizione non solo  gi*atuita , ma  falsa. Pare che V Hegel tema, che dalla sua contraria provenga un pan- teismo j o pi tosto uno spinozismo ^ perocch (cosi parmi che egli seco ragioni) se noi lasciamo solo Tessere, senza pi, egli non pu produrre un diverso da s ^ rimarr dunque una sola so stanza, con certe modificazioni (2). Ma il ragionamento non tiene. L^ Hegel non si solleva abbastanza sopra il tempo :ifa quanti sforzi egli faccia colla sua mente , ragiona sempre rin- serrato dentro la chiostra delle cose temporanee, dentro la quale solamente il suo principio  vero. AlPincontro ov' egli con un pensare veramente libero dalle condizioni accidentali, si fosse trasportato al di l delle limitazioni del tempo , come hanno saputo fare molti altri antichi pensatori ^ ove fosse giunto col meditare, in una vita interminabile, perfetta, posseduta tntta insieme senza divisione, senza successione (3) ^ egli avrebbe al- lora agevolmente conosciuto, che il mutare delle cose contin- genti, il loro crearsi , il loro modificarsi e tutto accolto ed im mobile nella divina eternit : quivi  tutto fatto quello che si fa^ quivi non si fa mai nulla di nuovo, e il nuovo non  clie ima relazione che si trova nel tempo, la quale nella eternit  pur essa etema. Per non  punto necessario Timmaginare, che si mescoli il niente colla divina essenza , e che anche io questa si trovi il diventare, che ella stessa sia questo diventare, e che nel solo diventare v^ abbia V assoluto : quando anzi Id- dio non si pu confondere colle creature, appunto perch queUo 7 a parlare colle altrui frasi, non  mescolato col nulla , col quale sono essenzialmente mescolate le creature. Che poi FHegel non mostri un pensare libero, ma vincolato (i) Scienza della Logica , L. I^ Sez. I^ e. i^ 6. (a) r La filosofica considerazione che afTernia , essere non essere ^^ w che essere , e niente non essere altro che niente ^ merita il nome di s- ^ w stema d'identit. Questa astratta identit  l'essenza del panteismo ^ I,. Scienza detta Logica , h,!, Sez. I ^ e. i ^ G. ^ (3)  la celebre definizione dell' eternit di Boezio : InterminabiUs viUf ^ iota simul et perfecta possessio. 36g u^cora colle condizioni del tempo e dello spazio , apparisce da Bolti altri latL Egli accennando i sistemi che hanno qualche agnazione col suo, parla del Buddaismo, nel (piale, dice, u il K nulla  manifestamente il vuoto, TassolutO): parla della sen taua di Eraclito, che  Tessere  quanto il niente^ che tutto u scorre, niente , tutto si fa continuamente y> : parla de^ pro- rei])) orientali, che  tutto ci che , ha nel suo nascere il germe  del suo morire, e che la morte e la vita rientrano Tuna nel-* M Paltra n. Egli non vede in queste maniere di dire, e in jnesti sistemi altro vizio, se non quello, che non sono astratti athasfan/a, e che fanno succedersi il niente e Tessere, in vece di contemplarli insieme nella unit (i). In altro luogo trova la sua unit delP ess^^ e del niente Bq^' infinitamente piccoli de' matematici, grandezze, dice, che R considerano u nel loro svanire , non avanti il loro svanire ,  perch allora sono finite grandezze , non dopo il loro sva-  niie, perch allora sono niente. C!ontro di questo puro con-  cetto fi opposto e sempre ripetuto , che queste grandezze o   tglio dire nel tratuto De Nihilo geometrico di Giuseppe Torelli. Sembre- bbe potersi inferire da alcuni luoghi dell' Hegel , che al filosofo tedesco sie stato noto il filosofo veronese. R0SM191, // RiuiovamciUo. 4/ O'JO della dmribilit infinita dello spazio, e delPinfinito crescer iil numeri che appartengono alla successione del tempo^ questi prin- cipj ipotetici poi non trovano aperta contraddizione nella con- tinuit fenomenale di esso spazio e di esso tempo , e per sono ammessi come de^ postulati. Ma la continuit dello spazio e del tempo non ha veramente il numero infinito che in potenza, e non mai in atto^ e per quelle ipotesi, che si pongono in fonna di postulati, non hanno in s metafisica ed assoluta verit, ma solo una verit condizionata , relativa , ristretta dentro i limiti prescritti dai principj supposti per concessione, e nulla pi^ Erra dunque V Hegel manifestamente, quando vuole applicare a tutto un concetto, che non pu appartenere se non alle coae soggette alle leggi fenomenali del tempo e dello spazio, ed alle supposizioni concepite dal matematico come possibili, cio a dire, come non contradditorie a quelle leggi e a quelle condizioni prestabilite. a.^ Di poi, V essere delP Hegel, considerato nell^atto del  ivntone^ non prima, n dopo, non somministra veramente un con* oetto diverso da quello della materia prima degli antichi, una cosa al tutto in potenza. Or questo  un^ estenuazione troppe grande delPassoluto di Schelling, questo  un principio che pecca per difetto , un principio dal quale non si potr mai dednne n le altre idee, n le cose. Invano egli ci dir che nel con* cetto stesso c' il movimento, che c', com''egli la chiama, T quietudine (i): una cosa che non  ancor fatta, che  pari a nulla (ti), ha bisogno di un altro principio che la renda qualdie (i) Questa parola r d' iuquietudine m viene adoperata spesso dall' Hegd per esprimere quel conato di venire a sussistenza , che involge il coocdto dell' eiicrs considerato nell'atto del diventare. (2) In un luogo dice, che  facile  far capire che Tessere il quale a i fc posto al cominciamento della scienza  niente , perocch si potrdibe fc astrarre da tutto, e quando si ha astratto da tutto, resta il 0161110 {Scitm%a della Logica, Lib. I^ Sez. I). Ma io dico, che vi hanno due specie di astratti. Noi formiamo certi astratti in modo, che restano ndh Doatra mente soli senza relazione apparente con altro : certi altri non sono propriamente astratti , ma sono pi tosto cose che consideriamo astrtl* tamente, cio sono astratti tali, che non ci restano mai nella niente ita* lati , ma involgono seco una manifesta relazione con altro, a cui non hi- diamo coA espressamente. Ora io capisco benissimo , che posso sslrant 3 % li 3yi cosa, come la materia prima, che potea esser fatta ogni cosa, ifea InsognoM^un altro principio che la facesse ogni cosa : non posaamo aduncjue in tal concetto evitare un dualismo, cio un Bstema di due prindpj. 3.* L'unificazione AtW essere e del sapere^ in cui Hegel fa consistere l'assoluto Tero,non ha mai luogo. Perocch, secondo Q filosofo tedesco, F unit si fa talmente perfetta, che vien di- itnitta ogni difierenza tra essere e sapere j i quali vengono perfettissimamente identificati (i). Ora nello stesso concetto di Dio, (piale il pu dare una metafisica cristiana (che  anche h|n& sublime insieme e la pi razionale, cio pi coerente ditatte), sebbene il sapere essenziale e Tessere divino siano per* ftttamente unificati n ci abbia veruna differenza, tuttavia hwnoscibil dell'essere divino, o sia il Verbo ^ bench indi- s6ito dalla divina essenza,  per realmente distinto dal suo finitale principio, che si potrebbe dire in qualche modo la nelk del divino essere considerata in relazione colla conosci" d primo modo da tutti gli oggetti determinati del pensiero , e concepire I pensiero che non abbia per suo oggetto se non V essere al tutto inde- tmiiato y il che non  gi niente; ma io nego all'incontro, che si possa Mlnrre anche da questo essere oel primo modo. Se io mi sforzo di oon- npire V aUo del pensare privo affatto di ogni oggetto o sia determinato o n indeterminato , in tal caso questo mio concetto  solamente un astratto  leoondo genere , cio di quelli astratti che conservano un' intima re- IttioBe con altra cosa , bench essa non si faccia entrare nel calcolo. Perci pitr benissimo concepire Y astratto pensare , ma sottintendendo sempre per eh' egli abbia un qualche oggetto , sebbene questo oggetto io lo tra- ciiri, e non parli che dell'attivit pensante.  dunque impossibile far par- lila la filosofia dal pensare al tutto vuoto di oggetti : la mente che s' af- BlM ndA' essere indeterminato non  priva di oggetti, come l'occhio che lide sola luce non  privo di visione , sebbene niente efjii miri di limitato sdi determinato. Quando poi fosse possibile > il punto di partenza rmar- nbbe sempre soggettivo, perch pensare  essenzialmente aUo di un soggetto, (i) r Nella definizione delle cose finite  differente^ concetto ed essere, concetto e realit, anima e corpo m (che c'entra qui anima e corpo? IMSta  una caduta dal generale metafisico al particolare* fisico, il che nostra ci che diceva, che Hegel non ha un pensare abbastanza li- lero );  sono cose separabili, quindi passaggere e mortali  (anche V ani- Mi?).  L'astratta definizione di Dio all'incontro viene appunto qui, che il suo concetto sia concetto ed exsere inseparabili, e inseparati  {Sciciua dia Logica g Lib. I, Sez. I, e. i.) bilit^ e non In s stessa , cio non in quanto quella realit ap partiene alF essenza. Era necessario che il filosofo alemanno si fosse sollevato fino a queste altezze^ volendo egli dar fondo alla scienza della Logica nclPaspetto In cui la prese : altezze a dir vero, in cui Pumano filosofo pu sperare di pronunciare pi tosto sentenze che non si contraddicano, di quello che sentenze che pienamente s^ntendano. 4.** lu essere evanescente ^ che  V oggetto evanescente in unit coir o/to della mente evanescente pur egli,  un concetto, che sembra semplice a prima giunta, perocch si  ridotto il sno con- tenuto al minimo possibile prossimo al nulla. Ma questa ma* niera di stimare la sua semplicit,  pi tosto matematica die metafisica :  una stima simile a quella che si fa delle gran* dezze estese e de^ numeri, e non una stima di quelle che si fanno de^ concetti e principi logici ^ i quali si dicono sempUd , non quando il loro contenuto  semplice o nullo, ma quando non involgono altre concezioni in s , n esigono pi atti dello spirito, e sopra tutto, quando non suppongono altri con- cetti ed altri principi dinnanzi da s. Or V essere di Hegel suppone per certo un cotal sistema d^ idealismo , e molte altre proposizioni preliminari, come quella che ho accennato, che le idee sieno produzioni del pensare^ le quali sono ricevute in Germania senza esame, ed influiscono secretamente nel sottik lavoro di quelle Filosofie. 5.^ Finalmente non si potr mai collocare il vero neWessen concepito da Hegel , perocch non pu servire per misura H vero altro che Tessere ideale ^ a cui si raffronta e commisoit Tessere reale. Ma n Tuno n T altro di questi sono in aito nelFesseredell^Hegel^ ma solo in potenza^ sicch dell' essere reak V ha troppo, sebbene v^abbia xm infinitamente poco, e ddFIdeak troj^o poco appunto perch v^ha un infinitamente poco. L^ uniti di Hegel rimane adunque infeconda, appunto come quella  Pittagora, per eccesso di astrazione : sebbene quella di Pitta- gora era un celibe, dir cos, del mondo ideale-, quella di H^ gel  un celibe che vive in sul confine de^ due mondi , delTi- deale e del reale. . Ma qui basti : queste poche osservazioni io non intenwF lanto rivolgerle ai miei connazionali, quanto di sottoporle) 373 come dicevo, alla meditazione e al giudizio de' profondi filo- 9ofi della Germania. CAPITOLO XXXI. ESPOSIZIONE DEL VERO CAITEBIO DBLUL CERTEZZA. Tali furono i pensamenti de^ filosofi intomo al criterio del imo; parte de^ quali volsero il loro studio a cercar puramente mi indizio ossia una tessera della verit, parte si approfondarono ndla ricerca dell^ essenza stessa della verit. Manca a compire tale sposizione ancora un sistema, quello che io proposi nella Soione VI del  Nuovo^ Saggio sull^ origine delle Idee n , so itoiendo io, come a me parve, ufficio d^ interprete di un'aia tMitenitift nostra e sommamente venerabile tradiaone. n mio criterio  un di quelli,clie intendono a fissare^ quid sia Vessenza della verit; e per esso appartiene al secondo de^ due (nndi generi di crterj accennati: appairtiene a quel genere che pone il supremo criterio nelle idee* Ftbl tutti i sistemi poi di qiesto secondo genere, quello che io proposi si trova occupare tti posto di mezzo^ sicch gli altri, ragguaghati a questo, si fiidbber peccare or di eccesso , ora, come vedemmo, di difetto. Conviene attentamente riflettere, che quando si parla di egniziomy vere o false che siano, noi siamo sempre nel mond ideale, o certo mentale^ e per , che se si d un criterio del Vtto, questo non pu cercarsi, e non pu trovarsi se non in quelle Me che passano nella mente. Conviene attentamente riflettere, die il mondo reale ^ il mondo delle sussistenze finite, non  co- (luto per s stesso; di maniera che non  assurdo pensare die il mondo , quanto alla sua real sussistenza, rimanga anche seniuno lo conoscesse (i) Il mondo reale ha bisogno dun- (i) Dico questo quanto al primo concetto che noi ci formiamo del mcmdo Vterore. G non toglie che esaminando noi a fondo un tal concetto ccdla fj/ktsitme, perveniamo ad una opposta conclusione , cio a rilevare , che le cose materiali brute non potrebbero essere senza che vi fossero delle cose tnsiiive^ e generalmente niente potrebbe sussistere dove non vi avesse delle COH intellettive. (Yed. Prmcipi Mia Seiema a^rvi^ Gej^ II, Art. I). 374 que di una mente per essere conosciuto ^ e per  nella mente ditegli riceve luce, intelligibilit. La cognizione adunque! una cosa al tutto mentale ^ appartiene all^ ordine delle uln in cui si risolvono tutti i giudizj e i raziocinj : in queste sol adunque pu esser la verit ^ P essenza della verit, poich ii queste risiede la cognizione. Conviene ben riflettere ancora, che il sentimento stesso ap Jiartiene al mondo reale ^ o per dir meglio, lo costituisce (i) per non  cognito per s stesso, come abbiam gi prima di mostrato del mondo reale, ma anch^esso viene conosciuto ud mnte, e per la mente ^ cio mediante le idee^ che sono ndl mente, qualunque cosa poi sieno queste idee. Volendo noi dunque cercare V essenza della inerita , la piio ^verit, che dee essere il criterio delle verit particolari, che so tali perch di quella partecipano ^ non dobbiamo, e non pot siamo uscire dal mondo ideale. Il cercar dimque un princ^ che sia ideale e reale insieme (sebbene queste due cose so possano essere giammai del tutto unificate), potr esserci otil per V ontologia^ dove si cerca di dar ragione del cominciai delle cose^ ma non  menomamente opportuno per la /ogo, pecialmente per la questione del criterio della certezza ^ e no farebbe se non involgerci in ispeculazioni tanto pi coo^ cate ed inestricabili, quanto pi P ingegno nostro fosse potenti CSonciossiach un tal principio introdurrebbe un elemento ete rogeneo, il reide^ che non ha a far cosa alcuna coU^ della verity e che non farebbe altro ufficio che quello di sostanza crassa la qunle si mescolasse colla luce, e ci veiufli con essa insieme negli occhi. Convien dunque risolvere una questione alla volta, e aa avvilupparne molte insieme, per troppa fretta di ris])ondasi tutte.  da cercar prima il criterio del vero nel mondo ite le^ di poi  da mostrare come egli sia atto a farci conoscer con certezza tutte le cose reali. Gonciossiach la questione de criterio  diversa da quella dell^ applicazione di questo crlB rio alla conoscenza del mondo reale. E questo ci pare boi ti (f ) La materia non si percepisce da noi se non od sentimenlos cU f^ ella  un eoCal Umite e un principio che lo modifica. 3jS mxe basterolmente atrertito il C M. Non affarando egli bene i distinzione di queste due questioni, e volendo pur sod* lisfiure a tutte due con una sola risposta, si sfon di stabi* ire un nesso necessario fra le idee astratte e le cose , del qual lesso necessario abbiam gi dimostrata la falsiti. I tedeschi jurimente mescolarono, per la stessa impazienza di risolvere Atti i gruppi in una volta, VoUohgia e la logioaj ilsoggettivo iFoggettivo. Io credo all^ opposto importante assai al filosofo, che cerca il criterio della certezza, badare bene a^ limiti della questione^ ed intendere , come ella appartiene intieramente, per dirlo di Doim), al mondo ideale, perocch ella appartiene al mondo deik conoscenza^ e come la relazione della oonoscenMi colle mata A spetti interamente ad un^ altra questione, cio alla foeitione che versa intomo al mdo di applicare il crite* rio alla formarione e verificazione delle notizie degU esseri reali PtaMSse queste cose , dico che V ometto pensato come pos-- dUhj  ci che costituisce Videa. E per se il criterio A fBO dee essere nelle idee, infallantemente avr la forma di aggetto. In vano si dice da^ tedeschi, che questa forma di og^ getto  limitata , che esclude qualche cosa perch esclude il leggetto, e che conviene sollevarsi ad un principio che non ti u oggetto n soggetto , ma il talamo per cos dire di en* trttnbL Io confuter di nuovo pi sotto questo errore con ie^ alimenti diretti. Voglio intanto solo &re osservar di BOOTO quello che gi dissi, cio che il soggetto non  che un mtmento sostanziale ^ e che per egli  incognito per s, come sono incogniti per s tutti gli altri sentimenti. La sua conosci" lata dunque non  egli stesso, ma qualche cosa diversa da fan: per in questa cosa da lui diversa , in questa conoscibi- Hnk sua si dee cercare anche la certezza che noi di lui aver poniamo. Il soggetto adunque viene eliminato necessariamente daDa teoria della cognizione e della certezza, come tutte le dtre cose che si debbono conoscere, e che non sono in s Messe conoscibili. Noi dobbiamo partire dalle sole cose cono uibili per sj perocch elle sole sono quelle che ci fanno co- noscere tutte V altre ^ e queste cose conoscibili , o pi tosto cognite per s, sono le idee'^ e le idee non sono che la cosa 376 nella sua possibilit, oggetto dellMntuizione dello spirito. Egli  dunque in questi oggetti, s come quelli che sono le cose per s intelligibili , come dicevo , che bassi a cercare la natan della cognizione della verit, della certezza, e il criterio. Ponendoci ora a studiare V intima natura delle idee , e t raflSxmtare le une colle alb*e (senza badare alla loro prore* nienza), noi ci accorgiamo facilmente, che ve n^ hanno di pia e di meno nniversaU , di pi e di meno determinate : noi d accorgiamo, che le meno universali sono comprese nelle pia universali, le pi determinate nelle meno determinate: noi d accorgiamo , che, a ragion d^ esempio , nell^ idea di annak  comprendono tanto i lupi quanto i cavalli , tanto i pesci quanta gli uccelli, e in somma tutto ci che  compreso nelle idee delle specie e delle loro variet. V^ hanno adunque delle idee che dipendono da altre idee*, le idee minori dipendono daBe idee maggiori. Cosi io non posso sapere che cosa sia un liipo^ o una trotta , se insieme non so che cosa sia un animale^ giac- ch la sola vista del lupo o della trotta non  gi ima cognH nonej ma una sensazione^ la quale per s appartiene alle cote non conoscibili in s stesse, ma conoscibili per mezzo d^ altre. ll^ opposto non  niente impossibile , che io sappia che cosa sia animale , rimanendomi tuttavia occulte molte specie di ant- mali. La idea pi universale adunque mi abbisogna di neoe* sita, perch io abbia la meno universale: Pidea meno m* versale adunque ha la sua conoscibilit e la sua luce neUa jj universale. Chi  pervenuto a fare queste riflessioni, e ne ha ben in- teso il valore, egh  gi sulla strada che conduce all^inves- zione del criterio della certezza , che non  altro che la prmi dea^ quella che  conoscibile per s, e dalla quale ricevono tutte le altre la loro conoscibilit , non  altro che la pan luce. Non dee trovar difficolt il filosofo ad ammettere che Fidea universalissima  la conoscibiUt delle altre tutte, pensando dN quella differenza , che sta nelle idee minori , sembra non nud potersi conoscere mediante le maggiori. Per es., egli non dee mica dire a s stesso :  se si ammettono alcuni astratti, non si pu pi negare anch r astratto del puro essere. Noi ci appelliamo sempre all' servazione immediata della cosa, la quale  la nostra goid perpetua. Io bramo che gli uomini imparziali osservino ben come avviene il fatto della conoscenza, e converranno mec sicuramente, che la conoscenza non  altro se non il pensici deir essere della cosa, il pensiero delP essere delle sue deCfl niinazioni ecc. , in somma sempre il pensiero delP essere. L^e sere adunque  la luce conoscibile per s stessa: Pesseit quella idea sommamente universale che rende conoscibili toU le idee inferiori, tutte le differenze^ le quali non sarebbc conoscibili per s stesse, e rimaiTebbero occulte, quando andi tssie operassero e lasciassero qual si voglia impressione in m spirito che non vedesse Tessere: Tessere dunque illumina 1 diverse gerarchie, e quasi i diversi cieli delle idee, comuni cando il suo lume e trasmettendolo dall'una idea alTaltn r altre idee poi non fanno che rimbalzare la luce, per oof dire, ciasctma a quelle di una sfera inferiore, fino che oolk ultime idee e pi prossime ai sentimenti, vengono illuminiti e fatti conoscibili i sentimenti stessi, e con essi insieme lakfc materia , che  V universo esteriore e insensitivo. Io per me ritengo , che una tale teoria non possa essere ri- fiutata se non da coloro che non la comprendono \ e che non possa non comprendersi se non da coloro che non sanno os* servare dirittamente e immediatamente il fatto del conoscere, e che alla semplice osservazione che loro manca , vogliono so- stituire una speculazione e un^ argomentazione vana ed vor portuna. S79 E nello stesso nostro C. M., ci che io trovo di dover de iderare non  gi un pi complicato ragionamento^ anzi solo ma pi attenta osservazione. Egli ammette come principio primo quello di contraddizione, t non si accorge che nel suo libro esso  un fuor-d^opera. Il vmcipio di contraddizione nel libro del G. M.  un rottame ii un^ altra filosofia: la sua fabbrica delP intuizione imme* Eata non lo riceve, non saprebbe dove collocarlo. Io prego air incontro chicchessia di considerare come questo pincipio si affaccia bene alla teora sopra esposta, e come anzi eoatenga tutta quella teora nelle sue viscere. Il prncipio di cntraddizione dice : ci che , non pu non essere. Che cosa ugtme d che ? L^ essere. Che cosa esprme ci che non ? H non essere. Che cosa dice adunque tutto insieme il prnci- pio di contraddizione? Che V essere esclude il non essere. Come a pu sapere che Tessere escluda il non essere? Mirando nel* FeMort col pensiero, e badando quello che include e quello dw esclude. L^ essere adunque mirato dallo spirito (il che  ^jiuito dire Pidea dell'essere)  quel solo che ci fa sapere coiDe il non essere sia essenzialmente escluso da lui : e per il pincipio di contraddizione non si pone in atto che dalPif- ^idone deW essere. Perci V essere  antecedente al prncipio di cantraddizione nella nostra mente, e il principio di contraddi-* sbne nasce da lui , tostoch in lui affissati noi ci accorgiamo tbe il non essere  ci che gli  dirttamente contraro. Or chi non vede qui che la vista delF essere  la prma luce ti nostro spirito, e il fonte di tutti i principi del ragiona- Mito? Chi non s^ accorge, che da quella vista esce Pevidenza  questi prncipi ? e che per V essere puro veduto da noi  il ^nremo crtero della certezza? CAPITOLO xxxn. COHTINIJZIOVB. N io ho proposto questo sistema s come cosa nuova, una ^osa mia. E^li giace nel foudo delle tradizioni migliori del- ' umana sapienza , e il cristianesimo V ha ne^ suoi visceri. 38e Che adunque ho fatto io, si dimander? Forse nient^ altro che raccozzare i frammenti sparsi di un tal sistena ^ fors^ anco solo svestirlo , denudarlo da ogni in , chia- mando questa dottrina T Apice della Teoria (i)? Ugualmente quelli che avranno posto attenzione a cono^ scere la natura, la tendenza, il genio volea dire, del patria filosofare, potran dire, se il sistema nostro non sia d^ indole veramente italiana. Se non che molti nobili concetti sono de-* positati a libri italiani, ma ivi stanno a vergogna nostra iniH tili, come ricchezze chiuse nelle casse, non poste in circolft* zione. E a quanti de^ miei lettori sar noto per avventante che in un libro stampato presso di noi cinquanta o sessao' t^ann^fa^ si legge senza ambiguit alcuna, che m V intelletto  non saprebbe pensare ad un essere particolare, se non ^ M fsse presente V idea delP essere in generale^ n saprebbe tf la volont amare alcim bene particolare, se portata noa  fosse all^ amore del bene in generale  7 Non  questo ap* punto che noi diciamo? Pure le parole riferite ognuno pu trovarle in un Ragio- namento di Vincenzo Chiavacci (2). (i) Vedi fra le sue opere l' opuscolo intitolato De apice theorim (a) Sopra un saggio ddla grandezza di Dio mani/statoci dalU sug arsi Ma di colali luoghi de^ nostri scrittori ci verr opportunit Itrove d^ arrecarne ben molti. Ora qui non ci abbisogna in- dugiare. CAPITOLO xxxm. n. XMIHI E IL ROMAGNOSI FATTI GIUDICI DB^ PROPKl SISTEMI. Credo adunque, per rimetterci in via, che nella premessa espo- bne de^ principali sistemi intomo al principio della certezza, non sar difficile a rilavare che luogo occupi quello del nostro CH., e come egli stia pur lontano dal potersi ricevere per criterio primo e supremo. Per abbandono le riflessioni, che si poison fare sulla descritta tavola, e sid valore comparativo de' sistemi in essa registrati secondo il pi basso o il pi alto porto che occupano, al senno di chi legger queste carte. Io procedo volentieri ad altro. Conciossiach parmi dover OKre prezzo dell^ opera P istituire qui un^ investigazione al- quanto curiosa ed ardua in apparenza, ma che non credo tut- tavia impossibile a farsi: e se ci riesce di poter condurla ad ef- fetto, noi avremmo per essa aperta una nuova via da poter giu- dicare con tutta equit gli annoverati sistemi. LMnvestigazione i questa: tf qual sia il giudizio che fanno de^propfj sistemi gli iitori stessi che li hanno prodotti n, o sia, a fino a che segno si confidino gli autori in quelli n , o finalmente, u che cosa da essi li ripromettano y> . Ognuno vede , che questo  un afiare assai bilicato : si tratta d^ interrogare la coscienza de^ filosofi ^ si tratta di scuoprire i loro secreti pi gelosi ^ e di far tutto ci tema aver per Io sguardo di Dio, che penetra nel profondo de' cuori umani, n commettere tuttavia de' brutti giudizj te- i&erarj. E pure io non dispero di riuscirvi^ e tanto pi volon- ^mifoalla prova, che s'ella ci riesce bene, il giudizio  fatto iQimobilmente ^ perocch non v' ha sentenza pi inappellabile li quella che pu cominciare dalle parole ex ore tuo te judico. Ora, secondo me, tutti i filosofi che non hanno sicura in Uino la verit, vacillano nella propria persuasione^ perocch teli' errore non penso io che si dia una persuasione al tutto ttunobile, come della verit, per la quale l'uomo  fatto. Ora [uesti vacillamenti di persuasione sono quelli appunto che si 382 debbono raccorre con diligenza dal critico avveduto , come io- dizj talor chiarissimi, onde pu indursene ragionevolmente,  (piai grado di fede diano i filosofi al proprio sistema . 10 sarei infinito, se volessi mettere a questo genere di pron tutti i sistemi circa il criterio della verit da me toccati : ma mi propongo di dame saggio con due, cio con quello del G.M., e con quello del professor Romagnosi. Le. promesse che entrambi ci fanno a certi luoghi de^ loro scritti, non possono non esser bellissime^ perocch avendo tolto a fermare la certezza umana , essi hanno tolto con ci stesso ad assicurarci y che il loro sistema stabilisce immobilmente uni tale certezza: e se dicessero il contrario, ninno ne vorrebbe di essi. Per il G. M. ci parla del i^ero assoluto^ promettendocelo lampante nelle sue dimostrazioni ( i ) e ne^ suoi discorsi , i quali egli poi conchiude cos : u La prova intera della certezza e  realt dello scibile  stata ordinata da noi, a quel che ci  sembra, in forma rigorosa di scienza, e dedotta per una se-  rie di teoremi purissimi, cio somiglianti alla geometria, la  quale non premette altra cosa fuor che la reale sussistenza  d^ un primo (atto e il principio di contraddizione (2). 11 Romagnosi parimente assume d^ insegnarci a  conoscere oon verit , e a a provare con certezza n (3). Egli promette ancora di stabilire de^ u dati irrecusabili , onde procedere fer- u mamente e risolutamente in mezzo alla lotta delle opinioni^  e chiamarle a concordia , onde giungere finalmente alla teo-  ria positiva di una intellettuale ginnastica , la quale solt  raccomandar pu le elucubrazioni della filosofia del pen-  siero ff (4). Le promesse non possono esser migliori*, e da otali luogbi de^ nostri due autori parrebbe , trovarsi in essi un fermissiiDO (i) Vedi le seguenti faocie del suo libro; face, xv, 184 t85, ij^ 49 e la parola  certezza . Perocch se mai avvenisse , che questa parola irrita per lui non significasse vert , e che questa pa rola certezza in sua bocca non significasse certezza^ le sue ma- gnifiche promesse manifestamente varrebbei*o assai meno di quel che suonano. Cerchiamo dunque prma di tutto di qual vert o di qual certezza intendano parlare i nostr filosofi , per saper bene di che valore sia la difesa eh' essi ci presentano della vert e della certezza: cerchiamo quali sieno i caratteri di quella vert, e di questa certezza ch'essi dichiarano ac* cessibile agli uomini, e che tolgono ad assicurar loro compro* prj sistemi. Cominciamo dal C. M. Prmieramente egli pare, che questo autore rstringa la sfera del vero conosciuto dalla ragione, enti*o il mondo sensibile e' finito; concedendo ad un istinto morale le cose che trascen- dono la natura fisica. Imperocch dopo aver detto che u fonte  del nostro scibile  il fatto spermentale ajutato dal razio-  cinio 99 (i), e che u sentire si  sapere n (a), soggiunge:  Perch poi vive nel nostro animo un desidero infinito del  bene, e i germi della religione e della virt, quasi vestigio  delle idee sempiterne d* Iddio , debbesi accanto ai pronun-  ciati della ragione situare gli istinti morali  (3). Qui gVistui morali sono quelli che ci rvelano Iddio e la virt, e questi sono jcontrapposti ai pronunciati della ragione^ non sono dun que pronunciati della ragione, ma pur istinti. Nel libro poi che noi abbiamo alle mani, egli non parla che de' pronunciati (i) P. n, e XX, v. (a) Ivi. (3) Ivi- 384 della ragione 9 promettendoci d parlare degli istinti morali ia un altro ^ e per la dimostrazione dello scibile data dal G. M. non pu valere per le cose morali e divine. In questa ma- niera si ristringe d^ assai la verit e la certezza che il N. A. toglie a propugnare, contenendosi tutta nelle cose della mate- riale e tsensibil natura. Egli dice che u n P istinto prova u V intelligenza , u questa apporta a quello la luce de^ suoi  invincibili teoremi  ( i ). Egli  per vero, che soggiunge che la ragione u s'aflBretta a dimostrare  che  , quantunque i  veri da esso predicati trascendano i termini dell^ umano  ragionamento , pur tuttavolta abbondano i segni pe^ quali a  pu giudicare che in essi non giace inganno  (2). Ma queste parole difficilmente si conciliano colle precedenti. Primieramente 8 appellano  veri  i suggerimenti delP istinto ^ ma il vero non  che oggetto della ragione e delP intelligenza, la quale  appunto intelligenza per questo, che ha per oggetto il vero. Accomunando la parola  vero n a ci che mette innanzi r istinto j questa parola perde il suo genuino significato , ed ella viene a significar cosa , che non  pi il vero. N pu ap- pagare eziandio quella giunta, che u la ragione dimostra ab- bondare i segni pe^ quali si pu giudicare che in quegP istinti non giace inganno n. Per dimostrarlo user V autorit dello stesso G. M. Il Reid ammetteva delle verit istintive, aggiun* gendo per, che col ragionamento si potessero confirmare. Ora questo non garba al buon senso del N. . , il quale contro il Reid scrve cosi: u II Reid con li suoi seguaci ponendo i&- tf nanzi li giudicii istintivi a prova dello scibile , hanno in- a vece atterrata essa prova dai fondamenti. Imperocch lo scet-  tico non nega punto le verit istintive, siccome fenomeni  del pensiero, mostrandoli ed attestandoli il senso intimo ^ u bens nega doversi credere loro come a verit razionali r (3)* N il Reid trova grazia appo il N. A. col concedere eh' egfi la poscia alla ragione il discutere gli stessi princip) istintiri ] p^ rocche dice il Mamiani :  Il Reid concede facolt di esaminare tf e discutere la legittimit dei princip j istintivi^ la qual cod (1) Vedi la Dedicaloria. (a) Ivi. (3) P. I, e. XVI, ly.^afor. 385 Impelata o TanlTnctterc clie si possa cpelli paragonare con qualche verit superiore assoluta, o che il ragionare con pe- tizione perpetua di principio sia buono e valido y (i). Questa sentenza pronunciata per gli veri istintivi del Reid, on  pronunciata del pari per gli veri istintivi del G. M.? chi e limiter Tefficacia, una volta che sia pronunciata? Se il Mamiani ci dice adunque , che i veri toccanti le cose so nsensuali appartengono allMstinto, noi risponderemogli che oesto non basta a vincere gli scettici^ i quali, poniamo che ci ooordassero Y esistenza di tali istinti, il che vuol esser diffici- s, ce li accorderanno solo come fenomeni o apparenze, non m come veri razionali ^ e se egli chiama la ragione a discuterli ! provarli , accorda con ci alla ragione quello che prima le na negato , e toglie la necessit degP istinti per la cognizion li qne^ veri. Aggiunger io solamente , che ove trattassesi di m rivelazione divina esteriore delle dette venta, s^intenderebbe ni bene come se ne possa aver de^ segni indubitati, senza h^ ogno d^ intendere pienamente le verit stesse rivelate; ma trat- ttidosi di una rivelazione interiore e d^ istinto, ove pur si imigesse a provare resistenza in noi di una fiaicolt s mira- le, ci che pur solo dee esser difficile, non si perverr per ni a mostrarla infallibile. Perciocch a poter provarsi che B tale istinto non c^ illuda, o convien dimostrare quellMstinto adente c(a Dio e da lui guidato ; il che non si pu fare senza etizione di principio, poich Iddio stesso non si vuole a noi olo, che per quell^ istinto che ce lo rivela : ovvero conver^ be mostrare Tinfallibilit sua dall^ esame delle credenze chic- li suscita in noi ; ma n pur ci si pu fare , perocch si fpone, che quelle credenze sieno cotali, che travalichino tutte i forze della ragione , e quando tali prove dar si potessero odia ragione che le darebbe potrebbe anche trovare da so ne^ veri , senza un assoluto bisogno di una si nuova intema prazione. Non veggo adunque come nel sistema del C. M. possa an- ^ tolva la pi nobile e pi necessaria parte della verit , (i) P. I, e. XVI, 17.* afor. Ros|fiNi. H Rinnoyamento. * 49 386 . quella che ha per oggetto Dio , e i nostri eterni destini , ose si trovano  i titoli egregi e ammirandi del genere umano  , le cose altissime j i pensamenti sublimi  nei quali il genere umano ha sovente gustato una sincera beatitudine y (i): colle quali nobili parole il N. A. descrive V altezza di questa classe di verit, che pur vuol sottrarre al dominio della ra- gione, air istinto abbandonandola. Tuttavia il libro cV egli e promette di pubblicare su di questa materia, ci porr meglio in istato di certificare queste nostre osservazioni. Il Romagnosi poi non mostra aver una maggior confidenza del C. M. , nella propria filosofia. Convien attentamente os- servare, che quando un autore dice,  le forze della ragione non giungono se non fin qua, e qua , e non ne d delle prove inconcusse^ non pronuncia della ragione se non a quel modo cV egli la concepisce : piuttosto che pronunciare della ragione, pronuncia del proprio sistema filosofico^ e quelle sue parole ridotte al loro vero valore equivalgono a questuai- tre ,  il mio metodo di filosofare , e il principio del vero da me posto non giunge pi oltre che a questo limite 9. Siccli qui ci ha un ottimo mezzo a scuoprre quale opinione intima e sincera tenga un autore del proprio sistema logico , V ascoltare e notar bene le sue parole quando ci parla decimiti dell^u- mana intelligenza e delP umano ragionare: ascoltiamo allon la sua stessa coscienza, che ci si apre senza sospetto. Ora il Romagnosi pone quella stessa limitazione alla ragione, che fa il Mamiani. E tuttavia v^ha fra essi questa notabilis- sima differenza, cio che in quella parte di vero a cui non giunge la ragione, il G. M riconosce consistere la dignit umana e le ultime nostre speranze, e per salvarcela, non veggendo modo di farlo razionalmente, ricorre all^ istinto^ il Romagnosi all^ opposto, egli pare che quasi inutile e vana b spregi , e la voglia per poco cacciata dall^ umana cogitazione. Di pi, ove n Romagnosi dicesse questo suo sentimento aperto, noi potremmo almeno lodarlo di lealt. Ma ci costa assai a non potergli rendere questa testimonianza, quando noi veggiamo (1) Vedi la Dedicatoria. 387 suoi scritti una co tal maniera indiretta, tenebrosa , furtiva di tter fuori V animo suo , favellando siccome uno che tema a cuoprirsi , e insieme voglia pure comimicare altrui alcune se- te dottrine : il che ci pare al tutto indegnissimo non pure di savio 9 ma di qualunque onesto.  imo di questi poco di- tesi artificj del Romagnosi si  pur quello di avvolgere insieme imi sistemi manifestamente erronei e strani, con delle verit Igiose certe, ed anco dommatiche^ gittando poi queste e sUe in un &scio fira le cose inutili, e p^gio. A ragion d^e- ^pio , trae in beffii quelle che egli chiama ultra-astrazioni. IO che per noi non si sa che cosa egli intenda per cotesto n-astrazioni, ninno adombramoito ci nasce della sua dottrina: non cos ove si ricerchi che voglia significare con quel vo- olo nuovo, opportuno all^ intento d^ avvolgere in un cotal 0 quanto intende d'insegnare con esso. Udiamo noi adun* B la spiegazione che egli stesso d di quel vocabolo, tf Sotto il nome di uitra-astrazioni io intendo que' prodotti immaginar) (i) ne^ quali T uniformare e raggrandire vengono ipnti all' ultimo segno escogitabile. Tale  per esempio la iOrtanza unica di Spinoza, lo spazio immenso per tutti i versi 3a Newton appellato sensorio di Dio^ la durata senza tempo. La perfezione sonmia astratta, infine l'assoluto. Tutti questi soncepimenti derivano in sostanza dal convertire una rela- ddie in entit, e ragionarvi sopra come appunto fanno i ma- tematici colle loro infinit, le quali appartengono appunto i queste ultra-astrazioni. Io non voglio per ora dir nidla del loro valor ontologico, e per non definisco se entrar pos- sano nel conto di merci logiche. L'btinto mentale non ba- sterebbe a soddisfiaire alla decisione^ perocch allora il poli- teismo e ogni altra illusione dovrebbero assumersi come fonti di verit: dir solamente ci che Leibnitz disse dell'infinito matematico, cio che queste ultra-astrazioni non istanno den- tro , ma fuori del calcolo. (t) Si noti bene, che queste uitra-astrazioDi son dichiarate tolte prodotti magUuuj, L' impropriet di questa espressione sar notata da quelli che QUO distinguere V inwiaginazione dtW intendimento. Quand'anco Tintea- mento erri nelle sue vie^ egli non diviene perci immaginazione. 388 u Ad ogni modo io sono autorizzato a lasciarle da una u parte e di fame conto come gli scolastici della loro chi-  mera di cui cosi spesso facevano menzione nelle loro lo-  gich^ dottrine^ e di lasciarle a chi vuole camminare nelle u tenebre e correre dietro ad ombre di morte n (i). Merita cpesto brano , che gli si dia tutta V attenzione , a fine dMntender bene la mente del Romagnosi, e di conoscere la sua maniera di esprimersi. Osserviamo adunque , che I .^ In esso egli ci mette insieme un sistema panteistico, quello di Spinoza, e una ardita e gratuita opinione di Newton, con due o tre proposizioni , ohe per molti altri filosofi sono verit delle pi inconcusse, e per tutti i cristiani sono deaeri dogmi religiosi, cio i.*^la durata senza tempo, o sia l'eternit, a.Ma perfezione sonmia astratta, e l'assoluto, o sia Dio. Questo amalgamento di veri cos rispettabili ed augusti non meno in filosofia che in religione , con delle empiet e delle stranezze,  cosa che sola basta a dar notizia chiara di un uomo che non  sciocco, e che non pu credersi non avvertire a quello che dice. a.^ Or egli dichiara di tutte queste dottrine di cos diverso genere afiastellate insieme, ch'egli a non vuol dir nuUa del u loro valore ontologico, e non vuol definire se entrar po9- 14 sano nel conto di merci logiche 9. Ma per notate bene, che nello stesso tempo che egli vi fa questa dichiarazione, n dice ancora firancamente , a) che quelle dottrine sono prodotti immaginar/} b) che tutti questi concepimenti derivano dal con- vertire una relazione in entit, il che  quanto dire in e^ rori madornali, come  appunto il prendere ima mera ida- sione per una cosa reale ^ e) che non istanno dentro, n:ia fuori del calcolo^ d) che si pu lasciarli da parte, risguardandoli come la chimera degli scolastici, cio come un essere fimUn stico, privo al tutto di realt; e) u finalmente ch'egli crede di poter lasciare quelle dottrine a chi vuol camminare nelk tenebre e correre dietro ad ombre di morte n ! ! Ora leggendo tutte queste belle cose, accompagnate dalla (i) VtduU/omiamcnUdi dell'arte logica, h. I C VI, Sez. IL . solenne protesta di non voler dir nulla sul valor ontologico e logico di tali dottrine ^  egli possibile, che ad un uomo di buon senso non corra tosto alla mente la filosofia befiiairda de^ sofisti firanoesi del secolo scorso, e che non ravvisi nel Ro- magnosi i vizj dell^et in cui crebbe, e i vestigi di una scuola die, per grazia di Dio, pute nauseosamente al nuovo secolo iu coi viviamo? 3.^ Dopo di tutto d, viene quasi superfluo P osservare, che il Romagnosi non solo limita la conoscenza dd vero alle cose ienribili, e n^ esclude le soprasensibili, ma non concede n pure, come fiat il C. M. che a queste si possa giungere col- Pistinto, il quale, dice, se aver potesse autorit, convalide- rebbe fin anco le stravaganxA del politeismo. Ma che  d , dopo che egli gi disse, che T eternit, la somma perfezione, Fassoluto, sono tenebre ed ombre di morte ? N possiamo rispon* dere, che il Romagnosi nomina Iddio con rispetto in molti Inoghi delle sue opere ^ perocch, non d nam noi accorti di aver che fare con una filosofia beffarda? In un altro luogo dice il Romagnosi , che sulle disposizioni ddla economia divina riguardante la natura umana u convien fiur punto ff , soggiungendo di poco buon umore  E che per- ii d ? Vorreste forse colle tenebrose vostre cosmologie gettar  ancora la filosofia nelle larve analogiche niente pi valevoli te delle cosmogonie caldaiche, indiane, cabalistiche? A che pr  trascinard in un pelago oscuro, infinito, inutile alla men- te tale educazione 99 (i)? Ora questa maniera di parlare , a dir vero, non poco equi- foca. Si nominano,  vero ^ con dispregio le sole cosmogonie caldaiche, indiane e cabalistiche^ non si parla delP ebraica; ma che intende egli per cosmogonie caldaiche? io non voglio rilevame il mistero (a). Dico bens, che quella maniera di par- (i) FeduU fondamentali sdtarU logica, Uh. II, e. YI, 34. (a) CoD dolore io non posso occultare i miei dubb) sulle crederne reli* pose del P. Romagnosi. Questi^ che taati luoghi equivoci e nebbiosi ^elle me opere m' inducono in?olontariamenU nell' animo , sono pur troppo con- Irmati , anzich dissipali^ dai m Cenni sii limili e sulla direzione degli studj dorici M premessi al libro del Janelli $t sulla sdenza delle cose umane  lare esclude tutte le cosmogonie, e non le sole nominate* Se ad ima sola egli facesse grazia , se avesse voluto serbare P e- hraica, e almeno come documento storico non potea preterir- la, r avrebbe assai probabilmente nominata* Ma egli vuole, che sull^ economia divina riguardante U genere umano si taccia del tutto. Or questo assoluto, questo profondo silenzio sopra ci cbe forma e former sempre P interesse massimo dell^u* manit, e di cui si parler sempre, checch si faccia o si dica, non solo  impossibile, non solo non ist con chi professa la religione di G. C, ma non  degno n pure di un filosofo: e chi proibisce ai suoi simili il ricercare onde provennero, e a quale destinazione vanno, U meno che dir si possa di costai si , che egli professa una filosofa assai povera, e al tutto in- In essi RomagnoM toglie a mostrare^ esser cosa impossibile ed assurda raro- meUere , che il mare abbia coperte le pia alte montagne ; ^ che equivale a negare il diluvio. N po6 rispondersi, che si dichiara impossibile filosofi- camente ragionando , e non pi; perocch non si discorre solamente se sa potuto essere secondo le leggi naturali, m^ del fatto, se sia stato si, o no; e si chiama  un popolaresco errore h. Di poi si passa alla questione del- l'orgine delie umane popolazioni, e si decide cosi: Per poco che si pensi H alla questione dell'origine della specie umana  si viene alla conclusione, n esser questa una questione insolubile da quabiasi filosofia , al pari della r questione sull'origine degli altri animali e de' vegetabili w. Or qui  da osservarsi, che se si favellasse di una filosofa tutta speculativa , la proposi- zione sarebbe passabile; ma si tratta anzi d'una fiilosofia che (auso di tutti i monumenti di qualunque genere rimastici dalla pia rimota antichit, fra' quali esistono anche i libri di Mos , che ov' anco non fossero ispirati , vor- rebbero tuttavia essere autorevolissimi testimonj, cred'io, delle prime memorie. E pure dell' altre memorie storiche si fa menzione ; di queste no : scrvendo in queUa vece il Romagnosi cosi: w Circoscrtti gli studj sto* M nei M (si noti bene che si parla di studj storici, e non puramente filosofici) w alle notizie positive dell'umano incivilimento, il prmo argomento che r si presenta si  l' orgine positiva di lui , non tratta da leggende caba- M listiche, ma da prove positive  naturali che tradizionali w. Ora chi  mai al tempo nostro, che venga traendo colali notizie storche dalle leg- gende cabalistiche? Non  dun Libro uno di Girolamo Alberj >. Egli  pregevole per una cotal lo- gica , b qual intendendo a mostrare , secondo i sensisti , che tutto il sapere umano si rinserra entro  la sfera degli oggetti sensibili h, dimostra io pari tempo chiarissroaroente quanto una filosofia sensista immiserisca Tu* mana cognizione. Io poi dimostrai ^ che al tutto T annienta  nel N. Sagpo Sez. ly, e. in^ art. v e vi. (a) Nel luogo ciUlo del N, Saggio (Sez. IV, cap. in, art v e vi) I dimostrato , che non resta pi nessuna certezza, n pur rbguardante le cose sensibili, quando si parta dal principio  ogni cognizione nasce da' sensi - 393  ertzze (i) alla certezza imme^ata del senso intiio! e quando u ci non possa succedere, diciamo nessun^ altra specie di di-^ m mostrazione poter valere n (2). Questo argomento non riceve forza se non dalla condizio-* ale, tf se v^ha al mondo ima prova sicura dello scibile f. Pu dunque rendersi cosi:  Una prova dello scibile aver ci dee, al-* tiamente noi caderemmo nel pirronismo. Ma questa non pu essere che quella del senso intimo. Dunque il senso intimo  il fonte della certezza . Ma, di nuovo, che varrebbe un tale alimento a^ pirronisti, i quali dicono di non aver paura di cadere nel pirronismo: Odasi ancora come il Maniiani si faccia incontro ad una delle pi forti obbjezioni che si soglion fare dagli dettici, e indi deducasi che valore tenga, nella sua maniera di concepire ^ la parola certezza. Uobbjezione e la risposta vien fatta dal Mamiani stesso in queste parole :  Quando si vglia instare ed u aggiungere che qualunque facolt e operazione delP animo ^  appartenendo a un essere limitato di sua natura e condi-' ac zionale, non pu produrre cosa. In cui splende il carattere K dell^immutabilit, della necessit e dell^ universalit ^ noi re-* K plichiamo all^istanza torcendola tutta contro gli autori suoi:  conciossiach pure le forme ingenite della mente e i suoi  giudicii a priori e tutta la ihacbhina della ragioh pura  tf accidente ed operazione d'un essere limitato, mutabile e  condizionale ^ quindi o conviene asserire che non siamo noi u quelli, i quali pensiamo la ragion pura, ovvero che la sua  immutabilit e necessit  apparente, e noU reale :f> (3). Questa risposta merita tutta P attenzione^ pei^occh in essa^ il Mamiani da una parte e i pirronisti d'un' altra vengono alle mani, struggendosi e annientaudosi scambievolmente, in ** (t) Pino che una opinione non  riscontrata al senso intimo ^ non pu asier certa , secondo il N. A. , perocch da tal riscontro solamente nasce la iua prova. Per  inesatto il dire , che conviene ridarre l' altre certezze alla certessa immediata del senso intimo; perocch non t pu essere chef una certezza sola; e se gi quelle sono certezze, a che fine ridurle ad un*aP tra certezza? (a) P. I, e. XVI , 17 . afor. (3) P. I, e. XYI, 3.* afor. R08M191, H Jtinnoyamenta. So 394 dopo la battaglia veggonsi i piiTonisti prendere il paciGco pos- sesso del campo abbandonato. Veramente l'obbjezione era forte: ella provava che niuna, e n pur tutte insieme le facolt delFuomo bastano, da s sole, a produr cosa che sia immutabile, necessaria, universale, requisiti Indispensabili alla verit (i). E di vero, onde si potr mai dimostrare che il contingente possa prodiure il necessario , e che una causa particolare possa produrre un effetto univex'salc? Niente suggerisce il C M., che vada direttamente contro questo argomento. Che risponde adunque egli? risponde, che se queirargomenlo  efficace con- tro il suo sistema, ugualmente  efEcace contro il sistema di quelli, che colle forme ingenite difendono Timiana certezza. E bene, che se ne conchiuder? La conclusione  facile a vedersi :  facile a immaginare che cosa i pirronisti soggiungeranno. Diranno assai lietamente: bene sta^ quelP argomento atterra entrambi i vostri sistemi; non rimane che il nostro solo: convenite dunque, amici cari, con noi^ fatevi coraggio^ dite francamente, che non v'ha sapere alcuno inunutabile , necessario , universale per V uomo ^ che non v'ha verit per un essere cos frivolo, fortuito e pa^saggero. So bene, che il C. M. vuol venire ad un'altra conclusione: so che la conclusione del C. M. si , che appunto perch con quell'argomento s' atteiTerebbe ogni sapere certo dell' uomo, perci esso non deesi ammettere, ma rifiutare: conciossiach non si dee rinunziare punto n poco alla certezza, attesi i gravissimi danni del pin*onismo. Ottimamente: ma non diranno i pirronisti, che questa maniera di ragionare mostra bens un'avversione contro di loro, ma non presenta alcuna razio- nale e giusta confutazione? Per mantenere all'uomo la certezza delle sue cognizioni, (i) Come mai il C. M. dice , che i pur*sti o razionalisti non dimostrano riropossibilitii in che sono le facolt umane di produrre il necessario s r ODTersale > quando egli stesso reca tosto dopo un loro argomento ^ oot ci provano invittamente, a tale, eh' egli non trova da far loro alcuna di* ritta risposta? Vedi questa inavvertenza del nostro autore P. II, e. XYl 3.*afor., ed in pi altri luoghi del suo libro. 0 mi son creduto obbligato nel N. Saggio di dimlt)f{trare due )se: i.^ ebe v^ba ima verit immutabile in s stessa^ 2.^ che ma parte di questa verit, la parte pi necessaria, e comuni* aia all^uomo per natura, cio  legata alPumana natura per m nesso cbe non dipende dalla volont umana, n va soggetto U forze di questa, ma dipende solo dal creatore (i). Ho gi- iicato esser manifesto, cbe se Puna o F altra di queste due ose non fosse, non si potrebbe giammai garantire all^uomo era certezza: conciossiacb, se non ci avesse una inerita ^ man- herebbe P oggetto, per cosi dire, della certezza^ e se ima parte li essa verit, la pi essenziale almeno, non fosse congiunta t>ll'nmana natura con necessario e infrangibil legame, ma tutta 1 volere o al potere dell'* uomo fosse commessa e abbando- lata, noi non saremmo mai certi a pieno di possedere quella erit, attesoch limitata e fallace  la nostra natura, il no* tro volere ed il nostro potere. Nulla di tutto ci egli pare cbe reputi necessario il C. M., e in vece d^ attendere a qualche sua affermazione isolata, goardiamo nelP intimo e al tutto de^ suoi ragionamenti. E quanto al concetto cb^egli s^ formato della verit ^ noi * investigheremo di proposito in aitilo capitolo: qui vogliam occare qualche cosa circa il nesso &a la verit, e Puomo co* loscitore di lei, e vedere scegli trova cosa che valga ad assi- urar bene^ e fermare un si fatto nesso. B se noi guardiamo ad una frase onde chiude i suoi di- corsi, pai*e di si, dicendo egli u lo scibile umano appoggiare i ad una certezza immediata e indubitabile n (2). Ma questa onchiusione viene ella diritta dalle premesse? veggiamolo. Le premesse sono:  Sebbene Puomo possa aspirare a una scienza delPassoluto, i .assurdo  dire che vi pu giungere con una scienza assoluta  . Questa parola di scienza assoluta pu ricevere a dir vero arj significati, perocch pu intendersi per iscienza assoluta [uella che  piena, ovvero quella che  al tutto certa, o Puno Paltro. Ma ci che segue toglie Pambiguo, dichiarando me- lilo qual concetto il G. M. siasi formato della scienza umana. (i>Sez. VI. (2) P. U, e. Xl^,i>- 396 m E per fermo , i caratteri proprii e costitutivi dell' umana  cognizione sono l'individualit e la contingenza: e prima u Yindiiddualit ^ perch d'ogni vero astratto o concreto, paj^ u ticolare od universale, l'anello ultimo e stabile vien legato tf a un modo del nostro essere proprio e individuo. Poi di-  ciamo la cognizione umana essere contingente. Disfatto ella u muta, e il non contingente  immutabile: ella conosce le 14 cose per V intermedio dei fenomeni, e questi son termini re- u lati vi: pu pensarsi distrutta senz'ombra di ripugnanza, e u il non contingente ba sussistenza necessaria  (i). Le quali parole in parte son vere , ma non in tutto*, e perjnel tutto son false. Perocch conveniva dire veramente, che la cognizione umana risulta da due elementi^ l'uno indi- viduale, contingente, mutabile, e questo  (salva l'eccezione che dir appresso) l'atto onde l'uomo vede il vero^ l'altro universale, necessario, immutabile, e questo  il v^ro stesso veduto. Conveniva in secondo luogo distinguere fra vero e vero, e mostrare, che una parte di vero vedesi da noi con un atto al tutto accidentale^ ma un'altra parte vedesi da noi con un atto che non  gi accidentale rispetto alla nostra natura, ma  anzi nella stessa natura nostra inserito, e tanto fermo quanto la natura stessa, sicch non si pu abolire quest'atto senza abolir la natura^ e dopo di quest'atto primo e fermis- simo succedono ancora degli altri atti, che sebbene awentizj, tuttavia sono protetti da errore , perch provenienti da opera- zion naturale e infallibile (2). All'incontro non fa il Mamiani (i) P. II, e. XIX, 111. (a) I sensisti hanno generalmente questo errore che nolo nelle indiale parole 4el C. M. Io Deslull-Tracy  senza velo. Non  per nel Romagno; che ansi molto sentitamente egli ribalte il Tracy in queste parole :  None m Vero che su tutti i nostri giudizj cader possa 1' errore , come disse D^ ff stutt-Tracy, ma ci avviene soIaineBle nei complessivi. Se ci non fos, n non sarebbe possibile criterio alcuno escogitabile , perch il criterio me- m desimo, consistente nei semplici giudizj di immediata, infallibile ed l^ e solata percezione, sarebbe consideralo fallace ^ ( Fedute fondamaUd itdtarU iogica, L. I, e. V, 2). E tuttavia per queste belle e fine parole noo si mij;lior la cus del Romagnosi, tutto riducendosi presso lui alTi* alcuna distinzione fira quella parte di vero che troviamo noi, e quella che ci d la natura^ anzi egli esclude espressamente questa distinzione , soggiungendo : u Quando pure ci awisas- ts simo di'dbcuoprire Pente per s o nel subbietto pensante, tf o nelFobbietto pensata, o in essa facolt di conoscere, nien- u tedimeno la conoscenza che ne prendiamo permane sempre  individua e accidentale, imperocch ella  nostra e non a dVltri , ella si muta nel tempo ed ella  un puro fenomeno.  N gi 8uBraga andar figurando per entro la cognizione me- u desima alcun che d'immobile e d'assoluto, avvegnach Patto, tf onde prenderemo notizia di quell'assoluto (posto che sia) m manterrassi sempre individuo e accidentale  (i). Nelle quali parole non pur si d per cosa dubbia che un assoluto cada nel nostro pensiero, ma ben anco si afferma, che se ci cade, il pensiero rimane accidentale^ n si ammette nessun vincolo &860 e naturale fra noi e questo assoluto, n si parla di al- cun immobile nodo che lega noi con qualche prima verit. Finalmente  da attender bene, che ogni cognizione nostra, senza eccezione alcuna, vien dichiarata  im puro fenomeno , e dicesi che le . cose si conoscono per  l'intermedio dei feno- meni fj ^ il che, prima, ha qualche cosa di ripugnante^ pe- rocch se ogni nostra cognizione  un puro fenomeno, e se non si perviene alla cognizione delle cose se non per l'intera medio de' fenomeni, verrebbe di conseguente che i fenomeni ci condurrebbero a' fenomeni e nulla pi. Di poi , chiusi ne' fisnomeni, non troveremmo pi uscita da pervenire alla verace cognizione delle cose. In ultimo, o convien dire che i fenomeni sieno cogniti per s stessi, o per altro. Se per altro, i feno- meni dunque hanno bisogno di altro, che non sia fenomeno, per essere conosciuti. Se cogniti per s stessi , essi in tal caso sarebbero anco per s stessi^ cio nel loro concetto non s'in- volgerebbe ima relazione alla sostanza, e per questa non si conoscei^bbe giammai. Che se egli  vero che la parola feno- possibilU di dubitare. Per altro ^ quanto al M., egli pure ainraeUe per in- dubitabile T intuizione immediata s ma non pu provarla per tale^ se tutto  contingente e accidentale il sapere umano, (i) P. n, SIX, m. 398 meno ha un sig;nificato relativo j esso non s^ intender mai se non mediante la conoscenza del termine a cui ha relazione. Or consideri ogni sano intelletto, se i fondamenti che d il G. M. alla certezza, siano sufficienti a sostenerla: consideri Tintimo valore, che pu prendere la parola certezza ^ secondo il tenore de^ suoi ragionari. La certezza sua , che  mai altro , se non una cotale neces- sit di assentire a qualche opinione, acciocch non c^ intrav- venga per disavventura di errare per entro agP immensi travia- menti degli scettici ?  trovar cotale certezza  volto il libro del G. M.^ ad essa, e non pi oltre, giunge dunque P efficacia ed il valore del suo criterio. a." Altre volte per egli confonde la certezza col fatto del non dubitarsi dagli uomini d^una sentenza. Nessuno vorr credere, vien egli ragionando, che la mente crei quella cosa che ella alTerma sussistente ( i ) : dunque  certo, che la cosa  reale. Non si dubita, che u conoscere e u misurare la successione delle esistenze non  creai'e tal sue- a cessione n (2): dunque tal successione  reale. Ninno scet- tico sa dubitare dellHdentica realit dell^atto del conoscere e dell^ oggetto su cui si dirige la conoscenza: dunque v^ha qui certezza. All'opposto si potrebbe osservare, che la questione della cer- tezza non ist punto a sapere , se v^ha una notizia intomo alla quale gli uomini comunemente non dubitino^ ma la questione anzi consiste a trovar la maniera di giustificare questa ferma e comune persuasione in certe sentenze . a mostrarne il perch y r ultimo perch^ acciocch quella persuasione si vegga ragih ftevoley e tutta conformata alla verit. Laonde la certezza, secondo quella nozione che si pu rac- corre dal libro del C. M., non  certezza razionale;  una persuasione ferma, una credenza utile ^ e necessaria anco, se si vuole , agli uomini ^ una grave paui*a di cadere nel pirronismo^ ma nulla pi. A provar solo questo si stende dunque il suo principio della certezza, ed esercita questa sua possa sempre (i) P. II, e IV, V. (2) P. 1,0. VII, IV. 399 lenir a qoella limitata periferia nella quale il vedemmo da ni medesimo circoscritto. Udiamo ora ci che promette di s i del sistema suo P altro de^ due, che ahhiamo tolto ad esa ninare, il Romagnosi. Conviene che, come abbiam fatto del Mamiani, cosi cer hiamo di rilevare qual sia il concetto che s^ formato della certezza il Romagnosi; da questo concetto argomentando noi rhe cosa egli intenda darci, dandoci il suo criterio della sertezza. Certo se col vocabolo di certezza il Romagnosi intendesse soca che certezza non fosse: il promesso criterio della certezza arebbe tale , che non ci condurrebbe gi al trovamento della ertezza, ma di quello stato dell'animo, o comecchessia di [nella qualit del conoscere, che all^ autore piacque di deno- iinare arbitrariamente certezza ^ e nulla pi. Ora questo appunto, come al Mamiani, cosi parmi essere atmwenuto al Romagnosi. Perocch la certezza del Romagnosi i trova tutta collocata i." or nella immutabilit di un giudi- io, 2.^ or nell' oc^uefomeTifo delP animo f le quali due cose 0!DO assai lontane dal costituire la natura della certezza, che tutta cosa lucida, e razionale.  in fatti il Romagnosi dice, che u la cognizione vera con* ( siste in un s o in un no immutabile 9 , o come soggiunge p|Kresso, tf un si o un no specolativamente figurato come im t mutabile 9 (i). Ora questa  bens la definizione di una ferma lersiiasione, non per della certezza (a). Conviene attentamente dare, che v^ ebbero de' filosofi, i quali c'insegnarono, che loi cogliamo il vero per istinto, e non per alcuna ragione che i lui ci luca nella mente. Ora se la natura nostra avesse in s ili istinti, questi come leggi naturali opererebbero immutabil- (i) Vedute fondamenUdi ecc., Lib. Ili, e. I, 4* (a) Nel N, Saggio la certezza  defioita ** Una persuasione ferma e ra- gionevole conforme alla verit . Tatte queste parole sono essenziali alla efinizione della certezza, come si pu vedere nella Sez. TI, cap I, art. i, ove si analizza una tale definizione. Quasi sempre viene oramessa da' filo- fi*runa o l'altra di quelle note essenziali espresse nella definizione da le proposta ; e tali ommissioni fanno si , che quella che si definisce non ia pi la certezza. 4oo mente, e per il si, ed il no, che ci farebbero pronunciare, s' rebbe di natura sua per noi immutabile. Che per? sarebbe quella, vera certezza? non la potremmo dire tale giammai^ pe- rocch a quell'assenso non ci condurrebbe un lume di ragione, ma un indeclinabile istinto. Non basta dunque, che il s, ed il no che noi pronunciamo , sia immutabile ^ noi dobbiamo altres sapere infallantemente, ch^egli si conforma a pieno alla verit* Poco appresso il Romagnosi definisce la certezza cos : u quello  stato di adesione o di assenso che l'anima prova nell'afa tf fermare o negare senza dubbio una cosa qualunque y; o anco , pi sotto : u uno stato unico ed indivisibile dell' anima n umana >> (i)* Ecco la certezza del nostro filosofo: un qualche cosa di soggettivo, di relativo al soggetto , e nulla pi. Ma nel- Taccettazione universale, la parola certezza non indica soltanto mio stato dell'animo , che esclude il dubbio ^ perocch ove aver i potesse un animo aderente ad una sentenza, senza provare alcuna sorte di dubitazione, direbbesi di lui, ch'esso ha una fisrma persuasione^ ma che ha certezza^ non ancora: acciocch y^abbia una certezza, la persuasione dell'animo dee essere ra- gionevole y e conforme al vero: la persuasione sola, per immo- bile ch'ella possa essere, non la costituisce. Le vedove dell'India^ che  bruciano sul rogo de' loro mariti , persuase di fare un' azione virtuosa e santa , hanno , fuor di dubbio , una per* suasione talmente ferma, che vince l'amor della vita: lo stato del loro animo  unico, indivisibile, privo di qualsivoglia dub- bio 5 e pure non si dir mai con propriet di linguaggio, ch'esse posseggano la certezza, perocch la persuasione loro non  m- zionale n vera^ ma cieca ed erronea. E affinch niimo mi dica , che il Romagnosi , sebbene non esprma nella sua definizione della certezza questa razionalit e verit della persuasione, tuttavia la sottintende^ dichiarer , esser io ben certo, che interrogatone il Romagnosi, cos ap- punto risponderebbe^ ma dopo una tale sua risposta, di nuovo gli replicherei, chiedendogli, che intenda egli per razionalit  per verit della persuasione : conciossiach non sono io inclinato (i) Vedute fondameniali ecc, Lib. Ili ^ e. I, 4* 4o:i i fidarmi troppo di belle, parole, ma bramo cercare mai sempre guai senso vi affiggano certi ragionatori non sinceri, n leali. B qui appunto a me sarebbe assai facile il dimostrare, che la razioruUit^ e ^erii del Romagnosi, non  n razionalit, n rerit: ma il vo^ riserbare pel seguente capitolo. Mi spaccer pi tosto dell^ obbiezione brevemente, raccogliendo quelle pa- role che escono dalla bocca del Romagnosi pi spontanee, e che mostrano le nudit della sua dottrina, senza che egli se a* accorga. n Romagnosi parla di un poter radicale della ragione, del quale sia frutto la certezza imiana. G)nviene aver sott^ occhio oom^ egli descriva questo potere^ conciossiach dalla cognizione del padre , si potr rilevare anche la natura della figlia. u II poter radicale e naturale, dice,  sempre uno, come la m personalit AeW insetto  sempre la stessa (i). Ora volendo in M qualche modo qualificare il poter radicale della ragione  bimana, in che esso si risolve?  ( Udiamo attentamente in che si xsolva questo padre della umana certezza )  In una rea- li lit indefinita, universale ed inefiabile, in breve in un non m SO che che va compagno a tutte le fun^oni nostre mentali per imprimere (a) su di esse un carattere di approvazione, (i) Non ho mai saputo che l'insetto sia una persona 1 E cjuesto un esatto perkre filosofico  l'aUrbuire all'insetto la personalit? Il Romagnosi procedendo nei suo stile con affettazione ^ e quasi sulle suste, fa credere a|^ nomini 9 che poco s'addentrano nelle cose e che giudicano dalle forme apparenti 9 ch'egli sia esatto e fino scrupoloso nell' uso delle parole. Niente pi fiilso. Egli contrari quasi per tutto il legittimo uso delle parole ^ e suppone infinite cose senza provarle. A ragion d' esempio, questa persona- lit data all' insetto  una di quelle parole gettate a caso, che per contiene sola un sistema intero : e cosi furtivamente caccia dentro un sistema senza prova, fiicendol passare per indubitato. Di questi salti immensi si riscon- trano ad ogni faccia delle opere del prof. Romagnosi; e ad un bisogno, ne sazier d' esempj quanti il bramassero. (a) H potere radicale delia ragione w imprime sulle funzioni nostre men- tali un carattere di approvazione ecc. m ;  questa una frase filosofica esatta? Questo potere radicale  forse un suggello , un punzone , un torchio ! que- ste fiinzioni mentali che ricevono l'impressione, sono una pasta, un'argilla, una piastra metallica, o che cosa altro? Questo carattere di approvazione  una figura, un'immagine? Queste funzioni mentali sono prima senza il potere della ragione, e poi ricevon esse un' impressione, una modificazione RosMiHi , // Rinnovamento. 5 1 I'* 'a  ^ al L^ftfMWaoiie, o di nullit. Egli non agisce fuorch pr- . vov^Xii;^ laa juando agisce si spiega necessariamente, ed opera  ^4V^ la produce, il quale opera, provocato che sia*, neces- ^icjurtABiente , irrefragabilmente ^ ma opera veramente egli se- condo ragione? Basta dire che questo potere non si conosce, e che non si pu dir altro di lui se non ch^ egli   un non i so che 9 simile alla personalit delP insetto n. Con tale definizione di questo potere, io non sapr mai se potr affidarmi a lui , credere al suo prodotto ; non sapr se l' ef- fetto suo sar la ceilezza^ perocch quel potere  tenebre, e le tenebre non producono la luce. Di pi^ difficilmente io posso credere che quel potere sia nulla di razionale, nel senso vero di questa parola , e non nel falso attribuitogli dal Romagnosi. Perocch dal dirmi , che il potere della ra- gione  simile alla personalit d'un insetto, io non veggo cosa, che mi rassicuri intorno alla certezza elisegli mi dee produrre. Che se proseguo a leggere innanzi nel libro del Romagnosi, trovo ch'egli seguita a descrivermi l'operazione di questo a> cano potere, non gi come qualche cosa di veramente in- tellettivo, ma piuttosto alla foggia d'un istinto animale, se- guitando il Romagnosi cos : tf Quando tu saprai dirmi che cosa intrinsecamente sia la  vita, allora pure dir mi potrai che cosa intrinsecamente sia  questo potere. Forse fra amendue esiste una comunione ed u un nesso segreto che fin' ora non fu rivelato n (2). Con dei semplici^orje^sipu trarsi molto innanzi nell'indagine di un'as- soluta certezza ? Per altro queste parole assai chiaro dimostrano) da questo potere ? il carattere di approvazione , che ricevono le faniiooi mentali   una loro qualit che si fa loro inerente, pi tosto che un gio* disio separato pronunciato intorno ad esse ? In somma la frase  piena di metafore improprie^ le quali metafore possono solo tenere a bada di quelb che credono di conoscere qualche cosa anche dove non v'  nulla a cono- scere: veramente qui non abbiamo che tenebre. (i) FuUUe fonduncnlali mlt arie logica j Lib. II ^ e. YIIIj ii. (3) Ivi. 4o3 ohe il Romagnosi non aOerr Pcsscnzale distinzione fra il co- fioscere e il vivere animale^ e per non vide P opposizione che n primo tiene al secondo per s fatta guisa , che la natura del- Tuno esclude la natura delP altro. Sospett dunque che il co- noscere sia qualche cosa di simile ad una funzione animale^ 11 che solo basta a mostrare che la sua certezza non  con- cepita da lui come dotata di vera razionalit , e per non  punto n poco certezza (i). (i) Quanta aUenzone io credo doversi porre a non attribuire agli scrittori opioioni men rette > le quali non appariscano chiaro nelle loro scritture, ihrettaoto estimo non doversi dissimulare o velare quello  che v' ha d' er- roneo e di pernicioso per entro alle opere loro fiitte di pubblica ragione ; 1 che darebbe in noi mostra o di vile adulazione  o di pusillanimit , .di piccolo amore pel pubblico bene. Dir dunque di nuovo, secondo 1 mio costume 9 assai francamente quello che io penso della dottrina id Romagnosi : penso eh' essa penda, e non poco^ al materialismo. In- tanto qui si vede , che fra il potere razionale , e la vita animale , egli non trova ona essenziale differenza, anzi vien sospettando fra loro una comunio- se j un nesso secreto. Questo gi  molto; perciocch  un disconoscere nel- l'intelligenza quell'elemento immutabile e veramente etemo che la costituii loe i quando nella vita animale nulla v' ha che non sia distruttibile. Ma che concetto s' poi egli formato della vita animale? quindi conosceremo il con- Detto che a'  formato anche dell' intelligenza , che con quella sospetta aver legreta comunione. Il nostro autore d manifesto segno di credere, che la fila animale sia un risultamento di atomi e di gazi In un luogo egli vuol BOftrare, che tutte le idee sono derivate. Ora fa l'obbjezione a s stesso, dhe le idee hanno de' caratteri opposti a quelli delle sensazioni , p. e. la leroplicit. Ma egli risponde, che non si pu da questo dedurre, quelle idee non essere un prodotto di pik forze anche estese, perocch run efletto m di nozione semplicissima pu derivare da cause compostissime f ( Ve- iute fondamentali ecc. Lib. Il, e. V, i3^; e reca in esempio la vita che risulta dagli atomi e da' gaz, sebbene con essi ella non mostri alcuna ras- KNUglianza! m Vorreste forse , dice egli , darmi la vostra impotenza a con- m ciliare le cause delle cose esperimentali per pronunziare sulle origini? M Allora io comincerei col dirvi non esistere vita alcuna , perch cogli atomi  e coi gaz non posso vedere come nasca la vita m (Ivi, i4)* Io un altro luogo esprime lo stesso pensiero , dicendo contro quelli che dall' analisi dalle idee vogliono indurne che non vengon tutte da' sensi: e Nei compo-  Iti razionali di unit complessa, fanno scomposizioni dialeUiche  , come  te si trattasse di scoprire semplici rapporti di quantit. Ma  noto che  come sotto all' azione della chimica la vita sparisce e la forza vitale non Ma il RomagnosI stesso ci si apre anche pi cliiaro. No tate in prima , che II potere radicale della ragione, che egli chiama anco senso razionale y opera , secondo il Romagnosi , or M si coglie giammai^ cosi sotto la chimica dialettica si dissipa la forza ra- r xiooale , e la generazioDe mentale non si raggiunge giammai i (Della suprema Economia ecc. P. Il, | xxii^. Queste parole non avrebbero nes- sun senso e valore , dove non si supponesse per certo , che la vita  un prodotto di elementi chimici ; ragionando V autor nostro cosi : m come gli elementi chimici e temperati insieme a certa foggia producono la vita, ma scomponendoli questa si perde, cosi scomponendo il pensiero umano ci restano tali elementi , coi quali non veggiamo il modo di rcostmirlo . L'argomento  antilogico, come ognun vede; e a dire solo alcuni de' molti peccati che gli pesano adesso^ i.^ In esso si suppone per certo  che la vita animale sia un rsultamento di elementi materiali; or questo  meno che un'ipotesi,  meno che una affermazione gratuita,  un errore. La parit dunque non vale, non prova nulla ^ non esiste in natura, a.^ Nella scom* posizione chimica la vita ci sfugge , e ci restano in mano delle particelle materiali morte. Non  gi cosi nella scomposizione dialettica. Anzi io questa ci restano in mano degU elementi vivi, e tanto vivi, che soo questi appunto, queste nozioni e idee che involgono una contraddi- zione in terminisi a volerle dichiarar sensazioni. L'argomento avrebbe qualche forza, se dopo aver noi analizzati e scomposti i pensieri, non d restasse che sensazioni, e ci svanisse tutto ci che  razionale: allora si potrebbe dire in qualche modo: ecco qua gli elementi del conoscere:  varo, che il razionale  svanito, ma ci sar avvenuto , perocch egli tt essere un rsaltamento di questi elementi fra di s congiunti , noi non sap piamo in che modo. AH' opposto , facciasi ci che si vuole, la parte razio- nale non si perde mai ; sta sempre l innanzi agli occhi de' sensisti ferma come uno scogUo : taglia , assottiglia , lambicca ; la parte razionale non si fa che pi bella, pi pura dal senso, pi ioespUcabile. Il fatto adunqut riesce per appunto al contrario di ci che afferma il Romagnosi , e proia dirittamente contro di lui: convien riflettere, che le ultime, le pi el^neo* tari idee non hanno nulla di comune colla sensazione : ove fossero solo di^ ferenti da questa, si potrebbe rampinarsi; ma che nature intrnsecamente contrarie sieoo prodotte da altre nature intrinsecamente contrarie, ci coia non solo col principio di causalit , ma ben anco con quello di contraddi- sione. Molti altri errori potrei osservare, ma mei vieta la brevit di una noia. Raccoglier pi tosto l'argomento, e dir: i.' il Romagnosi sospetta una coronnil fra la vita animale, e il principio razionale dell' uonK>; a.* la vita animale  considerata dal Romagnosi come un accoppiamento di particette al tutto materiali. Dunque la sua dottrina precipita verso il nutenalisoMN - Recher altrove dell' altra prove della medesima increscevole oondu- ume, e tutto ci in avviso alla buona giovent italiana. 4o5 colla {orma di giudizio (i), or senza questa forma (a), ma  sempre quel potere che opera. Ora questo potere  quello j come abbiamo veduto, cbe produce la certezza. Udiamo dun-* ^e come ci viene descritta questa certezza , questo stato det r animo privo di tutte dubitazioni, a Esso - non  un giudi- te zio intellettivo , ma un sentimento pari a quello del piacere u e del dolore. Volendo dunque trovare una denominazione u pi propria y io lo chiamerei potere di darsi pace mentale.  Gli antichi scettici ponevano il ripso delP anima come V ul-  timo termine della ragione. Questo modo di qualificare que^  sto potere phe supplisce allMstinto (3) e forma tin dato on-*  tologico (4)) parmi di infinita impoitanza ed estensione nella  dottrina dell^ uomo interiore (5). Queste parole sono preziose , perch squarciano il velo, e fiomo vedere P intima dottrina del Romagnosi. In che consista la sua certezza? In una pace, in un riposo dell^anima Gli an tichi che ammettevano questo riposo dell^anima come P ultimo termipe della ragione, si chiamavano scettici^ e di buona fede H^vano che certezza ci fosse per Tuomo. Il Romagnosi fece Ima bella invenzione, a fine di potere d^una parte tenere la dottrina degli antichi scettici, daU^ altra negare d^ essere scet- tico egli stesso, anzi sostenere che v^ha per Puomo una certezza Verissima. Quale invenzione? Molto ingegnosa! dSmporre il nome di certezza al riposo o quiete delibammo degli antichi scettici. Concludiamo : il significato che il Romagnosi attribu alla (i) r Colla deoominaztone di giudizio taon si esprime l'indole propria > w ma solamente un effetto conseguente del potere della ragione m. Vedute Jcndamentali ecc. L. 11^ e. VIII^ i3. (a) r Ma sa oscure e indefinite idee pu forse cadere un intellettivo gi m disio T Eppure sopra siffatte cose il senso razionale si roinifesta. Esso dun M c|tie non  un (pudicio intelletti yo ; ma un sentimento pari a quello del m piacere e del dolore m. Vedute ftmdameiUali ecc. L. II , e Vili j i3. (3) H Romagnosi esclude T istinto j ma che cosa  il suo potere radicale ddU ragione se non un istinto? Egli dunque abolisce un nome^ e ne in venta un altro: ecco il tutto della sua filosofia. (4)  &cile di accorgersi che ontologia dee esser quella del Romagnosi: un' ontologia del tutto fenomenale I (5) VeduU fimdammOaU eoe. L. 11^ e. Ym, iS. 4o6 parola certezza , non  il concotto della certezza : decida orsi Puomo di buon senno, che valore possa avere il criterio della certezza del Romagnosi (i). CAPITOLO XXXV. CONTINUAZIONE. Non basta: ci resta a trovare qual sia Pintimo concetto che il Mamiani e il Romagnosi si fanno della Verit. Poich non dovendo essere la ceii:ezza che una indubitata cognizione della verit , noi potremo anche da questa via giungere a misurare il valor vero del criterio del Mamiani e del Romagnosi^ giacche il valore di quel criterio  pari al valore della verit , che esso intende a farci conoscere con certezza. Or che valore avrebbe poi quel criterio , se la verit che intende a farci conoscere, non fosse per avventura verit, ma qualche cos^ altro vestito del nome di verit? Quello non sarebbe pi criterio di verit, ma qualcos^ altro vestito del nome di criterio : la cosa  ma- nifesta. Accingiamoci dunque alla ricerca del fatto. Il Mamiani mette in capo alla II Parte del suo libro, come sentenza che riassume la sua dottrina, questo motto tolto dal Vico: Il vero  il fatto. Criterio certo del vero  farlo (a). (t) Gi sa il lettore , che il Romagnosi pone il criterio nel suo senso razionale, o potere radicale della ragione, r A questo potere n , dic'e);li espressamente in un luogo, r appartiene il criterio della certezza . f^ iute fondamentali ecc L. II, e. Vili, i3. (a) n G. M. non dice tutto il pensiero del Vico, ma solo una parte. E chi , leggendo il Mamiani e poi il filosofo napolitano di cui si (a di- scepolo, trovasse che la dottrina del maestro  per appunto l'opposto di quella dello scolare ? Yeggiaraolo brevemente. G. B. Vico, nel libro  Del- l'antichissima sapienza degli Italiani tratta dai latini parlari m, conua- da a dira che m presso i latini vero e fatto si adoperano promiscua- mente M. Qui^ come  chiaro, non espone egli la sua opinione , ma ai quella degli antichi latini. Or l'approva egli questa opinione? an la rifiuta espres- samente. E perch? per un motivo assai grave, perch a suo giudizio ella e dirittamente contraria alla cristiana religione , procedendo essa di o" errore del paganesimo. Indi trae cagione di emendarla, il che  quanto dire tramutarla in un' altra troppo diversa. Riferir le sue stesse p>* 4o7 Di vero, tutto ci ch^egli dice riesce a ^esta final con- clusione, che  la verit  opera nostra:  una produzione delle nostre facolt f . Tale dottrina merita tutta V attenzione. role, che bramo da' mei lettori attentamente considerate, r Perci^ egli  dice 4 gli antichi filosofi d' Italia avvisarono che vero e fatta fossero sino*  nimi y perch il mondo stimarono etmo ; e quindi secondo i filosofi pa* * gini f Dio oper serbpre qualche cosa fuori di s : nella quale opinione  Yerbo la sapienza di Dio, che in s contiene le idee di tutte le cose^ e in conseguenza di tolte le idee gli elementi; essendo in esso lui una cosa sola il vero e la comprensione di tutti gli elementi che questo ufiiverso compongono, e potendo egli innumerevoli mondi ^ solo che il yciesse, creare; onde co> oosoendo effi di ogni possibile idea gli element tutti nella sua onnipo teina compresi, viene in lui a generarsi un Ye*bo reale perfettissimo, il qoale essendo dalla eternit concepito dal Padi, daif eternit pur anche dee dirai che da esso lui sia stato generato ^Gap: I). Il Vico qui di- ingoe dunque il vero creato dall' mcrenfo, e vio del prihio egli dice, che Ci^iterio  il farlo. Ma che  il vero creato 7 il vero in s stesso  uno lo ed eterno essenzialmente. Quando adunqtf si dice creato il vero, non rao dir ahro con questa parola se non il vero in quanto  conosciuto die creature, conosciuto da esse con quelle rme e limitazioni ond' esse BBao conoscere il vero. Convien dunque intendere in sano modo Y e- ireiSione di G. B. Vico , convien intendre quel suo farsi dalla mente pero, per sinonimo di conoscerlo, e di (fedurre le conseguenze da' prin^ 1^ , colla qua! deduzione in cotl guisa eia lo si forma ^ cio gli d quelle ime e spezzature, che sono proprie delo spirito umano e'a lui necessa- e' perch possa intendere con piena penuasione e soddisfiizione. Per altro (li'  al tutto cosa lontanissima dalla mente del profondo Vico il fiir l'uomo sramente autore e creatore del vero ' condossiach non isfuggiva certo alla m nobile mente, che il vero, ove foise diU'uomo creato, non sarebbe pi& ito. Per in cento passi deUe sue opere egli deduce il vero creato dal STO increato, cio da Dio; ed  a questo fonte, ch'egli attigue la necessit, nttiversalit, e l'altre qualit divine della verit; con che egli appunto iiDostra di non opinare, che il vero creato sia qualche csti di diverso dal increato ndl' essenza, ma solo nelle forme ^ nella limitazione, e nella colla creatura , rimanendo n suo fondo identico coli' increato. ero il Vico insegna che r la mente umana viene ad essre come uno spec- chio deUa mente di Dio h ( Risposta di G. B. Vico all'Art. X, T. VII! d Giornale de' letterati d'Italia) : egli insegna che non v' ha che una ra wte sola, e quella dell'uomo non  che ima partecipazione di quell'unica ifione, e questa opinione egli pretende essere antichissima ndl' Italia no- 4o8 n Tero, secondo il Mamiani,  il fatto prodotto da noi : espo- niamo questo pensiero colle sue stesse parole. stra, e cominie> sicch negli stessi parlari latini se ne ravfisi manifesta U traccia i quali dicevano Tuonio un animale partecipe d ragione (par' ticepi rationis), quasi una sola parte gliene fosse comunicata, e non pi (DeWantiehisiima sapienza ecc. Gap. I, e Lib. I in difesa del libro l). Ora questo  por tutto il contrario di ci che insegna il C M. il quale a torto vuol farci credere aver egli dedotto da questo illustre la sui teora del critero. Il Vico, e come italiano filosofo, e come interprete d^ gli Italiani antichissimi,  da Dio^ da Do solo come dalla prma Yerle dalla prma ragione ^ che deduce tutte le umane scienze, della vert detta quali non Ca in modo alcuno creatore Tuomo, ma solo ricevitore e raccogli* tore. Ora posto ci , nuina difficoll s' incontra a trovare nel vero la immuti- bilit, la necessit, ra>itorit e T onnipotenza di cui splende fornito ;coie che non potr mai dare V uomo a s stesso, ma solo rceverne l'immaco- lata luce. Ed acciocch aicor pi chiaramente apparisca la mente del Yco, ft non si rpeia continuanente che i pi chiar nostri filosofi strscian per terra, e che il greUo sensi:mo sia la cara eredit che abbiam fatto da' padri nostri, mi si conceda di aldurre un altro luogo del filosofo stesso, i cui sensi malamente si pervertalo, e poi si decida se il fonte, da cui egli k provenire all' anima dell' unno il ^ero, sia o l' uomo o qualche altra creala cosa, e non pi tosto il prncpio supremo, infinito e sempiterno di tutte cose. Dice adunque egli, rbattenlo gli scettici, cosi; m Questa comprensione m di cause che raccoglie in s tutte le forme o guise onde sono prodotti gli M efietti, de' quali dicono gli soici di vedere i simulacri, ed ignoraa co M essi sieno; questa comprensone di cause appunto  la prima tenti, u perciocch le comprende tutt sino all'ultime; e poich tutte le eoa* M prende  infinita , e quindi aiteriore al corpo di cui  cagione, e per m conseguenza spirituale: essa  Dio, quello che si confessa da' crstiaai; M e alla norma di questa tenta bbonsi tutte le vert umane rapportare; H voglio dire che tra le umane cognizbni quelle sono vere, gli elementi delle H quali sono da noi medesimi s:elli e disposti e dentro di noi contenuti , e M per via di postulati in infinite protratti : e quando componiamo nseM w questi elementi , divenghiamo delle verit per tal composizione coa^ H scinte i iacitor, e quindi possediamo la forma o guisa con coi diaoM) $t loro il nascimento  ( Dell' antichissima sapienza ecc. Gap. I^. Dal ifui passo si vede assai chiaramente, la mente sua esser non altra che quelli: 1.^ prma vert essere Dio; a. alla norma di questa verit doversi taUe le vert umane riportare; 3.^ noi creare il vero in questo solo senso, cbe confrontiamo o rapportiamo le cose alla norma della prma verit , e i facciamo a) scegliendo gli elementi, b ) disponendoli, e ) protraeodoli ^ diante de' postulati: il che non  punto, in propro senso, creare, o 61^ brcare il vero, come par che supponga il C. M. Qual pariare potrebbe essere pi& chiaro di questo del Vico, che 8zioni, I .^ che la verit sia un prodotto dell'uomo, a.^ e che Ila possa imporre leggi non puramente fisiche, ma veramente aorali ed obbligatorie all'uomo. 5.* Distrutta la virt fino dalla sua radice, distrutta fino a possibilit di una obbligazione morale qualunque, allo 4ia stesso modo riman distrutta la scienza ^ perocch tutto rimane apparenza e inganno d^ una natura essenzialmente maligna , perch menzognera. Conciossiacli la scienza chiamasi scienza solo per questo, che ella reputasi vera d'una verit immu- tabile e al tutto indipendente dagli uomini. Che per, se provar si potesse eh' ella non foss' altro , se non una produzione della stessa natura umana ^ quella non sarebbe pi scienza, ma apparenza di scienza, colla quale la natm^a umana farebbe un infando ludibrio di se medesima. 6. L^uomo non sarebbe adunque nobilitato pi n dalla pratica della virt, che non esisterebbe, n dalla luce del vero, che sarebbe spenta. Onde traiTebbe la sua nobilt? Da- rebbe fors^ egli una qualche nobilt a quelle cose che portano i nomi di virt e di verit? a queste obbrobriose illusioni, a queste gigantesche e mostruose sue figliuole? Quale? se egli medesimo  caduto , col cadere della virt e della verit , nel- r ignominia e nella derisione della natura? se non si distin- guerebbe dalle bestie, se non per essere atto egli solo di rice- vere dispregio e abbori'imento? n. La filosofia, nel sistema di cui favelliamo, verrebbe ad essere di tutte le invenzioni la pi crudele e disumana che aver vi potesse; perocch mirerebbe a rompere quel sogno continuo, in cui l'umanit giacerebbe assopita ed ignara della reit e della infelicit intrnseca di sua natura. Quando poi una volta ^ per la forza usatagli dalla filosofia, l'uom si destasse, e vedesse la virt e la verit esser divenute un prestigio, che gli rimarrebbe, se non l'odio di una natura snaturata, e un desiderio solo di distruggersi, di seppellirsi, e se fosse pos- sibile , di annichilarsi ? Tali conseguenze procedono indeclinabilmente dalla sentenza, di fuori cos benigna, che  il vero  una nostra creazione v. Pu esser che sembri ad alcuno, che io prenda la cosa troppo alla lettera. Bene sta: io il primo assento, che il Ma- miani  alienissimo dalla tristezza di tali conseguenze : io pure rinvengo nel libro del Mamiani de' luoghi che contraddicono apertamente alla dottrina, che il vero sia una creazione no- stra: n d^ altro lato ho alcun desiderio d'intendere la sua dottrina a rigore di lettera. Dico solo, che intesa cos come iti nana (salva la sua mente occuha, clie io non veggo), quella trana dottrina  gravida di terrbili sequele: dico che se in* esa alla lettera  falsa, dunque  vero il contrario di quel the suona: che dunque  vero i/ che il vero non  una creazione o produzione nostra^ a.* cVesso non  il medesimo, che il fatto creato o {>ro- lotto da noi ^ 3.** che il criterio della scienza non , e non pu essere * intuizione creatrice^ 4* che il vero  qualche cosa di maggiore dell* uomo, e lall^uomo indipendente^ .5.^ che il vero  un principio, un^ entit, di cui pu ben partecipare e godere la umana natura, come gli occhi nostri lartecipano e godono della luce , ma nello stesso tempo egli  ma cosa infinitamente pi sublime della natura umana, im* untalnle, etema, necessaria, dotata in sonuna di doti intera* mente opposte a quelle dell^ umano essere mutabile, contin- gnte, da tutte parti limitato^ e che solo dall^ altezza e dignit lei vero, a cui si congiunge, attigue Fumana natura tutti i itoli di sua grandezza. Fra la prima e la seconda serie di conseguenze non v^ ha Bezzo cVio vegga: o  vera la' prima e falsa la seconda^ )  vera la seconda e falsa la prima: gli uomini onesti e in- ipegnosi considerino bene V alternativa ^ non si confondano nel tori>ido di alcune nozioni oscure, ma lealmente e francamente leelgano fra Puna e P altra: e anche il C. M.  invitato a icegliere, con maggior cognizione di causa, fra cotesta gente inorata. E che cosa Fichte disse pi di ci che  scritto nel libiK> lei C. M. ? Se noi produciamo le verit , esse sono necessaria- nente una emanazione del Noi: ed egli  assai meno porten- toso il dire, che noi mandiamo fuori l'universo materiale, ;he non il dire, che noi mandiamo friori le verit matema- tiche e r altre tutte: perocch F Universo materiale finalmente lia dell'analogia col noi, attesa la sua limitazione, contin- l^enza e mutabilit^ e certo creare il finito,, il contingente, il mutabile si pu^ ma creare F infinito, il necessario, F immu- tabile non si pu metafisicamente, cio involge assurdo il pen* 44 sarlo.  a Fichte pi s^ avvicina il G. M. con quella sentenza che fa sinonimi Pentita, o la realit, e la verit, il vero ed il fatto. Che sevuolsi investigare onde s^ origini un tanto paradosso, troverassi manifestamente proceder esso da due difficolt, offer- tesi alla mente del Mamiani e d^ altri, e non potute altra- mente vincere , che evitandole col dai*e una cotal giravolta^ le quali difficolt sono le seguenti: i.^ Ogni cognizione ed idea si ottiene con un atto del no- stro spirito: dunque ella dee essere qualche cosa di racchiuso nell^ entit dello spirito stesso : e come ne poti*emmo noi al- tramente ragionare (i)? (i) Cosi in un luogo il C. M. dice che m V oggetto (del pensiero) n-  roane sempre nchiuso nell'unit assoluta di nostra mente m (P. IT, e. rVj IV ); ia qual sentenza^ secondo noi, si offerisce con gran forza alla menta di quelli che considerano i fatti dell' animo nostro materialmeote. Costoro si pensano che tutto ci che non  nello spazio^ il che fieoe espresso col  fuori di noi m, sia necessariamente m dentro di noi m; e che fra qneste due cose non ci abbia nulla in mezzo. Ma questa sentenza  (fi quelle y a parer mio y che si ricevono ed intromettono nel ragionamento senza prova ^ e che per acconciamente s' appellano pregiudizf, AH' opposto la giustemi del ragionamento non s' ha giammai , se non mediante b somma vigilanza del ragionatore ohe in esso non trapassi di furto qual- che supposizione gratuita, che occultamente si sottragga alla prova; n questo si ottiene, se chi ragiona abbia gi lasciato entrare nelF animo suo ddle Tane prevenzioni. Tale  il maggior fonte degli errori in cui ca- dono i sensisti s essi sono imbevuti precedentemente d' innumerevoli pro- posiiioni al tutto in aria , e che tengono per indubitate; e con que' pre- cedenti nell'animo si pongono ad osservare, e a ragionare. Veniamo al liatto nostro. E perch, dico io, non potrebbe essere, che vi avesse tal cosa , la quale non fosse nello spazio , e come dicono, /uori di noi , e die tuttavia non fosse noi, sebbene ella fosse aderente a noi? v' ha egli assordo a pensare j che un essere , bench non abbia la sua sussistenza nello spwor, tuttavia agisca in noi , senza punto n poco confondersi con noi , ma ri- manendo da noi distintissimo? perch fosse ripugnante e assurdo a pensar ci , converrebbe trovare in tale supposto qualche interna contraddizione, ci che non si pu fare certamente; converrebbe dimostrare^ che non V ha nessun essere inesteso, ci che  quanto dire fuori dello spasio; converrebbe quindi negare la semplicit dell' anima , negar Dio, e venir sciornaDd altrettali di si fatte belle cose. Quelli all'opposto, che ricooo- scono la possibilit di esseri i tutto immuni da spazio  non rnverranDO niente di cootradditoro in ammettere quello che d' altra parte attesta f ossenrasioiie interna ^ l'intimo senso ^ cio che  gli oggetti del pensiero ili ^.^ G>me si pu immaginare che un'idea easta in s stessa, in separato did nostro spirito, ci che conrerrebbe che fosse, "e lo spirito nostra non la Creasse egli stesso? Gravi sono queste difficolt: cosi gravi, che appena v'  ito naufragio nma filosofia, che non sia proceduto da tali tnte. Ma con buona pace^del nostro G. M.,  egli questa la via 1 buon metodo di filosofare da lui'stesso tracciata ? negher una cosa perch la ma ignoranza mi vieta d^ intenderne la itura , o di concepire il modo come possa essere ? Ganone principale del buon metodo  quello di partire dal^ osservazione.  questa osservazione, che io veggo con dis* acere trasandata e obliata da quelli che pi ne vantano oso: io crederei di essere in caso di far toccare con ma* I, che di tutti i filosofi, quelli che pi trascurano Posser- none sono i sensisti. Cotesti si persuadono alla leggiera , che Mtfervazione consista essenzialmente nel limitare la filosofia ai asi^ all^ opposto questa loro regola al tutto arbitraria  ella 8a un sistema in aria, che ofiende, e che annienta Tos* nrazione. Chi osserva da vero , raccoglie tutti i fenomeni , e 01 ne esclude veruno, o sieno quelli estemi, o sieno intemi Ho spirito nostro (i)^ il limitarsi ad una classe prediletta n  osservare, ma incatenare P osservare col proprio pregiu* tio. ffirontiamo adunque la questione toccata sulla natura tUa verit colla semplice osservazione: che forma prender al- ta quella questione? la seguente:  La verit da noi conosciuta  ella fatta da noi , o sempli mente da noi percepita? i> o sia:  siamo noi consapevoli, lando veniamo al possesso di una verit, per esempio che il beech sieno) sodo cose affatto diverse dall'entit nostra propria: che i ci sentiamo bens da essi modificati  per l'azione che esercitano nella sti^ anima ^ ma che non ayvien mai di essi con noi il minimo mescola- mo, o confusione: noi non li possiamo n creare, n distruggere, ma b intuire, e non intuire **. (i) Mi pare assai strano il veder fatta da alcuni opposizione a questa portante verit svolta assai chiaramente nel discorso del signor JoulBfro j g e fii premesso alla edizione italiana de' Principi di filosofia morale delio ewirt (Lodif dalla tipografia Orces nel i83i ). 4i6 quadrato dell' ipotenusa  uguale a' quadrati de' due cateti , di produrre noi stessi quella verit o semplicemente di percepire una verit che gi esisteva prima che noi la percepissimo ? n Tale  la questione : ella  una questione tutta di fatto. Per risolverla non convien dunque cominciare dicendo, u ma se questa verit esisteva prima che Io la percepissi, come esisteva ella? come si pu concepire ch'ella abbia un'esistenza in s stessa  7 un linguaggio di tal maniera  quello della ignoran- za^ la quale parla in fretta, e intromette il suo ragionamento male a proposito, obliando 1' osservazione che si dovea fare. Tomo duncjue a dire: osserviamo semplicemente: e se P os- servazione mi dice, che io sono consapevole di aver acqui- stata una verit nuova, ma non di averle dato io esistenza col mio concepirla^ affermiamo francamente anche questo , e noi teniamo nascosto, per una cotal vana e fanciullesca paura, che ci venga dimandato, come questa verit esister senza di noi, e senza l'atto dello spirito nostro. Perocch, alla peggio, quando ci venisse fatta questa interrogazione, noi risponderemmo che noi sappiamo^ e gonGandoci dentro qualche piccola prosunzione di dover saper tutto, ci verr anco un po' di color vermiglio sol viso ^ ma iGnalmente quel bel colore ander smontando in poco d'ora, e finir qui tutto il male che incontreremo. Dica dunqpe in buona grazia il mio caro lettore,  Quando egli col suo intendimento giunge ad apprendere una verit matematica ,  per avventm*a consapevole d' esser egli colui che d l'essere a quella verit, o pm*e la coscienza gli dice, ch'egli non fa che intuire ima cosa vecchia, vecchia troppo pi di lui? Qui si tratta di un affare d fatto, di una deposizione della co* scienza. Quando Aristotele, che secondo l'interpretazione di molti  sensista marcio, diceva che mP intendere  un cotal patire 7 egli non intendeva gi di provarlo con un raziocinio, ma in* tendeva di annunziare una verit semplicissima di pura osser- vazione (i) E chi mai, non ischifando l'osservazione, n preii- (1) De anima L. VII, l. xii e xxyui. S. Tommaso (S.l, XIV, n, a)f e fulU la scuola seguita questa sentenza. E pure sola questa sententi  sufficiente a dimostrare , che le idee o sono puramente atti dello spinto 1 I n sono pure sensazioni , n sensazioni manipolate dagl i atti dello spirita V 47 iidosi cura e Umore delle conseguenze, chi mai potrebbe lie a dire, di esser egli (juegli che fa esistere, che  quanto  che d la verit a (juesta proposizione: i tre angoli d^un angolo sono uguali a due retti? chi non sente anzi intima* aite come cpiesto  un vero al tutto indipendente da lui, ch^egli non fa che vederlo, e riceverlo in s tale quale egli e quale fu sempre? Chi, non essendo preoccupato da si- nd, dimenticherebbe di fare una semplicissima distinzione i il conoscer egli una verit, e V esistere proprio della ve-  da lui conosciuta? e chi non saprebbe notare, che  aA nuova in lui la cognizione di quel vero, ma non  nuovo tero stesso? per, che tutto quello ch'egli fa col suo nuovo to,  di venire egli, persona contingente, a conoscere una rit per s esistente, e non mai e poi mai di creare quella rt. Egli  pur facile avvedersi, che altro  una verit esi- cre in s, ed altro esistere in me, che  un esser da me Krtecipata. Quella verit che ora conosco , la conosco a con lixme che sia stata la medesima anche senza di me: niente Pliasofrerto col conoscerla io ^ non  divenuta per questo nuova 'Vecchia, non  divenuta pi n men vera, non ha acqui-* s^to pi o meno di autorit: sono io, io solo, quegli che sof- ni modificazione , io che mi permutai dMgnaro in sapiente, che dal non posseder prima quel bene della verit, venni i a possederlo ^ senza che il detto bene cominciasse ad essere lla mia cognizione, o non fosse senza di me. Ma e come dunque una verit pu esistere in s stessa? eco la terribile questione: ecco il guado che impaurisce ed ittra i filosofi nostri, e fa loro rinnegare per insino Tevi- aiza dell' osservazione pi iiTefragabile , di quella osservazione  per altro essi ammettono per sola legittima fonte della Osofia. Ma di nuovo, e se vi rispondessi che io non lo so, ine vi dissi da prima , sarebbe egli questo un gran male ? per lesta mia ignoranza il fatto sar disfatto ? V osservazione ces- ^ d'essere la maestra de' filosofanti? che buon metodo di osofere sarebbe egli mai cotesto? metodo che distruggerebbe filosofia, tutte le scienze: i fenomeni della natura io dovrei garh tutti, ninno eccettuato, perch non ho tanto senno da plicarli! Rosxuii, // Rinnovamento, 53 4i8 Dobbiamo descriver ora la verit del Romagnosi, dopo dc- sci*itta quella del Mamiani. Gi precedentemente ne ho toccato^ e fu veduto, che la ve- rit del Romagnosi  una manifattura naturale (i)^ il che so- prabasterebbe a conchiuderc, che la verit di qnesto filosofo non  verit. Pure, attesa la celebrit ottenuta da quest'uomo in Italia, la quale trae di molti in errore, pigliando di troppa fede le sue dottrine, non sar inutile che io metta qui in maggior luce lo strano concetto che della verit d il Romagnosi nelle sue opere. E in vero , chi non rimarrebbe preso alla rete, quando badasse solo ad alcuni luoghi staccati, ad alcime di- chiarazioni ambigue, ad alcune parole senza coerenza col rima- nente di questo poco aperto e poco sincero scrittore ? Non pre- dica egli il valore del principio di contraddizione? non ce 1^ d pel criterio de' criterj ? Certamente (s). Questo  tutto edifi- cante^ ma di queste buone e pie sentenze staccate non dobbiamo pascerci , se non vogliamo vivere di rugiada : dobbiamo andare al fondo, vedere dove va a parare il suo discorso, in una parola^ di che natura sia quel vero che col principio di contraddizio- ne, secondo il Romagnosi, noi possiamo accertare (3). Ora dunque questo vero pel Romagnosi non  mai cosa asso- luta^ egli  tutto relativo all'uomo, egli  un effetto necessario (i) L. IU,c.XXIV. (a) V II sentire uno , semplice, assoluto, avvertito, forma 1' ultimo vero f appropriabile agli uomini. Da lui deriva il principio di identit detto i i contraddizione. gli  supremo ed ultimo, perch sta sopra e domin* # tanto le verit di osservazione quanto quelle di riflessione : e per t^ i(  il principio primo e la norma di verit del positivo e del razionala' f Ridurre i pensamenti a questo sentire, ecco il metodo critico che ooo  pu fallare. Ecco il criterio dei criterj : ecco le condizioni desiderate ptf (t distinguere il controvertibile dall' incontrovertibile m ( p^eduU fondamela tali eccr L. Ij e. ly. ly). Non sono gi poste a caso queste parole, conti^ verUbile e incontrovertibile, in vece di Jalso e di vero: anzi in esse fi ip* piatta il genuino pensiero del N. A. (3) Il principio di contraddizione  egli stesso una particolar venti 0 Romagnosi dunque qui si contraddice con ci che afferma nella if^ facci , cio che il criterio non dee essere una particolar verit^ d ^ indicazione delle condizioni che accompagnano le verit tutte. Io quesUI0^ telo egli fi divide dal Mamiaui, 49 prodotto da due cause concorrenti al medesimo, cio dalPazione della natura, e dalla reazione del principio senziente. Perci dice^ che il vero e V incontrovertibile sono tutt' uno  (i) : ed egli  incontrovertibile per noi , perch  un effetto necessai io e naturale, u La verit non  un ente sostanziale, ma altro non e , che una qualit dei giudizj di un essere senziente (2). Que- s sta qualit non  intrinseca aV idea come  il bianco ed il e rosso, il caldo ed il freddo, ma  tutta relativa ad una data  POSIZIONE INTELLETTUALE n (3). Ora uu vcro relativo, non  ?ero: il vero  qualche cosa di assoluto e dUnunutabile non solo per noi, ma in s* Le posizioni delP intelletto relativamente alle quali una opi- nione si fa vera, servendo u come modelli di confronto  , le dice pi sotto  ipotetiche n : e veramente, nel sistema del vero idativo , la posizione delPintelletto nostro qual modello di con- h>nto non pu assumersi che come un^ ipotesi. Egli dichiara ancor meglio il suo pensiero tosto dopo, ove toglie a mostrare, che la verit de^ nostri gudizj non si pu Quu desumere dalla loro conformit collo stato reale delle cose, na solo coUa posizione ipotetica del nostro intelletto. Qui apre pi& ingenuamente il suo sistema d' IdeaUsmo.  Se col pensiero io salgo 6no al cielo, dice, o scendo fino * agli abissi, io non esco mai fuori di me stesso (4), e veggo ^ sempre le cose in me stesso (5). L^ universo dunque che sup- (i) FeduU fondamentali ecc. L. I , e. Vy 4. (a) Non si iraUa che di un essere senziente? (3) F'edute fondamentali ecc. L. I, e. Y, 4* (4) Y'ba un libro francese, che comincia appunto cosi: Soit que nous nous isviofii, pour parler mtaphoriquement, jusques dans es cieux , soit que nu descendons dans les abysmesi nous ne sortons point de nous^mmesi ce n'est jamais que notre propre pense que nous appercevons. Ognuno che questo libro  l' Essai sur V origine des connoissances humaines Gondillac (5) U uscire di s slesso applicato allo spirito nostro  una pura meta- ni tolta dalle idee dello spazio. Or chi non sa quanto sieno pericolose le etafore^ quando si usano non a chiarire un pensiero prima esposto in rel proprie , ma anzi a proporre una difficolt? V ha tutta la ragione dire ai filosofo che ci parla con parole traslate :  o ragionatore , espo- temi i vostri pensieri fuor di|metafora^ e allora sar in caso di pesare 111- in 4^10 u pongo esstere altro non  n esser pu, quanto a me, fuorcli a un fenomeno ideale prodotto dentro di me dalP azione de- a tei*minata dai rapporti reali clic passano fra il mio essere  pensante e questo esteriore universo. In ultima analisi pc^  tanto tutta la questione si riduee fra T idealismo isolato, i u dipendente, o l'idealismo associato e fainulativo. Ma tutto i  fine  idealismo, e tutto rispetto air uomo si conosce e si fa u per via del solo idealismo ?? (r). Veramente tutti quelli i quali non anmiettono che v'abbia un essere ideale distinto dallo spirito nostro che ci faccia ro- noscer le cose, non ammettono la VEr.iTA\ che  questo stes poich ella batte appunto in (|ueUa distinzione che io faceva della filosofia in volgare e dotta nel N. Sag- gio ecc. Vedi Sez. I. (3) Un' altra classe di sensisti distinguono V impressione dalla sensazione, ma confondono quest'ultima coV idea. 4^12 Questo  ci che vuol significare il Romgnosi , dicendo clic Funi verso non  altro  fuorch un fenomeno ideale prodotto  dentro di me dalP azione determinata dai rapporti reali che  passano fra il mio essere pensante e cpiesto esteriore uni- a verso fi. Di che conchiudc  Dunque io potr hens sentire u un risultato di questa reciproca azione la quale costituisce  una legge reale, ma  metafisicamente impossibile che io  possa conoscere questo stato reale a guisa di originale di  una copia. Pretendere di conoscere le cose in s stesse  un u assurdo logico, perci stesso che la cognizione mia  un^ azione  mia, fatta dentro di me, e un mio modo di essere, e non una a trasfusione sostanziale di un ente e precisamente dell'entit  dell'oggetto nella intelligenza mia r> (i). In queste ultime parole si contiene l'errore; difEnendovisi la cognizione semplicemente come un nostro modo di essere, una nostra azione, e disconoscendo che l'ente ideale  qualche cosa di distinto da noi , e in noi , se cos si vuol dire , appunto trasfuso, il quale ente ideale (luce in cui si conoscono le cose)  la verit delle cose, V essenza della verit. Che se taluno, abbandonando l'osservazione del fatto, pona sua fede in un vano ragionamento speculativo, gli parr questo certamente assai duro ad ammettersi , siccome cosa alienissima dalla comune maniera materiale di concepire. Tuttavia ad ogni intendente persona parr , io credo , di lunga mano pi duro , ed anzi al tutto impossibile il pretendere, che la verit che noi veggiamo sia semplicemente una modificazione dell'anima nostra n pi n meno, quantunque l'anima non s'accorga mai di mirare in s stessa una propria modificazione quando contempla la verit di una cosa (2). (i) Fedutejbndamentai ecc. L. I, e. V, 7, 8. (a) Non sar inutile che io qui riferisca il giudizio di Pietro Bayle sulla distinzione dell' ie^^a e della percezione fatta dal Malebranche, o pi tosto da lui resa illustre  conciossiach prima di lui si ammise senza contrasto, r Secondo il sentimento del P. Malebranche, la percezione d'un' idea   differente dall' idea stessa ; la percezione  una modalit dell' anima do-  stra, ma non l'idea. Ecco ci che pochi intendono. Ma e' non v'haiaag-  gior ragione di rifiutarlo; perocch quegli che  atto di andare un p   fondo nelle cose , vede facilmente , che chi afTerma veder noi i corpi ^ 4^3 Che se la dottrina del Romagnosi si restringesse solo a dire^ sentimento delP universo esteriore, materia della cognizione ostra, non essere che un effetto di due cause, Pima diversa lanci, r altra noi stessi^ saremmo i primi a convenire nella oa sentenza; e abbiamo gi parlato a limgo della limitazione he riceve la cognizione nostra dal modo onde noi riceviamo a materia di questa cognizione (i). Ma il Romagnosi non re trnge al solo sentimento questa teoria; la stende a tutto; egli ri acchiude anche la parte formale della cognizione; il princi- pio stesso di contraddizione diviene nelle sue mani una sem- plice modificazione o vibrazione delPanima nostra; per tutto  soggettivo, d'un valor relativo a noi: chi non intende avervi ^ la distruzione di ogni verit, un idealismo trascendentale? Che se noi cercheremo per che via un filosofo "pervenga in tali assurdi; sempre troveremo, lo sragionamento originarsi, Et dirlo di nuovo, da qualche prevenzione. La prevenzione dominante nella mente del Romagnosi  appunto la pretesa  s stessi , ed esser la vera cagione dell' idea che noi n' abbiamo, pronun-  eia de' lermioi , che sono tanto incomprensibili quanto dicendo un r circolo quadrato  ( De la Rpublique des Lettres , Mai i6B5, art. Z ), Velia sostanza io sono d'accordo col P. Malebranche in questa parte  solo loo convengo con lui nell' uso eh' egli fa della parola percezione : io di- lioguo r atto con cui veggo, dall'idea veduta: ammetto che V idea o V es tre ideale  indipendente dall'anima nostra , all'opposto dico che Vallo eit anima  dipendente dall' idea , e senza di questa non esiste. Per l' atto I quanto si distingue dall' idea non  che una pura astrazione , cio esiste ilo l'atto che termina nell' idea : quello non si pu divider da questa talmente senza distruggerlo, ma si pu dividerlo da questa mentalmente, io intendere eh' egli  una parte di un tutto , diversa dall' altra parte P idea ) che entra a formar questo tutto. Oltracci io chiamo propria- lente intuizione quell'atto onde lo spirito nostro vede l'essere ideale l'idea)^ e percezione quello onde insieme sente ed afferma l'essere reale e lasistente (la cosa). Molte volte trovo necessario conservare questa propriet i lingua rigorosamente. Noto in fne che il Genovesi medesimo ammise e fese valorosamente la distinzione del Malebranche fra l'idea e l'atto dello pirite che la intuisce (Elemeni. Metaphys, P. II , prop. xzix, xxx)s e da uesto filosofo italiano il Romagnosi , che ne fa tanta stima , fino a pubbli- ame e commentarne la Logica pe' giovanetti , avrebbe potuto imparare n vero cosi importante. (i) N. Saggio Sez. YI^ e. XI. 4a4 impossibilit di avervi un ente ideale distinto e congiunto collo spirito, col quale noi vegliamo le cose , perci 1" aiiimettersi senza dimostrazione , senza esame alcuno , che la conoscenza non possa esser alti*o che una semplice modificazione deiran- ma. Non si trova la minima prova di si fondamentale proposi- zione in tutte l'opere del Romagnosi : per tutto eli'  supposta come indubitata, evidente. All'incontro ci  appunto quello che gli negano gli avversar]. Vuoisi vedere con che piena fidu- cia egli tolga a provare che noi non conosciamo le cose in s stesse? a Una funzione di risultato, dice, fra due cigenti potr tf essa forse diventare forma sostanziale di uno di quegli agenti? tt II senso poi di un mio movimento pu forse rappresentare la  mia figura  (i)? Certo no, rispondo io^ e appunto per que- sto voi dovreste vedere, essere al tutto impossibile che la co- gnizione umana sia il risultato di due agenti , consista nel senso d'un semplice vostro mo\imento. Un semplice vo.^ro movimento non potr mai farvi conoscere ne la vostra figura, n alcuna forma sostanziale, n darvi la minima idea di so- stanza o di figura. Ora, dato anche che voi non conosceste n la vostra figura, ne ninna forma sostanziale, come asserite^ tut- tavia voi ragionate e di figura e di forma,  per ne avete almeno le idee generiche. Ma primieramente,  egli possibile che abbiate le idee generiche di forma e di figura, se prima non avete percepite le forme o figure particolari onde coli' astra- zione (secondo il vostro stesso sistema) traete le idee generiche? Ancora,  egli possibile che il senso d' un vostro movimento sia l'idea della forma e della figm*a in genere o in ispecie? (T per lo meno tanta assurdit a pensare che un movimento vostro sentito sia l'idea della figura e della forma in genere , quanta voi stesso ne trovate a pensare che un vostro movimento sentito sia l'idea della vostra vera e real figura particolare, o di una partjcolar forma sostanziale qualsiasi, vera o falsa. E potreste voi cono- scere che fra movimento e foima non ci ha similitudine alcuna, e che per quello non pu rappresentar questa, se voi non co- nosceste veramente e la forma e il movimento? (i) Fedute fondamentali ecc. L. I, e. V, 9. 4^5 Ma il Romagnosi non vedendo la possibilit di alcun altro [)artito, tiene per indubitato, e n pur bisognevole di prova, ie ogni idea nostra sia appunto il senso d' un semplice nostro Dovimento , ima semplice nostra modificazione ^ e di qui muove atto il discorso, come da punto fermo, a suo credere, n pos- ibile a porsi in controversia. Egli toglie fin anco a provare, Ile colla visione diretta delle essenze, noi saremmo meno assl- nrati della connessione reale fra noi e la natura, di quello Iie sia colPeffetto della azione e della reazione. Non vede qui, he la visione delle essenze non impedisce e non  contraria al- * azione e reazione ( i ) , che si compie nel sentimento , il quale mesta materia alla visione stessa. Ma lasciando ci , udiamo atten- amente come egli ragioni della supposizione, che noi avessimo a vision delle essenze:  Tanto la scienza quanto la ignoranza  . che non pu essere P immagine di alcun che. Ancora , egli nette come fuor di dubbio , che in ogni caso si tratta d^ una iffezione nostra; ma questo  il supposto da lui, che non si l la menoma cura di provarlo, o di esaminarlo; e tale sup- H>sto  il fondo de^ suoi ragionamenti fabbricati sopra di esso; I perch appunto quel supposto  ci che pi dee essere ci- Dentato con sottile esame , ed  ci , dico io , che alP esame lon regge, ci dove si asconde il fracidimic del fondamento, :he cedendo fa crollare tutto PediBcio. Ma il Romagnosi sostiene tuttavia, che Tuomo possiede il rero. Qual ragione ce ne d? eccola, e si consideri qual forza (1) Questa espressione di m azione e reazione m  un vero barbarismo in metafisica; ma mi si permeUa di usare qui T altrui linguag^jio che pi Botto porr alla prova della critica. (a) Vedute fondamentali ecc. L. 1, e. V. 10. Rosmini, // Rinnovamento. 54 4^6 ella possa avere: u perocch, dice, anche nella ipotesi del- ie Tidealismo isolato, la cognizione non essendo che un mero f atto variato infinitamente del me pensante, altro propria- u mente non rimane in ultimo fuorch Tidea d^un che inco- f gnito (i), autore di questi atti, e che noi connotiamo coi u vai^ segnali intrinseci di questi atti  (2). Questo  quanto un dire: non sono possibili che due si- stemi, Tidealismo famulativo, e P idealismo isolato. NelFuno come nell^altro la cognizione  sempre un mero atto del me pensante 9 Fidea d'un che incognito. Dunque, se c' il vero nell'idealismo isolato, egli c' ugualmente nell'idealismo famo- lativo. Vi par egli questo un bel ragionare? E che ritirata trover il Romagnosi, quando gli sar risposto che il vero non c' n nell'uno n nell'altro idealismo? E che? si pian- ter forte col dire, che non si pu uscire dal circolo dell'uno o dell'altro de' due sistemi? Il pirronista glielo accorder vo- lontieri, e conchiuder: u s, e appunto perci non si d vero alcuno: io accetto di tutto buon grado la vostra concessione. Ma il vero difensore della verit gli dir per opposto:  fi nego la maggiore del sillogismo, perocch accordandovela io, il pirronista l' avrebbe vinta su di voi e su di me ugualmente . Il Romagnosi si stupirebbe forse di tal negazione^ ma final- mente dovrebbe capire, che egli si era dimenticato di provare quello che innanzi tutto dovea provare, il perno della disputa, cio , che il conoscere sia e non possa esser altro che un mero atto o modo dello spirito senza un oggetto ideale distinto per natura dallo spirito stesso. Tirato a tutta forza sul vero ter- reno della lotta, egli dovrebbe sostenere, a mal suo grado, di veder posto al tormento logico quel pregiudizio sul quale egli edificava con tanto di sicurezza la mole del suo sistema. (t) Come c'entra qui ridca d'un che inco^ito? Io veggo benissDO come un atto dello spirito risultante da* rapporti delle due cause che lo producono sa un che incognito: ma ii dire che sia  V idea d*UD che inco- gnito f, questo  un salto mortale; l'idea vi  intromessa nel ragionamento come un personaggio improvviso che apparisce sulla scena a porte chiosr: con tali apparizioni improvvise e senza nesso la buona logica de' nostn filosofi (a pur de* giochi maravigliosi! (a) Vedute fondamentali ecc. L. I, e. V, i5. 4^7 Bechiamo un altro passo del nosti^o filosofo y dove il con etto, che egli s fa del vero, viene ricapitolato: L'errore sta ' nella difformit fira i giudizj che si fanno e si possono fare. Tanto ' la Terit, quanto la falsit sono un s ed un no (i). Quelli del Tero sono immutabili quanto le essenze reali di fatto , e le azioni di queste essenze. Distinguasi la contingenza di queste azioni, dalla natura loro (2). Quelli del falso sono mutabili perch possono essere cangiati mediante un irrefragabile rag- {quaglio colla normale suddetta (3). Il colpo che deriva da una data forza sufficiente o insufficiente (4) 9 bene o male diretta (5),  un risultato di fisica necessit. Il bene e il mal giudicare sono risultati di una stessa necessit (6). Correg- gere un errore  sinonimo di riandare lo stesso oggetto e concepire un giudizio normale invece di un giudizio non normale, e di emettere un s nel normale, e un no nel non normale che prima portava il s. Ecco la ritrattazione su (7) Nelle quali parole apparisce manifesto , 1.* Che il vero ed il falso sono risultati di fisica necessit) orche effetti dclPazione di due forze, estema ed interna^ a.^ Che esso  cosa, che viene prodotta di mano in mano ime una merce materiale^ 3.^ Che esso non ha alcuna necessit in s stesso se non ipo* stica, cio tale c[uale  la natura delle cause che lo produ- moj le quali (T universo e noi) sono non solo nelle loro (1) n s non e che 1' approvazione che si d al vero , non il vero stesso (3) Egli pare che la natura m delle essenze reali di fatto m (maniera di uiare straniera alla filosofia) non sia contingente, ma necessaria. S vuol rse supporre le cose reali e di fatto immutabili ed eterne? (3) Purch il colpo, secondo la frase che segue, venga da una (orca suf- nente, sia forte abbastanza 1 (4) Un colpo pi forte fa il vero , un colpo men forte il falso 1 (5) Che cosa c'entra qui il  e. Y, 18. 4'a6 azioni, ma ben anco nella loro natura contingenti, qnaiJo non SI voglia ammettere la natura eterna ecc.: e die jh-icI, diremo noi, il veix) non  vero, quod crai dctnonstrandiun. Da queste dottrine debbono seguire tutte quelle conseguenze morali da noi sopra indicate, favellando del criterio del C. M.: proviene da esse la impossibilit di una morale obbligazione, appunto perch la verit , in cui ha propria sede V obbliga- zione morale,  ridotta ad avere un pregio meramente rela- tivo, e non punto assoluto. Quindi il vero non vale pi per s, ma pe' vantaggi cbe ci apporta: ecco Futilit' messa nel luogo della verit' e della giustizia : questa ( cio il nome di questa ) diviene una servigiale di quella : ecco il piacere che caccia dal mondo il dovere, per regnarvi egli solo. Il Romagnosi non si trattiene dal cavalle egli stesso alcune di queste terribili conseguenze. La sua morale filosofica non mo- stra quasi mai alcun altro fondamento, se non quello dell'uti- lit, e dir anco deirutilit materiale. Egli dice espressamente cLe  il pregio della verit consiste essenzialmente ed unicameste a nella efficacia di cogliere la realit eOettiva delle cose, onde  ottenere i beni e schivare i mali n (i). Quindi insej;na pure, che Pignorare lo stato reale delle cose non  male per noi, appunto perch tutto il bene, tutto il valore delle scirnze sta sempre unicamente nel poter operare sulla natura (2). Ma per quantunque operi io sulla natura , diverr io mai buono o cattivo ? sta chiuso ogni cosa ne' fisici beni ? non in- tende il Romagnosi, che i fisici beni sceverati dai morali (lu'I senso vero e non contraffatto della parola) sono la materia (1) Vedute fondamentali ecc.L. I , e. IV, io, 11. (3) f Quand'anche giungere si potesse a conoscere le cose in s stesse, r e poteste accertarvi che i vostri concetti sono rassomiglianti allo stato u reale delle cose , che cosa avreste voi guadagnato per V ultimo valoii u delle scienze? Nulla affatto fino a che non vi foste assicurato che prr f mexzo d queste somiglianze voi operar potete sulla natura ed essa sulla M mente vostra per ottenerne utilit' m {Vedute fondamentali ecc. Lib. I, e. V, 10). Alcuni col vocabolo di utilit comprendono anche i beni morali, cio la virt e la giustizit'). Il Romagnosi non parlai)do che di que' beni che na- scono dall' azione di noi sulla natura e della natura su noi, ci toglie fin anco la possibilit di interpretare il suo detto in uu scuso mcuo abbietto. 4^9 ell^umana infelicit? il tormento di un essere creato per Fil- mitato, per ci che  puro e celeste? CAPITOLO XXXVT. continuztohe. I crtei^ adunque del Mamiani e del Romagnosi non condu* ono alla certezza, perocch none certezza quella che si appella on tal nome da^ nostri autori: que^ criterj non conducono alla ert, perocch non  verit la verit del G. M. e del Ro lagnosi. Queste severe, ma irrepugnabili conclusioni a cui noi siamo enuti, cercando T intimo concetto che i nostri autori stessi ^giungono alle parole certezza e s^t^ possono ugualmente [^licarsi a tutti i sistemi ohe finiscono col riporre nell'anima mana o nella compotenza dell'anima colla natura il criterio: erocch tutti vengono diffinendo la scienza e la verit un odo ddPanimo nostro^ cio di un essere accidentale e senza onslstenza, senza dignit propria e senza autorit (i). (i) Quelli che posero il crtero nelP autorit non  bisogno d ribatterli parte; poich dovendo esser sempre Y anima nostra quella che riceve le ottrine che ci venissero comunicate dall' autorit di chicchessia , essi deb- ono pure dichiararsi , dicendoci chiaro , se le dottrine dall* anima rice- ate sieno un semplice modo dell' anima , nel qual caso partenTOno a' pre- edeoti , o pure se queste dottrine hanno una entit ideale loro propria , el qual caso appartengono ad alcuno de' sistemi che formano la seconda arte della nostra Tavola sinottica de' criterj della certezza. Io dovrei bens por mano ne' sistemi tracciati in questa seconda parte ella Tavola indicata: e mostrar prima in che e perch io mi diparta dal [alebranche; e poi come coloro che hanno considerato il primo vero quale di' anima nostra noi il possiamo coli' osservazione rilevare, pecchino r di eccesso or di difetto; e come il sistema vero si debba allogare tra ittagora e Platone; non potendosi indicare un primo vero che essendo linore di quello ch'io pongo, far possa l'ufficio di criterio universale^ o be essendo maggiore, non sia soverchio a quest'uffizio. Ila l'entrare a mostrar ci, mi divagherebbe troppo dalla conversazione Ile ho preso a fare col G. M. ; nella quale d' altra parte continuandomi , err forse a capo di metter via meglio in chiaro il mio pensiero ; giacch itta b difficolt, a mio parere, sta nel bene intenderlo; e, dove bene sia Xeso, penso che non possa essere pi posto in controversia. 43o Per evitare un si fatto ti^acollo mortale , per salvare in qualche modo la natura divina della verit, mantenendo nello stesso tempo, difessa sia un modo delFanima umana, non si vede che un rimedio ; ma questo rimedio  assai peggiore dello stesso male a cui si vuol riparare. Il rimedio di cui parliamo, s'intender subito, ove si prenda il sistema che abbiamo esaminato, da un altro manico, per cosi dire, giacch ogni cosa ha pure i suoi due manichi. Gli autori esaminati danno al i^ero le qualit delP uomo; si potrebbe fare il contrario: dare all'uomo le quaUt del vero: ecco r altro manico di cui parlavo. Dico, che si potrebbe sentir con essi quanto al principio, che il vero non sia altro che un modo delP essere umano , e tuttavia mantenerlo nel possesso delle sue divine qualit, cio della im- mutabilit, eternit, necessit, universalit ecc. Ma in che modo? Con un po' di coraggio. Basta osar di dire, che Fuomo stesso ha veramente tutte quelle sublimissime doti, e che la contingenza, la mutabilit ecc. non  che Fuomo fenomenico ed esteriore , non  il vero uomo , non quel mirabile lo^ soggetto occulto, che  cosi comodo a potergli far fare tante beUe cose, senza che egli venga giammai fuori del suo nascondiglio a darci una mentita. Veramente, fra' nostri italiani non v'ebbe per anco alcuno, a mia saputa, a cui bastasse di tanto il co- raggio^ ma la cosa non va cosi altrove^ non va cosi, per esem- pio, de' filosofi tedeschi ^ ti^oppi de' quali hanno veramente un coraggio gigantesco pari all'ingegno. Di qui  , che sebbene ne' lor sistemi, come ho gi osservato, giaccia sempre in fondo un elemento soggettivo, tuttavia essi mantengono al vero, me- glio de' filosofi di ogn' altia nazione , le sue qualit sublimissi- me, divine^ immaginando un soggetto che si oggettiva, e che riesce a vincere o sia ad assalire di nuovo in s il proprio oggetto: per il che tendono essi incessantemente a divinizzare il pensiero , e finiscono assai spesso in qualche sistema di paih teismo. 43 1 CAPITOLO XXXVII. GRAVI CONSEGUENZE DEL SISTEMA DEL C. M. Ora io non vorrei che per altri si credesse aver io in qual- che parte appiccicata al Mamiani una opinione non sua.  seb- bene niente abbia io detto , che noi provassi con luoghi tratti fuori dal suo libro, tuttavia a dileguare ogni dubbio mi spie- gher meglio. Non volli io gi dire, che il C. M. nell^animo suo negasse alla verit quelle preclare doti, che tutto Puman genere le concede, e sempre le concesse, di essei*e cio una, universale, infinita, immutabile, etema ecc. Dissi solamente, che queste doti innegabili della verit, della quale Fuomo partecipa, non si possono mantenere a lei nel suo sistema, ma rimangono senza spiegazione, sono rese impossibili. I passi del libro del Mamiani che ho addotti mostrano quanto egli cedesse a questa conseguenza necessaria della sua dottrina. Ma que^ passi non impediscono che non ve n^ abbiano degli altri, dove il Mamiani confessa ingenuamente, che la verit  Gomita di tutte quelle eccellenti prerogative^ ingegnandosi fin uico di spiegarle, e di conciliarle coi principj della sua filosofia. Ora Pudire dal Mamiani, che la verit  per essenza immu- tabile, necessara, cogli altri pregi toccati,  a noi cosa assai lieta; si perch ci troviamo qui consenzienti con un pre- dato uomo , e s perch quella concessione ci d diritto di do- mandargli qualche spiegazione di doti si eccelse, o almeno li chiedergli che non voglia rendercele impossibili col rima- nente di sua dottrina.  non ripugnano esse quelle altissime propriet del Vero con ^tta Fintima e sostanziai parte della filosofia del Mamiani? Da prima, se, come egli vuole, le cognizioni nostre vengono uttc dalle cose esteme, e dalPuso delle nostre potenze che 'anno elaborando, per cos dire, le impressioni di quelle, enza che in dette potenze prcesista alcun lume naturale, al- cuna prima intuizione^ egli si pir niauifcsto, che le nostre idee 432 non potendo esser che analoghe alle cose onde originariamente procedono, non avranno nulla d** immutabile e di necessario, se anche queste non l'abbiano. Il C. M. sente la verit di que- sto principio, che pone, non potervi aver pi nelP effetto che nella causa ^ e perci dice cos: u Questo salire dello sciLile  dal transitorio al durevole, dal vario all' immutabile , dal li- te mitato all'universale, e dal contingente al necessario mai u non avrebbe luogo qualora il necessario, Petemo, Pinfinito e a r immutabile non dimorasse veramente per mezzo tutte le  trasformazioni della materia e dello spirito  (i): parole molto osservabili, e che non dobbiamo credere sfuggite iuav- Tertitamente al nostro filosofo *^ perocch sono una conseguenza necessaria delle premesse. Le premesse sono: i. Che tutte le idee vengono dalla materia^ e dallo spirito nostro, che risponde colle sue inteme operazioni alle impres- sioni di quella^ 2.* Che nelle idee si trova il durevole , l' etemo , V immuta- bile, Puniversale, T infinito, il necessario. La conseguenza , Che dunque il durevole, l'eterno, l'immutabile, l'universale, Tinfinito, il necessario debbono trovarsi neUa materia e nello spirito nostro, per mezzo a tutte le loro permutazioni. Chi non sente quanta attenzione meriti una simigliante dot- trina? E pur questo  l'unico partito a cui si possa appigliare ogni 61osofo sensista, o puro o misto, il quale non voglia negare alle idee quelle loro innegabili prerogative. E qui, se non erro, consiste forse la differenza pi notabile, che parte il Mamiani dal Romagnosi ^ perocch sebbene tutt' e due sensisti , pure il Mamiani non lascia dubitare di s circa ^ammettere candida- mente i subhmi caratteri propr j delle idee e della verit , quando all'incontro il Romagnosi egli pare, andando al fondo, che non li ammetta gi con ischiettezza , ma , mi si conceda il dirlo, subdolosamente al suo solito, come un'apparenza, di (l) P. II, e. XIX, IT. 433 vlla potendoci noi ben assicurare nel suo idealismo associato, enebroso e fatale (i). Il C. M. adunque si getta a questo pailito unico che gli rimane: accorda alle cose, cio alla materia ed allo spirito lostro, gli altissiuii caratteri delle idee. u Abbiamo ravvisata  ( cosi riassume egli il suo pensiero )  un' aimonia perfetta tra il mondo nostro cogitativo e il mondo  delle realit, imperocch in entrambi abbiam discoperto sub- te bietti immutabih e indivisibili che sono perno al circolar  moto dei cangiamenti materiali e intellettuali. Quelle unit  poi, le quali si formano entro la nostra mente per la con-  templazione del simile (2), abbiamo veduto essere una ripro-  duzione (3) vera e certa delle unit originarie di subbietti  e di azioni, e perci darsi in qualche modo (4) l'universale u in natura  (5). Cosi egli pretende che l'universalit, l'unit, l'immutabilit e l'indivisibilit siano di pari nelle cose, e nelle idee che dalle cose si derivano^ e che le idee acquistino quelle loro prerogative dalle cose reali, da cui egli le vuol provenute, (i) Il Romagnosi d vanto al suo sistema ^ come a quello che spieghi agevolmente il modo onde Tuomo pu agire sul mondo esteriore. Pure in ogni sistema qualsiasi nel quale si ammetta Y influsso fisico, come nel no- stro , queir azione sul mondo  spiegata ugualmente. Sono per da consi* derarsi bene quelle parole del Romagnosi t La cognizione che vi perviene, m essendo un'azione reale che si fa in voi ^ voi non uscite da voi stesso , w dalla vostra mente per operare sulla realt  (Predate fondamentali ecc. L. 1, e. \, 16): parole alquanto equivoche, perocch egli sembrerebbe da esse, che la stessa realit esterna ibsse qualche cosa appartenente a noi, alla nostra mente, come vuole T idealista puro, intendendosi allora perfetta- mente come tutta l'azione nostra dentro di noi si compia. In un sistema tensistico-ideale quelle parole non ammettono altra interpretazione. (a) Io ho mostrato che il simile delle cose non  che una relazione che esse hanno colla mente nostra, e quindi niente che sia in esse di reale. Vedi. add. L. II, e. XXXIII-^XXXVII. (3) Se la mente riproduce le unit originarie delle cose, in tal caso queste unit che hanno bisogno di esser riprodotte non si trovano nelle singole sensazioni. Se non si trovano nelle singole sensazioni, sono una fattura della mente; se sono una fattura della mente, come si pu sapere ' che elle corrispondano alle unit che sono nelle cose? (4) Ho gi notalo che V m in qualche modo  svela la titubanza del* r autore. (5) P. n, e. XX, I. Rosmini, // Binno^wnento. 55 434 Per de' soggetti, reali in un luogo egli dice :  Nel fondo u d'ogni soggetto minutamente cercato ( i ) noi rinveniamo qual- V che porzione d'identit, clic persiste e non cangia, e la (juale, u si vedr a suo luogo procedere dalla natura eterna e immu- ti labile di certi subbietti (2), ove la unit sua  reale e ri- u sponde all'unit intellettiva che aiidiam formando n (3). Nel qual luogo notisi, distinguersi la unit intellettiva ( delle idee) dalla unit reale ( de' soggetti reali): sicch la natura eterna e immutabile atti ibuita dal Mamiani a quc' soggetti, noa pu mica intendersi per quella che si trova nelle loro idee o possibilit eterne^ ma in una unit giacente in essi realmente sussistenti: trattasi anzi di spiegare l'unit intellettiva (delle idee) mediante l'unit reale (delle cose), derivando (juella da questa. E per in altro luogo generalmente dice, che ogni sostanza u dee risultare di modi mutabili, e d'un siibbietto uno, indi- li visibile, immutabile e perpetuo n (4): dove apparisce, che l'unit, l'indivisibilit, rimmutabilit e la perpetuit sono dal N. A. attribuite alle sostanze tutte, ninna eccettuata. Ora poi dall'aver egli dato l'immutabilit e l'eternit a' sog- getti reali, conveniva di conseguente, che dichiarasse pure (i) n G. M. dove avesse voluto ^ ed era desiderabile ^ mantCDcr sempre una stessa forma di parlare^ qui avrebbe dovuto dire r uel soggetto io* stanziale m^ in luogo di dire  nel fondo d'ogni soggetto m. Perocch egli ammeUe pur sempre due soggetti maritati insieme^ T uno fenomenico e l'altro sostanziale, i quali ^ a dir vero, mi sembrano tutto simili a que' mostri che nascono giunti per le reni. (9) Secondo la dottrina de' nostri maggiori, il soggetto eterno non  che Dici tutte 1' altre nature hanno avuto principio. (5) P. II, Xj in. Egli  dalla perennit o continuit supposta, secondo il Mamiaoi^nel concetto del tempo, che scaturiscono quelle mirabili doti de' varj soggetti delle cose : f Cou tale scienza del tempo ci  venuto aperto H l'ingresso (dice) alla cognizione delle sostanze e di ci che per entro le M cose  immutabile, necessario, infinito m (P. II, e. XX, i). Egli si ap pella al senso comune; ma il senso comune ha mai pronunciato che ncUe cose v'^bia l'immutabile, il necessario, l'infinito? Povero senso comtui0| se avesse proferito s strana corbelleria ! (4) P. U,c XIV, n. 435^ etemo lo spazio ed il tempo (i); e cos egli fa veramente senza alcuna esitazione: ce La durata e lo spazi (dice egli) comunicano insieme la tf loro infinit rispettiva, cio a dire che la durata  per tutto  lo spazio, e questo persevera nella lunghezza etema della  durata yf (i). E udiamo con che argomenti s'ingegni d provare cos gravi affermazioni: tf E prima, che la durata sia in tutto lo spazio Io provammo  noi qui di sopra , l dove dicemmo ogni cosa dover comin-  ciare o essere etema. Se comincia,  nel tempo e quindi nella tt durata: se non comincia e pur coesiste con gli esseri tem-  porali (3), essa dura perfettamente continua. Che lo spazi  poi perseveri nella durata senza mai fine si trae da quello u che fu concluso intomo i subbietti immutabili. Ora, lo spa-  zio  vero subbietto. Perch da ima parte egli non  un m fenomeno nato da azione e passione e accompagnato da al-* m cun movimento (4)* Ma  semphce in s medesimo, e idcn (i) n tempo eterno 1 bel pensameoto da vero^ e aovlssmo; perocch fia qui il mondo us sempre di contrapporre come opposti fra loro il concetto del tempo e quello della eternit. (2) P. II, C. VII, IX. (3) Ma gli esseri temporali non sono temporanei ? E se son tali , la du* rata non pu coesister sempre con essi. Non e'  verso dunque > altro che d'ammettere che gli esseri temporali sieno eternit Ninna maraviglia, giac- eh abbiamo veduto, che, giusta ilMamiani, in tutte le sostanze avvi la perpetuit, senza esclusione delle sostanze temporali. (4) L' argomento  qut^sto : r Lo spazio non  un fenomeno. Dunque egli  uo soggetto. Ma i soggetti sono imroulbbili, eterni ecc. Dunque ecc. m Di questo passo si potrebbe andar Dio sa dove. Io osservo solo, i.^ che in fondo a quest'argomentazione giace una di quelle prevenzioni, dietro le quali i sensisti' conducono i loro ragionamenti, senza darsi carico di pr* varie, senza ne pure aimunziarle direttamente. La prevenzione di che [tarlo si  questa proposizione, che r tutto ci che non  fenomeno sia un soggetto M, sicch niente altro v'abbia, n aver vi possa, che non sia o soggetto o fenomeno. Un'affermazione cos rigorosa, cosi limitata,  di quelle che solitamente si formano nell'animo per analogia di ci che si vede ne' corpi. Questi sono composti di fenomeni e di soggetto t dunque si conchiude , con un terribile salto , tutto  composto di fenomeni e di sog* getti. Tali analogie fornata no spesso il ikietodo pratico (X filosofare deUa scuola, che s'aUribuisce il nome di sptntenUdc  'a!^ Che cosa  un feiio- 436 M tico in perfetta guisa. D'altra parte, egli riceve in s tutti  I modi deirestensionc e tutti i fenomeni del movimento (i). tt Adunque come vero suhbietto, lo spazio dura continuo, cio  ETERNO e senza possibile mutazione >? (;). Dove ce n'andiamo noi ? se lo spazio  eterno perch  un soggetto, se i soggetti sono eterni ed immutabili ^ egli dee av- venire clic ogni ente abbia l'assoluto in se stesso^ peroccli qual cosa ci resta pi a ricreare dopo esser noi pervenuti al- l' immutabile ed air eterno ? Il C. M. vede, ed accetta di tutto cuore anche questa inde- clinabile conseguenza^ coraggio dunque! udiamo anche que- sta sua teoria dell'assoluto: tt Da ci viene manifesto, che si nel principio nostro pen- tt sante, e s nelle cose esteriori (3), risiede un essere necessa- meiio ? quello che apparisce. Ora lo spazio non apparisce egli? dunque  un fenomeno, secondo lo slesso Mniniiini. P(t reiulcrlo un soggetto , do- vrebbe il Mamiani mostrare che scilo lo spazio apparente vi ha un altro spazio reale e non apparento: cosi avrebbe ct^'ll trovalo il soggetto sostan- ziale dello spazio, scgullanilo i suol propri prliirij)]. (i) Or ora dl^se che lo Sj>nzlo non  un fenomi'uo accompagnalo da al- cun movimento. Or qui ri;li ricevi! in s tulli i modi dell' estensione e tulli i fenomeni del niovlmeiiio >. Cumo si concili.ino queste due proposi- zioni vicine? O quesli lenomcnl d- 1 movlnioiilo aifellano lo spazio, o no. Se lo affettano, e^li non  pi vero , che non sia * un altro ve n'ha pure nel soggetto sostanziale: dunqe dovea dire, che nel principio pensante non v' ha un solo essere inTariahile, ma due. 4h i taniente Immune di variazione, e identico perennemente a i s stesso: il che porta e solleva al fine il nostro intelletto 5 alla vera nozione della sostanza (i), cio al snbbietto uno, (i) Qui il C. M. parla della vera nozione della sostanza^ poco appresso omina le sostante uere. Questa maniera di parlare involge relazione sUa falsa nozione della sostanza , e colle sostanze Jalse. Or a che mai ili distinzioni di sostanze vere e false, di nozioni vere e false? Vel dir io. l'ali distinzioni sono di prima necessit in una filosofa che si dispensa olentieri dall' osservare la propriet nell'uso delle parole^ e che le prende ai in uno, e qua in altro signifcato : ed egli  poi di prima necessit il oo dare un fermo valore alle parole , quando la filosofa sia lontana dalla erl. Mi si permetta che illustri la cosa con un esempio. Torr questo sempio dal vario signifcato che le parole sostanza e soggetto tengono eli' opera del C M. I * In molti luoghi del libro del G. M., come nel sopraccitato, il carattere istintive ^ essenziale della sostanza  V immutabilit. In altri per, egli i presenta I* istanza come cosa mutabile, e solo il soggetto ce lo de nrive per immu^ *^^le , come l dove dice m ogni sostanza dee risultare di modi mutabili, e .'* i subbietto uno, indivisibile^ immutabile e per* etuo *. ( P. II, e. xrv , ^. a * Ma in altri luoghi il so^^ '^ e la sostanza divengono una cosa sola tQtt' e due mutabili t come l Qu ^eve per buona quella definizione la sostanza  un soggetto che si mou ^ ^* ( P. II, e. Y, viii). 3.^ In altri pure egli d dei modi espressati -"n te al soggetto, sicch come i sopra n la sostanza fu fatta risultare da dei modi mutabili e da un soggetto immutabile , cosi  forza dire^ che questo soggetto immu ibile ha egli stesso dei modi mutabili, e qualche cosa tuttavia d' immu- ibile, come l dove dice che w la durata cade sempre in un solo essere , cio nel soggetto pensante e nei MODI di tal soggetto  ( P. IIj .VII, n). 4.* Altrove dislngue due soggetti, tt l'uno fenomenale m, e l'altro - sostan- lale j che sta sotto al fenomenale (P. II , e. IV^ iv )^ e dichiara immu- ibile non solo il sostanziale y ma ben anco \\ fenomenale, dichiarando ri- porre egli la sua entit nella perpetua medesimezza, la quale si ripro* r duce in qualunque atto cogitativo m ( Ivi ). 5.* Egli per distingue la sostanza dal soggetto fenomenale y perocch lice M la realit sua (del soggetto fenomenale) non domandare, onde si r fccia conoscere, la realit della sostanza w (P. II, e. IV, iv ); sicch qui 'ha un soggetto che non  pi sostanza , e non ha n pure bisogno dia sostanza per essere conosciuto. 6.^ Questo soggetto fenomenale per, che ha * la sua entit nella perpe- i medesimezza m,  la spontaneit, che necessariamente si modifica, ^m' egli stesso dice ( P. II , e. IV, ni ) , di maniera che m qualunque atte d' intuizione  pure un modo particolare e determinato del subbietta pensante , o dir si voglia del me fenomenico  ( Ivi ) 438 u cpntinuo ed Immutabile, assoluto e non relativo, sostegno a di tutti i modi, o vogllam dire di tutte le mutazioni.  n? Perci questo soggetto fenomenico che  ha l'entit sua nella prr- petua medesimezza m, non  cosi immuiRble come il soggetto sosltinziak: di guisa che, in quanto alle cose esterno , dice che  error grave sarebbe w di reputare quelle identit fenomeniche  ( nelle quali ripose il soggetio fenomenico ), M le quali vediamo sussistere per mezzo infiniti modi variabili, n come la costante e immediata manifestazione dei soggetti continui, iden- r tici ed assoluti m. E quanto al principio pensante dice pure, e L'idea* r fico fenomenico (cio il soggetto fenomenico ), il quale sentiamo giacere r m fondo a tutti i modi della nostra spontaneit, non pu dirsi immuoe r affatto da cangiamento  (P. II, e VII, vii ). 8.^ Altrove poi ammette che la parola  subbiotto sia estesa a significare eziandio certa totalit di fenomeni, congiunti per totalit di spazio, di M tempo, di solidit^ di colore, di moto, e d'altri accidenti m ( P. Il, e. IV, vii). Sicch m il subbictto  termina con essere un complesso di accidenti. Dove Io spazio si fa un accidente, sebbene altrove il faccia u ioggetto sostanziale ( P. II , e. VII , ix ). 9.^ Ma non solo il soggetto fenomenale  modificabile, ma ben anco quello che sta sotto alle apparenze, cio il sostanziale; scrivendo io un luogo: f Chi ben si ricorda il determinato da noi sull'obbiettiva condizione f delle idee , vedr che a un tale soggetto modificabile risponde forzat:i' m mente un soggetto MODIFICABILE estrinseco, il quale ed esiste per H s, e SOTTOSTA' ALLE APPARENZE SENSIBILI h ( P. II, e. V, vili). 10.^ Sparita adunque l'immutabilit del soggetto tanto fenomenale che sostanziale , converr ancora ricercarla, se essa in alcun luogo si ritrova, nella povera sostanza prima squarciata fra modi variabili e soggetto inva- riabile. Di fatto il Maroiani dice, che # s nel principio nostro pensante, t n si nelle cose esteriori, risiede un essere necessariamente immune di n- w riazione j e identico perennemente a s stesso: il che porla e solleva! r fine il nostro intelletto alla vera nozione della sostanza m ( P. H, e. VII, vii). 11.^ Se non che questa sostanza di nuovo si fa sinonimo di soggetto, cht diviene anch' egli immutabile, soggiungendosi alle surriferite parole queste altre: ^ cio al subbietto uno, continuo ed immutabile, assoluto e eoa relativo m ( Ivi ). la.* Ma che! non solo la sostanza  ritornata immutabile; ma in un altro luogo anche i suoi modi acquistano d'un tratto l'immutabilit : m I inodi r proprii delle sostanze sono un atto perpetuo ed immutabile di esse. Dato r per possibile il caso contrario, avverrebbe che i modi cangiando e pr* r ducendo con ci un discontinuo^ non potrebbero mai riassumere la forai M lor peculiare senza un atto nuovo e distinto del lor subbietto, il n  apporterebbe al medesimo un reale cangiamento  (JP. II, e. XIY, o)* 439 t Ora si dice esistere di l dal fenomeno un reale assoluto,  questa r (l'azione) non pu venir ricevuta immediatamente dal subbietto so- r stanziale j stante ch'ei muterebbe: avvi dunque nella sostanza alcun che r distinto capace di ricevere l'esterna azione m ( P. 11^ e. XIV> n); e [Ili ricorre a dire^ che ci che non muta  il soggetto: sicch quando af- nnasi la mutabilit della sostanza, ci che  immutabile  il soggetto; [uando trattasi della mutabilit del soggetto, ci che non muta ia so* itanza : ora sono tutti e due immutabili, ora entrambi mutabili: ora im- uutabili pi o meno : ora sotto al soggetto mutabile ve n' ha uno d' im- Bulabile: ora  mutabile anche questo: ora i modi stessi sono immutabili : permanenti. i4-^ Attese cosi opposte dottrine, appiccasi una terribile zuffa, nel libro lei Mamani , fra i diversi principi attivi da' quali procede il principio delle notazioni. D'una parte negasi che la mutazione venga dal soggetto: ^ Il V principio del cangiamento mai non pu uscire dal subbietto immutabile : M esso  dunque estraneo al subbietto medesimo m (P. II, c. XIV, n ). Cosi pure si dice il medesimo della sostanza, che h ella non pu essere il  principio del cangiamento m (Ivi). Dall'altra, come si nomina di so* pra una sostanza passiva , cosi qui parimente si trae in campo un soggetto passivo (Ivi). i5.* Questo mostrerebbe, che le azioni non appartenessero n ai sog* ^ti> n alle sostanze; cio che n le sostanze, n i soggetti fossero quelli che agissero. gli  per facile a vedere, che se non operano n i sog- getti n le sostanze, non riman pi un principio che possa operare. Per il G. M. piegasi docilmente ad un nuovo pensiero. La sostanza rice- ver i movimenti , le azioni diverranno organi della prima efficienza , cio iel soggetto  e questo per non operer se non mediatamente, per potere itarsi fermo e non muoversi :  stante ch'ella non pu essere il principio del cangiamento: l'im-  pulso poi immediato non pu venirle dalla prima efficienza, imperocch  questa essendo immutabile non agisce con mutazione * (P. II, e. XIV, n). Questa maniera di ragionare  pure oltremodo singolare. Dicesi che il '^^Sgetto, la prima efficienza non pu dare l'impulso immediato alla so* stanza passiva. Or bene, questa prima efficienza operer mediatamente; che cos'  questo mezzo ? l' azione, organo della prima efficienza , del sog- getto. Ma Fazione  ella moto o quiete? Se l'azione  qniete , non l nulla. Se  moto^ toma la difficolt , come il soggetto immutabile pr* 44o  cangiamento  (i)^ e poco pi sotto dice ancora, che  sotto u i fenomeni o mutabili o identici esistono le vere sostanze,  in cui risiede 1' assoluto di tutte le cose  (2). Di pili ancora j lo spazio medesimo sar un assoluto (3), perch duca immediatamente razione. Vorremo noi supporre un altro mezzo fra l'azione e il soggetto? di nuovo ^ questo mezzo o sar mosso dal sog- getto > o no. Se no, egli non riceve alcun impulso n attivila ; se si, il sog* getto adunque gli comunica iinmedialamenlc il molo. Ognuno intende, che con un simile ragionamenlo si troverebbe una serie di mezzi iofioili fra il soggetto operante e la sostanza che riceve l'azione, seuza che qu^ 8t' azione giungesse per mai a penetrare uella sostanza. 16.^ Perci lasciato da parte questo operare mediato della prima sostanza, ci vengono innanzi i soggetti non pi inerti, ma operanti di tutta lena: r II cangiamento  determinato dall' attivit del proprio subhietto  (P.II,c. XIV, 11). i^. Medesimamente le sostanze diventano attive, tenendo in s la ca* gone de' cangiamenti:  Il cangiamento dee venire determiuato, cio debbe m avere la sua cagione dentro T essere della sostanza a cui appartiene m (Iri). 18.^ N solo diventano attive le sostanze, ma solo ad esse appartiene tuUa r attivit. Quindi V immutabilit in questo nuovo stato di cose appar- tiene ai modi che prima venivano dichiarati mutabili, la mutabilit poi alle sostanze che prima immutabili si dichiaravano: w I modi della sostanza w non possono modificarsi.  > Niente saprebbero efiettuare: da che manca w in loro il principio attivo, concedendo il quale ei divengono tosto vere w e reali sostanze m (Ivi, in). 19.* Ora siccome le sostanze e i soggetti attivi  operando cangiano, cosi anche i soggetti passivi non sono immuni da cangiamento : ervenuto il t Timeo di Platone, quando ragionavano delle cose della natura, si so- H gnarono mai che la natura constasse di numeri ; ma s' ingegnarono essi M di spiegare il mondo eh* era fuori di essi loro, pel mezzo di quel mondo ^ CHE NELLA LORO MENTE S'ERANO COMPOSTO (Ivi, e. IV). La materia adunque metafisica del Vico non  che la materia comune in iettigibile di s. Tommaso , la quale poi non  che una pun idra astratta {S. I, Lxxxy^ i, ad i). Anzi quivi appunto il santo Dottore rifiuu Platone, che voleva sussistere veramente una tal materia, non consideraorlo ch'ella si forma da noi per un modo speciale di astrazione: Et quia PUio non considerava f dice l'Angelico, quod dicium est de duplici modo ab* stractionis, omnia quae diximus abstralU per intellectum , posuil abstracLi esse seeundum rem. Di qui si vede, che quando il Vico dice, che quella materia  la sostanza de' corpi, non pu ragionevolmente intendere, se ooo che sia Videa della sostanza, ovvero che sia la sostanza riferita a' corpi, e non precisa da' corpi; il che mostrerebbe come il Vico tolse anche questo placito dall' Aquina te , il quale scrive appunto. Materia ^^intelligiilis diciiur substantia seeundum quod subjacet quanlitati (Ivi). Un nuovo conforto ri- ceve questa nostra maniera d' intendere il Vico , dal vedere che la sm materia d il soggetto alla matematica; il perch dice della doltrioi di Zenone f col quale pretende convenire, cos: h Erroneamente si stia* r la geometria depurare il suo soggetto dalla materia , o , per parbr cfBf r scuole, astraerlo da essa materia: perciocch gli Zenonisti erano ioli nella persuasione che niun' altra scienza trattasse la materia con maggior 447 mento debbono risultare di continuit e di successione n*^ e esto trova essenziale a tutti i subbietti, soggiungendo u cio a dire ch'elle sono vere sostanze e veri subbietti modifi- cabili n (i). Coerentemente a tale dottrina, conviene cbe ancbe nel pen- aro siavi inchiusa la percezione dello spazio , soggetto nniver- te^ e cos afferma:  Nel sentimento (egli dice) il quale costi- tuisce l'oggetto perpetuo del pensiero  sempre una perce- zione dello spazio, della solidit e del discontinuo, e un moto correlativo in alcuno dei nostri organi: dai (pali fatti poi riscuotono il lor principio immediato le nozioni gene- rali della causalit n (2).  quindi esce il concetto del tutto assoluto, venendo ogni a, come vedemmo, ridotta a quel soggetto unico, immuta- le di tutte le cose mutabili : sicch dice , u Gotesta intima unione delPimpenetrabile e dell'obbiettivo risibile con l'esteso  un fatto primissimo cos vero e certo, qnanto misterioso all'umano giudicio. Per simile fatto noi : siamo introdotti dalla natura a conoscere fuori di noi i com- posti inseparabili, o vogliam dire che alla Notizia dell' asso- predsione ed esattezza della geomet ria ; intendeDdo per di quella nia- tera che pura le yeniva somministrata DALLA MENTE, cio della wt deir eslenrione m {DeW antichissima sapienza ecc, e. IV). Or chi OH vede che i matematici non hanno per soggetto che una quantit pos- hile, delle idee astratte? E anco questo conviene a capello con s. Tom- laso, il quale insegna che species^mathematicae possunt ahstrahi per iniel- xium a materia sensibili, non tamen a materia inUUigibili communi, sed 9um individuali (S. XLVI , i, ad a.). Finalmente ci che pi Ali per- aade, il Vico intendere per cosa ideale la sua materia metafisica , si  il ederlo sempre religiosamente aderente alla cristiana teologia. Ora egli non frebbe biasimato giammai Cartesio dell'aver posto la materia creata e ivisibile, come sembra di fare nel G. IV dell'opera citata, quando in- sndesse per materia qualche cosa di reale e di sussistente; perocch un rrore al grave contro il dogma de' cristiani non poteva il Vico proferirlo  per ignoranza, n per volont.  Egli  dunque da dire, che in que' iogl> dove pare che alla sua materia metafsica aggiunga qualche rea- tdi , egli intenda di qualche propriet delle idee, o di qualche attitudine Idi' elemento materiale, quale giace ne' corpi, ed  indivisibile da essi. (1) P. n, e. XIV, li. (a) Ivi. 446 / Conviene ossei*vare, clic il Mamiani so^ . . . .^ Jj mutabUi alle leggi della continuit, dice- '^ ^ ""^^^  tanto che esistono, qualora mutine .1 ^  iin il C. M. riconosce ^^__^___^^__^___^^____^___^__^^^^ confesso , che per [\x:^ si sue parole, non ne h'^ luoghi a me sembrano pi chiari d ,.  dal principio di causa mcDlc la mente del Vico. E per f ajt   1 .. ., j r  ^ essere. Ma primieramente parole ove dice w 11 mondo fisi . ^ H mente divisibai, dove il ro eteme e immutabili giammai  lime, cio di virt indivi' applicare il principio (di causa) raniichiss. sapienza, e. T ^nc alla verit. Che qualora si pensi metafisico  puFtmeatr ^ ^^^ ^^^^ ^^^ bisogno di venire dcter- sica non sembra o' . tendere il Tico r .co, e un altro essere coetemo con lui ed Uri luoghi pi ^jt, qual cosa ci far credere uno V effetto del- non censura r ^^ perch V uno esercita sopra V altro una virtii nostra "w' y'^.L-ttice ? ma se tal virtii nulla cans^ia e nulla princi- i^cei ma se lai viriu nuiia cangia e nuua pnnci- [ente le si compete il nome di azione causale  (s). /j^j ^/^l^te cose immutabili che si pensano coctei*nc alla causa ai ''^ 5000 essi i soggetti dichiarati tutti dal nostro autore /^lihili? o  la materia infinita, soggetto universale? o ^ffoella sua, una pura supposizione? jfi secondo luogo, io non rinvengo in nessuna parte del libro jel G. M. chiaramente espressa la creazione della materia dal iiulla^ anzi, se ci che dice della materia si dee intendere strettamente, ammettendola creata si contraddirebbe. Anco l'idea dominante d causa nelP opera del Mamiani  una virt che determina gli esseri ne' loro modi , e non che li trae dai nulla^ e per chiama la causa  resistenza dcterminatrice  (3); alla prima causa , al primo ente attribuisce di essere  quel (i) P. n, e. VI, vili. (a) P. U, e. Xm y IV. ^) P. II, e. XIII, III. Qui il G. M. dice bens m che Tesistenia deCcr- w minatrice, cio la causa m non pure antecede di piena necessita l'csi- M sterna nuova, ma eziandio la determina rispetto al modo e rispettosi r tempo M. Ma avendo egli fatti i soggetti eterni , non si vede come jiKSti appartengano alle esistenze nuove; sembra anzi, che nuove esisterne sieno nel linguaggio del G. M. unicamente i modi variabili de' soggelti|0 del soggetto universale. \ 449 ninan (i). Di pi, egli dice espressamente: Sono per- esseri tutti determinati da un primo ente^ per al loro dcterminazioue non pu costituirsi legge ve- dal solo principio di causalit n (2). -^ri bene ci che il Mamiani vuol dire. U principio di causalit non contiene altro ^ y. elle in una serie di termini , cio di ca- ^ .line posteriore sia sempre diverso da . una certa guisa prestabilita  (3), e in .ai , sta il concetto della a ragione detcrmi- aella causa. Perci dice, che il principio di causa . a sapere se resistenza del termine posteriore venga jXdL o solo occasionata dal termine anteriore, o sia, se interiore che cjuella serie determina  sieno esistenze valevoli 1 agire Puna sulFaltra intrinsecamente >? , sebbene questa  ipo- si si verifichi nelFordine mondiale dell'universo  (4). In terzo luogo , lo peno molto a rinvenire nel sistema del amiani resistenza di un Dio che sia veramente diverso dalla ateria, gi dichiarata soggetto immutabile, etema, prima Scienza, assoluto , principio del moto ecc. Ed ecco onde pro- tdono i miei dubbj. Da prima, se la materia ha quelle qualit, ella non pu meno che esser Dio, conciossiach le qualit che il Ma- liani, se ben lo intendo, le attribuisce, costituiscono un Dio. Di poi, se v^ ha Dio , e se con lui coesiste etema quella ma- fi) P. II j e. XIII y IH. Qui egli vuol trarre l'idea della prima cagione illa niente di un idiota ^ e a tal fine l'interroga sulla supposizione che Ido cangi un albero in fonte, e questa iu fiore, e il fiore in animale, e  per la sua potenza creatrice. Ma quando anco la supposizione non fisMae dell'assurdo^ e non fosse grandemente anti-filosofica^ ella non servi- ^be per in alcun modo a chiarire Tidea di creazione, o a darne alcuno (empio, perocch il trasformare 1' una cosa nell'altra^ non  gi cavare il nolla; n chi solamente avesse la virt di quelle trasformazioni, si p* ebbe chiamare creatore giammai. Non si pu adunque dire acconciamente le quell'ente che determina sia r la cagione prima, efficiente e nccessa* rie di tutte le cose m ( P. II, c. XIII ^ iv), perocch non isth l'esser igione eflicieDte nel solo concetto di essere un' esistenza determinante. (a) P. U, e. XIII , VII. (3) Ivi. (4) Ivi. Rosmini, // JUmioi^atnento. Sj 45o tcria soggetto di tutte le cose^ questo ha diviso T imperio; non  pi vero Dio: saremmo in una idolatria, in un sistema di due principi. Appresso, se la materia  l'immobile principio di ogni moto, ella  che fa ogni cosa-^ non riman pi nulla che fare a Dio, il qual diventa la divinit oziosa di Epicui'o (i): tanto pi, che definendosi il primo essere  cagione determinatrice  , in vece che  cagione vera, ci-eante nel proprio significato  , basta il principio del moto a determinar le cose, senza bisogno d** altro. Ancora, Dio non si dimostra nel libro del C. M. che come la causa prima (2). La causa prima  la determina tri ce degli esseri nelle esistenze loro variabili (3). Il principio del moto li determina, e questo  la materia. La materia dunque  h causa prima, la ragione determina trice, Iddio. Arrogi a questo, che fu detto dal Mamiani il principio di causa provare una serie di esistenze Tuna anteriore all'altra, nia non provare che Tuna agisca internamente nell'ai tra. Che potenza dunque avr mai questo principio , a provarmi im Dio vero, il qual abbia, nulla essendovi, fatto ogni cosa? Finalmente sguardiamo attentamente nclP argomentazione, colla quale il C. M. ascende alla dimostrazione dell' esistenza di Dio, e consideriamo se il Dio, che ci vien fuori dall' argo- menta^^ione da lui prodotta, sia s o no un Dio diflerente dalla materia, soggetto di tutti i corpi, immutabile, assoluto. JEgli comincia dal dire:  I filosofi del pari che il volgo it chiamano tutto il complesso dei fenomeni naturali una suo ^ cessione di cangiamenti : il qual vocabolo cangiamento , se 'T.VF" ..  .  .II. I . . I.  I I  (i) Omnis enim per se divum natura necessc est Immortali cevo summa cum pace fruatur ,  Ipsa siiis pollens opibus , nihil indiga nostri, Lucr. I. (a) Da questo solp concello prelende dedurlo (P. II, e. XIII). j^ l>Da tuu' altra cosa V argomeula^cione a priori di s. Anselmo ( Ved* gDche il e. XIX della P. II). (3) l^iciipitolaDdo il Mamiani quello che avea detto ne* captoli prece- 4epti intorno la prima Ciigioiie cos si esprime: e Noi provammo nei capi- fr IqU XIU ^ XIV che v' ha necessariamente uu essere DKTiRiUHAjm M ff 1^ PiMej fO^TfiCNo e principio dell' universo m. 4Si u ben si guarda^ accusa la sussistenza di enti durevoli e non u soggetti a mutare  (i). Questo, si noti bene,  il principio cVegli stabilisce, cbe Pimi verso  composto di fenomeni mutabili, e di soggetti im^ mutabili^ i quali soggetti furono tutti accolti prima in un sog- getto solo, quello dell^ estensione , la materia. Ora egli seguita in questo modo : u Noi dunque crediamo che in ogni cosa sia certa condizione  durevole e inalterabile di esistenza^ ma in tal condizione m entra pure la facolt di ricevere Fazione degli altri esseri 9> .  ^ tf Quindi le cose mantenendosi identiche con s medesime, u rispetto allMntrinseco , fuori mandano tuttavia diverse mani. a In s fatto ordine di esistenze domina pertanto una ca-* r gione prima assoluta, e una serie vasta e innumerabile di M seconde cagioni  (2). Tale e non altra  Pargomentazione ond^egli intende di pr* Fare resistenza di Dio , cio della prima cagione, a quel modo ditegli la concepisce. Ma in una tale argomentazione si pu egli distinguere, dopo te premesse dottrine, la prima cagione dal soggetto dell^esten none, la materia? Anzi quel ragionare mi trae a confonderlo inevitabilmente con essa^ mi trae quindi, come meglio piace denominai*lo , o in on panteismo ^ facendo Dio materia e soggetto di tutti i feno* meni, se alla materia do il nome di Dio, o in un materialismo , se a questo Dio do il nome di materia, o in un ateismo ^ se giungo aid intendere che quella materia, a cui io do il nome di Dio, non merita n punto n poco un tal nome. Perocch quelP argomentazione si riduce tutta a dire , I.* che in ogni cosa v'ha un soggetto immutabile e insensi- bile, e desmodi sensibili e mutabili^ 2. che dunque ci dee ftvere la cagione prima di queste mutazioni. Or dopo essere stato detto altrove, che il soggetto immutabile, eterno, uni- (1) P. n, e. XIII, vili. (a) Ivi. 4Si versale  V estensione^ e Ae questa d ad ogni particella della materia il principio motivo o il conato^ chi non vede essere impossibile con quella argomentazione riuscire ad altro, fuor che a questo soggetto materiale, a questo Dio-materia? Io per dichiaro solennemente, che potrei male intendere le dottrine del C. M. in argomenti cos dilicati: che per io non vo' qui pronunciare sul vero significato da darsi alle sue parole, e molto meno sulla genuina intenzione delFanimo suo. Io ho posto quella diligenza che potevo, a raccogliere la serie de' suoi ragionamenti, col confronto de' passi paralelli^ ma non posso dire tuttavia, che la mia diligenza abbia colto nel segno. Confesso solo ingenuamente, e senza voglia d'offendere Tuomo che stimo , che quanto d\ina parte m' atterrisce 1' attribuirgli le gravi opinioni fin qui accennate, altrettanto elle mi sembrano conseguenze necessarie de' suoi principi, e indecUnabilmente procedenti da essi , e ci soprabbasta al mio intendimento , quand'anco al C. M. non appartenessero veramente (i). Veramente, in quel sistema, nel quale le idee non sono che puri modi delP anima , ed effetti del mondo esteriore che opera su di noi, lasciando in noi una modificazione conforme alla nosti*a natura (2), e nel quale tuttavia si riconosce nelle idee i loro caratteri sublimi e fulgenti, di necessit, di universa* (i) Coerentemente a* principi esposti il C. M. dichiara a pieno iraniuta' bili le leggi mondane: r E per fermo (dice), pongono queste ( le nostre u deduzioni ) che i subbictt tutti quanti sono immutabili e che i cangia* M menti debbono riuscire conformi ne pi A meno alla natura per|)fiua t dei subhielli attivi e passivi m. E soggiunge:  Hanno capo iu questa im* w mutabilil universale tutte le nlire mnssime direttrici delle naturali spe*  dilazioni y come a dire l'assioma che ogni eftetto dee seguitare T indole M della propria cagione, e che a identico effetto risponde cagione idrntira  e ci in lutto lo spazio e per tutto il tempo ecc. * (P. Il, XIV, iv ). E fuori del tempo e dello spazio non v' ha dunque altro a cui applicare il pracpo di cagione? Ma mi si conceda un'altra osservazione. Onde de- dusse il G. M. la immutabilit delle leggi dell'universo? dall' immulabiliti ^^' soggclli. Onde l' esistenza de' soggetti ? dal principio di causa. Questo principio adunque  anteriore alla scoperta dell' immutabilit delle leggi mondane. Come dunque dice ch'egli mette capo in questa mmutabiltM? (a)  Il cangiamento, dice il C. M. ,  determinato dall'attivit del pio-  prio subbietto ecc.  (P. II, e. XIV, 11, 7.). 45S lit, di eternit ecc.; non rimane alcuna via a poter dare qualche spiegazione di questi caratteri, se non quella di trasportare i caratteri medesimi nella supposta cagione delle idee, cio nel mondo materiale, e in noi concause concorrenti a produrle. Il perch convien dire , che noi e il mondo in qualche modo siamo necessarj, etemi, immutabili ecc. E poich tutto ci che cade sotto il nostro sentimento  mutabile e passaggero, convien ri- correre a una sottil distinzione fra il sensibile e Pinsensibile, fra il fenomenale e il sostanziale, dicendo, che tutto passa e si muta ci che ne apparisce, ma che per sotto a ci che ne apparisce n giaciono nascosti degP invariabili ed etemi soggetti, i quali formano siccome il nocciolo occulto, solido e midollare di tutta la grande macchina appariscente. I quali soggetti poi giover all^ eleganza del sistema di farli rientrare in un soggetto solo , immenso, dimostrandoli convenire tutti in una stessa universale e identica natura. Tali sono le conseguenze dirittissime, ine- vitabili, per chi non rinunzia alla logica, che discendono da quel principio, cui oggid molti abbracciano in Italia si incau- tamente, cio che ale idee sieno delle modificazioni o de' modi del nostro principio pensante 99 , e nulla in s medesime. Or di nuovo, vorr io attribuire al C. Mamiani cos strane dottrine? potr io deliberarmi a crederle veramente opinioni e sentenze del religioso cantore di quella diva, a cui un leg- giadro priego volgendo, dicea:  u per fiorito  Sentier di filosofica dottrina u Trammi a gustar del cibo, onde s larga u Mensa imbandivi al tuo dedaleo ingegno. u Fa tu pietosa almen che non m'asseti tf Un venefico nappo, al qual chi beve, tt Scorda la nobilt di sua natura, tf Tra i bruti si rassegna, e delle cose tf Al governo ripon muti elementi, fi Che forman gli astri e lo perch non sanno. ^ebbene adunque io ritrovi le sopra esposte dottrine nel li- ro recente del Rinnovamerto della filosofia y mi guarder tut- ^via dall'attribuirle all'autore degl'/zim j^icfi; e non penser 454 pure clie sieno sue ^ ma prima stimer d^ avere io stesso mala* mente intese le sue parole. Or poi mi fermer io qui a rifutare tali dottrine? Bastami averle esposte : conciossiach di rifutarle direttamente non ne veggo un bisogno al mondo. L'Europa, acciocch abbracciasse lina cotale filosofia, dovrebbe prima rinnegare il Cristianesimo; ed io stimo che FEiu'opa non sia per avventura presta ad ab- bandonare la sua religione. Parimente non pu aver vigore cosi fatta dottrina filosofica sull'animo di que' miUoni di Cristiani. che si trovano nell'altre parti del mondo. Per chi scriverenuno dunque una confutazione? o pi tosto da quai popoli potrebbe abbracciarsi una filosofia non voluta da' popoli cristiani? Ella pugna egualmente colla pi parte delle religiose credenze, per non dir con tutte. Pu essere, che si trovi una qualche ana- logia fra la dottrina esposta, e le religioni dell'Indie. Il Buddhismo, per esempio, in vece dell'ente supremo ammette uno spazio luminoso che in se contiene tutti i germi degU enti futuri , secondo il sig. Klaproth ( i ) : questo spazio , principio di tutti i modi dell'universo, ha non piccola similitudine col sog- getto unico y necessario , universale descrittoci ne' luoghi ad- dotti dal C. M.: e che perci? Agli apologisti del Cristianesimo, che hanno confutato il Buddhismo , rimetto di buona voglia la causa: scrivo per l'Europa, non per le Indie: amo di parlare a' Cristiani: amo di esporre agli occhi di questi una filoso6a cristiana, convinto, si come sono intimamente, che basti esporre una cristiana filosofia, basti ottenere che sia intesa, acciocch gli uomini tutti la sentano fatta per s^ convinto ancora, che non ve n^ha nessun' altra n vera, u umana, n benefica, n possibile. (i) NeHa Persia all'incontro pare che Zoroastro mettesse per primo pna* cipio il Tempo; giacch il sovrano essere potentissimo ed infinito Teiua Lettera a.* in difesa del libro DelP antichissima sapienza ecc. argomenti a rendere probabile assai, per non dir vero, il mio sospetto ', ma ripeto , che non amo qui di fai'e n pure il sag- gio d^ un si forte argomento. E d^altr parte il solo esser pos- sibile la toccata conghiettura, basta a mettere nel maggiore in- trico quegli, che volesse provare T immutabilit assoluta della materia corporea. Passer dunque ad un^ altra osservazione. Per ispiegare i su- Uimi caratteri delle idee, cio la necessit, F immutabilit, Fe- temit ecc., il C M.  spinto ad attribuire essi caratteri alle cose stesse corporee, onde le idee si vogliono provenute. Ma se noi fermiamo gli occhi sopra un^ altra pagina della dottrina del N. A., troviamo agevolmente ch^ egli non avea bisogno di tanto. E veramente, che sono mai le idee nelle sue mani? Non pi che modi del me fenomenico (i). Ora qual  la immutabilit che si trova nel me fenomenico? immutabilit perfetta, nessuna. Veramente nel concetto dMmmutabilit, propriapiente parlando, non si danno gradi, e per non  maniera giusta il dire una immutabilit maggiore o minore, perfetta o imperfetta. Perci diremo, a parlar diritto, che nel me fenomenico non v^ha immatabilit , secondo la dottrina del N. A. Perocch egli  ben vero, che in un luogo distinguendo i modi del soggetto fenomenico dal soggetto stesso, d a questo l'immutabilit (2); ma in un altro spiega il suo pensiero di- i^iarando, che  F identico (3) fenomenico, il quale sentiamo u giacere in fondo a tutti i modi della nostra spontaneit, non u pu dirsi immune affatto da cangiamento  (4). Se adunque 1 modi del me fenomenico si rimutano, se il soggetto stesso non  immune da cangiamento; non v'ha dunque cosa in tal K>ggetto fenomenale, che immutabil sia, e tali per non pos- (1) P. II, e. IV, IV. W Ivi. (3) U identico non pu dirsi immune affatto da caogiainenlo ! L'identico dunque non  pia identico. Mi si permetta osservare di passaggio, che il C. M. fa grande abuso delle parole w identico m e m identit >, usandole a lignificare continuamente non un' iigUHglianza (ii numero , come le Usano i filosofi, ma un'uguaglianza di specie, (4) P. U, e. VII, VII. RosHini, // Binnoy amento. 58 458 sono essere n pur le idee, modi di lui (i). Il perch non facea poi mestieri al Mamiani di erigere un s arduo e ruinoso edi- fizio a spiegare V immutabilit delle sue idee e della verit in esse racchiusa. Concludiamo : la coscienza del G. M. pugna continuamente contro il suo intendimento. Questo si perde in raziocinj, e vuol rendere le idee mutabili^ intanto che quella con un sem- plice lume di osservazione sente che sono immiUabili, Per sod- disfare all'intelletto 5 le idee sono dichiarate pm modi del no- stro me fenomenico, e come tali variabili. Per non ripugnare air invitta forza dell' intima coscienza ragiona come se elle fos- sero inmiutabili, e cerca di spiegarne Tlmmutabilit col ren- dere immutabili le cose esterne, da cui le vuole a tutta forza provenute^ pronuncia in fine, che  sotto i fenomeni o mu- tf tabili o identici (2) esstono le vere sostanze ^ in cui risiede M l'assoluto di tutte le cose t) (3). CAPITOLO XXXIX. dell'immutabilit' delle idee. Ma se le idee nel libro del C. M. ora appariscono come qualche cosa d'immutabile e di eterno, ed ora come qualcbe (i) S dir che sebbene il C. M. ponga la mutabilit ne' modi^ e riffl* mutabilit nel soggetto^ tuttavia in qualche altro luogo insegna che  mi anzi contingentemente, (2) JJidentit pu avere relazioni ? io capisco che s dieno due cose li- iDil e 9 se si vuole 4 anche uguali; ma due cose identiche! non so pen- sarle; e perci n pure alcuna relazione fra due o pi cose identiche: ti* meno nel sistema sensistico. (3) Nell'idea , come ho toccato prima , non cadono gli accidenti del sog- getto ove ella dimora. Questi accidenti sono forzati dal N. A. ad eotnre nell'idea , perch il suo sistema vuole cosi. Ma Fosservazione schietta dice il contrario. Nell'idea di un albero ^ o di un cavallo ecc., che io contemplo, vi si possono forse trovare degli accidenti di me soggetto pensante in coi dimora quest'idea? quale stranezza non  cotesta ? che cosa ha egli a Un Falbero possibile ^ o il cavallo possibile da me contemplato, con rae che Io contemplo? Anzi appunto perch io contemplo que' possibili oggetti, io debbo necessariamente esser alieno da essi, n posso contemplarli se noni questa condizione, che da essi io stia separato. Non v*ha che una sola idet, in cui entri il soggetto, e questa  Tidea del soggetto; non v'ha che un'idei, dove entrino gli accidenti del soggetto, e questa  l'idea degU acddeoti del soggetto. Ma in queste idee, nelle q'oali sole cade in parte o io tutto il soggetto, non si pu astrarre da questo; perocch forma egli l'og- getto di quelle idee, costituisce l'idee stesse, e coU'astrarlo da quelle k si distruggerebbe.  - Gonvien dunque osservare con accuratezza conne soa fatte le idee, e non parlar di esse a priori, come fanno i scnsisti, secondo le esigenie di un prediletto sistema. (4) P. II, e. X, V. 463  sere, il che vale quanto distruggerlo (i): attesoch Tessere  non in s propriamente  mutabile, ma nei soli suol modi:  e ove non ha modi, non ha mutazione  (a). In questi luoghi adunque si suppone che le Idee universali non si possano mutare, perch non hanno pi che un modo di essere, ma bens che si possano distruggere. Chi non vede che questo  manifestamente un confondere Patto contingente dello spirito nostro coll^ oggetto necessario del medesimo 7 ll^atto della mente , che intuisce a ragion d'esem- pio la ragione dell'animale {ratio ammcUis)y'p\x convenire quella immutabilit impropria di cui parla il C. M.^ ma alla cagione stessa deiranimale conviene la vera e propria immutabilit da noi descritta ^ perocch quell'idea, o ragione dell' animale, non pu giammai venir meno, solo pu non essere da noi intm'ta. Cosi awien pure, che se chiudiamo gli occhi al sole, il sole  spento per noi^ ma  egli, per questo, tratto di cielo, e in s ottenebrato? E quale matta nostra prosimzione sarebbe ella co- testa, se noi pretendessimo di dare esistenza o di torla al sole, xm solo quanto ci costa ad aprire, ed a serrar le palpebre? i ogni giumento in tal caso sarebbe creatore e annichilatore lell^astro del giorno^ e men male se un giumento sei creda: ma a un filosofo, in un uomo, non  comportabile che tutta creda gli contenersi e racchiudersi nel suo picciolo mondo sogget- ir la luce razionale che , come dice s. Agostino ,  pure qual- fae cosa di meglio che non sia quella che splende anche alle lecore^ e che quello che per lui non , voglia dichiararlo al atto non essere. L'animale fu dunque possibile, e conosci- ne da tutta l'eternit, e sar sempre^ e non pu non es- er tale, eziandio che io non avessi mai intuita questa possi- tlit, eziandio ch'io non fossi, n mai fossi stato. (i) Che cosa  mulare un composto d'idee? non altro che rivolgere la leote ad un altro composto.  questo un mutare ^ o un distruggere quel rimo? mai no. La mutazione  tutta in noi^ e non punto nel composto Ielle idee; come il toglier gli sguardi da un cespo di fiori per mirarne un Itro, non distrugge gi quel primo > ma solo rimpressiouc che noi da quel irmo ricevevamo. (a) P. II, e. X, V. 464 E nelle parole citate egli  agevole a notarsi un altro or- rore. Il Mamianl fa consistere il proprio essere dell' Idea uni- versale  in certa relazione d'identit, che non patisce grado u n modo , o vogliam dire che viene astratta da tutti i modi  e da tutti i gradi della sua specie n. Se cos fosse, non vi avrebbe gerarchia fra le idee universali: anzi non vi sarebbe di universale che un'idea sola, l'astrattissima dell'essere^ peroc- ch veramente in questa sola idea non entrano per nulla i modi ed i gradi ^ giacch, come dice lo stesso Mamiani, a l' es- ce sere non in s propriamente  mutabile, ma nei soli suoi  modi . Non sar dunque universale l'idea del cavallo?  in questa idea si recidono al tutto le differenze, o sia i modi di questa essenza cavallo^ cio in essa non si pensa n alla razza araba, n alla razza inglese, n ad altra generazione speciale di cavalli.  Ottimamente. Ma se l'idea di cavallo  uni- versale, non sar universale anche l'idea di animale? e pure l'idea di animale rigetta pi modi e pi differenze da s, che non Pidea di cavallo : perocch in questa , oltre a' costitutiri dell^animale , si pensa per il modo speciale del cavallo. Dun- que questa idea di cavallo ritiene in s un modo, che da quella di animale  escluso, e tuttavia l'idea di cavallo  universale. Non  dunque vero, che l'idea universale debba, per esser tale, gettar via tutti i modi : ma or ne rigetta meno ed or pi (i), e secondo che pi ne rigetta , eli' appartiene ad una classe di universali pi indeterminata, e ad una pi determinata riget- tandone meno. Vi sono nelle cose ( concepite ) , per usar la firase del Mamiani , varie relazioni d' identit (2), pi ampie 0 (i) La ragione perch i modi delle idee non impediscono che queste sieno universali si , perch gli stessi modi sono universali; a diflerema de' modi X* essere sussistente, che sono particolari come  Tessere  cai appartengono. (a) Ho gi notato prima, quanto la parola identit usata nel sistema del C M. sia impropria e non filosofica. Ella per pu avere una venia t propriet grandissima usata nel mio sistema. Gonvien badare, che seooodo la mia dottrina V astrazione non si fa sulle cose , ma sulle idee specifichi delie cose. E veramente, posso io formare un'astrazione sugli oggetti se non sono da me conosciuti? E gli oggetti conosciuti sodo appunto k idee^ riferite per alia sensazione e annesse al giudizio. Ora nelle i^ 465 pi strette; e secondoch queste identit hanno pi di esten- sione , elle si fanno fondamento a pi estese , cio a pi astratte idee universali. Negli animali, non mutando T esempio addotto, una relazione d^ identit pi ampia  cpella posta ne^ costitutivi essenziali delF animale; pi strette relazioni d^dcntit sono quelle poste ne^ costitutivi essenziali de^ cavalli, de^ buoi, degli uccelli, de^ pesci, ecc. Queste pi anguste, che  quanto dire, pi determinate relazioni dMdcntit costituiscono altrettante idee universali, pi limitate e pi compite delPidea pure uni- versale che contiene F essenza delP animale in genere. , Egli  dunque manifesto, che T idea universale non  de- scritta bene col dire semplicemente eh' ella viene astratta da lutti i modi e da tutti i gradi, non essendovi che Tidea del- l'essere che non ritenga alcun modo generico o speciale, e tutte l'altre, per astratte che sieno , ritenendone sempre alcuno. Conviene adunque cercare altrove la propria natura delle idee universali, e non rporla in questa illimitata astrazione che tocca il Mamiani. Quale  dunque la nozione propria dell'uni- versalit delle idee? noi la riponemmo  nell'avere le idee l'at-'' titudine di farci , una sola d'esse, conoscere un numero foss' anco infinito d'individui n ,  che in questo e non in altro si debba porre la vera nozione dell' imiversalit delle idee , il Mamiani stesso il viene a dire , cio gli  fatto dire dal buon senso , in quel luogo ove volendo dar ragione del perch l'idea astratta di sfericit sia universale , la rende cos u Imperciocch la ragione te medesima, per cui essa idea conviene a ciascuno di quegli tf oggetti, onde fu ricavata, la fa convenire con tutti gli altri a reali e possibili, che fra le condizioni varie del loro essere u includono la sfericit " (i). troviamo anche la vera identlli ; imperocch ci che pi idee hanuo di simile , DOD  che la relazione che tuUe hanuo con una idra unica pi astratta , che fa conoscere quella parte in che consste la smiglianza. Con- viene attentamente riflettere a questo vero tante volte da iie ripeinto. {l P. 11^ e. X, IV' Ciascuno che uu po' rifletta sentir il circolo vizioso che racchiude questa definizione dell'universit che  nell'idea di sfciicii. li dire M gii oggetti che inchiudouo la sfericit m  un'espressione che sup- pone questa qualit della sfericit esser inchiusa in molti oggetti , o sia ei- Rosmini, // Rinnovamento, Sy 466 Ora ridea di sfericit recata dal C. M. in esempio delle idee universali non  gi astratta da ogni modo di essere: imj>eroc- ch la sfericit  anzi un modo della forma de' corpi : ella non  dunque divisa ed astratta se non da' modi a s subordinati, per "esempio da quelli di grandezza, conciossiach la idea di sfericit non acchiude o determina ne questa n quella gran- dezza. Per la nozione unica costituente V universalit delle idee si  quella di esser elle a noi altrettanti lumi , onde pos- siam conoscere un influito numero di particolari o reali o im- maginar), come dice appunto il C. M. pailando dell'idea uni- versale di sfericit (i). sere universale. Perci il modo onde il C. M. si esprime riesce a questo, w la sfericil  universale perch conviene a tutti gli oggetti die racchiudono la qualit uuiversale di sfericit *. Pi logica maniera sarebbe stata il dire,  , h individuo m, ha due seusi. Perocch talora s'intende per essa il sussistente , il reale; e questo  un uso improprio della parola, sebbene frequente nel libro che esami- niamo > e in altri : talora s'intende per individuo un particoliwe , sia poi egli reale j o solo immaginario, o possibile; e questo  il suo vero e proprio si- gnificato. Se dunque per individuo il Mumlani intende il sussistente, o reale, egli noL J'U rimprocciarmi che io l'abbia ritenuto nella formatione dell'universale; Sbando anzi ho fatto consistere la funzione dell' universali!- zare neVastrarfe dall'individuo la sua sussistenza ( Ved. N. Saggio tee Sei. V, e. IV, art. I, J 2 ). In questo senso  vcris.simo, che ogni i7 Falsa adunque , e contraria al C. M. stesso  la nozione dcl- r tu^ersalit delle idee fatta consistere  in esser elle astratte da tutti i modi n : falsa pure la nozione daWnmutabUit delle idee, che da quella dcW univ'ersalit si fa dipendente, ripo- nendosi r immutabilit in non potere l'idea aver pi modi appunto perch astrae da tutti i modi^ di che si trae poi un^ altra cosa falsa, cio che Tidea si possa distruggere, seb- bene non mutare perch mutandosi riceverebbe modi diversi. Da s falsi principi non poteano scendere che delle false conseguenze^ una delle quali si , che non tutte le idee sieno immutabili, ma solo alcune astrattissime. a Le idee universali comuni, cos 11 C. M., cio quelle che in a ogni umano intelletto hanno sede e natura ugnale, non oltre- u passano la categoria delle pi astratte e delle pi semplici,  le quali per questa loro costituzione astrattissima e semplicis- tf sima non sopportano di avere pi che un modo di essere (i), tt individuo M vuol significare un particolare , sin poi egli possibile o sussi- fftente^ s'inganna di molto, avvisandosi che h ognuno iutenda m, come dice, psser Decessario all'universale di ommeUere l'individuo e l'individuale: molti non la intendono cos; e fra gli altri il suo Campanella; del quale trovo un testo, a lui ben noto, che dice c# L'uomo pensato nella realit  w 5ngo]are nella cosa come nell* intelletto , ma nell' intelletto rappresenta m molli uomioi m ( {//iiV. PhiL P I, Lib. II, e. in ). Queste parole il po- tevano fare accorto, che l'uomo singolare, e per individuale nella mente cio nel suo stalo d'idea , pu esser rappresentativo di molti uomioi  cio alto a farci conoscere molti uomini, e quindi medesimo  un univei- ssale: giacch ha quella qualit, che forma l'essenza, come dicemmo, del- l'uni versatila. Medesimamente avrebbe potuto vedere, che la dottrina mia non s'Rllontana di troppo, com'egli vuol credere, da quella sentenza dd Campanella bene intesa^ che cio r la comunanza degl'individui  delia w specie, la identit fra pi comunanze  detta genere . Se l'idea ( seb- bene individuale) pu farci conoscere pi individui, forz' indubitatamente che ciascuno di quegli individui si accomuni con quell'idea , la quale al- tramente non poirebbeli a noi illustrare ( come dicevano gli scolastici ) e farli conoscere. (i) In questa propriet di non poter avere pi che un modo di essere, vedemmo poco sopra avere il Mamiani collocato l'essenza delle idee uni- versali. Secondo la coerenza logica unendo il passo che qui arreco a quel di sopra, ne seguiterebbe, che idee universali non sono altre che le semplicissime 9 le astrattissime, le comuni a tatti gli uomini. Or questo vorr essere difficihneuie conceduto da' tilosofi.  Ma n pure il C. M. 4GS u e risultano dalla forma slessa costante e comune dell' inten-  dimento e dei sensi n (i). All'opposto V immutabilit ^ come pure V uniuersalit  goduta indistintamente da ogni idea: pcroccli l'idea , come tante volte diciamo, la possibilit logica, o sia la conoscibilit degli enti. Sieno queste idee o pi o meno astratte, cio facciano co- noscere gli enti pi o meno astrattamente: esse sono ugualmente semplici, ugualmente incapaci di ricevere mutazione, incapaci di essere annichilate. L'idea dclP essere, quella dell' animale, quella dell'uomo in generale ,  cos immutabile , come quella di un uomo possibile fornito di tutti gli accidenti, e privo solo della sussistenza e realit. Ognuna di queste cose possibili sono sempre Ftate tali, n mai poterono o potranno essere altra- mente 5 e per n pure si potr pensare il contrario. Il filosofo adunque , se sa , dee rispondere a questa interrogazione ,  Per- ch non si pu da me pensare che un essere possibile qualsi- voglia (il che  quanto dire un essere ideale, un'idea) non sia possibile? onde viene a me questa necessit singolare che limita (per cos dire) la mia potenza cogitativa? onde questa invio- labile legge del mio pensiero?  ecco la questione dell'univer- salit, della necessit, e deir immutabilit delle idee. il creder. Egli poco sopra distinse  l' idee e i giudicii universali dalle M idee e da' giudicii universali e comuni n. Dunque riconobbe delle idee, che sebbene universali^ non sono comuni. Dunque, se il non potere a?cr pi d'un modo  la propriet delle idee universali-comuni, questa non dee essere la propriet delle universali tutte. Dunque egli stesso riprova ci che avea detto innanzi, che la qualit di astrarre da tutti i modi sia il co* slitutivo delle idee universali. (i) P. II, e. XII, IV. Qui il N. A. d un'altra ragione tutta nuova, perch alcune idee sieno comuni a tutti gli uomini , cio perch  risultaDO u dalla forma costante e comune deirintendimento e de' sensi m. Se fosse vera questa ragione, le idee sarebbero al tutto soggettive, n aver potreb- bero alcuna relazione cogli oggetti esteriori. Tuttavia passi. Ma come s'ac- corda questa ragione coll'altra della maggiore astrazione? L' una o T altra di queste due cause dee esser la vera : o che l'idea  comune a tutti gli uomini perch  astrattissima n pu avere alcun modo, o perch  un effetto della forma comune delle facolt umane. Se  vera la prima ra- gione  vana  la seconda; se  vera la seconda, vana  la prima. Se  vana l'una e l'altra separatamente prese, sono vane anche tuU' e due insieme. 4Gg Quelli allHncontro che se ne vogliono spacciare alla leggeri , onfondono V intuizione dell^ essere possibile (idea), colPe^^er; ossibile intuito^ e dicono: P intuizione mia va, viene, si crea, i annienta: dunque la cognizione, Pidea  contingente: dunque Ila non  che un modo del nostro spinto.  Io rimetto una ale filosofia con sicuro animo al tribunale del comune buon mso. CAPITOLO XL. :ohtinuazione: ahtic dottrina itjllin sull^ immutabilit^ delle idee, kicevuta poscia anche dalla filosofia greca. Non consiste adunque Y immutabilit delle idee in non aver isse che un modo solo, ma s u in non potersi pensare che Lon sieno >>. Questa impossibilita di pensare che le idee non iene 9  un fatto , il pi certo di tutti i fatti. Chi vorr venir ofistando, potr dire: forse questa immutabilit cosi assoluta, :osi necessaria,  apparente e c'inganna y*. Bene sta^ noi Tesa- nineremo altrove. Intanto per convien confessare ingenua- Dente quello che sperimentiamo, cio che u noi non possiamo a alcun modo concepire le idee (la possibilit delle cose ) se lon accompagnate di una necessit logica n , per di una im- autabilit etema. Ninno scettico potr negare questo fatto , se lon giunge a negare il principio di coi\traddizione ^ perocch lon si pu negare u la possibilit degli esseri m , senza cadere n aperta contraddizione col pur nominarli, e col concepirli. It la difesa del principio di contraddizione contro quelli che l voiTebber negare, sta nel N, Saggio (i). Di tutte adunque le cose, quelle che veramente sono immu* abili, sole immutabili, non sono gi le sussistenti ^ eccetto Dio; aa le possibili y chiamate idee (2). (i) Scz. V^ e. VII , art. v. (a) Nel N. Saggio ho distinto Videa dkW essenza, dichiarando questa op;- ;etto di quella. Si potrebbe dire che l'idea  Vessenza veduta. Questa di- itiozione trascurata dagli antichi pu essere utile in un argomento , dove 3gni minima impropriet di parlare pu esser principio di male intelligenze ? d'errori. 47 Questa  una verit Italiana, essenzialmente italiana: dU form la base della prima filosofia indigena della patria nostra. Ognuno s'avvede, che io voglio richiamare la scienza nazionale a' suoi principj : che io rimonto fino alle glorie della Magna Grecia. O Pittagora (i), o, come a me sembra ancor pi pr- Labile, i savj pi antichi di lui, da' quali egli apprese (vt), \i- derOjChe di cose veramente iminutili non v^aveano chele idee {\e possibilit delle cose), e che tutto il rimanente era quaggi mutabile e perituro. Per divisero tutti gli enti in quelli ch\\ss chiamavano in- telligibili (r VOflT)^ e questi furono i possihili ^ o siano le es- senze, le idee, perocch queste sole sono intelligibili per s. sono rintelligibilit delle cose^ e in quelli che dissero sensibili (xty v^at rt yotl oii'>' ^uvtsXiy^v. Metaphys, Lib. II, Gap. VII. Altro  adunque concedere , che nella divisione che si fa de' corpi convenga ridursi m de primi indivisibili, il che  una verit fisica; altro  il volere spiegare con questi elementi materiali tutti i generi di cose , e lo stesso pensiero. Questo  il corroinpimento del sistema ; e simiglianti corrompiroenti avven- gono anche alle buone dottrine ogui qual volta si rendono esclusive e si por'ano all'eccesso. U sistema fisico degl'indivisibili pu dunque aver 473 mmutabili e mutabili, riponendo poi P immutabilit non tanto ielle idee quanto negli atomi , e la mutabilit ne^ loro diversi aggruppamenti. Ma che questa sia una corruzione delP antica lottrina, la coerenza di tutte le vetuste testimonianze noi la- ciano dubitare. N per questo ottenne P autore del sistema toniistico, che gli uomini di buon senno accordassero a^ suoi tomi quella usurpata immutabilit, la quale tutt^al pi era 'sica^ e non logica j cio non tale, che assurdo fosse a pensare ^ l contrario ^ di che Plutarco, canzonando Epicuro per tale im- antabilit data a^ principj materiali, dice: u Epicuro, pi savio t di Platone, chiama enti ugualmente tutte le cose, come per  M Aristotele concedere l'esistenza delle idee, ma non riputar M tuttavia che esistiino per s separate, n manco che si possano da' corpi * separare ; O ^t y% Afio'rortXn^ rd /Ufy i%x*ra* ''''' nXaT*M^* r ii  Vfor/trcif* cTvaf^iy /uiV ^etp iiuvi rati t^iat^' oC /uvV xoty iatmi^ iprnlvm ft) PJiilosophiiB foi'tna itisUtaUi est Acadernicorum et Pcnpateticorum , qui rebus coti^rucntes, nominibus differcbant (Acad. QutesL i).  un simi- gliaule concello pone Plutarco nel libro che ;>cris5e contro Colole dieeodo: 477 tutte in certa guisa le cose , pu ricevere una interpretazione che tolga queir assurdo che a prima fronte ella presenta^ impe- rocch Aristotele veramente dice quella sentenza solo della mente passiva ( TVa^f^rixQ ) ^ cio di quella che riceve le idee, e non delle idee stesse, il cui complesso verrebbe a costituire la mente attiva ( icoirituec; vovq ) ( i ), la quale sarebbe per avventura la stessa ragione {^foc) di Platone, con solo questo, che vi si avrebbe cangiato nome. E veramente alla ragione di Platone appartengono le notizie o enti intelligibih (r^^^ara). Or se udiamo Aristotele, egli pure dice dell'animo, che   il luogo dlie forme o specie (r'JtoQ i9op)'^ la qual maniera  al tutto platonica; perocch il luogo viene ad essere distintissimo da ci che nel luogo si ritrova. E ove in tal modo s' intenda la mente atdx^a di Aristotele, cio pel complesso delle idee, tosta- mente si convertono in conferma della nostra dottrina molti luoghi che le sembrano i pi contrarj. Il principale di questi luoghi  quello ove dice, che u ci che conosce e ci che  co- ti nosciuto  una e la medesima cosa  (2). Perocch in questa sentenza, per ci che conosce non s' intenderebbe pi il sog getto (mente passiva), ma s bene le idee stesse (mente attiva). Ora questo concetto  al tutto in Platone, e ne' filosofi che Fhanno seguitato. Plotino, a ragion d' esempio, distingue le percezioni sensibili, dalla cognizione intellettiva, e dice che colle sensa- zioni noi non percepiamo le cose esteme (i corpi), ma un loro effetto, un loro segno (3): all'incontro coli' intelletto noi perce- piamo le cose stesse inteme , cio le ide (4) : perci i corpi non sono per s intelUgibili, ma le idee si. E chi volesse fiancheg- giare questa maniera d' intendere Aristotele , co' passi paralelli  Aristotele poi ripreodendo Tidee di Platone ne' libri Daturali e morali^ w ed in quelli che sono scritti popolarmente , \ quali chiam fTff ixa , w  parso ad alcuni aver ci fatto pi per una certa ambizione e desiderio M di contrastare, che di cercarla verit delle cose; come quegli che s'aveva w proposto di sprezzar la filosofia di Platone; non che egli l'abbia seguito. (i) De Animo III, (a) To* uri t^i voouv xai* ri 00vfitfovm (3) T^ ytyvttvt.ifMvov ii* aiT^tfent^t ro Vfctyfjaroi it^caXov t'crr , xai oyx Offro ri nr^dyfja 4 aio'^wti Xaffidvts' fxini yf iVirm * Plot. (4) Aurtt r WfdyfJiaraf xm' ux tit\ei fivov. 478 dello stesso autore, sarebbe agevole il farlo. Perocch se da aos parte dice cbe  ci che intende  una cosa stessa con ci clie  inteso y> , in altri luoghi, in vece di dire u ci che intende  , pone , tf la cognizione stessa essere il medesimo colla cosa co- gnita  (i)^ dove la cognizione si pu prendere per Videa^ pr- lando di una cognizione pura, e com'egli dice, teoretica (a); e per  quanto dire, ^ l'idea veduta da noi o sia l'oggetto del nostro spirito  la cosa slessa intelligibile . Altrove ancora, in luogo di dire u ci che conosce  , o in luogo di dire u la co* gnizione , o m la cognizione speculativa, n dice a la mente r (3): sicch egli apparisce manifesto , che  l'oggetto della mente  , la idea contemplata ( cognizione teoretica ) (4) 9 e la mente, si prendono per sinonimi dal filosofo di Stagira ^ e per egli pare alraen probabile, che la mente attiva di questo corrispondi appunto alla ragione {^.yoq) del suo maestro (5). Che se altri vorr considerare come Aristotele stesso descrin la mente attiva, con animo disappassionato e giusto, trover forse abbastanza da cangiare in certezza questo che io do per verosimile. Gonciossiach lo Stagirita paragona questa mente of* tva allk passiva , come il lume all' occhio (6) ^ e lumi appunto sono chiamate le idee da Platone^ e dice che una s fatta mente  sempre in atto d'intendere, e non gi tale che u or intenda or non intenda  (7); ella  sempre  cognizione efficace  (8): di che un uomo dottissimo, spiegando la mente di Aristotele , (1) T erro* iV*' ^ *'''' tvi^ytiav f 'rij-ir'/uif rf ^foy/iem, (2) if i'Wt^ifMn n Bttaftirtxtf xer/ ro* iVig-wreV ro uro #$/. (3) O f^i  X9r 9tfytiav rat Vfeiy(artt totSv (4) Ognuno sa che teoretico viene da 9'f*>pif  miro , contemplo, (5) Questa osservazione viene rinforzata da un'altra. Gli scrittori polo- nici chiamaDO anch' essi mente or le idee singole , ora il loro complesso. Plotino, Encad.Y, Lib. ix, e. viii , insegna espressamente , che le idee fio- golari, come pure il loro complesso, si possono chiamar mente (vovw). Ecc il luogo : E/ 9^9 4 9*ii9t( t* lineai , ixtTo to' iUo^ r h or , xxm i i^ vrn, ri otTr rfcTrt; rtcT^^xa 1? voffct oCat'x ovx ''?* "^^ ^^ i'xorti iV* XX' i%m9m 9oS(' nm oXmc /uiV 0' toCi t ra 9 avr ii^n ^nm9^99 # iT^* wti **am^*ti 1/ Ikti ivtcrrnfM, rat ftarrei ^tmftfAura. (6) ofov r ^c* (7) /t f9 999f ir% io PO 9itV, (8) Eflnr^ 9fykm9 iV/f fM. 479 considerati questi luoghi , concliiude con una firase aristo- , le sensazioni o i fantasmi sensibili non essere pel filo- lei peripato s non u simulacri espressi, e secondarie (i) nagini di una mente primaria e principale , che abbraccia amente tutte le ragioni e tutte le variet delle cose . li pare adunque, che al vero si apponessero que^ dotti mo- y i quali tolsero a conciliare Aristotele con Platone (a)) tra via parimente io ravviso onde si possa conciliare Ari e con s medesimo. in vero, come potrebbe conciliarsi seco questo filosofo ^ lo egli ammettesse che le idee o essenze non fossero piii aodi di una mente contingente come la nostra? Non insegna aunente, e in tanti luoghi, non pure resistenza di questi intelligibili (che cos chiama egli stesso le essenze delle ^ ma ben anco la loro immutabilit, la loro eternit, la ^istenza necessaria, immune cio da ogni contingenza? ibro III delPEtica dice, che le verit geometriche son cose e (3). E le chiama egli stesso vor^r^ cose intelligibili, idee. t si dica gi che Aristotele pone la sua mente attiva , o in- to agente , acciocch esso possa formare queste verit. Im- xh dicendo ci, precipiterebbe in una deforme contraddi-  con s medesimo: conciossiach tali verit, tali enti in- [ibili non sarebbero pi eterni^ non pi necessarj, come pure li fa. E acciocch non rimanga alcun dubbio di ci, L che cosa dica egli stesso:  P essenza della sfera non viene rata n (4) In un altro luogo dice :  le forme delle cose rporee n si generano , n si corrompono n (5). E anco :  la la n si fa da checchessia, n si genera n (6). N bassi a cr^ inff^^dytvftatm , ed txueiyficna, I Veggasi r opera di Giacopo Carpentari , professore alla facolt me* dell'Universit di Parigi ^ nella quale assume di paragonare e conci insieme i due maggiori filosofi greci (Parigi i573). Chi vorr leg* ?i trover nuove prove di quanto io qui affermo. I Gap. V. VI f / ^d ettilmv vu^ fiouktumi p 01*09 - vifi* r( im/n%rf99 I rm 9pBtrfm9 uveu ot/x ft yiwt^ii Melaph. L. VII e. viii> I Anv y99WMi %ai ^-Hfsc ^^ 'v ^ 9tin. Metaph. L. XI V, e. vin I va il% ovVt/c volti' f Hi ytnotrmt. Ivi. 48o dere, che per queste forme intenda le sostanze esteme, impe- rocch egli le pone, come vedemmo, nella mente agente ( tto; uov)i^ e di questo appunto fa colpa a Platone, cio dell' aver poste tali essenze fuor dell'anima^ bench veramente fu fermo pensiero del gran filosofo d' Atene , come io X intendo , che sempre fosser nell' anima (3). Finalmente tali enti intelligibili Aristotele li faceva universali, e l'universale lo sottraeva in- teramente da^ sensi. (i) Socrate dice espressamente nel Parmenide, che le notizie o idee (Mw^ora) DOD possono aver altra sede che negli animi: tmf it^ifp %%a^wnCtm iuduceva Platone all'esistenza di alcune deit in cui ciascuna idea avesse sede e dove noi le vedessimo^ le quali deit per andavano poi ad unifi- carsi in una sola che di tutte in islrano modo constava. L' indurre dille idee altrettante deit  un errore certamente , ma^ secondo noi,  un er- rore inevitabile quando si pongano pi idee essenzialmente Tuna dall' ahni distinte. Al nostro vedere^ la conseguenza logica, inevitabile dei sistema platonico  una idolatria speciale  o deificazione delle idee. Se Aristotela si ristringe a combattere questo errore, nulla di meglio; se non che egli combatte la conseguenza erronea, lasciando sussistere il principio onde quella conseguenza procedette , che, come dicevo,  la pluralit delle esseoia o idee non distinte solo rispetto a noi , al nostro modo di vedere , ma di- stinte realmente in s stesse. Oltracci in alcuni luoghi , recando esempio di cfise eiome, adduce le verit matematiche, e insieme con queste il mondo. Ora se questo mondo eterno di Aristotele non  il mondo ideale , coom cel farebbe credere il sentirlo da lui chiamato w immutabile essenza** (ivC* tu'wHTOi), se esso  veramente il mondo reale e sussistente, Aristotele si- rebbe pur egli caduto nell'errore di confondere le cose logicamente necei- sare (le idee)^ con quelle solo immutabili fisicamente, le ideali colle sus sistenii. Ma sebbene ella sia opinione comune, che Aristotele ponesse il mondo reale fra le cose eteme , tuttavia questa dottrina riesce al tutto in- coerente con altri suoi principi ; e troppo ci verrebbe a pesare il valore e il significato de' luoghi diversi dove questo filosofo ragiona d'una si &tti questione, che all'uopo nostro non appartiene ( Ved. Ethicor. L. Ili, e. Vi De calo L. L e. x-, Metaph. L. Xlt ; PAjs/cor. L. Vili; De ortu et inUrU L. II). Osserver solo, che ad ogni modo quando anche si tenga avere Aristotele posto eterno il mondo materiale e sussistente, egli per sar difficile a provare che il ponesse eterno a quel modo stesso che pone eterne le essenze, le quali sono per s. Tutto al pi si perverr a qudlt entenza che gli attribuisce Simplicio ove dice :  Aristotele non crede il w mondo esser generato^ ma non pertanto stahMi ch'esso ^ in altra guift V per, fluito da Dio . 48 1 Quando adunque Ai^stotele descrive la relazione che ha la sua mente attiva colla mente passiva mediante il paragone del- Tarte che fa ogni cosa dalla materia, e quando egli insegna come nascano a noi tutte le nostre cognizioni mediante F astra- zione da^ fantasmi ^ o vuol essere inteso in quel senso nel quale noi pure diciamo quelle stesse cose, ovvero  in ti*a s diviso e combattuto. Imperocch anche noi diciamo, tutte le cogni- zioni universali venirsi da noi formando colP astrazione ^ ma questo il diciamo noi, perch nella percezione stessa, dalla quale si astrae, noi affermiamo trovarsi V universale ( il possibile ), non gi recatovi dalla impressione de' corpi esteriori , i quali sono tatti singolari, ma aggiuntovi dal nostro spirito, che lo pos- siede in proprio: sicch nella coscienza nostra, in virt di due cause, estema ed intema (e non per in virt di un agente o di un reagente), si forma una percezione, non semplice, ma complessa, o sia mista di sensibile (reale) e d'intelligibile (ideale): 3i guisa, che quella che noi chiamiamo ragione^ non ha da far litro poi che sceverarvi e astrar>'i P intellettuale che gi v' ientro, dal reale che v' pure, e con questa astrazione for- Biare la cognizione pura e libera dalle sensazioni. E un tale officio pu Aristotele averlo dato alla sua mente attiva confon- iendo insieme forse due qualit che noi diligentemente distin- i;iuamo, quella di conservare l'ente intelligibile (l'idea), e piella di congiungerlo o dividerlo dalle sensazioni e da' fan- asmi. Gonciossiach il nostro spirito in quanto possiede o in- ;iiisce l'idea,  detto da noi intelletto^ in quanto poi egli usa li questa idea, unendola, o dopo unitala disunendola da' fan- asmi, ragione. Egli par dunque che Aristotele medesimo, non che tutta la cuoia italica, e l'ateniese gloriata figliuola di quella, si possa ri- lorre tra que' savj i quali affermarono l'esistenza di alcuni sseri d'un'indole loro propria, che costituiscono l'intelligibilit Ielle cose, e sono i chiamati possibili, essenze, notizie, idee,  con altro nome qualsiasi^ che di pi egli volentieri ammct- jtsse l'antica distinzione fra gli enti e i non-enti, dando il lome di enti alle sole idee, e ad altre cose al tutto immuta- i>iU) e quello di non-enti alle cose corporee, le quali conti- tuiamente si mutano. Rosmini. // Rmovanumto. ' 6i 48! E poich ho cominciato in questo capitolo a mostrare s come i pi alti e pi perspicaci intelletti ammettessero cotesti esseri intelligibili di cui favelliamo , anzi ad essi soli stimassero convenire in proprio la denominazione di enti^ parmi bene di non chiuderlo senza rendere prima ragione di questa lor mente, conciossiach il non saperla impedirebbe la retta intelligenza di un principio cosi sublime e cos conteso. E veramente se noi sguardlamo superficialmente la ragione che, il pi comune, si arreca di quel decreto di tutta Y antica filosofia , noi ci arre- stiamo al carattere della immutabilit o mutabilit di que'due generi di cose^ leggendo spesso per gli antichi libri, che enti non si possono dir quelli che non si trovano in uno stato giam- mai, ma solo quelli che immutabilmente permangono. Diche noi potremmo dedurre, che quando nelle corporee cose si po- tesse trovar parte perfettamenfe quieta ed immutabile, anche ad esse dovrebbe attribuirsi, secondo gli antichi, il nome di enti Cosi veramente la intese Epicuro, ma il vedemmo canzonato dal filosofo di Cheronea^ cos pure egli pare che stravedesse Aristotele , se va spiegato co' sensisti , dove chiama il mondo tf immobile essenza n ( i ), i quali luoghi per forso intender si debbono del mondo intelligibile tipo del reale, o della deit vera sede e fonte delle essenze. Ma io non voglio, come ripeto, contendere a spada tratta per Aristotele^ questione meramente di fatto, e dove i deca- menti a risolverla son forse impiumi e illegittimi. Dico adunque, che la ragione per la quale gli antichi diedero V esistenza in proprio agli esseri intelligibili, non fu la loro immutabilit accidentale , la quale pu convenire anche a' corpi ( sebbene in fatto tutti si muovano, niente avendovi di quieto nelPuni verso); ma bens la loro immutabilit esseiizicde ^ cio logicamente ne- cessaria, di guisa, che non si pu pensare in modo alcuno che non $ieno^ o che non sieno sempre stati, o che sieno stati altra- (i) Se^ come dice Simplicio^ 1' opDone di Aristotele  quella che il mondo reale sia fluito dalla deit, non potrehhesi giammai chiamar pro- priamente tmmo6i7e essenza: SfiTreriXni ouyi'nv^eit a^ioi rov zicrfjwfg^XX MT* tlXXw T^'WPV fiwi ^%ou vafayttT^ai (In Arisi, Phys, Lib. VIII> I V 483 mente da quel che sono. Onde avviene, che l'esistere entri nella loro essenza , sicch essenza ed esistenza sia il medesimo, rispetto ad essi. Indi nota Plutarco^ che chiamando le cose corporee non-enti , non intendevano gli antichi , che esse al tutto non fossero, ma bens che resistenza non era loro propria ed es- senziale 9 ma solo accidentalmente partecipata. E del dare al- Fantica dottrina un' altra interpretazione, cosi riprende Golote : u Ma Golote, come quegli che non ha cognizione alcima di  filosofia, prende per una medesima cosa l'uomo non essere, u e l'uomo esser non-ente ^ ancorch Platone stimasse, che I molto differenti fossero fra loro quel non essere , e '1 non  esser ente^ e che da quello si togliesse affatto tutta la so- ie stanza, con questo si accennasse la diversit del parteci-  pante e del partecipato n (i). Il qual luogo di Plutarco parmi assai acconcio a dichiarare egregiamente l'intenzion degli antichi. E perch io penso poter conferire non poco al pro- gresso della filosofia il conoscere esattamente qual fosse la mente di que' nostri antichissimi maestri, reputo, ove me ne venga occasione , intramettere qua e col di quelle cose che la possan chiarire. Sicch aggiunger ancora qui alcune altre parole di Plutarco medesimo , che dichiarano meglio le prece-* denti. Ha la cosa partecipata, die' egli, alla partecipante quello m stesso risguardo , che la causa alla materia , l' esemplare al- ti l'immagine, la facolt all'effetto: nel qual modo principal-  mente sono differenti fra s quello che ha l'essere di sua  natura , ed  sempre il medesimo , e quello che dipendendo  da altro non tien mai uno stesso tenore : essendo che quello m n mai  stato non-ente, n ha da essere, e per veramente u ed in effetto  ente: laddove questo non ha pur fermo quello m essere che gli viene partecipato da altro ^ ma per la sua de- tf bolezza spesso  mutato, cadendo lubricamente la materia  d'intorno alla forma, e ricevendo molte alterazioni e mu- u tazioni in immagine di sostanza ^ di modo che grandemente   agitato e commosso. Siccome dunque colui, che dice il  simulacro di Platone non esser Platone, non nicga il senso (i) Contro Colote, XY. 484 u e l'essenza del simulacro , ma mostra la difTerenza che  fi-a  quello che da per s stesso ha V essere , e quello che V ha  per rispetto di lui: cos non tolgono ne la natura, ne Fuso. u n il senso degli uomini coloro , i quali per partecipazione u d'una certa sostanza comune afi'ormano ciascun di noi essere  stato fatto separatamente immagine di quella cosa, che portA  nel nostro nascimento quella similitudine. Perciocch chi dice a il ferro rovente non esser fuoco, o la luna, o il sole^ ma, a come dice Pannenide, u Lume^ che con la luce altrui vagando u Va la notte d/ intorno a la gran terra ;  nonniega per questo o Tuso del ferro, o la natura della luna: ti ma chi dice che non sia corpo, o illuminato, gi repugna al u senso, come quegli che non lascia il corpo, T animale, la  generazione, il senso. Chi conosce poi che queste cose hanno  la loro essenza per partecipazione, ed intende quanto siano tt lontane da quelle che sempre sono e donano loro Tessere 5 u non niega le sensibili altramente, ma mostra, che cosa sia tt r intelligibile (vo^^r;): n toglie le passioni, che ci avven- tt gono, e si comprendono col senso, ma d ad intendere ri- u trovarsi cose pi ferme di queste, e di pi eostante natura,  perch non nascono, n muojono, n patiscono*, e pi sot- u tilraente esprimendo con parole tal diilerenza, insegnano  doversi alcune cose chiamare enti, ed alcune Genti n (i). (i) Nel L. contro Colete , XV. N rinterprelazione che d Plutarco in questo lungo dell'antica dottrini  sua particolare^ ma di frcqucatc si scontra negli scrittori antichi. Nicomaco a ragion d'esempio dice: u Queste cose prive di materia sodo, M e l'altre sono e si dicono equivocamente per partecipazione di qurile : Toc/r*  itn, ra aVXa^ xor/ Sv xaro utrovffitv Ixarrof XoiTv , TtTv oftmnifuti ivrvf xa\9vuivti9 i ro t rt Xiyiroti xm iVr/. In Arith. ' Jamblico:  Diceva (Pittagora) enti esser quelle cose che Vtinno'privc di  materia ed eterne e per s operanti, come tutte le incorporee. Le It^ * si dicono enti equivocamente per partecipazione delle prime che con w verit si dicon tali m: Orra cf i yTcTif ut/ eXf>'f r auX xm df^im xai firn' ifstariK, dwif im rd da'ti (utarot, ofMvufivi ^9 Xoiwov urr xmrd fH^X*^ dt/tSf iTtm xfltXec/fiiya. yUa PUh, 485 CAPITOLO XLII. HIFORMl DELLA FILOSOFIA ITALICA FATTA DA^ PADRI DELLA CHIESA. Le pi grandi menti adunque delF antichit ( i ) videro assai chiaramente, oltre le cose materiali e sussistenti , che si perce- piscon co' sensi , avervi delle cose puramente intelligibili : vi- dero, i possibili non esser un mero nulla, ma vere cose spiri- tuali, essenze immutabili, eteme (2). N dee far maraviglia, che dopo aver trovata e fermata una cosi sublime verit , V abbiano poi circondata e mista d' errori. Conciossiach in qual dottrina umana la verit  mai scevra li errori? Certo, non operano giustamente coloro che rifiu- tano tutto un corpo di dottrina perch qualche errore vi si contiene. Il che accade a quelli che classificano le filosofie co' domi de' loro autori , e poi, secondo la paura che lor prende de' domi resi odiosi da alcuni declamatori , come fu fatto di quello li Platone, da gente onorata le rigettano. Presso alcuni  di- renato oggid veramente pauroso questo nome di Platone, almen quanto in altri tempi era la befana : e par che quest' uo- mo, il qual davvero non  de' pi dozzinali, ninna buona cosa abbia mai insegnato, sicch per iscartare una sentenza basti il Sire, ella  platonica, eli'  uscita dalla scuola di Platone! Se cotestoro conducessero il mondo, davvero i bei progressi che in tanti secoli avrebbe fatti il genere umano! Ma io, che non ho poi tanti rispetti umani, dico, che la dot- trina di quelli che l'antichit ebbe giudicati sapientissimi, con- riene esaminarsi, prima di rigettarsi: conviene intendersi, prima di schernirsi con qualche epiteto generale: conviene anche, se siam da tanto , scemere dentro ad essa il vero dal falso , e migliorare quanto in essa rimane per avventura d'imperfetto. (i) Cicerone chiama questi ma/ores philosopki. (3) Solo roeditaodo questa inaniera di esseri, noi giuDgiamo a formarci ilcun concetto di Dio, dell'anima, degli spiriti. Per chi toglie dal numero l^li enti le essenze delle cose, si mette nell'assoluta impossibilit di avere In chiaro concetto di Dio e degli spiriti. Per qual maraviglia', dopo di io , se altri neghi esistere quello di cui non sa formarsi la minima idea T 486 Cos la pensarono i grandi scrittori della Cliicsa cattolica, fra i quali corre subito all' animo di tutti s. Agostino. S. Agostino non condann Platone inaudito ; il lesse , il me- dit j e tolse da lui (jualclie cosa di buono. N per questo s fece Platonico:  Questi filosofi ^ scriveva de\scgaitatori di Platone^ u vinsero gli altri in nobilt e in autorit non per  altro se non percb s'avvicinano pi degli altri alla verit, u sebbene le stieno tuttavia un buon tratto da lungi " (i). Ecco moderazione e saviezza onde ciascun uomo discreto dee procedere. E per io credo che qui torner utile non poco, se noi con- sideriamo le emendazioni successive cbe vennero facendo alla dottrina filosofica di Platone i maestri pi solenni del Cristia- nesimo: perocch quinci appai-ir se sono ad essi consentanee, e se nulla aggiiuigono ai veri conosciuti le ricerche che si conten- gono nel  Nuovo Saggio sulP origine delle idee , e in altri miei scritti. S. Agostino adunque sent primieramente, che era altamente vero il principio fondamentale di tutta l'antica scuola italica, oo che u v'avessero degli esseri immutabili, non cadenti sotto i sensi , ne' quali consistesse la conoscibilit delle cose  , di guisa che la cognizione nascesse in noi per Piuilone delP anima nostra con tali esseri. Ma vide in pari tempo , esser un errore annesso a questa verit, quello che Fanlma avesse preesistito a' corpi: e in un altro stato, in un altro mondo avesse ricevuta la scienza^ entrata poi ne' corpi , airoccasionc delle sensazioni , venisse di mano in mano rammemorandola. Questa era la parte ipotetica della dottrina platonica ^ era un'ipotesi, che, senza nidla spie- gare, non facea che addietrare d'un passo la difficolt: polche in vece che si dovesse spiegare  come nasceva la conosccna delle cose a questo mondo w , rimaneva a spiegarsi a come fosse nata la cognizione nelle stelle n . La questione adunque,  come nascesse la cognizione  , rimaneva intatta. All'incontro l'altra parte della filosofia platonica, che u le idee o essenze  fos- (i) isti philosophi caeteros nobilitate et auctorilate vicerunt , non oh aHiud, nisi quia ongo quidem intervallo, verunlamen rcliquis propinquiores suM vtrUaiL De G. D. XI, v. 487 ero degli esseri, sebbene al tutto incorporei; questa non era in^ ipotesi, ma un fatto contestato dall^ osservazione intema, ntenticato dalia coscienza, e dalla necessita stessa del conoscerei leroccb resistenza etema e necessaria di quegli enti intelUgi^ fili  la condizione slne qua non di tutte le cognizioni umane, lifiut adunque s. Agostino quella parte erronea della dottrina li Platone, e ritenne la vera, che ricapitol dicendo, che il lostro spirito intende perch u  connesso a cose non solo in- elligibili, ma immutabili n (i). Or si pu ben dire , che le idee prese in si fatto significato ano una dottrina comune de^ Padri della Chiesa (2). Ma i Padri fecero degli altri miglioramenti alla dottrina Ielle idee. Ed ecco in breve i loro pensieri. (i) Erano sfuggite a sant'Agostino delle maniere di dire appartenenti illa parte erronea della dottrina di Pbtone; ma di queste si richiam e n riprese , cosi scrivendo nel lib. I ^ e. vni delle Ritrattazioni: Illud, quod Uxi s omnes aries animam secum attutisse mihi videri j nec aliud quicquam *sse id, quod di citar discere, quam reminisci, ac recordari: non sic ac npiendum est, quasi ex hoc approbeiur anima, vel hic in alio corpore, fl alibi sive in corpore, sive extra corpus aliquando vixisse, et ea, quae interrogata respondei, cum hic non didicerit, in alia vita didicisse. Fieri mim potest, sicut jam in hoc opere supra diximus, ut hoc ideo possiti jmia natura intelligibilis est, et connectilur WOif SOLUU IVTELUGiBlUBVS MD BTIJU IMMUTJBILIBUS KEBUS. (a) S. Giustino^ filosofo e martire del secondo secolo della Chiesa^ trovava Boa si (atta convenienza fra le idee di Platone^ sanamente prese ^ e le sa- ere dottrine , che riputava averle il greco filosofo tolte dalle divine lettere (L contra Geni), Questa stessa opinione manifesta Clemente Alessandrino, icrittore dello sits^ secolo ( Stromat VI ) ; e nel secolo IV , Eusebio di Cesarea ( Preparaz, Evangel. lib. XI / Tutto ci prova quanto intimo si riconosceva essere il nesso fra quelle idee e la cristiana sapienza. Boezio, distinto filosofo e teologo, due secoli appresso cantava il mondo intelligibile o ideale con de' nobili versi :  - tu cuncta superno Ducis ab exemplo : pulchrum pulcherrimus ipse Mundum mente gerens, similique in imaginejrmans, Perfectasque jubens perfectum absolvere paries, L. m de Cons. Phil. metr. ix. La Scuola non ha mai discordato sull'ammissione delle idee eterne; sebbene venga creduta, da' moderni^ seguace di un sensismo che ella veramente nou ha mai professato. 488 Queste idee, essendo esseri immutaLili , eterni, necessarj [\\ come intuitivamente si manifestano, sarebbero altrettante deit, (juando esistessero isolate in s stesse^ or qii*sto  assurdo. Dunque convien dire che la loro esistenza sia nella mente divi- na. E di vero l'intuizione nostra delle essenze delle cose ci dice bens, che elle sono eteme, infinite ecc., ma non ci dice mica che abbiano necessariamente un' esistenza fuori della divina mente. Cos corressero la dottrina di molti Platonici , e la pur- garono dallMnfamissimo peccato dell' idolatria. u E queste ragioni, dice s. Agostino, dove crederemmo noi e essere se non nella mente del Creatore? Imperocch egli non e isguardava in qualche cosa posta fuori di se, per operare se-  condo quella ^ il che sarebbe sacrilego ad opinarsi. Che se (i) S. Agostino distingue accuratamente le verit, dalla nostra nunU che le intuisce X e mostra quanto quelle sieno d'una natura superiore a questa; perocch la mente non pu giudicar di quelle, ma bens dee giudicare secondo quelle. Si badi bene , che questa maniera di argo- mentare non  che un fino osservare ci che ci olTerisce V iotima nostra coscienza. Dice adunque s. Agostino cosi ; w Credi tu che questa 9t verit, della quale gi lungamente parliamo , e nella qual sola tante M cose veggiamo , sia pi eccellente della mente nostra , o uguale , o in- H feriore? m Di confonderla colla mente nostra, non crede n pur pos- sibile 8. Agostino. Solo dimanda se sia di natura pi sublime, o pari, o inferiore. Or egli prova in prima, che non  inferiore, cosi: w Ma se fosse in- w feriore, noi non giudicheremmo secondo essa, ma giudicheremmo di essa, M siccome giudichiamo delle cose corporee. -^ E ne giudichiamo secondo r quelle interiori regole della verit, che comunemente veggiamo. Di esx r stesse, iti alcun modo ninno giudica. Imperocch ove alcuu dice, che le H eterne cose si vantaggiano sulle temporali, o dice sette e tre far diedi r non dice che cosi dee essere stato, ma solo, conoscendo che cosi , non r pone l cosa a sindacato siccome uno esaminatore , ma si rallegra siccome  un trovatore *#. Poi dimostra che non  n pur uguale, ma maggiore della mente nostra, perocch la mente nostra  mutabile:  E se fosse aguale r alle menti nostre, dice, ella stessa (la verit) sarebbe mutabile . Onde conchiude:  Laonde non essendo n inferiore, n uguale, rimane ch'ella r sia superiore e pi eccellente m. Questo argomento, che s. Agostino fa nel iib. II de lib. Arbitrio, e. XI e XII, e in pi altri luoghi,  inelutlabik*. Ora gli oppositori potranno bene spregiarlo, si come fanno, ma non nui confutarlo, credo io. E da questo solo punto, del sapere se b verit iatuiU dalla mente  qualche cosa di diverso dalla mente, e superiore alla rotolei pende tutta la gran questione delle idee. 48.9  tutte queste ragioni delle cose da crearsi e create nella mente u divina sono contenute, n cade nella divina mente cosa M la qual non sia ctei*na e immutabile, e principali idee le  chiama Platone 5 elle non pur sono idee, ma veramente sono; u perch sono eteme , e tali e incommutabili rimangono , e u ci che , in qualche modo si fa per loro partecipazione (i). Nel qual luogo e in tanti altri simili . dello stesso Padre si vede, come egli non ammette gi due maniere di ragioni, idee, od essenze delle cose, Tuna in Dio e Taltra in noi^ il che sarebbe assurdo, come pi sotto dimostrer^ ma s anzi, come al tutto egli sia persuaso , che le cose s^ abbiano le loro semplici essenze , o intelligibilit, onde sono conosciute e a Dio, ed a. noi, ed a tutti gli esseri che conoscono (2). Molti altri miglioramenti ricevette questa dottrina nelle mani de^ Padri. Si pu dire , che ella ebbe un progresso teo- logico^ imperocch i suoi incrementi nelle mani degli scrittori ecclesiastici provennero pi tosto dallo studio di Dio, che da quello dell^Uomo. Tostoch giunsero essi a fermare queste due Terit, i.^ che le idee erano indubitatamente, ed erano immo* (i) L. LXXXIII Quacst, Q. XLVI. (a) In alcuni luoghi Piatone meUe anch' egli le idee nella mente divina ; e cosi anco l'intendono alcuni Platonici. Eustrazio sebbene commentatore di Aristotele dice espressamente che pose le idee nella cognizione di Dio : Ufov^i^rtmra^ (iv rtv^i rtSv |V ^ifjta^tv fiVa^r, i^iffM/uiMC^ ^l' -nrmf *rdrrwi ir ry rov vifjuwfyoo ^ou iavotgi ^v^stf , in fa rtvot xar* at/roui ff'r rp t^Xn ;^arfarrorro( ( In I Ethic, Arist. fol. io). S. Cirillo Alessaudtiiio trova incerto Platone sopra di ci^ e in contraddizione con s stesso: m Ta- m lora Platone afferma- cosi egii^ esser (le idee ) sostanze separate e per m s sussistenti ; tal altra le definisce nozioni di Dio. Ma anco i suoi disce- m noli periti di questa materia dicono ch'egli non avesse in ci una ferma m sentenza m (L. II contro Giuliano). A me pare iudubiiato^ che Pialoue cadde^ co' suoi precessori  nell'errore delle idee separatamente sussistenti; e que' luoghi dove le dice r nozioni di Dio - credo potersi conciliare cogli altri assai facilmente^ purch si consideri  che delle idee egli faceva altret- tante deit. Ora di queste deit elle eran nozioni.   parmi che acuta* mente Dionigio Petavio conghietturi , che il dubbio sul modo d'intender Platone sia stato posto in campo pi tosto da' suoi discepoli fioriti dopo la Tenuta di Ges Cristo , per cessare dal loro maestro il disdoro di tanto errore. RosKiNi, // JUnnovamento. 6u 49^ bili, eteme, necessarie ^ 2. die erano in Dio^ questa dottrina rimaneva oggimai connessa alla teologia cristiana indisgiungi- bilmente , e per dovea ricevere un lume , uno sviluppo , un progresso da essa teologia o naturale o rivelata. La nozione pertanto di Dio e de' suoi attributi metteva i pensatori in sulla via a ricercare come queste idee potessero trovarsi in Dio, e come conciliarsi alla divina natura ; ricerche di somma rile- vanza e per la teologia e per la filosofla stessa. I rsultamenti furono questi : I." Si vidcj che il complesso di queste idee in Dio non po- teva esser cosa diversa dal Verbo divino (i). 2.** Cbe esse non potevano avere in Dio alcuna distinzione (1) Nel ni secolo Origene comrneulaudo il principio del Vangelo di san Giovanni spiega la parola Xo>f( per ragione, quale sta nella niente dell'ar* tefice^ acciocch w si facciano le cose tutte secoudo la sapienza, e secondo m le figure del complesso delle intelligenze che sono in essa. Imperocch M io stimo^ che come una casa , o una nave si edifica o si fabbrica secondo w le figure e forme concepite nelle menti di quelli che presiedono all'opera, H prendendo la casa o la nave il suo principio da esse figure e ragioni, che  8on nell'artefice ; cosi le cose tutte seno state operate secondo le ragioni  delle future cose gi prima manifestate da Dio nella sapienza. Gondos- r siacb tutte le cose egli fece nella sapienza. d  da dire cbe avendo w Dio creata ( se mi  lecito cos parlare) la sapienza, alla cura di lei com- m mise il dare agli enti e alla materia sussistenza , e impronta , e forme r dalle figure e specie (io penso) che ella aveva in s stessa w (In Jo. ci),  sebbene questo passo alluda a de' luoghi delle sacre Scritture, tuttavii reputo necessario notare, che alcune maniere di dire non reggono, a no parere, colla cattolica verit. Imperocch non si pu dire che sia slata creata la sapienza ^ ove ella s'iutenda pel Verbo di Dio, n che b essa si trovino specie od idee da lei stessa realmente distinte. S. Agostino in modo simile comment le alte parole di s. Giovanni ove dice che m tutto ci che  stato fatto nel Verbo era vita . m Tutto cif dice il vescovo d' Ippooa, * che Iddio volea fare nella creatura, era gi nel  Verbo, n sarebbe nelle cose, se nel Verbo non fosse stalo: come r- m spetto a te, nulla sarebbe nella fabbrica che tu fai, se non fosse prna M nel tuo consiglio. Siccome dicesi nel Vangelo: Quello cbe  stato Atto  in esso era vita. Dunque vi avea gi quello che  stato fatto, ma fi avet r Del Verbo > e tutte le opere di Dio erano ivi, e le opere ancora non r erano  ( Tract. in Ps. lY, et in Jo, l),l luoghi degli scrittori ecclesia* stict che contengono la dottrina stessa sono comuni , e potrei recarne afe- Tolmente di tutti i secoli della Chiesa. 49' reale fra loro, perciocch ci avrebbe posto una moltiplicit nell^ esser divino contraria alla semplicit della sua natura^ ma dovevano tutte essere accolte in una idea sola indistinta dallo stesso Verbo, e cosi le idee in Dio venivano ridotte a perfettis- sima unit (i). 3.** E perciocch il Verbo non  realmente distinto dall'es- senza divina, per quest'idea pure indivisa dal Verbo non do- vea avere alcuna distinzione reale dalla stessa essenza divina, di guisa che la stessa divina essenza fosse V intelligibile stesso (2). Questi veri erano stati trovati dagli scrittori della Chiesa cattolica non col solo lume della ragione, ma con quello della rivelazione. In fatti V esistenza delP idea nella divina mente , a detta di s. Tommaso e di s. Agostino, lon  gi una mera opi- (i) S. Auselroo, uno de' maggiori lumi dltalia, nel secolo XI annunziava degantissimaroente questa verit , dicendo che Dio uno eodemque ( Verbo ) dicit se ipsum et quaecumque fedi ( Monl, e. XXXII). (a) S. Tommaso d'Aquioo nel secolo XIII scrivea , che > Dio, secondo m la sua essenza,  similitudine di tutte le cose. Laonde l'idea in Dio non  i altra cosa, se non l'essenza di Dio m. 9. I. XV, i, ad 3. Io prego il C. M. di volermi dire in qual modo egli crede di dover in- terpretare questo passo dell' Aquinate , acciocch si possa conciliare col sistema sensistico che gh' attrihuisce. Crede egli forse che questo gran dot- tore riprovi le idee di Platone? s'inganna assai se lo crede. Anche TAqui- mle le ammette , purch sceverate d'errore , con tutta la tradizione cri- stiana. Legga, o rammenti l'articolo III della citata Q. XV della P. I; il qoal trover , che comincia appunto colla dottrina di Platone, dicendo: Cum ideae a Fntone ponerentur principia cognitionis rerum, et generationis rpsa- rum , ad utrumque se habei idea , pr ut in mente divina ponitur.  Ma come adunque il Dottore angelico si fa seguace di Aristotele ?  La ri- sposta  facile. Aristotele pu essere interpretato in varj modi , e s. Tom- maso non intende che il filosofo rigetti le idee, ma solo che rigetti il farle sussistenti fuori dell'intelletto. Aristotees , dice , improbat opinionem Pia' onis de ideis secundum quod ponebat eas per se existentes , non in inteU ectu ( S. I, XV, T^ ad i ). S. Tommaso adunque va d'accordo con Platone e con Aristotele nel riconoscere l'esistenza delle idee, la loro immutabilit e divinit, e le ripone nell'essenza divina. Egli  dunque ben lontano il santo Dottore dal confonderle colla materia, o colle sensazioni; e se esige i fantasmi al nostro pensiero , egli per non ripone ne' fantasmi l'essenza del pensiero^ n li Cei causa del pensiero, e n pure condizione assoluta- mente necessaria, ma solo concomitaute, e occasioni accidentali del pensar nostro nello stato presente in cui ci troviamo, e nulla pi. 49* nione, ma bens una verit di fede. E Funo e Taltro di (|uesll grandi maestri della cattolica verit non dubitano di pvonun- ciai'e che   infedele colui che nega esser V idea nella lucute divina " (i)* Per gli cattolici adunque ella  cosa indubitata, e contenuta nella loro i-eligiosa credenza, che le essenze delle cose o idee sono, che sono eterne, necessarie ecc., e che risiedono nella mente divina. Di qui i maestri della Chiesa vennero ad un'altra ricerca, cio, onde fossero le idee delPuomo. E ad essi, avendo risoluta la prima questione, fu facile il risolvere questa seconda. Imperocch a nessuno cadde in monte giammai di dire, che le cose tutte avessero due essenze, Tona nella mente divina, e l'altra nell'umana^ ma quelli videro l'es- senza di ogni cosa esser semplicissima, una, identica a s stessa. Oltracci ond'era, ch'essi avevau dedotto colla ragione, dover essere le idee o essenze delle cose immutabili, eterne, neces- sarie ecc. ? Non altronde , che dall' osservazione che avean po- sto sulle idee intuite dall'uomo. Furono le idee nella lor pro- pria mente contemplate , che loro ebbero rivelato quella im- mutabile stabilit e necessit di che esse vanno fornite, e che gli ebbero condotti a riconoscerle siccome cose inQnitaniente su- periori alla natura umana, e a Dio solo appartenenti, in Dio solo sussistenti. Le idee adunque dell' uomo doveano essere ( quanto al fondo ) identiche alle idee della mente divina. Indi conchiusero, per una indeclinabile conseguenza, che le idee del- Fuomo erano un'arcana comunicazione delle idee divine, o sia che l'uomo vedeva le idee in Dio (2)5 che Dio, V intelligi- (1) Infidelis est qui negai ideam in mente divina, S. Aug. L. LXXXm QQ., Q. XLVI, e s. Tommaso De Verit. Q. Ili, art. i. (a) Questa maniera di dire dee iutendersi in sano modo^ perocch pren alla letlera, come Tha usata Malebranche^ io non saprei approvarla. E se noi consideriamo aUentamente, e rafirontiamo insieme i luoghi de' Pa il che era placito di Platone:  Qaesto lo m riprovo 9 dice. Perocch  pi probabile che gl'imperiti rispondano il i vero di alcune discipline^ quando son bene interrogati , per questo, che  ad essi  presente, quanto pu in essi capire, il lume della ragione M etema, dove veggono questi immutabili veri; non perch gli avesser co- m Doscinti altre volte, e se ne fosser dimenticati, come n' paruto a Pla- m ione ed altrettali . Qui si fa chiaro , che sebbene il santo Dottore dica presente all' anima intelligente il lume della verit etema , cio il lume di Dio come spiega in tanti luoghi, tuttavia vi pone la limitazione, quantum id capere possuni; e in questa vita naturale non capisce nell'uomo abba* stanza di lume , da potersi questo lume appellare col nome sostantivo Dio. (f ) Questa maniera di dire, m ogni uomo veniente in questo mondo m, sembrerebbe a primo aspetto platonica. Ma non si dee prender nel senso, che l'uomo fosse venuto in questo , da un altro mondo^ dove avesse preesi- stito. Ella mostra bens, che l'uomo preesisteva nella mente di Dio, cio nella divina idea ; ed  un modo assai simile a molt' altri della Scrittura , e particolarmente a quello di s. Paolo , il quale per ispiegare la creazione dice che ex nvisihilibus visihilia facta sunt ( Hebr. XI ). Gli enti tutti che dovean poi crearsi esistevano ab eterno invisibili, secondo s. Paolo, cio esistevano gli enti ideali nella mente di Dio. Iddio creandoli non fece che aggiunger loro la realit, I Padri greci dicono talora , che Iddio creando, ha iosianthato , cio dato la sostanza reale alla propria notizia ( i u^anfrnfi^i^f)! Tale  il passo di s. Massimo martire, dove dice m L'artefice di quelle i cose che sono, quando a lui piacque sostantiv (fece sussistenti), e pro- t dusse quella notizia che prima esisteva ab etemo in s stesso. Imperoc* % che  assurdo dubitare di Dio onnipotente, se egli possa dare la sussi- r stenza a qualsiasi cosa egli voglia m. Queste autorit gravissime dimo* Mraoo l'originale identit dell'essere nelle due forme ideale e reale, (a) Jo. I. (3) Bibluth. SS. PP. eilit. Canon, T. I, ' 494 luce che Iddio cre il primo giorno, per la luce dv^lla iiiente, dice, che u era Dio stesso nella Iure, il quale abita una luce  inaccessibile , ed era lume vero che illumina ogni uomo vc- u niente in (piesto mondo n (i). Ma in niun altro scrittore antico questa dottrina viene pi ampiamente trattata , che in quello de' celebri libri della  Ce- leste Gerarchia  e de'  Divini Nomi  , i quali furono il mag- gior fonte forse , oltre il gi*an vescovo d' Ippona , della scolastica teologia. Questo scrittore dice, che  gli esemplari  sono le essenze delle cose , ragioni cffettrici. che in Dio erano  prima congiunte (2)^ cui gli scritti divini appellano predesti- a nazioni, e divine e buone volizioni (3) : le quali costituiscono  e fanno tutte le cose, a quel modo che Dio delPessenza stessa  pi eccellente (4) e prima fiss quelle cose che sono e le tf produsse in luce n (5). Or comunicando Iddio queste idee o lumi che sono in s, alle creature, le rende razionali: indi il perch nelle Scrittore Iddio venga chiamato  ragione 99. (i) Brat quidem Deus ipse in lamine, qui ucem inhabitat inaceisibitm, ti trai lumen verum  quod illuminat omnem hominem venientem in hMH mundum, Hexameron. (a) Questo luogo porge delle gravi difficoll a' teologi ( Vcd. il Petiiio Ve beo ecc. L. IV^ e. x ). Mi si permetta di aggiungere quale a me ne pi)a la convenevole intelligenza. Le ragioni o idee non sono in Dio septnic per natura > ma nell'essenza divina eminentemente sono tutte comprese. Col decreto per di creare le cose queste essenze venivano a distinguersi me- diante la relazione delle limitate creature alFessenza illimitata del Creatore, e in questa essenza il Creatore vedeva la moUiplict delle creature coli* atti tesso del crearle. Or veggendole in s collo stesso alto creatore, pu dirsi assai acconciamente ch'egli producesse ab eterno le essenze singolari delle cose in quanto che il termine dell' atto creante non sarebbe stato veduto da Dioy se l'atto stesso non fosse stato da lui posto, poich non pota edere ci che in nessun modo sarebbe stato. In questo senso io inteado, come la sapienza fosse la prima creata , cio qual termine della volont di Dioy che vedeva in s ci che stabiliva di creare e che creava. (3) La spiegazione da me arrecata riceve conferma da questa manen di parlare^ che Dionigio^ o altri qual siasi l'autore de' libri che citiamo, dice appartenere alle divine lettere. (4) Secondo la spiegazione data pu dirsi Iddio pi eccellente ddrct* senze singolarmente prese , e distinte pel vario rispetto alle cose create (5) De Div. Nomin. e. V. 495  Negli scritti divini ri , cos questo elevato scrittore j u Iddio   chiamato con laude ragione {Xyo^) non solo per questo ,  cVegli somministra e la ragione, e la mente, e la sapienza^ u ma ben anco perch egli ha in s equabilmente le cause  anticipate di tutte le cose , e perch va per tutto , toccando^ u come  scritto, fino all^estremo termine d^ognl cosa^ e prima- m riamente perch la divina ragione appartiene a tutto ci che   semplice^ ed  in un cotal modo sopra-essenziale^ pura  da tutte cose, e fuori da tutte cose. Questa ragione  sem-  plice, e tale che  veramente inerita : e In essa avvi la scienza  di tutte cose netta, e sciolta e libera da ogni errore " (i). Ecco che cosa  la verit, secondo i maestri della cristiana dottrina, ecco dove  il fonte unico della scienza umana, ecco il secreto ad essi non pi secreto delF origine delle idee. Sarei infinito se arrecar volessi tant^ altri di cotali documenti. Si pu dire , che in quanto a queste dottrine generali non cada Dcmtroversia alcuna fra i legittimi maestri della cristiana fede. Dove egli sembra che cominci la variet delle opinioni,  iole a sapere se il lume onde Fuomo intende possa dirsi creato 0 debba dirsi increato (2)^ ma anco questa controversia compa* riflce assai tardi nella Chiesa, cio al tempo degli Scolastici, e chi a fondo la considera , vedr essere pi di parole che di cose. E veramente sebbene s. Agostino, s. Bonaventura ed altri chiamino increato il lume in cui P intelletto umano conosce^ e t. Tonmiaso II chiami creato ,- tuttavia questo secondo non istima di dissentire, ci dicendo, da^ primi, anzi giovasi delP autorit (i) De Div. Nomin, e. VII. (a) Fra gli scolastici. Durando (L, D. III^ q. v) pretende che non si possa MDffnettere un niellelto agente nell'uomo , il qual sia creato, ma il vuole iocreato. S. Tommaso tocca le due opinioni del suo tempo ( Q. unica de mdma, art. v ) : Ideo quidam catholici egli dice, potuerunt quod intellecUu egens sit ipse Deus, qui est lux vera, quae illuminat omntm hominem ce- Rjenlem in hunc mundum. Egli non riprova questa sentenza, ma soggiunge^ feSfer pi conveniente ammettersi uu intelletto agente creato, per conservare la subordinazione delle cause. Ognuno sente , che questa  una ragione coo- {faiettorale. Pure ove si consideri , che all' intelletto agente si attribuiva inche la prima funzione della ragione ( Tuniversalizzazione ) , non pu ri- aaner dubbio ch'egli sia creato, eziandio che sia increato il lume che egli ipplica alle sensazioni. 496 di 8. Agostino a convalidare le sue sentenze. Il che s^intender quando si consideri due cose: I. Che s. Tommaso distingue due principi onde P intelletto conosce , cio gli oggetti intellettivi ( le idee ) che chiama prin cipium quody e le specie o il mezzo onde conosce, che chiama principium quo (i). Ora il principiwn quod sono le essenze deUc cose 9 le idee, e queste, tanto per s. Agostino come per s. Tom- maso, sono eteme, immutabili, necessarie, residenti in Dio, uni- ficate nell'essenza divina , e l'uomo non le pu vedere altrove che dove sono, per in Dio (2). Ma V nomo a vedere queste essenze ha bisogno anche dd mezzo di alcune specie^ le quali, per le cose corporee , hanno origine da' fantasmi ^ i quali sono ben lontani dal ricevere in s tutta la natura de' loro corporei oggetti , quando anzi essi non sono che parziali ciTetti operati in noi, e attestati dalla nostra coscienza, un risultato medio deiragentc estemo e della natura del paziente. Ora qual dubbio che i fantasmi, e le spe- cie che risultan da essi, le quali sole, se non vi avesse nel- Tuomo il lume delle essenze [lumen intellectus agentis)^ nulla iarebbon conoscere, sicno create e interamente diverse dal lume etemo ? In questo modo , a mio parere , si conciliano pienamente i diversi luoghi del dottore d'Aquino, |che sem- brano di primo tratto contrarj fra loro (3). Ma di ci pi a lungo altrove. (1) Vedi questa distinzione nella ^. I, XV, n. (a) Non solo ricusa s. Tommaso di fare scaturire, come taluni gli attr- buiscoDO , le verit dalle sensazioni , ma )*fiuta ben anco la sentenza di quelli, che vorrebbero che le angeliche nature comunicassero il lume iotd- lettivo agli uoroini; dicendo, che Tuomo in tal caso non sarebbe pi (atto ad Immagine di Dio, il che  di fede: Si homo paHiciparet lumen inuBi^* bile ab Angelo, sequeretur, quod homo secundum mentem non esset ad tnui- ginem ipsius Dei, sed ad imaginem angelorum; contra id quod dicitur Gp- nesis primo ( Q. unica de spiritualibus creaturis art. X ). (3) S. Tommaso in assaissirai luoghi distingue essenzialmente /amUum dalle idee, di guisa che gli uni non hanno la minima comuDooe di natnn colle altre > n quelli sono essenziali a queste. Ma perch la nostra morte si rivolga a queste, perch le intuisca, eli' ha bisogno di essere ecdtaU di' fantasmi, i quali rimangono cosi illustrati dalle idee; cio questi veogooo dall' lo alle idee riferiti, come un cotal rcalizzamcnto o sostanzia mento ( si cosi ne lice parlare ) di esse. 497 II. Ella  cosa iudubitala , che il lume clic Iddio comunica all^intelletto umauo, non  tutto il lume divino, o per dir me- glio, non e comunicata all'* uomo, u pu essere comunicata mai a creatura, la divina essenza interamente, come quella che  infinita. 11 lume adunque della divina idea, o propriamente del divin Verbo , in venendo all^ uomo comunicato , riceve una coiai limitazione determinata dalla volont del ci'eatore. La qual limitazione non  controversa ^ e qui s. Agostino  ili pienissimo accordo con s. Tommaso. Per chi vieta il chiamar questo lume creato j in qiuinto egli ha seco un modo , Bua legge, un limite che non tiene nella essenza divina? Pu dunque dirsi increato nella sua propra entit, ma ciccato nel modo e forma particolare in che rlsplende alP uomo , o ad altre quali si vogliano create intelligenze. Egli  s. Tommaso che conciha s stesso in questo modo con s. Agostino. E V uno e r altro adunque nel fondo riconoscono , che il lume divino , r essenza , Tidea divina pu considerarsi o in s stessa , o come TODe partecipata all^ anima ^ in s stessa  sole, partecipata  luce. IE0CCO le parole di s. Tommaso a Ci che fa in noi le cose m intelligibili in atto per modo di lume partecipato ,  qualche  cosa deir anima (i), e si moltiplica secondo la moltitudine  delle anime e degli uomini. Ma ci che le rende intelligibili,  per modo del sole che illumina ,  un sole separato (2) ed   Dio. Laonde Agostino dice (3) : La ragione promette di di-  mostrare Iddio alla incute mia come si dimostra il sole agli a occhi. Perocch gli occhi, per cos dire, della mente sono u i sensi delPanimo, e tutte le cose certissime delle discipline u son tali, quali son le cose cui illustra il sole acciocch si vg- tf gano. Dio poi  quegli stesso che illustra  (4)- Sicch se (1) S*inteDda bene: questo w  qualche cosa deiranima u non pu voler 4ir altro > se non, che  congiunto sostanzialmente all'anima; perocch si tratta di un lume etemo dall' anima partedpato : ora il lume eterno pu beasi unirsi intimamente coli' anima ^ ma non mai coli' anima confondenti ^ nel qual caso muterebbe la sua natura immutabile , e cesserebbe d' es-  er lume. (a) n lume o separato od unito all'anima non muta mai in s stesso d'es- sere quello che . (3) Soliloq. I. (4) S, l, LXXIX , V, ad 3. RosaUM, // Rumo\f amento. 63 498 v^ha disparit di opluoni fra questi due sommi uomini^ ellao  assai piccola, o nulla. E convien riflettere, che s. Tommaso era tenuto a seguitare la dottrina di Aristotele, come il maestro gi abbracciato nella scuola di quel tempo, e come a dire il testo prescritto. Tuttavia dov'cgli  persuaso di trovarci errori, il ributta (i): dove poi non vede al tutto chiara la ragione d^una o dall'altra parte da potersi pronunciare risolutamente, lascia che ciascuno s'attenga a quella parte che vuole ^ e il veg- giamo non di rado ragionai^e in due modi, secondo Platone e secondo Aristotele , quando V una o V alti-a sentenza gli torna egualmente verisimile. Il medesimo fa nella questione indicata: egli considera come comportabile tanto la sentenza di s. Ago- stino che dichiara venir da Dio stesso le cose intelligibili (le idee) inmiediatamcnte, come l'altra che dice venir da Dio il lume dell'intelletto agente il quale poscia trova o forma le idee, sentenza pi acconcia alla dottrina aristotelica, com' era pro- fessata dalle scuole del suo tempo : purch si ritenga , che o gV intelligibili stessi , o il lume dell' intelletto agente venga da Dio inmiediatamentc. Sicch dopo avere esposta la sentenza consentanea a s. Agostino, e quella consentanea ad Aristotele, e non decisa risolutamente n Tuna n l'altra, conchiude:  Non a importa poi molto il dire o che le cose stesse inteUigibili tf sieno partecipate da Dio (sentenza di s. Agostino), o che tf sia partecipato da Dio il lume che fa le cose intelligibili * (sentenza di Aristotele): Non multum autem refert dicere quo ipsa inteUiffUia participantiir a Deo y ue^ quod lumen fackns fnteUigbUia (2). Fin cp la Scuola teologica, la cui unanimit non mi fa dubitare di dire che le dottrine esposte appartengano all^ es- senza del Cattolicismo. Ora ognun vede che io pervenni agli stessi risultamenti, ma per un^ altra via. La Scuola teologica parti , come dissi , dalla meditazione di Dio : io partii semphcemente dalla medi* (1) In molti luoghi s. Toramaso contraddice ad Aristotele. Eccone akuoi' 8. I, q. XLIV, art. 11; q. XLVI, art. i; q. XLYIII, art. i, ad li q.Li art in; q. LII, art. 11. (2) S. l, LXXIX, z.  u \ 499 tazione delFuomo , e mi trovai nondimeno pervenuto alle con- diinsioni medesime. Questo riuscire ad un medesimo termine da due opposte strade, egli , parmi, una conferma, una riprova della verit. Ma oltrac- ci la dottrina, se non erro, ricevette per tal modo una nuova illnstrazione , una maggiore evidenza, e fors'anco lo stesso lin- guaggio trov maggior precisione, e pi sicuro e fermo anda- mento il ragionamento. Io debbo spiegare, che cosa voglia io dire con ci: ecco in breve i principali punti di veduta, da' quali io esaminai la conoscenza umana. I. Primieramente posi una somma attenzione a distinguere in essa il materiale dal /ormale. Sebbene tutti facciano cenno di questa distinzione , tuttavia sono profondamente persuaso , cbe non v'ebbe un filosofo (parlo di quelli ch'io lessi) che ne ve- desse, non di lancio, ma con un pensiero veramente perseverante, la natura, e che ne sentisse l'importanza. Io notai che materia delle cognizioni non potevano chiamarsi se non i sussistenti in- dividui di una specie, la sussistenza sola formava la materia della cognizione (i): vidi che la specie sola (idea) (2) era l'oggetto dell' intelletto ^ e che la sussistenza non entrava in alcuno in- telletto , non era per s conoscibile.  Ma se la sussistenza non  per s conoscibile , non si percepir dunque?  Si percepisce, ma con un atto essenzialmente diverso da quello onde si in- tuisce la specie od idea : con un atto che non  egli stesso per s cognizione. Quest'atto appartiene al mondo delle realit, e non a quello delle idee. Il mondo delle realit  tutto fatto di sentimenti^ di azioni e di passioni^ ma il mondo delle idee non (i) Qaesta sussistenza si pu anche solamente pensare coU'ajuto d quella che io chiamo immaginazione intellettiva, sebbene ella non sia; cio si pu da noi supporre^ si pu ammeUer che sa. L'oggetto proprio di quest'atto  ancora materia, e non Jbrma deUa cognizione. V'ha dunque una materia mssistente, e una materia affermata mentalmente , a cui per non compete in alcun modo il titolo di materia ideale. Materia ideale non  che l'idea della materia o della sussistenza in genere ^ e non mai la materia stessa particolare affermata come reale. (3) Qui io prendo idea e specie come sinonimi , sebbene propriamente parlando la specie  Videa CQnsiderata nella sua hmitazone soggettiva. 5 5oo La n passioni ne azioni , egli  lutto fatto di notizie o co ^uuM^m. La percezione adunque delle rose reali  -una passione nostra. prodotta (nel sentimento) da una azione loro in noi. Ma fuKjiii non v''lia nulla di conoscitivo , siamo nel perfetto bujo. Conu passeremo alla luce? La percezione delle cose reali , delle sus- sistenze,  fatta in noi. Ora essa ha in noi un rapporto colle idee. col mondo ideale , il quale  pure in noi. Qual  il fondamento di questo rapporto? L'unita assoluta del noi. Noi abbiamo da una parte la percezione al tutto oscura della sussistenza^ dall'altra noi stessi pure abbiamo l'intuizione clYidea: confrontiamo adun- que nella nostra unitala percezione, la passione nostra, coU'ideri intm'ta^ e mediante questo confronto diciamo a noi stesisi: la percezione  una realizzazione dell'ideale da me Intuito. In tal modo la percezione riceve luce: e la sussistenza della cosa, seb- bene in s tenebre, viene illustrata, secondo la maniei^a di dire scolastica, nel quale stato piglia il nome di percezione intelletli\ti. Che cosa  adunque quest' atto ? non semplicemente un' in- tuizione d'un' idea, ma nvi' affermazione^ un giudizio: l'idea riman quella di prima-, non si aggiunge veramente e propria- mente parlando un oggetto intellettivo , ma solo si fa una fun- zione di un altro principio , del principio applicante la cogni- zione ( l'idea ) , principio attivo , appai^tenente egli stesso al mondo reale, e non all'ideale, principio che, preso in generale qual attivit, che si parte poi in mi complesso di funzioni  o di gloria. 5o4 3.* Questa limitazione delP essere da noi veduto,  al tulio soggettiva^ cio nasce dalla parte nostra, e non dalla parie deir essere stesso, cio di Dio (i). (i) Vebbero noD pochi, come gi altrove accennai, che prima di me conobbero^ l'essere far rulEcio a noi di lume interiore delle menti, ma, per quanto mi pare, i pi lo confusero con Dio; n s'accorsero tampoco che l'idea dell'essere conteneva in s l'altre idee supreme di verit, di giusti- zia, di bellezsa , di unit , di ordine ecc. , sicch lasciarono queste indipen- denti da quella idea semplicissima che tutte le racchiude, ed  ella stessa sotto diversi rispetti considerata. Ecco come parla un grand' uomo italianoi il Fidno :  Le comuni notizie della bont , della verit , che gi prima  provammo trovarsi in tutte le ment, per questo appunto che assidui-  mente raffrontan fra loro le cose vere e le buone , insegnano essere Id-  dio M. Vedesi qui come si mettono insieme le notizie della bont e della verit, senza unificarle nell' essere? Di poi prosegue a mostrare che quella bont e verit  Dio stesso che luce alle menti , cos :  Se Do  la  verit stessa e la bont, consegue che risplenda alle menti degli uomDi  Iddio stesso ogni qual volta noi giudichiamo le cose vere e buone se-  condo Dio fattosi norma nostra *. Ora In bont e la giustizia in quanto sono norma de' nostri giudizj, secondo noi, non si possono dire Dio, ma solo appartenenze di Dio. Poi viene all' idea dell'essere, e dice cosi : r Inse-  gna il medesimo la nozione dello stesso essere inserita in tutti; perocdi  tutti gli uomini giudicano quella cosa non esser punto , questa essere in f modo imperfetto, quest' altra essere in modo pi perfetto. Ora tal gn-  dazione nell'essere n si fa, n si conosce, se non mediante un awia-  narsi o allontanarsi delle cose dall'essere sommo, che  Dio. N l'avrio- r namento a lui , o l'allontanamento non pu esser veduto se non da dii  lui stesso vede m. Or noi diciamo, che basta a tutto ci che l'uom cobo- sca l'essere puramente ideale, il qual solo non  Dio, perocch virtualmeiite e indistintamente in lui si contengono tutti  gradi e modi di essere, i  teti, od altra qualsiasi, la qual s^ intuisce dagli Americani,  s o no una verit identica di numero con quella che intui- scono gli Europei^ non esiter un punto a rispondere a s stesso, che ciascuna di quelle verit  una, identica assoluta- mente, semplicissima^ e che non ci potrebbe essere goffezza maggiore che il credere, fossero tante verit diverse, quanti sono i paesi in cui si contemplano , o quanti gli uomini con- templanti. Questo  ci che suggerisce pur il primo pensiero^ questo  ci, a mio credere, che tutti gli uomini tengono per indubitato, e per che  un vero patente, indettato a tutti dal senso comune. Lo stesso si dica di un^idea qualsivoglia, per esempio, il cavallo intuito mentalmente, l'uomo, ogn' altra cosa , di cui si farebbe in Europa come in America una uguale definizione. So bene, che a questa semplicissima risposta delP imparziale e non prevenuto buon senso , a questo risultamento della pura osservazione interiore, succede a Intimar guerra il ragionamento. E quali sono le sue armi? il solito: come pu esser la tal cosa? io non la intendo. Cos il ragiofiamento caccia V esser* dizione; perch egli dice: u la tal cosa non pu essere, dunque 5io non  . L'osservazione dice; u la tal cosa , dunque  . Il ragionamento dice: u io non T intendo^ ma ci che non intendo io, non  . L'osservazione ali 'incontro: " la tal cosa   ^ s' in- tenda poi o non s'intenda, ella briga non si prende. Tuttavia facciamoci a seguitare, se ci  possibile, le sotti- gliezze de' ragionamenti , che vorrebbero impugnare l'annunziala verit di osservazione. Primieramente io suppongo che il ragionamento oggimai non osi pi dire che il cavallo, o l'uomo possibile, o i rap- porti de' numeri , o degli spazj , o altra verit ideale sia un mero niente: perocch ci non credo cadere a niuno in animo: quando il niente non ha differenze, ma il cavallo pensato si vede aver differenze dall'uomo pensato, e cos dicasi dell'infi- nita variet degli enti ideali. Oltrach gli stessi nostri avver- sar], come il Mamiani e il Romagnosi, non pensano che siano niente quegli enti intelligibili, ma li dicono bene modificaoni dell' anima nostra. Posto dunque, che l'essenza conoscibile dell'uomo, del ca- vallo ecc. sia qualche cosa ^ il ragionamento , che va senza guida d'osservazione, dir al suo solito, e colla sua solita sicu- rezza: ciasctmo si forma un'idea diversa dell'uomo in genere, del cavallo ecc.^ ma riescono nulladimeno queste idee uguali , perocch sono formate tutte da oggetti uguali coli' astrazione, e secondo uguali leggi intellettive. Il ragionatore che cos ci oppone, non ha inteso sicuramente l'intima forza della nostra proposizione. A rispondere con pi chiarezza e brevit, io immaginer di ragionare col mio amico Maurizio, immaginazione che sempre mi alletta. Quel sottile ingegno mor giovanissimo , com'  noto , e io mi ricreavo so- vente con lui nel giardino domestico ragionando di materie filosofiche; sebben egli, come meglio comportava l'et sua, pi che con me, tenevasi volontieri con quelli di Condilbc e di Bonnet; ma sempre il faceva con sonama modestia, e il trovavo pieno di una ammirabile ragionevolezza. Sarebbe dun- que assai verisimile che fosse intervenuto fra noi il seguente dialogo. jintonK Ho inteso l'opposizione vostra, o Maurizio (quella gi detta innanzi ). Ma permettetemi eh' io vi faccia un' altn Su questione. Voi avete parlato di oggetti uguali, di leggi uguali del pensare, di uguali idee. E bene, ditemi adunque se intendete parlare di una uguaglianza perfetta, o imperfetta. E prima di rispondermi pensateci bene* Maurizio. Perfetta, altramente non sarebbe uguaglianza, ma similitudine, analogia, o comecch altro si voglia chiamare. ^. Gli uomini dunque da^ quali s^ astrae Tidea delPuomo in genere, saranno tutti perfettamente uguali. M. No^ egli basta che sieno uguali in ci che forma la natura loro^ essi hanno una natura comune, e questa si astrae da tutte le variet , formandosi cosi Y idea generica del r uomo. ^. Bene sta^ dunque gli uomini, che si paragonano insieme a vedere ci che sgabbiano di comime, per astrarre questo co mune e formare Pente mentale dell^ uomo generico^ saranno almeno uguali in quelle propriet che, come voi dite, formano la natura umana, e che sono quelle che si estraggono. Jkf. Cosi . ji. Badate per quello che voi dite. Imperocch io dimando, se ne^ singoli individui v^ abbia una parte che sia veramente comune y e veramente uguale d^ima uguaglianza , come voi avete gi detto, perfetta. JSf. E perch no 7 qual dubbio che la natura umana non sia in tutti gli uomini uguale, perfettamente uguale? j4. Io ve P accordo pienamente, quando c^ intendiamo. Se per natura umana voi intendete un ente ideale, e non sussi- stente, intendete quelPidea, o essenza mentale che si chiama natura umana ^ e se voi, col dire che in tutti gli uomini  nguale la natura umana, volete significare che in ciascuno avvi tal cosa, la quale, bench diversa in diversi individui, tuttavia risponde sempre a capello allMdea stessa, alla stessa essenza mentale colla quale noi la conosciamo^ io sono interamente con voi, o a meglio dire, voi pi tosto con me. Ma se per op- posto, voi, mio caro, per natura umana intendeste quella cosa che realmente sussiste in individui diversi, io non vi accorde- rei che ella fosse uguale in tutti. Imperocch vi dimanderei : la natura umana che sta in un individuo, ha ella quella medesima sussistenza che ha in un altro individuo? E se vogliamo cha 5i2 ^esta natura umana sia formata di corpo e di spirito, vi do mando : il corpo di un uomo ( prescindendo interamente dalle accidentali differenze , e intendendo la sostanza corporea )  egli identico al corpo degli altri uomini? occupa egli lo stesso luogo? o ciascun corpo occupa un luogo diverso? e cosi lo spi- rito di un uomo (sempre fatta astrazione dalle differenze, e supponendolo eguale in tutto il resto agli altri spiriti ) sar egli identico agli spiriti degli altri uomini? ogni spirito cio non avr egli una sussistenza propria e incomunicabile? si pu dunque dire che la natura umana veramente e realmente sus- sistente in un umano individuo^ sia uguale di pieno alla na tura umana sussistente realmente in altro individuo? M, Ma . .., io m'intendevo che la natm'a, la qual si trova in diversi individui della specie umana, sia uguale perfettamente nelP altre cose, fuorch nella propria e indl\idual sussistenza. Ed egli parmi che non ci debba esser bisogno di questa ec- cettuazione, sottintendendosi da s. A. Niente in filosofia si sottintende: e lo sragionare, o mio Maurizio, che fanno i filosofi s sformatamente, nasce appunto da ci che sott^ intendono, il che e quanto dire da ci che sot- traggono allVperto esame , a cui tutto nelle discussioni dee es- sere sottomesso. E vedetelo di presente. Voi dite adunque, che la natura umana  uguale in tutti gP individui della nostri specie perfettamente, fuorch solo nella propria e individuai sussistenza di questa natura. M. Appunto^ tale  il mio concetto. A. Bene sta^ or bramo che P acuto vostro ingegno m'at- tenda. Quando mi diceste che la natura umana  uguale in tutti gP individui della nostra specie, in che maniera vi eravate voi formata Pidea di questa natura? AT. Col prendere appunto quello che in tutti gli uomini e ugnale e commic, mediante il paragone e l'astrazione , e col ri- gettare quello che ne' diversi individui  variabile. A. E pure questa separazione di ci che  uguale o comune, da ci che  disuguale, non Tavevate fatta bene^ perocch io vi ho mostrato che anche in quello che mi deste per uguale, cio nella natura umana, vi  il diverso. Convien dimque pro- eedere ad un^ altra separazione. 5i3 jlf. S^ voi m^ avete fatto osservar giustamente, che nella stessa natura comune che si trova negP individui , conviene astraixe ddlV individuale sussistetza di essa natura: tolto que sto, il resto che rimane . comune. ji. Ma quello che io vi domando, o Maurizio,  appunto che cosa rimanga. Voi avete prima divisi gli accidenti dalla natura umana: poi avete ancora divisa ed asti*atta da questa natura umana la sMa sussistetza. Or io dimando , dopo tante divisioni e astrazioni , che cosa vi rimanga di uguale negP in- dividui: dimando che cosa sia una natura umana priva della sussistenza: sar ella pi qualche cosa di reale? entrer ella a formar parte reale degli umani individui? ecco il quesito, a cui io voglio che mi rispondiate, dopo ponderatolo quanto ab Insogna* M. Da vero, che mi sento stretto. Io sono sospinto a pro- nunciare il pi strano ed inaudito paradosso, cio che gli individui umani reo/i non abbiano firat diloro^ente di uguale, niente di veramente comune. Per quanto io ci pensi, vi confesso, non so spacciarmi. Credevo fin qui , che la natura umana fosse uguale in tutti gV individui^ or voi mi fate accorto, che se per questa natura umana io intenda un che reale e sussistente, ella non pi essere pi uguale in diversi individui^ anzi in ogni indi- viduo dee sussistere separatamente, individuamente, incomuni- cabilmente, senza la minima relazione con altro individuo. Se poi io tolgo alla natura umana la sussistenza stessa, veggo bene che non mi riman pi alle mani che una natura ideale, e per sono fuori dall^ordine delle cose sussistenti di cui io ragio- navo. jutatemi dunque voi stesso, traendomi di tanto impaccio. j. Quando si dice che u la natura umana  uguale in pi individui 9 , si pronuncia una sentenza verissima. Ci che vi si suole aggiunger di falso,  la interpretazione. Si suol cre- dere, che quella proposizione voglia dire, che vi siano delle cose reali veramente uguali per loro propria natura^ ci che  un assurdo. Air incontro quella proposizione va intesa cos, che  in ciascun individuo dell^ umana specie v^ha un che, il quale con*isponde ad un^ idea unica della mente umana , che  appunto quella natura umana che .voi avete spogliata della reale RosMiMi, // JtinnovamentO 65 5i4 sussistenza, e che per vi s' cangiata in una mera rea . E di qui potete altres conclniidcrc, chi! Ylea della natura umana  unica, sehbene gP individui son molti ^ e che appunto perch imica  quell'idea onde molti individui si conoscono, avviene che le cose reali sieno uguali, consistendo in questa ugnale relazione coU'idea la uguaglianza de"* varj individui. M. Cotesta conclusione, che vien pur cosi facile, mi fa stu- pire. Ma sd:)I>ene gli oggetti sussistenti non sieno simili o ugnali, e non perch coiTispondono alla stessa ed unica idea, non parmi per questo ancora dimostrato che quelFidea sia unica e identica a s stessa in tutte le menti degli uomini. Ci che avete detto prova che gli oggetti si riconoscono per simili a cagione che corrisponde ad essi oggetti slmili un'idea comune, ma quest'idea comune ad ogni classe ( specie o genere ) di og- getti, non  mica necessario che sia una anco rispetto alle menti che veggono l'uguaglianza degli oggetti^ bastando che ogni mente possegga un' idea uguale ^ sebbene non identica. Ed anzi cornee mai possibile che i milioni di uomini che sono divisi da' tempi e dagli spazj veggano tutti la stessa idea /h- mericamente unica? come si pu intendere che da Adamo in qua gli uomini che si sono succeduti, nati e morti in tanti se- coli, gli uomini nostri qui di Rovereto, e quelli d'Innsbrnck, di Vienna, di Roma, di Parigi, di Londra, di Wasington, e dite dell'altre citt e terre dlsgiuntissime , mirino l'idea stessa, quando per insino il sole, die  locato in posizione s oppor tuna da esser veduto da molti, non pu per vedersi nello stesso momento da tutti gli abitatori del globo, ma dee anzi fare il giro del cielo per dimostrarsi loro, e privare gli uni della sua luce per rallegrarne gli altri? ji. Io debbo, Maurizio mio, chiamarvi all'ordine. Non d slamo noi intesi tante volte circa il giusto metodo di ragionare: non vi ricorda, avervi io insegnato trovarsi in filosofia due generi di questioni, e doversi in ogni disputazione considerare a quale de' due la disputa appartenga, per non incappar nel- r eiTore di trattar l' una cogli argomenti che sono propi dell'altra? M* Ricordami: che niente  pi frequente sul vostro labbro^ 5i5 e si tratti di metodo, quanto la regola di distinguersi la uestione che dimanda  se la cosa sia  , dall^alti'a  se debba ssere, e come possa essere  . ji. Dunque, mio caro, non dovete uscire a chiedermi a come ossa essere che un^ idea unica di numero sia veduta in tutti tempi e in tutti i luoghi, da quanti uomini ci pensano e ci ensarono, eziandio che fossero infiniti n \ perocch la questione la noi intavolata non  questa, ma bens Paltra,  se il fatto ia veramente cos, che veggendo ciascun uomo la cosa stessa ieale, per esempio la natura umana comune a tutti gli uo uni, Pidea (T oggetto ideale) che veggono sia identica di imnero, o solamente uguale bens, ma per con una entit oropria, e diversa nelle diverse menti contemplanti. M. Avete ragione: io aspetto dunque che mi proviate -che [uest^ idea  unica , giacch veggo non aver io diritto per ora li chiedere da voi di pi. A. Blaurizlo mio, il vostro ingegno ve llia fatto Iddio e la tatura s bello, che dovreste potere assai comodamente provar- Dvi da voi medesimo. M. In che maniera? A. Facendo circa le idee^ che supponete uguali in varie tienti, lo stesso ragionamento che io v'ho fatto fare circa ;li oggetti reali y che voi pure supponevate uguali. M. Farmi tralucere alla mia mente ci che voi volete dirmi, oa non anco mi luce. A. Uditemi dunque. Supponete, che molte menti s^accor* [ano come in tutti glMndividui della specie nostra vi sia di oxnune la natura umana ^ perch tutte quelle menti abbiano m'idea uguale delPumaia natura, sebbene ciascuna mente ibbia per un^idea sua propria di questa natura, e non Funa Dente abbia Tidentica idea ed una di numero con quella che 'altramente intuisce. Or dico io, se queste idee son tutte iguali, saranno perfettamente uguali? ^' Veggo, dove andate^ ma, debbo rispondervi di s. A Ma se hanno una entit ed una sussistenza propria in lascuna mente, non possono essere uguali anche in questa oro entit e sussistenza, che  propria e incomunicabile. M. Vero . 5i6 A, Dunque, acriorch qurlle idee sieno uguali veramente. uopo  prescindere ed astrarre dalla loro propria e peruliar sussistenza. M. Indubitatamente. A. Dunque non possono essere uguali in s stesse , se hanno una sussistenza propria e singolare in ogni mente. E se si dee renderle uguali colUastrazione, converr dispogliarle di questa loro propria e individuata sussistenza, e per tal modo renderle Oee purBy senza realit, e senza individualit alcuna. Or quando noi abbiam parlato della uguaglianza fra gli oggetti sussi- stenti, abbiam veduto necessario di far ci di essi, e, fatto ci, ci rimase Fidea pura della natura umana. Vorremo noi ora ripetere lo stesso gioco su questa idea? vorremo ricorrere ad un^ altra idea? Abbiamo veduto^ che l'uguaglianza degli indi- vidui consisteva nel riferirsi tutti ugualmente alF idea della umana natura. Se dunque or noi diamo una sussistenza pro- pria all^idea stessa della natura umana, facendola diversa iu ogni mente, cadiamo manifestamente in un^ illusione, ragionando delPidea come degli oggetti^ noi supponiamo, che Tidea non sia ancora appurata dalla sussistenza, come erasi creduto prima, e come s'era trovato necessario per ispiegare la cognizione che tutti gli uomini slianno ugualmente delP uguaglianza di natura fra gl'individui umani reali. IVTa oltracci, via, rafirontiamo &a di loro le idee della natui*a umana, supposte diverse in quanto alla loro entit nelle diverse menti , ma in quanto al resto uguali: noi, per conoscei*le uguali, dovremo formare un'altra idea, cbe le consideri astratte dalla propria lor sussistenza od entit. Or r operazione, che astrae dalla sussistenza propria di ciascuna di quelle idee, per vedere in essa ci che  uguale, astrae mede- stmamente con ci stesso dalla loro moltipUcit supposta nelle diverse menti. Convien dunque, a riconoscere uguali quelle idee, considerare, che in esse vi sia l'unit perfetta di numero, non moltiplicata secondo gl'individui^ giacch questa moltiplica- zione secondo gl'individui , appai*tiene a quella pai*te delle idee che le rende disuguali e al tutto diverse fra loro, e non a cpella che le rende uguali. L' idea dunque , nella quale si vede l'uguaglianza delle idee della natura umana nelle varie ment, suppone di necessit wiCidcntit numerica nell'idea 5.7 della natura umana intuita da tanti uomini; perocch altra- mente non potrebbero in modo alcuno essei^ uguali. M. Parmi di sentire, che Pargomento ha una forza ineluttabile. Certo, contemplando io le idee della natura umana in diverse menti sussistenti, non potrei riconoscerle uguali, se non vedessi in tutte la cosa identica, una di numero , la stessa identica natura umana veduta di pari da molte menti. Gonciossiach ben m^ accorgo, che la natura umana contemplata cos in astratto  una cosa semplicissima, da cui  stata rimossa la sussistenza; e dalla quale per, in s stessa considerata, non si pu astrarre altra sussistenza, perch non ne presenta alcuna. Parmi anzi di riconoscere onde venga P inganno del credere fl contrario: penso che venga dal considerare unito colla natura umana contemplata da tutti gli uomini , Fatto con cui gli no mini la contemplano. Quest^atto  reale e individuale, ma non la natura umana' astratta, in cui esso termina: le inUazioni della stessa idea son molte; Videa intuita  una sola. ji. Dite assai bene. Egli  certo che ciascun nomo intuente la natura umana astratta, fa un atto diverso, ed ha una fa- colt diversa da quella di un altro uomo: vi sono dimque tanti intendimenti quanti sono gli uomini , e tanti atti quanti i pensieri che ciascuno fa dell^umana natura: ma qaesV umana natura  sempre la stessa, identica di numero, veduta da tutti i contemplanti bench disseminati e disgiunti per lo spazio e pel tempo quanto si voglia lontano. Dove voi veder potrete in die consista Ptirore di verros, e onde nacque. Questo cele- bre filosofo arabo affermava esistere un intelletto universale e comune a tutti gli uomini. U errore consisteva nel dire della facolt e eWatto^ quello che si dee dire delP oggetto (i): que Ito, cio Pessenze, le idee, o (che  tutto il medesimo) lavERiri^ (i) L'errore di verros dovea nascere^ a mo parere, necessariamente dalk Mica precisione di Aristotele in parlare dell'inieUeUo (agente. Ho gi aoceo- lato^ che lo Stagirta parla talora di questo intelletto come fosse un com* flesso delle essenze o delle idee ( la ragione di Platone ) : in questo signi- kato doveasi dire ano e universale l'intelletto agente. Ma Aristotele in al- Lri luoghi il rende una facolt: questo diede luogo aU' errore dell'Araba^ :he il gran commento fto. 5i8  cosa unica, identica per tutti gli uomini , a tutti manifesta, e patente pi del sole, il che vuol dire,  cosa universale: ma gli uomini che la veggono son molti, dunque molte le fa- colt , molti gli atti di questa facolt , sebben quella rimanga unica. E non sarebbe egli un goffo errore raffermare che molti sono i soli, perch molti sono gli occhi che lo veggono, e molti gli sguardi che a lui si rivolgono? ed egli si dee considerare, che quando gli uomini nominano il sole, e di lui favellano, non parlano gi delle specie luminose o sensazioni che feri- scono i loro occhi ^ ma propriamente del corpo luminoso, che distinguon da queste , e che ripongono in cielo e non in s stessi, n sole stesso dunque, contemplato intellettivamente e non sensibilmente,  identico per gli uomini tutti, in qualunque terra o mare, et o secolo ne ragionino. Tanto ha d^unit, e d'identit a s stesso ogni oggetto, quando non si parli delF esser suo sensibile, ma solo deirintellettuale! Se non che torniamo, o Maurizio, alle idee della natura umana, e supponiamole en- tit diverse nelle diverse menti degli uomini^ e (lasciando quel che  detto, che soprabbastcrebbe pure a risolvere la questione) consideriamo altra assurda conseguenza veniente daUa supposizione fatta della moltiplicit di esse idee. M. Ancora ne avete? A. Si, io voglio che facciamo delle idee uguali nelle varie menti, quello che abbiamo fatto prima de^ varj individui uguali sussistentL M. Volete dire l'astrazione della loro propria entit; avremo, ci fitto, un' idea della natura, comune a tutte le idee della natura iiTnana che stanno nelle diverse menti. Che diamm di costrutti mi fate voi fare? vorremo noi imbarbarirci nella favella? A. Maurizio mio, noi or cerchiamo la verit^ e questa, tal riverenza si merita, che non  a pensare qui ad altro che ad essa, e ad essa dee ancillare la stessa lingua.  Voi dicevate dunque bene; le idee nelle varie menti, supponendole diverse, non potrebbero dirsi uguali se non in virt d'un'altra idea a cui tutte si riferissero, e in cui tutte si conoscessero. Vi avrebbe dunque qui un^ altra idea comune , la quale dovrebb'ella csseiv identica ed una di numero, e cosi noi a>rcmmo tolta Punita Sig numerica alFIdea della natura umana, per darla poi air idea dell^idea della natura umana. M. Cio saremmo caduti, come si suol dire, dal pajuolo in sulle bragie. E gi veggo quello mi replichereste , ov^ io ponessi in campo lo stesso quesito di prima sullMdentit nu- merica dell^ idea delP idea della natura umana ndle menti di- verse. Voi collo stesso ragionamento mi costringereste a dover ammettere una terza idea costituente Fuguaglianza non nume- rica dellMdea delPidea, e poi una quarta, poi una quinta: skdi mi ridurreste a conchiudere, che se Pidea della natura umana fosse diversa di entit in diverse menti, e uguale solo di specie, questa uguaglianza non potrebbe risultare se non da un numero infinito d^idee. Ma il numero infinito non si termina mai, dunque non s^ha mai, per salire dMdea in idea die si faccia. Dunque mai non si giugnerebbe a conoscere quella uguaglianza^ anzi n pure a costituirla^ conciossiach IHignaglanza non identica deg? individui risiede essenzialmente ndl'unit identica di una idea, che giammai trovar non si po- trebbe, se le idee stesse nelle diverse menti aver potessero di- versa entit e sussistenza propria. Io intendo fino al fondo que- sto argomento, e mi convince a pienissimo, che Fidea dennita, come voi fatto avete, per Pente intelligibile od oggetto ideale del pensiero , non pu esser altro che una di numero sempre per tutti gli uomini che la intuiscono: e me ne chiamo ora pi certo che io non sia del grato olezzo che mandano questi m di fiori, o del bel verde di questi alberelli che adombrano ^pesta peschiera sul cui margo seggamo. Il lettore intende da s le rilevantissime conseguenze della verit stabilita nell^ esposto dialogo. Se Pidea intuita da tutti gli uomini in diversi tempi e in diversi luoghi  essenzialmente una di numero, convien con- chiudere ch^ella sia un ente, di natura interamente diversa da quella di tutti gli enti che sono nel tempo e che occupano spazio^ convien dire, che questo ente ideale, che noi abbiamo scoperto al tutto diverso da quelli a cui continuamente pen- iamo , si sottragga per intero a tutte le leggi dello spazio e del tempo; conviene ii^erire, ch'esso non abbia n pure la pi Sto lontana dipendenza dalla natui'a di esso spazio e di esso lempo^ giacch n i pi lontani spazj, n i pi lunghi tempi, e n anco la indefinita moltipliclt delle anime lo impedisce dall'cs- ser tutto ugualmente presente a tutti , senza menomamente di- vidersi, senza distendersi, senza racchiudere ombra di succes- sione: oonvien dire altres, che lo spazio ed il tempo non sieno condizioni necessarie air entit di tutte cose , s come sembra a^ sensisti, e s come sembra a quanti non hanno molto me- ditato; inganno che nasce per ragione che gli oggetti a noi pi famigliari 9 quelli a cui pensiamo naturalmente, continua- mente, allo spazio e al tempo appartengono^ di che noi, per un falso e troppo frettoloso ragionamento di analogia, giudi- chiamo poi, che altri enti non possano esistere, universalizzando il nostro modo particolare di concepire, e argomentando da quello che sappiam noi, limitati che siamo, a quello che  nell'ordine immenso delle cose, e a quello che  nelle menti alle nostre maggiori, le quali veggono anche ci che per altri  impossibile, o creduto impossibile di vederc.E in questa li- mitazione del concepire e veder materiale, dal tempo e dallo spazio ristretto, dalla quale pochi uomini escono (sebbene troppi pi il possn fare, educando a questo libero volo rumano intelletto), sta la ragione della dimanda che pi innanzi Mau- rizio mi faceva: a come pu esser ci? come  fattibile che un oggetto identico e solo, sia a tutti i tempi, e a tutti i luogbi presente? L'ignoranza, il poco esercizio della facolt intellet- tiva che si fa fare a' giovanetti nelle pubbliche scuole di filo- sofia: ecco la ragione di questa dimanda; ecco la ragione, onde i aitti esposte incontrano tanta opposizione negli uomini; e anche dopo dimostratili ad evidenza, una incredibile ripu- gnanza, una rozza incredidit dura tuttavia: sono verit di cui si evita timorosi la famigliarit, s come i fanciulli (anno d'uno straniero, di un volto sconosciuto e agli occhi novissimo. Ma torniamo al proposito. Se gli enti intelligibili , le idee, sono natore immuni da spazio e da tempo; dunque esse non possono essere n end materiali^ n sensazioni ^ n mod^c*- rioni dell'anima, perocch in tutto ci avvi il determinato dal tempo o dallo spazio, avvi Tindividuale, il sussistente: le idee Sai non possono essere n sostanze, n accidenti di sostanze (i), perciocch questi nomi sono prima tolti da ci che noi osser- viamo ne^ corpi , poscia estesi a significare distinzioni che ca- dono solo in enti individuati e reali ^ essi non possono essere per conseguente n pure indeclinabili effetd di azione e reazione fira il corpo e F anima, quando anco quest'azione e reazione fossero maniere e concetti idonei ad applicarsi al commercio del corpo e deir anima (2): perocch queste azioni e reazioni non (i) Vha sempre una credenza o espressa o soUintesa oe' ragionamenti de" sensisti , che nell'universo , o per usare una espressione di Dante , nel gnau mare delteuere non v'abbiano che sostanze e accidenti , sicch tutto ci che non  sostanza sia per conseguente accidente, e tutto ci che non  accidente sia per conseguente sostanza. Ma questa  una supposizione gratuita ; queste  uno di que' pregiudizi che impacciano le filosofie , e le impediscono dal trovare la verit. Abbiamo gi notato un tale errore nel Mamiani. Che cosa sar lo spazio? Non un accidente. Dunque una sostanza, ooDchiudono costoro. Che cosa saranno le idee? Uno dice: non accidenti; e conchinde , dunque sostanze. Un altro : non sono sostanze, dunque accidenti* (n P. Scarella, uomo di non ispregevole ingegno, chiama accidenti le idccVed. la BomPsycolog. P. II, cV, art. i). Un terzo: non sostanze, non accidenti: dunque .. . niente. Cosi si argomenta, cosi s'  argomentato  cosi si argo- menter ancora un buon pezzo in avvenire , se non si comincia a diffidare di certe proposizioni e prevenzioni volgari  che non si reputano n manco bisognevoli del pi leggero esame. Non tutto quello che ,  sostanza o accidente: e quando fosse, a provare una tale proposizione converrebbe su- dar molto , trattandosi di comprendere nel ragionamento tutta la sfera im- mensa degli enti anche possibili. Ma che non sia, basta a vederlo il lume che ci d una sana teologia naturale, la quale ricusa di trovare nell' Ente supremo alcuna distinzione di sostanza e di accidente , come pure ricusa di applicargli in senso proprio questi vocaboli. Solo un tale esempio basta a provar falsa l'ardita proposizione, che  tutto debba essere o sostanza o accidente m. (a) I sensisti, e fra questi pi che mai il Romagnos, applica i vocaboli di azione e di reazione al commercio dell' anima coi corpo. Io ho posto Tinflusso fisico fuor d'ogni possibile controversia , perocch l'ho dimostrato un fatto, a condizione del quale solo si d il sapere umano (N, Saggio ecc. Sez. y, e. XI, art. ziy, e e. XKIV, art. v); ma ho dimostrato in pari tempo, che il corpo non pu agire menomamente nella parie intellettiva deiranima,ma solo nella parte sensitiva (N. Saggio ecc. Sez. V, e. XXIII, art. vii). Questo solo basta a conoscere, che  un assurdo apertissimo il considerare le idee come produzione dall'azione del corpo e della reazione dell'atiimaj giacrli il corpo non agisce punto n poco su quella parte del- l'anima , che  sede delle idee. L'afiermazione adunque , che le idee sieno RosMiiii , U Ruiofamefito. 66 potrebbero produr mai se non modiCcazioni de' due reciproci agenti, e perch le essenze n nascono, n muojono, n si pro- ducono o g^erano , quanto al loro intimo fondo , n si co^ rompono* Io mi appello agli uomini che, rimossi i pregiudizi) usano del puro e sincero veder della mente. CAPITOLO XLV. CONTINUAZIONE. L^ importantissimo e fecondissimo vero delP unit numerica delle idee fu veduto sempre, e ponderato dalle menti pi pe^ spicaci. Un autore Aon sospetto  P avversario di Platone. Or bene, vn prodotto medio delle due cause anima e corpo ^ appartiene a que' sisteni iromagSoarj che, in vece di ragionare, suppongono. Io non posso rnf^nire nel Romagnosi quella potenza logica che gli si volle attrihuire ; rinveogo olo in quest'uomo dotto > e che io stimo, de'modi e delle forme logiche, una logica ioteniione; ma nulla , nulla pi. Oltracci a quanto egli dice sull'adone recproca delPaniroa e dei corpo sottost una di quelle proposizioni soppo- ste vere gratuitamente , che dirigono sempre in segreto i ragionamenti de' tensisti, i quali non sanno diffidarsene, e questa  quella che il C. M.,a cui tal pregiudizio  comune, esprime cosi: h sempre andare insieme Fagire ff ed il reagire, sempre la reazione essere proporzionata all'azione m (P. II, e. XIV, IV ). Una tale proposizione sembra evidente nel primo aspetto, perocch ne' fenomeni corporei noi veggiamo, o supponiamo di vedere sem- pre l'azione accompagnata da una corrispondente reazione. Ma quando anco ci foise, chi ci autorizza di trasportare le leggi de' corpi all'ordoe universale di tutti gli esseri? non  questo un salto mortale, contro la lo- gica? E pure fa un tal salto il Romagnosi, lo fa il Mamiani, lo fanno i fensisti tutti. Goo un tal pregiudizio in testa , riesce impossibile per esenpio a concepire la possibilit della creazione, perocch in essa v'ha azione seon reasione ; riesce pure impossibile a concepire la possibilit dell'operare nei* fesaere aupremo, alla cui azione niente pu reagire. Quando io penso nel bajo della notte a una dimostrazione matematica, io fo un'azione; ma quale oggetto reagisce sopra di me, se non ve n'ha nessuno presente, almeno di seusibilit o se si vuol dire che l'idea agisce iu me; benissimo, si dica: ma noo si potr mica dire che io viceversa agisco sull'idea, il che  per- itamente impossibile. II concetto adunque di azione e di reazione (che 900  a coofoudcrsi con quello di azione e di passione)  materiale, e il InispwUrlQ a^U escori tulli  un peccato mollale coutro la ludica. Aristotele riconosce pienamente (|uelia grande verit^ e insegli^ larlando degli astratti matematici, cbe  u cosa assui*da asse- ;nar loro un luogo, come lo si assegna a^ solidi ^ dando di d questa ragione, che  il luogo  proprio delle cose singo-  lari, le quali appunto per ci che son singolari possono es- X sere disgiunte da luogo o sia da spazio. Ma le cose mate- d matiche, dice, non sono in nessun luogo  (i). E questo passo basterebbe solo a dimostrare quanto risto- :ele si lontani dal pensarla co^ sensisti de^ nostri tempi ^ egli :he riconosceva nelle idee una natura cos distinta da quella le^ corpi e delle sensazioni : di guisa che quelle non avevano, w* huttop ioi ii x^f'^^ rowtt rei 4i Ma^n - fMmrtxei, iv rod Metaphys, Lib. KII, cap. V. (2) Mi verrai spero^ occasione di dimostrare altrove^ come sia falsa l'opi- nioDe di quelli che credono che Aristotele ritenesse i fantasmi per es* jenziali al pensare^ o che facesse le idee di una natura simile ad essi. (3) Ei uil rauT^p Sp ro PWfOt ru Ji^avnopro^ luti fy" (Jietp^mp^proi* (4) Ei fili r/f HP iti poC^ %S TayTf( iKOtPttPOfiip- 5a6 rieme degli individui umani, senza averli noi intelleitivamente concepiti : questo paragone si fa al tutto nell^anima nostra, e non fuori di noi. Indi due conseguenze importanti. La prima^ che innanzi a questa analisi ( giacch Pastrazicme  on^ analisi) precedette una sintesi fatta dallo spirito nostro, senza accoi^ercene, nel primo percepire degli individui sussi- stenti, nella qual sintesi il nostro spirito ha posto la parte uni- versale o comune , che indi poi ritiriamo : e questa parte ho dimostrato a lungo nel Nuouo Saggio ( i ) non esser altro che Pente possibile o Venie ideale^ sicch in percependo i sbigolar uomini, noi li abbiamo percepiti come enti, li abbiamo consi- derati come realizzazioni parziali delPente ideale indefinito e universale, e per, mediante questa relazione comune, come aventi una natura comune: abbiamo in una parola percepito questa natura comime indivisa dalla sussistenza di ciascheduno. La seconda conseguenza non  meno rilevante : essa  la Gon- futazione di ogni specie di nomolisnio. Conviene considerare il nominalismo nella sua grande imiversalit, conviene ridarlo ad una formola unica : e allora solo si pu rettamente giudicarlo. Questa formola, secondo me,  la seguente: u Quel sistema, qualunque sia, il quale nega gli enti intelligibili , le idee ^ so- stituendo ad esse dei segni di altra natura , acciocch servano per mezzi del pensare,  nominalismo n , pi*eso nel suo signifi* cat pi generale. Per tal modo si veggono ridotti allo stesso concetto assai sistemi creduti fin qui disparatissimi fra di loro, ma che, ove si penetrino al fondo, hanno veramente una natura comune. Chi crederebbe, per esempio, nel primo aspetto, che le segna- ture e i monogrammi di Romagnosi, gli atomi rappresentati di Democrito, i nonU sostituiti alle idee dei nominali del medio evo, la similitudine supposta ne^ concreti de^ sensisti, rs- ftressione scambiata colla sensazione de^ materialisti, sieiio sistemi peccanti dello stesso vizio, e aventi una comune natui^a? E pare la cosa  cosi^ quando si considerano attentamente. E perch si possa cogliere ci che io voglio dire , mi bisogni (i) Sex. V, e. II, III, IV, VI, ari. vii. 5917 rima ritoccare quella verit che  il fondamento delP esposto lalogOy ma che tuttavia pu non essere stata considerata sotto fai rispetto. Questa verit si , che a la similitudine non si trova negli enti concreti come concreti e sussistenti, perocch ime tali sono perfettamente divisi Puno dalPaltro e non hanno icnte di comune , ma la loro similitudine consiste in un rap* nrto che hanno tutti egualmente colla idea che a noi li ma* ifissta  o sia li fa intendere, E veramente, pigliamo un uomo e il suo ritratto. Si suol tre, che il ritratto ci fa conoscere Puomo. Ma dimando io, ^ ;li il ritratto materiale che sta impiastrato sulla tela , senza l, che mi fa conoscere Fuomo, o pi tosto quel ritratto per- ipito col mio spirito? perch io m^ accorga che quel ritratto simile all^uomo, o sia, perch in quel ritratto io od altri vegga fiittezze dell'uomo rappresentato, basta egli che quel ritratto orto e insensato stia l affisso alle pareti dWa stanza solita 9Lj senza che nessuno P abbia veduto mai e n'abbia notizia? E il ritratto non rappresenta n a me n ad altri V uomo , se m a condizione che io od altri F abbia veduto, conosciuto: mque . non  veramente quel ritratto materiale V ente intelli- ble, cio Pente che  per s cognito, e che fa conoscere^ ma il ritratto intellettuale, cio Videa del ritratto ^ tutta spiritual ^ e di natura diversissima dalla materia, diversa da quel ca- pe o lino di cui  tessuta la tela, da quegli elementi mine-* li o vegetabili che compongono que' colori. Sarebbe dunque L errore gravissimo, chi cercasse questa natura delPintelligi'* lit fuori delle idee, le quali solo danno intelligibilit alle le tutte, che non Fhanno in s. Ma molti non considerano a questa condizione in che sono cose tutte sussistenti, d'essere per s cieche e inintelligibili. Ma agendo che Funa assomiglia all'altra, pensano che l'una esse ci faccia conoscer l'altra^ senza badare, che quando noi :anio simili le cose, crediamo bens di parlare delle cose me e materiali, e come sono nella loro sussistenza^ ma ramente, noi parliamo delle cose come concepite, come esi^ no nel nostro spirito- le quali appunto perch concepite, punto perch vedute nel nostro spirito, hanno sempre con* mtp Fesscuza ideale, la quale  il vero e solo lume che ce 5a8 le fa conoscibili 9 , come ho detto tante volte, la loro intel- ligibilit. Or di qui, cio da questa mancanza di osservazione (i), ven- nero ^ dico io, tutti i sistemi che io ho chiamati di sopra nomi' noli, e ridotti tutti a questa formola:  quelli clie diedero Tm- telligibiliti) o Tattitudine di far conoscere, a cose che non hanno tale attitudine, a cose, in una parola, diverse dalle idee . I. Fra questi, di sopra ho nominato Democrito. Questi tutto esplicava cogli atomi corporei. Alcuni di questi atomi, deno- minati specie o idoli ( etdoXa ) , emanano da^ corpi , entrano per gli organi, e portano neiranima le sensazioni {cbia^riai^) e il pensiero (vri(n fosse semplice- ma egli  sgraziatamente guidato e alterato da false prevenzioni. (a) V. N. Saggio Sez. V, e. XXIV, art. lu. 5^9 un essere che non abbia senso e intendimento: che per v^ha certo qualche cosa nell^ essere percipiente, che costituisce il mezzo onde  resa rappresentativa quella impronta, la quale non  tale per s sola. ni. La qualit dell^errore de^ sensisd  la medesima. Questi intendono , che a percepire le cose fanno bisogno i sensi ^ ma non cosi intendono il bisogno delle idee astratte. Suppongono sempre, che sopra le stesse cose esteme lo spirito nostro eserciti la funzione delPastrarre, mediante la quale egli si affissa nella sola parte comune^ e cos formi a so stesso le nozioni uni 4i 6; C. V, lo, i4; C. VI, i5j L. II, e. II, 2; C. V, i5. 531 limehticato ci in cui consiste P intelligenza, e per Illusione Tattenuto sarebbesi in ci che non  che una occasione, una Dateria cieca intomo a cui s^adopera essa intelligenza (i). (i) Panre che il Romaguosi stesso s* avvedesse talora , come il suo si- lema fosse inetto a esplicare il gran fatto del conoscere; dacch egli v'ag- ^Dge qua e col de' modi di dire , dove sembra che voglia prepararsi un sSagOy in caso d'attacco. Per esempio in un luogo dice^ che quelle sue lunature debbono essere  riportate alla percettivit secondo la natura |i#icologica della sostanza senziente m ( Della suprema economia ecc. P. II ^ XIX ). Ma queste parole^ chi ben le considera , non sono altro che una :oafessione, che le sue segnature non valgono nulla affatto a spiegare il pensiero 9 perocch non sono percezioni^ ma sono cose che hanno bisoguo li essere percepite, di essere riportate alla percettivit. Ora egli  in que- ite percettivit che sta tutto l'arcano , tutta la questione; in questa percetti- ril che il Romagnosi non nomina che di passaggio , trattenendosi in quella ieee nelle segnature morte, non percepite per s. Lascia adunque da parte il nostro filosofo il punto controverso, dimentica al tutto la materia di cui li tratta, che  la m percezione, la cognizione m, e s' adagia contento nel- Pipotesi ( non pu mai esser pi di una mera ipotesi ) delle sue segnature rhe spiegano il pensiero tanto come lo spiegano delle aste, de' traui, de' pianti tracciati con inchiostro sopra una materia inanimata. Pure confessando il Romagnosi, nel passo accennato, che, oltre le segna- lare, ci vuole la percettivit a percepire e a conoscere; s'attenua in qual- die modo il suo errore. Ma egli non  poi coerente con s stesso. Impe- rocch in altri luoghi egli vuole che queste segnature sieno esse stesse le MDSazioni e le idee confuse da lui colle sensazioni ( Della suprema eco- monda ecc. P. Il, } XIX ). Or se queste segnature sono esse stesse idee e nozioni , non dovrebbero aver pi bisogno di ricevere altronde la luce e la percettivit, essendo certo le idee quelle che ci (anno percepire e conoscer le cose. S'arroge a ci, che le idee e le nozioni non possono in modo alcuno es- segni o simboli, e molto meno poi geroglifici e monogrammi, com'egli le nozioni pi universali. I segni, come dicevamo, hanno bbogno, per essere intesi, di una mente che li confronti colla cosa segnata e a que* sta li rapporti: e una mente non pu far ci se non per mezzo d'idee noiche, identiche, comuni, come ho mostrato: altro dunque sono i segni, altro le idee che fanno intendere i segrU, Molto pi  geroglifici, i mono- grammi, i segni stenografici, le cifre (delle quali espressioni giovasi il Ro- magnosi ad indicare le nozioni universali), hanno bisogno di una mente che g)i interpreti; di una mente perci, che sappia intendere al tempo stesso > ed essi, e la cosa da essi notata; di una mente quindi medesimo , che a concepire la cosa segnata non dipende punto da essi geroglifici, che le ser- vono solo a volgere l'attenzione sua olla cosa segnata , non a concepirla ; finalmente di una mente che abbia intelligenza: il fatto dunque dell' inteUi- 53a VI. Ma i Nomiiudi in senso stretto, i Nominali del medio evo, sono quelli che hanno sostituito alle idee ^ dc^ segni xfocaii, egualmente morti e inutili alla spiegazione del sapere, come lutti gli altri segni nominati fin qui. Romagnosi, il disccplo di Hobbes, congiunge alle sue segnature interne anche fpiisti segni della parola :  Simloli di simboli, dicV'gli, segni ideali  di cose, e segni di questi segni ideali, ecco tuttt) il corrcJ  del saper nostro ridotto al suo ultimo nudo aspetto. La pa- a rola  il segno esterno di questi ultimi segni o simboli mcu*  tali dei segni reali corrispondenti delle cose ?? (i). I Nominali dell'et di mezzo, gi vinti da s. Anselmo (2). da 8. Tommaso e dal suo maestro Alberto Magno (3), risuscita- ganza  supposto dalle teorie del Romagnosi, e da tuUe quelle che ToglioDo dare di lui spiegazione per viu di segni;  suppusto quello che pretcndoM di spiegare. Noter ancora le stranezze a cui conduce il sistema della concausa di Romagnosi. Tutto dee venire, secondo lui, dall'azione e dalla reazione del corpo e deli' animo : tutte le notizie sono prodotti di questi due poteri cooperanti. Or dopo che hanno prodotto col loro agire una notizia > questo prodotto DOQ potr subire altre alterazioni ? Ci impedirebbe di spiegart l'ulteriore sviluppamento del pensiero. Dunque  da dire, per seguitare l'analoga y che l'anima reagisce di })el nuovo sul prodotto drlla sua rcazioc^ e ndi un altro prodotto su cui pure reagisce ecc.: tutti questi prchloiL adunque diventano ( non si sa come ) tanti altri agenti contro T anima, e l'anima tintinna a reagire contro di essi. Cosi dee spiegare il Romai:ii'.>-^ la produzione delle diverse cognizioni umane meno, o pi olabon-^tc! E ih questa pretesa spiegazione della genesi : le cognizioni umanb^  tolto dal Vico ( DelVanlichiss, sapienza ecc. e. I) : nu il Vico non l'usa che in. forma di similitudine per ispiegare V imperfezione drl- l'umano sapere; e non a quella guisa che fa il Romagnosi, che vuol con css trarne la spiegazione del sapere stesso.  Io mostrer pi sotto, qual pari' abbiano i segni ncU' umano sapere: essi appartengono tutti alb materia ^ ( non alla forma della cognizione. (i) VeduU fondamentali ecc. L. I, e. IH, sez. 1,5. (a) S. Anselmo nel Ub. de Incarnatione Verbi^ cap. Il, dichiara, che >i nominalismo non si pu conciliare in alcun modo col dogma cattolico. (3) Non so se prima di questi due grand' uomiui fosse iu uso il cbianur t nominali f quelli che sustiluivauo agli univeiah i vocaboli ( Vcd. AlberlC' M . iVt /jYi^og. Porphyiii P'iivf, Tract. I^c. I> . s. Tomm. S. 1,X1V;XV) \ 533 rono con pi vigore mediante il sottile ingegno di Guglielmo Ockamo (i). Ma Tillusione di questi  sempre la stessa che abbiam preso fin qui a far palese ^ cio il pei^suadersi, che un segno possa sostituirsi ad una Hea: dando a quello T intelli- gibilit propria di questa : n badando che il segno suppone Tidea che il concepisca, che ne notifichi il significato, che Tap- plichi alla cosa significata. Che questo segno poi sia intemo od estemo , appartenga ad un senso o ad un altro , sia un co- lore od un suono, un geroglifico o un nome^ egli  tutt^uno: un nome non  meno privo d^intelligibiht che una cifra ^ non ha meno bisogno, oltre Forccchlo, d^una mente intelligente (a). Tuttavia  a confessarsi, che i nominali scolastici ragiona- vano pi acutamente di Stewart, o di altri nominali de^ tempi nostri (3).  per aggiungere maggior lume alla materia nostra, recher qui alcuno degli argomenti , onde Ockamo e i seguaci dii lui impugnarono le idee generali e sostituirono loro i vo- caboli, e torr questi argomenti dagU eruditi Commentar) so- pra la Prefazione che fece Porfirio alla Dialettica di Aristotele, pubblicati da^ Padri della Compagnia di Ges di Coimbra: io poi vi far le risposte (4)* Primo argomento de? Nominali. a Le cose universaU non sono definite n da certo luogo a n da certo tempo, come suona lo stesso nome di urivcrsali').  Ma ogni cosa che v^ha nella natura, eccetto Dio ottimo u e massimo,  definito da luogo e da tempo ". (i) Logic. P. I^ e. XIV e XVj e Quodlib. V, q. XII e XIII; e in I Senient, Distinct 11^ quaest. IV. (a) S. Agostino colla sua solita acutezza esprime cosi questa osservazione: P^erbis igitur, nisi verbo non discimus; imo sonitum , strepitumque verborum, --^ Rebus ergo^cogiUis , verbormn quoque cogniiio perficitur: verbis vro auditis, nec verba discuntur. Nel libro de Magistro, da cui sono tratte que- ste parole, si mostra a lungo e iuvittamente, che m i segai m non sono quelli che danno l'intendere. (3) Io ho confutato il nominalismo d Stewart nel Nuoifo Saggio ecc. Sez. m, e. IV. (4) In Isagog, Porpjijrrii quaest. I, art. n. 534 u Dunque niente v^ha nella natui*a, che sia universale n, ti Ma perocch le scienze sono degli universali, e non delle u cose ( quando queste non sieno universali ) : dunque saranno  di nomi, che soli ottengono Puniversalita . Risposta ed primo argomento. Qui convien notare, come questi antichi nominali accordavano pienamente i. che gli universali dovessero essere immuni da spazio e da tempo, 2. che le scienze non possono essere clic di universali. Or Tesser giunti a conoscere questi duo veri, dovea pur mei- terli in via a intendere, che dunque gli universali sono: j)e- tocche altramente come n^avreLhero avuto la nozione, e cos ben defiboitili? Avrebbero dovuto intendere parimente, che i vocaboli non poteano tenere il luogo degli universali ^ perocch ogni voca- bolo  singplare in so stesso^ e universale non pu dirsi in alcun modo, se non perch sIgniGca cose universali, o sia qualit comuni. Ma le qualit comuni sono ideali, cio e sem- pre un^ idea il fondamento della uguaglianza e similitudine delle cose. Che se una parola si facesse significare solo una Collezione d^individui, ella non sarebbe universale, se non vi avesse una nota comune che contrassegnasse quegP individui; nel qnal caso questa nota sarebbe la nozione universale (i). Questi nominali adunque s^ illudono col sostituire alle idee  loro segni arbitrar], cio i nomi (che sempre suppongono le idee): e assegni, che sono essenzialmente particolari, danno quell^ universaUt che compete solo alle idee, che sono essen- zialmente universaU. Quanto poi a quel dire , che nella natura non v^ ha nulla di universale , fuorch Dio ^ questo appunto  ci che si nega, perocch le idee sono universali senza esser Dio. E tuttavia Vha un fondo di verit in questo detto de^ nominali, ed  il conoscere per propriet al tutto divina P universalit. Ma lungi (i) V. N. Sa^o Scz. Ili, e. IV, art. v vii. 535 elle ciu rmovessc ranlmo loro dall^ ammettere le idee nniver- $ali^ dovean pi tosto argomentare, e dire: u giacch le idee universali vi sono, e di universale non v'ha che Dio^ dunque quelle idee debbono appartenere in qualche modo aU^ essere supremo, debbono almeno nel loro fondo essere una perti-^ lienza d^lla natura divina ^. Il ragionamento sarebbe stato lo-! gico, ed  quello di s. Agostino. Secondo argomento degli antichi Nominali. a Se vi avesse una natura comune, la stessa in molti, ne a seguiterebbero due assurdi . a L^uno, che i singolari, i quali sonunamente sono in  tra loro divisi f maxime inter se dissidentia}^ realmente sa u rebbero la stessa cosa. Conciossiach Fumana natura, verbi- m grazia , sarebbe una cosa identica con Socrate e con Platone.  E perocch quelle cose che sona identiche con una terza, m sono identiche fra di loro, seguiterebbe di piano, che Sor ^ crate e Platone nella realt non difTerissero fra di loro . tf L^altro assurdo, che la cosa identica sosterrebbe allo stesso  tempo molte affezioni contrarie e ripugnanti: sarebbe in luo- cc ghi opposti^ comincerebbe in uno, e finirebbe in un altro: il e anzi la stessa essenza in quanto si trova in uno individuo,  differirebbe da s stessa in quanto si trova in un altro  . Risposta al secondo argomento. Da questo argomento apparisce di nuovo , come i nominali antichi accordavano, che la stessa cosa identica non pu essere in pi individui sussistenti, e per che il comune e Tuniversale non pu trarsi menomamente da' singolari concreti mediante l'astrazione, perocch ivi non , n pu essere. L'errore loro nasceva pertanto dal non distinguersi abbar rtanza nelle scuole Tento reale dall' ente ideale. In fatti i rea- listi sostenevano veramente che la stessa identica natura ne' Jiversi individui sofferisse passioni diver5?c; quod esto rerum :onvnuniwn assertores fatewu^ir^ incredibile tamcn esse indctur^ ^cevano con buon se^so i nominai^ 536 Gli assurdi Indicali pertanto spariscono interamente nella teoria da noi esposta, in cui si distinguono accm^atamenlc le due forme dell' essere , ideale e reale. Negli esseri reali, diciamo noi, materialmente presi (cioiN nella loro realit e sussistenza), non v'ha niente di comune^ tutto  diviso, e approprialo. Ma a mol esseri reali corrisponde un essere ideale solo ed unico identicamente. Or questo  cpicllo clic ci fa concepire i molti esseri reali nel nostro spinto. Concepiti i molli esseri reali colla stessa idea, noi li giudichiamo simili od uguali fira loro; non ponendo noi con ci, che in essi materialmente presi vi sia qualche cosa che costituisca la loro uguaglianza, o so- miglianza \ ma volendo solamente dire , che essi hanno tutti l'uguale rapporto colFidea che ce li fa conoscere. Niente adunque di strano , che i varj individui non sieno la stessa cosa fra loro, o che subiscano diverse o contrarie pas- sioni (i). Conchiuder questo captolo dicendo quello clic dicono con pi sublime volo i teologi, clic il fonte di ogni similitudine risiede solo nell'ente essenzialmente intelligibile (2). (i) Si confrontino le nostre risposte con quelle che davano a' nominai' i professori di Coimbra^ e veggasi quanto noi siamo ajutati contro gli er- rori^ dal possesso che a))biamu del vero. Per altro que' professori intravidero la verit, e poco manc che non l'af- ferrassero, come si pu vedere da queste parole della loro risposta: Piata et Socrates pr ut repi f:\EyTJNTun tn conceptu iiomims omnino coii- veniunt: ettamen alujuid Uabcnt, per (juod diffcrant. Igiiur alqua juUuta est in uiroque RESPONDENS conceptui HominIS , ciique diversa a diffe- rentiis individuantibus. In queste parole viene toccata la relazione della natura amana reale di Socrate e di Platone , col concetto dell' uomo ; na tuttavia non colsero il vero; perch rifletterono bens alle diflercnze accideo- tali fra Socrate e Platone, ma non poser mente alla differenza noassiina, che  quella della propria individuai sussistenza. Se a questa avessero riflet- tuto que' professori, si sarebbero accorti, che in Socrate e in Platone noe v'ha punto una reale natura comune, ma solo un puro rapporto coU'dea o concetto della natura umana. (2)  celebre nelle scuole cristiane la sentenza colla quale s. Ilario ca- ratterizza le tre persone divine: Mlcrnitas in Patte ^ species tv iMAGUfE, usus in muncre, che vien coinnioutala da s. Agostino^ De Ttinit. VI, X  Vt-'di il N Saggio ecc. Soz. VI, e. Vii, art. viu. 53; CAPITOLO XLVn. SOLA COIffFUTAZIOIlE POSSIBILE DELLO SCETTICISMO. Sfa gi ^U  il tempo che noi usiamo delle dottrine da noi esposte, ad abbattere lo scetticismo dentro alle ultime sue trin- cee^ e che mostriamo, contro il Mamiani, che q[uelle dottrine, e solo quelle, possono distruggere interamente un errore cosi desolante. E da prima osservo, che  scettica, secondo me, profonda- mente scettica, come gi toccai (i), quella sentenza che U C. M. ci oppone (2): (1) NessuDo tuttavia pensi che io voglia dichiarare uno scettico il C. Bf. Egli  tult' altro: egli combatte per la -verit e per la certezza^ contro lo sceuicismo. Io non parlo dunque che del suo sistema ^ e delle conseguenze dei suo sistema ; e non mai delle sue intenzioni. Vorrei che mi calesse P aver fatta questa dichiarazione una volta per sempre. (a) Dico ci oppone: sebbene quivi non parli direttamente di me, ma di que' filosofi in generale i quali ammettono le forme ingenite della mente e i gudizj a priori. Tuttavia me pure accomuna con questi filosofi in pi luoghi dell'opera sua , come l ove dice della mia dottrina : m quella r teoria ci sembra offesa del vizio medesimo che oscura tutti i sistemi m i quali partono dalle forme deirintelletto m ( P. II e. XI y ). E altrove fi contro di me appunto l'obbiezione simiglievole a quella di sopra citata: r Rispondiamo al secondo argomento tratto dalla natura obbiettiva del- m ridea dell'essere  che poich tale idea  dentro di noi e inclusa di forza m neir assoluta uuit del pensiero non vediamo quello che faccia la d- M stinzione rilevata fra l'azione del conoscere e l'oggetto del conoscere m ( P. n, e. XI v). Il vederci pertanto confusi colla scuola di Kant e co' razionalisti germanici ci spiega perch nel novero delle opinioni sul principio della certezza ' (atto dal G. M. , non abbia accennata la nostra (P. II4 e. I) e cosi in molti altri luoghi prenda a difendere il suo si- stema contro il razionalismo in generale  e non contro le obbiezioni che gli avvengono dal nostro particolare sistema. Questa confusione e ri- mescolamento di sistemi disparati come quello di Kant e il mio pu esser fiato nell'animo del G. M. dalla parola w forma  che usa Kant , e di cui uso io pure. Ma io mi spiego; e dimostro quanto immensamente sia diverso il significato in cui adopero io la parola di forma della ragione, da quello in cui l'adopera Kant ( Sez. IV e. Ili art. xii xv; e. lY^ art. u; Sex.. V, e XXIY art. VII ). Non accetto adunque alcuna comuuioue con Kuul u alcuna insolidariet con quelli co' quafi convengo nella parola di forma , Rosxuriy // Rinnovamento, 68 538 a Quando si voglia instare ed aggiungere che qualunque fa-  colta e operazione lelP animo, apj)artenendo a un essere li-  milato di sua natura e condizionale, non pu produrre a cosa, in cui splende il carattere deirimmutabilit, ddla  necessit e dell' universalit , noi replichiamo all' istanza u torcendola tutta contro gli autori suoi (i): conciossiact u pure le forme ingenite della mente, e i suoi giudici! a priori,  e tutta la macchina della ragion piu-a  accidente e opera-  zione d'un essere limitato (2), mutabile e condizionale: quindi M o conviene asserire che non siamo noi quelli i quali pen-  siamo la ragion pui'a (3), ovvero che la sua inunutaLilit e I necessit  apparente e non reale  (4). n favellare di tal modo ,  un diu'si vinto ^  un confessare di non aver nulla a replicare contro quella terribile obbiezione, che se la verit   un atto dell'anima umana , ella dee es- sere contingente e instabile come questa. disconvenendo nel significato: ma erodo di domandare qualche cosa di eoo* forme all'equit > quando esigo che quelli che vogliono confutare il mio si- stema, si dieno la pena di s.ipere qual sia. (1) Gli autori suoi sono i pi grand' uomini che vissero sulla terra: uno de^ quali  certo s. Agostino , che di frequente nelle sue opere dimostri come la verit veduta dall'anima  cosa interamente superiore airanioit stessa^ la quale  mutabile e contingente, quando la verit veduta  di Datura immutabile ed eterna. Ved. lib. II de DocL ChrisL e. XXXVIlt (2) Io non so che niun filosofu abbia ammesso ingenite nelFanima delle forme che sieno m accidente e operazione dell'anima stessa  : le operaxiooi non possono esser forme: ci ha un non-senso. (3) Questa obbiezione ha solo forza contro di quelli che ammettono nell'anima delle forme simili a qiH.-lIe di Kant, determinate , e detcrrnuumli', ma nulla pu contro la nostra teoria, che ammette una sola forma, ufe- terminata , la quale  qnrila essenza che tutti gli uomini chiamano tsiita', come ho dimostrato nella Sez. VI del N, Saggio.  Altro  il principio pensante^ altro la cosa pensata. Conviene poter dimostrare, che il priiiQ- pio pensante d legge alla cosa pensata, la altera o contraini, perch li cosa pensata si possa dire una illusione. Basta che ci rimanga possibSe, perch il dubbio dello scetticismo sussista. E contrario, se si dimostra im- possibile che F oggetto del pensiero sia alterato dall'alto del (x*nsicro,b certezza e b verit  mantenuta agli uomini : ecco ci clic couvicn dimo" strarsi contro gli sceltici. (4) P. I, e. XVf , 3." afoi 539 E 5n vero, quella obbiezione degli scettici non ha risposta, fino a che si mantiene esser la verit un morh ^ un atto , o comeecliessia appartenente alla natura delP anima. Questo ammonisce ogni amatore della verit, di non doverla porre nella natura deU^ anima, n farla da essa dipendente, ma si d riconoscerla per (jualcbe cosa distinta al tutto dalPanima^ e air anima infinitamente superiore* Ma il C. M. risponde, che quand^anco ella si ponga cosa distinta dalP anima, e non nutazione, una produzione, o un modo di lei, noi tuttavia non guarentiamo meglio alla verit le egregie sue doti di necessit, d^ immutabilit ecc., perocch ella  finalmente sempre Fanima quella che la kituisce. Di qui conchiude , che la sua inmiutabilit e necessit o dipende dalFa- nima^ o  apparente e non reale. Merita bene questa risposta del N. A. che noi la sottomet- tiamo ad una giusta critica , facendo apparire la diflerenza del suo sistema dal nostro, rispetto alle guarentigie della verit. E anche questa discussione, a maggior chiarezza, esporremo in un dialoghetto con Maurizio. Dialogo. M. Io non veggo come la verit stia meglio guarentita, col farla un oggetto dello spirito nostro, anzich una opcraziofie. d lui, o un suo modo ^ o insomma cosa a lui comecchessia partenente. Imperocch lo spirito c'entra sempre^  egli sempre quegli che la intuisce , e con ci la fa cosa sua : per egli dee aggiungere alla verit, in percependola , la propria contingenza e limitazione^ e se la verit non mostra al di fuori queste qua- lit, esse ci debbono esser sotto nascoste, e le sue contrarie di necessit e universalit essere apparenza, illusione. ji. Non siete solo, Maurizio mio, a discorrerla cosi: il vo- stro ragionare appartiene alla filosofia corrente. E io voglio farmi ad esaminarne con voi Pintrinseco valore, se egli vi piace. j8f. Sapete gi se mi piaccia, quando il maggior piacere di mia povera vita  pur quello di starmi con voi , e di udirvi a filosofare^ u Ch'altro diletto che imparar non provo . 54o A> Bene adunque. Ditemi da prima, non  egli fuori di controversia, che se la verit intuita  un modo del nostro spirito, od una sua produzione, ella non pu essere se non contingente, limitata, e condizionata come il nostro spirito? M. Non pu negarsi. A. Poniamo dunque intanto fra le cose certe, che que' filo- sofi, i quali fanno della verit intuita dall'uomo un aXba del- Puomo, o un modo suo, non possono guarentire n TimmutaLi- lit, n la necessit, n P universalit del vero. M, Certo . A. E per, che distruggono la verit e la certezza; la quale non  tale, se non a condizione d^ essere Immutabile, neces- saria, e Faltrc doti indicate. M, Cos; ma se ci voltiamo dall'altra parte, troviamo forse di meglio? Faremmo noi come l'ammalato  Che con dar volta suo dolore schci-ma ?  Quand' anco questa verit fosse cosa distinta dallo spirito ,  pur lo spirito quegli clic la intuisce: per lo spirito finalmente le d la sua propria forma e natura. A, Che lo spirito nostro contingente e limitato sia quegli che intuisce la verit,  cosa fuori di controversia. Ma non  nuca fuori di controversia , che , se intuisce la verit , egli debba per qnesto alterare la verit coll'atto di sua intuizione, e cangiale natura , dandole la propria. Quale prova ne potreste voi arre- care? Imperciocch egli non basta in filosofia l'afiermarlo.o il supporlo gratuitamente. ilf. A me sembra che non istia a me il provar ci ^ ma n bene a voi il contrario. Perocch se soprastessc un solo dubbio, non forse lo spirito, in vedere la verit , portasse in lei qualche alterazione^ ci solo basterebbe a rendere dubbiosa la cosa veduta, e priva di ogni certezza. E vi tocca a mostrare fin anco del tutto impossibile , che lo spirito rechi in essa qualche alterazione \ il che vuol riuscirvi difficile assai, a me pare. Che se pur volete lasciare a me il provare, vorrei dedurre una di- mostrazione del mio assunto da questo grande principio, che tt gli atti 8011 ricevuti secondo la forma del ricevente 9> , e che 541 ce ad ogni azione risponde la reazione " (i). Voi vedete, che queste sono di quelle dignit che a governano Fumana espe- rienza n (2). Or se Poggetto intuito dalla mente nostra, anche esistesse in s stesso, noi noi vedremmo punto in s, ma in quanto agisce in noi^ e se agisce in noi, dovendo Fazione esser ricevuta secondo la forma del ricevente , voi vedete , che il no stro spirito non vede che la passione che sofferisce, la quale  un effetto delP azione estema dell^ oggetto e della legge ve* niente dalla natura del soggetto stesso. A. Maurizio mio, voi mi dite di molte cose: io ho bisogno di prenderne ad esaminare una alla volta. M. Qual vorrete la prima. A. Vi osserver in primo luogo, che mi toccate un tasto che mi stride, quando anche voi mi parlate, con tanta sicirezza, di tf dignit che governano Pesperienza umana y>. Sappiate, che in queste  dignit, che si fanno govematrici dell^esperieiza 9 ^ sta la rovina delP esperienza stessa. Quelli che si dicom  la scuola sperimentale t, niente meno seguono che Pespcrcnza^ imperocch hanno un mondo di dignit in testa, colle quali ac corciano, e protendono, e tormentano, e finalmente fannd spi- rare in sulla croce tutti i loro sperimenti. Ci vuole esperienza libera , non esperienza tiranneggiata da dignit arbitrarie^ fan- tastiche, le quali pretendono governare, e non mostrare i titoli di lor dominio. E pur questi titoli, se li avessero, averli do- vrebbero dall^esperienza stessa, a lei chiederli, e non iofipor- glieli. In sonmia i nostri sensisti prendono per dignit^ a gover- nar Pesperienza a loro senno , i pregiudizj di cui hanno pieno il corpo. M. Pur non veggo che troriate da appuntare sulle dignit indicate, che  gli atti son ricevuti secondo la forma del rice- vente n , e che  ad ogni azione risponde la reazione " . A. Volete voi che valgano per tutte le cose, o sussistenti o possibili? (i) Mamianl^ P. I, e. XI ^ v. U G. M. definisce la reazione cosi:  la fa- r colta di ricevere l'azione esterna , e di riceverla nel modo congruo aUa r propria natura j. P. II, e. XIV, 111. (3) Mamiani, P. I, e. XI, vi. pussanj avtvt: a uui igiiunjuei luiiu, o coi da juelle a cui ubbidiscono gli enti a iv donate respcrenza, e volete andate col essa, eessateri dal dichiararvi scuola speri cbe L solete prender voi questo detto, iide la reazione . E Funa e Faltra pertanto di queste due proposi- zioni (che dovete assai guardarvi dal confondere insieme (i)) sono vere dentro a certi limiti, ma sono assai lontane dall^es- sere universali, come voi ve le facevate. M. Voi mi &te stupire, dicendomi che non volete che valga n pure per ispiegare ci che avviene ne^ sensi, la. proposizioiie che a alPazione risponde una reazione n. A. yP intenderete agevolmente. BT accordate voi che h sen- sazione non  un semplice movimento del corpo, ma bensi una cosa solo concomitante al movimento delle fibre dell^ or- gano sensitivo? M. L^avete dimostrato irrepugnabilmente nel N. Sag^o (a). A. Or bene; quando una punta mi ferisce un faraocio, che cosa fa ella? M. Ella non fa che agire colle leggi di un corpo inanimato, cio di sospingere le particelle corporee in quel luogo ov' ella s^infigge.  queste particelle corporee prima resistono, per Finer- zia, alla sua azione, e poi si ritirano sempre resistendo, secondo le leggi generali a cui sono sommessi  movimenti di tutti i corpi: e qui appunto sta la reazione. A. Avete risposto egregiamente , o Maurizio. Voi avete tro- vata Fazione e la reazione consistenti in una spinta e in una resistenza, in un corpo che vuol comunicare il suo moto, ed in un corpo che ne riceve la comunicazione reagendo quanto pu. Ma con tutta questa azione e reazione per, avete voi ancora trovata la sensazione? siete arrivato a produrla mediante que- sto meccanismo? M. Io gi vi ho confessato, che in questo meccanismo non (i) n C. AL prende Tuna per l'altra, (a) Sez. V, e. XXIV, art. u. pu ri[K)rsi la scnsawone , poich in queslo meccanismo non c' che moto locale, e la sensazione  tutt' allibo (i). ji. Dunque, dico io, nelle circostanze del fatto onde in noi sorgono le sensazioni, si trova azione e reazione indipendente- mente al tutto dalla sensazione. Se egli  adunq[ue vero che nella sensazione v^ abbia una vera azione e una vera reazione, oonvien prima di tutto guardarsi dal credere, che questa azione e questa reazione sia quella che interviene fra il coi^ stimolante e V organo stimolato , consistente in modificazioni al tutto ma- teriali e di moto locale. La sensazione air opposto insorge a lato, per cos dire, di tal movimento, contemporanea aireffet- tuarsi della operazione meccanica, ma senza per che ella mostri di a /ere con essa la minima simiglianza, la minima ana- logia. Dir di pi ( cosa che si trascura al tutto di osservare), la sensazione non insorge, non si fa di nuovo, ma solo si mo- difica: giacch non v^ha che un sentimento continuo, fonda- mentale, che ci costituisce come animali^ le modificazioni del qnale sono poi le sensazioni transitorie (i). Finalmente, chi profondisce la cosa intende a pieno, che la sensazione e il mifimento son cose che si escludono insieme, perocch Tuna appartiene al soggetto, e Taltro all^ oggetto (3). Gonvien dun- que, volendo cercare Fazione e la reazione nel fatto della sen- sazione, prescindere da ogni corpo oggettivamente contemplato, e rinserrarsi neUa sensazione sola, quale ella  nella sua intema semplicissima natura. Or qui egli  certo, che noi troviamo una passione: sentire  indubitatamente patire. Ma chi ci fa patire? dove  questo agente? egli si nasconde, egli si fura agli (i) L'illusione sta sempre qai, di prendere il moto per U sensazione, il concomitante per la cosa conoomitata^ o se si vuole^ Vatiivo pel passivo, m* pedocle, volendo spiegare la sensazione dell'udito, disse che ella nasceva r dalla battitura dell'aria nella parte dell' orecchio , la quale a guisa di tt chiocciola  torta in giro, stando sospesa dentro e come un sonaglio pei- 4 COSSO M. Questa stmiUtudine del sonaglio percosso appaga molti a primo tratto. Ma dato anco il sonaglio percosso, non fa ancora bisogno l'orecchio che ne percepisca il suono? Il sonaglio dunque non ispiega l'orecchio, senza ti quale esso non suona. (!) Ved. H, Saggio ecC. Sex.. V, e. XI, art. tu. (3) N. Saggio ecc. Sez. V e. XI, art; v. 548 occhi nostri^ e avviluppato nelle tenebre, come ^li , che cosa potiamo noi pronunciare di lui (i)7 La sensazione ci testimonia la sua esistenza, ma non la sua natura. Noi non sappiamo adunque se risenta egli stesso qualche reazione dal suo operare sopra di noi. Ma sarebbe cosa troppo gratuita il supporlo: tanto pi, che se noi reagissimo su di lui, egli parrebbe che 3 dovremmo sapere. Diremo forse, che la reazione nostra aDe sensazioni si consuma dentro di noi, e non passa nell^ agente esteriore da noi diverso? In primo luogo, o si parla di una reazione che si compie innanzi che la sensazione in noi sia suscitata, o dopo gi suscitata la sensazione. Innanzi suscitata, noi non siamo consapevoli di alcuna reazione, n di alcuna azione^ per non possiamo affermarla. Dopo che la sensazione transitoria  suscitata, ella  inutile ogni reazione^ e contro chi reagiremmo? contro la sensazione nostra, che gi abbiamo ammessa 7 * Sar dunque nello stesso atto del formarsi la sen- sazione.  Ma trattandosi di sensazioni organiche,  egli in no- stro potere, dato il movimento necessariamente concomitante, Fevitarle?  in nostro potere Pimpedirle? possiamo &re ad esse la pi piccola opposizione?  Intendo come mi possano spia- cere se son dolorose, come posso lamentarmene, come posso evi- tame Toccasione estema, come posso non prestar loro attenzione e fino sopprimerne in me la coscienza^ ma fare resistenza alla sensazione stessa (nello stato presente dell^uomo), non veggo io come. L^uomo  sommesso alla legge del sentire^ n vak difesa o schermo veruno contro di lei, quando gi son poste tutte le condizioni del sentire. Non si pu adunque concepire nessuna specie di reazione^ dove non si pu concepire nessuna specie di resistenza'^ si pu solo immaginarla, cio si pu so- gnarla^ il che appunto si fa da^ nostri filosofi sperimentali ra- gionando a priori^ cio dal preteso principio universale che non si d azione senza che v^ abbia altres una corrispondente reazione. M. Da vero che io non mi aspettavo di veder prostrato in (i)  ci che abbiamo chiainato il corpo soggeilivaineate coosdeFilo. jd. N, SaesLo ecc. Scz. V. e. XI. Ved. N* Saggio ecc. Scz. V, e. XI. 549 terra s fattamente un principio , che io mi tenevo , a dirvi il ero, come un articolo di fede filosofica. A. Dite bene, un articolo di fede, ma non una sentenza di*h)aBio la sen- sazione fisica del sole^ e dall^altra pensiamo a queitai sensa^ne del sole. Abbiamo dunque dentro di noi tutto : ci che si iri^ chiede a poter rilevare se il pensiero alteri  o no .colla sua azione la sensazione^ o se la sensazione del sole resti in noi la medesima quando la pensiamo, o quando non la pensiamo. Vedete adunque qua Pesperenza fatta dentro di toi sulla ma- niera di operare del pensiero: Tesperienza vi fa eerta testimo^ nianzli, che Fazione del pensiero, al tutto diversa dall\ altre azioni reali, non altera punto gli oggetti su^ quali si adopera, n incontra da essi reazione veruna^ perocch io posso pensare qnant^ io voglio la mia sensazione , e per questo non la can- gio, n la modifico. M. Non mi aspettavo una prova sperimentale in tali argo- menti.  Io mi convinco da ci che avete detto , essere il pen- siero un cotal modo di operare, che non altera punto n poco gli oggetti suoi. Per altro, dall^istante che il pensiero dipende dal senso, e il senso voi medesimo dite non ricevere in s se non una cotale azione parziale dalle cose, la qual produce in esso senso un efletto, che delle cose non  alcun ritratto vera- mente, ma solo un cotal vestigio, o traccia tutta diversa dalle cose stesse; rimane che anco il pensiero, che abbisogna di que- sta materia a concepire, non possa mai dirci la verit. ji. Pi tosto dovrete farvi a distinguere nelle concezioni no- stre intellettive due parti, la loro materia e la loro forma, quello che pone il senso, e quello che pone il pensiero stesso. L^esempio della concezione ddl sola materiale, che cadde acci- dentalmente fira^ nostri ragionamenti, ci devi alquanto dalPar- ^mento propostoci. E non vi ricorda che noi parlavamo della Tcrit? or le sensazioni non sono quelle che costituiscono la Terit, ma  il pensiero, Fidea, quello che la costituisce. Mm Ma come pensare senza sensazioni, senza materia di pensare? onde le idee nascono, secondo il vostro stesso sistema, se non per occasione delle sensazioni, almeno la maipslfna parte, e pigliando dalle sensazioni, per cosi dire, la loro oonfigu* razine? j. Maurizio mio, fra il saper tatto e il saper qnaldie eosa' fate voi differenza? M. Grandissima. j. Or credete voi, che quando si tratta di ribattere lo soet* ticismo, 6 di mantenere all^nomo il possesso della verit, si voglia con questo prendere a dimostrare, che Puomo sappia tutte le cte, e non ne ignori veruna? M. L* assunto sarebbe ridicolo. ~ j. Che dunque vuol dire mantenere all'uomo il possesio della verit? pensateci un poco. M. A me pare, or che ci penso, che quando anco dimo- strar si potesse , Puomo conoscere con certezza una verit sola, lo scetticismo sarebbe confutato appieno; perocch sarebbe pro- vato, che Puomo ha il lume col qual vedere e accertarsi ddla verit, sebbene questo lume noi potesse usare che per una ve- rit sola. Per intendo benissimo la differenza che mi fate no- tare fra il conoscere la verit, e il conoscere Puna o Paltra verit. A. Avete clto ci che io vi volevo dire. Che se poi si giunge non solo a provare che Puomo possiede con certezza una o pi verit, ma altres che egli possiede tante verit e di tal natura, quante e quali gli bisognano a porre i fondamenti in- concussi della giustizia, della perfezione, della felicit a coi  destinato; non solo rimarrebbe confritato lo scetticismo, ma ben anco impedita ogni rea conseguenza che si volesse de- durre dalla conceduta ignoranza dell^uomo. M. Non  a contraddire. Riman per, che mi mostriate, come alcuna verit almeno si rimanga salva, dopo quello che m^avete accordato circa la natura delle sensazionL A. Ripigliamo la concezione del sole, per non moltiplicare gli csempj. Vi pare egli a voi , che questa concezione racchiuda una notizia sola, o pi? M. Veggo che quando io concepisco coll^ intelletto ilsok, so, o almeno io credo di sapere due cose, Puna che il sole , e Paltra come o che cosa . 553 j. Ottimamente. Ora riflettete anche un poco : noi abbiamo letto, che il sole esercita da prima la sua azione sui nostri sensi, per esempio sul uosti'i occhi, mediautc i suoi raggi ^ e die r effetto che produce nel nostro sentimento, non  una rap presentazione fedele e adeguata del sole, ma solamente un ef- fetto, e come un vestigio di lui, un cotal segno che lascia in noi del suo operare. Or qual principio v^ha in noi, che in- tende per cos dire questo segno, e dal segno argomenta alla cosa segnata, dalP effetto alla causa? M. Certo la virt di pensare che  in noi. A, Ma questa virt di pensare, che cosa viene argomen- tando dal segno che il sole ci ha lasciato, cio dalla sensazione che ha in noi mossa? M, Primieramente, che il sole , e in secondo luogo, che egli  quello che ha prodotta in noi quella sensazione o specie fisi va (i). A. Non potevate risponder meglio. Di queste due notizie fermiamoci alla prima. Dal segno adunque, cio dalla sensa- aone il pensiero argomenta che il sole ? il/. Indubitatamente. A, Vedete voi qui, o Maurizio, che altro  il segno, la sensazione, e altro  la cosa argomentata dal segno, cio resistenza del sole? M. Gharaiucnte lo veggo. A. Vedete anco, che il segno, la sensazione riman fuori e al tutto separata dalla notizia a cui si conchiude per suo mezzo , e non serve al pensiero se non puramente conie di un punto d^appoggio, per cosi dire, a spiccare il suo salto, e rag- giungere la verit dell^ esistenza del sole? M. Anche questo. A. E che perci stesso, tutto quello che v^ha dMnfedele e di limitato, o, se volete che dica, di falso nella sensazione del sole, non passa punto nella notizia della sua esistenza, la (i) Avvertasi che qui non si tratta gi^ di provare l'esistenza de' corpi esteriori^ o il principio di causalit; il quale si suppone provato; ma non si vuole che sciorre i' obbiezione che nasce contro al possesso della ve- rU dalle infedeli rappresentazioni del senso. Rosmini, // Jtiiiiovamento. jo 555 tilt! diceva U sole essere n pi n meno grande come ci ap- parisce a^ii occhi, or avr io indotto dirittamente dalla specie o apparenza visiva la grandezza del sole? M. Peggio tuttavia. ji. Or coll^avermi voi condannati tutti questi ragionamenti, sapete, voi che vi siete dato della mazza in sul pie? M. Come d? ^. Voi siete venuto confessando, che la spede o apparenza visiva, sebbene in s stessa infedele e non adeguata rappresen- tazione del sole , tuttavia non induce in errore necessariamente il mio pensiero^ perocch se m^nducesse in errore di neces sita, voi non avreste potuto accorgervi del mio sragionare, quando volevo indurre dalla spede o apparenza , che il sole fosse una congerie di carboni accesi , o una pietra infocata , o che fosse grande quanto una provinda di Grecia, o che avesse il diametro di due spanne. M. Verissimo, voi mi aprite qua  uno spiraglio della diva luce . j. Dunque conchiudiamo : oltre la sensazione o apparenza visiva del sole,  in noi un altro principio che giudica quel- r apparenza, e che ha virt in s di fard evitare ogni illusione che quell^ apparenza potesse produrd. Or un principio che giudica le sensazioni,  superiore alle sensazioni e da esse ne- cessariamente indipendente. Altro  dunque che la sensazione non ci rappresenti il sole tale quale , altro  che ella ci co- strnga a credere che il sole sia come essa ce lo presenta. Se la sensazione avesse virt di fard credere il sole tale quale ella ce lo presenta, P errore sarebbe irreparabile, e la verit perduta^ ma non facendod la sensazione che presentare un segno, un vestigio del sole e nulla pi, tocca poi a noi F ar- gomentare dirittamente da questo segno ci che si pu de- durne e ci che non si pu (i). (i) Aristotele fa un argomento simile coatro gli sceUici seosisti del sao tempo. Questi dicevano : non  altra cognizione , che il sentire. Ma questo  mutabile, dunque non si d^ verit. Aristotele risponde fra l'altre cose, che anche intorno al mutabile si d vertii ; per esempio , r l' affermare eh' esso  mutabile^  una verit immutabile m ( Metaph. Vf, Lect. Xm ). che non si pu ronosccr l'errore s rendendo generale questa vostra itin;^ue e ii ove l'uomo fosse dannato ad un giungerebbe mai ad accorgersene ^ Simo, e sicurissimo come fos^e nel S' Atenza dello scetticismo  una prova tictsmo- Or venendo a noi . sar cgl lume della verit, cbc ci vai tanto erfezione di questo, anzi la riconosce, la giudica, la cessa da s; 6 alPerrore non rimangono legati se non coloro, i quali alla ragione sostituiscono i sensi, e credono a questi ciecamente^ arbitrariamente, n sanno prezzare il lume intellettivo che  in essi, e dove solo  Palt seggio della divina verit. Jf. Ora panni di entrare ad intendere , come voi siete solito dire , che le idee non sono segni delle cose , ma sono le cose atesse intellette, o, come anche vi esprmete, sono a P intelligi- bilit delle cose . udf. Questo, che toccate,  un vero di sommo momento. Avete Veduto , come la specie visiva del sole  un segno ^ dal quale noi possiamo cavare, mediante il lume della ragione, delle cognizioni, ca le quali annoverammo Inesistenza del sole, e Tessere egli un agente estemo o cagione ( sebben parziale ) delle nostre sensazioni. Le quali due notizie, che il sole sia un ente, e che questo ente abbiasi un^ attivit determinata dalP effetto 559 modo, tanto meglio; ditemela ad un altro; io son certo che v^intender pia coU^udire da voi due parole, che col leggermi quell^ immenso vostro volume. A. Poltroncello! fuggi-fatica! M. Eh non sono poi solo. A. Bella scusa! ma non perdiam tempo. Torniamo, se vi {ace, alla nostra immagine visiva del sole. Poniamo di trarre da quella un concetto del sole, e. trarlo a sproposito quanto volete. M. Per esempio, che il sole sia  la lucerna del mondo n , come dice il divino nostro poeta, la qual consumi al giorno cento milioni di barili dell^olio del paradiso. A. 11^  delle vostre.  Or separiamo due cose dentro a questo vostro bel concetto del sole. Intendete voi, che altra cosa  pensare a questo grande lucemone, altra cosa il dire che il sole sia desso ? M* L^ intendo. A. Or dove pare a voi che consista Penorme sproposito? nel concetto di un si gran lucemone, o nel credere che sia desso appunto il sole? M. Veggo che P immaginarmi io una lucerna, grande o pic- cola cVella sia, purch non contenga nulla di logicamente ri- pugnante, non  ancora cadere in errore alcuno; e che per Terrore non consiste se non nell^ applicazione che io fo al sole, di questo concetto astratto della lucerna , pensando che il sole da il realizzamento , per cosi dire, della lucerna da me con- cepita. A. Per eccellenza! Or considerate, che Pidea di una si sfor- nata lucerna  ci che si chiama essenza, non gi P essenza lei sole (che nel crederla tale starebbe Perrore), ma una es- lenza quale ella , e nulla pi. Ecco adunque in che consista a intuizione delle essenze: come voi vedete, non  altro che ?intuizione di una cosa possibile, e per scevra di contraddi- done; che se nVvesse in s, non sarebbe pi tale. -f Veggo ora assai chiaro, che chi dice non conoscersi le assenze, non intende che cosa sieno le essenze. A. E io cosi credo: si confonde, vedete, V essenza colla jo- ttanza e colla sussistenza delle cose. Ma ib vi vo^ fare osservare 56i M, Voi avete mostrato che il pensiero non altera n T og- getto reale, n la sensazione che pure agli oggetti reali appar- tiene^ ma non parmi abbiate dimostrato ancor bene, che egli non possa in modo alcuno alterare le stesse sue idee, he Toi chiamate essenze delle cose. A. E bene ^ facciamo che il pensiero , in volgendosi a in- tuire un^ essenza o un^ idea , le appoitasse cpialcke alterazione. L^ essenza cos alterata dal pensiero racchiuderebbe ella qual- che logica contraddizione? M. No^ perocch se racchiudesse una contraddizione, ella non potrcbbesi pi pensare. A. Dunque l'alterazione che il pensiero pu portare alle idee od essenze, in ogni caso non consisterebbe in altro che in cangiarsi un' essenza in un' altra. M. Come fate venir voi questa conseguenza? A. Se l'essenza alterata non racchiude contraddizione,  an- ch'essa un'essenza. Imperocch abbiamo detto, che qualunque cosa si possa pensare come possibile, chiamasi essenza^ e tutto  possibile ci che non involge contraddizione^ M. Ben m'accorgo che io confondeva nell'animo mio la questione de' sussistenti^ colla questione delle essenze y le quali costituiscono l'ordine delle cose meramente possibili. A, Tale  l'en\)r comune de' filosofi moderni. Voi per ve- dete, che le essenze sono d'una natura essenzialmente ihalterst- bile^ imperocch ove si ponesse che il pensiero potesse alte- rarle, tutto ci non sarebbe una vera alterazione, ma la sosti- tuzione d'una essenza alPaltra. E il vedere pi tosto l'una che l'altra essenza, ninno en*ore contiene, ninna falsificazione della verit. Non si considera adunque abbastanza l'immenso numero delle essenze, non si considera che ogni concetto privo d'in- terna ripugnanza chiamasi essenza. Qual maraviglia perci, che il pensiero possa bens passare dal contemplare una essnza al contemplamento d'un'^altra, ma non mai possa alterarne al- cuna? Conciossiach ad andare il pensiero fuori delle essen- ze, ad affissarsi in qualche cosa che essenza non fosse, si richie- derebbe nulla meno, che di pervenire ad un oggetto che invol- gesse in s stesso contraddizione : cio ad un oggetto che non BosMim, // Rinnovamento. 71 56a potrebbe essere menomamente concepito dal pensiero. Le es* scnze adunque sono P oggetto necessario del pensiero^ di gui- sa, che pu bene il pensiero delP uomo cessare, ma fino cbe c^ pensiero nel? uomo, non pu esservi che a condizione che egli termini nelle essenze delle cose, senza poter mai uscire meno- mamente dalla sfera di esse : conciossiach nessuna potenza pu uscire da' suoi oggetti. Intendete voi, che questa condizione  intrinsecamente necessai*ia al pensiero? e che per ella entra a formar parte dell'essenza del pensiero anche questa legge, achV gli non alteri i suoi oggetti ideali-, per s fatto modo, che s'e- gli li alterasse^ gi non sarebbe pi pensiero? 3f. Non ebbi mai posto attenzione a cos stretto argomento. jl. O sia adunque che voi consideriate la natura del pen- siero, o sia che consideriate la natura delle essenze oggetto del pensiei*o, voi pervenite allo stesso risultamento. Se consi- derate il pensiero, vi  forza di convenire, che il suo oggetto sono tutte le essenze delle cose , e che gli  lecito solo di tra- passare a contemplar Puna dopo l'altra, ma non mai di alteme possibile. Or la concezione suppone che si possa conce- pire il disperso da s, cio de' possibili, tutti diversi fra loro, e diversi da me medesimo. Per la concezione o Tintelligenza  un fatto singolare, che o conviene negarlo al tutto, o pure ammettere che in esso avvenga, che gli enti possibili, le idee, le essenze delle cose giacciano nella mente di chi le intuisce senza confondersi con essa, senza diventare modificazioni di essa, o avere colle modificazioni di essa alcuna similitudine o analogia. M, Convengo, che dite assai bene. Conciossiach se la natura degli enti possibili sta appunto nell'' essere intelligibili, essi sono necessariamente quelli che appariscono, sono quelli che si conoscono essere, non consistendo in altro la loro natura, se non in ci che di loro si pu affermare e conoscere. Se dun- que si afferma di essi, che sono, o che sono d'uno o d'altro modo, purch senza contraddizione, forz' che sien tali. A. E or vedete quanto sia sbagliato il ragionamento di certi filosofi; T quali s'avvisano, chela natura oggettiva dell'en- te, intm'to dall'anima nostra, non g' impedisca punto d'essere qualche cosa d'interiore a noi, qualche cosa a noi apparte- 568 nentc, qualche nostra modificazione, perocch, dicono, noi con' cepiamo anche noi stessi come oggetto del pensiero, e tuttavia noi non ci facciamo estemi per questo a noi stessi (i). M. Certo. Conciossiach quando noi concepiamo o afTermiamo noi stessi, noi non ci affermiamo mica per diversi da noi^e Pente intelligibile che si concepisce  quello appunto , come voi mi avete osservato, che da noi si afTerma, quello a cui si rife- risce la nostra affermazione^ e chi il fa qualche altra cosa, lavora d^ immaginazione. A. E aggiungete due cose. La prima, che F esempio arrecato della concezione e affermazione di noi stessi, prova che la con* cezione intellettiva delle cose  fedele , e non ne altera punto la natura^ i la prova sperimentale da noi gi prima addotta^ pe- rocch d^una parte abbiamo la concezione di noi, dall'altra noi stessi sentiamo che cosa siamo *, e raffrontando il sentimato alla concezione^ veggiamo che quello non c^inganna, n punto si altera per questa. La seconda si  ( e vorrei che ben la con- sideraste), che quelPesempio  recato a tutto sproposito^ con- ciossiach non si tratta nel ragionamento nostro di cose sus- sistenti, nell^ alternazion delle quali ci potremmo ingannare, non mai per di necessit logica^ ma trattasi di possibili ^ o sia di cose meramente concepite. Hassi adunque a distinguere w stessi, dalla concezione o idea di un noi. L^idea d^ un ooi, non siamo noi. Non  dunque vero che il noi concepito me- ramente, e non affermato sussistente, il noi nella stia possibi- lit, o, che  il medesimo, nella sua essenza, sia una cosa identica con noi stessi sussistenti^ ma Tidea di un noi  tanto diversa da noi sussistenti, quanto tutte V altre idee delle cose. Sicch si pu tanto ben dire, che Pidca di una stella, o di un fiore, o di un pesce sia da noi diversa, appunto per P oggettinti sua^ quanto si pu dire che sia diversa da noi Pidea di un (i) M E di vero la nostra spontaueit medesima non diviene a dascoB n istante oggeUo della conoscenza nostra riflessa , e perci non rimane (ii-  stinta dal nuovo atto di conoscenza? nieutedmanco la spontaneit nostri  per essere con oepita oggettivamente.  nessuna idea si pu applicare la de- nominazione di esterna o dMntema, di dentro e di fuori. Ui^idea, come pure un^ anima quant^ intelligente, non ha (jueste relazioni collo spazio, che appartengono solo alle cose corporee. UnMdea  in s stessa, e non in un luogo. Un^idea si pu dire nclPanima, quando  intm'ta dalP anima ^ ma non  gi nell^ anima, come la minestra  nella pignatta^ ma in tut- t^altro modo, che non ha similitudine nelle cose corporee^ in un modo, che si dee dal filosofo guardare in faccia, per cosi dire, e cos riconoscerlo^ non di sbieco, cio indurlo per ana- logia de^ corpi, per immaginativa, per arbitraria argomentazione a priori. JH' E parmi ora di travedere anco, come lo spirito, sebben semplice, possa intendere le cose vestite di spazio. yi. Vi sar facile ; conciossiach V idea deU^ estensione  semplice anch^essa come tutte Paltre idee, e per anche lo spazio vedesi dalP intelligenza in un modo al tutto semplice, e fiori dello spazio. M. Questo tocca da vicino quella terribile questione circa il ponte , che si dimandava fra la nostra mente e le cose. ji. Cos  ^ era quello un materiale e al tutto falso modo di favellare messo innanzi da^ sensisti^ ed esso confondeva la mente, e le impediva di vedere il vero. Fatto sta , che la stessa esteriorit ( se cos si vuol chiamare il corpo, o Io spazio) non  che uno de^ modi, onde quel genere di enti che si chia- mano estesi sono diversi da noi : e questa esteriorit ha la sua idea: e Pidea della esteriorit non  n esteriore, n interiore:  pura, semplice, spirituale, distinta dall^ anima, come tutte le altre. Or chi potr negare alla mente la concezione delle cose esteme, cio degli estesi, come di tutte Paltre cose diverse da noi, se ella pu concepire e veramente concepisce tutte queste cose? M. Verissimo. Rendovi grazie^ io n^ ho abbastanza per que- sta fiata , da meditarci un buon tratto. Rosmini, // RmovamerUo. 72 CAPITOLO XLVUL COME IL SENSISMO ABBIA SEMPRE CONDOTTO 1 FILOSOFI ALLO SCETTICISMO. Riassumendo le cose ragionate nel precedente Dialogo, noi veder possiamo F origine e la natura dello scetticismo de' seiH sualisti di tutti i tempi (i). Lo scetticismo diventa inevitabile, tostoch si abbiano levate dall'uomo le idee, nelle quali sta P intelligibilit delle cose, e lasciate le sole sensazioni.  volendo segnare i passi di una mente cbe rovina in tanto errore, vedremo agevolmente, cbe I .** U primo sbaglio di essa avviene per poco acume in ossero vare, che quando parliamo noi di una cosa sentita, per esem- pio di un anello, di un fiore, di un vaso, quella cosa  di- venuta oggetto di nostra attenzione per due atti nostri con- temporanei, e non per un solo, cio per Fatto del sentire e per Patto del concepire intellettivo. Ai sensisti all'incontro sfugge sempre, per negligenza d' osservare, questo secondo atto, cbe rimane loro coperto, per cosi dire, e occultato dal primo pi vivace ed eccitante l'attenzione : e si persuadono che la nostra percezione della cosa estema sia im fenomeno semplice, il quale avvenga pel solo atto della sensazione, a cui attribui- scono anche Pefifetto intellettivo, cbe da queUo del sentire non discemono. 2. Dopo questo primo sbaglio, ne viene un altro di con- seguente^ quello di credere, che noi non sappiamo nuDa della cosa sentita, pi di ci che si contiene nella sensaoiie. (i) Que' sensisti i quali DomiDano Aristotele come certo loro patrocina- tore^ ioli manderei a leggere attentamente il L. Vf de' M&iafisici , che ipi di loro probabilmente non hanno mai letto. Ivi molte cose troveranno^ idonee a modificare il concetto che a' ha volgarmente di questo filosofo; e fra l' altre il vedranno occupato a cercar l' origine dello sceitidsnio di alcuni filosofi che lo precedettero^ e trovarla tuUa nel loro sensismo. A M questi dubitatori 4 die' egli^ nasce dalle cose sensibili la loro opinione  che sieno insieme cose contradditorie e contrarie  veggendo (ne' semi)  dallo stesso agente succedere conlrarj eifetti m. (Lect. X) 7' Si crede tuttavia, in questo perodo, di saper molto, perocch  suppone che nella sensazione abbiavi una fedele immagine della cosa. 3.* Ma ben presto nasce il disinganno. Si rileva, meditando meglio, che nella sensazione non v'ha nulla di simile alla cosa concepita^ senza tuttavia riflettere, che non potrebbe ci affer- marsi giammai da colui che non avesse una concezione della cosa, diversa da essa sensazione. 4.* A questo rilievo tien dietro il terzo ed ultimo errore, che  lo scetticismo stesso^ allora il Glosofo ci dichiara, che noi non sappiamo niente, niente al tutto della verit delle cose, e che il sapere umano  una pura apparenza (i). Tutti questi anelli della catena delP errore che avvolge e strnge i sensisti, si possono agevolmente riassumere nell'erronea mredenza, che  se v'ha cognizione, questa non sia o non possa esser altro che la rappresentazione delle cose, fattaci dalla sedazione  ^ il che finalmente  un abusare della sensazione, nn volere che ella ci dica quello che non ci dice, e che non  nata a dirci. Venuti a questo termine, gli scettici si dirdono fra di loro in pi classL I .^ Alcuni conchiudono, che tutto ci che sa Pnomo,  per- (i) Questo progresso di concepimenti erronei nasce dalla loro intrnseca coerenza; e per si Yede ripetersi nella storia della filosofia. Quanto attempi moderni^ ciascuno ne sentir , credo , la verit. Rechiamo un esempio tratto dalla storia antica. Aristippo di Cirene avea dato il primo e il secondo passo di quelli da noi sopra distinti, dichiarando soli oggetti del conoscere^ le sensazioni, e queste perci soli criierj di verit. Egli non s'era avveduto, die per lui non rimanea oggmai pi verit. Ma se n' avvide ben tosto un suo successore^ Teodoro pure di Cirene, discepolo di suo nipote ( del se- condo Aristippo); e qnesti diede il terzo passo, dichiarando aperto, le sensazioni non avere alcun valore oggettivo. Ritenendo adunque che qvelle fossero le sole nostre cognizioni, neg a queste stesse l'oggettiva ve- rit, e tolse di mezio ogni criterio della certezza. Prima ancora che nascesse la setta de' Cirenaici^ si vede lo stesso pro- gresso nelle idee di Protagora e di Teodoro. Adunque Protagora e Teodoro sono scenici confessi; Leucippo, Ari- slippo ed altri sensisti sono scettici non confessi ma convinti. sonale^ e che vi hanno tante sapienze apparenti, quanti sono gli uomini (i). a.* Altri considerano, che lo stesso sentire avendo le sue leggi costanti, vi dee avere nelle sensazioni di tutto il com- plesso degli uomini qualche cosa di comune , e questa imifor- mit nel sentire dee costituire uno stato normale ( espressione tolta da^ medici), e quindi una cotale verit relativa, a cui si dee riportare il sentire de^ singolari uomini^ e trovatolsi di- scordante, dichiararlo non-normale, morboso (2). 3^ Alcimi, dal vedere esser tolto all^uomo il possesso della verit assoluta, si gittarono in una cotale misantropia, in un odio della specie umana ^ di s stessi , dichiarando nulla avervi di buono, fuorch la morte (3). (i) DoUriaa i Protagora: afierinava m esser vero a ciascuno ci che a lui MpareM;T ^i>/ufey ^xdvrp rovro xoti* tvat  nelle quali non si pu gi distinguere uua parte n* rabile, ed un'altra non variabile. (a) Platone nel Sofista parla di certi filosofi che negavano la perfetta immaterialit dello sprito, ma non osavano di far ci delle idee, deOe quali dicevano  od esser nulla, o certo non esser corpi #2 avox^/mru rJv niv ^0X.'*9 t*y'*'>fy ^oxiv a-^t'a- a-tiO, ri xixT>fV>flri . pfitvtwiw dt* xa/ rm9 XkM9 iMi^Tor V9 fftirMXotq , i?vft ^f rrt9 ^vyx'^t*^^ vvfiarov ^ f*^fxf/*. In fatti dall'esistenza di enti dif non abbiano estensione n rapporto alcuno coll'estensione^ dipendono tutte le pi sublimi verit che nobilitano V umana specie : la moralit , la gene- rositf la contemplazione del bello , la religione pende a questo solo punto. B la semplicit stessa dello spirito e un conseguente di quella delle id* etwr 9 diw io^tvm Stob. Serra. XI. (a) Sd* di vitt olXh^U ' ^^^ '^i ffw ottitn Stob. Senti. XI. (,3) Vedi il iV. Sa^io ecc. Sci. VI , e. U. ^79 aversi peVduta la chiave^ anche qui non mi terr dallMndu- giare un poco, cadendomi in acconcio, a chiarire una distin- zione comunissima a^ primi maestri della filosofia, i quali dili- gentemente separavano la scienza dalla opinione. Dico, che mi cade in acconcio^ perocch vedemmo nel ca- |ntol precedente, che ove sole s^ avessero le sensazioni, non si potrebbe ragionare n pure delle sensazioni, cio non si potrebbe saper cos^ alcuna, reso impossibile, o pia tosto tolto via il sapere stesso: e cosi all^opposto, conservate le idee, . salvo il sapere^ il quale in ci che pronuncia  immutabile e necessario, e dicesi scienza; ma sempre egli pronunciar non pa, attesa la natura de' suoi oggetti, 4d la limitata congiun- zione che l'uomo ha con essi^ e tale limitazione sua gli fa na- scer quella persuasione , che gi opinione venne denominata. Or questo  ci che io voglio un po' meglio chiarire, in ser- vigio dell'antica filosofia, e delle dottrine che propugniamo. Gi dissi, che l'errore de' sensisti scettici ha il suo fonda- mento nella persuasione, formatasi loro nell'animo, che  se v'ha cognizione per l'uomo , questa non possa esser altro che la rappresentazione delle cose fattaci dalla sensazione  . Essi per un certo tempo prendono la sensazione, in vece che per un se- gno o efietto dell'azione deUe cose, per un loro ritratto^ e quando poi s' accorgono che questo preteso ritratto non  ritratto , sdlora diventano scettici. Or bench, senza l'uso dell'intelli- genza, e per senza le idee, essi non potrebbero dire della sensazione n ch'ella  ritratto n ch'ella  segno; tuttavia, conceduta e ammessa l'intelligenza giudicante delle sensazioni mediante le idee, egli  possibile l'uno e l'altro di que' due g^udizj: cio si pu giudicare tanto che le sensazioni sicno ritratti delle cose, come che eUe sieno meri segni di queste od efietti. Ma  da notarsi , che l'uomo  inclinato per natura a fare 11 primo giudizio, sebbene in un modo pratico e provvisorio. E inclinato, per ragione di esempio, a credere che i colori, [ suoni, gli odori ecc. appartengano in proprio ai corpi come juallt reali, loro Inerenti, e non come efietti in noi prodotti. Quando nasce la filosofia, ella ritiene alquanto di tempo questo pregiudizio^ e diviene nelle sue mani un vero errore, ci che 58o non era nella mente de^ volgari^ imperocch il filosofo consi- dera quella credenza come un vero rigoroso su cui argomenta, quando il volgo non la considera pi che come un vero pratico, secondo il quale opera (i). Ora argomentare non si pu a te- nore di quel pregiudizio, senza che ne consegua lunga catena di errori^ ma alF opposto, operare secondo lui,  al tutto privo d'inconvenienti. Tuttavia quando la filosofia giunge a scuoprire che le seii' sazioni nostre non sono rappresentazioni delle cose, non pu per mutare subitamente il linguaggio comune degli uomini. Che fa dunque ella ? Pone delle dottrine : d delle interpreta- zioni nuove al linguaggio comune: sentenzia, che il principio della verit non sono le sensazioni considerate come rappresen- tanti gli oggetti esteriori, ma che questo principio  al tutto diverso e superiore alle sensazioni,  un principio che disceme e pesa il valore di esse sensazioni , le limita ad esser puri ef- fetti prodotti da ima forza estema in noi , indicanti bens, ma non rappresentanti la loro causa. Ora una concezione della sensazione, che la fa conoscere a noi non per quello che mo- stra ma per quello che , non per una rappresentazione ma per un segno,  im^ idea. La filosofia dice adunque che la scienza sta nelle idee (a). Ma come si pu distruggere la cre- denza volgare, che le sensazioni rappresentino le cose? La filo- sofia, in vece di volerla distruggere, lascia ad una tale credenza un pratico valore, e la chiama opinione. Elcco la distinzione fra la scienza e V opinione j secondo il concetto pia comune degli antichi. (i) Nel N. Saggio fu parlato a lungo della natura de* gindizj prowiflorj e pratici che suol fare la massa degli uomini , e si sono assoluti da errore. Vedi Sex. VI , e. XIV, art. v. (3) r Allora noi filosofiamo , dice un antico spositore della filosofia ita- lica ^ r quando veramente , e senza V opera de' sensi e deDe corporali fon-  zioni ( cio senza prestar fede alle loro rappresentazioni ) , usiamo della M pura mente al comprendimento della verit, che sta nelle Bssufzi stesse r in che sappiamo consistere la sapienza m: OcArwc ii r piX^^opit 4^ fi( xarsXif^iv rc i\ rot{ oj^tv Xn^u'a^ 9wf iwiyvmmn o-o^/s ffa* JanbL in ezposit. Symb. i5. 58t Noi abbiamo veduto, questa distinzione essere il fondamento della scuola italica. Volgiamo ora uno sguardo alla scuola di Elea, seconda glo ria filosofica d^ Italia. Noi troveremo anche in essa, abbracciata la medesima distinzione senza controversia, di guisa che le due scuole italiane di Pittagora e di Seno&ne si dividono per la variet degli sviluppamenti, non de^ principj. n preteso panteismo di Senofane svanisce, ove si raflGrontino i diversi passi degli antichi scrittori. Da questi risulta, che egli non confondeva gi nella natura divina il mondo materiale* Egli solo avea trovato, Tessere intelligibile o Videa dover esser Dio, perocch dotata di caratteri divini^ e meditando la na tura dell^idea, s^era avveduto, che ella era semplice ed una, e die tuttavia racchiudeva P essenza di tutte le cose, perci che era tutto. Quindi disse,  X uno essere tuJttjR le cose, ed a essere  immutabile, ed esser Dio, non nato ovecchessia, sempiterno 9)^ e a simboleggiare questa unit, eternit e semplicit, egli so leva usare, come i filosofi suoi contemporanei (i), la figura rotonda (2). La qual dottrina cos viene esposta da Alberto Fa- brizio: tf Senofane senti, che Dio fosse mente etema, una,  immutabile, non soggetta a generazione n a morte, viva,  piena di ragione e di senso, sempre stata e sempre futura ^ a e simile in tutto a s stessa : alFopposto quelle cose che ap-  pariscono a^ sensi nostri, tutte constare di mutazione e di  opinione, e di nuovo doversi risolvere in quell^ iim>, in cui (i) Anassimandro (Gic. De N, D.) e la stessa scuola pittagorca dava a Dio simbolicamente la figura rotonda. (a) Xenophanes (dixit) unum esse omnia, neque id esse mutabile^ et idesse deumy neque natum usquam et sempUemum, conglobata figura (Gic. in ImcuU. xiXFIl)' Quando anco Senofane avesse dato a Dio b figura ro- tonda, non come simbolo (comune a que' tempi  siccome io credo)9macome sua vera qualit , ci non torrebbe la ferit delle cose da me accennate. Perocch non raro incontra, che nelle idee de' filosofi si trovino degli elo- menli pugnanti. Vorrebbe solo dire, che questo filosofo, che era giunto si- curamente al primo grado dell'astrazione, quello deUa materia, non era pervenuto al secondo, quello dello spasio, o come gli antichi dicevano^ della materia matematica. 582 M tutte sono contenute, e onde tutte profluirono  (i)^ parole che m! sembrano contenere la vera mente di Senofane: il quale, secondo me, distinse al tutto Tessere intelligibile, cio Tidea, dair essere sensibile e materiale^ e quella disse essere il tutto j perch contiene il tutto ideale , e sola pu chiamarsi ente per s, come sola stabile ,, immutabile, necessaria, mentre le altre cose permutano, e non hanno Tessere per s, ma il debbono mutuare altronde. Nomin adunque quell^iea Dio, . e questo Dio il nomin tutto , senza confonderlo per colla natura con- tingente, dalla quale anzi in tal modo imimensamente lo di- videva (2). Laonde il suo Dio  detto im Dio razionale ( Xof- xv) (3)^ e dicesi^ che voleva. che fosse in tutte le cose (4), in quanto che le cose rispondono all^ essenza ideale, e come dice- vano poco esattamente gli anticlu, la partecipano^ colle qoali (i) Nelle Dote a Sesto Empirico, ffjrpotyp, L. I^ 35. Questa sentema di Senofane, d fare Iddio cosa tutta intelligibile e immune afitto da ogni mate- riale elemento > come appunto sono le idee, manifestamente apparisce dai versi dello scettico Timone conservatici da Sesto ,  quali sono : r -^ insano un nume r Non all' uomo simil, ma d'ogni parte r A s conforme, e in ogni loco uguale, r Intelligibil tutto, e tutto mente m. ExT^ etnr* a9^fmwm 0 tWXaaur* 909 dwatm (i) Cicerone, dopo esposta ropinione di Anassimandro che faceva degli astri altrettante divinit srggiunge: r Tum Xenophanes, qui mente aJjuneta, cmne praeterea quod esset infinUum , deum volU esse (h. 1 de Nat, D.). In questo passo due cose si possono osservare ; i .^ che Senofane non icefi giii Dio tutte le cose anche finite, ma solo ci che era infinito (ttmneqitod esset infinitum ), il cbe risponde a quello di Diogene, che mette fra i pla- citi di Senofane, Dio m essere insieme tutte le cose, mente, prudema, eter- nit M (ov'/uvcn^TOi Tf i7raf, yo&y, * ^'np^#y, lo iitw)} a.^ che il priaci- pio delle speculazioni di Senofane fu l'aver preso a meditare la parte in- tellettiva della natura delle cose (mente adjuncta) ; il che  appunto eh che aveva fatto Pittagora. L' errore adunque di Senofane consiste solo ad- r aver confuso con Dio V ente puramente ideale , ci che non  ancort panteismo, (3) Sesto 4 Wypotyp, L. I, aa6* V (4) v fi'Mtr W vav, M* t^v 6f4y 9VfM^ rti wdvt Sesto Bjrpo^ L. I, 225. 583 maniere per egli distingueva manifestamente il Dio inesistente nelle cose, dalle cose stesse. Volendo credere a Diogene, il primo sarebbe stato Senofane a dire che  ci che si (a  soggetto ad u essere disfatto i> (i)^ ma anche questa  veramente sentenza comune alla scuola di Pittagora, e tale che mostra Senofane lontano da un materiale panteismo. L^opinione adunque del panteismo di Senofane nacque dal- Paver egli distinto accuratamente Videa dalle cose sensibili e soggette a corruzione, e dall^aver notato che quella ha in s tutte le cose nella loro forma ideale. Questa mia interpretazione ri- ceve nuovo rincalzo dalla difesa fatta da Plutarco del disce- polo di Senofane, Parmenide (2). (1) Sri wav r ynfitvop ^^fro9 iori, (2) Ci che mi conduce a credere che Senofane ponesse la divisione fra le cose di scienza e quelle di opinione  si  la coerenza de' suoi pen- sieri, cio l'aver egli formato un dio razionale abitante in tutte le cose, e l'a- verlo non pertanto distinto da tutto ci che  sensibile, mutabile, peri- luro. Vero  che Diogene dice , che Parmenide non seguit il suo maestro Senofane (L. IS., 21); ma questo io credo doversi intendere solo nello stabilire gli elementi dell'universo, ridotti da Parmenide a due, mentre quattro ne voleva Senofane, e in altre cose simiglianti. Che se noi voles- simo prestar fede a Sesto, egli parrebbe che Senofane distruggesse la scienza, e lasciasse solo l' opinione ; e che Parmenide facesse il contrario , guarentisse la scienza ngli uomini, e togliesse di mezzo l'opinione (Sesto, Mv. Mathem, VII, no, in). Ma ci dimostrerebbe appunto, che la distinzione fra la scienza e Vopinione era fatta. Oltredich Plutarco purga Parmenide da quella taccia; e Senofime sembra che solo in fine di sua vita inclinasse allo scetticismo, come rilevasi da' versi di Timone alle- gati da Sesto: n potea certo dubitarne, allorquando riconobbe avervi qualche cosa d' immutabile e di universale. Sesto oltracci esponendo in tal modo la sentenza di Senofane, dichiara di farlo giusta il parere di alcuni che cosi r intendono. Ad ogni modo , quando anco Senofane nella sua vecchiaja avesse tolto a dubitare della certezza dell'umano sapere, rimarrebbe tuttavia fenna la distinzione del senso come rappresentazione, e del ragionamento che fa SO delle idee; n egli gi avrebbe prestata pi fede alle rappresentazioni sensibili , che sarebbe stato un rimbambire , dopo averne conosciuta la fal- lacia. Egli adunque sarebbe solo venuto a diffidare del ragionamento, osser- vando gli sbagli a cui va soggetto; e per l'avrebbe dichiarato buono a trovare la probabilit delle cose, in vece che la certezza. In questo sistema sarebbe sUto sempre la radane, e non il senso quello che avrebbe dato all'uomo tutto ci, che vi potesse aver di meglio nel conoscere, cio la 585 fiuaie pose almeno la base di quella distinzione , separando le cose immutabili e non generate , ma divine (le idee) , dalle mu- tabili, generate e periture, e alle prime sole concedendo di es sere sede alP intelligenza. Ma tornando a Parmenide, dice Plutarco cVegli metteva u V intelligibile nella, forma dell^ iim> e delFa/ite, chiamandolo u ente^ come a dire etemo e immortale, e uno per la simi- u glianza di s medesimo, e perch non ammette differenza tf veruna n , cio per Pimmutabilit sua. Nella forma poi inor- dinata, e che ti*ovasi in moto , mette la u natura sensibile " ( i ). stinte lecose sensibili come sensibili, e le cose sensibili come ombre o idoli delle cose. In quanto sono sensibili,  il senso che le percepisce, roa iu quanto si pren- dono per ombre, idoli, rappresentazioni,  V opinione, cio l'intendimento die erra, o se si vuol anco,  la ragion pratica. Da ci sar facile accorger- ci,  1' opinione m degli antichi corrispondere ad im genere di ci che io cbiamo m persuasione m. La facolt della persuasione  per me quel potere elle ha l'anima nostra di persuaderci una cosa anche senza fondamento ra* gionevole: di che l'origine degli errori (Vedi N. Saggio Sez. VI, e. XV). Presso i Pittagorici  celebre la dottrina del quaternione attribuito al- l' anima , a cui si riferisce il luogo citato di Jamblico. Secondo Plutarco { De Placit l, hi) ed altri antichi, questo quaternione non era altro se don la distinzione de* quattro modi di percepire che davano all'anima, e che chiamavano co' nomi di mente, scienza , opinione e senso ( yo^y , iwt^iiunp, i^etv, a^ ^ u jcio, 6jega Plutarco, con mente che tocchi la natura ud' u ligibiley e stante sempre nell^istesso modo: u O per rumane opinioni, in cui u Certa fede non   *> . a Poich, seguita Plutarco, P opinioni degli uomini sono nt' u tomo a quelle cose che ricevono mutazioni, moti e disa- tf guaglianze d^ogni maniera n (i). Sicch Parmenide dava alla ragione il giudicare de^ sensi stessi, e ammetteva che anche intorno ad essi si potesse co- noscere il vero (2)^ ma insieme dichiarava illusorio e fallace il volgare giudizio, che prende il senso come rappresentante le cose^ e il ragionare dietro a un si fatto principio, il chiamava opinare (3). E che la fallacia de^ sensi egli cosi la intendesse, manifestamente appare da due versi di Timone, che ci con- (i) Contro Golote. (a) Questa cognizione certa ed etema delle cose sensibili e mobili pu dirsi acconciamente r un vedere il mutabile nell' immutabile m, cio il sen* sibile nelle idee. Il pittagorico Archita dice appunto della meute^ che m ella e guastata la fiU)- sofia eleatica , recandone all' eccesso il concetto fondamenlale che era giusto. Imperocolic qiiand'anco egli fosse giunto a pro- vare, che niente di tuttcj ci clic ci mostra la sensazione presa come rappresentativa  vero , ma anzi ingannevole tutto , rima- neva sempre a prendersi la sensazione come un mero segno: il che avrebbe dato luogo ad argomentare l'esistenza di un es- sere esteriore, sebbene tale di cui non ci sia offerta la forma e la intima natura : e questo potea e dovea guardare la scuola di Veggia dall'idealismo. Per altro ci che dissi  abbastanza a dichiarare la celebre e antichissima distinzione fra la scienza e la opinione . distin- zione in cui convennero da prima le due pi illustri scuole filosofiche fiorite presso di noi, la pittagorica e la eleatica: dal- ritalia poi questa distinzione pass in Grecia, ed entr, per quanto io credo, nella scuola jonica. Anassagora, jonio, fu quello, a parer mio, che approfitt de' lumi di Pittagora e de' suoi discepoli. Si disputa assai cercando che cosa fosse la mente aggiunta da questo filosofo alle cose, quando anche Talcte avea riconosciuto la necessit di una mente. Io credo probabile, clic la mente di Talcte non fosse che un principio attivo posto nella natura delle cose; all'incontro Anassagora , approfittando delle recenti dottrine di Pittagora, pose l'animo suo a meditare non pure sopra un principio efficiente^ ma sopra una causa esemplare ^ cio sopra un'idea del mondo preesistente al mondo stesso. Mediante que- sta considerazione egli pot separare al tutto la niente ordi- natrice, dalla materia, ci che non si potea fare col concetto d'una causa solamente effettrice (i). Imperciocch non  altra (i) Che il merito di Anassagora stia in aver sceverata e divisa la menti dalla mateina, che i suoi antecessori o confondevano con essa o a lei fo- levano per natura congiunta, apparisce dalle testimonianze degli antichi. Aristotele dice, che m egli pone la mente come princpio massimo di \^i\e 9* cose: e sola essa di tutte le cose essere semplice^ non mista ^ pura eso- * cera m: IlXirv oi^X'** y* '*'''' ^'^^ ri^trat (Xivra nravrtjv, fAvn y*vw o^i'^ jT tiv^f f;tf*>ve "ri '^ivfvxtiv xat* ri x Ma- tlem, FU, 91. (i) KfltTayvvTff; yp xHq a9^9t^^ h noXkoU wc diri^w^ tv X70V xpitif txfc iff Tolc ovdcv dXviBtiotg ini^vav, Sext. jdv. Math.^ VII, 90. (a) Quare Anaxagoras quidem conimuniUr dixU rationem esse id quo judicat. Pjrthagorici autem rationem quidem dicunt, sed non communiUr, perum eam quae accedii a disciplinis, quomodo dicebai eUam PhiloUmsi 0(Tff 6 ftv AvaS^cyjoac xocvc Tov ^/ov ffn ^pttiipiov clvocc- ol 9i nv3a- yoptxn^ Tv >7ov /xcv yao-iv, oO xocvwc ^t* tov Sk dito tv fucBmiivv t- ^(ycvfcrvov, ta^ntp I\ty$ xac 6 ^c>6Xaoc. Jdu, Mathem. , lib. VII, 91 > 99* Questo piacilo de' Pittagorici che non facevano la ragione idonea a giudi- care del vero se non ajutata dalla disciplina e dallo studio , accenna il et* ratiere tradizionale della scuola di Pittagora, carattere da me gi notato Del N, Saggio, Sex. Sex. IV  e. l, art. zxvi. (3) vtt toO fio/ov ro /xocov. Sext. dv, Math*^ lb. VII 91 > 9^* (4)  et cum (ratio) sit universorum naturae contemplatrix-, habere qusih dam cum ea cognationem , cum sit nature comparatum ui simile comprehen^ daiur a similii ^f/onT*av ti ovra tjc tv 1v f vvfwCt 3^X"^ ^**" vuT/t va ffjac raT^jv, inilmp w;r tov fAo/ov to fioidv xaTttXa/AJSavcv^ac ^fw- Ad*^. MaUi.,Vib. VII, 92. 593 le cose In s, e voleano dire, che le conteneva nella loro es- senza ideale. Or perch poi alla mente o idea davano , nel lor linguaggio, r appellazione^ di numero, perci afTermavano che tf i numero somiglian tutte cose 9 (i)* il qual numero, o idea, lume della mente nostra, appellavano anche   deir etema natura  Radice e schiuso fonte   (2). Or, che Anassagora si adunasse cogl' italici in queste sentenze, confci'masi appunto dalV osservare, com^egli applicava allaspie gazione del conoscere umano, il principio generale che u il si- mile si conosce dal simile n , alla stessa guisa che facevano i Pittagorici. Conciossiach questi inducevano, come vedemmo, che l'anima avea la similitudine (Pidea) di tutte le cose: o, che  il medesimo, che avea tutte le cose In s, non materialmente prese e nella loro sussistenza, ma nella loro idea o possibilit. Ora non altrimenti la intendeva Anassagora, come chiara- mente attesta Ai'istotele. Pei*occh tanto  lungi, che dal hi* sogno che avea la mente di esser simile a tutte le cose per conoscerle tutte, inducesse che la mente fosse materiale, che anzi da ci appunto F argomentava semplicissima, il che  quanto dire, non partecipe della natura individuata e sussl stente delle cose, ma pura e scevra da questa, e non avente che la loro similitudine o idea semplicissima: u Dice ( Anassa- u gora) (cos Aristotele), che tutte cose sono miste, eccettuato  rintelletto : questo solo poi essere niente mescolato, e puro  (3). Or qual ragione di ci adduce? Fece Pintelletto u non misto, soggiunge Aristotel'3, a acciocch superi e vinca^ che vuol dire tf acciocch conosca ? (/f). Ponea dunque Anassagoi*a nellWimo i.** la similitudine di tutte cose, cio Pente intelligibile, l'idea^ a.^ ponea che questa similitudine fosse semplicissima. Or tale  quanto insegna T italica filosofia. (i) Vedi Sesto Adv. Math,, VI, 94. (a) Ivi. CS) ^fft ( Avcc^ay|oas ) d^ eivac /ic/ityfAvoc Travra^ it'ky toO iu. toOtov di dfAiyij fivov xal AOiOapy, De nimo ., L. 1, e. II. (4) A/xty^ eivae va '/.pTo * toto ^ ^xh Iva yvot)^^. De Animo j L. III^ e. IV RosMim, // Hinnoi^amento, ^5 pone quel sistema cHec risulta tlatla c Seito d assicura, che questo principio fu SgS t\ic u \\ Simile non pu essere i*onosdiuto che dal simile ^ , con- chiudeva, che r anima, la quale conosceva tutto, dovea esser slmile a tutto, e avere in s teri*a. acqua, aria, fuoco, discordia e concordia. Questa manieta di parlare porge certo Pidea di un grosso materialismo. Ma appunto perch egli sarebbe sforma- tamente grosso, e n pur degno di uu bifolco, non conviene senza gravi cagioni attribuirlosi ad uom dottissimo, sopra tutto fiorito dopo Anassagora, e dopo le alte speculazioni italiane^ D^ altra parte egli scrive decersi, pe^ quali si suole usare uno stilo metaforico, misterioso, portentoso^ e  questo costume di usare il verso a sporre le filosofiche dottrine, deesi attribuite in gran parte Poscurit delle sentenze degli antichi greci. Dunque egli  verisimile che Empedocle in que'suoi versi volesse dire nienf altro se non che  la terra sussistente si conosce colla terra ideale, P acqua sussistente colPacqua ideale. Paria e il fuoco sussistente, coll^ariaecolfuoco ideale, la discordia e la Concordia reale , colla discordia e colla concordia idc>ale r^ ; per si fatto modo, che nella mente v' aveano tutte queste cose, non per materialmente prese (ci che sarebbe stato non pi ignoranza, che pazzia), ma prese idealmente, cio nelle loro idee: il qtial concetto, volendolo poi il nostro poeta vestire di tal foggia che il rendesse portentoso e misterioso, lo spose dicendo, che Pa- nima di tutte queste cose si componeva^ E ci che a intendere per tal modo Empedocle mi conduce, oltre le ragioni toccate sono anche le seguenti. I.* In s fatta guisa inteso, io veggo entrare il filosofo d'A- grigento nella storia progressiva della filosofia qual conveniente anello^ quando dalla serie di essa stona sarebbe al tutto stac-* cato, e come Un fuor d'opera, intesolo altramente. Perocch esso si mette in tutta concordia, a questa guisa, co^ filosofi che il precedettero^ cio colla scuola jonica modificata da Anassa-* gora per Pinfluenza delle scuole italiane^ ond'ebbe nuovo lume il discepolo di Anassimandro* a.^ Il principio da cui parte Empedocle  quello antichis' Bimo, che u ogni simile  conosciuto dal simile n ( imo rov ofioiov t Ofioioy). Or questo principio non esigeva gi di comporsi P anima di tutti gli elementi materialmente presi ^ ma 596 solo esigeva che nelP anima ci fos.^ero le similitudim di tutte le cosc^ o sia le idee. 3."* Se Empedocle avesse creduto che ci bisognasse la stessa materia per conoscere la materia, egli dovea porre neiranima tutto intero il mondo ^ perocch ne sarebbe seguito, secondo un tal modo di ragionare, che un poco di materia non avrebbe potuto bastare che a conoscerne un altro poco, e non pi. 4." Trovo che nell^ antichit stessa Empedocle venne inteso pi ragionevolmente di quello che faccia Aristotele. E vera* mente Sesto Empirico giunge a metterlo insieme con Platone e con tutta la scuola di Pittagora. Egli espone prima, come Platone, a mostrar Fanima incorporea e al tutto semplice, usasse quel modo di argomentare che abbiam veduto adoperato da Anassagora, e che sta in riconoscer P anima semplice perch intuente le idee, che sono essenzialmente semplici. Dopo di che soggiunge: a E tale essendo l'opinione di quelli che di molti a secoli ci hanno preceduto, fu sembrato trovarsi nella opinione tf stessa Empedocle^ e avendo egli posto, che le cose tutte con-  stano di sei principj , pose altres sei essere i criter) del verO|  ove scrisse,  Colla terra la terra, e veggiam P acqua u Coir acqua, ed il divino aere apprediamo  Coir aere, e il foco col lucente foco, tf E la discordia ed il concorde amore a Per discordia ed amor noti si fanno y (i). Questa interpretazione di Sesto  a capello P interpretazione che noi diamo aVersi dell^ agrigentino filosofo. 5. Finalmente questa sola interpretazione pu conciliare Empedocle con s stesso, e porlo in accordo cllo. sviluppa- ci) TotauTfjc ^''ouojc rc7.pi to; Tr/soytveo-Tf/JOic ^^>}C^ ?oixff xal  E^n-e^o- 'Xiyttv iaapt^na ravrac; vTrd^^ecv toc. npix^pioi^ 9i uv yiypaft^ VoLiri fjiv yp yaloLV TrwTra/xfv, u^art d^vSip^ Ai^pt ^'^ai^pot, ^tov, drap Tcvp nijp ott^vjXov, Ixopyhv 9i 9TopYn ^ vctxo; i ts vecxsl ^^yp^. Sext. Empir. Adv, Lag*, VII^ lao^ i3i. ^97 mento della filosofia nel suo secolo, a cui il sappiumo esser giunto. Perocch ci  noto, che Empedocle pei'venne, con tutti i filosofi onii dopo Anassagora, a diffidarsi della rappresenta- zione de' sensi: e avea conosciuto, che non ne^ sensi, ma nella ragione sola si pu cercare il criterio del vero; solamente, che es^i distingueva la ragione divina, dalPumana; e a questa non attribuiva se non il potere di trovare il vero probabile, anzi che il certo, come vedemmo esser avvenuto di pensare a Se- nofane in sua vecchiezza. Odasi anche qui Sesto: u Altri vi fu-  rono, che dissero, giusta la sentenza di Empedocle, non do-  versi giudicare la verit consensi, ma colla diritta ragione: u la ragione poi esser parte divina, parte umana; delle quali u la divina essere ineffabile, atta a parlarsi l'umana  (i). Per tutte le quali cose con senno scrisse lo Scin, che,  a tt creder d'Empedocle, le sensazioni sono reali. Ma le medesime a non rappresentan mai le qualit che ne' corpi appariscono 5  nulFaltro essendo, che altrettanti modi del nostro sentire  (7) E ancora:  La scuola jonia avea talmente confuso le sensa- u zioni cogli oggetti, che scambiava questi con quelle, e tenea a le une, non altrimenti che immagini fedelissime degli altri. a Non cos pensarono i corpuscolisti (3). Questi separarono, dir u cos, le sensazioni, dagli oggetti che le cagionano e muo- u vono, ed ebbero quelle come soli e semplici modi, quali di u fatto sono, del nostro sentire.  Costoro quindi solean chia- u mare cognizioni di apparenza e di opinione^ e non gi di ve-  rit e di realt, quelle che si traggon da' sensi  (4). Ci) A.0 $s vivoLv l lyovrs^ xar rv EfArri^oxXa, x.trvipi(v s%9i riii >Y]Te/bec, oO rat atTS'T^Trtc, dW. rv ^5v Xyov. tov os jo5o yov^ tov ^iv Tiva 58lov V7r^5fiv tov J av3i6&)7rcvov uv rv ftv 5tov , djscoKTzo'J fi vai* TOV Si v5jow7rivov, ^otiTv, Adt^, Log,^ VII, laa. (2) Memorie sulla vita e filosofia d^ Empedocle, Palermo i8i3; l. II, face. g^. (3) I corpuscolist oon uacqiiero se oon quando le due scuole italiana e greca avevano gi mescolate, per cosi dire, le loro acque. Comparisce il jnstema corpuscolare in Anassagora , che ogni cosa dedusse dalle particelle jmili; e in Anassagora parimente si trova essere avvenuto il mescolamento ^elle due filosofie , come osservai \ e questa  chiave di tutta la storia della ^osofia antica. (i) Memorie sulla vita e filosofia d! Empedocle. Vaermo i8i3,t. Il^facc 96. 599 u giudica, la qual ragione egli chiama genuina cognizione " (i), e clicliiara che ella  u segregata da tutte le sensazioni n (2). Ti sar inutile altres (jui notare, come, secondo Laerzio, De- mocrito fosse discc:polo del vecchio Anassagora, dal quale sem- bra aver tolto, in parte o in tutto, la dottrina del criterio della verit (3). Per tutte le quali cose ragionate fin qui apparisce manifeste^ come le tre pi antiche famiglie della italiana e greca filosofia, alle quali si riconducono i dettami di quanti in Grecia poscia filosofarono, vennero concordemente a riconoscere, i.che le sensazioni come rappresentative delle cose esteme non meritano alcuna fede^ 2.^ cV esse perci non porgono allo spirito nitma cognizione, ma solo mettono in lui un SLgno^ dal quale pu Fudmo argomentare alcuna verit^ 3. che ad argomentare dalle sensazioni tali veri, essenzialmente diversi dalle sensazioni, uopo , che, oltre le sensazioni, sia in noi una facolt la qual giu^ dichi delle sensazioni mediante le idee^ e per tal modo costii^ tuisca il sapere umano. Questa facolt fu chiamata ragione^ (\) Ouxouv xal xr rourov  X70C x tori ^ctq^cov ^ ov yYnvvn' yyo&jEiigv irot^ffi. Adif. Log,, VII, iSq. (2) Dicit autem (Democritus) adverbum: m Cognitionis duae sunt spe^ n cies: altera genuina, altera tenebriQosa, Et tenebricosae quidem sunt haec M omnia s visus , auditus, olfactus , gustus, iactus. Genuina autem, quae 9t est ab ea secreta n : hiyn Si xard Xfiv. yvwfxiic Si Svo tMv iSiott ^ 4 ffv, yyvKTvn* ri Si ^ (Txorivi' xa 9xot/i9C ftiv TCt^c oiiuTravra, oipic, xo^ , SfM ^ ysOfTti; ^ tauo-i?. >J Si yyviaivf ^ ccTrQxix^ufipfvi} Si raTiq;. Sext. ^pir, jidi*. Log. j VII , 1 39. (3) Laerzio, IX^ 34* Che pigliasse da Anassagora^ si dice in questo luogo di Sesto: Diotimus autem dicebal ex ejus sententia esse criteria veritaUs irta. Ad eorum quidem quae non sunt evidentia comprehensionem , ea quae apparenti utdi^it Anaxagorasf quem proplerealaudat Democritus. Quaestio^ ftis autem, notionem. m De quoibet enim, o fili, unum est principili m , sdre H idde quo est quaestio. Eligendi autem et/ugiendi criterium, affectiones z=; acTCfAOC Si^ TfixX, XaT^OtUTpV IXc^CV Ivat TUptrtpiOL^ T^QC fAiv TWV fl^^>.fl)V xot- rakh^if^^ ri yaiv/xiva, wc fijffiv Ava^ay/oac* 6v itti tovtw ij/eax^ctoc inacvel. ^Ti^asw; Si tviv vvotav. ntpt Travr; yp ta Trai fila pxh r si- Siateti mpt TOu e'^iv tf f^xfQti. al/Dfqrfw^ Si xa fvy;^;, x ni^vi. 4dv. l^gic., VII, i4o. o, nel seguente M. Voi mi mostrnstc, che le id verse dalle sensazioni, immiiiu e. Ci lic pensi Solo non trovo la via di conciliare stema dell' unico ente ideale. A. Clio difficolt ri avde? ^.Von ponete voi una sola idea ; per natura, quella dell' essere? ^. Si. M. E V altre non sono tutte aciju ^. S. 3f. Or come sono acqulhite, se si ji. Sono eterne, ma non per ipic; sempre dallo spirito: lo spirito le a 6oi M. Cio? jd. Lo spirito produce, o forma le idee che sono diterse lall^idea delP essere indeterminato, col determinare Fidea del* Tessere^ cio col restrignerla entro certi confini^ col farle per 50si dire il contomo di cui ella  priva, tale quale si vede da aoi per natura. Sicch voi vedete, che tutte le idee non sono siltro, che sempre Vesser ideale variamente determinato^ e que- sta  la ragione perch voi m^ avrete udito dire le tante volte, che v^ha un^idea sola. M. Piacerebbemi da vero una dottrina che semplificasse tutto il sapere umano ad una sola idea^ ma forte  a me P intendere questo sermone. Quella pianta  egli la stessa cosa con questa pietra? P acqua di questa peschiera ha ella nulla di comune col sole che in essa riflette? j4. Maurizio mio, noi parlavamo d^idee, e non di cose. M. Ma se son diverse fra loro le cose, non saranno diverse anche le idee delle medesime? ji. Non  questo un diritto ragionare: ed  opposto al buon pnetodo, conclossiach  un ragionare dietro de^ prncipi sup- posti a priori y e non provati, che  quell^ errore a cui io fo^ come sapete, tanta guerra. Che necessita trovate voi, che le idee sieno altrettanto distinte quanto le cose? e che Vesser ideale abbia le stesse leggi dell^e55ere reale? A poter affermar ci, il buon metodo prescrve di affissare T occhio osservatore dello spirto neir essere ideale, e nell^ essere reale, e con osser-> vare queste due forme delP essere attentissimamente, rilevarne le loro speciali propret. Le proprct o qualit delle cose e delle idee non conviene immaginarle , ma osservai*lc. M. Ma io dico : O V essere ideale mi mostra quello che  nelFessere reale, o no. Se lo mi mostra, nelPessere ideale deb- bono cadere le stesse distinzioni che nel reale ^ se noi mi mo- stra, egli non  atto a farmi conoscere Tessere reale, e torna falso ci che voi dite , nell^ essere reale consistere la conoscibi- lit delle cose. A. Maurizio dolce, sempre lo stesso errore di metodo, sempre uno sfuggire P osservare. Voi ben poti*este immaginarne di questi appariscenti ragionari a priori un monte, accavallare gli uni sopra gli altr, fame riuscire un viluppo ingegnosis- Rosmini, // Rihnovamcnto. 76 6o2 Simo, finissimo, ammirando. E poi? il vero abiterebbe in un alti'O luogo ^ e voi non n'avreste mai veduto la &Lccia. Permet- tete che vel suoni un' altra volta : Non  con de' raziocinj co- struiti sopra alcuni principj generali, i quali bene spesso ven- gono supposti pi generali che non sono, che si trova il vero: ma si con delle accui*ate ossei*vazioni della natura. M. Ma che volete voi osservare nel caso nostro? A, Come veramente avvenga il fatto della conoscenza. Di- temi : quando voi nella vostra mente aveste concepito il di- segno di una casa, o, che  il medesimo, Id casa ideale, non basterebbe questa sola idea perch voi poteste fabbricare anche una citt di case tutte uguali a quella vostra casa ideata? avreste voi bisogno d' altri disegni ? non basta un tipo solo a rappresentarle tutte nel vosti*o spirito, trattandosi di case ugnali? E pur le case reali son molte, quando P idea resta una sola : non fa bisogno adunque che tutte le distinzioni che vi sono nelle cose cadano altres nelle idee, e viceversa. M, Questo l'intendo io benissimo. Ma non veggo per, die quell'idea sola bastasse a farmi conoscere tutte le molte case che avrei fabbricato secondo quel tipo. Io debbo aggiungere qualche cosa a quella mia idea, acciocch io conosca che le case reali ad esempio, che compongono la citta di cui mi parlate, sono diecimila. Perocch io potrei anco aver il disegno in testa della casa, e non averne fabbricata alcuna, n pensare ad al- cuna di reali. A, Vero  quello che dite, Maurizio mio, che io non posso conoscere le case reali e la loro moltiplicit, se io non aggiungo qualche cosa alla casa ideale che ho nella mente. Ma sta qui appunto la questione, a cercare che cosa sia questo qualche cosa che debbo aggiungere all'idea della casa. EU'  la que- stione di fatto che si dee risolvere, e alla quale io vi richiamavo. M, Non pu essere che qualche altra idea. A, Il solito precipizio I il soUto  non pu essere ! 9 il so- lito ragionare a priori^ in luogo di osservare: indovinare, in luogo d' interrogare la natura.  Ditemi , quelle case non le abbiam supposte noi tutte uguali? M. Uguali. A. Sono fatte adunque secondo un'idea sola^ o secondo pi?  6o3 AL Secondo un' idea sola, secondo un solo disegno. A. V esser molte o poche , reali o possibili , moltiplica dunque i disegni ? M. No. A, Dunque non moltiplica le idee. M. Ma come si conoscono elleno adunque nella loro realt e moltiplicit ? A. Dovete conchiudere intanto voi stesso:  non col molti- plicare le idee, non col moltiplicare i tipi^ perocch il tipo o Pidea  ,un solo di tutte: dunqufe in altro modo:  questa  la prima conchiusione che dovete mettere a parte. M. Ma v' ha egli un altro modo di conoscere le cose fuori che per le idee? A. Ripetovi , consultate la natura, e il saprete. Chi vi auto- rizza a dire che non vi possa essere? M, Veramente io non so immaginarmi, che nulla si conosca senza che se n^ abbia V idea^ perocch che cosa io intendo di rio , di cui mi manca V idea ? A. Niente, niente al tutto intendete di ci, di che vi manca r idea. Ma questo prova bens , che vi bisogna sempre V idea a conoscere \ ma non* prova mica, che colla sola idea co- nosciate tutto. Notate bene la distinzione. E non potrebb' egli essere, che la cognizione nostra delle cose cominciasse coU^ idee, ma ella poi si rendesse compita con qualche altra cosa diversa dalle idee ? in tal caso V idea c^ interverrebbe sempre ^ ma non sola. M. Come fia possibile? A, Restringetevi a considerare V idea di un oggetto, pura da ogni altra aggiunta. Con tale idea voi vi avete, quasi direbbesi, la cosa in progetto \ ma la sola idea della cosa non dice cer- tamente che la cosa realmente sussista. M Se V idea  di cosa sussistente, mi dice che sussiste^ se  di cot possibile, non me ne mostra che la possibilit. . A. Noi entriamo nell^ un via uno. Io vi dimandavo prima , se r idea o il tipo d' tma casa sussistente sia diversa dall^ idea o tipo ideale d^ una casa possibile. Quando ho io concepito neir animo il disegno d^ una casa, questo disegno si cangia egli, pei'ch io fabbrichi la casa o non la fabbrichi? che io scambi il significato (11la parol fittemene avvisato, riprendetemi; ma ficaio sempre, non dovete averci che io ben credo , il significato che io quello appunto dell'uso universale d varr ci, sarebbe un uscire di filosofia dove io non voglio mettere il piede. razzolare ne' classici, come solete fa nel giusto e proprio valore dato dal per ora, egli  pi corto che voi prei itUa come parola da me imposta a' cosa; e cos prendendola, voi vedret com sussistente, ma sempre di co! bilit sua. Sf. Al tutto m' arrendo a prcnt come voi volete; e intondo assai chia fa conoscere la cosa sussistente, n  per altres, che il dire u idea  favellare equivoco od inesatto. Ma r ghiate, con che altro me7.zo conosci] E poi, quando anco le idee non ci come sussistenti, ma solo le cose con non sono celino anco i possibili divf 6o5 come noi col collocpiio nostro abbam pur fatto qualche passo innanzi, verso quello che cercavamo. BL Non veggo. A. Non abbiam detto noi, che molte case uguali non hanno che un'idea sola? M, S. A. Dunque , sebbene un' idea sola di una cosa non ci dica se v' abbiano cose sussistenti, n se ve n' abbiano molte o poche; tuttava ogni qual volta conosciamo delle cose fatte al disegno di quella idea, noi ricorriamo sempre a quella identica idea; e diciamo, a ragion d'esempio,  questa cosa risponde a questa idea. Non riman duncpie a spiegare se non la percezione di qmesta cosa reale e sussistente , la quale ci avvisi che la cosa y che abbiamo in idea,  anco realizzata. M, Questo  appunto quello che io cercavo. A. Non siamo noi stessi una cosa reale e limitata ? M, Indubitatamente. A, E le cose reali limitate, non sono divise per le proprie limitazioni le une dalle altre ? M. Anche questo parmi certissimo. A. Tuttavia non possono agire le une sulle altre? M. Il fatto lo mostra. A. Se la cosa dunque  sussistente, ella  divisa da noi, ma ellapu& per, comecchessia^ far pervenire a noi la sua azione, e cosi modificare il sentimento fondamentale di noi stessi. Or questa modificazione di noi stessi non  certo la cosa sussistente fuori di noi , e per non  ancora percezione distinta di cosa alcuna (sebbene si soglia chiamare percezione sensibile, ed io stesso adopero questa maniera di dire (i)). Ma non  egli vero, che v' ha un principio dentro di noi, pel quale diciamo  noi siamo modificati, dunque v'ha una cosa che ci modifica? n . (i) La ragione per la quale io ritengo ilnorae di w percezione sensibile m, e l'applico alle sensazioni considerate in relazione coli' agente che le oc- casiona  si  perch non si d passivit , dove non si senta veramente una forza, n corpo adunque che agisce nell' anima nostra : sebbene non ispie- ghi in essa la saa intera natura , entra per e comunica ad essa la sua forza. 6o6 Jlf .  un fatto. A. E qui comincia la percezione delle cose sussistenti di- verse da noi. Ella non era ancora, quando esisteva solo la mo- dificazione nostra^ matostoch il principio ragionante da queUa modificazione ha conchiuso u dunque v^ ha un ente diverso da noi che ha operato in noi  , la percezione di quest^ente  com- pinta. Gonciossiach ci sarebbe egli percezione oggettiva, se non allora che noi cominciamo ad accorgerci delP esistenza di un ente? La parola percezione suppone Pente percepito^ e non  percepito, se noi non abbiam detto a noi stessi che sia. Alla percezione adunque di una cosa sussistente diversa da noi, si richiede la modificazione nostra^ e il principio ragionante ^ che da quella modificazione induca un ente, che  quanto dire un diverso da noi. M, Farmi fin qui d' intendere^ proseguite. A, Riman dunque a vedere, che sia questo principio ragionante che da una modificazione nostra induce un ente da noi diverso. Primieramente  da badar qui con tutta attenzione, che un ente da noi diverso, e una modificazione nostra, sono cose di- sparatissime e contrarie; sicch non si pu mica dire , che V ente da noi diverso sia la stessa nostra modificazione lavo- rata da noi e trasformata. M. Mei diceste altra volta. A. Come dunque il principio ragionante da una cosa pu conchiudere alP esistenza di nn^ altra tutto diversa da quella ? onde ne piglier V idea di quest^ altra cosa , quando la prima nulla contiene che le rassomigli? Supponete la Sensazione del bianco, e tutte Paltre sensazioni che una casa in noi cagiona: certo , che non hanno a far nulla colla casa stessa murata a calce e sassi. E pure da quelle senisazioni noi passiamo tosto a dire u col c^  ima casa 9 ; e cosi celeremente  abituai- mente facciamo questo passaggio, che peniamo ora molto a ere* dere che la casa non sia il complesso delle sensazioni nostre; di guisa che il bianco che veggiamo, V attribuiamo in proprio ^lla casa stessa, e non pensiamo che sia una modificazione nostra. M. Verissimo. A. Come adunque, dobbiam cercar noi , il principio ragio- .607 nante fa questo passaggio? onde trova egli Videa di un ente fuori di noi? M. Veggo bene, che la sensazione non la pu dare questa idea. Ma n pure oserei dire, che io avea Tidea di quella casa pri- ma di vederla. Perocch se io , dopo veduta la casa , so d^ a- veme V idea ^ non capisco io, come non dovessi saper d^ averla anche prima, quando Favessi. ji. E per questo appunto n pure io dico, che Pidea della casa preesista nelP anima nostra innanzi che abbiamo noi ve duta casa alcuna, (i) M, Come dunque dal non aver noi Pidea della casa, siamo pur venuti ad averla quando vedemmo da prima delle case^ sebben una cotal vista non sia pi che una modificazione nostra ? ^. A trovare un^ uscita conviene analizzare diligentissima- mente Tidea di una casa. Ditemi adunque, che cosa  una casa? M, Un luogo da abitare, di una certa forma. ^.  ella questa abitazione destinata al corpo, o alP anima? M. Non ha Panima bisogno di stanze da mangiare, dormire, ed altrettali usi. u^. E r uso che fa il corpo di una cosa , a che mai si riduce se non a ricevere da essa una cotal serie di movimenti , e di sensazioni necessarie al buono stato del corpo stesso? AT. Ad altro no. j. Dunque la casa  finalmente un ricovero del corpo, dove pu esser difeso dalle sensazioni moleste, e acquistarne di pia- fievoli ^  un ordigno anch^esso materiale di certa forma e modo. E che  questa forma e modo di cotale ordigno? M, Risponder come ho imparato da voi a rispondere. Que- sto modo, e questa forma della casa,  determinata dalle sen- sazioni che ella produce in noi. Gonciossiach noi la diciamo (i L'argomento toccato da Maurizio ha forza applicato alle idee deter- niinate^ e molto pi alla percezione de' sussistenti ; perocch queste chia- inano tosto la nostra riflessione. Sicch se noi le avessimo , anche le avver- tiremmo facilmente. All'incontro l'idea indeterminata dell'essere non ha alcuna determinata vivacit e novit^ e per non iscuote o tira a s punto n poco la riflessione nostra. Tanto  vero , che questa idea  la pi dif- fcile a riconoscersi in noi^ anche dopo formateci le idee delle cose speciali. 6o9  altro che un ente cagione in noi di certe determinate modifi- cazioni. Ricevendo adunque in noi^ queste, concludiamo die un ente sussiste ^ l dove se Y ente comune non vedessimo, questa conclusione ci sai'ebbe impossibile. M. E or parmi oggimai d'intendere, che cosa sia quella cosa che si dee aggiungere all'idea per conoscere i sussistenti j questa cosa sono le sensazioni. * jd. Appunto. Ma badate bene a non confondere insieme i due ufficj che ci fanno le sensazioni* M. Quali? jd. Quando riceviamo delle sensazioni , noi diciamo tosto : a qui ci ha un ente  . Il dir questo , suppone indubitatamente che preceda in noi l'intuizione dell'ente, perocch nelle sen- sazioni, come abbiam veduto , esso non . Ma l'ente che stava in noi, non era che l'idea, e questa non ci dicea se quell'ente sussistesse. Le sensazioni ci persuadono, che quell'ente che  a noi cognito in disegno, anche sussista. Questo  il primo officio delle sensazioni. Passiamo al secondo. Noi non diciamo solo, al sopravvenirci delle sensazioni, u vi ha qui un ente 99^ ma di Conseguenza gratuita. L** effetto delV azione del corpo sopra di voi sono le sensazioni. A queste appartiene lo spazio ( i ) Voi inducete Tesistenza di un ente, dal sofferire che voi fate le sensazioni. Non uscite dunque di voi. Ma perocch alle sen- sazioni appartiene il fenomeno dello spazio, voi dite che que- sta ente produce un tal fenomeno che si chiama spazio, e di lui lo rivestite, cio vi serve lo spazio della sensazione a misurare l'at- tivit di quell'ente che l'ha prodotta, e il modo di quest'atti- vit (i). Il^considerare il corpo come un ente, a vedere il quale lo spirito non ha bisogno di spazio, egli  pi vero, che il conside- rarlo in relazione colle sensazioni estese. I volgari stanno nel mondo delle sensazioni^ e per non possono uscire col pensiero dallo spazio^ ma i savj abitano nel mondo metafisico, che  quello degli enti^ e non dello spazio^ e in questo veggono lo spazio stesso fuori dello spazio. Ma io non amo, Maurizio, che noi ci solleviamo tant'alto; e se n'avrete vaghezza, vi soddi- sfer con pi agio: contentiamoci per ora di svolgere la ma- teria che da prima avevate proposta. il/. Appunto a quella appartiene la seconda delle difficolt che mi caleva proporvi. A. Udiamola. M. Io vi dimando: l'ente da noi intuito per natura, i uno U pi? A.  V essenza dell'ente, per  uno, come l'essenza del- Puomo  una. (t) Circa questo argomento io rimetto i lettori al N. Saggio, Sex. V^ e. XYI , e e. XVII , art. m, e c XIX , dove ho provato la realit della estensione* Gii ^ iJf. Or per, secondo clie noi riceviamo de' diversi sistemi di sensazioni, concludiamo che molti enti sussistono. Ma se In tutti cniesti enti noi vegglamo sempre Io stesso ente ideale rea- lizzato, egli pare che tutte le cose sleno sempre lo stesso ente 5 il che ci recherebbe al sistema delP unica sostanza di Spinoza. A, Non punto: Il disegno  uno; gli enti realizzati son pi. Se voi vedeste molte case cavate da un disegno solo, alcime delle quali fossero grandi, altre piccole, altre fabbricate solo per met, altre interamente 5 direste voi per tutto ci, che le case fossero una casa sola, perch hanno tutte un disegno solo? nialn. La cosa sussistente  distinta dalla cosa pura- mente ideale: e quella pu esser moUIplIce, quando questa  unica. Ecco adunque come un'idea sola, a cui s'aggiunga va- riet di sussistenti, e per variet di loro azioni sopra di noi, basti a farci conoscere tutta la moltlpHcit delle cose o reali o immaginate. M, Da questa parte non so andare innanzi. Ma mi s'affaccia altronde di nuovo la prima difficolt. Supponendo vero tutto ci che voi avete detto, potrebbesi conchiudere i.** che non vi  che una sola Idea etema, 2." che l'altre idee non sono di- stinte essenzialmente dall'Idea dell'ente, ma sono quella stessa circoscritta e determinala, 3.** che queste circoscrizioni  de- terminazioni, che la rendono tutte le idee generiche e specIG- che, non sono eteme, ma sono da noi stessi prodotte in occa- sione delle sensazioni: le quali si possono dire altrettante ^e- ffuiture , che prescrivono i limiti all' ente intuito , o altrettante misure determinanti la sua attivit, che a noi si rivela per que- sto modo: sicch l'Idea di cavallo, di uomo ecc., non sarebbero eteme, come volea Platone, nella loro entit speciale di cavallo, di uomo ecc. , ma solo nella loro universalit di enti. Ora in tal caso la teologia andrebb'ella contenta del vostro sistema? non dice s. Agostino, che singida  propriis creata sunt rationihus? e che humana anima naturaliter diuinis ^ ex quihus pendete ratio nibus connexa (est)? che in somma eterne sono le idee proprie di tutte le cose, e in Dio, e noi in Dio le veggiamo? A, Maurizio mio , anche s. Agostino avete scartabellato? prima io mi credea che ogni vostra delizia fosse nel Vocabola- rio della Crusca^ poscia venni a sapere che macinavate anche fii3 delia filosofia; finalmenle mi vi scuoprite ora un vero Infari- nato d Teologa. M- Son tutte cose che apparai collo starvi sempre a' panni , e collo scrivere le cose vostre. A. Or bene. Io non vi nego mica, che le idee peculiari delle cose create , sieno in Dio da tutta V eternit. Ma dico , che le idee onde noi conosciamo le cose, quanto alle determinazioni particolari, non sono quelle stesse onde condsce Iddio, e solo nel loro fondo c^omune costituito dall'ente ideale, esse sono identiche a quelle che stanno in Dio , con questa immensa diflferenza per , che V ente ideale comunica a noi la sua luce in un grado infinitamente minore a quello che ha in Dio, dove egli  Dio stesso. Verbo di Dio. E tuttavia vi aggiungo, che le nostre idee sono eteme, e sono in Dio. M, Mi sembran tutte contraddizioni. A. Non punto. Ditemi , le cose corporee che adoperano in noi, comunicano esse a noi tutta la loro attivit? M. No certo: per esempio, de' corpi noi non sentiamo che la superficie ; i nostri sensi non possono mai penetrare V interiore de' corpi. Oltracci gli effetti che producono in noi dipendono dalla nostra propria natura in gran parte: l'aria che ci ferisce tutto altrove che nell'orecchio' , non ci d suono, ma s quella che entra pe'fori degli orecchi a percuotere u il sonaglio  che sta dentro appeso, s come diceva Empedocle; il che mo- stra essere il suono un effetto in gran parte dipendente dal- l' organo costruito in quella forma e non in altra , e dall'anima di cui quell'organo vive. A Ottimamente. Sicch dove l'organo del senso, o la tem- peratura della vita che l'informa fosse diversa, anche la sensa- zione riuscirebbe al tutto diversa. Or Iddio ha egli de' sensorj simili a' nostri? e le cose create possono esse esercitare alcuna azione sopra Dio? M, No, sicuramente. A, Dunque voi vedete, che noi, quando determiniamo l'es- sere in universale mediante un'attivit sperimentata nelle mo- dificazioni che producono le cose nel nostro sentimento, e cos dall'essere universale caviamo l'altre idee determinate, facciamo una cosa che non conviene a Dio; e per le idee onde noi Ri4 conosciamo le specie particolain di cose, debbono esser diverse assai da quelle onde le conosce Iddio : le nostre cio voglion essere infinitamente pi imperfette , debbono avere seco un elemento soggettivo^ perocch noi misuriamo il grado e il modo di entit che hanno le cose, dall^attivita che esercitano in noi; e r effetto che le cose operano in noi, in gran parte dipende, come dicevo, dalla condizione e indole della nostra stessa na tura sensitiva, che viene da esse modificata. M, Or a questo vostro discorso mi balena un raggio di luce. Udivo molti adire continuamente, che le cognizioni nostre non possono essere che soggettive. Intendo ora, che hanno bens un elemento soggettivo, ma non tutte intere son tali^ e quelli che non separano attentamente Puno dalFaltro questi due elementi, si danno al disperato partito di credere non averci per gli uomini verit se non soggettiva. Io veggo ora assai bene^ che Tente, che  ci che si concepisce ugualmente in ogni idea,  immutabile, oggettivo, assoluto: ma il grado di attivit sos* sistente, sperimentato nelle sensazioni, il qual noi adoperiamo come lineamento che ci fissa un confine dentro il quale con- sideriamo Tente ,  al tutto un grado soggettivo , cio relativo a noi , i quali non riceviamo dalle cose se non un^ azione limi- tata, e anche a quest^ azione diamo noi stessi un carattere e un modo veniente dalla natura nostra che patisce V azione, anzich dalP agente che in noi la produce. j. Levatevi dunque a considerare la cosa in generale. Con- siderate cio, che non  il solo uomo creatura intelligente, ma ve n^ hanno, ve ne posrono avere delF altre assai. Supponiamone di queste, molte, le quali dovessero formarsi le idee delle cose a simil guisa che V uomo, dalF azione cio di esse cose sopra di loro, la qual azione recasse nel lor sentimento diversissime modificazioni dalle nostre. M. Come avvenir dee, se sono abitate le stelle. Imperocch essendo esse de^ mondi materiali, io non saprei immaginaimi altri abitatori, acconci ad esse^ se non composti di corpo e di anima come noi , sebbene per in mille forme diversi, e dagli uomini certo variatissimi si rispetto a^ corpi che air anime. j4. e bene ^ tali enti conoscerebbero le cose da effetti al tntto dissimili a quelli che proviamo noi da esse: quindi in quello 6iS che le cose da lor conosciute hanno di comune colle nostre, che  l'esser enti, la loro idea sarebbe uguale alla nostra: ma in quello che avesser di proprio , cio nelle limitazioni e descrizioni di tali enti, sarebbe per avventura al tutto dalla nostra diversa: di maniera che quelP agente che per noi ha la forma e modo di cavallo, per essi potrebbe avere tutt'altra forma e tutt' altro modo , n ritener il minimo tratto di somi- glianza col cavallo. Lo stesso ente adunque, operando nel sen- timento di centc maniere di esseri intelligenti e sensitivi di varia natura , vi darebbe occasione a cento maniere d' idee di- vci'slssime, perocch lascerebbe in essi cento diversi segni o manifestazioni di sua attivit, e tuttavia tutte queste cento ma- niere d'intelligenze da quello che sofferiscono in s stesse argo- menterebbero ugualmente alla sussistenza di un ente da lor di- verso, procedendo in quest'argomentazione con passo uguale a quello che facciam noi, cio riportando tutte 1' effetto sofferto all' ente ideale in esse come in noi risplendente. M. Ma se queste cento maniere d' intelligenze avessero cento idee diverse dello stesso ente, tutte queste idee sarebbero in- gannevoli e false. ji. Non dovete dir cosi: anzi, se vi ricordate ci che noi abbiamo ragionato altra volta insieme, dovete dire che tutte quelle cento idee sarebbero vere. JH. Sovveiigomi, che voi mi mostraste come i sensi non c'in- gannano, perch non ci costringono a prendere i loro feno- meni come rappresentazioni delle cose, ma egli sta in noi a portarne colla ragione un retto giudizio. Ora se noi non pren- diamo le sensazioni per rappresentazioni, ma per segni, e per modi e gradi dell' attivit di un ente ^ non andiamo punto errati. Il qual principio applicando a quelle cento specie d'in- telligenze che voi avete supposto , io ben veggo , che appunto perch hanno il lume della ragione, esse possono guardarsi dall' errore , non abbandonandosi alle illusioni fenomenali , le quah invitano e provocano l'animo a prenderle per riti*atli e forme di cose reali. Per ciascuna di quelle intelligenze ha il modo di riconoscere , che quelle loro idee delle cose speciali ve- ramente non dicono altro se non, tf avervi un ente atto a r iotelligenza immane d'errore. E ne M. L'avrei caro. A. La prova di fatto ii il ragion Noi siamo una di queste nature iu perch siamo intelligenti , cuiioscifim non ci rappresentano l' ente che co 1 ma natura, ma non ci porgono ci un grado d sua attivit in relazioi noi l'intcadimento, e qucstt medesim sere intelligente, in cui i fenomeni fo 8 voglia da' nostri. Duur|iie le idee telligenti son tutte Iiniit;ile, e pur t ramente esprimono un diverso gi-ado a ciascuna natura in cui quell'ente lo stesso ente in relazioni diverse. Du son tutte eterne, essendo eterna la M. Ma come sono eterne, .so cias fa a r stessa, e so non sono le idee i come voi avete detto? A. Non abbiamo veduto, rho ogm verit, cio die spe ie di atti' ente di produrre un certo efTetto M. Si. 617 A. Prodotte propriamente sono le perceziom delle cose ^ ma le idee^ come idee, non si possono dire prodotte. M. Dichiaratemi, vi prego, questo concetto. A. La percezione non  che attuale , e suppone che V ente agisca in noi attualmente. Ora questa azione attuale  contini- gente , accidentale , passaggera. La percezione adunque  cosa istantanea. Ma la percezione, anche dopo che Toggetto sussistente non ferisce pi i nostri sensi , lascia memoria di s, lascia in noi una specie , una ricordanza di ci che abbiam sofferto. Questa ricordanza di ci che si ha sofferto ci ai pensare che il me- desimo si pub sofferire ancora : la sofferta modificazione aduu que, considerata unicamente come possibile e come mism*a del- r attivit dell^ ente agente,  ci che costituisce la nosti*a idea^ Ora la modificazione nostra, per esempio la specie del sole, che anche ad occhi chiusi o a mezza notte mi si presenta , questa specie che determina a me V attivit di quest^ente che chiamo Sole, non  ella (considerata come meramente possibile) eterna? la possibilit delle cose tutte non  ella etema? M. Ma dove ponete voi quesf idea a delP ente considerato come idoneo a produrre in voi quella modificazione ? in Dio, o fuori di Dio? A, Provato che una cosa  eterna, egli  anco provato che  in Dio , unica sede di tutte le cose eteme. M Le nostre idee dunque, sebben limitate, sono in Dio. A. Si, in Dio sono tutte le idee nostre, e tutte le idee che avessero quelle centomila maniere d"^ intelligenze di cui a voi piace di far popolati gli astri innumei*abili del firmamento: di maniera che si pu dire con tutta verit, che Iddio conosce le cose in tutti que^varj modi, onde sono conosciute da tutte le maniere di intelligenze che sono o saranno nello smisurato universo. ^ M. Ma come diceste adunque poco innanzi, che non sono e non possono esser tuttavia queste le idee onde Iddio conosce le cose? A. Tutte queste idee^ sebben vere, sono limitate e imperfette, e non manifestano gli enti se non da un lato solo , non ce li danno a conoscere se non in una loro efficienza parziale, e i*e lati va alle intelligenze finite nelle quali esercitano la loro azione. KosMiNi^ // Rinnovamento. 78 Vt '[ in Dio; ma sono in Dio, pi^rch egli noi, e che in noi si generassero a qi generano. g1i a questo Ono appunto h stra. Imperoccli onde viene clic nr come le reggiamo ? otiilu viene che gli in noi quella impressione che ci fanno, e l'avere Iddio costruita in un modo e n umana; e per costruirla, egli dovea a della natura umana, e di tutto ci ci anche d tutte te impressioni sensibili e d tutte le idee speciali clic mediani potea formare a s stessa. E notate , e considerate nella parte lor soggettila, gette a variazione nel loro fondo, per dalla stessa natura umana, la quale han; Jff. Quali son dunque queste idee tengono alla mente divina in proprio, nostre e da quelle che tutte le creator loro nature? j. Come un ente operante in noi, n{ un grado di sua attivit e dell'esser su modo relativo al modo dell'esser nosti 6i9 siamo di ^elP ente prendete! altra cognizione se non al tutto parziale, cio ristretta a qiu^l suo effetto che sperimentiamo^ cos Iddio non conosce gi gli enti in una loro attivit limitata e relativa colla quale operino in lu , ma nell'intima loro sostanza. E questo  quello che vide anco il Vico, con acutezza al suo so- lito, ma alquanto indistintamente, quando scrisse, se vi sovviene, che u il sapere sia posto nelP accozzare insieme gli elementi  delle cose; sicch il pensare (i) sia proprio della mente uma* ic na , e Dio solo abbia V intelligenza (2) ; posciach egli legge u tutti gli elementi si estemi che interni delle cose , pei-ch li fc contiene e li dispone : laddove la mente umana eh'  lmi- a tata, e perch tutte le cose che non sono dessa sono fuori tf di essa, non pu che raccoglierne gli elementi estemi, e per-  ci non pu raccoglierli tutti; ond'  ch'essa pu bens pen-  sare, ma non mai intendere le cose ; per il che non  della  ragione perfettamente posseditrice, ma solamente partecipe w (3). M. E perch dite voi, che il Vico non vedesse questi veri con distinzione ? u4. Perocch tutto ci che dice vale bens per la parte sog- gettiva e determinante l' idea, ma non per lo fondo stesso dell' i- dea, che  sempre l'essere ideale. Questo noi vide il valentuomo ; e per non distinguendo la parte assoluta, oggettiva e formale del sapere , dalla parte relativa , soggettiva e materiale , lasci r adito agevolmente a intendere la sua dottrina in un modo scettico, pigliandosi il limitato che hanno veramente le nostre idee , pel /also che non hanno. M. M'avveggo, che non pu uscirne altro che lo scettici- (1) Attribuisce il Vico alla parola m pensai'e ^ il significato di m andar raccogliendo . (a) Il Vico crede che inteltigere venga da  ( i ), perch non hanno in Dio sussistenza fuori dcirulLo della divina volont. (i) Cosi rdulorc dell'opera celeberrima a Diifini Nomi : t* 1^ {;li esem- m pian uoi diciamo essere le ragioui che souo in Dio , le quali danno alle M cose Ti^ieuza^ e busmmoiko inoauzi d esjte ftini^olarnuMite: e i)(ie((* ra- ^ gioui butio ap(>elLtie dalla Teologia |u-edeiiiijazJoui, e divine e l>u{nu> vo- u Ionia (v^oof;tef4'j(;, xt! inu xeU a}atif i^tAit^MiiX j, ciie iiaiiuo vul Jj flicit sa ipsum et qiuecumqw fccit (i).  di cpil ritraete una nuova conferma della dottrina che vi ho esposta. Imperocch che  il Verbo, se non la conoscibilit di Dio (a), in virt della quale Iddio afferma se stesso? E che  la creazione, se non come dicono i teologi, un atto volontario dell'intelletto divino, onde vede sussistenti le cose che vuol rendere sussistenti? Iddio u non conosce tutte le creature, dice sant'Agostino, e spirituali  e corporali, perch elle sono^ ma anzi elle sono per questo, a che Iddio le conosce  (3). ColPatto aduncpie col quale Iddio conosce le creature come sussistenti, con quell'atto medesimo egli le crea; ed egli conosce le creature con quelFatto identico, onde afferma e rende se stesso conoscibile, o sia genera il Verbo. Sic- ch con un atto solo Iddio cagiona e la conoscibilit di s stesso. (i) Monol. e. XXXII. (a) Si noti bene; non la conoscenza ^ che appartiene tX[\ssenza divina, ma la conoscibilit. (3) Universas creaturas et spirituales et corporaes non quia sunt ideo noi'it Deus, scd ideo sunt quia novit (DfTrInit. XV, xin). V'ha una sen- 1f*nzA di OrijTfine, 1 qual^* sembra dire n^respressione dirittamente il con- trario di qnrlla di s. Agostino, e pure ella, ben intesa , riesce al medesimo roncetto. Dice Origene: Nnn propierea aiquid erit, quia id scit Deus fu^ tunim : sed quia fuiurum est ^ ideo scitur a Deo antcquam fiat (In ep. ad Rom. L. VII, sup. illiid quos vocavit , hos et justificavit etc ).  di netto SI contrario di ci che dice s. Agostino in apparenza. Ma si osservi , che Origene non potea mai voler dire , che Dio ricevesse la scienza dalle crea- ture; errore da fanciullo. Dunque il pensiero del grand' uomo era volto ad altro quando scriveva quel passo. E per intendere a che, si badi nelFultime parole , ove dice che n ci che verr fatto , si conosce da Dio avanti che M sia fatto, appunto perch  da farsi. Dunque se non fosse da farsi ^ se- condo Origene^ non sarebbe da Dio conosciuto come da farsi  cio in se- parato dall'essere infinito. Dunque Origene vuol dire: m perch Iddio de- cret di formare un ente, per questo lo conobbe ; o sia: u Iddio produce gli enti con un atto d'intelletto col quale li conosce; e se non volesse pr* darli- non f:irebbe n pur quell'atto intellettivo e creatore^ che ne costi- tuisce prima la loro intelligibilit, e poi ancora la loro sussistenza . Sicch tutto il passo intero di Origene cos l'interpreto: m Un ente non verr gi a sussistere perch Iddio conosce che egli verr a sussistere, quasi che il conoscere che egli verr a sussistere non dipenda da Dio; ma anzi  da dire, che Iddio lo conosce appunto perch ha decretato che quell'ente venga a sussistere: e avendolo cos reso futuro, l'ha reso a s conoscibile . In tal modo inteso , Origene e s. Agostino dicono Io stesso, usando frasi al tulio coulrarie. e la conoscibilit di tutte le creature: solamente che, quanto al primo effetto della conoscibilit di s stesso, Iddio P opera anche necessariamente e naturalmente 5 quanto al secondo , libera- mente: quanto al primo, Patto divino  tutto interno e si chiama  generazione  ^ quanto al secondo , questo effetto esce da Dio e si chiajna  creazione . Tutto adunque  coe- rente in questo sistema; e voi vedete come per esso si dissipi la terribile difficolt che vi avea toccato , cii^ca il numero infinito de' possibili. M. Certo , quella difficolt  svanita : perocch sebbene gli enti che Iddio ha fermato di creare sieno di numero tanti che vincono forse la mente di tutte le creature intelligenti, tuttavia riman quel numero finito, e per finito riman pure il numero delle idee particolari e detenninate. Ma la difficolt mi rinasce sotto altro aspetto. Imperocch conseguenza delle cose dette si , che Iddio non conosce tutti i possibili. u4. I meri poFsll)ili li conosce tutti, ma virtualmente, come stanno unitamente accolti nella pienezza dell'esser divino. Se- paratamente per gli imi dagli altri non li pu conoscere, per la ragione semplicissima, che separati non sono. E volete che sia conoscibile quello che non e? M, Come dite , che i meri possibili non sono al tutto? non sono essi pensabili ? dunque sono qualche cosa. j. Maurizio, la materia  degna della vostra sottigliezza. Fate voi differenza fra ima cosa pensabile e una cosa pensata? M, Si certo ^ se la cosa  puramente pensabile, ella non e ancora pensata. ^. Egregiamente : per il pensabile non esiste come pensato ancora. M. No. j4. Qui avete la chiave da sciorrc la difficolt vostra. Per- ch un ente sia meramente pensabile ,^ ma non per ancora pensato y ha egli bisogno che sia prefinito, determinato, di- stinto dagli altri enti? o basta che colPatto del pensiero si possa prefinire, determinare, distinguere? M. Questo secondo. A, E cos vsono i possibili in Dio. Ove egli lo voglia , li di- stingue e li crea: ove non voglia, non li distingue^ e tuttavia ecle tutta la pTofondt di s stesso , mare d tutto V essere L'atto afliincpie, onde Iddio distnse gli enti,  slmile, o anzi  il medesimo di quello della creazione; egli produre colPatto stesso la loro conoscibilit ( V idea distinta ) e la loro sussi- stenza. E di vero, voi vedete Pente in universale. Immaginate clic tutte le intelligenze che sono nell' universo vedessero bens cpiestVnte, e molte cose in esso, ma non lo vedessero deter^- minato all'atto cbe lo restringe all'essenza dell'uccello. L'es- senza dell'uccello esisterebb' ella ? Virtualmente s-, peroccb ogni intelligenza potrebbe discemerla (aggiungendosi le con- dizioni opportune a rpiest' atto ) nelP ente in universale : ma ella tuttavia non sussisterebbe distintamente , poich ninna mente avrebbe contemplato l'essere ristretto alla forma dell'uccello. Applicate rii a Dio, che vede non solo l'essere ideale, ma l' essere reale ad esso pienissimamente adeguato. Non gli manca ninna condizione, altro che quella dell' atto del libero volere, al fine cV egli possa considerar l'essere ristretto alla forma dell'uccello, o ad altra forma qualunque, e cosi disegnare, per cosi dire, o sia determinare quella idea o quella essenza. flf. Ma questa esistenza virtuale ed unita de' meri possibili , mi  pur forte cosa a concepire. E parmi, se cos fosse, che dire si potrebbe, non esserci tanto i possibili da tutta l'eternit, quanto la possibilit de' possibili? j4. Io accetto volentieri questo modo di dire, e parmi an- che conforme a quello delle sacre carte; le quali non mettono, a quanto rammento, nel novero degli enti i meri possibili, ma "pi tosto ve li escludono; come s puft vedere in Daniele, ove Susanna prega Iddio con quelle parole:  Dio eterno,  che  conosci tutte le cose prima che sieno fatte  (i). Qui voi ve- dete che si parla di quelle sole cose che devono esser fatte, e nulladimeno esse si chiamano u tutte  , quasich non ve n'ab- biano altre fuor di quelle che saranno fatte. Ed il medesimo concetto ricevono le parole dell'Apostolo, che dice, Dio uchia- cc mare tanto le cose che non sono, come quelle che sono  {^): dove il vocabolo chiamare indica manifestamente parlare l'A- (i) Dan. Xlir. (2) Rom. IV. 63 1 M, Avidamente F ascolto. A. La caveremo dalP intima natura del divino conoscere. Non abbiamo noi veduto che Iddio conosce tutte le cose in s stesso ? M,  ammesso da tutti. A. Dunque conosce le cose come sono in esso lui . e non altramente. M. Se l'oggetto di tutto il suo sapere  la propria sostanza, egli non pu conoscer le cose se non come stanno nella so- stanza sua. A. E bene^ or prescindiamo dall'atto creatore, onde le cose vengono a sussistere distinte fra loro, e consideriamole come elle stanno per natura nell' esser divino. Non insegnano i mae- stri delle divine cose, che l'esser divino  pienissimo, ma in- sieme unitissimo, di guisa che non riceve in s differenza o distinzione reale alcuna, eccetto quella delle persone? M. Mei dice il Catechismo. . A. E per, che le cose tutte non sono nelP essere divino punto distinte, ma unite insieme, eopsi2,7^ , e insieme rispetto alle creature ,  immagine della bont di lui . Ved. S:ip. VII. (1) Tertulliano dice appunto: Printogenilus ut nntc omnia f*enitus : et unigeniius ut sotus ex Dea genitus. Contr. Praxeam, e. VII. E altrove dice chiamarsi /)rimo^c/ii7um conditionis per questo, che per ipsum omnia Jacta iunl. L. V. contr. Marciuu. e. XIX. (5) Lcibiiizio fece un' osservazione che ha qualche somiglianza con quella ;lie uoi facciamo qui sull'origine dell' arianesimo, e^ Sembra, cosi egli, che f alcuni padri ^ soprattutto i platonizzanti, abbiano concepito due (iltazioni g del Messa, prima che nascesse dalla Vergine Maria: quella che lo fece s Figliuolo unigenito j in quanto  eterno nella divinit, e quella che 10 $ reude primogenito ilcUe crealtwej per cui fu vestito di una natura creala e la pi nobile di tutte, che rendevalo stiomcnto della divinit nella pro- RosMiiNi 5 // RiiinovaniCUo. 8 1 M. Contento s, sazio no; pare me n'ho pre$o una buona satolla, e ve i>e ringrazio. CAPITOLO LUI. GONTIMUZIOIIE, Appai'lsce dal precedente Dialogo, come convenga accuratat mente distinguere i.** la conoscibilit delF essere; 2.* le circo- scrizioni o limitazioni delP tessere , che vede Iddio nelP essere conoscibile creando le cose; 3.** le circoscrizioni che mettono air essere da esse intuito le create intelligenze, circoscrizioni variq secondo la natura di quelle; 4*^ ^ finalmente le circoscrizioni e determinazioni che mette all'essere intm'to la natura umana. La conoscibilit dell'essere, in Dio  il Verbo divino; nel- r uomo  r esseve possibile indeterminato , a cui in proprio e originiriamente compete il nome A'^idea. Le limitazioni sotto cui Iddio guarda T essere creando le cos^ limitata , sono le idee determinate di Dio. Le limitazioni sotto le quali veggono Tessere le create ior telligenze, sono le idee determinate delle create intelligenze. Le limitazioni sotto le quali vede l'essere la specie umana, mediante Fazione che riceve in s dalle cause create , e che le serve a determinarsi Tessere entro un certo grado o misura limitata, sono le idee de.teiininate delVuomo (1). (f duziono e direzione delle altre Dature.  Gli Ariani teonero solo questa M seconda filiazione, diin(!iicarono la prima , e parve che alcuni dei padri  ii favorissero opponendo il Figliuolo all' Eterno in quanto consideravano i( il Figliuolo per rapporto a questa primogenitura tra le creature; di cui  parl s. Paolo, Coloss. e. I, v. i5. Ma per questo noo gli negavano ci  che gi a vea in quanto Figliuolo unico e consostanziale al Padre m ( Spi^ rito di Leibnizio, t. , p. 49 ) (1) Si osservi, che questa dottrina suppone che ogni oggetto, oltre Tat- tivit onde a noi si rivela, abbia altres qualche altra attivit a noi oc- culta , culla quale possa nvelarsi ad altre intelligenze da noi diverse. Ci pirr non  che una mera sup/fosizionc che noi abbiam fatto : n possedia^ nio una dimostrazione che la cosa sia cosi: per non vogliamo che ella si prenda per una ferma nostra sentenza | pr^a per tin mero postulalo 4^ AQi 5tro ragionamento. Gii jC Idee ili Dio risponit(> pienamente a tutta l'entit degli tTti sussistenti, perocch sono determinate dall'atto cheli creai  pel quale sussistono. Le idee delle create intelligenze non rispondono a tutta Pen- tita degli enti sussistenti, ma solo ad una parte, e perci meglio s direbbero specie ^ che idee (i): ne verrebbe altres la conse- guenza , secondo questa maniera di favellare , che noi avremmo una lea sola ^ e molte specie. Le idee dell'uomo non manifestano degli enti sussistenti chd quella attivit colla quale agiscono in lui essere essenzial- mente senziente, e trattandosi de' corpi, quell'attivit che gli manifestano in cagionandogli le sensazini animali. Di qili molto acconcc si dimostrano le parole del Vico , il (Jual disse :  Il vero divino  come un' immagine solida delle a cose , ed un'effigie in rilievo ; il vero umano egli  come uri  monogi'amma od immagine piaia, a guisa d'una pittiu'a:  e in quella guisa che Dio, mentre conosce il vero, ne coor- u dina gli elementi e lo genera^ cosi l'uomo, conoscendo il a vero, lo compone eziandio e lo forma  (2). Ma se il pensiero di Vico ha un gran fondo di verit, indi-* cando che il modo del conoscere umano ha una cotale analo^^ gi col divin, in quanto che, cme Iddio conosce le cose raf- frontandole al suo Verbo e in lui veggendole, cosi 1' uomo pure le conosce raflVontando il sentimento da lor prodotto aV idea deW essere; tuttavia molto meglio e pi distintamente del Vico fu distinta da' Platnici la parte formale del sapere j quest'essere ideale a cui si raiironta il sentimento, che  quella che pi facilmente si sottrae all' osservazione ^ come ho di sopra toccato. Plotino, a ragion d'esempio, d'una parte vede chiaramente che il senso non percepisce tutta l' attivit e l' entit dell' ente (1) A me piaceret3be assai di riserba re il nome d*idee a quelle di Dio f chiamando specie quelle delle inlelligeuze creale, che uon adegua uo l'eritil degli enti che fuiiao conoscere. San Tommaso dice qualche cosa di situile j nefando a Dio la molliplicit delie specie e non quella delie idee. 3. \ $ XV. II. (>) Dell* anlichissima sapienza ecc., e. I. cu corporeo: Quello che si conosce col senso, dice,  la specie  della cosa, e la cosa stessa non  compresa dal senso " (i). Dair altra, egli consider la cosa stessa, V ente ^ e questo il disse compreso dalla mente. Cosi distinse la parte for- male , per s e Immutabilmente intesa , dalla parte materiale del sapere, dipendente tutta dalla condizione della natura no- stra e de' nostri sentimenti. Gli entipensati ( r vf^Ta ) secondo lui non sono le immagini delle cose , ma le cose stesse (i). Da questo egli conchlude , che u la percezione delle cose po- u ste fuori della mente non  cognizione n (3), e che  nel senso  (cio nelle rappresentazioni sensibili, ei(foXov rov ^pdyfia'  toc) non v' la verit delle cose, ma solo V opinione  (4). Distinsero adunque questi antichi accuratamente la intuiziom deW ente ^ dall'atto onde V ente si determina e si restringe. L'uomo adopaf kupo tl^ca Ennead. V, Lib. V. (a) Ac/Tor rei 'WfdyfJiarfZy xai oux %i\et juoVeir. Enn, W , Lib. V. (5) O w5j r votna ytmaxuv euK Irifa iwra ytvtiaxii* Enn, V, Lib. V. (4) Aio? TCirTO V rarig dto'^fivia'tv dux iarip dX^l^tisf, aXXoc o^at. Etut. V, Lib. V. 645 (piali affermano, che  tutto ci che si conosce, non secondo u la virt della cosa conosciuta, ma pi tosto secondo la fa  colta del conoscente si comprende w (i). CAPITOLO LIV. SI CONFERMA LA TEORIA DELX,^ ENTE QUAL LUME DELLA RAGIONE COLl' autorit' di S, TOMMASO d' AQUINO. A tutte le quali dottrine sin qui per noi ragionate vorrebbe il C. M. levare l'autont di S.Tommaso d'Aquino, concedendo per loro senza controversia quella di s. Bonaventura, il quale ingegno non  punto dispari, quanto io ne veggo, a quello dello stesso Aquinate. Ma ci rbe non parmi al tutlo equo in questa affermazione del C. M. si , cbe avendo io allegato in pi di cento luoghi del N. Saggio FAquinate, e quasi per tutto usato diligenza di mettere a confronto i passi paralcUi di quel grand' uomo, in- terpretando lui con lui stesso; il mio avversario reputi tuttavia bastevole a levare alla mia dottrina un suffragio ,s autorevole il produrre solamente alcune sue poche congbietture generali sull'intelligenza di alcuni luoghi dell' Aquinate, e nuli' altro. Quanto a me, anche dopo le conghietture del C. M. , non , parmi di esser pi vicino a s. Bonaventura che a s. Tommaso^ e se il volessi provare, crederei di farlo a pienissimo col solo ripetere quello che nel N, Saggio e gi detto, e che n fu confutato , n tampoco dal M. esaminato. E tuttavia io non vo' lasciare di aggiungere qui un nuovo cenno sulla mente di 5. Tommaso, e sul modo critico d'intenderlo, sopra quello che nel N, Saggio si contiene, dove ognuno che abbia voglia di leggere potr trovare di vantaggio su questa controversia. Al qual fine udiamo prima le congbietture del Mamiani. I. u Dichiarasi da s. Tommaso, in pi luoghi, che i generali u tutti sono per induzione, e in ispecie, nella terza della seconda Il .  I  (i) Boezio 4 De Consolationc Phil,, Llb. V, pKosa IV. ()46 u parte (i) della sua Somma, alla quistione ^g^ scrive che il M senso  detto produrre V universale in quanto che l' anima a r universal cognizione riceve per via induttiva e dalla consi'-  derazione di tutti i singolari n.  Che anzi nella quistione 9 5 della terza della seconda par-  te (2)5 ci fa espressamente sapere che F intelletto perviene a  conoscere la nuda quiddit delle cose^ sceverando quella da  sia il mezzo, la specie onde s'intende (il quo intclligitur)',, e il fargli dir que- sto,  un trattare assai male il grand' uomo. Perocch sai^ebbe (1) (Ratio) abstraliit  in corpotihus quae fundantur a cor/foribas non actione sed cnnsideralione. Cosi sapieuteinente s. Boua ventura, ud Centiloq. P. HI, Sccl. xxiii. (2) Ilo gi notato altre due volte, che r|U(!Sta terza parte non esiste. (3) la un altro luogo dice il Mainiani slesso : r E aucora pot voler dire M che TintelleKo ha per proprio ufficio il pensare V universale , e questo  * il senso dell* altro passo ove le^yesi l* inUUctlo lui t optsnione ua circa u l'ente universale  ( P. II, e. XI, vi ) Io rimetto al C. M. il conciliare questi due suoi passi. (4) Questa distinzione  frequente in s. Tonnnaso. Ved S, I, XV, 11. (5) Spccics QUA inlelligitui*  est forma facicns intellcctum in actu IS, 1, XV, 11). G49 pure la strana sentenza, quella che dicesse che V ente e il vero come sia nelle cose rautcriali fosse la specie del mio intelletto. San Tommaso adunque distingue accuratamente la cognizione materiata y dalla cognizione formale, Neil' ordine della cogni- zione materiata la prima cosa che si conosce  P ente e il vero considerato nelle cose materiali, e non in separato da esse. E non  questa la nostra dottrina appunto? non diciamo noi, che la prima funzione della l'agione  la percezione delle, cose corporee? e che cosa  questa nostra percezione, se non reiitc e il vero considerato nelle cose materiali? non  certo costi- tuita dalle sole cose materiali la nostra percezione , nel cjnal caso saremmo sensisti, ma bens da tutti e due gli elemcnli, I.** l'ente e il vero (forjnale) 9,." consideralo nelle cose mate- riali ( materiale della cognizione ). iNoi dunque; quando ci glo- riamo di esser discepoli dell' Aquinate, crediamo di tenerci ben lontani daHa tenuit de'sensisti. Ma resta a vedere, che cosa sia pc;r s. Tommaso V altro prin- cipio quo cognoscitiir j la specie che informa F intelletto nostro e il fa veggente. Basta considerare, che  principio di s. Tom- maso fermissimo, che  l'intelletto s'estende a tutte le cose perch il suo oggetto  l'ente e il vero comune  (i)? ^ ^^^ V ente e il vero particolai^e. Di poi egli mette quest' altro prin- cipio , che u acciocch una potenza si compia perfettamente me-  diante la sua forma , conviene che la forma sua sia cotale , u che sotto di s comprenda tutto ci a cui la potenza si esten- u de  (2). Or si ritenga la definizione, che la forma intellettiva  a ci onde l'intelletto intende  , quo intelligit (3)^ la con- clusione sar facile, e sar questa: la forma adeguata delFin- tellctto non potr essere n l'essenza dell' angelo, n l'essenza (1) Objecium intellectus est ens, vel verum commune (S. I,LV.. i)- Seruus autem non cognoscU esse nisi sub hic et nunc, sed intellectus apprehendii esse absolute et secundum omne tempus (S. 1, LXX^ yi). (1) Oportet autem ad hoc quod potentia perfecte conipleatur performum , guod omnia coniineaniur sub forma j ad quae potentia se ertendit{S. I,LV,i). (3) Illud (pto intellectui inicUigit, comparatur ad intellectum ntclli^eH- tem , ut forma ejus , quia forma est quo agcns agii {S, l, LV, 1 ). RosMUii, // Rinnovamento. 82 65o d' altra qualsivoglia creatura , perch queste essenze sono parti' colori (i). Che riman dunque? che ella sia Tessere al tutto universale. Secondo adunque questa dottrina luminosa di s. Tommaso, r ente che primo conosciamo come oggetto^  V ente che cade sotto il senso e Y immaginazione , e propriamente la sua quid- dit o essenza (2)^ ma Tente col ^uoZe prima conosciamo si come specie^  Tente comunissimo. Egli  vero che noi riflettiamo poscia sulle specie nostre, onde le conosciamo solamente dopo di aver conosciuti gli oggetti sussistenti ^ ma questo non toglie che la specie si trovi veramente in noi ^ perocch essendo ella il mezzo di conoscere, dee essere antecedente all^ atto steszj onde si conosce , e all^ oggetto materiato che con essa si con^ sce: la specie adunque, Pente ideale,  la prima cosa che cade nel nostro intelletto, anteriore alFatto stesso del conoscere o^ altra cosa, ma tuttavia  P ultima a cui rivolgiamo la nostra attenzione. (3) Ma il G. M. continua a inteipretare s. Tommaso al suo uopo, (1) Ipsa autem essentia angeli non comprehendit in se omnia, cum sii es* sentia determinala ad genus et ad speciem,  Ei ideo solus Deus coffUh scit omnia per suam essentiam (S, 1, LV^ 1 ). (2) Intelectus enim humani propriwn objectum est quiddUas rei mate' rialis, qune sub sensu et imaginatione cadit ( .9. I, LXXXV, v). Io orrd che il G. M. considerasse quella parola proprium ohjectum , che  relatita all'altra ohjectum commune. Dice dunque s. Tommaso  che r tratlaodosi deirintellclto umano il proprio e specifico oggetto , la quiddit dell'ente materiale. Ma qual sar poi l' oggetto comune a tutti g' intelletti , a cui serve di specie universalissima  se non Vente e il vero comune come dice l'angelico Dottore in tanti luoghi? E se l'ente e il vero comune  l'uni- versale oggetto di tutti gl'intelletti : dunque anche dell'umano : e il proprio "non  che la differenza del comune, e vien dopo ci che  comune, come per \ui' aggiunta. (3) Quia intelectus supra se ipsum reflectUur: secundum eandem rejlexio- nem intelUgit et suum intelligere , et speciem qua intelligit. Et sic speet intellecta, secundario est id quod intelligitur. Se did quod intelligiiur primo, est res, cujus species inuUigibilis est similitudo {S. 1, LXXXV, n). Questo passo  degno di attenzione, perocch dimostra, si come gli antichi ave vano osservato che giacciono in noi delle specie, di cui ooi facciamo oso prima ancora che sopra di esse noi abbiamo riflettuto. 65i dicendo : a Dove poi nomina V ente il primo notissimo alF in-  telletto y si raccoglie dall' intera lezione eh' ei parla ivi in  ordine dottrinale n. Cos il Mamiami. Ma non cosi s. Tommaso stesso , non cosi quelli che hanno posto un lungo studio nelle sue opere. Scegliamo un solo di questi^ il quale raccolse le dottrine filosofiche dell' Aquinate, e le ordin in un compendio di filosofia, voglio dire Antonio Goudin. Ecco che cosa egli dica all' uopo nostro circa l' ente come primo notOj secondo la mente di s. Tommaso:  E qui tuttavia si dee diligentemente osservare , che noi  P. n,c. XI, Tt. (a) V. iV. Saggio ecc. Set. V, e. IV, J 3. , (S) iLLVMllfJifTVB quidem ( phantasmaia )i quia  phantasmata ex \ntiute UaellecUis ageniis redduntur hahiia , ut aft eis intentioncs inielUgi- 'i/ts ab^trahantur (S. I, LXXXV, 1 , ad 4 ). 653 fantasmi per s non si pu astrarre cosa alcuna , ma  uopo , secondo s. Tommaso, che prima diventino esseri intellettuali y fa bisogno che ricevano il lume dell' intelletto agente. i)ra se a' fantasmi si dee prima di tutto aggiungere il lume deir intelletto agente, e se si pu solamente di poi esercitare sopra essi r astrazione , non  egli vero , che , secondo s. Tommaso , dee precedere la sintesi ^T analisi 1 non  questa illuminazione di s. Tommaso la nostra percezione intellettiva de' singolari ? i fantasmi non sono la modificazione individiude ? e il lume dell- intelletto agente, che vi s' aggiunge, non  V ente di cui i fantasmi sono puri segni od effetti ? La dottrina di s. Tom- maso conviene dunque colla mia a capello, o a dir meglio, la mia con quella del santo Dottore. Ma muove il C. M. una novella istanza, facendo osservare, che s. Tommaso riduce tutto al principio di contraddizione ^ e non ?X)l intuizione deWente^ come fo io. tt S'egli avesse creduto, dice, a qualche principio innato, a avrebbe posto nelF animo qualche sintesi primitiva , la cui a evidenza non dimorasse nel principio logico della ripugnanza, tf il qual principio  nondimeno presentato da s. Tommaso 9 u come il vero e il solo fondamento d' ogni certezza  . u N manco avrebbe risoluto le proposizioni tutte assioma- u tiche in proposizioni identiche , o come suol dirsi oggid, in u giudicii analitici  (i). Quanto a quest'ultima proposizione^ egli  strano a vederla accampata contro di me. Crede forse il M . di disputare con- tro di Kant? E pure il M. sa troppo bene, che io ho rifiutai i giiidiz) sintetici a priori di Kant. Ella non merita adunque eh' io le faccia risposta. Quanto poi al principio di contraddizione, noi faccio io, come P.Tommaso appunto, il fondamento della certezza? non dimostro io, che il principio di contraddizione non  altro che l'idea del- l' ente applicata (2) ? Non fa dunque bisogno nel mio sistema, che l' evidenza dimori altrove che In questo principio, perocch (1) P. II, e. XI, vi. (a) V. Nuovo Saggio ecc. Set. V, cap. V, art. i. 654 questo principio  il medesimo che V idea dell' ente.  Ma to fate precedere Fidea dell'ente al principio di contraddizione.  S j questo  vero ^ come la misura dee pi'eesistere all' uso che se ne fa^ come gli scolastici appunto mettevano innanzi V ope- razione del percepire^ a quella del comporre e del dividere (i)*, come s. Tommaso stesso fa precedere l'intuizione dell' cute, al principio che dice  1' ente non ammette iu s stesso V af- fermazione e la nefi;azione ad un tempo , clic e il principio di contraddizione. Volete aver sott'ochio le stesse parole del mae- stro d'Acquino? Eccovele lampanti:  In quelle cose che ca-  dono nell' apprensione degli uomini , si trova un ordine.  Imperocch ci che in primo luogo cade nell'apprensione,   Pente, l'intellezione del quale s'acchiude in tutte le cose,  checch per altri s' apprenda (a). E per il primo principio tt indimostrabile , che l'affermare e il negare non istanno m- u sieme (3): il qual principio si fonda sopra la kagione del- u l'ente e del non ente: e sopra di questo principio si fott- io dano tutti gli altri  (4) (i) In una nota ai Principj della Scienza Morale , e. I art. in, ho dimo- strato^ coll'autoril di Alessandro di Ales, come Tidea dell'ente fu riconosciiila precedere il principio di contraddizione dagli scolastici stessi, appunto per- ch T operazione deW* apprendere ( simplicium intelligentia ) riconosce?ano que' savj dover di necessit precedere V altra operazione del comporre e dello scomporre. Questo stesso ordine assegnato alle operazioni intelletti?e prova assai chiaro come la sintesi intellettiva presso gli scolastici si iacea preceder sempre all' anaisi. (2) Qui non si parla dell'ordine dottrinale^ come vuole il Mnmiani; egli  evidente ; ma di ogni apprensione o degli indotti , o de' dotti. (3) Con questa formola s'annunziava il princpio di ripugnanza. (4) In his autem, quae in apprehtnsione hominum cadunt, quidam ardo invenUur, Nam illud quod primo cadit in apprehensione est ens , cujus in- tellectus includitur in omnibus , quaecumque quis apprehendit. Et ideo pri* nmm principium indemonstrabile est, quod  non est simul affirmare et ne gare ni quod PUNDJTUR super RATiONBM ENT/S ET NON ENTIS : tt super hoc principio omnia alia fundantur (S, L II, XCIV, 11). Ratio entit viene a dire in italiano il concetto o l'idea dell'ente; o sia , che^ il mt^de- Simo, non l'ente particolare , ma l'ente in universale. Erra duuque il C. M. quando asserisce , che per l'essere e il vero  si dee intendere eh' egli  vo- w lesse significare sol questo^ doversi dalla mente chepeaM,ricevere sempre-  ui>a qualche realit m: giacch aache il senso riceve una qualche realit; 655 Queste parole sono chiare, a me pare. In esse il principio di contraddizione si deriva dMCidea delT ente. E per vero, sa- rebbe pur cosa strana , che si sapesse u V ente non poter essei*e e non essere nel medesimo tempo , senza aver prima saputo cbe cosa sia l' ente ^ quando quella proposizione non  altro che un' espressione che indica la propriet , la natura dell' ente stesso. E come si saprebbe, che tale  la natura dell' ente , che escluda la contraddizione, se non intuendo V ente stesso? IV. E vide per il C. Mamiani, che il lume dell'in telletto agente, nomiuato tante volte da s. Tommaso , e da lui posto innato nel!'' uomo, romperebbe al tutto il suo sistema, e fiancheggerebbe il mio^ onde egli pensa di spacciarsene con questa interpreta- zione : u II lume innato di nostra mente a noi sembra volere indi- ca care non altro che la potenza conoscitiva n (i). Bisposta. Perch non citare i luoghi di s. Tommaso, che favorissero questa interpretazione? perch non porli a confronto? Non ab- biam fatto cos noi nel JVuok) Saggio? perch contentarsi di dire, che u fa bisogno notare il collegamento di quelle idee e con le altre aflSni^ e interpretare s. Tommaso con li suoi testi  medesimi >9 ('^)^ ^ non farne nulla di tutto ci? Il nobile in- gegno del C. M. meriterebbe, che non si ponesse per tal foggia a imitare quelli che si chiamano sperimentali, i quali molto stanno in sul parlare di metodo, ma veramente pochissimo, ne' ragionamenti che risguardano la scienza dell'anima, ne man- tengono i precetti. ma r jit filetto , secondo s. Tommaso, non riceve solo Tenie reale, roa RATJONEBi ENTfs, che viene a dire, Tcnte idralt;, possibile , universale. Se duijque su questa idea delFente si fonda il principio di contraddizioDe , e sopra questo tutti gli altri principi , chi non vede, che il punto unico e fer- missimo sul quale, quasi sopra cardine, insiste e si volge il sapere umano ^  V unica idea dell' ente ? (i) P. II, XI, VI. (a) Ivi. 656 Faremo adunque noi, con sua buona licenza, rpiello che nou ha fatto egli, contentandosi di prescriverlo: il faremo per la seconda volta ^ e ai testi citati nel Nuo\fO Saggio y i quali so- prabbasterebbero a chiarire la mente delF Aquinate, ci conti- nueremo aggiungendone degli altri ancora, che ribadiscano ben bene il chiodo. Ecco adunque quello che dice s. Tommaso del lume del- r intelletto agente.  Il lume intellettuale che si trova in al- a cuno per modo di forma permanente e perfetta, perfeziona  Tintelletto. principalmente a conoscere il principio di quelle tf cose che per quel lume si fanno manifeste: a quella guisa u che mediante il lume deW intelletto agente, V intelletto pre- tf cipuamcnte conosce i primi principj di tutte quelle cose che  naturalmente si conoscono  ( i ) In questo passo s. Tommaso senza alcuna equivocazione o dubbiezza distingue V intelletto^ o sia la potenza, dal lume ^ che  la (! intellectus cognoscii prima principia omnium illorum quae naturaliUr cognoscunlur {S.IL U, CLXXI^ ii) 657 ticolari, ma si conosce bens In esso e per esso il principio di tutto ci ^prncipium iUorum quae per illud lumen manifestantarj. Dunque, secondo s. Tommaso, pel lume delPintelletto agente si conosce pur qualche cosa, sebbene nulla di compiuto. E questo  quello che diciamo noi, conoscersi per la forma delPintel- letto non gi le cose od i principi compiutamente, ma solo ini- ziarsi la cognizione loro in essa forma intellettiva, cio nelFap- prensione delP essere. Ma poich il G. IVI . ci inculca, doversi attendere alla coerenza de^varj passi; noi vogliamo raffrontare al passo di s. Tom- maso ultimamente citato, degli altri del medesimo autore, stando a vedere che conseguenze ce ne derivano. Intanto  da ritenere, che il lunie delP intelletto agente, come si fa chiaro dal passo citato, aderisce alP intelletto come sua forma, per modurn formae pennanentis. Ora che cosa  \sl /orma dell'intelletto, secondo s. Tom- maso ? Ella  quel principio col quale V intelletto intende , quo inteUgit. Quindi con tutta coerenza in un altro luogo dimostra il santo Dottore, che all'anima dee essere inerente, come sua forma, un principio col quale ella intenda (i)*, ci che consuona a pieno con quello che disse del lume dell' intelletto agente. Veggiamo adunque che cosa sia questo principio, questa forma deirintclletto, colla quale esso intende. In un luogo ci dice chiaro, che la specie intelligibile  ap- punto quel principio che informa l'intelletto, e col quale egli intende : species itelligibilis se habet ad inteUectum^ ut quo intel ligit intellectus. Che cosa rimane a conchiudersi dal confronto di questi passi con quel di sopra? Che il lurie dell'intelletto agente, es- sendo il principio oi)de l'intelletto conosce,  una specie j ed es- sendo il principio onde l'intelletto intende tutte le cose,  una (i) Nnlia autem actio convenit alicui rei, nsi per uUquod principium POR MALI TER EI INHMRENS.  Ergo oportet virtutem , quae est principium hujus aciionis (illustrandi p/uuUusmata }, esse aliquid in anima. Et ideo Aristohles ( lib. 3 eie An. , text. 18) comparavU intelUcium agentem lumini , quod est ulquid receptuui in aere {S. 1, LXXIX^ iv). RosMiKi. // JUfuwi^atnetito. 83 1  Jinalmente ( San Tommaso risponde, che quc: u sione della prima verit h^ di che ( diamo tutto quello cliu iiiti:ndiamu, riti. E s'odano la sue parok-:   da dirsi, die noi intcndianu  cose KELLA LUCE DELLA PRIMA VERIT  LUME dell'intelletto nostro, o sia n;  altro  se non una cutiil imi'fiessiom: Possono essere pi chiare queste ella i i senij)lice [i - Vh impressa in noi per natura, secondo s una mera potenza intellettiva, priva e tivo, quella che il santo Dottore aca Ma se in noi v' per natura Timprt (i) Per unum iaUUectam Jiiint ftiam alia  (a) Anima intelUetiva est i/uii/eii adii imi, AD DBTBRUIKTJS SPECI EX RERV il (S.\, immateriale dell' aniiriH iiiulli'iiiv e il cnntra naso, dell'ewere deieniiiiialn  .spei-ic ]irlici la raitera  ii principio dell' iiMliviilu^iiune perceiione ia materia , era per cs^i ijuaiiio ; 659 qnal sar poi questa irrita prima^ s non quelP elemento che neir ordine del conoscere  necessariamente il primo, e senza il quale non si comincia mai il conoscimento di nessuna verit? E questo primo noto , anzi questo primo notissimo ^ come lo dichiara s. Tommaso,  Pente comunissimo, quello di cui anco dice, che  cos cognito, che  incognito non pu esse- re 99 ( 1 ) in alcun modo. Se dunque I.* U ente  il primo noto, il necessariamente noto, sicch  non pu essere ignoto " ^ a.** Se V ente s converte col v^ero ^ cio ente e vero sono la stessa cosa secundum rem^ e per Pente pruno noto  anco il primo i^ero; 3. Se il lume dclP intelletto agente  in noi innato^ 4. Se il lume delPintelletto agente  V impressione in noi del primo vero^ 5.** Se nel primo uero noi veggiamo tutte le altre cose ; 6.** E se quanto conosciamo, lo conosciamo col lume del- Pintelletto, che  l'impressione in noi di esso primo vero (2)^ Egli  manifesto, che secondo la mente, o sia la coerenza de^ pensieri di s. Tommaso, ne risultano queste due fermissime con- seguenze : I .* L' ente in universale  una idea innata nello spirito umano. 2.** NelPente, e per mezzo delPente intuito, come con prin- cipio quo cognoscitur^ conosce Puomo tutto ci che conosce. (i) (Ens communc) incognitum esse non potesL QQ. Disp. X, xii^ad io in contrarium. (a) Dopo aver detto s. Tommaso , che il lume dell' intelletto agente  un'impressione in noi della prima verit, e che nella luce di questa noi veggiamo tutte le cose^ dice^ quasi conseguenza di tali premesse^ che il lume dell'intelletto  il princpio quo COGNOSCIMUS  e che per n pur egli  la prima cosa cognita, non dando noi a lui attenzione, e giovandoci di lui solo come di stromento a conoscere l'altre cose. Per la prima cosa cognita, il priucipio QUOD, molto meno pu esser Dio, da cui il lume dell'intelletto ' discende ; Unde cum ipsum lumen intelectus nostri non se habeai ad intel* lectum nostrum sicut QVOD intelligitur^ sed sicut QUO intligitur , multo minus Deus est id quod primo a nostro intellectu intelligitur ( S. I, LXXXVIII^ 111^ ad I ). s. ^ 66o ; E tuttava dice s. Tommaso, che noi non riflettiamo su questo ente se non tardi, e lo caviamo per astrazione dalle cose (da noi concepite):; perocch solamente mediante la riflessione ci ac- corgiamo del principio QUO ^ quando il primo e P immediato oggetto della nostra riflessione  il principio qvoD , il qual principio per gP intelletti tutti in generale  ancor Pente, e per Puomo particolarmente  la quiddit della cosa materiale (i). Che cosa adunque risponderemo a quelli che contro all'in- tuizione delPente, da noi posta a principio della filosofia, ci fanno questa obbiezione : u come Panima vedr Pente prima d' avere ancora ricevute le sensazioni delle cose esterne?  e tuttavia si professano seguaci della dottrina di s. Tommaso? Risponderemo queste parole delP angelico Dottore :  Questo lume non  obbligato al corpo, sicch Poperazione u che gli  propria si compia mediante qualche organo cor- u porco : e in questo ella si trova superiore ad ogni material tf forma, che non fa operazione se non tale, a cui la materia  comunichi  (i), E crediamo con ci averli a pieno soddisfatti. V. Ma seguita il C. M. la sua interpretazione di s. Tommaso, dicendo , che da lui  innati furono detti I primi principii sic- (i) Alcuno mi dir, che io oon mi contento di far dell'ente il principium gitolo sa la specie prima e universale dell'intelletto, ma che Io chiamo anche o^^etto dell* intelletto. Lo confesso pienamente. Per me il primo e immediato oggetto dell'intelletto  anco la prima ed universale specie di lui. Per altro a me piace di fare osservare, che anche s. Tommaso, il quale dice sempre che la specie  il principium quo , in alcuni luoghi la chiama per oggetto proprio dell'intelletto, come l dove dice, perfectio nteVectus pnssibilis est per reccptinrtem ohjecti sui, quod est species inteligihilis in actu (In Uh. Il Seni. Dist. XX, quaest. ii, ad a). Io dico, che l'ente in universale  vero og- getto dell'intelletto fino dal primo momento che a lui ferisce, quantunque niuna riflessione faccia su lui la mente, se uon assai tardi; ed  per ci, che assai tardi di lui distintamente ci accorgiamo. (a) Hoc lumen ( inleUectus agentis ) non est corpori obigutum , ut ejus operatio per organum corporeum impealur: in quo invenitur superior omni materialt forma , quae non operatur nisi operationem, cui communicat ma teria, QQ. Disp. Q. XIX, art. i. 66f f come qaelli che si rincontrano anteriori sempre a qualunque e nostra cogitazione  (i). Jiisposta, Le parole del C M. ci danno pi che noi non -vogliamo. Se i primi principj si riscontrano anteriori sempre a qualun (2}. E ancora: u ll^anima intellettiva non  bisognevole il corpo u per la stessa operazione intellettiva considerata in se stessa a ma per la facolt sensitiva, che addimanda un organo equa- u mente complessionato  (3). Anzi di pi: non si potrebbe dare, secondo s. Tommaso, operazione alcuna intellettiva, se V intelligenza dovesse essere impacciata colla materia. ii:i- jht ) Universale secundum quod accipitur cum intentione universalitatis , est quidem quodammodo prtncipium cognoscendi , prout intentio universalitatis consequitur modum inteligendi, qui est per abstractionem (S, I, LXXXV, 111, ad 4)- I^ice che il conoscere si fa per abstractionem , cio , come abbiamo spiegato, consideraodo l'ente posto dall' intelletto, e prescindendo dalla inaieriaiit e particolarit de' fnntasiTii. (5) Hoc ipsum quod est intelligi vel abstrahi, vel intentio universaitaiis est in intellectu (S, I, LXXXY, 11, ad 2). (4) Qune quidem intentio nihil aiiud est quam species intelligi bilis. QQ. Pisp. Q. X, art. vili. (5> V. II, e. XI, vi. 6yi fra il C. M. e s. Toimnaso circa un punto speciale di somma rilevanza, circa quelj>uiito, voglio dire, che e lo scopo diretto del libro del RuinovatnerUo ^ le guarentigie della certezza del sapere umano. Noi abbiam veduto il C. M. ridurre tutta la verit acces- sibile air uomo a certi modi delP anima, e cosi rendei-e Fu- mana cognizione soggettiva : all' obbiezione poi , cbe la verit diviene per tal modo una mera produzione di un essere contin- gente, e per eh' essa rimane spogliata de' suoi caratteri di ne- cessit e di assoluta certezza , rispondere , che anche il siste- ma contrario scoi\trasi nella medesima difficolt ; perocch quan- d' anco la verit fosse un oggetto indipendente dall' uomo > dovrebbe tuttavia esser sempre dalle facolt umane ricevuta, e perci partecipare al difetto e alle contingenze di queste. Io replicai esser vero, che la verit, perch all'uomo si co- munichi, debba essere accolta dalle facolt umane ^ ma non esser altrettanto vero, che queste facolt, in accoglierla , s' abbian tanto di potere, da manometterla ed alteiarla^ essendo ella im- passibile di natura sua ed immutabile. Sicch nella natura etema , immutabile , divina della verit, io riposi tutta la gua- rentigia della umana certezza. Vogliam vedere come la pensi l'Aquinate, e se con me, o col M. Anch' egli intanto l'Aquinate sente tutta la forza della difficolt toccata ^jna vorr per questo mantenere, che la certa Yerit si possa trovai*e o nelle sensazioni, o nelle modificazioni del soggetto umano, come fa il Mamiaui? Anzi egli s" accorge da ci stesso, come da nuovo argomento, cbe la certa verit non pu avere sua stanza e sua origine in nulla affatto di sensibile, in nulla di contingente, in nulla di creato: il santo Dottore non trova altro asilo alla verit, aitila sede consistente e sicura, se non l'infinito essere: egli intende, che tutto altrove la si faccia consistere, ella  svanita^ ninna veit ci resta pi ^Ue mani, ma un ingannevole simulacro di quella, un nomc^ un' nome che dice una menzogna.  dunque col far divenire la cognizione eia verit, di cui l'uomo partecipa, non da' scusi, non dall'anima umana, non da alcun essere creato, ma da Dio stesso, che egli crede potersi solo guarentire all'tiomo il certo possesso di questo inestimabile tesoro, la yerU^ e tiene 673 che non ci abbia altro modo al mondo fuori di questo. Tale  la maniera di pensare di s. Tommaso. Si vegga s^io dico vero: si vegga se dalla materia de^ sensi deduca V quinate la certezza^ o da pi alta orgine. u Tutta la certezza della scienza nasce dalla certezza dei u prncipi . Peroccb le conclusioni allora con certezza si fanno,  quando si risolvono ne' principi . E per , che qualche cosa si tt sappia di certo , nasce dal lume della ragione immesso inter- u namente a noi divinamente, col quale IDDIO in noi parla t) ( i ). Non tutto adunque V uomo ha da' sensi ! qualche cosa nel sistema intellettivo di s. Tommaso ci discende dall' alto!  Cotesto lume della ragione, dice ancora, col quale (^QcroJ u tali prncipi ci sono noti ,  immesso in noi da Dio , come u una cotal similitudine in noi risultante della increata verit 9 (a). Si noti che V increata inerita per s. Tommaso  una sola, ed  in Dio, ed  Dio stesso, e quivi ella ha la sua eternit (3), e per essa sono vere tutte le cose (4). Di che, veggano que' sensisti pi moderati , che professano a s. Tommaso grande stima, come fa il Mamiani, che non  per avv'entui*a da' sensi, che noi raccogliamo e partecipiamo la verit y secondo l'An- gelico, ma si da Dio^ perocch veggendola noi veramente eterna , e non essendo ella eterna che in Dio ^ convien dire che in Dio la veggiamo , e che da Dio ci venga questa luce, secondo la quale giudichiam de' fantasmi e delle cose tutte , siccome con suprema norma ed infallibile (5). Il perch (i) QQ. Disp. De Verii. Q. XI ^ art. 1^ ad i3. E ancora poco appresso (ad 17) dice cos: Cerlitudinem scientiae, ut dictum est, habet aliquisa. SOLO DEO, qui nohis lumen rationis indidU , per quod principia cogFtosci- mas, ex quibus oritur scientiae certitudo. (2) Hujusmodi autem rationis lumen, quo principia ejusmodi sunt nobis nota, est nobis a Deo inditum , quasi quaedam simititudo INCREATJS VERITTIS, in nobis resultantis. QQ. Disp. De Ferii, Q. XI, art. i. (3) Si nullus intelleclu& esset aeternus , nulla veritas esset aeterna. Sed quia solus intellectus diifinus est aeternus, in ipso solo veritas ueternitatem habet (S. l , XVI, yii). (4) Omnes (res) sunt i*erae una PRIMA ventate, cui unumquodque assi- milatur secundum suam entitaiem (S. 1, XVI, vi)' (5) S. Tommaso a?ea detto che tutte le cose sono vere per la  prima \ircrit M che  nella mente divioa. Ora non si creda ^ che il santo Dottore Rosmini, // Rimovatii^nto. 85 674 s. Tommaso non fluisce di dire ^ che u ogni dottrina nmaDa u non pu aver efficacia se non in virt di quel lume; e che K per Iddio solo  quegli che internamente e principalmente  insegna, si come la natura  quella che operando internamente u nelPinfenno, lo sana n (i): e acciocch ci non si possa fraintendere, n storcere con arbitrarie interpretazioni, il Santo si diffonde a mostrare, che Toperazione, onde Iddio imprime in noi il lume deirincreata verit,  immediata, n pu avervi cosa alcuna di mezzo fra noi e Dio (2). Ma se non basta, veggiamo pi partitamente di quali ar- gomenti s. Tommaso si giovi a mostrare, che la verit da noi intuita colla mente nostra non ci possa venire da^ sensi, n dair anima nostra, n da un angelo, n da creatura veruna, ma solo immediatamente dalP intelletto divino (3)^ e si trove- ranno convenire n pi n meno con quelli sui quali noi ab- biamo in quest^ opera ragionato. togliesse air uomo la vista di questa veriti^; nel qual caso l'uomo non par- teciperebbe della verit, essendo questa una sola. Anzi egli fa, che ooi gudicbiaino delle cose appunto secondo questa verit prima :   da dirsi, M cosi e^li', che l'anima non giudica delle cose tutte secondo qualunque sia  verit, ma secondo la VB1ta' piuma: d quanto questa riflette Dell' aoiroa M siccome in uno specchio  secondo i primi intelligibili m: Dicendum, quod tinima non secundum quamcumque veriiatem judicat de rebus omnibus , sed secundum veritatem primami inquantum resultai in ea, sicut in speculo, secundum prima inteUigibiUa (S, l, XVI, vi, ad i). E in altri luoghi, dal- l'essere in Dio la sede della verit argomenta > che ogni apprensione del- l' intelleUo ia da Dio: Si ergo in Deo sit veritas, ergo omne verum erit ab ipso,  Omnisautem apprehensio intellectus a Deo est (S. I, XVI, T, ad 3). S consideri qui bene qual sia il preteso sensismo di s. Tommaso ! (i) Hujusmodi autem raiionis lumen, QUO principia hujusmodi sunt Wh bis nota, est nobis a Deo inditum^ quasi quaedam similitudo increatae veri' tatis in nobis resultantis. Unde cum omnis doctrina humana e/pcaciam ha bere non possit nisi ex viriate illius luminis , constai quod solus Deus est qui interius, et principaliter docet, sicu natura interius eitam principaiiter sanai. QQ Disp. De Ferii. Q. XI, ari. i. (a) Unde dcimus , quod lumen intellectus agentis  est nobis IMME- DIATB impressum a Deo, et secundum quod discemimus verum a falso, et bonum a malo, Q. De spiritualib. creaturis^ art. x. (3) Egli insegna costantemente , che l' intelletto divino  causa dell' o- mano: Suum intelligere, dice di Dio, est mensura et causa omnis aUerias esse^ et omnis aUerius intellectus {S. l, XVI, r, e LXXiX, iv). 675 I .* Uno Ae^ prinripali s. Tommaso il trae dxWunifersalit del- Tente intuito dal nostro inti^Uctto: dalla quale universalit del- Fentc  appunto che nasce alla volont il desiderio universale , infinito . che Puomo sperimenta. Niuna delle cose create , cos argomenta s. Tommaso,  l'ente universale: dunque Dio solo pu dare alFintelletto e alla volont umana il loro proprio og- getto. Ecco le sue preziose parole :  L'oggetto della volont  A bene unwerscde, come l'og- a getto deir intelletto  l' ente unii^ersale. Ma ogni ben creato  non  pi che un particola r bene, e solo Dio  il bene uni-  versale. Laonde egli solo adempie la volont^ e suflBciente- u mente la muove come oggetto  (i). E convien badare , che s. Tommaso intende di spiegare collo stesso argomento un fatto, che  Tinclinazione al bene in uni- versale, che ha la volont, in conseguenza della notizia dei- Pente in universale che ha l'intelletto 5 anzi in questo fatto pone s. Tommaso consistere la propria natura della volont^ di che conchiude, che Dio solo pu essere l'autore della volont, come quegli che solo pu cagionare questa inclinazione al bene in universale (2), la qnal  quella che produce poi tutte l'altre volizioni (3) , come dall'intuizione dell' ente in universale pro- cedono tutti gli altri atti conoscitivi. (1) JE'.*^ enim ejtis (voluntatis) ohjectnm honum universale, sicut et inteU lectus ohjectum est ENS UNIVERSALE Qnodibet. aufem hnnnm crentum ext quoddam pariicuore honum , solus auiem Deus est bonum universale. Unde ipse sous nplet voluntatem^ et sufficienter eam movet ut objecium (^. I, CV, iv). (3) Vluntas habet ordinem ad universale bonum: unde nihilaUud potest esse voluntatis causa, nisi ipse Deus, qui est universale bonum (S. I. II, IX, vi) (3) M Iddio muove la volont dell'uomo siccome universa! motore all'u-  niversale oggetto della volont, che  il bene, e senza questa unversal  mozione l'uomo non pu volere cosa alcuna m (S. I. II, IK., ri , ad 3). V'ha dunque nella volont una inclinazione al bene in universale, antece- dente a tutti i movimenti particolari della voloqt, che sono effetti e appli. cazoni di quella inclin;)zionp. Ora V uriiversal bene non  altro, secondo s. Tommaso > che V universal ente. Essendo dunque certo > che vluntas non fertur in incognitum. Iddio non potrebbe creare in noi quella inclinazione essenziale della volont , se non mostrando all' intelletto V ent^ in uni' versale j colia intuizione del quale riceve la sua forma ugualmente l'iatel^ GyG a.** Un altro principio, onde parte s. Tommaso a conrUin- dcrey che il fonte della cognizione umana e di sua certa verit non pu esser n il senso, ne l'anima nostra, ma solo Dio, si  Funita' perfetta di essa cognizione in tutti gli uomini. E que- sto uno di que' solenni principj , che gi ])rima avea usato s. Agostino, come toccammo, a provare il medesimo, e che sono di una forza ineluttabile.  Se entrambi noi veggiamo, avea detto il gran ve^scovo afrl-  cano, esser vero ci che tu dici, ed entrambi veggiamo esser a vero ci che io dico, e dove, di grazia, lo veggiam noi? Ne u io certo in te, n tu in me^ ma s l'uno e Taltro nella stessa  incommu ubile verit, che sta di sopra alle nostre menti  (i). Questo luogo stesso  recato da s. Tommaso, il qual ]>oi soggiunge:  La verit incommutabile si contiene nelle ragioni eterne.  Dunque l'anima intellettiva conosce tutti i veri nelle ragioni u eteme  (2). E in quanti altri luoghi l'Angelico non fa uso di questo bellissimo argomento dell'identit della verit veduta da tutti gli uomini, a dimostrare la necessit di un intelletto unico e primo, ohe come sole irraggi ugualmente gli uomini tutti? Ne addurr ancor uno di cotai luoghi. u E conoscere i primi intelligibili  azione conseguente all' u- letto e la volootli. Or come dopo aver l'intelletto l'intuizione dell'ente in universale, gli rimane ancora di ricevere le determinazioni degli enti putrii- colar da' scusi ; cosi medesimamente rimane alla volont da determinare e applicare quella sua tendenza verso il bene in universale , ai beni partico- lari: e questa  V opera che appartiene allo sviluppamento dell'uomo, se- condo 9. Tommaso: * Senza questa universal mozione, cosi egli, V uomo M non pu voler cos' alcuna. Ma egli determina s stesso mediante la ra- M gione, a voler questo o quello, ci che  bene veramente ^ o ci che   bene d'apparenza m ( 9. I. II , IX , vi, ad 3 ). (f ) Si ambo videmus verum esse quod dicis , et ambo videmus verum esse quod dico; ubi quaeso id vdemus? Nec ego utique in te , nec tu in me: sed ambo in ipsa quae supra menies nostras est incommutabili veriiate. Con- fess. Xll, XXV. (a) Veritas autem incommutabilis in aetemis rationibus continetur. JEnp imima inteliectiva omnia vera cognoscit in RATIONIBUS MTERNIS {S. I, LXXXIV, V). ^77 e mana specie. Laonde  uopo che tutti gli uomini comuni-  eliiio in rpiclla vlvtii, clic  princpio di quest'azione. E questa u  la virt dcirintelletto agente. N fa bisogno per che questa u virt sia in tutti la stessa di numero, ma si che da un solo  principio in tutti si derivi. E per quella comunicazione degli u uomini ne'^rimi intelligibili dimostra Tunit dell' intelletto u separato, che Platone paragona al sole, e non l'unit dcl- tf rintcllotto agente, che Aristotele paragona al lume  (i). Da qual luogo, come da molti altri, si pu conoscere quanto sia erronea la credenza di cpielli , che hanno s. Tommaso per un seguace servile di Aristotele, a quel modo che molti inten- dono (piesto filosofo. Il vero s , che l'Aquinate, sebbene non potesse usare che la lingua di Aristotele, perch la sola cor- rente nette Scuole, tuttavia venne facendo un giudizioso e savio impastamento di Aristotele e di Platone. S'avvide egli, che l'in- telletto agente non si potea negare, e che non potea esser uno di numero in tutti gli uomini; per lo ritenne distinto. Ma s^av\^ide altres, che questo intelletto avea bisogno di un lume^ il quale non potea derivare che da un principio unico e identico, perocch in quello tutti gli uomini vedevano i veri identicamente uguali; e per ritenne anco l' intelletto separato di Platone, ma collocandolo in Dio, s come avea gi fatto s. Agostino (a). 3. Un terzo principio, onde induce s. Tommaso la prove- nienza divina della cognizione umana, si  quello che noi ab- biamo toccato di sopra, che da'fantasmi l'intelhitto si forma le specie intelligibili , che ne' fantasmi punto non si contengono. Dimanda egli, come avvenga, che da'fantasmi, i quali nulla pi esprimono o contengono che alcuni accidenti delle cose, noi tuttavia trapassiamo a concepire le cose stesse ; e onde sia, (i) S. I, LXXIX, Y, ad 3. (a) Merita ben di notarsi^ che questo intelletto separato^ autore unico del lume naturale e soprannaturale delle nienti, si ammette da s. Tommaso come cosa partenente alla fede cristiana, e non come semplice opinione flosoHca:. Iniellectus separatasi dice j secundum nostraefidei documenta, est ipse Deus, qui est creator animae , et in quo solo beatificatur  . Und ab ipso anima humana lumen intellectuale participat , secundum illud: Signatum est super nos lumen vultus lui Domine (S, l, LXXIX ^ iv). ^79 u IMPRIME A LUI LE SPECIE INTELLIGIBILI : e V uxxa e V altra cosa  mantiene, e conserva in essere f (i). Or dicendo il Santo, che vengono queste specie impresse da Dio neirintelletto creato, acciocch egli attualmente intenda, non viene egli al tutto esclusa ogni interpretazione che potesse minuire la forza di questo passo? Ma se le specie intelligibili sMmprimono da Dio, a che dun- que serve Pintelletto agente? a che i sensi? come si conciliano gli altri passi del santo Dottore? Riassumiamo brevemente tutto il sistema di s. Tommaso, e sar;( fatta la risposta a questa istanza. (Conviene distinguere quattro cose: i.** il lume dellUntelletto agente, 2. i primi principi, 3." le specie intelligibili, 4- i fanta- smi che provengono dalle sensazioni. Il lume deir intelletto agente  impresso in noi per natura, immediatamente da Dio (2). I primi principi ^^^ sono altro che lo stesso lume dell^intel- letto considei*ato nella sua applicazione. Perci dal santo Dottore si dicono aneli Vssi innati, in quanto che non si formano per in- duzione da^casi pai:ticolai*i, come vogliono i sensisti dc^ nostri tempi, ma immediatamente appariscono fino nelle prime e pi elementari operazioni intellettive dell'^uomo, ed appariscono come evidenti e indimostrabili , appunto perch partecipano, o pi tosto sono il primo elidente ^ il lume delV intelletto di cui si fa per noi uso. Ma perocch noi pronunciamo questi primi principi in una forma scientifica solo assai tardi, per questo i moderni si danno a credere, che noi veniamo lentamente e faticosa- mente formandoceli^ senza osservar punto, che noi ne facciam (i) Cum pse sii primum ens , et omnia entia preexistanl in ipso sivut in prima causa, oporiei quod sini in eo intelligibililer secundum modum ejus. Sicut enim omnes rationes rerum inleUigiinles primo existunt in Dea , et ah eo derivantur in alios inUUectus , ut actu intelligant: sic eliam deri" vantar in creaturas, ut.subsistant. Sic imitar Deus mo\>et inteleclum creatum, inquanlum dal ei virtutem ad inteUigendum vel naturalcm , vel supenidd- iam, et inquantum IMPRIMLT El SPECIES INTELLlGIBlLES: ei uirumque tenet , et conservai in esse (S. I , CV , in). (2) Docere dicitar dupliciier, scilicet principaUter infundcndo lumen, et in* trumentaliter dirigendo :  primum autcm SOLI DEO (convenit). 68 1 manifestare^ ma col pur formarsi in noi delle  specie intel- ligibili , cio col primo pensiero di esseri sussistenti, tosto quelli hanno un oggetto ove mostrare la loro efficacia.  Preesistono in noi, cos s. Tommaso, certi semi di scienza,  cio le prime concezioni delPintelletto, le quali incontanente,  col lume deir intelletto agente si conoscono per le specie a astratte da' sensibili >5 (i). Sta adunque tutto a vedere chi forma in noi queste specie. San Tommaso sostiene , che a foiinarle entrano tre prin- cipj, o con-cause: i.** un piincipio interiore, che  l'anima lunana o sia l'intelletto agente, 2.** un principio esteriore, che  Dio, 3.** e un altro principio esteriore, che sono le cose sensibili (2). Le cose sensibili concorrono alla scienza umana col porgere i fantasmi^  e secondo ci, egli  vero, dice, che la mente e nostra riceve la scienza dalle cose sensibili n (3). u U anima stessa nondimeno  quella che forma in s le u similitudini delle cose, in quanto pel lume dell'intelletto a agente si fanno le forme, astratte dalle cose sensibili, attnal- u mente idonee ad essere intese , sicch possano essere ricevute  nell'intelletto possibile  (4). (1) SimUiler etiam dicendum est de sdentine acquisitione , quod praeexi siunt in nobis quaedam scientiarum semina , scilicet primae conceptiones in teliectus , quae statini lamine intellectus agentis cognoscuntur per species a sensibilibus abstractas , siue sint compier, ut dignitates, siue incomplexa, sicut ratio entis , et unius, et hujusmodi, quaestatim intellectus apprehendit. Ex istis autem principiis universalibus omnia principia sequuntur , sicut ex quibusdam rationibus seminalibus* Quando ergo ex istis universalibus cO' gnitionibus mens educitur ut actu cognoscat particlaria ^ quae prius in po^ ientia, et quasi in universali cognoscebantur , tunc aliquis dicitur scientiam acquirere. QQ. Disp. De Verit. Q. XI, art. i. (2) Rationabilior videtur sententa Philosophi , qui ponit scientiam mentis nostrae partim ab intrinseco esse,partim ab extrinseco, non solum a rebus a materia separatis, sed etiam ab ipsis sensibilibus, Ibid. , Q. X , art. vi. (3) Et secundum hoc verum est quod scientiam a sensibilibus mens nostra accipit, QQ. Disp. De Verit, Q. X, art. vi. (4) Ifihilominus tamen ipsa anima in se similitudines rerum format  in^ quantum per lumen intellectus agentis ejjtcinntur formae a sensibilibus ab' stractae intelligibiles actu , ut in intelleclu possibili recipi possint, QQ. Disp. D Verit. Q. X, art. ti. Rosmini, // Rinnovamento- B6 68s il Ma questo lume dell'intelletto agente nelP anima razionale tf procede siccome da prima sua origine dalle sostanze sepa- tf rate, principalmente da Dio > (i)- u E cosi, concbiude, nel lume dellMntelletto agente  a noi a in certo modo originariamente inmiessa ogni scienza, me- M diante le concezioni universali, che incontanente col lume u deir intelletto agente si conoscono, per le quali, siccome  per universali principi, giudichiamo dell'altre cose, e le M preconosciamo in esse n (a). Ecco tutto il sistema mirabilmente connesso , e consentaneo. Ma non siamo ancora pervenuti a quello che cercavamo, come s. Tommaso potesse dire che anco le specie intelligibili ci sono impresse da Dio. Conviene dunque che noi investighiamo pi distintamente la mente del santo Dottore intorno quell'operazione che fa l'a- nima, formandosi le specie intelligibili, all'occasione de' fan- tasmi. Egli dice, che l'anima riceve dalle cose finite esteme la scienza in due modi ^ o i . mediante le parole di un precet- tore, a.^ o mediante ijantasmi. Dice ancora, che questi due estemi operatori non ci danno la scienza immediatamente ^ ma solo ci porgono dei segni sensibili, dai quali noi stessi passiamo alla scienza, o, che  il medesimo, passiamo alle specie intelli- gibili, per quella argomentazione appunto, per la quale dai segni si passa a indun*e la cosa segnata. isp De Verit. Q. X , art. vi. (i) Et sic etiam in lamine iniellectus agentis nobis est quodammodo omnis scientia originaliter indita , mediantibus univcrsalibus conceptionibus ^ quae STATiM lamine iniellectus agentis cognoscuntur ^ per quas sicut per uni- versalia principia judicamus de aliis^ et ea praecognoscimus in ipsis. QQ. DIsp. De Verit, Q. X, art. vi. 683  e le scrive nelP intelletto possibile : laonde le stesse pa- ^ i*ole del maestro udite, o vedute scritte, rispetto al cagio- M nare la scienza nelP intelletto tengono lo stesso modo, come tf LE COSE CHE SONO FUORI DELL^ ANIMA " (l). Come adunque le parole non sono che segni delle cose, e non le cose stesse^ e a queste noi trapassiamo per interiore nostra virt , e non perch ci siano somministrate dalle parole del maestro : cosi pure le cose esteriori , le quali colpiscono i nostri sensi, non ci porgono gi le cose a conoscere , ovvero V en- tit loro, ma de^ puri segni, secondo s. Tommaso^ e siamo noi quelli tuttavia, clie pensiamo Ventila estema, clie non  ne^ segni datici ^ siamo noi cbe la poniamo , da quelli argo- mentandola, con che ci formiamo le specie intelligihUi, Se non che s. Tommaso n pur tanto concede alle sen-^ sazioni e a^ fantasmi, quanto alle parole del maestro 5 peroc- ch, dice egli, le parole del maestro sono  segni delle specie intelligibili > , e non cos i fantasmi , che non segnano le idee gi formate, ma solamente ci presentano gli effetti delle cose, acciocch da questi noi induciamo V esistenza delle cose , che  appunto un formarci le specie intelligibili (1). Per il che  manifesto , che V uomo viene a pensare alle cose argomentandole da^ fantasmi, loro effetti e loro segni. E a tal uopo egli dee dire seco medesimo :  i fantasmi non potrebbero essere suscitati in me , se un ente non li suscitasse fi . Quest^  uno de' primi principi perse noti^ un di que'principj che, se- condo PAngelico, incontanente risplendono, quando si comincia a far uso dell'intelletto. (1) Dicendum, quod in discipulo describuniur format nteUigibiles , ex quibus scierUia per doctrinam accepia constituitur , immediate quidem per intellectum agentem , sed mediate per eum qui docci, Proponit enim doctor rerum intelligibilium signa, e quibus inteleclus agens accipit intentiones in-, telligibiies , et describit eas in intellectu possibili: unde ipsa verba doctoris nudila , vel visa in scripto ^ hoc modo se hahent ad causandum scientiam in intellectu, sicut res quae sunt extra animam : quia ex utrisque intellectus in- tentiones intelligibiles accipit. QQ. Disp. De F'eril. Q. XI, 1, ad 11. (2) Seguita al passo citato Della nota precedente cosi: Quamvis verba doctoris PROPJNQUIUS se habei^t ad causandum scientiam j quam sensi- bilia extra animam existentia, inquantum sunt signa intelligibilium inUrt- tionum. QQ. Disp, De VeriU Q. XJj 1, ad 1 1. 685 luce divina causa universale del nostro conoscere (i)) e ondis riduce le specie in Dio come nel supremo principio della co* gnizione (^)^ o come dice altrove, u le specie intelligibili, che u partecipa il nostro intelletto , si riducono come in prima M causa in qualche principio per sua essenza intelligibile, cio  in Dio. Ma da quel principio procedono mediante le forme u delle cose sensibili e materiali, dalle quali noi raccogliamo u la scienza  (3), nel modo detto. N credasi per avventura, che questo principio divino ^ onde procedono le specie , sia da noi cos rimoto , che niente di lui stesso partecipiamo. Sebbene ci che detto  fin qui, e tutto il contesto delle dottrine, ci sforzi a non intender cosi fattamente la mente di s. Tommaso , tuttavia una nuova prova io ne voglio aggiungere. Stabilisce V quinate , che la verit delle cose non pu consistere nella relazione che hanno colP in- telletto nostro , ma a nelP aver esse conseguito la similitudine M delle specie che sono nella mente divina  (4). Ora egli attri- ci) ///a lux vera illuminai, sicui CAUSA UNIFERSAUS (S. I^ LXXIX, IV, ad i). (2) Alio modo dicitur aliquid cognosci in aliquo , sicut in cognitionis prin cipio : sicut si dicamus , quod in sole videntur ea , quae videntur per so* lem. Et sic necesse est dicere , quod anima fiumana omnia cognoscat in ra tionibiK aeternis; per quarum participationem omnia cognoscimus. Ipsum enim lumen intellectuale , quod est in nobis, nihil est aliud, quam quaedam participata similitudo luminis increati , in quo continentur rationes aetema {S. I, LXXXIV, v). (3) Dicendum , quod species intelligibiles j quas participat noster intellectus^ rcducunlur sicut in primam causam in alquod principium per suam eS" sentiam intelligibile, scilicet in Deum, Sed ab ilio principio procedunt me* diantibus fnrmis rerum sensibilium et materialium , a quibus scientiam col* ligimus {S, I, LXXXTV, iv, ad i). (4) Res naturales dicuntur esse verae secundum quod assequuntur simi* litudinem specierum, quae sunt in mente divina {S, l, XYI, i . Osservo ^ che qui s. Tommaso usa la parola specie, in vece di quella ' idee,Eg\ avea in- segnato poco innanzi (AI, XV, 11), che in Dio non vi sono pi specie g ma pioggetli veduti, o idee* Queste inuguaglianze di parlare, non rade a trovarsi nelle opere di s. Tommaso, sono inevitabili in chi tanto scrive, di si varie materie , e per varj anni ed accidenti della vita. Ma ci stesso mostra il bisogno di non sofTermarsi all'una o all'altra maniera di dire usata da s. Tommaso, ma di prendere l'intero corpo delle sue dottrine. per eccellenti che sieno, ma in Dio solo possano aver sede, e per da Dio solo possano a noi comonicarsi. Anclie eramente afferma, che io deduco il mondo esteriore dalla passivit delle sensazioni ^ u ma il punto sta a dimostrai*c  ch'elle sono e debbono esser passive " (i). (i) P. II,c. XI,v. 6,,5 u biotto piTseiile, e capace tli tener quivi congiunto lo spon ta- te nco e il non spontaneo -AT),  provare appunto che dee  esistere qualche cosa fuori di noi e soprano! operante (i) O). jNNOTJZIONI. A. Clic cosa vuol dire  raccoglie nella sua unit P oggetto pensato ^^ ? Se intende che P oggetto pensato divien parte di noi , ci si ncga^ perocch pensando io al sole ^ il sole non diventa mica parte di me. In secondo luogo , che cosa ha egli da far qui V oggetto pensato, dove si parla di sensazioni? nclUi semplice sensazione non ci ha oggetto pensato. B. Fuori della nostra spontaneit^ lo concedo^ fuori della nostra mente y lo nego. Io posso avere nella mente il sole, e pure il sole  fuori della mia spontaneit. Tutte le idee sono fuori della mia spontaneit. Le dimostrazioni matematiche e scientifiche d'' ogni genere, a cui io sono necessitato di dare r assenso , son tutte, fuori della mia spontaneit , e son tutte nella mia mente.  Ma di nuovo, che cosa ha da far qui la mente, in un ragionamento in cui si parla di sensazioni? nelle sensazioni non  la mente. C. Potrebbe questionarsi. Que' filosofi i quali pretendono che il senso del dolore sia una reazione della natura che lotta contro la distruzione, fanno il dolore spontaneo. Certo , che non  voontnro^ imperciocch altra cosa egli  Tessere spon- ta/icOj ed altra F essere volontofio. I piaceri fisici sono tutti spontanei , istintivi , e tuttavia in essi noi siamo passivi , e la volont nostra non ne  la causa efficiente.  S'aggiunga, che non basta, a dimostrare la passivit delle sensazioni, il dire che il dolore non  spontaneo. Quando questa prova valesse per le .sens;\/joni dolorose, ella non varrebbe per le sensazioni pia- cevoli: anzi mostrerebbe di queste essere il contrario appunto. In quella vece fa uopo il dare una dimosti*azione , che in tutte ugualmente le sensazioni esteme noi siamo passivi, o sieno esse piacevoli , o sieno dolorose. D. Di sopra  stato detto , che  ci che non  spontaneo (i) P. II, e. V, m. 6g6 giace fuori dell'unita di nostra mente . Qui si dice, che  il dolore non  spontaneo e giace dentro V unit subbiettiva di nostra mente . Questa  una contraddizione vera^ e non ap- parente. Nessun fatto pu conciliare insieme le contraddizioni in temdnis come questa. Altramente ogni volta che s^ incappa in una contraddizione in cr/7U>i^ potrebbesi intavolare T'po- tesi d^un terzo fatto, atto ad accomodare quella contraddizioue. La logica non ce ne d licenza.  Oltre di ci, il dolore non giace  nella nostra mente n ^ egli giace solo nella nostra po- tenza sensitiva^ e il confondere la mente spirituale colla sen- sazione animale,  un bel prendere le gambe per la testa. '-E. Falso. Dov', che avendo noi un dolore, il vogliamo? e se il volessimo e il disvolessimo insieme, non solo noi saremmo pi che matti, ma non-uomini^ perocch a questi  di ci fare impossibile. jP. De' fatti veri, s*, ma de' fatti supposti, no. G. Perch dee esistere un fatto , che spieghi la contraddi- zione apparente? Che cosa  la contraddizione apparente de' fatti della natura ? non  altro se non la mia propria ignoranza , che non g' intende a dovere. La contraddizione apjarentc adunque sta tutta in me^ e non ne' fatti stessi , dov non pu mai essere alcuna contraddizione. Se dunque  la contraddizione nelle mie idee, non fa pi bisogno d'un fatto estemo a spiegarla: ba- sta che io aggiusti le mie proprie idee; la lotta delle idee si appacifica scambiando le idee od opinioni difettose , con delle altre idee pi sane, pi giuste ed esatte, ovvero con delle me- diatrici delle prime che battagliavano insieme. La conclusione del N. A.  adunque falsa , perocch dall' ordine delle idee in che stavano le prcmcsi^o , salta in quello de' fatti. H, Un fatto la cui esistenza si prova solo dalla necessit di spiegare altri fatti,  una pura ipotesi. Quando adunque T ar- gomentazione del C. M. procedesse in tutto il resto diritta, pro- Tcrebbe l'esistenza de' corpi esterni come una ipotesi assunta a s{)iegare degli altri fatti , e nulla pi. E questa non  la di- mostrazione che si cerca. /. Se il fatto assunto per ipotesi  fuori della spontaneit^ come avr Virt di legare insieme nelP unit soggettiva lo spon- taneo e il non ispontanoo ? L, Quotidianamente? cio? una volta al giorno? il/. Qui dice  in un subbietlo medesimo  , ci clic di sopra ha chiamato  unit del principio spontaneo , e anche  unit subbiettiva di nostra mente . Questo variare di espressioni in. una medesima argomentazione,  cosa contraria alle regole del metodo filosofico. Ma senza di ci , io dico , che qui egli pretende , che quella forza, che assume ipoteticamente a concih'are la contraddi- zione de' fatti, faccia l'impossibile. Di fatti, disopra disse clic tt il dolore  fuori dell' unit soggettiva  per sua natura , non essendo egli spontaneo, mentre l'unit soggettiva  T unit del principio spontaneo. Se dunque il dolore  essenzialmente fuori dell'unit del principio spontaneo, qual forza potr fare che il dolore medesimo sia dentro quella unit ? non sarebbe que- sto un fargli cangiar natura? Ma se a quella forza fosse possibile di  tenere uniti in  un subbietto medesimo quello che  spontaneo e quello che  no  , questo soggetto si comporrebbe di un elemento spon- taneo e di un elemento non ispontaneo. Dunque l' unit di questo so{,getto  diversa dall' unit del principio spontaneo. Dunque se queste due unit sono diverse, ninna maraviglia^ che nel principio spontaneo non si contenga ci che non e sj^ontaneo, celie all'opposto nell'unit del soggetto egli si contenga, risultando questo non solo dallo spontaneo, ma ben anco da ci che non  spontaneo: dunque ninna contraddizione in ci, ne vera ne apparente: dunque niun bisogno di un terzo fatto , o di una forza esterna che tenga unito ci che  spon- taneo e ci che non e spontaneo nel soggetto, con una ope- razione maravigliosa a dir vero, perocch questa forza dee far tutto ci, rimanendo essa fuori della spontanea unit, il che  quanto dire, dee agire l dove ella non . N, Questo appunto  quello che non si  provato. O. jNego la conclusione. Quando si foss'anco provato il bi- sogno dell'ipotesi d'un fatto che legasse insieme in un sog- getto lo spontaneo e il non ispontaneo, non sarebbe provalo con ci, che questo fatto fosse propriamente l'esistenza di qual- che cosa fuori di noi e sopra di noi operante. Qui ci ha un Rosmini, // Ainnouofnenlo. 88 , 698 salto. Altro  dimostrare che ci bisogni un fatto , altro che an fatto determinato sia quel desso che si assume per tale. In secondo luogo j il fatto assunto non soddisfa al bisogno ^ poich r esistenza di esseri esterni non giova a stringere e a tenere unito nell'unit del soggetto, lo spontaneo e il non ispontaneo : egli vale solo a dar ragione del non ispontaneo , 0 sia del passivo. In terzo luogo, vale a questo, solo a condizione, che prima siasi ben provato il principio di causa, cio il principio che,  data una passivit,  necessaria un' attivit che la produca . In quarto luogo ^ quando anche il C. M. avesse provato ec- cellentemente il principio di causa , egli non potrebbe provare dalle sensazioni la sussistenza di un essere diverso da noi, come ho toccato ancora, atteso la sua dottrina intomo alla duplicit del soggetto umano , del Noi fenomenale , e del Noi non-feno- menale, ma sostanziale. E di vero, acciocch F argomentazione sua potesse tenere, richiederebbesi che fosse ben certo, che tutto ci che  fuori della nostra spontaneit, fosse fuori di noi. Ma all'opposto il M. c'insegna, che la spontaneit non  che ima parte del NOL la parte fenomenale, e l'unit sua  un' unit pure fenomenale; che v' ha oltracci un soggetto occulto , sostanziale , appiattato sotto quel fenomenale soggetto. Or non pu l' azione che sof- feriamo nelle sensazioni, venirci da questo soggetto a noi oc- culto e fuori della nostra spontaneit fenomenica ? Da tutte parti adunque vacilla la dimostrazione del mondo estemo , che ci d il C. M. CAPITOLO LIX. CONTINUAZIONE. Ci resta a vedere , se sia ragionevole la censura eh' egli la alla dimostrazione nostra. Secondo lui, ci che manca alla nostra dimostrazione del mondo esteriore, si  il non aver noi provato la passivit delle sensazioni. E generalmente , di tutti quelli che tentarono dimostrare il mondo estemo , egli dice :  se noi non pren- ^9  diamo abbaglio > quello che manc loro fa di notare e ril^ e vare pi esplicitamente il confondersi e compenetrarsi dei  due sentimenti nella unit perfetta e assoluta del nostro a essere intellettivo 99 (0? ^ crede che la sua dimostrazione si vantaggi dall'altre per questo, che stabilisce bene questa unit. Ma qui ci si presentano diverse osservazioni. I.** Io ho gi osservato, che il M. confonde Punita del prin- cipio nostro spontaneo, coli' unit del soggetto^ la quale non si rompe per cadere nello stesso soggetto de' fatti attivi, e de' fatti passivi ^ quando anzi egli  appunto un essere parte pas- sivo, e parte attivo^ e non pu esser altramente, perocch tali sono tutti i creati. 2.* Osservai ancora, che egli confonde l'unit del principio spontaneo , coli' unit dell' essre intellettivo , o della mente ^ quando le sensazioni non hanno sede nella mente, ma nella sensitivit. 3." Ma oltracci osservo, che il sentimento passivo e attivo non si dee mai confondere , n compenetrare l' uno nelP altro : anzi si debbono tenere ben distinti e separati questi due sen- timenti , siccome due modi inconfusibili, e che tuttavia si pos- sono trovare insieme, e si trovano in un soggetto. 4'^ Che se la censura del G. M. si restringe a dire, che u manc loro (a' filosofi) solo di notare e rilevare pi esplicita- mente n V unit assoluta del soggetto , dove s' adunano i fatti passivi ed attivi , ella  censura assai leggiere ^ perocch viene a confessare, che questa unit fa notata, ed anco esplicita- mente, ma non tanto quanto esso C. M. avrebbe voluto. 5.* Quanto a me , il iV". Saggio  stampato 5 per egli mi fa testimonianza appresso quelli che l'avranno letto, o vor- ranno darsi la pena di leggerlo, che a lungo favello dell'unit dell' Io , non solo come soggetto unico de' fatti attivi e pas- sivi che in esso avvengono, ma ben anco come soggetto unico delle sensazioni e delle intellezioni^ nella quale Unicit ri- pongo la possibilit di tutti i ragionamenti. 6. Ma voi non provate , che le sensazioni sieno passive.  (1) P II, e. V, 111. Lo provo , e collo stesso argomento ohe usa il C. M. a provar- lo, e in un modo assai pi generale. L'argomento del M.  dedotto da sole le sensazioni dolorose, e da noi non volute. Il clie non basta, come ho notato. Se le sensazioni fossero passive per esser dolorose e non volute, le sensazioni piacevoli sarebbero attive^ il che  un assurdo. Le sensazioni sono passive perch sono necessarie e non dipen- denti dal voler nostro, le vogliamo poi noi o non le vogliamo. 7.** Le ragioni onde io ho provato la passivit delle sensa- zioni sono le seguenti : a) La coscienza^ la quale ci dice primieramente, che tanto 1 fatti attivi come i passivi cadono nelP unita' del soggetto, e che di aldini siamo noi la cagione , di altri no. Cos si legge nel N. Saggio :  Tutti i fatti che in noi avvengono non sono che modifi- M cazioni dello sj)irito nostro. Il nostro spirito adunque  il u soggetto di tutti que' fatti: la coscienza ce n'accerta, poicht a con essa dico " io sono quegli che sente, che gode, che u addolora _, che pensa , che vuole ecc.  , il che  un aflfer-  mare che sono io il soggetto di questi avvenimenti .  Pure Acjiuti passwi^ se siamo il soggetto, non siamo la  cagione, poich non avvengono, come abbiamo detto, per a V azione nostra , ma noi li soflriamo , e li riceviamo da chec- u chessia in noi prodotti, contro, o almeno senza "nostra vo- tf lont  (i). h) U osservazione intema, la quale ci mostra la necessit di alcuni fatti che in noi avvengono, o sieno dolorosi o piacevoU. u Cosi, se io mi sto cogli occhi aperti e volti rincon-  tro al sole, egli  per poco impossibile eh' 10 non vegga  1' abbagliante splendore, e non senta i raggi acuti eh' entrano  nelle mie pupille: in mezzo di una strepitosa banda militare,  io udr, anche contro mia voglia, il suono delle trombe e  de' tamburi, ove pure non m' abbia gli orecchi otturati: tf punto da un feiTO o da uno stecco, io addoloro, sebbea  non piacciami addolorare , poich a nessuno  grato il do- (1) Sez. V, e. IX, ari. xii, 2 ^ 70I a lore : e per dir tutto in un motto , ov' io non fossi passivo a nelle sensazioni che nel mio corpo si suscitano, io potrei a  mio grado cacciar da me tutte le sensazioni moleste , aver u tutte le dilettevoli, non soflRwnr mai, non morir mai n (i). e) Il ragionatiento ^ argomentando la passivit della scusa* zione dallo sforzo che noi dohbiam fare per evitarla. u L' astrazione e alienazion di mente  mai sempre un co- tt tale sforzo da parte nostra,  un' azion faticosa e violenta,  talora essa  di tal travaglio , che ci  impossibile di reg- tt gervi. Ora a che mai tanta fatica? certo a ritirarci, e fug- tt gire dall' azion del dolore , o di alcun' altra sensazione che  non vogliamo  . u Dunque usiamo in cpiesto sforzo Fattivit nostra a sot tt trarci da una forza che ci vien contro , e ci vuol far soffe tf rire. Ma dov'  bisogno d"* una forza a impedire un effetto j u ivi  manifestamente la forza in contrario che tenta pro-  diirlo: imperocch la reazione suppone l'azione, e la forza u elle elide suj>pone quella che viene elisa. L' attivit dunque a colla quale noi evitiamo talora l'esser passivi,  prova della  nostra passivit  (2). Or a me pare, che questi tre argomenti siano sufficienti a fermare la passivit della sensazione. Laonde, non dimandandoci il C. M. che questa sola dimostra- zione della passivit della sensazione, per concederci che abbiam giustamente provata la sussistenza del mondo esteriore^ noi crediamo di avergli soddisfatto col mostrargliela in questi brani del N. Saggio ^ e col rimetterlo a molt' altri che gli fia agevole rinvenire nello stesso libro. CAPITOLO LX. DEL PRINCIPIO DI SOSTANZA E DI CAUSA. Intorno poi a quello che ci oppone il C. M. , rispetto alla seconda delle tre specie di prova che ci attribuisce , noi ab- biamo altrove ragionato. (1) Sez. Y, e. IX , art. xii , J i. (a) Ivi. 7o3 L^abbiam veduto, non ha inteso il mio pensiero. L^ essere possibile, per dirlo di nuovo, appartiene alP ordine ideale, anzi  ci appunto che costituisce quell' ordine : in vano adunque cercherebbesi in lui un' estema realit. Non deesi giammai confondere T ordine delle idee e P ordine delle cose, la forma ideale e la forma reale delP essere. Ma sebbene alP esser pos- sibile noi non attribuiamo la forma reale, il che sarebbe con^ traddizione^ noi per diamo a lui una vera distintione dalla mente nostra, anzi una distinzione infinita. Ripete tuttavia la stessa accusa poco dopo , dicendo del prin- cipio di causa, che  quantunque discenda dirittissimo dalla  sua tesi fondamentale (dell' Ab. Rosmini), non pare a noi u che possa o debba considerarsi per ci quale verit obbiet-  ti va e concreta, ma invece ch'ella rimanga una deduzione lo  gica pura d'una forma intellettuale y* (i). Non abbiamo noi voluto fame di pi ^ e non potevamo vo- lerne di pi, poich sarebbe stato un volerne l' impossibile. Dei principi della ragione non lice a noi fare quel che vogliamo^ non avendo noi altro potere, che di esporre quello che sono. Or cercando che sia quel principio ,  l' effetto dee avere la sua cagiono, troviamo ch'egli  cosa che appartiene tutta all'or- dine delle idee ^ per se noi volessimo fame una cosa estema, reale , non faremmo che sostituire al vero la creatura della no- stra immaginazione. Lo stesso si dica di tutti i principj generali: essi non eccedono 1' ordine logico , appunto perch sono gene- rali. Cos quando io dico  ogni eifetto n , non determino n questo n quell' effetto reale, ma uso dell' idea di effetto a significare qualsivoglia effetto possibile. E tuttavia, sebbene le idee e i principj logici non appar- tengano all'universo reale, ma solo all'universo ideale^ non  per a credersi , eh' essi , ajutati d' altri amminicoli , non val- gano a dimostrare pienamente e farci conoscere le cose reali e sussistenti. Ci che io ho dimostrato, non  dunque, che la sola idea dell'ente, o i soli principj logici ne' quali ella si converte ^ / (i) P. II,c. XIII, V. 7^4 provino immediatamente la realit de^ corpi o degli esseri sus-  sistenti: questo non trovasi nel mio \ihro. Ho dimostrato in quella vece il contrario. Ho dimostrato ancora, che Tessere ideale intm'to dalla mente non  la mente, ma cosa interamente ed inBnitamente da lei distinta: ho di- mostrato che questo non prova ancora la sussistenza del mondo corporeo , ma che spiega bens la facolt che ha la mente di pensare, o d^ intuire un diverso da s, un mondo esterno POSSIBILE.  questo il primo passo che si convien fare: egli  difficile a spiegare questo solo , come la mente concepisca l possibilit^ d^ un qualche ente fuori di s. Concepire un ente possibile .diverso da s,  gi concepire un diverso da s. Dopo di ci, rimane (e questo  il secondo passo) che il diverso da se, che gi si vede nella sua possibilit, si percepi- sca nella sua realit. A compire questo passaggio della mente, pel quale ella si persuade, che quello che gi vede possibile, sia ancora sussistente , vengono in ajuto le sensazioni, o pi in generale i sentimenti. E i sentimenti appartengono al mondo i*eale, il quale con- siste appunto nel sentimento , e nei confini e modi di que- sto, lo spazio, la materia (i). V^ha unit o pi tosto identit fra il soggetto che intuisce Pente possibile, e il soggetto che sente Tente reale. Il soggetto dunque percepisce Pente possibile realizzato nel sentimento che prova: cio si persuade, che quelPente che prima intuiva come possibile, sussiste anco nella sua realit. Ecco in breve la dimostrazione del mondo esterno, che a lungo ho svolta nel N, Saggio ^ e in tutte le sue particolarit diffusa ed analizzata. In questo riassunto della mia dimostrazione si parla dc^ sen- timenti in generale, colP ajuto de' quali il soggetto sensi tivo-in- tellcttivo si persuade di un mondo reale. (i) Ho gik didioslrato , che Io spazio uon  che un modo lirlU; seii^a zionif e la materia  formata da spailo e da forza sentita. Vedi N, Sa^ii Sez. V, e. XVI, e XXIV, art. vii. Vogliamo specificare questi sentimeiiti ? Facilmente si fa oue-* sta specificazione. Vi ha un sentimento delP Io. Questo ci prova la realit del- r anima immediatamente. Vha un sentimento del proprio nostro corpo. Questo ci prova la realit del corpo nostro, con un argomento, in che r idea deir ente si trasforma in principio di causa. V ha un sentimento acquisito , che  modificazione del sen- timento del corpo nostro. Questo ci prova la realit de' corpi estei'iori al nostro, con una forma di argomentazione, in cui si fa uso delPidea deirente sotto forma di principio di causa, e anco sotto forma di principio di sostanza. Come si giustifica il principio di sostanza? Con dimostrare, che negare la sua efficacia estema,  un ne* gare che Pente sia possibile (i). Come si giustifica il principio di causa? Col provare, che negare la sua verit e il suo valore (estemo),  un negare che Pente sia possibile (2). A che si riducono adunque tutte queste dimostrazioni? A quest"* ultimo principio: u L'ente  possibile  ^ che  ci ch'io chiamo principio di cogniaone. Quelli che negano tf la possibilit dell'ente , sono i soli pertanto che possano rifiutare il nostro ragionamento, il quale muove dal pi cospicuo de' fatti, dal fatto per s evidente, dal fatto solo evidente , e nelP ordine logico anteriore a tutti i fatti. (i) Ses. y j e. T. (3) Ivi. FI MB. Rostfiin. // Binnwanwnto* 89 ^ .( ,ii- til- A^ INDICE DEGLI AUTORI CITATI IN QUESr OPERA Agostino (8.), face. 3o4^ 4^^^ 4^> 4^9" 493, 495-498, 533, 535-536, 538, ia, 627, 63i, 676. Alberj 3 495, 620, 625-626, 63 1. Durando, 495* E Egesias, 572-573. Elvezio , 3 1 8 (tau.) , 328. Empedocle, 326-328, 347, 475-476, 594-597. Epicuro. 3i8 (tau.)y 323, 328, 460, 473-474, 482. Eraclito, 3i8 (tat^.)> ^45, 369, 472- 4:3 , 5j8. Eusebio di Cesarea, 487. Eustrazio, 489. F Fichte, 295, 328, 336, 35 1-353, 363, 4i3-4i4' Ficino, 5o4-5o5. Foscolo (Ugo), 345. G Gassendi, 337. Genovesi, 4^^* Gerdil, 3i5, 358, 5o5. Giacobi, 332, 365. Giustino (s.), 487. Goudin, 65 1. H Hartley , 662. Hegel, 3i3-3i4, 3i8 (taf.), 347, 356, 359-372. Hoblcs, 3i8 (taf.), 345, 532. Hook, 328. Huet, 3i8 (taf.), 33i. I Dario (s.), 536. Ippocrate, 34o.- Isocrate, 359. Jainblico, 357, 47^ > 475, 4^4, 577, 58o, 584-585. Jouffiroy, 4i5. R Kant, 295, 3i8 (taf.), 363, 365-366, 537-538, 549, 653. Klaproth, 454* Krug, 36i. L Laerzio (Diogene) , 323 , 599. La Mennais 3 18 (taf.), 333. 7o8 Leibiiizio, 2> a4r>-'j4Gj ($4i- Lcucippo, 571. Locke^ i65^ 3i8. Lucrezia, i5o. Lullo (Raimondo)^ 23. M Marrobio, 585. Malebranche^ 3i5, 3i8 (e taf.), 4aa- 4a3, 429, 492. Massimo (s.), 49^^ ^^* Melisso^ 587. Mercurio Trismcgisto, 677. Mocenigo^ 268. Moniino^ S^o. Mosco, 473. Moshcmio^ 359-36o. N Newton, 388. Nicol di Cusa, 38o. Nicomaco, i'ji^i']^, 4^4' Nizolio^ 74* O Occello, /\6o. Ochino, 3o5, 3i8 (^fai/.^, 33i-332. Okcarao, 533. Orazj (Cesare degli), 324- Origene, 490^ 627. P Pacliimeni (Giorgio) , 626. Parmenide, 324> 349, 356-357, 4? '> 524- 5si5, 583-587, 694. Patrizio, 20, 90, i53. Petavio, 473.^ 489, 494 > ^2' Pittagora, ^iSYtat'.). 347, 353-36o, 364, 372, 429, 446, 470-474, 524,563, 58 1-584, ^9^  596. Platone, 246,' 324 , 326-328,347, 35i, 358-359, 429, 446, 471-480,485-487, 489, 491, 5o5, 517, 524,576, 590, 596, 640-641, 644, 677. Piatito, 294, 3o4. Plotino. 35o, 36o, 477-47^5 643-644 Plutarco, 328, 356, ino'i'ji, ^'j'i, 476^ 483-484, 583-586, 589. Poli, 28. PorGrio, 359, 533. Possidonio, 35o, 47 5' Pristley. 662. Proclo, 349, 47 ' Professori di Coimbfa, 533-536. Protagora, 3 18 (tai*.), 3aa, 326-3a8, 347, 571-572. Pscllo, 47^' R Red. 284, 3i8 (taf,), 329, 332, 384- 385, 652. Reinhold 3i8 (tav,),3iig, 336. Romagnosi, 3i2-3i3, 3i8 (iai*.) , 335- 345, 382, 386-392, 396, 399-406, 4i8-43o, 432-433, 5io, 521-522, 526;, 529-532, 55o, 573-574. Rous&eau, 3 18, (tav,)^ 3a4* S Saint-Simon, 3 18 (tav,). Scarsella, 52 1. Schelling, 23, 295, 3i8 (tau.), 347, 5^- 353, 359-361, 363, 37. Scin, 597. Senocrate, 324* Senofane, 58 1 -583, 585, 594. Sesto Empirico, 582-584, S^ci-Sga, 594, 5q6 5oQ ^ Simplicio, 476, 480, 482, 5a5, Sinnesio, 47'* Socrate, 47>* 47^, 4^ Speusippo, 324. Spinoza, 388, 44a> 6ia. Stewart, 533, 662. Stobeo, 355, 577. Strabone, 47^* T Talctc, 588, 591, 694. Tasso, 261). Telesio, 28. Tcmistio, 523. Tenncmann, 47 "472 Timone, 582, 586-58^. Tomassini, 3 17-3 18, 5o5. Tommaso (s.) i5-i9, ai-2a, aoi, 234 246, 262, 270, 287-288, 324-32^ 4 16, 446-447,491-492, 49^-49^ 532^ 622, 643. Torelli, 369. Tracy, 396. V Venturi, 17. Vico, 3i8, so, 406.409, 444-447> 45S. 456, 532, 6i(), 643. Vittorino (Mano), 493. Z Zarata, ^iQ. Zenone, 44^> 58^. Zoroastro, 4^4* INDICE ' '> Introduzione . .  p^^* ^ libro primo Del nesso fra la questione delT origme delle idee e quella della certezza deW umane cognizioni ....  7 LIBRO SECONDO DelP origine delle cognizioni umane  108 Cpit. I. Ordine secondo il quale procede questo libro,  Quai cose U C. Mamiani ci accordi intorno alV origine delle idee . . .  HI Capit. II. Conseguenza di ci che il C. Mamiani ci accorda: V idea del possibile non  di nostra formazione m IIS Capit. III. Altra conseguenza : la nostra dottrina non pu essere dal Ma^ miani rifiutata senza contraddire a se stesso m Ii4 Cajpit. IV. Infedelt colla quale il C. Mamiani espone la nostra dottrina.  117 Capit. V. Continuazione * 99 lai Capit. VI. Esame degli argomenti che il C. Mamiani usa contro di noi.  134- Capit. VII. Continuazione w laS Capit. Vili. Dissipate le obbiezioni del C. Mamiani, si comincia l'esame della sua dottrina ^ dando un saggio degli errori e delle con- traddizioni di quella 99 iSa Capit. K. Il C. Mamialii dopo aver negata V indipendenza delle idee dalle cose sussistenti ^ la confessa j senza cauame per giova"  mento sy i36 Capit. X. Continuazione  i4o Capit. XI. Esame de' quattro gradi di astrazione pe* quali il Mamiani vuole che passino successivamente le idee jf^ Capit. XII. Esame de' quattro gradii che il C. Mamiani pone neW astra" zione delle idee  >9 i45 Capit. XIII. Continuazione  iVi*. Capit. XIV. Continuazione  i5o Capit. XV. Continuazione 99 i5i Capit. XVI. La distinzione delle idee generali daUe universali introdotta dal Mamiani non ripara al difetto della sua dottrina . . . >' t5) Capit. XVII. Continuazione n i55 Capit. XVIII. Esame di ci che dice il Mamiani sulla questione: se la formazione degli universali esiga V uso di un precedente uni- versale  167 711 CiPiT. VI. Continuatione {Mg. aSG Cirn. VII. Conttuasioru k .  a5j CiPiT. Vili. ContinuaMOTt  36ft Ofit. IX. Conlmuaziane  369 OriT. X. CintinuoMone  ajS CiriT. XI. Coalinuaztone  3j8 Cirit. XII. Con>iua=iort.  a83 CiPiT. XIII. Paragone del Hanuui con Cartfiuo  iS} CuiT. XIV. Conliauaime  ag6 CiFii. XV. Confiimoiio'ic  . 3oi C*HT. XVI. Cnnftuiaiane a 3o7 CiMT. XVII. L'Io non i noto per ri tUito, Ka pel mtxao comune dtUa cogniane ... 3oj) CiPiT. XVIU. Esposizione de' vaij sMemi intorno la certezta ... 3i8 Tavola linoltca dei sittenii Jilosofiei intomo ai criterio della certesta. n iW CiPlT. XlTi, Si comincia ad esporre la elatiificasione de' sistemi filotojei.  33o CiPiT. XX. Continuazione  331 ' Camt. XXI. Continuazione  -t CiPlT. XXII. Continuaiione  339 CipiT. XXIII. Contxnuaxion  33i Camt. XXrv. Continuasione  333 Caiit. XXV. Cantaiaiione  345 CPiT. XXVI. Continumione n 3^6 Capii. XXVII, Conliuazione.   , 347 Cawt. XXVIII. Continuazione  35i CiPiT. XXIX. Continuatane  3S3 Capit. XXX. Continuazione  BSg Capii. XXXI. Eipaiiiione del vero criterio della eerUsza h 373 Capii. XXXII. Continuazione  379 CAfir. XXXni. Wyianaa 4 il Homapm /alti giudici de' proprj sistemL  38i * Capii. XXXTV. Continuazione  3gi Capii. XXXV. Continuazione  4"'^ Capii. XXXVI. Continuazione  {j Capii. XXXVII. Gravi conseguenze del sistema tM C, Mamiuti. . . n 431 Capii. XXXVIII. Continuazione  455 Capii. XXXIX. Dell' immucabaii deO idee  458 Captt. XL. Continuazione antica dottrina italiana suW immutatilu delle idee, ricevuta poscia anche dalla filosofia greca n 4'>9 Capii. XU. Continuazione  474 Capit. XLII. Riforma della flosiijia italica fatta da' Padri della Chiesa.  485 Capii. XLIII. DeW intima natura delle idee , e della cognizione . . n 5i>5 Capti. XLIV. Continuazione  Ho-j Camt. XLV. Continuazione  5a3 Capii. XLVI. Con/iitazione radicale di ogni specie di nominalismo .  535 Capii. XLVII. &>la conjitaiione possibile dello scetticismo  . . . a 53; Capii. XLVIII. Come il sensismo abbia sempre condotto i fdotofi allo iMftKmo > /i^n Capii. XLIX. Continuazione  57S Capii. L. t-a sola scuola italica trov, e fiss le tre condizioni della co- Capit. li. Si continua: antica distinzione fra la cicoza e /'opinione n 5^8 Pag.  i6 lin. I iiVi 'eggi .118  a3 lune altrove H 576  4 (Idia cogiiizioui; della vi ^. . MAMIANI DELLA ROVERE, Terenzio  Nacque a Pesaro da Gianfrancesco, conte di Sant'Angelo in Lizzola, e da Vittoria Montani.  Ha la prima formazione a Pesaro, dove studia e dove fu in contatto con una società culturalmente raffinata e politicamente avanzata. È discepolo e intimo amico di Perticari, il quale aveva dato vita nella città a un vivace circolo culturale che permise a R. di supplire alquanto al difetto di buone scuole e metodi, e di molti libri e del trovar chiuso d'ogni parte il gran libro del mondo (Lettera autobiografica a Zirardini, in Lettere dall'esilio. In realtà - confessa nella stessa lettera R. - l'esser nato e vissuto per tanti anni nella città di Pesaro è per lui una disgrazia gravissima rispetto agli studi i quali in tanta picciola unione di uomini non rinvengono né il vigore, né la latitudine, né l'esercizio loro convenienti.  Il desiderio di approfondire gli studi letterari lo porta a Roma, dove è collocato dal padre presso il Seminario romano con la segreta speranza di avviarlo alla carriera ecclesiastica; ma - avrebbe detto ancora R. - "la mia andata a Roma non rimedia a nulla, perché le lettere in Roma studiavansi allora con una compassionevole pedanteria. Ben diversamente positivo è invece l'influsso politico dell'ambiente pesarese.  La città di Pesaro aveva infatti vissuto pochi anni prima l'esperienza repubblicano-cisalpina, alla quale avevano partecipato lo stesso Perticari e suo cugino, il letterato Cassi. Del resto, a Pesaro è stato forte il sostegno a Murat attraverso l'attività di Pepe, intimo amico di Perticari e di Cassi e in frequente contatto con loro in quanto generale comandante di un contingente di truppe napoletane di stanza nelle Marche. Attraverso Pepe R. poté maturare la sua fede politica fermamente ostile al governo pontificio e aperta alle istanze della libertà e dell'indipendenza nazionale italiana. L’esperienza romana terminò dunque anzitempo e senza rimpianti. Rientrato nella città natale - R. perfeziona la sua formazione letteraria e politica: pubblica le sue prime poesie e frequenta gli ambienti della carboneria, finendo anche per trovarsi coinvolto in un grande processo contro i settari "di Pesaro e d'intorni" conclusosi con numerose e pesanti condanne, ma con il proscioglimento di R. per insufficienza di prove.  Scampato il pericolo della condanna, nel desiderio di perfezionare gli studi e di cercare fortuna in un ambiente più fervido R. si reca a Firenze, dove ha familiarità con gli intellettuali toscani più in vista, in particolare con Capponi, Lambruschini, Niccolini e Vieusseux, a contatto con i quali poté maturare definitivamente una propria sensibilità religiosa entro l'ambito dei valori di quello che fu poi definito cattolicesimo liberale. Un tipo di fede che in R. coesistette fin da allora con una forte e crescente avversione per l'ambiente clericale, nella convinzione dell'impossibilità della Chiesa di riformare in senso liberale il proprio regime politico - autocratico perché teocratico - e di favorire perciò il risorgimento della nazione italiana e la base morale su cui doveva poggiare: il M. riteneva troppo esteriore la pietà ritualistica della Chiesa e troppo subordinate le coscienze all'onnipresente controllo delle gerarchie ecclesiastiche.  La permanenza a Firenze termina quando ottenne dal re Carlo Felice la nomina a professore nell’accademia militare di Torino, nella quale insegna, allorché la morte del padre lo costrinse a rientrare a Pesaro. L'ambiente dell'accademia non è certamente favorevole al liberalismo politico: eppure R. non rinuncia a richiamare i suoi allievi a un concetto più ampio di patriottismo, come gli ricorda un suo antico alunno, il generale Cadorna. Ben posso assicurare, che il culto della patria, ebbe fin d'allora germi incancellabili; pel modo col quale, pur correndo tempi sospettosi, Ella sapeva accortamente e con coraggio civile, infiltrare nell'animo dei giovani, quei magnanimi pensieri di assennato patriottismo, che presiedono poi a tutte le azioni della vita.  L'evento cruciale di quella prima fase della vita di R. fu la rivoluzione parigina. Fu lui stesso a ricordare che quando ne ebbe notizia reagì gridando come un fanciullo: L'Italia sarà libera, sarà libera l'Italia nostra e certo gioia più pura, più alta e più espansiva di quella non credo mi sia destinato a sentire in terra. Lettera autobiografica. In effetti, l'avvenimento in sé e il proclamato principio del non intervento da parte del governo francese dettero a molti l'impressione che fosse ormai giunto il momento di ribellarsi all'assolutismo pontificio e di dare vita a un primo nucleo di Stato nazionale italiano, libero e indipendente. Ebbe origine così la rivoluzione del marzo 1831, che doveva collegare i cospiratori modenesi di Ciro Menotti ai patrioti dello Stato della Chiesa, della Toscana e di Parma. In tale circostanza il M., quale esponente principale degli insorti di Romagna, ebbe prima l'incarico di tenere i rapporti fra il comitato delle Legazioni pontificie e quello toscano, e di ricoprire, poi, dal 4 marzo 1831, la carica di ministro degli Interni del nuovo governo delle Provincie unite d'Italia.  L'incarico durò però meno di un mese: chiamate da Gregorio XVI, le truppe austriache riconquistarono ben presto i territori insorti, e i rappresentanti del governo liberale si videro costretti a firmare in Ancona, il 26 marzo, l'atto di resa nelle mani del cardinale G.A. Benvenuti con il voto contrario del solo Mamiani. Arrestato con la gran parte dei congiurati e tradotto nelle carceri politiche di Venezia, fu sottoposto a processo (5-7 giugno) e condannato dal pontefice all'esilio perpetuo. Fu così che egli riparò in Francia, dove rimase fino al 1847.  Nel moto del 1831 molti videro la prima vera manifestazione del Risorgimento; tra questi il M. che da esso ebbe a trarre due importanti considerazioni: la necessità di coinvolgere nelle lotte nazionali le masse popolari, la cui scarsa sollecitazione fu da lui sentita come una delle cause del fallimento del moto; e il discredito morale sempre più diffuso nei riguardi del potere temporale dei papi, al punto di farne ritenere inevitabile la caduta.  L'esilio parigino si rivelò per lui di estrema importanza. "In Francia - annotò - i due primi anni furon passati in continui ondeggiamenti politici. Scrivevo ne' giornali, sedevo a banchetti patriottici, facevo litografare memoriali per i Ministri, stampai in francese un compendio dei nostri casi di Romagna col titolo Précis" (ibid., p. 50): tutto ciò nella speranza di poter persuadere il governo transalpino a intervenire nello Stato della Chiesa per contenere le nefaste conseguenze della restaurazione austriaca. Ben presto però dovette prendere atto dell'assoluta inutilità dei propri sforzi: le cancellerie delle potenze europee avevano ormai più interesse alla pacificazione europea che alla lotta armata. Di qui la maturazione di altri due importanti capisaldi della sua posizione politica: la convinzione, anzitutto, che per la sua rinascita l'Italia avrebbe potuto contare soltanto su se stessa e l'intuizione che essa avrebbe potuto comunque evitare l'aperta ostilità della diplomazia internazionale solo se avesse perseguito il proprio risorgimento in linea con i principî liberal-moderati dell'Europa più avanzata.  Il M., del resto, sin dall'inizio del suo esilio francese aveva preso le distanze da Mazzini, considerando il programma unitario e repubblicano della Giovine Italia come "temerario ed utopico", in quanto inaccettabile per le potenze internazionali oltre che contrario agli interessi reali dei vari principi italiani ed estraneo alle tradizioni storiche, culturali ed economiche del Paese.  All'ideale fortemente unitario del Mazzini egli contrapponeva un programma federale, come più consono alla storia civile ed economica della penisola e più realizzabile in quanto meno conflittuale. Per gli stessi motivi, egli rifiutava anche la strategia cospirativo-rivoluzionaria e affidava le ancora aurorali speranze del Risorgimento nazionale soprattutto all'aperta educazione etico-politica delle "plebi", imperniata non solo sui valori della libertà e dell'autonomia della patria, ma anche su uno specifico programma di emancipazione economica e sociale del popolo minuto. In tal modo - pensava - non solo si sarebbe eliminata la paura delle "strambe utopie dei socialisti moderni", ma si sarebbe anche allineato il Risorgimento italiano alla migliore cultura europea, ormai consapevole di dover favorire con ogni mezzo la partecipazione delle moltitudini alla rigenerazione comune, altrimenti demandata a un troppo ristretto ceto aristocratico-borghese di per sé incapace di dare origine a un'autentica epopea nazionale.  Sulla base di tali considerazioni nacque a Parigi - certamente in anticipo su quello elaborato in Italia negli anni Quaranta da C. Balbo e M. d'Azeglio (cfr. Pincherle, p. 37; Morelli, pp. 8 s.) - il primo vero programma moderato italiano, divulgato nel 1839 attraverso un opuscolo a stampa intitolato dal M. Nostro parere intorno alle cose italiane (Parigi): un manifesto del Risorgimento nazionale a carattere liberal-democratico e moderato, contenente la prima presa di distanza della cultura italiana dal liberismo economico, la cui legge fondamentale del libero mercato - vi si leggeva - "giovava a coloro soltanto che portano seco qualche facoltà e qualche sostanza da competere e da ricambiare; ma la plebe oppressa dall'ignoranza e dalla miseria, necessitosa del pane e non potendosi valere né avvantaggiare di alcuna cosa, rimarrà esclusa sempre da ogni concorso, e vivrà in tutto all'arbitrio e alla mercede de' ricchi" (p. 33).  Incontro fondamentale al tempo dell'esilio fu per il M. quello con V. Gioberti, per il quale egli nutrì sempre un'intensa e ricambiata amicizia e con cui condivise gli intenti del moderatismo, del federalismo e dell'educazione morale e materiale delle plebi. In un solo punto le idee dei due amici si differenziarono sempre: Gioberti pensava allora a un risorgimento incentrato sul Papato e sui valori cattolici come perni di una federazione dei principi italiani; M., invece, non credette mai a una reale possibilità di riforma liberale dello Stato della Chiesa e meno che mai alla capacità di un pontefice di porsi alla testa del movimento risorgimentale. Al programma neoguelfo di Gioberti egli contrapponeva, fin dai primi anni Quaranta, una sorta di neoghibellinismo che rimase soccombente all'epoca del cosiddetto "piononismo", per affermarsi in seguito.  Nel frattempo a Parigi ebbe modo di dedicarsi agli studi letterari, assecondando la propria vocazione poetica o, meglio, quella che a lui per molto tempo sembrò tale, visto che in vecchiaia mostrò non pochi dubbi in proposito: pubblicò infatti gli Inni sacri (Parigi), accompagnati da un'interessante lettera alle cugine Laura Della Massa e Margherita Castellani, a difesa dell'identità del suo impegno letterario con quello politico, uniti nel concetto di "religione civile". Il frutto più maturo di tale attività poetico-letteraria fu la pubblicazione in volume unico delle Poesie (ibid. 1843), che gli procurarono in Francia e in Italia una fama - seppure non larghissima - di raffinato scrittore classico. -ALT  A Parigi vide anche la luce il saggio filosofico Del rinnovamento della filosofia antica italiana (1834), a suo tempo variamente esaltato e anche aspramente criticato (A. Rosmini), ma che conteneva un'indubbia novità, al di là della sua fondatezza teoretica. Vi si esponeva infatti l'idea che la cultura costituisse la via privilegiata per la formazione di un'autentica coscienza nazionale allora solo incipiente e che non bastasse la sola attività insurrezionale antiaustriaca a fondare uno Stato nazionale.  Nel saggio il M. esaminava anche le correnti filosofiche europee, nel tentativo di superare quello che a lui sembrava l'errore fondamentale del tempo, lo scetticismo, soprattutto quello di derivazione kantiana, e di combattere la "nebbia del misticismo" teologico, giudicata irriguardosa della ragione.  A quelli cui interessò, il saggio piacque soprattutto per i riflessi politici dell'idea di cultura che vi era esposta: il M. esprimeva infatti la convinzione che una nazione può aspirare a costituirsi in Stato libero e indipendente solo se consapevole della propria specifica identità morale e spirituale - secondo il lessico del tempo, solo se era capace di manifestare un proprio genio e una propria missione - e si chiedeva perciò che cosa significasse essere italiani. Sotto questo punto di vista, perciò, la sua opera si presentava alla nazione come una ricerca delle proprie radici e della propria identità, "rivocando alla memoria esser la filosofia, del pari che tutte le grandi cose, divina semenza, nata e cresciuta sotto il bel clima italiano". Egli, infatti, pensava che esistesse una tradizione filosofica specificamente italiana - quella che dagli antichi eleatici si estendeva fino a T. Campanella, a G. Galilei, a G.B. Vico e a P. Galluppi - caratterizzata dal realismo conoscitivo, pur se limitato all'esperienza sensibile chiarificata dalla ragione. Una filosofia, questa, che il M. definiva "naturale" o anche "socratica" o "del buon senso" e che gli sembrava raggiungesse un risultato importante: "i dogmi del senso comune" potevano infatti essere elevati, con tale metodologia, a quel sapere certo e rigoroso che avrebbe espresso nei Dialoghi di scienza prima (Parigi 1846).  Nel 1847 il M. riuscì a porre finalmente termine all'esilio grazie alla decisione del re Carlo Alberto, che, conosciute le sue simpatie per casa Savoia, gli permise di rientrare in Italia e di stabilirsi a Genova, dove giunse il 10 febbraio.  Nel frattempo era stato eletto papa Pio IX, il quale aveva concesso il 6 luglio 1846 un'amnistia per i reati politici, permettendo ai congiurati del '31 il rientro nello Stato pontificio dietro una precisa domanda di grazia. Il M. però fu tra i pochi esuli che rifiutarono di rientrare in patria per una via considerata ingiusta e disonorevole, presupponendo essa l'ammissione di una colpa per la quale chiedere perdono, laddove il comportamento del '31 era solo il frutto di una legittima e moderna coscienza politica: quella nazional-liberale e costituzionale di contro al superato assolutismo regio.  Ciò nonostante egli ottenne nell'agosto 1847 un permesso di rimpatrio di soli tre mesi, grazie al quale il 23 settembre poté rimettere piede nello Stato; il permesso fu nuovamente concesso qualche tempo dopo in seguito all'improvvisa morte del fratello Giuseppe (21 dic. 1847). Fu precisamente in quell'occasione che le sorti del M. ebbero a subire una radicale svolta.  Si trovava infatti a Roma, osannato dai circoli liberali, quando il 29 apr. 1848 il pontefice denunciò, con la famosa allocuzione, la propria partecipazione alla guerra d'indipendenza nel frattempo combattuta nelle pianure lombarde. Nel clima di pericolosissima agitazione in cui Roma versava, Pio IX, in seguito alle dimissioni del governo in carica, si vide praticamente costretto dalla crescente pressione dei circoli popolari a invitare il M. - il cui nome veniva ormai fatto a gran voce - a dirigere come ministro degli Interni un nuovo governo. Il M. volle un governo composto per la prima volta tutto di laici e il 4 maggio lo varò a due precise condizioni: che sulla questione nazionale si continuasse sulla linea del ministero precedente e che la politica estera fosse distinta da quella religiosa e perciò affidata a un laico. Ma la svolta più radicale il M. la compì trasformando il regime assoluto e teocratico dei papi in un regime liberale, basato cioè sulla chiara distinzione fra potere spirituale e temporale, riservando quest'ultimo al governo e al Parlamento e restringendo la funzione politica del pontefice alla sola attività di capo - non responsabile - dello Stato. Una trasformazione, questa, proclamata dal M. il 9 giugno 1848 all'atto dell'apertura del nuovo Parlamento, ma accettata solo di mala voglia dal papa, che mai la perdonò al suo ministro. Fu, quello, indubbiamente il punto più alto della carriera politica del M., anche se da allora nella cerchia pontificia fu generalmente considerato come il ministro "traditore" di Pio IX e come il principale avversario del potere temporale.  Da parte sua, invece, il M. si considerò "l'iniziatore di una vita politica vera" nell'impolitica Roma papalina: egli presentò infatti alle Camere una serie di progetti di legge riguardanti l'ordinamento liberale e decentrato dello Stato, tendendo - come affermava nella Lettera a' suoi elettori di Pesaro - "all'acquisto di più larghe franchigie, svolgendo e applicando quelle già conseguite e avvezzando i popoli all'osservanza scrupolosa della legge del diritto" (Due lettere di T. Mamiani: l'una a' suoi elettori, l'altra alla santità di Pio IX, Roma, poi Genova 1849). In linea con la sua formazione di tipo democratico, presentò inoltre un disegno di legge relativo alla fondazione di un ministero della Pubblica beneficenza, volto alla "educazione del popolo minuto" e teso a "emendare e migliorare lo stato delle moltitudini più bisognose, scemarne le privazioni e i disagi, combattere da ogni banda le cagioni della indigenza, estirpare l'accatteria, stenebrare le menti, correggere gli animi e incivilirli" (Discorso al Parlamento, 26 giugno 1848). L'iniziativa, pur se certamente non nuova né estranea all'attività dei pontefici romani a favore dei poveri, vide tuttavia mutare la tradizionale impostazione caritativa, di carattere morale, in attività propriamente politica, intesa cioè come preciso dovere di un moderno Stato liberal-democratico.  L'ostilità di Pio IX al nuovo corso e soprattutto alla partecipazione alla guerra - portata avanti dal M. in forme costituzionali ma contro la notoria volontà del papa - nonché i rovesci militari subiti dalle truppe pontificie a Vicenza e dall'esercito sabaudo a Custoza segnarono, il 2 ag. 1848, la fine del suo governo.  Ancor più travagliata doveva comunque rivelarsi la successiva esperienza ministeriale, affidatagli dal pontefice pochi giorni dopo l'uccisione di Pellegrino Rossi (15 nov. 1848), nel tentativo di porre nuovamente riparo alla crescente pressione della piazza, che rendeva ingovernabile lo Stato: fu allora che Pio IX affidò al M. nel nuovo esecutivo - che riprendeva fra l'altro il programma del suo passato governo - il ministero degli Esteri. Anche questa volta il governo ebbe brevissima durata: fuggito nella notte tra il 24 e il 25 novembre a Gaeta, il papa nominò una Commissione governativa che sfiduciava il ministero e rendeva assai difficile la normale vita parlamentare, proprio mentre a opera dei rumorosi circoli democratici venivano aumentando in Roma le aspettative di una svolta antitemporalista e repubblicana. In tale situazione il Parlamento, in cui prevalevano ancora gli elementi liberalmoderati, decideva di dare vita a un organo collegiale di tre persone, la Giunta provvisoria, delegata in assenza del capo dello Stato a esercitarne le funzioni, a salvaguardare le libertà statutarie e anche a mantenere intatti i poteri e i diritti sovrani del pontefice. L'iniziativa non fu però bene accolta né dal papa, né da gran parte dei democratici; questi ultimi spingevano addirittura verso nuove elezioni per un'Assemblea costituente.  Presto la situazione precipitò: la Giunta provvisoria alla fine non solo propose il progetto della Costituente, ma sciolse anche d'autorità le Camere e si sostituì temporaneamente a esse, cercando nel frattempo di dare vita a un governo provvisorio con il compito di gestire le elezioni indette a suffragio universale per il 21 genn. 1849. Era questo un comportamento non certamente liberale, che, assunto sotto la pressione popolare e non privo del pericolo di una svolta autoritaria, il M., convinto sostenitore delle libertà costituzionali, non poteva accettare: di qui, dopo la denuncia della indebita soppressione del Parlamento, le dimissioni dalla carica di ministro degli Esteri e il rifiuto di entrare nel nuovo esecutivo varato il 23 dic. 1848.  Fra le due esperienze governative, intanto, il M. aveva dato vita il 10 ottobre a Torino - insieme con Gioberti - a una importante iniziativa: la formazione di "un congresso promovitore della Confederazione italiana" destinato a creare un progetto di legge federale, di tipo liberal-parlamentare, fra gli Stati della penisola allora costituzionali: una confederazione che avrebbe dovuto essere proclamata a Torino da una Costituente italiana appositamente eletta, dopo la ratifica del progetto di legge da parte dei singoli Parlamenti.  Nel corso del congresso, cui parteciparono le maggiori personalità favorevoli alla causa italiana, il M. svolse una funzione di prim'ordine, al punto da essere eletto presidente del congresso insieme con Gioberti e G.A. Romeo. Fu il tempo della sua maggiore notorietà e autorevolezza morale, anche se in seguito le condizioni militari e politiche resero impossibile l'attuazione del progetto.  Dopo le elezioni del 21 genn. 1849, l'Assemblea costituente romana sancì, il 9 febbraio, con due distinte votazioni, la fine del potere temporale dei papi e la nascita della Repubblica. Tali innovazioni, entrambe apertamente combattute dal M. in quanto nocive al mantenimento degli ordinamenti liberali in vista delle prevedibili reazioni militari di ordine internazionale, lo portarono a dimettersi da rappresentante parlamentare della città di Pesaro e a ritirarsi a vita privata, non volendo in alcun modo essere corresponsabile del fallimento di tante speranze: il che di fatto avvenne quando il pontefice chiese e ottenne l'intervento militare della Francia, dell'Austria, della Spagna e del Regno delle Due Sicilie.  Al M., che durante l'assedio dei Francesi avrebbe addirittura voluto espatriare e tornare a Genova, il Triumvirato diede una risposta secca: "Prenda un fucile e vada alle barricate". Cosa, questa, che egli - e con lui gli amici moderati - non si sentì di fare, convinto che la guerra avrebbe condotto a una completa restaurazione dell'assolutismo pontificio. Costretto a restare a Roma, suggerì al governo repubblicano di trattare con i Francesi sulla base di un ritorno al potere di Pio IX in cambio del mantenimento degli ordinamenti costituzionali. Tale soluzione era gradita alla Francia, che attraverso il suo ambasciatore a Napoli prese addirittura contatti in tal senso con il M., cercando di unire intorno al progetto la vecchia cerchia moderata. In effetti trattative private vi furono, anche se non pervennero ai risultati sperati.  Fu, questo, l'ultimo contributo che il M. ritenne di offrire alla causa romana e, in prospettiva, a quella nazionale, destinate ambedue a essere irrimediabilmente compromesse - pensava - qualora gli Austriaci fossero entrati nello Stato della Chiesa. I responsabili del governo repubblicano, però, non ne vollero sapere e seguirono le vie dell'intransigenza, finendo per capitolare e spianando così la via alla restaurazione. Come dal M. previsto, i Francesi non riuscirono a far prevalere la moderazione e gli Austriaci finirono per diventare i vincitori della guerra e i protettori del restaurato assolutismo.  Quanto al M., non trasse alcun giovamento dalla moderazione e dal realismo politico che aveva dimostrato, divenendo anzi oggetto di un'accesa campagna denigratoria: i moderati lo accusarono di eccessivo protagonismo; i repubblicani gli rimproverarono le trattative col nemico e il disimpegno bellico; e i clericali videro in lui il responsabile primo dell'esilio di Pio IX e della proclamazione della Repubblica, additandolo addirittura come apostata dalla fede cattolica. La giunta cardinalizia, infine, appena insediata a Roma dopo la caduta della Repubblica, pensò bene di estradarlo dal territorio pontificio nel giro di 48 ore (25 luglio 1849).  Riparato a Genova per concessione del primo ministro piemontese M. d'Azeglio, il M. dette inizio a quello che avrebbe definito il suo "secondo esilio". Pur essendo l'emigrato di maggior spicco tra la folta schiera degli esuli politici, ottenne la cittadinanza sarda solo nel 1855 grazie al personale interessamento di C. Cavour, che lo volle poi al suo fianco in Parlamento, malgrado lo sapesse legato alla sinistra rattazziana. Eletto al Parlamento subalpino dal V collegio di Genova nelle elezioni del 1856, il M. si schierò subito a fianco di Cavour, che ricambiò i suoi consigli politici facendo di lui il portavoce parlamentare della maggioranza governativa, nominandolo ordinario di filosofia della storia nell'Università di Torino e designandolo alla funzione di corrispondente del Daily News per le cose italiane, nel tentativo di guadagnare alla causa italiana le simpatie dei lettori inglesi. Soprattutto, Cavour vide in lui l'uomo capace di dare credito e autorevolezza nel Paese e in Parlamento alla propria svolta politica, che, maturata dopo la guerra di Crimea nel corso del congresso di Parigi del 1856, ottenne nella tornata del 7 maggio l'approvazione a grande maggioranza della Camera sotto forma di un aperto programma nazionale italiano. Il M. contribuì in maniera decisiva al successo di quel programma, presentato come liberale, sabaudo, moderato e a "egemonia" piemontese.  Si trattò certamente di una svolta storica per le sorti del Regno di Sardegna e dell'intera penisola: in seguito a essa infatti "il Piemonte pigliava apertamente a patrocinare la patria comune e ad approfittare d'ogni occasione prontamente e gagliardamente" per "intervenire quind'innanzi con l'arme dovunque l'Austria pure con l'arme osasse d'intervenire" (T. Mamiani, Minuta di discorso, 28 giugno 1856).  Più in generale, in Parlamento il M. ebbe una preziosa funzione di mediazione tra i due poli della maggioranza governativa, quello cavouriano più moderato e quello rattazziano più combattivo e popolare: il che gli permise anche atteggiamenti dissonanti nei confronti della stessa politica cavouriana. Del resto, pur nella piena lealtà a Cavour, il M. non fece mai mistero di avere anche una propria strategia risorgimentale, certamente non antagonista né alternativa a quella del primo ministro, ma dalle aperture non del tutto coincidenti. Egli infatti, più e prima della linea diplomatica perseguita dal presidente del Consiglio - considerata peraltro anche da lui necessaria -, avrebbe preferito promuovere una linea di azione meno legata alla Francia e più aperta invece a un'alleanza Torino-Napoli o Torino-Firenze, secondo le suggestioni albertine dell'"Italia farà da sé".  Al tempo della guerra del 1859 il M. svolse invece con successo, grazie alla sua personale ascendenza presso i patrioti romani, il compito affidatogli da Cavour di impedire rivoluzioni a Roma, nella comune convinzione che esse avrebbero finito per danneggiare gravemente le sorti dell'Italia centrosettentrionale. Dopo la pace di Villafranca si segnalò quale deciso sostenitore delle annessioni al Piemonte dei Ducati padani, delle Legazioni pontificie e della Toscana, contro la linea attendista e incerta del governo e del re. Tra la fine del 1859 e l'inizio dell'anno successivo fu inoltre l'artefice primo del ritorno di Cavour al potere (16 genn. 1860).  Per quanto riguarda la sua attività di scrittore, va ricordato che nel 1850 egli aveva dato vita in Genova a un'Accademia di filosofia italica, nella convinzione che dopo la delusione del generale fallimento del '48 fosse necessario tornare all'educazione etico-politica degli Italiani. A tale scopo aveva dato alle stampe alcune importanti opere, tra le quali gli Scritti politici (Firenze 1853) e le Poesie (ibid. 1857), che ottennero finalmente vasto successo di pubblico in tutta la penisola. Particolare fortuna incontrò la monografia D'un nuovo diritto europeo (Torino 1859), edita a più riprese in Italia e subito tradotta con successo in francese e in inglese.  La si può considerare a ragione una diretta espressione dei complessi problemi di diritto internazionale scaturiti dalla seconda guerra d'indipendenza e, nella sostanza, una codificazione giuridica della ormai matura coscienza nazionale italiana, portata a livello di paradigma politico e culturale per la moderna civiltà europea, sulla base del concetto di autodeterminazione dei popoli, del rifiuto delle armi straniere quale mezzo di soluzione dei problemi interni degli Stati e dell'abbandono dell'ormai superata politica viennese del 1815.  Nel gennaio 1860 Cavour, tornato al potere, assegnò al M. il ministero della Pubblica Istruzione, nell'intento di realizzare una rivoluzionaria trasformazione del dicastero. Egli infatti aveva deciso di porre termine al tradizionale impianto della scuola piemontese, fondato su un rigido centralismo burocratico e didattico, e di dare vita a una scuola ormai "italiana" e aperta a principî di chiara ispirazione federale, decentrando le competenze, lasciando la programmazione educativa e didattica ai vecchi territori, garantendo la libertà di insegnamento e riservando al ministero solo pochissime attribuzioni di carattere generale. Il piano fu perseguito dal M. riformando in parte la legge Casati del 13 nov. 1859, ma non incontrò l'assenso del Parlamento, che lo giudicò insufficiente nei confronti degli ormai prevedibili mutamenti politici della penisola. Egli allora dette mano a una riforma organica e federale dell'intero comparto scolastico, in stretto collegamento con l'analoga riforma dello Stato, che nel frattempo stava elaborando il ministro degli Interni M. Minghetti.  Neppure questa volta però la sua attività ebbe buon esito: l'impresa garibaldina del 1860 e poi le difficoltà incontrate dall'amministrazione nell'ex Regno borbonico sconsigliarono l'attuazione del progetto federale, sentito come troppo pericoloso per l'ancor fragile unità italiana. Fu così che finirono nel nulla sia il piano di Minghetti bocciato alla Camera, sia la riforma del M., mai portata alla discussione in aula. La sua attività di ministro si ridusse dunque soprattutto a rendere praticamente esecutiva la legge Casati: indubbiamente troppo poco rispetto alle speranze che aveva nutrito nei quattordici mesi di permanenza al ministero, conclusasi il 23 marzo 1861 non senza lasciare l'impressione di un sostanziale fallimento.  Lasciato il governo, il M. fu avviato da Cavour alla carriera diplomatica, nella quale ricoprì dapprima l'incarico di ministro plenipotenziario del Regno d'Italia in Grecia (1861-63) e nella Confederazione Elvetica (1866). Nel frattempo era stato nominato senatore del Regno (13 marzo 1864) e in tale veste, una volta dimessosi per motivi di salute dalla carriera diplomatica (1867), ebbe ancora una parte di rilievo come ascoltato e ricercato consigliere del governo Lanza in occasione della presa di Roma. Fu poi, nell'aprile 1871, relatore dell'ufficio centrale in Senato per la cosiddetta legge delle guarentigie, l'atto legislativo e politico più importante del nuovo Regno, tenendo una via mediana fra le istanze dei radicali giurisdizionalisti e anticlericali, sostenitori della estensione del puro e semplice diritto comune alla Chiesa, e quelle dei cattolici intransigenti legati all'idea dello Stato confessionale e della libertà giurisdizionale della Chiesa. Prevalse alla fine la tesi del M. - che dopotutto era anche quella del governo in carica - volta a rifiutare un concetto di Stato sia ateo o laico, sia confessionale, e a proclamare invece la realtà di uno Stato "incompetente" nelle questioni ecclesiastiche: non estraneo né indifferente ai sentimenti religiosi dei cittadini, ma neppure legato a fedi o a culti particolari.  L'ultima parte della lunga esistenza del M. fu particolarmente ricca di riconoscimenti e di onori: fu membro del Consiglio di Stato, vicepresidente del Senato, vicepresidente del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione (1868-84) e membro del Consiglio del contenzioso diplomatico. Nel 1872 Roma gli concesse la cittadinanza onoraria insieme con Alessandro Manzoni e Gino Capponi e lo elesse consigliere comunale a vita.  Molto intensa fu la sua attività di studioso, soprattutto nell'ambito della filosofia, disciplina nella quale si segnalò come il più accreditato pensatore spiritualista dell'epoca, rimanendo fedele a un sistema che egli continuò sempre a ritenere tipico della cultura italiana, pur se ormai variamente criticato dal sempre più diffuso hegelismo tedesco, che egli considerava invece estraneo alla sensibilità latina. Sintesi del suo pensiero filosofico furono i due ponderosi volumi editi nel 1865 a Firenze col titolo Confessioni di un metafisico (la prima edizione era apparsa nel 1850), in cui egli presentava il suo definitivo sistema di ontologia e di cosmologia.  L'opera segnò la svolta radicale e definitiva del M. dalla filosofia socratica al cosiddetto "platonicismo italiano": una filosofia contraria al pensiero kantiano e rosminiano - fondato sul concetto di conoscenza intesa come una sintesi a priori della ragione - e imperniato invece sulla convinzione che le idee, di per sé eterne e universali, non derivano "dai sensi ma dall'avvisare il contrario di quello che sono essi; e vale a dire, negando la finità, la volubilità e la contingenza loro; il che subito porge il concetto dell'universale, del necessario e dell'immutabile" (ibid., p. 59). Era, come si vede, una ripresa dello spiritualismo platonico, che il M. divulgò tenacemente nella rivista La Filosofia delle scuole italiane, da lui fondata a Firenze nel 1870 e diretta fino alla morte.  Nell'ultimo ventennio di vita l'interesse fondamentale del M. divenne la cosiddetta questione cattolica, che egli avrebbe voluto - pur restando fedele al corpo dogmatico della Chiesa - rinnovare e conciliare sia con le esigenze critiche e metodologiche della ragione laica e scientifica, sia con quelle della nascente filologia storico-biblica franco-tedesca, sia infine con quelle della tolleranza per le inevitabili diversità di pensiero e di culto dei credenti. Esigenze, queste, che contrastavano con le dichiarazioni del Sillabo di Pio IX (1864) e più ancora con il dogma dell'infallibilità pontificia affermato dal concilio Vaticano I (1870-71) e da lui considerato sempre come una "enormità" e come una deviazione dalla tradizione cattolica. Tutto ciò finì naturalmente per orientarlo verso soluzioni ai confini o oltre l'ortodossia, verso il libero pensiero della massoneria e del cristianesimo unitariano americano.  Mosso dalle sue profonde esigenze di carattere religioso, si dedicò anche alla riflessione sul problema operaio, alla luce delle proprie convinzioni democratiche e in una linea mediana tra le istanze del socialcomunismo, cui mai aderì, e quelle dell'imperante liberismo, che egli volle temperato da un forte intervento dello Stato, scandalizzando con ciò i suoi vecchi amici liberali e gli organi culturali della Chiesa, che lo accusarono ingiustamente di comunismo.  Il M. morì a Roma il 21 maggio 1885 ed ebbe funerali di Stato e sepoltura in Pesaro.  Tre furono i meriti che sempre gli furono riconosciuti: l'attività educativa ai valori della libertà morale e civile, alla formazione della coscienza nazionale e all'indipendenza della patria dagli stranieri; il decisivo contributo alla valorizzazione della cultura e della lingua italiana, sentita come conditio sine qua non della legittimità del processo risorgimentale; l'impegno di riorganizzazione degli studi, per inserire l'Italia nell'Europa più avanzata. Il centro della sua complessa attività politica e intellettuale fu però il forte senso della libertà dei popoli e delle coscienze individuali: una libertà, che egli volle - a suo dire - come altri e più di altri, in tutto e per tutto, in quanto fine dell'intera sua vita e anima di ogni suo scritto. Fu anche deciso fautore dell'emancipazione civile e morale degli ebrei e delle culture subalterne in Italia come in Europa; fu inoltre sostenitore del risorgimento greco, polacco e ungherese e difensore della libertà degli Egiziani contro il colonialismo inglese così come fu contrario a ogni colonialismo, da lui definito espressione di rinnovata barbarie e di decadenza del senso morale. Difensore dei diritti dell'infanzia e della libertà civile e intellettuale delle donne, il M. si segnalò come uno fra i primi teorici della lotta al pauperismo industriale in Italia, sentito da lui come il più grave problema dei tempi moderni. In tutto ciò egli tradusse il profondo senso religioso del suo cattolicesimo liberale, vissuto come religione civile, lontana dal ritualismo della pietà devozionale ottocentesca, tutta interiorizzata, e aperta invece alla dimensione pubblica e politica.  Fonti e Bibl.: Il Fondo Mamiani - comprendente diari, articoli, lettere, opuscoli, pensieri filosofici e politici, minute di lezioni, discorsi, componimenti letterari -, quasi completamente inedito, è conservato presso la Biblioteca Oliveriana di Pesaro, distinto nelle serie: Lettere a T. M.; Carte di T. M.; Archivio di casa Mamiani (cfr. G. Vanzolini, Le carte di T. M. nell'Oliveriana di Pesaro, Pesaro 1896); I. Zicari, Catalogo del fondo "Comunale" Mamiani della Biblioteca Oliveriana. (Lettere ricevute da T. M. dal 1832 al 1885), in Studia Oliveriana, VIII-IX (1960-61), pp. 1-171. Poche sono le fonti edite: fra queste il Précis politique sur les derniers événements des États romains, ibid., n.s., V (1985), pp. 141-185 e i due volumi di Lettere dall'esilio, I, 1831-1845, e II, 1846-1849, a cura di E. Viterbo, Roma 1899. Elencano gli scritti e le fonti edite: L. Ferri, Commemorazione di T. M., Roma 1886, pp. 20-26; Indice delle opere che furono pubblicate dall'illustre filosofo pesarese conte T. M. D., Pesaro 1887, pp. 5-13; Bibliografia dell'età del Risorgimento in onore di A.M. Ghisalberti, I, Firenze 1971, pp. 210-213, in cui figura un'ampia bibliografia degli studi sul M. (aggiornamenti nella Bibliografia dell'età del Risorgimento 1970-2001, I, Firenze 2003, p. 337). Tra le biografie sul M.: G. Saredo, T. M., Torino 1860; G. Mestica, Su la vita e le opere di T. M.: discorso pronunziato nell'Università di Palermo (6 giugno 1885), Città di Castello 1885; P. Sbarbaro, La mente di T. M., Roma 1886; D. Gaspari, T. M. D., Ancona 1888; N. Bianchi, Della vita e delle opere di T. M., Pesaro 1896; T. Casini, La gioventù e l'esilio di T. M., Firenze 1896; M. Pincherle, Moderatismo politico e riforma religiosa in T. M., Milano 1973; E. Morelli, Premessa, in Studia Oliveriana, n.s., V (1985), pp. 7-10; G. Ciampi, T. M. e i problemi internazionali del suo tempo, ibid., pp. 97-136; R. Ugolini, M. e Cavour nel decennio di preparazione, ibid., pp. 55-95; A. Brancati - G. Benelli, Divina Italia. T. M. D. cattolico liberale e il risorgimento federalista, Pesaro-Ancona 2004 (con aggiornamenti bibliografici).. r 4^7 nel cui anno mori, tre libri della dia- lettica contro agli Aristotelici, e ruppe cosi la sua lancia non pure contro gli Scolastici, ma eziandio contro il gran maestro di coloro che sapevano. A noi pare il primo che oppugnasse dirittamente alquante sentenze dAristotele per argomenti e speculazioni sue proprie, invece che altri appena si sentirono vigore di combattere quel filosofo, coperti dello scudo e delibarmi tutte di Platone. Ne suoi tre libri fioritissimi di elegante latino incomincia dal porre in deriso la cieca iidanza nelle parole d Aristotele; segue col fare osservare come le categorie e i primi predicabili vengono falsamente assunti per tali, e ci prova col senso legittimo dei vocaboli, con luso dei parlari e con ragioni di senso comune. Abbatte similmente le classificazioni di Porfirio, gran pa- triarca dei commentatori Aristotelici. Mostra come i precetti fondamentali della Logica sono semplici e come pianamente si spiegano. Grande Digitized by Google  *7  importanza ripone nello studio dei segni: e quan^ tunqae si faccia a discorrere la materia troppo grammaticalmente, pure distrugge non pochi er- rori della Scuola. Invita la giovent a cercare neprosatori e poeti sommi il retto senso della ragione. Per vero egli sappigliava con gran senno a luno dei mezzi pi efficaci, onde si rin- venissero e si praticassero i principii del metodo naturale. In ultimo non trascorreremo di notare, siccome il sottile ingegno del Valla immagin a suoi d quella riduzione medesima sui predica- menti e categorie d Aristotele, che oggi taluno ha fatto sulle forme e categorie di Kant (i). E vaglia il vero, propose il Valla e dichiar tre soli predicamenti essere distinti, essenziali e pi comprensivi degli altri tutti, cio la cosa, (in- sieme guardata , e quale sostanza , e qual cagio- ne), la qualit e l 'atto: la qualit aderente alla cosa, in quanto sostanza, latto aderente alla stessa, in quanto cagione: e ci  quel medesimo per lappunto che pensano e scrivono gli spiri- tualisti moderni di Francia, Per tal guisa nella seconda met del secolo quintodecimo fu consumato lo scredito e la ruina della scolastica. Certo cooperarono a questo pa- recchi stranieri, ma tutti furono posteriori di (*} De Dialettica contra ristoteleos. Venti  1^99 nel L. ut. 3* Digitized by Google - i8  tempo e gran parte di loro aveano, nella penisola, attinto il sapere e larte dello scrivere, come ad esempio Rodolfo Agrcola , Jacopo Faber, il Sepulveda , lo Sdoppio ed altri. Ili Venuta a fine la scolastica autorit, rimane- vano la teologica e la peripatetica. Insorse ani- mosamente contro la prima Pietro Pomponac- cio, e le dottrine meramente razionali spart dalle rivelate, dicendo, altro essere lufficio del puro filosofo, altro del teologo, n doversi pretende- re dal lume fioco e riverberato della ragione quel medesimo cbe dallo splendore duna scienza inspirata; questa avere a dover supplire al difet- tivo dogni filosofia naturale, ma non punto so- stituirvisi ; per lo che insegnava come dalla co- gnizione naturale delle cose dovea salirsi a quella di Dio: non viceversa dalla cognizione anticipata di Dio trarre quella delle cose naturali, secondo luso che regnava a quei tempi. Tale fu il secon- do passo che il Pomponaccio , a rischio della sua vita, fece muovere allumano intelletto verso la sua indipendenza. IV In tre guise studiarono gli Italiani di far crol- lare lautorit d Aristotele, la quale era ultima a sopravvivere, e sembrava dalluso e dal tempo Digitized by Google  !9  acquistare nuova forza. Per primo i seguaci stessi del filosofo fecero breccia nella infallibilit del maestro loro, mutando parecchie sentenze, e al- tre nuove aggiungendo; cos, per esempio, ado- perarono il Pomponaccio medesimo, il Zaba- rella , il Cesalpino e il Cremonini. Secondamen- te fu contraddetto alle sue opinioni talvolta con- futandole, tal altra richiamando in onore e po- nendo a confronto le diverse dottrine delle varie sette filosofiche antiche. Da ultimo gli fu con- tradetto con inventare sistemi originali e vi- stosi, siccome fecero il Cardano , il Vanini , il Bruno , il Patrizio. Dal Patrizio poi fu nel combattere Aristotele e i suoi chiosatori spiegata una alacrit, una scienza e uneru- dizione somma e al tutto peregrina ; laonde Gasscndi , allorch un mezzo secolo appresso intendeva contnua re le sue Esercitazioni para - dosse contro Aristotele , savvide essere stato dagli Italiani preceduto per modo da non lasciar- gli alcuna buonerba da mietere. Per le confu- tazioni che tornarono pi efficaci a scuotere gl intelletti caddero sui libri di cosmologa e di fisica, i quali assai spesso vennero convinti di er- rore dalla sensata esperienza. Discese in questo aringo il Telcsio, e lev molto grido. Altri, me- no celebrati di lui, rinvennero per miglior cam- mino cose migliori, rna non oppugnarono Aristo- tele , perch non nebbero cura. Digitized by Google -rr 30  r, V Dopo ci si potea fare stima che gli Italiani avessero finalmente affrancato l ingegno da quan- tunque potere estraneo, e solo conservatagli lau- torit interiore del proprio convincimento. Pur nondimeno egli non sapeva per anco esercitare con libert e con profitto le potenze conoscitive, perch lungamente offese da infelici consuetudini e dimentiche in tutto dei documenti della natura. Dannosi oltre ogni credere riuscivano due usi di filosofare: il primo era di cercare piuttosto le relazioni e le conseguenze del gi noto, di quello che le parti oscure e recondite dellignoto. Il secondo era di muovere principio a qualunque specie di studio da alcune generalit il pi sovente non discusse e non dimostrate, e le quali non rado si risolvevano in realizzazione apparente di mere e vane astrattezze. Scendevano da tali due usi al- tre pratiche egualmente pregiudicevoli : concios- siach ei convertivano tutti gli studii in ragio- nameuti ideali, facendo smarrire lattitudine e la traccia dellanalisi vera inventiva. Quindi, ri- spetto alle cose speculative, sorgeva un disprezzo per losservazione minuta dei fenomeni psicologi- ci, non riputandosi che potessero comporre dot- trina, e perch si avea per adagio che i singolari non fanno scienza. Similmente poco pregio solea attribuirsi alle nude fisiche sperimentali , in cui, a Digitized by Googl .  2 1 dir vero, si cercava la parte metafsica e nulla pi. JN lavere sconftto buon numero delie opinioni dAristotele era parso bastevole per dimostrare la vanit della sua ontologia e della sua dialettica, le quali erano divenute un istrumento quotidia- no del ragionare e quasi una seconda natura. Donde che singenerava una presunzione pazza delle forze di nostra mente, e un credere di po- ter tutto sapere. In ultimo vi si aggiungeva la intemperanza delle fantasie e lo smisurato amore del maraviglioso  del sovrumano, poi l affetta- zione del linguaggio e delle forme cattedratiche, simulanti ad ogni parola un arcano di scienza. CAPITOLO IT Dottrina metodica. I Fa pertanto riconosciuto che le emendazioni parziali non potevano valere gran fatto, e che il rimedio efficace stava nel bene riordinare tutta quanta lintelligenza, e svellervi le male radici delle dannose consuetudini e delle non sane preoccupazioni. Fu sentita allora lopportunit della dottrina metodica, e, quello che valse molto meglio, il bisogno di ripristinare il metodo natu- Digiiized by Google rale. S fotta maniera di studio riusc nuora in- teramente e senza esempio presso l antichit. Conciossiach se leggeva si dei Greci che Zenone area rovesciato ogni cosa col vigore della sua dia- lettica: se nei libri di Proclo vedevasi introdotta la pretensione del metodo geometrico, o dogma- tico che voglia chiamarsi: e se nei dialoghi pla- tonici si potevano rilevare in pi luoghi finissime industrie or dellarte di eliminare, or di quella dindurre, e cos di altre, non si rinveniva in- alcuna parte una dottrina espressa di tutto ci. Molto era se rincontravasi in Senofonte qual- che cenno fuggevole intorno il metodo Socratico, e in Galeno qualche istruzione speciale circa la natura degli studii da lui professata. Aristotele non trascorse mai nesuoi libri dialettici fuor del- lesame del sillogismo e della sterile numerazio- ne delle fonti dell invenzioni. E se nel primo delle parti degli animali sembra voler parlare a fondo del metodo, ei riducesi, senza satire ad alcuna generalit, a discutere nel suo soggetto qual cosa possa tornare pi acconcia, o il far pri- ma parola di ci che  proprio in ciascun anima- le, ovvero di ci che  comune. II Si deve adunque assai lode agli antichi Italiani per avere discoperta quella necessit duna dot- trina larga e compiuta del metodo, la quale i pi. Digitized by Google   a3 .  antichi di loro non punto sentirono. E questo solo d (scoprimento fece fruttificare la intrapre- sa riforma di tutto lo scibile; attesoch da quel- lora le scienze fisiche, trovato il lor giusto cam- mino, prosperarono e crebbero senza termine. Le speculative potranno, siccome pigliamo a pro- vare, non disgradar punto dalle fisiche per ri- spetto alla certezza e alla progressione quasi a dire infinita , ogni qualvolta sar dai filosofi speculativi applicato al loro soggetto un me- todo solo e comune, cio il naturale, piegato debitamente alle condizioni singolarissime della prima filosofia. Tra i filosofi razionali il primo che parl in Italia diffusamente di dottrina me- todica fu F. Maria Nizolio, il quale nel suo Antibarbaro proclam il bisogno di riordinare il pensiero, prestandogli i veri principii e la vera guisa di filosofare. Rifiut non alcuni articoli, ma tutta quanta la dialettica e la metafisica dei tempi suoi, dicendola parte falsa , parte vana. E irrise egualmente le specie Aristoteliche come le idee di Platone, trovando le une e le altre di- scordissime dai fatti. Adoper uno stile scevero in tutto dai barbarismi scolastici, e parl in un modo piano, lucido e popolare, Laonde prevenne ed esegu, meglio pure del Valla , il desiderio dellHobbes, dei Porto-realisti e di altri, aquali premette di ridurre il linguaggio tecnico a lin- guaggio comunale. Ben conobbe costui consistere Digtized by Googlej  *4   In dialettica e la metafisica dei peripatetici in una frequente Logomachia , talch esaminando il senso rigoroso dei vocaboli e la secreta ragione grammaticale col lume e lautorit dell uso popo- lare e degli scrittori pi insigni, ebbe fede, e certo non singann, che tutto avrebbe sconnesso le- dificio peripatetico. Nel che  da notare siccome egli presentisse lopinione della scuola scozzese, la quale ha insegnato, dovere il linguaggio filoso- fico essere determinato con la semplice scorta delluso volgare e delle chiare e patenti etimolo- gie. Certo la sua dottrina metodica  incompleta assai, e pi presto letteraria che filosofica. Tut- tavolta ella concorda perfettamente col metodo naturale. Anzi ei fid di soverchio nella virt in- genita degli intelletti, e reput dare ad essi una sufficiente scorta inclusa in tre precetti, che so- no: primo, conoscer bene e ponderare il valore dei segni, e la lingua in cui i filosofi scrissero: secondo, studiare con libert somma di mente e indifferenza di animo : terzo , meditare gli scritti e i pensamenti di tutte le scuole, non escludendone alcuna, e segnatamente le avversa- rie delle proprie opinioni. Questo pensatore, gia- ciuto due secoli nella dimenticanza dogni filosofo, e citato dai grammatici unicamente per gli studii suoi intorno leleganze ciceroniane, merit dal Leibnizio essere alla memoria degli uomini ripro- dotto con nuova stampa e onorato di molte lodi. Digitized by Google  25  1 V III Sacopo Aconzio contemporaneo del Nizolio tratt ex professo del metodo in un libro che- gli dett sopra V arte d' investigare e sopra lar- te d insegnare. I precetti suoi non si scostano dal metodo natura le , n sorgono da alcuna ambiziosa teorica.  per ci che risguarda la contemplazione del soggetto, lordinamento dei mezzi al fine, los- servazione e la scomposizione delle parti sino agli elementi ultimi, quello, che V Aconzio pre- scrive,  savio ed acuto. Ponendo che non sia facolt di salire alligno- to, se non per via di qualche noto, dichiara per noto necessariamente i soli principii generalis- simi che dal senso comune vengono insegnati a ciascun uomo, non per che tali principii sieno punto innati. Dice che il metodo dinvestigazio- ne tiene di necessit un cammino vario e spi- noso, simigliante a quello che si farebbe in citt non bene conosciuta, cercandovisi alcun inter- nato edificio. Ammonisce chea ben terminare una investigazione , fa bisogno scomporre e ri- comporre la cosa pi volte ed esaminarla sotto aspetti diversi. Islrumenti della composizione chiama le somiglianze , e della scomposizione le differenze: le prime tr agganci dalle parti al Digitized by Google complesso, e dal singolare al generale: le se- conde dal complesso alle parti singole. Il difetto di questi documenti metodici consi- ste non solo nel riuscire incompleti, ma eziandio nel prestarsi molto di pi alla investigazione delle cose a met conosciute, di quello che a rinvenirne altre assolutamente nuove. N il procedimento dellinduzione v dichiarato quanto fa duopo, n lo studio e lesame delle cagioni, intorno le quali discorresi ancora col linguaggio aristoteli- co: ma devesi a \Y Aconzio questa lode squisita davere penetrata compiutamente limportanza del metodo. Imperocch egli scriveva, di trentan- ni di studio essere pi proficuo adoperarne venti nell inchiesta sola del metodo , che spen- dere gli interi trenta senza aiuto di metodo. IV Sebastiano Erizzo uomo di molte lettere e di non volgare scienza pubblic nel i554 un libro dotto ed elegante cosi intitolato.*  Dellistru- mento e della via inventrice degli antichi *  Il soggetto, come si vede,  di materia metodica; ma non tanto vuole Erizzo insegnare nuovi pre- cetti e nuove consuetudini , quanto riprodurre le antiche. Conciossiach egli aveva posto a con- fronto la sapienza greca e latina con la nuova dei tempi suoi, e quella diceva essere piena di grandi  27  e stupende invenzioni, mentre laltra pareva a lai un suono di frasi, un tritamento di vecchie opinioni e una vana lotta di sillogismi. Quattro, scrive egli, sono i metodi : il definitivo, il divisi- vo, il dimostrativo e il risolutivo: il secondo, cio il divisivo ,  l ottimo, anzi il solo feeondo di verit, e il quale La fatto gli antichi eccellenti inventori. A questo metodo celebrato a\V Erizzo risponde puntualmente quello chiamato oggi ana- litico, e che pure Condillac viene predicando fonte unica dogni sapere. Di pi, rimprovera VE rizzo agli speculativi dellet sua di studiare il metodo piuttosto nei libri dialettici d Aristotele, che nellocculta virt, per la quale il filosofo era salito al sommo della sapienza. Secondo lui tale recondita virt non  altra cosa che una squisita arte analitica; e prova che i pi grandi maestri dellantichit ladoprarono e predilessero, fino al punto che Platone la chiam un dono e un in- segnamento degli Dei. Il pi cospicuo esempio che V E rizzo va citando dell'uso e del frutto di cotestarte, sono i libri d Aristotele sulle parti e sulla generazione degli animali, e il trattato delle piante di Teofrasto. E per fermo, in cotestrlibri risplendono quei due filosofi come osservatori e sperimentatori egregi di cose nuove, seguendo sempre in ciascuna di quelle materie il metodo naturale. Contuttoci deve dirsi dell Erizzo chegli present il vero e buon metodo, senza Digitized by Google  28  avere avuto potenza di svilupparlo: avvegnach i modi e gli usi, che suggerisce, sadattano meglio all analisi delle idee, che a quella dei fatti. V Lo smisurato ingegno del Bruno , comecch sentisse molto avanti nelle materie logicali, pu- re non lasci intendere assai chiaramente quel- lo-che ne pensasse, a cagione dellamor grande messo da lui alle vecchie idee del Lulli, le quali sper di correggere, ampliare e render fruttife- re. Altri stimano (e a noi sembra molto probabi- le) che egli ostentasse quella sua ammirazione dellarte Lulliana per farsi amica la moltitudine, avere facile accesso alle cattedre, e cogliere op- portunit di propagare i suoi arditi concepimenti sulla prima filosofia. Checchessia di ci, questo pu dirsi ed annunziarsi con sicurezza del Bruno intorno lattuale argomento, cio a dire, chegli fu persuaso, quanto qualunque altro de tempi suoi, della forte necessit di riformare gli studii e riordinare le intelligenze (i); chegli conobbe la divisione vera e naturale del metodo nellarte di itlT?estigare e trovare i fatti, in quella di giu- dicarli e ordinarli, e in fine nellarte di applica- re i principii (i) ; che stim la filosofia dovere in- (I) Brunus Nolanus de umhris idearum , etc. Parisiis , i582. (a) Oe triplici minimo et mensura. Franco furti, l5()l, L. i, c. i. Digitized by Google  a9  cominciare dal dubbio; e in ultimo che la cogni- zione dei particolari e le induzioni ritrattene compongono le verit generali, con cui poi si edifica saldamente la scienza. Quest ultima sua dottrina lespone il Bruno in forma dallegoria e molto elegantemente in quel libro (i), ove gli piace rappresentare la logica , o, comegli la chia- ma , larte dindagare la verit, sotto il simbolo duna caccia: il che non sappiamo se a caso o per lesempio del Bruno fu da Bacone ripetuto , quando parl dell invenzione sottile dei fatti e lintitol la Caccia di Pane. Del resto il Bruno , vinto dallimpazienza della sua fantasia e dalla necessit delle sue ricerche ontologiche, us certo pi che non bisognava dei ragionamenti a priori  Nondimeno pi volte se ne ritrasse, e cerc nei fatti della coscienza con qualche forma di metodo critico le basi delle sue dottrine. La qual cosa avrebbe praticato pur sempre, qualora non avesse posti da banda i medesimi suoi principii. Concios- siach egli scriveva, lordine della conoscenza non cominciare dalle nozioni astratte e assioma- tiche, ma dal tutto confuso pervenire alla no- tizia delle parti distinte (i), e da queste risa* lire alla notizia distinta del tutto. (t) De progrcssu et lampade venatoria logicorum, Virtemb. r58 7. (?.) De triplici minimo et mensura , M. tu. c. II. Digitized by Google  3o  VI Cos da pi lati e per vie diverse convenivano gl Italiani nellidea comune di dover riformare l'intendimento, e di raccostarsi ai precetti della natura. N alcun libro grave di Biosofia usciva alla luce in quello scorcio di secolo, ove non fos- se pi o meno discorso del metodo. E il Moce - nigo (i) volle considerarlo quasi unelementare operazione dellintelletto; n manca nelle sue va- rie Contemplazioni di dettarne le leggi, le quali per altro appena trapassano i confini dellarte dimostrativa. Con maggior vigore insorse contro i mali abiti del filosofare Bernardino Telesio{%), il quale ne suoi nove libri della natura delle cose fond questi dogmi metodici: avere Aristo- tele insegnato pi che spesso non la natura delle cose, bens le opinioni proprie , e scam- biato gli enti con le sue astrattezze. I fisici, cbe seguitarono , avere studiato non l'indole n le operazioni di essi enti , ma da certe ragioni loro aver preteso di dedurre i principii e le cagioni del mondo. Proporsi egli di guardare solo nei fatti, e non in altro giammai: ricono- scere per fonti uniche d' ogni sapere il senso, le cose dal senso notificate , o identiche a quelle  (1) Philip. Moceniri, lloiversalium institutiones etc. l588- (2) Bernardini Tcletii-Consent: De rerum natura, eie. Par pri- sma j 565. Netta prefazione e altrove. Digitized by Googte  3i  perfettamente. Volere studiare il mondo e cia- scuna sua parte , e di ciascuna parte i minimi contenuti , e le operazioni e gli effetti , s che esse poi insegnino per se medesime quello che sono e quel che producono. Le promesse, co- me ognun vede sono grandi e belle, e tuttoch il Telesio non le mantenesse gran fatto, non pu alcuno torgli il pregio davere concepita una fi- sica meramente induttiva, e non eretta sulle astrazioni degli ontologi, conforme usavano i contemporanei. CAPITOLO V Tommaso Campanella. I Il Telesio fece scuola, e crebbegli non poco onore contare fra i seguaci delle sue dottrine Tommaso Campanella frate domenicano. Di quindici anni cominci costui a dubitare delle filastrocche peripatetiche che gl insegnavano i suoi frati. Lesse e compar insieme i chiosatori  lettuale e per occasione di meditare. E in vero la materia  vastissima , n pare a noi intrapren- dere poca cosa , se andremo contemplando som- mariamente T indole e la costituzione sua uni- versale. E prima notiamo che tre sono i gradi e le specie del Metodo, cio generale , particolare e progressivo. Il generale produce le regole rispon- denti a qualunque bene ordinata opera dellin- telligenza in qual si voglia studio o soggetto. Es- so poi diviene metodo particolare tuttavolta che sia applicato a materia speciale e accomodato al- lindole propria di questa, sotto la qual forma pu ancora modificarsi e prendere natura grada- tamente progressiva. Imperocch nellaumen tarsi la cognizione delle materie proposte, quella dei mezzi e quella del fine, accade che molte verit osservate, divengono al tempo stesso un risulta- mento di scienza e un nuovo principio metodico per dirigere bene altre serie di osservazioni. Di guisa che sembra allora il metodo con la scienza compenetrarsi e divenire insieme non pi che una cosa. Come nelle fisiche avere scoperta e mi- surata lazione continua delle forze ambienti sui corpi  divenuto un principio metodico regolatore delle esperienze. E in filosofia avere provato che la notizia delle sostanze non pu oltrepassare la ragione dei fenomeni ha ritratto glingegni da Digitized by Google  74  qualunque ricerca sulla natura intima ed essen- ziale delle cose.  questo  ci clie chiamiamo metodo progressivo. Ora  facile persuadersi tali tre gradi del me- todo naturale essere in piena e reciproca dipen- denza luno dellaltro. Imperocch il generale non porta frutto, senza il particolare, n questo pu ben conoscere li suoi attributi e le operazioni sue speciali, quando non sia derivato per idonea maniera dal primo : chiaro  poi che il terzo, cio il progressivo, mette nel particolare le sue estese radici. Volendosi pertanto ridurre in buon lume T indole genuina dell ottimo metodo filoso- fico, mestieri  incominciare dalle nozioni del metodo generale. Ili Su questo adunque sono da spendere le pri- me cure. N ci sembra da dubitare che di simile studio non debba avvantaggiarsi notevolmente ogni ragione di scienze, compresevi le naturali e le positive. Difatto, se per la bont e il numero delle loro scoperte, si giudica oggi da ognuno della bont dei loro procedimenti, non per ci si giudica di tutta la perfezione, di cui essi procedi- menti sono capaci: e altrove forse verr a noi ac- concio dirne alcuna parola. Certo,  cosa strana a pensare che mentre in questi ultimi secoli ogni arte, vogliamo liberale, vogliamo meccanica, ha Digitized by Google 75 *~ procacciato di assottigliare e perfezionare i pro- prii strumenti , n ha omtnesso di scrivere libri sul miglior modo di adoperarli, larte sola di os- servare e di ragionare sembra non aver ricevuto incremento alcuno notabile, e rimanersi quasi allo stato medesimo in cui la lasciarono Galileo e Bacone . Difatto se ci porremo a riguardare i pi grandi maestri dellarte metodica, apparsi da Galileo e Bacone in poi, subito discuopriremo che il lor massimo numero travagliasi intorno le regole pure del sillogismo, e niente insegna per di- rigere, distribuire e connettere insieme un largo complesso di osservazioni, di esperimenti e di raziocinii. Taluni compongono elenchi di pre- cetti tanto indeterminati ed universali , da non produrre alluopo alcuna proficuit; in fine taluni altri predicano dottrine logicali, ricavate ambiziosamente dai loro sistemi e impregnate pi che mai dello spirito dogmatico di quelli, e tra s fatti  V Jlobes, il Condi llac , il Malie- branche , i Cartesiani ed i Leibniziani. E tutta- via non vogliamo tacere una lode dovuta alla patria nostra, la quale c, che i soli Italiani sem- brano possedere da qualche tempo alcuni trat- tati di logica, da cui si  scansato lerrore co- mune di mescbiarc insieme larte con la teorica, e da cui trovasi a vero dire insegnato il metodo naturale empirico, salvo che in maniera troppo in- completa. E, per esempio, nella logica del Genovesi Dgitized by Google  j6  si scorgono per la prima fiata messi in disparte i sistemi ambiziosi dideologia e di metafisica, e i consigli e i precetti si scorgono attinti semplice- mente da una pratica illuminata. Se non cbe ella pure cotesta logica versa, come le antiche, molto pi intorno le idee di quello, che intorno i fatti, pi sullarte di ragionare, che sull arte dindur- re, pi su ciascun atto in particolare, che sopra un ordine continuato di operazioni. Moderna- mente il Gioia ne suoi cinque libri di Elementi di Filosofia ha sentito meglio il bisogno dun arte inventrice e investigatrice dei fatti. E per vero, riboccano i libri suoi di precetti savi ed utili circa ogni parte dell osservare e dell inven- tare. Ma la divisione strana delle materie e il loro affastellamento, le spesse divagazioni , la notizia troppo scarsa e talvolta erronea dellistoria na- turale dellintelletto, in fine la smania di conver- tire ogni cosa sotto la forma statistica , hanno recato disordine e scemato profitto ad unopera nobilmente concepita per la istruzione del popolo, e ritenuta nei giusti confini dellarte. IV Ora stringendo in poco le cose varie che sono sparse per questo capitolo, diciamo essersi pro- posta da noi una scuola nuova italiana, la quale, imitando lesempio de nostri padri, stabilisca e propaghi la comunanza dellottimo metodo spe- Digitized by Google  77  culativo, s che il regno della filosofia riposi una volta dalle sue eterne discordie, e monti a qualche grado di scienza determinata e solida. Che entrati noi a produrre i nostri pensieri particolari sopra il soggetto, subitoci  occorso di rilevare, che la dottrina del metodo generale dee di necessit precedere quella del filosofico. Venire la prima praticata forse con felicit dai filosofi naturali, ma in niun luogo trovarsi scritta completamente, e ignorarsi le perfezioni, alle quali pu giungere, e le mende da cui pu purgarsi. Le logiche fino qui dettate essere o semplicemente dialettiche, o indeterminate, o dogmatiche. Che a ci fanno onorata eccezione alcune logiche moderne italia- ne, le quali attestano non essere mai venuto meno nella Penisola il senso squisito degli antichi rifor- rnatori. Tali logiche riuscire tuttavolta assai di- fettose e incomplete , e quindi poter una scuola italiana moderna intraprendere opera ancora van- taggiosissima e nuova in gran parte , se per fon- dare ;r ottimo metodo filosofico le sembrer op- portuno di osservare e riordinare le dottrine del metodo generale. Digitized by Google 78 CAPITOLO X Del metodo generale e delle sue cinque arti . I Eppure su questo argomento noi proporremo le nostre opinioni, quantunque molto concise, e per quel tanto e non pi che si legano con l' applica- zione diretta alle materie speculative. E innanzi a tutto osserviamo, che tre discussioni fonda- mentali occupano, per dir cos, il vestihulo del nostro soggetto. La prima ; se il metodo gene- rale pu incominciar mai scientificamente ; la se- conda , se pu essere d invenzione fattizia ; la terza, da che fonti emanar debbono li suoi docu- menti. E facendoci dalla prima ci interviene qui di ripetere quello che fu notato pi sopra al Cap. Il", essere cio il metodo un mezzo ed un istrumento ; quindi la sua notizia scientifica non potere antecedere quella della materia e del fine : sua materia poi  lo scibile; e suo fine il vero: e per conoscere il vero scientificamente bisogna innanzi gettare le basi della Prima Filosofia. Per questa con che metodo verr ad essere co- struita? certo non con lo scientifico, il quale non esiste prima di lei , n senza di lei : rimane dunque ad adoperarsi un metodo empirico, con cui gli uomini tanto procederanno oltre, quan- Digitized by Google - 79  to la scienza del vero si far attendere. Alla seconda questione, se il metodo iniziatico possa essere una invenzione umana arbitraria, o solo unarte suggerita dalla natura, e dagli uomini perfezionata , si risponde cosi da noi , che poich quella sorta di metodo non pu ricevere dimo- strazione alcuna scientifica del suo pregio intrin- seco, forza  riconoscere la sua hont per segni esteriori o sperimentali. Or questi segni abbon- dano senza fine in prova e misura della bont del metodo naturale, mentre per segni contrarii si dimostra la fallacia, o almeno l insufficienza dei metodi arbitrarli e fittizj, di cui movemmo parola in sul cominciamento del libro. II Ma quello che non pare altrettanto facile ad essere conosciuto, si  la giusta determinazione del metodo naturale, e come si possa convene- volmente stringere in arte. Imperocch e si pu domandare, in qual guisa, e dove la natura mo- stra lordine desuoi precetti metodici con puri- t, con certezza e con sufficienza? Difatto, a pro- porzione che la volont umana si estende e si corrobora , ed a misura che col crescere della sua virt deliberatrice diviene pi indipendente dalle impressioni, le quali arreca ciascun istante, e dalle propensioni istintive, sembra la natura abbandonare luomo a se stesso, e contendergli Digitized by Google per fino la reminiscenza distinta di quegli atti e pensieri, onde ella soleva condurlo alla verit, tirandolo, quasi a dire, per ma no. Per accade che le moltitudini cieche trascorrono di frequente fuor dei sentieri naturali della ragione, e pochi sono coloro, i quali conservano purgati e intatti gli ammaestramenti e le pratiche del buonsenso. Discusso ci e ponderato debitamente, sembra a noi che sia da concludere, il metodo della natu- ra, posto e ordinato in arte, non consistere certo negli usi vaghi e inconsiderati dei vulgari intel- letti , ma in quella serie di principii e di rego- le , cui porge materia la pratica degli ingegni felicemente disposti e non punto preoccupati , e nell indagine progressiva delle operazioni , in cui il pensiero umano va per andamento spon- taneo. Perci quanto meglio si deriveranno da queste due fonti le regole, altrettanto prosperer la dottrina del metodo universale. Noi ne diremo alcuna parola pi innanzi , convenendoci di pre- sente mostrare il disegno di tutta larte, come architetto che misura le pi larghe distanze, e accenna delineando li scompartimenti maggiori delledificio. Ili Gli atti di nostra mente, perch possono in- dirizzarsi ad un fine estetico, ovvero ad un fine scientifico, obbligano a separare il metodo este- Digitized by Google  81  tico dal metodo universale conoscitivo. Di questo poi dee dirsi, conforme la distinzione adottata gi dall Aconzio e dal Campanella , chegli talvolta ricerca la verit, talvolta linsegna; di quindi la partizione precipua del metodo nella pratica inventiva , e nella pratica insegnativa. Funzione perpetua di amendue si , losser- vare ed il ragionare: osserva la prima e ragiona direttamente ; l altra indirettamente , cio a dire, con lintermedio continuato dinsegnativo di- scorso. Quanto alla pratica poi inventiva, los- servazione e il ragionamento procedono in via naturale cos: prima si raccolgono i fatti, e dove essi manchino, se ne instituisce ricerca Lene ac- comodata e diligentissima : trovati che sieno quelli e radunati insieme con qualche ordine, viene il paragonarli ed esaminarli pi volte; in fine di che, sorge una ragguagliata notizia del loro essere e delle loro cagioni: ma queste cose non s intraprendono e non si forniscono senza qualche uso di raziocinio, massime per 1 ultima parte, che  dindurre il frutto delle analisi e dei paragoni. Messe insieme parecchie notizie gene- rali di cose , molte altre se ne deducono , o per confronto fra loro, o per applicazione del gene- rale al particolare, e tutte a riprese diversesi rivedono e si correggono: da ultimo accumulan- dosi pi e pi il numero di esse notizie, fa me- stieri distribuirle in modo acconcio ed addottri- 7  82    2 - 73 S 9 E  - .g 1  a * 2 = l   5 = st s_s 8  Ja 8 3 * . S3.3 a o   .2 H-$4 > li 8 3 O ^ e * ^  .2 n a re t -.2s? all 3 S > n i S'I 2  _.5  ''U -  w s 4 ^ i   1-000 ^ - /= ss ii -  h rs ; S c 'O O * 60 ' *c M> co o ; q  P S "O   . 3 * i 3  *000  3 a tr.o JT *s> H sb a -3 S .2,8 'lo ss w Q et; T 'rt 5 >- .ts Of "3  * o M  fi fi  ^  3 o o S n M | -, U O 3 ^ -c -b u * C S -Se  .l 'S s s J - . . 5   o b B k M .5 O *- O .-  H3  ^ o 2 o^= * 3 8?= 3 S o" > .Sf> i lil-- l^lr a -s' Fi 9 * -Ev  2 | s 3 s 1^3.2 5^ tf rt  5 5*4 . &*"C o *  *3 .2 G.S: 4 ' 1 CCS o o E a  S    .S-E-  - e  s . *o s *  o!: o *  8 e  S  S/5 = .2  *  - g a s -Ego. -** g v  a .5 5 -- E Digitized by Google DI TEMPO a a  w  *3 o   eoo 2^5 a . -  S Sua 9-4 I a " a o> o> ai O H i  -i O O -3 U t * > 8 1 s | a i - E - 3 I d W  a C8 . E S, O' l|  3 S  .|8a- HjIsH 8 ; o E rr\ ^ r**i*  n D n S S - W O .  l-z~  i! ^-sfi-n-a Hs a8,3   8 osi 5 - JaS-JoSiia 6 . 1 2 *C 60 o ir *5?  * -* e " i - 3 3^ O  O '3 - ^ '2f ^ o  * o3^    S  a 8 _  1 -5.-2 .2 * 3 B Z E S fe '2 S 3 E 8 Srl S  A J 3 i-t fI4f !*. 5 3 S 3 g -a a j s *  gi un complesso di conoscenze, cio a dire, di fatti intellettuali; e a chi voglia sapere la forma, la validit e lorigine di essi fatti conviene cer- care innanzi la natura e le operazioni dell intel- letto. Diciamo che la filosofia ha due fini, e che il primo  di compiere la storia naturale del- lessere umano. E per vero constando luomo di spirito e dorgani corporei, di senso e di ragione consegue per via necessaria che come i fisiologi, gli anatomici e i terapeutici studiano lorganiz- zazione corporea e i fatti della vita semplice ve- getale, studino altri la parte sensitiva e la razio- nale. Per tal guisa la filosofia  annoverata fra le dottrine che riguardano la cognizione dellessere umano: e tal cognizione domandiamo noi natu- rale, cio acquistata per atto dellesperienza or- dinaria. Da ultimo diciamo che il secondo fine della filosofia  di prestare a tutto lo scibile la prova , gli elementi e il metodo. Chiamiamo prova la dottrina generale del vero, perch da essa acquistano reale forza dimostrativa eziandio le matematiche, le quali se paiono toccare il sommo dellevidenza, tuttavia non saprebbero Digitized by Google  i6o  darne ragione scientifica senza entrare nella spe- culativa. Diciamo die la filosofia porge gli ele- menti a tutto lo scibile: e per fermo le radici primissime di qualunque disciplina e di qualun- que arte si ascondono in certe nozioni intellettua- li, di cui fa bisogno indagare la natura e T origi- ne; e questo  lelemento cogitativo, o vogliam dire subbiettivo: lelemento obbiettivo poi  in- segnato dalla filosofia a tutte le scienze con ci, chella dimostra i legami di qualunque realit con la scienza astratta e suprema dellessere e della natura mondiale, con lontologia e cosmo- logia. Perch poi dalla dottrina del vero dipende laltra del metodo, diciamo che questa pu veni- re somministrata dalla sola filosofia; e intendia- mo parlare del metodo teoretico, attesoch il na- turale ed empirico non sa esplicare razionalmente le sue abitudini e le cagioni, che il muovono, ma con la scienza del vero, che  il fine dogni stu- dio, e con la notizia teorica delle mentali facolt , che sono il mezzo al conseguimento del vero, si apre pure la teorica dellapplicazione certa del mezzo al fine, o vogliam dire del metodo. A taluno pu parere disordinato che la filoso- fia proponga a 6e stessa due fini, contro il costu- me dogni scienza, che, volgendosi intorno ad un solo oggetto, consegue eziandio un sol fine, il quale  di conoscere tutto il vero contenuto da esso oggetto. Rispondesi pertanto , che uno , se Digitized by Google  )6 1  Vuoisi,  loggetto proprio e immediato della fi- losofia , e una la verit a cui tende, e questa  il conoscimento dell' umano intelletto. Ma perch ogni scienza trova in quella verit le sue origini e le sue fondamenta, colui il quale imprende a studiar 1 umano intelletto, imprende altresi a studiare la razionale natura di tutto lo scibile. Laonde rimane che si debba credere ed asserire, avere la filosofia due intenti, luno immediato 1 altro mediato. Stante per che a qualunque cosa possano convenire due sorte dordinamen- to, lo scientifico e 1 inventivo, o vogliamo anche chiamarli il sintetico e lanalitico, la filosofia prender aspetto diverso , secondo che verr comparata all uno dei due ordini. Nell analitico ed inventivo, che  quello seguitato da noi, ella si disporr al modo che qui innanzi notammo. Diversamente succeder nel sintetico: imperoc- ch in quest ordine la dottrina pi universale dee antecedere tutte le altre; e posto che i due grandi termini delluniverso eternalmente sieno le idee e le cose, il suhbietto e l obbietto, la dottrina pi universale diviene la scienza pi astratta del vero e dell ente , la quale torna un medesimo con la superiore filosofia che presta allo scibile umano la prova, gli elementi e il metodo. Nell ordine inventivo la psicologia  materia, base e principio d ogni speculazione: il fine trovasi ripartito in particolare ed in ge- la Digitized by Google nerale, immediato e mediato: il primo guarda allantropologia come a scienza speciale, laltro alla sapienza universa. Invece nellordine sinte- tico il secondo intento diviene oggetto, la psico- logia  mezzo, lantropologia  semplice appli- cazione. 2 AFORISMO La storia naturale dell  intelletto dee precedere tutte quante le speculazioni della filosofia . Fra i due ufficii che abbiamo assegnati alla fi- losofia questa differenza interviene, cio che il primo, il quale risguarda il complemento della storia naturale dell uomo antecede di necessi- t allaltro in ordine d invenzione ; conciossia- ch o si voglia scoprire 1 ultimo fondamento d ogni verit, o quello d ogni bont e d o- gni bellezza, forza  cominciare dal conosce- re la natura e le operazioni dell intelletto, il quale  veicolo del vero, del buono, e del bello. E, per fermo, qualunque sia la origine e la con- dizione dei pensieri nostri, emanino essi dal- T esperienza o si rivelino a priori , purch giac- ciano dentro la mente in un certo modo deter- minato, egli  bisogno cercarveli, e saperne bene la qualit, il numero, le dipendenze e le rela- zioni, il che  quanto dire, cercare la storia dell intelletto. Ben si pu da alcuni principii ge- nerali dedurre logicamente un intiera dottrina. Digitzed by Google  i63  ma la primitiva non mai. Imperocch come si fuggirebbe la instanza di tutti coloro, che do* mandassero la dimostrazione di quei principii? e se tale dimostrazione vien riputata impossibi- le o perch quei principii sono entro noi inge- niti, o perch si risolvono nella intuizione im- mediata di fatti semplici, tanto  che ci bisogna provare con la storia fenomenica dello intellet- to, che niuna idea e niun principio rimane su- periore a quelli, e che niun senso, niun giudicio, niuna esperienza  bastevole a generarli. Quei fi- losofi, i quali, come Spinozza, hanno presunto di ricavare la scienza dell intelletto dalla scienza universale dell essere, e muovono la loro dot- trina da qualche principio logico astratto non bi- sognevole di prova, cadono in tre dannosi abba- gli. Il primo  di confondere la certezza imme- diata ed abituale del senso comune con la cer- tezza riflessiva e scientifica, in cerca di cui vanno appunto i filosofi. L altro  di non avvedersi che le supreme dignit risolvendosi tutte in pro- posizioni identiche astratte, sono altres di na- tura ipotetica e vengono a dire sol questo: Se una cosa , ella . Il terzo abbaglio consiste nel cadere che i trascendenti , come soglion chia- marli, ed i sommi universali possano riuscire fecondi d alcun vero particolare , non osservan- do eh ei sono pur tanto semplici , che appunto per ci tengono la cima dell astrazione, e nulla Digitized by Google  i(>4  - producono, finch stanno isolati dai fatti parti- colari. In Germania Schelling e la sua scuola prendon le mosse dalla prima realit, cio non da un ordine d invenzione, ma dallordine delle cose (cap. XIII,  II), e affermano, col solo trovarsi il cominciamento legittimo del vero sci- bile ; conciossiach la prima realit , o vogliam dire lassoluto,  per se stesso manifesto: ci quando si voglia concedere a Schelling ed ai suoi seguaci, suppone dentro di noi una facolt capace per sua natura di percepire 1 assoluto immediatamente ; ma egli  bisogno per questo provare la sussistenza di quella mirabile facol- t e la certezza dell atto suo, il che vuol di- re far capo alla storia naturale dell intelletto. 3aforismo V argomento che V effetto seguita la natu- ra della cagione non prova la necessit delle idee trascendenti innate. Molti per dimostrare che certe nozioni astrat- te e talune verit prime e fondamentali della ra- gione non possono originarsi dallesperienza fan- no uso di questo ragionamento. L esperienza , che di per se  contingente, limitata e mutabile non pu generare cosa necessaria, illimitata e im- mutabile, come sono le verit primigenie della ragione e alquante nozioni generalissime. Ora, a Digitized by Google  1 65  quello clie noi sentiamo, s fatto raziocinio di- mostra non pi. che il bisogno di una differente cagione operante insieme con l esperienza , e tal cagione sussiste ; imperocch niun filosofo ha avuto animo di negare la intervenzione delle mentali facolt nella concezione di qualsivoglia idea o principio; laonde fa mestieri provare che le facolt intellettive , osservate e distinte da ciascuna filosofia , come a dire, la memoria, la- strazione, il giudicio ed altre, non valgono con lopera loro a svestire i fatti sperimentali del- la contingenza , della mutabilit e della limi- tazione. Che quando si voglia instare ed aggiun- gere che qualunque facolt e operazione dellani- mo appartenendo a un essere limitato di sua natura e condizionale, non pu produrre cosa, in cui splende il carattere dell immutabilit, della necessit e dell universalit, noi replichia- mo allistanza, torcendola tutta contro gli autori suoi : conciossiach pure le forme ingenite del- la mente e i suoi giudici*! a priori , e tutta la macchina della ragion pura  accidente ed ope razione dun essere limitato, mutabile e con- dizionale: quindi o conviene asserire che non siamo noi quelli , i quali pensiamo la ragion pu* ra, ovvero che la sua immutabilit, e necessi- t  apparente e non reale. Digitized by Google  166  4 aforismo Innanzi di ascendere ad altre parti specu- lative della filosofia , lo studio della naturale storia dell' intelletto debbe essere completo. Questo quarto aforismo annunzia la utilit che vuoisi ritrarre dal giusto concetto del ter- zo. Conciossiach qualora un semplice raziocinio provasse invincibilmente che dalla sensata espe- rienza e dall uso delle facolt soprannominate non possono prodursi in nessuna guisa nozioni e giudicii universali e apodittici , tre cose conse- guirebbono forzatamente. L incuria della speri- mentale filosofia del pensiero; la preoccupazione dellanimo in cercarne la storia, e la ommissio- ne d una gran parte di questa , come estrinseca alla formazione della scienza del vero o d altret- tali sublimi speculazioni. Ma da che il raziocinio non sembra bastevole a far sentire con evidenza la necessit delle forme Kantiane o dei giudicii istintivi o daltri concetti Platonici, importer ai filosofi per risolvere le quistioni intorno la prima scienza, moltiplicare lo studio circa la storia naturale e ben ragguagliata dell intellet- to. Pu eziandio questo aforismo discendere dai due precedenti per unaltra cagione; imperoc- ch ben guardando alla natura dei fenomeni in- tellettuali, si trova cbei sono tanto meschiati ed I Digitized by Google   167  addentellati P uno con altro, che volere cono- scerne alcuni adequatamele ed alcuni preterire nn torna giammai fattibile. Laonde, concesso pare che da poche nozioni e pochi principii a priori sgorghino tutte quante le idee e piglio motivo tutte quante le operazioni dellanimo, nondimeno il sol definire per bene quei principii e quelle nozioni, il solo indagarne le origini, scoprirne la natura, gli effetti, le relazioni importa un esame diligente e profondo di tutta P intelligenza. Nel progresso verr dichiarato entro a quali termini si possa e debba giudicare siccome a sufficienza completo lo studio naturale dei fatti cogitativi. 5 AFORISMO La storia del pensiero dee venire cercata con la scorta e il lume di tutte le massime del- l'arte metodica naturale. In questo aforismo si raccoglie P utilit dei principii e decreti espressi da noi intorno Parte generale del metodo , e intorno quella partico- lare che intende alle materie speculative. Dgitized by Google  i6 8  6 AFORISMO La storia dell intelligenza ha per leg$e dell essere suo una porzione positiva ed unal- tra congetturale. Tutte l arti e le discipline hanno al lor pre- gresso un comune termine, il quale risiede nei fatti che oltrepassano la percezione, e in queL'a primitiva efficienza, che chiude in se la ragio- ne dei cangiamenti. Ma, oltre ci, alcune scien- ze riconoscono a se medesime certi confini pi circoscritti per avere nel lor soggetto alcuna materia, la quale non sa dar luogo a positiva* co- gnizione : e tali son quelle che trattano cose la cui formazione prima ed originaria si nasconde nei tempi , e quindi non pu essere rivelata da alcuna esperienza attuale. Entrano in questo nu- mero la geologia e cosmologia , e le dottrine che versano circa le sostanze organiche; ventra la storia dei popoli, la filologia e molte altre. La psicologia poi ventra anchella, quantunque la generazione prima dellintelletto non sembri salire pi l del cominciamento di nostra vita. Ma stante che la nostra reminiscenza non pu rendere testimonio veruno delle prime cogita- zioni, e che fra quelle e gli attuali fenomeni non sembra correre alcuna identit necessariar segue che la ricerca intorno le origini dell in- Digitized by Google  in- telligenza sia di natura congetturale e non po- sitiva. 7 FORISMO La sola 'compiuta analisi delle condizioni attuali di nostra niente dee provare , o per contrario smentire la possibilit di dedurre da essa analisi una teorica del pensiero e una prima filosofia , senza aver ricorso alle ipote- si intorno i fenomeni cogitativi del neonato. Alcune scienze, come, ad esempio, T astrono- mia, progrediscono ordinando i fatti loro pecu- liari in modo teorico e razionale, quantunque la prima generazione di essi fatti rimanga o sepol- ta nel tempo, o inesplicabile a qualunque pen- siero umano. Errano pertanto i filosofi , i quali s avvisano per un loro giudizio assoluto ed anticipato, non poter rilevare la forma certa ed essenziale del- lintelletto, quando la generazione prima delle sue facolt c delle sue idee rimanga congetturale. E per fermo due cose possono dimandarsi in psicologia, la realit del pensiero, e la ragion del pensiero. Quanto alla prima, niente ci vien pro- vando che la notizia delle origini intellettuali debba intervenire nella dimostrazione della pre- sente realit del pensiero stesso. Riguardo al- 1 altro quesito sulla ragione e il perch degli at- Digilized by Google  170  ti cogitativi,  duopo riflettere che noi pensia- mo possedere il perch di una cosa allora quan- do in certa serie di effetti connessi riconosciamo con certezza altrettante modificazioni di un fatto primo non gi sempre in ordine naturale di tem- po, ma eziandio in ordine logico. E sotto questo ultimo nulla ci vieta di cercare e scoprire il fatto eminente e primo della intelligenza , guardata nelle condizioni pure attuali. 8 AFORISMO La porzione positiva della storia dell'in- telletto dee procacciare di alzarsi al pregio eminente e proprio d' ogni dottrina sperimen- tale, cio a un ordine di fatti il pi completo possibile , il pi razionale e il pi fecondo di applicazioni. Diciamo un ordine completo di fatti , aven- do 1 occhio ad ambedue le intenzioni della filo- sofia ; imperocch gli aforismi superiori hanno dimostrato non potersi concludere ad alcuna pri- ma filosofia n ad altra speculazione derivata, se non partendo dalla notizia piena ed esatta della storia di nostra mente. Ora si aggiunge da noi che quando pure fosse lecito preterire alcuna porzione di questa storia, siccome poco attinente alla prima scienza, nondimeno ci sarebbe di- sconvenevole all altro fine, il quale intende al- Digitized by Google  17  la scienza naturale e adequata dellessere uma- no. Diciamo un ordine razionale di fatti , per contrapposizione all ordine empirico, con- ciossiach ogni storia incominciando dall espe- rienza, tende di sua natura a vestire labito scientifico, cio a mettere in chiaro le cagioni dei fenomeni e i procedimenti causali. Diciamo in fine ordine di fatti fecondo di applicazioni , e ci singolarmente per ricorda- re ai filosofi , che non fa mestieri di attendere nella psicologia uno stato perfetto di scienza, per trarre dalle notizie sperimentali raccolte parecchie utili applicazioni alla logica pratica, alla pedagogia, allarte di scrivere, e a molte pi discipline. 9 AFORISMO La storia dell' intelletto nella sua porzione congetturale dee sforzarsi per ciascuna mate- ria di convertire in tesi V enunciato di questo problema:  Trovare un legame s fatto tra il presente stato dell' intelletto e il suo primitivo ignoto, che discoperto l'un termine della rela- zione, V altro discuopra s medesimo necessa- riamente.   L dove non giunge losservazione giungono ijarincipii logici, i quali per la natura loro uni- versalissima abbracciano il noto e lignoto in- Dgitized by Google  17 2   sieme. Con questi, e non altrimenti, potr il filosofo introdurre alcun grado positivo di sden- ta nella storia congetturale del pensiero. Ma  da cansare il pericolo di credere dimostrato da essi principii ci che minimamente non  com- preso nella loro efficienza. io0 FORISMO Perch grande  V incertezza e poca  la scienza nelle materie speculative , conviene edu- carsi a una industria finissima , per la quale si sappia da sotto il fascio degli errori e dei dubbii trar fuori alcuna particula di vero e di certo , e dedurne appresso quante conseguenze maggiori si pu. Frequente sar in questo libro luso di tale aforismo, perocch noi non sappiamo bene per qual negligenza rifiutano i filosofi di tener conto delle poche certezze e delle minute verit che giacciono nelle materie pi dubitose dei loro stu- dii. Invece ei pare che dove non  lor conceduto di erigere in fino al sommo fastigio una teoria bella e nuova, ci che rimane di certo e di vero in fondo dei loro soggetti sia come nulla. O forse reputano che niente di bene possa discendere da verit minute e sconnesse, c di ci pure singan- nano fortemente; avvegnach piccioli veri e sle- Digitized by Google  i73  gati veri non sono in natura, ma solo dentro di noi e per fiacchezza di nostra mente. Il FOR1SMO U ecletlicismo non  per se una forma di filosojia , ma solo un principio metodico , il quale consiste nel fuggire a tuttuomo le preoc- cupazioni sistematiche , nel diffidare dogni dottrina esclusiva , e nel riconoscere la verit ovunque risegga. Gli eclettici attuali di Francia convertono, per quello che pare a noi , in una forma speciale di filosofia ci che debbe essere semplicemente una certa guisa di meditare e di concludere. E per vero, ei definiscono lecletticismo, una filo- sofia composta delle frazioni di tutte laltre, e perci la migliore; attesoch ciascuna di quelle, dicono essi, vede bene una faccia del vero, ma singanna in ci chella stima vederle tutte. Per noi pensiamo che non si dee avere per buon prin- cipio questo, di credere che la ottima filosofia venga ad essere costituita del meglio di ciascuna setta ; imperocch pu succedere che una setta sia nel vero e le altre nel falso, oppure che i pregi dell una niente valgano a riempire i difetti dellaltra ; quindi pu eziandio succedere che la scelta del loro meglio non basti per creare una buona filosofia non che unottima; come certo Digitized by Google  174  non fu buona la neoplatonica, ma bizzarra ed in- coerente, per aver voluto fondere in un crogiuo- lo i dogmi di pressoch tutte le scuole greche. 12 AFORISMO La storia naturale dell' intelligenza  in- vestigazione che pu procedere separata , e sus- sistere indipendente affatto dalle dottrine fi- siologiche. Sentenziano i fisiologisti che, conceduta ezian- dio lunit indivisibile del principio pensante, tuttavolta fa gran bisogno a chi voglia istruirsi per bene delle condizioni dello spirito, conoscere lorganizzata materia , nella cui dipendenza di- morano quelle; perci la filosofia non potere sceverarsi dulia dottrina fisiologica senza sfor- nirsi della notizia dei primi fatti. A questo giova innanzi rispondere che, quanto alla dipendenza dello spirito dalla materia, non cade qui buon proposito di aprire le nostre opi- nioni, e vogliamo assentire in parte a quello che i fisiologisti ne pensano. Ma, quanto allaltra opinione, la quale viene ad esprimere che non si possa avere notizia compiuta e scientifica dellef- fetto, qualora non sia preceduta o illustrata da quella della cagione, rispondiamo dicendo che ladagio  per s irrepugnabile quante volte si assesti bene al caso concreto: per noi neghiamo Digilized by Google  r75  assolatamente de fenomeni dello spirito, che la cognizione loro scientifica aumenti e sillustri neppure dun qualche poco per mezzo dellante- riore cognizione degli organi fisici. Esplicare un effetto per la cagione vuol dire soltanto che nel- lefletto si  discoperto un caso particolare duna legge comune, e certa combinazione speciale di sostanze e di attributi gi noti. Cos, posto che conosciamo la estensione, il moto, l impenetra- bilit, la coesione e l altre qualit generali e costanti dei corpi , noi sapremo assai per minuto quello che dovr accadere ad un singolo corpo in certe applicazioni speciali di spazio e di moto. Ora il simile non interviene per rispetto ai feno- meni dello spirito considerati nella lor dipenden- za da quelli della materia ; da che non si vede punto nei primi una riproduzione semplice dei secondi, con solo certa variet di accidenti e di casi. Segue da ci che coloro, i quali persistono a credere, la cognizione dei fenomeni organici potere introdurre alla scienza dei fenomeni in- tellettuali, non bene intendono quello che voglia dire spiegare gli effetti per le cagioni. N gi vogliamo col fin qui ragionato soppri- mere nel filosofo lo studio e lamore delle dottri- ne fisiologiche. Al contrario elle si tengono da noi per belle e per opportune, massime riguardo alle pratiche applicazioni della psicologia empi- rica. Bens conveniva proporre un canone pel Digitized by Google iy6 quale si fosse avvertiti di fuggire la naturai pro- pensione che tutti abbiamo di spiegare i fenome- ni dello spirito con quelli della materia, sicco- me pi. familiari e pi noti. l3 AF OR I S MO Quante volte le nuove teorie filosofiche non parranno accostarsi d' un modo sensibile a qualcuno dei due intenti della filosofia , sar debito dei filosofi troncare le dispute e i sillo- gismi, e rivenire docilmente a una ricerca pi acuta, pi tarda , pi circospetta dei fenome- ni intellettuali. Se non altronde si pu intraprendere a filoso- fare che dalla storia dellumano pensiere, e se il raziocinio non mette realit nei suoi veri ipoteti- ci, salvo che applicandoli ai fatti particolari,! quali tutti hanno le prime radici nella storia me- desima, lecito  di proferire che da lei scaturisce la intera filosofia, e per lei sola si corregge e si perfeziona. II Gli aforismi fin qui descritti sono una sempli- ce applicazione del metodo progressivo alle ma- terie razionali, considerate nellessere loro co- mune con tutti gli altri soggetti della sensata esperienza. Ma, come notammo pi duna volta, Digitized by Googte la filosofia ha certe sue condizioni peculiari e proprie, per le quali  necessario provvederla dalcun altro precetto metodico pi peculiare e proprio: e tali precetti saranno i pochi seguenti. 4 AFORISMO Il doppio ufficio della filosofia domanda un eguale compimento della storia dellintel- ligenza, come altres delle pi alte speculazio- ni derivanti da quella. Per tutto il discorso fino qui appare manife- sto che n la scienza del vero pu ricercarsi in- nanzi uno studio provetto della storia intellet- tuale, n questa coglie il suo compimento teorico innanzi di avere scoperti i principii della scienza del vero. E ancorch la storia intellettuale debba essere perlustrata con metodo naturale empiri- co, il suo termine debbe consistere nel dar ragio- ne di esso metodo, spiegando il carattere e l'effi- cacia delle massime del senso comune ; ovvero dee dimostrare patentemente l impossibilit duna spiegazione razionale dei sommi principii, la qual conclusione, bench negativa, sarebbe scien- tifica perfettamente. l5 AFORISMO La scienza del vero , o vogliam dire la di- mostrazione fondamentale di lutto lo scibile , 94  per un esame profondo del subbietto e del fine della filosofia le modificazioni e gli usi proprii a cui  bisogno sommettere la dottrina comune del metodo naturale.  Digilized by Google DEL RINNOVAMENTO DELLA FILOSOFIA ANTICA ITALIANA i IP&Etri BELL APPLICAZIONE Il vero  il fatto. Criterio certo del vero  farlo. Vico. DellAnticbiiiima Sapienza deglitaliani. CAPITOLO I Proposizione. I Ai dettatori di documenti metodici suolsi rim- proverare questo, eli * ei dovrebbero per primi mettere ad effetto le loro regole, perch vedreb- bero quanto largo intervallo passi tra lo inse- gnare in astratto e loperare in concreto. Noi co- mecche non abbiamo assunto distruire alcuno nel vero metodo, ma solo dinvitare gli italiani Digitized by Google  196  filosofi a produrlo e insegnarlo, e del quale ap- pena abbiamo delineato i dintorni, con tutto ci faremo prova di sperimentare noi stessi lidea cbe ne abbiamo concetta, e prenderemo ad ana- lizzare quella parte della filosofia, cbe cerca la generale dimostrazione di tutto lo scibile. Si con- giungono in tal soggetto le due funzioni massime della speculativa, quella cio cbe tende a com- piere la storia naturale del nostro essere, e quella cbe vuol dedurne una prima filosofia, stante cbe luna funzione prende dallaltra \ fatti su cui dogmatizza ; per ci dassi qui luogo ad applicare qualunque forma di precetti metodiche quelli che moderano losservazione sperimentale, e gli altri clic si confanno con lindole straordinaria della prima scienza. Egli  poi questo soggetto nellordine progressivo dei pensieri fin qui segui- ti. Conciossiacb fu detto di sopra cbe dopo avere definito il metodo empirico e la maniera di bene applicarlo viene il cercare la storia naturale del- lintelletto; e giunta questa ad un termine, in cui sia lecito di pensare ad alcuna induzione ge- nerale dogmatica, segue il cercare la scienza dei primi veri, o sia la prova fondamentale di tutto lo scibile. E un simile ordine  praticato da noi; attesoch noi siamo partiti dalla dottrina speri- mentale del metodo ; e questa esplorata ci levia- mo a tentare una dimostrazione di tutto lo scibi- le, previe le notizie cbe stimiamo aver raccolte Digitized by Google  197  circa la storia sperimentale del pensiero, e le quali ci paiono di natura da concedere ai filosofi un sodo cominciamento di teoria. Sennonch, di questa notizia intorno la storia dell intelletto noi esibiremo ai debiti luoghi e per ciascuna materia quella porzione soltanto che si lega immediatamente con la filosofia criti- ca, cio a dire con la speculazione, che cerca lindole e il valore dei nostri mezzi conoscitivi, e quindi trae la prova fondamentale dogni sape- re. Nella qual pa reit noi staremo per due ragioni singolarmente. E la prima  di non trapassare so- verchio queconfini brevissimi entro cui abbiam voluto tenerci; laltra  di pensare cbeziandio a cotesto modo provvedasi bastevolmente allo sco- po del libro, il quale non cos  volto a fondare del proprio alcuna dottrina, come a invitare gl italiani filosofi perch con certa uguaglianza di metodo e certi principii comuni procaccino, pure da questa parte, di rinverdire lantica sa- pienza italiana. II L'opportunit poi dellapplicazione che sia- mo per intraprendere  mostrata evidentemente dallo stato della filosofia. Imperocch le dimo- strazioni profferte fino qui della realit dello sci- bile, oltre a rimanere fra loro in parte contrad- dittorie, sono di qualit da far troppo largo par- Digitized by Google  iqS  tito agli scettici: onde  assai naturale e giove- vole che lumana ragione tenti ancora qualche sforzo per riconoscere s medesima. E di fatto la soluzione, che i sensisti danno al problema, ristri- gnesi a questi due enunciati. Ogni verit  dai sensi, ed  conosciuta sperimentalmente. Lespe- rienza poi viene diretta da certi dogmi, i quali non occorre punto provare. Tali sono levidenza della memoria, il principio causale, limmutabi- lit delle leggi cosmologiche, ed alcun altro. Il secondo enunciato  questo: Il complesso delle umane cognizioni  costituito di ricordanze , e dalla fallacia di esse procede ogni errore; quin- di, perch la certezza dellintimo senso non pu dilungarsi nel tempo, non vha modo alcuno di portare la certezza assoluta in mezzo delle ricor- danze , che  come dire nella somma di tutte le nostre cognizioni. Ili La scuola di Edinburgo e i razionalisti di Germania e di Francia si accordano in ci, che distendono lautorit dellevidenza non solo al- lintuizione interiore, ma eziandio a tutti gli altri principii , di cui il genere umano  convinto perennemente, sebbene non sappia produrne pro- va. Essi poi differiscono nel valutare il credito di quella evidenza e nel definirne il carattere; con- ciossiacb taluni la credono meramente istinti- Digitized by Google  i99  va, altri illusoria, e provocata non dal reale, ma dallapparente, altri prodotta dallintuito im- mediato dellassoluto. Tre cose, al nostro giudi- ci, doveano intraprendere i Razionalisti. Primo, scoprire e numerare distintamente i principii apodittici e le idee trascendenti. Secondo, mo- strare che parecchi di tali principii e di tali idee, avvegnach evidentissimi di fatto, non appoggia- no sopra alcuna induzione, n sopra alcuna logi- ca deduzione , ma esistono veramente a priori. Terzo, mettere in chiaro la legittimit della loro evidenza, quantunque non cavata dai fatti n dal raziocinio. La prima parte, a quanto ci sembra, fu bene illustrata, e i principii apodit- tici non manco che le idee trascendenti vennero definiti e numerati con esattezza. Nella seconda ricerca si veggono introdotte, per quello che al- trove notammo, affermazioni assolute che forse non reggeranno al cimento di nuove analisi ; im- perocch la severa logica domandava ai Raziona- listi che si limitassero a concludere, non avere le analisi loro scoperta alcuna induzione, o al- cuna deduzione capace di generare certi principii e certe nozioni -, ma ci non bastava ancora per convertir quei principi! e quelle nozioni in forme pure ed innate dellintelletto, o in rivelazioni spontanee della ragione impersonale o in altri sif- fatti sistemi. La terza parte poi  la pi difetti- va, perch dopo avere i Razionalisti annunziato \ Digitized by Googl  200 che simiglianti giudici! istintivi o forme dell in* telligenza, o rivelazioni spontanee dellassoluto non possono confortarsi dalcuna dimostrazione, e che n tampoco si risolvono in fatti primi din- tuizione, attesoch essi affermano realit e modi dessere che punto non cadono sotto locchio del- lintimo senso, proseguono nientedimeno adire che tali principi! non disgradano affatto dalla cer- tezza dei teoremi geometrici, appoggiando tal conclusione sopra argomenti che racchiudono un paralogismo infinito. Perch a voler trarre dalle viscere del Razionalismo il pronunciato ultimo, che vi giace nascosto, duopo  asserire che lin- tendimento umano vien governato da una specie di Nume arcano ed inesorabile, il quale si suol chiamare ragione. IV Ma la nostra natura conoscitiva mai sempre si ribeller e scuoter da s il giogo delle cre- denze non dimostrate, conciossiach ella doman- di alla religione medesima non di spiegare i misteri che insegna , ma di profferire gli argo- menti ed i fatti che acquistano pienissima auto- rit alle sue rivelazioni. Separarono perci in ogni tempo gli uomini l istinto della ragione, e chiesero ai filosofi non di meschiarli insieme o negarli, ma di scoprire per iscienza i giusti termini di ciascuno. Noi pertanto faremo opera Digitized by Google 201  di meglio svelare la natura dei principii, e vin- dagheremo qualche dimostrazione de dogmi del senso comune. Stantech noi pensiamo non sus- sistere filosofia razionale legittima, in questi due casi ugualmente, e quando ella contraff ai giu- dicii del senso comune, e quando li accetta e non li dimostra. Che se noi siamo infimi d intelletto, nondimeno pigliamo qualche buona speranza nei documenti nostri metodici. E pure quest opera sar ricavata da certe fondamentali verit che i vecchi nostri ritrovarono col lume dellesperien- za ; onde che useremo ad ogni ripartimento di materia proporre le massime della scuola antica d Italia. Resterebbe di favellare intorno i vocaboli , la cui buoua scelta e il cui savio uso sono nelle ma- terie astratte di rilievo pi che grande. Ma noi, obbedienti alle vecchie massime del Nizolio e del Valla , e pi alla pratica di Galileo , evite- remo di scostarci dalla comune consuetudine, e di torcere i nomi dalla significazione loro pi lit- terale. Quanto poi alle voci, che nel conflitto di mille sistemi vengono variamente e stranamente usurpate , ci  parso giusta cautela di rivocarle al senso loro pi antico, e quasi diremmo nativo. E, esempigrazia, il verbo sentire, su cui tante equivocazioni sono cadute, a noi par bene rimet- terlo nel prisco uso latino, che  quello altres del popolo, e lasciare che significhi largamente Dgitized by Google  201 latto di avvertire qualunque azione e qualun- que passione dell animo: pensare facciamo si- nonimo di sentire. Percepire vogliamo che valga 1 atto della mente con cui si pensa ad alcuna co- sa come distinta e separata da noi.. Quando la si pensa semplicemente, diciam concepire una cosa, o apprenderla, o averne l idea ; perci idea vale per noi in genere sensazione avvertita, oggetto del pensiere. Il fatto vogliamo sinonimo della realt; e dimandiamo sperimentale quella noti- zia , che studia e conosce le cose nei loro feno- meni, e in quanto sono, non in quanto debbono essere. Chiamiamo Intuizione la vista intellet- tuale dell oggetto pensato : astraendolo da qua- lunque riferimento a sostanza, e guardato nella sua entit fenomenica ; altre voci sono esplicate nel corpo del libro. Taluna volta ci  parso mancare del vocabolo proprio e capace di espri- mere elitticamente pi idee connesse. N in quel caso abbiam dubitato di accettarne uno nuo- vo dedotto dal latino o dal greco, o di piegare a nuova espressione alcun vecchio vocabolo secon- do la debita analogia. Digitized by Google  ao3  CAPITOLO II Della prima certezza. I Una  la verit. Sta il vero a tutte le verit , come il tempo a tutte le cose temporali ; e come in 'queste uno  il tempo , cos il vero  uno in tutte le verit.  S. Anseimo. De ventate, C. XIV.  Se inten- diamo parlare della verit quale sussiste nel- le cose, diciamo che le cose tutte sono vere per una prima verit.  S. Tommaso, Som- ma, Par. I, Quaest. XVI.  O non v ha cer- tezza alcuna nel mondo, o se ne trova una soltanto, da cui tutte V altre discendono,  Philip. Mocenici, Universalium Institutionum , etc. , Contemplat. i , C. II  .... principii che non possono essere provati, ma sono noti per s stessi, i quali tutti si riducono ad un certis- simo e primo principio, col quale ciascun al- tro pu essere provato ; e questo  che V affer- mazione o la negazione sa vera in tutte le cose.  Torquato Tasso. Il Porzio, ovvero del- la Virt.  Digitized by Google  io4  Il vero  1 ente. Perch ogni cosa  un essere ed  vera , e pu conoscersi, ne segue di necessit che V ente si converte col vero. S. T., Som., luogo ci- tato.  > Il vero  il fatto.   Vico. De Antiquis : Italorum sapientia.    La prima certezza dellente  nella realit del pensiere. Ogni conoscenza ha dalla mente la prima origine.   F. Patritii, Panaugiae, L. I., De lu- ce.  Conoscer vuol dire essere fondamental- mente e realmente. Campanella, Universalis Philosophiae , etc. Pars II, L. VI, C. Vili.* Essere noi e poter sapere e volere  il certis- simo principio primo.  Idem, Pars I, L. I, C._ IV. Opera citata.  Noi non sappiamo le cose quali sono, ma quali ci appariscono : pure quell' apparenza  reale sapere, perch in essa  l'entit.  Idem , eodem, P. I, L. I,C. Vili.*  La cognizione consiste in ci che il conoscente ed il cognito sono uno identico essere.  Idem, eo- dem, Pars II, L. II, C. Vili.  2 11 CAPITOLO III Dell Intuizione. I La prima certezza  dei puri fenomeni. La superiore scienza niente presuppone , salvo alcune esistenze.  Campanella, Univers. Phi- losopb. , etc. P. I, L. "V, C. II.  La scienza umana universale abbisogna di due postulati soltanto : dell' esistere e apparire delle cose , e del principio di ripugnanza.  Idem, eodem, P. I , L. V , C. I , e II , e Logica, L. Ili , C. XV.  L anima non  conosciuta per la propria so- stanza, ma per li suoi atti.... Tal cognizione accerta solo che V anima sia , non che cosa ella sia.  S. Tommaso, De Veritate, Quaest. X.  La prima certezza non si prova per sillogismo. Le supreme degnit non possono venir di- mostrate, perch non v' ha luogo a dedurle da verit superiore.  Cesalpino, Quaistiones Peri- pateticae, etc., Quaest. IH, L. I.  Chiaro  per ci che antecede, che la certezza dei fatti dell intimo senso non diversifica punto Digitized by Google  aia da quella dei legami loro necessari'! con le estrin- seche realit, quante volte si giunga a provare di queste ultime, che selle non fossero, n pure sa- rebbono i fatti della coscienza, o, con altri voca- boli, qualora si provi che negare le estrinseche realit  assurdo manifestissimo ( Aforismo i8) Alle due specie adunque di verit abbiamo impo- sta unappellazione medesima, e le chiamiamo verit e certezze d Intuizione. Per la prima vien detta da noi intuizione immediata, la seconda in- tuizione mediata. La prima, che  fondamento e misura dell altra, si definisce da noi: V atto di nostra mente , il quale conosce le proprie idee e le attinenze loro reciproche. Diciamo conosce le proprie idee : con che vuoisi esprimere una notizia pura, mentale, ristretta nei soli fenomeni del senso intimo, fuor di spazio e fuori di ricor- danza , e che non deriva da conoscenza anteriore. Scriviamo le attinenze loro reciproche , quelle cio che provengono dalla entit di esse idee e nella visione loro si manifestano. . II Ma su questo abbisognano alcune dilucida- zioui. Gi si disse che ogni conoscenza include un giudicio, o, con altra frase, ogni conoscenza afferma o nega linserzione d un idea in una al- tra idea. Questa parola inserzione, ovvero com- prensione, significa qui lattinenza della parte Digitized by Google col tutto. Lattributo  la parte, il soggetto  quel complesso che in forma continua dunit si offre dinanzi alla virt giudicante. Di queste unit alcune ci vengono date dalla natura , altre sono prodotte da noi. Lidea di un fiore partico- lare, lidea di Tizio o di Cajo sono unit naturali e fatte conoscere dallesperienza. In vece l idea dun triangolo o quella della chimera sono unit create da noi immaginando o astraendo. Ora co- tali unit, o si voglian chiamare soggetti cogita- tivi, possono venire contemplati in due guise differentissime: cio nel punto che si compongo- no, e quando sussistono composte e determinate: nel primo caso si hanno i giudicii sintetici, nel secondo gli analitici. Cos, per esempio, colui, il quale si abbatte a vedere la prima volta un nuovo edificio, un vasto paese, una bella statua, e che ne va discernendo i particolari con viva curiosi- t, compone entro s tanti giudicii sintetici, quante specie diverse raccoglie. Ma se in appresso torner con la mente su lidea formata e com- piuta di quegli oggetti, scomponendola e analiz- zandola, ei dar luogo a tanti giudicii analitici, quante scomposizioni del soggetto vada operan- do. Ci che diversifica essenzialmente tali due sorte di giudicii si  , che per gli analitici ponendo il soggetto, lattributo  posto immancabilmen- te, e quindi corre fra loro una relazione diden- tit; laddove per li sintetici, il soggetto non Digitized by Google  2 l4  porta seco 1* attributo, e quindi non  fra loro al- cuna attinenza didentit. Consegue eziandio da ci, che nel giudicio analitico  natura necessa- ria ; non eos nel sintetico. E nel vero, se lana- litico, ponendo lidea del soggetto pone altres1! lattributo, qual parte integrale di quellidea, la relazione delluno allaltra dee riuscire neces- saria, avvegnaddioch la mancanza dellattributo distrugge lentit del soggetto. Ma cos non va pel sintetico, ove il soggetto mantiene il suo es- sere indipendente dallattributo. Ili Per  sentenza d alcuni filosofi cbe una terza- sorta di giudici*! intervenga fra le due qui notate e descritte, e questi giudicii ebbero nome di sin- tetici a priori ; e, verbigrazia, la presente propo- sizione: ogni cosa che comincia ha una cagio- ne, la chiamano giudicio a priori sintetico; per- ch, dicono essi, da un lato il giudicio non  certo analitico, attesoch nel porre il soggetto ogni cosa che principia , nessuno sente e crede aver posto insieme il suo attributo, cio di avere una cagione . Dallaltro lato s fatto giudicio include necessit, essendoch non si pu a meno di non conferire a tutte le cose la qualit di cominciare per una cagione; e perch simile qualit  costan- te, necessark* ed universale, non pu la sua noti- zia venire offerta dallesperienza : ella  dunque Digitized by Google  n5  a priori , e la sintesi, la quale compone col suo soggetto,  sintesi a priori. Noi non ricusiamo e n pure accettiamo assolutamente cotesta anfibia generazione di giudicii. Basti per ora il determi- nare che quando giudicii s fatti esistano, ei non sono certi di verit intuitiva immediata, a cagio- ne di' ei non risultano dall'entit del soggetto, n dalla medesimezza corrente fra lui ed il suo attributo. -i,e cos discorri pel resto dei loro elementi. Laonde la proposizione 7 + 5  12; vale identi- camente questaltra: 7 + 5 si chiama 12, e sono ambidue segni diversi della medesima idea. Che se taluno non vede subito a 7 5 competere lap- pellazione di 12, faccia di trascorrere per le altre definizioni cominciando dalla minor cifra cio dalluno, e s lo vedr. A questa opinione del Galuppi noi stimiamo potersi rispondere da Kant in tal modo: egli  troppo vero che 7 + 5 e 12 sono segni duna medesima idea; ma non scende da ci che dire 7 e 5 sommano a 12 valga solo un definire nominalmente luna espressione con laltra. E per fermo, la nominale definizione ri- Digitized by Google 227 pete nellattributo la idea medesima che com- pone il soggetto, laddove il giudicio qui anzi esposto fa dallattributo significare una qualit novellamente scoperta nellidea del soggetto, cio a dire, la qualit che risiede nei due primi numeri, di riuscire sommati insieme uguali ad un terzo numero. E giungesi a questo risulta- mento per due confronti, luno innanzi tra le due cifre, laltro fra esse due e il termine loro comune didentit, le quali tutte cose differen- ziano molto dalla definizione pura dei nomi. Quanto poi al secondo esempio addotto da Kant per li giudicii geometrici, desunto dalla definizione della linea retta, diciamo risolutamen- te che sbagliano quei geometri i quali, contro il praticato da Euclide, annoverano fra i loro as- siomi la propriet della retta , che  di segnare il pi corto cammino da un punto ad un altro. Ma beue in vece dovrebbero collocare tal pro- priet nella serie di quei primissimi fatti di cui non si esibisce dimostrazione, e da cui partono essi come da ipotesi semplici per innalzarvi so- pra i lor teoremi. Digitlzed by Google   2iS CAPITOLO IV Fenomeni generali e costanti dell' atto d' intuizione. I t li pensiere  uno assolutamente. Una sola ed unica virt del nostro intelletto conosce ogni cosa.  S. Tom. Contra gentes, L. XXXI.  L' anima  semplice non compa- rativamente, ma bene assolutamente.   F. Pa-. trizio: Mystica ./Egyptiorum.  Come il princi- pio assoluto si svolge nella multiplicazione degli esseri, noi produciamo alla nostra volta l'unit dell'idea con la comprensione del mul- tiplo.  La nostra personalit non conosce altro fondamento che la individualit perfetta: dell'anima.  Giordano Bruno, Della Causa, Principio e Uno.  De triplici minimo et men-. sura, L. I, C. II.  L'unit confusa della per- cezione  il primo atto della mente.... Noi sia- mo astretti a concepire maisempre sotto una forma di unit.  ndreae Cisalpini, Quaestio- nes peripateticae. Quaest. I, L. I.  Tutto ci che per fatto intrinseco percepiamo , cos lo percepiamo , che esso in noi, e noi siamo in es- $q.  Campanella, Univers. Pbilosopli. P. I, C. Digitized by Google  2?9  Vili.  Ogni facolt dell' anima sta unita per modo , che non ammette divisione , se non men- tale: V anima  dunque una perfettamente e assolutamente. .  Iti. , eod. , P. Ili, L. XIV, C. IV.  Benissimo i Pitagorici significarono V intelletto per l'unit, stimandolo sostanza imparabile , non perch reputassero gli enti es- sere numeri, come a torto cred Aristotile.  Idem , eod. P. II.  L'uomo  di natura doppia e composto di partibile e d' imparabile natu- ra. Tasso.  11 Porzio.  La mente non pu sopportar divisione.  Vico. Dell antica Sa- pienza deglitaliani.  Il pensiero  attivo. Niun filosofo antico italiano ha negata nel- lanima lesistenza di due principii attivo e pas- sivo, e infinita opera sarebbe citare tutti i lor passi. S. Tommaso rinnov ed emend la dottri- na peripatetica dellintelletto agente, e scrisse fra l altre cose: I fantasmi sensibili sono nel pensiero come istrumentale agente d'ordine se- condario; invece V intelletto agente vi sta come principale e primo.  De Veritate. Quaest. X, art. VI   La sensazione non  una pura pas- sivit;  una percezione dei cangiamenti pro- prii dello spirito . .   Bernardini Telesii, etc. De rerum natura, etc. L. Vili, XXI. .  Erra gra- Digitized by Google  - 23 o  veniente Aristotile asserendo che il senso giu- dica: la mente sola  che giudica con V eserci- zio della sua attivit .  Campanella, Univers. Pliilosoph., L. I, P. I, in pi luoghi. La cognizione  un giudicio. Alla cognizione due cose debbon concorrere , l apprensione e il giudicio. S. T. De Verit, Q. X, Ar. Vili.  Raccogliamo pertanto con brevit e con pre- cisione quello ehe lesperienza antica e recente ha saputo discernere di pi generale e di pi durevole in qualunque atto dintuizione , e in- tendiamo sempre parlare della immediata. Il pri- mo fatto  questo: La mente umana possiede la facolt di sentire distintamente non una sola idea, ma pi; non sempre Tana dopo laltra, ma luna insieme con laltra ad un tempo, dal che tragge poi la virt di astrarre, di compa- rare e di giudicare. Questa esperienza universale e perpetua del- latto dintuizione insegna di necessit che le idee simultanee sono un multiplo raccolto nel- l'unit assoluta del nostro pensiero, a cagione che senza unit di pensiero assoluto non pu es- sere raultiplicit simultanea d idee sentite. Di- Digitized by Google ciamo unit vera e assoluta, o, come suole chia- marsi, unit metafisica, escludente ogni parte fuori di parte, ogni modo e forma di divisione reale. E, per fermo, se lunit de) pensiero non  assoluta, ciascuna delle idee simultanee occupa isolatamente una porzione di lui: ove dunque ri- sieder la concezione integrale e simultanea di  tutte? e se questa non , donde tragge mai il pensiero la facolt di sentire e di giudicare ad un tempo solo pi idee? Divisione adunque di pensiero e totalit, assoluta di pensiero sono re- pugnanti. Contro questa natura impartibile dellatto di intuizione sincontrano nelibri moderni due ob- biezioni molto speciali. Appartiene luna ai fi- siologisti, i quali si ripromettono di spiegare lintendimento con moti e oscillazioni di nervi. Laltra  un trovato nuovo di Kant, il quale non esita punto di registrare la semplicit del pensiero umano tra * paralogismi della ragio- ne. Negano i fisiologisti che il nostro pensiero abbia potenza di concepire pi idee simultanea- mente ; bens affermano essere questa una illu- sione comune ed assai scusabile, stante che la rapidit dei moti nervosi  tale da far parere simultanei i minimi del tempo che si succedo- no : il quale inganno, aggiungono essi,  veduto ripetersi mille volte nel mondo esteriore, come si prova per molti esempii. E, verbigrazia, la  232 fionda aggirata con estrema velocit sembra a noi segnare un cerchio intero e continuo, mentre nella realit la scaglia girata non pu occupare che un solo punto di spazio alla volta. A ci ri- spondiamo noi col fatto e coi ragionamenti cos. Sieno A e B due idee non simultanee , ma succes- sive luna allaltra pi volte. Diciamo che qualunque tempo venga occu- pato da ciascuna di esse nel rimanere presente allo spirito, se quando ne parte, non lascia ve- stigio alcuno di s, cio a dir, non si mantiene quivi per alcun grado di ricordanza , la idea che succede occuper sola tutto il pensiero come fosse la prima e lunica sempre. Moltiplichiamo a pia- cimento cotesto caso, e poniamo che ad A e B conseguitino in ordine C, D, E, F, e cos segui. Tenendo salda la ipotesi che ciascuna di tali idee apparisca isolatamente e chella sestingua e sannichili in tutto avanti il sopravvenire della pi prossima, diciamo che accader per le idee C, D, E, F, ecc. , quel medesimo che era avve- nuto per lidea A e lidea B, cio che lultima concepita parr sempre e necessariamente la pri- ma e lunica. Ora quando si finga raccorciato so- pra modo il tempo in che dura ciascuna idea , non perci si fa luogo ad alterazione di legge. E per fermo due casi e non pi occorrono qui alla men- te. O vuoisi che le idee, quantunque ristrette in atomi impercettibili di durata, non cessino di Digitized by Google  233  farsi sentire con distinzione, o vuoisi clie la lor concezione riesca per la brevit del tempo non di* scernibile nelle sue parti, ma oscura e confusa: nellun caso, la nostra ipotesi prosegue ad avere effetto puntualmente; nellaltro, vba simultanea apprensione: da che, sentire le idee in modo con- fuso vuol significare, sentirle tutte a un tempo medesimo, ma non distinguerle tutte. Qualora adunque, conforme la sentenza dei fisiologisti, le idee non sieno mai simultanee, noi ci facciamo a chieder loro nel nostro esempio, se al sopravve- nire di B persevera , o no alcuna memoria di A. Nel primo supposto esistono due percezioni si- multanee, novella l una , laltra riprodotta , ov- vero continuata. Nel secondo supposto abbiamo notato quello che di necessit ne avverrebbe. II Kant, negando la possibilit di conoscere al- cun reale in se, e ristringendo lumano scibile alla notizia delle nude apparenze, insorse contro la tesi che pone lunit assoluta dellumano pen- siere ; imperocch, scrive egli, qual uomo rester assicurato se il pensiero sia uno e semplice nel- lapparenza soltanto, ovvero nel suo essere so- stanziale? da che s fatto essere non soggiace punto allosservazione del senso intimo? A noi giover riflettere in primo luogo che simile controversia non importa gran fatto allas- Digitized by Google * a34  * sunto nostro, pel quale basti verificarsi questo, che lunit assoluta dellumano pensiere sussiste pure in qualche maniera ed  condizione essen- ziale, perch la percezione del multiplo riesca possibile. Laonde che tale unit sia sostanza, ov- vero sia modo, aderisca o non aderisca ad alcun soggetto, non cresce la realit sua e non iscema, di guisa che possono immaginarsi tutte le cose venute al nulla ; ma non che il pensiere sciolto dalla sua unit concipiente rimanga in atto. Se- condamente, diciamo a Kant il pensiero uno e semplice, o sussiste per s, o aderisce ad altro es- sere; imperocch ogni ente o esiste in s, o in al- tri. Nellun supposto il pensiero non potrebbe diversificare da ci che apparisce, stando ogni sua realt nella sola apparenza. Nellaltro supposto diciamo, lentit a cui aderisce il pensiero dovere essere altrettanto una e semplice, attesoch un soggetto, quale si voglia , non pu senza dividersi sostanzialmente racchiudere in s ci che asso- lutamente  composto. Un altro fatto costante e generalissimo della intuizione  lesercizio della nostra spontaneit. Venne osservato ad alcuni moderni ed allo Stewart singolarmente, che una proporzione esat- ta corre fra lattendere e il ricordarsi, tal che dove quello vada scemando, questo pure saffie- volisce con egual grado. Stimano eziandio taluni che, verbigrazia, il leggere con smma velocit Digitized by Google  *35  un libro non avvenga n possa avvenire, senza la percezione di tutte le lettere e di tutte le silla- be, ma dice lo Stewart, a noi  tolto avere co- scienza di ci, a cagione cbe la memoria di quei minimi atti  impedita sempre di nascere, essen- do loro mancata compiutamente la nostra atten- zione. Questo ragionare di Dudgald Stewart pren- de, come si vede, forza e principio dalla semplice analogia, perch vuoisi credere cbe la propor- zione scoperta fra il ricordarsi e lattendere deb- ba in qualunque disposizione di mente rimaner salda e uniforme, e per si conclude cbe ove non  omhra di ricordanza, neppure abbia avuto luo- go attenzione alcuna. Per conveniva allo Stewart fare innanzi giudicio pi circospetto intorno lin- dole delia percezione, ed esaminare se il nostro animo abbia facolt di concepire insieme e di non attendere, siccome egli lia opinato; in vece noi reputiamo cbe allorquando lanimo nostro non risponda alla sensazione con qualche moto della propria energia, la sensazione non succeda, ov- vero non sia percepita, Ma, uscendo di tale di- sputa, ci rimane fermo e provato cbe luomo non ha, n pu avere conoscenza dalcun pensie- ro, il quale non sia accompagnato dallattenzio- ne. Imperocch conoscere  giudicare, e non si compie giudicio mai senza distinguere luna idea dallaltra, e senza farne paragone. Oltredich, se la durata percettibile di qualche pensiero do- Digitized by Google  236  manda un atto memorativo, e questo un atto at- tentivo, ogni cognizione  pensiero che dura as- sai percettibilmente, e perci include un qualche atto attentivo dellanimo. Ora importa al seguito del nostro libro defi- nire con giustezza quello che voglia dire atten- zione, e quello che sia. Pronunciamo dunque, es- sere lattenzione certo alto frequente della no- stra spontaneit , con cui ella si rivolge sopra loggetto mentale , che  termine dell atto. Scriviamo certo atto , perch come semplice e singolare chegli  nella specie sua non pu de- linearsi da noi con parole pi proprie. Si dica il simile per quelle voci metaforiche volgersi sopra V oggetto ; le quali non vengono qui da noi ado- perate con mente di ritrarre al vero un modo semplice e inesprimibile dell'animo, bens voglia- mo che servano a richiamare la sua notizia con fedelt e con vivezza. Queste tre cose pare doversi distinguere nel- l attenzione. Luna, che a lei fa bisogno un og- getto mentale, laltra, cbe ella  una sorta di reazione sopra loggetto medesimo, la terza, che questo  termine della reazione, cio a dire, che tutta lefficacia attentiva non si stende di un at- timo fuor delloggetto suo: le quali tre cose sti- miamo avere significate condire, che la nostra spontaneit si rivolge sopra loggetto mentale che  termine dellatto. Ma perch scriviamo essere Digtized by Google lattenzione un modo di operare della nostra spontaneit, porta la materia il far parola di que- sta particolarmente, e per tal guisa verr illu- strata, quanto pure  sufficiente, la definizione offerta da noi dellatto di attendere. Ili Nella proposizione io penso sta espresso un fatto perpetuo e generalissimo dellintendimen- to, il quale , che tutti gli uomini riferiscono di continuo le proprie cogitazioni al me, il quale risiede dentro di loro, come subbietto di essi pen- sieri e centro dellumana esistenza. Discordano i filosofi immensamente sulla no- zione di tal subbietto e sull intendere ed espli- care la sua natura. I Loccbiani mantengono, la nozione del me non significare altra cosa , eccetto che il collettivo delle sensazioni. Per contro, i Razionalisti affermano che la nozione del me ri- sguarda ad un essere non collettivo n fenome- nico, ma individuo e sostanziale; questo non ca- dere sotto locchio del senso intimo, ed il suo esistere venir rivelato a noi instintivamentc e per unapplicazione immediata dei principii trascen- denti di sostanza e di cagione. Al parere dei Loc- chiani contraddicono insieme il fatto ed il razio- cinio; n staremo noi a ripetere quello che se ne trova scritto in confutazione in pi luoghi, mas- sime dai seguaci della scuola scozzese. Ma per ri- Digitized by Google  a38  spetto allopinione contraria, la quale corre e possiede oggi tutte le scuole, diciamo innanzi a ogni cosa che accettandosi la nozione del me per trascendente o innata o istintiva si taglia nelle prime radici qualunque speranza di provare scien- tificamente Turnano scibile. La qual conclusione, troppo avversa al desiderio della buona Biosofia , ha origine, se pure non siamo errati, nellequi- vocazione del nome sostanza. Noi diciamo dunque che la nozione del me racchiude il significato dun doppio soggetto , luno non visibile alla coscienza, e laltro visibi- le; luno sostanziale, fenomenico laltro. Que- stultimo diciamo venire provato dal fatto del- lintuizione immediata e il primo dal raziocinio. E di vero, qualunque movimento si osservi nel nostro animo e qualunque confronto si stabi- lisca fra i fenomeni della sua attivit, noi sentia- mo per chiara e subita intuizione certa medesi- mezza costante giacere in fondo alla differenza di tutti i lor modi, la quale medesimezza doman- diamo spontaneit , ovvero principio attivo del - l'animo: e ci poi sentiamo, non per applicazio- ne dalcun trascendente principio, n per concetto a priori , n per suggestione istintiva, ma per luce vera e immediata del senso intimo. In tale spontaneit, che si modifica e si diffe- renzia a ciascuna sua operazione , consiste per- tanto il soggetto noto e sentito dei nostri Digitized by Coogle  *3 9  pensieri. Conciossiach noi chiamiamo soggetto qualunque identico che persevera in mezzo il va- riabile, e tale  il principio attivo dellanimo. Per diversiGcare che facciano gli oggetti di nostra mente, essi vengono sempre ad una ma- niera compresi, e raccolti dalla sintesi cogitati- va, cio a dire da un atto speciale e particolare della spontaneit. Sotto tale riguardo gli oggetti affacciati alla mente divengono essi medesimi variet e modi della forza sintetica del nostro principio attivo. E di qui nasce molto legittima- mente che tutto quanto il pensiero soglia essere denominato un modo del subhietto spontaneo. Ora seguiterebbe di dire se cotesto subbietto contenga nulla in s stesso, oltre la sua identit fenomenica, e qual cosa contenga. Per a tale ri- cerca e ad altre correspcttive soddisfaremo un poco pi tardi; da che si discerne a prima vista includere esse nel loro tema la intuizione media- ta, cio la nozione di quelle realit, le quali non cadono sotto locchio della coscienza. IV Emerge da tutto ci, per final conclusione, che giustamente noi distinguiamo nella nozione del me un subbietto sensibile, ed un subhietto sostanziale: essere il primo noto per semplice in- tuizione, e la realit sua non domandare, onde si faccia conoscere, la realit della sostanza; ri- Digitized by Google  *4o  porre egli la sua entit nella perpetua medesi- mezza, la quale si riproduce in qualunque atto cogitativo. E riprendendo ora il filo di quelle idee con cui fu dato principio al paragrafo ante- cedente, diciamo che per le cose ragionate intor- no la spontaneit rimane chiara ed aperta la su- periore definizione dell atto di attendere. Altres riman dimostrato che in ogni atto dintuizione raechiudesi un qualche esercizio della nostra spontaneit; imperocch dove manchino tutti gli altri fenomeni della spontaneit, mai non mancher quello dell attenzione; sottratto il quale non sappiam bene, se possa restare, o no . forma alcuna di concezione, ma sappiamo certis- simo chella non potrebbe essere conosciuta. Due corollarii assai rilevanti emanano pure dalla materia discussa. Luno  che poich lat- tenzione intervenendo in ogni atto di conoscenza accusa sempre un qualche esercizio della nostra spontaneit, e poich questa s veduta essere costantemente il subbietto d ogni pensiero, le- cito sembra di pronunziare che qualunque atto dintuizione  pure un modo particolare e deter- minato del subbietto pensante, o dir si voglia del me fenomenico. Il secondo corollario vien fuori da quella ne- cessit, che abbiamo riconosciuto nellessere pe- culiare dellattenzione, dindirizzarsi cio per- petualmente ad un qualche oggetto : e per vero Digitasti by Google  *4  comecch questo oggetto rimanga sempre incluso nellunit assoluta di nostra mente, nulladimeuo egli vi siede in un modo suo proprio, e distintis- simo dalla veduta intellettuale dellanimo. Segue adunque di dire che ogni atto dintui- zione riproduce, per legge essenziale e immanca- bile, lunit, la spontaneit, e la distinzione fra 1 obbietto e il subbietto. V Viste e trovate cotali cose, importa ora pren- der notizia del modo col quale si compie la cono- scenza, giacch lintuizione che presta materia allo scibile umano ha sempre la forma generale di co- noscenza. Adunque, parlando dello stato presen- te del nostro intelletto , tre fenomeni si distin- guono principalmente nel nostro atto di conosce- re. Il primo  che noi affermiamo loggetto cui sindirizza lattivit del nostro animo, e cos for- miamo il giudicio conoscitivo per cui si afferma tale cosa di tale altra. Il secondo fenomeno  il bisogno e luso dei segni astratti, conciossiach non si sa comprendere in qual guisa potremmo noi comporre una mentale proposizione, e dire p. es. a noi stessi : la tal cosa  , ovvero, noi sia- mo, senza di gi possedere luso di certi segni, che farinosi ajuto alle somme astrazioni: e per vero, lastrazione dellessere la quale interviene in ciascuna proposizione  la massima di tutte T7 Digitized by Google  243 ;  T altre. Il terzo fenomeno  1* accettazione gene- rale in cui vengono presi tutti quanti i nomi dei predicati: di guisa che pure inventando unappel- lazione nuova per un attributo individualissimo, noi lo facciamo con lintenzione della universali- t, cio eh essa appellazione rimanga segno di tutte le cose, le quali verranno trovate identiche a quella di cui  il nome. Questi tre fatti, i quali noi riscontriamo in qualunque proposizione e co- stituiscono per ci latto del conoscere, come ri- siede nella condizione presente dei nostri intel- letti, offrono tre questioni a risolvere. E prima si chiede la loro propria realit, secondamente la spiegazione e lorigine, terzo, quello che impor- tino, rispetto alla prova di tutto lo scibile. E sulla prima questione diciamo la realit di quei fatti essere d intuizione pura immediata , e quindi la loro entit si raccoglie tutta nel loro modo di esistere intellettualmente. Per la seconda questione  da confessare , che la scienza del pen- siero, quale  posseduta oggid dai filosofi, non giunge a scuoprire la generazione prima deUatto di conoscere. Imperocch quella serie di opera- zioni mentali che si va immaginando per dar na- scimento alla conoscenza, sembra di gi contene- re alcuna porzione dell'atto conoscitivo. All ul- tima questione diciamo che tale ignoranza intor- no la forma prima, e lorigine dellatto conosci- tivo non turba in nulla la prova fondamentale di Digitized by Google  a43  tutto lo scibile. E, vaglia il vero, nessuno, pen- siamo noi, vorr credere che la mente afferman- dola sussistenza d alcuna cosa, crei quella me- desima sussistenza , ma ognuno in vece rester certo che qualunque realit degli oggetti pensa- bili  indipendente affatto dallo affermare, o dal negare di nostra mente. Si ripeta il simile pel bi- sogno e luso dei segni; imperocch chi vorrebbe mantenere, senza paura di assurdo , essere i segni delle idee e delle cose esteriori quelli medesimi che producono, o cangiano la realit di esse idee o di esse cose? Di fatto allorquando la setta dei nominali disse che le idee universali non erano niente altro che un nome, non dissero con questo che i nomi creassero alcuna cosa, n dentro il \ pensiero, n fuori; e se la dottrina loro disface- va una buona parte della realit dello scibile ci proveniva non punto dall uso dei segni, ma dal pensare falsamente che la realit pura dei segni fosse la sola realit delle idee generali. Ultima- mente diremo pel senso generico attribuito a tutte quante le appellazioni dei predicati, che n pur questo offende la realit dello scibile, e la pie- nezza delle sue prove; di fatto Tappellazione ge- nerica dei predicati non ci asconde le condizioni individuali con cui quelli si trovano uniti dentro ciascun singolare; laonde chi dice o pensa questo giudicio: la vostra mano  bianca, percepisce effettivamente due cose, cio, i! modo speciale Digitized by Google - 244 - della bianchezza inerente in quella singoiar mano, e il modo comune della bianchezza che risiede cos in quella mano, come in qualunque altro cor- po, il quale sia bianco ; e ci risponde a capello al reale di tutti gli esseri. Ma per, a cagione che il numero delle specialit  pi grande senza mi- sura del numero dei segni, avvierf che il modo speciale della bianchezza non trovi per se una de- nominazione altrettanto speciale e propria j quin- di colui il quale esprime il giudicio, la vostra mano  bianca , sa di esprimere ad altrui la sola bianchezza comune, percependo egli la peculiare nella visione medesima delloggetto pensato. Discende dal fin qui detto, che i fenomeni proprj delTatto conoscitivo, comecch rimanes- sero oscuri ed inesplicabili, non impedirebbero tuttavia di cercare con buon successo la prova fondamentale di tutto lo scibile, conciossiach l'atto di conoscere dee venire considerato sicco- me un istrumento di pi aggiunto alle altre fa- colt intellettive, per cui  data alluomo la pos- sibilit di sentire , dintendere e di sapere. VI Ma la serie di queste cose ci mena a conside- rare un poco pi ragguagliatamente l uffizio del- latto di cognizione, perch si discerna fin dove giunge la necessaria intervenzion sua. E sopra tutto  da chiarire se luso medesimo delle facol- Digitized by Googli  245  l intellettive domandi sempre per suo istrumen- to il giudicio conoscitivo, tal quale risiede nella presente costituzione dei nostri intelletti. E per quello che sappartiene alla facolt di attendere, noi diciamo che lazione sua antecede di forza il giudicio conoscitivo, imperocch in- nanzi di affermare che un oggetto sussiste, biso- gna avvertirlo pi o meno distintamente. Latto poi di avvertire e di attendere sembra a noi tan- to semplice e nel suo primo moto cos indipen- dente da qualunque nozione, oltre loggetto suo immediato, che affermare il contrario e sottopor- re quellatto alla direzione di qualche idea ante- riore, ci sembra di mente imbevuta dintempesti- vo platonicismo. Maggiore  la difficolt che si trova a spiegare, come 1 attenzione trapassi da un oggetto ad un altro per libera scelta : concios- siach attendere ad un oggetto, piuttosto che a un altro, non si pu senza un fine; e 1 agire per fine sembra supporre la cognizione astratta del collegamento che passa tra quello ed il mezzo. So- pra ci noi prendiamo a osservare che molte fiate quello, il quale vien chiamato fine da noi, non  nel fatto se non una semplice associazione didee, ripetute nellordine stesso in cui nacquero. Cosi perch linfante si volga con ansia al petto della nutrice, non diremo essere necessaria la cognizio- ne del nesso tra il mezzo e il fine, bastando a ci, per quello che ne pensiamo, la forte associazione Digitized by Google - *46  avvenuta fra il senso della fame, la vista della nutrice, il latte sorbito e lappagamento succe- dutone. Ma, lasciando tale ricerca, a noi basta provarsi questo, che il trapasso della nostra at- tenzione da un oggetto ad un altro, e da un tutto a una parte, ovvero dalle parti al tutto corre- spettivo, possa accadere per solo concatenamento dimpulsi istintivi, senza interposizione alcuna di idee astratte ed universali. E per vero, si torni al caso della nutrice, la quale abbiam figurata nel punto di approssimarsi ad un fanciullo lat- tante : la nuova immagine che entra per gli occhi di questo, svegliando la sua attenzione, la terr volta a quella parte donde muovono le impres- sioni pi vive: e poniamo che tal parte sia H vol- to. La nutrice fa un cenno e sorride: lattenzio- ne allora del fanciulletto sar chiamata di prefe- renza agli occhi pi scintillanti, o alla bocca at- teggiata al riso, e forse alluno ed allaltro in pi tempi, secondo che il variare dei minuti acci- denti far avvertire ad una parte piuttosto che ad unaltra. Intanto questi diversi trapassi del- lattenzione rendono pi distinta e viva tutta la forma del volto, la quale non ha mai cessato di farsi presente al pensiero, sebbene in modo con- fuso e languido. Ora , senza pi proseguire per questo esempio , diciamo che quando lazione di astrarre valga quello che i filosofi seri vono , cio il dare attenzione ad alcuna cosa in disparte e di- Digitized by Google  *47  visamente dall altre, noi manteniamo che il sem- plice concatenamento degli impulsi istintivi  suf- ficiente a produrre ci, e quindi stimiamo troppa assoluta quella sentenza dellab. Rosmini, che dice, r uomo non potere astrarre in alcuna ma- niera, senza lantecedente uso di certe astra- zioni. Viene al presente il considerare la facolt di riflettere e la conversione che fa il pensiero so- pra di s medesimo, o vogliam dire la contempla- zione che fa degli atti suoi proprj divenuti og- getto e termine dun nuovo atto. Diciamo per- tanto che questo convertimento del subbietto in obbietto non  per ajuto del giudicio conoscitivo. E per fermo , saper notare nelle cose lessere co- munissimo, e aggiungere ai predicati lintenzio- ne delle universalit non si vede quello che im- porti alla conversione del subbietto in obbietto, la qual conversione non pu succedere per modo deliberato se non avendo di lei antecedentemente una qualche notizia ; ma ci vuol dire pensare di gi i nostri atti oggettivamente. Adunque o noi nasciamo con la visione oggettiva di noi medesi- mi, ovvero ella sorge senza cooperazione d'alcu- na idea anteriore. VII Circa la facolt di formare il giudicio insor- gono maggiori dubbiezze. E prima  da distin- Digitized by Google  248  guere Tana dallaltra le operazioni concorrenti a quell atto. Ben si vede che innanzi dee venire lanalisi, cio lattenzione prestata divisamente ai due termini del giudicio: segue il loro confron- to, o vogliam dire la vista attentiva e contempo- ranea di ambedue: dopo ci  latto propriamen- te chiamato giudicio, il quale consiste a concepi- re i due termini in un legame di soggetto e di predicato. Che la mente possa per semplice istin- to avvertire una cosa in disparte da unaltra, o due cose a un tempo medesimo, ci sembra da non doversi negare dopo quello che si  motivato pi sopra. Ma per la terza operazione , onde si attri- buisce un predicato a un soggetto, bisogna di nuovo distinguere: se per soggetto intendiamo sempre una idea di sostanza, e per predicato sem- pre un aggiunto didea universale, chiaro  che il giudicio conoscitivo si fa istru mento necessa- rissimo alla terminazione dun qualunque altro giudicio. Cos non pensiamo, se la parola subbietto sia estesa a significare eziandio certa totalit di fe- nomeni, congiunti per continuit di spazio, di tempo, di solidit, di colore, di moto e daltri accidenti, e se la parola predicato esprima per conseguente una parte di quel tutto speciale: conciossiach allora diciamo la congiunzione del predicato al subbietto essere concepita senza sus- sidio daltre idee, e senza alcun intervento del Digtized by Googte  249  verbo. Non dispiaccia rivenire allesempio del bambinello, e fngiamo a questa volta, chegli tenga tra mani unoii'eila, e che dopo alquanto averla adocchiata o palpata vi ponga la bocca e la morda. Noi ripetiamo che pure fatto il suppo- sto che in quel fanciullo non sia idea generale nessuna, debbono tuttavia affacciarsi allanimo suo queste tre qualit di concetti: vale a dire, lidea delloffella costituita da un gruppo di sen- sazioni insieme associate per continuit di spazio, di tempo e daltri accidenti; lidea del sapore svegliata dallazioue del mordere; poi lunione di questa medesima idea al complesso anteriore di sensazioni. Le quali tre idee portano seco tre operazioni distinte della mente dei fanciulletto. E prima uno sforzo attentivo sopra il complesso unito delle sensazioni che rendono lidea dellof- fella. Poi quel medesimo sforzo attentivo sparso e ripartito sullaffezione saporosa. In fine il con- fronto fra i due termini prossimi, e il concepire luno come distinto dallaltro e come legato con l altro. Proseguire a cercare nuove facolt della men- te riuscirebbe superfluo, imperocch tutte quelle che assistono immediatamente allatto di cogni- zione son contenute ed epilogate nella facolt di giudicare. Raccogliendo ora le molte cose trattate fin qui intorno lindole e loperazione del giudieio Digitized by Google  a5o  conoscitivo dae conclusioni vengono fuori assai nettamente. La prima  che il giudicio conoscitivo non al- tera in nulla la natura degli oggetti pensabili , e quindi non turba la prova della realit dello scibile. La seconda  che lesercizio pi semplice, pi immediato e pi elementare delle facolt di attendere , riflettere e giudicare sembra indipen- dente da qualunque idea astratta ed universale, e in ispecie da esso giudicio conoscitivo. CAPITOLO V Della realit obbiettiva. I Noi sentiamo noi stessi e non gi le cose. \ Ci che  intelletto , bisogna che sia nell  intel- ligente.  S. Tom., contra gent. I, LI.  Ci che  sensibile  il senso medesimo in atto.   Id. eod.   Jl senso conduce alla cognizione esteriore degli accidenti , V intelletto poi perviene alla nuda quiddit separandola da ogni material condizione. S. Tom., Tertia Secundae Part. Sum., Quaest. 95.  Digitized by Google  25 1  Siamo noi che mutiamo; dunque sentiamo solo noi stessi e non gi le cose.  Campanella, Univers. Philos., Pars. I, L. I, C. Vili.  La percezione delle cose  un giudicio.  Id. eod. P. II, L. VI, C. IX.  Che poi quali sentiamo le cose , tali sieno in s medesime  a me incer- tissimo.  Id. eod. P. I, L. I, C. V.  Dal pensiere uno e spontaneo sorge la prora dell esterno. Noi sentiamo le cose estrinseche, solo per- ch ci sentiamo mutare.... non siamo noi che ci mutiamo, dunque altra cosa ci muta.  Campanella, opera citata, P. I, L. I, C. Vili.  Jl senso  passione, perch appunto per la pas- sivit sua il giudizio conoscitivo conosce il sen- sibile.  Idem. eod. P. I, L. I, C. IV.  Lunit e la sostanza esistono nelle cose. Secondo natura il quanto , V unit e il nu- mero sono in tutte le cose.  tendo esse del pari provenire da pi forze esterne materiali e operanti sui nostri sensi, come da una forza suprema ed unica esterna al nostro in- dividuo e che dispose da prima le leggi dell in- telletto umano, o in fine dalla spontaneit pro- pria di questo e dalla visione di s medesimo. Ili Sincominci adunque dal dimostrare, se tanto  possibile, una realit esteriore indeterminata. Tra i fatti primi e costitutivi dell intuizione registrammo noi pi sopra un sentimento peren- ne di attivit, messo a fronte dun altro obbiet- Digitized by Google   l ivo ed involontario. A simigliantc contrasto bene s' rivolta in pi tempi ('attenzione dei filosofi, e il Campanella singolarmente vha riconosciuto il germe duna dimostrazione del mondo esterno. Ma se noi non prendiamo abbaglio, quello che manc loro fu di notare e rilevare pi esplicita- - mente il confondersi e compenetrarsi dei due sentimenti nella unit perfetta e assoluta del no- stro essere intellettivo. Che se per contrario co- testa unit venga difesa da tutte le instanze e ri- posta nel novero delle certezze, come pensiamo aver fatto noi con raziocinio saldo e severo , la dimostrazione del mondo esteriore ne discende necessaria e evidente. E per vero, si noti quello che avviene entro noi, allorch il nostro princi- pio attivo e spontaneo reagisce gagliardamente contro una affezione passiva qual siasi, poniamo un senso di dolore. Diciamo allorch reagisce gagliardamente , a fine che il conflitto dei due sentimenti apparisca vivo e palpabile. In tal sup- posto  forza discernere che per una parte laffe- zione dolorosa e l avversa spontaneit compon- gono una cosa stessa, da che l'unit volente  pure lidentica unit soffrente il dolore; per lal- tra, laffezione dolorosa contrasta alla volont, come questa a quella. Ora il nostro essere intel- lettivo, pu egli , ovvero non pu abolire laffe- zione dolorosa ? Se pu , certo lo fa: imperocch egli appunto vuole poterlo: se non pu, diciamo 18 Digitized by Google  a58  clie la forza, la quale vince il potere suo, non  immedesimata col principio attivo e spontaneo, e perci non  inclusa nellunit assoluta del no- stro essere intellettivo, perch altrimenti egli vorrebbe potere e insieme non vorrebbe , il che  manifesta contraddizione. Questa conclusione  al tutto esatta ed irrepugnabile; se non che ei pare contraddirla e opporlesi diametralmente il fatto medesimo della intuizione del dolore. Con- ciossiacli la resistenza che il dolore continua ad accagionare alla nostra spontaneit, non  cosa in nulla distinta da lui, n fuori dellunit asso- luta del nostro sentire. Si hanno quindi un fatto ed un raziocinio che mutualmente si escludono, comecch veri ambedue. La qual cosa mai non po- tendo stare, duopo  bene che si rinvenga alcun altro fatto interposto, per cui lapparente assur- do si sciolga e dilegui. Un tal fatto  lazione degli esseri esterni sopra di noi e lattitudine no- stra a riceverla. Perlocb il dolore, di cui  di- scorso, iu quanto resiste alla nostra spontaneit tiene doppia posizione e nellanimo e fuori; en- tro lanimo, perch  incluso nella sua unit ed  sua modificazione; al di fuori, perch  legato allazione di una forza esteriore, la cui efficacia pu in modo arcano penetrare fin dentro di noi. Cos il conflitto che insorge fra la nostra at- tivit e la nostra passivit cinsegna in un tem- po medesimo e le esistenze esteriori, e lazione Digitized by Google  25g  loro sopra di noi. Adunque, stringendo in tre sillogismi puri e coordinati il fin qui discusso, diciamo : Il nostro principio spontaneo  uno assolu- tamente, e raccoglie nella sua unit loggetto pensato. Ci pertanto che non  guari spontaneo e alla spontaneit contraddice  fuori di quella unit, il che Tale quanto, fuori di nostra mente. Ma il senso dei dolore non  spontaneo: e nulla di manco esso giace dentro lunit subbiettiva di nostra mente; e ne segue che noi vogliamo e non vogliamo ad un tempo solo. La contraddizione dei fatti  sempre apparente. Adunque dee esistere un terzo fatto, che spieghi le contraddizione anzi espressa, e fuori stando della spontanea unit abbia quotidianamente for- za di tenere uniti in un subbietto medesimo quello che  spontaneo e quello che no. Ma provare che dee esistere un fatto, estra- neo al subbietto pensante, e capace di tener quivi congiunto lo spontaneo e il non spontaneo,  pro- vare appunto che dee esistere qualche cosa fuori di noi c sopra noi operante. IV Quello che qui si dimostra per un caso al- quanto specificato  molto facile dilatare a tutti i casi possibili: conciossiach in niuno il princi- pio attivo e spontaneo domina a suo grado per- Digitized by Google  260  fellamente il multiplo percepito. Cbe anzi ogni poter suo sopra questo  sempre accidentale e sempre mediato, conforme cinsegna la quoti- diana esperienza. Ei si deve dunque fermare tale pronunziato generalissimo, cio, che i sentimenti tutti passivi del nostro animo accusano di ne- cessit V esistenza d una forza esteriore. Che se dai filosofi bene si fosse considerato quello cbe importa lunit del pensiero, Cartesio avrebbe esclusa per certo la possibilit duna forza oc- culta dell animo, generatrice delle idee, non me- no che la presenza dun genio malefico suggerito a lui dagli stoici. E cosi anco Fichetz non sarebbe corso a supporre cbe le percezioni esterne sieno vere operazioni della nostra spontaneit , con questo soltanto cbe venga impedito a lei di ser- barne coscienza. Il sentimento della nostra unit assoluta, cbe  vivo e profondo in ciascuno, fece dire a una voce ai filosofi cbe non si potevanoda noi percepire immediatamente le cose, ma ne addussero falsa ragione, allegando fuor di proposito che lanima non potea punto operare l dove non era. Reid e il Galuppi nostro combattendo simile allegazione mantennero cbe lanima percepisce immediata- mente le cose. Per conveniva loro considerare cbe simile conclusione rompe e distrugge l'nnit assoluta di nostra mente: conciossiach se le percezioni Digitized by Google -  26 1  nostre, in luogo dessere effetti correlativi del- lazione estrinseca delle cose, sono le cose esse stesse, o le qualit loro concrete, s fatte perce- zioni riseggono al tempo medesimo e dentro di noi e fuori di noi, appartengono indistintamente a due unit assolute, e sono modi comuni di due esseri sostanzialmente divisi; proposizioni tutte assurdissime. Noi siamo pertanto tirati dalla neces- sit a ripristinare il vecchio assunto della filosofia, il quale vuole che lanima nostra non percepisce, a rettamente dire, che le proprie modificazioni. V  da vedere al presente, quale passaggio prestano i nostri enunciati alla cognizione delle sostanze corporee, che  il secondo quesito circa la materia delle estrinseche realit.  prima si metta in ricordo , la possibilit di conoscere alcun che di esterno doversi ascrivere alla possi- bilit che hanno le cose di agire inverso di noi. Che poi lanimo nostro soggiaccia in fatto a nu- mero grande e continuo di azioni esteriori, ci viene certificato dallesperienza. Ora diciamo che tali azioni diversificano tanto fra loro quante percezioni diverse promovono. Di fatto largo- mento medesimo, in virt del quale viene dimo- strata in genere la presenza duna forza esterio- re, ne convince della variet del suo operare. Av- vegnach se la percezione passiva non  sponta- Digitized by Google 1  262  ilea, n tampoco sono spontanei i suoi cangiamen- ti, dai quali tutti si veste una forma identicamen- te passiva. Sinferisce da ci una dottrina genera- lissima, la quale a giudicio nostro  principio e riprova d ogni scienza ontologica : vale a dire che niente  nella parte passiva del nostro intel- letto, a cui non risponda a capello e sempre un correlativo estrinseco , quantunque non si cono- sca affatto da noi n la natura di esso correlati- vo, n quella dei suoi cangiamenti. Perci quello che il Poeta scrive del cielo , . . ; it Non si muove fronda n Laggi, che segno qui non se ne faccia , dee applicarsi aHa rispondenza continua del mon- do dei fenomeni e del mondo delle forze esterio- ri. Bene potrebbe il segno rassomigliare alle cose, e anco non rassomigliarci punto, ma questo  fuor di dubbiezza, che le forze esteriori da un lato, e le percezioni passive dallaltro, progrediscono, necessariamente in serie correspettive, e, per s dire, paralelle. Poste le quali cose, coloro che domandano di sapere se i corpi esistono in fatto, ovvero in sola apparenza, per mettere senso nel- la loro interrogazione, debbono voler domanda- re, se al novero di percezioni passive, che chia- miamo idea e conoscenza dei corpi, conviene al di fuori un altrettanto novero di realit efficienti e di azioni effettuate. Al che ci sembra avere rispo- sto qui sopra adeguatamente. Digitized by Google  a63  Ma tre questioni subalterne si agitano intor- no la realit degli esseri fisici. Conciossiaeb ta- luno domanda se le forze esteriori fisiche sono una cosa distinta dalla forza suprema e assoluta delluniverso, o, per opposto, selle sono sem- plici atti di lei e modi puri di sua sostanza. Chie- dono altri se le idee obbiettive sono rappresen- tanze vere dei corpi, e se fuori di noi sussiste una materia ed una estensione. In fine altri si du- bitano che le idee tutte dei corpi vengano a noi per mezzo dei sensi, e in vece le credono venire in gran parte dal fondo del nostro animo. Noi non agiteremo la questione promossa dai primi , perch ella  veramente materia speciale ontologica , e poco o nulla pertiene alla dimostra- zione generale dello scibile. Stantech per rispet- to a questa, la cosa, la quale importa sapere lu- cidamente e fuor di perplessit, si  il genere di legame che corre fra tutti gli esseri fisici e la pri- ma sostanza, considerata come cagione ultima ed efficiente di quelli: e tal legame sar cercato e discusso da noi a suo luogo. Riguardo ai secondi, rispondiamo ordinatamente cos : Le idee nostre obbiettive sono rappresentanze vere dei corpi in questo significato, chelle sono un correlativo ve- ro e preciso di quelli , non gi una copia somi- glievole o una impronta fedele ed esatta di loro forma; stantech niuna cosa potr mai dimo- strarci la somiglianza ovvero la dissomiglianza Digitized by Google  264 delle due serie paralelle dei corpi e delle idee. Chiedere poi , se fuori del nostro animo esiste al- cun che di esteso e di materiale ,  chiedere nuo- vamente se esiste alcuna rassomiglianza fra le idee e le cose. Ma qui  da spiegare in breve per- ch un dubbio s fatto viene sollevato special- mente sull essere esteso e materiale dei corpi e non sovraltre qualit. VI Il testimonio quotidiano dei sensi ci apprende che lazione dei corpi arriva entro noi per lo in- termedio dei nostri organi : pu dunque ricevere mutazione in tre modi: o col cangiar dei corpi, o col cangiare degli organi, o con luno e laltro insieme. Di qui  pure che le azioni conformi, an- zi identiche dei corpi esterni arrecano allaniino impressioni differentissime, secondoch giunga- no attraverso un mezzo differentemente condizio- nato. Cos la impulsione medesima che su i mu- scoli delle ascelle, scrive Galileo, va provocando un solletico fastidioso,  ricevuta senza noja sul- laltre parti. E da ci appunto cav Galileo la sua opinione, ripetuta di poi da mille filosofi , sulle primarie qualit e sulle secondarie della ma- teria. Primarie furono dimandate la solidit , lestensione, la figura, il moto e le procedenti da queste; secondarie furono dette le qualit del calore, della freddezza, del suono, del sapore, ed Digitized by Google  261  alcune altre. Stim Galileo le sole primarie esi- stere realmente nei corpi, e le secondarie essere pure affezioni del nostro spirito derivanti dalla struttura diversa degli organi. Laonde tutta la variet che nellazione dei corpi rilevasi pens ridurre alla semplice variet del numero, della grandezza, figura, moto e impulsione degli ato- mi, cio a dire, a semplici modificazioni delle qualit primarie dei corpi; ed in tale significato pronunci il Campanella , tre secoli innanzi Con- dillac ed innanzi Bonnet, che ogni senso  una forma di tatto, e ogni sensazione  per un mo- to dell organo. 11 progresso poi degiudicii, per cui il Galilei pervenne a determinare la sua ipo- tesi, fu probabilmente quello che segue. E pri- ma not che, vedere un suono o un sapore venir fuori da certa azione delle primarie qualit non  in s medesimo pi misterioso che vedere esse qualit prender nascimento da certa azione co- stante delle forze corporee. Ma quando sia vero che i suoni e gli odori abbiano la lor cagione im- mediata ed efficace nelle primarie qualit, o vo- gliano dire in certa estensione ed in certo moto, onde viene che dove  estensione e moto non ap- pariscono sempre n odori, n suoni, n laltre qualit secondarie? Cosi pure, se le cagioni im- mediate delle qualit secondarie sono modi spe- ciali di estensione e di movimento, onde viene che i loro effetti non sono egualmente modi spe- Digitized by Google  i66   ciali dun medesimo genere? Attesoch per varia- re che facciano la solidit e la figura dei corpi , il numero e limpulsione degli atomi, tali can- giamenti rimangono sempre nella sfera generale dell'estensione e del moto: laddove ogni qualit secondaria che se ne produce riveste una forma differentissima; e per fermo, ninno saprebbe ri- levare ombra danalogia tra un odore e un suo- no, tra il suono e il calore, tra il senso del gusto e quello della freddezza. Lassioma pertanto, il quale assegna a ciascun effetto origine conforme 0 proporzionata, fa forza alla mente per suppor- re una qualche cosa intromessa fra le primarie qualit e le secondarie, e che sia di queste secon- darie cagione diretta e confaciente. Pu il fatto nuovo, del quale si cerca, dimorare in mezzo fra 1 corpi e gli organi, ovvero nascondersi nellinti- ma costruzione di questi ultimi. Ma ogni fatto, che fino qui s veduto interporsi tra gli organi nostri ed i corpi, non ha presentato a dir vero al- tre maniere di essere n altre qualit, salvo le primarie sopradescritte. Cos p. es. nei fenomeni del suono laria, stimata cagione diretta ed effica- ce di esso, non lascia in ultimo vedere di s, se non certa forma di estensione, di resistenza ed di moto. Da ci Galileo fu menato a concludere che i fatti tutti intermedj fra la materia e il nostro organismo non sono altra cosa che speciali modi- ficazioni delle primarie qualit. Resta che per Digitized by Google  267  mettere giusta conformit tra leffetto e la cagio- ne, la diversa indole del primo, cio, delleffetto, venga attribuita alla natura occulta e diversa de- gli organi, la quale  cos il vero fatto interme- dio e trasformatore dellazione dei corpi. VII Comparando ora tutto ci a quello cbe s de- finito circa la realit obiettiva, noi restringiamo la dottrina delle primarie qualit e delle secon- darie dei corpi, ai quattro capi seguenti: Dicia- mo per primo, cbe ambedue le classi di qualit sono rispetto a noi modi varj del nostro essere, e rispetto alle cose, azioni varie di forze esterio- ri. In quanto sono avvertite e riferite da noi al di fuori prendono nome di percezioni. *2 Le qualit primarie dei corpi, come sono per noi fenomeni universali e costanti, cos per le forze esteriori sono atti perenni ed universali. Le qualit secondarie sono in vece, riguardo a noi e riguardo alle cose, atti temporarjdi natura speciale. 3 Le qualit primarie antecedono continua- mente e accompagnano lapparizione delle qua- lit secondarie ; perci quelle sono reputate ca- gione di queste. Ma non correndo fra loro visi- bile analogia suolsi cercare un medio fenomeno cbe sia legame delle due serie di fatti, cio sia cagione diretta e proporzionata delle qualit se- Digitized by Google  a68   condarie. Per nei corpi qualunque fenomeno sembra risolversi in modi puri di estensione e di moto: negli organi la facolt trasformatrice del- lazione dei corpi sembra nascondersi nel pi oc- culto seno del principio vitale e del principio sen- sitivo. Pu dunque rispetto a ci riconoscersi per esatta lasserzione della scuola scozzese, la quale sentenzia che le qualit secondarie rimangono tuttavia ignote nella loro cagione , laddove le pri- marie sono manifestissime ed evidenti. 4" Neghiamo risolutamente alla scuola scoz- zese che le primarie qualit vengano percepite non quali appariscono, ma quali sono in concre- to fuori del nostro animo. Vili Di presente scendiamo allaltro quesito circa l'obbiettiva origine o la subbiettiva delle idee ge- nerali dei corpi. Esprimendo e dichiarando cotal quesito nel linguaggio comune, ei vuol doman- dare, se fra le idee generali di corpo havvene cer- te, le quali non derivino guari dai sensi, n da realit alcuna esteriore, ma , sorte dai segreti ri- cetti del nostro animo, sieno riferite ai di fuori per una perpetua necessit e un perpetuo inganno dellumana intelligenza; la qual cosa posto che fosse, ogni prova della realit delle cognizioni umane  impossibile. Debbesi pertanto dimostra* re da noi, contro Kant e pi altri Razionalisti, Digitized by Google  }.&)  clie il senso comune non va errato, allorquando crede e giudica che le nozioni tutte dei corpi ri- trovano un obbiettivo reale estrinseco. E con- tro Reid debbesi dimostrare che il senso comune crede e giudica tali cose non istintivamente, ma per lume razionale, e per sensata esperienza. Ma perche in questo capo non cadono tutte le mate- rie attinenti alla nozione generale e completa dei corpi , noi vi proveremo soltanto la realit este- riore delPestensione, della sostanza, dellunit, della totalit e del numero. Altrove savr di- scorso dello spazio, del tempo, della successione, della causalit e daltro. E, per cominciare dal- lestensione, sembra a noi evidente, dopo i con- cetti esposti sulla realit estrinseca, che le forze perenni esteriori cagionino entro noi per linter- medio de' nostri organi la sensazione del continuo resistente. Che sia poi cotesto continuo e di qual maniera le sue parti vengano sentite luna fuori dellaltra , confessiamo di non saperlo, e ne la- sciamo limpresa ai cercatori delle origini psi- cologiche. IX Quanto allidea di sostanza, noi, leggendo quello che ne sta scritto in pi libri e da pi fi- losofi, cimbattiamo a vero dire in definizioni dif- ferentissime. L una  di Locke e desuoi seguaci, i quali pensano che il sostegno immaginato dagli Digitized by Google   27  uomini al gruppo delle qualit corporee  fittizio e non reale: perci concludono che la sostanza o  il gruppo e la collezione di tutte le qualit, ov- vero non  nulla. Kant definisce la sostanza, una forma del nostro intelletto per la quale ogni mu- tazione  riferita da noi necessariamente a un so- stegno reale immutabile. Noi rifiutiamo egual- mente il concetto di Locke e quello di Kant, im- perocch luno e laltro negando la realit ob- biettiva della sostanza contraddicono al giudicio comune degli uomini. I Cartesiani daccordo coi vecchi Peripatetici definirono la sostanza, ci che esiste per s me- desimo; i Leibniziani, ci che determina e non  guari determinato ; alcuni moderni la definisco- no un soggetto che si modifica. A noi non impor- ta per ora discutere quale di queste definizioni sia la vera ed ottima; conciossiach noi troviamo che la realit obbiettiva esteriore si conf con ciascuna di esse. Di fatto , se la sostanza  ci che esiste per s medesimo , noi riflettiamo che ap- punto le realit estrinseche non dipendono per esistere dai fenomeni onde sono operatrici, ma si questi da quelle dipendono onninamente: dun- que in riguardo a noi le realit estrinseche esi- stono desistenza assoluta. Unuguale ragione pu farcele giudicare esistenze determinanti e non guari determinate, da che niun fenomeno le de- termina e sono esse determinutrici dogni feno- Digitized by Google meno: se poi piace meglio definire la sostanza un soggetto che si modifica , vedesi verificato ci nei fenomeni cos bene come nella realit este- riore. E per fermo , chi pu nei fenomeni fisici non avere osservato questo, cio, che in seno alle variet infinite, onde sono capaci, sempre rimane in loro la medesimezza inalterabile dellesten- sione corporea, vale a dire, duna solidit conti- nua, figurata e mobile? Ora cotesta medesimez- za  appunto il soggetto obbiettivo perpetuo delle variet fenomeniche. Ma chi ben si ricorda il de- terminato da noi sullobbiettiva condizione d-cle idee, vedr che a un tale soggetto modificabile risponde forzatamente un soggetto modificabile estrinseco, il quale ed esiste per s e sottost alle apparenze sensibili; due cose che esprime e di- stingue la definizione della sostanza a noi tra- mandata dal Campanella. X Costituita cos la realit obbiettiva della so- stanza, non par difficile dedurne laltra della unit. E prima si noti cbe , a vero dire , non suol- ai da alcuno riconoscere nelle cose esteriori lunit perfetta e assoluta , ma certa unit relativa che potrebbe denominarsi unit di complesso. Per il relativo non sussiste , se non per cagione dellas- soluto: e qui pensasi da taluno che lassoluto Digitized by Google *  >7 2  dellunit risegga nel solo nostro animo, e di l sia trasportato per certa similitudine alle cose esteriori. Noi giudichiamo die, sottrarre agli ele- menti dei corpi la furma assoluta dellunit, ap- porti seco la distruzione di quell' identico che giace in loro senza mutamento alcuno possibile. E per fermo, il soggetto obbiettivo perpetuo delle variet fenomeniche che  egli mai, salvo una continua identit percepita in fondo al variabile? Ora se la identit si mostra continua , n soppor- ta ombra dalterazione, in che guisa potrebbe scomporsi e dividersi? E di vero si metta incon- siderazione che lo spezzarsi e il dividersi degli, aggregati corporei scioglie bens lunit relativa, ma non lassoluta dei loro elementi, perch non mai si verr a capo di sciogliere e di separare luna dallaltra certa estensione , certa figura e certa solidit; che anzi in vece di separarle, la divisione le ripete e moltiplica immensamente. Che se l esperienza non giunge alla percezione diretta degli atomi, la ragione ci persuade della perseveranza necessaria della loro unit. Con- ciossiacb la divisione, protratta eziandio allo infinito, mai non potr fare che lesteso corpo- reo non sa sempre esteso corporeo, cio un con- tinuo , figurato, impenetrabile e mobile. Laonde la divisione infinita non pu avere altro effetto che di moltiplicare infinite volle lunit corporea assoluta. Si vedr poi altrove, come questo Digitized by Google  a73  fenomeno perpetuo dellunit obbiettiva , ri- posi sopra ragioni immutabili e necessarie. Di presente osserviamo cbe lidea di numero sorge per appunto dallidea delluno moltipli- cato con s medesimo; lidea poi di totalit sca- turisce naturalmente dal rilevare e distinguere delle parti assolute nellunit relativa, e vice- versa delle parti relative nellunit assoluta. Ma chi cercasse, come si provi esistere fuori di noi alcun tutto relativo, o sia composto di parti as- solutamente distinte, rinverrebbe questa solu- zione. Ci che  diverso racchiude separazione di essere e quindi multiplicit ; perocch bene ci avverte Campanella, che pervenuti allultima analisi vediamo il simile convertirsi nelluno, e il dissimile nel multiplo. Ora il vario, il quale  nelle nostre idee, venendo racchiuso nellasso- luta unit del principio spontaneo , compone di forza non pi che un multiplo relativo: non cos accade fuori di noi, ove mancando lassoluta unit , che il nostro essere proprio ed attivo pro- duce, le cose diverse rimangono assolutamente distinte , e compongono una assoluta multipli- cit. *9 Digitized by Googl  274  CAPITOLO VI Dello spazio. I Lo spazio  reale. Il vacuo ed il pieno sono due cose /adenti una sola: e non diciamo il vacuo essere nulla ; ma lo diciamo base dei corpi.  Campanella, Univ. Phil., P. I, L. I, C. IX.  Stoltezza  fingere che i corpi si muovano per lo vano.  Vico , Dellantic. Sapien. deglitaliani.  Lo spazio  continuo. L' altissima ed ultima resoluzione (dei so- lidi) si fa nei componenti non quanti e infini - ti. 7  luta del nostro principio pensante  trovata certissima, noi non chiederemo pi innanzi, e proseguiremo a dedurne le conseguenze dirette e legittime. Prima fra queste  la dimostrazione del tempo, o vogliamo dire del cangiar delle co- se; avvegnach per le prove addotte qui innanzi, acquistasi piena certezza che veramente dentro di noi una esistenza allaltra succede con divisio- ne assoluta distanti. La seconda conseguenza le- gittima  una rigorosa dimostrazione della dura- ta obbiettiva ; imperocch quella, la quale scri- vemmo di sopra, si applica unicamente alla du- razione presa per sinonimo di successione di- screta. Soggiungiamo ora, la prova del continuo subbiettivo trarre seco indubitatamente quella eziandio del continuo obbiettivo, il che viene fatto manifesto in simile guisa. La successione dei fenomeni esterni  passiva, e accusa fuori di noi una serie correspettiva di fatti. Ma successio- ne senza durata non pu sussistere ; dunque eziandio alla durata risponde un correspettivo estrinseco. La minore si prova cos. Successione senza durata alcuna  successione di punti conti- gui, cio penetrantisi luno laltro. Una tal suc- cessione risolvesi tutta quanta in un punto unico geometrico, vale a dire che si annichila da s medesima. La durata  dunque essenziale a far sussistere la successione. Ora diciamo che tal durata  una e continua perfettamente, cio non Digitized by Google  3o8  suscettiva di divisione.  per vero quando si af- fermi il contrario, e si reputi la successione con- stare di molte durate, ecco quello che ne di- scende. Tali durate o sono finite o sono infinite: non sono il primo perch del finito si pu pensare il pi e il meno, cio laccrescimento o la sottra- zione delle parti, o vogliam dire, la divisione; perch non si d che un solo infinito. Ma di pi, ricorre qui esattamente il discorso di gi tenuto circa lo spazio, l dove provammo che in lui non sono parti , a cagione che niente pu avere per lui virt discretiva. E cosi della durata di- remo che niente potremo dividerla, non il nulla di durata, non cosa simile a lei, e non cosa dis- simile. La durata pertanto  una assolutamente, e continua in perfetto modo, cio indivisibile e illi- mitata. Laonde  da giudicare che la successione obbiettiva esterna, conforme a tutte le altre suc- cessioni possibili, senza avere in s la durata, accade nel soggetto durevole, e che questo sog- getto  realmente fuori di noi, perch da un lato la successione obbiettiva  nostra passione e non vien prodotta da noi; dall altro non pu farsi luogo alla successione senza subbietto durevole. Adunque due cose sono essenziali, perch il fe- nomeno del cangiamento abbia luogo. La succes- sione degli esseri nella durata continua esterna, Digitized by Google  3og   il sentimento simultaneo di quella nella durala continua del sabbietto pensante. Tolto il primo fatto,  tolta insieme la successione: e cbi leva il secondo, leva la possibilit di concepire la suc- cessione. Ma si venga al presente a considerare che non possono coesistere due durate continue, distinte assolutamente l una dall' altra: avvegnadioch , come si distinguono elle in modo assoluto, e pur non sono dissimili? o come si distinguono assomi- gliandosi e pur non si limitano?  daltra parte il continuo ba di sua natura essere illimitato : oltre di che niente esiste, come notammo parlan- do della nozione di spazio, da cui possa dividersi realmente il continuo. Conciossiacb n il diver- so, n il simile hanno questa efficacia. Se per- tanto nelle cose viene scoperta una durata conti- nua, certi siamo che nulla pu separarla dal con- tinuo di durata, il quale risiede per entro il nostro essere. Adunque la durazione delle cose, e la durazione del nostro me sono identiche perfetta- mente, ma appariscono in due subbietti estrin- seci e indipendenti luno dallaltro. Quindi viene chiaro il concetto comune a tutti gli uomini di riguardar la durata, come unica e per tutto iden- tica a s medesima e non capace di annientamen- to, per guisa che immaginando pure la distru- zione di tutte le cose, ella non di meno perseveri immutabile e universale. E per fermo se il con- Digitized by Google  3 io  tinuo di dorata potesse perire, potrebbe aver li- mite e mutazione, cio potrebbe essere il contra- rio di quello che importa lessenza sua Ma da cotesta universale teorica della durata emana eziandio un principio ontologico, da eui si  tratti a riconoscere patentemente, e senza rischio derrore, lassoluto delle cose. E per fer- mo egli  un principio apodittico questo, che la durata e la successione, quantunque possano rin- contrarsi nel soggetto medesimo, conservano tut- tavia ( guardate ciascuna da s e per s ) un essere proprio e distinto, dacch l una ha per essenza il continuo, e il discontinuo laltra. Da ci viene ma- nifesto, che s net principio nostro pensante, e s* nelle cose esteriori, risiede un essere necessaria- mente immune di variazione, e identico perenne- mente a s stesso: il cbe porta e solleva al fine il nostro intelletto alla vera nozione della sostanza, cio al subbietto uno, continuo ed immutabile, assoluto e non relativo , sostegno di tutti i modi, o vogliam dire di tutte le mutazioni. E con tale definizione della sostanza si afferma di nuovo e si perfeziona quello che ne fu motivato nellarticolo antecedente, ove provammo la realit sua obbiet- tiva. Si disse allora qualunque subbietto feno- menico trovare un ignoto correspettivo esterno. Ora si dice esistere di l dal fenomeno un reale assoluto, subbietto vero e immutabile di ci cbe cangia o pu patir cangiamento. Rispetto poi allo Digitized by Google cose estrinseche, error grave sarebbe di reputare quelle identit fenomeniche (le quali vediamo sussistere per mezzo infiniti modi variabili ) come la costante e immediata manifestazione dei sog- getti continui, identici cd assoluti. Imperocch niun fenomeno materiale giunge a nostra notizia senza intervento alcuno di moto, n il moto ac- cade senza alcun cangiamento: onde la immuta- bilit dei fenomeni riducesi a questo, che in di- sposizione uguale di cose ritorna sempre la mu- tazione medesima: bene  vero per che costanza s fatta tiene la sua ragione ultima nel subbietto immutabile ed assoluto, il che sar meglio veduto pi innanzi. * Verso il principio nostro pensante ricorre una contemplazione non molto dissimile. Con- ciossiacb l identico fenomenico, il quale sentia- mo giacere in fondo a tutti i modi della nostra spontaneit, non pu dirsi immune affatto da cangiamento. E per fermo, ogni volta che razio- ne estrinseca sopra di noi sestingue e muore del tutto, cessa pure il sentimento del principio no- stro cogitativo. Quindi  da concludere per certa scienza, cbe oltre il me fenomenico risiede dentro di noi un subbietto continuo ed immutabile, non palese alloccbio del senso intimo, ma soltanto a quello della ragione, e cbe in lui  riposta la no- stra sostanza e in lui lassoluto del nostro es- sere. Digitized by Google 3 1 2   Vili Quest  lanalisi e verificazione del concetto della durata e del tempo, partendo dalla prova del fatto medesimo della mutazione. Noi stimia- mo aver dimostrata la realit della successione, e quindi la realit eziandio del tempo che n il termine di confronto. Noi stimiamo pure aver dimostrato, che il durare non  soltanto del no- stro subbietto spontaneo, ma altres degli oggetti esteriori; eh esso non  relativo, particolare e discontinuo, ma assoluto, universale e continuo perfettamente ; che il me dura identico per prova dintuizione, dimorando in lui lapprensione si- multanea del cangiamento , e questa portando seco lesistenza del continuo immutabile; che i subbietti esteriori durano identici per prova de- dotta dalla natura dei fenomeni successivi ; che sotto i fenomeni o mutabili o identici esistono le vere sostanze, in cui risiede lassoluto di tutte le cose , e quindi il me che sul principiare del ca- pitolo venne riputato identico per semplice prova sperimentale, rimane ora provato identico per dimostrazione invincibile dedotta dalla forma per- petua dellatto dintuizione. Simili verit coinci- dono coi dogmi del senso comune, e bastano a garantire quella porzione s grande e quasi infi- nita dello scibile, la quale appoggia sul passato, e raccoglie i frutti del tempo. 1 Razionalisti di- Digitized by Google  3 1 3  struggono tutte le prove di tal porzione dello scibile, mantenendo che levidenza del passato, lidentit del nostro principio spontaneo, la du- rata posta fuori di noi, e concepita assolutameli- te, o sono verit rivelate da altrettanti giudici! a priori istintivi, o forme della sensibilit appa- renti e non reali, subbiettive e non obbiettive. Daltra parte i Locchiani rompono essi pure e sconvolgono ogni prova del tempo ; affermando che la durata consiste soltanto nella successione dei cangiamenti, e chella  relativa ed applica- ta alle cose tutte per astrazione. Ma ci che dif- ferenzia singolarmente la nostra dottrina sul concetto del tempo da quella daltri filosofi si  lavere scoperta in esso una transizione legittima alia notizia trascendente delluomo e della natu- ra: e a noi sembra questa la prima volta che la filosofia vi giunge per cammino sperimentale, e posti da banda tutti i giudicii istintivi, le idee innate, le forme a priori e le mistiche rivela- zioni. IX A. molti  parso andar cercando, non senza profitto, le relazioni correnti fra la durata e lo spazio: noi ne toccheremo quel poco, il quale si applica drittamente alla realit dello scibile. Dicemmo pi sopra , Io spazio e la durata es- sere misurabili luno dallaltro, il che non po- Digitized by Google - 3i4  trebbe succedere senza intervento fra loro di al- cuna qualit identica. Conciossiach misurare, vuol dire applicare il simile, un segnato numero di volte. Notammo altres questa medesimezza comune essere prestata dal moto, in cui necessa- riamente concorrono la durata e lo spazio, e il quale per ci tiene legame didentit cou amen- due. Di fatto nel moto equabile sorgon due serie procedenti con termini paralelli, cio uguali nel numero e nella quantit rispettiva. 1 minimi sensibili dello spazio e della durata tengono proporzione con le facolt nostre orga- niche e intellettuali. Imper non debbe nascon- dersi che animali organizzati assai differente- mente potrebbero entro quei minimi percepire un secolo interno, e la lunghezza dellorbe ter- racqueo, o, all inverso, potrebbero nei nostri secoli e nella lunghezza di tutto il globo distin- guere appena un minimo di tempo e di spazio. Ci per altro non fa cadere quei due subbietti universalissimi, lo spazio cio ed il tempo, dal- lassoluto nel relativo, e dal reale nellapparen- te, siccome sembra ai Locchiani: soltanto si ri- conferma con questo il detto e asseverato da noi pi volte, essere le divisioni e misure dello spa- zio e del tempo semplici fenomeni, di cui lasso- luto risiede nel puro continuo. In ciascuna di- sposizione poi di esseri sensitivi, i fenomeni ser- bano leggi e proporzioni invariabili, e cos fanno Digitized by Google  3 1 5  - del pari fra ciascuna diversa specie di esseri sen- sitivi. Laonde se vivesse mai un gigante con for- ma e struttura, quale ci vien descritta dall Ali- ghieri, ove parla del re Nembrotte, e ci fosse ben conosciuto il termine suo relativo di durata e di spazio, noi ne faremmo con noi medesimi quel paragone esattissimo, che sogliam fare fra un cerchio segnato su di una carta e lambito im- menso dellequatore, o del meridiano. La ragio- ne di tutto questo risiede in ci che i fenomeni di durata e di spazio, o si voglia guardarli nelle nature sensitive, o negli oggetti esteriori ad esse, avvengono sempre entro a subbietti eterni e im- mutabili, e da altrettali subbietti si partono. La durata e lo spazio comunicano insieme la loro infinit respettiva, cio a dire che la durata  per tutto lo spazio, e questo persevera nella lunghezza eterna della durata.  prima, che la durata sia in tutto lo spazio lo provammo noi qui sopra, l dove dicemmo, ogni cosa dover comin- ciare o essere eterna. Se comincia,  nel tempo e quindi nella durata : se non comincia e pur coe- siste con gli esseri temporali, essa dura perfet- tamente continua. Che lo spazio poi perseveri nella durata senza mai fine, si trae da quello che fu concluso intorno i subbietti immutabili. Ora, lo spazio  vero subbietto. Perch da una parte egli non  un fenomeno nato da azione e accom- pagnato da alcun movimento; ma  semplice in s Digtized by Google  3i6  medesimo, e identico in perfetta guisa. D'altra parte, egli riceve in se tutti i modi deilestensio- ne e tutti i fenomeni del movimento. Adunque come vero subbietto, lo spazio dura continuo, cio eterno e senza possibile mutazione. Per simigliante maniera stimiamo essere per- venuti alla certa analisi delle due forme perenni della sensibilit, immaginate da Kant, e da lui reputate nodo insolubile, e sicuro naufragio dei filosofi sperimentali. Noi vi riponiamo quella rea- lit che il filosofo di Konigsberga avea atterrata e distrutta , e riconosciamo in loro per virt le- gittima di raziocinio tutte le qualit trascenden- ti, onde il senso comune suole arricchirle. CAPITOLO Vili Delle certe reminiscenze. I La riflessione  base del giudicio memorativo. j4ltro  V atto con cui la mente concepisce la pietra , ed altro  V atto col quale concepisce avere essa concezione.  S. Tom. Sum. P. I, Q. LXXXVII.  Il principio pensante ha un perpetuo sentimento di s medesimo.  Andr. Digitized by Google  ji7  Cesalpino, Qusest. Peripat. Quaest. Vili.* L a- nima sente di sentire. .  Campanella, Unir. Philos. P. I,C. IV.  La riflessione base della memoria  attira e passiva. L atto retto e il riflesso debbono dirsi uno , o distinti , secondo il riguardo con cui si con- templano. E , quanto alla forza spontanea , ella  sempre identica , sia che si stenda sopra V oggetto, ovvero sul proprio atto , e cos il pensiero diretto e il riflesso dovrebbero sti- marsi non pi che uno. Ma d'altra parte il pensiero riflesso e ricevuto come un certo oggetto pensabile della medesima forza spontanea , e sotto tale riguardo i due atti , o pensieri , sono da stimarsi distinti di numero.  S. Tom. Quarta P. Sum. Q. XXIX.  La memoria ap- partiene alla potenza passiva. S. T. Tert. Sec. P. Sum. Q. XCIIl.  L* immaginare fu dai Latini appellato memorare: da che non pos- siamofingere , se non quello che  ricordato, n ricordare , se non quello che fu realmen- te per li sensi trasmesso. Vico , Dell Antic. Sap., ec. *  Possiedono le realit fino qui messe in chiaro Digitized by Google  3 1 8  un doppio attributo, del durare, cio, e del per- mutarsi: quindi elle non vanno escluse l una dallaltra per quel sol modo che vien chiamato separazione di sostanza e di luogo, ma per un altro eziandio , che addomandasi successione. L uomo poi fornito della facolt di riconoscere e giudicare la successione e riproduzione dei fe- nomeni in s e nelle cose, trascende per tal modo il presente e prolunga le sue notizie nel tempo. Questa facolt detta memoria, e talvolta remini- scenza ,  fonte e veicolo della pi gran parte dello scibile. Ma la memoria  dunque buon te- stimonio del vero? Imperocch se lintuizione immediata ci avverte del cangiamento, non per questo ci fa giudicare della certa riproduzione dei cangiamenti passati.  per fermo, altra cosa  sapere che i fenomeni si succedono, altra cosa  sapere che ei si ripetono, altra riconoscerli parti- colarmente, e fare stima dei gradi e termini della loro identit. Come dunque la memoria pu sta- bilir tutto questo con certezza infallibile? O ve- ramente diremo col Reid e con altri filosofi che levidenza memorativa  per istinto e non per ragione?Ccrto in nessuna filosofia troveremo nep- pure tentata la dimostrazione della evidenza me- morativa , nel modo che il Reid stesso cel fa sa- pere. Della qual cosa non  per altro da maravi- gliare gran fatto, qualvolta si pensi che i feno- meni pi frequenti e comuni deHintelletto pi Digitized by Google  3 1 9  di leggieri trapassano senza esame e contesa, cagione clie i vecchi e profondi abiti della mente illudono gli sforzi della meditazione filosofica. Il qual fatto si  pur veduto ripetere circa il prin- cipio causale, la cui legittimit non fu prima di Davide Hume n dubitata n discussa. Quanto a noi, per la convinzione, che ci arrecano le mas- sime nostre metodiche, continueremo dicendo, che o non vha dimostrazione possibile della cer- tezza memorativa, o quella dee sorgere e conva- lidarsi da un nuovo esame dei fatti raccolti e chiusi entro lintuizione immediata. II Per nostro avviso il fatto costante ed univer- sale, donde scaturisce la prova delle certe remi- niscenze,  cotesto. La mente umana ha virt dinflettere sopra se stessa e di meditare i suoi proprii atti. Cos verbigrazia in ogni tempo e in qualunque condizione dellanimo data  a cia- scuno la facolt di convergere sopra se stesso e giudicare che pensa. Ora chi nota bene simile giudicio intuitivo giunge alle conclusioni seguen- .a-- ti. Io penso, vuol dire, io osservo me stesso nel- latto di cogitare: ci vuol dire altres con pa- role poco diverse: Io penso, chio sono quel desso che pensa. Quest' ultima frase ha due mem- bri, ciascuno dequali esprime un otto del nostro spirito, e vien regolato da un subbietto comune, Digtized by Google   3ao  anzi identico. Ora diciamo che lidentit del sabbietto grammaticale delle due proposizioni , rappresenta un fatto certo e perspicuo dellin- tuizione immediata ; cio a dire che il me che pensa vien trovato lo stesso me, il quale sac- corge de suoi pensamenti. E per vero la mente nostra affermando di riflettere sopra se stessa e di pensare chella pensa, afferma tacitamente di sentirsi e di riconoscersi la medesima nei due atti di concezione fra i quali statuisce il giudicio. Di questa maravigliosa facolt, onde lanimo pu guardare se stesso, come in ispecchio, e ri-* conoscere la medesimezza corrente fra il sub- bietto e lobbietto, noi troviamo appena qualche parola nei libri degli ideologi , quasi che sia ma- teria la pi patente e la pi ovvia del mondo. A noi pare in vece chella nasconda di molte cose arcane e difficili. Ma lasciando da parte, secondo il nostro istituto, quello che non  intrinseco alla tesi attuale dei giudicii memorativi, noi il- lustreremo il fatto della coscienza riflessa per quanto importa a provare chei non esce in al- cuna maniera dallintuizione immediata, e riceve per conseguente il grado medesimo di certezza che a quella compete. La prima cosa da rilevare si , che mai non potr il principio spontaneo osservare gli atti suoi proprii, o, come suol dirsi, averne coscien- za riflessa, qualora non li cangi da modi subbiet- Digitized by Google   t vi in modi obbiettivi; conciossiacb osservare  attendere di proposito sopra un oggetto. Egual- mente non mai potr esso principio riflettere gli ulti suoi peculiari, senza crearne uno nuovo di natura subbiettiva; imperocch osservare vuol dire altres produrre un modo subbiettivo e de- terminato di spontaneit. In terzo luogo , fra i due atti lun subbiettivo e laltro obbiettivo co- stituenti la riflessione del principio spontaneo su di se stesso mai non si potr far cadere giudicio atcuno conoscitivo, senza alterare la lor natura. Perch nel punto che si vorr con un terzo atto giudicare e affermare i due, luno che  subbiet- tivo diverr di forza obbiettivo. Altrettanto ac- cadr del terzo, quando alla sua volta sar sot- toposto a un giudicio conoscitivo, c cos all infi- nito. Visto ci, e tenuto per fermo, segue il domandare per quale altra via (poich quella del giudicio conoscitivo si dehbe escludere) lani- mo nostro convergendosi sopra di se medesimo, giunge a percepire la identit propria nei due atti componenti la riflessione. Or qui sattenda con diligenza al discorso che segue. Alcuno cer- tamente non  per negare che sentire una cosa o volerla non sia distinto e separato dal far rifles- sione su latto del sentire e sullatto del volere. N manco dir alcuno che la realit di quel sen- timento e di quel desiderio dipenda in nulla dal- V atto di riflessione. Allorch dunque la mente 22 Digitized by Google i  322  osserva i proprii pensieri, e la forza spontanea divisesi in obbiettiva ed in subbiettiva , noi di- ciamo non esser guari necessario un secondo atto di osservazione , perch tra il subbietto e l ob- bietto si concepisca lidentit. E di vero, la no- stra mente, semplice come , e impartibile di sua natura, non pu a meno di non accogliere il sentimento di tutto quello che  in lei , e di non concepire nel centro assoluto della sua unit le differenze e le somiglianze. Perci qualora la no- stra mente inflette sopra se stessa e con moto spontaneo osserva i modi appunto della propria spontaneit, il senso della medesimezza fra il subbietto e lobbietto  forzatamente determi- nato dalla loro presenza, e nel ceutro assoluto della facolt sensitiva  uno e indivisibile. Bene sta, per quel che si  scritto qui avanti, che lanimo nostro non possa avere di tal sentimento una coscienza riflessa; ma questa, riconoscendo di poi e affermando la concezione dellidentico, non la crea, n lamplifica, e solo testimonia allanimo nostro ci che esisteva indipendente affatto da lei. Il sentimento adunque della mede- simezza, riposta nei due atti della spontaneit, obbiettivo e subbiettivo,non ricerca per lessere suo alcun giudicio conoscitivo apposito. Ma assai s detto circa il fenomeno della coscienza ri- flessa. Digitized by Google  3^3  III E per farne al presente idonea applicazione all evidenza memorativa, diciamo per primo che ogni ricordanza include uninflessione del prin- cipio spontaneo sopra se stesso, attesoch in cia- scuna di quelle l'animo nostro pensando alle idee ricordate, pensa allatto di se medesimo che con quelle si riproduce. Havvi dunque nelle ricor- danze il paragone di due stati di nostra mente e la percezione del me identico. Ma ci che distin- gue la ricordanza dal puro atto di riflessione  limplicito giudcio, col quale si nota e safferma che luno di quei due stati dellanimo non  nuovo n primitivo, ma bens  riprodotto e si- miglievole al gi avvenuto. S fatto giudicio come si appone egli al vero? e per quali argo- menti si prova che la perfetta evidenza , con cui saccompagna il pi delle volte,  razionale evi- denza, e non istintiva, e mette radice siccome l altre forme intellettuali di gi discusse nella certezza apodittica dellintuizione immediata? Ora noi stimiamo che la prova di tutto ci viene offerta assai chiaramente dallimpossibilit del contrario. E questa impossibilit  arguita con gran sicurezza dal confronto ed esame puro dei fatti, i quali appariscono perpelualmente nel- latto del ricordarsi e costituiscono la natura dell umana ritentiva. Digitized by Google  324  li primo di tali fatti si  che lazione nostra spontanea, la quale si riproduce insieme con le idee ricordate, sempre si riproduce obbiettiva- mente. E per fermo, se non fosse obbiettiva, modo non resterebbe a noi di separarla e distin- guerla dall altra subbiettiva e contemporanea, onde si forma la concezione delle idee ricordate. Cosi interviene assai di frequente che mancando la riproduzione obbiettiva delle azioni nostre- spontanee, molti concetti e molte immaginazioni non si lasciano riconoscere per ricordanze: come quando si fa al pensiero l'idea dun luogo, o il suono d un armonia , e crediamo averli creati e trovati noi stessi fantasticando: laddove Bon ap- pena con quellidea di luogo e con quellimma- ginata armonia si riaffacciano gli atti primitivi spontanei, a cui luna e laltra si riferiscono, no reputiamo luna e laltra due vere e semplici ri- cordanze. 11 secondo fatto  chei non pu sor- gere nell animo nostro la visione dalcun suo moto, senza che tosto esso animo (qualmente no- tammo della coscienza riflessa) non riconosca se medesimo in quello: il che succede per la sem- plice intuizione immediata dei due sentimenti' spontanei, subbiettivo e obbiettivo. Il terzo ed ultimo fatto  che lazione spontanea, la quale si rinnova obbiettivamente insieme con le idee ricordate, sentesi da noi come non prodotta e non compiuta nel tempo in cui losserviamo : e Digitized by Google  3^5  questo pure accade, in virt del lume interiore, il quale  buono e unico testimonio dei fenomeni della coscienza.  perch si veda quel sentimento medesimo accompagnare ogni sorta di ricordan- ze , giova considerare un poco la lor condizione generica. Diciamo pertanto che gli atti delia me- moria quanti ne sono mai, si dividono in sole due classi : in reminiscenze ed in ricordanze. Queste ultime abbracciano qualunque rammemorazione di cose, che torna impensata ed involontaria: quelle prime, ogni rammemorazione, che sorge in sequela degli sforzi iterati della volont , e che Aristotile contraddistinse coi vocabolo remini - scienza. Or quanto alla seconda classe, non fa bisogno mostrare la condizione sua passiva, da che abbiam detto essere occupata dalle ricor- danze impensate ed involontarie, e prodotte per- ci da mera associazione di idee o di fatti. Come quando una sola parola udita profferirsi a caso sveglia la intera memoria d'un testo; o quando la veduta dun uomo riconduce dentro di noi tutte le immagini di luogo e di tempo, le quali furono simultanee con la notizia gi presa del detto uomo. Riguardo poi alla classe delle remi- niscenze, facciasi mente a quello che accade, qualora con un certo modo di volont si rivocano al pensiere i concetti passati. E per.fermo, si vedr ciascuno di quelli rivenire alla mente con pi e meno prestezza , con pi e meno lucidit, Digilized by Google  3 16  talvolta compiuti, talvolta imperfetti, ora insie- me, ora successivi, e non di radoei saranno osti- nati a qualunque nostro richiamo; le quali cose provano tutte che le idee rivocate per istudio e opera di volont hanno bens in questa una ca- gione mediata e provocatrice, ma non immediata ed efficiente. Questi fatti , che sono le condixioni costanti ed universali dellumana ritentiva, noi ripetia- mo includere nel loro seno la dimostrazione apo- dittica della sua certezza. E di vero, stabilisce il secondo fatto, chogni ricordanza inchiude la rappresentazione dun atto certo e reale del no- stro me : pone in vece il terzo , che lazione spon- tanea rappresentata non  prodotta dal nostro me. Ora  assurdo, e perci impossibile, che il nostro me produca atti spontanei, e insieme non li produca. Sicura dunque ed incontestabile  la tesi contraria, cio a dire che lazione subbiet- tiva s bene come lobbiettiva appartengono al nostro me ambedue : ma essendo elle identiche nel subbietto non sono identiche nel tempo, e rimangon divise luna dallaltra per quella forma appunto del discontinuo che domandasi succes- sione. Cos da una parte se i due atti coesistes- sero contraddirebbono alla coscienza, la quale sente ed attesta di non produrre luno, mentre con laltro il va contemplando; e dallaltra par- te, se i due atti non sussistessero in successione > Digitized by Google   3^7  ei contraddirebbono del pari all intimo senso, il quale fa ravvisare in entrambi la nostra sponta- neit. Il fenomeno adunque, che leva di mezzo gli assurdi , e conduce la mente a fermare e cre- dere le conclusioni qui poste,  la misteriosa ri- produzione delle idee, la quale per gli uomini  vero e solo legame tra il passato e il presente dalla sapientissima natura fornito. Di fatto, poi- ch ogni ricordanza  riproduzione degli atti no- stri spontanei, come non vi sentiremmo liden- tit del nostro essere? e poich viene operata da forze estrinseche alla nostra spontaneit, come non avviseremmo eziandio la azione di quelli? Ci adunque si fermi con gran sicurezza, e come principio dogmatico, vale a dire che il giudicio , col quale riferiamo al passato gli atti di no- stra mente , divenuti oggetto del pensiere,  giudicio di assoluta certezza . IV Ma una seconda questione insorge sullevi- denza memorativa. Stantech se rimane certo che gli atti di nostra mente non possono divenire a noi stessi oggetto di osservazione, senza prima avere esistito, come operazioni immediate e as- solute del nostro principio spontaneo, non per si  provato che s fatta riproduzione riesca si- mile perfettamente alla creazione anteriore. Laonde viene il dubbio, se le ricordanze nostre Digitized by Google ~ 328  possano mai riescire fedeli in tutto o solo in al- cuna parte e quando. Il perch  da cercare se ha luogo alcuna dimostrazione della fedelt delle nostre ricordanze. E prima, in queste fa bisogno le idee concette e pensate distinguere e separare dallatto che le pensa e raccoglie nella unit intellettiva. Impe- rocch altra cosa  che noi ricordiamo, ad esem- pio, un palazzo, una melodia, una sentenza; al- tra cosa che ci sovvenga essere stati noi quelli ai quali accadde osservare il palazzo, e udire la melodia, e leggere la sentenza. Ora, per ci che riguarda gli atti del nostro animo, qualunque volta ei si riproducono, come oggetto chiaro e distinto di osservazione , e fanno sentire di se chei derivano da un solo identico essere opera- tivo, diciamo che tali atti si riproducono fedel- mente nel grado e nellestensione, quale andrem qui notando. Ogni rammemorazione distinta didee riconduce seco latto di sintesi, onde quelle furono raccolte nellunit cogitativa, e latto per cui vi si pose mente: due moti sponta- nei, che sono essenziali alla formazione dogni pensiero (C. IV, Parte II). Gli altri modi speciali -del nostro principio attivo, come lastrarre, il volere, il desiderare, ec., non possono ripro- dursi n con pi intensit denergia, n mai luno per laltro; avvenga che il grado maggiore d'intensit, in quanto non sarebbe innanzi stato Digitized by Google  329  Creato da noi, non pu riprodursi; n meno pu un modo di spontaneit sostituirsi ad un altro , perch ci vuol dire che l antico non si ripete- rebbe, e il nuovo sostituito mai non avrebbe ri- cevuto esistenza, il che pei superiori argomenti  provato impossibile. V Ma per riguardo al secondo termine del pen- siere, cio alle idee che in ciascuna rimembranza compongono loggetto pensato e poi ricordato,  bisogno riflettere che ogni spontaneo movimento dellanimo sciolto dal suo oggetto correspettivo, o vogliam dire da qualunque sorta di multiplo, al quale si riferisca,  sola e mera astrazione di nostra mente. Imperocch non si pu fare atto di percezione, n di giudicio, n dastrazione, se manca al tutto la cosa percepita, astratta e giu- dicata ; e se talvolta sembra a noi di rammemo- rare i soli atti del nostro animo, per ci appunto sappiamo di scienza infallibile che quella ricor- danza  oscura e difettiva ; o piuttosto a cagione del ricordare altre cose attinenti e finitime, sia- mo avvertiti che un certo atto di nostra men- te  dovuto sussistere, e del quale andiam ben tosto cercando le idee rispettive; come quando la subita vista d un qualche oggetto ci fa sovve- nire la determinazione presa di fare o dire alcun che, il quale ci fugge della memoria: o pure Digitized by Google  33o  quando diciamo a noi stessi: Che feci io in quel tempo: ovvero, Che dissi in quella tale brigata ? perocch noi sappiamo certo che non si entra e dimora in un luogo senza nulla operarvi o col corpo o con lanimo, e non si va a compagnia duomini per sempre star mutoli. Ogni riprodu- zione adunque viva e distinta degli atti di nostra mente va insieme con la riproduzione di qualche oggetto pensato. Ma due instanze interviene di fare sulla ripro- duzione esatta degli oggetti pensati: la prima  se alcuna idea nostra attuale possa meschiarsi alle idee riprodotte e venir riputata del loro nu- mero. Rispondesi, che non pu, quante volte lanimo nostro distingue in ciascuna idea ripro- dotta il riferimento suo a un atto riflesso del principio spontaneo , il quale riferimento mai non si fa sentire nell idea nuova attuale; e que- sto diciamo in via di discorso dimostrativo; es- sendoch nel fatto le impressioni attuali e le im- pressioni richiamate differenziano tanto fra loro da togliere ogni equivocazione. La seconda instan- za , se al riproducimento delloggetto pensato possa alcuna idea mancare, gi stata parte di lui nel suo primo comporsi, e se ha modo il pensie- re nostro di avvisarne il difetto con salda certez- za. Per rispondere a ci convenevolmente, giova riflettere che ogni memoria viva e distinta , vo- gliane delle cose, vogliam delle idee,  necessa- Digitized by Google  33 1  ria riproduzione di uno, o di pi giudicj : atteso- ch chi bene distingue, pon locchio attento ed osserva, e chi osserva giudica: ora alcun giudi- ci non pu riprodursi , senza i suoi termini ri- spettivi ; tolti i quali,  tolto esso pure: quindi si ricava che in ogni qualunque specie di ricor- danze prendiamo certezza piena di questo soltan- to , che ivi non possono mancare mai le idee tut- te essenziali ai termini del giudicio, o dei molti giudicj onde abbiamo scolpita memoria. VI In questi soli confini, e non mai pi avanti ,  lecito prendere sicurt della riproduzione fe- dele ed esatta delle nostre ricordanze: e comecch possano gli errori della memoria parer provocati da mille cagioni differentissime , noi pensiamo che tutti si debbono ascrivere ad una cagione sola e costante, cio a dire allo smorto e languido rinnovamento degli atti nostri spontanei: il che poi ha luogo tanto pi spesso, quanto le rimem- branze si fanno vie pi parziali e minute: cos , per modo desempio, se latto sintetico per cui giudicammo in complesso duna piacevole musi- ca , udita non ha molto tempo, ritorna vivo e di- stinto al segno da escludere ogni dubitazione sulla sua realt e sulla veracit del suo contenu- to, non avviene il medesimo di ciascuno degli atti con cui attendemmo alle parziali armonie e alle Digitized by Google  332  minute frasi del canto. Di che poi segue , che ai* loraquando alla scolorata memoria di cotesti atti si vadano mescolando alcuni estranei fantasmi , non sar leggiera cosa avvedersene, imperocch i fantasmi sono essi pure memorie degenerate e spente : e mancando loro, del pari che alle ricor- danze sopra descritte, la riproduzione chiara e distinta dellatto spontaneo rispettivo, errano sciolti dall unit assoluta di concezione, la quale appartenne loro in proprio; laonde obbediscono solo a bizzarre e fortuite leggi dassociazione. A. noi non compete 1 andar pi innanzi cercando le passioni e gli accidenti delia memoria. Solo era nostro il provare che levidenza memorativa , e reale, e legittima, tuttavolta che saccompa- gna con gli attributi suoi peculiari e caratte- ristici. Nel fatto adunque dell umana ritentiva ri- siedono pi facolt e disposizioni mirabili di no- stra mente. E prima, ch'ella pu inflettere so- pra s stessa; secondo, chella opera molti atti non insieme coesistenti, ma esclusi gli uni dagli altri in quel certo modo denominato successione; terzo, chella  fornita della virt di riprodurre simili atti oggettivamente; quarto , chella con- serva in ogni passaggio di tempo certa identit fenomenica del suo principio spontaneo, la quale  base nellidentit sostanziale e assoluta di esso principio. Digitized by Google  333  CAPITOLO XI Conclusione dei superiori capitoli. I JPer tal forma, procacciando noi di mettere in vista migliore i fatti costanti ed universali dell atto cogitativo , crediamo avere dimostrata la realit delle conoscenze che affermano lessere delle cose esteriori, e giudicano di ben ricordarsi delie passate. Cos abbiamo estesa allo spazio ed al tempo la certezza prima e assoluta del senso intimo, cio a dire, giusta le nostre definizioni , che pi non ci resta occulto il passaggio dallin- tuizione immediata, allaltra mediata o dedotta che voglia chiamarsi. Dicemmo nel secondo ca- pitolo di questa seconda Parte, che poich 1' e- sterno e il passato non si riducono mai sotto F occhio dell intimo senso , resta una sola via e non pi per tenerli ambedue entro i termini del- la prima certezza, questa via  provare pel prin- cipio della contraddizione, che F idea presente allo spirito attesta con la sua propria entit le altre due entit, esterna e passata. Il che dee succedere per un nesso necessario corrente fra F idea e la cosa, e fra lidea attuale e l'idea pas- sata : di modo che , poste le prime, cio lidea della cosa e lidea attuale, le seconde pure sieno poste focatamente. A noi ha sembrato un nesso- Digitized by Google  334  s fatto risiedere nella condizione passiva della nostra sensibilit, e nella conversione del nostro me di sabbietto in obbietto. Il ragionamento comparando un per uno e in modo isolato quei due fenomeni dell affezione passiva e del me ri- flesso con laltro comune e costante della sponta- neit , si avviene a unaperta contraddizione: im- perocch nel primo fenomeno dellaffezione passi- va , la spontaneit nostra sembra volere e non vo- lere ad un punto ; nel secondo del me riflesso sembra operare e insieme non operare; il qual conflitto, impossibile perch assurdo, rende ne- cessario linterponimento dun terzo fatto che dilegui gli assurdi ; e il terzo fatto  appunto la realit obbiettiva dello spazio e del tempo, e la certa riproduzione delle idee. II Ma la idea del tempo ha riscontrata una di- mostrazione sua propria e indipendente da quella della memoria: tal prova, quanto alla forma, non dovea discordare da tutte l altre messe in- nanzi da noi: conciossiacb un sol modo abbia- mo per cavar fuori dallintuizione immediata ci che in essa non par contenersi. Adunque il fatto della successione e del tempo  sorto egli ancora dalla palpabile contraddizione che sembra sussistere tra il fenomeno del cangiamento e la percezione sua istantanea ; e ci che fa sparire Digitized by Google  335  l assurdo  la scoperta del me continuo. La quale scoperta ci mena poi alla cognizione dei subbietti immutabili , e allassoluto delle cose, o, vogliam dire pi propriamente, cinnalza dalla psicologia alla metafsica. Sembra a noi cbe il fenomeno della condizio- ne passiva della nostra sensibilit, quello della riflessione del me sopra se medesimo, e laltro di mutazione , rivelino tuttaquanta la mirabile economia dell umano intelletto , per la quale senza poter noi uscire giammai del punto meta- fisico del nostro essere e dell unit assoluta della nostra sostanza, pur nondimeno siamo conscii del- le cose create, e di quel cbe , e di quel cbe fu. Se poi mettiam mente a ci , cbe la condizio- ne passiva della nostra sensibilit forza ad am- mettere alcuna esistenza esterna in virt dellu- nit assoluta del uostro pensiero , e che la rifles- sione del me sopra s medesimo scuopre la rea- lit del passato, per questo solo cbe il me ob- biettivo  sentito identico al me subbiettivo, ci converr concludere, che il fatto cardinale e so- lenne, onde ba principio e dove ha fondamento la dimostrazione dello scibile,  lunit e iden- tit del principio nostro pensante. La quale unit e identit ricevono nel nostro libro la prova del fatto e del raziocinio, e sono poste, a quel cbe ci sembra, nel grado sommo delle verit necessarie e infallibili. Digitized by Google - 336  HI Vha dunque un trapasso legittimo dallin- tuizione immediata alla intuizione mediata, e questa riceve la certezza medesima che nella prima risiede , merc della base comune ad ambedue loro, clic  levidenza del senso in- timo. E non pertanto qui ripetiamo cbe le analisi e i ragionamenti prodotti dai noi a prova d una porzione dello scibile umano possono differen- ziare assaissimo da quelle analisi e da quei sillo- gismi , onde si  tratti la prima volta a credere il mondo esteriore ed il mondo passato; concios- siacli non  nostro intento, n nostro bisogno di svolgere e riandare in nulla i procedimenti naturali del senno umano nella formazione ori- ginaria di quelle verit che compongono il senso comune. Arcane e inescogitabili sono le genesi tutte della natura ; e comecch a noi non paia ve- risimile chella ci meni alla conoscenza dei pri- mi veri per una serie fatale di giudiej istintivi , n tampoco si osa da noi negarlo risolutamente , questo solo ne pare certo, che ella ha voluto for- nire alla mente adulta e contemplatrice una si- cura facolt di riconoscere e giudicare i fonda- menti delle comuni credenze; e perci la fede e l aspettazione di salire, quando che sia, a una scienza prima dimostrativa, non mai  potuta mancare fra gli uomini* Digitized by Google - 337 - CAPITOLO X Delle idee universali , e poi delle generali . I Natura degli universali. Le nature universali fuori delle materie indi- viduali non hanno alcuna esistenza se non che nel puro intelletto S. Tommaso, De Ani- ma , L. Il, Q. XII.  Quella natura , che nei singolari risiede con i principii individuanti si fa universale dall' intelletto , astraendo da quei principii, e aggiungendo la intenzione del - i universalit. S. T., Secun. Primae Part. ummae, Q. II.  Gli universali hanno dop- pia posizione nella mente e nelle cose.  Cam- panella , Univers. Philos., etc., P. I, L. I, C. VII.  Luomo come particolare  nella na- tura reale, come universale  nell' intelletto un esser di ragione. Ma, esattamente parlando , l'uomo pensato in astratto non  universale n singolare: imperocch si astrae dall ' essere suo reale e intellettivo.  Id. eod. C. IX.   L' uomo pensato nella realit,  singolare nella cosa come nell intelletto, ma nell' intel- letto rappresenta molti uomini.  Id. eod. L. Il, D. IH.  La comunanza degli individui  detta spe- a3  Digilized by Google  338  eie, la identit fra pi comunanze  detta ge- nere.  Id. Phisiologicorum , C. XVI.   Le idee generali astratte sono per suppo- sti.  Tasso. Il Porzio.  Origine degli universali. Si dice che V universale  fatto dal senso in quanto l' anima V universal cognizione riceve per via induttiva e con la considerazione di tutti i singoli. * S. T., Tertia secun. P. Sura- mae, Q. II.  La scienza inventiva tratta i singolari , dalla cui reale similitudine risulta V universale in mente. .  Campanella, Eodem ^ C. IX.'   A fare V universale  necessario la astrazione e la comparazione. Ci che esimile in molte cose e diviene universale in mente , debbe essere , in essa mente , indivi so , e perci uno per legge del pensiero.   S. T. Secun. Primae Par. , Q. II.  Lidentico  il fondamento diagli universali. Il senso riceve la similitudine delle cose in modo singolare e individuato , V intelletto la riceve secondo la ragione dell  universale na- tura; imperocch il senso riceve la specie di Callia non solo in quanto  CaUia, m in quanto  uomo  e in virt di questa inserzione Digtized by Google  33g  net senso, pu V intelletto considerare Callia e come Callia e come uomo.  S. T. , Tertia Secun. P. Sum. Q. LIX. * Il senso percepisce meglio il generale che il singolare , perch quello si ripete infinitamente pi spesso e a se medesimo uguale , e termina per farsi sentire siccome uno.  Campanella, Phisiologicorum , C. XVI e altrove.  La mente negli universali imprime la sua unit. L universale  uno e pi; uno nella mente , pi nelle cose. .   S. T, P. P. , S. Q. II.    Le simili cose sono uno, le dissimili son moltitudi- ne. .   Campanella , Univers. Phil., P. I, L. II, C. I. k . Delle cose le quali si dicono relative ad altre , se ne trovano alcune che sono per opera dell' intelletto , e alcune che sono secon- do le cose. Le prime non hanno realit fuor dell' anima come quelle di simiglianza e dis- si mi gli anza. Le seconde hanno alcuna realit inerente alle cose, come V azione e la passione.  * S. T. Pars. P. S. Q. XIII. .   Non pertanto V intelletto non attribuisce alle cose il modo con cui le intende.   Id. Contra gent. I , XXXVI.  Gli universali hanno natura necessaria. Il generale che non  universale  mutabile Digitized by Google - 34o  e non necessario. E malamente vuole Aristoti- le dai particolari collettivamente presi far nascere il necessario. Perch i particolari pos- sono essere considerati in contrario e non crea- no necessit.... meglio V universale si fa nasce- re dalle essenze astratte. * Patrizio, Discus- sionura Peripat, T. Ili, L. I. *> Fino qui s cercata la realit delle cono-* scenze unitine , prese ciascuna da s : e la prima realit loro s detto consistere nellentit sub- iettiva , o dintuizione, e questa formare la certa e assoluta realit del mondo delle idee. Ciascuna conoscenza guardata poi nella sua for- ma costante, s veduta consistere nellatto giu- dicativo dellessere conoscente e nelloggetto co- noscibile. Tale oggetto ora  il me stesso e le azioni sue, ora i modi passivi del me riferiti a soggetti esteriori: dalla certa prova di simile ri- ferimento abbiam dedotta la prima realt dellin- tuizione mediata, o vogliam dire del mondo esterno. Da ultimo, comprendendo ogni cono- scenza un oggetto conoscibile attuale, ovvero passato, abbiam prodotta la prova della succes- sione delle esistenze, e notato i confini , entro i quali ci  lecito prendere sicurezza della fedelt della memoria. Di presente ci viene il dover par-^ Digitized by Google  34 1  lare degli oggetti conoscibili non presi ciascuno per s , ma accoppiati insieme e considerati Tono rispetto allaltro. Il resto dunque del libro sar intorno alla congiunzione delle idee, e alla con- giunzione delle cose, cio a dire che esso mette- r in chiaro lentit delle conoscenze, le quali mirano al collegamento particolare e comune dei fatti cogitativi e dei fatti estrinseci , e avr de- bito di provare la realt e la certezza di simili conoscenze, e come elle rispondono ai concetti e alle persuasioni del genere umano. II Diciamo dunque che tre sono i modi , onde le cose e le idee si connettono. Luno  congiunzio- ne intima ed assoluta delle parti dun solo essere; laltro  legame intrinseco fra gli esseri sostan- ziali distinti; il terzo  puro legame intellettuale rispondente ora all unit, ora alla multiplicit -delle cose. Al primo si competono due specie di relazione: quella degli accidenti ovvero dei mo- di alla sostanza o al subbietto, e quella di certe sostanze fra loro, assunte ciascuna come parti di un solo composto. Al secondo compete una re- lazione soltanto, ed  quella dellefFetto alla sua cagione; al terzo pure compete soltanto una rela- zione, ed  quella che scorgesi dal nostro intel- letto fra gli esseri simili, e, per negazione, fra i dissimili, e di questa faremo lungo discorso nt- Digitized by Google  344  trove. Non resteremo qui di notare una quarta specie di relazione, la quale tuttoch si risolva in connesso daccidente e sostanza, pure si con- viene distinguerla e particolarizzarla , come quella che  forma costante d ogni pensiero, e abbraccia in s tutte l altre sorte di relazio- ni qualora si fanno oggetto di conoscenza. Co- testa quarta specie verr distinta e compresa assai facilmente, se metteremo in ricordo, che conoscere vuol dir giudicare , cio distinguere ed affermare alcun attributo dalcun soggetto. Laonde niuna congiunzione didee, o di fatti pu essere conosciuta da noi finch non riceve innanzi la congiunzione intellettuale. Cos que- ste quattro frasi , il pensiero  uno, il corpo umano ha pi parti, limpulso  cagione del moto, le cose, sono simili, o dissimili , rap- presentando la cognizione di tre specie di nessi, rappresentano altres tutte quante la congiunzione intellettuale del soggetto con l at- tributo.  Ora, per ci che sattiene alla prima specie di relazione, cio a quella di accidente e so- stanza, ed allaltra dellunit relativa e delle parti assolute, noi ne abbiamo fatto sufficiente parola quando abbiamo trattato della indivisi- bilit del pensiero, dellidea di sostanza e di quella dellunit, poi dellunit relativa dei composti materiali, Rimane dunque che si vol- Digitized by Google  343  ga il discorso alle due maniere di congiunzio- ne che cadono sopra enti separati, cio alla congiunzione degli effetti con le cagioni , e allal- tra delle cose simili e delle dissimili: la prima d luogo al principio apodittico della causali- t ; la seconda alle idee generali ed universali ; e volendo fare incominciamento da queste che sono, per rispetto al principio della causalit, in proporzione esatta del genere con la sua specie , noi entreremo a considerare la rela- zione che passa tra le cose conformi e le non conformi, la quale pu denominarsi relazione danalogia e di differenza. Ma perch in cote- sta relazione mettono capo e riscuotono ogni loro legittimit le idee tutte generali ed uni- versali, lordine analitico par domandare che si esponga innanzi lo stato delle obbiezioni e dei dubbi circa la genuina realit delle idee universali, onde si sappia quello che manca da questo lato alla prova aperta e compiuta della realit dell umano scibile. Ili Adunque la difficult che insorge intorno les- sere loro  tale: Le idee universali corno rispon- dono alla realit obbiettiva ? attesoch in natura non esistono universali. Rifiutano pure quelle idee per certa necessit intrinseca ogni sorta di mutazione, e non vestono pi che un modo nsso- Digitized by Google - 344 - luto e perpetuo di essere ; ma quali concreti co* nosciamo noi forniti dun modo di essere unico ed immutabile? In fine quelle idee dimostrano avere una comprensione senza limite, onde vo- gliono essere denominate non soltanto generali, ma universali e infinite; per la infinit delle cose dove e quando si apprende? Conciossiacb la natura, cbe noi esploriamo,  contenuta sempre entro limiti pi cbe finiti. Queste condizioni sin- golarissime delle idee universali menano ad infe- rire che, poich negli oggetti dell esperienza non vedesi cosa la quale non sia individua e limitata, e la quale non soffra variet alcuna di modo, quelle idee cbe da noi 6 possiedono universali veramente e di necessaria immutabilit debbono venire formate con lintervento di altra cagione diversa dallesperienza. Coloro poi cbe escludono affatto lesperienza induttiva dalle cagioni efficienti delle idee uni- versali , e mettono perci innanzi le forme e le nozioni a priori, mancano al severo uso della sillogistica, inquanto che il principio invocato da loro della conformit delleffetto con la na- tura della cagione importa per se non lesclusio- ne dellesperienza induttiva , ma solo l interpo- nimento dun altra forza efficace, diversa dal- lesperienza: n quel principio definisce o pu definire se cotal forza dee consistere in forme e giudicii trascendentali, o, pi semplicemen- Digtized by Google  345  le, in qualche speciale esercizio delle facolt nostre ordinarie (Aforismo 4 ) Costoro negano pur fede al senso comune, il quale va ripetendo che gli elementi tutti delle idee universali esi- stono nei concreti, e chelle sono un certo no- vero di somiglianze rilevate nei singoli oggetti correspettivi. Adunque occorre alla nostra filosofa dimo- strare due cose: la prima che le idee tutte uni- versali rispondono bene alla realit oggettiva in quel modo e con quella circoscrizione appunto che il senso comune determina; laltra che si- mili idee acquistano la universit e immutabilit loro non da forme ingenite e da giudicii a priori istintivi, ma per lazione semplice e naturale delle facolt ordinarie di nostra mente. Ambe le quali dimostrazioni debbono aver sede e ra- dice nel fatto supremo e costante dellevidenza intuitiva. Esaminando noi pi sopra il fatto continuo dell evidenza intuitiva , scoprimmo , innanzi ogni cosa, che il principio nostro spontaneo non cessa mai di radunare le idee in un cotal centro dell intellezione perfetto ed indivisibile. Medesi- mamente fu rilevato che il principio nostro spon- taneo ha facolt dindirizzare la sua forza atten- tiva a una parte pi che ad unaltra, e dosser- vare il tutto dopo osservate le singole parti. Da questa doppia prerogativa dellintelletto, cio Digitized by Google - 346  del congiungere e del dividere, emanano due atti singolari: luno  di percepire pi cose ad un tempo, e quindi le relazioni che fra quelle inter- cedono; laltro di sentire isolatamente e in modo uno, intero e assoluto, lidentico, e il non iden- tico, i quali per entro le cose giacciono quasi sempre meschiati, indefiniti e interrotti. E, per farci dal primo, bisogna qui porre in considera- zione che quella unit, di cui  fornito essenzial- mente qualunque atto cogitativo, non sussistei)- do fuori di noi , debbe di necessit introdur- re nelle percezioni alcuna cosa di subietti- vo , non rispondente al reale estrinseco. N ci deroga dun attimo allautorit e legittimit dello scibile; mercecb ognuno savvede e cono- sce un certo elemento cogitativo essere aggiunto alla percezione. Di fatto chi ha mai creduto e pensato che la identit e la variet, luguale e il disuguale, il molto ed il poco sieno parti con- crete dei corpi? e non veramente certe vedute intellettuali e certo frutto della facolt che ab- biamo di concentrare in un sentimento indiviso le impressioni distinte che ci vengono di fuori? Per il volgo e i filosofi concordano in credere che la realit obbiettiva delle nozioni del simile o del dissimile consiste nella rispondenza e pro- porzione squisita che quelle nozioni mantengono coi termini della relazione. Imperocch, senza essi termini mai non sorgerebbe entro noi alcuna Digitized by Googte  347  idea di attinenza; e ogni cangiamento , minima quanto si vuole, che sopravvenga in quelli, muta issofatto con misura esattissima la idea dclTetti- nenza. Ma per chiarire vie meglio questa materia ci faremo incontro ad una obbiezione.  un detto bene assai vulgato quello che afferma, in natura ogni cosa rimanere dissimile. Or come dunque crediamo noi di scoprire fra gli esseri infi- nite rassomiglianze? Non  questo un perpetuo inganno che generiamo a noi stessi ? E non sembra egli doversi ricavare da ci, che le nozioni dei si- mile e del dissimile non rispondono guari ad alcuna realit obbiettiva, come da ognuno si pensa? Noi sciogliamo cos la istanza. Le osser- vazioni superficiali e fugaci intorno gli oggetti ci persuadono da principio correre fra quelli molte pi somiglianze che non comporta lessere loro; avvegna ci per la fretta dellosservare, onde il simile si fa sentire, e non il dissimile, il quale, come osserv Campanella , rimane pi oc- culto; ovvero succeda per un bisogno e per un desiderio che abbiamo di trovare dovunque fre- quentissime analogie, senza le quali non avrem- mo capacit alcuna di scienza. Nondimeno allor- ch uno studio pi diligente, sia della natura delle cose, sia del loro aspetto, ci fa accorti della fallacia di molti giudicii di analogia, noi pren- diamo abito a valutare il somigliante e il dissi- migliante, come qualit imperfette, e pi con- Digitized by Google  348  formi spesso al nostro modo di riguardare che allentit delle cose. Non pertanto si crede che una identit parziale, o vogliam dire una identit mista del suo contrario, rimane perpetualmente nel fondo d ogni nostra disamina. Cos, per ca- mion desempio, colui, il quale va comparando col nudo occhio due palle davorio, fatte tornire duna misura e d un peso ugualissimo, non giunge forse a scuoprire fra esse differenza no- tabile. Ma se poi prende a sussidio la lente, e con questa riguarda gli oggetti medesimi, assai differenze verranno, a mostrarsi.* tuttavia dicia- mo che la identit non sestingue, perch diven- ga imperfetta; e di vero se colui, il quale discuo- pre le differenze nuove fra le due palle, risolve di confrontar queste con altro corpo daltro colore e figura, verr in tal conclusione, che le due palle non differiscono tanto fra loro quanto col corpo estraneo. Ma che significa essere meno differente, se non raccogliere in s qualche parte di somi- glianza , poich fra il simile e il dissimile non  medio alcuno? Nel fondo adunque dogni sog- getto minutamente cercato noi rinveniamo qual- che porzione didentit, che persiste e non can- gia , e la quale si vedr a suo luogo procedere dalla natura eterna e immutabile di certi sub- bietti , ove la identit  una in modo assoluto , e risponde preciso alla unit intellettiva che an- diam formando. Perci allora quando dicesi , Digitized by Google - 349 - nella natura ogni cosa rimanersi dissimile, vuoisi indicare semplicemente che non vha somiglianza al mondo, entro cui un assottigliamento di osser- vazione non possa scuoprire certe specie di diffe- renze; il che non distrugge l'identit, bens la converte da perfetta a imperfetta, o, a dir me- glio, da completa a parziale. IV E non pertanto la mente nostra ha facolt di concepire il simile, ovvero il dissimile, come perfetto ed intero, il che viene effettuato dalla virt nobilissima deUastrarre; secondo atto di nostra mente, del quale ci viene ora il tener di- scorso. A chiunque si pone a riflettere sul peren- ne fenomeno dell evidenza intuitiva apparer questo di chiaro, che Tatto del giudichi il quale vi  inchiuso, compiesi pel dimorare e per lal- ternarsi dellattenzione sui termini di esso giu- dicio: cos, per modo desempio, la notizia che noi prendiamo delluguaglianza perfetta delle due palle davorio, sorge da pi trapassi dellatten- zione, la quale considera nelle due palle quando il colore, quando la sfericit, e quando il moto. Cotesto ritrarsi che fa lattenzione da pi cose presenti nellanimo per raccorsi tutta e dimorare sopra un soggetto parziale costituisce la virt dell' astrarre , pel cui ufficio T identico viene contemplato come sciolto dal vario, e per cone- Digitized by Google  35o  guente il vario come non frammisto allidentico. Pi questultimo rimansi parziale disgregato e discontinuo, ma in certo essere uno intero e con- tinuo; e, per forma di esempio, se intagli diffe- renti davorio saranno paragonati via via alle due palle sopraddescritte , la mente nostra , fatta astrazione dalla dissomiglianza delle figure e al- tres da poche variet di colore , di peso e di lu- centezza , sentir in modo uno e completo liden- tit del colore e della materia. Per contro, se le due palle verranno a confronto di alcuni corpi rotondi esattamente, ma diversissimi di mate- ria, di colore e di altri accidenti, la virt no- stra astrattiva ponendo locchio allesterna fi- gura soltanto degli oggetti paragonati non po- tr a meno di non sentirne lidentit assoluta c perfetta. Ora diciamo che tale idea astratta della sfe- ricit  idea universale. Imperocch la ragione medesima, per cui essa idea conviene a ciascuno di quegli oggetti, onde fu ricavata, la fa conve- nire con tutti gli altri reali e possibili , che fra le condizioni varie del loro essere includono la sfericit. E perch il numero di questi non  limitato, ma trascende la creazione medesima e spazia nell' immensit del possibile, cos lidea astratta della sfericit  vera idea universale e di comprensione infinita, cio a dire chella  un tipo e un esempio, nel qnale vediamo rappre- Digitized by Google  35 1   sentala una forma di estensione propria a smisu- rato numero di soggetti. La virt astrattiva procede nelle separazioni sue per i gradi seguenti. Prima osserva in dispar- te le qualit comuni di pi soggetti, e contempla il simile esattamente disviluppato dal suo con- trario. Appresso va isolando cotesto simile dai concreti particolari che lo contengono, quindi da ogni concreto reale o possibile; infine dal sogget- to pensante che lo percepisce. Di tal guisa la for- ma rotonda, vista e raffrontata in pi corpi, ge- nera primamente la nozione astratta duna qua- lit identica dei medesimi. Disparsi questi dal- locchio di nostra mente, rimanvi la nozione pi astratta e generalissima di ci che  sferico. Proseguendosi a distinguere, e cessando di pen- sare a qualunque materia possibile, producesi la nozione pura, geometrica della sfericit. In fine messo da banda il soggetto pensante, che lap- prende e la possiede, la nozione della sfericit non appartiene pi ad una che ad altra intelli- genza, non nasce , non sestingue, non si ripro- duce, e cos dismette ogni maniera di accidenti individuali. La virt astrattiva nello sciogliere che fa li- dentico dal non identico, va separando spesso due gruppi distinti di qualit; e prima le qualit che paiono estrinseche affatto allidentico meditato, appresso le altre , che paiono avere insieme con Digitized by Google  352  lui egualit di natura; come nel caso qui sopra esemplificato delle palle davorio, poste a com- parazione con pi corpi rotondi, la virt astrat- tiva esclude innanzi la materia e il colore, e ser- ba cos la estensione pura sferoidale. Con ci ella ha segregato il dissimile estraneo, vale a dire compreso sotto altro genere di accidenti. Per avviene chella riconosce nella qualit stessa co- mune della sfericit alcune differenze, come ad esempio la maggiore o minor grandezza: ora queste non sono estrinseche allidentit della forma , bens sono sue variet e come specie di genere nelle quali essa  ugualmente inserita. La virt astrattiva separa eziandio queste ultime variet, e ottienecos lidentico semplice, assoluto ed universale. Da tutto ci si fonda un canone principalissimo della dottrina delle idee univer- sali, cio a dire che V identit rilevata nel pa- ragone degli oggetti  sciolta per virt astrat- tiva da ogni differenza di modo. Di qui pare quanto si dilunghi dal vero la opinione teste riprodotta e difesa dallalto in- gegno dellabate Rosmini sulla natura dei ge- nerali. Di fatto, egli stima, rinovando in parte la dottrina dei tipi platonici, che una idea sin- golare divenga universalissima, con questo sol- tanto eh ella sia guardata come esempio daltre idee infinite, o reali, o meramente possibili, e identiche a lei pure in ciascun accidente indi- Digitized by Google - 353  vidualc. Or non  tale certo il concetto clic gli uomini tutti quanti si fanno delle idee univer- sali, imperocch nessuno mai ha pensato che lidea peculiare d un libro o duna medaglia perch vengono luno e laltra ripetuti dai tor- chi e dal conio migliaia di volte, e per imma- ginazione nostra moltiplicati in infinito, sia lidea universale di quegli infiniti libri e medaglie. Ma ognuno intende che l idea universale rappre- senti di sua natura il comune di certe cose, e ometta lindividuale, e perci include forzata- mente alcuna astrazione. Quello che osserva il Rosmini sullantichissima distinzione fra la idea di specie e lidea di genere non sussidia punto la prova della sua teoria. Conciossiach non si nega esistere una notevole differenza fra quelle due classi didee, ma non quale la va pensando il Ro- smini. Simile differenza venne sentita e descritta finalmente, a noi sembra, dal Campanella , con le parole qui sopra citate, le quali sono: La co- munanza degli individui  nominata specie, la medesimezza fra pi comunanze  nominata ge- nere: cio a dire, che la specie astrae dai con- creti, il genere dagli astratti. V Ogni idea universale c pure idea necessaria- mente immutabile, a cagione che non si potreb- be mutarla senza distruggerla. Di fatto lessere iti by Google  354  suo consiste in certa rela ione didentit, che non patisce grado n modo, o vogliano dire che viene astratta da tutti i modi e da tutti i gradi della sua specie, come eziandio dagli accidenti del subbietto pensante, dove dimora: quindi  assoluta, e non pu esistere fuorch in una guisa soltanto. Ma se alcuno faccia un composto di molte idee universali, pu chiedersi quale sar la natura di questo composto. Si manterr egli universale e necessariamente immutabile? Certo s, per la ragione che lessenza dogni composto astratto giace tuttaquanta nella forma ideale del composto medesimo: perci mutarlo  mutare il suo essere, il che vale quanto distruggerlo; atte- soch lessere non in se propriamente  mutabi- le, ma nei soli suoi modi ; e ove non ha modi non ha mutazione. Dunque i composti astratti didee universali sono essi pure necessariamente immu- tabili. Sono eziandio universali, perch riferibili a tutte le cose che rinchiudono in se un gruppo medesimo didentit integrali e integranti: e qualora n manco uno di tali gruppi fosse ve- duto sussistere nel concreto, pur tuttavia appar- tiene a loro limmensit del possibile. Per cotal modo abbiamo noi continuo arbitrio dedificare entro il nostro intelletto, con le idee semplici, universali di linea e di superficie, i composti tutti geometrici; ognuno de quali ha una essenza universale e necessariamente immutabile. Impe- - N Digitized by Google  355  rocche a niuna possanza mai sar lecito di ag- giungere o di sottrarre un solo angolo a6  pare a noi che qualora non si dimostri contenere la deduzione dei sillogismi qui anzi esposti alcun peccato di logica, noi siamo in buon dritto di stabilire che Pultima conseguenza, la quale af- ferma latto incessante ed universale della prima cagione,  inclusa virtualmente nel subbietto ogni cosa la quale comincia: e per il principio della causalit  vero giudicio analitico. Cos pare a noi pienamente convalidato it principio della causalit, e contro tutte le nega- zioni rivendicato. La qual cosa mai non potea succedere, se tale principio non veniva ricono- sciuto identico al tutto ne suoi due termini: s che gli altri modi strani concepiti da molti mo- derni per dimostrarlo, doveano riuscire senza ef- ficacia. Primo fu Malebranche a negare non ii principio della causalit , ma la connessione dei fatti. Hume allargando questo enunciato di Ma- lebranche concluse contro il principio medesimo, e lo dichiar un abito dell intelletto. Hartley lo riudusse a una legge dassociazione didee. Locke e i discepoli suoi, a un puro principio sperimen- tale : Kant a una forma di nostra mente. Reid , rinfrescando sotto altro nome le idee innate di Cartesio e di Leibnitz, chiam il principio di ca- gione un giudicio istintivo. Mendelssbon, Con- Digitized by Google  47  dorcet,Degerando, e qualche altro, io reputano un principio di analogia, e si sforzano di risolverlo in un problema del calcolo dei probahili. Parlandosi qui di sopra dellacuta e profonda dottrina dellabate Rosmini, facemmo osservare, come il principio di cagione, quantunque discen- da drittissimo dalla sua tesi fondamentale, non pare a noi che possa e debba considerarsi per ci quale verit obbiettiva e concreta , ma in vece chella rimanga una deduzione logica pura duna forma intellettuale. Fu intenzione eziandio del- l'illustre Galuppi di rimenare il principio della causalit alle proposizioni analitiche. E prima , per sillogismo prov che ogni cosa la quale co- mincia, sopporta la condizione di comparire nel tempo. Ma perocch s fatta dimostrazione giun- gesse all intento, duopo era provare che nascere con la condizione di apparire nel tempo vale il medesimoche nascere con la condizione di venire in tutto determinato da un altro ente : e a ci pervenne il Galuppi, affermando non essere il tempodiverso in nulla dalla causalit. In vero questa opinione contraddice manifestamente al senso comune, da cui si giudica che la successione del tempo e quella degli effetti operati coincidono bens in- sieme e tuttavolta diversificano di natura -, per guisa che immaginando pure un istante le nuove esistenze sorgere tutte per caso e sciolte da ogni legge, niente di manco si crede chelle dovreb- Digitized by Googte  48  Loro o tutte esistere insieme o succedere le une alle altre. Di pi, a noi sembra in questa materia cade- re il Galuppi in qualche opposizione con s me- desimo. E, per fermo, narrando egli la titubanza e lambiguit in cui dimorano i filosofi per voler conciliare insieme la priorit di cagione e la prio- rit di durata, ne cava argomento per conferma- re la sua dottrina, la quale facendo sparire una di quelle priorit, assolve secondo lui i filosofi da inevitabile contraddizione. Per il Galuppi non sembra aver posto mente allaltra pi grave e pi certa contraddizione, che scende dall abo- lire la priorit di durata, conciossiach, tolta questa, niuna sorta di cangiamento divien conce- pibile. Di fatto, cangiamento vuol dire mutazio- ne dun medesimo essere. Ora, o bisogna credere che mai non sia vero che due opposte mutazioni intervengono in un subbietto medesimo, o forza  separarle per divisione distanti, o asserire che un corpo determinato pu ricevere insieme la forma quadrata e la forma rotonda. Vuole ezian- dio il Galuppi ovviare con la sua dottrina al pe- ricolo di ridurre il tempo a una semplice realit subbiettiva ; ma noi teniamo chegli non abbia in tutto cansato il pericolo; stante che nella sua dottrina la simultaneit delle cose  costituita dallatto della coscienza, il quale medita e pa- ragona esse cose insieme. Ne segue che levati Digitized by Google  49  di mezzo gli uomini , le cose pi non sono con- temporanee. In fine il Galuppi non conoscendo nel tempo, salvo che una successione discreta di termini, esclude al tutto il continuo assoluto: e pure fu provato da noi che la successione, fuor dun sub- bietto continuo, non pu in guisa alcuna venire all' essere. Parimente sembra impossibile alla dottrina del Galuppi spiegare in cbe risieda la differenza tra due oggetti, i quali somigliandosi in ogni cosa, variino soltanto nella durala. E, per modo desempio, immaginiamo due corpi scelti di una stessa natura, foggiati a un modo egualis- simo e tenuti sospesi ad un modo altrettanto uguale, ma con questo divario, che luno sia la- sciato cadere di l a pochi minuti e laltro di l a molte ore; diciamo che giusta la teoria, la quale fa del tempo e della causalit una cosa identica, la differenza fra i due corpi non  esplicabile. E per fermo, cbe converr egli dire? forse cbe il corpo tenuto pi lungo tempo in sospeso di- versifica dall altro per ritrovarsi contempora- neo con molti pi fatti? ma ci  attributo estrinseco e accidentario del corpo, e, rimosse cbe fossero le cose dintorno, verrebbe al per- fetto niente: oltre di cbe, conforme al parere di Galuppi, la relazione simultanea dei fenomeni non possiede realit alcuna fuori della coscien- za. Piacer forse di dire cbe lun corpo esercita Digitized by Google / / / ,  4 IO  un solo atto, e laltro molti di pi? ma cotesti atti onde mai si distinguono? onde si separano? , posto, come vuole l ipotesi , che nulla venga mu- tato nella cagione e nel suo operare? VI S. Anseimo dAosta, comparso due secoli in- nanzi di S. Tommaso, travagli assaissimo per dare aHumana ragione qualche base inconcus- sa, imperocch egli sentiva non potersi altrimenti mettere in solido alcuna specie di verit. Posesi dunque a costruire una metafisica, o vogliam dire una scienza prima esplicatrice dei dogmi speri- mentali , e superiore ad essi dogmi. Da una parte vide tutta quanta la ontologia riposare sopra il principio della causalit; dallaltra, non potersi a questo principio dare dimostrazione apodittica se non desumendola dalla certezza dellintuizio- ne immediata. Venne cos al concetto sublime di trarre la prova dellente sovrano e della prima efficienza dalla pura e sola nozione di lei, rice- vuta per entro la nostra mente. Simile prova fu domandata ontologica , e le scuole tutte quante ne hanno parlato e ne parlano. Cartesio lampli poi a suo modo, e Leibnitz dopo Cartesio: per, venuta alle prese recentemente con la dialettica nuova e sottile di Kant, ha sembrato perdere ogni verit e ogni concludenza. Il vizio dell ar- gomentazione antica di S. Anselmo e dei suoi Digitized by Google  4*  segnaci si asconde in ci, che, ponendosi, come essi fanno, lidea dellessere perfettissimo, non si pone insieme la realit di quell essere, ma uni- camente la sua idea. Per lo scoprire un nesso necessario tra il predicato ideale dellesistenza e il snbbietto ideale dell'essere perfettissimo, ne prova di questo alcuna sussistenza, estrinse * a| nostro pensiero. Non va cos pei subb^ *ci Pari intellettuali, da cui si afferma solt~to ressere astratto o le passioni necessarie -allessere. Im- perocch ei sono del nume^ di 3  ragione del tempo, il quale non pu capire l In- finito. E il tempo  necessario, quando esistan le cose le quali non sieno eterne ; e che esista alcu- na cosa o eterna o nel tempo  certissimo: im- perocch esiste la nozione con cui si pensa lEnte supremo. Ci poi che esiste , o  necessario e supremo, o forzatamente pone il necessario e il supremo. Concldesi che la idea della prima cagione prova la reale esistenza della medesi- ma. Non travi dunque dal vero lingegno di S. Anseimo tanto , n quanto si vuol credere oggi: e a noi sembra, se pure non siamo erra- ti, aver colto nella giusta intenzione del suo concepimento profondo, e restituitane l effica- cia , per quel che bisogna al profitto degli studii speculativi. VII Sono pertanto gli esseri tutti determinati da un primo ente; per al modo della loro determi- nazione non pu costituirsi legge veruna, de- dotta dal solo principio della causalit. E sia, verbigrazia, una successione di esistenze, le quali dimanderemo a, b, c, d, f, g , z, e cosi seguita, senza mai termine. La ragione poi determinatrice consista in ci che il termine posteriore sia sem- pre diverso da ogni anteriore in una certa guisa prestabilita. A noi sembra che il principio della causalit non offerisca mezzo alcuno per iscuo- Digitized by Google -44- prire la impossibilit di una cotale ragione de- terminatrice,* e non monta il dire chella par- rebbe fuor dordine e che Tana esistenza non verrebbe prodotta dallaltra, ma occasionata sol- tanto. Ancora poniamo il caso che le esistenze a , b , c , d , f, g, z, ecc. , succedano Iuna allal- tra con qualche misura di tempo, e che, giunte ad un certo novero, tornino a riprodursi con legge costante periodica. Tal ragione determina- trice si fa anostri occhi ordinata, conciossiach ogni ordine si risolve pel nostro intendere in qualche specie di analogia o di tempo o di modo. Non pertanto quelle esistenze rimarrebbero al tutto estranee fra loro, siccome nel primo sup- posto. E n pur qui troviamo nulla di repugnante con la nozione pura e semplice della causalit. In fine se vengasi immaginando che a, b , c, d , /> S > ecc. , sieno esistenze valevoli ad agire luna sullaltra intrinsecamente, e che ad ogni atto dellesistenza anteriore risponda una muta- zione in quella che segue, diciamo in questa ipo- tesi i termini della successione andar realmente connessi fra loro, da che ciascuno  inverso del- l'altro trasmissore certo e immediato della som- ma efficienza, e compongono tutti insieme un ordine di sostanze operative e causali. Ma questa ipotesi, come che si verifichi incessantemente nell ordine nostro mondiale, in qual maniera pu esser dedotta dal puro principio apodittico Digitized by Google  4*5  della causalit? e l'avere a torto creduto che ci si possa, non ha egli forse turbato lungo tempo le dottrine ontologiche? Noi dunque per evitare simile errore nella trattazione che imprendiamo dell ordine causale del mondo, procederemo per via analitica, e cercheremo innanzi quello che insegni la nuda esperienza e il giudicio comune degli uomini. Vili I filosofi del pari che il volgo chiamano tutto il complesso dei fenomeni naturali una successio- ne di cangiamenti ; il qual vocabolo cangiamen- to, se ben si guarda , accusa la sussistenza di enti durevoli e non soggetti a mutare; conciossiach dove non  cosa cangiata, n pure v cangia- mento; e dove nella cosa cangiata niente riinane identico con se medesimo, essa cosa non muta, ma bene si annichila , ed a lei succede un altro essere distinto assolutamente. Ancora, si suol pronunciare che ogni cosa, la quale cangia, can- gia in conformit della propria natura, il che viene a dire che lessere costitutivo delle cose non muta: cos di fatto crediamo la natura di tutte le cose permaner salda e invariabile, e ogni cangiamento succedere in quelle per modi coor- dinati e sotto il regime perpetuo di leggi non alterabili. Ma per, se tutto  regolare compiutamente Digitized by Googlc  46  * e riferito a subbietti, i quali non mutano, onde ha origine lo sregolato, e onde succede cbe si sa conciliarlo con la cognizione di certa natura per- severante e immutabile? ci si giunge a com- prendere subitocb ci poniamo a definire pi per minuto questo concetto cbe noi formiamo della natura costante degli esseri. Noi dunque credia- mo cbe in ogni cosa sia certa condizione durevole e inalterabile di esistenza ; ma in tal condizione entra pure la facolt di ricevere lazione degli altri esseri, o almeno di molti, e riceverla in quel modo cbe porta la propria natura, in quello perseverando, senza discontinuit. Avviene in- tanto cbe le azioni esteriori dissomiglino 1 una dallaltra non poco, o nelle qualit o nel grado, e si esercitino in guisa ed in tempi del pari dis- 6omiglievoli. Quindi le cose , mantenendosi iden- tiche con se medesime, rispetto allintrinseco, fuori mandano tuttavia diverse manifestazioni delle loro propriet, secondo che diversa  la forma dellazione ricevuta. In s fatto ordine di esistenze domina pertanto una cagione prima as- soluta e una serie vasta e innumerabile di seconde cagioni. La cagione primaria, assoluta,  resi- stenza increata, sola determinatrice di tutte le cose. Le cagioni secondarie sono esseri contin- genti , i quali modificandosi, agiscono nellintrin- seco di altri esseri contingenti ; questi ricevendo lazione si modificano alla loro volta essi pure Digitized by Googli  4*7  senza che mai si possa ascendere tanto allo da scoprire la sostanza che primamente agisca fuori di se, per impulso proprio immediato. Di- scende da ci il principio generalissimo che non pu la cagione far tardare la sua efficacia , o vo- gliam dire lapparizione delleffetto: e per fer- ino, se la sostanza passiva  da natura disposta e necessitata a ricevere lazione della sostanza operatrice, lagire dell una e il patire dellaltra come non andrebbero di concerto perfettamente? E qui il luogo stesso ci chiama a risolvere la que- stione insorta tra molti filosofi circa lesistenza simultanea ovvero non simultanea delleffetto e della cagione. Essendoch alcuni mantennero do- vere leffetto riuscir simultaneo perfettamente con la cagione. Per opposto, altri roller provare ci impossibile, e produssero in mezzo la cre- denza comune, la quale stima che la cagione an- tecede sempre di tempo leffetto. Noi diciamo pertanto due specie di cangiamenti essere cogniti alluomo, gli spirituali e i corporei. Quanto ai primi, che non avvengono per moto, e sono istan- tanei, non possono mettere tempo fra la cagione e leffetto; quanto ai secondi, debbono mettervi tempo immancabilmente, da che ogni fenomeno fsico avviene per moto, e il moto dimanda tem- po. Ma si osservi poi che il finire del cangiamento attivo  simultaneo in perfetto grado col princi- piare del cangiamento passivo, e che appunto in 28 Digitized by Google  4*8  quel finire il cangiamento attivo prende virt di cagione. Questo a noi sembra sufficientissimo per esplicare la controversia insorta tra pi filosofi sulla priorit di cagione, imperocch gli uni guardarono al durare del cangiamento, gli altri al punto in cui esso prende virt causatrice. IX 1  , Coloro i quali savvisano di poter trarre dal- lesperienza pura induttiva tutte le origini delle .nozioni causali riferiscono questi fatti. Qualun- que volta si riflette da noi sopra le azioni del nostro animo prendesi concetto di quello che sia loperare duna sostanza, e tre qualit essenziali vi si rinvengono: i che lazione o cangiamento, o modificazione dellessere non estingue, ma in vece conferma lidentit della sostanza operante, e la serbata integrit della sua natura ; 2 che il cangiamento appartiene cos in proprio alla so- stanza modificata , chei si meschia e contempra insieme con lei nellunit perfetta e comune dellessere sostanziale; 3 che il cangiamento  quale n pi n meno il carattere dellazione esterna e le facolt integrali della sostanza pas- siva lo fanno. Perch poi il nostro animo ha viva coscienza di produrre i suoi cangiamenti sponta- nei e di esserne autore immediato, necessit vuole che sia domandato cagione di essi, e ricevesi da ci unidea nettissima della connessione intri n- Digitized by Google  4*9  seca tra la cagione e leffetto; imperocch noi li sentiamo ambidue sorgere e congiungersi nel- lunit assoluta del nostro principio pensante. Al modo medesimo dovrebbero tutte l altre sostan- ze, qualunque volta si cangiano, venir nominate vere e sole cagioni producitrici; avvegnach esse producono realmente l effetto, cio lo emanano e lo tramandano, per cos dire, come parte di lor sostanza. E tuttavolta cos non usiamo di fare; chiamandosi cagione quel sol cangiamento este- riore, il quale provoca il cangiamento interiore daltra sostanza; come, per esempio, del solcar della nave non chiamiamo cagione essa nave, ma il vento e i remigatori. Della qual cosa oi par ve- dere assai chiaramente questa ragione: Che il mutarsi della sostanza passiva non potendo aver luogo senza lopera dellaltra sostanza attiva, in questa unica  sembrato dover riporre la sede della potenza causale. Ci - tanto vero, che lo animo nostro, il quale vien riputato in molti suoi mutamenti franco da forza esteriore e principio a se stesso della propria energia,  dalluniver- sale nominato cagione di essi cangiamenti. Del- lattivit poi esercitata da una sostanza in unal- tra e da un cangiamento in un altro prendesi chiara esperienza pel fatto a cui soggiacciamo ogni ora e ogni istante dellazione molteplice delle cose esteriori sui nostri organi, e delle per- cezioni non volontarie che indi risultano. Nel Digitized by Google  42  qual fatto  manifestamente sentito un legame saldo ed intrinseco per entro i subbietti interno ed esterno. Attesoch venne dimostrato nel quarto Capitolo di questa seconda Parte, come la forza la quale resiste al nostro volere abbia facolt e gagliardia di penetrare fino a lui. Una connessione altrettanto intima credesi dagli uo- mini stabilita fra le sostanze tutte, o vogliam dire fra le mutazioni correlative delle sostanze. Essi poi distinguono a molti segni i fatti, i quali succedonsi per mera contiguit di luogo e di tempo, escluso qualunque nesso causale come il giorno succedente alla notte, e il carro celeste ad Arturo: altri segni li mettono in via a distinguere i fatti, i quali succedonsi occasionalmente, come lacqua cbe sbalza in alto e zampilla al muovere d una chiave; infine molti altri segni aiutano a riconoscere i fatti, i quali succedonsi pev legame intrinseco di azione e passione. A queste analisi per e a queste esperienze moltiplicate, manca la sanzione e la guarentigia del discorso dimostrativo, il quale noi non pen- siamo che possa emergere n dal nudo principio della causalit, n dalla induzione pura dei singo- lari, per vasta e frequente cbe sia. Tempo  dunque cbe noi indaghiamo da quale altra sor- gente possa rampollare la prova apodittica dei fatti varii e copiosi test rassegnati. Digitized by Google  4^1  CAPITOLO XIV Dell ordine causale dell universo. I l^erch i nuovi principii , onde vogliamo com- piere la dottrina della causalit, movano da fon- data dimostrazione, debbono scaturire limpi- damente da alcun fatto continuo dellevidenza intuitiva* Perci noi cominceremo dal rappre- sentare il fatto, e quindi per una serie lunga di rigorose deduzioni perverremo alla prova apo- dittica dellordine universale esposto nellante- riore capitolo. Il fatto primo fondamentale si  il cangiamen- to appreso dal nostro animo, e a cui, siccome a puro fenomeno, appartiene la certezza dellin- tuizione immediata. Da lui scendono due conse- guenze non repugnabili, o vogliamo dire, due verit certe e manifeste dintuizione mediata. Luna  la rivelazione dun subbietto perpetuo, il quale per rendere possibile il cangiamento dee durare continuo, e ci vale quanto dire, chei dee serbarsi immutabile (Gap. Vili ,  VII, P. II). Laltra verit  lazione del subbietto sopra di noi , o sia la congiunzione della nostra unit pen- sante col multiplo esterno (Cap. V,  111, P. II) E riguardo a ci non si vuole dimenticare che Digitized by Google  4aa noi n pure tentiamo di intendere e di spiegare in alcuna parte o la forza esterna operante o il legame dell'atto col suo principio, e del modo col suo subbietto. In vece diciamo essere questo un sommo e pauroso mistero, il quale spazia e gravita su la filosofia tutta quanta. Cangiando nome e sembianza , ei viene quasi Proteo rincon- trato per tutto, e ad ogni passo fa duro inciam- po. 11 problema poi proferito da lui a risolvere, e cbe , per nostro avviso ,  insolubile , pu venire espresso con tali parole: in che guisa la unit e la multiplicit , la identit e la differenza possono insieme congiungersi. Tutti i sistemi apparsi fino al d doggi col proposito temerario di spiegare in- alcuna ma- niera siccome l assoluta unit si svolga nella multiplicit, come lessere identico si differenzii per mille modi e accidenti, e viceversa, come tutta la multiplicit e tutti i modi si riducano alluno assoluto e allidentico assoluto, tali si- stemi, diciamo, finiscono nel pretto assurdo, e dichiarano con deliramenti ingegnosi laudacia intellettuale dell'uomo. Esce d qui una riprova molto efficace della bont e sicurezza del metodo sperimentale. Conciossiach partendo, egli dal fatto c deducendo quel tanto e non pi cbe il fatto racchiude, la difficolt e le tenebre cbe scorge innanzi di se non lo turbano, e dove possa cogliere in mezzo a loro alcuna certezza, in quella Digitized by Google  4^3  sappaga : ei prende il fatto non esplicabile, come confine segnatoli, e sindustria con la virt del- lanalisi delle comparazioni e del raziocinio di farlo sorgente di legittime deduzioni. Adunque noi accetteremo tal quale  il mi- stero della natura, visto per innanzi che non include contraddizione e cbe in lui risplende la certezza piena intuitiva. Ora nei fatti, onde qui Innanzi  discorso, cbi saprebbe trovare ombra dassurdit? E, per fermo, allorquando si dice cbe luno comprende il multiplo, e lidentico il differente, non si afferma per questo che luno e lidentico sieno il pi e il diverso ad un tempo; ma luno si dice esser congiunto col pi, e il simile col dissimile. Vha dunque unaltra cosa nella natura oltre lunit e la multiplicit, oltre il simile e il dissimile, e questaltra cosa ignotis- sima, salvo cbe nella sua esistenza, vien doman- data congiunzione. Il principio di sostanza e il principio di causalit si risolvono, come sa ogni uomo, in certa congiunzione arcana del modo con la sostanza, e delleffetto con la cagione. La congiunzione non  lunit perch ammette due esistenze distinte, bench unite. Non  la multi- plicit, perch ammette un composto intima- mente legato, e la multiplicit per se stessa  sciolta; quindi noi pronunciammo altrove che tre assoluti diversi vengono insegnati dalla natura, V uno, il multiplo , e il tutto. Digitized by Google - 44- A queste conclusioni medesime pare giun- gesse il gran Galileo , quando nel primo Dialogo di scienza nuova os dire ch'egli pensava doversi ammettere qualche altra cosa oltre linfinito e il finito. E si badi che questo enunciato coincide col nostro perfettamente, avvengacli linfinito  l' identico e luno, il finito  il dissimile e il mul- tiplo, non dandosi finito senza cose finitime, n cose finitime senza multiplicit e dissimiglianza. II Entrando noi pertanto nella dimostrazione dellordine universale avremo locchio sempre a due cose: ai fatti, cio, rispettivi dellintuizione, e all ignoranza intera in cui siamo circa la loro essenza. Per imiteremo anche in questo l arte prudente dei matematici, i quali innanzi di poter giungere a immediate equazioni fra le cognite e le incognite (e nel nostro caso tale equazione non pu succedere) osservano con iscrupolo tutte le relazioni, che le incognite, come quantit esi- stenti, non mancano di avere con altre quantit cognite e determinate. Cosi forse eviteremo gli errori di quei filosofi, da cui s  parlato della congiunzione sostanziale e causale, come di fatto assai comprensibile. Perch poi in questa special trattazione non si trapassi da noi la brevit con- sueta, presenteremo le deduzioni cavate dai fatti e dai principj surriferiti in ordine pure sinte- Digitized by Google  4*5 _ tico. La prima deduzione assoluta e generica  questa : Sono nelluniverso le mutazioni, e queste do- mandano soggetti immutabili , ove possan succe- dere: tutte le cose pertanto cbe esistono, qualora mutino, o sieno capaci di mutamento, debbono risultare di continuit e di successione, cio a dire chelle sono vere sostanze e veri subbietti modificabili. Da tale costituzione eterna degli esseri discen- dono i principi seguenti: i I subbietti, come immutabili, non possono ricevere in s stessi la mutazione. Daltra parte, la mutazione succede in loro, perch i successivi durano la durata dei lor subbietti. Rimane che questi ricevano le mutazioni nei loro modi. a Adunque ogni sostanza dee risultare di modi mutabili , e dun subbietto uno, indivisibi- le, immutabile e perpetuo. 3 Il principio del cangiamento mai non pu uscire dal subbietto immutabile: esso  dunque estraneo al subbietto medesimo. 4 I modi proprj delle sostanze non sono co- stituiti dalla successione dei cangiamenti, come fossero serie di nuovi enti, che aderiscono al sub- bietto. E per fermo, la sostanza passiva muta ; e onde muti, le fa bisogno di ricevere lazione en- tro di s: noi uon sappiamo, a vero dire, quel cbe lazione sia, ma ben sappiamo che a questa inco- Digitized by Google  4^6  ; gnita, qualora non sia presente nella sostanza, noti pu succedere mutazione, avvegnach essa inco- gnita rimane allora un essere estraneo alla sostan- za: da altro lato, la azione non pu venir rice- vuta immediatamente dal subbietto sostanziale, stante chei muterebbe: bavvi dunque nella so- stanza alcun che distinto, capace di ricevere lesterna azione. I modi adunque delle sostanze hanno un essere proprio, distinto dai lor sub- bietto e dal cangiamento. Vien fuori da ci un corollario di non poco momento, ed  questo, che le azioni, quantunque incognite nella loro natu- ra, non possono consistere in semplice trasfusione dellessere attivo: imperocch lessere attivo tra- sfondendosi nella sostanza passiva produrrebbe un nuovo essere dentro di questa, il quale staccato dal primo subbietto si rimarrebbe estraneo ed indipendente da esso, o, a meglio dire, si avreb- bero due sostanze, ciascuna delle quali soffrirebbe mutazione, senza che pertanto corresse fra loro due legame nessuno. 5 Segue pure da ci che ogni azione esterna a cui succede una mutazione,  vera e certa effi- cienza, o sia  vero organo della prima efficienza, perocch se lazione non penetrasse in maniera arcana nella intimit della sostanza passiva, que- sta non potrebbe cangiare, stante chella non pu essere il principio del cangiamento: l impulso poi immediato non pu venirle dalla prima efficien- Digitized by Google  427  za, imperocch questa essendo immutabile non agisce con mutazione. Cos pare a noi dimostrato il canone del senso comune, il quale pronuncia avere le sostanze luna sull altra una reale effi- cienza; e proviamo contra Malebranche e contra Davide Hurae , che i fatti non pure s accompa- gnano, ma eziandio si connettono. 6 I modi propri! delle sostanze sono un atto perpetuo ed immutabile di esse. Dato per possi- bile il caso contrario, avverrebbe che i modi can- giando per lazione esterna e producendo con ci un discontinuo, non potrebbero mai col cessar dellazione riassumere la forma lor peculiare senza un atto nuovo e distinto del lor subbietto, il che apporterebbe al medesimo un reale can- giamento. 7 Il cangiamento  determinato dallattivit del proprio subbietto, variata o mossa in un certo modo dallatto esteriore. Se il cangiamento ve- nisse prodotto dallazione esteriore ei sarebbe un nuovo essere congiunto dallazione medesima al subbietto passivo: ma tal congiunzione nuova e immediata col subbietto immutabile altererebbe la identit della sua natura. N tampoco il can- giamento potrebbe venir congiunto coi modi della sostanza passiva , a cagione che i modi diverreb- bono allora un subbietto, e il cangiamento sa- rebbe fuori della sostanza. Da altra parte il can- giamentodee venire determinato, cio debbe avere. Digitized by Google  428  la saa cagione dentro lessere della sostanza a cui appartiene: adunque il cangiamento  determi- nato dallattivit del proprio subbietto. 8 Ma la sostanza non muta se non provocata dall azione esteriore: di che nasce, dovere la mu- tazione conformarsi altresi allazione ricevuta e quanto allessere e quanto al modo, conciossia- ch, se diverso  latto esteriore, diversa  lec- citazione , non potendo un identico atto promuo- vere effetti dissimiglianti a cagione cbe luno di essi avrebbe per suo principio lattivit indipen- dente e spontanea del proprio subbietto, il cbe si  dimostrato impossibile. 90 Lazione vien ricevuta secondo il modo del ricevente. E per vero, il subbietto determina per quello cbe  , vale a dire in quanto egli  natu- rato cos o cos. La facolt dunque determina- trice resta immutabile insieme col suo subbietto. Da queste tre ultime deduzioni discende per- tanto un principio largo e fecondissimo dappli- cazioni, il quale  il seguente: Il mutare delie sostanze tien doppio collega- mento e doppia proporzione esattissima con la na- tura del suo subbietto e con quella dellatto estrinseco. Ili Continuando a inferire altre legittime conse- guenze diciamo : Digitized by Google  4*9  io0 La facolt di ricevere lazione esterna e di riceverla nel modo congruo alla propria natura  ci che suol domandarsi reazione della sostanza. n Coincidendo la reazione con la congiun- zione operata dallatto esterno, quella irresisti- bilmente trapassa nel subbietto dellazione este- riore. ia* I modi della sostanza non possono modi- ficarsi. Di fatto, qualora si ponga ebe i modi possono avere i lor propri! accidenti, vale a dire certi esseri peculiari, distinti e uniti ad essi per guisa ignota ed incomprensibile, far gran biso- gno spiegare onde vengono cotali accidenti, o sia donde traggono essi il principio loro causale. Ora diciamo che niuna cosa li pu produrre; non i modi, di cui sono accidenti, non il subbietto di quelli, non in fine il subbietto esterno. E quanto ai modi, niente saprebbero effettuare, da che manca in loro il principio attivo, concedendo il quale ei divengono tosto vere e reali sostanze. In egual maniera non pu produrre quegli accidenti il subbietto proprio dei modi, avvegnach per la ipotesi ei sarebbe affatto separato da essi acciden- ti, il che non pu stare con lessere di cagione. Da ultimo, non sono prodotti dal subbietto este- riore, perch pure da lui si figurano separati as- solutamente: rimangono dunque effetto senza ca- gione. Questo ragionamento sussidia e dilata eziun dio le prove della deduzione settima. Digtized by Google  43  i3 Nelle sostanze dimora la facolt di rice- vere molte azioni ad un tempo. Che quando pure l'esperimento quotidiano non cel provasse, do- vremmo sempre supporre una tale capacit dei subbietti , dato che non ci ravvisiamo alcun gra- do di repugnanza. i4 Poich lattivo e il passivo rifiutano di risedere nella medesima unit di sostanza , la azione ricevuta dee per necessario diversificarsi dal subbietto passivo e quanto a s e quanto al proprio subbietto: la qual cosa espressero i nostri antichi, dicendo, il simile non agire sul simile. i5 Gli atti discontinui delle sostanze, o vo- glialo dire i lor cangiamenti non mostrano n affatto scoperto, n immune dalterazione il pro- prio soggetto. Nientedimeno per dovere essi mu- tare, conforme alla natura di lui e conforme a quelle disposizioni che arreca lazione esteriore, insegnano sempre i cangiamenti alcuna cosa cer- ta e stabile intorno le facolt e i modi proprii delle sostanze, del pari che intorno i subbietti estrinseci. i6 Gli atti delle sostanze partecipando, nel punto in cui vengono allessere, della disposi- zione speciale dei lor subbietti, mai non si mo- streranno semplici perfettamente qualora la di- sposizione sia temporaria e non propria di essi subbietti, vale a dire qualora vi sia indotta dalla Digitized by Google - 43 1 - virt presenziale d alcuna sostanza attiva este- riore : tre cose pertanto debbono venir rilevate da simili atti. Cio la propria modificazione, la variet accidentata in cui trovansi i loro sub- bietti, infine la natura permanente di essi sub- bietti che fa sentire la sua identit per mezzo tutte le variazioni. IV A questo numero di certe generalit o conclu- sioni siam noi pervenuti col semplice svolgimen- to della nozione di sostanza, quale ci vien esibita da alcuni fatti costanti dellintuizione. Entro tal numero crediamo raccorsi tutti i principii supre- mi dai quali dipende immediatamente lordine causale delluniverso, il che con leggiera faticata potr conoscersi da coloro, a cui non rincrescer di venir facendo applicazione dei nostri canoni alla quotidiana esperienza. Eaflncb alcuna cosa ne venga toccata pur da noi stessi, quantunque in breve, incominceremo dal dire che il primo decreto di tutte le scienze sperimentali, cio la perfetta immutabilit delle leggi mondane, sorge chiarissimo dalle nostre deduzioni: e per fermo, pongono queste che i subbietti tutti quanti sono immutabili, e ebe i cangiamenti debbono riuscire conformi n pi n meno alla natura perpetua dei subbietti attivi e passivi. Hanno capo in que- sta immutabilit universale tutte le altre massi- Digitized by Google  432  me direttrici delle naturali speculazioni, come a dire l assioma , che ogni effetto dee seguitare lindole della propria cagione, e che a identico effetto risponde cagione identica, e ci in tutto lo spatio e per tutto il tempo; niente non essere neUeffetto che non sia innanzi nella cagione; sempre andare insieme lo agire ed il reagire; sempre la reazione essere proporzionata allazio- ne; lazione non cominciare e non finire nel sub- bietto medesimo, e cos segui. Sullordine fisico particolarmente diremo , che scende dai nostri dogmi una chiara dimostra- zione dellaltro principio del senso comune, il quale pronuncia che le forme della materia peri- scono, ma che la materia persiste necessariamente identica con s medesima nel quale e nel quanto. Intendesi dagli uomini per materia in universale un che esteso, impenetrabile, inerte, capace di figura e di moto. Ora noi soggiungiamo che tali attributi non possono realmente mancare al sub- biato comune di tutti i corpi. E primo, onde questo non sia , conviene persuadersi che la forza estensiva non sia un reale suhbietto, ma s bene un semplice modo operato in qualche subbietto incognito da unazione estrinseca e discontinua. Ma noi registrammo nella deduzione sedicesima, dovere gli atti discontinui rivelare tre cose infal- lantemente: cio la propria modificazione, la va- riet uccidentaria in cui trovansi i loro subbienti, Digitized by Google  433  infine la natura permanente di questi. Ora gli atti che a noi rivelano la forza estensiva, ce la rappresentano semplicissima , e identica sempre a s stessa in qualunque modificazione. Per quando essa fosse un modo provocato da azione esterna entro a qualche subbi tto invisibile, do- vrebbe di necessit accompagnarsi con altra ma- nifestazione, propria della natura del suo sub- bietto. E di vero, noi possiamo non sentire molti atti delle sostanze terminati dentro di noi, o per vizio degli organi, o per deficienza di nostra na- tura, non per possiamo sentire un atto, il quale non manifesti per guisa idonea la propria indole, cio a dire lindole del subbietto a cui appartie- ne: conciossiacli latto  operazione appunto della natura del subbietto; e quantunque distinto da lui per riguardo allessere,  uno con lui per riguardo allessenza. Ma pu da taluno obiet- tarsi: Non essere vero che la forza estensiva si rappresenti a noi in guisa perfettamente sempli- ce ; conciossiacb ogni percezione dellesteso si congiunge sempre e dovunque con certa forza di resistenza ; tale energia farsi sentire di continuo nell estensione del nostro corpo e in qualunque contatto coi corpi esterni, e fino per entro lo spa- zio, il quale con termine relativo e non assoluto chiamiamo voto, imperocch la resistenza e il peso dellaria  presente per tutto, dove ci mo- viamo. Rispondesi a tale istanza cosi: O la forza 29 Digitized by Google - 434  d resistenza risiede nello spazio per un atto esterno, continuo ed immutabile, ovvero per un atto esterno mutabile. Nel primo supposto, la tesi nostra rimane ; imperocch potremmo sem- pre affermare la forza di resistenza non mai venir meno per entro il subbietto della forza estensiva. Nel secondo supposto, diciamo che Tatto eserci- tato sopra la forza estensiva, essendo vera e reai mutazione, non riscuote il principio suo dal sub- bietto onde parte, ma risulta da un altro atto ri- cevuto innanzi dal subbietto medesimo. Ora per le deduzioni qui sopra esposte sappiamo di certis- simo queste due cose, cio che ogni atto ricevuto parte da un subbietto diverso da quello ove ter- mina, e che egli vien ricevuto con modo analogo alla natura del ricevente. Da ci consegue che un atto discontinuo esterno, il quale sia ricevuto dal subbietto della forza estensiva debbe recarvi una doppia forma deccitamento; Tuna rispon- dente alla natura del proprio subbietto, laltra alla natura dellatto esterno anteriore di cui esso  una conseguenza. Ma nel fatto non va di cotesta guisa , stante che la forza di resistenza mostrasi e invariabilmente semplice ed uniforme, malgra- do delle infinite modificazioni fra le quali si ser- ba identica. Argomentisi adunque o che la forza di resistenza  presente dentro lo spazio per un atto esterno perpetuo ed immutabile, o che la forza di resistenza  per s medesima un reale Digitized by Google  435  subbietto. La stessa argomentazione  applicabile di punto in punto allo spazio, quando piaccia ro- vesciare il supposto, cio fare della forza di re- sistenza un subbietto, e della forza estensiva un modo discontinuo di quello. Tali due forze poi trovandosi unite e contemperate luna con lal- tra, si inferisce dalla cognizione che prendiamo di lor natura, quella unione non poter essere ac- cidentaria , imperocch questo apporterebbe una mutazione nei due subbietti: simile contempera- mento adunque  esso pure perpetuo. Concludasi ci che venne pronunciato poco pi innanzi, vale a dire, che al subbietto comune di tutti i corpi mai non potranno mancare la estensione e la re- sistenza. Quanto al credersi dalluniversale che simiglinole subbietto sia inerte, cio che il mo- vimento non sia un modo essenziale di sua natu- ra, a noi sembra agevole arguire ci dallentit propria del moto, la quale consta di mutazione: e quindi non pu ricevere il principio suo imme- diato dallessere, il quale non cangia. Il moto  pure un discontinuo perfetto , o sia che tra un cangiamento ed un altro di moto interviene una divisione assoluta, il che non pu stare con la- zione del continuo, a cui disdice la divisione as- soluta. Ma perch da un lato i corpi si muovono e assumono diverse figure, che sono modi della estension resistente , e dall'altro nulla pu suc- cedere in una sostanza contro la sua natura essen- Digitized by Googk  436  ziale, se ne trae la conseguenza che nel subbietto comune dei corpi risiede una perpetua facolt di muoversi e di figurarsi, ricevuti avanti gl impulsi correspettivi ; il che compie lidea formata da tutti gli uomini sulla materia universale del mon- do. 11 cangiamento che il principio motivo induce nei corpi  la necessit di mutare spazio; la qual cosa basta a esplicare la inalterabile continua- zione del moto, o vogliam dire dello spazio mu- tato. Variando lo spazio variano altres le rela- zioni degli estesi fra loro: e da ci sintende co- me un primo ed unico impulso, il quale per niente si cangi sia nel modo, sia nellintensit,  sufficientissimo a produrre una catena intermi- nabile di effetti diversi. V Noi non esciremo da questo breve trattato della causalit, senza prima fare osservare qual- mente i nostri concetti si raffrontano con parec- chie opinioni del Vico, talune certe, e talune molto probabili. Di tal secondo numero  quella per cui il Vico dichiara, La forza motrice, o, comegli lappella, il conato , essere uguale per tutto, e presente in ciascun minimo dello spazio, e non differire da s medesima per variazione qualunque di moto. Certo, avendo noi provato pi avanti , che lazione esteriore giammai non cade per entro le mutazioni sopravvenute, ma s Digitized by Google - 437 - bene per entro latto continuo e perpetuo onci  costituito il modo e la forma propria della so- stanza, ei non sembra possibile a concepire che la forza motrice esterna cadendo sopra un per- fetto continuo , quale  lo spazio, agisca in una parte pi che in unaltra. Sembra in vece assai verisimile che la forza motrice si spanda ugua- lissimamente per tutto il subbietto dell estensio- ne, ma che l solo si venga manifestando il moto, ove qualche accidente di forza contraria non lim- pedisce. Questa opinione del Vico si trae dietro laltra, la quale pone che ogni porziuncula di materia possieda del suo il principio motivo gi ricevuto da tutto il subbietto, e che in conse- guenza vano  supporre la comunicazione del moto da corpo a corpo. La quale spontaneit del moto in ciascuna parte della materia, originan- dola nella maniera che noi facciamo, mette in concordia i trovati recenti dei fisici e il vecchio adagio del senso comune. VI Dicemmo poi rincontrarsi in Vico taluni altri concetti, i quali, bench singolari e arditi, ci persuadono tuttavia della loro certezza, avuta mente ai principii di gi stabiliti da noi. E qui viene acconcio il dimorare un poco sopra alcuni di essi. II primo  quello che nega la possibilit del vto assoluto. E di vero, se la forza di resi- Digitized by Google  438  stenza  un reale subbietto, ella  continua e in- definita e perci in qualunque parte dello spazio sta apparecchiata ad agire. Chi fngesse il contra- rio e immaginasse la forza di resistenza interrot- tamente distribuita, convertirebbe il continuo e lindefinito nel discontinuo e finito. Ci non vieta che i modi varii e gli accidenti molteplici di essa forza, accagionati da altreforze straniere, possano differenziarla a luogo a luogo, nel grado e nella combinazione con altri principii.il che basta a to- glier di mezzo quellantica obbiezione levata con- tro ai sostenitori del pieno assoluto, cio a dire che senza il voto non possa venire ad effetto mo- vimento nessuno, perch si vede il moto addo- mandare soltanto che la impenetrabilit dei cor- pi sia contenuta entro certi limiti di espansione e di costrizione. La seconda opinione del Vico, reputata da noi certezza, si  che i fenomeni determinati e finiti accusano tutti un mondo di esseri indivisi- bili e indefiniti. Di fatto, allorch parlammo dello spazio e della durata, ponemmo per cano- ne che gli enti divisibili non potendo contenere ciascuno un infinito di parti rilevano un perfetto continuo, di cui sono modi determinati e di- screti. Traemmo da ci con giusta illazione il con- cetto dellessere sostanziale e le leggi eterne del mondo metafisico, che giace di sotto le mutazioni Digitized by Google - 439 - ed i limiti. Cos concludemmo universalmente col Vico, essere la divisione, la discontinuit e il finimento soli e puri fenomeni, i quali richieg- gono a lor sostegno realit indivise, indefinite e immutabili. - t Ora  da conoscere in breve per quali mezzi ci  conceduto prender notizia non pure del sus- sistere dei subbietti , ma dei modi proprii e spe- ciali del loro essere. Le sostanze non si rappresentano allanimo nostro, salvo cbe per i loro atti, cio a dire per modi e accidenti simili, ovvero dissimili, ciascu- no de quali, in s medesimo considerato, ba forma finita e discontinua assolutamente. Nulla di manco il pensiere in virt della forza sua astrattiva ha potenza di ravvisare per entro quei modi il continuo subbietti vo raffigurandovi una identit indivisa e indeterminata, e per ci senza limiti e senza individua determinazione. Cos il nostro pensiero restituisce lunit piena e intera delle sostanze quale esiste di l dal feno- meno. Discende da ci un principio solenne, che a noi pare fecondo di vasti risultamenti per la speculativa, ed  cbe la mente riunendo il simile, e separando il dissimile, fa appunto dentro di s quello cbe la natura fa eternamente nellintimo delle cose. Perch, come lintelletto non pu a meno di raccogliere entro la sua unit e di con- fondere insieme l identico delle percezioni , cos Digitized by Google  44  la natura non pu a meno di comprendere nel continuo e nell infinito desuoi subbietti qualun- que cosa finita. Onde  che allorquando si dice le congiunzioni intellettuali del simile e del dissi- mile non rispondere alla realit obbiettiva, si dee intendere della realit finita, discontinua e de- terminata, la quale, a dir vero,  materia di tutti i fenomeni. Ma perche ogni atto, come dicemmo pi sopra,  analogo alla natura delloperante, e perch questa natura mantiensi di necessit la medesima in qualunque atto dello stesso operan- te, il nostro intelletto, fornito della facolt di paragonare e di astrarre, dee poter sentire quel che negli atti paragonati  comune e persistente. Si rileva eziandio da ci la cagione che hanno tutti gli uomini di ravvisare nelle idee generali non un mezzo soltanto di conoscere e concepire ad un tratto numero stragrande di singolari, ma unimmagine, per cos esprimerci, dellessenza stessa delle cose, e una sorta di ricostruzione mentale di quella. N pure trapasserei!! di notare, come con que- sta nostra dottrina spiegasi, e a noi sembra molto lucidamente, in che consista la certa realit dal- cuni esseri di ragione. E per fermo, secondo i dogmi di parecchi filosofi, le idee universali e astrattissime, cio separate da ogni materia e modo, e per fino dal concetto che se ne possiede, qual sorta mai di realit conservano in se mede- irci tjy,Xigle  44  Rime? non la obbiettiva perch fuor del pensiero il simile, in quanto simile, non esiste, e le idee universali rappresentano il simile; non la realit subbiettiva, conciossiacli si astrae talvolta pure da questa, come quando si pensa al colore in universale, e non si pensa allessere suo di con- cetto. 11 colore adunque contemplato nella supre- ma astrazione diverrebbe, giusta cotali filosofi, un essere negativo, siccome il nulla: cosa che  troppo contraria al senso comune. Ma se in vece diremo quello che  di fatto, rappresentare cio la idea del colore certa forma didentit vera e reale, eziandio fuor del pensie- re, chi pensa il colore, astraendo anche dalla sua idea esistente entro noi, pensa una vera e certa realit obbiettiva, vale a dire il continuo uno, in- diviso e indeterminato, il quale sottost ai co- lori finiti, determinati e divisibili. A noi sembra che tutto ci si lasci provare in guisa patente ed irrepugnbile, e che la dimo- strazione fondamentale dello scibile se ne avvan- taggi non poco. Concediamo tutta volta assai vo- lentieri che questa materia della rispondenza reale fra lidentico del pensiere e lidentico delle cose  piena di problemi oscuri e complicatissi- mi,! quali soli a volerli discutere convenevol- mente domanderebbono un intero volume. Basti a noi avere accennato il cammino, seguendo le scorte del Vico, e soprattutto, basti di avere ri- Digitized by Google -44* - conosciuta una pi larga realit obbiettiva nelle idee universali e in qualunque massima astra- zione. CAPITOLO XV Del testimonio umano. I Principio d' ogni sapere sono le storie : fonti delle storie sono l'intimo senso e il testimonio degli uomini . .  Campanella, Univ. Phil.,ecc. P. I.  La fede cbe si porta al testimonio de nostri simili riposa al tutto sui principi! medesimi da cui prendono forza le verit sperimentali e in- duttive. Uno di questi principii si  cbe gli stessi effetti debbono venir rivocati alle stesse cagioni, non potendo altrimenti verificarsi la immutabi- lit dellordine naturale. Ci posto, e vedendosi da ciascun uomo nella disposizione esteriore di tutti i suoi simili una identit compiuta e pe- renne fra le azioni loro e le proprie, conchiude a buon dritto cbe a segni ed effetti cos uguali rispondono cagioni altrettanto uguali , cio cbe i Digitized by  443  simili a noi nelle esterne manifestazioni sono es- seri umani, pensanti e operanti, siccome noi. Riconosciuta si fatta conformit, ecco quello che ne procede: il parlare  di sua natura un soddisfacimento continuo al bisogno innato e profondo di rilevare i proprii concetti e le affe- zioni vive dell animo; la parola  dunque vera naturalmente, e la menzogna  per arte ; ad ogni opera artificiosa presiede un fine, e cosi alla menzogna. L dove pertanto manci ogni fine alla menzogna, natura riprende il suo stile, cio a dire che in tal presupposto gli uomini parlano il vero, o quello che senton per vero. Ma se al- cuna cosa viene attestata da quelli uomini tutti, che sono in grado di averne notizia, e ci fanno essi in qualunque tempo e in qualunque situa- zione, come, verbigrazia, che lAmerica esiste, o che vha un fiume chiamato Nilo, agevole  di- mostrare chei dicono il vero o quello che repu- tano tale; conciossiach manca loro ogni fine al mentire e ogni mezzo per conseguir il fine , quando pure vi fosse. E per fermo, lo intento divisato dalla menzogna varia col variare dei profitti e delle passioni.  adunque impossibile che tutti gli uomini o gran parte di loro in somma lunghezza di tempo e in variet infinita di condizioni civili vengano mossi e sedotti da passioni e interessi perfettamente conformi e tradiscano tutti alla coscienza del vero. Aggiungi Dgitized by Google  444  che la menzogna si aggira suo malgrado per en- tro una sfera diversa ed interminabile, perch il falso non ha per se modo alcuno definito di esse- re; ei bisognerebbe dunque che tutti gli uomini, o gran parte di loro fossero innanzi convenuti a mentire in un certo modo n pi n meno, il che  altrettanto impossibile. Da ultimo qual fine vo- gliamo noi credere che spinga o tutti gli uomini o gran parte di loro a fabbricare menzogne ? Se tutti mentiscono, ei mentiscono a se medesimi, il che  assurdo. Se mentiscono allaltra por- zione di uomini e non si scorge quale utile o quaL diletto possa loro mai rivenirne,  parimente impossibile. II Se poi il parlare secondo verit  naturale alluomo, a noi sembra naturale altres che i fanciulli credano interamente e subito a quello che si vien loro affermando. Imperocch qual norma hanno essi per giudicare lanimo altrui? certo la -conoscenza soltanto di ci che accade nel proprio. Ma il loro animo non impara cos tosto la falsa utilit del mentire , e fino a quel tempo in cui la vengano essi discoprendo, la fede loro negli altrui detti e in qualunque nota esteriore di verit come potrebbe esser limitata? non ci pare pertanto che questa fiducia infantile si mo- stri cosa stupenda e miracolosa al segno da con- - 445 - vcrtirla , come fa la scuola Scozzese, in un istinto arcano della nostra natura. Ili Sa ognuno che vha una setta di filosofi i quali ripongono pi valore nella certezza del- lumano testimonio che in qualunque altra for- ma di verit: la poca ragionevolezza di tale opi- nione fu provata da noi in parte , l dove mo- strammo che la veracit dellumano testimonio e il fatto medesimo della testimonianza  da ul- timo riconosciuto dal nostro intimo senso, e che non pu quindi tal fatto riuscire n pi certo n pi evidente della coscienza da cui  sentito e giudicato. Seguentemente  da riflettere quale specie di verit  quella che si vuol dimostrare col testi- monio universale degli uomini. Poich, se la ve- rit  conosciuta da ognuno per intuito imme- diato o per dimostrazione apodittica , il consenso di tutti gli uomini non aggiunge n sottrae un minimo jota al rigore della prova, attesoch il certo assoluto  unico di sua natura, e identico sempre a se stesso ed  incapace di grado. Se in vece la verit o la cosa, che vuole affermarsi per certa non lascia scorgere la sua realt n per modo alcuno dintuizione n per raziocinio invin- cibile, il provare chella  creduta certa da tutti gli uomini (dato che sieno al mondo credenze Digitized by Google - 446 - comuni e non dimostrate n dimostrabili) pu promovere forse con gran ragione il convinci- mento: per questo, se ben si osserva, sta gi radicato e fitto nel nostro animo, dovendo parte- cipare tutti a una credenza comune e istintiva. Oltre di cbe diciamo tal convinzione non potere mai rivestire il carattere dellevidenza raziona- le, perocch ei bisognerebbe innanzi provare as- surda la ipotesi cbe tutta Fumana natura creda cosa non vera, e converrebbe dimostrar ci coi fonti idonei dellintuizione o ritraendolo da qual- che principio universale e apodittico, la qual cosa attenderemo che possa farsi. IV Assai volte la testimonianza del vero  cre- duta certissima, comecch sia ristretta in un solo uomo od in pochi, secondo cbe vedesi fare segnatamente per riguardo alle storie. E quindi non taceremo che allora quando i geometri pre- sero a sottoporre al calcolo il valore dellauto- rit parve che la fede dovuta alle storie venisse al niente. Ora noi diciamo assai risoluti che ci che ha mancato in questa materia ai geometri si  di riflettere su la grande efficacia la quale si acquista dalle storiche autorit mediante i con- sensi variatissimi ed innumerabili che i fatti at- testati ritrovano in altri fatti. Imperocch  meudoso calcolo stimare la certezza dellessere Digilized by Google - 447  stati al mondo Alessandro o Virgilio pel numero e per la veracit soltanto dei lor testinionii. Ma sopra ogni cosa fa bisogno considerare come lesistenza di quei due uomini si leghi ad altri casi infiniti, connessi fra loro e addentellati per mille guise, e come il fatto eziandio dei lor testi- monii trovisi nella medesima condizione con altri fatti correlativi, e come in fine tutta insieme la storia sia un complesso diverso e molteplice di segni e note del vero, rispondenti fra loro con certa proporzione e quasi diremmo armonia, onde poi si ingenera quella fede che gli uomini son convenuti di domandare certezza morale. Tal cosa poi  verissima non pure nel mondo dellau- torit, ma in quello altres dei fenomeni fisici: n lunga opera sarebbe mostrare come ogni fatto individuo, troppo incompleto per se e troppo in- certo nelle sue cagioni , si avvera e fortifica pel consenso, il quale mantiene con tutti gli altri. Che se tempo ci rimanesse alluopo, recherem- mo di ci esempio palpabile levato dalla dottrina medesima che in questo libro veniam trattando, e mostreremmo la prova di tutto lo scibile non sembrare tanto certa in ciascuna frazione quanto par certa chiarissima nella sua integrit; impe- rocch i fonti del vero sgorgano, per cos espri- merci, le loro acque luno presso dellaltro, e mcschiandole insieme, fanno un solo continuo di certa e profonda scienza. Digitized by Google - 448 - V Per la medesima via supplisce luomo a qual- che difetto che scuopre nell applicazione dei principii generali: cos, per esempio,  del prin- cipio addotto qui sopra che ogni effetto identico domanda cagione identica: il quale guardando a ciascun caso particolare, presso che mai potrebbe be applicarsi con infallibile sicurezza , avvegna principalmente che troppo di rado si pu pren- dere certezza assoluta della identit perfettissi- ma di due cose particolari ed accidentali, e rado pure si pu assegnare un effetto alla cagione sua immediata e sola efficiente. Ma supplisce a ci il numero e la concatenazione dei casi. E se, verbi- grazia , una cagione non possa venir reputata identica per la identit sola apparente di certi singoli effetti, a ci supplir il numero degli ef- fetti e delle cagioni superiori e collaterali, la cui rispondenza e i cui legami importano la identit di quella prima cagione. E per fermo, in una lunga serie di fenomeni producenti, e prodotti, ogni differenza, la quale fosse restata occulta, si metterebbe in palese, stante chella avrebbe roul- tiplicato col numero delle combinazioni: e al contrario, se le rassomiglianze vedute da prima fossero state apparenti, avrebbero dato luogo ad altre reali stabili, essendoch nel raddoppiarsi dei casi laccidentale si scioglie e svanisce. Digitized by Google - 449 CAPITOLO XVI Della Dimostrazione. I Non vi pu essere dimostrazione della dimo- strazione.  S. Tommaso, P. P. S. Q. I.  La virt del concludere (nel sillogismo) questo di questo per quello  nel sillogismo per forza d'identit.  Campanella, Unir. Philos. , etc. P. I, L. IV, C. II.  In tutto il discorso fino qui, si  stabilita sempre con egual metodo la prova razionale di pi sorte di verit. E questo metodo si  fatto consistere nello sciogliere certe apparenti diver- sit di evidenza e nel riconoscere in ciascuna di esse una realit e una certezza dintuizione. A tal uopo abbiamo adoperato pi volte l efficacia dei sillogismo, e perch questo sembra recare nel- lanimo una forma speciale di convincimento as- sai distinta da tutte le altre investigate finora, ci par debito trattare in breve della dimostra- zione, e in particolar modo del sillogismo, che  il suo istrumento perpetuo. Nella prima parte del nostro libro toccammo gi un qualche poco del sillogismo, e osservammo essere egli sempre 3o Digitized by Google  45o  lapplicazione del principio apodittico, il conti- nente comprendere le parti del contenuto. Da ci discende cbe il sillogismo dee partecipar sem- pre della evidenza di quel principio, da cui non varia pi che la specie dal genere, e pi che il caso particolare dal generale. . II Ma che il sillogismo asconda sotto una forma peculiare un atto vero e semplice dintuizione, si prova per questaltra guisa. Risulta il sillogismo dalla espressione di tre giudicii legati fra loro per la comunanza d un termine. Tali giudicii possono rappresentarsi algebricamente cos: A > B, B > C, dunque A > C. Questi tre valori poi sono inclusi in per- fetto modo entro la seguente espressione : A > ( B > G ). Ma ben si noti che espressione s fatta rappresenta un atto unico intuitivo. Ora dicia- mo, che guardando nel sillogismo la operazione interiore dell intelletto, la cosa non va punto diversa dalla rappresentazione algebrica addotta da noi. E per fermo, ci che compie la mente nostra allora quando sillogizza  questo: da pri- ma le sta innanzi il soggetto dei sillogismo e quel predicato che in esso distingue con pi o meno sollecitudine. Componesi per tal maniera il giu- dicio chiamato minore dai vecchi logici , e viene rappresentato dalla espressione A > B. Conduce Digitized by Google  45 1  poi il pensiero la sua attenzione in disparte so- pra B, o vogliam dire sul predicato, e rileva eh' esso pure alla volta sua  un subbietto com- prendente certo attributo,  B > C: e poich un tale attributo ed un tale subbietto compongono insieme il predicato della minore, la mente giu- sf dica dovere il subbietto della minore contenerli ambidue insieme, il che  espresso da A > (B> C). Latto dunque finale di nostra mente (quello in- tendiamo che genera lintuizione del sillogismo)  di vedere e distinguere dun solo sguardo il soggetto della minore, il quale contiene un pre- dicato non semplice ma composto di pi dun termine. Per quello chentro il pensiero riman congiunto , viene diviso e ripartito nei segni esterni, a cagione che le parole non possono an- dar simultanee e connesse alla maniera medesima dei concetti. Ili Da questa natura intima del sillogismo sinfe- risce la natura universale del discorso dimostra- tivo, il quale constando d una serie di sillogismi insieme legati, diviene per le anzidette cose una pura serie dintuizioni: e queste poi si connetto- no, in quanto una prima intuizione si fa subbietto ovvero si fa predicato di un altra, e tutte insie- me concludono a un giudicio terminativo, nel quale sono comprese per sintesi e vi figurano Digitized by Google  452  come analisi parziali gi praticate del subbietta della dimostrazione. Che per verit ogni sillogi- smo  unintuizione presa ad analizzare in alcuno de suoi fenomeni. Ci stante, concludiamo aver noi legittima- mente impiegato in molte parti del libro il me- todo dimostrativo e lefficacia del sillogismo, da che non siamo trascorsi per veruno dei due fuor dellintuizione immediata: solamente che luna azione intuitiva venne provata per lintermedio dellaltra discoprendo fra loro insieme un nesso e una dipendenza di predicato a subbietto. Pro- nunciammo negli aforismi, dovere colui, che to- glie a dar prova di tutto lo scibile, premunirsi molto contro il pericolo di provare talune cose con altre identiche. Quindi pensammo che nella impossibilit in cui saremmo stati nostro mal- grado di sopprimere luso di alcuni istrumenti ordinarli dellanalisi e del raziocinio, almeno avremmo progredito con V intenzione espressa d* farne uso provvisionale e dando a ciascuno a suo luogo la debita dimostrazione, la quale poi non fosse si fatta da includere in qualche modo e per qualche forma di presupposto loggetto medesi- mo di essa dimostrazione. Noi pigliamo speranza di non avere negletta mai questa nostra massima ; perocch la prova dellesterna realit sorge nel nostro libro dai fenomeni subbiettivi soltanto , e quella della memoria e del tempo da un fatta Digitized by Google  453  presente e continuo dellintelligenza: quella del principio di causalit emana dalla pura entit del pensiere, e quella infine del sillogismo esce dal- lanalisi pura de suoi fenomeni costitutivi. CAPITOLO XVII Del Criterio d ogni verit. I I modi del vero si stringono in picciol numero determinato. Sei sono i modi tutti del vero ; e il primo  dei fatti interiori: il secondo della percezione dei sensi : il terzo della ragione , o sia dei princi- pii universali apodittici ; il quarto della di- mostrazione; il quinto dell' autorit ; il sesto dell abito, e considera la verit complessiva- mente, cio tutta quella , onde si compone la sapienza e la scienza , V arte e V opinione. - Francesco Patrizio, Delle Questioni Peripateti- che. T. I, L. XIII. Criterio del vero  la conversione sua col fatto. Il vero  il fatto ... e criterio del vero  farlo , r- Quindi provare per la cagione vale Digtized by Google - 454 - il medesimo che produrre , e quindi anco pro- cede la gran certezza dell' aritmetica e della geometria ; imperocch la mente umana con- tiene entro se tutti gli elementi compositivi di quelle scienze ; dei quali elementi disposti e composti dall' uomo risulta la loro verit , e insieme la loro dimostrazione , onde in tal ca- so, il dimostrare si fa un medesimo con l'ope- rare, e il vero si converte col fatto.  Vico, Dell Antichiss., ecc.., in pi capitoli.  E cos ci avvisiamo di avere compiota la rb- cerca difficile di ogni forma distinta e generica di verit. E per fermo ogni cosa pensabile o sta dentro di noi, o fuori di noi: nel tempo, ovvero nella durata continua; ancora, ogni cosa  parti- colare, od universale, subbietto o modo, effetto o cagione. Guardando poi alla cognizione in se stessa e alle sue forme e alle sue origini, ella dee procedere o dalla intuizione immediata, ovvero dalla mediata : per giudicio semplice, o per giudi- ci dedotto; dal proprio esperimento, ovvero dal detto altrui. E questa classificazione di ogni modo del vero noi l'attingiamo allantico fonte italiano, conciossiach vedesi dal testo qui an- nesso avere il Patrizio considerati gli stessi con- fini del nostro scibile e gli stessi aspetti generali Digitized by Google  455  e costanti della cognizione. Se non che noi ci siamo astenuti di parlare dell abito, come di un modo dellintelletto, il quale non ha carattere proprio in se stesso, ma lo riceve da quelle ope- razioni di cui  labito. II Ei par dunque che loccasione ci venga in pronto di ragionare del Criterio della verit, ul- timo fine a cui sembrano tendere i logici e tutti coloro i quali, dopo avere scrutate le facolt e le condizioni dellintelletto, vogliono trarne al- cun documento supremo, e sperano condursi con esso al rintracciamento del vero, quasi che aiu- tati da un segno visibile, come i piloti nellalto oceano. Non cercano essi dunque con s forte sol- lecitudine la verit stessa, quanto cercano un. se- gno e un indizio infallibile per riconoscerla. Ora come va egli cbe il segno debba riuscire pi certo della cosa significata? Che se la natura della ve- rit sembra nota ed aperta, qual mestieri si ha dun indizio evidente di lei? e se quella nobil natura rimane occulta, quale argomento pu di- mostrare la infallibilit del suo segno? oltrech, se il vero  difficile a discoprirsi, merc delle sembianze varie ed ambigue, onde si cuopre , in qual guisa potrebbe a pi sorte di verit rispon- dere il segno medesimo? di qui pertanto  deri- vato cbe la fiducia di rinvenire cotesta nota Digitized by Google  456  comune dogni evidenza e dogni certezza  ri- masta vana e infruttifera. Vedere poi i filosofi proporre ciascuno alla volta sua un criterio nou pur nuovo e differente da quello di altri, ma op- posto per avventura e contraddittorio, sembra sufficiente per dimostrare la impossibilit dellas- sunto. Cionondimeno, la ostinazione degli ingegni speculativi a porsi in ricerca dun qualche crite- rio costante ed universale, dichiara, per quello che ne pensiamo, avere ciascuno raccolto nel proprio animo tali due convinzioni. La prima si , che la verit  semplice e identica con se stessa in perfetto grado. La seconda si , che pervenuti una volta a distinguere e definire con sicurezza la forma semplice ed essenziale del vero, ninna cosa potrebbe impedire di riconoscerla per tutto ove sia presente. Labbaglio adunque di molti logici consiste, se pure non siamo errati, nel fare inchiesta diligente dun segnale del vero piutto- sto che di esso vero. Discende da ci che il no- stro criterio solo e perpetuo sar levidenza din- tuizione; e diciamo, chi vuol riposare nel certo, doversi far debito di ritrovare quella per tutto ; e l dove non  , ovvero non apparisce , sospen- dere il suo giudicio. Digitized by Google 457  IH Allora quando il sapientissimo Vico emise quel suo pronunciato, cbe dice consistere il cri- terio del vero nel farlo , egli non propose nulla che uscisse dai termini dell' intuizione, bens an- d riguardando in lei , oltre i caratteri universa- li, talune doti pi peculiari, e ci fece con lin- tento di profferire a un tempo medesimo il crite- rio della certezza e il criterio della scienza: noi vogliam dire chei pose mente non solo al formale della cognizione, ma eziandio al materiale ob- biettivo. Avvegnach noi possiamo possedere la certezza delle cose, e tuttavia non saper nulla del loro essere determinato, n del loro perch: nel qual caso la intuizione apprende la pura en- tit del fatto, ma non la scienza ; per contrario, se la intuizione versa sopra dun fatto chella medesima va producendo con le sue facolt , al- lora stimiamo di possedere e la certezza e la scienza. Ma ben si noti cbeziandio la certezza del fatto non pu riuscire compiuta , riguardo alla sua estensione, se non quando la produzione di lui diviene opera nostra. E di vero, si prenda esempio dalla percezione d un corpo esterno. Quivi la nostra mente partecipa alla creazione del fatto in pi guise. Ella riceve con un moto di reazione latto esteriore, e tal lo riceve quale domandasi dalle sue facolt. Convergendo poi Digitized by Google  458 - sopra quello la forza attentiva, lastrattiva e la sintetica , avverte la propria affezione, la distin- gue, la giudica, e nellunit sintetica la riassume. In tutto ci la mente  operatrice del vero: ella si mantien tale, eziandio qualora dimostra a se stessa la presenza necessaria dellessere esterno: quello adunque che limita nel nostro esempio la creazione del vero dalla parte dellintelletto si  lesterna impulsione, e a tal confine appunto vien meno la nostra certezza , stantecb se noi produ- ciamo sillogizzando le prove dellesterno, gi non dichiariamo in nulla con ci n la sua natura n quella degli atti suoi; e per delluno e dellal- tro siamo cos incerti come ignoranti. Alloppo. sto, si finga loggetto dellintuizione essere nelle nostre idee soltanto e nei gruppi e nelle separa- zioni diverse che vi andiamo determinando. Cer- to  allora che lintelligenza con tutte le forze della propria spontaneit rimane creatrice sola del vero; siccome incontra agli algebristi e ai geometri, i quali, variando, compiendo e ordi- nando i proprii concetti, generano i loro teoremi, la cui certezza distendesi tanto quanto la materia pensata, cio a dire che in tali invenzioni la cer- tezza e la scienza vanno dun solo passo. Non fa meraviglia pertanto se tutto lumano senno pro- caccia di giungere alla condizione della geome- tria e dell algebra, cio aspira a mutarsi in bella e grande creazione di nostra mente, e questo  Digitized by Google - 459 - il fine superiore di tutto lo scibile; n anche si ommetta di contemplare che quel postulato pri- mo ed inevitabile, dinanzi a cui vedremo tra poco doversi fermare ogni umana teorica, dee consi- stere appunto nella contingenza del nostro pen- siero e nei confini delle nostre determinazioni spontanee. Adunque noi pure diremo col Vico, criterio del certo essere lintuizione, e criterio della scienza essere lintuizione creatrice, e tanto la scienza avvantaggiarsi sullarte empirica, quanto diviene opera della nostra spontaneit, e quelle scienze approssimarsi vie meglio alla lor perfe- zione le quali il proprio lor vero convertono com- piutamente col fatto. CAPITOLO XVIII Del senso comune. I Sapientemente Tommaso Reid riconduceva glin- gegni, vaganti per temerarie investigazioni, a consultare i dogmi del senso comune. Imperoc- ch la natura sola pu mettere un fine ragionevole a certe specie di controversie: e nel senso comu- ne non altra sapienza  nascosta fuor quella me- Digitized by Google  46o  desima della natura. Egli accade non raramente che gli uomini speculativi, riponendo a poco a poco una fede soverchia nella virt delle loro astrazioni e dei loro sillogismi, pervengono a conclusioni differentissime da quelle che porta il criterio della natura. Per lo che  necessario eziandio nel regno della filosofia seguitare la massima di Machiavello, del ritrarre sovente le cose ai principi! loro legittimi. Cos, come la na- tura  il principio dogni sapienza, ella ne  pure il termine, stantech le ultime conclusioni della filosofia razionale debbono coincidere con le opi- nioni del senso comune : e certo si ba buon argo- mento per tacciare di false e di presuntuose quelle teoriche, le quali pensano aver colto in assai gravi errori tutto il genere umano. Leccesso della scuola scozzese fu nel dilatare oltre il con- venevole lautorit del giudicio comune degli uomini, e nell adoperarla a dimostrazione supre- ma di tutto lo scibile. Sulla qual cosa abbiamo discorso poche parole pi innanzi. Il senso co- mune non  pertanto una prova logicale assoluta del vero, ma un indizio infinitamente probabile, e pu tener luogo per i filosofi di quei metodi di verificazione onde fanno uso i calcolatori: talch a condizioni ugualissime quella dottrina dee essere reputata pi vera e certa, la quale cospira esat- tissimamente coi dogmi del senso comune. Digitized by Google II Ora, a chi voglia intraprendere cotesta veri- ficazione , verr veduto in breve che tutte le opinioni, le quali abbiamo tacciate derrore e di essersi dilungate pi o meno dai principii dellot- timo metodo, contraddicono altres ad alcuna credenza comune. Cos i Locchiani proclamano contro luniversale, non esistere soggetto distinto dai modi, e perci n tampoco esistere il me, unico ed identico distinto dai modi cogitativi. Niente v essere di assoluto nella durata, e niente nella catena degli effetti e delle cagioni. La mente essere tutta passiva , e dagli assiomi non venir mai effettuata alcuna nuova cognizione. Egual- mente contraddicono al senso comune i Kantiani, dai quali si nega la realt esteriore dello spazio, del tempo, dell unit, della causa, della sostanza, e in breve tutto ci chei vanno sommando sotto le categorie della sensibilit, dellintelligenza e della ragione. Vi contraddicono gli scettici e i sentimentalisti, zynbedue i quali svestono lumana ragione della virt di aggiungere la certezza in nessuna cosa. Ma chi vorrebbe persuadersi , cbe la scuola scozzese mentre proclama a tuttuomo lautorit sola ed irrepugnabile del senso comu- ne, pure contraddicesse ad alcune verit univer- salmente credute? ma ci si provi col fatto. Digitized by Google 462 * Credono universalmente gli uomini, la ragione essere differentissima dallistinto. Credono eziandio universalmente, la ragione poter provare se stessa, e la sua evidenza non es- sere una cieca necessit. Ancora  perpetua convinzion di tutti, che la verit  una e identica sempre in maniera com- piuta , la qual cagione ha fatto che ogni filosofo s messo in via di cercare un solo e immutabile criterio del vero. In fine ciascuna volta che viene mostrata la verit d una cosa dal principio della contraddi- zione lappagamento della ragione  perfetto : uon cosi avviene nellaltre nature di prove in cui ci ostiniamo a domandare il perch delle prove stesse. Ora a questi fatti perenni ed universali del senso comune contraddice manifestamente Tom- maso Reid e la scuola sua. E, per fermo, basando egli lultima prova di tutto lo scihile sopra un certo numero di giudicii istintivi, come non si dir che avvolge e confonde insieme la ragione e listinto, e vieta ad essa ragione di provare se medesima? E quando mette innanzi sei o otto specie di evidenze fornite della medesima autori- t, non distrugge egli la natura una e assoluta del vero? e non si pone in bisogno di credere vana e illusoria quella inquietezza, la quale resta nei fondo del nostro animo qualora non vediamo il Digitized by Google  463  perch di molte naturali certezze? Laonde, ben- ch ci paia duro, diremo senza esitare, che la scuola scozzese non  esente dal difetto di met- tere le sue conclusioni in qualche grave disar- monia con quel senso comune medesimo, nel cui nome e sotto la cui tutela filosofeggia. Ili Per nostro conto, noi ci siam fatti debito di concludere in ogni materia trattata conforme- mente coi dogmi del senso comune, n vi toglien- do nulla, n nulla aggiungendovi. Il perch noi abbiamo creduto partire al tutto listinto dalla ragione , e questa stimato abbiamo capace di pro- vare se stessa: di quindi cavammo il principio che alla dimostrazione della realt delio scibile non possono n debbono partecipare i giudicii istintivi, quando per avventura alcuno ne esista nell ordine puro conoscitivo. Perci eziandio cer- cammo una sola ed unica forma del vero, alla quale abbiamo ridotto le altre di pi diversa sembianza. E tale forma  quella in cui, vista la conversione dellente col vero, lumano intel- letto si appaga , e gusta il piacere della certezza assoluta. Medesimamente noi concludiamo contro i Locchiani e daccordo con luniversale creden- za, che esiste un soggetto pensante distinto da tutti i suoi modi, il quale  uno, identico ed im- Digitized by Google - 464 - mutabile. Cos pure, che esistono soggetti este- riori distinti dal gruppo delle loro qualit e for- niti delle disposizioni proprie ai subbietti conti- nui ; che il pensiere  attivo eminentemente ; che la durata  assoluta; che gli assiomi sono istru- mento fecondo di verit , e cbe il principio della causalit  universale e apodittico. Infine noi manteniamo contro Kant, che non  abbaglio degli uomini il credere la lor natura capace di conoscenze, le quali trapassino la re- gione delle idee ; e cbe male non giudicano qua- lora reputano la nozione dello spazio e del tem- po , quella dell unit , della quantit , delia cagione, della sostanza, e molte altre, essere eziandio obbiettive, cio rispondenti ad alcuni fatti nascosti sotto la realt defenomeni. CAPITOLO XIX Dell assoluto. 1 Intento della speculativa. Fu in qualunque tempo principio comune agli Italiani filosofi che intento della speculativa debba essere lo scoprire e provare l assoluto Digtized by Google  465  delle cose, e ascendere dallesperimento alla scienza. Citeremo alcuni passi in conferma di ci. La somma verit  la somma essenza, della quale partecipano tutte le cose.  S. Anseimo, Monologion.  Negli oggetti sensibili  alcun che di permanente , avvegna che in essi  qual - che ragione immobile e necessaria , e in univer- sale possiedono alcuna sempiternit.- S. Tom- maso, P. P. S. Q. a8.  Niente havvi di contin- gente che in se non inchiuda alcuna cosa di necessario.  Idem, eodem, P. I, 86. Le cose in se ed in noi sono assolute: nel modo e nel quanto son relative .  Campanella , Unir. Phil. P I, L. I, C. IX.  I sensi procacciano V dementar cognizione, la cui natura  relati- va: ma la mente astraendo induce per quanto si pu V assoluto.  Giordano Brano, De Tri- plici minimo et mensura, L. II, C. III.  Fonte di ogni certezza,  la metafisica , la quale tratta del vero e dell'ente, e, per dirla in uno , tratta del vero ente.  Vico, Dellantichis- sima , ecc. , e sue lettere responsive. I subbietti delle cose sono immutabili. - Mestieri  distinguere V essenze intellettive dalle reali: e chiamiamo essenza reale ci che non soggiace a trasformazione.  Campanella, Unir. Phil. P. I,L. II.  3 Digitized by Google  466  Lidentit fenomenica ci  strada a conoscere lassolato. Il simile  in fondo di tutte le cose , le quali per ci si risolvono nell' assoluta unit , vista da Platone.  Idem, eodem, P. I, L. Il, C. IV.  Principii certissimi di sapienza son posse- duti da ogni uomo nelle nozioni comuni ; le quali s originano e dentro di noi e fuori di noi pel consenso universale di tutti gli esseri.  Idem , eodem, P. I. L. II, C. IV.  Ripiegandoci ora sulle dottrine tutte che ab- biamo esposte, sembra a noi chelle vadano com- ponendo fondatamente una teorica della certezza , o vogliam dire la scienza che esplora e pesa la realit contenuta nelle diverse nature di cogni- zioni. Similmente ci pare che da esse dottrine riluca, ad un modo sempre, questo pronunciato terminativo, Che tutte le forine devidenza re- gistrate dai psicologi riduconsi a una forma sola e perpetua , quella cio della intuizione. Carat- tere poi dellintuizione abbiamo veduto essere la eoscienza dun giudicio, i cui termini non oltre- passano il mondo nostro ideale, ovvero dallap- Digitized by Google  467  plicazione legittima del principio di repugnanza vien dimostrato il riferimento necessario di quelli all oggetto estrinseco. Di che si vede non aver noi promesso cosa sproporzionata alle forze at- tuali della filosofia, quando prendemmo fiducia di rinvenire la dimostrazione di tutto lo scibile; ch la dimostrazione per se medesima non  scienza, ma certezza di scienza e riconoscimento di realit. Quindi se la realit dellintuizione lampeggia per se medesima di evidenza perfetta, e se ogni altra forma di sapere abbiamo trovato nascondere la realit intuitiva, sembra che non rimangano dubbii intorno lautenticit di tutto quanto lo scibile. Il perch noi avremmo toccato l'uno dei fini della filosofia razionale, che  di convertire in prora apodittica quelle convinzioni del senso comune, le quali versano sopra materia dimostrabile e non istintiva. Tuttavia resta a considerare alcuna difficolt. II Dimostrare lo scibile umano sintende bene che vuole esprimere non gi provare tutte le singole verit; ma, come fu detto pi duna vol- ta, provare semplicemente la lor forma comune e i principii supremi sotto cui si rassegnano. N tampoco vuol egli esprimere conferire a tutto lo scibile il grado medesimo di certezza , imperoc- ch nell umano scibile tengono lor luogo ezian- Digitized by Googte - 468  dio i probabili cd anco le mere possibilit; ma sr vuol dire soltanto che quelli e queste sieno cono- sciuti per tali e ponderati con sicurezza alla sta- dera dun giusto giudicio. Chiamansi poi parti certe e assolute dello scibile umano quelle teori- che , le quali non escono dalla dottrina apodittica dellordine causale delluniverso, guardato nella massima generalit, ovvero che non trapassano alquante determinazioni comprese in qualunque atto dintuizione.  di tal numero sono la geo- metria , lalgebra, la scienza pi astratta del mo- to, e poche altre. A queste s fatte non occorre altro postulato, se non lesistenza dello spazio, del discontinuo e delia capacit al moto, cose contenute da ogni atto dintuizione; perch nel sentimento, il quale costituisce loggetto perpe- tuo del pensiero,  sempre una percezione dello spazio, della solidit e del discontinuo, e un moto correlativo in alcuno dei nostri organi: dai} quali fatti poi riscuotono il lor principio imme- diato le nozioni generali della causalit. Laonde per far discendere la geometria e l algebra e la dinamica pura dalla regione delle ipotesi in quel- la dei fatti, richiedesi la realit mera e sola del subbietto pensante. Alla fisica universale occorre di pi il postulato dellattrazione o sia la deter- minazione del moto, secondo una legge, la quale bench semplicissima non sembra finora potersi dedurre dal concetto puro della materia comune Digitized by Google  4%  di tutti i corpi. Agli studiatori dei fenomeni chi- mici fa mestieri aggiungere il postulato dell affi- nit, e a quelli dei composti organici il postulato di certa forza vitale. Cos a proporzione che scen- desi nei minuti particolari degli esseri multifor- mi cresce il numero dei postulati, i quali tutti appoggiano, certo, a esperienze patenti e imman- cabili, ma di cui tuttavia non sembra potersi dare dimostrazione a priori , cio dedotta da un principio speculativo supremo. Tali postulati sono poi fra loro in dipendenza ascendente , cio nella ragione del meno semplice al pi. Cos, tolta via la forza vitale, restano pur nondimeno le forze affini: e queste, levate, non si leva per ci luniversale gravitazione: e col distruggere cotal legge di moto non si annichila il moto stesso nel subbietto comune dei corpi ; allincon- tro lattrazione domanda il subbietto corporeo e il principio motivo: le affinit presuppongono lattrazione delle masse, e il principio vitale ri- chiede tutte queste cose insieme. Perci la prova sperimentale delle singole scienze  tanto pi larga e solida quanto abbraccia fenomeni pi ge- nerali e durabili e di cui ciascuno divien ferma base a innumerevoli altri. In ogni scienza poi costrutta e ordinata teoricamente la certezza sperimentale di un fatto individuo cangia in ve- rit necessaria le verit generali correspettive. E queste premesse, i fatti individuali sono pre- Digitized by Google  47  min eia ti con altrettanta necessit. Il termine adunque pi alto, a cui mira ciascuna di tali scienze,  di rivocare tutti i fenomeni a lei perti- nenti a un solo e precipuo fatto, presupposto il quale, necessit sia ammettere la serie intera degli altri ; il che tuo! dire con diversi vocaboli, ascendere dalla esperienza alla teoria , trovando il costante in ogni variabile, e il necessario in ogni condizionale, e bandendo dalla propria pro- vincia il disordinato e fortuito. Per a tale co- stituzione perfetta mai non saliscon le scienze per via dinduzione, ma per discorso dimostrati- vo, illustrato sempre dai tre principii modera- tori di tutto lo scibile, cio dal primo di cagio- ne, dal secondo di sostanza, e dal terzo della im- mutabilit dogni legge naturale, si voglia nello spazio, si voglia nel tempo. Il primo dice: Ogni cosa ba una cagione: il secondo: I cangiamenti sono modi delle sostanze: il terzo: I cangiamenti avvengono neUimmutabile e secondo la immu- tabil natura di questo. Tali tre scorte poi dello scibile venendo di- mostrate allultimo dal fatto perenne della in- tuizione immediata , lo scibile umano finisce tutto per appoggiare la sua certezza sullevidenza intuitiva. Possono col progredimento di ogni sa- pere trovarsi legami nuovi e necessarii fra la notizia di certi fenomeni e la scienza dei subkietti immutabili: con ci, parecchi dei postulati anzi- Digitized by Google  47 1  detti verrebbero posti a priori legittimamente,, e quindi cesserebbono di essere dati sperime- tali. Ma per qualunque miracolo del senno uma- no, mai non potr farsi sparire il primo ed essenzial postulato di lui, cio il fatto della co- scienza. Per a questo sol fatto potrebbero met- tere capo insieme e il principio dogni scienza e il principio dogni certezza, vale a dire che i fenomeni costanti e semplici compresi in qualun- que atto dintuizione, potrebbero addivenire un giorno il solo principio sperimentale richiesto alla deduzione intera dellumana sapienza. Ili  speranza d alcuni filosofi di oltrepassare eziandio cotesti confini segnati ad ogni ragione di scienze, e in due modi vi si adoprano. Gli uni pongono innanzi certe idee trascendenti e certi giudicii istintivi; gli altri procacciano di far principio alle cognizioni tutte quante dalla scien- za dellassoluto, Suolsi argomentare cos dai pri- mi. Giace entro il nostro animo la convinzione profonda , che le leggi della natura debbono man- tenersi costanti ed universali, come son tutta- via, e questo ci fa persuasi che l avvenire non dissomiglier dal presente, a cagione clic il pre- sente ritrae lordine suo appunto dalla generalit e dalla costanza delle leggi naturali. Convinzione s fatta onde nasce? dallesperienza non mai, Digitized by Google  47  perch  contingente, e non trapassa i confini di certo tempo e di certo spazio. Ella  dunque a priori , e sta in noi, come un irraggiamento della verit eterna di tutte le cose; adunque il sapere umano  assoluto, a cagione ch'ei rende imma- gine dell'ordine assoluto e perpetuo dell uni- vero. Al raziocinio di questi filosofi noi opponia- mo (cosa detta pi volte nel nostro libro), es- sere i giudicii tutti istintivi credenze e non co- gnizioni, fede e non scienza , attesoch in quelli noi non vediamo le realit, onde facciamo giudi- ci ; che se vuoisi dar loro un sostegno nella giu- stizia, nella verit e nella bont diddio, al quale disdice di porre nel senno umano convincimenti necessari! del falso, volontieri ci renderemmo alla solidit di cotesta prova , se gi la notizia di Dio non venisse dai prefati filosofi edificata in parte sovra essi giudicii istintivi. Ma coloro che intendono cominciare dallas- soluto, dallente in se e dalla ragione ultima dogni esistenza, argomentano in questa forma. Il relativo e laccidentale, danno, n altro protreb- bero, cognizioni relative ed accidentali, cio uon scienza vera e immutabile, ma apparente ed em- pirica: forza  dunque a chi vuole costruire la scienza , prender le mosse dal necessario per se: questo poi trovato, avremo eziandio una dottri- na apodittica del relativo e del contingente; im- perocch sar fatta allora manifestissima latti- Digitized by Google  473  nenia di ambidue col necessario per se. A specu- latori cos arditi noi rispondiamo, che sebbene l'uomo possa aspirare a una scienza dellasso- luto, assurdo  dire che vi pu giungere con una scienza assoluta. E per fermo, i caratteri proprii e costitutivi dell'umana cognizione sono lindividualit e la contingenza: e prima lindi- vidualit, perch dogni vero astratto o concre- to, particolare od universale, lanello ultimo e stabile vien legato a un modo del nostro essere proprio e individuo. Poi diciamo la cognizione umana essere contingente. Di fatto ella muta, e il non contingente  immutabile: ella conosce le cose per lintermedio dei fenomeni , e questi son termini relativi : ella pu pensarsi distrutta senzombra di ripugnanza, e il non contingente ba sussistenza necessaria. Affermeremo per av- ventura con Fichte essere noi medesimi lasso- luto? o diremo con Schelling che lassoluto  in tutto e per tutto identicamente, e solo si diver- sifica quanto alle forme? ovvero ripeteremo con Bouterweck lassoluto doversi cercare nella fa- colt medesima di conoscere? A questi sistemi ingegnosi e ad altri conformi ci sembra dovere ostare con una sola ed unica proposizione, ed  che quando pure ci avvisassimo di discoprire lente per se nel subbietto pensante, o ncllob- bielto pensato, o in essa facolt di conoscere, nientedimeno la conoscenza che ne prenderemmo Digitized by Google  474  permarrebbe sempre individua e accidentale, im- perocch ella  nostra e non daltri, ella si muta nel tempo, ed ella  un puro fenomeno. N gi suffraga andare figurando per entro la cognizione medesima alcun che dimmobile e dassoluto, avvegnach latto, onde prenderemo notizia di quello assoluto (posto che sia) manterrassi sem- pre individuo e accidentale. Non si tratta qui dunque di ravvisare lassoluto, l dove , e per quello che , ma di conoscerlo per maniera as- soluta, cio per un atto infinito ed incommutabile a cui non bisognino prove, sentendo se stesso, perpetuo, necessario ed universale, il quale atta di cognizione non  proprio se non di Dio.. IV Ma questa materia dellassoluto va oggid per i libri cos involta e oscura che pensiamo ag- giungere qui alcuna parola di schiarimento. E prima , si vuole osservare che ogni cosa , da cui dipende l'essere o la qualit di altra cosa, vien denominata lassoluto di quella, e tal senso pu dirsi molto congruamente il senso grammaticale. Un altro assoluto  quello, a cui tendono inces- santemente le scienze e le arti geniali , ed  un vero e un bello, sommo, intero, purissimo, cio a dire chegli  certo e immutabile, sciolto da ogni accidente , uno, perfetto, universalissimo, tanto che la nostra idea lo contiene con isplendi- Digitized by Google - 475 - da lucidezza, e della sua contemplazione si gode. Al qual termine sebbene non giungano quasi ebe mai n le scienze, n le arti, egli  un fatto che 1avvicinano di pi in pi, e mal si potrebbe al- radempimento del lor desiderio segnare un fine non superabile, salvo che quello notato da noi del primo ed unico postulato del senno umano. Questo salire poi dello scibile dal transitorio al durevole, dal vario all immutabile, dal limitato alluniversale, e dal contingente al necessario mai non avrebbe luogo qualora il necessario, leterno, linfinito e limmutabile non dimorasse veramente per mezzo tutte le trasformazioni del- la materia e dello spirito. Superiore adunque a tutte le idee assolute, che presiedono a ciascuna scienza ed arte,  lassoluto metafisico, prima entit e prima cagione. Ora, perch lo scibile ha due termini essen- ziali entro se, la cognizione e loggetto conosci- bile, due questioni insorgono circa la dottrina dellassoluto: e prima si chiede se lassoluto esi- ste, e quello che : susseguen temente si chiede se pu luomo acquistarne una cognizione asso- luta. Noi provammo nei capitoli XIII e XIV (parte II) che vha necessariamente un essere determinante tutte le cose, sostegno e principio delluniverso. Per conoscere poi quello che  lassoluto nella sua essenza propria e immutabile converrebbe innanzi conoscere ci che sia L infi- Digitized by Google - 476  nito e T eterno, e in che consista il legame, onde il finito gli si congiunge; o almeno pensiamo che farebbe grande bisogno scoprire innanzi l inti- mo essere del finito e delle sostanze particolari; notizie tutte, le quali non sembrano cadere fin qui sotto lo impero dell uomo. Per quello che sappartiene alla facolt no- stra di conoscere, mestieri  distinguervi una forma ed una materia. In quanto  formale, cio in quanto applica a tutte le cose la misura della certezza, la cognizione umana partecipa dellas- soluto. Conciossiach la certezza intuitiva  tanto reale, quanto lessere con cui si converte. Ella non dipende da alcuna esistenza, salvo che dalla propria , n da alcun principio salvo che dal prin- cipio dellidentit in lei contenuto virtualmente. La volubilit degli oggetti della certezza non of- fende e non cangia lessere suo, imperocch la certezza intuitiva  un continuo, coesistente con la successione sempre diversa degli oggetti pen- sabili. In tale aspetto di cosa affermiamo che la certezza umana, o sia la forma perpetua dellevi- denza intuitiva pu venir detta assoluta. In quanto per la cognizione umana  un fatto, nella sua forma cos bene come nella materia, la sua natura  contingente, e durer tale di piena ne- cessit ogni tempo. Conoscere importa un legame intellettuale fra noi e le cose. Tolto esso di mezzo, non per- Digitized by Google  477 ' ci le cose si tolgono, ma perisce la cognizione. Or perch questa  un fatto, il quale comincia dentro di noi, e nelle cose esteriori non ha pi che il termine, la sua contingenza si estende ine- vitabilmente su tutti gli oggetti pensabili, no escluso lassoluto medesimo. Ben possediamo la facolt di astrarre dal nesso continuo della co- gnizione, e venire cos meditando sopra le cose per quel che sono in se stesse. Quindi per tra- sporto della forza contemplativa il termine dell cognizione diviene principio , e la cognizione esiste perch lassoluto metafisico esiste. Ma nella realit, il nesso intellettuale fra noi e le cose persevera, e il principio dogni fatto non pu escire di noi medesimi. Che qualora questo non fosse, col levarsi della congiunzione fra le idee e le cose leverebbesi insieme il nostro atto di co- gnizione e la nostra potenza astrattiva. Adunque concludasi , lo scibile umano partendo dal fatto salire alla certa notizia dellassoluto, la quale notizia pu divenire tanto vasta e profonda ,, quanto comporta il numero e la qualit delle re- lazioni che intercedono fra lassoluto e noi. Ma stante che lo scibile umano ha il principio suO( nel fatto, egli  perch , non perch debba essere. Digitized by Google 478 - CAPITOLO XX Conclusione . I Jn cotal guisa pare a noi cbe mantenendoci os- servatori dei documenti metodici , scritti nei su- periori capitoli, e fecondando le belle dottrine trovate dalla Glosofia antica italiana, abbiamo in questa seconda parte del libro prodotta una soda dimostrazione dello scibile umano. Prima cosa fu di trovare la cognizione asso- luta, o vogliam dire la certezza a cui non biso- gnano dimostrazioni ; e questa abbiamo veduta raccorsi nella intuizione immediata, cio in quel fatto della coscienza, in cui lente e il vero si convertono insieme, e 1obbietto e il subbietto dimorano sotto una sola essenza. Ci posto, qualunque forma di verit dovea per riscontrare la prova sua venir dedotta da noi da quello assoluto di cognizione, e messa nel lume dellevidenza intuitiva. Questa poi abbiamo divisa nella immediata e nella mediata, cio nella intuizione, ove il cono- scente ed il cognito fanno una cosa medesima , e nella intuizione , ove si distinguono sostanzial- mente, o per divisione di tempo. Il passaggio Digitized by Google  479  dall una allaltra fa ritrovato nella impossibilit metafisica di negare il fenomeno. Sola sorgente adunque dogni nostra dialettica  stata il prin- cipio della contraddizione, siccome quello che ha base in qualunque fatto. E per vero, ogni fatto in se lo contiene in maniera implicita , ben- ch sempre determinata. Per la medesimezza poi necessaria che hanno fra loro tutte le cose, ri- guardo all esistere, tal principio diviene subito universale, e questo  il legame logico, onde vanno congiunti i pensieri e le cose, le apparenze e i noumeni. Per tal principio, universalizzando la sola esistenza, non pu dare e non d in questo no- stro libro altra notizia certa e, determinata di quello che giace di l dal fenomeno, se non circa lessere, e le passioni necessarie dellessere. Ancora si noti che il principio della repugnan- za, quantunque di sua natura universalissimo, non avrebbe trovato applicazione veruna fuori di t noi, senza un arcano congiungimento dei fatti. Lazione adunque inesplicabile delle cose sopra di noi , e il succedere loro per entro il continuo delle sostanze sono fondamento offerto dalla na- tura al legame logico, vogliam per lo spazio, vo- gliamo pel tempo. E prima, questo principio apodittico, ogni sentimento passivo dichiarare un ohhielto ester- no, ha per via misteriosa la realizzazione sua Digitized by Google  4So  nel fatto, e per lui solo luniverso tutto quanto rivelasi. Egualmente, per quellaltra condizione arca- na dei fenomeni di succedere nel continuo dei loro subbietti , il principio apodittico, ogni atto spontaneo contemplato oggettivamente avere di necessit esistito , si fa lespressione duna reali- t, e la scienza del tempo incomincia. Con tale scienza del tempo ci  venuto aperto lingresso alla cognizione delle sostanze e di ci che per entro le cose  immutabile, necessario, infinito. Dallaltra parte, la serie dei successivi ci ba menati alla certa nozione dellassoluto me- tafisico, o vogliam dire della prima efficienza: quindi per ambedue questi risuitamenti, parago- nati insieme e contemperati , ci si  offerta di- nanzi la spiegazione teorica dellordine causale delluniverso, secondo ebe la esperienza ce lo dimostra: e in simile spegazione abbiamo rinve- nuta altres una prova dei postulati della fisica universale, dando ragione dei tre sommi principii della causalit, della sostanzialit c della natura immutabile, e riducendo a dimostrazione gli ada- gi del senso comune intorno il subbietto perpe- tuo di tutti i corpi. Eziandio abbiamo ravvisata unarmonia per- fetta tra il mondo nostro cogitativo e il mondo delle realit , imperocch in entrambi abbiam discoperto subbietti immutabili e indivisibili ebe Digitized by Google  8i _ sono perno al circolar moto dei cangiamenti ma- teriali e intellettuali. Quelle unit poi, le quali si formano entro la nostra mente per la contem- plazione del simile, abbiamo veduto essere una riproduzione vera e certa delle unit originarie di subbielti e di azioni , e perci darsi in qualche modo luniversale in natura. II Giunti a questo ultimo svolgimento del fatto perenne dellintuizione immediata e della media- ta ci  parso di riconoscere che le forme generati c distinte del vero debbono ridursi a non pi cbe sette , cio : 1. Ai fenomeni puri della coscienza; 2. Ai fatti della memoria; 3. Alle realit esteriori; 4 Alle idee universali e alle generali; 5. Agli assiomi e al principio di causalit; 6. Al testimonio degli uomini ; 7. Al sillogismo. Di fatto, lo scibile umano ha due termini, oltre i quali non sa dar passo: da un lato Ita le idee e dallaltro ha le cose. Ogni cognizione adun- que o versa sopra il subbietto pensante, o sopra loggetto pensabile. Luno e laltrQ, esaminali prima da soli e per quel che racchiudono in se, o sono semplici, ovvero sono composti. Ci indu- ce a considerare i fatti della coscienza e i futti o 02 Digitized by Google  48a  relativi esteriori, luno e il multiplo, la sostan- za e laccidente, il concreto e lastratto. Succede la investigazione delle idee e delle cose assunte in complesso e conforme alle attinenze loro recipro- che. Innanzi viene la relazione del simile e del dissimile, onde poi lo studio delle comuni qualit, onde i concetti universali e generali, i composti ipotetici e i principii universali apodittici. Segue la relazione del tempo, la quale chiede per lo pas- sato la dimostrazione delia memoria, e per lo pas- sato e per 1avvenire la legge eterna , che presiede al nascere e al conservarsi delle esistenze. Inoltre, stante che lesperienza individuale riesce corta e manchevole a petto il bisogno infinito che abbia- mo dogni sorta di scibile, gran mestieri  cono- scere quello che valga il testimonio degli uomini e la raccontata esperienza del genere umano. Da ultimo, perch latto conoscitivo, o sia listrn- mento quotidiano ed universale di tutto il sapere veste un modo costante e proprio, di cui ci con- viene esplorare la realit e luso, accade di do- vere illustrare il giudicio conoscitivo e la na- tura del sillogismo, luno accanto ai fatti della coscienza, laltro in disparte e con analisi pecu- liare. Noi in ciascuna di tali forme abbiamo avvi- sata per segni certissimi levidenza dintuizione, sia diretta e pura , sia condotta nellanimo per discorso dimostrativo. E a fine che la dimostra- Digtized by Google  483  zione sappropriasse a tutti i casi reali e possibi- li, ed anche per ovviare al pericolo di provare alcuna tesi, presupponendola in parte, abbiamo ogni cosa dedotta non da qualche specialit del pensiero, ma da ci che in lui dimora perenne- mente, e costituisce lessenza dellatto conosciti- vo. E nel vero , ogni cognizione di qual natura e modo si voglia, comprende di necessit un og- getto pensabile, un moto della spontaneit, e la coscienza di noi medesimi. Ora in tali disposi- zioni perpetue dellatto conoscitivo racchiudesi: Lunit assoluta del pensiere; Il me diretto , ed il me riflesso; 11 cangiamento; La composizione del predicato. Diciamo esservi il cangiamento; avvegnach senza atto di mutazione non possiamo riflettere sopra noi stessi ; ancora notiamo la compofzione del predicato: la qual cosa divien patente a chi metta in ricordo la forma di esso predicato, la quale  sempre io pensante questo o quel- li essere . Da siffatti essenziali del giudicio conoscitivo  scaturita nel nostro libro la spiegazione e la prova dei sette; modi costanti del vero, i quali alfine abbiamo veduto riuscire semplici variet e modi dellintuizione immediata, di cui il giudi- cio conoscitivo  pura e frequente specialit. Dal pensiero uno e spontaneo mosse la prova .del Digitized by Google - 484 - mondo estrinseco, e dal me mutabile e conver- gente sopra se stesso quella del tempo e della memoria. Dai fatti poi del senso intimo, estesi nello spazio e nel tempo, emersero le idee uni- versali e le generali, gli assiomi, il principio delle causalit, lordine causale delluniverso, la verit dellumana testimonianza. Da ultimo, la composizione del predicato in qualunque giudicio conoscitivo porse lesempio di quel che avviene nel sillogismo, il quale non altronde ritrae leffi- cacia e levidenza propria che dalla intuizione immediata di certo subbietto contenente un pre- dicato composto. Si  concluso da tutto ci, lo scibile umano, guardato nella sua entit subbiettiva, cio a dire in quanto risulta da infiniti atti di cognizio- ne, appoggiare ad una certezza immediata e in- dubitabile, e la dimostrazione devarii aspetti nei quali trasformasi, domandare il sol postulato nellatto conoscitivo. Per tal guisa la prova inte- ra della certezza e realit dello scibile  stata ordinata da noi, a quel che ci sembra, in forma rigorosa di scienza, e dedotta per una serie di teoremi purissimi, cio somiglianti alla geome- tria, la quale non premette altra cosa fuori che la reale sussistenza dun primo fatto e il princi- pio dello contraddizione. 11 sapere umano, guardato poi e osservato nella materia ove termina, abbiamo asserito aiv Digitized by Google .  485  rivare in alcuna parte, e seguitare ad appros- simarsi di pi in pi ad un assoluto di scienza, vale a dire ad una teorica somma e generalissi- ma, a cui stia iu cima un sol dato sperimentale, e dentro il cui dato si confondano insieme per- fettamente il prinipio d ogni certezza e il prin- cipio dogni sapienza. Ili A questi risultamenti finali siam pervenuti, rendendo noi la questione della realit dello scibile indipendente affatto dallaltra dell ori- gine delle idee, e sciogliendoci da molte vertenze particolari sulla natura e generazione di alcune facolt e d alcuni abiti. Parimente ci siam sottratti alla necessit di risolvere o in s o in no la questione sulle idee e sui giudicii a priori sintetici, e 6olo ci siamo attenuti al canone nostro metodico di escludere le une e gli altri dalla dimostrazione apoditti- ca dellumano sapere. Abbiam negato ai Loc- chiani che quella dimostrazione possa rimanere contenta alle prove sperimentali e talvolta al mero empirismo. E contraddetta abbianosi razio- nalisti la falsa speranza di toccare lassoluto della certezza con le suggestioni istintive dellanimo. Al Reid abbiamo negato ebe possa costruirsi filosofia razionale in fino che non si provino i Digitized by Google  486  dogmi del senso comune , attinenti all ordine conoscitivo. I quali dogmi per noi abbiamo rac- colto ed interrogato a ciascun istante, e di pari con quelli abbiam procacciato di far procedere le nostre dimostrazioni. Abbiamo eziandio posto termine, per quanto ci sembra, a una confusione, durata fin qui, nel modo di contemplare l intelligenza. Imperocch i Locchiani, per intemperante desiderio di sem- plificare il sistema loro, hanno negato alluomo ogni maniera distinto, la quale non consistesse tutta in certi apparecchi nervosi e in certo mota arcano degli organi. Per To contrario, i raziona- listi, impugnando cotali dottrine, meschiarono insieme listinto con Ta ragione, e propagarono al primo lautorit e la forza della seconda. A noi sembra di dover proclamare spartitamele i diritti della ragione e la virt dellistinto: e mentre noi ci serbiamo a parlar di questo in altro dettato peculiare ed apposito; diciamo al presen- te chegli non pu e non debbe mai usurpare il luogo della ragione, e chi lo meschia inopportu- namente con lei, conturba e vizia il dominio in- tero della razionale filosofia. IV Cos abbiamo preso animo di cominciare lo edificio della Prima Scienza, togliendo le pietre' Digitized by Google  4%  e il cemento dalla storia naturale dell intelletto, e costruendo le basi sopra la Critica dei nostri mezzi conoscitivi. Eziandio, siam venuti viepi crescendo in persuasione che il complesso di que- ste dottrine sia, in gran parte, tradizionale in Italia, dove, per nostro avviso, certuni principi di filosofia e di metodo sempre hanno riconqui- stato quel credito e quella efficacia maggiore che lor compete, e la quale risponde perfettamente allindole propria e costante deglingegni italia- ni. Dalla Ionia si travas la filosofia in Italia, ma , dal nome in fuori, niun carattere teneva in se di ci che i moderni addomandano filosofa: e nel vero, ella consisteva tutta in una fisica mon- diale , parte empirica e parte ipotetica. Welle scuole pertanto di Crotone e di Elea comparve la vera filosofia, cio lo studio dellintelletto e le ricerche universali dellente e del vero. Fu quivi da prima sentito l obbligo, e la malagevo- lezza infinita di ascendere a dimostrare i prin- cipii del senso comune, e di non movere altronde le prime orme se non dai fatti della coscienza : ma come poteva Senofane, capo degli Eleati, nellinfanzia stessa della psicologia, trovare i debiti collegamenti dell esperienza con la ra- gione? e visto che i fatti parevano ripugnare ai principii, si sfiduci nella sua vecchiezza delle forze del senno umano. A tale scoraggiamento vollero sottrarsi gli allievi suoi con sistemi ar- Oigitized by Google - 488 - diti, esclusivi e pieni di esorbitanze. Quando sorse Aristotile, il quale pi die altro filosofo della antichit , avvis il bisogno proclamato dagli Italiani di conciliare gli esperimenti coi raziocinio e di far sorgere luno e laltro dal fonte perenne dellintuizione. Questo ha fatto (e scrivasi pure quanto si vuole in contrario) che i dogmi Aristotelici hanno durato l imperio loro per tanti secoli, singolarmente in Italia. Conciossiacb  sommo errore andar cercando il senno peripatetico nelle quisquilie scolasti che e in quella turba di magri ingegni boriosa- mente coperti della zimarra filosofica, i quali, come us dire Galileo, perch volano a stormi e non solitarii, come le aquile, empiono laria di grande strepito. Ma se per contrario faremo stu- dio profondo nel Cesalpino, nel Pomponaccio, nell Egidio e molto pi nel maestro di tutti lo- ro, in S. Tommaso, vedremo quanta sapienza riluce dentro quel senno antico, e come la filoso- fia odierna sperimentale si appicca in Italia al filo delle opinioni che Aristoteliche si addornan- darono. E per esempio in nessuna pagina di S. Tommaso troveremo insegnata quella pratica perniciosa di omettere i particolari e far princi- pio dai generali: invece nella Prima della se- conda Parte della Somma ei ci dice doversi partire dal fatto, ed essere vano il voler provare il soggetto primo dello scibile naturale. Altrove Digitized by Googte *  afferma , ia precognizione di ci che una cosa  doversi estendere altres ai priucipii, i quali non soltanto debbono definirsi pel nome, ma s per la cosa, cio a dire, analizzandoli. Lesquisite in- dagini poi che S. Tommaso fece e produsse so- pra ogni parte dellanimo, e la diligenza infinita onde le compi e illustr , affermano quanto gli fosse analitico per sua natura, sperimentale e induttivo: perci lasci stare i Platonici, e da S. Agostino prese quel solo che consonava coi fatti, e a S. Bonaventura die libero passo per la 6ua mistica ascensione al cielo. Del resto, i pareri di S. Tommaso intorno la critica delle cogni- zioni e la prima filosofia furono principalmente: La certezza assoluta consistere nella conversio- ne dellente col vero, e lassioma che appoggia ogni discorso dimostrativo essere il solo princi- pio della contraddizione. Gli universali nascere astrando, comparando e inducendo i particolari: questi poi includere gli universali in quanto in- cludono lidentico. La mente essere attiva e pas- siva: la passivit provarci l esterno; e lattivit giudicare le relazioni , creare gli universali e cos produrre la scienza. L intelletto distin- guersi dallappetito razionale, e la ragione dal sentimento. Riferirsi alla prima la conoscenza pura speculativa, al secondo la inclinazione al bene in universale. Fine della filosofia essere la scienza naturale delluomo e del mondo, guar- Digitized by Google  49 ~ data nei sommi principii e in quello cbe  co- mune a tutte le cose. Fine della filosofa prima essere la sapienza, eio luniversale perfetto ed il necessario, onde trovasi lunit superiore di tutto lo scibile, lassoluto della certezza e la spiegazione per le cagioni. Essere in noi un me- todo naturale innato per ascendere dal noto allignoto, seguitandosi il quale si comincer dalla cognizione dello strumento , poi si far passaggio alla cognizione dei fenomeni, compre- sa fra questi la storia dellintelletto e delle sue facolt, indi perverrassi in fine alla soglia della Scienza Prima. V Per i pedanti affogarono nella dialettica cos belle e savie dottrine. Losservazione disparve, i metodi si corruppero, e una grande ristaura- zione divenne sola ancora di salvezza. Vedem- mo intorno al proposito quello cbe fecero il Vin- ci, il Valla, il Galilei ed il Campanella : que- stultimo si adopr a ricondurre nella speculati- va l osservazione dei fenomeni, stata bandita dai presuntuosi e dagl ignoranti. Ma non perci con- traddisse egli alla pi. parte dei dogmi tradizio- nali della filosofia italiana. E quanto alla materia di cui trattiamo, le sue opnioui, a ridurle in po- chissimo, furono le seguenti.  491  Oggetto della filosofa prima  la sapienza, cio la dottrina certa di tutti i principii onde qualunque altra dottrina riceve 1 ultima dimo- strazione. Ma non si pu giungere alla sapienza se non profondandosi nella notizia dell essere conoscitore o vogliano dire per mezzo della fi- losofia critica. Da questa ci vien rivelato che fonte del nostro scibile  il fatto sperimentale aiutato dal raziocinio, imperocch ogni dottrina dedotta onninamente a priori  ideale e ipote- tica. Lesperienza appoggia allassioma: Esiste una qualche realit perch l intimo senso lo testimonia. Il ragionamento appoggia allassio- ma : Quello ehe  non pu insieme essere e in- sieme non essere. In tali due assiomi sta riposta ogni prova ultima della verit, e sentire si  sapere. Perch poi vive nel nostro animo un de- siderio infinito del bene, e i germi della religio- ne e della virt, quasi vestigie delle idee sempi- terne diddio, debbesi accanto ai pronunciati della ragione situare glistinti morali. La mente umana risulta di attivo e passivo: in quanto  spontanea, ella attende, giudica, riflette, astrae, immagina e sillogizza: ma ella si sente muta- ta , e non gi da lei : esistono dunque degli enti che la limitano e la modificano. La con- tingenza delle cose e dell intelletto solleva a conoscere lassoluto. La comunanza dei modi' suggerisce il concetto degli universali, e que- Dgtized by Google  492  sti hanno luogo per entro le cose in quanto elle sono identiche e si risolvono nellunit. Adunque la conoscenza umana  reale, e la pri- ma filosofia  possibile. VI Ognuno discerne quanto cotali massime si raffrontino con quelle dei predecessori di Cam- panella, e come il vero nuovo elemento consiste solo in una pi larga parte che si vuol fare al- lesperienza psicologica e alla disamina del va- lore e dell efficacia dei nostri mezzi conoscitivi. Due cose doveano operarsi sulla dottrina del Campanella: una circoscrizione pi vera e meglio pensata del mondo metafisico; e una revisione ancor pi sottile e paziente della porzione cri- tica. II primo assunto venne accettato dall im- mortai Vico, il quale entro i limiti di poche pagine e con certa precognizione, quasi a dire miracolosa, dei risultamenti della analisi, trac- ci un largo e giusto disegno del mondo gia- cente di l dai fenomeni. Al secondo assunto pose mano fra noi moderni l illustre Galuppi. Alla costui filosofia  base l esperimento ed  fine la esplicazione scientifica dei sommi prin- cipia Niuna idea innata, niun giudicio a prio- ri sintetico. Da un lato i fatti della coscienza.. Digitized by Google - 49> -- dallaltro il semplice raziocinio, quinci le rea- lit succedenti per legge di produzione, e quin- di i principii analitici dedotti luno dallaltra per legge didentit. VII Per in questa dottrina molle cose riman- gono tuttavia a desiderare circa la filosofa cri- tica. E per fermo, il fatto primario, onde parte il Galoppi, si  Noi , i quali sentiamo cosa che  fuori di Noi: tal fitto vicn reputato da quel filosofo contenere in se e da se una prova suf- ficientissima del me sostanziale e del me iden- tico, della realit esterna e della memoria. A noi sembra in vece, se pure non siamo errati, che allocchio severo della filosofia razionale lassoluto primo della certezza non trascenda per nulla il puro fenomeno, e che quivi soltanto si fermi la intuizione immediata, quivi la con- versione legittima dellente col vero. 11 perch ci siam fatto debito in questo libro di offerire una prova peculiare e distinta del me sostanziale e del me identico, dogli oggetti esteriori, del tempo e della memoria. Avendo poi il Galuppi la realit del tempo immedesimata in quella della causalit, ci pare eli ci siasi di tal modo chiuso lingresso alla no- Digitized by Google  494  tizia apodittica dell assolato delle cose, e parti- colarmente a quella rilevantissima dellordine causale dell universo. Noi dunque con le tenui nostre forze abbiam tolto ad aggiungere lincre- mento desiderato alla critica delle cognizioni umane e ad aprire con ci un pi vasto e sicuro adito alla prima filosofa. Vili Questo per nostro avviso fu il nascere pri- mo , questa la fortuna e il progresso della filoso- fia italiana per quella porzione che intende a co- noscere lefficacia dellintelletto, e le prove dei sommi principii. Noi vorremmo, secondo che fu espresso nel cominciamento del libro, veder sorgere, per mezzo la nostra patria , una scuola novella, da cui si prendesse ad ereditare con franco animo lantica sapienza speculativa e le antiche arti metodiche. Quindi con temperar bene glinge- gni e con avviarli prudentemente a nn fine co- mune, vorremmo che tale scuola correggesse il falso e il non huono di quella antica sapienza; e dilatandola molto innanzi de suoi confini at- tuali, le conferisse stabilit e vastit proporzio- nata al suo ufficio altissimo. Per tal modo il seggio dei razionali studii verrebbe col rialzato, Digitized by Google - 495 - ove stette in piedi per luughi secoli. Alla qual cosa fare pensiamo assai fermamente non doman- darsi ai nostri connazionali pi che un volere saldo e magnanimo, rivocando spesso alla lor memoria , essere la filosofa , del pari che tutte le grandi cose, divina semenza, nata e cresciuta sotto il bel clima italiano. FINE Digitized by Google Digitized by Google APPENDICE Articolo del Sig. Luigi Blanch , inserito nel N XX Vi del Progresso delle Scienze , delle Lettere e delle Arti.  Napoli  ed hanno per cos dire servito di luminosi fanali 33 Digitized by Google - 498 - alla cronologia considerata nel suo aspetto scientifico. Questa opposizione compiuta tra lincredulit ad una scienza da una parte, e dallaltra lostinazione dei pi alti ingegni a colti- varla e delle nazioni ad associare la loro gloria ad uomini che non avrebbero prodotto altro che sterili lavori , costitui- sce un fenomeno che merita di essere attentamente osservato per trovarne la spiegazione, la quale fa s che l intelligenza umana compia il suo fiue da un passo ritrovando una verit che ad altre conduca. Imperciocch non mai un fenomeno di qualche importanza rimane inesplicabile senza che getti una grande oscurit in una regione pi o meno vasta in cui 1 umana intelligenza si esercita, mentre quando viene spie- gato, quando si ritrova lincognita, il lume si spande nel- l istesso spazio ove le tenebre regnavano. Tutte le volte che una manifesta contraddizione si osserva in unopera fatta da chi possiede la somma potenza e P omni- scienza , bisogna cercare nellanalisi de principii costitutivi della natura umana la ragione dellapparenza assurda che pre- senta qualche cosa che non pu rivestire questo carattere , perch n l autore , n il tutto di cui fa parte possono pro- durre o contenere nulla di assurdo. Meditando sulla natura delluomo, si scovrono in essa senza molta fatica due prin- cipii che si manifestano costantemente sotto forme svariate, cio la sua imperfezione e la sua perfettibilit.  tutti i tor- menti, ebe l anima sensibile e la ragion forte del Pascal su- biva, erano il risultamento della sua fissazione su laltezza dellingegno umano e sulla sua invincibile ignoranza sovra aggetti pei* esso tanti importanti a conoscere. In questa dop- pia natura o in questi due principii sta a nostro credere la spiegazione del fenomeno ebe sopra indicammo. In fatti il principio della nostra imperfezione, dimostrato pi che mai dai tentativi inutili della schiera dei pi chiari filosofi, fa s che i pi si rassegnino allinevitabile ignoranza alla quale paiono condannati. Gli Homini al contrario dotati di facolt pi atte, acquistano la coscienza delia perfettibilit umana. Digitized by Google  499  la ritraggono dal vero bisogno che hanno di conoscere le leggi che regolano le nostre idee e le nostre azioni e che in- fluiscono su i nostri casi, trovano assurdo che un ente dotato di libero arbitrio per operare , e responsabile di ci che ope- ra , possa essere condannato all ignoranza , mentre le facolt di cui  dotato , le dottrine religiose ed i suoi presentimenti stessi indicano che il suo passaggio sulla terra  un periodo della sua esistenza , ma non ne  n il tutto n la fine. E al contrario naturale che quelli che guardarono luomo e la societ da questo alto punto di veduta, si considerino come gli anelli di una indetermiuata catena. Essi hanno una missione circoscritta dallo spazio e dal tempo come individui , ma 1 opera alla quale intendono lavorasi in una vasta scala. Una verit scoverta in mille errori , un errore disvelato, tutto  un progresso in questa indeterminata cronologia , e le ri- petizioni e le contraddizioni non sono di nessuna importanza , purch un passo si faccia fare alla scienza. Ecco come a no- stro modo viene svelato l apparente fenomeno eh enunciam- mo, e come, se il principio della nostra imperfezione domina nelle masse , quello della perfettibilit predomina negli scelti tra gli uomini. Questo  quello che fa eh esse si associno alla gloria dei loro sapienti. E vedete spesso l ignorante esser superbo di appartenere alla patria di Platone, di Bacone, di Galileo, di Cartesio e di Kant j come sovente si vedono be- nanche questi sapienti soggiogati per poco dal principio della umana imperfezione, mentire al loro genio e maledire la scienza che non pu soddisfare il loro crescente bisogno di conoscere. Quindi possiamo dedurne che luomo ha facolt che svolgendo, e facendo uso di un buon metodo, pu conoscere una somma di verit sulla sua natura , i suoi modi di essere e la sua destinazione , ma che non pu per i limiti apposti a queste islesse facolt , per le imperfezioni degli organi, per la corta durata dell esistenza, conoscere il pi delle verit in questa vita passeggier. Trovandosi dunque nella costituzione .della natura umaua perfettibile ed imperfetta la causa e la Digitized by Google  5oo  * spiegazione d ci che ci  di limitato nelle investigazioni! dei filosofi e di costante nelle loro elaborazioni, a noi sem- bra che per rendere le prime pi feconde , e le seconde meno soggette a tentare quistioni insolvibili che degenerano in de- lirii , vi sia da risolvere il seguente problema t Determinare fino a qual punto con le nostre facolt ser- vite dai nostri organi si possa giungere a conoscere le leggi che regolano l intelligenza e La volont , e quale sia il me- todo migliore , coll aiuto del quale si possa tentare di uscire da questi limiti dalla natura impostici. L istoria della filosofia studiata con attenzione, rivela che la soluzione di questo problema  stata sotto ispirazioni di- verse e forme varie lo scopo costante dei lavori dei filosofi , come l essenza di tutte le dottrine che ne derivarono. Ed  perci che i cultori delle filosofiche dottrine in tutti i tempi hanno considerato l' analisi e l esposizione delle opinioni dei filosofi come un preliminare necessario ed indispensabile per poter pervenire da ci che si era fatto a ci che doveva far- si , partendo dal noto per giungere alla cognizione dell ignoto , appoggiandosi alla critica , la quale altro non  in fine che la ragione applicata a giudicare delle verit scientifiche (4). Da queste idee a noi pare che abbia ricevuto impulso e prin- cipio la luminosa opera del Matniani della Rovere, della quale qui leniamo discorso, sul rinnovamento dellantica filosofia italiana. Noi dichiariamo francamente ai nostri cortesi lettori che non debbono attendersi una analisi profonda dellopera; men- are non  da un semplice cultore della scieuza il misuraro (0 In sostegno della nostra opinione, riportiamo quella deli* il- lustre Tenneinann che la conferma.  L'istoria della filosofia  la  scienza cb espone i lavori della ragione umana per realitxare le * idee della filosofia raccontandole nel loro nesso, cio la rappresene  fazione per il fatto dello sviluppamelo sempre progressivo della 7  - contemporaneo Galluppi , e cosi cerca stabilire un filiazione di dottrine filosofiche , particolarmente nellItalia meridionale, le quali rivestono no carattere particolare, che mette in co- municazione lidee di S. Tommaso con qnelle del chiarissimo professore delluniversit di Napoli (1). Passa in seguito ad esaminare pi partitamente il metodo che sorge dalle dottrine de filosofi italiani, riassumendolo sotto la denominazione delle arti. Tratta delle invenzioni , dell induzione, della dimostra- zione, della sintesi, dello studio della natura, de' suoi pre- cetti, e del metodo degli studii speculativi: e qui termina la prima parte- La seconda comprende l applicazione di essa per mezzo di diciannove aforismi , ove sono esposte le idee dellautore sulle differenti quislioni, che crede non compiu- tamente trattate dai diversi cultori della filosofia degl'italiani ai di nostri, come la realit, lo spazio, la durata, la remi- niscenza, le idee universali, del principio di causalit, del- l ordine causale dell universo , del criterio di ogr.i verit , della dimostrazione, del senso comune, e dell assoluto. Nella sua conclusione fa notare le lagune che il rinnovamento della filosofia italiana  destinata a riempire e neglette dai filosofi che hanno lavorato alla risurrezione della scienza , eh  l og- getto della sua opera, seguendo il metodo dell'antica filosofia italiana. Per evitare ogni falsa e incompiuta esposizione, noi qui trascriviamo quelle opinioni dell* autore, dalle quali si possa meglio comprendere e dedurre il complesso della sua opera. i. Rilevare dallesame profondo del suhbielto, e del fine (l) In una memoria per noi scritta nel 1821 cercammo deter- minare il carattere della filosofa napoletana, deducendolo dal carat- tere generale delle dottrine, e dalle tendenze dei suoi cultori. Fis- sammo questo carattere, e credemmo trovare una costante analogia non solo tra i moderni, ma anche con i Pitagorici, e i filosofi della Magna Grecia. Abbiamo avuto la consolazione di trovare il pi delle nostre idee professate dal Mamiani, e nel seguito del discorso ne indicheremo qualcheduna, e faremo rilevare ove siavi differenza. Digitized by Google  5o8  della filosofia le modificazioni speciali, e 1* uso proprio a cui bisogna sottomettere la dottrina comune del metodo naturale. 2. Lingegno, e lindustria di ogni ristorazione intellet- tuale consiste nel riprodurre, nel diffondere, nel persuadere altrui il metodo comune della natura. Da ci si comprende evidentemente per quali cagioni delle intentate ristorazioni del seuno umano, la Socratica, lAlessandrina, e l'Italiana, solo la nostra italiana sia riuscita a bene. Certo che Socrate molto fece , e molto travagli per ricondurre gli uomini ai precetti del senso comune , e un germe prezioso di riforma filosofica poneva; ma perch Socrate ebbe lanimo volto pi presto alle operative dottrine, che alle specolati ve, ed anche perch non insegn punto come si potevano mantenere, e sottoporre a ferme regole i dettati del senso comune, a breve andare deliramenti comparvero. La ristorazione alessandrina cred riparare alla vecchia infermit dell intelligenza curvan- dola sotto il peso di nuovi dogmi colorati da una luce ar- tefatta, e mistica. Procolo fece con tristo esempio presumere oltre al debito della dimostrazione, e copr di un abito geo- metrico i romanzi. Solo dunque in Italia , e segnatamente Galileo ritorn lintelletto umano con stabilit, ed intelli- genza ai ricordi della natura. 3. Il mutarsi, il contraddirsi, loscillare perpetuo delle opinioni costituisce lo svolgimento largo, fatale, e inevitabile dell idea filosofica, il quale pu essere rappresentato assai convenevolmente da un conflitto di forze opposte e variabili, d onde sorge un moto per turbatissimo e pur necessario ebe dura , fintantoch l azione de costanti non prevalga su quella dei variabili , e quindi non esca un moto regolare ed uniforme. 4. L eccleticismo non  per se una forma di filosofia , ma solo un principio metodico, il quale consiste nel fuggire a tutt uomo le preoccupazioni sistematiche, nel diffidare di ogni dottrina, e riconoscere la verit ovunque risegga (i) J1 passo che riportiamo del Campanella tratto dall opera Diqitized fav Google  5o  5. Dal fatto perenne dell intuizione immediata lo scibile umano finisce tutto per appoggiare la 6ua certezza sull evi- denza intuitiva. Per qualunque miracolo del senno umano, mai non potr farsi sparire il primo essenziale postulato di lui , il fatto della coscienza. Per a questo sol fatto potreb- bero metter capo insieme il principio di ogni scienza , il principio di ogni certezza ; vale a dire die i fenomeni costanti e semplici compresi in ogni atto d' intuizione potrebbero di- venire un giorno il solo principio sperimentale richiesto alla deduzione dell umana sapienza. 6. Il sapere umano guardato ed osservato nella materia ove termina abbiamo asserito arrivare in alcuna parte e se- guitare ad approssimarsi ad un assoluto di scienza, vale a dire ad una teorica somma e generalissima cui stia in cima un sol dato sperimentale, e dentro il cui dato si confondono insieme perfettamente il principio di ogni certezza e il prin- cipio di ogni sapienza. 7. A questi risultamenti finali, conchiude lautore, siam giunti rendendo la quistione della realit dello scibile indi- pendente affatto dall altra dellorigine dell idee, e scioglien- doci da molte vertenze particolari sulla natura , e generazione di cui discorriamo  in annouia colle idee dellautore suHeccleti.- eismo.  Discoprire la natura delle cose  mollo arduo , ma assai pi  i modi con i quali ci facciamo a conoscerle, essendo che immensa - difficolt risiede nel perscrutare la natura dell'anima, e le sue ope- .. raxioni quasich insensibili , ed inescogitabili } onde avvenne fin  qui , che i fabbricatori degli istrumcnti artificiali del nostro sapere  non costruirono quelli conforme allindole, ed agli atti dello spi*  rito, ma con l'arkilrio, e lautorit Egli intendeva far cam-  mino tra gli scettici e i dogmatici, gli uni passamente ostinati a  negare ogni realit e gli altri confidentissimi a spiegare ogni cosa,  n tampoco voleva procedere con gli empirici , che pretendevano  ragionare con sole apparenxe variabili, ed accidentali. Sussistere a delle verit costanti, e apodittiche, e queste risiedere negli un+-  versali supremi, di cui il principio, e la materia, c lintimo sen-  so , il testimonio di tutti gli uomini, e luno e"laltro formano il v fondo dellumana espedienti.  Digitized by Google  5 io  di alarne facolt, parimenti ci siam sottratti a risolvere in si , o in no la questione sulle idee , e i giudizi! a priori sin- tetici, e solo ci siamo attenuti ai canone nostro metodico di escludere gli uni, e gli altri dalla dimostrazione apodittica dell umano sapere. Abbiam negato ai Lecchiani che questo possa rimaner conteuto alle pruove sperimentali , e talvolta al mero empirismo. E conlradetta abbiamo ai razionalisti la falsa speranza di toccare 1 assoluto della certezza con le suggestioni istintive dell animo. Al Reid abbiam negato che possa costruirsi filosofia razionale Gno a che non si provano i dogmi del senso comune attinenti allordine conoscitivo; i quali dogmi per noi abbiam raccolto ed interrogato a cia- scuno istante, e di pari con quelli abbiam procacciato di far procedere le nostre dimostrazioni. Abbiamo eziandio posto termine, per quanto ci sembra, ad una confusione durata tin qui nel modo di contemplare lintelligenza, poich i Loc- chiani, per intemperato desiderio di semplificare i loro siste- mi, hanno negato ogni maniera distinto, la quale nou con- sistesse tutta in certi apparecchi nervosi, ed in certo modo arcano degli organi. Per lo contrario i razionalisti impin- guando cotali dottrine, mischiarono insieme l'istinto colla ragione, e propagarono al primo 1 autorit, e la forza della seconda. A noi sembra di dover proclamare spartitamente i dritti della ragione, e la virt dell istinto , e mentre noi ci serbiamo a parlare di questo in altro dettato peculiare ed apposito , diciamo al presente eh' egli non pu e non debbe mai usurpare il luogo della ragione , e chi lo mischia con lui conturba e vizia il dominio intiero della razionale filosofia. Riassumere il senso generale di questo estratto dell opera  ci che ci resta fare, e proporre qualche dubbio, sicch permetterci alcuna osservazione,  ci che solo possiamo fare, avendo sempre in mente la distanza che separa le nostre scarse nozioni dalla vasta scienza , che l autore possiede. E cosi daremo se non l analisi dellopera, un impulso per ecci- tarne alla lettura, che  il nostro scopo. c t t I i  Digitized by Google  5i6   glio compresa ed esposta con maggior abilit dai sapiente  greci riprese il suo ascendente, n Ma un' altra differenza noi osiamo far osservare , tra la scuola napoletana , e la toscana , la pi importante in Italia , e questa  nelle applicazioni delle dottrine alla pratica delle cose umane; in Machiavelli, e Vico come due sommit, che rappresentano il modo di applicare la fdosofia all istoria. Certo Machiavelli  il primo ed  restato il pi allo tra i, moderni nell applicazione della filosofia allistoria; ma non.  certo, perch mancasse di genio, come il Roscoe sostiene, che vedeva le cose umane sotto un rapporto strettamente em- pirico, e che spesso la contraddizione de fatti che si succe- devano lo imbarazzavano, perch non fosse guidato da nes- sun alto principia sullandamento, e i destini della specie umana ; ma perch nel carattere di quella scuola vi erano due principii che hanno dominato anche luomo superiore , lam- mirazione cieca per gli antichi, e lamore del positivo. Ora tutto ci, che vi pu essere di erroneo in Machiavelli ha questa doppia sorgente ; per cui non credeva doversi elevare a principii generali per giudicare i Romani e poi tutti i go- verni; ma dedurre da Romani ci che era applicabile ai suoi, tempi , diffidando della specie umana , e tenendo conto del successo come risultamento. Tutti gl' istorici italiani illustri hanno seguito questa strada da Guicciardini fino a Davila , ed ai Veneziani, e si sono modellati sul carattere romano, cio quello di uomini di affari , e uon di speculazione. Il Vico al contrario nelle sue luminose elaborazioni, nei suoi errori istessi, o che induce, o che deduce, mira sempre a far trionfare i principii i pi alti su i fatti , ed ha il carat- tere greco, e certo pu essere assimilato ai filosofi di quella contrada , Io che  impossibile per il Machiavelli e la sua scuola. Terminiamo queste digressioni sul carattere della filosofia italiana, che accettiamo quella dellautore, facendo notare solamente la differenza fra 1* Italia estrema , e l altre parti della Penisola. Digitized by Google  5i7  2. Consideriamo come importante notare a quale scuola filosofica lautore appartenga, perch quantunque questo giu- dizio non possa essere altro che approssimativo , perch egli ha in mira di rinnovarne una; pur nondimeno mettere in luce le affinit che pi ad una data scuola lo legano,  un mezzo dato ai lettori di compiere questo imperfetto lavoro. Dalle sue opinioni fedelmente da noi trascritte, si vede chiaro che rigetta lautorit, perch vuole la libera discussione nelle filosofiche elaborazioni , e si appoggia sul Galileo che citam- mo: rigetta i principii a priori come arbitrarli, ci che lo separa dagl idealisti ; considera il misticismo come perturba* tore dellavanzamento della filosofia, come una delle conse- guenze dell' idealismo ; trova che i sensualisti hanno preso una falsa strada con occuparsi della qnistione dellorigine dell' idee mischiandola con quella della realit dello scibile, e che di pi, volendo tutto conoscere per mezzo delle sensa- zioni, hanno mutilato luomo per semplificare la scienza, e si sono cosi privati di conoscere luno col non analizzare l essere interno ed il fatto della coscienza , e di avanzare l altra , perch senza la cognizione dell uomo com essere in- telligente e morale , non vi pu essere scienza filosofica. Queste osservazioni dedotte lo separano dalla scuola sensuali- sta. Inclinerebbe , per quanto rimproveri quest1 ultima scuo- la , alla scozzese , che gli aveva fatta l istessa obbiezione , ma come non trova che i principii del senso comune sieno prima dimostrati , bench li consideri come una eccellente base per filosofare , ma mancando alla scuola di Heid la condizione di averli dimostrali preventivamente, pare dichiarare che se ci non  fatto, egli rigetta questa scuola , con la quale ha molte opinioni comuni. AHeccletticismo moderno non pu apparte- nere, perch dichiara che non  una filosofia, ma nn metodo per cercarne una , scegliendo tra tutte, e vi aggiunge, che ci non deve produrre 1* effetto desiderato, perch gli Ales- sandrini non ne hanno fatto una felice applicazione. Eppure malgrado questa formale dichiarazione noi osiamo dire, che Digitized by Google - 5iS  I scuola alla quale l autore pi si approssima j con cui ha pi idee comuni ,  l ecletica , e la scozzese da cui deriva in parie. Due condizioni costituiscono urta scuola: il metodo, e i principii. Ora il metodo dell autore altro non  stato che la ricerca di tutto ci che i filosofi italiani dalla restaurazione delle lettere hanno su di esso scritto, e come non hanno fatto trattati compiuti, egli li ha comparati scelti, e fusi nei suoi aforismi, aggiungendovi le idee che trovava necessarie a compierli, deducendole dalle altre scuole filosofiche posterio- ri , di cui parte ne accetta , e parte ne rigetta. Ora ci  precisamente la definizione che il nostro autore d allecle- ticisino , come metodo , ed a questo solo lo restringe. Nel XXI fascicolo un nostro colto collaboratore, il Devinuenzi ha con molto acume dimostrato, che volendo fare dell ecleticismo un metodo che sceglie, deve avere un principio che gli serva di massima comune misura, per rigettare, o accettare le idee altrui, e questa verit che noi crediamo incontrastabile fa scorgere , che l ecleticismo ha un principio , eh  quello di esaminare non solo le nostre sensazioni , vale a dire i feno- meni sensibili , ma gl interni , cio a dire i fatti della co- scienza , e rigettare tutte le ipotesi , o tutte le idee , che non sono provate dall esperienza conte fatti esterni o interni , e tutte quelle che sono incompiute per averne negletto una di questa serie di fenomeni. Ora da' quanto esponemmo delle dottrine dellautore  chiaro eh egli siegua questo principio, e si appoggi molto sul fatto della coscienza , senza per man- care di tener conto delle sensazioni , e tutte le loro trasfor- mazioni, e la sua favorevole opinione sul Galluppi che com- batte in qualche idea, ma accetta nel complesso, come nel vero , e il uon aver nominato punto il Lallebasque e la sua pregevole opera,  una pruova di pi, che inclina ad asso- ciarsi agli Scozzesi, ed agli Ecletici , pi che ai seguaci del Condillac ; per cui fra queste due dottrine s\ affini tra loro, pu classificarsi il Mamiani approssimativamente, perch ne iegue il metodo, e il principio. Ma mi si presenta un' ol>-- Digitized by Google  5 19  Elezione : l anfore pu dire: io sono della scuola italiana , perch cercare altro di ciche ho detto? Per rispondere bi- sogna che io provi, che l ecleticismo nou  un sistema, che ha la sorgente nelle condizioni parziali di unepoca, ma che ha le sue basi nella natura umana, e che si ritrovi in tutta listoria della filosofia, lasciando allora a chi voglia oppu- gnarmi che vi sia stato un sistema generale dedotto da prin- cipii a priori, che ha svolto tutta la scienza, ed ha risoluto tutte , O la pi gran parte delle quistioni , senza prendere daltre dottrine, e che questo sia il caso dell italiana filoso- fia , e che servir di norma alla sua restaurazione. L'umanit  eclelica , perch  imperfetta, mentre le diverse sette filosofiche altro non sono , a mio credere , che il modo differente col quale i caratteri svariati , che rivestono gl individui manifestano il loro giudizio sulle opinioni , o i fatti umani a cui prendono interesse. In conseguenza , gli Stoici, gli Epicurei, i Mistici, i Dogmatici, glidealisti, e i Sensualisti, sono tante variet della nostra natura. I loro sistemi sono la riunione delle loro opinioni conformi , e de- rivanti dal carattere che rivestivano. Gli uomini pi ricca- mente dotati tra essi , ne sono divenuti i naturali rappresen- tanti , compilando i sistemi , il cui principio risiedeva nella tendenza, che li dominava. In fatti basta un po di riflessio- ne, anche nelle relazioni le pi volgari, per scovrire subito che si toccano le quistioni che sono alla nostra circonferen- za, e vedere uomini ai quali  estraneo anche il nome di filosofia decidere del libero arbitrio, e di altre quistioni le pi alte in filosofa. Sovente le loro azioni sono la conse- guenza , l'applicazione delle loro idee, e fanno della filoso- fia, come il gentiluomo di Moliere faceva della prosa. E perch questo fenomeno? Perche luomo circondato di peri- coli e di misteri, e dotato dintelligenza, deve malgrado lui decidere di alte quistioni (f). E questo giudizio istintivo  (i) Spesso in una ociet frivola si parla delle persone, perch Digitized by Google  5o  il risultamenlo del suo carattere, cio del suo modo di esse- re. Tuli i giudizii che noi chiamiamo parziali, interessati, o pregiudizi! , gli attribuiamo a spirito di corpo , di casta , di famiglia. Or questo dimostra che ogni situazione partico- lare di un individuo gl impone un certo ordine d idee, sulle quali basa i suoi giudizii, e modifica il modo di peusare pri- mitivo : per cui gli uomini hanno tutti una disposizione a giudicare nel senso di una delle classificazioni filosofiche. E questa disposizione primitiva  modificata dalla loro posizione sociale , e sperano il pi sovente d appresso queste diverse impulsioni , e le contraddizioni preudono anche ivi origine , nel dire come nel fare. Si deduce facilmente da quanto dicemmo, eh  egual- mente nella natura che queste varie disposizioni rendano pi atte le diverse sette filosofiche a coltivare con preferenza , e con successo quel punto di veduta della scienza, quella classe di fenomeni pi in armonia col loro sistema generale. L'isto- ria della filosofia in falli ci rappresenta in alcuni sistemi trattati con una grande superiorit tuttoci che riguarda le facolt dell intendimento, in altri quella della volont: in alcuni lanalisi dei fatti esterni , in altri quella della coscien- za : alcuni che hanno spinto l'analisi dei particolari, e la decomposizione delle idee alla massima lucidit, altri che hanno riassunto con una gran forza ed altezza le idee parziali nei priocipii generali. Il bisogno di riunire in un corpo di scienza tutti questi diversi risultamenli della divisione del lavoro,  ci che d origine all' ecleticismo , non solo in filosofia, ma in tutti rami dello scibile umano. E perch inai? Perch tutt i sistemi  pi facile delle cose il discuterne, e 'pure nel dire male o bene di unazione, si arriva a decidere del libero arbitrio, e della immu- tabilit delle distinzioni morali , per attaccare o difendere un indivi- duo, ed allora potete vedere le diverse tendenze filosofiche di tutti. E qui risiede la spontanea filosofia , di cui abbiamo promesso di trattare. Digitized by Google   521 sono incompiuti, perch 1' umanit  imperfetta; giacch ristesse disposizioni, ristesse qualit, che facilitano i pro- gressi di un ramo delio scibile, sono opposte a quelle ne- cessarie per operare listesso sugli altri (1). Ed in fatti  convenuto dai sapienti, che per il metodo, Panatisi e la sintesi erano due istrumenti necessarii che si verificavano reci- procamente, e che nessuno di essi isolato poteva avanzare le conoscenze umane : e ci  riconoscere 1 ecleticismo nei me- todi. La giusta importanza che si assegna al principio di as- sociazione, per il progresso delle scienze, di cui le accade- mie ne sono la pratica applicazione, come degli affari nei corpi deliberativi ed anche consultivi , per cose private , o pubbliche, sono la pi forte pruova, che si cerca compensare l imperfezioni individuali con la riunione degl individui che nella discussione possano ed abbiano per iscopo di temperare ciocch vi  di esagerato nei diversi sistemi , e trovare la media proporzionale. Il passaggio di Aristotele ove di ci tratta , deve ritornare a mente di tutt i nostri colti lettori. Ed in fatti questo  il problema di tutte le associazioni , che iscutono. Applicato all andamento delle scienze ha egual- mente questo risultamcnto. Se si proponesse in principio ad ogni uomo che coltiva la sua intelligenza di accettare o ri- gettare nell insieme tutt i sistemi filosofici , da Pittagora fino ad Hegel, si metterebbe l' umanit nellassurda posizione di rinunciare o alla scienza , o alla ragione , e qualunque dei due si scegliesse , sarebbe fatale ai progressi dello scibile ed in contraddizione con la nostra natura. (i) A noi semiira ctiiaro che tutti cultori delle scienze naturali sono pi atti , ed hanno in effetto meglio analizzato tuttoci che ri- guarda la teorica delle sensazioni, e i medici in tutte l epoche sono quelli che hanno avanzato la scuola sensualista. Dall'altro canto tutt i cultori delle scienze morali dalla metafsica fino alla giurispru- denza ed all' istoria filosoficamente considerata hanno meglio analizza- ta, e avanzata la conoscenza delluomo come essere morale. 1 teologi possono essere classificati con gli ultimi che nominammo. Ci pruova che vi sono delle scienze, che facilitano la conoscenza delluomo co- in esser sensibile, e delle altre com essere morale. Digitized by Google 522   Come si  progredito , in che modo ? Precisamente nl- 1* opposto, rigettando i sistemi nel loro senso assoluto, ed appropriandosi ed accettando tutte le verit particolari , che sono ci che  restato dei lavori dei sommi ingegni. E per non dilungarci, mi restringo a notare, che si son conservati in Cartesio i metodi e le scoverte matematiche, e si sono rigettati i vortici , che formavano il suo sistema. Di Leibni tz , si sono rigettate le monadi , e si sono conservate tutte le ve- rit sparse su luti i rami che ha coltivato ) dalle matemati- che lino alla legislazione. E cosi di tutt i filosofi dell anti- chit, e della moderna et. Per lo che ci pare aver assai chiaramente esposto , che l' eclettismo non  un sistema ar- bitrario, effetto di circostanze particolari j ma che trae origine e forza dalla natura umana, ed  necessario per landamento ed il progresso delle scienze , le quali non ponuo sortire che dagli sforzi di tutt i loro cultori in direzioni diverse ed in armonia con le loro particolari disposizioni. Una seconda qnistioue sorge dalla prima , cio se vi sieno epoche in cui questa disposizione naturale riceva incremento dalle circostanze generali dello scibile. Si certo; e ci  co- mune con tutte le disposizioni naturali che hanno bisogno di condizioni e combinazioni per isvolgersi pi compiutamente. Quando molti sistemi si sono costruiti , quando se ne sono derivate tutte le conseguenze, quando queste si sono trovate per la forza inerente de principi! non temperati di giungere logicamente alle esagerazioni , quando nelle loro applicazioni ai fatti umani hanno prodotto 1* atrocit , allora si  perduto fede al sistema , e si  veduto che la logica , come il Galileo dice, deduce dai principii , e non li scovre, e che in con- seguenza una esatta deduzione logica , che dava come rignl- tamento unassurdit in morale, non doveva ispirare fiducia, ma diffidenza , se non orrore. In questo stato ove si vedono moltiplici sistemi , ma in- sufficienti per risolvere le quistioni che interessano 1 umanit e che la scienza le promette , in cui le viceude mettono in Digitized by Google  5*3  contatto nazioni e credenze eh erano state separate tra esse per cagioni opposte , segno evidente che nella societ si pre- para ima crisi , cio che un ordine d idee termina la soa missione, ed un altro comincia la propria, l ecleticismo do- mina, perch  l islromeulo pi alto a raddolcire le passio- ni, facilitare la tolleranza, mostrare non solo le differenze, ma notare le simigliarne nei sistemi diversi , facendo consi- derare le quistioni da tutti gli aspetti. Lepoca della scuola di Alessandria riuniva queste circostanze chenunciammo , ed annunziava la fine del mondo pagano personificalo nellim- pero romano. Debbo per fare osservare che gli Alessandrini mancavano di una condizione importante per procedere ecleticamente. Il nostro sapiente autore osserva, che l ecletico dev esser sce- vro di preoccupazione nel procedere alla sua analisi dei di- versi sistemi. Ma gli Alessandrini , avevano la disposizione opposta , qual era quella di provare l identit delle dottrine orientali con le greche e di queste tra esse , e poi dimo- strare che il paganismo racchiudeva un'alta filosofia, una perfetta morale, e che la sua parte esterna era un simbolo da interpretare. Questo scopo di spiritualizzare il paganesimo , per opporlo al cristianesimo , li condusse a due effetti ; a non aver critica nella scelta delle dottrine , per cui le con- fusero, riunendo gli opposti e non i simili, e fecero un sin- cretismo , cio un ecleticismo senza critica, e, per riunire dottrine opposte, a cercare nelle qualit occulte, nelle visio- ni , nella magia , nel misticismo , e non nel metodo, esperi- mentale, i principii del loro giudizio. Ora queste circostanze non fanno autorit contro l ecleticismo per formare una filo- sofia ; ma credo star la difficolt pi su nella nostra imper- fetta natura. L ecleticismo , (mi si perdoni la frase) mi pare aver in iscopo in certe epoche di codificare la filosofa , non codificazioni a priori, come quella del Bentham; ma come quella di Giustiniano, cio scegliendo tra ci che esiste, ci ehe  in armonia con i bisogni dell'epoca, e ciche si $id. p 106-107, e altrove. Digitized by Google v 548  die frammento del sno grande sistema, molle scoperte , molti fatti che iuvocaao nuova vita ed unit, molte dottrine che sentono 1* attrazione della scienza della perfettibilit senza essersi colla medesima collegate. Che cosa risulta da ci? Che occorre di evocare il genio di Vico. Quel grande Ita- liano che voleva che una universit degli studii avesse tanta unit, quanta ne aveva la mente di Platone, interpretalo nella sua alta coerenza , adattalo alla ragione de tempi , quanto non sarebbe utile nel compulsare quella massa di elementi che sente lattrazione verso una grande unit sistematica che cerca un nuovo movimento nellanalisi dell umana, perfetti- bilit?  Se fosse studiata la storia della sua mente, se inoltre fosse considerata la sua mente nella storia, allora si potrebbe forse evocare e costringere il genio di Vico sotto la forza delle leggi psicologiche a pronunziare i suoi responsi sulle scoperte , sull' erudizione del nostro secolo e sui pro- gressi recenti della civilizzazione. Noi abbiamo esposto queste poche osservazioni, persuasi che importante  il lavoro del C. Matniani, e che la discusr sioae  pure un tributo dovuto agli alti ingegni. Se il poco valore delle nostre osservazioni non corrisponde ali importanza dell opera , noi preghiamo l illustre autore a perdonare alcune poche pagine dettate piuttosto dalla forza delle nostre con- vinzioni , che dalla convinzione delle nostre forze. Solo qi dorrebbe che le nostre opposizioni non si sapessero distia' guere dalla profonda stima che noi facciamo e dellingegno suo e de- suoi generosi sentimenti. L opposizione delle scuole lilosolcbe  pur necessaria, giacch leconomia suprema del- 1 umano sapere  affidata ad un antagonismo che prepara la verit coll errore, e l accerta colla discussione. Lopposizione quindi non deve togliere n la stima delle forze intellettuali che rendono vigoroso ed utile quest antagonismo, n la pos- sibilit di poter collaborare ad una grand opera con filosofie diverse , quando, uno  lo scopo degli sforzi comuni. G. Ferrari. Digitized by Google - 549- Ariicolo del Sig. Michele Parma, inserito nel Ricoglilore Italiano e Straniero.  Milano, Novembre 1835. .... Laonde venga lo intelletto Delle -prime notizie uomo non sape. Darti. Ventati) simplex est oratio. I. Concetto / 'ondamentale delia filosofia e conseguenze derivanti da lui.  II. -Cause contrarie al perfezionamento della filosofia.  III. Della scuola italiana.  IV. Di alcune somme idee del Ma- miani intorno al rinnovamento della filosofia.  V. Del senso comune e della lingua. Elcco un libro concetto da mente italiana vigorosa; ed ecco un nuovo documento, che il pensier della scienza non  cosa de tempi recenti, ma continuazione di antiche idee che non conoscono n il primo dove, n il primo quando, av- vegnach concreate colluomo, e divenute pubblica giurisdi- zione, dacch glingegni pi perspicaci cominciarono a riflet- tere , ad osservare , a concambiarsi i loro pensamenti. Ogui cuore sinceramente italiano giubilar deve all annunzio di questo libro che ne rammemora le vetuste glorie dellItalia, i bei giorni in cui 1 italico senno dettava leggi di sapienza , e insegnava il rispetto allo straniero , che oggi dalia sua patria ne scaglia, colla sconoscenza di chi si arricch del- laltrui , il dileggio pomposo dell uomo fortunato , e con vituperosa alterigia misura da luuge la maest delle nostre rovine, e profetizza caduti gli Italiani nel fondo dellanni- ghittimento morale e intellettivo. Grazie all uomo coraggioso che dal luogo stesso donde partono tante contumelie contro di noi, rivendica valorosamente l'onor nostro, chiamando gl Italiani allo proprie loro ricchezze, a quella gloria, per il Digitized by Google  55o  coi incitamento possono essi ricuperare quel posto, che l' in- fortunio colle mille sue conseguenze, e lo scoramento pi ette tutto, hanno loro fatto abbandonare. N questo  vanto da ciancieri : irrepugnabile fatto egli  , e tale che ad essere accertato altro che cognizione e sincerit non richiede Quella lode che noi tributiamo libera al Mamiani , gi la proferim- mo ad Antouio Rosmini , zelatore ardente e venerato della sapienza italiana. I. Altro  pensare, altro riflettere sul proprio pensiero:, ognuno pensa, ha il sentimento del proprio pensare; ma non ognuno attende agli atti dello spirito in modo da procac- ciarsi la cognizione del come e del perche. Un istinto re- gola gli nomini in generale ; pressoch tutti lo seguono senza pi : di rado interviene ad essi il chiedere la ragione di un principio, che nel procedimento e nella risultanza venga a terminare in un compiuto ragionamento. Lesperienza urta i pi a spintoni, quasi a Itane dal sonno laddormentata ra- gione ; pochi conduce passo passo sul cammino della verit : essa precede il filosofo col lume dei fatti , e lieti dietro al volgare, che con fanciullesca impazienza le volta le spalle facendo di se ombra al lume guidatore, se non che qualche scappata di raggio lo illumina pure. Per quanto per le filo- sofiche investigazioni, sostenute con tanta pertinacia per molti secoli da fortissimi ingegni , possano aver recalo giovamento all umanit col rischiarare alcuni punti principali dell arte scientifica , pure la filosofia non innov 1 uomo , ma trasse da lui i primi elementi delie sue escogitazioni. I metodi in- ventati per le applicazioni dirette del ragionamento, ritraggono tutti, qual pi qual meno, un certo che di fittizio e di ar- tificiale, che dagli scopritori passando agli studiosi non pro- dussero quel frutto che a prima giunta parevano dover por- tare. Forse esiste nelle facolt intellettuali delluomo, come nascosto tesoro, un modo di naturale ragionamento, cui fanno violenza la corrivit ve gli appetiti , non ancor stato dai cer- catori della scienza bastantemente riflettuto , e in esso forse Digitized by Google  55 1   riposto il possibile miglioramento della filosofia ; fora an- che ne metodi pi invalsi troppo ci  di personale a chi li trov , e troppo poco di generale rispetto a chi li apprende e li mette in opera: la filosofia, perch tacerlo! ebbe il proprio egoismo. Ad ogni modo, dopo tanti disinganni e tanti ammaestramenti di private e pubbliche vicende, ora si dovrebbe dagli amatori della sapienza a pi legittimo e pru- dente scopo rivolgere la mira, e far s che nel regno delle scienze tutti vi capissero i naturali principii dell intelligenza c del sentimento. Ma innanzi tutto il (ondamentale concetto filosofico non corre che venga assunto n nelle astrazioni, n nelle ipotesi , n nelle minute analisi, n in una sintesi fo- cosa , escila cos tutt armata in uu momento da un animo concitato. Bisogna farsi ben addentro a questa massima ; che cio , a risolvere 1 uomo ne suoi veri componenti ,  studio principalissimo quello di osservarlo negli atti di lui, e nelle facolt operative onde si viene tessendo la vita ragionevole e morale di esso; scoprirne le nozioni regolatrici nei fatti pi consueti , e discernere in quelle opere ci che solo  effetto di stortezza e d ignoranza , da quanto procede dirittamente. A noi pare che in questo campo di osservazioni pratiche e teoretiche molto a mietere ritnaoga agli educatori della socie- t , ch tali amiamo domandare gli aspiranti alla cognizione c al propagamento del vero. Rimane a stabilire per fonda- mento dello scibile non una teoria vaga, arbitraria, ma quel tanto solamente che si scorge non potere altrimenti essere che le guide delle nostre cognizioni, il sostegno delle facolt intellettive, il capo saldo delle nostre cognizioni, quel lume da cui si procrea il motivo, quel motivo onde si genera un sentimento, quel sentimento per il quale si produce nella moltitudine un fatto consimile. Molte variet e differenze sono a notarsi negl individui , couciossiacli le indoli e le tempre diversifichino dall'uno all altro; ma quelle variet hauno relazioni di consimili tudine, e quelle differenze hanno in natura un tipo permanente di riscontro, e tutte provengono Digitized by Google  552  da un tronco, come rami di un grand'albero. Nella genesi dell umano pensiero vi si appalesano quegli atti, peri quali verr costituito, con ordinata successione, 1 uomo adulto: le operazioni intellettive sono sviluppi di un germe , il quale , dall esperienza fecondato e dalla riflessione , mette radici nella coscienza, da dove diramasi il sentimento dellesisten- za, della persona, della libert e della felicit. Stannovi quasi due opere nelluomo, una facoltativa o razionale, istin- tiva laltra e fatale: sono queste in contrasto o daccordo tra di se per legge di necessit, poich preordinate ad un fine, o per cagione di libero arbitrio , il gran problema che tocca alla filosofia di risolvere  indicato in ci : concordare la ra- gione e l istinto colla potenza , mediante la quale 1 uomo supera le difficolt che sono in lui e nella natura a ben in- tendere, a rettamente sentire, a utilmente operare (f). E del filosofo missione il chiarire questi tre sommi atti simul- tanei assumendoli nella loro totalit naturale; poich, pur (i) Dopo tanto sciupio di astrattezze, paiono ormai rivolgersi i migliori ingegni a considerare l'umanit qual , e quale ce la esi- bisce la storia. Romagnosi , teste mancato allItalia, tent costruire la scienza del diritto Avocandola alla vita socievole non contemplata dal solitario gabinetto , ma clta in su loperare, nella stessa vivi- dezza del pensare e sentir comune. Nellultima parte dellIntrodu- zione allo studio del diritto pubblico  egli accenna un idea della pi alla importanza, quella di spingere la psicologia entro i fatti complessi dellumana societ, idea per cui si pu realizzare il pen- siero di Hohbes ebe voleva foudare la scienza sociale sulla scienza delluomo, e per cui si pu compiere la grande analisi di Vico e innalzare sulla sua Scienza Nuova uuarte adeguata al gran corso delle nazioni >. La mente di Gian Domenico Romagnosi interpretata dal signor Giuseppe Ferrari , lavoro inserito nel luglio e nell* agosto della Biblioteca Italiana dellanno corrente, nel quale il confronto di Vico e Romagnosi, non che la critica di quest'ultimo, ne paiono veramente pensali con forza e vasto concetto. Intorno allo opere del piacentino filosofo leggasi pure il bel discorso del signor Cesare Cant inserito in questo giornale , ove le dottrine di Romagnosi sono espo- ste con nobile e franca iuterpretazionc da questingegno, ebe iu et ancor giovane mostra maturezza di senno, scrive purgato e caloroso, e si dedica al cullo de migliori sentimenti. Digitized by Google  553  volendo, prescindere non pu luomo da alcuno di essi : e pongasi mente che dal fondamento , e non da altro , di que- sto triplo fatto dellumana ragione , dellistinto e della vo- lont, deriva tutta quanta 1 assennatela di una solida teoria filosofica; e che i sistemi pi rovinosi e immorali emanarono da una falsa notizia dell uomo , la quale svolgendosi nelle sue conseguenze, riusc a stravolgere in pi versi i principii comuni della moralit e della societ. Tali abusi dellingegno siano ammonimento ben accetto a chiunque in pubblico od io privato detti fdosofia : s , la storia ne fa consapevoli di grandi traviamenti avvenuti per colpa di massime nella loro apparenza di poco o niun rilievo sul conto dell umanit , ma tali nerisultamenti che n ebbero a scapitare non poco cos glindividui come gli siati (1). Abbiansi dopo ci in sommo rispetto i primi passi verso la sapienza , essendoci aperto, come, perduto di vista il sentiero conducente alla verit, innoltrisi luomo ne viottoli intralciati dellerrore. Irresistibile egli sente un impulso a conoscere il vero, ma le male tendenze gli pongono innanzi seduzioni , inganni , errori , i quali adescano a confondere colla realt e colla sus- sistenza delle cose le lievissime apparenze. La sapienza non debbe locarsi nellarte sola dell' argomentare , ma sibbene nello scorgere in qualsivoglia maniera di argomento il lato importante a considerarsi negli sperimenti della propria ra- gione, luomo non debbe dimenticare la moralit dell in- tento, onde a comune vantaggio ridondi la bont delle sue (i) Facilmente s avvede di ci chi legge nelle itone. L epicu- reismo c lo stoicismo romano produssero da uua parte l'abbandono al piacere, dallaltra la solitudine dellorgoglio, ossia deviarono due forze a maggiore svigorimento di una societ gi infiacchita. Quella due forze regolate dall amore del pubblico bene , chi oserebbe dire che non avrebbero protratta la fortuna di lloma } Chi non conosce le conseguenze dei sistemi di Spiuosa , di Hobbes a cagione desempio, dei settarii e degli eresiarchi ? Ebbene tulli costoro pretesero rifor- mare il mondo dopo aver riformalo, o a meglio dire guastato, un principio naturale o religioso. Digitized by Google  554  indagini. Primus sapienti^ gradus est falsa, inlelligere , secundus vera eognoscere : questa massima, se non erria-. mi), di S. Agoslino,  verissima, sebbene paia contenersi in un circolo vizioso. Con qual mezzo intendere il falso? col vero indubitatamente; ma S. Agostino nou pretende gi potersi dall uomo aver notizia dell errore senza la scorta di buone nozioni ; egli insegna di non affidarsi in un subito a ci che sentiamo come verit, senza averlo prima messo in paragone colle dottrine contrarie ; poich da nn confronto e da un giudizio completo solamente pu sicura e splendente emergere la verit. Conseguila cos la convinzione, che nei professati pi iucipii  salda virt contro a qualsiasi repuguanle opinione , allora l uomo diventa consapevole dell ufficio che gli compete in qualit di sodo ragionatore ; allora  tempo di tutta allargare la teoria procedente da ci che mostrossi tetragono ai colpi dell errore ; allora 1 nomo  nella vera sa- pienza, nel secondo stadio della ragione maturata dal lungo riflettere e paragonare. Dall esposizione delle quali cose , se al nostro giudizio non fa velo un qualche involontario erro- re, siamo iu diritto di conchiudere doversi la filosofia ordi- natamente distribuire ne seguenti principi risultanti dal con- cetto fondamentale di lei : f8 Anteriormente a tutto risiedono nelluomo due facol- t, la ragione e V istinto ; per la prima intende, riflette, paragona, giudica, conosce; per la seconda appetisce, desi- dera, vuole, ama, 28uLa prima cognizione si forma da un giudizio, merc cui egli discerne il me pensante dall oggetto o idea pensata. 3 L'uomo riferisce a se i giudizii che pronunzia inter- namente delle cose, distinguendo il me come causa del pen- siero dal soggetto estrinseco che lo muove. 4 La cognizione riflessiva del me e non me  l'ente ideale o termine di relazione necessario, sul quale  basata la soggettivit personale e impersonale degli esseri. 5 Luomo si sente come soggetto e come oggetto, es- Digitized by Google  555  semlo gli atti suoi convertiti nellintimo sentimento o nell spontaneit di sapersi qual , com, e perch  nei limiti dei primo giudizio, oltre i quali sta il secreto di sua esi- stenza , e dell atto per cui sussistono le sostanze. 6 La cognizione comincia dall atto che fanno le esterne esistenze sull'umano intendimento. 7 I giudizii vertono sugli esseri in quanto si Janno co - noscere ; ce ne ha di entit , di uguaglianza , di simili- tudine, di differenza e di negazione. 8* Gli enti operano sullintelletto in quanto conoscibili , 9 E sullistinto in quanto appetibili, 1C E sulla volont in quanto desiderabili , ravvivando le nobili tendenze dellumanit al vero , alla felicit , alla libert , alla contentezza , ed eccitando le fisiche passioni , ti E infine vi  un metodo costituito sull andamento de' fatti umani, sulle lingue, e sull osservai ione diligente, sincera e costante di tutte queste cose. II. Chi giri lo sguardo sul vasto dominio delle umane cognizioni, quelle medesime differenze vi rinviene che ne offerisce natura contemplala nelle sue variet di pianure, boschi, colline, valli e monti. Percorrendo le scienze, e se- gnatamente la filosofa, madre a tutte, lo studioso sente le impressioni del camminare sul piano con davanti un orizzonte mulo del pari agli occhi e al cuore , dell innollrarsi nelle valli dove laria  greve, e dell innalzarsi con grato senso di agilit nel pensiero e nelle membra sopra i colli e i mon- ti, da dove un amenissima prospettiva dispiegasi a ricreare non meno la vista che il sentimento. Neppure mancano alla filosofia i balzi , i burroni e i precipizii. Nei feuomeni psi- cologici si riflette il mondo , come rende un lago le imma- gini delle circostanti montagne con tutti quegli accidenti di luce , di ombre e di contrasti daqitali si creano le naturali armonie. Ma allestremo orizzonte saddensano le nubi, al cui distendersi , scema degradando la vivezza delle tinte ; scompaiono le ombre, e tutto si copre di un triste colore. Digitized by Google  556  Tanto avviene ne pensamenti degli uomini. Tu cbe dominavi poco stante da un altura un giocondissimo paese , eccoti ad un tratto sopra un dirupo sporgente a spaventevole abisso ; quando una luce limpidissima inondava il tuo intelletto , ora ti circonda la nerezza di vetustissima foresta. Ma lasciamo il parlare figurato , e veniamo alla sostanza del nostro pro- posito.  riposto un gran significato in quel detto di Pascal , esserenatura e ragione i fortissimi scogli contro cui rompono La tracotanza dello scettico e la temeraria asseveranza del dogmatico. Pascal ha veduto in un lampo del suo genio i due limiti posti dalla sapienza ordinatrice alla stravaganza , e alla troppa confidenza degli uomini, ed entro i quali capir deve il lavoro dell umano intendimento intorno i principi! del pensare, del sentire e del fare: da questa veduta cosi sagace ad una e vasta , noi prenderemo le mosse a trattare in breve di alcune tra le cause per le quali  luomo fuor- viato nella ricerca del vero; diremo poco, ma cercheremo di essere esatti per quanto ci fa possibile. Si giunge in due modi cos allo scetticismo, come al dogmatismo ; e tali modi altro non sodo che trasposizioni inverse di due estremi ; onde nasce che lo scettico diventa dogmatico , medesimamente che il dogmatico si fa scettico : quest' inversione  voluta da una legge di natura , la quale, non s tosto luomo tenta fuggirle via, lo raltiene collim- pero dell istinto. Proviamolo. Chi muove dalla dubitazione alla ricerca del vero, e in- daga il vero nelle differenze de sistemi filosofici , perviene a questa conclusione: ciascuna scuola di pretesa filosofia esibi- sce due risultamenti a chi la medit, luno negativo, po- sitivo laltro: il risultameuto negativo non  che la confu- tazione di una dottrina opposta, poni dello spiritualismo; la risultanza positiva , in questo caso, lessere della materia. [ valori speciali di ciascuna scuola sono adunque inversi tra loro, e non danno che una pari probabilit raffrontati ipsic Digitized by Google   557  me: n.a due probabilit pari intorno ad una stessa cosa non ponno stare ; forza  che ve ne sia una supcriore , onde con- vinca la ragione ad adottarne una di preferenza. Ora questa dalla filosofia non fu data mai , qui si parla della filosofia dei sistemi , dunque al ragionatore non resta che di esclu- derle tutte, poich tutte egualmente probabili; dunque il dubbio universale  il pi ragionevole pattilo a prendersi da chi esamin il pr e il contro delle opinioni filosofiche. Qui troviamo luomo pervenuto ad una conclusione non daccordo col proprio istinto, ma tale per che, a bene considerarla, costituisce una forinola dogmatica: - nulla v'ha di certo, tutto  dubbioso. - Conchiudimento insensato , incredibile, ma non evitabile da chi , messe in non cale le vie naturali della certezza, cerca questa co mezzi manchevoli di poche  strane opinioni, e vuole tutto evidente per lopera del ra- gionamento. A tale punto lo scettico rista , e levata dalla sua mente quella certezza , che in tutti gli uomini , meno gli scettici e i sistematici,  concorde coll intimo senso e coll istinto , gli rimane questo , eh egli in tantissime cose , cio nelle pi urgenti e comuni della vita, pensa, vuole, desidera allo stesso modo che gli altri pensano, vogliono e desiderano. Ma intanto un mutamento  accaduto nell intel- ligenza di lui; e se pi non pot fare, egli si fu perch natura e ragione non gli permisero di pi oltre trascendere, poich alle esorbitanze siccome alla moderazione furono sta- tuiti limili, al di l de quali v' cessamento d forza, e debolezza. Tali eccessi produssero i sistemi sempre parziali , sebbene dai loro autori sempre dichiarati imparziali ; e le opinioni estreme, siccome tendenti, quale pi , quale mcuo, dallo scetticismo al dogmatismo filosofico, tentarono difallo, costituendosi in serie ordinate di principii , di ragionamenti e di prove, abolire qualche base su cui regge quell invinci- bile sentimento che domandiamo coscienza di noi stessi. Laoude, escluso un massimo motivo intorno ad una com in,- rione irresistibile , ne proviene il dubbio sulla esistenza e Digitized by Google - 558 - la ragione di esso elemento logico; e al dubbio, stato in- comportabile alla natura del pensiero, subentra quindi un falso principio, unidea fantastica escogitata senza perch, e unicamente per riempiere quel vuoto intellettivo lasciatovi nella mente dal vero principio sbandito. Su di che la ra- gione si travaglia operosamente a vestirlo di motivi, a difen- derlo con fina e astuta dialettica per modo che quella, non possiamo non far violenza alla lingua, nozione ingannevole giunga ad occupare quel posto, ad essere in certa guisa ac- colta dalla coscienza in mancanza del meglio ; ed ecco il dogmatismo bell e formato nella testa di un nomo, il quale, cominciatosi per lui, come per tutti si esordisce alla vita intellettiva e morale, riusc a dubitare di se, o di una parte di se, terminando ad avere per fermo ci che generalmente non potrebbe credersi , poich non fondato ne principii co- stitutivi della natura, la quale, anzi chei muovesse alle sue stranezze , facevaio avvertito di quella realt eh egli impru- dentemente accingevasi a negare. Quante sono le opinioni che sulle cose possono concepire gli uomini , a tutte si conf il dogmatismo. Come avviene che il dogmatico si conduca alla dubitazione? Il persistere in una opinione, senza prima avere esperite le ragioni in contrario, e posti a paragone i proprii con altri principii, conferisce una smisurata confidenza allingegno, e fa sup- porre erroneo ci che a quella opinione non conformasi , ci che con debito esame non venne a lei ragguagliato, ci in- dine die reclama un' attenta considerazione , poich o repu- gnante o favorevole alla stessa  duopo clic sia. Onde il giudizio che luomo pronuncia allora, viene presso a poco a dire quanto gi disse Cartesio , il quale dal dubbio pass al dogmatismo: ci che io stimo vero,  superiore ad ogni prova, poich lo sento con quell* evidenza che appaga l in- telletto , noti lasciandovi ombra di dubbio. Ma , si pu ri- spondere a qnaiunque dogmatico, segno della verit  bens V essere sentita colla maggiore evidenza , e nessuna potrebbe Digitized by Google - 559 - esistervi mancante di quella: voi per confondete il vostro sentimento col carattere o colla nota del vero, inquantoch non mi provate gi la cosa in se stessa , ma solo la vostri convinzione intorno a lei. Prima che ci dichiariate indubi- tabile la vostra opinione , bisogner che ce la ragioniamo alciiu poco , a vedere se propriamente essa sia cos vera, cos provata siccome pretendete voi , e se collimi in ogni punto coll intimo senso degli altri, colle testimonianze de falli, ec. Se voi vi schermite da ci, persistendo nella vostra convin- zione, non valutando quella daltrui, voi infirmate di neces- sit la vostra opinione, poich non basta che unopinione sia reputala vera da un tale ood abbia ad aversi in tanto concetto, ma s gli  forza che sia di natura da non potersi rifiutare da chicchessia. La sola possibilit di un concetto migliore distrugge non la vostra convinzione che siete il pa- drone di sentire come sentite, ma la ragionevolezza di ci che in voi la produsse. Ferma convinzione in filosofia solo quella pu domandarsi , alla quale furono mandati innanzi i singoli argomenti, che la costituiscono ragionevole: il dogma- tico asserisce senza pi , e sbandisce quel sapiente dubbio , poich evvene uno, dal quale noi uomini veniamo avvertiti di non incaparbirci delle nostre opinioni, ma di renderle iu iscambio luminose a tutte le prove contrarie. Epper il do- gmatico abnega un assioma dell umano criterio; non doversi cio ammettere vera cosa veruna , che documentata non sia da que mezzi onde va fornita 1 umana intelligenza nel pro- cacciarsi una verit saldamente dichiarata. Il dogmatico adun- que esord da una preoccupazione, confuse il sentimento colla ragione della cosa sentita, e concedette perci lautorit del dubbio , eliminando da se ci che in prima doveva cercare con sincerit di spirito, cio quecriterii che in qualche guisa in poco o in mollo potevano contrastare col suo opinare : il che  una specie di dubitazione universale, essendoci per qualche cosa la ragione degli altri ; e cos troviamo pur qui .avverata la sentenza di 4. Agostino: erra chi compone la Digitized by Google  5Go  scienza mancando dell' intelligenza del falso; e il volere unopinione senza esame del pr e del contro, e l adottarne una nou conforme alla comune intelligenza degli esseri pen- santi ,  un insulto all umanit , nn eccesso parimenti da sbandirsi per sempre dalla lilosofa . Facciamoci ora a sporre alcuue tra le cause che in generale inducono gli uomini in errore. Il voler le cose in un ordine diverso da quello che sus- siste indipendentemente dalla volont umana: dal non amarle nasce il desiderio di mutarle , e da siffatto desiderio origina lo sforzo impotente a spiegarle con dottrine singolari, e aventi pure la sembianza della ragionevolezza; misero ma unico spediente che rimanga alla ragione, la quale pare ri- spettarsi nell atto che si sconfgge colle proprie armi ! La difficolt di ridurre a completa dimostrazione il pro- prio concetto: essa fa s che luomo lo eluda in alcuna delle sue parti , cio togliendo da lui ci che nella forma dimo- strativa male pu comprendersi ; ma stando le idee nella niente congiunte da necessarii legami , non se ne pu torre una , senza che al giudizio complesso uon venga pregiudica- to. Poniamo il caso di un ragionamento che verte sulla fa- colt di volere : quest atto si attiene al desiderare e al de- terminare; eppure, sebbene composto, egli ha una specialit propria, inalterabile e naturalissima : basta dimenticarne uno o rifiutarlo, per rendere oscura e insolubile la questione. Cos dicasi di pi altre facolt , per esempio della memoria e dell' immaginazione. Rendere composto il semplice, ossia scomporre in parti concettuali un principio che non pu decomporsi senza tra- visarlo , anzi senza renderlo totalmente diverso : a cagione d'esempio, lanimo nel concetto mentale  uno e semplice; uno, perch la molliplicil de suoi atti non  che una so- stanza variamente modificata; semplice, perch ogni atto non  parte di sua sostanza , ma successione distinta di modi assunti dalla sostanza attiva. Tale tendenza a scorgere il pi Digitized by Google  56 1  nell'unit, e il composto nel semplice, fu causa del mate- rialismo e degli errori che dominano nella fisiologia e nell frenologia pi particolarmente. Difetto di attenzione: questa causa negativa d nascimento alle storture nei ragionamenti, alle false conseguenze , alle prove contraddittorie, alla mancanza dei nessi dall una allal- tra idea. Il soverchio sentire : da qui provengono i sofismi di certe passioni, le personificazioni dell immaginativa , la confusione delle cause morali colle fisiche e colle intellettuali, e vicever- sa : a questa causa aggiungeremo 1 altra del poco sentire , fonte di gravi trasgressioni nella filosofia, inducendo a far prevalere le nozioni intellettuali sulla moralit dell uomo. Napoleone non aveva nn cuore che pareggiasse la sua mente. E finalmente il poco discernimento nel separare ci che nelle cose  necessario, libero e fallace, come quando nella determinazione in seguenza a un fortissimo desiderio non si distingue la forza dellistinto, limportanza della cosa desi- derata, l energia della volont nel conseguirla o contrastarla, la validit delle ragioni pr e contro, lo stato di educazione dellindividuo volente, e infine latto concili 1* nomo risolve di fare , o non fare , onde conseguire o no la cosa bra- mata (f). (l) Ridurre le proprie idee in iscorrio per raffrontarle a una teoria gi svolta non  cerio il miglior mezzo di trarre in chiaro le questioni della filosofia. Convinti da questa considerazione, e pel poco frutto che ne ridonda agli studiosi delle parziali discussioni e dalle prove pi presto accennate che dichiarate, non vorremo pi quinci innanzi trattenerci in pubblico con opere di nessun autore. Cercheremo invece di maturare i nostri principi! al lume della meditazione e dellesperienza, fino a che ci riesca di stendere noi pure una teoria dell nomo, la quale comprenda i pi importanti argomenti , tentandone una congrua spiegazione. Noi portiamo opi- nione, essere possibile una filosofia completa e facile, purch si stia nella moderazione e nella sincerit de principii. Sar mente di quellopera lo stabilire su (erma base l'intendimento, la volont, il sentimento quali Irovaosi nell uomo educato da tulle le sociali 37 Digitized by Google  56a  III. Il signor Mamiani con apposito e profondo lavoro ne mette alla restaurazione filosofica per lopera ditaliani, i quali affrancandosi dal giogo aristotelico, vennero passo passo diradando le tenebre in cui giacevansi le prime notizie, da- gli aristotelici totalmente svisate, intorno al metodo da pra- ticarsi in rispetto ai feuomeni psicologici della conoscenza ; talch da quelle ardue conquiste dellintelletto italiano siamo coudotti inaino al massimo Galileo , primo scopritore di quel metodo adulto e di sicura applicazione , che di nelle mani ai moderai tanto lume di scienze positive. La lode che noi sentiamo dovuta all egregio signor Mamiani , non  tra quelle che tuttod e alla ventura si profondono da tanti ;  quella meritata dagli uomini sapienti , pe quali riceve notevole au- mento il patrimonio della scieuza nazionale : il Mamiani ne fa sovvenire ci che mai non dovevamo dimenticare; egli ne fa scorti di quanto in avvenire possano le menti operare del bel paese t solo che attendano con perseveranza ad illustrare 1 eredit provenuta loro da maggiori. In nessun libro mai di filosofia ne apparve cos evidente 1 energia dellantico pen- siero italiano, che quandochessia potrebbe sotto questo bel cielo, purch il vogliamo, risorgere a novello svolgimento, u mai, come a questa lettura, il sentimento della patria ne s dilat caramente (l). Alta riuomanza levarono Cartesio e Bacone; ma a volere eoa discernimento e buona fede consi- derare le cose , si viene tosto nella convinzione , non essere potenze. Perch certuni argomenti acquistano col tempo nuova forza di dimostrazione. Platone e Aristotele credevano esistervi due classi d uomini, gli uni nati allo srhiavaggio, gli altri alla padronanza: la legge di Cristo abrog ogni disuguaglianza; se ve nha alcuna, ella  di fatto, non pi di diritto. (i) In uo frammento di un nostro discorso intorno allopera del Rosmini, Sull origine delle idee e sui principi deir individuale ragione, gi avevamo detto:  Una voce segreta ri va parlando nell' animo, che la filosofia dimostrativa e rieonoscitrice sincera dei fatti debba ricevere dall ingegno italiano un grande illustramento: il perch ogni Italiano di alti sensi lo deve sapere . Nuovo Rico~ glUore, giugno l834, pag. 54. Digitized by Google  563  punto alcuni nostri stati da meno , se non li superarono , massime Galileo , le cui dottrine metodiche sortirono una tale lucidit di ragionamento e solidit di prove da lasciarsi dietro molte tra le pi decantate teorie di Bacone. Perch Galileo solamente non fu inventore di un metodo possibil- mente pel suo secolo completo, ma operatore sagacissimo e instancabile di sperimenti, le risultanze dei quali ebbero ac- cettazione europea; e al nome di Galileo si fece compagna l'universale riverenza. Ma a noi rileva di presente intrattenerci intorno al me- todo, ond abbia la scienza dello spirito a statuirsi sopra dati che insegnino dirittamente le prime conoscenze , e con esse loro il metodo di scoprirle, accertarle, e apprenderle al- trui (f). Questa parte del libro die facciamo soggetto di nostre osservazioni , far molti Italiani arrossire, che rannosi ignari, come andavam noi, di alcuni gravissimi dettati del- litalica sapienza, intanto che siamo cos vaghi delle spe- li) Ecco in pochi tratti la mia idea metodica, quale esposi, poco fa, in una lettera ad un mio amico: La verit  possibile, poich tutti aspirano a conoscerla ; inganno non pu esservi in questo , giacch ingannarsi tutti, viene a dir nulla. Dunque con che si discerne il vero, e quale  il suo carattere! Il vero si di- scerne da quella facolt mentale che lo cerca, e si conosce, 1, dalles- sere evidente, provandosi dalla ragione molto credibile, ovvero cre- dibile Unto da escludere il dubbio, in concorrenxa di tutte quelle altre prove uclle quali  ripugnanza o contraddizione; 2, corrispon- dente all* intimo senso , su! quale riflette lumano pensiero in quanto ragionevole, morale, e consono allistinto della felicit; i, testi- ficato dalla generalit degli uomini, cio dalle lingue, dagli autori, dalle storie e dalt'operare umano continuo; ^ . soggetto ad alterne vicende nel succedersi delle opinioni, e statuente nel mondo UDa legge , per la quale le idee contrarie non possono spiegarsi senta riscontrarle a lui; C, e producenle per gradi successivi la educa- zione dell uomo. Questo metodo  osservazione, confronto, rifles- zione , ragionamento , distinzione e definizione dimostrativa : egli non  che I embrione del mio metodo ; quando sar sviluppato elle applicazioni, nei ragionamenti e nelle prove, riesrir un'altra cosa. Ora, espolto com, fa compassione; ma rileva per un pen- siero costante , che non sta alla superficie delle questioni. Digitized by Google  564 ~ dilazioni oltramontane t abbiamo la sincerit di confes- sarlo ! n Delle tre tentate restaurazioni del senno umano, 1 Socratica, l'Alessandrina e lItaliana, solala nostra italiana  riuscita a bene , discorre il Mamiani , perch solo in Ita- lia , e segnatamente per opera di Galileo, ritorn lunuino intelletto con stabilit e diligenza. ai ricordi della natura it. Propostici di tener dietro al Mamiani nella rassegna cos luminosa eh egli fa del progressivo incremento del sapere ila-, liano , riferiremo un paragrafo dell autore risguardante in particolare Archimede : 11 Per quello che noi ne sentiamo , Archimede egli pure avea praticalo in Italia una filosofica restaurazione,, bench la fortuna contrastasse allalto disegno. Nei tempi di quel genio sovrano la scuola italica non pare che fosse potuta rialzarsi dai colpi dello scetticismo e dalle cavillazoni della solistica; nel quale abbassamento lavcann gettata le esorbitanze dei dogmi Eleatici. Per vero si falla scuola avea fruttato tre grandi principii del metodo filosofico , cio a dire la prima certezza riposta nella condizione suL- biettiva d ogni nostra conoscenza; la dialettica di Zenone, contenente lefficienza e le leggi dellarte dimostrativa; il proposito, avuto sempre dinanzi agli occhi, di soddisfare ai bisogni della ragione, sforzandosi di spiegare per via di scienza apodittica lautorit de* suoi precetti supremi. Al che quando si voglia aggiungere lo spirito osservatore, sperimen- tale e induttivo del vecchio Empedocle, si avr forse il com- plesso degli ottimi principii del metodo filosofico. Archimede poi ripristin e dilat s fattamente la induzione Empedoelea e il vigore dimostrativo di Zenone , che tutti gli ingegni d$i secoli posteriori non hanno potuto sorpassarlo. Perocch sera conceduto a lui di fondare scuola di sapienza, noi non du- bitiamo che da lui sarebbe cominciata quella riparazione di tutto lo scibile , la quale venne tardata di mille e settecento anni e pi. Ma i principii metodici che abbiamo veduti ri- manere quali semenze nascoste nella scuola italica antica. Digitized by Google 565  germinarono alla per fine coi potenti aiuti di Galileo e di altri spiriti ilosoici del secolo sedicesimo. Intorno la qual cosa faremo parole alquanto distese, perch non troviamo che alcuno abbia fin qui ben definito e tratteggiato quel movi- mento maraviglioso della logica umana, n Accenneremo alla sfuggita i nomi che primi appariscono al risorgere de buoni siadii. Al Mamiani alcuno non fu tro- valo anteriore al Petrarca n il quale avesse animo di deri- dere la falsa filosofia delle scuole , e ne svelasse cou buon ingegno i vizii e la fatuit, h  Ma il riaprimento succeduto dipoi delle fouti della greca sapienza accese da ogni parte la volont di combattere la scolastica , e ci in due manie- re; opponendo la parola ingenua d Aristotele a quella spuria ed intenebrala dai chiosatori , e disvezzando le menti dalla loquela barbarica dei dialettici con le dolcezze di Cicerone e di Senofonte, s Volsero a ci la mente in precipuo modo Ermolao Barbaro, Angelo Poliziano, il Valla, e il Pompo- naccio. Questi disgombr Aristotele dagl infarcimenti , e lo espose uella sua purezza. Scrisse Lorenzo Valla tre libri della dialettica contro gli Aristotelici , e n ruppe cosi la sua lan- cia non pure contro gli scolastici , ma eziandio contro il mae- stro di coloro che sapevano. Osserv come le categorie e i primi predicabili vengono falsamente assunti per tali, e prov ci col senso legittimo dei vocaboli , con 1 uso dei parlari e con ragioni di senso cornane. Invit la giovent a cercare nei prosatori e poeti sommi il retto senso della ragione. In ultimo immagin a suoi d quella riduzione medesima sui predicamenti e categorie d Aristotele , che oggi taluno ha fatto sulle forme e categorie di Kant, con dichiarare tre soli predicamenti essere distinti, essenziali e pi comprensivi de- gli altri tutti, cio la cosa (insieme guardata e quale sostanza e quale cagione), la qualit e latto: la qualit aderente alla cosa, in quanto sostanza ; l'atto aderente alla stessa, iu quanto cagione : e ci  quel medesimo per l appunto clic jpemaoo e scrivono gli spiritualisti moderai di Francia.  Digitized by Google  566 Seguono nomi d illustri Italiani eh' ebbero qui parte alla restaurazione in discorso , che cio conseguirono nome di pensatori , oppugnando Aristotele e la scuola , dettando nuovi insegnamenti, o creando sistemi originali e vistosi , come dice il signor Mamiani, il quale pur nomina pochi stranieri cooperatori all impresa , venuti in Italia ad appararvi scienza, o (ormatisi sulle opere italiane, tatti posteriori di tempo nell aver fatto progredire la filosofa. Ora scendiamo a que- gli Italiani che veramente hanno conferito al metodo e sta- bilit e frutto, ii F. : Maria Nizolio levossi primo a parlare diffusamente di dottrina metodica nel suo Antibarbaro: pre- venne ed esegui, meglio pure del Valla , il desiderio del- 1 Hobbes, dei Porto-Realisti e di altri, a quali premette di ridurre il linguaggio tecnico a linguaggio comunale. Ben co- nobbe costui consistere la dialettica e la metafisica dei peri- patetici in una frequente logomachia , talch esaminando il senso rigoroso dei vocaboli e la secreta ragione grammaticale col lume e L autori l dell uso popolare e degli scrittori pi insigni, ebbe fede, e certo non s*ingann, che tutto avrebbe sconnesso ledificio peripatetico (f). Nel che  da notare siccome egli presentisse P opinione della scuola scozzese , la quale ha insegnato dovere il linguaggio filosofico essere deter- minato cou la semplice scorta delluso volgare e delle chiare e patenti etimologie, n Infine il Nizolio in alcuni suoi pre- cetti ci d sentore di quelle opinioni esorbitanti che trova- rono sviluppo nel metodo di Cartesio. A lui dobbiamo que- ste sentenze:  1, Conoscer bene e ponderare il valor dei segni, e la lingua in cui i filosofi scrissero; 2, studiare con libert somma di mente e indifferenza di animo ; 3, medi- tare gli scritti e i pensamenti di tutte le scuole, non esclu- dendone alcuna, e segnatamente le avversarie delle proprie t (I) Quest'  appunto 1* intendimento nostro; desumere la filo- sofia dal significato delle parole, le quali sono espressioni del co- rnuti senso. Digitized by Google  567  opinioni, n II quale Nizolio merit dal Leibnilzio essere ri- prodotto eon nuova stampa e onorato di molte iodi, giusta Tassello del Mamiani. n Coulemporaneo al Nizolio fu Jacopo Aeonzio, il quale dett un libro sopra larte dinvestigare e sopra larte d* in- segnare. Ivi ammonisce che a ben terminare una investiga- zione fa bisogno scomporre e ricomporre la cosa pi volte , e ricercarla sotto aspetti diversi Islrumcnli della composi* zione chiama le somiglianze, e della scomposizione le diffe* renze : le prime traggonsi dalle parti al complesso, e dal singolare al generale $ le seconde dal complesso alle parti singole. Scriveva pure l' Aeonzio u di treni anni di studio essere pi proicuo adoperarne venti nell inchiesta sola del metodo , che gli interi trenta senza metodo. * n Sebastiano Erizzo opin essere quattro i metodi : il definitivo, il divisivo (t), il dimostrativo, e il risolutivo: il secondo, cio il divisivo, essere lottimo, anzi il solo fecondo di verit , e il quale ha fatto gli antichi eccellenti inventori. A questo metodo celebrato dall Erizzo, risponde puntualmente, scrive il Mamiani , quello chiamato oggi ana- litico, e che pure Condillac viene predicando fonte unica d* ogni sapere, v n II Bruno , che il Mamiani qualifica di smisurato in- gegno , fu persuaso , quanto qualunque altro de tempi suoi , della forte necessit di riformare gli studii e riordinare le intelligenze. Egli conobbe la divisione vera e naturale del metodo nellarte d'investigare e trovare i fatti, in quella di (i) Noi propendiamo al metodo definitivo , e scrivemmo nel preallegato discorso:  Altro  definire, altro analizzare; col defi- nire si accenna ci che sia una cosa, coll analizzare la si divide in minutissime parti, che si giudicano poi ciascuna in separato dalle altre; col definire si esprime latto stesso della cosa, coll'analizxare si propongono questioni arbitrarie, poich si vuol dare maggiore o minore rilevanza ad alcune di quelle parti prese a considerare. La definizione comincia dal tutto, e l'analisi da una parte; l una  completa, parziale e manchevole laltra.  Pag. 528. Digitized by Google  568  giudicarli e ordinarli , e in fine nell' arte di applicare i prin- cipi! ; stim la filosofia dovere incominciare dal dubbio.  in ultimo pens che la cognizione dei particolari e le ind* zioni ritrattene compongono le verit generali , con cui poi si edifica saldamente la scienza. Quest ultima sua dottrina lespone in forma dallegoria e molto elegantemente in quei libro, ove gli piace rappresentare la logica, o, come egli la chiama, larte d inda gore la verit, sotto il simbolo duna caccia: il che non sappiamo, parla sempre il IVIamiani, se a caso o per 1 esempio del Bruno fu da Bacone ripetuto , quando parl dell invenzione sottile dei fatti e l intitol la Caccia di Pane, tt Lasciamo da banda Mocenigo e Ber- nardino Telesio, che pi al metodo delle scienze naturali che a quello della filosofia psicologica mirarono , e verremo in quella vece addirittura a Tommaso Campanella. u Tommaso Campanella, ancor giovane, compar insieme Aristotele, Platone, Galeno, Plinio, i libri degli Stoici ed i Telesiani, e li confront, al suo dire , li col libro magno della natura, onde rilevasse quel che le copie avevano di somigliante con 1' autografo. Tra le altre cose statu nel suo libro circa linvestigazione, che la definizione  soltanto ini- zio dinsegnamento ed epilogo di scienza da esporsi altrui, quindi che ella  fine, non gi principio di cognizione, n Via trapassando alcqDe massime del Campanella, che trovia- mo rapportate dal Mamiani, perveniamo a queste, rimarche- voli parte per sostanziali verit, parte per soverchio ardimen- to , com  quella che conduce al dubbio metodico universa- le, corretta poi dalle susseguenti , ove si pone l'indeclinabile e fondaraental canone della certezza. Rilev adunque il Cam- panella che n in ciascuna umana ricerca ricorrevano certe nozioni e certi principii , come dell'essere, del tutto, della parte, delluno, della potenza , della necessit, della ca- gione , del vero e simigliami , e che circa tali cose una t scienza dovea sussistere , la quale essendo appunto universa- lissima , niente presupponeva di certo e di cognito, e perci Dgitized by Google - 569 - dovea lasciar dubitare eziandio della propria esistenza, n Non ostatile il pericolo che seco adduce simile modo di filosofa- re, giunse il Campanella e ri fatare ciascuno degli argomenti dello scetticismo, da lui esposti, come ne fa avvertili il Mamiani, ordinatamente e con acutezza mirabile, e concluse la possibili della scienza , appoggiandosi sulla realit asso- luta del sentimento del proprio essere. Perci scriveva : * Il sentimento che ha ciascuno della propria esistenza  il punto dal quale lumana ragione prende le mosse (f). Laonde sti- miamo noi doversi filosofare con la scorta sola del senso , come la certissima di tutte. Err Aristotele annunziando e credendo che il singolare non faccia scienza ; qualunque sin- golare, in quanto viene sentito,  forza che sia vero e cer- to : ne abbiamo pertanto una notizia necessaria , vale a dire scientifica. Ben dee dirsi che noi nou sappiamo le cose quali esistono in se , ma quali ci appariscono : tutta volta quellap- parenza fa vero scibile, perch in essa  vera entit; adun- que sentire  sapere (2). u II Campanella proclam pure , che u intendeva far cammino fra gli sceltici e fra i dogma- tici; gli uni pazzamente ostinati a negare qualunque realit, gli altri confidentissimi a spiegare ogni cosa. N tampoco egli volea procedere con gli empirici, i quali pretendono ra- gionare per le sole apparenze variabili, accidentali e fugge- volissime. Sussistere delle verit costanti e apodittiche, e queste risiedere negli universali supremi, di cui il principio e la materia  l intimo senso e il testimonio di tutti gli (1)  questo il canone supremo della filosofia che noi profes- siamo. (2)  E qui importa riflettere, scrive il Mamiani, che la pa- rola sentire suona pel Campanella diversamente da quello che pei sensisli moderni, a cui vale solo quanto percezione doggetto esterno ricevuta per 1 azione degli organi. Ma sentire nel largo significato latino esprime talvolta qualunque fenomeno interno della coscienza e qualunque atto avvertito di nostra niente: nella quale accetta- zione  altresi adoperato pi d una volta dal nostro filosofo.  Pag. 37. Digitized by Google nomini, e luno e 1* al ir formano il fondo dell umana espe- rienza (1). n li Che se, riflette il Mamiani , avesse il Cam- panella posti ad effetto con esattezza e sempre cotali sue sentenze metodiche, e sopra tutto avesse fuggito i labirinti ontologici , egli sarebbe riuscito il principalissimo dei filo- soli j ma forse ci era in quel secolo molto al disopra della possibilit, n Finalmente ci si fa avanti il Patrizio con queste esimie parole : n doversi filosofare sempre da un primo cognito in- fallibilmente vero e certo; il primo cognito essere nella sen- sibilit. I particolari sensibili farsi dunque strada alla pi alta filosofia ; ma non credere egli con Aristotele che dalla semplice collezione dei particolari concreti si possa trar fuori tutta la scienza dell universale e del necessario: luomo do- versi per ci sollevare alla contemplazione dell essenze astrat- te. il Col quale assioma , giudica il Mamiani , il Patrizio stabili , anzi a tutto , il canone della certezza assoluta , e del misurare a quella ogni forma di verit. Ma nel frattempo di ci, leggesi nel libro che abbiamo sott occhi, fioriva in Ita- lia una schiera elettissima di sapienti , la quale , mentre i filosofi titubavano , giva nelle scienze fisiche aderendo di punto in punto ai precetti puri del metodo naturale , e ap- parecchiava per via pi spedita la grande e durevole restau- razione. In capo a costoro splende il nome di Leonardo da Vinci; e nella via aperta dal Vinci eutr alla per fine il (l)  Prima dei sistemi, esiste l'uomo co) sentimento di se, colla piena coscienza dell' esser suo: il punto centrale de* suoi giu- dizii e ragionamenti deve adunque risiedere nella propria coscienta che si sente qual , e riflette in se gli elementi comuni delle altre individualit pervenuti in lei col mezzo del linguaggio, con- zervatore e organo delle nozioni necessarie.  Vedi il mio Discorso sopra le conferenze del Cerberi nel Nuovo Ricoglitore , novem- bre i833, pag. yga.  Nella coscienza del proprio essere risiede l'unit e la certezza delluomo. * Vedi il mio Discorso sopra il San-Sintonismo , a pzg. l3. Digitized by Google  57i  massimo Galileo, al quale era sortilo di compiere gloriosa- mente la restaurazione italiana (i tali difetti s avvide Cartesio stesso , come apparisce dalle risposte che fuori mand ai suoi avver- sarli. Pur nondimeno tutto il corpo del suo sistema ripro- duce quei difetti ostinatamente : imperocch la certa notizia della propria sostanza, la virt del sillogismo e levidenza della memoria vi rimangono pur sempre, i A disaminare con tanta profondit un enunciato che , a prima veduta , pare cosi semplice , conviene essere veramente consumato negli studii del sapere, e il Mamiani lo  senza fallo , esibendoci ad ogni pagina di questo suo commeudevo- iisstmo libro le pi lampanti prove di un ingegno nato fatto per la filosofia. Ma giacch siamo sul parlare di Cartesio che Digitized by Google  58 1  tanto di se fece dire, sperimeli tiarao noi pure alcuna osser- vazione sul celebre entimema di esso : lo penso , dunque esisto, proposto come il granito di prima formazione a fon- darvi sopra ledificio di tutta la filosofia. Se voi chiedete a un povero villico : Esisti tu ? egli tosto risponde che si , e non meglio potrebbe satisfare alla vostra domanda il pi grande de filosofi. Se ad ambi voi domandate come essi vi provino la certezza che hanno di esistere , ninno di loro sa- pr darvi la prova ragionata di quel monosillabo affermati- vo. Tale insufficienza per parte di un uomo riflessivo , e di un altro tutto nuovo in questa e simili questioni ci pare consistere in ci, che l'affermazione altro non  qni che semplice espressione di stalo e di fatto, e la prova non pu vertere che sullo stato e sul fatto di colui che afferma ; e per quanto dicesse s luno che laltro, ambi non verreb- bero a significare che : sono perch sono; sono perch sen- to ; sono perch penso; sono perch rifletto di essere; sono perch ho il sentimento di esistere , secondoch essi 6 considerano da un aspetto o da un altro. Cartesio non ha fatto n pi n meno di quello che farebbero tutti gli uo- mini ai quali si chiedesse uno ad uno Esisti tu ? - Si- - Perch ? - Perch ho il sentimento dell' esistenza. Carte- sio ha detto; Penso , dunque esisto, considerando egli in quel momento l'uomo in facolt di pensare. I pi risponde- rebbero esistiamo perch sentiamo ; e forse direbbero me- glio, giacche il sentire esprime pi del pensare, mentre luo- mo si sente col pensiero e con tutte le altre facolt che compongono la persona. Ci sovviene che Saint-Pierre censur pure Cartesio in quellespressione Io penso, parendogli che laltra Io sento, oltrech esprime tutto nelluomo consape- vole di se , d a divedere in un tratto la conversione del- 1* oggetto contemplalo nel soggetto. A noi pare perci che 1' entimema cartesiano altro non 6a che una risposta  Se questo sommo ingegno, che univa alla solidit della mente, una grande lucidezza di ragio- namento, avesse considerato non potersi dare dalluomo una prova superiore allintimo convincimento, poich il dato primitivo, il fallo della verit  estrinseco all umana coscienza , che ne sente gli effetti , ma non ne conosce le cause , non avrebbe preteso che i Cartesiani somministrassero una prova, che n Cartesio, n Leilmils stesso, n qualsiasi sublime ingegno pu trovare, poich simile prova si riassume dalla coefficienza degli uomini e dalle testimo- nianze storiche. Se Leibnitz, invece di scorgere in quella massima uua semplice speculazione filosofica, si fosse studiato ad applicar- la, ad estenderla, a generalizzarla alla societ degli uomini pensanti nel complesso delle facolt loro, che sono attive e fatali ad ua tempo, avrebbe contribuito a tenere uniti molti pensatori che, per diverse strade, andavano in cerca della verit. Ma egli, forse senza volerlo, promosse una questione che incuteva spavento ai timidi,  | addentro metteva nedulbii temerari. Digitized by Google  586  Dal quarto capitolo che tratta della Realit obbiettiva desumiamo questa prova : n E per vero si noti quello che avviene entro noi, allorch il nostro principio attivo e spon- Le conseguente e i principii del metodo cartesiano, manomessi da tanti strani cervelli, e male interpretati dai migliori che potuto avrebbero sbaratzarli da quellingombro di millanterie e di fantasti- caggini, traendone alla luce la vera sostanza, contribuirono ad ope- rare sulle menti quali carne segregatrici , per le quali vedemmo le fa col ti delluomo, i priucipii della societ e della morale, la ve- rificazione degli antecedenti storici, e lo studio della natura per tale guisa dichiarati, che se le dette cose avessero i contrarii intenti dei filosofi secondati, luniverso rovinato avrebbe nel caos. Il fatto permanente di quella dubitazione disunitrice, svegli ai d nostri le forze di una poderosa intelligenza, la quale pure tra- scorse in un eccesso, quasi commettendo al suo secolo di mode- rare l impeto di una verit capitale , ma che nelle mani de vio- lenti e de dubitativi poteva convertirsi , come fece di fatto , in arme di doppio taglio ; alludiamo al libro che rivendic i diritti del senso comune. Non appena codesto libro comparve, che due classi di ragionatori se ne impadronirono colla passione de partiian- ti, e fecergli dire pi di quello che intendesse, o in contrario d ci ebe intendeva. Moderatore del proprio pensiero non poteva es- sere cosi tosto lautore; toccava ai contemporanei di por modo alla foga di lui, temperare lacrimonia di uneloquenza superba e tu- multuante; loro incombeva di spogliare de' paralogismi una verit bellissima che tutti possedeva i caratteri della persuasione. La mas- sima del senso comune cos onorifica, benevola e unitrice fu rice- vuta da una parte eoa diffidenza e con evidente dispregio, quasi fosse venuta ad imprimere nell* umanit il suggello di uu idiotismo universale. Una dottrina che concentrava nelle comuni forze del- lumano intendimento una solida guarentigia contro lerrore, un'al- leanza di tutti i migliori pensamenti, una base inconcussa di ve- rit, venne colpita con insulti diracondia e damarezza. Perch mai? Si tem che col prevalere di essa diventassero meno sicuri i privati diritti della ragione; invalse tosto nellopinione di molti, e ci in parte per colpa di chi oltrespingeva la teora di quel- lautore, che una dottrina costituente l'autorit della ragione col- lettiva, dovesse impoverire glingegni, e troncare di botto gli ul- teriori miglioramenti della societ. Cosi le parti invece di avvici- narsi, s insospettirono, garrirono, sinimicarono con vero danno della buona filosofia. Per tal modo Cartesio e il nostro contempo- raneo spiegansi a vicenda; le loro idee furono confuse ed esage- rate da quella smania ebe porta gli uomini a far prevalere un opi- nione ardita, senza prima esaminarne il valore intrinseco (ci che Digitized by Google  587  taneo reagisce gagliardamente contro un' affezione passiva qualsiasi , poniamo un senso di dolore. Diciamo allorch reagisce gagliardamente , a line che il conflitto dei due sentimenti apparisca vivo e palpabile. In tal supposto  forza discernere che per una parte laffezione dolorosa e lavversa spontaneit compongono una cosa stessa , da che lunit vo- lente  pure l identica unit soffrente il dolore; per laltra, laffezione dolorosa contrasta alla volont, come qnesta a quella. Ora il nostro essere intellettivo, pu egli, ovvero non pu abolire l affezione dolorosa ? Se pu , certo lo fa : impe- rocch egli appunto vuole poterlo ; se non pu , diciamo che la forza , la quale vince il potere suo , non  immedesimata col principio attivo e spontaneo, e perci non  inclusa nellunit assoluta del nostro essere intellettivo, perch al- trimenti egli vorrebbe potere e insieme non vorrebbe ; il che  manifesta contraddizione. Questa conclusione  al tutto esatta ed irrepugnabile : se non che ci pare contraddirla e opporlesi diametralmente il fatto medesimo dell intuiz.ione e del dolore. Conciossiach la resistenza che il dolore continua ad accagionare alla nostra spontaneit, non  cosa in nulla distinta da lui , n fuori dellunit assoluta del nostro sen- tire. Si hanno quindi un fatto ed un raziocinio, che rou- tualmenle si escludono , comecch veri ambidue. La qual cosa mai non potendo stare, duopo  bene che si rinvenga alcun altro fatto interposto, per cui lapparente assurdo si sciolga e dilegui. Un tal fatto  1' azione degli esseri esterni sopra di noi, e 1 attitudine nostra a riceverla. Perloch il dolore di cui  discorso, in quanto resiste alla nostra spontaneit, tiene doppia posizione e nellanimo e fuori: entro lanimo, perch  incluso nella sua unit ed  sua modificazione ; al far dovevano gli esageratori del senso comune ) depurato dajque- gli accessori che lumana infermit sovrappone alle migliori {idee; e la verit e il metodo filosofico stanno appunto nella moderata e sapiente interpretazione di codesti due pensatori. Digitized by Google  588  di fuori, perch  legato allazione duna forza esteriore, la eui efficacia pu in modo arcano penetrare fin dentro di noi.  (pag. 257-258) I filosofi si travagliano, e il nostro Mamiani bene assai, intorno a una dimostrazione teorica , che la pratica quoti- diana ci offerisce semplicissimamente , in qual modo ? ne fatti e nelle parole , che sono i veri e saldi sussidii dell umano criterio. Sono le lingue documenti iniziali e progressivi , de- positi del comune senso, motrici principali delle intelligen- ze, conservatrici del naturai sapere definito ne singoli ele- menti. Perciocch noi siamo intellettivi, senzienti e pensan- ti; sono le parole interpreti de pensieri e sentimenti nostri; in loro troviamo espressi il soggetto , l oggetto e le recipro- che loro attinenze. Ora facciamo precedere alcuni degli as- siomi che vanno innanzi al capitolo in discorso. li Ci che  intelletto, bisogna che sia nellintelligente. Ci che  sensibile,  il senso medesimo in atto, ii (S. Tom- maso : Conira gentes. I , LI ). li Noi sentiamo le cose estrinseche , solo perch ci sen- tiamo mutare .... non siamo noi che ci mutiamo dunque , altra cosa ci muta, n ( Campanella., Univers. Philos., Pars I, lib. I, c. Vili). ti II senso  passione, perch appunto per la passivit sua il giudizio conoscitivo couosce il sensibile, u ( Id., Cod. c. IV). a Lunione, come linea da punto, deriva dallunit, n (Tasso, Dialogo della pace). Diamo ora la prova di senso comune, derivandola dal naturale significalo delle parole , e da un fatto semplice as- sunto a modo di dimostrazione diretta : rileveremo ogni parte cosi acutamente osservata nel preallegato ragionamento del signor Mamiani. Una spina mi reca dolore, o Una spina mi fa soffrire, o Sono addolorato da una spina. Per le quali proposizioni si viene in luce di alcuni punti fondamen- Aali in filosofia ; cio a dire , che esse ne somministrano i Digitized by Google  589  crtterii , sui quali instituire il ragionamento, onde emerga la conclusione sulla prova della realit obbiettiva. Si attenda a ci: le proposizioni premesse vengono tutte a somministrarci un vero giudizio, e tutte lo contengono eguale, cio identi- co : da quali elementi risulta esso? da due termini subiet- tivi : La sostanza modificala e la sostanza modificante , e da due relazioni oggettive: una di passivit, e laltra di effi- cienza die si compenetrano nell animo cos da essere 1 unico e solo risuitamento della spontaneit , la sensazione dolorosa. Qui la cognizione della realit obbiettiva  posta in fermo dal non potersi mutare i termini n sostanziali , n di rela- zione ; perciocch in qualunque modo venga voluta la pro- posizione : Una spina mi reca dolore , noi avremo sempre per soggetto del giudizio la spina che mi fa soffrire; il quale ultimo termine sostanziale me riesce a dire io fitti modificato. Ora 1 operare della spina da una parte , e dall altra la sen- sazione del paziente vengono a formare la conseguenza del- 1 azione insieme e della passione , che si risolve nel senti- mento del dolore, oggetto unico della mia spontaneit. Cos 10 colla proposizione su espressa pongo fuori dogni dubbio 11 principio della certezza , poich nell' enunciato della mia sensazione, ch'io giudico dolore, pongo la realit della so- stanza modificata e intellettiva , che si distingue dalla so- stanza modificante, in quanto sentesi addolorata, e inquanto il dolore  l effetto della propria modificazione , causa del sentirsi mutaU , come avverto pure che la modificazione stessa venne da una sostanza all altra estrinseca , e parimenti fac- cio uscire il vero di riflessione dal riscontro degli elementi costitutivi che sono appunto nella mente , come sono nella proposizione , provando che sono parlali nella stessa entit che pensati. In quanto poi all antagonismo , di sentire il dolore e di non volerlo, esperito in noi, e per il quale av- viene 1' unificazione di due forze contrarie , ci pure prova l attivit e la passivit , ovvero la sensazione dell io per limpressione delloggetto estrinseco. Di pi la filosofia uon Digitized by Google - 590  pu dare, perch in natura non sonvi altri dati : percorransi pure le altre proposizioni identiche, e non si avr n pi n meno di quanto esibisce la prima. E questo  il luogo di chiamare la giovent a severa riflessione sul vero significato della parola sensazione , esprimente l azione dell intimo senso sopra di se, essendoch qualunque impressione o sia interna o vogliasi esterna , non pu a meno di non risolversi in unattivit propria: in fatto sensazione indica stato delles- sere, e per esprimerla, di qualunque natura ella sia , diremo tutti :  Provai una sensazione piacevole, cio fui in uno stato di essere piacevole, godei; il che manifesta lessere che si giudica, sentendosi modificato, e lespressione di quel giudizio non rivela altro che lattivit dell intimo senso, m Che esistano i corpi fuori di noi, mi valgo delle parole di un sommo pensatore , il Rosmini, si dimostra evidentemente dall affezione passiva che cagionano al nostro animo, la quale testimonia al tempo medesimo lazione loro sopra di noi ( Nuovo saggio sull' origine delle idee ). Si  altres per le allegate ragioni, che non ponno darsi verbi passivi; con- ciossiacch la passione supponga necessariamente l* azione , senza cui mal potrebbe venire giudicata ; e il soggetto dei verbi passivi non  soggetto che di apparenza. Le vavianti poi delle sopra esibite proposizioni, altro non sono che tra- sposizioni dei due termini sostanziali non che delle loro at- tinenze reciproche. Ci riserbiamo di emettere alcuni cenni sulla filosofia delle lingue pi innanzi, lunica che possa ri- mettere sulla buona via i pensatori , bench vergognosamente negletta dai moderni ; e noi Italiani , che avemmo dal Vico in eredit tanti sapientissimi dettali intorno al conoscere le cose per mezzo dello studio delle lingue , noi non abbiamo saputo trarne verun profitto , e la nostra riconoscenza fu l averlo per tanto tempo dimenticato ; quel Vico che gli stranieri onorarono tanto in questi ultimi anni!!! (t). fi) Non mancano per neppure all Italia i zelanti cultori delle Digitized by Google  59  Versa il capitolo ottavo sulle certe reminiscenze , avva- lorato , del pari che gli altri , di autorevoli lesti di scuola italiana , e dimostrata prima negli antecedenti capitoli la rea- lit del tempo e dello spazio. Entrato in materia, cos di- scorre il Maruiani : h Per nostro avviso il fatto costante ed universale donde scaturisce la prova delle certe reminiscenze ,  cotesto. La mente umana ha virt d inflettere sopra se stessa e di meditare i suoi propri alti. Cos, verbigrazia , in ogni tempo e in qualunque condizione dellanimo data  a ciascuno la facolt di convergere sopra se stesso, e giudicare che si pensa. Ora chi nota bene simile giudicio intuitivo giunge alle conclusioni seguenti: Io penso, vuol dire, io osservo me stesso nellalto di cogitare: ci vuol dire altres con parole poco diverse , Io penso , eh io sono quel desso che pensa. Quest ultima frase ha due membri , ciascuno dei quali esprime un atto del nostro spirito, e vieti regolato da un subbietto comune, anzi identico. Ora diciamo che liden- tit del subbietto grammaticale delle due proposizioni , rap- presenta un fatto certo e perspicuo dell' intuizione immedia- ta, cio a dire che il me che pensa vien trovato lo stesso me, il quale saccorge de suoi pensamenti. E per vero, la mente nostra affermando di riflettere sopra se stessa e di pensare chella pensa , afferma tacitamente di sentirsi e di riconoscersi la medesima nei due atti di coucezione fra i quali statuisce il giudicio. ti E da questo facendosi ad altri dottrine vicinane, e due edizioni del Vico stannosi pubblicando in Milano presentemente. A quella che esce per cura della Societ tipografica de Classici Italiani, presiede un giovane di molto inge- gno e di molta perseveranza, il signor dottore Giuseppe Ferrari, il quale ci promette una lunga introduzione alle opere del napo- litano filosofo. Alle fatiche di questo zelante studioso noi rendiamo sincere grazie ; poich per esse verr finalmente restituita al Vico quell alta stima che in Italia e fuori gli retribuirono parecchi de- gnissimi eoDte mporanei. L esame accurato e luminoso delle tante idee sparse negli scritti di lui,  cosa di cui sentiamo troppo la mancanza, e quelle idee sono tali da essere proficuamente meditate da ogni intelletto riflessivo e riverente. Digitized by Google ragionamenti analoghi al proposto argomento, conchiude lau- tore: li Che il giudicio col quale riferiamo al passato gli atti di nostra mente divenuti oggetto del pensiero,  giudi- cio di assoluta certezza, u Si evince la verit di tale conclusione dal vocabolo no- stro ricordare, sapere d essere stati, pensare d' aver pen- sato, sentire & aver sentilo, fatto generale costituito dalla conversione della niente a meditare i proprii alti subiti pi o meno rimotamente , i quali diventano cos oggetti o fatti certi e perspicui dellintuizione immediata, ove usar vogliansi le proprie parole del signor Mamiaui. E veramente in questa facolt del riconoscerci per quali fummo in altri tempi e luoghi sta riposto un grande arcano, e fa maraviglia che tanti parlatori di filosofia abbiano potuto passarvi sopra lievemen- te, e contentarsi di qualche cenno nudo nudo, quasi che il ricordare sia materia la pi patente e la pi ovvia , a par- lare coll autor nostro. La memoria  tra le umane facolt la pi complicata , poich pare che in se comprenda, oltre al- 1 atto suo proprio, riflettere, conoscere, immaginare e giu- dicare. A. Epifanio Fagnani nella sua Storia naturale della Potenza Umana  tra i pochissimi che abbiano penetralo con molta acutezza dingegno quella gran facolt della me- moria- Noi riteniamo lopera sua commendevole principal- mente da questo lato, e ne rincresce di non poterci poi trat- tenere di alcuni suoi pensamenti , che non onorano meno la sua mente che il suo cuore. Io mi ricordo aver letto ne Promessi Sposi la descri- zione della peste avvenuta al tempo del cardinale Fede- rico Borromeo. Abbiamo in tale proposizione il soggetto io che diventa predicato di se per riflessione di atto sopra se ; nel mi ricordo aver letto , la cognizione dell essere stalo leggente o soggetto un tempo modificato dalla descrizione della peste, ricordando la quale immagino in parte quello eh' essa mi descrisse nella mente , allora quando la leggeva. Digitized by Googl - 593 - L' atto giudicativo poi comprende i gradi successivi o la du- rata che si forma nella mente per il paragone del tempo corso tra un passato che fu presente, e un presente che ri- produce una modiGcazione avvenuta nell io senziente c giu- dicante. Ognuno scorge che niuua di quelle operazioni intel- lettive potrebbe mancare alla certa reminiscenza In questa presentaneit dell' esser nostro che si conosce da quello che  per quello che fu , in questa concorrenza dell' intuizione immediata c mediata, in questo svolgimento di tante facolt per formarne una sola e di tanta importanza, e che pare cosi semplice nella sua repentinit psicologica, v alcuna cosa di cos sorprendente e profondo, che il parlarne super- ficialmente  indubitabile segno di mente vana c dappoco. Ci piacque al sommo di leggere nel Mamiaui alquante ben me- ditate parole, quali si convengono a un allo intelletto che nellesame delle filosoGche questioni pone gran parte del- 1 untano decoro e dell umana felicit. E qui si ripeta con quanta convinzione ne vico data c con quanto di preghiera  lanimo nostro suscettivo. La giovent sia guardinga nell accogliere certe nozioni , sotto le quali si nasconde il germe di quellinganno che a poco a poco rode i principii della certezza : sono nozioni che paiono appagare lorgoglio, poich da una mentita chiarezza fanno uscire la spiegazione dell uomo ; ma nell atto che vengono ammesse come dichiarative di lui , insinuano un malcontento nella stessa ebbrezza del presente , e smovono il sentimento del proprio essere dalle naturali sue basi. Se in questo libro del signor Mnmiani v mancanza di alcuna cosa , ella panni quest una di non avere egli accennale le cause morali che portano luomo a cercare il falso eli abbia apparenza di ve- ro, onde su costituirvi le massime che sciolgono dalle pi acconsentite obbligazioni. Gli errori che pi tengono alla natura degli studii speculativi, per avviso del Maroiani, sono i seguenti : il Le analisi riuscite imperfette a cagione dell abiludi- 39 Digitized by Google - 594 - ne, la quale nasconde i fatti minuti e continui della co- scienza ; n II confondere insieme , ovvero scambiare l una per laltra, lintuizione diretta con la riflessa, la spontaneit con la coscienza; N Effettuare le astrazioni, e usurpare per obbiettivo ci che fuor del subbietto non ha esistenza ; li Equivocare nelle parole , e definire gl ignoti significati per altri mal noli ; li Comporre paralogismi , e spiegare il medesimo col me- desimo ; n Precipitare le conclusioni teoretiche e lasciarsi lusin- gare ed avvolgere dallo spirito di sistema, h L intendimento umano deve certo lottare a lungo e con insistenza contro coleste cause dei mali principii e delle pes- sime conseguenze; ma in principal modo domare quell in- nata foga dorgoglio, per la quale invigoriscono i desiderii contro le verit non concordanti con talune delle nostre pas- sioni ; e troppi sono coloro che traggono alla ricerca del sa- pere con preconcetta determinazione a torcerlo da quella par- ie, dove ne inclina una forte tendenza di spiegare le cose a nostro modo. Rari sono i momenti del puro speculare, con frequenza succedonsi quelli in cui luomo  determinato al- l operare, e ne quali egli palesasi tutloqunnlo. Le cause mo- rali sussistono pure quali molle dell intendere e del sentire, e da esse niun uomo ha impero di sottrarsene anche allora quando paiono giacersi in tutta inerzia. Non disgraditi, speriamo, ai lettori di questarticolo, qui trovare alcuni pareri del Signor Mamiani intorno a pa- recchie scuole straniere. .... it Scoprendosi dai Lockiani che i fenomeni successivi nulla hanno in se che mostri la lor connessione causale apo- dittica , sentenziano immediatamente in virt del dogma prestallili lo, il principio causale essere figlio dell'abitudine e della costante associazione di certe idee. Per converso , i Digitized by Google ~ 595 - razionalisti appena notato il medesimo fatto ricorrono senza pi al prediletto lor canone, pel quale credono tutti i su* premi principii della ragione essere trascendenti e innati. Per una simile preoccupazione ambedue le sette curano poco di segregare con diligenza la parte positiva del lor soggetto dalla parte congrtturale. Partono i Lotkiani dal supposto della tavola raso, Kant delle sole virt formative preesisten- ti , che sono elle pure per met ipotetiche, avvegnach nulla cosa ci prova che insieme con le virt formative non sussi- stono eziandio avanti d ogni esperienza delle nozioni e dei concetti; e ancora se questo non pur probabile, n tampoco impossibile. Suppliscono ,  vero, i filosofi alla scarsit delle loro analisi con qualche sottile ragionamento, e vinnalzano sopra le macchine dei principii loro assoluti ed universali. Tuttavolla notammo linefficacia del sillogismo Kantiano per dimostrare la necessit delle sue categorie. Quelli di Locke sono altrettanto difettivi, in quanto essi dimostrano ottima- mente contro Cartesio, ma non contro qualunque supposi- zione d idee e di giudico a priori. ii II Reid tenne via migliore : opin insieme con Locke e la vecchia scuola italiana, clic la storia dell' intelletto, profonda, circospetta e completa sia materia e scorta dogui speculativa filosofa, la quale n dee cominciare per dogmi, n proseguire. Inconti pertanto al llcid, a cagione della sua saggezza metodica, di far titubare molte opinioni reputale infallibili, e di accrescere notevolmente la serie dei fatti psi- cologici; ma pure a lui venne meno la costanza d' intratte- nersi sperimentando nella storia dell intelletto , senza pre- sumere di sintetizzare avanti tempo. Erto nel proporre per fondamento d ogni dimostrazione il consenso degli uomini, il quale  per se medesimo un vero e saldo argomento, se appoggia ad altri ancor superiori; ma  nullo, se diviene principio e termine dogni prora; imperocch a lui medesimo fanno bisogno le prove. Scambi dunque il Reid il fme col mezzo : attesoch il scuso comune  islrumento ottimo e ini- Digitized by Google ~ 596 - zio eccellente d ogni filosofia* ma il fine di questa  di per-* venire quando che sia a rendere ragione degli assiomi del senso comune. li Altri pi impazienti spirili credono poter cominciare la filosofia ex abrupto } e lasciando da parte la storia naturale di nostra mente , appigliarsi ad alcuno assioma ontologico , il quale riuscito loro quello che , ignudo per se e infecon- do , lo vanuo impinguando con larghe ed audaci ipotesi. Altri infine accortisi della insufficienza dei sistemi razionali- sti c sensisti , in luogo di accagionarne la imperfezione delle analisi , e di ritornare a un pi esatto ricercameuto della storia dei pensiero, ne hanno incolpato la insufficienza delle umane facolt e sonosi posti a coltivare , taluni lo scettici- smo, taluni il misticismo. ii .... Non ha molti anni che il nobile ingegno di Vit- tore Cousin venne proclamando in Francia , essere il metodo materia di gran momento uelle scienze speculative, ed avere egli notato che ad ogni mutazione fondamentale in esse ac- caduta trovasi coulemporauea eziandio una mutazione di me- todo ... Parve il Cousin avere trovato buon termine per mettere in pace sistemi d ogni natura e fra lor contendenti, proponendo il suo ccletlicismo , nel quale ciascuno di quei sistemi riscuote una parte di lode e serba una parte d au- toril. Per a noi  sembrato che operare di questa forma valga quanto sforzarsi di mettere in armonia gli effetti , ser- bando intera la discordia delle cagioni; e le cagioni sono i metodi differenti , per cui si giunge a comporre teorie tanto assolute e tanto esclusive, che sperare di conciliarle fra loro  un darsi a credere che fra il si ed il no 6lia alcuna cosa, in mezzo (l). 11 ( pag. 485-I92TJ (l) Simigliarne a quello del signor Mamiani  il giudizio rhe noi pronunciamo dell edenici sino in varii scritti. Da due piincipii opposti egualmente veri ed egualmente falsi, non pu uscire un terzo Digitized by Google  597  Nellecletticismo del Cousin un altro ottimo principio si comprese, ed  che la prima scienza  fatta; dappoich i sistemi , i quali portano all assoluto teoretico una parte sola del primo sapere, ricompariscono sempre mai nell umanit ampliando le conseguenze, ma dipartendosi pur sempre dagli stessi eiTori. Se non che a scoprire la fallacia di tai sistemi punto giovare non poteva quell idea del suo metodo, la quale prescriveva doversi combattere lun sistema collaltro oppo- sto coi medesimi argomenti da ciascuno in contrario forniti: la qual cosa rendeva quel suo metodo repugnante e incom- patibile, iudeciso e incompleto, poich la verit di un prin- principio vero. Leclettico combattendo i sistemi passa per tutti i gradi dellerrore delie contrarie filosofie: egli si fa materialista per oppugnare lidealismo, e diventa idealista per combattere il materia- lismo, poich desume i suoi argomenti dalle scuole le pi opposte: cosa singolare!  obbligato di sacrificare a tutti gli errori nellatto stesso che si propone di non volere, di non cercare che la sola ve- rit.  Dell' ecletlicismo di Vittore Cousin. Nuovo Ricoglitore, mag- gio 1832, pag. 33o.   E altrove parlammo cosi: Vittore Coosin, avendo tracciato un bel piane, venne meno nei suoi giudizii sui si- stemi, poich volle limitarli e fonderli insieme col pregiudizio del- l ecleltirismo , il quale non  pur egli che un circolo vizioso, una petizione di principio. L ecletlicismo giudica i sistemi colle verit eh essi contengono parzialmente. Ora i sistemi ne danno quattro ve- rit e quattro errori.  Il materialismo ne assicura dell esistenza decorpi , e ne inganna stornandoci da quella dell anima. Lo spi- ritualismo ue accerta esservi lanima, e ne toglie alla testimonianza de sensi.  Lo scetticismo, egualmente certo ed incerto di queste due esistenze, limita i due sistemi, e vede parimente probabili le conseguenze loro.  Il misticismo non pago del probabile, e dispe- rato del certo, cerca un rifugio in Dio, non con fede, ma per dare un corpo al proprio dubbio , ed un oggetto al proprio desiderio.  Ne danno in realt una verit concreta tai quattro sistemi ? No, ne danno solo alcuni frantumi che bisogna cementare con un principio possente e concreto che li abbracci lutti in legittima dipendenza ; e un tal principio si  lesistenza e il sentimento dell esistere. Leclet- tico giudica i sistemi negativamente e positivamente, e, invece di essere conseguente, concludendo nello scetticismo, poich tra il si ed il no non bavvi che l'incerto, egli salta un abisso e concbiude dogmaticamente.  Sulle precitate conferenze di Gerbcrt, novem- bre l833, pag. 7 93- Digitized by Google - 598  clpio dipende in gran parte dalla bont dell esposizione cio dello stesso metodo , che diventa cos forma e sostanza colla scienza stessa , come dirittamente pensa anche il signor Mamiaui. Ora, a svelare il difettivo dei sistemi che propa- garono un falso , avvalorandolo di un metodo parziale ed esclusivo, ci voleva una dottrina metodica completa, la quale abbracciasse tutte le norme accertale dal ragionamento, tutti i fatti attestati dallosservazione, con che solo luomo pu fiduciarsi di perveuire alla verit. Ed ecco come un buon principio possa andare sbandato nella applicazione. La scienza prima esiste certo nel fatto , poich gli elementi di essa sono nell uomo; il quale crede ed opera secondo tutto ci che indispensabile condizione  di sua esistenza. La moltitudine procede istintivamente, cio applica gli strumenti della co- gnizione a norma dei naturali dettami: filosofia sar quella di chi facendosi uomo, ossia rimanendo quello che , cer- cher di riflettere quante sono le precedenze della mente umana. Di tutti poi i naturalisti intende parlare il nostro auto- re , ove dice : n N tampoco si alleghi lesempio dei mo- derni naturalisti, i quali senza filosofare sul metodo, ricer- cano tuttavolta con gran prudenza e con grande acume la complessione dei corpi : che s ei non filosofeggiano intorno il metodo, s lapprendono per tradizione, per consuetudine e per esempio, merc le pratiche instituite da Galileo e pro- pagate quindi per tutta 1 Europa civile. Oltrech potrebbesi da uu savio ingegno metodico scoprire anche oggi molte mende ed imperfezioni nell arte di cercare i fatti e di com- binarli : egli mostrerebbe forse ai naturalisti qualmente sono arguti e diligentissimi a raccogliere i particolari , ma non altrettanto capaci a indurre gli universali , e come neloro studii lanalisi tiene quasich sola il dominio a danno della sintesi definitiva e di quella unit in cui riposa la vera scien- za ; laonde ahbiam fede che quando alcun filosofo antico potesse ricomparire fra noi e spignere l occhio nella infinit Digitized by Google  599  dei fenomeni di cui si possiede certa e ragguagliata notizia, egli ne trarrebbe fuori di grandi e nuove dottrine per virt sola di paragooe e di raziocinio. N pure sarebbe ardito co lui , il quale rimproverasse ai moderni fsici la inala consue- tudine di studiare pi spesso alle applicazioni volgari e mec- caniche di quello che alla parte alla e razionale del loro soggetto. Onde non sappiamo quello che attualmente si di- rebbe Platone , il quale riprendeva in Archita la troppa sol- lecitudine di tradurre nelluso pratico i trovati geometrici, temendo da ci non fosse per venir meno la maest dell umano intelletto, n (pag. f 24-125) Sulle quali giudiziose osservazioni, riflettiamo noi pure che l abito dell attendere ai fatti particolari, non riferendoli a un ordine massimo di idee , in che 6 ripone l' energia innata delle potenze intellettive e per 1 opera di queste la vera cognizione, svigorisce la niente, cui le minutezze ben pi intumidiscono, anzich empiere. Non facciasi della scienza una donna di facili grazie; essa  matrona di alto contegno. E giovevole lo scoprire i fatti , dalla conoscenza de quaU emergono utili applicazioni alla vita delluomo ; ma ben pi dignitoso e profittevole estimar conviene ci che i materiali interessi compone coll educazione della mente. Il nostro se- colo ha veduto due o tre studiosi della natura, dai quali sarebbe pur bello che i lauti prendessero esempio, acci le scienze positive stringessero colle razionali un patto di dure- vole alleanza. Allora la ragione del vero combinala con quella dell' utile, la ragione dell individuo con quella del genere , potrebbero gli uomini veramente dire di possedere nelle scienze un infallibile strumento di sociale progresso. Ci rimane da ultimo a dire qualche cosa intorno ad una confutazione messa in campo dal Mamiani di unopinione di un sommo nostro pensatore , senza per reputarci da tanto di sciogliere la questione. Noi crediamo anzi , e lo deside- riamo vivamente, che lo stesso Rosmini mander fuori una risposta a tale confutazione , che ne parve vigorosa , ma non / Digitized by Googte  6oo  tale per da smuovere il principio del Rosmini: e a dir lutto nostro intendimento , nell* opinione confutata trovammo ri- siedere un certo che di pi saldo contro le oppugnazioni degli sceltici e dei bizzarri pensatori, di quello si rinvenga nelle obbiezioni del confutatore. Distingue il Rosmini colla scorta di S. Tommaso la co- gnizione diretta e la cognizione riflessa ( equivalenti all in- tuizione immediata e all intuizione mediata del signor Ma- miani); posti su questa base il sentirsi istintivo degli uo- mini , e la riflessione 6u tale sentimento , la differenza che passa nell* opinare dei due nostri Italiani  questa, che il Mamiaui pone unattivit nella ragione, fonte di paragone e di giudizii , dove il Rosmini la conforma nell* idea del- V essere, iniziamento a qualunque giudizio; poich luomo giudicante proponesi la conoscenza dell esistere , i subbietti modificatori e i subbietti modificali, lesterno e linterno. Cotale forma indeterminata per se, riceve determinazione dal venire applicata dall intelletto agli oggetti conoscibili , e mostra, a cos dire, predisposta la mente umana a discoprire il vex-o nelle cose , in quanto esse e le attinenze loro rispet- tive sono pensabili. Reputa poi innata il Rosmini questidea dell' essere a cagione ch'ella non viene dai sensi, non dal sentimento di noi medesimi , e non dalla riflessione Lo - chiana ; n tampoco ella pu cominciare con V atto della percezione (f). La spontaneit cos sola sola ne pare dar (i) Rosmini fa dipendere ogni idea dallidea universalissima del- lelite ebe le penetra e le informa: con essa si attua lintellet- to, fa degiudizii, acquista delle idee. Platone nolo questelemento universale nelle idee, ma non giunse a separare linnato dallacqui- sto, la forma dalle cose informale. Rosmini ha detto: Nessuna idea senza un giudizio , nessun giudizio senza un principio cogni- tivo con cui lintelligenza si ponga a pensare, comunichi lessere, ragioni. Un tal principio innato, egli lo chiama forma unica del- P intelletto, verit iniziale, idea esemplare delle cose a queste ap- plicate oggettivamente dal soggetto io , cui essa aderisce e sta pre- sente come un puro fatto, che n afferma, n niega; costituente solo la possibilit tanto di afiermare che di negare. Platone stim Digitized by Google  6oi * > luogo a quelle dottrine che aprono l adito allo scetticismo coll ammettere lio soggetto de suoi pensieri indipendente- mente a qualsiasi concetto obbiettivo , il quale dia una gua- rentigia dellumana ragione, rendendola solidaria di nn prin- cipio almeno che da ninno possa come che siasi validamente impugnarsi , e col quale abbia raffronto l altro principio di negazione non poter essere. Senzach lidea dell essere in universale contiene virtualmente una serie di svolgimenti pro- fittevoli per constatare la moralit umana ; poich convertita agli atti delle nostre deliberazioni in quanto morali , essa diventa l idea del beue , dalla quale informandosi l intimo senso, ne viene generata la consapevolezza delle azioni quali convenienti o disconvenienti da quella, vogliam dire lidea del bene colla sua negazione del male. Le lingue posseggono negl infinitivi, neglindeterminati dei verbi una forma uni- versale , da cui scaturiscono tutte le modificazioni di essi verbi , assumendosi da loro i tempi , i modi , le persone e i numeri. Ora, ogni verbo va composto dell essere , esistenza universale e fondamentale, e dell attributo, merc il quale lesistenza riceve tante determinazioni quanti sono gli atti dello spirito e delle cose: non parrebbe avere grande corri- spondenza questa natura dei verbi significativi di esistenze operanti coll idea dell essere nssuuta dal Rosmini a sostegno delle umane cogitazioni , ed essersi da lui trasferito nel do- minio intellettivo il naturai metodo delle lingue ? La forma innata del Rosmini i-ende gran somiglianza di ci che deno- minavano i Latini mens animi , la parte pi sublime e per- spicace dell'animo; cio la ragione, quel lume che in tutti i popoli e in tutti glidiomi esprime la tendenza al vero e al certo congenita in noi. Al signor Mamiani sembra non necessarie tutte le idee, poich non trov come spiegare il primo giudizio, che dia molo a tutti gli altri j e poich ogni idea  nn giudizio, perci egli le ha fatte tutte originarie nelluomo.  Vedi il nostro frammento su quest autore nello stesso giornale, giu- gno l834,  pag. 55o. Digitized by Google poter derivare quella forinola concettuale semplicissima dalla teoria di S. Tommaso presa complessivamente , quantunque essa reggasi su qualche sentenza di lui. Noi non ci troviamo iu grado di pronunciare competente giudizio, e perch non siamo sufficientemente ancora entrati nello studio di quel mi- rabile filosofo , e perch non ci sentiamo forze bastanti a comporne una questione fra cotanto 6enno. Ci che nessuno pu toglierci di pronunciare, e che ne d una verace e somma compiacenza, si , che Rosmini e Mamiaui sono due esimi i pensatori , dei quali debbe l Italia andarsene altamente onorata; e che gli argomenti di questo secondo filosofo sono provati con una tale finezza di ragio- namento , con una tale ponderazione nelle idee , che mai lo si vede spingere un principio fuori di que confini, oltre i quali stanno i pericoli della confusione , delle conseguenze esorbitanti, e di quelle stravaganze nelle quali danno senza misura gli stranieri, o almeno tanti fra loro. Nella lettura del Mamiani , come in quella degli scritti del Rosmini , eb- bimo assai caro il saperci Italiani , e a questi due benemeriti nostri nazionali dobbiamo una determinazione che dora in poi governer i nostri studii, quella di migliorare le nostre idee su quelle di tutti i grandi Italiani, perch, giovandomi delle belle parole che dan fine al libro del signor Mamia- ni ,  vorremmo veder sorgere , per mezzo la nostra patria , una scuola novella, da cui si prendesse ad ereditare con franco animo lantica sapienza speculativa e le antiche arti metodiche. Quindi con temperar bene gl'ingegui e con av- viarli prudentemente a un fine comune, vorremmo chella correggesse di quella sapienza il falso e il non buono , e di- latandola molto innanzi de suoi confini attuali, le conferisse stabilit e vastit proporzionata al suo ufficio altissimo. Per tal modo il seggio dei razionali studii verrebbe col rialzato , ove stette in piedi per lunghi secoli : alla qual cosa pensiamo assai fermamente non domandarsi ai nostri connazionali che un volere saldo e magnanimo , rivocando spesso alla lor me- Digitized by Google  6o3  moria, essere la filosofa, del pari clic tutte le grandi cose, divina semenza, nata e cresciuta sotto il hel clima ila* liano. n V. Reso cos per noi quellomaggio che si  potuto mag- giore allopera magistrale del signor Mamiani , ora vengaci conceduto di esporre alquante nostre idee sul valore del senso comune e della lingua, a modo di preliminari alla restaura- zione filosofica. La nostra scienza  povera assai , e pi che in altro consiste nella buona volont in cui siamo da lunga pezza di veder rifiorire ima degna filosofia nella nostra pa- tria ; ma comunque siasi , ne paiono valutabili i principii che qui saranno argomento di breve discorso. I due confini in che debbe la filosofia contenersi, e den- tro ai quali ridursi ogni qual volta gli oltrepassi, sono, a nostro credere, il senso comune (f) c la lingua nella quale egli riceve la naturale sua forma. Le lingue souo di neces- sit conformate a quel senso eh  stabile nellumanit, e che manifesta nelle parole i principali elementi onde compo- nesi. Non  pi possibile uua filosofia ove derogato venga a cotali due autorit che in una sola compendiansi: lintelli- genza appalesatasi per 1* organo della parola. Anzi la forinola massima del criterio a noi sembra dover risiedere in questa semplice elocuzione , che cos definisce il comun senso : ci che in natura sta fisso variando per legge di unit, di somi- glianza e li dissomiglianza. Se nessuu altra forinola venne rinvenuta dai filosofi, egli  perch niuna pu determinare (l) La teoria del senso comune, che a taluni par cosa tanto nuova,  professata persino da Longino, il quale se ne giova Del suo trattato del sublime come della certissima fra le prove: cosi egli discorre nella recente tradusione del professore Emilio de Ti- paldo:  Perciocch, quando tutti coloro che differiscono di pro- fessione, di vita, di inclinazioni, di et, di favelle, sono dello stesso parere intorno alle medesime cose, allora il giudizio e con- senso di uomini cosi discordanti acquista una forte cd incontesta- bile certezza sopra la cosa ammirata.  Digitized by Google  6o4   il carattere della verit ia n modo pi naturale, pi veri- ficabile e pi antico ; o il senso comune viene a dir unlla , o attesta quel concepire e quell esprimere eh  la grande si- militudine degli esseri pensanti. Nell uomo  una forza che lo spinge al vero ; tutti , per quanto si valgano di diversi strumenti a rintracciarla , vogliono una verit oggetto delle loro speculazioni. Ora tale istinto comune ad ogni uomo , o si riduce ad una contraddizione, cercare ci che non pu trovarsi, o manifesta un fatto (!) irrepugnabile e autorevole: (l) Lo scibile umano ha il principio suo nel fallo: egli  perch , non perch debba essere: cosi scrive il Mamiani, al quale noi rispettosamente rispondiamo : Le cose contingenti non sono solamente perch sono, ma in quanto dipendono da cause che cos le fanno sussistere: se la natura dell'alto partecipa a quella della causa che lo produce, conviene enunciare il seguente principio e non laltro: I fatti di necessit non sono perch so- no, ma perch debbono essere quali sono. Con questenunciato  Jiossibile la cognizione dell'Essere Supremo ; seuza di lui. Don o . Ed ecco come la questione filosofica, se vi esiste un vero assoluto e relativo, mette tosto alle dottrine superiori della rive- lazione. 11 Mamiani vorrebbe separata affatto dalla teologia la filo- sofia ; ma a noi non sembra ci fattibile senza avventurare il cri- terio massimo della verit; poich tale criterio diventa massimo appunto allorch si congiunge colla causa assoluta degli esseri. Il contingente separato dall assoluto  una catena sospesa nell aria ; congiunto a lui, sta saldo nelleterno. Supponiamo due stati di ra- gione: luno privo di nozione della Divinit, laltro con questa nozione: pel primo il contingente non otterr mai l'ultima prova che lo fermi una cosa vera e indubitata relativamente a una causa maggiore; nel secondo la prova  la causa intelligente, libera e eterna,  Dio. A coloro che sostengono doversi segregare affatto la filosofia dalla religione, proponiamo da confutare i seguenti giu- dizi! con altri pi sensati , pi conformi alla storia e all indole delluomo. Ottenutili quali abbiamo diritto di aspettarceli, allora noi pure aderiremo a quel parere. Ci rivolgiamo, ben s' intende, a persone le quali credono in Dio : i giudizi! sono : 1 Le esistenze personali e le esistenze impersonali sono atti di una causa superiore, e tale causa non pu essere che Dio; ora , statuita la necessit di un primo agente, la ragione non ba pi possibilit di segregare latto dalla causa; quandessa esistes- se, tornerebbe in campo la semplice contingenza dell esistere senta pi, cio una questiono insolubile e sospesa tra le nubi; Digitized by Google 6o5 ci ha un vero che si d a conoscere. Se fosse contraddizio- ne , il ricercamento della verit sarebbe un assurdo patente ; 2 Ascritta lesistenza al suo principio, si svolgano le rela- zioni tra essa e lui di cognizione c di sentimento; 3 Nessuna storia ci attesta avervi mai esistito un popolo che nellinsegnamento, nel cullo, nella lingua, nei simboli e nei mo- numenti, non avesse notizia, pi o meno adeguata, delle cose soprannaturali; e un filosofo, in qualunque tempo, dovette co- minciare a ridettero sotto 1 influsso di quelle cose e di quelle forme ; 4 Divenuto l uomo possessore delle notizie risguardanti le sue dipendenze con un ordine pi alto di cose , non pot proce- dere che in due maniere : o contraddirlo colla ragione per pro- varlo assurdo, o convalidarlo del proprio assenso, desumendone fa sapienza: e tali due esse dovettero necessariamente accadere in re- lazione ai lumi del tempo; 5 Il Cristianesimo proponendo alla meditazione la pi ampia definizione delluomo in quanto allorigine c al fine dellesistenza di lui, ba esteso il concetto mentale di Dio, e il sentimento cbe. lega luomo alla sua causa. Ora domandiamo noi, la scienza del vero, del bene e del- lutile, che  veramente la filosofia, come potr essa rinunciare a tutte le cause che contribuirono al suo svolgimento? Una volta cbe il sentimento religioso si  fatto strada nell animo dell' uo- mo, questi non  pi padrone di disfarsene: quel sentimento ba varcato i limiti del mondo materiale, e listinto ormai si slancia nellinfinito:  necessario che da ci provenga una filosofia posi- tiva o negativa. Perci troviamo i sistemi io tutte le epoche , e una dottrina filosofica pi o meno tendente allo spiritualismo. Lo scetticismo, il materialismo, e le altre esorbitanze della mente umana hanno necessario riscontro colle credenze contemporanee e colle lingue: all'uomo non sarebbe mai raduto in pensiero di du- bitare intorno allessenziale del vero, del giusto c del certo, se non avesse incontrata un'opinione cbe gl impose di credere alcun che. Quindi le filosofie strane si presentano armale in piccioli., drappelli, e le credenze attraversano i secoli coi monumenti, colle storie e cogl idiomi:  esse sono il senso comune perfettibile. Que filosofi che riconoscono autorevole la rivelazione , e che sono tanto pregiudicati di non valersene a spiegar meglio luomo, mi rammemorano il detto di Medea: Video me/iora proboquej dete- riora sequor. E invero sorprende che avendo la cognizione di un meglio, lo si possa rifiutare senza una valida ragione. Gli stessi scrittori profani pi celebrati nella storia , scrivono : Ccefestium ry- rnm cogitino efficit, ut excelsius magnijiccntiusque dicamus et scu- (iamus. Digitized by Google  6o6  se non , egli significa che la forma di quel vero si  la testimonianza naturale degli umani pensamenti e sentimenti per mezzo della lingua. Si dir circolo vizioso una simile prova. Or bene, da dove il filosofo trarr elemeuti di pen- siero e mezzi di espressione che non siano gi formati nelle comuni opinioni , e fermati nel valore intrinseco delle paro- le ? E non credasi gi parlar noi di parole astrattamente , mai no : noi le assumiamo quali sono : corrispondenze cio attuali col pensare e col sentire vario ed uno degli uomini, le quali per diverse forme si succedettero serbando un intrin- seca virt di significare ci che non ha potato mai subire essenziale mutamento, ed  come luomo pensi, voglia, ami ed operi. Si noti che iu tutte le lingue passate e presenti vi sono i seguenti priucipii : 1 esistenza universale , un stih- bietto che esiste operante, unazione sentila e ricevuta, i concetti di qualunque modificazione dei soggetti che si co- noscono e si distinguono , e di quelli che operano per oc- culta e non consapuia causalit. Tutte le lingue hanno fra loro relazioni significative e formali , ovvero tutte sono tra- ducibili. Da ci si rileva che la maggiore verificazione con- cessa allumana riflessione, si  la rispondenza del vie pen- sante , senziente e operante , col me degli altri in quanto attivi nella stessa triplice foggia di attivit. Un adagio latino suona cos: Jnterpres mentis est ora- tici : la forma pubblica e costante dell umana ragione non pu essere che nella lingua : 1 uomo riceve la parola forma- ta , e la sua ragione si viene maturando per le relazioni esi- stenti tra quella e questa, la quale riflette le corrispondenze negli altri tra il parlare e loperare, corrispondenze chegli in se identifica da principio pi per istinto che per rifles- sione. Tutti gli uomini sono pari in codesto cominciamento , e l intelletto di tutti fccesi attivo per la parola che in certo modo lo costrinse ad attuarsi nelle tali e tali conformit. Ora in qual ordine di cogitazioni potr collocarsi il filosofo che non proceda dalla comune spontaneit , e dalle forme Digitized by Google  6o 7  assunte da questa nell uso volgare delia parola ? Dunque  irrepugnabile assioma che il pensiero muove dalle stesse ori- gini in ogni uomo , ed  assioma non meno certissimo che da niuno possa con ragionevolezza trascendersi codesto limi- le, dal quale tutti prendono le mosse per invitta legge di natura. I pi intendono per filosofare, rilare il proprio pen- siero e in qualche guisa la propria lingua (i): essi ascrivonsi (l) Ges Cristo, fondatore delluniversale fratellanza degli uo- mini nella veritli e nella virt, non invent uuovi vocaboli , quando frammettendosi alla gente, o traendusi dietro le moltitudini, spar- geva le semenze dei vero incivilimento; egli parl con parabole, e colle pi semplici parole insinu npgli animi la dottrina ciie aveva ricevuta dall'alto. Il suo linguaggio a tutti era intelligibile, poich semplice non richiedeva che semplicit e rettitudine ad es- sere inteso. In questa fecondazione prodigiosa della lingua le nozioni di giustizia e di carit si allargarono cosi, che i fatti assunsero dappoi una nuova importanza nellordine delle cose; eppure non uu solo vocabolo fu creato dall' Uomo-Dio .... I sellar) invece in- novano col mascherare il valore delle parole; ma luomo  da se solo si poca cosa che, mettendosi a imporre alla lingua, ci che non saprebliesi per essa pronunciare, la parola sembra contrarsi al tocco profano, e restringersi a minori dimensioni. Quanta parte sia la lingua dell umano sapere, cvinresi dagli slorzi, pequali tentarono sempre i sistematici di deviarne il comune significato. Ogni allen- tato contro qualsiasi principio costitutivo, cerc convalidarsi nelle nuove sigtiiGcazioni : cosi in filosofia, come in politica, nella storia e nella letteratura: ed  fatto che le societ progrediscono colle lingue; i mutamenti loro hanno vicendevole riscontro tra esse, poi- ch le lingue sono flessibili, dotate di una spontaneit tale, che, per quanto facciano in privalo i filosofi e gli scrittori, esse mo- dificatisi irresistibilmente in un senso generale: la peste delle lin- gue si  il divurtio della riflessione dall' attivit inerente a tutti glidiomi; la letteratura che non si accomuna coi volghi addiviene fittizia; i volghi non alleati alle lettere umane tendono a insel- vatichirsi. Lo scopo cui volgonsi i facitori di sistemi egli  certo quello di convergere le opinioni a quella eh essi tentano di fon- dare; ma all' infuori di poche menti che a lei conformatisi per mo- tivi tutt altro che lodevoli e plausibili, il comune non la guarda, come se non fosse; e chi la guarda un momento nell esser suo, senza prevenzione, e senza desiderio di trovarla vera, la giudica qual  , un'opinione, che nella somma ile principi! ragionevoli pro- fessati dagli uomini ,  goccia d inchiostro in un fiume. Perch nella concordanza dei falli col pensare e col sentire generale , la Digitized by Google  6o8  ua diritto quanto assurdo, altrettanto impossibile : rifare un fatto!! un fatto universale e perpetuo, che nessuna umana forza pu nemmeno modificare ; poich non chiameremmo modificazioni rilevanti , gli accidentali mutamenti prodotti dalle innovazioni letterarie , e dall aumento delle scientifiche cognizioni. La prima scienza pratica si giace qui e in nes- sunaltra parte; volere sconvolgerla,  un rinnovare la con- fusione babelica. Concediamo bens potersi dalla filosofia illustrare il comun senso , riducendo a scienza di riflessione e di prova ci che in lui  nozione concreta, confusa, non dichiarala. Coll at- tendere ai particolari , col notare i singoli componenti del pensiero, giunge il filosofo a comunicare allo scibile una chiarezza , una concatenazione teorica di idee e di ragiona- menti , merc i quali la mente va al possesso di una cogni- zione pi franca e pi sicura intorno a quegli argomenti, che formando una durevole curiosit alla niente degli uomini , tornano pure profittevoli alla vita dando incremento alle scienze subalterne. Per le quali osservazioni s'induce consistere levidenza filosofica ben pi nella scienza del prima e del poi , che nella invenzioni di nuovi priucipii nell umano cogitare. La filosofia converte in certezza di prova, ci che pel comune degli uo- mini  vero di fatto : essa coordina gli elementi del pensare e del sentire secondo i concetti che forma coll attenzione e colla riflessione sui principii costituenti lintelletto e lintel- ligibile; riduce a parti quant ewi di composto nella mente; separa il subbietlo dalloggetto, dal nesso di relazione, dalla vita scorre sul pendio del tempo frastornata da quegl intoppi cir sono accidentali, quandoch resa conforme alle Lutarne li alcuni so- litarii speculatori, cesserebbe in un subito di essere quello che  la vita umana: e   II. Della prima certezza . . 2n.1  III. Dellintuizione 211 IV. Fenomeni generali e costanti dellatto dintuizione. 228 Digitized by Google I 6 12 V. Della realit obbiettiva 25D VI. Dello spazio 274 VII. Della durala 290 Vili. Delle celle reminiscenze . . 3l6 IX. Conclusione dei superiori capitoli 333 X. Delle idee universali, e poi delle generali . , 337 XI. Della forma unica e indeterminata di nostra mente concepita dall Aliale Rosmini 363 XII. Dei priucipii universali apodittici  38.2 XIII. Del principio della causalit ....... 395 XIV. Dellordine causale deUuniverso 421 XV. Del testimonio ornano 44* XVI. Della dimostrazione 449 XVII. Del criterio d ogni verit . ^53 XVIII. Del senso comune 4^9 XIX. Dell assoluto 4^4 XX. Conclusione 4?& APPENDICE Articolo del Sig. Luigi Blanch , inserito nel N XXVI del Pro* I '* grosso delle Scienze, delle Lettere e delle Arti.  Napoli x835 497 del Sig. G. Ferrari , inserito nel N CCXXXIV della Biblioteca Italiana.   Giugno i835 5a4 del Sig. Michele Parma , inserito nel Ricoglitore Ita- liano e Straniero.  Milano, Novembre i835 . 549 Digitized by Google Digitized by Google '&***?*. Terenzio Mamiani della Rovere. Rovere. Keywords: confessioni di un metafisico, il rinnovamento della filosofia antica italiana, Vico, Cuoco, Cicerone, Roma antica, gl’antichi romani, il foro, il caso di Nizza, la communita di sangue. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rovere” "Grice e della Rovere," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Rovere

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rovere: la ragione coversazionale e l’implicature del Deutero-Esperanto – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Roma, Lazio. Direttore della revista “Universale.” Membro dell’Unione pro inter-lingua, già Unione pro Latino Internationale. R. elabora un nuovo progetto ispirato aquello di PEANO (si veda), e lo nomina Latino internazionale, dal Inter-latino. A B. viene solitamente attribuito anche un altro progetto di lingua filosofica, denominato genericamente Esperantido. Pubblica la Grammatica de latino internationale,il Manuale pratico di Interlingua, l'Interlatino e il Vocabolario internationale Interlingua-english-français-italiano. =e—È—@%6w&b&€——@_ + terror | i % | AA E il Mamiani: « In ciascuna cosa la natura comincia è l’arte perfeziona, ‘E ottimamente l'Abate Fornari: Che sia naturale - efficacia è cosa certa. e da questo io argomento che ‘ pi: ella è pure, o può essere, arte. Imperciocchè, l’arte i che altro è mai se non, come dice il Davanzati, una fabbricata natura? Dove opera la natura, può l'industria È dell’ uomo studiare i moli che quella tiene e, imitan- doli o secondando o ndo, Baone l’arte. Non fan cose, ma si regsono tv una V Sn sì che come ore la DAR non incomincia, |” EG nou 700D perazione, ivi senza dubbio la i ha luogo.. Può questa non essere ancor nata o nascer falsa, per poca 0 storta osservazione della natura; ma ciò non. inferisce che la cosa è impossibile. Confidiamo, dunque, cd A i avere a trovare un’ arte dell’ eloquenza, e tanto più alacremente ponghiam la mano all’ Dori quanto più eccelso è il segno a cui miriamo ». SERIA A AE conferma di queste parole. Costanza. — Che è la favel DE madre natura siamo forniti della favella, ma ciò che costitui munichiamo. coi nostri simili, questo è tutto. due; E dove 1° uomo non avesse trovato in gent Lio dio del mesifestare i moti. citeremo wa esempio la. se non un’arte?t— | lel potere di servirci sce il linguaggio con i; V) interni dell'animo; dove non ci fosse stato nel linguaggio naturale d'azione il primo anello di comunicazione onde poter procedere a quello artificiale in gran parte e convenzionale, quest’ultimo non sarebbesi mai inventato, L'arte pertanto, come accolta di precetti, non sarà mai che il giudizio nutrito e perfezionato (e questo, ossia le sensitività fregate di molte sperienze impresse nella memoria, e compendiate, chiamasi 749/026) un corredo di rapporti in memoria. È dunque un non capire lo stato della questione l’ inchiedere se abbiano da tenersi a vile i libri de’ precetti retorici od altri o se sia da deplorarsi 1’ essersì radicato negli animi il detto antico che il parlar preceda la grammatica, some ogni prima pratica l'arte, © che 1° eloquenza esiste d’ assai prima degli ammaest ramenti de’ retori come ispirazione di natura. Imperciocchè la natura deve necessariamente esordire, € poi l'arte da essa aiutata proseguire, dirozzare; sicchè se l’eloquenza è il cuore che naturalmente parla, U arte è la ragione che lo rischiara e conduce ». | Chiuderemo con Dante (Paradiso): Opera naturale è ch' uom favella; Ma così, o così, natura lascia Poi fare a voi, secondo che vabbella, dE” LE si ose Di qualche argomento ognun sa parl non sarà capace di aprir bocc politica, ma saprà tenervi | parlandovi delle vivande - Narra Montaigne (della sua carica a Carafa, are. Un cuoco a intorno all’ economia a bada mezza giornata ch’ei sa ammannire. (Essais) che avendo chiesto d un maggiordomo del Cardinal il personaggio gli fece un discorso di questa | Scienza di bocca con Una gravità ed un contegno ma- | Ristrale, come se gli tenesse parola di qualche impor- tante questione di teologia. Gli parlò della diversità Tra appetito e APpetito, del modo di stimolarlo, delle diverse insalate, della police, delle salse ecc. ecc. Dopo 1ò entrò a parlare in merito al servizio con belle ed Portanti considerazioni e tutto ciò gonfiato di rieche agnifiche parole, quali si impiegano per trattare ;soverno di un impero. store che non sa ] Iscorrere Particolari Vv alle sue finestre, in > un venditore cli fiammiferi, parlò di segnito della sua merce, senza mai | 4 iocchezze. SI e EIA In materia adunque di propria competenza ognuno sa parlare. Ma altro è sapere parlarne, altro è sapervi tessere un discorso. Appunto, e quì sta la difficoltà, come qui Sta lo scopo del nostro modestissimo lavoro. Tutti conoscono le proprie faccende, pochi sapreb- bero farne una narrazione ordinata, pochissimi questa narrazione saprebbero aiutare con argomenti tali da convincere gli astanti, confutare le obbiezioni, demo- lire gli avversari. Ma se queste persone interrogaste ordinatamente, se presentaste loro le possibili obbiezioni, se suggeriste i dettagli possibili, non ne ricavereste un ordinato racconto? Gli ignoranti non sanno nep- pure raccontare la propria vita, chè ad ogni momento RE: ritornano sui loro passi. Ma interrogateli con metodo e ne otterrete un racconto hen netto ed ordinato. Perchè adunque non si potrà supplire con date regole fisse a queste interrogazioni ? L’oratoria ha, bisogno dell’ invenzione LA AO della «disposizione IS dell’elucuzione EST) Girca quest’ ultima parte, il saper ciuè esporre le cose in maniera conveniente, molti scrissero e serivono tut- todì. Ma sulle prime due parti da molto tempo si scrive È assai poco. ; Anticamente i precettisti eran molti, poi sminuirono perchè l’amore per l’eloquenza andò decadendo e perchè i le loro regole eran troppe e troppo complesse. Fors'an- i che:siì pretendeva troppo. Le vostre regole, si dice, non danno l’eloquenza a Di chi ne manca. Ma, adagio, e come volete dar ; l’eloquenza a chi non ha adatto 1° ingegno? E come volete che Tizio Vimprovvisi un discorso sull’ astro- nhomia, se d’ astronomia è digiuno? E come esigete ch’ pi senta subito la fallacia di.un ragionamento s0- fistico se la logica non sa che sia? Come volete Dein una parola, ch’ ei sia eloquente se non ha vasta col vi: Da > Conoscenza degli uomini, della vita, delle leggi, Se non bazzica mai con aleuno? Apprendetegli tutto CID € poi vedrete che coi nostri precetti diverrà buon _ Oratore, i SE S ini sa SCOPO nostro. Noi vogliamo de cameo di ju Ù mite delle proprie cognizioni = sà | 8COrSO nuo SOR un completo ed ordinato di ‘© ‘0 Scopo del nostro lavoro. I precettisti, lo abbiam detto, furon molti: da Quin- tiliano al De Colonia se ne conta un numero non lieve. L'ultimo però che abbia presentato un complesso or- dinato di regole per improvvisare un discorso è PAvv. Aureli. Col quale ci è caro trovarci in questo campo | rl’accordo, mentre dissentiamo profondamente da lui în altro suo studio. 28 Egli parte precisamente dal concetto concetto RA antichissimo — di stabilire un contesto generale di interrogazioni ordinate, o per dir meglio di punti comuni c ordinativi delle proprie idee per qualsiasi ar- gomento da svolgere in un discorso ». Il suo lavoro sotto questo punto di vista è abbastanza buono, seb- bene deficiente in molti punti e mancante in modo assoluto di esempi, difetto questo gravissimo ; impe- rocchè, come ben dice Veronesi, il limitarsi a dettar tti por insegnare l’eloquenza, senza mai regole e prece rebbe come voler portar discorsi di uomini eloquenti, sa insoenare il minuetto, deseri vendolo soltanto e senza vt. mai farlo vedere in atto. ì moderni dividere le eloquenza in sacra © Foo politica forense SR Ho è ui SR, in ut sacro no i muovere la volontà a praticare i precetti del Va. gelo. Prende il nome di omelta quando spiega il Van: | cina ossia Seo qoerai € a) Si ( SS di Tea quando. è e. religiosa; di discorso funebre se è un defunto. L'elugnenza sacra sarà politica e alla forense, perchè m 3 delle condizioni principali dell’ eloquenza : la lotta. if Difatti, per quanto l' eloquenza del foro sla più Udc che quella del pulpito, pure abbondano i bravi AVVO- cati e scarseggiano i bravi predicatori. anca in essa uma ha tutto il tempo possibile di studiarla; non si hanno | ‘a temere confutazioni, incidenti imprevedibili, obbie- | zioni a cui non si poteva prepararsi; mancando la. molto eloquenti, di saper convincere. Eppoi il predica- | alisposto anticipatamente a credere a tutto quanto sarà petto dal de Senza un avversario da atterrare, : di ta dini; (i feta. ece.; ma damn con- : pr Son cose vecchie, come vecchie sono le ra- i ch'e n egli esporrà per sostenere la tesi propria: improvvisato nè da una parte, nè dall’ altra, LaIpo di Ono pro: DIRE d0L orazione fatta pet, Nella predica non c' è mai nulla d° improvviso, 00 . tore ha generalmente l’ uditorio favorevole, un uditorio mai sempre inferiore alles “lotta manca sia l’interesse che la necessità di essere Ria lat ii il mezzo e la nocpssità di essere sogni, $ sa È ‘parte, perchè il 7, avversario ha et di convincere l’uditorio del contrario e lo tenta in tuttii modi. dos ra : Le orazioni sacre specialmente le omelie — ic essere in stile piano ed affettuoso, i sacri | testi non debbono essere citati con soverchia abbon- danza, nè in modo assoluto mancare. Tenda l’oratore a combattere ogni obbiezione possibile, a non lasciar. 3. - ‘adito di sorta alla contraddizione; elevi l'animo degli — uditori con le consolazioni della fede, cogli esempii dei favori ottenuti dal cielo; conforti additando i sen; 1 3 tieri della speranza; ferisca i vizi del secolo non con i | SS RIG declamazioni, DEE o lungaggini, ma dimo- 3 | strando luminosamente com’ essi conducano alla per- | dizione e non invada poi mai campi non suoi, entrando d È in argomenti profani, ma circoseriva il suo dire alla’ x i I materia sua. Procuri di dimostrarsi sempre pio, virtuoso e 88°) piente 6 traduca assolutamente nella pratica della sua i vita quotidiana tutti i precetti Lr dal Rote So us L’ eloquenza Politica 0 civile tratta dell’ammistra zione dello Stato, delle riforme delle istituzioni, di quanto concerne insomma Il pubblico bene. L’ oratore civile deve usar e una grane chiarezza, sorosa ; deve avvalorare il @, non cadere in continue resente la eravità dell’ as: prosperità, il miglioramento il popolo per indurlo a qual. che importante ri Ì 0 per rimuoverlo: da qual dI divisamento, è ; rtante saper ben muovere gli ’attetti. Cc0, a titolo di Curiosità, quel che scrive Edmondo De Am Amicis, di Castelar, uno dei migliori oratori spagnoli TEA DE E ASOTERAE vince e trascina amici n torrente n: nemici con u di poesia e di questo Castelar 7 noto in tutta Europa, è veramente | ‘a più completa espressione I ge il culto della dp di 7 la sua eloquenza è musica; il suo ragionamento è schiavo del suo orecchio; ei dice o non dice una cosa, 0 la dice in un senso meglio che in un altro, secondo che torna o non torna al periodo, ha un’ armonia nella mente, la segue, la obbedisce, le sacrifica tutto quello che la può offendere; il suo periodo è una strofa; bisogna sentirlo per credere che la parola umana, senza misura poetica e senza canto, sì possa avvicinar così all’ armonia del canto e della poesia. È più artista che uomo politico, ha ‘d’ artista, non ma il cuore; un cuore di fanciullo, inimicizia. In tutti ‘i suoi nelle Cortes non ha solo 1’ ingegno, incapace di odio 0 discorsi non si trova ingiuria; mai provocato una seria questione personale; non ricorre mai alla satira, non adopera mai 1’ ironia ; nelle sue più violente filippiche non versa una dramma di fiele; a prova che, repubblicano, avversagio | di tutti i ministerì, giornalista battagliero, accusatore osercita un potere, © di chi non è ‘ fanatico per la libertà, non s'è fatto odiare da ‘DO: suno. E però i suoi discorsi $i godono e non Si to: mono; la sua parola è troppo bella por esser terribile; ingenuo perchè ogli possa eser- il suo carattere troppo 1 influenza politica;, egli non sa armeggiare è buono che a pia DE e questa n'è un perpetuo di chi eitaro un? tramare e barcamenalsi; egli non orande, è t e al lendere; la sua eloquenza, quando è pui Ol Sere ed a Sp TS cuni L enera; i suoi più bei discorsi fan piangere. ra; i ‘per lui la Camera è un teatro. Come i pocti MIMO ‘visatori, per aver l’ ispirazione piena e serena, egli ha 1 2 bisogno di parlare a Quella datà ora, in quel determinato punto è con ‘quél certò tempo libeto dinanzi. Ùa sè. Pèrcid, il giornò che deve patlaré; prende le sue, ILE misure col Presidente ‘della Camera; il Presidente die i spone în modo thè gli tocchi la parola quando lè ‘tribune Soho affollate e tutti i deputati al loro posto; il Î suoi giornali annunziatò la serà innanzi il suo die scorso atfinchè le signore possano procurarsi il biglietto; ‘egli ha bisogno d’aspettazione. Prima di parlare è in- ‘quieto, non può posare uù istànte, entra nella Camera, esce, rientra, torda al discire, gira pei corridoi, và. ci biblioteca à Sfogliare un dibrò, scappa nel caffè ‘a bere un Biechier d’acqua, par preso dalla fe CATE sembra che nòn saprà DR due i, 7 do rà Tidere, che si farà fischiàte ; del suo discorso non gli Timane una sola det ludida nellà mente, ha confusò | tutto, ha dintenticito tutto. Come | gli domandano sorridendo gli amici. va il polso? i ; po Giunto il mo SOLA solenne, sale al suo banco col capo basso, tire: SUANL, pallido, come un condannato che va a RR assegnato a perdere in wn sol giorno la gloria Ae: oria com _ Ù È ; paro ti - (uistata in tanti anni e con tante fatiche. n fù: to mento i suoi stessi nemici senton pietà del suo » stato. volge uno sguardo intorno e dicesi — suo coraggio si rinfranca, la. sh N° Egli si alza, Seneros! E salvo; il 9) mente si rischiara, il suo discorso gli SÌ ricompone | testa come un arietta dimenticata; il Presidente, | pros, le tribune spariscono; egli non vede più che. o do05 non e DIRE CHO la sua voce, non se ente Ta cose: « to non I più ii i ni iu Di c peo geuti e Pisi lontani slo. nol Sua mai i aa "inter romperlo; egli fa balenare a suo bell’agio Dim pagine cala sun MER a VEE da PINCO e coro Qr N così vestita, n ioni bella anch'essi; © astelar è sienore dell’ Assembléa: tuona, sfolgora, strepita e scintilla come un fuoco d'artifizie» AUisgae i strappa grida di entusiasmo, i TUR, immenso | Deguie d' po o seme EROE testa in visibilio. Tale è questo famoso Castelar, pro- fessore di storia all’ Università, fecondissimo serittore di politica, d’arte, di religione ; pubblicista che raz- zola cinquantamila lire all'anno nei giornali. d’Ame- tica, accademico eletto ad unanimità dall’ Academia espanola, segnato a dito per le vie, festeggiato dal popolo, amato dai nemici, giovane, gentile, vanerello, generoso, beato >. L'eloquenza forense è quella del Foro o Tribunale. Il Cantù così la tratteo:o cD 3 Ì Demostene presenta la perfezione del talento d° av Sai € vocato, l age « sione, | accortezza del ragion « del sofisma, l’arte di con È D « É modello della br vc che io ce Ri pt Una prodigiosa fecondità di prove Mezzi, Ì A i Ta ] e di non tendere che alla sua sa, la quale cogli Svolge in tutti i versi con in- leloquenza orale, l’ eloquenza di viva sa n | Tnt contatto immediato col popolo La pci di ; che spesso toccano ciò che vi ha più AA Ri i Xabe umano, e talvolta più politiche che giudiziarie. È: È ivi che essa si trova faccia a faccia col popolo FORA presentata da dodici cittadini eletti a surte, che 0gel. son vostri giudici per tornar domani quel che erano Jl giorno avanti e confondersi col popolo a eni IPRULSE tengono e di cui partecipano a tutte .le opinioni. E ivi dove Peloquenza ha un Campo v riceverne tutte le impressioni, a subi zioni, tutto il potere. Il Vero € impossibile, negarlo 3 Si trova solo alle assise ed è ivi che le anime elette riporte da lusinghieri e Più sinceri. Nej per l’eloquenza, si è legati, il votante, la rielezione. ergine, pronto a rne tutte le sedu- Liù ampo dell’eloquenza, è E IE dI andato alla Camera ne e da cui egli spera e si vota per tutto a tali più Seduee i cultori, pel partito che h che ve lo mantio Alle assise invece Vi e leloquenza può strappar si AUindi sarà sempre il campo Auenza e pe suoi verace impressione, giudici, Ivi. hte per l’elo- del L'eloquenza accademica abbraccia argomenti scien: tifici e letterari; son discorsi recitati generalmente nelle scuole, nelle accademie, in adunanze di uomini — colti. Le conferenze scientifiche o letterarie sono oggi abbastanza in, voga, ma riescono sovente assai mono- tone, perchè il conferenziere manca di brio, di spirito; | ed usa un linguaggio troppo astruso pei profani. Simile all’accademica è Peloquenza polemica. x x ori on INTRODUZIONE CONFERMAZIONE 0 sostanza CONCLUSIONE o chiusa. GUSiRi a lor volta | si RO Pi in ‘incipio o esordio — che ha per iscoperdì i dla benevola attenzione dell’ uditorio mostre | importanza, la ‘novità, 1” Uta, ola P del soggetto. : ne — colla quale si onu olgere. TA n DI aha O'CELtO DI definizione — celvè, quella che delimita il soggetto è o serve Q quindi di complemento alla proposizione. i partizione = colla quale sì stabilisce la divisione che: si darà al discorso, sì annunciano i punti salienti del medesimo, o gli oratori a cui separatamente: si risponderà, se sì tratta di una risposta. La Coxrenmazione è la vera sostanza del discorso e. consta: — della narrazione o esposizione del fatto che è causa Î del discorso. Da | della descrizione — delle, qualità intrinseche inerenti. °° {$}W n al soggetto trattato. o delle relazioni = o rapporti di confronto ch’ esso ha. as con altre cose. i | Tela dimostrazione — ch'è la parte deli discorso de-- stinata a convincete 1 uditotio. i La cimusa finalmente si suddivide in : conclusione — brevissimo riassunto di quanto. si; disse. nella dimostrazione. ricapitolazione — ripetizione sommaria di tutte poI cose, ; esposte. «NE i Me perorazione — punte destinata a commuovere 1 udi: dia torio. ST: consistente in LRocHe Elo destinate a rin: 5 TRSCE i ceri STATA Vo) Jolgimento. di lle parti del discorso Introduzione - Esordio. studio principio esordio per INSINUAZIONE (IMPLICATURA – GRICE) -- insinuazione di | esordio ez-abrupto tà di esordio principio, o meglio prcemio, ui né UR accennare l'argomento Senza COR nè. UE: di pa- i Sia i benevolenza e magari la di i fi ascoltanti. Tante. volte non tutto questo ci occorre. Sovente siamo certi dell’ attenzione. del pubblico, lo vedian pes pender dalle. nostre no È ten 0 e è inutile e nociva. Nociva, perchè l'esordio ha da esser breve, di una brevità proporzionata al discorso, ma È . nza riciri è fronzoli inutili, Un esordio troppo f semprese a sospettare povertà di argomenti nella . lungo induce sostanza del discorso. È Altre volte può accadere che della benevolenza dell’ uditorio siam sicuri, e non ci rimane altro che accaparrareene l'attenzione. csi Ecco qualche esempio di questo penere d'esordio. Di e Ho da parlare dell’uomo; e 1’ argomento che Studio mi avverte che io debbo parlare a uomini; | poichè non si propongono questioni simili quando si tema di onorare la verità. fo difenderò adunque con confidenza }a causa della umanità innanzi ai saggi che a ciò m invitano, e non sarò scontento di me Stesso, se mì renderò degno del mio argomento e de? Imei giudici ». t] (Roussrau — Discorso sull’ origine © fondamenta della ineguaglianza degli uomini [17583]. i Signori, era mio divisamento di aspettare che la a degli oratori iscritti contro il trattato fosse vicina . LS prima di chiedere la parola, onde non N essere costretto ad abusare della vostra sofferenza sorgendo per due volte a parlare; tuttavia gli attae chi contro il trattato furono tali, le insinuazioni contro la politica ministeriale furono di tale specie e le ini i terpellanze e le domande furono così numerose che | 3 ‘jo estimerei di fallire a quello che debbo alla Came «a quello che debbo agli oratori che mi hanno prece: DIRE duto in quest'arringo, a quello che devo al Ministero — e a me stesso, se io aspettassi più oltre per sorger “a difendere la politica ministeriale ed a ribattere le accuse di cui fu fatta segno. > x Cavour — Discorso alla Camera 6 Febb. 1855. NI 2 ( Signori, vi ringrazio di quoste accoglienze ( «che mi confortano; dacchè (non vel nascondo) mi levo a parlare oggi senza trepidazione. Alle., della parola non sono più nuovo; ma io non ho que maniera semplice, domestica, casalinga che {senz essere didascalica) ammaestra € diletta, ou è t tt ‘minzione di forma e di affetto; non quello stile smt “gliante che, nutrendosi d'immagini, di motafi re e di antitesi, commuove e trascina, ferisce e risana DA Gua neppure quello scoppiettio «i frasi, quel fosforo nel I hf x RE sia gorgheggio peo) ch'è rop Di ì pra Men 90 } sto Gircolo, al quale mal si ad: oncitata ed a sbalzi che alenni oratori di que dice il tumulto d' una parola e pare eloquenza nelle assemblee popolari. c Senza che; o signori, quando i0 penso che da que- sta tribuna voi avete udito il fondatore del nostro Circolo, Francesco De Sanctis, il cui ingegno critico è ammorbidito dal cuore, ed altri illustri cultori delle scienze e delle lettere; sono indotto a dire a quella egregia signora (1), la quale mi ha spronato a parlare: se la punta del rimofs0; come cosa nuova vi alletta; sarete certamente paga dopo di avermi ascoltato. Le. gentili pressioni mi hari vinto e se il Bonghi, che ha anni parecchi più di me, fion seppe dir. no ad una Signora, sono io in colpa il’aver detto sì? (Coxrs G. Capiniiivà — Conferenza. al Citeolo Filologiéo di Napoli); « Se invece che un modesto . fossi în questo momento un È del primo grido del bamb linanzi, n i i] RI VOL cultore delli medicina, io poeta, potrei, parlandovi I > . » e mo che nasce, farvi sfilare ente di immagini vivaci, tutti i sen” R (1) La Baronessa Manin LIO, ‘amna Dé Riseig Guevara, dei Duclif b> li eat Ga aaa ni PS o A cis ‘tuosi, SE animo. Conferenza del dott. Cesari CATTANEO: L'esordio per insinuazione è quello in cui si nas : RAS ca tutta prima la propria opinione e la si vien di se ne aggiunge | Roussn scienze e AU — Se il ristoramento delle delle arti abbia contribuito a purificare i e Ostumi ANIME IETORAE « Veggo, Ateniesi, gli affari presenti pieni di diffi | denza e Do porelia molti sono stati negletti, | senza che sia riuscito profittevole il ben parlare; e [i ogli altri si discordano gli oratori, perchè chi ìla intende a un modo e chi a un altro. È il dar con- | siglio, che è cosa per sè molesta e difficile, più difficile. 96 EA teniesi, la rendeste voi. Imperocchè tutti gli altri E È omini sogliono consigliarsi prima degli avvenimenti, w i Voi dopo di essi. Di qui nasce che per tutto il tempo che mi torna a mente, 1 riprensori dei fatti vostri ta o riportato lode: di savi e sinceri parlatori:. ma le asioni più utili vi sfuggono. Contu ttociò, dopo molti | : pensieri, mi levo a parlare confidandomi che ove VOTE gliate, lasciati i tumulti e i contrasti, sato sa La ascoltar me come | dice a chi sta per deliberare sopra negozi di tanta anza, io farò tali proposte da migliorare le cose. Do senti e da ristorare i danni procurati di a iugfenor he = DasosmENE - — Orazione intorno alla Pheosi VISSE esordio ex abrupto non è. veramente un ‘esort io | perchè i lascia da parte. qualunque preparazione d Ì si prorompe in ‘eselamazioni repentine. De ‘Eccone un esempio. « Avrò dunque io durato tante 00 Ù messomi i tanti IE per disfare, e e non iFieupara la p ASP li _ 0 italiano 0 toscano, ma fioren- tino e antico fiorentino, patità l'animo di veder con questi occhi abbatter fe mura di Firenze come se fosse Dl: un ignobil castello? | mia Ka me, non dic Ta FARINATA DEGLI UsrRtI — Dalle « Storie Pa Piorentine » di Scipione Ammirato. Nell’esordio si usa sovente la diminuzione, che ha luogo quando, a schivare la taccia di persone vanaglo- (0) riose, sì dice meno di ciò che si vuol far intendere. n! «€ Se non sono affatto privo di ingegno, 0 giudici — e he Sento quanto tenue esso sin — ‘0 se alcun eser cizio di ragionare ecc, > CICERONE — Oraziorie a difesa d’Aulo' Licinio Archia poeta). EM dda Credere, che Voi, 0 giudici, maraviglia | Prendiate, onde ciò sia, che tanti oratori sommi ed uomini o stando assisi, io, anzi che altri, mi | sia in più evato. ire È A Ò P, Vale a dire colui, che nè d’età, nè n ; d ingegno, Dè d’autorità sono dla esser posto con questi, che siedono, a paragone. » si Se, come, e fin dove nteresse comune l’opera sua 5 (a ) Ministro BARAZZUOLI a Genoy DA DALLE CIRCOSTANZE DI LUOGO. « Signori — il vostro egregio presidente, marchese. srancesco Carega di Muricce, che non dirò vecchio i mio amico, perchè in lui perenne è la giovinezza dello spirito, invitandomi a questa conferenza, mi ha provato, — ch'egli fa a fidanza con la cortesia e l’indulgenza di | tutti voi. Ed io, per esser cauto, avrei dovuto dir no si all amico mio troppo audace: ma il pensiero mi corse sia queste ridenti contrade, alle quali mi legano tanti. ricordi della prima giovinezza, ed eccomi innanzi a Li invoco Monsall e SERI Ea uditori. Qui, N È ae declivii Cavensi,, venni spesso neg sia anni. {miei primi, e la dolcezza di quelle primavere e edi quegli > autumni qncor dentro mi suona. Trassi così, da co °° | contemplazione del bello, l’abito, che non ho I, più solitudine del pensiero, rinfrancandomi, tra DE pur | gioie dell’arte, dei dolori e delle lotte politiche. E ripensai anche, o Salernitani, alle vostre 8 arie e a e pa ai o de 10 600) % LI, dl So 40 voi liberamente di eletti studii e di nobili imprese. Della vostra Salerno narra Livio, chiamandola - Castrum Salerni; il che prova che forti rocche dovevano custo- dirvi anche prima che, a tenere in freno i Picentini, parteggianti per Annibale nella seconda guerra punica, fosse tra voi fondata la colonia romana, della quale Scrive Strabone. Antichissime le vostre origini, si perdono nei vestigi delle Colonie Tirrene o Pelasghe; e florida città foste, dopo la longobarda conquista, chè Paolo Diacono vi annovera tra le opulentissimae unbes della : SERRA Campania, insieme a Capua ed a Napoli mi a. Io ripensai, 0 Salernitani, alle gloriose iniziative ecc 5-9) (Conte G. CaprrebLi — Conferenza nella sala dell’ associaz. liberale democratica di Salerno). L’ austera maestà di Gheorora gi diffond quello che ci circonda parla troppo cloquentemen del grave lutto che ha colpito la diletta nostra Patria. Sac. Dott. LuonELLI — Disconeo i commemorativo. pei caduti. dip Amba Alagi. JES ni Dari CIRCOSTANZE BI TEMPO. wi | Dott. |Doxvivo Noskvzo, i, tenuta alla scolaresca riunita in Borgo sesia nella ricorrenza Gul 50. ann. dello — Re ca } Ù la DAGLI UDITORI. n nOi RI NA CaTSono l’esordio da tanti de asconani “come ‘soleva a mò d’esempio praticare Cicerone è op, piene: eo se sono DE peg: ‘Gobi s6 CO 0 ig come. UO: t ce nelle assemibloo. i EOSONE c Benchè tra voi mi paia veder molti aver Ta mente sì calmaela fede sì ferma e l’anima sì devota che per la | presente calamità non si muova o turbi, ma a guisa di duro scoglio sia più tosto atta a rompere le tempe- stose onde di que:to mondo che lasciarsi da loro muo- vere e travagliare, e che queste impetuose tentazioni | Siano piuttosto per chiarire la vostra virtù che per tur- - can barla, pur nondimeno vedendo alcuni ecc. » "e È SF S. CieRrIANO - Discorso al popolo in cupo di POSERO 3 -5) Da ca ct Ha PRECEDUTO NEL DISCORSO. cA voler fare il mio debito, mi i converrebbe Du far altro stasera, che ringrazia re il magnifico M Pietro E delle parole onorevoli, che per sua cortesia ha dette di me, e laudare la sua magnificenza. ‘del dotto e caldo fficio, che. così è Sprovvedì favore della liber tà. z - ‘atamente ha 1 fatto a BArToLOMEO 7 Seta Orazione: nell Accademia. degli Uniti in Ia sa 6) Datr/ csATORE tino. » Jo devo l'onore di parlarvi a quel. carati er SER | mità con cui i miei concHiadins vollero i ii da un Mi; col on voto a A in Consiglio. uo "USE (EDO arno mi a G cca “madre di Vonezia, diede le i velio, i — questa. fiducia con cui Governo, Provincia e Comune mi consegnarono IE immensamente duraturo e l’immen: — iam fragile, mentre | mi ic mi a di a ch or _ ‘Das nella sota si cinpertura del Ho di a SR : >. d'eta = ia Dar ‘SUBBIRTTO. IN, DiscoRSO dell Memore È dA TRS Che ìl tema Î quale e d ni. Le discepoli, rinnovelli in voi i nobili ent usi RO iS le vibrazioni all'unisono del sentimenti La Ò procuratevi dal facile oloquio, dalla copia «li dottrine SO leggiadra parola e dal garbato. put dre. de — dd egregi Colleghi che mi precedettero in queste confe renze, non lo sperate. «Non vi intratterranno oggi eroiche azioni, grandi imprese, generose iniziative, sublimi ideali. Il compito mio è più umile e più modesto, come più austera è la scienza dei numeri, e chiacciato è l’aere che d’at- torno vi aleggia ». SI «Buzzi — Conferenza sull’ insegnamento dell’ aritmetica). ( Dispiegati alle patrie aure savonesi, 0 simbolico prezioso vessillo. Tunonandrai colla gloria delle battaglie i 9 4 . . Ù accrescere l’alloro degli eroi e le lacrime delle madri. È Ta a mari procellosi e terre lontane, Ma come omestico palladio ra lerai Î "a È i ecoglierai a te d’imtorno una nume- 1 gia di gente che lavora e vuole che gia tant prospera quanto è SERRE uanto è bella la terra in cui siamo nati c Allarga le ali tue, o vessili di sotto di esse, quanti pensano o diletto, e si abbraccino © studiano per l'umano e segno; i e ad ess nipoti È che il popolo savonese non conosce le è uni le Imvidie; chiede. “dei È AG È A 5 LAN solo giustizia. per i suoi traffici e per i suoi ce nè. ad altre gare si accinge. che non siano quelle desti". 7 nate a rendere, colla gagliarda e onesta ; Cono a più fiorente e Yigorosa l'economia nazionale. e “a Eco Mostrati,. 10 patriottico vessillo, a o Dean SORBCE. “grande patria italiana sono amici della civiltà rivendica Gamperta. — Discorso al Corpo Legislativo. 9) DA UNA 0 PIÙ COMPARAZIONI. Ri. c Chiamato dalla fiducia, altamente lusinghiera per me, cli questo onorevole Comitato dell’Accademia di scherma fra i dilettanti delle quattro scuole di Venezia, all'onorifico incarico di tenere una breve conferenza che serva di prologo, dirò così, alle brillanti frasi scher- mistiche che stanno fra poco per scaturire dai rino colloqui fra ferro e ferro ; io volgo estatico gli occhi ame di ; per jono di religiosa “dai d intorno, per contemplare, pieno di religiosa Ammrazione, questo meravi i a di cui ogni pi glioso monumento parlante etra attesta una vittoria e una conquista el Y . UN { i g RI Mare immense dove i Veneti oscurarono la gloria dei Fenici e de lo scettro e vi » Cartaginesi, dopo averne ereditato lè sno ali vit Umpero; spiegando il leone di S. Marco È di i di 0 su tutto l'Oriente, fino alle antiche oe taMmani; ; FE i Mo Mentre Marco Polo conquistava, mo. su qu ralmente, l' impenetrabile impero dei Mongoli e dei fgli del Cielo. Allora la mia mente trasognata e in balia (li quelle astrazioni telepatiche che divagano nel mondo N deifantasmi,sitrasportaa quei tempi gloriosi del medio È cvoitaliano, ovesi vedevano come dice l’Alichieri: ò È . Cavalier mover campo iù E cominciare stormo, e far la mostra, 3 y Ò e gir gualdane, Ro Ro Ferir torneamenti, e correr giostra, si ; ss Lal i R RA — Quando con trombe e quando con campane, | i | Con tamburi e con cenni di castella, pio3, E cose naturali e cose TSHRLOI pr “e sa LE a Liza per SA un SRI una sci: rp: Un fiore, i STINO Quindi, nel vedere intorno ame questa gentile corona | cli vaghe dame, di vispe donzelle, di baldi giovinotti, i - di proceri maestosi e di brillanti ufficiali, e contemplando questo azzurro cielo che è sempre stato il sogno | poeti e dei pittori dì ogni nazione: suggestionato il i A Spirito da quest’ ambiente paradisiaco, dove gli ettl | marini sì confondono con 1 olezzo edi profumi che i traspirano dal vago sciame femminino, paemi a essere a DR ato come il RA E Ra 48. a mia festosa Provenza coronata di mirti è d’olivi come l’Argolide dei poeti ellenici gi dsl stere ad una di quelle corti d'amore. 0 o È quei ludi floreali, dove tutti i maestri della g@%4 SH vili d’armi in amore, trovatori, menestrelli accor- niono, nell revano per le prove del loro sapere nella giostra, nella quintana, e nell’improvvisare lai, madrigali, coble, serventesi e romanze. Cav. Dott. ALzeRTO Couennt Conferenza sul tema Lu scherma nei poemi epici del Tasso e dell’Ariosto tenuta a Venezia nel cortile del Palazzo Ducale. Da UN DETTO 0 ESEMPIO ILLUSTRE. un pensiero: il bene all'ultimo respiro la vita al allo studio di adempiere la sua missione ». Questo è il giudizio che S.M. Margherita di Savoia © orante nella suà fede rac- uesto stesso è il giudizio che © pronunciò col plebiscito di gno, di rimpianto. alla me- di esecrazione all’assassino. Commemorazione di fatta dall'on, H € Amb il popolo; non ebbe che della patria; sagrificò fino dovere ed piangente sul cadavere Chiusa nella preghiera; q Il popolo immediatament Commiserazione e di sd Moria dol Re, S..M. il Re Umberto ACCHI a Cremona. TTORD S « Signori — Vincenzo Gioberti scriveva al Massari da Parigi: « Il vostro affetto vale per me più di quello di cinquanta Principi e cento Ministri » ed in queste parole dell’insigne filosofo si scorge l'armonia di lui, | nel pensiero e nelle aspirazioni, col patriota napole- È i tano. Del Massari si può dire ecc. » È Conte G. CAPITELLI. — Commemorazione x \ di Giuseppe Massari fatta nella Sala $ ) Die Vega dell’ Hotel Royal di Napoli, E ch . E 1000) DA UN'APPROPRIATA CITAZIONE. «PRG 5, Sia per la entità del programma e la sua estensione, che si può dire abbraccia tutto ciò che all’ igiene degli alunni e della scuola si riferisce. Ma nonostante ciò to mi sforzerò di corrispondere all’ impegno assunto nel modo migliore che mi Sappia, facendo pure asse: È gnamento sulla vostra indulgente bontà. » i DEFINIZIONE « L’igiene della Semola, di vista generale, comprende, fisica, vale a dire, 1° igiene d nei loro rapporti imi priamente detto, o l’ igiene Morale, cos gogica, ossia | ice Considerata. da un punto: da una parte 1° igiene egli scolari ‘considerati nediati con il mezzo scuola pro- ® dall’altra, igiene intellettuale e ne uu i, studiati nei loro l Sistemi di educazione, VIZI giò . È sa « Quest IgIche pedagogica “mergerà da tutto cid che io esporiò relativamente allo svilupp fi ‘o i bsicologieo del bambino. 11 Pesto della n si _ Bogica, propriamente detta, i sarà trattato con la dell'igiene fisica dei fanciulli, in quanto ha rapport. p: con la scuola, e della igiene della scuola in quanto di questa esercita. la sua influenza sulla salute degli scolo: ) = Sio (PAAIZIONIE LR n a “ doo adunsue è lo scopo no sì ì prefigge Programma stabilito. dal Regio Ministero e | che i Eb svolgerò nell ordine seguente ecc. VI QI a doo 3 n 3 È 5 sr per îe; natura dell vo =.cic si che lo RI di essa è dele ul ben delineare w Lon Ù intenda i in dns (be troppo ristro " Ren Da breve i) da Pe —' | pure; el: La partizione, lo abbiam Mo no, i | Simo; serve per annunciare i varii punti in cui sì di- - viderà il discorso. Deve farsi in modo che ogni parte «di essa sia ben distinta ed ordinata, di guisa tale che o serva di intelligenza all’ altra, giovi alla memoria: di chi dice e di chi ascolta e sollevi il pubblico dE un attenzione continuata facendolo riposare a brevi - si intervalli. Nella partizione dev esservi anche una certa progressione, di modo che il convincimento, la | persuasione vada costantemente crescendo. La partizione è inutile quando il soemetto è sem- | plice di sua natura. | Ecco un chiarissimo’ LA esempio della definizione. Prop OSIZIONE c Farò arcomento dell della digestione. a odierna conferenza |’ iolene FERTATZAA Derrn1iz LONGO) Ra € Digestione Sì chiama | ti introdotti n conservarlo eda CR Rousspav Discorso que Segna politica. la Ego c dc Ed ceco un esempio semplicissimo della partizi « Per rispondere, o signori, io non seguirò pass i | passo ì varii oratori che hanno ES il trattat giano questo; sistema mi costringerebbe a moli | lipetizioni, m ma vedrò di fare in modo di non “che nel complesso del mio dire rimanga senz «alcuno dei principali argomenti de’ mici uv i € Onde la Camera però possa portare | | giudizio sulla politica del Ministero, io mi Ia gore ANTA di farvi dapprima una breve e succinta relazione delle negoziazioni, e di dirvi quindi i motivi che hannoind il Ministero ad accettare il trattato, per pi endere ultimo ad esaminare gli appunti che contro il tratta: | Sono stati diretti. > i E nie VAPITOLO VII. Confermazione eniaMo ora alla sostanza del NA: TURANZALO Nea n: ._ La narrazione è il racconto dei fatti ©. nella, forma. più adatta a persuadere. i Po La narrazione qualche volta si ommette, e cioè î Pe quil: fatto è stato. SSRRISICOE narrato da gua n cche c noti che si i ‘stiporfiuo. cia Que invece alla narrazione sì x Dai un — 02 — i La narrazione oratoria differisce da ogui altra: il dire dell’ oratore è più largo, figurato e COLDEO, non solo, ma non tien conto nell’esposizione «del fatto che dlelle sole circostanze che giovano al suo intento, ogni volta che, senza alterare la verità, può ommettere 0 appena accennare le altre. La narrazione oratoria deve esser condotta con grazia, per quanto il com gravità dell’ arzomento » mettendu con accor bella luce le cose favorevoli all’assunto dell? oratore. Il quale deve tener presente il detto antico: Quis; quid; ubi; quibus auriliis; cur; quomodo; a? dove? con quali mezzi? perchè? in qual modo? Tuando?) e cioè che un fatto è suscettibile di produrre Maggiore o minore Impressione : ci Quid) dalla qualità di chi lo compie, dalla sua Map 0 SEO da altre doti di lui, vuoi Quis) dall’essere "appresentato vivamente Ubi) dalle circostanze di porta la tezza in Privato, Quomodo) dall a maniera in Quando) dalle Cui Seguì circostanz e di tempo (luce, buio, giorno LESINA n fatti consimili e commenti relativi; “i AE Rd gliate o principali deli LIuiob dl mezzo TA d5; E vediamo ora quali siano le fonti generiche ria qualunque narrazione. ‘It Pri ]. ORIGINI, CAGIONI DEL FATTO RAGYONTO SOSTANZIALE DEL FATTO (7022140 presenti | 7 7 elementi suindicati) LE CONSEGUENZE DA ESSO DERIVATE; de 6 4. DIFFERENZE che si riscontrano nell’ esposizione del - fatto per parte dell’ oratore dal racconto stesso. come venne esposto da altri; ; 5. SOMIGLIANZA, Ossia paragone del fatto in parola con 6. AMMAESTRAMENTI Che se ne ritraggono, | | de: Con quest indice qualunque persona di discreta col t; tura deve saper.raccontare in bell’ ordine un fatto | qualsiasi. Quest” indice gli deve far. iscaturire le idee, fornire i materiali di una narrazione Ri efficace, — ordinata. NES a i ph Prima di chiudere questo capitolo. amiamo. dare un È esempio del modo di rammentare, colla maggior faci lità possibile, sia le circostazze di un fatto S sia il sezso di uno squarcio qualunque. di prosa © poos ‘ome anche di un intero discorso. Rin * In un fatto storico non importa al lettore letteralmente le parole, ma solo le circostanze — 6B4 — che noi possiamo suggerire è quello di farne analisi col verso sopra indicato (Quis; quid; ubi; quibus auzvilite; cur; quomodo; quando) abitualmente applicato dagli oratori alle diverse parti del discorso, e nel quale si ritrovano tutte le circostanze possibili di un avveni- mento. > Serva d'esempio il racconto seguente estratto dal libro VII delle Storie Fiorentine: - La morte di Ga- leazzo Maria Sforza. € Mentre che queste cose nei modi sopra narrati tra il Re ed il Papa, edin Toscana si travagliavano, nacque in Lombardia un accidente di maggiore momento, e _ CHE fu presagio di maggiori mali. Insegnava la lingua latina ai primi giovani di Milano » Cola Mantovano, uomo letterato ed ambizioso. Questi o che coli avesse in odio la vita e costumi del duca, 3 che nua altra di tesa, erano Giovanni Andrea ti e Girolamo Olgiato. Con essima natura del principe fidenza dell’animo è volontà che li fece giurare che come la loro patria dalla tirannide d- di quelli giovani venne, per l’età ei potessero, Ie quel principe sibererebbero. — Sendo” ripieni adunque: a questi giovani di questo desiderio, il quale sempre ui: cogli anni crebbe, i costumi e modi del duca © di piusni le particolari ingiurie contro a loro fatte, di farlo man- «lare ad effetto affrettarono. Era Galeazzo dissoluto e crudele, delle quali cose gli spessi esempii l’aveano fatto odiosissimo, perchè non era contento far morire gli. uomini se con qualche modo crudele non gli ammaz-. zava. Non vivea ancora senza infamia d'aver morto la madre, perchè non gli parendo esser principe, pre- sente quella, con lei in modo si governò, che le venne voglia di ritirarsi nella sua dotale. \ Sede a Cremona, nel quale viaggio da subita malattia presa, morì. Donde molti giudicarono quella dal figlivolo essere — stata fatta morire. Aveva questo duca, Carlo e Giro- lamo disonorati, ed a Giovannandrea non avea voluto | la possessione della badia di Miramondo, stata al suo | propinquo dal Pontefice rassegnata, concedere. Queste | private ingiurie acerebbero la voglia a questi cloni vendicandole, dì liberare la loro patria da tanti mali. | Deliberatisi dunque a questa impresa, ragionarono dlel tempo e del luogo. In castello non parea. loro sì- curo; a caccia, incerto e pericoloso; nei tempi che quello per terra giva a spassi, difficile e non riuscibile; no conti iti dubbio. Pertanto SERBATOIO in. ‘qualche io pompa e pubblica festività opprimerlo, dote fussoro certi che venisse, ed eglino sotto varii colori vi po tessero loro amici ragunare. Conchiusero ancora che sendo alcuni di loro per qualunque cagione dalla corte ritenuti, gli altri dovessero per il mezzo del ferro e de’ nemici armati, ammazzarlo. c Correva l’anno 1496 ed era prossima la festività del natale di Cristo; e perchè il principe, il giorno di Santo Stefano, soleva con gran pompa visitare il tem- pio di quel martire, deliberarono che quello fosse il tempo erl il luogo comodo ad eseguire il pensiero loro. Venuta adungue la mattina di quel santo, fecero ar- mare alcuni dei loro cendo voler contro la vo più fidati amici e servidori, di- andare in aiuto di Giovannandrea, il quale glia d’alenni suoi emuli voleva condurre nelle sue possessioni un ae quedotto, e quelli, così ar- Dist, al tempio condussero 7 allegando voler avanti partissero prendere licenza dal Principe. Fecero ancora Venire in quel Inogo sotto v AMICI e congiunti, dun nel resto dell’; duo Gi ridursi con quelli la terra dove ere- lebe, e quella con. tro alla duchessa cd ai P dello Stato fare ar- rincipi ia MTAERO i da mare e per questa via assicurare loro e rendere la ni d libertà al popolo. Fatto questo disegno, e confirmata — l’anima a questa esecuzione, Giovannandrea con gli altri furono al tempio di buon’ora. ed udirono messa insieme. Al duca (avendo a venire al tempio) inter- vennero molti segni della sua futura morte; si vestì una corazza, la quale subito di poi si trasse; volle | udire messa in castello, e trovò che il suo cappellano era ito a S. Stefano con tutti i suoi apparati di cap. pella; volle che in cambio di quello il vescovo di Como — celebrasso, e quello allegò certi impedimenti ragione- . voli. Tantochè quasi per necessità, deliberò d’ andare È al tempio, e prima sì fece venire Giovan Galeazzo Ca n Ermes, suoi figliuoli, che abbracciò e baciò più volte, . non potendo spiccarsi da loro. Pure alla fine deliberato ; s'uscì di castello e n’andò al tempio. I congiurati, | intendendo come il duca veniva, se ne vennero ino Chiesa, e Giovannandrea e Girolamo sì posero dalla È | parte dest all’ entrare del tempio, e Carlo dalla si i nistra. Entrò il duca circondato da una moltitudine | grande come era conveniente in quella solennità ad «una ducal pompa. I primi che mossero furono il Lam- ‘ | pugnano e Girolamo. Simulando di far largo al prin: uv se gli SRCOH ORI ‘e OICR a: De corte ed ll 68- Taipoznano gli dette due ferite, V uma nel petto è l'altra nella gola. Altrettanto fece Girolamo. Carlo Vi- sconti con due colpi la schiena e le spalle gli trafisso. E furono queste sei ferite sì preste e sì subite, che il luca fu prima in terra che quasi niuno del fatto s'ac- forgesse. Subito il rumore si levò grande, assai spade si sfoderarono, e quelli ch'erano al duca più propinquì, avendo gli uccisori conosciuti gli perseguitarono. Gio- Vannandrea, ritenuto fra le vesti delle donne fu da Un moro. staffiere del duca, sopraggiunto e morto. Fit ancora da circostanti Carlo ammazzato. Girolamo Ol- giato pervenne a fuggi Mr Fe ed andarsene alla sua casa dove non fu nè dal padre nè dai fratelli ricevuto; solamente la madre lo laccoma ti Saro ndò ad un prete, an- 10 amico, il quale messogli sue case lo conduss uoi panni addosso, alle e. iorni ; 3 - Due giorni dopo, conosciuto, nella Izia pervenne, dove tutto l'ordine Applicazione del verso et i | hai Sopraccennato al fatto pre- Quis? Cola Mantovano, maestro di lingua latina, uomo su ambizioso; Giovannandrea Lampognano, Carlo Vi ‘> sconti e Girolamo Olgiato. È n Quid? Cola Mantovano detestando in tutti i suoi ra- gionamenti il vivere sotto un principe non buono, prende tanta confidenza nell'animo e nella vo- lontà dei tre giovani, che gli fa giurare di liberare la loro patria dalla tirannide del principe; in con- seguenza la sua morte è decisa. Il duca è assas- sinato; Giovannandrea è sopraggiunto e morto da 3: un moro, staffiere del duca; Carlo Visconti è ue- ciso dai circostanti; Girolamo Olgiato cade nella | | podestà della giustizia. si ‘Uni? Galeazzo è trucidato in Milano all’ ingresso della o chiesa di S. Stefano, ch’è scelto a preferenza del | i castello, del luogo della caccia, del ‘passeggio, del convito: due ferite le riceve nel petto, due de nella gola, una alla schiena e l’altra alle spalle. > Quibus CUTE Ii armare i iena più fidi AUS di niro licenza dal principe, prima di andare | in aiuto di Giovannandrea, che. voleva condur un acquedotto nelle sue possessioni. Cur? sar liberare la patria di un PRE SEDI uomini, se con qualche modo crudele non gli am- mazzava, che ha fatto morire la sua madre, che due congiurati ha disonorati, ed all’altro ha rifiu- tato la badia di Miramondo. Quomodo? la mattina sentono la messa insieme: il duca non può far celebrare in castello nè dal cap- pellano, nè dal vescovo di Como; depone la corazza; non si può spiccare dai,suoi figliuoli. — I giovani congiurati, simulando di far largo al principe, con armi strette, acute e nascose, l’assalgono. DA Il duca cade prima che niuno del fatto s'accorga. Il rumore si leva grande, e assai spade si sfode- È rano. — Qlci : i È È Olgiato procura di nascondersi vestendo — 1 panni d’ un prete ; muore con coraggio pro- atine; mor s_Qcerd : anno 1496, 26 dicembre. (na . Descrizione € 9 seche inerenti al 0, tratto considera | i, estesamente e minutamente le cose e le persone. I principali argomenti intrinseci (che sorgono cioè 4 I dalla cosa stessa di cui si discorre) sono — oltre quelli ; giù indicati parlando della narrazione — i. Sede l. LA DEFINIZIONE RARE x i "da SR o) Lola col del raz | del tutto e di ognì parte, esternamente e interna 3. LE QUALITÀ REST (materiali pure, NR da esaminarsi in modo ARE O ea x cliamo quì della descrizione di ciò che Srna DAG a ì gno animale od al botanico. In JUesto So se ne î Scrivono gli organi e le [oro funzioni e si seguono in tutti i periodi della loro vita animale o et _ Sarà mai possibile dimenticare qualche cosa 0 DrORZ (li materia od esporla male, a sbalzi, a ritroso, se poniamo mente che la nostra descrizione deve cominciare dal nascere e terminare al morire, com nascere, il respira; il crescere, il trasfor il morire. prendendo quindi; il ‘e, il muoversi, il sentire, il nutrirsi, marsi, il riprodursi, l’ammalarsi, LE QUALITÀ ESTETICHE ne per enumera Semplicità, elecan 6. LE QUALITÀ’ INTELLETT zione, intelletto, volontà, e Le qualità materiali v an di talvolta, alle estetiche tal alt intellettive sempre. NE (memoria, immagina - cc.) We ù deine SI È Or ci si dica se con quest’ indice possono far difetto LE le idee. Certo esso non mette veruno in grado di parla; «i cosa di cui nulla sa, ma fornisce i materiali per un discorso ordinato, ricco, pieno; ma rende certi che la parola non può mancare, che del subbietto si diseor-. verà senza mai perdersi e confondersi, senza mai alterare ordine. il più rigoroso. Relazioni. sono le qualità estrinseche, de qua è che sono fuori della cosa dun ina To parlo a mo? d’esempio di un estro e ne enu le bellezze, quest’è la descrizione; lo confronto altri teatri, queste sono le SI I principali argomenti estrinseci sOnO: l. LE LEGGI (relazioni tra la ‘cosa; in leggi naturali, umane, divine, RITA FRZDIZIONE OSEASGRAMA 4. 1 MONUMENTI (materiali [muti e parlanti] ) — morali [istituzioni 0 cerimonie che celebrano qualche avvenimento] ) O. I DOCUMENTI 6. IL GIURAMENTO T. LE TESTIMONIANZE (divine ed umane — rica- Vate dai libri sacri o profani) LE INFLUENZE (attive e passive) IL GENERE E La SPEGIE 10. cauSE E CONSEGUENZE Il. TEMPI E LUO due occhi della Storia) MEZZI E SCOPo* GHI (Geografia e cronologia, i gl’elementi Telazioni colla Cosa in discorso, che possono fornire va Dimostrazione A © come quella che si propona di convincere È l'uditorio. Ad essa molte cure dedicarono gli Goal e molti scritti ci lasciarono al riguardo. Î ha Ed ecco le norme più IR PeR cloyere della prova. Nei delitti la prova spetta al P._ % M. ed alla parte lesa; nelle domande che han per fine. un possesso, un godimento, la prova si addice a chi la fa; in tutte le asserzioni, la prova si addice a chi. le adduce. Dunque è nostro interesse, potendo, caricar I l'avversario dell’obbligo della prova. ì 2. L’ostinarsi a negare ciò che è innegabile, “SÉ Yidente, nuoce anzichè giovare. In questo caso è a me- glio cedere spontaneamente. (Quintiliano). ELI Quando non si sa che sos contrapporre al un vittorioso argomento avversario, i Mio terl». Non potendo confutarlo sp buoni ut. l'occuparsene non vale che a richiamar 1 RON su di esso ed a persuadere chi ascolta du > tratta cli una ragione vittoriosa, irresistibile. Così dice CICERONE (vedasi). Quintiliano suggerisce di contrapporre all'argomento Senza replica, altro argomento di ugual valore: tutto sta nel trovarlo; che la cosa sia. però possibile Li abbiamo esempii numerosissimi, Specialmente negli studi intorno alla patria di tanti uomini sommi (Colombo P. es.) per la quale ognuno trova ub- biezioni serissimo, questioni insolubili, di guisa che la cosa finisce di necessità col restar dubbia. Ma poichè giudizialmente il dubbio sì risolve sempre a favor dell’accusato, per un difensore. costituisce sempre una vittoria ìl far nascere cot; al dubbio. 4 Come i giornali p er esser letti han bisogno della massima chiarezza, cos) l'oratore per piacere al suo uditorio. La chiarezza non Sarà mai soverchia in Chi dee parlare al Pubblico: quindi grave errore la troppa brevità, S PIREO NAPO OPERAI IAT ON " URI g: 3 de % n è. La n * = ai _ — 79 — intuitivo e l'oratore dee persino serammaticare se senza di ciò non verrebbe inteso (S. Agostino). Nelle repliche cominciar dagli argomenti più deboli della difesa, come se non valesse la pena di oe- | cuparsene, e finire ai più forti. È 6. Si lascino agli avversari, sì rispettino, si riconoscano le ragioni che essi hanno, affinchè essi sen- tansi impegnati a riconoscere quelle che abbiamo RORA ui si conceda cioè quanto sì può per ottenere ONESTO SDO vuole (Franklin). x 7. Una delle arti dei grandi a, nelle RE sballate, è di divagare dall’ argomento e abbagliare — Sa giudici e pubblico con un mare di belle e splendide | A parole. Ogni parola suscita un “idea. Far passare dei vanti alla mente degli uditori un mondo di idee belle, vivaci, brillanti, sopratutto nuove, originali, anche. a costo di esser eccentriche ; stordire, far del chiasso, dir cose CA IEGGUA ole ER No dire. In una causa sd catia Ve a a del pubblico, uscendo «dal terreno vero della dise | sione (Veronesi). i 8. Quando non si può rigettare l'obbligo. | ; prova sull’avversario, confutare preventivamente | o Obbiegioni e gli argomenti fa Rico de " $ È F pi CERN questo difficile impegno, le ragioni avversarie sono distrutte prima di esser messe in campo. La confutazione, scrive il Rodella, è la parte in cui si ribattono le ragioni dell'avversario. E quì, » l'avversario ha già parlato, e allora non facciamo ci seguire mano mano le ragioni messe innanzi da lui e le cerchiamo di distruggere; o non ha ancora par- lato, e allora le preveniamo. Nella confutazione si ri chiede: — acutezza di mente per iscoprire i difetti delle ragiori contrarie, pronto ingegno e pratica per sape! cog lierle nella parte più debole. In questa parte del. l’orazione può ‘tornar in acconcio una fine ironia, Senza però mettere in dispregio l’avversario ; uno scherzo urbano ser virà meglio a distruggere l’effetto degli argomenti contrari e a confondere |’ oppositore. La confutazione deve essere coordinata alla narra- zione, alla descrizione, allo relazioni e in essi devesi tener calcolo dei seguenti elementi: — l. DEFINIZIONE. Dalla definizione gi possono trarre argomenti a Per esempio: « La filosofia morale Una scienza che insegna all’ uomo di PR IrRO 5 farsi migliore, © più felice; donde subito si vede > niuna altra disci- plina poter essere nè più illustre, nò più magnifica. » (Aristotile) Si può argomentare dal tutto alla parte, dalla parte pe gn TS = wo abbastanza CONVINEAATA Tizio » fu trovato IGO azar DRCOLA E NL CREDI Ia DERE À SICA MRI al tutto, dal genere alla specie, dalla specie al genere, dal più al meno e dal meno al più, dagli antecedenti ai conseguenti, da questi a quelli, dalla causa agli Si effetti, dagli effetti alla causa. i È ben naturale che per essere eloquenti. one È conoscere le leggi del pensiero in quanto si riferiscono — È all'arte del dire.-« La quale arte, sostenendosi princi- pe: palmente sul ragionamento, si vuol giovare di quella | che insegna a ragionare, e chiamasi logica. » DIL 2. ENUMERAZIONE DELLE VARIE PARTI DELLA DEFI- NIZIONE E PROVA DI ESSE. e e SOMIGLIANZA. CONTRARII E REPUGNANTI. Cont 5. causa ED EFFETTI. — Dalla grandezza degli. effetti si fa arguire quella della causa o vicegeras sd ANTECEDENTI E CONSEGUENTI. GENERE E SPECIE 8. SIMILITUDINE, E AUTORITÀ. 30! NOIE 9. ESEMPI. ni 10. AGGIUNTI DI CIRCOSTANZE DI TEMPO, MODO, EBR- SONA, ECC: 1l. METODO DELL’ ESCLUSIONE. ri molto SETLO por suicidio. Se noi proviamo che non uù essere RO per tre di queste cause, resterà ben DIRI ch è morto per la quarta, benchè a prova di essa ci man- chino gli argomenti diretti. 12. FRA DUE MALI IL MINORE 0 FRA DUE BENI IL MAGGIORE; TESTIMONI. I4. DOCUMENTI PE MONUVENTI. 15. LEGGI NATURALI, UMANE, DIVINE, RELIGIOSE. 16. ESPERIENZA. | I7. uso — voce PUBBLICA CONSENSO UN.VERSALE NEI DIVERSI TEMPI E LUOGHI. Ecco un brevissimo esempio del Ta « Dee Lozio ragioney S80; Olmente esser fuggito, poichè avere nè amicizia nè buona, 0 tale almeno gi nell’apparenza. (contranit e vepugnanti) » : “€ Ove Pozio signoreggia luee raggio di Ingegno, ivi non vive pensiero di Eloria e d’immor- talità, ivi non apparisce nè immagine, nè pur ombra 0 vestigio alcuno di virtà. (causa ed ePetti). » « E siccome gli Stagni © le paludi, putride diven gono nella loro quiete; così i neghittosi s Îvi non ri marciscono ’ ii li peer si . nell’ozio loro; € ragionevolmente possono così Dod Ta esser chiamati, come quelle acque morte si chiamano. (somiglianza) > « Quanto le cose contro natura sono peggiori, più odiose e detestabili delle altre, tanto più ozio deve esser fuggito, non pur com’ avversario @ nemico, ma come corruttore e distruttore della ragione, del senso, dell’ umanità. (genere e specie) » 5 « Esercitano le fiere e gli augelli ed i pesci, eser- citano Perbe e gli sterpi e gli alberi, gli uffici loro. pi: Quo, natura: nessuna di tutte i cose. conte- e starsi Le i, a luomo de ei È non eseguirà quello a che fu PERA È (esempi, leggi naturali). > Li È : Chiusa I rimane a parlare della chiusa, la quale, 7 siccome abbiamo detto, si compone di quat- Èo Ntro parti. i Moe. La conclusione, riassume brevemente la so-- È stanza della dimostrazione: deve esser breve ed efficace; fi tar rimarcare, imprimere nella memoria, i punti salienti et di argomenti capitali delle addotte ragioni. fi La ricapitolazione invece, raccoglie per sommi capi | ed in poche ma acconcie parole tutta la sostanza del SIE perchè l’ uditorio le abbia ben ot alla. c Ma per non tenervi più a bada, J0coE ] o capi del mio discorso, e poi scendo. Deesi contribuie lenaro per mantener. le soldatesche che nen) Nformar i disordini che per avventura vi. allienano; Non già alla prima querela sbandarle; Si BOSIO da Spedir ambasciatori per ogni parte che istruiscano, ammoniscano, promuovano a tutta possa il ben della patria; sopra tutto debbonsi punir quei malvagi che — vendettero la loro fede al nemico, ed averli in abbor- timento e distruggerli; onde i buoni e leali cittadini si compiacciano d' essersi y . . . ® a A e appigliati a quel consiglio che più giovi e a loro stessi ed al pubblico. Se così vorrete governatvi, se vi scuoterete dal ‘vostro lungo sì, spero che la sorte ancor cangi fac- cia, e lo Stato rifiorisca e rinvieo letargo, spero, gorisca. Ma se vi sta- rete tuttavia sedendo a vostro grand’ agia, attenti. solo sino al punto di batter le mani st ad un dicitore, © colmarlo di vivi elogi, poi smemorati, come dinanzi, | © inoperosi, e infingardi; no, Ateniesi, tutta v umana » pradenza non varrà mai da sò sola a sulvar da patria — «lall’eccidio che le SOVLEStA. DEIANA 1g E | Rd EIZO ron (Filippica lutorno al Chersonoso) ) } h fact ta omegna a La somma del mio discorso è ICORI questa, ieitori non vi rende . RO Panno giammai: i le so e nè stolti; voi sì li farete essere tutto ciò, che a voi sarà in grado. Conciossiachè non siete già voi che | mirate a quel segno che vi vien da loro proposto bensì essi tendono tutti cold, ove vi scorgono coll a- ; nima e colle brame rivolti. Voi dunque, voi dovete a voler la salvezza della patria, e questa fia salva. Per-. ciocchè, o non. ci sarà chi osì darvi tristi consigli, 0 questi torneranno vani, non essendoci tra voi chi alla loro seduzione acconsenta. » (Arringa intorno alla distribuzione DA dei cittadini.) È La percrax ione, o mozione degli affetti, procura di ‘trionfare sulla volontà. Nelle moltitudini specialmente, pi iesale passioni essendo potentissime, il sentimento el iti n fantasia hanno il sopravy ento sulla ragione. | |. Non soffermarsi troppo in questa, ch'è la via del | altrimenti si ingenera stanchezza e 1° effetto. eno dimezzato. Gli elementi della i ‘Cuore ; ; | mne vien sciupato o alm | perorazione sono e: Ì. IL CONFORTO © 2 LA PIBTA' (coll’enumerazione degli altrui và 3. n'amuLaZiIoNE (coi nobili SRRRRL di LA SPERANZA in o AE LA MANSUETUDINE bi Si ZIAURORSE 6. L'IRA E L’oDIO, in quanto si promuovano lede volmente contro la colpa 7. 1’ ENUMERAZIONE DELLE VIRTÙ della persona per la quale sì perora 8. IL RICORDO DELLE UMANE MISERIE per indurre all’umiltà. Colui può farmi piangere, sentenziò a questo riguardo Orazio, dl quale senta già dolore, cioè che abbia E nell'anima sua quelle passioni che vuole in me risve- gliare. Difatti, chi non ha il cuore, prima ed unica sorgente degli affetti, penetrato da quel sentimento che vuol suscitare negli altri perde l’opera ed il tempo. Ecco un esempio di Giovanni Grisostomo: c Or eccolo ridotto all’ ultimo avvilimento: eccolo i cattivo, inferiore al più miserabile degli schiavi, al | più abbietto supplichevole, al povero la cui mano è Stesa per implorare l’elemosina del passeggero. Sulla sua testa, sotto i suoi occhi stanno ognor sospese © sguainate le spade; ad ogni istante ae si aspetta . l'estremo supplizio e misura nel suo Se ni via che conduce al palco. Ai piaceri che ‘eli procinto la prisca sua opulenza, succedettero i camnefici, Al il ricordarsi del tempo felice non può distrarlo nemmeno un momento dall’ idea della sua sventura. J e gii Ma come trovar parole adatte a dipingere P or- DS rore della sua situazione e la crudele agonia ch’ egli soffre? E perchè mi sforzerei io di farlo, mentre tutti ne siamo testimoni? Lo avete pur veduto ieri, quando vennero dalla reggia per ordine dell’imperatore a strapparlo da questo santuario, dove egli avea cerco un asilo. Il pallore di morte ne indicava lo spavento, bi: di cni non è ancora rinvenuto oggi: tutto il suo corpo | scotevasi d’ un brivido mortale, nè aveva membro che si non fosse ‘agitato da tremito convulsivo; la voce in. Ro: d terrotta dai singhiozzi, la lingua balbettante, tutti î È sensi agghiadati pel terrore, presentavano lo spetta- | colo d’un uomo moribondo, e già cadavere. Io non ‘Si voglio aggravare la sua miseria coll’ deraate A quando essa ormai non dà luogo ad altro sentimento che alla compassione: e questa per lui imploro. Quanto A più grave è il suo infortunio, più deve mitigar le ‘nostre ire, calmare il corruccio dell” imperatore, e muovere a pietà quei duri cuori che poc’ anzi udimmo lanciarci rimproveri perchè non gli abbiam negato î l’asilo del santuario, che egli veniva ad invocare. — i Che cosa avvi mai in questo, o miei fratelli, che vi. debba irritare? i « Come? (rispondete voi) accoglieremo nella Gi un uomo che le fece una guerra implacabile? st « E nen dobbiamo render piuttosto gloria al Signore, che ha trionfato del suo nemico a segno da ridurlo a nonaver altro scampo che nel potere e dla e menza della Chiesa? Sì, nel potere di lei, poichè egli cadde in questo abisso di miserie per GE SAILE stato il nemicò; nella clemenza, }cichè oggi ella si com- piace di coprire della sua cgida il suo più CRUISE persecutore, di ricoverarlo sotto le sne ali, di porlo in sicuro daria violenza, e di schiudergli il materno suo seno con tutta l’amorevolezza; invece di vendicarsi clelle sue ingiustizie. Può forse darsi più splendida vittoria? trionfo più luminoso? € E che, mi direte voi; un vomo macchiato da tanti ilelitti, un pubblico ladro, reo di tante concussioni, ‘Farà introdotto nel santo dei santi? e eli amplessi di siffatto uomo saranno un con quisto, un trionfo per la Chiesa? i « Adagio, o fratelli: voi dimenticate che una pub- blica peccatrice venne a pittarsi ai Piedi di Gesù Cristo e che li tenne abbracciati; e lungi dal farne un rim- provero al nostro divin Salvatore, abb iamo un motivo di più d’ammirare e di riconoscere la sua bontà. Ba- date bene che questo 240 “Pparente non sia prattosto destato da un segreto desiderio «di Vendetta; vi rsov- Yenga che siete discepoli di quel Dio che sulla eroce ta fi a RITA iortizoi CURSI i i) 3 È DI diceva a suo padre: Padre, perdona loro giucchè noù sanno quel che si facciano. c Sarei io riuscito a muovere i vostri cuori, attutire — le vostre ire? L° rt avrebbe mai dato Mec veggo scorrere dai subi occhi. »_ Il fine è destinato, già lo dicemmo, a ringraziare - l uditorio ed a lasciar grata impressione. Eccone qual che esempio. È SSL PURA onde mi avete paro vi aa Pen e n Voi pure siete stati messi, nei vostri ue DE vostre industrie, a dura prova dalla crisi interna q “e da quella che imperversa ancora al di qua, e al d a dell'Atlantico, ma la bufera, se vi ha colpito, n ‘vi ha travolto, ed è questo il mie i argoment della vostra vitalità. Avanti dunque; nelle Mao ) abiti e dei feriti; i deboli cadi vono; se qualche vostro stabil — resteranno SREDIO, MO RR IA strie il commercio genovese. Il governo è con voi SA perchè il governoècon chicombatte e lavora; guardiamo (quindi insieme l'avvenire con fede nell’ Italia, nel suo Re, nelle sue libertà, nel lavoro. Ministro Barazzuosi a Genova « Se una gran legge di natura suona che tutto ciò che ha un principio debba avere un fine, v'è un'altra legge di opportunità, quella di finire in tempo. Ed io fipiseo citando un altro fatto conosciuto in appoggio el principio psicologico di eredità, il quale se si im- pone come vedemmo all'individuo, alle famiglie, ai popoli ed alle razze, si impone anche ai pubblici] dei. quali aleuni si mostrano sempre arcigni ed inconten- tabili, altri gentili ed indulgenti sempre. E per mia 3 Sla gentilezza e }° indulgenza sono sentimenti ereditari, atavici in queste sale, > Sat Conferenza sull’Eredità del Dott.'v TEDESCHI A PRE atri 5 CARON, più Feguenfi. e palo e Verato lo sbadiglio, originato dalla stanchezza noia. Tani EZZOGO, dalla $ SG « Lo dissi prima, e dissi pure quanto si se a — la sua contagiosità. È EE 3 « Non ARpirerei Invero al averne subito an prova 0 n Ri STR: tute se Ne poco ambita, nè vedere gnì Isorgere una RI Fase Cer epidemia di sbadiglio, per contagio imitatorio. Per cui fo punto! sperando che si sviluppi invece nel mio gentile uditorio, il contagio di una benevola indulgenza. Conferenza sul Mal del Secolo del suddetto. Uditorio cortese! Ho finito il mio dire. Se taluno di voi, uscendo da questo edifizio, mi dovesse incontrare col sigaro in bocca, mi faccia la grazia di non pensare col Tolstoi, che nella ebbrezza. nicotinica io cerchi di assopire la mia coscienza de- pressa ed aggravata dal rimorso di quella noia che so benissimo di avervi cagionata, ma per la quale voi con. gentile compatimento non vorrete tenermi il broncio. » OGG VC Conferenza sull'/giene del tabacco, i del Dott. Xypras. ) Ecco qualche esempio intero di una chiusa: « Voi avete pel passato reso questo servizio all’ Italia: colla condotta da voi tenuta per sette anni, dimostrando nel modo più luminoso all’ Europa come gli x A | italiani sappiano governarsi con saviezza’, con prudenza, con lealtà. Sta ancora a voi rendere un ua Sali | se non maggiore servizio: sta al nostro paese a di- s mostrare come i figli d’Italia sappiano combattere da valorosi sui campi della gloria. Ed io sono certo, o signori, che gli allori che i nostri soldati acquisteranno nelle regioni dell'Oriente, gioveranno più per le sorti future d’Italia di quello che non abbiano fatto tutti coloro che hanno creduto operare la rigenera zione con declamazioni e con scritti. « Io ho fiducia, 0 signori, di avervi dimostrato come il trattato si debba accettare per prepotenti ragioni. Credo di avervi dimostrato altresi come. esso non possa sortire gravi inconvenienti economici e . finanziarii; come dal lato militare non presenti quei pericoli che da taluno si vorrebbero far paventare; finalmente che esso deve avere non tristi, ma liete conseguenze politiche. « Con ciò, o Signori, non ispero di aver convertito alla mia opinione quegli oratori che combattono questo grande atto del ministero: ma almeno confido di ; avervi tutti convinti che nelle negoziazioni che lo hanno DICI non vi fu atto che potesse. meno- iuderio non ijrono da, altro animati che dal sincero j Dili e Fota Cn: causa Do HberRy cu MOT EE DES LT MIST RT ENTER, ROMERO ia sempre li animò e che sempre li animerà e come mi- nistri e come cittadini. Discorso Cavour alla Camera. Signori! quest’ ‘ultimo pensiero tronca le parole anche sul labbro mio: la pietà mi stringe: più che di par lare sento il bisogno di pregare; ma non posso metter termine al mio dire senza dirigere un ultimo affet- troso saluto a quei valorosi: « Salvete dunque, o degni figli di una schiatta di eroi! Salvete o generosi, che dalle terre africane dif- fondeste in tutto il mondo la fama dell’italo nome, mostrando una volta ancora, che ALAN l'antico valore Negli italici cor non è ancor morto. Ah! voi cadeste lungi dalla patria, voi moriste senza i baci e senza il pianto dei vostri cari; le vostre spoglie — insonguinate riposano in una terra che non vi fu madre; ‘forse le ossa di qualcuno di voi giacciono tuttora in- sepolte, esposte agli insulti delle fiere ed al ludibrio degli elementi. Ma se noi non possiamo rendere | gli estremi pietosi uffici ai vostri corpi, noi pregheremo per le vostre anime generose il riposc eterno nel grembo del Dio delle misericordie : noi ci faremo dn dovere di impadronirci dei vostri nomi per consegnarli cinti. di luce e di splendore all’ammirazione ed alla ricono- ssoriza dei secoli più lontani. « Sil i nostri figli e i figli de’ figli, e quanti nasce- ranno da questi apprenderanno dalle nostre labbra Ì vostri nomi, e li custodiranno nei loro cuori come RE mblema più puro,come l'ideale più elevato della fortezza, dell'eroismo e del sacrifizio; e dal vostro esempio dp prenderanno che l'amor di patria non è un Do me vano senza oggetto, una parola che suona e non crea, ma è un sentimento forte e gentile, un principio fecondo di alti e sublimi insegnamenti, una passione m agna: nima inspiratrice delle più generose azioni: è la virtù dei forti che sacrificano la vita al bene della società: è P'eroismo dei prodi che consacrano tutto Sè stessi i al bene dei fratelli: è 1° orgoglio santo di un popolo | che conscio della sublime missione che la divina Prov | videnza. gli assegna su questa terra, ‘soffre, combatte w è spera, fiso lo sguardo al benessere comune, l’animo e; OSO ai futuri destini che Dio riserba all’ umanità! » Sac. Dott. LuompLLI _ Commemorazione dei Rio di Amba SOL SA NR SEO CAPITOLO XII io vertono tutti n coni alla persona di cui si vuol parlare, e quindi è in- ? dispensabile avere conoscenza speciale della vita, dei costumi ecc. delle persone medesime; per poterne — parlare, se non ampiamente, almeno in modo completo. Gli elementi della vita d’un uomo sono ì Segre n 1. Naserra (luogo e tempo) 2. Genirorr ed avi (occorrendo) 3. Epucazione Avura (inclinazioni naturali educatori metodo educativo risultato) srl | 4. Istruzione (maestri e scuole — studii e viaggi) 5. RirRATTO fisico e morale — (vedasi, quanto | sh È | dicemmo parlando della Deserizione) Mero 6. OPINIONI (scienza — oo _ go di —_ Ig “= #. PargNTI, amici e detrattori 8. Opere. ( produzioni del suo ingegno scoperte invenzioni libri ecc. 9, Fasa — Giudizio dei contemporanei intorno alle sue opere 10. Oxori (titoli, cariche, attestati, dimostra zioni d'affetto, monumenti, ecc.) Coxpizione economica [patrimonio — luci ricavati dalle sue opere, dalle sue occupazioni eredità donazioni fonti disoneste, ecc.] 12, Aveppoti [ { quali potranno però già essere stati intercalati ad illustrazione dei punti precedenti] 13, Sventune [parte, narrunione la vita, potranno esser intercalate a loro posto] sventure economiche morali [derivanti da inaldicenza e calunnia da affezioni dalle opinioni sue) materiali [colpe, condanne] infermità [dipendenti dalla natura, da disgrazie, da causa volontaria, da offese altrui] 14. Morre (logo e tempo funerali sepoltura) 3A 15. GIUDIZIO DEI POSTERI € monumenti postumi. 16. Uommsi simnianti [differenza o similitudine di tempo, luogo, movente, sorte, ecc.) Come sarà possibile dimenticar parte. alcuna della ita di un individuo conosca lo questa tavola? Come fice seppe così mirabilmente da lontano il conobbero. | tadino, e che scevro di superstizioni come pure sarà possibile non farne un discorso ordinato e com- piuto? AS Feco un bell'esempio di commemorazione funebre. è c Ufficio pur troppo grave al cuor d’ un amico, mi chiama oggi un’altra volta in questo recinto sacro alle ceneri dei nostri più cari, onde inaugu- rare un modesto quanto espressivo ricordo, che Daf: fetto e la riconoscenza Vostra, volle dedicato all’ esi- mio concittadino, all’amico del popolo, all’illustre | letterato ed archeologo del quale tutti deploriamo la fine. wi “« La bontà dell’ animo ingenuo che Pegregio arte- ritrarre in quel freddo marmo, ben vel ricorda 0 Cittadini, è quella stessa che appariva in volto, © si manifestava nei modi dell’ esemplare sacerdote Tommaso Torteroli ; edi. è > appunto quella che lo rese grato ed- ammirato sai ‘Voi non solo che lo aveste compagno, maestro, par store, consigliere ed amico, ma bensì pure a quanti « Io non potrei quindi che con troppo inadeguate 1 che seppe con- parole ripetere quanto vi consta di lui, | ciliare col proprio ministero i doveri sacri del di pregiudizi di casta, informò così la sua mente al culto del vero e del giusto, che il progrésso sociale non solo non avversava giammai, ma apprezzava, seguiva, e propugnava con affetto grandissimo; e di modi gentili, e per carattere mite e tollerante, ebbe stima, ammirazione ed amicizia da ogni ceto, e da ogni maniera di credenti. Perlocchè, se in me non fosse insufficienza troppa all’alto scopo, più bel campo non avrei ove raccorre fiori di morale e cittadina virtù da porgere a modello di quella della vita del Torteroli. « Ma voi il conoscete, voi pur conoscete quanto | ne scrisse affranto da giusto dolore, 1 erudito e di- stinto fra gli addottrinati sotto gli auspici suoi; e Ja | presenza vostra, ed il vostro concorso, e del Munici- pio, nonchè quello di molti assenti, ad onorarne la salma e perpetuare la cara. memoria,. fanno prova eloquente, e valgono assai meglio di me ad affermare x l'assunto: quindi è ch'io stimo meglio limitare il mio concetto alla manifestazione. del pubblico voto, Fo piceno dalla vita. dell’ Mini Estinto sol quanto È :0 tao cordoglio,, Mi; È | gere al sacerdozio. (e È; assaporare le dolci goti sl 10 marzo 1810, cresciuto da il an 10) Si stie di fortuna in tempi meno propizi a chi DT eredi po difetto, seppe sì tosto educarsi allo studio ed alla” moralità che, distinto fra i condiscepoli, meritò quella stima e quella reputazione d’esemplarità e di sapere, che ben di rado si acquista in giovinezza; e con tale arredo, iniziata la carriera ecclesiastica come quella più conforme alla sua delicata natura, ed unica eziandio in quel tempo, che porgesse facile accesso o al popolano onde avviarsi in società, prescelto dagli pe institutori stessi, e designato ai pensionati genitori per ripetere ed istruire al più giovani, ebbe mezzo di ritrarre qualche sussidio al proprio stato, e si. | procacciò ad un tempo ausilio necessario per giun- n «Io non dirò per filo e per segno come Ei lot- “00 tasse di poi nelle proprie strettezze per non tuffarsi aa È ita parassitica alla quale suol dedicarsi una gran parte di ‘suoi simili; dirò ‘bensì che non | falo) OO la seducente attrattiva, anzi ebbe ad primizie come institutore di ma l’anima del Torteroli non nè fatta all infingardaggine, SE giogo della evirante sirena cin quella v | privilegiata prosapia: m temprata al servilismo, SCOSSO ancora per tempo il VESTO or RIN EMANATE AZURE IIINTEIE INIT Tgr N È È Spa ‘che di già lo avvinghiava, con generoso € fermo ripudio, preferì nell indipendenza coltivare la mente ed il cuore, e fra gli stenti affrontare rassegnato l'abbandono delle burbanzose caste, € sopportare co. animo pacato l’ ironia ed i felini attacchi degli uguali che ne uggiavano il troppo saliente confronto. «E cuore e mente coltivò per onorare la patria, | per consolare l'affitto, per consigliare, educare e pro muovere la gioventù allo studio, I” operaio al lavoro ed all'associazione, e tutti al culto della morale, della libertà e del dovere.cE quanto degnamente siasi adoperato in quel santo proposito, lo attestano i suoi sermoni domeni- cali nel breve tempo che la mal ferma salute gli permise di esercitare, con plauso generale, le funzioni parrocchiali nella cattedrale Savonese; lo attesta l’ap- #20 pellativo di popolare che voi gLimarbto e ch’Egli e GINA moltissimo, dappoichè la ondlarità che. altri compra ol usurpa con prestigio per ‘gervirsi del st: popolo sez mai servirlo,, fu da ni mortata ver la i sua Vul Sings fede democratica, per lamore è a F feno che portò alle arti ed all'industria per la semplicità e dolcezza di ragionare e d° ARNO il x : : pic: popolo. E lo affermato i suoì scritti elaborati pazion temente nell'ufficio di Bibliotecario civico, unico cd x . i 3 AR sha tia Va WE EPICA ANTITESI MIE 7 III O AC IL, rt al ni di ars Me A .oltre modesto compenso concesso in vita a tanto si merito dal suo Municipio. Sa interposti amici, di poter disporre dell ampia gene: rosità di facoltosi benevoli. Quale si fu adungue IL SE 4A reagente funesto del suo misero fine?.. To: dirollo corroborata nel’ ultimo — le amiche- voti cure. ‘« Tommaso Torteroli di costituzione linfatica con andò soggetto in gioventù a fasi e campò malaticcio, con ipo- el che da me e da molti si rammenta ancora, viag d Le NO PIA a loi {che di lui genitori nella matura età manifestarono stranezze di mente ed aberrazioni, si avrà ad esu- beranza onde affermare che il Torteroli per gentilizia e per eventuale“allucinazione fu spinto inscientemente alla fatalità che ce lo rapiva: ed a buon diritto quindi conchiudo che quell’ anima esemplare non è .impu- tabile di colpa. i « Sia dunque condegna lode a voi tutti che col- l'opera e colla presenza vostra concorreste all’ ono- ranza dell’ Uomo il quale, obliato in vita da chi avria | dovuto rimeritarlo, e sorreggerlo almeno nella faticos® via, lasciò dovizia letteraria di affettuosi lavori, e di inestimabile esempio, alla patria ed alla posterità. (Zol ora, Tommaso, dilettissimo Amico, se il tuo spirito angelico aleggia qui ad ascoltarmi, condona e e a disadatto mio tlire: e se pur nonpertanto ques ; LE mio cordoglio alla cara Madre, AR te 3°. SA modesta virtù, che qui stanno a lato art ; > LO, ri altrove del sangue mio ti precedette, ah nell’ eterno riposo. » ; LI il troppo presto, i. un'accusa è un ’ anniegtatla, metter in ridicolo l'accusatore è se non altro un i veder deprimere chi sta wu po' in al s 4 csi (tratta di cause gra avi. i È pari. Eccone qualche esempi futarei in due modi. “nel dire e nel ripetere, Precetti oratorii a ncur il far ridere è un mezzo di difesa, @ 4 sovente metter in ridicolo un'accusa è de- È molirla. Dice il Veronesi: « Metter in ridicolo E V/ vincere presso la DA divertendola, per quel Co0Ì innato ch’essa ha a to. Lo ‘scherzo non è naturalmente ammissibile quanido 2. Una fine ironia, uno stile satirico, giovan del Once i ende a giustificarsi, cioè a con- Il primo è generale; © consiste che i nostri argomenti. sono uno scoppio d’: > Egli aduuque pr un sinistro dirugginar di denti, an'alchimia dialettica da casista, un labirinto di fallacie, di falsi suprosti, di botte finte ecc. Come. ognun vede, queste sono ragioni eccellenti, che por- tano il nostro torto all’ ultima evidenza. > ì A. FRANCHI. t Si suol dire comunemente, mon esservi causa tanto disperata che non possa difendersi con qualche apparenza di ragione; ma al nostro povero avversario era riserbata la gloria di provare col fatto suo, che anche quella regola ha le sue eccezioni; giacchè la causa che egli per sua disgrazia avea tolto a patro- cinare, era talmente sciagurata, che niun sofisma al mondo poteva recarle sussidio. FRANCHI 3. L’'interrogazione sfugge di sua natura alla discussione, poichè nulla affermando e nulla negando, esce fuori dal campo della verità e dell’ ore GIRI mane in bilico fra le probabilità, le congetture, i possibili, i dubbi, i sospetti, i timori, ecc, ec. Tuttavia essa ha sovente nei discorsi una parte efficace come effetto oratorio; sovente una serie di incalzanti domande vale quasi a conquidere gli uditori e ad indurli ad affermare con noi. Il Segneri nel bellissimo esordio della predica del . Mercoledì delle Ceneri, dopo avere annunziato 22); 1 uditori che tutti d>bliamo morire, e aver fatto loro vi: rispondere che lo sanno, che la cosa è vecchia, così | SA ripiglia: — po « Voi lo sapevate? Come è possibile? Dite: e non siete voi quelli che ieri appunto scorrevate per la città così festeogianti, quali in sembianza di amante, qual di frenetico e quale di parassito? Non siete voi che ballavate con tanta alacrità nei festini? Non siete voi che vi abbandonavate con tanta rilassatezza distro ai costumi della folle Geatilità? Siete pur voi che alle commedie siedevate sì lieti? Siete pur voi che par- — lavate dai palchi sì arditamente? Rispondete... » Ecco altro mirabile esempio della efficacia delle in- terrogazioni che togliamo da un discorso del P. Giro- ‘lamo Tornielli, illustre predicatore del secolo deci- mottavo: NT aan “« Etunon parli, o Cattolico, dirà Cristo? Tu figliuolo | del mio Battesimo, tu allievo della mia Chiesa, tu. | erede della mia fede, tu nodrito a’ miei Sacramenti, io ta sposato alla mia grazia, tu degnato de’ miei amori | É egli vero che io ti detti a bere il mio sangue; che. io ti fei pascere delle mie carni; che io ti tenni all | mia scuola; che io ti lessi le mie scritture; che io ti | confidai i miei segreti; che io t’insegnai dalle cat: | — tedre, ti commossi dai pergami, ti ammonii dagli altari? E tu di tanti sentieri d’ andar al cielo, non ne cogliesti pur uno? Tu sarai dunque perduto? Tavrì io dunque oggi a confonder coi miscredenti? con gli atei, dei quali più ampiamente parlasti? con gli ido- latri, dei quali più laidamente scrivesti? coi Turchi, cui pareggiasti d’ intemperanza? cogli Ebrei, cui so- verchiasti in avarizia? con gli Eretici, cui fosti innanzi a bestemmiar il mio nome, a spergiurar il mio sangue, a profanare i miei templi, a beffare i miei sacerdoti, a calpestare il mio Vicario, a violar le mie spose, @ trapassar ogni legge del mio Decalogo e contraddire ogni detto del mio Vangelo? Tu ne vai dunque dan- nato coi miscredenti? Il santo carattere del cristiane- simo non ti salva? La comunione cattolica non ti suf fraga? La mia misericordia, i miei dolori, la mia croce tì rendon reo di maggior dannazione? Così era egli dunque da corrispondere al ben che ti volli, che ti feci, che ti promisi? Neppur con tanto mi meritai che che tn almen ne mici poveri mi riguardassi? Fino di si "un frusto di pane, di un sorso d’acqua tu mi fosti picasa: Non mai da te una visita a me infermo, un | cencio a me ignudo? Non mai di tua mano un con- i i oe a me DEAN ; di tua: casa Au stanza. a me MRS mi fiaccava le braccia e mi rompeva i fianchi senza mercede; per te, erudele, che pur tanto ne avevi pei cavalli e pei cani e per ogni peggior servizio de’ tuoi ; piaceri! Ma forse che io mai mi rimasi per tutto ciò. dal premerti e chiamarti ad emenda® Quid est quod —* debui ultra facere, et non feci? (Is. c. 4; Anima in- d grata, che non adoperai, che non mossi per vincerti 18 all’amor mio? Un giorno trovami, un’ora mi conta della rea tua vita, in cui l’ occhio pietoso della mia grazia non ti seguisse cercando d’ogni tua traccia. Che dolce cura non mi presi per essa di te fanciullo? Per quali orrori improvvisi mi frappos’ io alla eurio- sità maliziosa di quei primi tuoi anni? Quali acuti rimordimenti ti fei io sentire di quella prima libertà giovanile che contra me ti pigliasti? In età ferma per quante vie t introdassi nell’ anima il disinganno dei falsi beni? Nell’estrema vecchiezza di quanti aspetti ti figurai allo spirito il timore della morte e il ter- (00 rore de’ miei giudizi? Ben ti deve ricordare di quei dì solitari, di quelle notti funeste che viso ti presentai, | che scosse ti detti, che parole ti dissi in cuore. Tu stesso alcune volte teco medesimo ne piangevi, tu | stesso mi coufessavi che io non ti lasciava pur un momento consistere nel tuo peccato. Da me dunque non si rimase, per me non istette che tu non Posi a par d'ogni altro arrolarti infra gli eletti. Or perchè dunque ti veggo io qui tremare tra i riprovati? Aniina ingrata, se non mi desti nulla del tuo, almeno il mio rendimi, il mio. Dov è, dov'è la stola bianchissima ch'io pur ti cinsi; gli abiti santi di che io ti vestii al Battesimo? Dov’ è la grazia santificante che ti rendette sì Lello un tempo e sì amabile agli occhi miei? Dove son essì i doni, le virtù, i Sacramenti, le mie piaghe, i miei sudori, il mio sangue? Redde rationem, vedde rationem. (Luc. c. 16.) Domando conto di te, di me, della tua vita, della mia morte, de’ tuoi fatti, del mio Vangelo: redde rationem. Parla, malvagio, parla. In- Ventami qralche scusa de’ tuoi peccati, trovati qualche scampo da’ miei castighi. Deh! Signore, quale scusa a voi che tutto sapete o quale da voi che tutto potete? Peccavimus, inique egimus. Justus ess Domine, et re-. chwn gudicium tuum [B. Reg. c. 8. ps. 118.]. Ma no: Sostieni: che a pienamente convincerti, io vo anche ve- Gere se forse alcuno di mia famiglia mancò alle commessioni già dategli per tua salute. Angelo destinatogli per custode, empiesti tu le tue parti? - Grande Iddio, da quel dì che voi destemelo a custodire, quando mai pin ‘vedeste da lui diviso? Io me gli tenni sempre a lato, or per difesa, or perguida, or per consiglio, Lo soccorsi nei dubbii, lo rinfrancai nei cimenti, lo ammonii dei pericoli, lo £ t; b) RIA sfuggì. La seconda volta vi ferma l'attenzione, 10.4 comprende meglio, lo afferma e vi fa sopra le sue 4 i CO REESTI La a finalmente IL argomento entra pienamente nel sno cervello, vi sì confieca, se ne im- | padronisce. Bisogna però cercare di formularlo volta per volta in modo diverso, con frasi muove, per evitare x la monotonia. D altronde,, anche. parlando bene, Il troppo stucca e talvolta si direbbe CHE Giurati si | vendicano delle troppe ciarle. di chi: abusa della parola. » . Questo fermarsi a lungo. sul medesimo. “pensiero; POE però in ARES guise, prende, il nome di | espolizione. pet È 8. Simile all’ ospolizione i cha luogo è aio no quando un affermazione cnerie od na sentenza si dimostra vera in tutt (a ; It 3 x condizioni particolari. € Cristo fuumile > cceo Ù, sentenza ii 4 ora I le, TAO letto, mimil ves stimento, e vivendo volle. 0% r offerto @ ‘comperato comi nel mozzo dei dottori domandare come disce Giuseppe ossare soggetto. Umi cioè di pescatori: essere hat- tozzato da nomo, e tentato dal diavolo CU minore: senza proprio, viverpoverole pagare il censo. ‘ Villania, oltraegio, vituperio, rimprovero, infamia sostenne. E, dr predicando,, © facendo miraco 3 umil circonciso CIME pi eccatore, SELVO ; polo: ca Maria e a e Mmpagnia aver volle i | Konza difendersi. i a fuggiva la ‘gloria e l’amore ». E ine sn SR i x do Ci È Vasi 1 PASSAVANDI w a RECTO poet £ ‘tore 0, scrivo l'Abate, Fornari, non accade quas vi Chi non lo Saf quale opera di oloquenza non i È NZ Donda? Qu sono d'accordo tutti: Greci, È Di cristiani, antichi è; moderni usano 1 LO ana « Che ammo sia. Dì esempio in mano de asi. il como pot tente motivo della volontà umana. più £ Se i cinesi hanno, fiato di elo i ) @ ‘popoli imporfettamente i 0 Tuo Lù. cosa riducesi ù a degli. osempi. T qual È le tanga, SUnR, l tutt i S RIO che non sieno laudative ricorre frequentissimo l’esem: A pio; onde all'oratore si prescrive, che sia dotto delle SM 3 storie, e ne cavi opportunamente stimoli ad eccitare A Ì È con l'emulazione i suoi uditori ugli atti generosi, 0 col 3 | timore dell’ infamia e del danno distorli dalle imprese | disoneste. L'utilità, dunque, e l'efficacia di questo i | mezzo 0 proprietà dell’eloquenza è indubitato » i 10. Di costa all'esempio va la parabola e. l’apo- Vari logo, di cui è diverso però l’uso e 1’ ufficio. Quella è sempre discorso grave e di grav e eloquenza parte; (3 l'apologo, salvo rari casi, pende sempre nel faceto. Mi E qui pure scrive ottimamente l'Abate Fornari : Li « Forse mentre da noi si v oratoria di questi due compo derà attorno Maravigliato, a dimostrando l’essenza nimenti, taluno si guar: cercando con la mente poco di storia straniera conoscenti, di necessità dovea mMeorrere a finzioni fantastiche, per dar corpo alla leoce . . ae) morale e proporzionarle alla finita capacità dell'umano alla parabola è quella che consiste in un trasferir e. 1 l’oratore fa sè e tutto 1 uditorio in tempi, luoghi | condizioni diverse dalle presenti. E finale e lo descrive, quasi che egli e gli uditori tutti vi Mot trovassero in quel punto. Eschine si vale bollamente di quest? immagine nell’orazione di risposta a della Corona del suo gran LA Damiostene be: volere. A chi è ignoto Vapologo di Menenio Agrippa, della ribellione di tutte le membra contro lo stomaco? Bastò quell’apologo a rabbonacciar ia tempesta di una. plebe fatta indomabile dal sentimento della sna forza e della violata giustizia. E quando fu mai che la pa rola di un uomo avesse maggior vigore? E quello 5 non fu egli vigore della moral legge individuata e. ravvivata in una immagine? 0 diremo, che Menenio Agrippa non fece opera di oratore? E che fece dunque? A me mi è paruto sempre giudizioso un motto di Tacito dove si accenna il lontano principio dell? eloquenza latina appunto in Menenio Agrippa. Principio rozzo, quanto vogliate, imperfetto, indegno anche, se vi piace, del nome e del progresso fatto di pui, ma PERGRO certamente di vera eloquenza. » ; SCE 1]. Altra immagine oratoria efficacissima e simile DE Ne abbiamo bellissimi esempi in molto prediche, | quando oratore si trasporta col pensiero. al giudi 0 O] « Fatevi un po cora mente dal Tribunale, ove siamo, al teatro; e pensatevi «di vedere che il ban: ditoro venga innanzi e che debbasisfare,, secondo il AUG II OR, ene Te pria € nl i nol ih Oo Di persona, 5 vedere fa città presa, ch dia mura, incendii di caso, madri. e bambini monati in servitù, uomini c donne. cadenti per vecchiezza, tardi divozzati dalla libertà, ‘ piangenti, supplicanti sdegnati non di chi li percuote, È tua di chi ne fu cagione, scongiuramdovi che a vertin patto il flagello della Grecia non si. coroni, anzi vi guardiate dall infausta fortuna ‘che e accOMpagi Ta costui; chè nè a repubblica incolso mai bene ne al uomo privato che avesse i consigli di Demosten veguiito. TINELLO I s (ASTE aaa ds ‘Per valersi ‘con efficacia si questa. figura ‘biso! gia dapprima APP: ‘Tecchiuro deli canini (00 accen: i clero si gradi la Tanta» asia; qui: apI ne SOI ot ada giova moltissimo Foe ne MIELE i eo d di dol discorso 220 ma, si osservi, cotto non è falsarlo, allungare sl discorso non w dire renderlo prolisso, bensì fermarsi più a lungo. si un pensiero per meglio farlo rimarcare ed imprimer nella mente di chi ascolta. Donde « adlenque quel non so che di antipatico che a questa parola si e sn nottere?. L'amplificazione ha iposo in più guise e cioè a) con usare ad arte parole di significato più gra O più leggiero del dovuto 0 valendosi DEA CONeg Jo vo Paz o d'altra figura p 0) coll agerandire un tutto per via di compara e confronto, le circostanze di un fatto ‘paragonan do si ciascuna a ciascuna x Di ©) coll'aggrandire la figura dotta ‘graida; ai crescere DI diminuire il concetto sali passando: per vari gradi Erasta ar) lasciando ‘inferire a chi ode la grandezza, pie: lezza. ‘od impossibilità di una cosa, 200! pnal i tanze che sembrano ad esse ostrance | e) esponenio minutamente ogni. TO, ndo molto uso di definizioni, di Di, oto n È inter 100 immogini, e comparazioni, sospensioni, cre. oppure diminuendo una cosa enor endere Sio se ne RA da Lesa altro mag Ca 7) valendosi dei conseguenti e degli antocedoi e cioè dalla Srandezza degli effetti far arguire quella della causa o viceversa 1 ion da più dun 3 ad esso sia posta dal - l'uditorio maggior attenzione Br i E i SS %) dicendo di cosa 0 persona non Giò che è, ma ciò che non è; in Siftatta guisa può l orazione ic; diventare infinita (Aristotilo). i: È 13. E per concludere ecco altre saggie parole del- a. Abate Fornari. Si Come il letto delle acque non ha interruzioni, ra solo piegature, seni, gomiti, giramenti che non cn distruggono la continuità; così la struttura dell’orazione ha sue pieghe e modi e movimenti varii, or So più lenti ed ora più concitati, ma non divisioni, non Fe discontinuità, non riposi e ricominciamenti, non parti 5 tra sè veramente diverse. de . Da questa continuità delle membra e intima loro. |. congiunzione risulta in gran parte l’unità dell’ opera.‘ d’eloquenza: quell? unità, dico, la quale deve suggel- e tra gl’altri. Re anche l’orazione. Bisogna la congiuntura delle membra di E: . per l’unità dell’orazione; ma più bisogna l’accordo interiore delle cose. Niente dicasi che contrasti 2 ciò | © che si è dettooa ciò che si dirà appresso; non si ecciti | affetto che distrugga o scemi la forza di un altro già | eccitato o che bisognerà eccitare. Nè questo è tutt: | Ei bisogna che ogni cosa la quale si dica ed ogm i NE: passione che si ecciti, concorra Con tutte le altre, aiuti. rinforzi, accresca l'affetto unico a a si mira. E quì ù DI l'industria umana ha suo potere, come ha potere dim ‘ primere unità, se così posso parlare, nelle acque cor4 ‘renti. Ogni nuovo passo che l’orazione fa, sia comei rivo che si scarichi nel maggior letto, ho lo me scolate onde diventano indiscernibili tra loro, né por. | gono altro indizio di sè, che il cresciuto volume e la cresciuta possa del letto. Con questa dilivenza di non. lasciar correre da sè nè disperdersi veruna delle im- | pressioni oratorie, il nostro lavoro conseguirà non. È solo la necessaria unità, ma ui’ altra dote eziandio | ‘che non è punto men rilevante. Io intendo di quel : | graduato crescere e rinforzar dell’orazione, a mano L Tao che d° si va accostando fi: Suo. termine: al torrente alla foce. F questo. è la perorazione ; SUL finire dell’ opera oratoria raccolto e vittorioso. Onde 1 maestri dell’ arte sogliono richiedere, che. l'ora pre in sul termine ripeta. brevemente tutto quello che ha sparso si di. pruove e'sì di affetti in Ri razione Noi mon. vogliamo preserivere | nè quest altro artifici 10; che talvolta cade e tal altra. non È Ben tace omandiamo, che egli trovi. maniera $ Re TA in sulla fine, Bei, usione verrà da se mede } Cva questo la conel tutto | ante sima, più gagliarda e impetuosa, che cede nte, come quella ene aduna Je forze e gli impet di tutta l'orazione. » ni +39 “di dei =: val | | pi V di F . E, v i 4 % dc ‘A ì i Di questo ti ammonisco, chè be n De arte senza uso non giova molto. Bi: ES Ed, È Ammaestr: de egli Ia TRL: » Si O conclusione del nostro lavoro non crediamo. “RR A We DE ‘inutile registrar quì sotto «poche osserva= NI zioni che, se proprio tra il dire e il fare Dona dovrebbero render n discorso. Su “S entrasse di mozzo il mare, capaci DI principianti ad improvvisa sare u qualunque argomento di propria competenza» Ple Considerate attentamente sotto ogni #5 tto si pei oggetto del vostro discorso @ suddividetelo nelle e ] ‘ principali. Le idee si trovano, come dici zonÌ col meditarvi SU; ma bisogna do ciò co sa rdine O) non Lar: riesce et E JIA i 9, Non cominciate a parlare prima di aver p suto alla forma, allo svolgimento, alle parti, alla co elusione del vostro discorso. 3 3. Procurate di richiamare @ memoria inttali È idee vostre od altrui intorno al vostro argomento, 1 detti e i fatti che ad esso in qualunque modo si ri feriscono. È 4. Curate la semplicità e 1’ uniformità di soll mento e la conveniente proporzione tra le parti. 4 5. Ogni cosa del vostro discorso sia conseguenza, di conseguenza. Quel che segue aggiunga sempre a, «uel che precede in affetto o in idea, e avrete elo- | ueaza. Questo è precetto del Tommaseo. 6. Quanto alla scelta del soggetto quando n° i Îl caso si badi ch’esso non sia frivolo, avendosi | Oggi in fastidio gli argomenti nulli ed in genere ogni. Spreco di ingéeno. Sia proporzionato alle nostre di i © scelto dove già abbiamo molte osservazioni ordinate: a chi lo sceglie così, dice Orazio, non gli POSSONO Mancare nè idee, nè ordine, nè parole. Che sia nuovo oppur no, non importa; la novità ° consiste nel modo di trattarlo; ma è bene annunziarlo, si 10060 Sotto una forma possibilmente nuova. I Noi iamo, figli Sil SRO abitudini, e Hi: | consegr loterminato tirocinio speciale. Jivenir oratore deve dedicarsi 2 fare : di- romo così degli esperimenti. Scelga ogni giorno un argomento diverso e possibilmente a caso e veda di tosservi un ordinato discorso tenendo presenti gli in- dici che abbiamo dato per lo svolgimento di ogni È singola parte del discorso. È L'oratore americano Enrico Clay, si legge nel Self help dello Smiles, spiegò così ad alcuni giovani il se- greto de suoi trionfi. La mia riuscita la devo sopra fi tutto a questo: che all’età di diciassette anni cominciai, e tutti i giorni una. Ne consegue che mn chi ama e per molti anni contimuai, 2, sfar lettura e parlare poi con abbondanza sull’ argomento È trattato nel libro di storia o di scienza che avevo letto. Io mi dava a siffatte improvvisazioni, ora nei campi, ora nej boschi, e spesso anche in una stalla, dove non avevo altri uditori che il bue ed il cavallo. A tale della più grande di tatte le arti iv | pratica precoce e determinati che hanno se- 7 devo. gli impulsi primi gnato la mia carriera e la mia sorte. : 8 Nè in minor conto si dovrà tenere la neces | sità dì contrarre l'abitudine di parlare in pubblico. Se | Demostene, oratore greco a niuno secondo, arringando Si nnanzi a Filippo, Re di Macedonia, impallidiva così.{ rtemente, da venirgli meno tutta la forza del suo ACE ì ti HE y3 suna delle cose che doveva i quale | sgomento non s' impadronirà di chi, non pratico, in prende a parlare in pubblica adunanza? L’eloquenza, scrive Veronesi, è un: pool ito spontaneo in chi sì trova in istato d’eccitazione. P. quindi in tale stato è il modo più semplice per cis Vere il problema dell’eloquenza. » 3 (E narra l’esempio di un tale che, a freddo, dopo la prima giovinezza non era più capace di fare un sol | Verso se non. con grande stento, ma se in quale | cena beve un po di ona si accendeva tanto da diventare improvvisatore, e di versi non mediocri. ì «Lasciando stare da parte le eccezioni, conveniamo col Veronesi che l’eloquenza è un di psicolo- gico che si manifesta ogni volta che le nostre facoltà x | fono eccitate, vengono in qualche modo esaltate. Chi | | non ha visto per sone timide, taciturne, ‘buttar fuori un, pete di dea in ica d’ ira, di sdegno, (irta ur Adnnque mottersi in istato di moderata eccitazione, | bicchiere di champagne, è il segreto | 0 GUELO Ko trovare una ai Bit n anche con un per diventare eloquenti, parola calda e vigorosa. Chiunque di noi, scrive il già lodato Veronesi, per quanto sobrio sia, anzi più abitualmente è è sobrio, alla fne di un pranzo cordiale, in buona compagnia, avrà. trovato una parlantina che se ha per appoggio inge- gno ed erudizione sufficiente parrà eloquenza, € ci s darà, alla lettera, la facoltà d’ improvvisare discorsi | Sa cui non si era menomamente pensato prima, @ molte | volte più felici, più spontanei di quelli lungamente | | meditati, o, meglio, preparati e scritti: ci darà una. | Specie d’ ispirazione. to SAR 10. Anche la memoria, che ha una caga im- portanza per l'acquisto e 1 uso del sapere, è necessa Sia coltivata con amore. Serive a questo. proposit. | Cicerone. (Dell'Oratore Libro I) Che dirò della È memoria, tesoro di tutte le cognizioni? La quale se non custodisce le cose trovate e meditate si capisce mente che tutte le altre doti dell’ oratore, BSs vi > vanno perdute. È: TE vuolsi una buona memoria intellettuale, ‘q emoria la cui azione nasce dall’ intelligenza del tto © dico ha per base il SETA delle uo TO 4h La Bi. le relazioni di causa ed effetto, di mezzo e di fi (quella che si consegue col moderno insegnamen scolastico), la quale consiste semplicemente nel ritene: e recitare delle parole in dato ordine, anzichè ne richiamare le idee per mezzo del loro logico legami Convinti di queste verità noi abbiamo trovato (d po studi fisio-psicologici ed esperienze pratiche che furon, per la loro natura medesima, lunghi assai). Sa trovato, gli è breve tempo, un nuovo sist ma di mnemotecnica, sistema che torna d’ una fedeltà È infallibile perchè fondato sulle leggi naturali della È memoria e non su combinazioni artificiali come i varii Sistemi mnemotecnici escogitati fin quì. Il nostro Cul tun metodo nuovo, che in possesso di qualunque in- | telligente, può no un vero tesoro per la facilità 0 | la sollecitudine ad imparare e ritenere perennemente “ memoria qualunque nozione, il contenuto di qua: “a libro letto una sola volta. NPRSuE difficoltà Nitenere. ORA 0 sistema, UR studio, | per. dido.che sia, DIN QUE un BC porone si vedono Laggo Questo metodo, facilissimo ad apprendersi. chissino tempo, rende eminenti servigi in qualangue Ch) rano di studio; facilita prodigiosamente g oli esami sco lastici; pone in grado dè pr onunziare sermoni, discorsi, lezioni senza l'aiuto di note 0 del manoscritto, che È basterà aver letto una volta sola; rende facilissimo | qualsiasi studio e giova immensamente in a qualunque emergenza della vita. quotidiana. Questo, Hcno è insegnato completamente i nos tro libro L'ARTE DI RICORDARE 2.a edizione che costa Lire Presso; l'editore S. Lapi di Città di Cel (Peragia): SR INDICH: see procetti atti a procacciarla | ERo A IL Dello Hr pube BR II. Delle parti del discorso.Svolgimento delle parti dui fr . discorso Feordio oo Proposizione Rene Definizione e partizione : sat VALUTA = Gata . si Y E n DE») VIaSSi Descrizione . Ra RI x. Relazioni e 5 Na SIC Dimostrazione | Ve; DEI: î e du 4 CS oratorii 5 Mu Precetti L'ULTIMA PAROLA DELL'ARTE STENOGRARICA LA STENOGRAFIA IN TRE LEZIONI Con metodo nuovissimo, originale italiano, dovuto ale l'autore medesimo del presente volume. S'impatt da sè, in un giorno. Lire 2. In vendita presso l'Amministrazione del Giornale per tutti a Ivrea (Piemonte). Questo metodo semplice, facile, breve, rapidissimo; derivato da un attento e lunghissimo studio della mostra ortografia; a della nostra lingua, ottenne della costituzione @ dell’eufoni un tale successo, suscitò un tale giustificato entusiasmo che allo scopo di diffonderlo si formò tosto un'importante Associa” zione Nazionale, che volle acclamare et Presidente Onorari? to: l'autore del metodo, e il cui Comitatorè così compo? dp S. E. il Conte Costantino Nigro, Senatore del Regno, ‘Ambascia” la Corte Tmperiale dA tore di S. M. il Re d’Italia presso i, stria. S. E. il Conte Ghiglieri, Senatore del Regno. Tati tore. Burone Ing. Severino Casana. Senatore Comm. Chiala. Senatore Comm. Avv. Secondino Frold. Conte Avv. Giacinto Cibrario. Senatore Comm. atore — Senatore Comm. Prof. Graziadio Ascoli. Senato fino di Valperga Conte Guido. Senatore Gom Senatore (ruido Fildellu. Sena togno. Depututo Comm. Avv. Pr Comm. Avv. Romuuldo Palberti. D 1 D Deputato Comm. Tuneredi Gulimberti: =. 2 pucca: Carlo Compans. Deputato Comm. A oto Mar i Prof. Francesco Parinets: > DOP e asco. Comm. Giuseppe, Giucos ei ‘i e della R. Univertità do Bolognini, . Università. i n QI Ing» Vittoro Sclopt5 Nouni giudizi sul sistema memonico dell'Autore Genova. È opera di gran momento quella a cui Ella con tanto amore |. e dottrina si accinse, imperocchè base di ogni sapere umano, | di ogni portato dell’ intelletto, di ogni ordinato impulso dell’a- nimo è la memoria delle cose, che acumina lo spirito d’osser- vazione, scuopre il vero, rispurmia gli inutili sforzi de lla mente. Coltivare la memoria dovrebb'essere il fondamento, di tutti. gl’ insegnamenti didattici, affinchè il pensiero individuale non Si trovi mai isolato e non ci sia mai ‘sperpero di energia men- tale e psichica. | Rn Auguro alle di Juei teorie, che riconosco basate sopra prin- cipii razionali,, la sorte fortunata che si meritano ; a lode di Lei ed a vantaggio di tutti. se Vico- Ammir. Comm. Cario De Amezaga. Finalmarina. Colgo quest’occasione per tributare alla S. V-_IL d glioso. Esso possiede dei pregi incomparabili, © P ne, ogni enco \ to. Peccato € | grande per i cultori del bello, del buono, dell’ utile che più diffusa, meglio cor i P. Macario da Ghul Lettore di Teologia e Vicario CM Porto Maurizio 15 [ags Ho letto con piacere © ‘profitti le assicuro che ci ho trovato mn prova, di memoria ammirabile. | ì miei complimenti più since Prof. Brescia. Ho letto con vivo interessamento le sue lezioni sull’ Art ; ricordare, e Le faccio i miei rallegramenti per aver trovato SI che, bene applicato, può dare frutti eccellenti per lo svolgimento delle facoltà ritentive della memoria. E desti # tabile ch’Ella faccia molti proseliti fra i giovani onde questi possano profittare debitamente delle di Lei ottime lezioni. (Prof. nel R. Istituto Tecnico di Brescia) Pavia. Roma. i ica, Ammiro. schiettamente il suo sistema di mnemofecnica, ioni ch’ Ella riconosco giustissime ed assennate le CERA ca o espone così diligentemente e nun mi meraviglio q sultati ottimi ottenuti. (Min. Agric. Ind. e Comm.) Prof. Rag. Ulisse Zanotti Trieste i >, non Col suo metodo Ella imita la natura, non ciecamente; pi è 5 b CELSO la va-- seguendone macchinalmente i precetti: sibbene imitando n e zionaimente, per analogia e nel suo logico ada vale si circostanze, seguendo infine lo spirito e non la letter suoi procedimenti. fl suo metodo è un € da Ella enùmerati ni Studio un piacere anche a coloro per cui era prima una pena, generando in tutti una volontà intensa di studiare. Vittorio Donati pubblicista. Portomaurizio 2 Agrile 1893. Il yostro metodo mnemonico è fallibile, né può essere uguagliato. È della più grande nutilità, dappoichè tutti i vantaggi, (e mon son pochi) che voi eli attribuite, io li ho già tutti consta- tati, e se ho potuto constatarli io, logoro: nel cervello e nella memoria, grali maggiori utilità non ricaveranno da esso gli Studenti di qualsiasi ramo, di mente fresca e di giovane età? Essi col vostro sistema non hanno più bisogno di prendere appunti durante Ja lezione del professore, perocchè voi fornite loro col vostro metodo un vero talismano dinanzi al quale ogni Ustacolo nello studio svanisce eccellente, facilissimo, in- Gerolamo Spinelli. ava osi A apo d'opera. Oltre a tutti i Mo, i 3 un altro ancora ve n’ ha: rende cio P in COLTURA E PROP? 3AZI di piante nuove © di vegetali utili © poc e/miglioramento di ortaggi comi r tura ed alla propagazione di: Bc poco noti, nonchè al migl @imuni, sotto lan direzione di Il Giornale per tutti. fiori più curiosi @ stray gi teressanti, dei vegeta! È db; Gi ALTRE: PUBBLICAZIONI DELLO STESSO AUTORE La L'ARTE DÌ ESSERE PROMOSSI AGLI ESAMI (opera preziosa per eli > Di studenti, per chiunque ha da subire nn esame), L. 1 5 È L'ARTE DI IMPROVVISAR VERSI sia in teatro, in sogietà, comeca ta- ‘1 volino). 1.. 0,80. P nr LA PREVISIONE DEL TEMPO ALLA PORTATA DI TUTTI. — Mozzi facili.e sicuri basati sulla scienza. = 1. 0, 50 gi LE CURIOSITA’ DELL’ERUDIZIONE. Guriosità storithe, scientifithe, Varie, Oricim e leecende — L. 1,75. % + IL LIBRO DEI PERCHE’, — Spiegazione scientifico-popolare dei fenomeni | x . d’o&ni giorno. = L. 1, È, 5 DI UN SURROGATO AL TABACCO PRIVO DI NICOTINA, immen- DE “ssamente economicò, superiore in fragranza al tabacco naturale, usatis- i “simo all’estero e alla portara di tutti. L. 1. ni LA VITA A BUON MERCATO. I. 1. > LEE ARTI ED INDUSTRIE DA DILETTANTI ENCICLOPEDIA DEI LA- Met VORI DA DILETTANTI. Lavori su legno, vetro; specchi, metalli, marmo, pule c cellana, tartaruga, madreperla, schiuma di mare, cartapesti, gesso, pelli, piante, tappezzerie, tessuti, piume, cuoi, fotugrafia, fotominiatvra, incisione, scultura, chimica, plastica; pittura, conciatura, bronzatura, argentatura, doratura, ich - latura, eee. ecc, L. 1,50. »; UTILIZZAZIONE DEI RESIDUI. — Sessanta utilizzazioni di residui, da x È SO trarsì serio profitto per l'econumia domestica, l'industria, ce la de 50, fi late RASSEGNA DELLE SPECIALITA’, Segreto di composizione di cento e o fra le più importanti spec alità e nuovi prodotti ind istriali.col relativo detta- dA gliato processo di fabbricazione. Utile a tutti trattando delle più disparate spe- E° cialità, 1.1, Tutte queste opene e varie altre dello stesso antore sono in vendita presso l’àmministrazione del Giornale per tutti a Ivrea. Presso la stessa trovansi pure in vendita le seguenti into vessantissime pubblitazioni. TUTTI PIANISTI, — Metodo per ‘imparare da se stessi a suonare il più noforie, Seaza conoscere la musica, senza bisogno ui maestro. Metodo.elo-* giato da distinti Mpestri Fienlato earartito; 1.9; dt " LA PRODUZIONE DELLE PERLE A VOLONTA’ E IN CASA PROPRIA MIE Vanevamento dell'oscrica perlitera dell'Arkansas, del Dott. nica. == DELLA RIPRODUZIONE DI PIANT VI et E SENZA INTERMEZZO DI b VAIO NUOVO METODO tei brot. U. Hiaichi, = 2; edizione; = Gun ynesdi GA Dai chimqne puo rimboscare il suo monte o il suo piano nello stessy pride chi, eialeita all'opra e, ciò che è più sorprendente, ie t.lee di vil; het. LA FABB MUD SAL Uricazione RI d'olio d'oli ME, ece; vil di ni Di p | processi È Comonrica di RO È dista LAN, e SVI ento gui | 15620 VLD 00 LA pagina del sito di Albani. Albani e Buonarroti AGA MAGÉRA DIFÚRA Dizionario delle lingue immaginarie (Zanichelli; ristampa; Les Belles Lettres), oltre 2900 voci, 98 illustrazioni, schema analitico delle lingue immaginarie, prospetto cronologico dei principali autori di lingue immaginarie, ventotto pagine di bibliografia (per visionare la bibliografia cliccate qui). Le voci riguardanti il teatro sono a cura di Alessandra Barsi. Il titolo è ripreso da una poesia in lingua inesistente scritta da Tommaso Landolfi nel racconto Dialogo dei massimi sistemi: Aga magéra difúra natun gua mesciún Sánit guggérnis soe wáli trussán garigúr Gùnga bandúra kuttávol jeris ni gillára. Lávi girréscen suttérer lunabinitúr Guesc ittanóben katir ma ernáuba gadún Vára jesckilla sittáranar gund misagúr, Táher chibill garanóbeven lixta mahára Gaj musasciár guen divrés kóes jenabinitúr Sòe guadrapútmijen lòeb sierrakár masasciúsc Sámm jab dovár jab miguélcia gassúta mihúsc Sciú munu lússutjunáscru gurúlka varúsc. Il dizionario è un viaggio nella creatività linguistica, una raccolta di lingue inventate nei campi più eterogenei (letteratura, teatro, cinema, musica, pittura, pubblicità, fumetti, televisione) e per le finalità più diverse (religiose, comunicative, espressive, ludiche, culturali). Esce una ristampa del libro. Per alcune recensioni alla ristampa cliccate qui. Nelle due pagine centrali della cultura di "la Repubblica" esce un articolo di Francesco Erbani Parole, giochi proibiti, per leggerlo cliccate qui. Leggete la recensione di Umberto Eco su "L'Espresso". A proposito del tradurre da una lingua inventata, Eco cita Aga Magéra Difúra anche nell'introduzione a Joyce, Anna Livia Plurabelle, nella traduzione di Samuel Beckett e altri, versione italiana di Joyce e Frank, a cura e con un saggio di Bosinelli, Einaudi, Torino, "TuttoLibri - La Stampa" Bartezzaghi recensisce Aga magéra difúra: leggete qui. Articolo di Bartezzaghi su "la Repubblica" intitolato I fabbricanti di lingue dove si parla ancora di Aga magéra difúra. Sulla "Domenica de il Sole-24 ore Dossena recensisce Aga magéra difúra: leggete qui. Una voce Aga magéra difúra, dedicata a questo dizionario, esiste nell'Enciclopedia dei giochi dello stesso Dossena (Utet, Torino). Una bella stroncatura del libro (finalmente), a opera di Sebastiano Vecchio, intitolata Per chi è appassionato di linguaggio (in pratica ci rimprovera di non essere dei linguisti, ma solo degli "appassionati di linguaggio"), esce su "Italiano&Oltre". Partecipa con Fosco Maraini alla trasmissione televisiva MediaMente, su RAI 3, condotta da Carlo Massarini, per parlare di "lingue inventate", per vedere il video su YouTube cliccate qui. Nel libro di Andrea Moro Le lingue impossibili, edizione italiana a cura di Nicola Del Maschio (Cortina), si fa un accenno a Aga magéra difúra: Il testo di Okrent cui fa riferimento Moro è: Arika Okrent, In the Land of Invented Languages, Spiegel and Grau, New York. è uscita una traduzione francese a cura di Egidio Festa con la collaborazione di Marie-France Adaglio, presso Les Belles Lettres, 576 pagine. Su "Le Monde" esce una recensione di Roger-Pol Droit: BONNES JOIES DE BABEL. Un'altra recensione firmata da Picard, intitolata Les langues du pays des merveilles, esce su "Nonfiction. Le quotidien des livres et des idées". La recensione di Picard è interessante perché sottolinea l'incommesurabile inutilità del libro. Fra le altre recensioni all'edizione francese quella sul numero 5 di "Viridis Candela", 8 absolu 129 EP, vulg, "carnets trimestriels du Collège de 'Pataphisique". Al Centro Pompidou il libro ha partecipato al festival «KHHHHHHH» Langues imaginaires et inventés. Nell'ambito della mostra Marinetti e il futurismo a Firenze. Qui non si canta al modo delle rane, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ho tenuto una relazione su Marinetti: parole in libertà e lingue immaginarie. Su "creatività linguistica e lingue immaginarie", il mio saggio "Al Barildim Gotfano. Creatività linguistica e lingue immaginarie", uscito su Parol, Quaderni d'arte e di epistemologia. Lo stesso tema avevo già affrontato in Sobre "l'imaginari lingüístic", relazione al convegno sulla creatività svoltosi a Velencia nei giorni 2, 3 e 4 maggio 1996 i cui atti sono raccolti in A creativat Ara, L'Alfàs del Pi, País Valencià. Il testo Al Baridilm Gotfano è citato nella bibliografia Su nonsense e traduzione del nonsense: indicazioni bibliografiche a cura di Angela Albanese contenuto nella rivista "Il lettore di provincia" dedicato al tema I dilemmi del traduttore di nonsense, a cura di Franco Nasi e Angela Albanese. Una relazione di R. su Gerghi e lingue immaginarie al castello Pasquini di Castiglioncello all'interno di un ciclo d'incontri su La comunicazione, volti e forme: i gerghi, organizzato dal Centro Studi e Ricerche sulla Comunicazione diretto da Giovanni Manetti. Si veda anche il mio articolo Tradurre da lingue inventate, all'interno del dossier L'artefice aggiunto. Tutti i modi di tradurre, apparso su "L'Indice dei libri del mese". Il testo, leggermente modificato, è stato pubblicato nel Quaderno edito da Babel festival di letteratura e traduzione, edizione 2019, svoltasi a Bellinzona (Svizzera), intitolata Non parlerai la mia lingua, dedicata alle lingue inventate; per leggere questa nuova versione cliccate qui. Sempre riguardo alla traduzione, il dizionario Aga magéra difúra è citato in un testo di Antonio Prete, "Aga magéra difúra": sul tradurre da lingue inesistenti, in Antonio Prete, All'ombra dell'altra lingua. Per una poetica della traduzione (Bollati Boringhieri, Torino). Sull'argomento delle lingue inventate anche la mia relazione su L'italiano immaginario tenuta al convegno L'italiano, lingua d'Europa, organizzato dall'Istituto italiano di Cultura di Strasburgo. durante la trasmissione radiofonica Baobab su Radio 1 della RAI, va in onda una mia intervista sulle lingue immaginarie, per ascoltarla cliccate qui. Sempre il tema dell'italiano immaginario è stato oggetto di una conversazione, introdotta e coordinata da Andrea Grignolio, durante la nona edizione del Festival delle Scienze, dedicato a I linguaggi, svoltosi a Roma, all'Auditorium del Parco della Musica, festival che ha visto la partecipazione, fra gli altri, di Noam Chomsky. Sulla mia partecipazione a questo Festival una mia intervista radiofonica alla trasmissione La Notte di RadioUno andata in onda il 23 gennaio 2014, per ascoltarla cliccate qui. Una nuova versione, rivista e aggiornata, di L'italiano immaginario è uscita nel volume Langues imaginaires et imaginaire de la langue. Etudes réunies par Olivier Pot (Librairie Droz, Genève). Per leggere questa nuova versione. Di linguaggio (quasi immaginario, in quanto economico) si parla anche nel mio saggio Sraffa and Wittgenstein. Profile of an intellectual friend. Nel libro di Alberto Nocerino e Roberto Pellerey Laboratori di scrittura. Istruzioni per una ginnastica alfabetica infinita, edito da Graphofeel Edizioni di Roma, si accenna agli studi e ricerche sulla fantasticheria letteraria e sull'enciclopedismo ludico, una corrente che avrebbe influenzato profondamente l'orientamento di molti laboratori di scrittura italiani e a p. 24, nota 14 si cita Aga Magéra Difúra. Ho tenuto dei laboratori sulle lingue immaginarie, cliccate qui. Ho parlato di Lingue immaginarie e folli letterari: alcuni casi italiani in "Les Cahiers de l'Institut", rivista dell'Institut International de Recherches et d'Exploration sur les Fous Littéraires, numero 4, 2009. L'articolo di Daniele Baglioni, Lingue inventate e "nonsense" nella letteratura italiana del Novecento, in Antonelli e Chiummo, a cura di, «Nominativi fritti e mappamondi». Il nonsense nella letteratura italiana, Atti del Convegno di Cassino, Salerno, Roma, è basato - come dice l'autore stesso - "per la gran parte dei testi commentati" su Aga magéra difúra. Ecco la nota di Baglioni: Baglioni cita Aga magéra difúra anche in un altro suo interessante lavoro: Poesia metasemtica o perisemtica? La lingua delle Fànfole di Fosco Maraini, in Valeria Della Valle e Pietro Trifone, Studi linguistici per Luca Serianni, Salerno Editrice, Roma. Sul sito del Centro Studi Landolfi è uscito nel maggio 2013 un mio testo Landolfi inventore di lingue, citato nel saggio di Ignazio Sanna, Traduzione e significato nel Dialogo dei massimi sistemi di Tommaso Landolfi, “Medea”. Aga magéra difúra è citato anche in Raconter l'Oulipo. Histoire et sociologie d'un groupe di Camille Bloomfiel, edito da Honoré Champion, Paris. Come studioso di lingue inventate sono chiamato in causa nel romanzo di Adrián N. Bravi L'idioma di Casilda Moreira, Edizioni Exòrma,dove sono presentato come l'estensore della prefazione a un libro inesistente. Un debito al nostro dizionario delle lingue immaginarie, Aga magéra difúra, è dichiarato da Andrea Bellini, uno dei curatori, insieme a Sarah Lombardi, della mostra Scrivere disegnando. Quand la langue cherche son autre tenutasi al Centre d'Art Contemporain di Ginevra. Scrive infatti Bellini nel saggio introduttivo al catalogo edito da Skira nella nota 1 a pagina 15: Per ulteriori info su questo aspetto dell'influenza di Aga Magéra Difúra sulla mostra ginevrina cliccate qui. Nel Dizionario del bibliomane di Antonio Castronuovo (Sellerio, Palermo), nel capitolo intitolato "Scibile intero", è citato Aga Magéra Difúra. Su "La Lettura", supplemento culturale culturale del "Corriere della Sera", un articolo di Antonelli, Inventare idiomi funziona poco (ma nei libri sì) (parte I e parte II), dove si presentano due schemi riguardanti le lingue immaginarie e fra le fonti utilizzate si cita Aga magéra difùra. HOME PAGE TèCHNE RACCONTI POESIA VISIVA ENCICLOPEDIE BIZZARRE ESERCIZI RICREATIVI NEWS. Ugo Basso delle Rovere. Basso. Keywords: Deutero-Esperanto. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Basso,” pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library. Basso. Rovere. Basso.

 

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